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di Hirriel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il suo nome è Lilith ***
Capitolo 2: *** Stupidamente coraggiosa... o forse no ***
Capitolo 3: *** Il corpo a corpo non è il suo forte, alternative? ***
Capitolo 4: *** Imparare a conoscersi senza morire neanche una volta è parecchio complicato ***
Capitolo 5: *** Certamente nessuno dei due regge l'alcool ***
Capitolo 6: *** Lontana da casa lontana dal cuore ***
Capitolo 7: *** Un'incessante insofferenza ***
Capitolo 8: *** Incontriamoci di nuovo, in un luogo di morte ***
Capitolo 9: *** Repentini o graduali che siano, ci si adatta ai cambiamenti ***
Capitolo 10: *** Quando tutto va bene qualcosa andrà male ***
Capitolo 11: *** Il mondo è terribile ma le persone lo sono ancor di più ***



Capitolo 1
*** Il suo nome è Lilith ***




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1. Il suo nome è Lilith

«Comprate signori!» «Comprate, comprate!» «Comprate questo pesce o queste verdure, qualità garantita!» «Ormai, di riso così, non se ne trova più!» «Bracciali e collane, signori! Chiedete in giro, lo dicono tutti: cambieranno il vostro destino!»

Lilith arricciò il naso. Odiava i mercati, odiava i negozianti e odiava i bazar.
Sì, diciamo pure che odiava le persone. Le facevano venire la nausea, non voleva stare in un posto così affollato, c’era troppo rumore e caos e folla... aveva già le vertigini. Quanto sarebbe voluta ritornare nel suo fresco vicolo, magari a sgranocchiare un pezzo di carne rinsecchita e a farsi un sonnellino. Oh, quella sì che era un’idea allettante! Forse avrebbe dovuto prenderla seriamente in considerazione.

Sbuffò. Certo che non poteva. Che fastidio.

La ragazza si schermò il viso con il braccio, cercando di proteggersi inutilmente dal sole. Anche lui quel giorno ci si metteva a far andare tutto male: faceva più caldo delle altre volte, l'aria era afosa e appiccicosa, così pregna di umidità che ormai sembrava qualcosa di solido e vivo. Un compagno viscido a cui non si sarebbe mai abituata, non importava da quanto tempo vivesse in quel posto.
E il sole rendeva tutto ancora più terribile! Le pareva di star respirando del fuoco.

Ma tanto lì c’era sempre il sole e sinceramente Lilith odiava anche quello.

Dalla premessa con cui è stata presentata sembrerà una persona negativa, cinica e scontrosa ma, signori miei, vi state sbagliando alla grande! Sì, avete fatto proprio cilecca, perché se Lilith fosse stata un tipo del genere, ovviamente non avrebbe deciso di dirigersi in quel posto, con quel maledetto puzzle in mano, tra quell’ammasso di gente. Per giunta in uno degli orari più caldi della giornata. Lei in realtà era una persona piena di buona volontà!

Improvvisamente sentì qualcosa strattonarle la maglia e subito le narici vennero invase da un odore di sudato e sporco. Arricciò di nuovo il naso. Non voleva voltarsi, anzi fece di tutto per continuare a camminare tra la folla, ma la stretta non si allentò. Alzando gli occhi al cielo girò lentamente la testa, cercando di esprimere tutta l’insofferenza che stava provando.
«Signorina, lei ha fiducia nel suo destino?» eccolo lì, uno dei soliti commercianti: magrolino e alto come un giunco, con qualche dente fatto d’oro -probabilmente finto- e decine collane piene di pietre preziose -sicuramente finte- che gli pendevano mollemente sul petto scarno.

«Destino?» chiese con voce sarcastica Lilith «Quale destino? Quello in cui mi limiterò a mandarti a quel paese o quello dove ti prenderò direttamente a calci nel sedere per avermi importunato?»

L’uomo rimase qualche secondo senza parole e rivolse uno sguardo alquanto ebete alla bassa ragazzina che lo fissava a braccia conserte: portava dei laceri vestiti maschili, leggermente grandi per la sua statura, che la facevano sembrare ancora più piccola. La carnagione, di un pallido smunto, su cui si potevano intravedere tagli e lividi, era ricoperta da uno strato di sporco. Anche lei puzzava quanto la maggior parte dei morti di fame che si erano riuniti in quel rumoroso bazar, ma sembrava le piacesse osservare tutti con una smorfia tra lo stizzito e il disgustato, quasi come se si volesse elevare a un piano superiore rispetto ai suoi oh davvero poco graditi compaesani.
La desquamazione del suo cuoio capelluto era eviden- sì okay aveva la forfora(e con ciò?) che si poteva intravedere tra i 
crespi capelli castani che le sfioravano le spalle e incorniciavano il viso ovale, reso infantile da due guance paffute, proprio come quelle dei bambini.

Insomma, più o meno la solita ragazzina dei quartieri poveri che si faceva un giro tra i banconi del mercato.

Anche se quegli occhi chiari parevano avere cent’anni.

Ma il negoziante non era un uomo attento, in fondo era solo un altro mediocre essere umano e non fece certo caso a quel particolare così nascosto. Notò solamente ciò che più risaltava alla vista e si maledisse per la propria stupidità; stava perdendo tempo a cercare di venderle la sua merce, probabilmente la vita di quella ragazzina valeva di meno uno dei suoi bracciali. Ma beh, ormai bisognava andare fino in fondo.
Sfoderò di nuovo il suo sorriso melenso e le ripeté con voce melliflua «Il destino, graziosa signorina, il suo destino! Quello che io già vedo sarà di sposare un bel giovane ricco e potente! Oh, ma la sua strada non sarà sgombra di difficoltà, perché non compra uno dei miei talismani? La condurrà prima di quanto pensa al suo desti-»

«La vuoi smettere di ripetere in maniera così ossessiva ‘destino’? Ho capito, non sono sorda, mi vuoi rifilare uno di quei tuoi portafortuna o non so che. Insomma non ho neanche un pezzo di pane e ti aspetti che compri le tue schifezze?» effettivamente non aveva tutti i torti ma cosa poteva fare l’uomo? Non di certo cacciarla via in malo modo, c’erano troppe persone, avrebbe potuto far brutta figura! Già i commerci stavano andando male, la povertà era sempre più presente tra i cittadini e non si poteva neanche contare sui rapporti con le città limitrofe: c’era puzza di guerra nell’aria e tutti erano molto più restii a spendere i propri averi. Non poteva assolutamente permettersi di perdere i pochi clienti che gli erano rimasti.

Lo sbraitare della bruna era diventato solo un sottofondo fastidioso per il negoziante che, perso nei suoi pensieri, rinvenne solo quando vide un dito puntatogli contro in un modo che voleva sembrare minaccioso «Destino di qua destino di là, che è quest’anno va tanto di moda parlare del destino? Sai cosa ti dico? Uccidetevi. Uccidetevi tutti quanti!» Lilith si voltò per andarsene ma l’uomo la afferrò per un braccio, la stretta improvvisamente più salda, stizzito dal comportamento arrogante che stava mostrando la piccoletta. A tutto c’era un limite. «Ragazzina, lo sai che non si parla così a un adulto? Stai insultando me, i miei talismani e in maniera indirettica, il destino in persona!» per fortuna sembrava abbastanza innocuo.

«Allora, prima di tutto non è ‘indirettica’ ma ‘indiretta’ e secondo,» Lilith gli mollò un forte calcio sullo stinco sinistro «ti rivelo un segreto: il destino non esiste. È solo uno degli sciocchi giochetti di quelli che ora stanno al potere, fatemi il sacrosanto favore di lasciarmi in pace!» quasi non si accorse di come avesse alzato la voce; molte persone si erano girate a guardare quel piccolo teatrino: un uomo a terra che si massaggiava la gamba e una ragazzina che gli incombeva addosso. Uh. Subito si levò un basso mormorio e un ridacchiare qua e là, qualcuno cominciò perfino ad incitarla.

Soddisfatta della sua piccola performance, la bruna decise che era proprio il momento di darsela a gambe. Zigzagò tra le persone più velocemente che potè, conscia che se fosse rimasta sarebbe finita nei guai; era quasi una bestemmia parlare del destino come una cosa astratta e insensata, ora che anche quella città era sotto il comando dell’impero Kou.
Il maledettissimo impero Kou, con tutti quei soldati, stregoni e quel famoso Sacerdote, o Magi, o come lo chiamavano. Si diceva avesse preso sotto la sua ala l’ormai potente imperatore e che grazie a lui quel Paese fosse destinato a raggiungere potenza e ricchezze immense.

Lilith odiava tutto ciò, non solo perché si trovava ormai da un anno in quella città e ad un tratto i controlli per andare e venire da altri paesetti erano diventati molto severi, ma anche perché i tizi di Kou andavano in giro blaterando su cose insensate, come potere, destino e guerre. Inoltre, c’erano quelle persone che portavano un  velo davanti al viso e che giravano sempre più spesso per la città. Tutti li evitavano come degli appestati, l’aura minacciosa che si portavano dietro era quasi tangibile e anche lei se ne teneva alla larga, aveva già molti problemi per le piccole rapine che faceva, ci mancava solo che Al Sarm-comesichiamava la notasse.

Sbuffando, accertatasi di essersi allontanata abbastanza, riprese a camminare normalmente e riportò l’attenzione sulla tavoletta che aveva tenuto stretta a sè per tutto il tempo. Era un pezzo di legno liscio a forma rettangolare con i bordi rialzati a mo’di cornice: la base per un puzzle di piccolissimi pezzi, tutti di un colore unico, uno di quei rompicapi con cui solo i geni avevano il coraggio di cimentarsi. Eppure doveva riuscire a risolverlo, altrimenti addio speranze per il futuro. Era riuscita ad incastrare qualche tassello in alcuni punti ai margini della tavoletta, ma gli altri se ne stavano in una bustina nella tasca dei suoi pantaloni; qualche volta ne tirava fuori uno a caso sperando fosse quello giusto, ma su centinaia di pezzi non era certo semplice e lei era una persona con scarsissima pazienza, non erano state poche le volte in cui aveva rischiato di mandare tutto a quel paese e bruciare quei maledetti pezzettini di legno.

Persa nei suoi pensieri arrivò sullo stradone principale e inizialmente non si accorse di nulla, ma quando il suo naso collise con la schiena di un uomo, fu costretta ad alzare lo sguardo e capì che c'era qualcosa che non andava; stavano tutti fermi sui lati della strada, a bisbigliare e sussurrare cose. La tensione era palpabile.

Cercò di guardare oltre il grande muro di persone per vedere cosa stesse succedendo, ma era troppo bassa, non vedeva niente. Poi sentì «Il Magi…!» «Che senso ha venir qui...?» «Si dice che ovunque vada porti sventura.» «Il Magi…» «Sarà qui con quella strana organizzazione?» «Il M…»

“Ma che– il Magi è qui?!” che fosse spiazzata era dire poco “Le truppe di Kou se ne sono già andate dopo il normale controllo alla città, perché lui è qui? ...Dovrei andarmene? Ma se voglio arrivare al negozio in tempo questa è la via più breve, non posso permettermi di fare altri ritardi…” si intrufolò tra le persone, cercando vedere se aveva qualche possibilità di riuscire a raggiungere la parte opposta della strada. Una fastidiosa e invitante curiosità le stava pungendo lo stomaco, avrebbe voluto vedere il leggendario Magi dell’impero Kou che creava tanto scompiglio in tutto il mondo. In fondo si sarebbe potuta sporgere, se l’avesse visto e avesse capito che non c’era modo di attraversare avrebbe fatto dietro front. Solo un’occhiatina, che sarebbe andato storto?

«E levatevi dai piedi, cavolo, siete così sudati…» vedendo che le persone non le davano molta retta si infilò a forza tra i vari corpi, cercando anche un solo spiraglio che le permettesse di vedere qualcosa. Sfortunatamente non andò tutto come previsto. Ad un atratto sentì un acuto dolore al piede e si accorse che un maledettissimo tizio –dall'aria alquanto losca- le stava pestando il piede nudo con il calcagno, probabilmente infastidito che la bruna stesse spintonando a destra e a manca.

Lilith gemette per il dolore e si sporse cercando di allontanarlo, ma quello le prese il braccio e farfugliò qualcosa del tipo «stai al tuo posto, ragazzina.» e la spinse in avanti con tutte le forze, facendola cadere addosso alle persone in prima fila.
Lilith pensò ironicamente a un effetto domino, mentre inciampava tra le gambe e i piedi altrui, e si alzava un gran vociare di protesta. Incespicò in avanti districandosi da quel mucchio di persone, fece qualche saltello cercando di riprendere l’equilibrio ma sfortunatamente il piede dolorante cedette e si ritrovò con il sedere per terra.

«Ahio...»

Il silenziò calò sulla folla. Sembrava come se tutti avessero paura di respirare, di provocare il minimo rumore, quasi di esistere.
Lilith si guardò le mani sbucciate, poi alzò gli occhi verso il signore che la fissava con un ghigno incerto sul viso.

«…» prese un gran respirò «Figlio di...! Cosa accidenti vuoi, hah? Giuro che ti stendo, ti sdrumo, ti sfregio, brutto bastardo!!» ringhiò alzandosi in piedi di scatto, i pugni chiusi e gli occhi infuocati dalla rabbia.

Si stava per lanciare contro l’uomo ma si bloccò. Fu quasi come se una vocina nella testa le ricordasse dove si trovava. Si guardò i piedi, poi sbirciò dietro di sé: ogni paia di occhi di ogni persona lì presente era puntata su di lei. Stava esattamente al centro della strada.

“Merda.”

Girò lentamente il viso verso la figura che le stava accanto, illudendosi che sarebbe potuta essere un cittadino che si aggirava lì intorno o magari una guardia o, addirittura, uno di quegli uomini con il velo. Sperava di tutto, chiunque, purché non fosse quella persona di cui stavano parlando tutti.

Evidentemente non era proprio la sua giornata.

La prima cosa che vide fu una chioma scompigliata e lunghissima, la più lunga che avesse mai visto, di un nero così scuro che sembrava semplicemente ombra; era legata da più lacci e nonostante tutto arrivava a toccare terra, solleticando due caviglie scalze. Il ragazzo che le stava davanti indossava quelli che sembravano dei pesanti ma comodi pantaloni medio-orientali che si intonavano con il colore dei suoi capelli. Il busto era praticamente nudo: solo una piccola magliettina stretta e un panno adagiato sulle spalle gli coprivano il petto, lasciando scoperto un fisico asciutto, forte.
Lilith alzò lo sguardo e incontrò due grandi occhi di un rosso scuro raccapricciante; dentro l’iride delle piccole pagliuzze scure si univano a formare cerchi concentrici attorno alla pupilla. Erano inquietanti. Per un attimo le parve che tessero scrutando direttamente la sua anima, che potessero scorgere le parti più recondite delle cose, e che con un battito di ciglia fossero capaci di metterle a nudo, distruggendole, sgretolandole sotto la forza intangibile che era quello stesso sguardo.

Durò poco più di un momento, però. Il Magi dell’impero Kou sembrò ridestarsi dalla lieve sorpresa che si poteva leggere sul suo viso; al posto di essa, lentamente, snudò i denti bianchi in un sorriso ferino «Ti sdrumo...» sussurrò con voce roca «Non ho mai sentito minaccia più ridicola.»

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Ho conosciuto Magi da una fanart. Non ricordo neanche bene quando, probabilmente stavo svagheggiando su internet senza molto da fare, quando vidi un disegno ritraente Judal e i principi dell’impero Kou. Ho subito pensato ehi, questo personaggio è un figo sembra interessante, mi devo leggere il manga!
Attualmente, è la mia serie preferita.

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Capitolo 2
*** Stupidamente coraggiosa... o forse no ***


Qualsiasi errore d'ortografia, passaggio incomprensibile, virgola fatemelo notare e magari frustatemi anche! Buona lettura.

 

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2. Stupidamente coraggiosa... o forse no

Lilith sbatté le palpebre; superata la sorpresa iniziale, stava iniziando a metabolizzare le parole del giovane che aveva davanti. Si stava prendendo gioco di lei, come si permetteva? Oh, quando avrebbe voluto rispondergli a tono e cancellare il sorrisetto sardonico da quel bel faccino.
Le cominciarono a prudere le mani dalla voglia di colpirlo. Quel tizio le stava antipatico a pelle. Provava una sorta di repellenza e disgusto nei suoi confronti, il che era strano, non le capitava spesso di provare sentimenti così chiari e netti, giudicare qualcun altro solo da un'occhiata era raro persino per lei che si affidava molto al proprio istinto.
Probabilmente la minaccia che rappresentava quel ragazzo era così grande che l'aveva addirittura avvertita.


“Devo andarmene da qui.”

Cercò di mantenere la calma: si pulì le mani sopra i pantaloni malconci e sollevò di nuovo lo sguardo, puntandolo quello del giovane «Io… sono inciampat-»

«Lo vedo che sei inciampata, anche se probabilmente sei l’unico essere umano che riesce a cadere quando c’è una folla così compatta.» la interruppe lui con voce sarcastica «Ora levati, devo passare.»

Lilith dovette conficcarsi le unghie nel palmo della mano per evitare di rispondergli a tono "Passare? Passare?! C'è un chilometro di spazio, di sicuro non sono un ostacolo così insormontabile!" Fece un grosso respiro e si voltò verso il lato opposto della strada, a quel punto tanto valeva attraversarla.
Nonostante stesse cercando di mantenere un certo autocontrollo, non riuscì non alzare gli occhi al cielo e per sua sfortuna il Magi la notò.

«Sai chi sono?» la sua voce la costrinse a fermarsi e a guardarlo di nuovo.

«...Sì, sei il sacerdote dell’impero Kou. Il Magi.» rispose con un tono leggermente sarcastico. Probabilmente la situazione in cui si trovava, più tutte le persone che la stavano guardando la rendevano più sfacciata del solito.

Lui incrociò le braccia al petto scrutandola attentamente, del sorrisetto di prima non c’era più neanche l’ombra «E… non ti interessa?»

«Beh…» ci pensò un attimo, poi si ricordò del puzzle «Ah! Se riesci a risolvermi questo, sì.» sollevò la tavoletta di legno mostrandogliela.

Vide con soddisfazione lo sconcerto negli occhi del moro e accennò un sorrisetto «Niente eh? Vabbè, non ti preoccupare, non ci riesco neanche io. Sarà per un’altra volta.» non aspettò una sua risposta, gli diede le spalle e se ne andò spintonando tra la folla che la guardava esterrefatta. 
Al contrario del cuore che le palpitava veloce nel petto, camminò lentamente con fare quasi annoiato. Avrebbe pagato oro per voltarsi e vedere che espressione avesse il Magi in quel momento ma si trattenne, conscia che non era il caso esporsi più di quanto non aveva già fatto.

Comunque, appena svoltò l’angolo si mise a correre velocissima, non riuscendo più a contenere un sorrisone vittorioso. Se avesse potuto si sarebbe baciata da sola, meritava un applauso, un corteo, una statua!! Gliel’aveva fatta vedere a quelle pecore che stavano ferme e buone con lo sguardo basso, piegandosi impaurite davanti ai potenti! Gliel’aveva fatta vedere anche al Magi e i suoi scagnozzi con il velo. Si sentiva… invincibile!
 


Arrivò al piccolo negozio a cui era diretta ed entrò senza neanche bussare, lanciandosi tra le braccia di una piccola e anziana signora che stava rimettendo a posto alcuni oggettini su un bancone, inevitabilmente quelli caddero a terra, provocando un gran rumore.

«Lilith!» la richiamò la vecchia signora, sorridendo di fronte all’impeto e l’innaturale affetto che mostrava la ragazza.

La giovane si mise a saltellare per la stanza, non riuscendo quasi a respirare per la corsa che aveva fatto «Vecchia non sai cos’è successo!!» senza darle il tempo di parlare, Lilith la prese per un braccio e la portò nel retrobottega, lì si spaparanzò su un divano malconcio e poggiò i piedi su un tavolino «Oggi bisogna festeggiare!»

«Le buone maniere, ragazzina!» la sgridò benevolmente la signora, mettendosi le mani sui fianchi e guardandola con curiosità «Che tu sia così felice è una novità, dov’è il solito muso lungo? Che guai hai combinato?»

Lilith ridacchiò e le fece cenno di aspettare, si alzò e riempì due bicchieri d’acqua porgendone uno alla vecchia e scolandosi l’altro. Si sedette di nuovo sul divano e accavallò le gambe, dandosi aria d'importanza. «Oggi ho sconfitto le autorità!» annunciò tutta impettita.

«Ma non mi dire!» commentò la signora, facendole il verso.

«No Halima, non hai capito! Oggi ho fatto davvero rimanere a bocca aperta l’intera città!» cominciò a raccontare, senza risparmiarsi neanche un dettaglio e aggiungendo cose qua e là, cercando di rendere tutto più fantastico di quello che effettivamente era stato.
Ma notò come lentamente le labbra di Halima, dapprima piegate in un dolce sorriso, si fossero lentamente  incurvate all’ingiù. Gli occhi marroni dell’anziana signora, un po’ acquosi e arrossati per la vecchiaia, le rivolsero uno sguardo severo; non c’era più traccia del divertimento di prima. Quando faceva quella faccia sembrava ancora più vecchia, i capelli bianchi con qualche ciuffo ancora castano le davano un’aria austera e seria, le rughe del viso si accentuavano.
Lilith conosceva bene quello sguardo e sentì la rabbia montarle dentro. Perché non era contenta anche lei? Perché non era mai fiera di quello che faceva?
Terminò il racconto e ammutolì, guardando la vecchia in cerca di risposte.

Halima si sedette sullo sgabello di fronte a lei, massaggiandosi le tempie «Certe volte mi chiedo cosa ti passi per la testa.»

Lilith diventò paonazza «Che cos’ho fatto?! -sbottò- Dovresti ringraziare che non gli abbia detto altro, non sgridarmi! Non sei contenta che abbia risposto per le rime a quel Magi?! Io n-»

«Non è questione di rispondere per le rime! Che faresti se venissero a cercarti e ti volessero fare del male? Ti difenderesti ancora con quella tua lingua lunga?» la interruppe alzando la voce Halima.

«Oh non fare la melodrammatica, vecchia!» sbottò Lilith, alzandosi dal divano «Pensi sul serio che mi verrebbero a cercare solo perché ho fatto vedere al Magi quel tuo ridicolo puzzle? Ma che stai scherzando?»

«Dovresti essere grata che non ti abbiano punito lì seduta stante, magari per dimostrare ai cittadini come comportarsi! Pensavo che fossi cresciuta, ti ho anche dato quel puzzle come segno della mia fiducia, ma a quanto pare sei solo una bambina!»

Lilith la guardò e per la prima volta le salì un amaro disgusto per quella donna. Fece cadere le braccia lungo i fianchi e abbassò le spalle «Se ti fidassi davvero di me, mi avresti lasciata andare via da qui senza dover risolvere uno stupido rompicapo.» sussurrò con voce abbattuta, gli occhi improvvisamente vuoti e freddi «Infondo sei uguale a tutti gli altri, debole, impaurita, semplicemente interessata a te stessa. Non vi annoiate della vostra vita insulsa? Perché non capite?»

Anche Halima le rivolse uno sguardo triste e severo «Ora resterai qui, non posso lasciarti andare in giro da sola. Dormirai da me per due notti, se poi vedremo che andrà tutto bene, potrai andare.»

«Mi rifiuto.» rispose con fermezza la giovane «Non resterò qui un momento di più, tienitelo il tuo puzzle, me ne vado.»

«No! Tu ora res-» non poterono dire altro perché dall’altra stanza si sentì un forte rumore di vetri rotti e delle risate maschili proruppero crudeli.

Dopo un attimo di sorpresa, Lilith si lanciò veloce verso la porta che dava sul negozio, facendo cenno alla vecchia di rimanere dov’era.
Vide tre uomini che stavano rovistando e distruggendo la merce; dalla porta spalancata, si poteva dire che erano entrati dopo averla sfondata e probabilmente i rumori di prima erano dovuti ai vetri delle piccole finestre che venivano mandati in frantumi dalle pietre che uno di loro si stava rigirando tra le mani.

Quella di Halima era una bottega d’antiquariato, vendeva ogni sorta di decorazione e oggetti antichi (Lilith li chiamava cianfrusaglie), lì si potevano trovare dalle cose più comuni ai pezzi unici. Era una stanza piccola ed insulsa, ma se si aveva pazienza e si rovistava tra la moltitudine di oggettini, si potevano trovare cose belle e interessanti. Lilith non l’avrebbe mai ammesso ma quei mobili ricolmi di roba, quei tavoli pieni di bilance, diari antichi, clessidre e statuette erano ormai diventati la sua seconda casa. Le davano sicurezza e tranquillità, come un rifugio magico dove poteva andare quando succedevano cose brutte.

A vedere quegli uomini che distruggevano le cose di Halima, le montò una furia cieca molto più forte, si accorse, della rabbia provocata dalla litigata di un attimo prima.

«Pezzi di merda! Che state facendo?!» non pensò molto al fatto che rivelarsi ai quei banditi era un'azione abbastanza stupida.
Si accorse che i bastardi erano due ragazzi qualche anno più grandi di lei e un uomo sulla quarantina, che teneva appeso al fianco un pugnale. Probabilmente erano dei ladri, di sicuro una ragazza e una vecchia non avrebbero potuto in alcun modo difendersi. Cominciò a sudare freddo.

«Uh?» l’uomo si girò e Lilith lo riconobbe: era quello che le aveva pestato il piede tra la folla. «Ecco la nostra piccola star! Ti se divertita lì in strada?» le si avvicinò e le afferrò un braccio torcendolo «A me però non sei piaciuta molto, cos’è che mi avevi detto? Mi volevi… strumare, eh? Beh, ti ho fatta seguire da questi miei due ragazzi, vediamo quanto coraggio hai ora!» ridacchiò sputacchiando e Lilith dovette fare uno sforzo per non arricciare il naso con disgusto.

«Allora, prima di tutto ho detto ‘sdrumare’, perché oggi correggo tutti voi stupidi analfabeti? E poi lasciami, o ti giuro che te lo calcio così forte che te lo faccio cascare!»

L’uomo le torse ancora di più il braccio, facendola gemere di dolore «Allora ragazzina vuoi giocare? Bene! Distruggeremo questo posto e giocheremo un po’ con te, chissà, magari se il Magi lo venisse a sapere ci premierebbe! Dovevi vedere che faccia che ha fatto quando te ne sei andata! Fossi in te ringrazierei che ti abbiamo trovato prima noi di lui.» sghignazzò contento e la lanciò addosso a uno dei due ragazzi.

«Allora…» canticchiò li giovane «La faccia non è niente di che, ma il corpo può andare... magari potremo anche venderti come schiava.» una mano le andò ad accarezzare la coscia e Lilith dovette mordersi il labbro a sangue per non urlare.

Gli altri due tizi risero ancora di più e ruppero altri quadri, specchi e cassetti, facendo battutine sconce e volgari.

Alla ragazza girava la testa. L'ondata di rabbia era passata e finalmente si rendeva conto della situazione in cui si trovava. Avvertendo la mano del ragazzo risalire lentamente lungo i pantaloni laceri e cercare di infilarsi sotto l'elastico che li teneva legati alla sua vita, si sentì mancare, il cuore cominciò a battere sempre più veloce.
"Nononononono!! Cazzo no!"
A volte si era figurata in situazioni del genere e, in un modo o nell'altro, era sicura che ne sarebbe sempre uscita sana e salva; ma lì era diverso, non era una sua fantasia dove metteva al tappeto tutte le persone che le volevano fare del male. Lì davvero, davvero stavano per-

Un forte colpo vibrò nell’aria e il ragazzo si accasciò a terra. Lilith appena sentì la stretta allentarsi schizzò verso la porta, pronta a scappare.
Ma un pensiero quasi doloroso la costrinse a fermarsi “Halima!” si girò e vide la donna tenere un grosso bastone tra le mani, probabilmente con quello aveva tramortito il ragazzo. Le dava le spalle, come per difenderla dagli altri due aggressori che ora le si stavano avvicinando «Vecchia, che cosa hai fatto?!» sputò l’altro ragazzo «Stai al tuo posto o ti uccidiamo!» l’uomo le si avventò contro, evitando il bastone e conficcandole il coltello in una mano. L’urlo di dolore di Halima fece quasi sanguinare le orecchie di Lilith che stava immobile sulla soglia, senza riuscire a muovere un muscolo.

L’anziana signora si voltò verso di lei e la guardò con lo stesso sguardo severo di poco prima, quando avevano litigato «Lilith, vai a cercare aiuto e se non lo trovi non tornare!» Lilith la fissò, gli occhi dilatati dalla paura «ORA!» urlò Halima. La ragazza quasi non si accorse di come il suo corpo si mosse, uscì dal negozio e corse come poche volte in vita sua, senza neanche sapere dove andava. Volò tra i vicoli più stretti, oltrepassò porte che davano sui cortili, superò discariche di cibo e quasi travolse un tizio che rovistava lì in mezzo.

Il sole era ancora alto nel cielo.

“Che sto facendo?” si chiese “Non ero io quella che non aveva paura? Non ero io che volevo combattere contro i cattivi? Perché sto scappando? Io… dove devo andare?” nonostante tutto, continuò a correre, cercando istintivamente di mettere più distanza che poteva tra lei e quegli uomini. Si accorse con crudele ironia che la donna a cui poco fa aveva dato della codarda si era dimostrata cento volte più coraggiosa di lei. L’aveva difesa, probabilmente ora la stavano picchiando o magari era già morta e Lilith non riusciva a far altro che correre.

Si bloccò, il cuore che le rimbombava nelle orecchie, la milza che le doleva. Si guardò i piedi “Muovetevi!” ordinò mentalmente “Muovetevi, devo tornare da Halima devo… salvarla…” niente, il corpo non le voleva dare ascolto.

«Allora, non scappi?» chiese una qualcuno dietro di lei.

Lilith si paralizzò. Conosceva quella voce un po’ roca e strascicata, anzi, l’aveva conosciuta giusto un paio d'ore prima.

Si voltò lentamente, l’adrenalina le faceva tremare le mani e le gambe.
Il Magi le stava di fronte, un ghigno stampato sul bel viso, le braccia conserte «Anzi, forse dovrei dire che finalmente ti sei fermata! Sei abbastanza veloce, ti sto seguendo da un po’ e mi chiedevo quando avresti ceduto.» le si avvicinò con passo lento e si chinò, guardandola dritta negli occhi «Ma non facciamo troppi convenevoli, ti voglio chiedere: non scappi più? Come mai? Sensi di colpa?»

Lilith era completamente sotto shock «D-da quanto mi stai seguendo?»

Lui scoppiò a ridere «E no piccola! Mi aspettavo una domanda più intelligente da te! Comunque, ho sentito le urla di quella vecchia e poi ti ho vista schizzare fuori da quel negozio come un fulmine e ti ho seguita, ma questo non è importante.» scosse il capo, ancora sghignazzando «La cosa importante è il perché tu ti sia fermata o perché sia scappata, non mi eri sembrata così vigliacca in strada... beh anche io posso sbagliarmi.»

«I-io…» Lilith abbassò la testa, non riuscendo neanche a sostenere lo sguardo del moro.

«T-tu?» la scimmiottò lui «Devi decidere, piccola, o scappi o torni. Sei in tempo per entrambe le cose in realtà, non credo che quei tizi volessero ammazzare qualcuno, potresti ancora essere in tempo per salvarla.»


Cosa faccio?” pensò Lilith “Cosa devo fare? Halima è ancora viva... posso anco-”

«O forse è morta.» le sussurrò lui all’orecchio «Quello che ti ho detto potrebbe essere tutto una bugia e in realtà quella è già passata all’altro mondo.»

Lilith gemette e si passò una mano sul viso. Stava impazzendo, non riusciva a pensare lucidamente, aveva i polmoni in fiamme e il cuore non accennava a calmarsi. Era un incubo, un terribile incubo. Solo che non si sarebbe mai svegliata, non avrebbe mai provato quel senso di sollievo che per un attimo appanna i pensieri e rilassa i muscoli, quando si realizza di essere appena riemersi dal pozzo senza fondo che è la propria mente.

Il Magi la squadrò di nuovo, poi le intrappolò il viso tra il pollice e l’indice e la costrinse a guardarlo negli occhi «Posso aiutarti.» sussurrò dolcemente.

Si liberò dalla stretta del Magi e fece un passo indietro «Cosa?» 

Lui le rivolse uno dei sorrisi più belli e luminosi che avesse mai visto «Posso, ma non lo farò.» e rise con quella voce dannatamente crudele «Scusami piccola, sto facendo il bastardo. Solo dai capiscimi, dopo quello che hai detto in strada dovevo vendicarmi in qualche modo. Mi annoio molto facilmente e così ho detto a quelli di Al Sarmen che mi volevo occupare io di te, pensavo saresti stata un piacevole passatempo. Per un po’ avevo in mente di ucciderti.» scosse di nuovo la testa «Ma ho deciso che sarà molto meglio farti vivere nella vergogna e nel rimorso. In fondo sei uguale a tutti gli altri, debole, impaurita, solo interessata a te stessa. Non ti annoi della tua vita insulsa?»

«In fondo sei uguale a tutti gli altri, debole, impaurita, semplicemente interessata a te stessa. Non vi annoiate della vostra vita insulsa? Perché non capite?»

«Mmh…» il moro la fissò ancora, pensieroso. Poi batté le mani contento «Ecco! Sai cosa potremo fare? Implorami.»

Lilith quasi non credeva alle proprie orecchie. Lo fissò con uno sguardo vacuo, semplicemente spiazzata.

«Implorami e prometto che ti aiuterò.» le ripeté lui lentamente «Solo questo, non è tanto difficile. Se vuoi posso anche giurare sulla mia vita.» si mise una mano sul cuore e assunse una posizione più solenne, quasi a ribadire il concetto che aveva espresso. Eppure la piega della bocca mostrava quanto le sue parole fossero irridenti, prive di qualsiasi buona intenzione.

Ma la bruna quasi non registrò quell'atteggiamento, si era fermata a ciò che aveva detto e... semplicemente non provava niente. O forse provava così tanto che tutto si era ammassato, divorato e annullato dentro di lei.

Implorami implorami implorami implorami implorami implorami.

Era strano, quella semplice parola aveva reso tutto più quieto e lontano. Non vedeva più neanche il viso del ragazzo, sentiva solo la sua voce che lentamente cambiava e si distorceva, trasformandosi in un tono completamente diverso.

Abbassò il viso, nascondendo gli occhi. Le spalle cominciarono a essere scosse dai singulti.

«Eeeh?» chiese lui deluso «Ora ti metti a piangere? E dai sei così noiosa! Credevo davvero potessi almeno farmi passare dei buoni cinque minuti…» ma non poté continuare perché la risata di Lilith lo interruppe, diventando sempre più forte; la bruna spalancò la bocca, sfoggiando un gran sorriso. Traspariva un'ilarità innaturale da quella smorfia, come se stesse sul punto di rompersi e diventare qualcos'altro, qualcosa di più profondo, a Judal pareva già di intravederlo: la mascella di Lilith si era irrigidita, l'ombra costantemente presente nel suo sguardo sembrava essersi ingigantita e teneva denti stretti, come se non volesse far uscire qualsiasi cosa si stesse agitando dentro di lei.

