Granelli di sabbia

di ChocolateClaire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scialuppe e mostri marini ***
Capitolo 2: *** Bauli, mantelli, maglioni e biscotti ***
Capitolo 3: *** Iniziare nel peggiore dei modi ***
Capitolo 4: *** Preludio all'amicizia ***
Capitolo 5: *** Neve, cuscinate, un Natale diverso dal solito ***
Capitolo 6: *** Distacchi e maschere di cera ***
Capitolo 7: *** Licantropi e paranoie ***
Capitolo 8: *** Animagi ***



Capitolo 1
*** Scialuppe e mostri marini ***


Granelli di sabbia

 

 

 

 

 

 

 

Grimmauld Place, agosto 1971

 

Sirius Black non si era mai sentito del tutto normale, ma doveva ancora capire se effettivamente la colpa fosse o non fosse sua. Non che passasse le giornate ad autocommiserarsi, ma spesso dentro di lui si svolgeva una lotta silenziosa; una parte di lui, quella più orgogliosa, attribuiva le frequenti liti coi genitori all’idiozia di quest’ultimi, l’altra, quella insidiosa, quella che lo infastidiva enormemente, lo tormentava per la sua incapacità di mostrare buon viso a cattivo gioco, per la sua incapacità di impedire che la rabbia fuoriuscisse in un torrente di arroganza. La parte orgogliosa era sicuramente quella con più argomentazioni, ma quella insidiosa finiva, nonostante tutto, per avere la meglio nei momenti di apparente quiete successivi alla tempesta. Quando ormai il danno era fatto, dopo che vi erano state urla e grida e che le porte erano state sbattute, quando Sirius si ritrovava ancora una volta solo in camera sua, era quello il momento in cui la parte insidiosa cominciava a farsi strada nei suoi pensieri e a pungerlo malignamente; sei il solito imbecille, gli diceva, parli sempre a sproposito.

Sirius finiva col sentirsi in colpa, e odiava questo più delle urla, degli schiaffi e delle porte sbattute. Il suo era un senso di colpa rabbioso e impotente, perché incapace di suggerire una qualsiasi soluzione. Il suo era anche un senso di colpa difficilmente comprensibile e carico di contraddizioni, perché le sue rispostacce e le sue provocazioni erano giuste ma anche terribilmente sbagliate.

Le cose non erano andate sempre così; a parte la severa educazione che gli era stata impartita e i frequenti bisticci col fratello minore, la sua prima infanzia era trascorsa tranquillamente, in una maniera assolutamente normale. Poi qualcosa era cambiato. Improvvisamente non era più un bambino piccolo. Improvvisamente gli venivano fatti dei discorsi, e i suoi genitori si aspettavano che lui si comportasse in un determinato modo e che mostrasse di avere determinate convinzioni.

La purezza del sangue, continuava a blaterare sua madre. Per quanto si sforzasse, Sirius non riusciva neanche minimamente a capire il punto di vista della famiglia, figurasi il renderlo uno dei fondamenti della sua esistenza. Quello della purezza del sangue era un concetto veramente troppo lontano dalla mentalità di Sirius, e quindi Sirius non poteva fare a meno di infiammarsi ogniqualvolta venisse fatto anche solo un commento maligno nei confronti di persone a lui sconosciute. Ma perché si arrabbiava tanto? Perché provava tutto quel disprezzo nei confronti di chi l’aveva messo al mondo? Non poteva semplicemente stare zitto? Non poteva semplicemente lasciare che le cose gli scivolassero addosso?

No, non poteva. O meglio, non ci riusciva. Era più forte di lui. E quindi si sentiva diverso, e si arrabbiava ancora di più, e rispondeva ancora peggio.

La sua vita a casa era un inferno, ed era colpa sua.

 

***

 

L’atmosfera, al numero dodici di Grimmauld Place, era tesissima già da quella mattina. Sirius se ne era accorto, e aveva fatto del suo meglio per tenersi fuori dai guai e dalla vista; sapeva bene che se in casa si covavano malumori, allora  la probabilità per lui di scatenare qualche casino era veramente alta.

Era rimasto buono e tranquillo in camera sua per tutto il giorno, aveva persino evitato accuratamente di dare fastidio a Regulus. Poi però arrivò l’ora di cena.

Quando Sirius raggiunse la sala da pranzo, si rese subito conto che le cose non erano affatto migliorate. I suoi genitori non solo non degnarono né lui né Regulus di uno sguardo, ma erano anche tutti intenti a discutere sottovoce, e l’argomento, Sirius lo capiva dalla fronte corrugata del padre e dai modi nervosi della madre, non doveva essere affatto piacevole. Sirius e Regulus si scambiarono un’occhiata sorpresa, poi presero posto e iniziarono a mangiare, in silenzio.

Intanto Orion e Walburga continuavano a discutere, e Sirius avrebbe fatto meglio a continuare a rimescolare i broccoli nel piatto, piuttosto che prestare attenzione a quello che si stavano dicendo. Da quello che riusciva a intendere, qualcuno in famiglia si era messo nei guai. Tese le orecchie e finalmente riuscì a distinguere, fra i sussurri, Andromeda e disonore nella stessa frase. Voltò di scatto la testa in direzione dei suoi genitori. Sua madre se ne accorse. Lo fissò.

 

« Forse faremmo meglio a parlarne più tardi, Orion » disse lentamente Walburga. « Sirius, Regulus, finite di mangiare e poi andate nelle vostre stanze. Niente discussioni. »

 

« Cosa è successo ad Andromeda? » chiese istintivamente Sirius. Sentiva qualcosa di spiacevole prendere vita nel suo stomaco, ed era abbastanza sicuro che non fossero i broccoli.

 

« Ti ho detto di non— »

 

« Cosa è successo ad Andromeda? » ripeté Sirius, questa volta scandendo più lentamente le parole. Regulus gli lanciò una pessima occhiata.

 

« Piccolo arrogante » sibilò sua madre, gli occhi ridotti a fessure. « Come ti permetti? »

 

« Modera i toni, ragazzo » continuò severamente suo padre. I suoi occhi erano così penetranti che per un attimo Sirius dovette distogliere lo sguardo; temeva più suo padre di sua madre, anche se faceva di tutto per non darlo a vedere. « Tua cugina Andromeda ha avuto la brillante idea di fuggire con un Sanguesporco » disse sottolineando l’insulto. « Dubito che la rivedrai ancora. »

 

Ci fu un attimo di silenzio. Sirius impallidì.

 

« Come sarebbe a dire— »

 

« Sarebbe a dire, » si intromise rabbiosamente Walburga, « che Andromeda ha gravemente disonorato la nostra famiglia! È stata diseredata! »

 

Sirius si sentì svuotato. Andromeda era una delle poche persone della famiglia con cui si sentiva veramente a suo agio, una delle poche con cui riusciva a parlare liberamente, senza il timore di essere redarguito. Sua cugina aveva alcuni anni più di lui, aveva già finito la scuola in effetti, e Sirius la vedeva come una sorta di figura materna. Proprio una settimana prima lo aveva consolato dopo una violenta ramanzina della madre, tenendogli la testa sul suo grembo, accarezzandolo…

 

« Ma non ha fatto nulla di male— » tentò debolmente di dire.

 

« Niente di male, dici? » urlò sua madre, « Niente di male! Mi chiedo cosa tu abbia in testa, Sirius! »

 

« Ma— » tentò di dire Sirius, « ma è vostra nipote! Come fate a dire che— »

 

« Non è più nostra nipote! Andromeda non è più degna di essere una Black! »

 

Ancora silenzio. Walburga fissava il figlio respirando affannosamente, gli occhi pieni di rimprovero. Sirius sentì la rabbia montargli dentro in un attimo, la sentì sostituire il doloroso senso di vuoto.

 

« Bene, » disse velenosamente, « vorrei essere altrettanto fortunato. »

 

Ecco, l’aveva fatto di nuovo. Ma questa volta non ebbe neanche il tempo di mordersi la lingua. Suo padre avanzò verso di lui con una velocità sorprendente, e, prima ancora che Sirius riuscisse a farsi schermo con un braccio, lo schiaffeggiò con violenza.

 

« In camera tua. Subito. » ordinò Orion. Il suo tono non ammetteva repliche.

 

*

Sirius era sdraiato disordinatamente sul suo enorme letto a baldacchino, braccia scomposte e dita che tormentavano il costosissimo copriletto di seta. Fissava ormai da qualche minuto l’enorme lampadario d’argento al centro della stanza, cercando di concentrare la sua attenzione sulla fioca luce delle candele piuttosto che sul forsennato palpitare nel suo petto. Sentiva il dolore pulsare sulla sua guancia sinistra, e sulle sue labbra c’era ancora l’inconfondibile sapore del sangue, ma Sirius tentava ostinatamente, e vanamente, di ignorarli.

Era strano; si sentiva sfinito, ma allo stesso tempo aveva una voglia matta di prendere a pugni ogni centimetro della sua stanza. Li odiava tutti; il padre, la madre, quello stupido di Regulus, incapace di fare una considerazione propria…

La porta della camera di aprì. Sirius, improvvisamente disturbato nel flusso vorticoso dei suoi pensieri, si mise di scatto a sedere, aspettandosi di veder comparire sua madre o suo padre. Ma ad indugiare sull’uscio c’era suo fratello.

Per qualche secondo nessuno parlò. Sirius si chiese perché Regulus gli stesse scrutando così meticolosamente il viso, poi si ricordò di quanto la sua faccia dovesse assomigliare ad un pomodoro maturo, e arrossì.

 

« Che cavolo vuoi? » sbottò.

 

Regulus esitò per un attimo. « Volevo vedere come stavi » disse semplicemente. Sembrava preoccupato.

 

Sirius sbuffò. « Sì, certo. Sto benissimo. Adesso perché non corri da nostra madre, Principino? Vai a consolarla— »

 

« Non fare il cretino » lo interruppe Regulus, improvvisamente arrabbiato. « E non chiamarmi così. »

 

« Così come, Principino? » continuò Sirius, beffardo. Era sempre così; se i suoi se la prendevano con lui, lui dopo se la prendeva con Regulus. Sirius si sentiva bastardo, ma non poteva farne a meno. Era come una vendetta; se lui veniva costantemente rimproverato e umiliato, allora qualcuno doveva pagare. E chi meglio di Regulus? Chi meglio del suo fratellino, il piccolo di casa, quello che non deludeva mai nessuno stupido genitore? Regulus non sarebbe stato poi così male, se non fosse stato designato come il fottutissimo metro di paragone della vita di Sirius. A volte andavano persino d’accordo.