Ma prima che Judal potesse capire cosa fosse, la ragazzina piegò la testa in avanti e tossicchiò come se qualcosa le fosse andato di traverso. Sospirò pesantemente, buttando un po' giù le spalle
«...La sai una cosa? Ho implorato solo una volta nella mia vita. E ti giuro, preferisco morire che rifarlo. Ma mi è servito, grazie davvero! Almeno le tue parole mi hanno fatto capire cosa mi serve contro quei tizi.» alzò di nuovo il viso e lo fissò, gli occhi spalancati e un sorriso inquietante le deformavano il volto «Un odio puro e razionale.»

Il Magi sbatté gli occhi sorpreso, si era aspettato di tutto ma non una reazione del genere. Non parlò, quasi avesse paura di infrangere quel momento con il suono della sua voce; si limitò a sollevare gli angoli della bocca, ricambiando quasi inconsapevolmente il sorriso che gli era stato rivolto.


“Ha gli occhi grigi, non me ne ero accorto.” erano belli, sembravano rilucere e illuminare la nuova espressione che avevano assunto i suoi tratti.

Forse, quella ragazzina lo avrebbe intrattenuto per più tempo di quello che credeva.


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Ebbene, sono viva! Lo so avevate perso le speranze, ma non demordo! Sono rinata come la fenice di Albus Silente dalle strazianti fiamme di quello che scioccamente chiamano studio! *risata da pazza isterica*

Scrivevo a pezzi, appena avevo tempo ma il risultato è sempre stato insoddisfacente e solo oggi sono riuscita a concludere il capitolo in una maniera che più o meno mi piace.

Non so, fatemi sapere voi: sto facendo accadere le cose troppo precipitosamente, lo stile di scrittura, Judal, Lilith... tutto.

Spero vi sia piaciuto questo secondo round e se recensite mi fate tanto contenta ^^
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Il corpo a corpo non è il suo forte, alternative? ***



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3. Il corpo a corpo non è il suo forte, alternative?

Lilith aveva fatto a botte una volta sola. Data la sua statura era comprensibile, la buona volontà non era tutto per vincere una scazzottata.
Lilith aveva fatto a botte una volta sola e aveva miseramente perso. Aveva circa sette anni quando successe, a quei tempi viveva ancora a Magdas, una città sulla costa. Era riuscita a rubare un pezzo di pane e stava correndo come un fulmine lungo il litorale, quando un gruppo di ragazzi l’aveva fermata ed era stata costretta a consegnare la sua pagnotta. No, non era in quel momento che aveva fatto a botte, nonostante il suo caratterino, Lilith sapeva riconoscere quando era inutile combattere (in quei casi, urlava qualche insulto e se la dava a gambe senza troppe cerimonie).
Fu mentre tornava al suo rifugio, frustrata e arrabbiata per quella pagnotta, che vide un bambino più o meno dei suoi stessi anni, con una grande fetta di melone tra le mani. Non si fece molti problemi, era povero e mal nutrito anche lui, sarebbe stato facile convincerlo: gli comandò di consegnarle il cibo e andarsene oppure lo avrebbe ucciso con il suo pugnale. Non avrebbe mai pensato che il bambino fosse così disperato da lanciarsi contro di lei senza neanche farle finire il discorso. Lilith era piccola e debole e non era pronta ad usare un vecchio pugnale arrugginito, infatti fu facile per il ragazzino strapparglielo di mano e lanciarlo lontano, poi prenderla a pugni e correre via.


Da quell’esperienza, Lilith dovette ammettere a se stessa che lo scontro corpo a corpo non era il suo forte e che si sarebbe dovuta limitare a calci o pugni in punti ben mirati, per poi scappare via con il bottino.

Ecco cosa intendeva con “odio puro e razionale”, non doveva avere quella furia cieca che la spingeva a lanciarsi contro qualcuno, senza pensare alle conseguenze.

Doveva provare a pensare, per una volta 
non doveva essere se stessa e cercare di diventare una persona che ragionava, raffreddando i suoi bollenti spiriti, come diceva sempre Halima.

«Quando ti agiti, bevi una tisana. E quando non ce l'hai, il che succede quasi sempre dato che non abbiamo i soldi per comprarci le erbe e gli infusi necessari, immaginati di averla, richiama alla mente la sensazione di quiete e di pace che ti dà. Poi apri gli occhi e ragiona.»

Corse tra i vicoli guardando tutti i negozi, cercandone uno in particolare. Il negozio di Halima faceva parte di uno dei grandi empori della città, quindi in quelle vie c’erano solo negozietti. Quello era l’orario più caldo, quando i mercanti tornavano nelle case o si chiudevano nelle loro botteghe per mangiare e riposarsi e per le strade non c’era anima viva.

«Perché non fai come ha detto quella vecchia e chiedi aiuto a qualcuno?» la voce del Magi accanto a lei la fece quasi sobbalzare. Il ragazzo aveva deciso di seguirla, le stava dietro quasi volando, solo alcune volte poggiava di nuovo i piedi a terra e si dava una spinta per poi tornare in aria. Lilith si era imposta di ignorarlo doveva concentrarsi su Halima.

"Sangue freddo, sangue freddo, sangue freddo"

«Credo che la vecchia, dicendo così, stesse solo cercando di spaventare quei bastardi.» gli rispose «In questo quartiere mi odiano quasi tutti, come minimo ho rapinato metà dei negozi qui intorno e tentato con l’altra metà, nessuno vorrà aiutarmi.» vide una bottega con il tetto verdognolo e una finestra mezza rotta. Era quella che stava cercando. Ci si diresse a tutta velocità e spalancò la porta «Tch, quello stupido non ha ancora capito che deve chiudere.» sorrise.

"Tisana." Era una stanza piena di ceste di tutte le dimensioni, appese al soffitto o ammassate in alcuni angoli, grandi tappeti laceri e rovinati impedivano alla luce di filtrare dalle finestre, creando una lieve penombra. L’aria era pregna di aromi di erbe selvatiche. Stando in silenzio si potevano sentire dei lievi sibili.
"Sangue freddo." Lilith camminò lentamente verso uno scaffale e afferrò un piccolo flauto nascosto sul fondo che si confondeva con il legno del ripiano. Nessuno sarebbe riuscito a notarlo a una prima occhiata, il che dimostrava che la ragazza c’era stata più d’una volta in quella strana bottega.

"Ragiona!" D’un tratto grande serpente color rosso fuoco con due teste si avventò contro Lilith, sibilando furioso, pronto ad attaccare, ma prima che  potesse morderla la ragazza soffiò forte nel flauto facendo uscire una nota acuta e stonata. Dopo un attimo di incertezza, il serpente cominciò a ondeggiare, liberandola dalle sue spire e osservandola con curiosità.

Lilith afferrò l’animale per i due colli, prese una cesta vuota e lo chiuse dentro. Si voltò verso il Magi. Lo intravide nascondere dietro la schiena una piccola stecca con qualcosa di rosso sulla cima. «…Come avrai capito il proprietario di questo negozio è un ammaestratore di serpenti.» cominciò a spiegare, ignorando lo strano comportamento del ragazzo «Di solito tutti i serpenti dei negozi sono senza zanne, oppure gli sono state tolte le ghiandole del veleno. Ma si dice che in questa bottega ce ne sia uno velenosissimo che Abhay, il proprietario, tiene libero quando lui non c’è, in caso che qualche ladro si intrufoli.» ridacchiò e sollevò la cesta sigillata, tentando di non far notare il lieve tremito delle mani, non le succedeva tutti i giorni di trovarsi faccia a faccia con quel serprente «Ti presento Pamela. Abhay è molto chiacchierone quando è ubriaco e visto che qui dentro oltre ai serpenti tiene anche del cibo, dovevo avere questa informazione. In pratica solo questo flauto la tiene a bada.»

«Mmm…» il ragazzo incrociò le braccia al petto «E quindi? Lascerai quel… coso nella bottega sperando che li morda? Non potrebbe uccidere pure la vecchia?»

Lei ci pensò un attimo, poi gli diede le spalle e si diresse verso gli altri cesti.

 


Dal negozio provenivano ancora urli e rumori, probabilmente quei ladri avevano trovato qualcosa di valore e non avevano intenzione di andarsene tanto presto.
Lilith prese un gran respiro e spalancò la porta del negozio.

I due uomini (il terzo era ancora svenuto per la bastonata che gli aveva dato Halima e non sembrava che gli altri se ne curassero più di tanto) si girarono verso di lei e il più vecchio cominciò a ridere «Ma allora sei stupida! Che fai ragazzina? Avevamo in mente di venirti a prendere dopo aver finito qui ma a quanto pare vuoi proprio farti del male, eh?»

«Sapete, dopo aver pensato ai vari modi di uccidervi, ho scelto a quello più divertente da vedere.» disse lei, l'adrenalina le scorreva nelle vene, il cuore batteva a mille «Però, potrei occasionalmente decidere di risparmiarvi se mi fate vedere dov’è la vecchia che avete codardamente attaccato.»

Silenzio. I due la guardarono con una faccia ebete e poi ricominciarono a sghignazzare «Ucciderci? E come faresti? Ecco la tua nonnetta comunque, le abbiamo fatto sbattere la testa, prega che non ci sia rimasta stecchita, anche se… sarebbe ora!» il ragazzo rise per la sua stessa battuta e calciò il corpo di Halima sdraiato per terra, svenuta -o forse morta-.

Lilith stringe forte i pugni, prese un altro respiro e afferrò un grande cesto e una cassa. I due non fecero neanche in tempo a muoversi che la ragazza si fiondò verso di loro lanciandogli il contenuto della cassa. Vennero investiti da uno strano liquido puzzolente «Latte?!» sputacchiò uno.

«Ma bravo!» urlò Lilith e aprì la cesta, lanciando anche quella contro gli uomini. Subito, uscirono una montagna di serpenti aggrovigliati fra loro che veloci si diressero verso i ladri, attratti dall’odore del latte. I due cominciarono ad urlare come pazzi «Levali, levaliiii!!» «Cazzo, mi ha morso! Muoio!» «Aiuto!!!» si dimenarono, uno inciampò e finì a terra e cominciò a contorcersi terrorizzato, mentre l’altro arrancò verso l’uscita sbattendo contro le pareti.

Lilith si avvicinò ad Halima e le mise una mano sul petto. Batteva. Il cuore batteva. Sospirò di sollievo. La trascinò velocemente verso la porta del retrobottega e la chiuse dentro appena in tempo, il ladro rimasto nel negozio la afferrò per una spalla e la buttò per terra. Era un po’ strano, urlante e pieno di serpenti, se non fosse stata in quella situazione Lilith sarebbe probabilmente scoppiata a ridere.

«Brutta puttana!» l’uomo sfoderò il pugnale e le si lanciò addosso, ma la ragazza (per una volta la sua bassa statura le fu d’aiuto) rotolò sotto un tavolino e lui inciampò nei suoi stessi piedi, andando a finire sull’uscio della porta.

Ora molte persone erano uscite in strada e guardavano spaventate il macabro spettacolo dei due che si rotolavano al suolo, cercando di togliersi i serpenti di dosso. Anche Lilith uscì e proruppe nella risata più forte e teatrale possibile «Bastardi! Ve la siete voluta! Ricordatevi sempre questo nome: Lil-» sfortunatamente la sua frase ad effetto venne interrotta da un forte colpo alla testa. Cadde a terra intontita e si trovò sopra il terzo di quei malviventi che si era risvegliato.
La prese per la maglietta, portandola vicina al suo viso e le diede un forte pugno che la fece cadere di nuovo al suolo a bocconi. Infuriato le schiacciò forte la testa con la scarpa, facendole mangiare la terra e iniziò a urlare agitando il pugno, pronto a colpirla di nuovo ma si fermò. Si guardò intorno e vide tutte le persone che li fissavano, qualche uomo aveva già preso dei bastoni «Cosa vogliono?» «Sono ladri?» «Hanno derubato il negozio dell’anziana?» «Stanno picchiando quella ragazza?» «Mandateli via!» «Farabutti!»

Sgranò gli occhi e indietreggiò impaurito, la mano al pugnale. Menò qualche fendente, ordinando a tutti di stare indietro ma si accorse che erano troppi. Dopo qualche attimo di esitazione corse verso i suoi compagni e i tre scomparvero dietro un angolo.

Lilith 
si rimise in piedi tossendo, il cuore che batteva forte, il corpo dolorante. «C-c’è Halima lì dentro ed è stata ferita, vi prego aiutatela!» urlò e sfruttò la sorpresa della gente per scappare via anche lei, conscia del fatto che più o meno tutte quelle persone sapevano chi fosse. Di certo con lei intorno nessuno avrebbe voluto aiutare Halima.

Corse per la terza -quarta? Ormai aveva perso il conto- volta tra i vicoli stretti della città, superando tanti negozi, ponti e edifici di ogni genere e quasi non li vedeva, nella mente sfilavano solo immagini di tutto quello appena successo. Era stato così veloce che quasi non se ne era accorta: i serpenti, i ladri... un successone.
Entrò in un piccolo fienile abbandonato, si buttò sulla paglia sporca e aspettò finché il respiro non ritornò normale. Si accorse che quel giorno non aveva fatto altro che correre.

"Ma Halima sta bene... sta bene... grazie grazie grazie." non era solita ringraziare qualcuno, credeva fermamente che non esistesse niente al di sopra o al di sotto degli esseri umani, che tutti fossero uguali, che nessuno controllasse e regnasse su di loro. Eppure sentiva il bisogno di esprimere la propria gratitudine, anche solo al mero "caso". Non si era mai ritenuta una persona fortunata ma avrebbe sempre potuto cambiare idea. Perché cazzo se erano andate bene le cose!

Non seppe neanche lei perché, ma cominciò a ridere. Agitò le gambe in aria e in un moto di euforia, con un ringhio vittorioso, lanciò la paglia in alto, guardando i piccoli fili svolazzare qua e là per poi posarsi di nuovo a terra.
C'era solo silenzio. I rumori del paese, le grida, i versi degli animali, tutto era attutito dalle pareti del piccolo fienile che in quel momento sembrava il posto più sicuro del mondo. Lilith fissò il pulviscolo librarsi in aria, rivelato dai raggi del sole che filtravano pigri dalle finestrelle. Le sembrava di stare in una bolla che girava e girava; respirò a fondo e chiuse gli occhi, gustandosi la quiete che la circondava.

Un battito di mani proruppe nel tranquillo silenzio della stanza, facendola uscire dallo stato di dormiveglia in cui si era già assopita. La ragazza alzò di scatto il busto e vide all’entrata colui che la stava tormentando ormai da un bel po’: Il Magi, di nuovo. Lilith cominciò a sudare freddo, ora che il pensiero di Halima non c’era più, sembrò improvvisamente ricordarsi chi era davvero il ragazzo.

«Sì sì, brava applausi! Insomma sei riuscita a battere quei tre, devo dire che non me l’aspettavo.» le si avvicinò, il sorrisetto strafottente di nuovo sul viso «Però… speravo di divertirmi di più, cioè, lo sguardo che mi hai lanciato prima nel vicolo, sembrava promettere come minimo una strage. Invece hai usato quei serpenti senza veleno…» sembrava quasi deluso, crucciato.

Lilith lo squadrò «…All’inizio, avevo intenzione di ucciderli.» ammise con un sospiro «Volevo fare la stessa cosa ma usando Pamela, i serpenti sono attratti dall’odore del latte e Pamela è veloce, anche se fossero stati cinque sarebbe riuscita ad ammazzarli.» si alzò per fronteggiarlo.

«Ma poi hai cambiato idea.» concluse lui «Perché?»

«Non mi piace uccidere.»

«Il che fa presupporre che tu l’abbia già fatto.»

«Ti potrà sembrare strano, ma sono piena di sorprese.»

Lui ghignò «Oooh, non ne dubito! Ma addirittura uccidere qualcuno… chi era?»

La bruna sospirò stanca, si passò una mano sul viso e tra i capelli sporchi, desiderando ardentemente che quella giornata finisse «Un piccolo bambino con una grande fetta di melone.»

Lilith aveva fatto a botte una volta sola e aveva miseramente perso, ma poi si era rialzata, il corpo stremato che pregava, agognava per del cibo. Non si poteva vivere in quel modo, quella non era vita, voleva solo da mangiare, per una volta voleva stare bene, non come se stesse per vomitare mezzo intestino per colpa degli acidi nello stomaco. Non voleva. Basta.
Aveva afferrato il piccolo pugnale e lo aveva lanciato contro il bambino che correva via. Mai aveva pensato di riuscire a conficcarlo in quel magro e morbido collo, facendo zampillare il rosso vivo, seguito da un rantolo di dolore che mai si sarebbe scordata. E c'era tutto quel sangue... che bel colore. Che bel colore.


«E...?»

«E cosa?»

«Com’è successo? Quando? Perché l’hai fatto?» gli occhi del Magi la scrutavano attentamente e di nuovo Lilith ebbe l’impressione che non la stessero semplicemente guardando. Davvero, quelle pozze cremisi fin dove potevano vedere?

«Non penso che lo dirò a uno come te.» ringhiò lei, sentendo ancora una volta la rabbia chiuderle lo stomaco, le mani che prudevano dalla voglia di prendere a schiaffi quel bel visino.

«Uno come me?» le si avvicinò ancora di più «Piccola, potrei offendermi.»

«La vuoi smettere di chiamarmi in quel modo? È fastidioso, non sei divertente, solo stupido e infantile! Mi chiamo Lilith, Lilith okay?» pestò i piedi con rabbia, non trovando altro modo di sfogarsi.

Lui invece rimase tranquillo, con un leggero sorrisino, continuando a squadrarla. Prese un grande respiro «Li~li~th.» cantilenò piano, facendo rotolare ogni lettera del nome sulla lingua, allungando le vocali con quella voce bassa e strascicata, socchiudendo leggermente gli occhi, come se volesse assaporarne ogni suono. Un brivido scivolò lungo la schiena dell’interpellata che si pentì subito di averglielo detto.

«Lilith.» ripeté lui «Mi piace! Mi hai fatto vedere quello strano rompicapo, sono stato insieme a te mentre venivi quasi uccisa da quel serpente e ora mi dici il tuo nome. La prossima volta che facciamo, usciamo ufficialmente insieme?» chiese sfacciato, con una punta di malizia negli occhi.

La ragazza non si diede neanche la pena di arrossire. Anzi, si impose di non farlo, non avrebbe dato a quel bastardo neanche una soddisfazione. Dunque si limitò ad alzare gli occhi al cielo «Abbiamo finito?»

«Finito?» scoppiò a ridere «Non credo proprio, siamo solo all’inizio, piccola Lilith.» era ufficiale, la “piccola Lilith” voleva triturarlo in tanti pezzettini, saltarci sopra e magari poi triturarlo di nuovo.

Il Magi si allontanò e fece per uscire, poi sembrò ricordarsi qualcosa. Si girò di nuovo verso di lei e disse: «Tieni gli occhi puntati al cielo, piccola. Judal non ha finito con te.»

Lilith sbuffò, mettendosi le mani sui fianchi «È una minaccia?»

«Oh no, è una promessa.» le concesse un ultimo sorriso e volò via.

Tornò il silenzio e per parecchi secondi la ragazza rimase imbambolata a fissare il punto in cui prima c’era il Ma-«Judal.» sussurrò piano.
«È Judal.» diede un forte calcio al fieno sparso per terra, si mise le mani tra i capelli e urlò con tutto il fiato in gola.

“Quel... bastardo!”

 


Tre personaggi loschi, con i vestiti laceri e sporchi di terra, camminavano inferociti dall’altra parte del paesino «Quella stronza.» imprecava a gran voce uno «Gliela faremo pagare! Si pentirà di essere nata!» gli altri due annuivano e urlavano a loro volta, usando epiteti volgari e bestemmiando, augurando tutti i mali del mondo a una certa persona.

«Sapete cosa facciamo? Questa sera, torniamo lì e uccidiamo la vecchia davanti ai suoi occhi. Poi uccidiamo anche lei.» «Sì! Sì! Magari prima la stupriamo e poi la uccidiamo!» «Anzi, prima le caviamo gli occhi!» «Le stacchiamo le dita!»

Ma non doveva andar proprio come volevano. Si alzò un leggero venticello e l’aria divenne d’un tratto più fredda. Nonostante fosse estate, i tre farabutti rabbrividirono. Anche se nessuno disse niente, una strana angoscia scese sul gruppetto e la paura che qualcosa -o qualcuno- stesse per arrivare si fece sempre più palpabile.

Poi, come a confermare le loro paure, una voce parlò «Voi non farete proprio un bel niente.» un giovane uomo con i lunghi capelli neri e gli occhi rossi atterrò davanti a loro, quasi come fosse caduto dal cielo. I tre si misero ad urlare indicandolo, sorpresi e terrorizzati.

«Aah non urlate, state sempre ad urlare, odio quando lo fate.» Judal si passò una mano tra i capelli «Dovreste conservare la voce per quando davvero ne avete bisogno… ma sapete che c’è? Per oggi avete strepitato abbastanza, facciamo che partirò dalle corde vocali okay? Così nessuno ci scoprirà.» alzò con fare annoiato la sua bacchetta e l’ambiente si riempì di rukh bianchi e neri. Le pareti si macchiarono di sangue e nessuno in tutta la città udì le urla silenziose di quei tre poveri ladri. Di sicuro, il giovane Magi passò un pomeriggio tranquillo.
 


Per tre giorni Lilith non aveva avuto il coraggio di andare a vedere come stava Halima. La vergogna di ripresentarsi davanti all'amica era troppa, come si sarebbe dovuta comportare? Non aveva dubbi sul fatto che Halima l'avrebbe riaccolta a braccia aperte, rivolgendole il suo solito caldo sorriso, magari anche più bello delle altre volte, dove si sarebbe potuto leggere sollievo e felicità nel rivederla. Questo pensiero non faceva altro che mettere ancora più in difficoltà la ragazzina. In fondo era scappata, l'aveva lasciata indietro pensando solo a se stessa. Nonostante poi quella scelta si era rivelata essere la migliore, dato che aveva potuto prendere i serpenti e agire contro i briganti, l'atto in sè era stato davvero orribile. Lilith odiava la vigliaccheria eppure si era comportata proprio in quel modo, abbandonando l'amica al suo destino.
Poi la continua paranoia di essere seguita da quei bastardi la perseguitava; ogni volta che usciva fuori dal vicoletto dove solitamente dormiva, si guardava in torno ansiosa, tendeva l'orecchio appena le sembrava di sentire qualche rumore sospetto e ogni volta che si trovava in luoghi affollati le sembrava di scorgere quei briganti. Non voleva mettere in pericolo Halima di nuovo, così aveva deciso di stare lontana per un po', tanto probabilmente c'erano i negozianti dei bazar vicini a prendersi cura dell'anziana signora.
Eppure quella situazione non durò molto. Il quarto giorno, dopo aver gironzolato per il paese senza più aver nulla da fare, annoiata a morte, decise che fare una capatina al negozio di cianfrusaglie, giusto per vedere come andavano le cose, non era una cattiva idea. Quando fu lì , non riuscì a non entrare. Trovò la vecchia nel retrobottega, con una donna che si prendeva cura di lei. Halima aveva passato le giornate a sonnecchiare nel suo letto, la mano ferita era stata fasciata con delle erbe e il bernoccolo che aveva in testa era praticamente andato via. Niente la rese più felice di rivedere Lilith sana e salva.

Congedò la donna, dicendo che la ragazza avrebbe preso il suo posto.
Non volle parlare né della loro litigata né di quanto male le avessero fatto i ladri. Voleva parlare solo dell’impresa che Lilith aveva compiuto con quei serpenti, ormai nel quartiere non si parlava d’altro.
La ragazza seppe che Abhay, l’ammaestratore di serpenti, era adirato e si era presentato spesso alla porta di Halima a chiedere un risarcimento per i serpenti persi e il latte sprecato. Ma dato che fino a prova contraria la vecchia non aveva avuto parte nella brillante trovata di Lilith, Abhay non potè fare niente se non giurare ogni volta che sarebbe tornato. 
Ma quelli erano problemi da niente, ci avrebbero pensato un’altra volta; dovevano parlare, parlare e parlare. Lilith non riuscì a tenere per sé neanche una cosa: le raccontò tutto, del Magi, dei serpenti, del Magi, dello scontro con i malviventi, del Magi. Halima per un primo momento si spaventò e stette sul punto di sgridarla di nuovo ma poi vide l’euforia e la rabbia che quel volto giovane trasmetteva e si zittì, ascoltando attentamente ciò che le veniva raccontato.
«Se non ti conoscessi bene, direi che ti sei presa una cotta per quel Magi.» dopo l’affermazione della vecchia, Lilith si alzò e affermò che andava a vomitare, suscitando l'ilarità della sua amica.

Passarono quattro giorni così, una strana ed innaturale quiete felice aleggiava intorno al negozio e sembrava che non sarebbe mai finita. Lilith aveva steso un materasso accanto a quello dell'amica, decidendo che per alcune notti sarebbe rimasta a dormire lì per farle compagnia e aiutarla in casa.
Era tutto tranquillo e divertente: con le poche cose che c'erano la ragazza faceva da mangiare e nonostante il cibo fosse sempre sciapo, Halima affermava che non mangiava così bene da anni. Di sera, quando si stavano per addormentare, la vecchia le raccontava storie, oppure le chiedeva di nuovo come fosse riuscita a entrare nel negozio di serpenti e catturare Pamela.
Halima rimandò le raccomandazioni o gli avvertimenti, sapeva che il Magi avrebbe mantenuto la promessa, Lilith non era al sicuro. Ma non riuscì a dire niente alla ragazza, non voleva rovinare gli unici momenti che passavano insieme senza che Lilith la insultasse o urlasse per un nonnulla. Quindi continuò a rimandare, sperando che il pericoloso ragazzo si attardasse, cercando di nascondere l'ansia che la opprimeva e alle volte dimenticandosene perfino, incredula di poter passare così tanto tempo serenamente con Lilith.

Ma quella tranquillità non sarebbe durata per molto.

Era pomeriggio e la ragazza stava pulendo la bottega che Halima aveva deciso di chiudere per almeno un mese. C’era davvero tanto da rimettere a posto e le sarebbero volute settimane per scovare tutti i pezzi degli oggetti che i ladri avevano rotto, trovare il materiale per ricostruire le finestre e ricomprare i mobili che erano stati danneggiati. Insomma un lavoraccio e Halima nelle sue condizioni non poteva di certo farlo.
Comunque, tutto sembrava essere più o meno tornato alla normalità: come suo solito Lilith era incavolata nera, un po' per il caldo, un po' per il cibo che aveva cominciato a scarseggiare, un po' perché non era mai contenta e in più le facevano male le braccia, non vedeva l'ora di finire di risistemare. 

D’un tratto la porta si aprì. «Non vedi che casino che c'è qua dentro? Siamo chiusi. Vattene, riapriremo tra un mese dopo aver rimesso a posto» disse Lilith bruscamente, senza neanche alzare lo sguardo.

«Che cattiva, dopo una settimana che non ci vediamo, mi rifiuti così?» la ragazza quasi saltò per lo spavento, conosceva quella voce. Non fece in tempo a dire niente che una mano le tappò la bocca e si ritrovò a pochi centimetri due occhi rossi tremendamente familiari. Judal si poggiò il dito indice sulla labbra, facendole segno di tacere e indicando l’esterno. Lilith lo guardò male e scosse la testa ma lui la prese per un braccio e cercò di trascinarla.

«Halima, esco per un po’!!» urlò alla vecchia che stava nell'altra stanza e non poté neanche sentire la risposta, che il Magi la spinse oltre l’uscio.

«Che cavolo f-» Judal alzò gli occhi la cielo, la ragazzina stava per cominciare a sbraitare di nuovo. Senza neanche lasciarla finire, la prese in braccio e spiccò il volo, alzandosi sopra i tetti del paese. Le rivolse un sorrisetto furbo e si lanciò verso i confini della città, assaporando l'aria calda che sferzava forte sul viso.

Lilith non poté far altro che urlare per la spaventosa altezza.


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Non molto convinta di questo capitolo, spero davvero mi facciate sapere che ne pensate.
Come sempre, grazie anche solo a chi legge. Alla prossima!!

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Capitolo 4
*** Imparare a conoscersi senza morire neanche una volta è parecchio complicato ***


Weilà gente! Bisogna festeggiare le vacanze di Natale no? Quindi ecco qui, sono tornata! Buona lettura.

 

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4. Imparare a conoscersi senza morire neanche una volta è parecchio complicato

I paesetti del continente erano sempre molto caotici, pieni di spettacoli, grida, negozi e aromi di ogni genere. Alla fine uno ci si adattava e quel gran caos diventava routine, il caldo soffocante si trasformava nel normale clima del luogo e il paesaggio, pieno di palme, datteri e sabbia, diventava casa. L’essere umano era fatto per adattarsi all’ambiente in cui viveva, chi prima, chi più tardi.

Ma Judal odiava il caldo in una maniera quasi ossessiva. Non riusciva proprio ad abituarsi all’afa e a quella costante luce che gli feriva gli occhi.
Aveva insistito più del solito con quelli dell’organizzazione per rimanere ad est, o magari andare nel fresco settentrione da Hakuei, che stava cercando di sottomettere le tribù Koga. Perché quei vecchi si erano impuntati a voler conquistare le terre del sud? Quello stupido maiale dell’imperatore aveva deciso di far maritare Kougyoku con un certo re della città di Balba-qualcosa e nessuno si era degnato di sentire la sua opinione, insomma, Kougyoku aveva appena conquistato un dungeon, quindi non facciamola combattere per l’esercito, facciamola sposare! Non che gli importasse qualcosa di tutti quegli affari diplomatici, solo non vedeva perché anche lui fosse dovuto andare con loro.
Poi, erano arrivati in un insulso paesetto molto fornito di grano e altri viveri, quindi importante per l’approvvigionamento degli eserciti, almeno così gli era stato riferito (il che contraddiceva l’aggettivo “insulso” di poco fa, ma per lui restava inutile e noioso. Punto, fine discorso e grazie tante.). E lì, mentre passava per la strada principale, gli era rotolata davanti una piccola ragazzina dagli occhi grigi.

Forse andare a sud non era stata una cattiva idea.

Ma continuava ad odiare il caldo. Così aveva deciso di portare Lilith nel boschetto al di fuori del paese, dove le fronde degli alberi facevano ombra sul terreno riarso dal sole e la brezza calda, frusciando tra le foglie e i rami delle piante, diventava più fresca e piacevole. A Judal piaceva molto la quiete di quel luogo.

«Hai intenzione di rapirmi?!» ma la tranquillità doveva venir rotta dalle grida della piccola ragazza sull’orlo di una crisi isterica.

«Dai, io non direi rapire, solo presa un attimino contro la tua volontà.» Judal si sventolò una mano davanti al viso, facendole segno di calmarsi.

«È la stessa maledettissima cosa!!» sbraitò lei, gesticolando a più non posso, i capelli più crespi del solito le davano un aspetto infantile ma anche combattivo, sembrava un piccolo gattino che cercava di fare la tigre. Judal sorrise «Quanto sei esagerata.»

«Mi metto a urlare.»

«Prego,» il ragazzo spalancò le braccia «sono sicuro che orde di soldati armati di spade e scudi accorreranno in tuo aiuto!»

Lilith batté i piedi a terra, si guardò un po’ intorno, fece il giro di alcuni tronchi, scrutò attraverso la boscaglia. Ma alla fine ci rinunciò e con un gemito di frustrazione si sedette a gambe incrociate, la schiena appoggiata contro il tronco di un albero. Non c’era nessuna via d’uscita, nessuno l’avrebbe sentita. «Allora? Perché mi hai portato qui?» domandò con un tono a dir poco omicida. Odiava quella situazione, odiava stare in compagnia di quel… quel… quell’essere.

Judal, che per tutto il tempo l’aveva osservata alquanto divertito, le si avvicinò un po’ «Uhm… non so… Perché ti ho portata qui? Chissà.» ghignò apertamente, sapendo che non avrebbe fatto altro che far infuriare ancora di più la ragazza.

Lilith abbassò il viso e si stropicciò gli occhi «Non ci credo, stai davvero cercando di farmi impazzire? Dacci un taglio e rispondimi.»

Lui mise il broncio «Sei così noiosa, potresti stare al gioco almeno un po’.»

«È proprio per questo che non ci sto.»

«Per essere noiosa?»

«No, per giocare.»

Judal sgranò teatralmente gli occhi e si mise una mano sul cuore «Ma allora sei proprio noiosa!» affermò con una voce esageratamente sconvolta.

«Felice di non esserti utile.» gli rispose, guardandolo da sotto in su «Ora dimmi perché sono qui.»

«Che ti importa? Tanto non hai niente di meglio da fare.»

«Forse dovrei star a pulire il negozio di Halima.» ribatté lei.

Il Magi alzò un sopracciglio e fece un sorrisetto sarcastico «Wow, tutta vita.»

«Non tutti sono te.»

«Non ti viene mai il torcicollo?»

Lilith lo guardò, confusa per il repentino cambio di argomento «Perché?»

Judal mise una mano davanti a sé, poco più in basso del petto «Sei bassissima!»

«…….» la ragazza dovette contare fino a dieci e fare un grosso respiro solo per tentare di calmarsi. Non ce la fece, quindi si alzò di scatto e gli diede le spalle, cominciando a camminare veloce tra i cespugli.

Il Magi le fu subito accanto e assunse un tono preoccupato «No, davvero, è impressionante! Hai almeno pensato di farti visitare da qualcuno? Quando hai smesso di crescere? A sette anni?» la verità? Si stava divertendo un mondo. Il che non capitava spesso, e dire che stavano insieme solo da dieci minuti.
Lei cercò di non ascoltarlo, scansando le alte erbacce che si trovava davanti, ma il ragazzo non demordeva «So di una malattia che a una certa età, invece di farti crescere ti fa abbassare, non è che potresti ess-»
Lilith si fermò di scatto e si voltò verso di lui, lo sguardo terrorizzato in viso «Davvero?!» strillò. Judal fece qualche passo indietro, sorpreso da quella reazione.

Piombò il silenzio tra i due, non si sentiva altro che il frusciare del vento tra i rami e il ronzio di qualche insetto. «Certo.» asserì quindi il Magi, serissimo «È per questo che te l’ho detto, sono preoccupato.» dovette mordersi l’interno della guancia per non ridere «Ah, ce n’è anche una che ti toglie completamente il senso dell’umorismo, di sicuro ne sei affetta.»

Altro momento di silenzio. Judal poté quasi sentire il cervello di Lilith che elaborava ciò che aveva detto. Questa volta, la ragazza non riuscì a non arrossire. Si mise le mani tra i capelli e pestò di nuovo i piedi a terra. «Mi stai prendendo in giro!! Giuro che ti ammazzo!»

«…Come hai fatto con quel bambino?»

Il cuore della ragazza sprofondò.
Questa volta, non ci furono né ringhi né imprecazioni, sembrò che persino la foresta fosse ammutolita. Lilith fissò il bel viso del ragazzo davanti a lei ma non lo vide, c’era solo il rosso di quei maledettissimi occhi, di nuovo. Richiamavano così bene il sangue di quella volta, erano davvero perfetti, sembrava che qualcuno avesse intinto un pennello nel collo lacerato di quel bambino e avesse dipinto le pupille di Judal. Che bel colore. Che bel colore. Lui la scrutava senza un minimo di imbarazzo, osservando attentamente ogni sua reazione, come se fosse solo un piccolo e insignificante animaletto da studiare.

Digrignò i denti, così tanto che la mascella prese a farle male «Figlio di puttana.» alzò la mano pronta a colpirlo; ma Judal non esitò un momento, afferrandole velocemente il polso tirandola a di sé «No, piccola.» d’un tratto era diventato serio, le dita lunghe e affusolate strinsero senza pietà la presa dolorosamente «Non puoi dirmi queste cose -continuò- va bene fino a un certo punto ma insulti così a gratis non li voglio. Ricordati sempre con chi stai parlando. Potrei spezzarti come un fuscello, convincerti a uccidere le persone a cui tieni di più, torturati, farmi implorare e tingere il tuo Rukh di nero.»

Era vero, era completamente impotente, poteva fare la voce grossa quanto le pareva ma Judal avrebbe potuto ucciderla in qualsiasi momento.
«Rukh?» domandò quindi, stringendo i denti per il dolore al polso «Cos’è?»

Il moro socchiuse gli occhi, valutandola ancora qualche secondo. Poi sbuffò e lasciò la presa, arruffandosi i capelli «Una lunga storia.» decretò di nuovo annoiato.

Lilith si massaggiò il polso cercando di reprimere l’incontrollabile brivido di paura che l’aveva attraversata. Gli scatti repentini di Judal la allarmavano, era la persona più lunatica che avesse mai incontrato; faceva una cosa, si contraddiceva subito dopo, decideva una cosa e poi cambiava idea. Non aveva mai saputo come comportarsi con questo tipo di persone, la spiazzavano, non si capiva cosa gli passasse per la testa. Si ricordava che una volta un uomo aveva ammazzato una signora con un colpo di bastone, ridendo come un matto e un attimo dopo, si era messo a piangere come se la donna fosse stata sua madre. Certo, quello era un pazzo, ma c’era davvero tanta differenza? Da quel giorno si era ripromessa che non avrebbe mai avuto niente a che fare con delle persone del genere e ironia della sorte, ecco con chi si ritrovava in un bosco lontano da tutti e da tutto.

Sospirò e tentò di calmarsi, decidendo che si sarebbe dovuta comportare in un altro modo se davvero voleva tornare alla città. «Okay… allora, non vuoi proprio dirmi perché mi hai portato qui?»

Judal non le rispose; spiccò un salto verso un alto albero e fluttuò sopra i rami, andando ad accomodarsi su uno di quelli, la schiena contro il tronco, le mani dietro la testa e gli occhi chiusi.

“Mi ignora?” Lilith non sapeva se sentirsi indignata o sollevata.

«Allora, che aspetti? Vieni qui.» comandò il Magi senza neanche riaprire gli occhi, sembrava sicuro che la ragazza avrebbe ubbidito. Lilith sentì di nuovo montarle dentro la rabbia «Oh ma anche no-» ma si bloccò, nonostante fosse arrabbiata per la sfacciataggine di Judal non poteva permettersi di alzare un’altra polemica inutile.
Sospirando si avvicinò all’albero e si appese a un ramo, cominciando ad arrampicarsi.

Le cicale -grilli? Non aveva mai capito la differenza- frinivano e la lieve brezza scompigliava i capelli dei due giovani, frusciando tra le foglie degli alberi pieni di resina; c’erano formichine che salivano e scendevano dal tronco, le più piccole si intrufolavano nelle fessure nascoste della corteccia, mentre le più grandi sembravano guidare le altre muovendo le antenne, quasi a pavoneggiarsi. I moscerini volavano pigri di foglia in foglia, seguiti da altri insetti alati che andavano in cerca di cibo o di un posto per riposarsi, chissà.
Lilith aveva sempre desiderato diventare piccola come quegli insetti: nessuno li notava ma loro erano onnipresenti. Avrebbe potuto viaggiare e conoscere nuovi posti, non curarsi delle guerre e delle rivolte, pensare solo a mangiare, dormire e vivere.
Scosse la testa, scansando i pensieri che le avevano attraversato in un lampo la mente; quelli erano sogni da bambina e lei doveva crescere. Velocemente fu sopra e raggiunse un tronco massiccio, poco più sotto di quello dove stava Judal. Si accomodò «Allora?» chiese, il viso rivolto al ramo più in alto.
Judal aprì un occhio e si sporse verso di lei «Ti piace proprio guardare tutto dal basso eh?» disse sarcastico. «Dai, vieni qui accanto a me, non mordo mica.»

Lilith ignorò la battutina «Non riesco più a salire.» mentì, in realtà non voleva stargli troppo vicina.

Judal sbuffò, si sporse dal ramo e allungò una mano verso di lei che lo guardò inorridita. No, non lo avrebbe mai toccato! «F-faccio da sola…» se si fosse arrabbiato avrebbe anche potuto lasciare la presa e farla cadere, figuriamoci se metteva la sua vita nelle sue mani.

Lui la guardò stranito «Dai, che se poi ti rompi qualcosa è un problema. Guarda che una piccoletta come te la posso sollevare anche con il mignolo.» si sporse di più e i suoi capelli scivolarono dal tronco, rimanendo appesi nel vuoto. Erano così lunghi che avevano superato la mano del Magi e quasi solleticavano la faccia di Lilith. La ragazza si chiese distrattamente se li avesse mai tagliati.
Scosse la testa all’offerta e cercò un appiglio da sola, incastrando i piedi nella corteccia.

«Guarda che cad-» Judal non riuscì neanche a finire di parlare che il rametto a cui Lilith si era aggrappata si spezzò.

Lei non riuscì neanche ad urlare.

Il cuore sembrò fermarsi, il respiro si mozzò; cadde indietro, le mani che cercavano di aggrapparsi a qualsiasi cosa, qualsiasi… beh, qualcosa lo trovarono. Per riflesso Lilith strinse la presa con tutte le sue forze, sapendo che da quell’altezza si sarebbe potuta far davvero male ma poi si accorse a cosa si era appesa. Oh, quanto avrebbe preferito cadere e rompersi un braccio. Judal urlò di dolore quando la ragazza si aggrappò ai suoi capelli e neanche lui fece in tempo a tenersi alla corteccia dell'albero.

Si dice che quando rischi di morire vedi tutto a rallentatore, magari con una musichetta tragica nelle orecchie e tutta la vita che ti passa davanti agli occhi, ma per Lilith fu anche troppo veloce; un attimo prima stava attaccata al ramo, l’attimo dopo si scontrò sul terreno e Judal le fu addosso con tutto il suo peso.

Il giovane Magi era stato colto alla sprovvista, non riusciva ancora a padroneggiare completamente l’incantesimo di gravità -difatti volava solo per poco tempo poi atterrava- e di sicuro non gli veniva automatico usare quel potere. Quindi non poté far nulla per frenare la caduta, tanto meno per evitare Lilith.

La ragazza vide le stelle, la spina dorsale fu attraversata da una fitta fortissima e per qualche secondo non riuscì neanche a mettere a fuoco lo sguardo, il gomito di Judal doveva averle schiacciato la pancia.

Non respirava.

«Lilith, cazzo!» avvertì a stento l’imprecazione del moro. Si dimenò e tossì forte tentando di prendere una boccata d'aria, ma non fece altro che strozzarsi ancora di più. Sentì che Judal la tirava su e la voltava, facendola mettere in ginocchio, una mano che le teneva la fronte e l’altra lo stomaco. Si piegò in due e tossì più forte, cercando di respirare grandi boccate, ficcando le unghie nel braccio del Magi che cominciò ad imprecare.
Si sentiva morire, non avvertiva nessun dolore alla schiena, o alle braccia, o per qualche taglio che si era fatta; tutto il suo corpo era concentrato nel respirare, la cosa più semplice del mondo, che ora le sembrava anche la più ardua da compiere.

Poi, lentamente si fermò. Ebbe qualche altro singulto ma riuscì a calmarsi.

Respirò a fondo dal naso ed espirò con la bocca; lentamente, allentò la presa sul braccio del moro e si massaggiò la pancia. Si mise a sedere, le braccia di Judal che le sorreggevano la schiena. Tremava e le lacrimavano gli occhi per lo sforzo, cominciava anche a sentire delle fitte allo stomaco.
Riaprì gli occhi e trovò il viso del Magi a pochi centimetri dal suo, con uno sguardo preoc- no, un attimo, era incazzato nero.

Veloce, cercò di dire qualcosa «Sto bene…» la voce uscì raschiante e strozzata e dovette fermarsi per deglutire.

Judal assottigliò gli occhi «Tu! Stupida piccola inutile ragazzina! Che cazzo fai eh? Potevi morire, mi senti? Anzi, ora ti ammazzo io, ti giuro che ti ammazzo!» il ragazzo cominciò a scuoterla, parlando così velocemente che Lilith capì sì e no due parole di quello che stava dicendo.
«Mi fai male!» si lamentò e subito Judal si fermò, le mani che le stringevano ancora le spalle, la bocca piegata in una smorfia di rabbia. Si era preso un colpo, aveva già cominciato a immaginare il corpo morto della ragazza tra le braccia, o magari paralizzato, incosciente, con qualche danno cerebrale. Invece quella maledetta aveva tossito, capito? Aveva tossito e poi aveva detto di star bene. Non voleva neanche sapere come fosse riuscito a non schiacciarla, piccola com’era.

Per un attimo nessuno dei due parlò, si fissarono, per la prima volta senza schernirsi, urlare o cercare di colpirsi; Lilith osservò le sottili ciocche color pece di Judal, quelle più corte, quelle che il Magi non era riuscito a legare e che gli cadevano scompostamente sul viso, incorniciando gli occhi, solleticandogli le guance e la mascella (si truccava? Sembrava aver un lieve ombretto viola sulle palpebre). Non aveva un viso molto maturo e quei ciuffi sparati in tutte le direzioni non aiutavano a farlo sembrare più adulto. Le labbra erano sottili e il naso un po’ grande, ma di certo non aveva l’aspetto di uno di quei personaggi cattivi che apparivano nelle favole. Quelli che volevano rovinare il mondo senza una ragione precisa erano brutti e stupidi.
Per la prima volta, notò all’altezza della sua gola una gemma rotonda di color rosso; era lucida e scura, non splendeva al sole, come se fosse troppo profonda perché la luce potesse anche solo sfiorarla, come se fosse troppo sporca per essere pulita. Era identica ai suoi occhi. No un attimo, non era vero, gli occhi gli brillavano: una luce fiera e orgogliosa, forse anche crudele, animava il grande fuoco che turbinava in quel rosso cremisi.
La pietra era incastonata in degli anelli d’oro, che abbracciavano tutto il collo di Judal. Come aveva fatto a non notarli prima?

Li odiava.

Non erano una collana ma un collare, come se il Magi fosse tenuto prigioniero da qualcosa o qualcuno. Le sembrava che gli anelli si stringessero piano piano, soffocandolo, ferendolo, tenendolo ancorato a… a cosa? Non lo sapeva, ma si rese conto che il ragazzo che aveva davanti non era libero. Era solo una sensazione ma ne era dannatamente sicura. Voleva alzare le mani e strappargli quel collare, poi distruggerlo e bruciarlo così che non ne rimanesse niente, solo polvere.

Ma Judal ghignò «Ti sei tutta sbavata.» e ruppe quella strana atmosfera che si era creata. La ragazza arrossì subito, pulendosi velocemente con la manica della maglia. «Ammettilo, volevi che ti cadessi addosso.» aggiunse malizioso, adorava metterla in imbarazzo.

Lilith lo spinse via e scattò in piedi, stizzita «Come no, era tutto un tuo piano, ecco perché sei salito sull’albero!»

«Aha certo,» disse Judal a sua volta, incrociano le braccia «ovviamente volevo che cadessi e ti appendessi ai miei capelli come fossero una liana. Sapevo che non avresti accettato il mio aiuto e sapevo che quel ramo era secco, mi hai scoperto!»

«Ma quanto sei simpatico.» sibilò lei di rimando «La prossima volta spero di strapparti quelle sequoie che ti ritrovi al posto di capelli!»

Sul viso del Magi si stampò di nuovo quel sorrisetto strafottente che ormai Lilith aveva imparato essere il suo marchio di fabbrica «Bene, piccola, allora ci sarà una prossima volta! Non vedo l’ora di averti di nuovo sotto di me.» sussurrò, con un’espressione innocente.

«EH?! COS… la vuoi smettere con questi stupidi commenti? Sei squallido!!» le stavano cominciando a prudere le mani dalla voglia di colpirlo.

«Non sono stato io a cadere da un albero.»

Lilith si mise le mani tra i capelli e proruppe in un ringhio di frustrazione, puntandogli il dito contro «La prossima volta ti ci spingo giù io, tu e i tuoi capelli, maledetto Raperonzolo!»

«E allora io….» la voce di Judal andò scemando mentre assimilava le ultime parole che gli erano state dette. Era rimasto senza parole, le labbra socchiuse, le braccia ancora strette al petto.

Si fissarono per degli attimi che sembrarono infiniti, mentre l’eco di quel nome rimbombava ancora nelle loro orecchie. Lentamente, Lilith abbassò il braccio. E scoppiò a ridere. 
Non era una risata forzata o isterica, le veniva dalla pancia, le scuoteva le spalle e le faceva lacrimare gli occhi. Si piegò in due non riuscendo più a fermarsi «Pffffff… AHAHAHAHAHAHAHAH Rap- Rape… AHAHAHAH!!!! Oddio è perfet-- AHAHAHAH» rialzò gli occhi e si ritrovò davanti un Judal con una vena che gli palpitava sulla tempia, i denti stretti, non sapendo se ridere anche lui o mettere fine alla vita di quell’inutile ragazzina «Pfff- ahah, Ju-Judal sei carinissima ..AHAHAHAHAHA» sinceramente non sapeva neanche più perché stava ridendo, forse era per tutta l’ansia accumulata di quel giorno, forse perché la faccia del ragazzo era troppo comica.

«Maledetta.» Judal cercò di nascondere il sorrisetto che non riusciva più a trattenere «Ti faccio vedere io.» Senza preavviso, se la caricò in spalla e spiccò un altro salto, tornando sopra l’albero. Ignorando le imprecazioni di Lilith, la prese per le caviglie mettendola a testa in giù e la fece sporgere dall’albero «Ora prega per la tua vita.»

«Cosa diavolo fai!! Mettimi giù!» non riusciva neanche a sembrare minacciosa in quel modo, cercò di scalciare ma Judal aveva una presa abbastanza forte -o si stava aiutando con la magia? Non la lasciò andare «Ne ho abbastanza di cadute, mettimi giù Raperon.. ahahaha» non ce la faceva, quel nome era fantastico.

«Dì di nuovo quella parola e sarà l’ultima cosa che farai!» le lasciò un piede, tenendo solo la caviglia destra.

Lilith lanciò un urletto «Ahi ahi ahi ahi!! Mi fai male!! Okay scusa scusa, tirami su, per favore!»

Judal le riprese il piede e l’aiutò ad aggrapparsi al ramo «Per questa volta mi accontenterò.» commentò, fingendosi offeso.

«Stupido, mi hai stirato le gambe!»

«Magari così ti alzi un po’» evitò un pugno diretto al suo viso.

L’atmosfera era diventata d’un tratto più leggera, solo in quel momento i due sentirono il cinguettio degli uccelli e il brusio del bosco sembrò improvvisamente più piacevole.

Lilith si sedette davanti a lui, imbronciata ma con una nuova luce negli occhi «Non è stato per niente divertente.» asserì, gonfiando le guance.

«Mph, da quant’è che non ridevi così?» Judal incrociò le gambe «Ah, scusa, non hai mai riso così.»

«Non è ver-»

«Ecco, hai costantemente questa ruga tra le sopracciglia, lo sguardo cupo e i denti stretti.» le sfiorò la fronte con due dita «Dovresti rilassarti di più, cos’è che ti fa avere sempre quest’aria da funerale?»

Lilith si scostò dal suo tocco, stranamente imbarazzata «E perché tu hai costantemente quel ghigno?» borbottò, guardando da un’altra parte.

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo «Dai Lilith, se rispondi anche solo a una mia domanda, non crollerà di certo il mon- cosa…?» Judal si alzò di scatto, mettendosi una mano sul petto «Qualcuno… è entrato nel dungeon di Amon…»

«Eh? Chi? … aspetta… per dungeon intendi quell’enorme cosa che ho visto nella città di Qish-» il Magi la interruppe, tirando fuori la sua bacchetta di ferro, con incastonato sopra un rubino. La agitò e subito dal cielo piombò qualcosa di rossiccio che si fermò davanti a loro docilmente: un tappeto volante. Lilith sgranò gli occhi e non riuscì a trattenersi «Oddio che- è fantastico!»

Judal ridacchiò «Piccola, ti meravigli di questo e non ti stupisci neanche un po’ che io sappia volare? Sei strana…» si accomodò sulla morbida stoffa rossa «Bene, ora devo andare ma mi sono divertito.» doveva avvertire l’organizzazione, probabilmente Al-Sarmen non c’entrava niente con il fatto che qualcuno fosse entrato nel dungeon di Amon, e se quel qualcuno lo avesse conquistato sarebbe stata una bella scocciatura. Fece un cenno veloce a Lilith e sfrecciò via, confondendosi tra le fronde degli alberi, diretto verso l'accampamento dell'impero Kou lì vicino.

La ragazza rimase a fissare il punto dov’era scomparso, la bocca socchiusa, intrappolata nella miriade di pensieri che le turbinavano in testa.
Poi, Lilith si accorse di una cosa «…Mi ha lasciata qui.» si guardò in torno, non vide altro che insetti e foglie e arbusti «Come ci torno a casa io?!!»


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Questo per me è un capitolo molto importante, Judal e Lilith cominciano finalmente ad avvicinarsi e sono riuscita a collocare gli eventi della storia in un preciso arco temporale del manga. Come avrete capito, Aladinn e Alibaba sono appena entrati nel doungeon, quindi si trovano ancora a Qishan, la città dove si sono incontrati per la prima volta. 

Intendo andarci piano con Judal e Lilith, hanno entrambi un carattere difficile e non voglio gestirli in maniera frettolosa, si conosceranno lentamente e il loro rapporto cambierà con il tempo... 
Ditemi che ne pensate, se li sto trattando bene e non sto sprofondando nell'OOC, se devo cambiare qualche battuta perché non è molto verosimile, se tutto è troppo veloce... per non parlare dei soliti errori ortografici :)

Grazie davvero a chi segue la storia, mi sto affezionando a questa piccola fic ^^
Alla prossima!

P.S. un po' di giorni fa, avevo già pubblicato questo capitolo, ma poi mi sono accorta che c'erano molti errori, era impreciso e noioso, quindi l'ho cancellato e riscritto. Chiedo scusa a chi l'aveva letto quando l'ho postato.

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Capitolo 5
*** Certamente nessuno dei due regge l'alcool ***



Cancel your destiny


 
5. Certamente nessuno dei due regge l'alcool
 
Era importante.
 
Era qualcosa di estremamente importante. Così importante da non poterlo dimenticare, neanche volendo.
 
Eppure era successo. Lilith l’aveva dimenticato.

«Ju-»
 
«E poi, vedi, ecco, mi annoio così tanto! Sono stato a Imuchakk, Reim, Sindria, Sasan e avrei potuto andare anche ad Artemyra, ma non mi ci avvicino neanche a quel posto… penso che a te piacerebbe. Comunque, ho persino fatto un giro a Partevia quando ancora esisteva –non che fosse niente di che, anche quella era noiosa. E io odio le cose noiose. Sono stato ovunque. I vecchi mi hanno mostrato tutto. E io odio odio odio-»
 
«Ju-da-l!»
 
«Cosa vuoi?»
 
«L’ho dimenticato.»
 
«Cosa?»
 
«…Se lo sapessi me lo ricorderei.»
 
Ci fu un breve momento di silenzio, nel quale Lilith fu quasi sicura di riuscire a sentire le rotelline del cervello del Magi mettersi lentamente in moto, cercando di dare un senso alle parole che aveva appena detto.
 
«E allora perché mi dici che l’hai dimenticato?»
 
Un’altra manciata di secondi passò e nessuno dei due proferì parola, la ragazza si accorse solo dopo suddetti secondi della posizione in cui si trovavano: completamente stravaccati per terra, lo sguardo perso nel vuoto, le spalle contro il tronco di un albero non bene identificato, appoggiati l’uno all’altra –per la cronaca, era sicura che se uno dei due si fosse mosso anche solo di poco, avrebbe rotto il perfetto equilibrio che avevano raggiunto, facendo stramazzare tutti e due al suolo (da cui non si sarebbero rialzati).
 
«È la domanda più stupida che potessi farmi.» dichiarò dopo un po’, decisa che quella fosse la cosa più giusta da dire.
 
«Non è vero.» sentì il giovane girare il capo verso di lei, probabilmente per lanciarle un’occhiataccia ma, essendo più bassa, la testa della bruna era appoggiata contro la sua spalla e dunque tutto ciò che Judal poté vedere fu una chioma di capelli crespi e rovinati. «È solo che non sai come rispondermi.»
 
«Convinto tu.» se avesse avuto la forza di arrabbiarsi l’avrebbe fatto ma era troppo concentrata a osservare un particolare mucchio di foglie e tentare di metterlo a fuoco per preoccuparsi del ragazzo accanto a lei.
 
«… Aspetta un attimo.» di scatto alzò la testa e raddrizzò il busto, tentando di mettersi in piedi e provocando –come previsto- l’inevitabile caduta di Judal.
 
«Ehi piccola, cosa pensi di-»
 
«Quelle foglie…» combatté contro se stessa per un po’, la mente le comandava di alzarsi ma le gambe restavano caparbiamente ferme, incapaci di sorreggerla. Quando riuscì finalmente a stare eretta mosse qualche passo traballante verso il mucchio di foglie che aveva puntato. E ci cadde sopra di peso. 
 
Un forte giramento –probabilmente dovuto dal sangue che defluiva dal cervello, impedendole di vedere qualsiasi cosa se non macchie nere- le aveva fatto perdere l’equilibrio. Ma, di nuovo, era troppo distratta per preoccuparsene «Morbide!» senza pensarci due volte si rotolò di schiena e poi di nuovo sulla pancia, affondando il viso in quelle che ora le sembravano le foglie più comode del mondo.
 
«…» passarono parecchi secondi prima che Judal parlasse «Tu… non hai nemmeno idea di quanto sei ubriaca.» non sapeva che espressione avesse in viso Magi, probabilmente la più esilarante che avesse mai visto ma non fece in tempo voltarsi verso di lui perché di colpo una folata di vento la investì. Non seppe dire da dove arrivasse, inizialmente sembrava scaturire dal terreno, poi dagli alberi intorno a sé, poi poté giurare che provenisse dal cielo; aumentava, diventava sempre più intensa e viva finché fu come se un vortice l’avvolgesse, facendole sferzare i capelli sul volto per poi buttarli all’indietro. Foglie e rametti secchi si sollevarono da quel miscuglio di sabbia e terriccio che era il suolo e le volteggiarono attorno, in un caleidoscopio di colori e un fruscio quasi ipnotico. Senza neanche accorgersene si mise seduta ad ammirare tutto quel volteggiare, incantata, completamente rapita. Fu sicura di star per svenire.
 
Poi di colpo tutto si placò e come sembravano aver preso vita le foglie si fermarono, adagiandosi pigramente sull’erbetta secca. 
 
Lilith si voltò lentamente verso Judal e vide quest’ultimo con il braccio leggermente alzato, la mano che stringeva la sua bacchetta di metallo. Stava ridendo come un pazzo.
 
«…Sei stato tu?»
 
«Dovresti vedere la tua faccia!» riuscì a dire il ragazzo tra una risata e l’altra, le lacrime agli angoli degli occhi. Era bello quando rideva, per una volta sembrava sincero «Anzi…» boccheggiò, fermandosi un attimo e guardandola con gli occhi sbarrati «Dovresti vedere i tuoi capelli!» esplose di nuovo in risatine che ne tirarono fuori altre e altre ancora.
 
Lilith gonfiò le guance e, tuffando le dita nella sua stessa chioma, capì perché il moro stesse ridendo così tanto. Se avesse avuto la forza sarebbe impallidita di fronte alla quantità di nodi misti a sabbia e rametti secchi che aveva nei capelli.
 
Con un gemito si lasciò cadere di nuovo per terra, guadagnandosi l’ennesimo giramento di testa –che per la cronaca cominciava a pulsare dolorosamente. Lanciò un’altra occhiata al Magi. Stava ancora indossando quel sorriso derisorio ma non le prestava più attenzione; fissava il terreno con uno sguardo un po’ ebete, imbambolato a pensare chissà cosa.
 
«Come hai fatto?»
 
Judal alzò la testa e le lanciò un’occhiata attraverso i ciuffi della sua lunga frangia «Cosa?»
 
«Come hai fatto a… far venire il vento e…» gesticolò, contorcendo il viso e tentando di creare una frase di senso compiuto «farlo muovere come volevi tu e… quella roba.»
 
In risposta ricevette uno sbuffo «Si chiama magia, piccola, pensavo avessimo appurato che essendo io un Magi fossi capace di cose del genere.»
 
«Ma quante altre cose puoi fare? E ci sono persone che riescono a fare quello che hai appena fatto tu?»
 
«Quell’incantesimo era parecchio semplice,» biascicò il moro in risposta «È la base del quinto tipo di magia. Anche se non è la mia specialità sono riuscito a evocarla facilmente… ed è ovvio che ci sono altri capaci di fare magie, esiste persino una scuola di nome Magnostatt a nord-ovest da qui… credo. Dove sei vissuta fin’ora, piccola?»
 
«…Fantastico.» sussurrò meravigliata, tornando a guardare le stelle che si potevano intravedere attraverso le fronde degli alberi. 
 
Era come se qualcosa di sconosciuto si stesse aprendo davanti ai suoi occhi, Lilith era quasi curiosa di capire cosa fosse, di vedere per intero il grande disegno che ora riusciva solo a scorgere a fatica. Era esaltante, eppure le arrecava anche un certo senso di timore, ogni qualvolta Judal parlava di quelle cose provava un misto di curiosità unita a repulsione; avvertiva che c’era troppo, troppo da sapere e scoprire, qualcosa che avrebbe fatto crollare tutte le sue convinzioni, il suo mondo, e non era sicura di essere pronta ad affrontarlo.
 
«Eeeeeeeehi Lilith.» bhe, di sicuro non avrebbe potuto farlo da ubriaca «Lilith Lilith Lilith.»
 
Con un gesto infastidito schiaffò il bastoncino che Judal stava usando per pungolarle ripetutamente –e fastidiosamente- la guancia «Eh sì ci sono ci sento cosa vuoi.» chiese, accorgendosi di colpo che l’alcool la faceva parlare molto più velocemente.
 
«A cosa pensi?»
 
«Alle alici sott’olio.»
 
«Alici? Ti piacciono?»
 
«Sì!» si alzò di scatto e il mondo riprese a girare come una trottola «Sono la cosa più buona del mondo… maaa… qui sono sempre schifose e non so perché costano tanto… a Magdas non avevano un prezzo così alto, sarà perché era una città che si affacciava sul maree?»
 
In risposta ricevette mugolii confusi e poco interessati. Le diede fastidio.
«Insomma,» biascicò in tono lamentoso «mi devi ascoltare quando parlo quando sto con te mi sembra sempre di star parlando al veto… cioè al vento. Hai la concentrazione dei bambini!» dopo l’ultimo commendo si guadagnò un buffetto abbastanza doloroso sulla fronte «Ahio!»
 
«Attenta a come parli,» il moro le fu più vicino e in modo quasi non curante le diede una spinta giocosa con la spalla «e poi ti ho detto che mi annoio facilmente.»
 
«Mi stai dicendo che quello che dico è noioso?»
 
Una luce divertita illuminò quegli occhi vermigli «Qualche volta…»
 
«Ehi!» Lilith diresse un pugno contro il braccio del Magi ma lo mancò clamorosamente, suscitando l’ilarità del ragazzo e, ben presto, anche lei cominciò a sorridere come un’idiota. Tutto era così sfocato e confuso, ormai aveva perso le speranze con lui e con se stessa.
 
«Ah, piccola.»
 
Era importante. 
 
Lilith sapeva essere una cosa davvero importante e non riusciva a togliersi l’enorme fastidio che l’essersela dimenticata le arrecava.
 
«Mh?» 
 
C’era una microscopica parte del cervello di Lilith che le stava urlando qualcosa. Come un campanello d’allarme, una vocetta fastidiosa che le ricordava che non si sarebbe dovuta trovare lì, che doveva assolutamente ricomporsi, stare insieme a Judal ubriaco mentre lei stessa era ubriaca non era proprio ciò che si definiva saggio. Ma la ragazza la scacciò noncurante, non si ricordava neanche come erano arrivati a quel punto.
 
Cioè, in realtà se lo ricordava abbastanza bene, ma davvero non avrebbe saputo dire come avesse fatto la situazione a degenerare a tal punto.
 
«Continuiamo a…» il ragazzo gesticolò un attimo, cercando la parola giusta. Quando la trovò schioccò le dita «giocare?»
 
«Giocare…? Ah, okay, era il tuo turno.»
 
«No-non ho mai… tagliato i miei capelli.»
 
Lilith strabuzzò gli occhi «Cosa?! Bugiardo! E quella frangia cosa ci fa lì?»
 
«Bhe, i capelli davanti sì, ma questi qui-» prese la lunga treccia che giaceva per terra e la mostrò alla piccoletta, tutto impettito «mai!»
 
«Ma comunque li hai tagliati quindi non devo bere.»
 
«Invece sì, intendevo quello, daaaai.»
 
«No.»
 
«Sì.»
 
«No. E poi dove sono finiti i boccali?»
 
Judal aprì la bocca per ribattere, probabilmente un altro “sì”, ma si bloccò; si guardò alle spalle «Non lo so.» borbottò confuso, alzandosi e barcollando verso l’albero su cui prima erano appoggiati, per poi girare su se stesso e scrutare tutt’attorno.
 
«Ecco vedi non possiamo più bere.» Lilith non provò neanche a sembrare dispiaciuta. Era tutta colpa di quel gioco, come era venuto in mente al Magi di giocare a quella stupida sfida dove si doveva dire qualcosa che non si aveva mai fatto e se l’altro l’aveva fatto doveva ingurgitare un bicchiere d’alcool?
Ecco, sì, era quasi certa fosse stata quella la proposta che quel pomeriggio il moro era venuto a farle; era piombato nella bottega di Halima… ma la vecchia non c’era, e doveva aver cominciato a darle fastidio come suo solito, convinto che la ragazza non volesse parlargli solo perché il giorno prima l’aveva lasciata da sola nell’oasi.
Ed era anche per quello, insomma, Lilith aveva impiegato un’ora a uscire dal boschetto solo per scoprire che il paesino stava dalla parte opposta, così aveva dovuto fare dietro front, addentrandosi di nuovo nella boscaglia e cercare una maledetta uscita che la riconducesse in città. Era arrivata a sera inoltrata e, neanche a dirlo, Halima era alterata. Dopo che la bruna le ebbe spiegato che era stato il Magi a rapirla «per fare… ehm, due chiacchiere», si era infuriata.
 
Insomma, avevano passato una tranquilla serata a suon di urli e imprecazioni.
 
Però quello non era l'unico motivo per cui non voleva parlare con lui, lei non voleva averci nulla a che fare fin dal principio! Judal era destabilizzante come un fulmine in una tempesta; anche se poi se ne andava nell’aria restava quell’elettricità magnetica e l’eco del rombo assordante rimbalzava nello spazio attorno a lei, distorcendo tutto, costringendola a rivolgere i pensieri a lui e a lui solo.
 
Comunque, era riuscita a convincere il Magi ad andarsene dal negozio promettendogli quel gioco a dir poco sciocco e… non era sicura cosa fosse successo dopo. 
Scosse la testa, cercando di ricordare cosa avevano fatto ma rimediò solo un forte giramento «Ugh…» gemette, massaggiandosi le tempie
 
«Che succede?» le chiese Judal, sedendosi di nuovo accanto a lei con un leggero tonfo –dopo essersi arreso nella ricerca del boccali- e passandole un braccio attorno alle spalle.
 
«Credo… credo di dover tornare a casa.» borbottò Lilith, la testa cominciava a farle davvero tanto male e il ricordo delle alici non era più così buono, il suo stomaco faceva rumori parecchio inquietanti.
 
«Cosa? Nooo!» Judal la tenne forte, impedendole di sgusciare via dalla sua stretta «Non andartene!» si lagnò, cercando di impietosirla.
 
La ragazza si divincolò «Lasciami…» ma non sembrava molto convinta. Era debole e stanca, non riusciva neanche più a parlare bene e le palpebre erano maledettamente pesanti. Inoltre se fosse tornata da Halima in quelle condizioni aveva l’impressione che sarebbe successo qualcosa di molto, molto brutto –e poi sarebbe davvero riuscita ad arrivare o sarebbe crollata prima? Lì c’era tanta pace… magari restare non sarebbe stata una cattiva idea…
Un improvviso bruciore allo stomaco la distrasse dai suoi pensieri «Odio bere.» dichiarò senza troppi giri di parole, massaggiandosi la parte dolorante. Ora il solo pensare all’alcool le procurava un terribile senso di nausea «Non berrò maaai più!» non si ricordava neanche se aveva mangiato qualcosa prima di venire nel boschetto o se aveva preso l’eroica (stupida) decisione di ingurgitare quel liquido velenoso a pancia vuota.
 
Era così concentrata sul suo nuovo problema –era sicura sarebbe presto diventato fonte di malumore- che si accorse solo dopo un po’ che Judal l’aveva lasciata e le si era accucciato davanti, cominciando ad accarezzarle i capelli.
Lo guardò, indecisa se urlargli di lasciarla o colpirlo direttamente, ma il viso del Magi la bloccò: aveva le sopracciglia aggrottate in un’espressione frustrata e confusa, quasi come se stesse facendo qualcosa di estremamente importante e complicato; guardava male ogni nodo che le sue dita incontravano come fosse un ostacolo insormontabile e alquanto molesto e aveva le guance arrossate –probabilmente per il troppo alcool e il caldo umido di quel posto. Quel colore vermiglio, unito al senso di insoddisfazione che il Magi palesava, lo facevano quasi sembrare un bambino. Prese una ciocca annodata e cominciò a districarla, mordicchiandosi il labbro inferiore.
 
Era importante, quella cosa.
 