 

« Pensi che dispiaccia solo a te per Andromeda?! »

 

« Così sembra! »

 

« Solo perché non mi metto a fare storie, non vuol dire che— »

 

« Fare storie?! Tu non ti azzardi neanche a soffiarti il naso, se prima non ricevi il consenso di nostra madre! »

 

Si guardarono in cagnesco. Infine Regulus sospirò. « Sono loro gli adulti, Sirius. Se hanno preso questa decisione, un motivo ci sarà. »

 

Sirius si sentì riempire di nuova rabbia. « Il motivo è che sono tutti un branco di idioti! Credono di essere migliori di chiunque altro! Toujours Pur, un mucchio di fesserie! »

 

Regulus non sembrava impressionato, o almeno non sembrava impressionato quanto Sirius avrebbe voluto.

 

« Ascolta, » disse piano il fratello minore, « mamma e papà sono veramente arrabbiati, questa volta. Se continui ad urlare ti sentiranno… Non vuoi prenderle ancora, vero? »

 

Sirius lo guardò con odio. « Lo sai, lo faccio solo per intrattenerti » disse con sarcasmo. « So che adori vedermi alla gogna. »

 

« Non dire idiozie » affermò Regulus, l’espressione del volto estremamente seria. « Non mi piace per niente. »

 

Sirius, che non si aspettava minimamente una risposta del genere, non ebbe nulla da ribattere, ed era la prima volta dopo tanto tempo. Si limitò a mascherare in malo modo la sorpresa con un’espressione imbronciata. E Regulus dovette accorgersi di aver aperto una piccola breccia nel muro di orgoglio e sdegno messo su da suo fratello, perché, contro ogni precauzione, gli si avvicinò e si sedette con lui sul materasso.

 

« Ti fa ancora male? » chiese inaspettatamente, gli occhi che indugiavano sul labbro gonfio e spaccato di Sirius.

 

Sirius sbuffò; era tipico di suo fratello fare domande imbarazzanti come se nulla fosse. « No » mentì. Si lasciò cadere all’indietro e la sua testa rimbalzò sul materasso. Regulus fece lo stesso. Restarono qualche minuto così, senza dire niente. Alla fine Sirius iniziò a sentirsi un po’ idiota, e avrebbe sicuramente detto a suo fratello di andarsene, se prima quello non se ne fosse uscito con un: « Ti ricordi quando facevamo finta di essere su una scialuppa durante una tempesta? »

 

« Mh? » fu la distratta risposta.

 

« Non ti ricordi? » chiese stupito Regulus. « Quando non riuscivo a dormire o facevo un brutto sogno, venivo in camera tua e facevamo un gioco. Il letto era una scialuppa e— »

 

Sirius alzò un sopracciglio, Regulus arrossì lievemente. « Lascia perdere » si affrettò a dire.

 

In realtà Sirius si ricordava benissimo. Erano passati solo pochi anni da quando facevano quello stupido gioco, eppure sembrava essere trascorsa un’eternità. A quell’epoca non ci si aspettava da lui il degno comportamento di un rampollo purosangue. A quell’epoca se litigava con Regulus era solo perché si comportava come un fratello maggiore rompiballe, o perché Regulus si comportava come un fratello minore rompiballe. A quell’epoca poteva sentirsi al sicuro semplicemente fingendo di combattere il mostro marino sotto al letto.

Sirius si stupì quando si rese conto di non essere più arrabbiato. Ora si sentiva malinconico, però.

 

« Sirius? »

 

« Che c’è? »

 

« Fra qualche settimana te ne vai ad Hogwarts… »

 

Era una frase soffiata che tentava di mascherarsi, di essere disinvolta. Sirius osservò il fratello e seppe con certezza di non essere il solo a sentirsi malinconico. Ma lasciò comunque che il silenzio gli rimbombasse nelle orecchie.

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Wow, è da quasi cinque anni (!) che non pubblico niente su EFP. Ma qualche tempo fa ho ritrovato il bisogno di scrivere, e quindi eccomi qua, sono tornata a tartassare i personaggi della Rowling. Diciamo che, tra l’apertura di Pottermore, l’uscita de Il Seggio Vacante e l’atmosfera natalizia, mi è venuta la nostalgia e ho pensato di scrivere questa fiction incentrata sui miei personaggi preferiti, ossia quelli della Old Generation.

Il titolo Granelli di sabbia vuole alludere al modo in cui ho pensato la fiction. La storia non è infatti lineare, ma vuole descrivere singoli momenti (partendo sempre dalle informazioni che la Rowling ci ha dato sui Malandrini e sugli altri personaggi).

Ho scritto già diversi capitoli… quindi penso che riuscirò ad aggiornare puntualmente una volta alla settimana (o almeno questa è l’intenzione ^//^). 

Spero che la storia vi piaccia e che mi lasciate il vostro parere! *-*

 

Claire

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Bauli, mantelli, maglioni e biscotti ***


Granelli di sabbia

 

 

 

 

 

 

Grimmauld Place, 31 agosto 1971

 

Le pigre giornate di fine estate si erano susseguite più lentamente del solito quell’anno, e Sirius si annoiava a morte. Si annoiava così tanto che, quel giorno, l’unico intrattenimento che aveva trovato era guardare l’elfo domestico preparargli il baule per la scuola.

 

« Detesto quel mantello » borbottò alzandosi dalla poltrona su cui era mollemente seduto. « È inutile portarlo… »

 

« Kreacher prepara il baule secondo le disposizioni della Padrona, Signorino Sirius » rispose quello con voce untuosa.

 

Sirius sbuffò e avanzò verso l’elfo, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni.

 

« Ma ha i colori di Serpeverde… Non sanno neanche in che casa finirò— »

 

« Finirai nella Casa di Serpeverde, è il minimo che ci si possa aspettare. Tutti i Black sono stati lì. »

 

Sirius sussultò lievemente; a parlare era stato suo padre, apparso improvvisamente sull’uscio della porta.

 

« E se io invece— »

 

« Non dire sciocchezze » tagliò corto Orion, « non c’è nulla di cui preoccuparsi. »

 

Sirius avrebbe voluto dire che non era affatto preoccupato del fatto di non finire in Serpeverde, piuttosto era infastidito all’idea di finirci, ma si trattenne. Orion avanzò verso il figlio.

 

« Sirius, questi ultimi mesi sono stati piuttosto turbolenti » iniziò. « Adesso però cambia tutto. Domani partirai per Hogwarts e io mi auguro che tu possa mutare il tuo atteggiamento. »

 

C’era una sottile, sottilissima vena di dolcezza nel tono fermo e severo del padre, e Sirius se ne stupì.

 

« Vorrei solo che tu iniziassi a comportarti bene, intesi? »

 

Sirius sostenne per un secondo gli occhi del padre, poi distolse lo sguardo e annuì mestamente.

 

« Bene » concluse Orion piano. Intanto la sua mano andava a scompigliare in maniera un po’ burbera i capelli corvini del figlio.

 

 

 

 

 

 

 

Casa Potter, 31 agosto 1971

 

« Mamma! » urlò James dalla sua camera da letto, « Dov’è il maglione blu?! »

 

« Al solito posto, » urlò di rimando la madre dal piano di sotto, « nell’ultimo cassetto dell’armadio! »

 

« Oh, giusto… » mormorò il ragazzino dai capelli esageratamente aggrovigliati. Aprì il cassetto, prese il maglione, e lo buttò senza troppe cerimonie nel baule, assieme al manuale di “Storia della magia” e al telescopio pieghevole in ottone. Per James quello di ordine era un concetto estraneo e misterioso.

 

« Bene, ho finito! » concluse soddisfatto.

 

« Santo cielo, Jamie! Che cosa hai combinato?! »

 

James si voltò e si accorse che la madre, appena entrata nella stanza, guardava in direzione del baule con la fronte corrugata e con la mano alla bocca.

 

« Ho fatto i bagagli, no?! » rispose innocentemente quello.

 

« Hai buttato qualsiasi cosa ti capitasse a tiro dentro il baule, vorrai dire… » disse la madre trattenendo un sorriso. Agitò la bacchetta e in un attimo ogni cosa, all’interno del baule, prese una disposizione sensata.

 

« Hai appena distrutto il lavoro di ore— » tentò di dire James, prima che la madre lo stringesse in un abbraccio soffocante.

 

« Oooooh, il mio piccolino va ad Hogwarts! »

 

 

 

 

 

 

 

Casa Lupin, 31 agosto 1971

 

Remus, nonostante i suoi undici anni, aveva un buon metodo quasi per ogni cosa. Quindi i suoi genitori non si stupirono più di tanto quando, dopo essere entrati nella camera da letto del figlio, lo videro intento ad appallottolare i calzini e a riporli con cura all’interno del vecchio baule di famiglia. Aveva persino separato i bianchi dai colorati.

 

Sua madre gli appoggiò una mano sulla spalla. « Tesoro, » disse dolcemente, « avresti dovuto lasciare fare a me, avrei fatto tutto con un colpo di bacchetta. »

 

« Be’, tu ti confondi sempre coi miei maglioni preferiti, » disse Remus con un sorrisino triste. « E poi volevo tenermi occupato… »

 

I genitori si scambiarono un’occhiata nervosa, poi il padre disse: « Lo sai che non devi preoccuparti… il Preside ci ha garantito la massima sicurezza… »

 

« E se qualcuno dovesse scoprire qualcosa? Se io riuscissi comunque a ferire qualcuno? » chiese Remus diventando pallido. Le preoccupazioni che si era tenuto dentro per tutta l’estate si erano finalmente fatte largo, proprio adesso che ogni cosa era stata decisa e che tutto era pronto per la partenza. « Secondo me andare ad Hogwarts non è una buona idea. E poi sono sicuro che non mi farei nessun amico— »

 

« Non dire sciocchezze » lo interruppe il padre, gli occhi fissi sul figlio. « Remus Lupin, tu andrai a quella scuola e ti farai un sacco di amici. Ti è stato concesso nonostante tutto di ricevere un’istruzione a Hogwarts; è un’opportunità preziosa che non deve essere buttata via. »

 

Quelle parole non intendevano essere dure, volevano anzi essere di incoraggiamento, ma finirono per far sentire Remus ancora peggio. Era come se nessuno volesse capire il suo punto di vista. Era come se i suoi genitori cercassero ad ogni costo di procurargli una normalità che non sarebbe mai stata possibile. Remus era terrorizzato; fino a quel momento era stato tenuto al sicuro, protetto all’interno delle mura domestiche, e adesso, ad un giorno dalla partenza, si sentiva come se stesse andando allo sbaraglio. Ma ciò che temeva di più era la solitudine.