Era sicura di essersi raccomandata con se stessa di non scordarsela.
 
Eppure il ragazzo che aveva davanti rendeva tutto così terribilmente, dannatamente e irrimediabilmente confuso. La cosa peggiore era che non era sicura di voler uscire fuori da quel confuso stato di estasi.
 
Judal si lascò sfuggire un verso infastidito, sporgendo leggermente il labbro inferiore in una smorfia infantile e Lilith, senza neanche accorgersene, si avvicinò di più a lui, come ipnotizzata; d’improvviso non riusciva a non guardare la sua bocca. 
Il ragazzo dischiuse nuovamente le labbra e esalò un sospiro stanco. Era… quasi carin- «I tuoi capelli fanno paura.» farfugliò arrabbiato «Hai anche la forfora, quand’è l’ultima volta che li hai lavati?»
 
Lilith arrossì e borbottò qualcosa, scostando la testa.
 
Era così frustrante.
 
 «Voglio dormire.» concluse senza troppe cerimonie. Si stese e si girò dalla parte opposta, cercando di ignorare il Magi che ridacchiava; per essere un tipo che si annoiava tanto e per qualsiasi cosa, sicuramente si divertiva molto a infastidire gli altri. A lei avrebbe cominciato a dolere la mascella a forza di ghignare così spesso.
 
Passarono un po' di tempo in silenzio, la bruna che cercava una posizione più comoda e Judal, insolitamente silenzioso, si guardava intorno con un'espressione smarrita, cercando di far smettere quelle fastidiose vertigini che ogni volta spostavano lo spazio intorno a lui, provocandogli fitte dolorose alla testa. 
 
Nessuno dei due avrebbe saputo dire per quanto stettero così, la mente alterata a tal punto che non riuscivano più ad avere una concezione coerente del tempo. Lilith seppe solo di starsi addormentando quando sentì un soffio caldo vicino all’orecchio che la riportò per un attimo alla realtà «Lo sai che non è sicuro addormentarsi vicino a un ragazzo, ubriaca, in un posto dove nessuno può sentirti?»
 
Era importante.
 
Qualcosa di fottutamente importante.
 
La bruna non aprì neanche gli occhi; con una mano allontanò il viso del Magi «Ma io sono al sicuro, no?» sussurrò, già in dormiveglia «Ci sei tu…» voleva aggiungere qualcos’altro ma improvvisamente sembrò scordarsi come si parlava, la lingua si rifiutava di muoversi.
E proprio in quell’ultimo istante nella mente di Lilith ci fu un lieve barlume che si spense subito dopo, come la luce di una piccola candela su cui però si soffia immediatamente sopra, impedendole di espandere il suo bagliore e facendo sprofondare tutto nell’oscurità. 
 
“Il puzzle…” 
 
Ma poi fu troppo tardi: il corpo si era assopito prima che lei stessa se ne accorgesse e la cosa importante finì nel dimenticatoio da cui era appena emersa.
 
Judal dal canto suo restò immobile come una statua e non proferì parola. Di nuovo, non seppe quanto tempo rimase lì immobile a fissarla. Si aspettava che Lilith se ne uscisse con una battutina per negare ciò che aveva appena sussurrato o semplicemente sarebbe potuta arrossire... qualsiasi cosa! Invece niente, dopo un po’ di minuti il suo respiro di fece più lento e pesante, segno che doveva essersi addormentata completamente.
 
Il silenzio regnava sovrano, sembrava che il bosco stesso si fosse zittito per lasciarla riposare.
 
Senza quasi accorgersene Judal si chinò sul suo viso addormentato, le spostò una ciocca di capelli crespi e la osservò meglio. Gli occhi grigi –che per altro, in quel momento non poteva neanche vedere- erano l’unica peculiarità sul viso della piccoletta, il resto non era niente di ché, forse solo quelle guance da bambina erano singolari, ma in fondo si potevano vedere anche in altre ragazze. Non aveva dei bei capelli e delle occhiaie profonde e scure le solcavano la pelle, per non contare il fatto che era pallida come un cencio, segno che non si nutriva bene. Si avvicinò di più. Notò delle piccole lentiggini quasi invisibili sul naso e sugli zigomi e si meravigliò di non essersene accorto prima; Lilith aveva un sacco di particolari nascosti. Si avvicinò di più.
 
E di scatto si rialzò. 
 
Che diavolo stava facendo? Si mise una mano tra i capelli e sospirò frustrato, sentendosi un completo idiota.
 
Esitò ancora, lanciando un’altra occhiata a quel visetto addormentato ma poi si decise e cercò di mettersi in piedi barcollando pericolosamente. Quando riuscì a stare eretto senza che tutto il mondo ondeggiasse spiccò un salto e fluttuò sopra le fronde degli alberi. Colpì con la testa qualche ramo e per due volte dovette fermarsi a mezz’aria per districare i capelli dalle foglie che si impigliavano nella sua lunga treccia, ma alla fine riuscì a superare il boschetto salendo sempre di più nel cielo.
La temperatura cominciò ad abbassarsi, facendosi più fresca e piacevole e fu come una doccia d’acqua fredda dopo tutto l’alcool che aveva bevuto. 
 
Volò per un po’, evitando le nuvolette sparse, incrociando uno stormo di uccelli che si allontanò subito, terrorizzato dal vedere un essere così strano in cielo. Guardò i Rukh bianchi che si libravano pigramente qua e là, sbatacchiando placidamente le ali, raccogliendosi attorno a lui e poi allontanandosi, indecisi se seguirlo o no. Sorrise soddisfatto. Stava andando tutto a meraviglia, se le anime bianche esitavano voleva dire che il suo corpo si stava abituando ai Rukh neri proprio come voleva l’organizzazione.
 
Volò finché non cominciò a sentirsi stanco. Nonostante il magoi che sprecava nell’incantesimo gravitazionale fosse poco nelle condizioni in cui stava era abbastanza difficile mantenere la concentrazione ed evitare di colpire la cima di qualche albero. Decise che era meglio scendere; una ventata d’aria calda lo accolse man mano che si avvicinava a terra.
 
Sbuffò infastidito, la serata non era stata come si aspettava.
 
Quel pomeriggio era andato a trovare Lilith ed aveva già in mente di proporle quel gioco, solo che sapeva che la piccola non avrebbe mai accettato, così aveva divagato, girando per la bottega e osservando le varie cianfrusaglie, ignorando le molteplici minacce di morte che gli venivano lanciate contro. Alla fine la ragazza si era arresa e gli aveva chiesto cosa doveva fare perché lui togliesse le tende e Judal, da brava persona educata qual’era, aveva colto l’occasione al volo «Questa sera vieni al boschetto.» era stato perentorio «Porterò qualcosa da bere.»
 
«Non mi dire che per qualcosa da bere intendi ciò che penso perché davvero sarebbe una mossa squallida, pensi sul serio che mi prenderei la mia prima sbronza con un tipo come te-»
 
«Decidi piccola, o accetti o io resto qui e magari faccio anche la piacevole conoscenza di quella vecchia…» la interruppe il moro
 
«D’accordo d’accordo!» d’altronde la ragazza non aveva niente da perdere, insomma non partiva avvantaggiata? Judal avrebbe dovuto bere molto più di lei, sicuramente c’erano montagne di cose che il moro aveva fatto e lei no, lui si sarebbe ubriacato prima e lei avrebbe potuto svignarsela. Un gioco da ragazzi!
 
Con il senno di poi, era stata un’idea davvero stupida.
 
«Non ho mai… indossato un kimono.»
 
«Così non è giusto! È ovvio che nell’impero Kou li indoss-»
 
«Zitto e bevi, hai voluto giocare tu.» Judal, sbuffando, ingollò tutto il contenuto del bicchiere che aveva fatto comparire con la sua magia. Lo stomaco venne subito invaso da un piacevole tepore e un buon sapore gli inondò la bocca e la gola. Il Magi sorrise, il gioco era appena cominciato «Non sono mai stato a digiuno per più di due giorni.»
 
«Bastardo, così pochi?»
 
«Non è colpa mia se sei una stracciona.»
 
… «Non sono mai stata su un’isola.» … «Non ho mai dormito in una bottega.» …«Non ho mai mangiato del pesce crudo.» «Nemmeno io!» «Davvero?» «Sì. Mi fa schifo!»…
 
A un certo punto la piccola aveva fatto l’affermazione più imbarazzante (per lei, s’intende) della serata:
«Non ho mai fatto sesso.» Judal sospirò e bevve l’acool, cercando di non ridere sguaiatamente davanti alla faccia scandalizzata di Lilith «Sul serio?!» chiese la ragazza «Stavo scherzando, non credevo veramente che non fossi più... ehm, quello!»
 
«Veniamo proprio da mondi diversi, piccola.»
 
Erano andati avanti così per quanto tempo…? Il Magi non se lo ricordava, solo veloci e confusi flash di domande sconnesse gli ritornavano alla mente. Colori, risate, suoni. Quando non avevano più capito cosa stessero facendo? Judal non se lo ricordava proprio. E doveva riconoscere che né lui né Lilith reggevano l’alcool.
 
Posò i piedi su un ampio prato e si stese sull’erbetta secca, sperando di riuscire a dormire, ma stava scomodo. Si rigirò per un po’ cercando di distrarsi fissando le piccole formiche che camminavano per terra, le stelle che splendevano in cielo, poi la falce di luna: la notte era così limpida che si riusciva a intravedere anche la parte scura del pianeta, la parte non illuminata dal sole… Lilith…
 
«No no no, assolutamente no!» gridò, dandosi uno schiaffo da solo, cominciando a rotolare per il prato. Rimediò solo che il mal di testa e la nausea aumentassero, così si fermò di nuovo, avvilito. Forse avrebbe dovuto parlarne con qualcuno di Al Sarmen, forse avrebbe potuto semplicemente richiedere una di quelle ragazze che gli avevano portato una volta e divertirsi un po’, era evidentemente frustrato da tutti quei viaggi nel continente, intrattenersi con qualche donna avrebbe solo migliorato le cose. E magari anche il suo interesse per quella piccola ragazzina si sarebbe attenuato.
 
Con un ringhio, si alzò da terra, non riusciva ad addormentarsi.
 
 
L’accampamento dell’impero Kou non era per niente sfarzoso, c’erano solo un po’ di guardie che giravano nei dintorni, un paio di edifici costruiti alla bell’e meglio, con quei tetti ricurvi che sembravano piacer tanto all’imperatore, e alcuni nobili che parlottavano sommessamente, talvolta prorompendo in forti risate; forse anche loro quella sera avevano alzato un po’ troppo il gomito. Era normale che fossero tutti molto tranquilli, d’altro canto non era un viaggio di guerra, bisognava solo scortare l’ottava principessa dell’impero, Kougyoku Ren, fino a Balbadd.
 
La principessa era una ragazzina di diciassette anni –che però, a parere di molti, con tutto quel trucco con cui si dipingeva il volto sembrava più vecchia- i lunghi capelli rossi tendenti al rosa erano legati in due code che le scendevano lungo i fianchi e sul capo aveva una strana acconciatura, tenuta ferma da un fermaglio alquanto sgargiante. Il più delle volte era silenziosa e osservava tutto con un cipiglio di superiorità e disinteresse, ma ormai persino i soldati sapevano che era solo una facciata, appena le si fosse presentato davanti qualcosa di piccolo carino, Kougyoku avrebbe fatto uno dei suoi sorrisoni da bambina, cominciando a lanciare urletti e esclamazioni; poi si sarebbe ricomposta, arrossendo come un peperone e avrebbe nascosto il viso dietro le lunghe maniche del suo kimono. Insomma, l’ottava principessa era una ragazzina frivola e romantica che cercava di fare la donna.
 
Il problema era quando non era così.
 
Prima di conquistare il dungeon con il Sacerdote, nessuno aveva fatto molto caso a lei, dato che era figlia di una prostituta con cui era andato l’imperatore non contava più di tanto, inoltre stava sempre nascosta in un angolino a piagnucolare.
Però, quando il Sacerdote, cioè il Magi, aveva preso interesse per lei e le aveva fatto ottenere quel grande potere che bramavano in molti era cambiato tutto. Quando combatteva Kougyoku si trasformava in un’altra persona: rideva e urlava, gli occhi spalancati, le labbra aperte in un ghigno inquietante, mentre chiedeva esaltata a Ka Koubun –il suo povero servitore- quanto fosse brava e forte.
 
In pochi l’avevano vista in quella situazione, dato che poco dopo aver conquistato il dungeon era stata promessa in sposa e non era potuta diventare generale. Ma coloro i quali avevano assistito a un suo combattimento non erano più riusciti a guardarla nella stessa maniera.
 
Però, a parte questo, ribadiamo che l’ottava principessa era una piccola ragazzina frivola e romantica che cercava di fare la donna.
In quel momento, era riuscita a sfuggire dalla rigida sorveglianza di Ka Koubun e si era nascosta sul tetto di un edificio ad osservare le stelle. Pensava all’uomo che avrebbe dovuto sposare, al re di Balbadd. Come sarebbe stato? Forte e coraggioso, sicuramente, d’altronde era un re! Magari anche intelligente e bello come il suo nobile fratello Kouen? Forse avrebbe avuto un lato timido che tentava di camuffare o qualche passatempo che riteneva imbarazzante eppure lo rendeva così carino... sospirò sognante.
 
«Vecchia befana!» Kougyoku quasi scivolò dalle tegole quando Judal le spunto davanti al viso, chiamandola in quel modo che lei tanto detestava «Che fai qui, invecchi a guardare il cielo?» chiese sfacciato il Magi.
«Mi hai spaventato!» la principessa si mise una mano sul cuore, guardando male il moro che ridacchiava soddisfatto.
 
«Alloraaa? Sei riuscita a scappare da quel quattr’occhi?» chiese Judal, riferendosi a Ka Koubun.  Si accomodò accanto a lei, fingendosi disinvolto ma la ragazza fu capace di notare il suo andamento barcollante; aggrottò le sopracciglia, sospettosa «Judal, in questi giorni stai uscendo sempre di più.» osservò «Quelli della tua organizzazione si stanno infastidendo, quando arriveremo a Balbadd non potrai andartene in giro in questo modo.»
 
«Ahh, che noia! Siete tutti dei rompi scatole, non c’è niente di male se impiego le mie giornate in qualcosa di divertente, invece di passarle con voi annoiandomi a mortee.» parlava con voce strascicata e a tono molto alto, Kougyoku capì che c’era qualcosa che… sgranò gli occhi «Puzzi d’alcool, sei ubriaco!»
 
«Solo un po’, prima stavo peggio.»
 
«Judal che ti è venuto in mente?! Dove s-»
 
«Silenzio, Kougyoku! Non sono affari che ti riguardano, poi ora sono qui, dov’è il problema?»
 
La principessa sospirò, stropicciandosi gli occhi. A volte quel ragazzo era proprio impossibile «...Va bene, allora è meglio che vada ad avvertire qualcuno, così scendi e ti facciamo riposare un po’.» fece per alzarsi ma il Magi le prese un braccio e la tirò di nuovo giù «Non ci provare.» disse perentorio «Piuttosto, ti stavo cercando.»
 
Kougyoku sollevò un sopracciglio in risposta «Davvero? Di che hai bisogno?»
 
Judal esitò, sentiva che stava per fare un enorme sbaglio ma tanto valeva provare a chiederlo a lei. Inoltre l’alcool gli aveva tolto le poche inibizioni che possedeva, era ora o mai più «Probabilmente tu non sai niente di queste cose, ne è la prova che stavi come una stupida a sospirare qui da sola sul tetto… ma… riguarda una ragazza.»
 
Silenzio totale.
 
Kougyoku pensò di non aver sentito bene. Completamente spiazzata, guardò il Magi che a sua volta contraccambiò, aspettando che la principessa dicesse qualcosa. Ma più lei stava zitta più Judal si sentiva in soggezione, quasi colpevole. Alla fine, non sopportando più quei due grandi occhi rosa completamente fissi su di lui, distolse lo sguardo.
 
E lui non distoglieva mai lo sguardo.
 
«EEEEEEEEEEH?!?!» la principessa gli fu addosso, prendendolo per la maglietta e cominciando a scuoterlo da una parte e dall’altra, ignorando le sue imprecazioni «Al nostro Judal piace una ragazz-»
 
«Sta’ zitta!» il Magi le tappò la bocca con la mano «Maledetta vecchia befana, non fraintendere! Non è che mi piace!»

«Mmmhm...Mhm?»
 
«Non ti capisco e giuro che se vuoi dire un’altra cosa stupida ti strappo la lingua, okay?!» se gli sguardi avessero potuto uccidere, Kougyuoku sarebbe morta almeno una trentina di volte. La principessa annuì docilmente, quindi Judal le tolse la mano dalla bocca ma- «È per questo che uscivi sempre aaah che carino! E lei com’è? Dov’è? Chi è? Dobbiamo subito dirlo a-» parlò così veloce che nemmeno lei capì cosa stesse dicendo.
 
«Kougyoku!» urlò il Magi, estraendo la sua bacchetta.
 
La ragazza alzò subito le mani in segno di resa, ancora sorridendo come un’imbecille «Le mie scuse, è che proprio tu fra tutti…»
 
«Se magari la smettessi con tutte queste blaterazioni insensate e mi ascoltassi capiresti! A me non piace Lilith.» ripeté il ragazzo, abbassando di nuovo la voce, pregando che nessuno li avesse sentiti «Volevo chiederti una cosa, ma ho capito che è stata un’idea davvero stupida, quindi ciao, me ne va-»
 
La principessa si aggrappò caparbiamente ai suoi pantaloni, tentando di impedirgli di saltare giù dal palazzo come si stava apprestando a fare «No, ora tu me ne parli!»
 
«Non voglio più!»
 
«Sei proprio infantile!»
 
«Chi è quella che mi sta attaccata ai pantaloni?» Judal tentò di muovere qualche passo in avanti ma si bloccò quando un altro giramento gli fece quasi perdere l’equilibrio e insieme a quello sentì un inquietante rumore provenire dalla stoffa dei suoi pantaloni; probabilmente se avessero tirato ancora un po’ si sarebbero scuciti «Vecchia befana, lasciami!»
 
«Prometti che se lo farò mi racconterai tutto!»
 
Un sorriso angelico si distese sul viso del ragazzo «Certo che lo prometto.»
 
«Cos’è quello sguardo da brividi? E non dire bugie, come se non ti conoscessi!»
 
«Non ti fidi di me?»
 
«No.»
 
Con uno sbuffo il moro si accovacciò di nuovo accanto alla principessa «Hai detto la prima cosa sensata di questa sera.»
 
Kougyouku venne presa dall’istinto di tirare fuori la lingua e fargli una smorfia ma si evitò di fare una cosa tanto immatura. Davvero, Judal tirava fuori la parte peggiore di lei «Allora, cos’è che volevi domandarmi?» chiese senza più riuscire a nascondere la sua curiosità «Se mai qualcuno mi avesse detto che un giorno avresti avuto bisogno del mio aiuto credo che lo avrei condannato all’esilio dichiarandolo un folle. Ma a quanto pare anche i miracoli esistono.»
 
«Aha, sei così divertente che mi viene da piangere.» il giovane a differenza sua non esitò a farle la linguaccia e la principessa non riuscì a trattenere dei piccoli risolini.
 
«Perché stai ridendo ora?!»
 
«Niente è che anche io stavo per…» ancora ridacchiando sventolò una mano come per dire che non era importante «Nulla, nulla. Allora questa ragazza si chiama Lilith, giusto? Qual è il problema?»
 
«Non è proprio un problema, è solo una cosa che non capisco bene e tu sai quanto le cose poco chiare mi diano fastidio.» aggrottò le sopracciglia «Ho incontrato Lilith una settimana fa mentre passavo per il paesino qui vicino-»

«Ah, quindi è di lì! E dove abita? Passandoci sopra con il tappeto sono riuscita solo a intravedere l’emporio più grande…»
 
«Non… so esattamente dove stia.» il Magi si massaggiò le tempie, ormai il martellino doloroso si era trasformato in un vero e proprio mal di testa «Penso non abbia un posto fisso? È povera, vive per strada ma qualche volta va alla bottega di una ve-»
 
«Povera?» Kougyoku parve interdetta «E che interesse potresti avere da una persona del genere?» 
 
Judal fissò per un attimo la sua interlocutrice poi alzò lentamente un sopracciglio «E il fatto che sia povera dovrebbe importarmi perché…?»
 
«B-bhe,» la ragazza sentì le guance infiammarsi. Non ne sapeva il vero motivo ma d’un tratto si sentì in imbarazzo «Perché, insomma…» si agitò sul posto cercando di farsi venire in mente una risposta decente ma non ne ebbe il tempo perché il Magi scoppiò a ridere «Ecco, non sai cosa dire, quindi evita di sparare le solite cazzate che dicono a palazzo, sarà che conquistando quel dungeon sei diventata presuntuosa, vecchia befana. Povera o non povera Lilith è molto più interessante di tutte le persone che stanno questo schifo posto.» c’era un certo tono freddo e crudele nelle parole del ragazzo, un tono che fece suonare un campanellino d’allarme nella testa di Kougyoku ancor prima che lui continuasse a parlare «Se non sbaglio anche tua madre veniva dalla strada.»
 
Questa volta la principessa ebbe una buona ragione per diventare paonazza «Non ho alcuna voglia di parlare di mia-»
 
«Perché? Porta brutti ricordi, Kougyoku?» crudele, troppo crudele; il ghigno che si era dipinto sul viso del Magi non aveva più nulla di amichevole e il suo tono di voce canzonatorio nemmeno. C’erano state così tante altre volte, da piccoli, nelle quali Kougyoku aveva detto qualcosa di sbagliato o semplicemente Judal era di cattivo umore e d’un tratto adottava quell’atteggiamento ostile; sapeva esattamente che tasti premere per ferirla e non si faceva remore a dire ciò che pensava.
 
La principessa abbassò il capo, distogliendo lo sguardo «Io…» non voleva tirare fuori quel lato del Magi, non quella sera.
 
«Eeeh?» Judal le afferrò le guance, cominciando a pizzicargliele e tirandole su, cercando di piegare le sue labbra mo’ di sorriso «Non ti metterai a piangere ora vecchia befana! Ecco perché da piccola nessuno ti prendeva sul serio. Fatti valere, fatti valere! Mostrami quella risata sadica che hai tirato fuori quando mi hai mostrato lo strumento metallico dov'era racchiusa Vinea!» cominciò a ridere quando Kougyoku cercò di dire qualcosa ma farfugliò parole incoerenti, facendo involontariamente facce buffe.
 
E quel momento sconfortante passò come una folata di vento, una piccola nuvola che aveva oscurato il sole ma che presto si era disfatta, permettendo alla luce di splendere di nuovo. Kougyoku silenziosamente tirò un sospiro di sollievo.
 
«Comunque, è divertente infastidire Lilith, ogni sua reazione è esagerata e esilarante ma… in qualche modo, anche lei mi infastidisce, senza fare veramente qualcosa.» Judal continuò dopo un po’, sbadigliando e cominciando a sentirsi addosso una grande voglia di dormire. Meglio risolvere la questione alla svelta. 
Stette un po’ a pensarci «Mi… detesta abbastanza, questo è  ovvio, però so di starle anche simpatico o comunque di avere una certa empatia con lei. Poi mi insulta senza vergogna, dice cose che se non fosse lei l’avrei già ammazzata dieci volte, ma ha anche paura di me, glielo si legge negli occhi. Solo che quando è tranquilla mi parla normalmente, riesce perfino a scherzare, come se si dimenticasse della sua paura.»
 
Ci fu di nuovo silenzio, Judal guardò Kougyoku come si aspettasse qualcosa. La ragazza lo guardò stranita «E…?»
 
«E cosa?» domandò il Magi.
 
«Non mi devi dire altro?»
 
«No!» sembrava abbastanza sorpreso «Non sei stupita di queste cose?? Come può una persona provare tutto ciò contemporaneamente? È contraddittorio e insensato!» davvero il ragazzo pensava che Kougyoku avrebbe cominciato a urlare esclamazioni incredule e indignate? Accidenti, a volte si sentiva davvero una vecchia in confronto a lui «Judal, è completamente normale! Mi sarei preoccupata se fosse stato diversamente!» o forse lui era un bambino in confronto a lei «Non hai mai letto delle favole? Non conosci la complicata psiche femminile?» si mise le mani sul petto, chiuse gli occhi e sorrise. Al Magi diede i nervi, ponderò di darle una spintarella e farla cadere giù.
 
«Siamo contraddittorie! -continuò lei- Non vogliamo mostrarci deboli di fronte agli altri, ma in realtà abbiamo un animo puro e innocente e desideriamo solo aiutare chi ci sta vicino! Per questo nascondiamo i nostri veri sentimenti sotto mille maschere. Alcune volte mentiamo perfino a noi stesse, cercando di scacciare dei pensieri che sappiamo sbagliati. Facciamo ciò che dobbiamo  per il nostro paese, anche se a volte i nostri sogni, le nostre ambizioni, sono diversi!»
 
«Ora stai parlando di te stessa, vero?» si beccò un pugno in testa.
 
«N-non è questo il punto! È che probabilmente questa Lilith prova qualcos’altro, ma per una ragione o per l’altra è costretta a nascondere le cose anche a se stessa.»
 
Judal incrociò le braccia, immaginandosi una Lilith ‘con un animo puro e innocente’. Gli venne da ridere solo all’idea. 

«Lilith non è come tutte le altre, è scorbutica, volgare e non le importa cosa pensano gli altri di lei o del suo aspetto… però è divertente stuzzicarla, quindi credo che continuerò a farlo.»
 
«Mmm…» la principessa sorrise di nuovo «Un giorno vorrei incontrarla~ quanti anni ha?»
 
«Avrà… la tua età…? Forse un po’ più piccola.» rifletté il moro, poi sembrò che un pensiero gli passasse per la mente. Ghignò malevolo «Aa, sai, ci sarebbe anche un’altra cosa… anche se credo possa essere risolto facilmente… » fece una pausa per enfatizzare il momento e incatenò a se gli occhi della principessa, che attenta e ignara lo fissava con insistenza, sperando davvero di potergli essere utile con dei consigli azzeccati. Judal realizzò che doveva essere una novità per lei parlare di cose del genere, non avendo amici sicuramente non si era mai soffermata a chiacchierare su argomenti frivoli o superficiali. Anzi, probabilmente non era abituata a chiacchierare punto. Soffocando un'altra risata, si chinò di più e lanciò uno sguardo eloquante, come se le stesse per dire una confidenza «Credo proprio che ci sia un'attrazine... fisica, se sai quello che intendo. Come potrei risolverla?»
 
Kougyoku non ebbe neanche il tempo di metabolizzare completamente le parole del Magi che sentì la faccia andarle completamente a fuoco. Come era solita fare nelle situazioni che la mettevano a disagio, nascose il viso dietro le maniche del kimono «N-n-n-n-n… N… NON mi dire queste cose! I-i-io che vuoi che ne sappia? Judal sei un maniaco come ti permetti-»
 
L'ilarità di Judal risuonò forte e chiara. Non c'era nulla da fare, il balbettio di Kougyoku era sempre divertente «E tu sei una verginella casta e pura! Cosa c'è? Ti imbarazza parlare di un po' di sesso?» tuonò ridendo di gusto «Guarda che presto dovrai concederti al tuo sposo! Se vuoi ti posso dare qualche consiglio, sai-»
 
«Ehi, chi sta urlando lì sopra? Principessa, siete lì?»
 
«KA KOUBUN! Judal dice cose inappropriate!!»
 
«Ah, io dico cose inappropriate?! Chi è che ha praticamente dichiarato di non aver nessuna voglia di andare in sposa a-»
 
«Non insinuare cose che non sai! Sei maleducato e sfacciato!»
 
«Vecchia befana!»
 
«Sacerdote, principessa, non urlate, sveglierete tutti quanti-»
 
Andarono avanti così per un bel po’ ma Judal alla fine riuscì a svignarsela e a risparmiarsi una strigliata da quel quattr’occhi servitore di Kougyoku. Nonostante fosse ruscito nel suo intento di infastidire quei due,  per qualche oscura ragione si sentiva ancora molto nervoso, quasi infastidito. Ormai era notte fonda, forse sarebbe dovuto tornare a dare un’occhiata alla ragazzina e poi dormire anche lui, la testa gli stava scoppiando.
 
Volò velocemente verso il boschetto e alla fine riuscì a intravedere il punto dove lui e Lilith si erano accampati per fare quello stupido gioco. Atterrò faticosamente, si riavviò un po’ i capelli e aprì gli occhi, aveva deciso di svegliare la piccola, giusto per darle un po’ fastidio.
 
Ma non la vide, da nessuna parte.
 
«Lilith?»
 
L’unica cosa che vide per terra fu un piccolo sacchetto di stoffa. Conteneva il puzzle della bruna.
 

Cosa c'era di meglio che bere una tisana a notte fonda, aspettando che una ragazzina tornasse? Halima aveva molte cose da dire al riguardo, sopratutto a proposito della ragazzina. Non sapeva se preoccuparsi o no, aveva avuto per tutta la sera una certa inquietudine ma capitava spesso che Lilith non tornasse alla bottega per una notte intera se non di più, e inoltre il giorno prima avevano litigato. Forse la ragazza voleva tenerle il muso e quindi era rimasta a dormire nella sua baracchetta... però c'era quel Magi che le girava attorno, Lilith avrebbe davvero fatto una cosa così avventata?
Sospirando, Halima si alzò per riempire il suo terzo bicchiere, sperando che il sonno cominciasse a farsi sentire. Aveva bisogno di dormire, non poteva passare tutta una notte in bianco per colpa di una brutta sensazione. Fece per prendere la brocca ma prima che le sue dita potessero chiudersi attorno al piccolo contenitore, sentì un forte rumore dal negozio. 
 
“Qualcuno è entrato?” pensò allarmata e, remore della brutta esperienza che lei e Lilith avevano avuto con quei tre uomini qualche tempo fa, cercò subito il bastone che usava per difendersi. Ma prima ancora che potesse avvicinarsi, un uragano sfondò quasi la porta del retrobottega. 
 
Quell'uragano aveva le fattezze di un ragazzo, un ragazzo molto attraente a dire il vero, se non fosse stato per i capelli troppo scompigliati, il fiatone e l'espressione furiosa in viso «Dov’è?!» chiese minaccioso.
 
Halima, colta alla sprovvista, non riuscì a reagire e rimase immobile a fissarlo, mormorando un semplice «Chi?»
 
Il moro ringhiò frustrato, alzando gli occhi al cielo «Chi secondo te?! Lilith!»
 
L'anziana signora aggrottò le sopracciglia, stava cominciando a capire chi aveva davanti, ma sperava davvero di sbagliarsi «È uscita un po’ di tempo fa, mi dispiace.»
 
Lui digrignò di nuovo i denti, mettendosi le mani tra i capelli «Lo so che è uscita, inutile vecchia, un po’ di tempo fa stava con me!» disse, facendole il verso «Voglio sapere se è tornata ma dalla tua stupida espressione direi di no. Bene, abbiamo un problema e, mio malgrado, tu mi aiuterai a risolverlo dato che la conosci più di me.»
 
«Tu sei…»
 
«Ah, vediamo quanto sei perspicace! Sì, sono il Magi Sacerdote dell’impero Kou Judal, tanto piacere.» parlò velocissimo, gli occhi che ardevano di rabbia e fretta «E ti avverto, ho un mal di testa di dimensioni cosmiche, ma soprattutto sono stanco quindi non potrei rispondere delle mie azioni. Lilith è scomparsa, dobbiamo trovarla, subito



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In ritardissimo, buon anno nuovo!

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Capitolo 6
*** Lontana da casa lontana dal cuore ***


 

Cancel your destiny


 
6. Lontana da casa lontana dal cuore

Halima era felicemente vecchia. Non rimpiangeva la sua vita da giovane, nonostante qualche volta le dispiacesse di non avere più l’euforia che vedeva  negli adolescenti o la forza che i ragazzi sapevano tirar fuori. Comunque, Halima era indubbiamente felice della sua vecchiaia, credeva di aver passato una vita tranquilla, niente di speciale, come voleva lei. I primi amori, la tristezza e le delusioni, erano tutte cose su cui era già passata e, nonostante non avesse un uomo con cui trascorrere la propria vecchiaia, non le importava. Perché aveva Lilith.
 
Lilith era l’esatto opposto di lei da giovane: energica, dinamica, forse anche un po’ negativa e scontrosa, ma era proprio quello che le piaceva della ragazza. Con lei era finalmente riuscita a costruire una se stessa severa e capace, che cercava sempre di rimediare ai guai combinati da quella ragazzina a cui si era tanto affezionata e che le sembrava tanto sola.
Si erano incontrate circa tre anni prima, Halima era andata in un'altra città perché stava per portare a termine l’ultimo grande affare della sua vita: aveva deciso di dare via casa sua e comprarsi un piccolo negozio, dove poteva vendere tutti i gingilli che le piaceva tanto collezionare fin da bambina; ma la casa la voleva un certo mercante che era sempre in viaggio, così era dovuta partire per concludere l’affare.
E nella città di Kashgan aveva incontrato una ragazzina di circa tredici anni, bassa e malnutrita, ma con uno sguardo che sarebbe stato capace di spaccare una montagna. Lilith in un primo momento le aveva detto di andarsene e l’aveva minacciata di derubarla e Halima le aveva risposto che non aveva niente con sé e che sarebbe stato inutile rubare a una vecchia. Si ricordava perfettamente l’occhiata sconcertata che la giovane le lanciò, fu grazie a quella che prese una decisione. Rimase più tempo del previsto in quella città, portando da mangiare a quella piccola dai capelli spinosi, fino a che anche Lilith si affezionò a lei; non sapeva bene perché lo avesse fatto, aveva semplicemente intuito che tra lei e la bambina si fosse creato una sorta di legame. Non lo aveva mai detto a Lilith –alla ragazza non piaceva molto parlarne- ma voleva credere che il destino le avesse fatte incontrare.
Poi, l’anno prima, a causa di tutti i disordini che stavano mettendo il mondo sottosopra, Halima l’aveva convinta a venire nel suo paese, così si sarebbero potute prendere cura l’una dell’altra. Lilith acconsentì e si trovò una baracchetta dove tenere i suoi pochi averi, trasferendosi definitivamente in quel paese.
 
Ma Halima sapeva che non sarebbe durato molto, l’animo della ragazza era libero e forte, ad un certo punto si sarebbe sicuramente annoiata di stare ferma in quel luogo.
 
Passò un anno prima che quel momento arrivasse, e quando Lilith le disse che voleva andarsene, lo fece in una maniera tanto tranquilla e semplice che Halima rinunciò a tutti i discorsi che aveva preparato per convincerla a rimanere. Si fece promettere solo una cosa: risolvimi questo puzzle e ti aiuterò ad andartene. Era un vecchio puzzle di legno con pezzi piccolissimi e tutti uguali, l’aveva trovato quando aveva più o meno l’età di Lilith e non era mai riuscita a risolverlo. Ma stranamente ci si era affezionata e prima di morire voleva vederlo compiuto.
 
Halima non si sarebbe mai aspettata che la sua piccola se ne sarebbe andata così d’improvviso, senza dire niente. Era semplicemente scomparsa ed era stato inutile cercare in tutte le viuzze dell’emporio, setacciare le mura della città, il boschetto, le case disabitate, la strada principale dove di giorno si tenevano i grandi commerci. Non c’era. Lei e il Magi avevano tentato dovunque, perfino nei posti più improbabili, dove magari Lilith andava a riposarsi o si nascondeva quand’era arrabbiata.
 
«Cazzo!» beh, ognuno esternava la propria preoccupazione come poteva. Quella del Magi, si palesava a suon di imprecazioni «È impossibile che sia semplicemente scomparsa, deve averla presa qualcuno!» erano tornati nella bottega. Halima pensava che il ragazzo se ne sarebbe andato appena lei fosse entrata nel suo negozio, ma con sua grande sorpresa lui l’aveva seguita e si era seduto al centro della stanza, continuando a proporre posti dove Lilith poteva essersi cacciata, a imprecare e occasionalmente massaggiarsi le tempie.
 
L’anziana signora strinse i pugni «Dovresti andartene.» disse, in tono freddo.
 
Il giovane si voltò verso di lei e alzò un sopracciglio «Cosa?»
 
«È quasi l’alba, se davvero vuoi continuare a cercare Lilith, è meglio riposarsi prima.» le parole le uscivano vuote e meccaniche, non sapeva neanche lei perché stesse dicendo quelle cose. In quel momento voleva semplicemente rimanere sola e poter sguazzare nel dolore. Lilith non doveva andarsene in quel modo. Probabilmente aveva ragione Judal, la ragazzina era stata presa da qualcuno e, se davvero era successo, sarebbe stato praticamente impossibile ritrovarla. Avevano cercato per tanto tempo, avevano perso tanto tempo, e chiunque l’avesse presa si era potuto nascondere in tutta tranquillità.
 
Judal la valutò per un lungo istante, poi si rimise in piedi, avvicinandosi lentamente «Ma non mi dire.» sussurrò, le labbra che si piegavano in un ghigno sardonico «Ti stai arrendendo? Sul serio? Oh, che mossa assolutamente imprevedibile da parte di una debole e inutile vecchia, davvero non me lo sarei mai aspettato!»
 
«Non sono stata io quella che l’ha lasciata sola in quel bosco.» sibilò Halima, con un tono di voce che non credeva di avere.
 
Il Magi sentì lo stomaco stringersi in una morsa spiacevole, ma non lo fece notare «Mi stai accusando? Scusa se ho pensato che se la sapesse cavare da sola.»
 
«Era ubriaca. L’hai fatta ubriacare e poi l’hai lasciata lì! Perché?!» la voce le tremò «Ora se n’è andata e probabilmente non tor-»
 
Judal la bloccò prima che potesse terminare, la strattonò per la maglia, avvicinandola al suo viso «Giuro che se ti metti a piangere ti ammazzo.»
 
«Vattene.» gli ordinò Halima, con un tono più fermo.
 
Lui ringhiò per la frustrazione, lasciandola andare e voltandosi verso l’uscita. Aprì la porta, ma si bloccò, indugiò per qualche istante,  poi si girò di nuovo verso la vecchia «Lei non è niente! -sibilò- Solo un altro stupido rukh, un'inutile anima come tutte le altre!» un piccolo angolo della sua mente si chiese se con quelle parole stesse cercando di convincere se stesso. Si chinò di nuovo verso la vecchia, gli occhi che assomigliavano due tizzoni ardenti per quanto era arrabbiato «Chiediti di chi è la colpa di tutto questo. A quanto pare era destino che  finisse così. Quello da incolpare qui non sono io se le cose sono state decise fin dall’inizio!» si sentiva uno stupido. Sembrava quasi che stesse cercando di scaricare la responsabilità su qualcun altro, come se il peso di quell’avvenimento fosse troppo pesante per le sue spalle. Non disse altro, anche se aveva molte cose che gli turbinavano in testa. Uscì con violenza dalla stanza, lasciando l’anziana signora in piedi, a fissare il punto dov’era scomparso, desiderando di non averle mai detto quelle cose.
 


«COSA AVETE FATTO?!» il risveglio di Lilith non fu dei migliori. L’urlo furioso e preoccupato di un ragazzo fu la prima cosa che sentì e che la fece praticamente balzare fuori dal letto. La seconda cosa che avvertì fu un grande mal di testa, che le provocò un forte capogiro e le appannò lo sguardo, costringendola a stendersi di nuovo.
 
La ragazza gemette e si massaggiò le tempie, cercando di riordinare i pensieri. La prima cosa che notò fu il letto: aveva le lenzuola e le coperte finemente decorate, pregne di aromi di cui non sapeva dire la provenienza, sembravano essere state appena pulite, non si ricordava neanche l’ultima volta che aveva toccato qualcosa di così morbido. Inoltre era rialzato da terra, incastrato su una struttura di legno (capito? Come quelli che si vedono nei negozi più importanti ma che nessun povero si potrebbe mai sognare, lei era già tanto se possedeva un materasso da stendere al suolo!) e aveva un cuscino così morbido che ci si poteva sprofondare il viso. Quando il martellino alla testa si attenuò, cominciò a guardarsi intorno, ancora troppo confusa per poter essere impaurita o preoccupata.
Non era una stanza molto grande, c’era semplicemente il letto, un piccolo comodino con una lampada ad olio e un mobiletto attaccato alla parete, intarsiato di arabeschi blu e oro. Anche le pareti erano decorate, i colori si riflettevano opachi nella penombra della stanza.
 
Fu in quel momento che Lilith cominciò a spaventarsi.
 
Quella non era una stanza che si trovava nelle abitazioni comuni, doveva essere di qualche ricco o benestante e tutto ciò era molto sbagliato. Che diavolo ci faceva lei lì?
 
Sentì delle voci che parlavano concitate dietro la porta, una sembrava molto arrabbiata. La ragazza non ci stette a pensar su, brandì la lampada ad olio come un’arma e si avvicinò di soppiatto alla porta cercando di origliare la conversazione, ma era evidente che se ne fosse persa un pezzo.
 
«Pensavate male!» non si era sbagliata, era la voce di un ragazzo e sembrava star parlando con un altro paio di persone.
 
«Non si arrabbi! Stava lì, in mezzo al bosco e lo sembrava davvero, pensavamo di farle un fav-»
 
«Ah sì? Bene, ora andiamo a spiegarle come stanno le cose, immaginatevi quando si sveglierà…»
 
Ah beh, stavano parlando di lei probabilmente. Il punto era che non le interessava, voleva semplicemente uscire da quel posto e tornare da Halima. Forse quelle persone erano pericolose, cosa volevano farle?
 
Fu così, che appena la porta si aprì non ci pensò molto a sbattere la lampada in testa alla prima persona che le si parò davanti. Sentì solo un gemito sorpreso e poi un grassone si accasciò al suolo, svenuto. Si lanciò verso le altre due figure, diede una gomitata nella pancia al ragazzo e schiacciò forte il piede a un servitore, poi scattò verso il primo corridoio che vide, ignorando il vociare dietro di lei. Non si diede neanche la pena di chiedersi dove stava andando o se quella era l’uscita. Prima di tutto doveva seminare i tre tizi, poi avrebbe pensato a una via di fuga.
 
Ma per un momento ebbe un altro capogiro, la testa pulsava ancora di dolore. E forse fu quel momento di esitazione, di incertezza, che permise a due enormi mani di afferrarla. Si divincolò, tirò calci e pugni, ma inutilmente. Alla fine l’imponente figura, stanca delle sue urla, la sollevò da terra lasciandola a penzoloni come un gattino preso per la collottola.
 
«Mettimi subito g-» Lilith si bloccò non appena vide chi l’aveva presa.
 
Non seppe bene come definirla. Era un… una… signora? No, signorina… forse era meglio definirla un uomo. Cioè, sembrava essere una donna, era truccata, indossava vestiti succinti e una collana molto femminile. Quindi doveva essere una ragazza, no?
Allora cosa ci facevano tutti quei muscoli? Perché era alta più di tre metri? Quel viso era indubbiamente mascolino, il naso e il mento erano sproporzionati. Due piccoli occhi la scrutavano, ma non si poteva capire che cosa stesse pensando, non aveva le sopracciglia il che rendeva tutte le sue espressioni praticamente uguali.
 
Non seppe se mettersi a strillare o scoppiare a ridere.
 
«La prego di non creare confusione.» parlò con una voce dolce e gentile, senza sbattere le palpebre o muovere i muscoli facciali «Siamo in un palazzo e ha appena trattato male il padrone, non è educato.» … okay, forse avrebbe riso.
 
«Ah, Elizabeth!» il ragazzo a cui Lilith aveva dato una gomitata corse verso di loro «Meno male l’hai ripresa.» era giovane, forse della sua stessa età, le rivolse un sorriso gentile «Ti abbiamo spaventata? Scusami, c’è stato uno sbaglio, se ti calm-»
 
«Non dirmi di stare calma, biondino!» lo interruppe Lilith «Anzi liberatemi subito, dove mi trovo?! E tu... ehm… Elizabeth, levami le mani di dosso!»
 
«Okay, okay.» sospirò il ragazzo «Ti spiegheremo tutto, basta che non cerchi di scappare, Elizabeth, lasciala.»
 
L’uomo-donna lasciò Lilith, che si massaggiò le spalle e lanciò uno sguardo d’odio al giovane
 
«Allora?» chiese in tono scorbutico.
 
«Vieni nell’altra stanza, sarai affamata, abbiamo tanto cibo qui.» di nuovo, il biondo le sorrise e si grattò la nuca. Lilith notò che aveva uno strano ciuffo di capelli che gli si alzava sulla fronte, sembrando quasi un corno «Io mi chiamo Alibaba e tu?»
 


«Judal!» una fastidiosa voce lo ridestò dal suo sonno agitato «Judal, devi alzarti, fra qualche ora sarà sera e tu hai passato tutto il giorno qui dentro!» il Magi pensò che quella era la volta buona che ammazzava Kougyoku, ci poteva essere una ragazza più petulante di lei?
 
La principessa, dal canto suo, non sapeva più che fare con il giovane, la sera prima si era comportato come al solito, dispettoso e fastidioso come sempre. E allora perché da quando era tornato, all’alba, si era rinchiuso nella sua stanza? All’inizio aveva pensato che volesse semplicemente riposarsi, ma ormai erano passate tante ore e il Magi non si era alzato dal letto.
 
Una massa si mosse da sotto le coperte e spuntò il viso del ragazzo, i capelli completamente scompigliati, più pallido del solito. La guardò con astio «Vecchia befana, cosa non ti è chiaro della frase “non rompetemi le scatole?”»
 
«Ma Judal, ormai è davvero tardi, non hai neanche voluto mangiare!» gli porse una pesca, ma lui ficcò la testa sotto il cuscino con un grugnito. «Non starai male?» insistette lei, ricevendo un “no” soffocato come risposta.
 
La principessa sospirò. Quando era più piccolo, Judal veniva spesso sgridato dall’imperatore o da Kouen, perché combinava qualche casino a palazzo e in quelle occasioni il Magi metteva il broncio e si rintanava sopra un albero a fissare il cielo o andava a dar fastidio ai tizi di Al-Sarmen che dovevano badare a lui. Ma non era mai capitato che si rintanasse in una camera buia e si rifiutasse di mangiare.
 
Sollevò il cuscino per guardarlo in faccia, ma lui voltò il viso dall’altra parte «È per quella Lilith?» chiese incerta la ragazza.
 
Con uno scatto, Judal si tirò su e le lanciò uno sguardo tra l’infuriato e l’esasperato «Cazzo Kougyoku!» le urlò in faccia «Ma quanto puoi essere stupida? Perché non vai a farti le seghe mentali su quel re che dovrai sposare e mi lasci in pace, eh?! La tua vita è così noiosa che devi per forza andare a impicciarti in quella degli altri, ecco perché sei tanto sola. Non voglio parlare con te. Non voglio averti attorno. Sai cosa voglio? Che tu esca di qui, subito!!!» si coprì di nuovo con le coperte. Forse non avrebbe dovuto prendersela con lei, ma era davvero stanco e arrabbiato. Se la vecchia befana era così stupida da non capire quando era il momento di smetterla, gliel’avrebbe insegnato lui. Così non si sentì in colpa quando udì la porta sbattere e dei forti singhiozzi che cercavano di essere nascosti.
 
Cercò di assopirsi di nuovo, ma non ci riuscì. Detestava Lilith e detestava il fatto che dovesse sentirsi male perché era scomparsa. Succedeva spesso che le persone se ne andassero e non si trovassero più. Non era colpa sua se quella stupida era introvabile, lui aveva addirittura passato una notte insonne a cercarla, che voleva di più?
 
Sbuffando, tirò fuori la piccola tavoletta di legno e il sacchettino contenente i piccoli tasselli del puzzle che appartenevano alla ragazza. Non aveva voluto ridarli alla vecchia, era stata una sorta di silenziosa ripicca per quello che gli aveva detto, e poi voleva tenersi qualcosa della piccola.
Li fissò, chiedendosi come mai Lilith se li portasse sempre appresso, non erano niente di speciale.
 
Sentì dei colpi alla porta e una voce calma e monotona che parlava «Sacerdote, posso?»
 
Judal si sbrigò a nascondere il puzzle e a stendersi di nuovo «Entra.» disse.
 
Entrò un uomo di Al-Sarmen, l’andatura calma e calcolata erano inconfondibili, Judal non dovette neanche voltarsi a guardarlo «Sacerdote, volevo solo avvisarla che tra pochi giorni ripartiremo. Ci vorranno ancora un po’ di mesi prima che il matrimonio della principessa avvenga, d’altronde Marukkio sta ancora contrattando con Balbadd affinché il paese abbia migliori rapporti con Kou, quin-»
 
«Potevi semplicemente dirmi che tra un po’ ce ne andiamo.» lo interruppe Judal. Non si ricordava nemmeno chi fosse Marukkio, quelli dell’organizzazione erano tutti così dannatamente uguali «Dato che non vi siete neanche presi la briga di spiegarmi come mai io sono qui anziché a Kou, potete anche non dirmi quanto tempo ci vorrà, non mi importa.» le ultime parole suonarono come un congedo, ma l’uomo con il velo non se ne andò.
 
Restò un po’ in silenzio, forse a valutare il giovane «Magi, ho visto la principessa uscire in lacrime, è successo qualcosa?»
 
Judal si girò verso di lui e lo fulminò con lo sguardo «Sei ancora qui?»
 
«Allora, con permesso.» disse l’uomo e, senza scomporsi, uscì dalla stanza.
 
Piombò di nuovo il silenzio e il Magi fissò il soffitto con uno sguardo vuoto «Tra poco ce ne andiamo, piccola.» sussurrò «Se non ti sbrighi a tornare, non posso neanche salutarti…» chiuse gli occhi e stranamente riuscì ad addormentarsi, una parte della sua mente sospettò che il tizio con il velo gli avesse fatto qualcosa, ma non se ne curò più di tanto, se gli serviva a dormire e staccarsi un attimo da tutti i pensieri che gli turbinavano in testa, perché no?
 
 Sprofondò in un sonno senza incubi.
 


Le avevano dovuto portare dell’acqua. Dell’acqua con il ghiaccio. Perché fin dalla prima cosa che Alibaba le aveva detto, Lilith si era sentita svenire.

Non si trovava semplicemente nella casa di un ricco signore (e inoltre, il ricco signore era proprio quello sciocco e tonto biondo che la stava trattando tanto bene). Si trovava proprio in un'altra città, Qishan, per la precisione. Proprio quella dove pochi giorni prima Judal era andato per via di quel “dungeon”.

Era tutto capitato per via di Budel, un mercante di vino, il grassone che Lilith aveva steso poco prima con la lampada. La sera avanti, aveva venduto qualche botte di vino a dei mercanti di un’altra città e lui e la sua carovana si stavano accingendo a tornare a Qishan, quando avevano dovuto deviare per un contrattempo, qualche creatura del deserto li aveva attaccati. Così, erano dovuti passare per il bosco alla periferia del paesetto di Lilith e lì avevano incontrato proprio la ragazza. Sporca com’era, avevano detto, gli era sembrata una schiava, avevano creduto che fosse scappata dal suo padrone e si fosse appisolata nel bosco. Così, a quel geniaccio era venuta la brillante idea di prenderla e portarla in dono al “nobile Alibaba”, come regalo di congratulazioni poiché era diventato il nuovo capo di Qishan, avendo conquistato il dungeon.
 
«TU ORA MI SPIEGHI COME TI È VENUTO IN MENTEEEEE!» Lilith mandò in frantumi il quarto bicchiere che le avevano dato «Ti sembro una schiava?! Ti sembro avere le catene alle caviglie? Ti sembro sporca e mal nutrita… no, okay, quello lo sono. MA NON HA SENSO!» diede un calcio alla brocca contenente l’acqua, inutile dire che anche quella andò in mille pezzi.
 
Budel era stato costretto a uscire, dato che la piccola aveva tentato di frantumargli il cranio in vari modi. Alibaba era rimasto e stava cercando di calmarla «Hai ragione! E poi io non voglio degli schiavi è stato Budel che...»
 
«Ti sembro una a cui importa?!?!!» gli urlò lei «Voglio semplicemente tornare al paese, perché di sicuro la vecchia mi sta cercando e sono in un mare di guai!»
 
«….» Alibaba impallidì «Ecco… a questo proposito…» balbettò qualcosa a bassa voce.
 
«Sei anche incapace di parlare ora?! Cosa? Che succede?» Lilith gli lanciò uno sguardo minaccioso, quindi il ragazzo si fece forza e le rispose tutto d’un fiato «Devi rimandare la tua partenza.» si coprì la testa, aspettando che gli arrivasse qualcos’altro addosso, ma non successe niente, quell’uragano di ragazza era rimasta immobile a fissarlo «Eh?»
 
«…Volevo che ti riaccompagnassero degli uomini che conosco,» si affrettò a spiegare «come un regalo di scuse. Non voglio lasciarti viaggiare su una carovana sconosciuta, questa città è abbastanza famosa per il mercato di schiavi (anche se il capo di prima è morto) e per ogni mercante qualche persona povera e indifesa è una buona fonte di ricchezza, non vorrei che ti trovassi nei guai per causa mia… il problema è che ormai è sera e non ci sono carovane che partono a quest’ora. In più il tuo paesetto, a quanto ho capito, si trova in un punto difficile da raggiungere e i carri che ci passano vicino sono pochi, quindi forse per trovarne uno dovrai aspettare un paio di giorni.» le rivolse uno sguardo colpevole «Ma puoi stare qui finché non c-» gli arrivò un cuscino in faccia.
 
«Non hai capito, allora! Io devo tornare ora altrimenti Halima penserà che sia morta e potrebbe preoccuparsi e poi… poi…» Lilith non trovava le parole, dopo una sfuriata del genere sentiva piombarle addosso una stanchezza pesantissima e la testa non aveva smesso un attimo di farle male. Con un gemito, si sedette su un divano vellutato e si massaggiò le tempie.
 
Il biondo sospirò e le si sedette accanto «Mi dispiace davvero tanto, ma non ti lascerò andare con un carro qualsiasi. Aspetta due giorni, se non troviamo nessuno, ti ci riaccompagno io, okay?» cercò di metterle una mano sulla spalla, ma lei si scansò «Non capisci.»
 
Le sorrise «Ah, invece credo di sì!»
 
La ragazza lo squadrò con uno sguardo sospettoso  e lui le spiegò «Anche se sono in un’altra posizione. Io sto aspettando qualcuno che è scomparso.»
 
Lilith alzò le sopracciglia, interessata «In che senso?»
 
«Sai, c’è questo mio amico che mi ha promesso che andremo a vedere il mondo insieme. Il problema è che è se n’è andato e non lo trovo più. È come se fosse sparito nel nulla... ma… ma io sono sicuro che tornerà.» strinse un pugno e il suo sguardo si fece più convinto «Lo sto aspettando e quando ci rivedremo, potremo viaggiare e fare tutto ciò che vogliamo.»
 
«Ah…»
 
«Quindi, non stare giù, sono certo che le persone che ti vogliono bene ti stiano semplicemente aspettando e quando tornerai, tutto si riaggiusterà.»
 
«Sei strano.» Lilith mandò in frantumi tutta l’atmosfera che le parole di Alibaba avevano creato.
 
«Come? E io che credevo di star dicendo qualcosa di figo.» borbottò il biondo, abbassando la testa.
 
«Non so dire se sei stupido o semplicemente ingenuo.» annuì convinta, facendo quasi cadere Alibaba dal divano «Insomma, sei troppo positivo, prima o poi finirai per rimanere deluso, non tutto va così bene.» si alzò e andò verso la finestra, osservando la città in cui era stata tanto tempo prima. Notò che davvero non c’era più l’enorme colonna che dominava su tutto, la cui cima arrivava fino alle nuvole e si confondeva con il cielo, era stato Judal a farla scomparire? «Potrebbe succede qualsiasi cosa -continuò- magari per una ragione o per l’altra non incontrerai più quelle persone, magari moriranno prima che tu le possa rivedere, ci sono tantissime possibilità che-» si girò verso il biondo, ma si bloccò. Alibaba aveva praticamente le lacrime agli occhi, sembrava che si stesse per sgonfiare da un momento all’altro e che diventasse una carcassa senza vita.
 
«M-m-ma forse non è il tuo caso!» perché si sentiva in dovere di rassicurarlo?
 
Il ragazzo alzò lo sguardo «Ah sì?» disse, con voce piatta e depressa.
 
«Beh, magari, sperando che questo tuo amico non sia stato sbranato dalle belve o ucciso dai briganti o si sia arreso per la fame, potr-» in tutto il palazzo sentì un gemito pieno di disperazione.
 


“Come sono arrivata a questo punto?” era la centesima volta che Lilith se lo chiedeva ed era il centesimo fazzoletto che passava ad Alibaba.
 
«Tu non capisci!» urlò il ragazzo, versandosi il centesimo bicchiere di vino e asciugandosi le lacrime nel fazzoletto «Aladinn non è una persona qualunque, lui non può essersene semplicemente andato!» la prese per le spalle e cominciò a scuoterla, continuando a ripetere “non può non può non può” come una litania.
 
“Ripeto: come diavolo sono arrivata a questo punto!!” si era perfino sforzata di essere gentile, aveva perfino sorriso tentando di calmarlo, ma ogni volta che apriva la bocca sembrava far peggio e ormai era un’ora che Alibaba l’aveva presa e usata come ‘spalla su cui piangere’.
 
«Da quanto è che ti tieni dentro tutte queste… ehm, lacrime?» gli domando, cercando di farlo smettere di singhiozzare.
 
«Troppo tempo!» il biondo alzò il bicchiere al cielo e lo guardò con aria grave «Ora neanche la compagnia delle ragazze mi tira su di morale!»
 
«Oh, ti prego, non voglio saperlo!» urlò Lilith, cominciando a divertirsi per le mosse esagerate di quel tizio «Alla fine tutti voi maschi ragionate con una cosa sola e non è la testa.» sbuffò, ricordandosi le stupide battutine di un certo qualcuno.
 
«Perché, quanti ragazzi conosci?» chiese lui.
 
«Senza contare te, uno solo!» affermò la bruna «E data l’esperienza, non ci tengo a conoscerne altri.»
 
«Non sei un po’ prevenuta?» osservò Alibaba, con un leggero singhiozzo.
 
«Assolutamente no, se sapessi cosa mi ha fatto! Mi rende una vita un inferno, si diverte a darmi fastidio, credo sia stato lui a lasciarmi addormentata in quel bosco, un’altra volta mi ha pure presa in giro perché sono bassa.»
 
«Eeeh, che cattivo, magari gli piaci.»
 
Lilith lo fissò come se gli fossero spuntate le orecchie e avesse cominciato a dire “miao” «Nah, impossibile.»
 
«Perché no? Ci sono ragazzi che si comportano così.» ribatté lui, stendendosi per terra e osservando con sguardo vacuo il soffitto. Fece per afferrare di nuovo la bottiglia con il vino ma Lilith gliela sfilò dalle mani «Tu non bevi più, fidati, ho fatto l’esperienza ed è orribile.»
 
«Ridammela!» Alibaba tentò di afferrarla, ma lei lo tenne fermo mettendogli un piede in faccia
 
«E perché si comporterebbe così se gli piaccio? Non dovrebbe essere carino e gentile?»
 
«Ci sono alcuni che sanno esternarlo solo in quel modo.» borbottò lui, prendendola per il piede e facendole perdere l’equilibrio «Ma ti ha mai fatto cose davvero cattive? Non ha mai cercato di aiutarti in qualche modo?»
 
Lilith si bloccò, pensando a quando si era interessato a come avrebbe fatto a sconfiggere quei ladri o due giorni prima, quand’era caduta dall’albero... Era così distratta che Alibaba riuscì a rubarle la bottiglia e, con un sorriso vittorioso, stava per berne un sorso. Ma inciampò rovinosamente sulle sue stesse gambe, cadendo all’indietro si aggrappò a una tenda che si staccò e andò a finire contro un alto mobile che si sbilanciò e ruppe il vetro di una finestra.  E volò giù. Il risultato fu una serie di scrash sempre più forti, poi imprecazioni e urli.
 


Per fortuna, i danni non erano stati tanto gravi, Alibaba si era precipitato a controllare ma tutto sembrava essere in ordine, a parte una vecchietta che si era presa un mezzo infarto, ma sarebbe sopravvissuta
 
Lilith rise come poche volte nella sua vita. A vedere quello strano ragazzo correre avanti e indietro cercando di rimediare al grande caos che avevano provocato, le era salito uno strano e genuino divertimento. L’aveva aiutato a raccogliere ciò che rimaneva del mobile e poi era andata a letto, sentendosi stranamente più leggera e contenta. Cosa che capitava poco spesso nella sua vita, quindi perché non approfittarne?
 
Pensò che era sciocco e inutile preoccuparsi di Halima, in qualche modo avrebbe risolto e poi, volente o nolente, doveva restare lì, e decidere se logorarsi al pensiero di come stava la vecchia, o di guardare tutto da un altro punto di vista.
 
Perché, diciamocelo, quando ti ricapita che un giovane ricco e gentile (Lilith avrebbe usato più volentieri l’aggettivo cretino, ma quel giorno di sentiva stranamente più educata) ti ospitasse in casa sua e ti dicesse che l’unica cosa che non dovevi fare era lasciare la suddetta casa?
 
Mai.
 
Almeno, fino a quel momento.
 
“Andare a dormire” non equivaleva propriamente al riassunto di come erano andare le cose. Diciamo che la ragazza passò una buona mezz’ora a saltare sul letto, cercando di assumere le posizioni più strane che le venivano in mente, a fare capriole e a lanciare in aria il cuscino.
Sapeva anche lei che vista da fuori poteva sembrare un pazza isterica, quelle cose le facevano i bambini, non le sedicenni. Ma se una sedicenne per tutta la sua vita non aveva incontrato letto più bello, comodo e morbido di quello, Lilith giunse alla conclusione che potesse permettersi certi lussi. E poi non la stava vedendo nessuno, dov’era il problema?
Dopo un po’ di tempo sentì le membra abbastanza indolenzite da potersi ritenere soddisfatta delle sue performance acrobatiche e cominciò ad esplorare la stanza. Non che ci fosse molto da vedere, ma euforica com’era non riusciva a stare ferma.
 
Notò una piccola finestrella e riuscì a raggiungerla servendosi del cassettone attaccato alla parete. Ci si arrampicò su e si accovacciò sul davanzale; grazie alla sua bassa statura, ci stava perfettamente.
Il panorama non era niente di ché, non si affacciava sulla città ma sul deserto, quindi era praticamente impossibile vedere qualsiasi cosa, però la luna era bella e di tanto in tanto una lieve brezza arrivava a scompigliarle i capelli, stava bene.
 
Sospirò profondamente, cominciando a rilassarsi. Pensò a Judal. Chissà cosa stava facendo, sapeva che Lilith non era più dove doveva essere? Era preoccupato? Sollevato? Indifferente? La bruna avrebbe pagato oro per saperlo, ma non possedeva né oro né una sfera di cristallo, quindi si sarebbe dovuta limitare a congetture. Ci provò, ma le uniche immagini che le vennero in mente furono lui in quel boschetto o tra le strade della città. Con lei. Non riusciva ad immaginarselo diversamente, non riusciva a capire cosa facesse quando non era in sua compagnia, in fondo, di lui sapeva solamente che era molto potente e cattivo.
Potente… di cosa? Di magia? Quella cosa che gli permetteva di volare e di far apparire bicchieri colmi d’alcool dal nulla? O il suo era un potere più materiale, fatto di servi, soldi e virtù? Credeva fossero entrambi. E questo andava anche bene, lo riusciva a percepire perfino lei: Judal era quasi un’anomalia, qualcosa di così pericoloso che anche le ombre intorno a lui sembravano piegarsi al suo passaggio.
Eppure il secondo termine che veniva accostato al suo nome, cattivo, non ce lo vedeva bene. Forse era semplicemente perché non l’aveva mai visto combattere o uccidere; forse perché non era mai stato veramente cattivo con lei, come diceva Alibaba. Stronzo, certo. Irritante, pure. Ma la ragazza credeva di conoscere e saper distinguere la cattiveria da qualcos’altro. Cosa fosse quel qualcos’altro, poi, era un’altra storia.
 
Voleva sapere cosa passasse per la mente del Magi, voleva capire cosa provasse quando stava in sua compagnia, perché lei, era indubbiamente interessata a lui.
 
Bloccò il corso dei suoi pensieri, quasi sorpresa al punto in cui erano arrivati «Io… sono attratta da lui?» lo disse con un tono pensieroso, quasi indifferente. E concluse che sì, nonostante se lo fosse negata, lei era indubbiamente calamitata da quel tizio con i capelli lunghi e il ghigno prepotente.
 
«Magari gli piaci.»
 
Le parole di Alibaba risuonarono nella sua mente. In fondo poteva anche essere così, il biondo non aveva specificato in che modo lei gli potesse piacere, se in senso carnale, caratteriale o altro. Se lo si guardava oggettivamente non c’era nulla di male, era un ragazzo, poteva provare un interesse verso di lei e poteva non essere mera curiosità. E anche se fosse stata solo quella non cambiavano le cose, lui le stava attorno perché voleva e lei, tutto sommato, glielo permetteva.
 
Questo fu il monologo della parte oggettiva di Lilith.
 
L’altra parte si limitò a sbraitare, arrossire, negare completamente ogni cosa e a saltellare infuriata nella sua testa, alla ricerca di un po’ di attenzioni.

«Aaaah! Non sono brava in queste cose!!» frustrata, saltò giù dal davanzale rimediandosi una storta.
 
Zoppicando e imprecando, si diresse verso il bagno. Quando entrò, dimenticò per un po'’ tutte le sue preoccupazioni, perché quello non era un bagno, era una reggia. C’era perfino la vasca da bagno e la ragazza non ne aveva mai toccata una. Girò una manopola e miracolosamente uscì dell’acqua calda.
 
«Caspita.» sussurrò sognante. Ma poi convenne con se stessa che non era una buona idea farsi il bagno a notte fonda, avrebbe potuto farselo con tranquillità il giorno dopo, alla luce del sole, e magari Alibaba le avrebbe spiegato cos’erano tutti quei tubetti con delle strane scritte che, dato che non sapeva leggere, non riusciva a decifrare.
 
Con un sospiro, tornò nella camera e si ficcò sotto le coperte, sentendosi improvvisamente tremendamente stanca.
 
«Cosa sto facendo?» si chiese, schiacciando la testa contro il morbido cuscino. Pensò ad Halima e a Judal, e si chiese quando li avrebbe rivisti. Il Magi era un problema, doveva riuscire a districarsi da quel complicato groviglio di sentimenti in cui si era incastrata, perché tutto quel rimuginare non era assolutamente da lei. Lei agiva e basta. E doveva tornare a farlo, mettendo le cose in chiaro con il moro. Gli avrebbe detto di andarsene e di smetterla di romperle le scatole, di trovarsi un nuovo hobby, di prendersi un animale da compagnia, quello che voleva. Ma di lasciarla stare.
 
Oppure poteva semplicemente sbraitargli contro qualche insulto e continuare a incontralo.

Non ne aveva idea. Ma non l’avrebbe deciso quella sera.



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Bene. Come sempre  le cose che mi ronzano in testa sono le stesse. Per favore, mettete tutto ciò che avete pensato e avete provato mentre leggevate (dal "hei, questa parte è bellissima" al "era meglio se si ingoiava il computer invece di scrivere una boiata simile") lo sapete, mi fa sempre piacere leggervi, qualsiasi cosa scriviate, perché vuol dire che avete speso un po' di tempo per la mia storia.

Alibaba non ho mai saputo come prenderlo, insomma, nel manga è abbastanza diverso che da quello dell'anime e dato che senza ombra di dubbio seguirò il manga, mi è venuto difficile da rendere, dato che nella mia testolina c'è un miscuglio di Alibaba-forma-animata e Alibaba-forma-cartacea. Perdonatemi se sono uscita fuori personaggio.

Vi lascio postando una cosa che mi ha reso davvero felice oltre l'immaginabile: un disegno di annalisa97_1D, a cui dico mille e una volta grazie, è davvero fantastico, stupendo e meraviglioso. Insomma, spero di aver reso l'idea.
Una cosa del genere non me la sarei davvero aspettata e beh, non potrò mai ringraziarla come si deve, so solo che non lascerò questa storia incompiuta.

Bene, chiudo l'angolo delle blaterazioni, grazie sopratutto a chi recensisce e anche a chi segue la storia. 
Alla prossima!!

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Capitolo 7
*** Un'incessante insofferenza ***


 

Cancel your destiny

 
7. Un'incessante insofferenza
 

Vapore.

Quel fumo caldo e denso saliva lentamente verso il soffitto. Non sembrava aver fretta, si prendeva tutto il tempo del mondo, era quasi esasperante; le sfiorava il viso e la pelle, le appannava gli occhi e seguiva obbedientemente la spinta leggera del suo respiro. Lilith soffiò più forte, cercando di allontanare le volute di fumo che le entravano in gola impedendole di respirare bene.
Piegò la testa verso l’alto, cercando di assaporare aria più fresca. Si sentiva costretta in quella vasca, imprigionata dal calore e dagli aromi che le davano quasi alla testa; era leggermente claustrofobica e stare lì, a respirare calore e umidità, non aiutava per niente.

Però doveva ammettere che quel bagno era qualcosa di davvero strano. Alibaba le aveva spiegato che accanto a ogni stanza c’era una sottospecie di cisterna in legno, contenente dell’acqua calda e ogni volta che si girava una manopola scendeva la suddetta acqua. Quando il giovane aveva provato a spiegarle il sistema che collegava le tubature o come potesse una semplice manopola tener chiusa la cisterna, Lilith si era subito estraniata, ritenendo tutto ciò troppo complicato e noioso.