 

« Ma voi sapete cosa sono! » cercò di dire mentre, contro ogni volontà, gli occhi gli si riempivano di lacrime. « E se io— »

 

Le parole furono sopraffatte dai singhiozzi. Remus odiava piangere, lo faceva sentire terribilmente stupido. Ma non riusciva comunque a far cessare quei maledetti singhiozzi, anzi, quelli diventavano più prepotenti ad ogni tentativo di zittirli. Sua madre lo cinse fra le braccia e, alla fine, Remus si arrese.

 

 

 

 

 

 

 

Casa Pettigrew, 31 agosto 1971

 

Peter si chiedeva per quale motivo sua madre fosse sempre così agitata quando si trattava di fare i bagagli. La vedeva andare da una parte all’altra della casa come un furetto impazzito, sempre con diverse pile di qualcosa fra le braccia. Era comunque piacevole starsene comodamente seduti in poltrona mentre lei dava di matto. Le madri che danno di matto non fanno caso ai figli che perdono briciole biscottose sul tappeto del soggiorno.

 

Questa sì che è vita, pensò ficcandosi in bocca un altro biscotto.

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Il prossimo capitolo sarà intitolato Iniziare nel peggiore dei modi.

Che dire, in pochissimi hanno letto il primo capitolo di questa fan fiction! D: Spero che andando avanti questa raccolta riesca a farsi notare un pochino di più *//*.

Se vi va lasciate un commentino, sarebbe veramente molto, molto gradito *-*.

Un bacio,

Claire

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Iniziare nel peggiore dei modi ***


Granelli di sabbia

 

 

 

 

 

Hogwarts, primo settembre 1971

 

Sirius era sbalordito come poche volte lo era stato fino a quel momento. In molti gli avevano raccontato le straordinarie meraviglie di Hogwarts, ma non pensava che fossero davvero così… meravigliose. Persino uno come lui, abituato al lusso e allo sfarzo, era rimasto a bocca aperta una volta intravisto il castello dalle acque del lago, in un crescendo di stupore fino all’ingresso in Sala Grande. Non riusciva a staccare gli occhi dal soffitto nonostante il collo teso cominciasse a fargli male; il cielo stellato sembrava così dannatamente reale che per un attimo Sirius aveva pensato di trovarsi veramente all’aperto.

Quando poi fece la sua comparsa davanti ai nuovi studenti una strega dall’aria severa con un vecchio cappello logoro tra le mani, Sirius sapeva già che si trattava della Professoressa McGonagall e del Cappello Parlante, quindi fece a meno di prestare attenzione ai discorsi sullo smistamento e iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca di un ragazzino con cui quella mattina aveva fatto amicizia, sull’Espresso per Hogwarts; aveva dei capelli improponibili e parlava decisamente troppo, ma Sirius lo aveva trovato comunque simpatico. Durante il tragitto, questo James gli aveva praticamente raccontato tutta la sua vita, e Sirius aveva stranamente trovato rincuorante tutto quel ciarlare incessante ed egocentrico, perché non aveva affatto voglia di parlare di sé. Solo che, una volta giunti a destinazione e scesi dal treno, lo aveva perso di vista tra la folla.

Dopo qualche secondo di ricerca finalmente lo intercettò. Cercò di raggiungerlo facendosi strada a fatica nell’ingorgo di matricole, e gli era veramente vicino quando qualcuno gridò:

 

« Black, Sirius! »

 

Sirius si voltò di scatto, il braccio, che stava per richiamare l’attenzione di James, ancora sospeso a mezz’aria.

 

Oh, cavolo. È già il mio turno, pensò. Un po’ gli dispiaceva; sarebbe stato smistato a Serpeverde e il ragazzino spettinato, che sul treno non aveva fatto altro che ripetergli di essere praticamente certo di finire a Grifondoro, non gli avrebbe sicuramente più rivolto la parola…

Sirius sbuffò e si avvicinò svogliatamente allo sgabello posto al centro della sala.

 

Bene, un altro giovane Black, disse una vocina dentro di lui quando il cappello gli venne posizionato sulla testa.

 

Sirius sapeva che la voce proveniva dal Cappello Parlante, quindi non si stupì.

 

Ma c’è qualcosa di diverso in te; un animo indocile e sfrontato come il tuo può stare bene solo in… GRIFONDORO!

 

Gli occhi di Sirius si spalancarono per la sorpresa, la bocca si dischiuse in una piccola smorfia sghemba.

Non ci poteva credere. Certo, sul treno aveva detto qualcosa come forse andrò contro la tradizione, ma stava scherzando. O meglio, avrebbe voluto andare contro la tradizione, ma non credeva che sarebbe successo veramente.

Aveva la testa così piena di pensieri che neanche si rese conto di aver raggiunto, più come un automa che come un essere umano, la tavolata di Grifondoro. Stringeva mani e riceveva pacche sulle spalle, ma la sua mente era altrove. E andò avanti così, fino a cena conclusa, sentendosi come in una bolla di sapone, irrealisticamente allegro e allo stesso tempo teso, tesissimo all’idea di quello che avrebbero detto i suoi.

 

*

 

I piatti erano vuoti già da un pezzo quando agli studenti del primo anno fu richiesto di seguire i Prefetti per raggiungere i rispettivi dormitori. Sirius avanzava sovrappensiero con la folla, le mani immerse nelle tasche anteriori dei pantaloni, quando una mano gli si posò ben salda sulla spalla, facendolo voltare. A fissarlo con un’espressione rabbuiata c’era sua cugina Narcissa.

 

« Che cosa vuoi?! » sbottò subito lui, sulla difensiva.

 

« Cosa voglio?! » iniziò quella, inviperita, « Grifondoro, Sirius?! Fra tutte le Case, proprio Grifondoro?! La Casa degli idioti senza cervello?! Prima mia sorella dà di matto e fugge col primo Sanguesporco che le capita, e adesso questo… Manca davvero poco e saremo lo zimbello di tutti— »

 

Sirius non le permise di concludere; fece dietrofront e si allontanò. Non sono costretto a sentire queste cretinate. Non qui, pensò arrabbiato.

 

« Sappi che se non mandi tu un gufo alla zia, lo farò io! » strillò quella alle spalle del cugino, indispettita a morte per quella mancanza di considerazione.

 

*

 

L’allegro intermezzo familiare lo aveva fatto rimanere indietro, e così Sirius aveva perso di vista sia i Prefetti che i suoi compagni di dormitorio. Quando raggiunse la Torre di Grifondoro ― e la raggiunse dopo un bel po’, solo grazie all’aiuto di un ragazzo più grande ― la Sala Comune era quasi vuota e la maggior parte della gente era a disfare i bagagli. Si avvicinò di corsa alle scale a chiocciola e tentò di risalire i gradini a due a due, ma, sorprendentemente, si ritrovò disteso per terra.

Un ragazzo seduto in una delle poltrone vicine al camino gli rise candidamente in faccia. A giudicare dall’aspetto, doveva essere dell’ultimo anno.

 

« Ragazzino, quelle portano ai dormitori femminili » disse divertito indicando le scale ai cui piedi si trovava Sirius. « Tu devi andare da quella parte… »

 

Sirius si alzò in piedi borbottando qualcosa e, maledicendo mentalmente sua cugina, salì di corsa l’altra gradinata.

 

*

 

Non si poteva dire che Sirius non fosse di cattivo umore quando spalancò la porta del suo dormitorio. In realtà ne aveva spalancate molte altre, ma quella era la prima camera in cui si imbatteva con un letto rimasto libero, quindi Sirius ci si ficcò dentro senza troppe cerimonie.

 

« Ehi, ciao! » disse allegramente qualcuno alla sua sinistra.

 

Sirius si voltò di scatto in direzione di chi aveva parlato, l’espressione del volto che sfoggiava l’esclusivissimo broncio dei Black. Il ragazzo che lo aveva salutato, lo riconobbe immediatamente, era lo Spettinato del treno. Dopo lo smistamento e la successiva serie di disavventure, Sirius lo aveva completamente messo nel dimenticatoio.

 

« Oh, sei tu… » borbottò Sirius.

 

James, che non si aspettava tutta quella freddezza, lo guardò prima sorpreso, poi lievemente accigliato. Sirius se ne accorse e distolse lo sguardo, troppo nervoso per dire qualsiasi cosa che potesse sembrare abbastanza amichevole da risolvere la situazione.

Calò il silenzio e Sirius, che detestava sentirsi a disagio, si guardò intorno con aria sfacciata, concentrando l’attenzione sugli altri due ragazzini presenti nella stanza. Il primo, che lo fissava pacatamente e che aveva in mano un paio di calzini appallottolati, sembrava sul punto di cadere malato; il viso sottile era così pallido che la lunga cicatrice che gli spaccava a metà il sopracciglio destro risaltava sulla pelle come un lampione nel cielo notturno. La trasandatezza della sua divisa, logora e rattoppata in più punti, appariva così vistosa che Sirius dovette, inaspettatamente, trattenere a forza una smorfia di disappunto seconda solo a quelle di sua madre. Il secondo ragazzino, un tipo dall’aspetto grassoccio e insignificante, lo scrutava invece nervosamente, mordendosi le unghie con una tale violenza che Sirius si chiese come facesse ad avere ancora cinque dita per mano.

Il silenzio adesso si era fatto davvero troppo pesante, e Sirius, consapevole del fatto di apparire come un autentico piccolo bastardo arrogante, fece toccare al suo malumore picchi vertiginosi.

Non potevo cominciare peggio di così, pensò rabbiosamente mentre si avvicinava al letto  rimasto libero e iniziava a frugare nel suo baule in cerca del pigiama. Con la coda dell’occhio vide James fare spallucce e lanciare agli altri due occhiate eloquenti.