La cosa che la interessava di più era il bagno caldo in sé.

Non che la ragazza non avesse mai visto o toccato dell’acqua calda, d’altro canto vivevano nel deserto: il clima era torrido, ogni pietra scottava, la vegetazione era poca e gli esseri viventi erano in costante ricerca di un po’ d’ombra. Proprio per questo il vero problema era trovare i liquidi necessari. Insomma, l’insopportabile caldo faceva evaporare praticamente tutto e dato che la poca acqua che restava la si usava per dissetarsi, fare il bagno non era uno dei principali problemi del popolo.

Stare lì, in una vasca, circondata da vassoi contenenti frutti freschi e bevande colorate, con piante rampicanti che abbellivano l’ambiente insieme ai loro fiori sgargianti, aiutata da ben tre ragazze gentili e sorridenti, era davvero singolare.

Quindi la piccoletta non poteva dire di sentirsi esattamente a suo agio, ma doveva ammettere che essere servita e riverita dava una certa soddisfazione.

Si era rifiutata di spogliarsi in presenta di Elizabeth (la donna energumeno) e le altre, così le era stato consegnato un piccolo vestitino che poteva usare mentre era immersa nell’acqua e le tre servitrici le massaggiavano la testa.

Sospirò, cercando di godersi le mani di Elizabeth che delicatamente le strofinavano i capelli con una lozione profumata presa da quegli strani tubetti di legno «È la terza volta che mi metti in testa quella roba!» si lamentò debolmente, un po’ intontita per l’elevato calore in cui era immersa «Sono davvero così sporchi?»

«Lo erano.» la corresse la donna «Fortunatamente signorina, lei porta i capelli corti, quindi c’è stato meno lavoro di quanto mi aspettassi. Non fosse stato per i nodi, avremmo finito molto prima.»

La bruna sbuffò «I capelli lunghi fanno sudare e sono scomodi, li odio…»  nella mente le apparve l’immagine di una chioma nera come la pece legata da vari lacci, così lunga che quasi toccava terra, poi l’eco di una risata roca, un po’ beffarda. Gonfiò le guance «Beh, più o meno.»

Ripiombò il silenzio, Lilith chiuse gli occhi ma le comparivano in mente solo immagini a cui non voleva pensare e le inutili preoccupazioni che l’avevano assillata il giorno prima tornarono a tormentarla.

«Alibaba è davvero gentile.» osservò, più per fare conversazione che per altro.

«Sì.» rispose Elizabeth «L’intero il paese lo adora, in tre giorni è riuscito a conquistarsi l’approvazione di tutto il popolo.»

«Tre giorni?» la giovane si girò a guardare la sua interlocutrice, un sopracciglio alzato «Vuol dire che fino a tre giorni fa era suo padre che amministrava Qishan?»

«Oh, no, il reggente di prima non aveva niente a che fare con il signorino Alibaba. Era cattivo e spietato, ma dicono che sia morto nel dungeon, dopo esserci entrato per inseguire proprio il signorino.» Elizabeth si sporse a prendere l’ennesimo impasto di erbe e oli e lo versò lungo le punte dei capelli della giovane «Tre giorni fa, il dungeon è stato risucchiato dalla terra. Proprio come era apparso anni prima è scomparso, lasciando solo un’enorme voragine, dove tutto il popolo ha visto il signorino Alibaba seduto su una montagna di oro e ricchezze.» fece una pausa, trovando probabilmente l’ultimo piccolo nodo di quei capelli un tempo crespi «E così si è deciso che sarebbe diventato lui il nuovo reggente, anche perché da un giorno all’altro è diventato l’uomo più ricco di tutta Qishan.»

Lilith ascoltò in silenzio la storia, sorpresa e tesa allo stesso tempo. Quindi era stato proprio Alibaba ad entrare nel dungeon e, a quanto pareva, a conquistarlo? Judal era partito per Qishan proprio per evitare che ciò accadesse. La ragazza si chiese che cosa avrebbe fatto il Magi se fosse venuto a sapere che nonostante avesse fatto scomparire l’enorme e magico edificio, qualcuno ne era comunque uscito.

Sorrise furbescamente “A quanto pare non tutto va come vuoi tu, sbruffone.” «Allora è un bene che quel biondo ora sia al comando.» disse gongolante.

La donna annuì e sembrò soddisfatta anche se Lilith non riuscì a dirlo con certezza, ormai aveva concluso che Elizabeth non avesse la capacità di fare espressioni facciali. Una delle ragazze che si affaccendavano lì intorno, si intromise «E la prima cosa che il signorino ha fatto per la città, è stato liberare tutti gli schiavi, pagando i loro padroni con un’ingente somma di ricchezze. Così si è guadagnato il supporto dei più poveri ma ha evitato il malcontento dei ricchi.»

«Co-» Lilith si girò di nuovo, credendo di aver capito male «Sul serio?»

Un’altra ragazza annuì «Ci sono dei paesi in cui il commercio di schiavi è vietato dalle autorità e anche in questo paese ci si è prefissati quest’obbiettivo.»

Nonostante Lilith avesse viaggiato in diversi paesi non si era mai spinta in città così lontane, ormai era abituata a vedere esseri umani girare per le strade in catene o venire occasionalmente picchiati dai loro padroni. Non che la trovasse una cosa giusta, ma se si è poveri ci si deve preoccupare principalmente di se stessi, quindi la ragazzina non si era mai curata molto di questo problema. Stette in silenzio, capendo finalmente perché queste ragazze fossero così affabili e, alcune volte, sfrontate. Non erano delle schiave, era il loro lavoro servire a palazzo, venivano pagate.

La bruna restò molto tempo a rimuginare su questo fatto, era davvero strano pensare che un nobile non avesse intorno gente sofferente e mal nutrita però… una cosa del genere sembrava una bella prospettiva per un paese.

Quando Elizabeth finì, le ragazze la lasciarono sola, indicandole i vari oli per il corpo che doveva usare e ricordandole che sul letto le erano stati lasciati dei vestiti nuovi e puliti.


Lilith si spogliò e iniziò a lavarsi, godendo la nuova sensazione dell’acqua calda sul corpo. Cominciò a canticchiare un motivetto senza parole, cercando di rilassare le spalle e i muscoli indolenziti
si accorse che era stata tesa per tutto il tempo che quelle donne erano state lì con lei.
Sbuffò «Lilith, non riesci proprio ad abituarti al contatto fisico, eh?» Halima le aveva detto quelle parole una volta e, malgrado tutto, la ragazzina doveva riconoscere che aveva ragione.
D’improvviso, si ricordò quante volte Judal aveva invaso il suo spazio personale. Ormai le memorie della sera in cui si erano ubriacati erano tornate più o meno tutte alla luce, anche se in modo confuso e si ricordava perfettamente che il Magi era troppo vicino. Chi gli aveva dato il permesso? Non che lei se ne fosse lamentata ma per l’amor del cielo, era ubriaca! Si poteva dire che il ragazzo si fosse bellamente approfittato di lei!


«» 

Il braccio attorno alle sue spalle, la mano che le si appoggiava velocemente su un fianco per poi ritrarsi, le dita che le sfioravano il collo e i capelli, una gamba appoggiata alla sua…

Sentì il sangue affluire al viso, la lieve pressione che provava agli occhi e alle guance quando avvampava non lasciavano dubbi sul fatto che doveva avere il volto rosso come un pomodoro. Lo stomaco si chiuse in una morsa non del tutto spiacevole mentre cercava di ricordare
e anche immaginare, il corpo caldo e forte di Judal vicino al suo.

Divenne ancora più rossa «Fa caldo…» decise che era ora di uscire da quella sauna.

Andò nella sua stanza e, con i capelli sgocciolanti, cominciò a fare delle giravolte su sé stessa, sorpresa di quanto si sentisse leggera, non credeva di essere mai stata così pulita e profumata in tutta la sua vita.

Prese un panno e si strofinò violentemente la chioma, rovinando tutto il bel lavoro che aveva fatto Elizabeth cercando di districarla; si immaginò la frustrazione della donna energumeno quando avrebbe visto cosa aveva fatto e la speranza di poter strappare a quella tizia una vera e propria espression
–anche se fosse stata di scontento- insieme alla soddisfacente sensazione di poter darle fastidio, le fecero spuntare un sorrisetto cattivo sul viso e si strofinò più forte i capelli. Si chiese se stava diventando una sadica come un certo qualcuno. Quando reputò che per farli asciugare non c'era altro modo se non lasciarli all'aria aperta, si fermò e si interessò di più ai vestiti che le erano stati lasciati sul letto. Trovò dei pantaloni larghi e lunghi, di una stoffa leggera ma resistente e una maglietta senza maniche abbastanza corta che le lasciava un po’ scoperta la pancia, non importava quanto cercasse di tirarsela giù “Non importa, per fortuna i lividi non si vedono…” pensò, guardandosi allo specchio.
Gli abiti le stavano perfetti, e ringraziò mentalmente che Alibaba non le avesse dato qualche stupido abito o gonnellina, non li sopportava proprio.

Notò che le avevano lasciato perfino delle scarpe. Le calzò e subito dalle labbra le uscì un mugugno soddisfatto «Comode…» anche se le pareva un po' strano non sentire più il terreno sotto i piedi.

 Fece qualche smorfia davanti allo specchio, tentando di guardarsi da tutte le angolazioni possibili; il normale velo di sporco unito al sudore che le scuriva la pelle era scomparso e il lavoro che le donne avevano fatto per pulirle le mani, i piedi, i capelli era stato magistrale. Il volto era più rilassato e, nonostante le occhiaie si vedessaro ancora e il colore delle guance fosse di un pallido smunto, le sembrava di aver preso un minimo di colorito. Se qualcuno l'avesse vista non avrebbe mai detto che viveva in un vicolo sporco e sudicio, nella puzza degli escrementi di uomini e animali. 

Decise di andare a cercare Alibaba, doveva insistere sul fatto di partire quanto prima per il suo paese.
…E beh, oh certo, anche ringraziarlo, più o meno…

Uscì velocemente dalla stanza e si fiondò lungo i corridoi e giù per le scale, pensando che se avesse avuto tempo sarebbe sicuramente andata un po’ in giro per il palazzo, c’erano molte cose che Alibaba le doveva mostrare e lei era davvero interessata a scoprire quel mondo che, fino a pochi giorni prima, aveva sempre visto come qualcosa di irraggiungibile.

Trovò chi stava cercando insieme a una ragazzina con i capelli di uno strano colore acceso.

«Lilith!» esclamò il biondo, appena la vide «Finalmente ti sei pulita, sembra che ti sia lavata di dosso cent’anni di sporcizia, sei carina.» anche quando voleva essere ironico Alibaba riusciva a mantenere un tono gentile, la bruna non sapeva se era una caratteristica che la infastidiva o che apprezzava del ragazzo.

Sorrise furbescamente «Tra poco mi vado a rotolare di nuovo nel fango.» lanciò un'occhiata curiosa alla ragazzina che le stava di fronte: era probabilmente di qualche anno più piccola di lei, aveva una faccia seria e un portamento composto, quasi rigido, e la fissava di rimando, con uno sguardo che rasentava la noia. Lilith non fu neanche sicura che la stesse davvero vedendo, sembrava più come se stesse scrutando un punto indefinito dietro la sua testa. Ma la cosa che la interessò di più fu lo strano taglio degli occhi, era diverso, una forma che non aveva mai visto.

«Ah,» Alibaba notò i veloci scambi di sguardi «Lilith, questa è Morgiana, un’amica che ho conosciuto poco tempo fa.»

«Non siamo amici.» precisò Morgiana, senza perdere la sua compostezza, facendo quasi inciampare il ragazzo con la sua affermazione «Siamo stati compagni di… certi eventi.» Fece un mezzo inchino a Lilith, poi si rivolse di nuovo al giovane, continuando il discorso che probabilmente la bruna aveva interrotto «Un giorno tornerò alla mia terra natale, era ciò che il mio salvatore voleva dopo tutto. Ma per ora, vorrei lavorare qui se non è un problema.» sembrò esserci un lieve guizzo di luce negli occhi di Morgiana.

Alibaba incrociò le braccia, pensieroso, «Salvatore eh… ho capito, immagino che anche io dovrò cominciare a darmi da fare. Grazie mille Morgiana, mi hai aiutato a mettere le cose in chiaro.» fece uno strano sorriso malinconico e Morgiana si congedò.
 


Erano ormai passate ore, Judal si sarebbe dovuto alzare da quell’amaca e trovare una soluzione ai suoi pensieri, però sentiva il corpo pesante e debole, le palpebre gli si chiudevano in continuazione ma non riusciva ad addormentarsi, il caldo era insopportabile.

Sospettava che quella stanchezza fosse dovuta a un calo di zuccheri e alla costante afa di quel luogo. Continuava a ripetersi che si sarebbe dovuto dare una svegliata, magari andare a distrarsi allenandosi con la sua magia o semplicemente a fare una passeggiata nel cielo, dove di sicuro le temperature erano più fresche.

Ma quando non si ha voglia di fare niente non si fa niente, punto.

Era da quella mattina che il moro sentiva una costante insofferenza attorcigliargli lo stomaco in una morsa spiacevole. Era irascibile e irritato, aveva perso il conto di quante volte aveva urlato senza motivo a Kougyoku o aveva fatto qualche scherzo di cattivo gusto a Ka Kobun e alle guardie. Alla fine gli era stato chiesto gentilmente, da tutto l’accampamento, di andare a quel paese e lui senza farselo ripete due volte si era rifugiato nel boschetto vicino alla città, legando il suo tappeto volante a due alberi a mo’ di amaca. Ed era stato lì, ad annoiarsi.
Con Lilith almeno riusciva ad ammazzare il tempo, era un vero peccato che la piccola fosse scomparsa ma l’aveva accettato; era stata solo un punto di passaggio, una presenza che se n’era andata con la velocità con cui era apparsa per la prima volta. Non gli importava più, però doveva trovare un altro maledetto passatempo o era sicuro che sarebbe morto dalla noia.

Tirò fuori il sacchetto con i tasselli del puzzle.

Non aveva mai provato a fare un rompicapo, quando Al Sarmen aveva anche solo osato proporgli una cosa del genere, porgendogli qualche scatola che conteneva chissà quale stupido rebus, non si era fatto molti problemi a far fare un volo alla suddetta scatola e poi colpirla con un fulmine ridendo come un ossesso. Non era proprio fatto per quel genere di giochi, invece di aggiustare qualcosa preferiva distruggerla e rimpiazzarla con una nuova, guarire non era mai stato il suo forte, era molto più bravo a spezzare.

Mugugnò infastidito mentre, agitando la sua stecca di metallo, faceva fluttuare tutti i minuscoli pezzettini di legno e se ne circondava, osservando quale forma potesse incastrarsi con l’altra.

Ma vide qualcosa di veramente singolare.

Purtroppo non fece in tempo a capire cosa, perché d’un tratto i rukh che lo circondavano cominciarono ad agitarsi; prima erano solo dei lievi battiti d’ali quasi impercettibili poi un flusso enorme cominciò a raccogliersi attorno a lui, finché tutti insieme non gli si lanciarono contro, avvolgendolo in una spirale bianca e nera.
Non sembravano più ascoltarlo, non lo riconoscevano più come un Magi, come la persona che amavano. Sembravano avere la ferrea intenzione di attaccarlo o per lo meno impedirgli di vedere… cosa?
Si agitò in quella stretta soffocante, sentì la sua magia gravitazionale venire meno sui pezzetti di legno e mancò poco che li lasciasse cadere nel vuoto. Scivolò dal tappeto, ma con un veloce movimento del polso, riuscì a spingere il puzzle nel sacchettino da cui l'aveva tirato fuori e i rukh come erano arrivati si dispersero, alcuni rimanendo a svolazzare agitati intorno a lui, come fossero preoccupati di avergli fatto male.

«Whoa…» intontito, rimase steso nell’erbetta a fissare il cielo. Sbatté le palpebre una, due volte e poi sorrise raggiante. Si mise seduto di scatto, così velocemente che gli girò la testa ma non se ne curò «Che cos’era quello?!» chiese esaltato, guardando i piccoli lucenti uccelli bianchi e neri che lo circondavano come se loro potessero dargli la risposta.
Alzò una mano e ne prese uno bianco, lo avvicinò al viso scrutandolo bene. Non aveva consistenza, gli sembrò di aver afferrato dell'aria, solo un po più densa e spessa, come se avesse catturato del vento che premeva gentilmente contro il suo palmo per essere liberato. E poteva avvertire un lieve calore accogliente, tiepido... ma ormai non se ne stupiva più, dopo tutto non era una sensazione nuova. Il rukh si divincolò agilmente dalla stretta e tornò a volare tranquillo nel cielo «State facendo i finti tonti o sbaglio?» aggrottò la fronte, poi alzò le spalle «Vorrà dire che dovrò rifarlo.» si preparò a rovesciare di nuovo i pezzi del puzzle davanti a sé ma sentì un forte rumore di voci.

Si bloccò, in ascolto. Ora che stava prestando attenzione il frastuono sembrò farsi più forte: tante persone stavano gridando e se ne aggiungevano altre, sempre di più.
Nascose il sacchetto e si diede una spinta verso il cielo. Volò sovrastando le cime degli alberi e quando volse lo sguardo verso il forte rumore, gli si parò davanti agli occhi una scena già vista parecchie volte in passato: fuoco, fumo e grida provenivano dalla città di Lilith, che pareva essersi destata tutta d’un tratto, urlando all’unisolo la paura collettiva. Sembrava che qualcuno avesse silenziosamente appiccato un incendio, un attimo prima non c’era nulla poi, come se il fuoco fosse nato dalla terra, il rosso divampava feroce sui tetti di paglia di alcune capanne in periferia. Probabilmente chiunque avesse fatto una cosa del genere, stava cercando di riunire gli abitanti verso il centro della città per non farli scappare.

Judal si lasciò cadere sul tappeto volante e non perse tempo; si diresse a tutta velocità verso l’accampamento dove si trovava Kougyoku, la mente che lavorava veloce. Non poteva essere stata l’organizzazione, non ce n’era motivo, se ne sarebbero dovuti andare quanto prima che senso aveva distruggere un paese così ricco di approvvigionamenti?

Come un fulmine a ciel sereno, gli venne in mente la vecchietta amica di Lilith. Fermò il tappeto e si girò di nuovo verso le lontane case in fiamme.

Esitò.

Imprecando, spinse il tappeto verso la nuvola di fumo che ormai si era alzata su tutta la città.

Ma si fermò di nuovo.

L’ultima volta che aveva dato ascolto alle sue sensazioni aveva finito per cercare inutilmente Lilith per tutta la notte. Ormai la piccola era andata e non vedeva perché si sarebbe dovuto preoccupare per la sua amica.

Si girò di nuovo e si diresse verso l’accampamento, lanciando un’ultima occhiata dietro di sé.
 


Lilith non si sforzò neanche di nascondere l’enorme sbadiglio che le nacque nuovamente sul viso.

«Noiaaa…» biascicò, dondolandosi su un’amaca. Alibaba le aveva detto che non aveva tempo da passare con lei, che doveva sbrigare alcune faccende importanti e nonostante Lilith avesse cercato di ricordargli che lei non aveva alcuna intenzione di restare troppo a lungo a Qishan, lui l’aveva bellamente ignorata.

Quindi la ragazza si era messa a girare per il palazzo, ma era tutto troppo esteso, troppo ricco e troppo comodo. Oltre che perdersi, rischiava di non stare attenta e fare qualche guaio, cosa che voleva assolutamente evitare. Così, senza Alibaba che le faceva da guida, non riusciva neanche ad apprezzare i mille colori brillanti che alcune stanze sfoggiavano.

Era rimasta lì sull’amaca, pensando ai propri problemi ma sentendosi addosso una grande stanchezza, che la portò a crogiolarsi nelle sue preoccupazioni senza far veramente niente al riguardo.
Era infastidita. Lei era una persona dinamica e attiva, diamine! Come le veniva di starsene lì stesa, a smangiucchiarsi un po’ d’uva? Nonostante questi pensieri, non riusciva a convincere se stessa ad alzarsi. Fortunatamente qualcun altro ci pensò per lei «Permesso, dovrei pulire questo punto.»

Lilith si girò di scatto riconoscendo la ragazza che aveva visto poco prima «Ah, Morgana!» alzò il busto, mettendosi seduta e lasciando i piedi a penzoloni «Che ci fai qui?»

«È Morgiana.» la corresse lei, con una voce incolore ma gentile «Sto aiutando a tenere il palazzo pulito.»

«Eeeh? Mi prendi in giro! Ti sei davvero messa a lavorare? Ma sei appena arrivata e poi fa troppo caldo per fare qualsiasi cosa, ecco, se vuoi stenditi nell’amaca accanto alla mia.» Lilith indicò con un altro sbadiglio dove si sarebbe potuta mettere la ragazzina e fece per stendersi di nuovo ma Morgiana la bloccò «Per favore si sposti, devo pulire.» ripeté inflessibile.

Lilith gonfiò le guance «Mica andranno a vedere se hai pulito proprio questo punto, dì che l’hai fatto e basta. E poi dammi del tu.» cominciò a dondolarsi avanti e indietro.

«Per favore.» ripeté la rossa, ma Lilith non rispose e si girò dall’altro lato, sventolando una mano come dire "lascia perdere.” Morgiana tacque, ma non si mosse un centimetro da lì. Rimase semplicemente a fissarla. 
Passarono i minuti e la bruna cercò disperatamente di ignorare la strana ragazzina che sapeva ancora accanto a lei. Ma a un certo punto si arrese «Okay okay!» con uno sbuffo si alzò e con uno sguardo infastidito fece per andarsene, cercando di farsi venire in mente qualche altro posto all’ombra dove avrebbe potuto fare un sonnellino.

«…Lei ha uno strano odore.»

Lilith si voltò verso di lei, sorpresa «Lei chi...? Ah, io. Ti ho detto di darmi del tu. E poi non sfottere, ti ho anche lasciato il posto.» si prese una ciocca di capelli e l’annusò, ma profumava ancora del bagno che aveva fatto.

«Lei ha- tu, hai qualcosa di davvero strano.» la rossa le si avvicinò e Lilith indietreggiò istintivamente «È come l’odore del vento mischiato a una pioggia leggera… triste e inafferrabile…» esitò un attimo, poi continuò «Però c’è anche qualcos’altro, è più nascosto ma è… un odore cattivo. Di una persona cattiva. So di non sbagliarmi.» strinse i pugni e lo sguardo si fece improvvisamente duro e spietato, come quello di un animale selvaggio «Come hai conosciuto Alibaba? Cosa sei venuta a fare qui?»

Lilith sgranò gli occhi e sentì montarle dentro una grande irritazione «Sono capitata qui per caso. Se proprio vuoi saperlo, non avevo alcuna intenzione di ritrovarmi a Qishan.» cercò di calmarsi ma odiava le persone che le si rivolgevano a quella maniera, senza neanche conoscerla, gente che sputava sentenze basandosi, su cosa poi? Un odore? «Dovrei partire al più presto, quindi rallegrati! Questa persona cattiva non sarà più nei paraggi.»

Morgiana sembrò calmarsi «Bene.» le diede le spalle.

Lilith sentì la rabbia che le stringeva la pancia ingrandirsi sempre di più. La ignorava? Non le chiedeva neanche scusa per quello che aveva detto? Le labbra le si piegarono in un ghigno senza allegria «Ehi datti una calmata. Non ho fatto niente né a te né al tuo olfatto, cagnolino. Dovrebbero metterti in catene così eviti di mordere qualcuno.»

L’ultima cosa che vide fu la ragazza girarsi a guardarla, gli occhi sgranati in un misto d’ira e sgomento.

Per un attimo non le sembrò di vedere più niente, solo una scia di colori che le sfrecciavano davanti agli occhi, poi ritrovò a sbattere contro al muro, il che era strano, non ricordava di avere una parete dietro di sé, avrebbe potuto giurare che ce n’era una a parecchi metri di distanza da lei ma non così vicina.
Avvertì un dolore lancinante allo stomaco che le mozzò il respiro e la costrinse a piegarsi in due. Tossì forte e tentò di mettere a fuoco Morgiana, cercando di capire cosa fosse successo. Se la trovò davanti, le nocche bianche per quanto stringeva forte il pugno con cui l’aveva colpita.

… L’aveva… colpita?

Boccheggiò incredula «Sei impaz-»

La ragazza la prese per la maglietta e la tirò su, spingendola contro il muro «In catene…» sussurrò piano ma a Lilith quelle due parole sembrarono il più feroce ringhio animale che avesse mai sentito. Sgranò gli occhi, avvertendo quel terrore primordiale insito nell’animo umano, come quando ci si trova davanti una bestia potente e inarrestabile, capace di porre fine alla tua vita in un battito di ciglia.

Morgiana alzò la mano stretta a pugno e la diresse al suo viso. La bruna serrò si scatto gli occhi pronta al dolore, ma l’unica cosa che sentì fu un grande tonfo vicino al suo orecchio sinistro. Girò lentamente il volto e vide una grande crepa nel muro.
La strana ragazza  ritirò il pugno e la lasciò andare. Lilith cadde in ginocchio e si avvolse le mani attorno alla pancia, rannicchiandosi e tossendo.
Tremava per la scarica di adrenalina che le scorreva nelle vene, il cervello ancora fermo nell’istante in cui Morgiana la stava per colpire. Il dolore quasi non lo sentiva… avvertiva solo un rombo nelle orecchie poi una voce distorta, malata, che le urlava qualcosa.

Implorami… …implorami… implorami o ti massacro!! Ti uccido… Implorami…. Imp-

“Mi stava per uccidere.” si conficcò le dita nella pancia e tossì più forte “Questa puttana mi ha colpito… io… la ammazzo la ammazzo la ammazzo!!!”

Se solo Lilith non avesse tenuto la testa bassa Morgiana l’avrebbe vista in viso. Avrebbe visto l’inquietante sguardo che le deformava i tratti; gli occhi allucinati, spalancati all’inverosimile erano più freddi che mai e le spalle erano scosse non dai singhiozzi ma dall’urlo di rabbia che stava lentamente crescendo nel petto della bruna, pronto ad esplodere. Le unghie delle mani erano conficcate così a fondo da  far uscire il sangue dalla sua stessa carne.

E allora avrebbe capito che non si era sbagliata, che c’era davvero qualcosa che non andava in quella piccola ragazza. Ma Morgiana non la vide.

«Ah!» sembrò ridestarsi, come se si fosse resa conto solo in quel momento di ciò che aveva fatto. Si chinò su Lilith e la vide sputare un grumo di sangue «Va-vado a chiedere aiuto!»

La bruna alzò la testa di scatto, sorpresa da quell’affermazione. C’era uno sguardo spaventato sul viso di Morgiana mentre velocemente le volgeva le spalle e correva via a una velocità inaudita.
Tutta la rabbia scemò dal corpo di Lilith, che rimase lì imbambolata, la mente che stava ancora recependo tutto quello che era successo “Mi sono… sognata tutto?”

«Che diamine hanno messo nell’uva?!» gemette, notando che si era morsa la lingua.
 


«Porca miseria…»

«No, non me lo dire, è tanto brutto?»

Lilith azzardò un’occhiata alla sua pancia e subito serrò gli occhi con un gemito di sconforto. C’era una bella chiazza violacea all’altezza dello stomaco, probabilmente se Morgiana l’avesse colpita un po’ più in alto le avrebbe incrinato qualche costola.

«Sono un’idiota.» gemette, sedendosi cautamente sul divano «Una cretina stupidamente ottusa.»

«Wow, in quattro parole tre erano degli insulti.» osservò Alibaba grattandosi la fronte, avvilito anche lui.

«Mi sto evolvendo, tra un po’ una frase sarà composta solo da dispregiativi.» rispose lei in tono sardonico «Di certo dovrebbero inventare almeno altri venti aggettivi che descrivano la mia demenza.» si schiaffò una mano in faccia «Dire a una ex schiava che la dovrebbero mettere in catene… sono sorpresa di me stessa.»

«Non potevi saperlo…» il biondo tentò di giustificarla ma con scarsi risultati.

La ragazza lanciò in aria tre chicchi d’uva e riuscì ad acchiapparli al volo con la bocca. «Poi la mia fortuna non ha eguali, vai a vedere che dovevo far arrabbiare proprio una Fanalis!» masticò imbronciata.

Fino a pochi minuti prima non aveva la più pallida idea di cosa o chi fossero i Fanalis; quando Alibaba glielo ebbe spiegato, capì che si trattava dei leggendari (non più tanto leggendari) umani descritti nelle storie che aveva sentito raccontare quand’era piccola, magari in una strada, da una vecchietta seduta su una sedia tarlata, da un ragazzino sfrontato o da un viaggiatore venuto da lontano. Da bambina le era sempre piaciuto ascoltare i racconti delle persone.
Ovviamente, questi Fanalis erano stati dipinti come semidei capaci di alzare una montagna con una mano e di dividere il mare con un colpo di braccia, i racconti tramandati oralmente avevano sempre l’effetto di distorcere la realtà; ma Lilith non ci avrebbe creduto neanche se le avessero semplicemente raccontato che con un pugno un Fanalis era capace di farti volare per parecchi metri o sfondare un muro.

Ed ecco che anche un’altra delle sue convinzioni veniva sgretolata in mille pezzi.

«Posso vedere se ho qualche pomata da applicare, dovrei chiamare un guaritore…»

«Nah, non ti preoccupare biondino, è solo un livido.» alzò la maglietta per guardarsi di nuovo la pancia e storse la bocca «Grande e raccapricciante, ma è sempre solo un livido. Passerà. E non osare ritardare la mia partenza per questo!»

Alibaba la fissò in silenzio, con un leggero sorriso sulle labbra «Non ti preoccupare, ci sto pensando…»

La ragazza gli lanciò in testa un chicco d’uva «Per quanto mi piaccia stare in tua compagnia, devi comprendere che ho una certa fretta! …E non ignorarmi!» il ragazzo stava già guardando da un’altra parte.

«Ah… sì…»

Si poté vedere distintamente una vena cominciare a pulsare sulla tempia della piccola «Ah sì?» lo scimmiottò e con un movimento poco aggraziato, afferrò di scatto un grande grappolo d’uva e cominciò a mitragliare il suo non-tanto-invogliato interlocutore con i chicchi.

«Lilith! Cosa diavol- ahi ahi ahi!!» Alibaba venne investito da quella pioggia di proiettili «Smettila, ho detto… smet-» la risata malvagia di Lilith lo interruppe. La ragazza gli saltò davanti, prendendolo per il colletto e avvicinando il viso al suo «Vuoi giocare ragazzino?» sibilò, con un ghigno di sfida «Vediamo quanto resisterai subendo tutte le torture che ti infliggerò! Ti farò tornare un marmocchio impaurito e piagnucolante, ti farò desiderare di non essere m-»

«Stai zitta un attimo, bulla.» ridacchiò lui tappandole la bocca con una mano. Lilith cominciò davvero a valutare tutti i possibili modi di ucciderlo, ma prima che potesse far qualsiasi cosa, il biondo disse «Ti accompagno io.»

Sbatté più volte le palpebre, non capendo se aveva sentito bene «Sul serio?»

«Sì, devo partire anche io e dirigermi a Balbadd e dato che il tuo paesetto è più o meno di strada, posso portatrici. Le parole di Morgiana mi hanno fatto riflettere; anche io devo tornare alla mia terra natia e concludere delle questioni in sospeso, è quello che Aladdin vorrebbe, ne sono sicuro. Ora che ho il potere per cambiare le sorti delle persone che mi stanno più a cuore non devo esitare, mi chiedo perché l’ho fatto per tutto questo tempo… quindi… appena calerà il sole, partiremo.» mentre parlava, Lilith poté giurare di vedere una luce che si sprigionava da Alibaba, una luce di speranza e fiducia, che si ingrandì quando il giovane le rivolse uno dei sorrisi più splendenti che avesse mai visto, un sorriso da bambino, innocente e forte.

D’improvviso, forse per la prima volta nella sua vita, si sentì davvero tanto piccola. “Farà grandi cose.” fu un pensiero che le venne naturale, non se lo sapeva spiegare neanche lei, ma era sicura che Alibaba sarebbe arrivato lontano.
Non che fosse una cosa che la riguardasse «Allora» lei voleva solo tornare a casa, c’erano persone che la stavano aspettando «biondino, prepara le tue cose, se entro il tramonto non sei pronto ti picchierò personalmente.»

E così andò, dopo che Alibaba l'ebbe aiutata ad applicare qualche crema contro il dolore e le ebbe fasciato lo stomaco con delle garze resistenti, tutti e due si affaccendarono a preparare di soppiatto le loro cose. Non che Lilith avesse tanto da portarsi dietro, ma Alibaba decise che la bruna aveva bisogno di un paio di vestiti di ricambio e due sacchi di cibo da portare a Halima come regalo di scuse.
Per il resto, riuscirono a trovare un carro discreto e abbastanza capiente. Acquistarono un paio di cammelli e passarono le poche ore che rimanevano prima che facesse buio a caricare i viveri per il ragazzo, che avrebbe dovuto affrontare un viaggio ben più lungo per arrivare a Balbadd.


«Quindi, non sei nato qui a Qishan? Prima parlavi di ritornare nella tua terra natale…» Lilith gli passò un piccolo materasso arrotolato.

«Mh?» Alibaba lo issò sulle assi pericolanti del carro «Ah, sì. Balbadd è il mio paese.» una luce triste scurì quegli occhi castano dorati «Lì c’è il mio passato e un mio probabile futuro, come ho detto, dovrò rimettere a posto alcune cose e ho deciso che non posso rimanere qui ad aspettare Aladdin, a Balbadd ci sono altri  amici che aspettano me... li devo aiutare. E poi io e lui ci incontreremo di nuovo e andremo a fare qualche avventura!»

Lilith lo guardò e di nuovo riconobbe quel fuoco che sembrava illuminare di tanto in tanto i tratti del biondo; sorrise «Sai, un po’ ti invidio.»

Il ragazzo inclinòla testa, confuso «E perché?»

Lei gli lanciò un fiasco contenente del vino «Io non ho mai avuto grandi aspettative per la vita, quando mi sveglio la mattina penso “che cosa posso mangiare oggi?” e quando mi addormento penso a quello che potrò mangiare il giorno dopo. È sempre stato così.» camminarono insieme verso il palazzo, intenzionati a raccattare le ultime cose «Suppongo che questo sia il modo di vivere di più o meno tutti i poveri -continuò- però fa un po’ rabbia. Insomma, mi ricordo che quando ero piccola ed ero solita uscire con i bambini degli straccioni, per rubare un po’ dappertutto; qualche volta ci riunivamo tutti in cerchio e li ascoltavo raccontare i loro sogni. Erano cose così banali! Uno voleva diventare un ricco commerciante, un altro un combattente che sarebbe stato ricordato nei secoli dei secoli, un altro ancora diceva che avrebbe avuto una reggia tutta per sé. Quello che mi stupì di più fu un tizio mingherlino, con metà capelli in testa, si diceva che la madre un giorno avesse deciso di tagliarli ma lui era scappato prima che la donna potesse finire il lavoro... comunque, c'era questo che sognava di servire alla corte del re Sinbad di Sindria -ridacchiò e negli occhi si poté intravedere uno sguardo quasi nostalgico- quello era proprio buffo, sempre a parlare del fantastico re dei sette mari e a come lui si stesse impegnando ad imparare a leggere per decifrare i libri dov'erano narrate le sue gesta… ma, quando mi chiedevano qual’era la mia aspirazione io rispondevo “delle alici per pranzo.”»

Alibaba ridacchiò «Dovevi essere proprio forte, da piccola.»

«Neanche troppo, ero un maschiaccio terribile.»

«Allora non sei cambiata per niente.» la ragazza sorrise e gli diede una spinta giocosa.

«Ho continuato a vivere in funzione della giornata successiva, nascondendomi alla buona in qualche carovana, viaggiando di città in città. Non ho mai tentato di vivere in modo più onesto, di scalare la gerarchia sociale... oltre al fatto che sarebbe uno spreco di tempo e energie, probabilmente con la lingua che mi ritrovo mi avrebbero già impaccata, dichiarandomi come minimo nemico della patria!» distogliendo lo sguardo dall’ultimo spicchio di sole che moriva all’orizzonte tuffandosi tra le infinite dune di sabbia, Lilith si distese nel carro e osservò il cielo «Non ho un sogno o aspirazioni di alcunché. Mi sto lasciando semplicemente vivere, proprio come fanno i ricchi che tanto detesto…»

Sentì le braccia di Alibaba che la tiravano su e si ritrovò il suo viso a un palmo dal naso «Non dire assolutamente queste cose!!» sembrava sul punto di mettersi a piangere «E io che pensavo che tu non fossi una di quelle persone che si autocommiserano e gongolano nella propria tristezza. Lilith, tu sei una persona forte!» la “persona forte” sentì le guance andarle a fuoco «Per quel poco che ti ho conosciuta, penso di averti capita. C'è un amico nella mia città natale che ti assomiglia; sempre freddo e diffidente nei confronti di chiunque, sopratutto verso chi sta al potere e quando ti ho vista uscire fuori dalla tua stanza e correre lontana da noi, per un attimo mi hai ricordato lui.» la sua espressione si fece più dolce, quasi malinconica «Sei scontrosa, cinica e schietta. Non sembri volerti fidare di nessuno e il più delle volte dalla tua espressione si capisce che vorresti trovarti da tutt'altra parte. E lo capisco. Anche io ho provato sensazioni simili, il mondo in cui siamo vissuti ci ha costretti a diventare così. Però...» sembrò dover fare una pausa per cercare le parole giuste con cui esprimersi,le mani si muovevano come se volesse dare forma alle parole che stava pronunciando «è difficile da spiegare e spero di non darti fastidio nel dirlo, ma sai cosa mi trasmetti? Una grande capacità di adattamento. Invece di buttarti giù hai subito reagito prendendo quest'assurda situazione e facendoci ironia su; due mercanti di schiavi ti hanno rapita e portata lontana da casa? Ti sei adeguata. E non sai quanto mi dispiace ancora per quello che è successo... arg!» Alibaba si lasciò andare a un gemito sconfortato «Spero di essermi spiegato. Mi hai dato fin da subito l'idea di qualcuno completamente incapace di buttarsi giù. Ed è una forza che io invidio molto, sia a te che a questo mio amico; c'è stato un periodo della mia vita in cui ero nella disperazione più totale e se non ci fossero state le persone giuste accanto a me, probabilmente non avrei fatto altro che affondare sempre più nell'autocommiserazione.» fece spallucce, tentando di sminuire la cosa «Non ti ci vedo proprio in una situazione del genere, mi sembra contro la tua natura. E in fondo sei gentile, anche se c'è un’altra parte di te un po’ mi inquieta.»

Lilith sbatté le palpebre, confusa. Non sapeva se ridere, arrabbiarsi e o sentirsi lusingata «Sai, tu riesci a vedere solo il buono nelle persone.» si limitò a dire distogliendo lo sguardo «Primo, tutto ciò non mi sembra niente di straordinario. La mia ironia è una forma di difesa, se prendessi sul serio tutto quello che dico e che mi accade, fidati, ci sarebbe da piangere. E non mi conosci abbastanza per dire che sono gentile, vivessi un altro paio di giorni con me e capiresti.»

«Quando mi volevo sfogare per via di Aladdin mi hai ascoltato.» ribatté lui «E puoi dirmi quello che vuoi, ma avere la capacità di accettare ciò che ci accade ed andare avanti a testa alta è una delle qualità più importanti per sopravvivere.» le diede un buffetto sulla fronte «Quindi non commiserarti mai più! Su con quel mento, anche per me.» guardò il cielo «È ora.» sussurrò e, accertatosi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, fece partire i cammelli, dirigendosi all’uscita della città.

Per tutto un tratto, Lilith non fece altro che guardarlo. La persona incredibile era lui e neanche se ne accorgeva. C’era qualcosa in quel ragazzo, qualcosa capace di attirare sotto di sé milioni di persone. Inspirava una completa fiducia, con quei suoi occhi d'ambra e il suo sguardo sfuggente, ma alcune volte deciso e diretto.
La bruna si dispiacque un po’ che le loro strade presto si sarebbero divise, dopo ciò che le aveva detto, era nata in lei la curiosità di vedere dove quello strano ragazzo sarebbe potuto arrivare.

Sbuffò «E cosa c’è che ti inquieta di me?»

«Mh? Bah è solo una sensazione, ma credo che ci siano lati del tuo carattere che celi abbastanza bene, dei lati molto molto allarmanti. Senza offesa.»

«...Figurati…» le sembrò di sentire di nuovo le parole di Morgiana “L’odore del vento mischiato a una pioggia leggera… triste e inafferrabile… ma anche l’odore di una persona cattiva.”


Alibaba sembrò notare che Lilith era diventata pensierosa «E comunque è una cosa figa, avere qualche lato nascosto non fa mai male, aumenti l'alone di mistero attorno a te, infatti sono molto incuriosito pure da questa tua peculiarità.» le sorrise di nuovo dandole dei colpetti sulla spalla «Inoltre una piccoletta come te ha bisogno di una personalità del genere! Altrimenti non ti si noterebbe neanche tra la folla!» ci mancò poco che l'ira di Lilith non rovesciasse tutto il carro, cammelli compresi.

Fingendosi offesa, Lilith raggruppò le casse che avevano issato sul carro, fino a costruire una specie di muraglia tutto intorno a sé. Lì in mezzo distese il materasso e si coricò. Si sentiva protetta tra quelle scatole di legno, come se il mondo non la potesse vedere fintanto che rimaneva lì. Fissò il cielo prendere una sfumatura sempre più scura, finché furono visibili i primi astri. Allungò una mano, come se volesse toccare quei piccoli puntini di luce attaccati all'enorme telo nero che era il cielo.


«Non hai salutato quella Morgana...»

«Morgiana.» la corresse il biondo «E comunque non ce ne era bisogno, mi avrebbe portato solo dubbi e esitazioni.»

«Mhm... beh, se mai vi incontrerete di nuovo, dille che le devo un pugno... e anche delle scuse.»

Sentì il biondo ridacchiare.


Mentre Alibaba guidava il carro fuori dalla città e imboccava strade sempre meno illuminate, rimuginò sulle parole che si erano scambiati lei e il biondo. E si ricordò quando aveva detto ad Halima che voleva andarsene dal paesetto. La vecchietta le aveva chiesto perché e lei le aveva risposto «Per andare avanti.» quasi non aveva capito il significato di quelle parole che le erano uscite così spontaneamente. Ma ora le comprendeva: voleva vivere la sua vita, era ancora giovane e piena di energia, stare rinchiusa in quella piccola la città le dava un senso di soffocamento. Voleva essere capace di "spaccare le montagne", voleva raggiungere un obbiettivo. Quale fosse l'obbiettivo, doveva ancora pensarci, ma c'era tempo. Tutto il tempo del mondo.

Senza quasi accorgersene, come le capitava spesso, si addormentò.

Sognò fuoco e grida confuse, di molte persone, sembrava che la catturassero in una spirale buia e che la portassero su su su… per poi farla cadere nel vuoto. Non capì con quale velocità, se lentamente o velocemente, le urla andarono a convergere in una sola voce. Halima.
Lilith tentò di gridare, di capire dove fosse, ma non riusciva a muoversi o aprire gli occhi. Il tempo era distorto. Urlò più forte il nome della vecchia, ma la voce di quest’ultima sovrastò la sua, piena d’orrore e paura.

Lilith Lilith Lilith.

Poi, sentì delle mani ruvide e spietate legarsi intorno alla sua gola e stringere, stringere sempre più forte. Ansimò, ma l’ossigeno non entrava nei polmoni. Si dibatté, affondò le unghie nella carne di quella persona, tentò di mordere quelle braccia, ma invano.

Implorami… Implorami…

Quella parola, ripetuta in continuazione… la faceva infuriare. Voleva che smettesse, voleva che si fermasse... perché? Perché le stava facendo questo?
D'istinto, come un ricordo, pronunciò di nuovo le parole che aveva detto quella volta
 
«Mamma... ti prego...» non pianse però. No. Piangere era da persone deboli e impaurite, lei aveva paura ma non l'avrebbe mai mostrata.
Ci fu una risata nel buio, esattamente come quella volta, che lentamente si trasformò in pianto, poi di nuovo in risata, in un'alternarsi così veloce che la faceva impazzire. 

Zitta. Zitta. Zitta. Zitta.


Lentamente il tono si trasformò diventando più profondo e rauco, più giovane. Risuonò una voce tagliente e al contempo calda, quasi beffarda che le sembrò una pomata per le sue orecchie martoriate da quel grido delirante.

«Oi, piccola…»

Le mani non le stringevano più il collo, ma le accarezzavano le guance e la schiena, e le labbra di Judal erano vicine al suo orecchio, soffiando aria calda che le faceva venire i brividi. Le sue braccia la circondarono e si ritrovò rannicchiata sul suo petto, la testa affondata nell'incavo del suo collo.

Sospirò tremante «Posso riposarmi?» sentì la risata canzonatoria del moro «Puoi stare qui tutto il tempo che vuoi.»

Sorrise, sentendosi per la prima volta al sicuro. Come se potesse dimenticare per un istante tutte le sue preoccupazioni, perché non esistevano, lei non esisteva più. Lilith non c'era. C'era solo una ragazza stanca che veniva cullata e protetta... più niente… solo calore…

Poi alzò lo sguardo e vide la cosa la teneva tra le braccia: uno scheletro carbonizzato, con dei lembi di pelle ancora caparbiamente attaccati alle ossa, il ghigno inquietante di quel volto dalle orbite vuote sembrava prometterle una sofferenza inimmaginabile. Capì che il calore rassicurante che aveva provato era quello del fuoco che ardeva tutto intorno a lei, che ora diventava scottante, terribile.

Urlò, si divincolò e sentì la voce di Halima che la chiamava più forte, che le chiedeva aiuto disperatamente. Dov’era? Doveva salvarla, dovevano incontrarsi, ma non riusciva a trovarla eppure la sua voce era così vicina...! il furore divampò dentro di lei e con un ringhio riuscì a ghermire le costole dello scheletro. Tirò e scalciò forte,  riuscendo finalmente a spezzarlo e a divincolarsi dalla sua stretta. Ma poi lo guardò veramente. Il fuoco si avventò su di lei, divorandole la carne viva. Capì che quella persona stava tentando di proteggerla, che il ghigno sul suo viso non era altro che un sorriso rassicurante.

Era Halima.

«Li-lith» alzò un suo braccio ossuto e lo distese verso la ragazza «Perché...? ...Fa male…» si dissolse. E Lilith non poté far altro che urlare.




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Capitolo lungo, molto lungo. Dove si potrebbe dire che succede tutto e niente. Ho lasciato Judal e Lilith lontani, ho voluto approfondire un poco Alibaba e presentare Morgiana (Mor! Che, anche se non sembra, io adoro, lo giuro!) mi sono anche sforzata perché la trama andasse avanti e sono più o meno soddisfatta, anche se mi ero prefissata che questo capitolo sarebbe finito in un'altra situazione (situazione che accadrà un po' più in la') alla fine ho dovuto tagliare perché sarebbe venuto fuori qualcosa di davvero troppo lungo. Quindi ho trovato un compromesso.

Quindi... se vi aggrada, lasciate un commento e renderete una povera ragazza dalla gamba ingessata felice.

Alla prossima!

P.S. Alcuni mi hanno chiesto se Elizabeth è quella sottospecie di donna che appare nelle prime puntate della seconda stagione...sì e no! Insomma, tra le prime puntate della prima stagione, quando Alibaba e Aladdin si sono appena conosciuti, compare Elizabeth che, diciamo, fa "compagnia" ad Alibaba dicendogli che lei è la migliore donna che il locale ha da offrire (tutto ciò accade a Qishan). Nella seconda stagione incontriamo... ah, non ricordo come si chiama, comunque una donna praticamente identica ad Elizabeth con cui Alibaba avrà la fortuna (di nuovo) di trascorrere un po' di tempo :')

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Capitolo 8
*** Incontriamoci di nuovo, in un luogo di morte ***


 

Cancel your destiny


 
8. Incontriamoci di nuovo, in un luogo di morte

«Ben svegliata!»
 
«Ah… Alibaba… dove siamo?» Lilith passò sopra le casse tra le quali aveva dormito e si affiancò ad Alibaba. Sbadigliò e si stropicciò gli occhi, sentendo le membra pesanti e la mente assonnata che si crogiolava ancora nel torpore del sonno.
 
Davanti agli occhi della ragazza si stagliavano solo dune di sabbia.
 
Nonostante l’avesse visto varie volte nella sua vita, il deserto di notte era sempre uno spettacolo; le si stringeva lo stomaco e il cuore batteva più forte mentre ammirava la strada sterrata che quasi si confondeva con le dune di sabbia, illuminate dalla fievole luce della luna e delle stelle.
Se non si fossero muniti delle due lanterne che Alibaba doveva aver acceso mentre  la ragazza dormiva, probabilmente non avrebbero avuto la capacità di vedere molto lontano: la notte era troppo oscura e il deserto si estendeva come un infinito oceano di sabbia nera, più tenebroso del cielo stesso in cui almeno splendevano gli astri.
 
Lilith tremò. Le temperature si erano abbassate improvvisamente e la ragazza, ancora reduce dall’accogliente calore del materasso, si avvolse nella coperta con cui si stava coprendo il biondo.
 
Alibaba bevve un sorso d’acqua «Non manca tanto, tra qualche ora si potranno vedere le luci dell’alba e per metà mattinata dovremmo arrivare a casa tua. -sbadigliò- Credevo avresti dormito per tutta la notte, se vuoi riposarti ancora vai pure, io sto bene.»
 
«Resto qui così ti tengo d’occhio, non mi fido di te con quella faccia assonnata!» replicò lei, tentando di rubargli più coperta che poteva «E poi credo di aver sognato qualcosa… che non ricordo… ma sta di fatto che ora sono sveglia.»
 
Il biondo le scompigliò i capelli «Va bene.»
 
Passarono diversi minuti in cui nessuno dei due parlò, Lilith era troppo concentrata a smarrire lo sguardo nel buio per prestare attenzione al ragazzo vicino a lei, che al contrario continuava a scrutarla, scervellandosi su cosa dire per spezzare il silenzio (a parer suo) imbarazzate.
 
Finalmente si decise a parlare «…Allora, già che ci siamo, raccontami un po’ di te!»
 
«Ti ho già detto un sacco di cose poco prima di partire, non rompere le scatole.»
 
«Ehi ehi, piano tigre, stavo solo pensando di far conversazione…»
 
«Ecco, è proprio questo il problema che dovresti risolvere: pensi.» disse lei, incapace di trattenere la frecciatina.
 
Alibaba la ignorò «Bene, allora faccio delle domande! … Uhm… per esempio: sei davvero nata povera?»
 
Lilith lo guardò, la fronte aggrottata «E ‘sta cosa all’improvviso da dove l’hai tirata fuori? È un domanda degna di te: assolutamente insensata. Certo che sono nata povera.» si grattò distrattamente la nuca.
 
«Non ho dubbi sul modo in cui hai vissuto fino ad ora però… ti rendi conto che parli molto bene rispetto al popolo?»
 
La ragazza volse gli occhi verso l’orizzonte buio «Uhm… nonostante io sia una morta di fame non vuol dire che non riconosca l’importanza del linguaggio. Ricordo che da piccola qualcuno disse “i padroni sanno mille parole, gli schiavi solo cento” e anche Halima ripete spesso cose simili, quindi immagino sia anche la sua influenza.» tentò di evitare lo sguardo ambrato di Alibaba «Ma non so leggere, nonostante Halima sappia decifrare bene o male qualche pagina di libro, non le ho mai chiesto di insegnarmelo perché non mi interessa, non mi servirà mai a niente. Mentre saper destreggiarsi bene nei discorsi per uscire fuori da un problema, quello non può far altro che aiutare.»
 
Alibaba sorrise «Se non vuoi dirmi la verità non importa.»
 
La ragazza si volse verso di lui, spiazzata. Voleva contraddirlo ma quando vide il viso gentile del biondo, desistette «Guarda che non ti stavo raccontando bugie...» come era riuscito a capire…?
 
«Lo immagino, ma dire una mezza verità non corrisponde all’essere sinceri.» il ragazzo diede uno strattone a un cammello che si stava agitando «Ti dirò qualcosa su di me: anche io ho vissuto una parte della mia vita nella più completa povertà.»
 
«Sul serio?»
 
«Sì, mio padre era una persona molto importante ma mia madre era solo una prostituta quindi…»
 
Passarono il tempo così, chiacchierando del più e del meno, entrambi consapevoli del fatto di non essere del tutto sinceri mentre tralasciavano parte delle storie. Alibaba evitò di parlare del re di Balbadd, dell’attacco dei ladri al castello che lo portò alla morte, o del doungeon. Ma le raccontò dei suoi fratelli, di sua madre e qualcosa anche su Kashim…
Lilith rispondeva, leggermente destabilizzata, non essendo abituata ad aprirsi con qualcuno e sorprendendosi di come il giovane la ascoltasse incuriosito. Gli raccontò principalmente di Halima, di come si fossero incontrate a Kashgan, della sua città natia Magdas e di come fosse stata scoperta innumerevoli volte dai carovanieri, mentre tentava di passare da un luogo all’altro. Ovviamente, non parlò del bambino che aveva ucciso ed evitò qualsiasi accenno a Judal, sentiva che non poteva dire così a cuor leggero di conoscere un Magi, soprattutto quel Magi…
 
Alibaba si offerse di insegnarle l’alfabeto e darle qualche sua pergamena, così quando aveva del tempo libero si sarebbe potuta esercitare nella lettura. Lilith rifiutò più volte; non le serviva, non era il momento, non voleva. Il biondo la tentò dicendole che avrebbe potuto leggere tanti racconti e avventure ma lei non cedette.
 
Il sole si levò all’orizzonte e Alibaba decise di riposarsi un po’, dando a Lilith le istruzioni su che percorso avrebbe dovuto seguire.
 
La ragazzina si accomodò sopra uno dei due cammelli e cominciò a guardarsi attorno, notando come la luce rivelasse molte cose che la notte aveva tenuto celate, come piccoli animaletti che si muovevano tra la sabbia, uno stormo di uccelli che volava nel cielo, perfino una carcassa di qualcosa di morto, che se fosse stato buio Lilith avrebbe facilmente scambiato per un pezzo di legno vecchio e rinsecchito.
 
La bruna fu felice di cominciare a riconoscere il paesaggio, la sabbia lentamente diventava terriccio e si vedeva qualche pianta più verde delle altre. Il suo paesetto era piccolo ma prolifico, la terra era più fertile che in altri luoghi ed era situato in un punto più o meno difficile da raggiungere, sicuramente non era sulla rotta delle più grandi e famose carovane. Le piaceva questo fatto. Nell’entroterra era raro trovare posti tanto tranquilli, durante la sua permanenza lì non c’era stato nessun problema. Però da un altro punto di vista, passare troppo tempo lì era diventato… noioso e monotono… ovviamente fino a quando non era arrivato l’impero Kou.
 
Finalmente le parve di vedere in lontananza una chiazza verde: il boschetto dove pochi giorni prima si era addormentata ubriaca. Se ne rallegrò.
 
Alibaba si svegliò.
 
E arrivò il momento degli addii.
 
«Sicura che non vuoi che ti porti più vicino?» le chiese preoccupato.
 
«No biondino, il mio paese è sotto il controllo dell’impero Kou, se mi portassi davanti alle porte avresti solo problemi per via delle guardie.»
 
«Kou eh… anche questa città è stata conquistata…»
 
«Non da molto tempo ma sì, e so che si spingeranno più avanti, potrebbero arrivare anche alla tua Balbadd. Stai attento biondino mi dispiacerebbe se morissi.» gli diede una pacca sulla spalla e saltò giù dal carro, i sacchi contenenti cibo e vestiti in spalla, un sorrisone in volto mentre si incamminava più velocemente che poteva verso il boschetto.
 
«Ricordati di salutarmi la tua amica Halima!» le sembrò quasi di vedere Alibaba con gli occhi lucidi urlarle quelle cose alle spalle ma non si girò «E stai attenta!! La pomata per il livido sulla pancia è tra l’insalata!» la ragazza sbuffò, sentendo un groppo in gola «Ci rivedremo, Lilith!» senza voltarsi a guardarlo si limitò ad alzare un braccio in segno di saluto. E si tenne dentro tutti i grazie, tutte le promesse e le speranze. Sarebbero state inutili, loro due non si sarebbero mai più incontrati, era sciocco attaccarsi a simili illusioni.
 
Quella bassa ragazzina, dagli occhi grigi e le guance paffute era piena di sicurezze, alle volte risultava arrogante nel suo pessimismo. La realtà era che non sapeva nulla. Ignara dei segreti del mondo, non poteva prevedere ciò che sarebbe successo di lì a poco e che, per quanto doloroso potesse essere, l’avrebbe portata a ricoprire un ruolo importante negli eventi che sarebbero accaduti negli anni a venire.
Lilith non sapeva cosa fosse il flusso dei rukh, il magoi, o il destino. Non aveva idea di chi o che cosa sarebbe stato messo in campo nella guerra più grande che quel mondo avesse mai visto.
Lei, un essere piccolo e pressoché insignificante, non poteva conoscere le verità che si sarebbero presentate sul suo cammino, verità di disperazione e sacrifici, di sogni e potere, degli albori di un mondo diverso dal suo e della fine dello stesso, sprofondato nell’odio e in un fanatismo religioso quasi morboso.
 
Lilith non sapeva proprio nulla.
 


Una carovana di briganti. Si poteva essere più banali di così?
 
Era stato semplicemente un gruppo di briganti (molto ingente, a parer dei soldati di Kou che li avevano visti arrivare) a mettere a ferro e fuoco il paesetto.
La situazione era ironica perché sembravano venir da nord-est, cioè da una delle città che l’impero Kou aveva assediato da poco. Probabilmente per fuggire dallo stesso si erano diretti verso sud con l’intenzione di razziare più città possibili.
 
C’era stata una breve discussione fra i pochi nobili che avevano deciso di accompagnare l’ottava principessa a Balbadd e i membri dell’organizzazione. Si era giunti alla conclusione che, poiché sembravano dei briganti molto feroci ed agguerriti, non valeva la pena sprecare inutilmente forze e uomini (di cui inoltre scarseggiavano dato che quella non era una spedizione militare) e dunque si decise che avrebbero anticipato la loro partenza, dirigendosi verso sud con qualche giorno di anticipo, abbandonando il paese e i suoi abitanti al loro destino.
 
Judal mugugnò infastidito. Sperava di potersi sfogare un po’, per quanti fossero quei briganti, nulla avrebbero potuto contro di lui. Ma a quanto pareva nessuno aveva il senso del divertimento a Kou, dato che gli era stato categoricamente vietato di avvicinarsi alla città.
 
Il Magi si mise più comodo, stendendosi sul morbido e grande tappeto rosso, una mano a sorreggergli il capo, lo sguardo fisso sul fuoco che divampava fra le case divenute piccole alla vista per quanto si erano allontanati. Accanto a lui c’era Kougyoku, di malumore anche lei, che si lamentava sommessamente con Ka Kobun per essere partiti prima del previsto.
La principessa non rivolgeva ancora parola al moro, dopo i vari insulti di quest’ultimo la ragazza sembrava avere la ferrea intenzione di non prestargli più attenzioni, probabilmente sperava che così facendo il ragazzo si sarebbe scusato e avrebbero ricominciato a parlarle. Che pensiero sciocco, Judal non aveva intenzione di far nulla.
 
Il Magi digrignò i denti «Oi! Voglio tornare indietro!» disse all’uomo di Al Sarmen che gli si trovava più vicino «Non devo per forza combattere i banditi, posso anche aiutarli a distruggere la città… giusto per fare qualcosa, voglio divertirmi!»
 
L’uomo parve rimanere impassibile, anche se non si poteva dire con certezza poiché un velo celava il suo viso «Cerchiamo di non creare troppa confusione, sacerdote. Stiamo dopotutto scortando la principessa a maritarsi, non dobbiamo farci notare più del previsto.» la voce pacata e quasi inudibile non fece altro che infastidire Judal ancora di più.
 
«E perché diamine sono venuto con voi se quella stupida si deve solo sposare!» borbottò fra sé e sé ma Kougyoku era abbastanza vicina da sentirlo. Gli rivolse uno sguardo di puro astio, a cui lui rispose inarcando le sopracciglia.
 
Fissò ancora per un po’ l’orizzonte perdendosi nei suoi pensieri. Poi sembrò decidersi «A questo punto,» disse, alzandosi dalla su posizione «io vado a farmi un giro, con i tappeti siete troppo lenti.» e si lanciò in alto, fluttuando nell’aria.
 
«Non crei troppo caos, sacerdote.» lo ammonì un altro uomo di Al Sarmen. Judal sventolò una mano senza neanche girarsi e scomparve alla vista volando sempre più in alto tra le nubi.
 
«Siete consapevoli che andrà subito al paesetto, vero?» sbottò l’ottava principessa di Kou non riuscendo più a trattenersi.
L’uomo dal viso celato si girò leggermente verso di lei, poi di nuovo dove era scomparso il Magi «Non si può fermare un uragano, principessa.» Kougyoku lo guardò poco convinta ma lasciò perdere.
 
«Si può solo cercare di usarlo come più ci accomoda.» nessuno sentì l’ultimo sussurro dell’uomo.
 


Pensavano che non sarebbe andato al paese? Ah! Idioti. Credevano di potergli impedire di fare ciò che voleva? Ah! Idioti due volte.
Avrebbe dimostrato loro quanto poco fosse facile controllarlo.
 
Girò sopra le case guardando con fare annoiato la poca gente rimasta (gli altri probabilmente erano morti o nascosti chissà dove) che tentava di fuggire, i bambini che piangevano, le donne che urlavano e i banditi che razziavano l’intera città.  Noioso. Fin troppe volte gli si era presentata davanti agli occhi una scena simile, ormai gli sembravano tutte uguali.
 
Forse era stata una cattiva idea tornare lì, non c’era davvero nulla da fare.
 
Scese tra i vicoletti, passeggiando tra le abitazioni distrutte dalle fiamme. Un paio di volte gli si parò davanti qualcuno ma non si curò neanche di capire se fosse un brigante o un semplice cittadino, con un colpo di bacchetta schiantava qualsiasi cosa si trovasse sul suo cammino, come se stesse scacciando qualche insetto fastidioso.
 
Senza quasi accorgersi di dove andava, si diresse verso il bazar dov’era solita stare Lilith, più precisamente verso il minuscolo e insulso negozio dell’altrettanto insignificante vecchia amica della piccola (qual’era il suo nome?).
Ciò che trovò, furono tutti gli oggettini e le cianfrusaglie, che di solito erano esposte con tanta cura, sparse per terra e i mobili completamente distrutti. Tutto ciò che poteva aver un qualche valore era già stato portato via.
Sbadigliando, si guardò intorno con aria annoiata. Se ne sarebbe dovuto andare, lì non c’era neanche qualche persona da far fuori. Perché era venuto in quel luogo prima di tutto? Che sperava di trovare?
 
Sbadigliò di nuovo e, a dispetto di tutti i pensieri che stavano turbinando nella sua mente, si diresse nel retrobottega.
 
A causa del fuoco appiccato ai tetti delle abitazioni una parte delle vecchie e tarlate travi della stanza non aveva retto, cadendo rovinosamente a terra e distruggendo le poche cose ancora integre. E lì, proprio sotto ad una di esse, c’era il vecchio e raggrinzito corpo della vecchia che due giorni prima aveva osato rivolgersi a lui con tanta arroganza.
 
Quella giornata era piena di banalità, vai a vedere che quella dovesse proprio rimanere schiacciata sotto il soffitto crollato! Judal si piegò sul corpo esanime «Sei morta eh?» un altro sbadiglio cominciò a nascergli in viso ma si fermò quando vide un piccolo movimento da parte di Halima «Ah e invece no! Sei dura a schiattare.»
 
Halima alzò il viso ossuto. I capelli bianchi, di solito raccolti in un morbido chignon, le cadevano scompostamente sulle spalle e le braccia avevano diversi tagli provocati dalle schegge di legno e di vetro, l’enorme peso della trave la schiacciava completamente al suolo rendendole difficile persino respirare.
Rivolse lo sguardo verso il Magi trovandolo seduto davanti a lei a gambe incrociate, il mento appoggiato al palmo della mano, la testa leggermente inclinata, i ciuffi corvini gli ricadevano davanti agli occhi e sul collo, la lunga treccia era adagiata a terra come la coda di uno scorpione. Ricordava una di quelle belle statue che raffiguravano le divinità mentre fissavano all’alto dei cieli gli esseri umani.
 
La vecchia sospirò «Almeno… Lilith non c’è... per fortuna.» quelle parole le affiorarono spontanee, era dal giorno prima, quando i banditi si erano presentati, che pensava quella stessa cosa. Quando era scesa la notte Halima era rimasta nel suo negozio, consapevole che se avesse tentato di fuggire non sarebbe arrivata neanche alla strada principale: l’avrebbero uccisa prima. Era stata la notte più lunga della sua vita, mentre chiusa nel retrobottega ascoltava i briganti mettere sottosopra il suo negozio, prendere le poche cose che aveva e distruggerle. Eppure fra i mille pensieri di paura e sgomento che le turbinavano in mente, l’unico che le dava un po’ di sollievo era il pensiero che forse, forse Lilith era salva, avendo scampato quell’attacco improvviso.
 
All’affermazione della vecchia gli occhi di Judal si accesero «Oh, al contrario! Sarebbe stato bello averla qui, vederla mentre tenta con le sue inutili forze di sopravvivere, di scappare. Cercando di salvare anche te magari. E ovviamente fallendo.» gongolò a quel pensiero «Forse rendendosi conto della sua impotenza mi avrebbe finalmente chiesto aiuto, mi avrebbe pregato di concederglielo! E io glielo avrei dato? Uhm… chissà... Proprio non riesco a decidermi, secondo te è più bella la sua espressione speranzosa che viene fatta in mille pezzi un attimo dopo a causa del mio rifiuto, o il suo imbarazzo, sapendo che mi deve essere grata per tutta la vita, poiché l’ho salvata da un triste destino? Proprio non riesco a decidere.» guardò Halima, come se lei potesse dargli una risposta.
 
Lei abbassò il capo «Ma Lilith non è qui.»
 
Tutto il divertimento scomparve dagli occhi del moro, lasciando solo uno sguardo apatico e deluso «Non è qui.» convenne, spostando gli occhi sul grande pezzo di legno che teneva imprigionata Halima «Allora lo chiedo a te: vuoi che ti aiuti?»
 
Lei sorrise amaramente «A differenza di Lilith non sono così ingenua da sperare che tu lo faccia. Non sono nata ieri e so come sono fatte le persone come te.»
 
Judal assottigliò lo sguardo e si piegò leggermente verso di lei, fissandola con occhi spietati «Oh, avevo intenzione di salvarti. Poco male, a quanto pare vuoi morire.»
 
Il sorriso non scomparve dalle labbra dell’anziana signora «No, non avresti fatto niente.»
 
«Chissà. Forse hai sprecato la tua unica possibilità.» si alzò e le diede le spalle, dirigendosi verso la soglia «Ma mi sto annoiando e non ho intenzione di farti compagnia nei tuoi ultimi momenti, muori da sola come meriti.» senza guardarsi indietro, uscì.
 
Halima rimase da sola. Il silenzio era opprimente. Tentò di prendere un gran respiro ma una fitta le colpì le costole e la spina dorsale fu percorsa da un tremito doloroso «Fa male.» sussurrò la vecchia, cominciando a sentire il cuore accelerare i battiti, il corpo irrigidirsi e poi iniziare a tremare sotto la scarica di adrenalina che lo aveva percorso. Non essendoci più Judal su cui focalizzare la propria attenzione, Halima cominciò a realizzare che la sua fine stava davvero arrivando. Il corpo tentava di combattere perché ciò non avvenisse. Era strano che la consapevolezza l’avesse colta solo in quel momento e non prima.
 
“Non voglio morire.” pensò, con un nodo in gola che da un momento all’altro sapeva si sarebbe sciolto in lacrime “No, niente panico, bisogna pensare a cose belle… cose belle… sì, Lilith… davvero, menomale che non si trova qui, magari ora è sana e salva… e sarà felice e… ah, no! Vorrà tornare! Che le succederà se trovasse il paese in questo stato, se trovasse me morta? Non… no…!” invece di calmarsi la tachicardia aumentò e lo stomaco faceva quasi male per quanto era contratto dalla paura. Non c'era niente da fare, qualsiasi cosa pensasse si trasformava in un incubo misto a una tristezza così opprimente che solo quella sarebbe bastata a toglierle la vita. Non c'era un futuro. Era tutto nero. Tutto completamente nero.
 
Halima aveva raggiunto il suo limite. E forse, se Judal non fosse rientrato nella stanza, la vecchia donna si sarebbe abbandonata al panico, impazzendo di paura.
 
Ma il Magi entrò a mento alto e mascella contratta «E comunque, non ci sono persone come me!» si riferiva alle ultime parole che gli aveva detto Halima. Seriamente, quanto aveva combattuto contro il suo orgoglio per tornare e dirle una cosa del genere? Il broncio che indossava in viso, simile a una smorfia da bambino, la diceva lunga.
 
La vecchia lo guardò con occhi spalancati, senza riuscire a dire niente. Passò una manciata di secondi in cui nessuno dei due si mosse, fissando l’altro.
Poi Halima scoppiò a ridere.
 
Il Magi si era aspettato qualunque reazione, ma non quella. Perse quasi l’equilibrio per la sorpresa e, appena riuscì a ricomporsi, si diresse a grandi falcate verso quella tizia che stava ridendo di lui «Smettila!! » gonfiò le guance offeso.
 