 

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Capitolo 4
*** Preludio all'amicizia ***


Granelli di sabbia

 

 

 

 

 

 

 

 

La loro amicizia non era sbocciata immediatamente, ma aveva avuto bisogno di tempo per mostrarsi in tutte le sue potenzialità. Certo, James e Sirius si erano conosciuti sull’Espresso per Hogwarts, ma il primo incontro non aveva sancito da subito il solido rapporto che tra i due si sarebbe instaurato solo parecchie settimane dopo.

Sirius inizialmente era intrattabile; il suo atteggiamento appariva così distaccato e altezzoso che James gli aveva allegramente affibbiato diversi appellativi, tra cui quello di Piccolo Lord. In realtà, quella maschera di disprezzo verso tutto e tutti era solo il risultato della rabbia repressa che Sirius covava costantemente in petto. I suoi genitori avevano saputo dello smistamento in Grifondoro immediatamente ― naturalmente la cara Narcissa non aveva potuto fare a meno di immischiarsi nei fatti altrui ― e le conseguenze non erano state piacevoli; Sirius ricevette una lettera lunghissima ― addirittura in alcuni punti grammaticalmente scorretta, tanto grande doveva essere stato lo shock ― in cui sua madre definiva in ogni sfumatura quanto grande fosse stata la delusione in famiglia. La reazione di Sirius fu inizialmente uno stoico tentativo di imperturbabilità… che fallì. E il fallimento aggiunse un’altra buona dose di irritazione al tutto. Quando poi, qualche giorno dopo l’arrivo ad Hogwarts, la stizza di attutì, Sirius si rese conto di essere rimasto isolato. Ma non era nel suo stile elemosinare alcunché, men che meno amicizia, quindi si autoconvinse di stare bene come stava; non aveva bisogno di nessuno, lui.

James, dal canto suo, aveva legato subito con il ragazzino insipido, Peter; le manie di protagonismo del primo si combinavano perfettamente con i modi ossequiosi e servili dell’altro. Peter cadeva dalle labbra di James, e James spesso se ne approfittava spingendolo ad andargli dietro nei suoi loschi piani da combina guai. Sirius non poteva fare a meno di provare un certo fastidio misto ad invidia quando vedeva quei due tutti intenti a confabulare, o quando si svegliava nel cuore della notte e constatava di essere rimasto in dormitorio da solo con Remus.

Già, Remus. All’inizio per Sirius quel ragazzo era un mistero. Estremamente riservato, parlava solo se interpellato e, in ogni caso, le sue risposte erano sempre vaghe ed abbozzate. Per carità, Sirius non lo trovava irritante quanto Peter, ma il suo atteggiamento da perfettino ― se ne stava sempre in disparte, con la testa immersa in qualche libro del cavolo più grosso di lui ― gli dava comunque leggermente sui nervi. Ci sarebbe voluto ancora parecchio prima che Remus si decidesse a abbassare un po’ le difese, e, soprattutto, prima che permettesse a James e Sirius di buttarle giù definitivamente.

Dal versante opposto, neanche Sirius, come lui stesso immaginava, aveva fatto un’ottima impressione. James lo trovava parecchio scontroso, ed era questo il motivo principale per cui si divertiva a punzecchiarlo. Battutine da niente, certo, ma una volta James, dopo che Sirius si era sentito chiamare Il Signorino, aveva rischiato seriamente di finire con il naso rotto. La rissa era stata bloccata sul nascere dal fortuito passaggio di un’insegnate, ma tutta quella rabbia scoppiata all’improvviso, quella scintilla negli occhi di Sirius, avevano fatto capire a James l’importanza del detto non svegliare il can che dorme. Remus, invece, trovava sia James che Sirius talmente lontani dal suo modo di essere da sentirsi a disagio praticamente sempre, quando si trovavano nella stessa stanza. James era un burlone, spesso spavaldo, e nonostante lo invitasse sempre ad unirsi a lui e a Peter, Remus gli opponeva resistenza con decisione. Fortificava le sue insicurezze autoconvincendosi che, se si fosse azzardato a dire un « Va bene, resto con voi », quelli si sarebbero subito resi conto di quanto fosse poco simpatico, poco interessante, poco tutto, e lo avrebbero respinto. Ma, tra i suoi compagni di dormitorio, quello che lo metteva più in soggezione era Sirius. A volte lo sorprendeva a fissarlo con insistenza, le sopracciglia inarcate e gli occhi grigi che sembrava volessero leggere tutti i suoi pensieri. Se non fosse stato Remus Lupin, gli avrebbe probabilmente chiesto che cosa avesse da guardare. Ma lui era Remus Lupin; non mandava a quel paese, si limitava a constatare le cose. E ciò che aveva constatato era che Sirius Black aveva quell’aria. No, non l’aria del ragazzino viziato ― quello forse lo si poteva dire di James ―, ma comunque l’aria di chi aveva vissuto negli agi e, nonostante Sirius sembrasse fare di tutto per rinnegarla, l’aria di chi aveva ricevuto un’educazione raffinata, quasi d’élite; il suo portamento, il suo modo di esprimersi e, ovviamente, il pregio dei suoi effetti personali non mentivano. Insomma, Sirius era tutto ciò che Remus non era mai stato e tutto ciò che non avrebbe mai potuto essere. Il disagio del ragazzo dagli abiti rattoppati era più che giustificato.

E infine c’era Pettigrew. Non era solo soggezione quella che Peter provava nei confronti di Sirius, era vero e proprio timore. Quando James non c’era, il piccoletto non si azzardava nemmeno a guardarlo, figurarsi rivolgergli la parola. Persino diversi anni dopo, al culmine dell’amicizia fra i quattro, Sirius si sarebbe chiesto come aveva fatto a legare con Peter. La risposta l’avrebbe trovata più in là, quando ormai sapeva che non avrebbe più rivisto il suo migliore amico; era stato proprio lui, James, il collante fra loro.

 

***

 

Sirius fu scosso da un brivido e si svegliò in maniera brusca. Non era la prima volta, da quando era arrivato ad Hogwarts, che faceva quell’incubo. Era un sogno dai contorni indefiniti, ma che rimandava in maniera sinistra e deformata a degli ambienti a lui familiari. Sirius non ricordava mai bene, una volta sveglio, la trama dei suoi incubi, ma ne rimaneva turbato abbastanza da non riuscire a chiudere occhio per il resto della notte. Quindi si mise a sedere e si scostò i capelli dalla fronte calda e bagnata, poi si guardò attorno.

Potter non c’è, pensò senza il minimo stupore. Ormai era abituato alle sue assenze notturne.

Intanto la luce della luna si faceva largo con prepotenza dalla finestra del dormitorio, focalizzandosi sul fagotto ronfante di Peter. Sirius lo osservò per un po’, non riuscendo a trattenersi dal pensare a quanto quel Pettigrew fosse un disastro anche mentre dormiva. Quando poi gli vide un filo luccicante colargli giù per le labbra, decise che avrebbe fatto meglio ad alzarsi e a fare due passi.

 

*

 

Era l’inizio di novembre, e faceva freddo. Sirius sentiva il gelo che gli si insinuava nella pelle, ma, siccome non aveva proprio voglia di tornare al dormitorio, continuava lo stesso a gironzolare per i corridoi del castello, senza meta. In fondo il freddo gli schiariva un po’ le idee.

Era sorprendente come il castello sembrasse diverso di notte. Così, buio e deserto, aveva quasi un aspetto spettrale. Ma Sirius non aveva affatto paura. Al contrario, quell’atmosfera surreale gli piaceva; il silenzio riusciva ad annullare facilmente tutti i suoi pensieri, riusciva a farlo sentire leggero.

L’idillio durò poco; Sirius sentì qualcosa strusciare alla sua destra, e si voltò di scatto. Con un moto di fastidio vide Mrs. Purr, la gatta del Custode, sbucare all’improvviso da dietro una parete. Lo fissava malignamente con i suoi occhietti gialli, pronta a scattare ad ogni suo passo falso.

« C’è qualcuno?! » urlò Gazza, la cui voce non era molto lontana. La gatta guardò Sirius, Sirius guardò la gatta. Cazzo, pensò. Poi, mentre alle sue spalle rimbombava uno stridente miagolio, iniziò a correre.

 

*

 

Correre con le pantofole ai piedi era scomodo, e comunque lo faceva sentire un po’ idiota. Ma, con Gazza alle costole, Sirius non poteva di certo fermarsi. Anche se la milza cominciava a dargli qualche problema.

 

« Ehi! » esclamò qualcuno all’improvviso.

 

Sirius, preso alla sprovvista, quasi inciampò prima di fermarsi. Aveva sentito qualcuno parlare, ma, a parte qualche vecchio ritratto addormentato, non c’era nessuno lì.

 

« Ah, eccoti finalmente! » gracchiò il vecchio Custode da lontano. « Passerai dei guai, oh, se li passerai! »

 

Sirius si voltò indietro e vide Gazza puntare verso di lui. Dimenticato il motivo per cui si era fermato, si sarebbe rimesso a correre se qualcuno non lo avesse afferrato con forza per il polso. Fu un attimo; prima vide la testa di James galleggiare a mezz’aria, poi si ritrovò con lui sotto una specie di telo, o qualcosa del genere.

 

« Shhh! » gli intimò James tenendogli una mano premuta sulla bocca e facendogli l’occhiolino.

 

Sirius lo fissò con gli occhi sgranati. Chi pensava di fregare con uno stupido telo in testa? Ma, sorprendentemente, Gazza passò loro davanti senza vederli. Infine, quando finalmente si allontanò ― non prima di aver imprecato per essersi lasciato sfuggire l’ennesimo fuorilegge ―, James lasciò andare Sirius.

 

« Come cavolo…?! » tentò di dire Sirius, il respiro ancora ansimante per la corsa.

 

« Mantello dell’invisibilità » rispose l’altro con un’alzata di spalle.

 

Sirius lo guardò a bocca aperta. « Cosa?! Ma sono rarissimi… Chi te l’ha dato?! »

 

« È di mio padre, » disse semplicemente James, « me l’ha dato lui. »

 

Sirius era impressionato; persino uno come lui, la cui casa pullulava di ricchezze di ogni genere, non aveva mai visto un autentico mantello dell’invisibilità. Qualcuno, suo zio Alphard forse, gli aveva detto quanto fossero difficili da trovare e, soprattutto, costosi. E adesso Potter gli veniva a dire, come se nulla fosse, che il mantello glielo aveva ceduto suo padre! Sirius immaginò Orion nell’atto di donargli qualcosa di così prezioso, e, colta l’assurdità del pensiero, scoppiò in una sonora risata. Guarda questo piccolo stronzetto viziato!, pensò divertito.

 

« Che ti prende? » chiese James che, prima lusingato dallo stupore di Sirius, si era poi sentito smontare da tutta quell’ilarità.

 

« Niente » rispose spiccio l’altro, le labbra ancora increspate in un sorriso. « Quindi è così che te ne vai in giro… »

 

« Be’, sì… Stanotte mi era venuta fame, così sono andato nelle cucine a fare uno spuntino. Ormai gli elfi domestici mi conoscono » spiegò James. « Se vuoi la prossima volta ti ci porto… »

 

Ormai i due avevano quasi raggiunto la loro Sala Comune. James continuava a parlare e Sirius si sentiva bene, proprio come si era sentito quel primo giorno, sull’Espresso per Hogwarts. Quando poi si trovarono davanti al buco del ritratto, Sirius si bloccò.

 

« Senti― » provò a dire. Non era bravo in questo genere di cose.

 

Il ragazzo con gli occhiali lo guardò sorpreso, in attesa.

 

« Grazie… per prima, intendo… »

 

James sorrise. Quel sorriso Sirius non l’avrebbe dimenticato mai.

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Ringrazio veramente tanto Dani85 e Ma_AiLing per avermi lasciato una recensione! *-* Spero che la mia raccolta continui a piacervi!

Claire

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Capitolo 5
*** Neve, cuscinate, un Natale diverso dal solito ***


Granelli di sabbia

 

 

 

 

 

 

Grimmauld Place, dicembre 1971

 

Le vacanze di Natale solitamente venivano attese con trepidazione dagli studenti di Hogwarts. Solitamente, perché a Sirius la prospettiva non piaceva affatto. Aveva passato gli ultimi giorni di lezione pregustando l’amarezza del suo ritorno a Grimmauld Place; per usare un eufemismo, non era proprio come se non vedesse l’ora di rivedere la sua adorabile mammina.

Dopo la prima, furente lettera, Walburga non si era più degnata di scrivere al figlio. Aveva  lasciato al marito l’ingrato compito; Sirius aveva infatti ricevuto alcune lettere dal padre, tutte dai toni cordiali e distaccati, come se Orion avesse voluto eliminare dalla memoria un increscioso avvenimento. Sirius avrebbe di gran lunga preferito non ricevere alcun gufo.

Quando però il ragazzo fu di ritorno a Grimmauld Place, non avvenne niente di ciò che si era aspettato. Niente urla, niente grida, niente scenate isteriche; la madre lo accolse semplicemente con un’occhiata severa, il padre addirittura gli rivolse un mezzo sorriso. Il primo giorno a casa, Walburga quasi non gli rivolse la parola ― a parte per un brusco « Siediti composto! » intimatogli durante il pranzo ―, poi però, lentamente, le cose si normalizzarono. Erano sempre duri con lui, ma niente di diverso da ciò a cui era abituato. Si poteva considerare fortunato.

 

*

 

La grande finestra della camera da letto incorniciava il bellissimo spettacolo della neve al chiaro di luna. Sirius la contemplava dal calduccio del suo letto, pensando che, in fondo, dicembre non era poi così male, come mese. La neve gli piaceva; quell’incessante danzare di fiocchi immacolati gli infondeva dentro una gioia infantile, un piccolo moto spontaneo che difficilmente sembrava compatibile con il suo carattere, ma che continuava a verificarsi, puntualmente, ad ogni nevicata. Forse aveva a che fare con dei giochi che faceva da piccolo, non lo sapeva.

Le giunture della porta cigolarono e qualcuno attraversò velocemente la stanza, scostò le coperte del letto a baldacchino di Sirius e si accomodò senza troppe cerimonie sul materasso.

 

« Cos’è questa novità? » chiese Sirius quando ebbe il viso del fratello a pochi centimetri dal suo.

 

« È la vigilia di Natale » sbadigliò Regulus strusciando le guance contro il cuscino, gli occhi già tatticamente chiusi.

 

« Che risposta è?! »

 

Sirius era sorpreso; erano secoli che Regulus non sentiva il bisogno di zampettare a piedi nudi nel suo letto. Avrebbe potuto cacciarlo, o, se necessario, afferrarlo per le caviglie e trascinarlo via con la forza, ma, inspiegabilmente, a Sirius non dispiaceva quella presenza estranea. Pensò fosse colpa della neve, che lo rendeva così maledettamente nostalgico e corruttibile. Una mammoletta, insomma. Ma andava bene così, in fondo aveva qualcosa di piacevole quel momento, era una specie di rievocazione; nella sua memoria le notti invernali erano indissolubilmente legate all’immagine del suo fratellino che, piagnucolante, gli chiedeva di fargli spazio sotto le coperte. Che l’atmosfera natalizia avesse suscitato in Regulus le stesse sensazioni?

 

« Basta che non mi tocchi con quei cavolo di piedi gelidi » concesse alla fine. « E guardati bene dal fartela addosso! »

 

« Avevo cinque anni, ed è successo solo una volta! » borbottò Regulus indignato, ma con gli occhi ancora chiusi e la bocca impastata dal sonno.

 

Sirius sogghignò tra le lenzuola. Poi, dominati entrambi da quel particolare torpore, si addormentarono.

 

*

 

La mattina di Natale Sirius fu svegliato da una cuscinata in piena faccia. E siccome tardava ad aprire gli occhi gliene arrivò un’altra, seguita da una terza. Qualcuno ridacchiava.

 

« La vuoi piantare— » tentò di dire Sirius, prima che la quarta cuscinata lo colpisse a tradimento sulle labbra.

 

Quel mostriciattolo di Regulus era sempre esasperante il giorno di Natale, tutto allegria e saltelli fuori luogo. E, nonostante Sirius tentasse di resistergli, era estremamente contagioso.

 

« Dai, alzati! Regali regali regali! »

 

Sirius sbuffò e si girò sull’altro lato. Regulus lo fissò imbronciato, poi fece un sorrisetto da peste e disse: « Oh, giusto. Per i bambini cattivi c’è soltanto carbone la mattina di Natale. »

 

Sirius aprì un occhio, punto sul vivo. Improvvisamente si voltò, per poi buttarsi di peso su Regulus che, preso alla sprovvista, aveva ancora il cuscino fra le mani.

 

« Adesso te la faccio vedere! » urlò con un tono che voleva sembrare minaccioso.

 

Era da tantissimo tempo che non si azzuffavano. Be’, non si stavano proprio azzuffando, visto che entrambi ridevano come idioti. E comunque, anche da piccoli, non si erano mai veramente picchiati; Sirius non si era mai azzardato, anche se a volte avrebbe voluto, ad alzare le mani sul fratello. Prima di tutto perché aveva una vaga idea di come avrebbero reagito i loro genitori, in secondo luogo perché Regulus era, nonostante li separasse solo un anno di età, decisamente mingherlino rispetto a lui, e l’idea di colpirlo gli era sempre sembrata quantomeno sleale. Ovviamente la cortesia non gli veniva ricambiata; aveva perso il conto dei morsi ricevuti da quel monello impunito ― « È più piccolo di te! », era il ritornello della madre ―.

 

« Cos’è che c’è per me sotto l’albero?! » chiese Sirius, le dita che cominciavano a solleticare Regulus in punti strategici.

 

« Carb―one » cercò di dire l’altro tra le risate. Tentò di liberarsi dalla stretta del fratello con un calcio, ma dal baraonda che ne seguì ottenne solo di finire a pancia in giù sul materasso. Sirius, sempre attento a non esagerare, gli teneva le braccia ferme dietro la schiena.

 

« Bene, bene, bene » bisbigliò avvicinandosi all’orecchio di Regulus. Si sentiva come un aguzzino. « Sei mio prigioniero. »

 

Regulus fece per divincolarsi, ma la ridarella gli rendeva impossibile ogni sforzo.

 

« Lasciami! »

 

« Oh, non così presto. Ti consiglio di iniziare ad invocare il mio perdono… »

 

« Altrimenti? »

 

Sirius gli diede una manata sul sedere. « Altrimenti ti prendo a sculacciate! »

 

« Sì, certo…! »

 

Regulus continuava a ridere. Sirius sorrise alla propria mancanza di credibilità e si mise a cavalcioni sulla schiena del fratello. A volte pensava che le loro piccole lotte fossero solo un pretesto per trovare un punto di contatto, fisico se non altro. L’affetto che provavano l’uno per l’altro c’era, anche se a volte era rarefatto, anche se a volte veniva ostacolato.

 

« Sei proprio sicuro di voler rischiare?! »

 

Ma, all’improvviso, la porta si aprì e ne comparve il brutto muso verdognolo dell’elfo domestico. Sirius lo detestava; sempre a ficcare il naso negli affari altrui, era la spia che riferiva alla madre tutte le sue malefatte e anche l’origine del suo imperituro odio verso gli impiccioni.

 

« Kreacher ha sentito dei rumori ed è venuto a controllare! » disse quello in tono allarmato, gli occhi sferici puntati sui due fratelli. « E ha fatto bene! Il Signorino Sirius sta maltrattando il Signorino Regulus! Oh, quando la Padrona lo saprà, il Signorino Sirius se ne dovrà pentire…! »

 

Sirius lo avrebbe mandato adeguatamente a quel paese, se Regulus, sciolta la sua presa, non si fosse affrettato a dire: « Stiamo solo giocando! Non mi sta facendo male veramente! »

 

Kreacher parve subito rasserenato. Guai a toccargli il suo Signorino Regulus.

 

« Allora Kreacher non dirà niente. »

 

« Grazie, Kreacher. »

 

Kreacher fece un’espressione compiaciuta, poi, dopo aver lanciato a Sirius un’occhiata torva, si levò dai piedi. Ma la sua fugace apparizione era bastata a guastare l’ilarità del momento; Sirius, perso ogni intento bellicoso, rotolò via dalla schiena del fratello e si fece cadere in maniera un po’ sgangherata sul materasso. Non ce l’aveva con Regulus ― anzi, gli era grato per avergli impedito di innescare una possibile bomba, visto che lui quando era accusato ingiustamente non si discolpava, semplicemente aggrediva ― ma quella costante differenza di trattamento, anche da parte dello stupido elfo domestico, lo snervava sempre di più.

 

« Regali? » tentò Regulus con un mezzo sorriso, l’espressione del volto che supplicava l’assenza, almeno per quel giorno, di ogni malumore.

 

Sirius si sforzò di sogghignare, raro tentativo di compiacerlo. Ci aveva messo un po’ ad accorgersene; Regulus non era più il moccioso impunito dai morsi facili, la peste che sghignazzava quando i loro genitori gli facevano l’ennesima lavata di capo o, magari, gliele suonavano. Il favoritismo ormai lo metteva solo a disagio.

 

« Però stai attento, potrei aggredirti da un momento all’altro » concluse Sirius con una risata forzata.

 

*

 

Contro ogni supposizione, la giornata di Natale non era stata poi così male. Non c’erano state discussioni e Sirius non aveva ricevuto carbone, eccezion fatta per quello di zucchero portatogli da suo zio Alphard, che lo aveva preso un po’ in giro ― « Carbone per il nostro Grifondoro! » ― prima di tirar fuori un pacco regalo ben confezionato. Zio Alphard era lo stravagante della famiglia, o almeno era considerato tale perché sempre di buon umore e con la battuta pronta. E anche perché Sirius, con grande stupore di tutti, era il suo nipote preferito ― « Il nostro piccolo ribelle! », gli diceva sempre in tono affettuoso ―. Nessuna meraviglia quindi se per Sirius avere avuto zio Alphard a casa era stato come prendere una boccata d’aria fresca, tanto da fargli dimenticare subito la fastidiosa intromissione di Kreacher.

Quando poi, alla fine, tutti gli ospiti se ne furono andati, Sirius e Regulus si trovarono da soli nel salotto principale, a sorseggiare cioccolata calda davanti ad un albero di Natale maestoso, dai colori argentei.

 

« Non è stato male oggi, mh? » chiese ad un certo punto Regulus, distratto.

 

Sirius fece un verso affermativo.

 

« Senti, Sirius… com’è Hogwarts? »

 

L’interpellato lo guardò; Regulus se ne stava accovacciato ai piedi del divano, sul tappeto, le mani che facevano lievemente roteare il denso liquido al cioccolato nella tazza. Le luci dell’albero gli si riflettevano sul viso pensieroso.

 

« È un bel posto » rispose sinteticamente Sirius. « Sarà un bel posto anche per un piccolo Serpeverde come te » continuò con un ghigno. Il suo tono voleva essere rassicurante, ma uscì infarinato di scherno.

 

« Che c’è di male ad essere un Serpeverde?! »

 

« Niente… »

 

Regulus si voltò verso Sirius, il quale, seduto mollemente sul divano, lo guardava con le sopracciglia inarcate. Il più piccolo dei Black avrebbe voluto rispondere che per lui sarebbe stato fantastico finire in Serpeverde, e che così avrebbe reso tutti felici in famiglia, ma si trattenne, perché, a differenza del fratello, lui sapeva che alcune cose era meglio non dirle.

 

« Uffa » si limitò a borbottare, il visino infantile aggrottato in uno dei suoi tipici bronci.

 

Sirius sbottò in una risata. « Dai, scherzavo… »

 

Questa volta fu Regulus ad inarcare le sopracciglia.

 

« Il fatto è molti Serpeverde sono, come dire… antipatici » tentò l’altro. « Ce n’è uno che proprio non sopporto, ha un naso enorme e non si lava mai— »

 

« Non possono essere tutti antipatici! Andromeda ti è sempre piaciuta, e lei era una Serpeverde! »

 

« Forse voleva fare contenti gli zii… »

 

Tacque per un istante, pensieroso. Sapeva che anche Regulus aveva la smania di rendere tutti contenti, tutti fieri di lui. Era forse una conseguenza dell’avere un disastro di fratello maggiore? Sirius sorrise mestamente tra sé, consapevole di aver centrato l’altrui punto di vista.  

 

« Senti, alla fine è solo una cavolo di Casa… »

 

« Però, se finisco in Serpeverde, poi saremmo in Case diverse… » biascicò timidamente Regulus, i lineamenti ancora induriti dal broncio.

 

Sirius non sapeva più cosa aspettarsi da suo fratello. D’accordo, l’aveva trovato un po’ appiccicoso da quando era tornato, e la notte precedente si era ficcato nel suo letto… ma questo? Possibile che quel rompiscatole avesse sentito la sua mancanza? Possibile che lo ammettesse così spudoratamente? E, soprattutto, possibile che adesso lui, Sirius, si sentisse intenerito? L’ordine naturale del cosmo aveva ricevuto uno scossone.

 

« Guarda che, anche se finisci in Serpeverde, mica ti tengono lontano dagli altri… » disse piano Sirius mentre, poggiata a terra la tazza, si sedeva accanto al fratello, sul tappeto. « Oppure potresti finire in Grifondoro… Te la immagini la faccia di nostra madre?! »

 

Si scambiarono un’occhiata e poi, contemporaneamente, scoppiarono in una sonora risata.

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Bene, finalmente riesco a postare questo nuovo capitolo! Lo avevo già pronto, ma gli esami universitari mi hanno monopolizzato il cervello (e non sono ancora finiti, sigh!)…

 

RF09: Mrs. Purr... ehm, diciamo che l’idea che quella gatta non possa vivere decenni e decenni non mi ha nemmeno sfiorata! Quindi, come dire... sì, probabilmente farò finta di aver sempre saputo che quella della mia storia è un’omonima antenata ;D. Ti ringrazio davvero tanto per i complimenti! E, effettivamente, con il secondo, terzo e quarto capitolo volevo proprio sottolineare quanto questi quattro ragazzi siano profondamente diversi... Secondo me, almeno per quanto riguarda Remus, James e Sirius, è il profondo significato che danno all’amicizia ad averli uniti; pronti a qualsiasi cosa pur di venire incontro all’altro.

 

Dani85: Restando Sirius il mio preferito, Remus piace tanto anche a me, proprio per quelle caratteristiche che lo rendono così diverso da Sirius. Ma, come avrai già notato, questo capitolo ha come protagonisti Sirius e Regulus (e anche il prossimo breve capitolo sarà incentrato su si loro)… Mi focalizzerò su Remus nel settimo capitolo! Spero che continuerai a seguirmi nel frattempo! Grazie mille per i complimenti!

 

Ma_AiLing: Ti ringrazio moltissimo per aver recensito tutti i capitoli! Purtroppo le long non mi sono mai, ehm, venute. Faccio fatica a delineare trame anche con storie originali, con le fan fiction proprio non mi riesce... Chissà, magari un giorno... Per ora mi focalizzo su questi momenti, anche perché mi sembra di avere più spazio per l’introspezione, che per me è sempre molto importante.

 

Katekat: Grazie mille per il tuo commento! Sì, il rapporto fra Sirius e Regulus l’ho visto sempre anche io come carico di contraddizioni. Su Regulus sappiamo veramente poco, la Rowling non si è soffermata molto su di lui; prima ci viene descritto in malo modo da Sirius, e poi scopriamo che non era affatto un codardo, anzi, il suo ultimo gesto secondo me è uno tra i più coraggiosi di tutta la saga... Quindi in fondo i due fratelli non erano poi così diversi. In questo capitolo ho voluto proprio esplorare quella contraddizione, in un momento che può ancora considerarsi buono (perché sappiamo come andranno a finire le cose).

 

Spero di riuscire a postare il sesto capitolo settimana prossima! Si intitolerà Distacchi e maschere di cera.

Un bacione,

Claire

 

 

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Capitolo 6
*** Distacchi e maschere di cera ***


Granelli di sabbia

 

 

 

 

 

 

Hogwarts, primo settembre 1972

 

« Black, Regulus! »

 

Il ragazzino che era stato chiamato si staccò dal gruppetto degli studenti del primo anno e si diresse nervosamente al centro della Sala Grande. Il suo viso pallido risaltò ancora di più quando gli fu messo il solito cappellaccio nero sulla testa.

Sirius, alla tavolata dei Grifondoro, osservava la scena con finta aria spavalda, noncurante. Il suo atteggiamento lo voleva inconsciamente proteggere da quella che, contro ogni buon senso, sarebbe stata una delusione. Perché Sirius sapeva che Regulus sarebbe finito in Serpeverde, e fino a qualche tempo prima la cosa non gli interessava neanche. Ma, dopo le vacanze natalizie e, soprattutto, quelle estive, le cose erano cambiate; non si era mai avvicinato tanto a suo fratello come negli ultimi mesi.

Quando, a giugno, era tornato a Grimmauld Place con una lettera vergata dalla mano furente della McGonagall ― conseguenza delle prime sperimentazioni in materia di scherzi e bravate ―, Sirius si era trovato in una mare di guai; quella volta le aveva prese sul serio. Ed era rimasto in castigo praticamente per tutta l’estate, visto che non aveva affatto tentato di attenuare, comportandosi bene almeno a casa, la collera dei suoi. In un certo senso, la libertà di cui aveva goduto ad Hogwarts e l’influenza di James non avevano fatto altro che fomentare i suoi modi da ribelle; fatto sta che era sempre meno capace di tenere a freno la lingua e di fare la bella statuina.

In tutto questo, Regulus rimaneva sempre con lui. Certo, a volte era ancora fastidiosamente pedante e si metteva perfino a rimproverarlo ― e Sirius non sapeva se sbuffare o mettersi a ridere ―, ma poi aveva sempre la faccia tosta di tornare ad essere il fratellino che gli invadeva il letto durante la notte. Sirius lo prendeva sempre in giro per quell’atteggiamento ambivalente; « Secondo me sei un po’ disturbato, » gli diceva guardandolo di sottecchi. Tuttavia, anche se non lo dava a vedere, gli era grato; il piccolo Reg era sempre lì a tentare di tirargli su il morale o a fargli compagnia nelle lunghe giornate di punizione, e Sirius sapeva benissimo di non meritarselo. A volte gli bastava anche solo la sua presenza per sentirsi meglio.

James tirò una gomitata a Sirius, ridestandolo dai suoi pensieri e da quella che era una meravigliosa espressione da pesce lesso. L’altro, sforzandosi, fece spallucce e sogghignò. « Tanto so già dove finisce, quello lì » disse ostentando ancora di più un atteggiamento sfrontato. Non voleva assolutamente far vedere quanto una parte di lui desiderasse che…

 

 « SERPEVERDE! »

 

Sirius sentì un piccolo peso sprofondargli nelle viscere. Eppure lo sapeva che sarebbe andata a finire così, non era affatto il caso di farci su un dramma…

 

« Che vi dicevo?! » buttò lì in risposta alle occhiate dei suoi amici. Voleva ferocemente sembrare contento, come se fosse un sollievo per lui il non dovere aver a che fare con quello scemo di suo fratello anche a scuola.

Intanto Regulus si era tolto il Cappello Parlante e aveva iniziato a dirigersi verso la tavolata dei Serpeverde. A metà strada si fermò e guardò timidamente in direzione dei Grifondoro, come se cercasse di distinguere qualcuno tra la folla. Una parte di Sirius avrebbe voluto fargli un cenno, fargli capire che andava tutto bene. Ma il ragazzo a volte sapeva essere terribilmente capriccioso, quindi incrociò le braccia al petto e si fece scivolare in avanti lungo la panca di legno. Era consapevole del fatto che non poteva far ricadere su Regulus alcun tipo di colpa, ma si ostinava ad avercela con lui.

Non riuscendo a intravedere Sirius, Regulus, alla fine, si decise a raggiungere il tavolo dei Serpeverde. Sembrava un po’ tirato.

 

« Be’, meglio così. »

 

Sirius rideva. Remus fu l’unico a capire quanto quella risata nascondesse qualcosa di grottesco.

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Come avevo già accennato, piccolo capitolo ancora incentrato su Regulus e Sirius. Il prossimo riguarderà Remus ;’).

 

Muffin al Cioccolato: Ti ringrazio, mi fa davvero piacere sapere che hai letto la mia raccolta tutta d’un fiato! *-*

 

Claire

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Licantropi e paranoie ***


Granelli di sabbia

 

 

 

 

 

 

Hogwarts, inverno 1972

 

Remus Lupin non solo non si era mai sentito del tutto normale, ma aveva anche la certezza di non esserlo. La licantropia aveva reso la sua esistenza una sorta di menzogna ben pianificata; lui non doveva parlarne, nessuno doveva sapere. Remus aveva sempre vissuto nell’ansia di venire scoperto, fin da bambino, quando i genitori lo portavano al parco per farlo giocare con i suoi coetanei; giocava con gli altri, ma era sempre un po’ reticente, un po’ sulle sue.

Crescendo le cose si erano fatte più complesse. Se prima Remus aveva solo la vaga idea di quanto l’essere un lupo mannaro fosse una cosa brutta, più in là si rese conto che la maggior parte dei maghi, tutti forse, consideravano quelli come lui feccia sulla terra, un male da debellare con tutte le forze. Lo aveva letto su un libro che trattava di creature magiche ― semplicemente per il gusto di leggere; ancora non si era mai considerato una creatura magica, una specie di bestiola ― e ne era rimasto sconvolto. La conferma negli occhi cupi dei suoi genitori, poi, era stata devastante.

Infine, l’arrivo ad Hogwarts aveva dato l’avvio alle paranoie. Una delle tante si focalizzava sulle sue cicatrici, così maledettamente poco discrete, così chiassose, pensava, nel rendere evidente a tutti la loro origine. Camminava spesso a testa bassa per non attirare l’attenzione su quei profondissimi solchi e, quando qualche curioso riusciva a braccarlo e a fargli domande in merito, lui rispondeva farfugliando storie una meno credibile dell’altra. Avesse ricevuto, insieme alla licantropia, anche il dono del saper mentire bene, almeno avrebbe saputo come tirare avanti.

Un’altra delle paranoie riguardava l’avere degli amici. Era una cosa sconsigliabile, sconsigliabilissima. Con gli amici si entra in confidenza, gli amici si sentono a loro agio nel fare domande personali; no, no, non poteva proprio permetterselo. Quindi evitava tutti nella maniera più accurata possibile, sperando che, col tempo, gli altri studenti lo avrebbero etichettato come asociale e lo avrebbero lasciato nel suo brodo. Ma alcuni erano proprio difficili da evitare, le tipiche persone che più vengono respinte e più si lanciano alla carica; questi erano i suoi compagni di dormitorio. Bella fortuna.

Il più pressante era James. Da ragazzino viziato che era, non accettava un no come risposta; gli aveva chiesto talmente tante volte di unirsi a lui e agli altri che Remus non sapeva più che scusa inventarsi. Poi c’era Sirius, quello che inizialmente lo fissava spesso con aria di sfida. Da quando lui e James erano diventati culo e camicia era cambiato completamente; non più scontroso e aggressivo, ora scatenava la sua energia progettando scherzi e combinando guai. Era simpatico però, Remus lo aveva rivalutato; a volte doveva trattenere una risata quando sentiva i discorsi che faceva con James e Peter.

Pettigrew era invece quello che faceva sentire Remus più a suo agio; era un tipo tranquillo, perfettamente in grado di rispettare gli spazi altrui. Capitava anche che Remus si mettesse a parlare con lui spontaneamente, cosa impensabile con gli altri due, che, sicuramente, avrebbero preso la palla al balzo per trascinarlo in qualche casino.

Poi, inspiegabilmente, quasi senza accorgersene, i quattro fecero amicizia. La cosa avvenne così gradualmente che, quando Remus se ne rese conto, anche volendo non avrebbe più potuto fare marcia indietro. All’improvviso il lupo mannaro faceva parte di un gruppo.

Avere degli amici era una cosa meravigliosa, così meravigliosa che Remus si chiedeva come aveva fatto a vivere undici anni senza averne avuto mai neanche uno. Ma quel senso di felicità, di appartenenza, era costantemente minacciato dalla paura di venire scoperto. Come avrebbero reagito James e Peter? Come avrebbe reagito Sirius, il rampollo purosangue? Lo avrebbero considerato anche loro feccia?

Remus cercava di seppellire dentro di sé quel terrore, sperando che il giorno in cui lo avrebbero smascherato non arrivasse mai, ma era sempre più difficile trovare scuse per le sue assenze, perfettamente cadenzate una volta al mese, per le ferite che ne seguivano, per la sua aria malaticcia.

 

***

 

Il secondo anno scolastico era iniziato sotto il segno delle domande scomode. Remus era tornato ad Hogwarts con una cicatrice nuova di zecca, sul mento; se l’era fatta un paio di settimane prima e, oltre ad essere fresca, era anche parecchio profonda.

L’anno precedente se la era cavata perché, per un caso fortuito, si era procurato cicatrici solo sul corpo, quindi in punti che non attiravano l’attenzione. Quelle in faccia, vecchie, le aveva potute spiegare semplicemente inventandosi un incidente avuto da piccolo. Adesso, però, il nuovo sfregio era sotto gli occhi di tutti e, ovviamente, i suoi amici avevano iniziato a tartassarlo. Remus detestava raccontare loro bugie ― lo faceva sentire una cacchina schifosa ma si sentiva costretto a non essere sincero. In ogni caso, essendo un pessimo bugiardo e, allo stesso tempo, un ottimo interprete degli atteggiamenti altrui, sapeva benissimo che quelli non si bevevano né l’attacco del coniglio selvatico, né l’incidente col trattore del vicino babbano, né tutte le altre scemenze che raccontava.

Alla fine, il giorno della verità giunse con l’arrivo dell’inverno. Remus si accorse subito che c’era qualcosa che bolliva in pentola; sorprendeva spesso i suoi amici a confabulare e, soprattutto, a smettere di confabulare ogniqualvolta fosse a portata d’orecchio. All’inizio pensò che avessero in mente di combinarne qualcuna, forse così grossa da temere che lui, sempre avverso ai piani megalomani, avrebbe messo loro i bastoni tra le ruote. Ma i giorni passavano, non succedeva niente e quelli continuavano a parlottare. Remus iniziò a preoccuparsi.

 

« Ragazzi, » si fece coraggio alla fine, dopo averli sorpresi per l’ennesima volta, « mi volete spiegare cosa succede? »

 

Si trovavano tutti e quattro nel loro dormitorio. Remus, entrando all’improvviso, aveva provocato il solito silenzio imbarazzato. Peter si mordeva le unghie; c’era qualcosa che non andava.

 

« Niente. Perché ce lo chiedi? » chiese James innocentemente.

 

Remus lo guardò in tralice; James che faceva il santarellino era qualcosa che non si poteva vedere.

 

« Ditemi cosa volete combinare » disse Remus sospirando.  « Prometto che non cercherò di fermarvi. »

 

I tre si guardarono sorpresi, poi Sirius sogghignò. « Non saresti mai in grado di fermarci » disse con aria spavalda. « E comunque James ha detto la verità. Ci stiamo comportando da bravi bambini, per ora. »

 

« E allora perché confabulate da giorni?! »

 

I tre si scambiarono un’altra occhiata. Contrariamente alle loro abitudini, anche James e Sirius sembravano un po’ nervosi.

 

« Be’, sappiamo che sei un lupo mannaro » disse alla fine James, la faccia così seria da non sembrare neanche la sua.

 

Il silenzio, da imbarazzato che era, divenne freddo e pesante come un macigno. Remus, diventato più pallido del solito, sentì il bisogno di sedersi, ma alle spalle aveva solo la porta. Ecco, è la fine, pensò. E adesso? Non solo avrebbe perso i suoi amici, ma avrebbe dovuto andarsene da Hogwarts…

 

« Wow, amico. Che tatto » cercò di sdrammatizzare Sirius, gli occhi puntati sul viso cereo di Remus.

« Almeno avresti potuto dargli la buona notizia. »

 

Remus, recepita una nota positiva dal barastro in cui stava sguazzando, guardò Sirius in una maniera a lui estranea, quasi animale.

 

« Lo sappiamo da un po’, in realtà » continuò James, preoccupato alla vista di quella reazione. « Ci siamo documentati, abbiamo cercato se esistono rimedi— »

 

« Non ce ne sono » lo interruppe Remus, quasi meccanicamente.

 

« Be’, no… Però abbiamo pensato… Forse ti sembrerà stupido, ma— »

 

« Ma pensavamo di diventare Animagi » tagliò corto Sirius.

 

Ancora silenzio. Remus aveva la bocca aperta e ne era consapevole.

 

« Per stare con te, sai, nelle notti di luna piena… »

 

« Pare che i lupi mannari aggrediscano solo gli uomini, non gli animali— »

 

« Come pensate di farcela?! » chiese d’un fiato Remus, sconvolto. In realtà, non era quella la domanda che gli premeva di più.

 

« Io e James abbiamo tutti Eccezionale in Trasfigurazione » disse Sirius senza il minimo imbarazzo. « Ci vorrà un bel po’. Anni, forse. Ma ce la possiamo fare— »

 

« Non direte niente a nessuno?! » chiese Remus in preda ad una crisi isterica.

 

« Di cosa? »

 

« Di cosa?! »

 

Remus era allibito. No, non era possibile. Non era plausibile. Non era contemplabile.

 

« Del fatto che sono un lupo mannaro! Di cosa! »

 

« Be’, no. Passeresti dei guai » disse James con semplicità. « Però avresti potuto dircelo— »

 

« E continuerete ad essere miei amici?! »

 

« Ovvio, no?! »

 

« E non scapperete via come ragazzine urlanti?! »

 

« Certo che no » rispose Sirius, indignato. « Non essere ridicolo. »

Remus non ci poteva credere. Tirò un respiro profondo e si diresse, nonostante le gambe tremanti, verso il suo letto. Poi vi si lasciò cadere a peso morto e alzò lo sguardo sui suoi amici, che lo guardavano in attesa.

 

« Wow » riuscì a biascicare. Non si era mai sentito così grato in tutta la sua vita. E, ancora, non riusciva a crederci. Si sarebbe dato un pizzicotto se non l’avesse considerato un gesto troppo patetico.

 

« Pensavi veramente di potercelo nascondere per sempre? » chiese alla fine James, divertito. « Il coniglio selvatico, Remus? Ci credi davvero così idioti? »

 

« Be’, lo sapete che faccio schifo a mentire. »

 

James e Sirius sogghignarono. Peter, che era rimasto zitto tutto il tempo, pareva sollevato ora che la situazione si era stabilizzata. Aveva anche smesso di massacrarsi le unghie.

 

« E non mi ululerete dietro, vero?! » chiese infine Remus con un sorriso, il colorito tornato normale.

 

« Su questo non posso garantire » rispose Sirius sedendosi accanto a lui e tirandogli una pacca sulla spalla.

 

Stavano ridendo. Neanche nelle sue più rosee prospettive Remus aveva immaginato che avrebbero riso. Inoltre quei due avevano avuto la faccia tosta di affrontare l’argomento come se nulla fosse! Toh, è un lupo mannaro! E si erano messi a blaterare sul diventare Animagi, o qualcosa del genere; Remus era troppo contento, non voleva rovinare tutto definendo la loro idea assoluta follia ― si rendevano conto di avere solo dodici anni?! ―. Ma l’importante era che non lo avrebbero abbandonato. Non lo avrebbero abbandonato! Remus non si era mai sentito così felice in tutta la sua vita.

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Ed ecco il capitolo incentrato su Remus :D. Fatemi sapere cosa ne pensate! ;)

 

angyp: spero ti piaccia anche questo capitolo! Ti ringrazio moltissimo per i complimenti (e il capitolo di Natale piace moltissimo anche a me)! Un bacione! :*

 

Claire

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Animagi ***


Granelli di sabbia

 

 

 

 

 

 

Hogwarts, 1975

 

Remus aveva sottovalutato i suoi amici. Li aveva sottovalutati perché non li conosceva ancora così bene; più il là si rese conto che James e Sirius erano talmente testardi e sfrontati che sarebbero riusciti in qualsiasi cosa, anche solo per il gusto di sbattere in faccia il loro trionfo ai miscredenti. E Remus era uno dei miscredenti, o, almeno, lo era stato. Aveva perso il conto delle volte che aveva cercato di dissuaderli dalla follia assoluta, ossia dal diventare Animagi; è pericoloso, gli diceva, potrebbe andare tutto storto, e a quel punto nemmeno al S. Mungo vi vorranno. Mesi e mesi a correre dietro a quei due scavezzacollo borbottando come una vecchia comare isterica, e Remus, alla fine, aveva ottenuto soltanto scimmiottamenti e prese per il culo. Quindi, siccome un minimo di amor proprio ancora lo possedeva, aveva finito per mandare tutti a quel paese, urlando che non sarebbe stato lui a raccogliere i loro pezzettini sparsi per la Foresta Proibita.

Ma si era dovuto ricredere, e questo perché, a quasi tre anni da quella sera d’inverno, c’erano quasi vicini. Certo, non era stato tutto rose e fiori; i tentativi avevano spesso portato a risultati bizzarri, tra i quali quello più divertente era stato la lunga coda pelosa ― e scodinzolante ― che Sirius si era visto spuntare dal posteriore. Tuttavia mancava poco. L’ultima volta James era riuscito a tenersi trasformato per più di dieci secondi, prima di ritornare normale. Remus non era più né preoccupato né isterico; ormai ci credeva anche lui. Se lo sarebbe sempre ricordato; l’aria in quei giorni era elettrica, carica di attesa e di occhiate che solo loro potevano decifrare.

 

***

 

« Va bene, ci provo ancora » disse Sirius senza pazienza, la bacchetta tenuta stretta da così tanto tempo che la mano gli faceva male. « Che palle. »

 

« Forse sarebbe meglio rimandare » tentò Peter sbadigliando vistosamente.

 

« Vi ho detto che ce la faccio! » sbraitò l’altro.

 

« L’hai detto anche quindici tentativi fa… »

Remus, seduto su un ceppo da così a lungo da non sentire più le natiche, sopirò. Era buio e si trovavano nella Foresta Proibita, ancora. Quella settimana avevano provato ogni santa notte, e Remus avrebbe ucciso per un po’ di sonno. Si voleva lamentare ma non si sentiva in diritto di farlo; in fondo erano tutti lì per lui.

 

« Forse Peter ha ragione— »

 

« Zitto Remus! » sbottò Sirius. « Ci sono quasi! Lo so! »

 

Remus sopirò di nuovo. Quella notte aveva visto Sirius prendere le sembianze di un grosso cane nero per qualche istante, dopodiché un tentativo dopo l’altro andati a vuoto. James ormai riusciva a trasformarsi in cervo senza problemi, e questo non faceva che accrescere l’impazienza di Sirius.

 

« Prova a ruotare di più la bacchetta… » gli suggerì James, che, gambe conserte sul terreno e braccia all’indietro a mo’ di sostegno, assisteva alla scena con aria annoiata.

 

« Prova a ruotare di più la bacchetta! » lo scimmiottò l’altro, irato. « Smettila di fare la maestrina! »

 

« Vaffanculo Sirius, sto solo cercando di aiutarti! »

 

« Be’, ti riesce proprio male! E vacci tu a fanculo! »

 

« Bambini! » iniziò Remus alzando gli occhi al cielo, « Fate i bravi! »

 

I due si guardarono in cagnesco per un po’, poi James sbuffò e Sirius tornò imbronciato ai suoi tentativi. Andavano d’accordo la maggior parte del tempo, ma a volte i loro caratteri forti finivano inevitabilmente per scontrarsi. Paroloni, magari qualche pugno, e poi tutto tornava alla normalità; i musi lunghi duravano poco. E in tutto questo Remus a volte si sentiva come una balia, e non è affatto piacevole sentirsi come una balia quando hai quindici anni e sei un ragazzo. Ma toccava a lui calmare gli animi, rimproverare, dare consigli. Era ciò che ci si aspettava da lui e ciò che gli riusciva meglio. Il loro era un gruppo equilibrato, in fondo.

 

« Senti, Sirius, » tentò di nuovo Remus, « siamo tutti stanchi— »

 

Qualcosa fece puff; all’improvviso davanti agli occhi assonnati di Remus c’era un grosso cane nero. Remus sbatté le palpebre con violenza: davanti ai suoi occhi assonnati c’era un grosso cane nero?!

 

« Sia ringraziato il cielo. »

 

« Padfoot! » esclamò James con entusiasmo, « Ce l’hai fatta! »

 

Il cane abbaiò e si lanciò su James, leccandolo dappertutto e scodinzolando.

 

« Che schifo..! » disse James, ma rideva; il piccolo battibecco era già un ricordo lontano.

 

Dopo aver leccato per bene James, Padfoot si lanciò su Remus ― « Sirius, dai..! Mi stai leccando in maniera indecente! » ― e, infine, su Peter. Era su di giri. Era persino buffo.

Sirius era stato scontato rispetto a James; un cane. I cani sono fedeli, giocherelloni, dispettosi e affettuosi allo stesso tempo. Mordono se provocati. Ma James? Remus non si sarebbe aspettato un cervo da lui. I cervi gli davano l’idea di creature regali e composte, e James non era affatto un tipo composto

In ogni caso, Remus era felice. Ce l’avevano fatta. Non sarebbe più rimasto solo nelle notti di luna piena.

 

« Bene, bene, bene » disse allegro Sirius una volta tornato umano. « Wow, fantastico! »

 

« Te lo dicevo! » intervenne James.

 

« È… È incredibile! I sensi! È tutto diverso! Gli odori! » continuò Sirius eccitato. « Ah, Peter… Meglio non metterla più quell’acqua di colonia... »

 

« A proposito di Peter! » disse James con un sorrisetto, « Ora tocca a te! »

 

Remus aveva temuto questo momento. Peter. Trasfigurazione. Dolori.

La prima volta che il vecchio Pete aveva provato a trasfigurarsi era rimasto svenuto per ore.  Alla fine si era deliberato che prima ci avrebbero provato Sirius e James, poi, una volta capito il meccanismo, i due avrebbero aiutato il loro piccolo amico. Nessuno di loro aveva idea dell’animale in cui si sarebbe trasformato, quindi Peter era l’unico a non essere ancora stato battezzato con un soprannome. A Remus era stato affibbiato lo pseudonimo di Moony; francamente all’inizio non gli piaceva granché, gli ricordava costantemente il suo piccolo difettuccio, ma James e Sirius avevano cominciato a chiamarlo così da subito, non appena avevano scoperto il suo segreto, e Remus aveva finito per abituarcisi.

Peter deglutì. Neanche lui sembrava tanto convinto.

 

« Coraggio, Pete » iniziò Sirius, « è un gioco da ragazzi— »

 

« Hai una bella faccia tosta, lo sai?! »

 

« Va’ a quel paese, Prongs. »

 

 

Note:

Capitolo ripescato per caso e pubblicato per sfizio ;).

Claire                  

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