Halima dovette smetterla per forza, dato che la risata non fece altro che aumentare il dolore che provava alla schiena, ma in quel momento non se ne curò «Per un attimo mi sei sembrato Lilith.» disse, ancora sorridendo «La stessa identica espressione giuro, se vi avessero messi vicini non ci sarebbe stata differenza.» per quanto potesse odiare quello spietato ragazzo, per quanta rabbia avesse nei suoi confronti per aver usato Lilith come passatempo, per essere così crudele, per essere uno degli esseri viventi che meno meritava di esistere, Halima non poté che essergli grata, perché tutti i sentimenti negativi che provava verso di lui la distraevano dal terribile presente e l’inesistente futuro che le si parava davanti.
 
«Come se io potessi essere paragonato a quella ragazzina.» sbraitò lui «Non ci sono persone come me!» ripeté, accucciandosi di nuovo davanti al piccolo corpo schiacciato dall’asse di legno.
 
Halima si accorse che la vista le si stava offuscando ma tentò di non farlo notare al ragazzo «Ci sono sempre state persone come te…» sospirò, abbassando di nuovo lo sguardo, non volendo vedere tutta la distruzione che uno stupido avvenimento aveva creato; se solo quella banda di banditi non fosse venuta lì, se solo fosse passata un po’ più lontano, senza raggiungere la città… ma quelli erano pensieri che le erano già passati per la mente, che l’avevano logorata mentre sentiva gli abitanti urlare e chiedere aiuto, morire terrorizzati. Ora l’aveva semplicemente accettato. D’altronde stava morendo anche lei.
 
Continuò a parlare a Judal, sperando che rimanesse un po’ più con lei. Quale ironia, voler una persona tanto sgradevole pur di non rimanere soli «Siete… siete persone irrazionali ed egoiste. Non per forza cattive, ma semplicemente concentrate su voi stesse. Dal vostro punto di vista il bene e il male non esistono, esistete solamente voi e quello che vi può far comodo. Agite in funzione della vostra soddisfazione senza curarvi degli altri.» respirava sempre più a fatica «Ci si inizia a comportare così per una ragione o per un’altra, ma poi anche le vostre motivazioni vengono dimenticate e continuate ad agire in questo modo perché effettivamente è l’unico che conoscete, sapete vivere solo così.» quasi non ascoltava le sue stesse parole, i rumori erano diventati ovattati, come se stesse entrando dentro una bolla. Probabilmente in un'altra situazione non si sarebbe azzardata a dire cose del genere cose al Magi ma in quel momento perché no?
«Non ti conosco e non conosco il tuo passato ma so di cosa sto parlando. Quando incontrai per la prima volta Lilith aveva la tua stessa espressione e anche adesso, alle volte, riaffiora quello sguardo spietato. In quei momenti sembra non riconoscermi e so che sarebbe capace di uccidere qualcuno se ne dipendesse la sua incolumità.» Lilith Lilith Lilith, era incredibile come potesse pensare alla ragazzina anche in un momento del genere. Si rese conto che l’amava come non aveva mai amato nessuno, voleva semplicemente che potesse vivere felice. «Sei ancora giovane e forse non è troppo tardi, quindi ascolta ciò che ho da dire: -tossì- non si può vivere solo di se stessi, arriverai a consumarti e a pensare che solo la tua esistenza abbia un qualche valore. Non puoi far così… i tuoi sentimenti dovrai darli a qualcuno, la pietà, la rabbia, la tristezza, l’amore... esistono perché devono essere condivisi, non puoi rivolgerli solo a te stesso-» aveva ancora tanto altro da dire ma un’altra fitta la costrinse a tacere. Alzò un po’ gli occhi per guardare in viso il ragazzo. Judal indossava un’espressione impassibile, Halima si chiese se avesse colto il senso delle sue parole, se l’avesse ascoltata. Non si poteva capire. Gli occhi cremisi del Magi erano fissi su di lei ma vuoti.
Passarono i secondi e a Halima sembrò che il Magi non si stesse neanche preoccupando di sbattere le palpebre tanto era immobile. Se non si fosse sentito il suo lieve respiro, la vecchia sarebbe stata pronta a giurare che il tempo si fosse fermato

«Eppure tu stai morendo.» si decise a dire a un certo punto, senza cambiare espressione «Ogni abitante di questo paese e anche la tua Lilith. Tutti sono morti o moriranno tra poco, ma non io. Io continuerò a vivere ore, giorni, anni e raggiungerò vette che voi non osate neanche immaginarvi.» era serissimo, la voce ridotta a un sibilo «Come puoi dire che io non sono migliore di voi, non sono più potente di voi, che la mia vita vale come la vostra, se io continuerò a sopravvivere e probabilmente cambierò il mondo?»
 
Quelle parole pesarono sul cuore dell’anziana signora molto più che le travi di legno sul suo corpo.
“Non ha capito niente.” provava pietà per quel ragazzo. Se non si fosse sforzato a guardare un po’ oltre l’orizzonte che i suoi occhi vedevano, non si sarebbe mai potuto salvare. E forse neanche lui voleva essere salvato.
 
“È perduto.” proprio mentre Halima pensò quelle cose, successe.
 
Il suono di una voce. Una voce che conosceva troppo bene.
Era pregna di terrore.
Chiamava il suo nome.
 
«Halima!»
 
E il viso di Judal cambiò. Dalla fredda e irraggiungibile espressione qualcosa sembrò sciogliersi, gli occhi cominciarono di nuovo a riflettere la luce e i tratti del giovane sembrarono ringiovanire, il viso riprendere colore.
 
E la vecchia capì che quel ragazzo poteva essere aiutato solo da una persona.
 
Lui sembrò scordarsi della sua esistenza, si alzò e si diresse verso la porta che dava sul negozio quasi barcollando, un’espressione incredula sul volto, il cuore che batteva leggermente più forte.
 
Proprio lì, nel disordine della distruzione, c’era una piccola ragazzina con le guance paffute e gli occhi grigi. Un’espressione angosciata giocava tra i tratti del suo viso, mentre scavalcava velocemente un cassettone schiantato a terra.
Gli occhi di Lilith incontrarono quelli del moro e per un tempo che nessuno dei due avrebbe saputo quantificare -forse breve, forse lunghissimo- restarono a fissarsi, trattennero il respiro.
 
Ma ben presto entrambi si riscossero da quello stato di trance perché nel retrobottega, alle spalle di Judal, si udì un forte schianto che fece tremare le pareti.
 
Si voltarono contemporaneamente da quella parte ma Lilith fu più veloce: si lanciò verso l’altra stanza, curandosi poco del ragazzo che non ebbe la prontezza di fermarla e dunque entrò velocemente dopo di lei.
 
Ma non vide ciò che si aspettava.
 
Lo schianto era stato provocato dal soffitto che, già tarlato e rovinato dalle fiamme, aveva ceduto sotto il suo stesso peso crollando completamente a terra, rivelando così sopra le teste dei ragazzi un cielo limpido e senza nuvole, un sole talmente brillante che faceva quasi male.
 
Halima era stata sepolta tra i detriti. Non era ancora morta però, sentendo la voce di Lilith, aveva ritrovato le forze per vivere ancora un po’ ma l’improvviso crollo l’aveva presa alla sprovvista e un pesante pezzo di legno le era caduto sul capo, costringendola completamente a terra, impedendole qualsiasi movimento. A quel punto la vecchia era solo capace di sentire.
 
«Judal!» e la sentì, la voce della sua bambina, piena di terrore «Cos’è successo? Io… non… dov’è… dov’è Halima?!?!» urlava, Lilith, incapace di nascondere la sua preoccupazione. E la vecchia voleva chiamarla, voleva dirle che era proprio lì e che non c’era nessun pericolo, che l’avrebbe protetta. Ma la voce non usciva da quel corpo stanco.
 
Piombò il silenzio, l’unica cosa che si poté sentire fu il canto di alcuni uccelli e il rumore del fuoco che scoppiettava lontano, divorando le ultime cose che rimanevano di quello che il giorno prima era un tranquillo paesino.
 
Judal esitò, spostando lo sguardo nel punto dove probabilmente si trovava la persona che Lilith stava cercando, sepolta e schiacciata.
 
«Allora?!» la bassa ragazzina gli fu vicina, gli occhi che rilucevano di uno sguardo deciso, la voce forte.
 
“Sono qui.” quanto avrebbe voluto dirlo Halima in quel momento ma era impossibile, la vista già cominciava ad andarsene. Doveva solo sperare di essere ancora viva per quando il Magi l'avrebbe tirata fuori.
 
Judal valutò un attimo la ragazza che gli stava davanti, poi sospirò «Se n’è andata.»
 
Halima spalancò gli occhi “Cosa?”
 
«Cosa?!»
 
«Dei briganti hanno devastato la città, immagino che questo ormai tu l’abbia capito. Molti abitanti sono stati uccisi» si passò una mano tra i capelli corvini «e molti altri sono scappati di notte. L’ho vista la tua vecchia, mentre fuggiva dal paese insieme a una famiglia… si è salvata, ora probabilmente sta viaggiando in cerca di un posto dove rifugiarsi.»
 
Il mondo sembrò cominciare a ruotare vertiginosamente, una sensazione indescrivibile attanagliò il cuore di Halima. Non era vero. Lei non era in salvo. Stava morendo. E Lilith non avrebbe potuto dirle addio.
 
Ci fu un’altra pausa, poi si sentì il profondo sospiro di Lilith «Ah… aha… meno male…» il tono di voce più sollevato, quasi sereno.
 
“No no no no no!!” l’anziana signora cercò di sgusciare via da sotto gli assi, le mani si mossero cercando appiglio di qualcosa, qualsiasi cosa. Ma le unghie graffiarono solo il freddo pavimento. “Sono qui, proprio qui, ti prego ti prego ti prego ti prego!” con uno sforzo disumano, tentò di sollevarsi, di far rumore.
 
Niente.
 
«Allora… tu che ci facevi qui?» avvertì di nuovo la voce della ragazza, leggermente perplessa e per un istante sperò che riuscisse a subodorare qualcosa, a intendere l’inganno del Magi.
 
«Stavo facendo un giro, ho pensato che magari eri tornata e ti stavi nascondendo qua.» disse con nonchalance Judal «A proposito, che hai fatto ai capelli? E hai dei vestiti diversi…»
 
“Non voglio… devo salutarla per l’ultima volta… vivrà la sua vita cercandomi, pensando che sono viva… e quando scoprirà il contrario…” le dita di Halima avevano cominciato a sanguinare a causa della forza con cui la vecchia le conficcava al suolo.
 
«Eh, l’hai notato! Ho-»
 
«Aspetta usciamo di qui, se crolla qualcos’altro è un problema.» senza aspettare la risposta di Lilith, Judal la prese per il polso e la trascinò fuori, ignorando i balbettii imbarazzati di lei.
 
Halima si sentì male. Se ne stavano andando. La stavano lasciando lì da sola, per sempre.
“… Questo… è il mio destino? Finirò qui, senza nessuno? È questa la mia fine?” lacrime cominciarono a solcarle il viso. Aveva sempre creduto fermamente che ci fosse una strada prefissata per ogni persona, che ogni essere vivente avesse un ruolo da compiere e chi nasceva più sfortunato di altri, avrebbe semplicemente dovuto alzare la testa e continuare a camminare, perché con la buona volontà si poteva raggiungere tutto, gli esseri umani erano capaci di cose straordinarie e finché si viveva bene con se stessi, si poteva essere felici. Quando conobbe Lilith, queste convinzioni non fecero altro che ingrandirsi; l'aver conosciuto la ragazzina era stato quasi un dono per la vecchia. Potersi prendere cura di qualcun altro, poter darle la stessa speranza che animava il suo cuore... la trovava una cosa bellissima. Solo in quel momento, si rese conto di quanto infantili e ingenui erano stati i suoi pensieri. Lilith glielo ripeteva continuamente eppure lei non se ne era mai accorta. Come poteva essere giusta una cosa del genere? Come avrebbe potuto rialzare la testa e continuare a camminare se quella era la sua fine? Come avrebbe potuto Lilith continuare a vivere serenamente, dopo aver appreso della sua morte?
Ingiusto.
“… Lo odio. Odio il mio destino.” un singulto le si soffocò in gola “Che cos’ho fatto per meritarmi questo, Lilith è a un passo da me eppure…”
 
Aprì di nuovo gli occhi e per un momento, le parve di vedere uno sfarfallio nero. Di colpo, decise che non voleva morire così, che se ne sarebbe andata quando l’ultima goccia delle sue ormai poche forze l’avrebbe abbandonata.
 
Sentendo la rabbia divampare dentro di lei, raccolse l’ultima energia che le restava e riuscì a urlare.
 
«LILITH!»
 
Silenzio.
 
Non l’aveva sentita. Ovviamente, ormai il Magi doveva averla portata lontano, non c’era più speranza.
 
Chiuse gli occhi.
 
Ma li riaprì di scatto, sentendo un forte rumore di passi, poi oggetti pesanti che venivano spostati, buttati a terra, lanciati via. In un impeto che poteva essere solo di una persona 
«Halima!!!» Il viso terrorizzato di Lilith entrò nella sua visuale e in un moto di sollievo, Halima le sorrise.
E chiuse gli occhi.
 
«Oddio!» la ragazza urlò, alzandosi e cercando di spostare i pezzi di legno che schiacciavano la vecchia.
Conficcò le mani nel legno e digrignò forte i denti mentre spingeva la trave, cercando di spostarla «Muoviti!» strillò come impazzita, mettendoci più forza, ignorando le unghie che si rompevano e i muscoli che dolevano sotto tanto sforzo.
 
«Judal!» chiamò il moro che era rimasto sulla soglia come paralizzato «Aiutami!!»
 
Il giovane si riscosse, sembrando svegliarsi da un sogno. Fece un passo in avanti ma poi si fermò, esitando, guardando prima lei poi Halima. Lilith urlò di nuovo ma lui la ignorò, sembrava essere preda di un conflitto interiore. Poi, con un ringhio, si decise «Spostati!!» le comandò, estrasse la bacchetta e con uno scatto la alzò verso il cielo borbottando parole incomprensibili.
 
Le pesanti assi, così come il corpo della vecchia, si sollevarono dal suolo.
Judal fece volare l’anziana signora tra le braccia della ragazzina mentre scagliò lontano i detriti che fino a un attimo fa la schiacciavano, distruggendo i pochi pezzi di muro che erano rimasti in piedi e causando un gran fracasso.
 
Si sentirono urla, voci di uomini e un pesante scalpiccio di passi da tutte le direzioni.
 
Judal si volse velocemente verso Lilith e caricandosi in spalla il corpo esanime di Halima, fece segno alla ragazza di seguirlo, ma ciò che sperava il Magi non si avverò: avevano fatto troppo tardi. Difatti, appena riuscirono a farsi spazio tra i detriti, uscendo finalmente in strada, si ritrovarono circondati.
 
«Fuori dai piedi!»
 

La principessa era di pessimo umore, si poteva dedurre dal tic che le era preso all’occhio destro e da come stringeva tra le mani il suo strumento metallico, anziché tenerlo incastrato nell’acconciatura con cui erano legati i suoi capelli rosa.
Ka Kobun era relativamente preoccupato, nonostante la principessa sembrasse più infuriata delle altre volte, non era raro che lei e il sacerdote litigassero, quindi probabilmente non c’era ragione di agitarsi.
In un modo o nell’altro avrebbero fatto pace.
L’opzione più probabile era che il sacerdote, in massimo due giorni, si sarebbe dimenticato delle loro discussioni e avrebbe ripreso a parlarle o prenderla in giro. O forse la principessa Kougyoku sarebbe andata da lui in lacrime, non reggendo più il pesante silenzio, chiedendogli scusa per qualche colpa che non aveva (con grande soddisfazione del Magi).
 
«In un modo o nell’altro.» sospirò Ka Kobun, massaggiandosi le tempie.
 
Fece per rivolgersi alla principessa, qualche parola di conforto e alcuni insulti al sacerdote sarebbero bastati a tirarle su il morale, anche se di poco. Ma non fece in tempo a spiccicare parola perché qualcosa sfondò le pareti della stanza dove si trovavano lui e Kougyoku.
 
Difatti, avevano trovato velocemente un altro posto dove sistemarsi con i nobili e i soldati, e grazie ai membri di quell’organizzazione misteriosa, erano anche riusciti a ricostruire parte dell’accampamento, permettendo alla principessa di avere una stanza tutta per sé.
Stanza che era appena stata distrutta da quello che sembrava essere proprio il sacerdote. Il Magi rotolò per la stanza, scontrandosi con la parete opposta e accasciandosi al suolo, creando una grande confusione, rovesciando la maggior parte degli oggetti che l’ottava principessa aveva posizionato con cura.
 
«Judal! Che co-» Kougyoku era già pronta ad esplodere di rabbia ma lei e il suo servitore scorsero qualcosa di singolare che bloccò la probabile sfuriata.
 
Il giovane teneva sotto braccio il corpo di una signora anziana e dall’altro lato, una bassa ragazzina stringeva le braccia attorno a lui, gli occhi serrati probabilmente a causa dell’impatto.
 
Ma la cosa che preoccupò di più i due fu la freccia che trapassava da parte a parte la coscia sinistra di Judal, inzuppandogli tutti i pantaloni di un sangue troppo scuro .
 
«Judal!» la principessa si piegò su di lui, gli occhi spalancati dalla preoccupazione.
 
“In un modo o nell’altro.” furono gli unici pensieri che passarono per la mente di Ka Kobun.

 


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Ormai non chiedo neanche più scusa per la mia lentezza ad aggiornare, sarebbe un'inutile perdita di tempo, ne? (però sappiate che mi dispiace).


Ringrazio di cuore tutti quanti, anche solo chi legge, vi adoro.

Alla prossima!

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Capitolo 9
*** Repentini o graduali che siano, ci si adatta ai cambiamenti ***


 

Cancel your destiny

 
 
9. Repentini o graduali che siano, ci si adatta ai cambiamenti
 
 
I've said it once, I've said it twice. 
I've said it a thousand fucking times.
That I'm okay, that I'm fine, that it's all just in my mind.

—Bring Me The Horizon, It Never Ends
 
 

 
Dolore.

Tanto Dolore.

Da dove proveniva?

Perché lo stava provando?

dove aveva sbagliato?
[Puoi romperli, lo sai?
 
Cancellali e cancellerai il dolore.

Uccidili.

Uccidili tutti.]

Aah, non c’era bisogno di dirlo, lo sapeva benissimo. Chiunque gli avesse fatto una cosa del genere avrebbe pagato. Già si immaginava le loro urla imploranti (melodiose) mentre infliggeva loro un dolore cento volte più grande del suo.
Già, il suo. Lo sentiva distintamente. Partendo dalla gamba dilagava in tutto il corpo, senza lasciargli un attimo di pace e faceva male, era terribile, voleva che smettesse…

Una fitta più forte delle altre lo paralizzò. Sentì i tessuti della sua stessa carne lacerarsi sotto il potente strattone che avvertì scuotergli tutto il corpo e il caldo liquido –che suppose fosse sangue- uscì più impetuoso, impregnandogli fastidiosamente la pelle e i vestiti.
Sapeva di star urlando, poteva sentire le sue stesse corde vocali vibrare dolorosamente sotto lo sforzo a cui le stava sottoponendo. Eppure non avvertiva alcun suono, tutto era ovattato e distante. Solo il dolore era tangibile.
 
[E la rabbia.]

Era pronto a massacrare, martoriare, trucidare, sterminare tutti quanti. Si sarebbero uccisi a vicenda pur di sopravvivere, l’avrebbero pregato di risparmiare loro la vita, avrebbero pianto mentre osservavano tutte le cose a loro più care venire distrutte, cancellate. Da lui.

Erano pensieri così soddisfacenti che non riuscì a non trasformare il suo urlo in una risata.

Dolore dolore e ancora dolore! Tutti i suoi sensi ne venivano pervasi, riusciva quasi ad avvertirne il sapore: apparentemente mieloso ma forse acerbo, con un retrogusto aspro ma probabilmente amaro. Poteva essere paragonato al dolce succo delle sue pesche eppure assomigliava così tanto al forte sapore della terra…

Come lo percepivano le altre persone? Aveva un odore, lo identificavano con qualcosa, riuscivano a vederlo? Voleva saperlo saperlo saperlo saperlo! Ma come fare?



Semplice: doveva fare del male a qualcuno.
Così era sicuro che sarebbe riuscito a capire ciò che le persone provavano. L’avrebbe visto nei loro sguardi persi e agonizzanti.

E poi, poi avrebbe distrutto tutto.

La sua risata si ingigantì. Non ne sapeva il motivo, quasi non se lo chiese. Trovava quella situazione alquanto ironica perché… già, perché? E che stava succedendo? Se ne era dimenticato. Ah ma non importava, ormai niente aveva più importanza e forse non l’aveva mai avuta. D’altronde lui non voleva risposte, lui sopprimeva le sue stesse domande ritenendole inutili e noiose, quei dubbi presto sarebbero svaniti. Non gli importava. Avrebbe comunque continuato a fare come più gli piaceva. E tutto, tutto, tutto era così semplicemente e dannatamente divertente che sarebbe potuto morire! Anzi ne era sicuro: sarebbe morto e quella furia cieca l’avrebbe fatto rinascere, un sentimento del genere… era troppo forte, non poteva semplicemente svanire nel nulla. Aveva una forma, una consistenza… e se non ce l’aveva gliel’avrebbe data lui.
 
[La forma della disperazione]

Aveva in mano il mondo, poteva comprimere il cielo nel suo pugno e trascinare le stelle sulla terra. Ed ecco! L’aveva presa! Aveva afferrato la risposta che stava cercando, non l’avrebbe più lasciata e nulla l’avrebbe più fermato, finalmente poteva dar sfogo a tutto ciò che era, a tutto ciò che si nascondeva dentro di lui. Avrebbe fatto crollare tutto, tutti, il mondo, la realtà, il destino.
 
[Vedi? Ora sei libero.]

Così in quella spirale cadeva, si rialzava e veniva di nuovo travolto, trascinato e cancellato dai suoi stessi sentimenti mentre si sentiva sulle spalle qualcosa che poteva essere paragonato al peso del cielo.

E diventò fuoco e fragore, tempesta e luce, terremoto e pazzia.

Implose in se stesso.

Ma non lasciò la presa.
 
Lilith guardò come il corpo del Magi si contorse e scattò a sedere, gli occhi spalancati, le pupille così piccole che non sembravano altro che due puntini in quel mare vermiglio che erano le iridi.
Per l’ennesima volta divincolò il polso dalla stretta ferrea di Judal, chiamò di nuovo il suo nome ma il ragazzo non parve sentirla. Fissava un punto indefinito davanti a sé, lo sguardo perso, la bocca semiaperta in un rantolo silenzioso.
Poi finalmente spostò lo sguardo sul viso della ragazza e successivamente sul suo polso. Aggrottò le sopracciglia, come se si stesse chiedendo da solo cosa diavolo stesse facendo con le unghie conficcate in profondità nella carne di Lilith.
La lasciò andare. Prese una grande boccata d’aria e si lasciò cadere di nuovo sul materasso, la schiena contro il tessuto morbido e ancora tiepido del calore del suo corpo.
Si coprì gli occhi con un braccio, gemendo di dolore «Che male…»

«Ah, tu che male eh? Vuoi per caso vedere i segni che mi hai lasciato? È quasi uscito il sangue, una scusa non sarebbe sgradit-»

«Stai zitta.» mugugnò il moro, prendendo un cuscino e coprendosi il volto, troppo stanco per sentire la voce squillante e scontrosa di Lilith.

La ragazza sentì il volto andarle in fiamme ma si trattenne dal dire altro, capendo che la situazione non richiedeva ulteriore caos. Prese un gran respiro «…Stai bene?» chiese esitante, massaggiandosi il polso dolente.

Lo vide alzare il cuscino di qualche centimetro, così da poterle lanciare un’occhiata indagatrice. Si valutarono per un po’, poi il moro senza risponderle impuntò i gomiti nel materasso e alzò si nuovo il busto, guardandosi intorno «Siamo all’accampamento di Kou?» le chiese, anche se sapeva già la risposta: i pannelli rossicci fatti di canne di bambù e il lieve odore d’incenso erano inconfondibili.

La bruna annuì leggermente guardandolo di sottecchi «Come stai?» chiese di nuovo, sentendosi vagamente in imbarazzo per la stupida reazione che aveva avuto poco prima.

«Come se mi avessero infilato una cazzo di spada incandescente nel cranio.» sbottò lui sfregandosi violentemente le tempie.

Lilith annuì di nuovo «Probabilmente è colpa degli antidolorifici… per la gamba, intendo.» vide come un lampo di realizzazione passò negli occhi di Judal, che con uno scatto scostò le lenzuola che lo coprivano.
Entrambi si ritrovarono a fissare la coscia sinistra del ragazzo, completamente fasciata da garze che probabilmente un tempo erano state bianche immacolate. In quel momento invece, lì dove i suoi bei pantaloni neri erano stati strappati –probabilmente con l’intenzione di occuparsi della ferita- una grande macchia vermiglia campeggiava, quasi fiera nel suo colore acceso.

«Fantastico.» sibilò Judal «Che giornata di merda. Come cazzo hanno fatto quei… erano briganti? Ecco sì, come cazzo hanno fatto quelli a colpirmi?»

Lilith distolse lo sguardo dal troppo sangue che impregnava le fasciature «È quello che si stavano chiedendo tutti, ho sentito qualcuno borbottare qualcosa a proposito di un “borg” ma non ho capito bene. Cos’è?»

Il ragazzo la guardò e parve indeciso se risponderle o no. Dopo un attimo di esitazione però, parlò «Una barriera che ogni mago può creare per difendersi e il mio, il borg di un Magi, avrebbe dovuto fermare tranquillamente una freccia del genere.»

Lilith arcuò le sopracciglia «E perché non l’hai usato?»

«Uhm… chissà! Non mi interessa e di sicuro non è importante.» appena vide la ragazzina riaprire la bocca con fare sdegnato, sventolò una mano come per dire che quella questione era chiusa «Piuttosto, da quanto tempo siamo qui?»

“Come può essere così stupidamente spensierato?” Lilith sospirò abbattuta e decise di non insistere, Judal non le avrebbe comunque risposto «Direi più o meno due ore. Appena abbiamo fatto… ehm… irruzione nella stanza della principessa tu eri ancora cosciente, te lo ricordi?»

Il Magi aggrottò la fronte «Non proprio.»

«Già, mi avevano detto che gli antidolorifici ti avrebbero disorientato… in pratica, appena siamo arrivati nella stanza –tu con la freccia nella gamba, Halima priva di sensi e io che per poco non vomitavo, due uomini col velo ci si sono avvicinati. Volevano aiutarti ma tu hai ordinato loro di prendersi prima cura di Halima, dunque questi ti hanno affidato alle cure di un medico… non magico?» non aveva capito perfettamente cosa stava succedendo, aveva battuto forte la testa e c’era una grande confusione nella stanza «Questo ti ha strappato la freccia che ti aveva trapassato la gamba e ti ha ricucito la ferita. Credo sia stato quello il momento in cui sei svenuto, avevi perso troppo sangue.» cercò di nascondere il brivido che le scivolò lungo la schiena.

«E non avrebbe potuto aspettare?» la interruppe il Magi «Quelli di Al Sarmen si sarebbero potuti occupare della vecchia e poi venire a curarmi.»

«Ha detto che non c’era tempo, la ferita si stava infettando e l’emorragia non si fermava, rischiavi di finire male.» Judal alzò un sopracciglio ma non ribatté, facendole cenno di continuare. «Quando il tizio ha finito di ricucirti, hanno cercato di spostarti in un’altra stanza, ma la gamba doveva farti davvero male perché hai cominciato ad agitarti più di prima e i tizi con il velo sono stati costretti a farti bere un intruglio di erbe che ti avrebbe attutito un po’ il dolore ma confuso le idee, ecco perché non riesci a ricordarti bene quello che è successo. Comunque, dopo esserti calmato sono riusciti a fasciarti la gamba e ci hanno portato qui.»

Judal assottigliò gli occhi, portando di nuovo lo sguardo sulle fasciature“Non mi hanno curato.”
Se i due uomini di Al Sarmen avevano avuto tempo di fargli bere quell’antidolorifico, avrebbero anche potuto fargli guarire la ferita, anche solo parzialmente. Aveva la sensazione che non avessero fatto nulla per punirlo, dato che aveva ignorato le loro raccomandazioni di non tornare al paesino. Strinse i denti. Un soffio della rabbia che poco prima lo aveva attanagliato sembrò agitarsi di nuovo dentro di lui.

«Judal?» la voce di Lilith lo riscosse. Guardò di nuovo la ragazzina e notò come un’ombra di preoccupazione le oscurasse gli occhi, probabilmente si era accorta che qualcosa non andava.

Rilassò le spalle e ghignò «Beh, tutto è bene quel che finisce più o meno bene.» porto una mano alla fronte di Lilith e la spinse giocosamente, aspettandosi che la ragazzina ricominciasse a sbraitare come suo solito ma lei distolse semplicemente lo sguardo «…Piccola che succede?»

Lilith si rifiutò di alzare gli occhi, improvvisamente sembrava molto interessata a fissare i piccoli fili rossi e blu che si intrecciavano nella coperta del letto creando ghirigori e piccole decorazioni «È che…»

«Cosa?» insistette il ragazzo, piegandosi verso di lei. La bruna si stava comportando in maniera strana. Perché? Cos’era successo? Poteva avvertire una certa urgenza nel suo tono, come se ci fosse qualcosa che la metteva a disagio, qualcosa che le faceva desiderare di non essere lì. Qualcosa che a lui era sfuggito.

«Q-quando dormi sbavi!» sbottò lei, alzando finalmente lo sguardo e rivolgendogli un’occhiata tra lo schifato e l’imbarazzato.

Judal rimase un attimo impalato, ancora proteso verso di lei. Poi cominciò a ridere «Cosa? Bugiarda!»

«Ti giuro che è la verità! Guarda il cuscino!» anche le labbra di Lilith si incresparono in un piccolo sorriso mentre fissava di sottecchi il moro ridacchiare sempre di più «Non sapevo come dirtelo, è stato molto imbarazzante!»

Con una scatto che la colse di sorpresa, Judal le afferrò le guance e cominciò a tirargliele «E dire che mi avevi quasi fatto preoccupare. Io non sbavo!»

«Idiota laffami, mi ffai male!» Lilith tentò di afferrargli la treccia come contrattacco ma il ragazzo la lasciò, le poggiò le mani sulle spalle e, facendo peso con tutto il suo corpo, la spinse giù –manovra che fece davvero dubitare Lilith che il moro non riuscisse a muovere la gamba, se non ci fossero state tutte quelle fasciature non gli avrebbe mai creduto.

Si ritrovò bloccata contro il materasso, il Magi che la teneva ferma «Ritira ciò che hai detto!» ordinò divertito.

La piccoletta alzò gli occhi al cielo «Non posso negare la verità.» ribatté con tono altezzoso «Se ti comporti ancora come un poppante che non sa tenere la bocca chiusa nemmeno quando dorme non è colpa mia.» sapeva che lo stava provocando ma dopo aver passato così tanto tempo a preoccuparsi e a rimuginare aveva proprio bisogno di un sano battibecco.

«Ah sì?» chiese Judal, l’ennesimo sorrisetto stampato in faccia «Sei parecchio impertinente per essere solo una debole ragazzina, lo sai?»

Lilith inarcò le sopracciglia «Quando non sai che dire ripieghi sempre sugli insulti e non sei neanche tanto originale. “Debole ragazzina” ormai ha fatto la muffa.»

«Ooh ma io non insulto, io constato semplicemente la realtà: sei una piccola, debole, insignificante esistenza.» canticchiò lui, con un tono che si poteva quasi definire di pietà. Le diede i nervi.

«Non sono debole.»

Il moro rise «Davvero? A me non sembra.»

«Quanto sei fastidioso! Guarda,» senza troppe cerimonie, Lilith si alzò la maglietta, scoprendosi la pancia e mostrando al Magi una chiazza violacea abbastanza raccapricciante «mi sono scontrata con una Fanalis!» affermò tutta impettita.

Il moro sgranò gli occhi, fissando il grande livido che abbracciava gran parte della pancia della ragazzina. Avvicinò il viso, forse per esaminare più da vicino quella che sembrava essere stata una gran bella botta; per far venire una contusione del genere, un uomo normale avrebbe dovuto usare un bastone o picchiare ripetutamente sullo stesso punto.
Lilith sorrise, quasi soddisfatta per la sorpresa del Magi. Finché lui non aprì la bocca «Questo coso fa schifo. Cos’è un Fanalis?»

Se Lilith fosse stata in piedi sicuramente sarebbe caduta per terra dopo quella domanda «Non sai cosa sono i Fanalis?» era davvero incredula, perfino lei li conosceva «Capelli rossi, occhi particolari, forza sovrumana, ti dice niente?»

«Uhm…» il moro aggrottò la fronte, effettivamente qualcosa gli ricordava. Alzò il viso puntando lo sguardo in alto, in un punto indefinito «È qualcuno che ha a che fare con lo stupido sovrano?» si ricordava che Sinbad aveva qualcuno al suo seguito che corrispondeva alla descrizione di Lilith… Marur? Masur? Qualcosa del genere…

«E chi cavolo è lo stupido sovrano ora?!»

Il tono esasperato della bruna lo riscosse dai suoi pensieri. Judal riportò lo sguardo su di lei e ridacchiò «Nessuno di importante, piccola. Allora hai combattuto contro questa Fanalis?»

Lilith esitò «S-sì! Mi ha dato un pugno che mi ha mandato a sbattere contro una parete e per poco non mi spaccava anche la faccia, ma io l’ho evitata e le ho dato un calcio che l’ha stesa!» effettivamente non era andata proprio così ma a chi importava, lei non era debole e il Magi l’avrebbe dovuto riconoscere.

«Perché questa storia mi sembra molto surreale?» Judal le sfiorò il livido «Tu che metti al tappeto qualcuno con un calcio? Vorrei davvero crederti.»

«Bastardo, pensi non ne sia capace?»

«Assolutamente no!» beh, almeno era sincero.

La ragazza sbuffò «Dettagli. L’ho incontrata, l’ho fatta arrabbiare e ne sono uscita viva!»

«Lo sai che la posizione in cui ci troviamo è molto fraintendibile?» seriamente, come faceva Judal a cambiare argomento così velocemente? Sembrava annoiarsi subito per qualsiasi cosa e poi era di una sfacciataggine incredibile. Okay che era ferito, ma non si doveva permettere di interromper- Lilith bloccò lo scorrere dei suoi pensieri.

«…»

Effettivamente stavano su un letto, il moro che la teneva inchiodata sotto di sé e lei che si stava alzando la maglietta. Senza contare che lui le stava toccando il ventre.

«SPOSTATI!» il ragazzo evitò la mano che era diretta sulla sua guancia e si lasciò cadere affianco a lei ridendo di gusto.

La bruna invece era tutt’altro che divertita «Davvero esilarante…» si grattò la fronte, imbarazzata e sconcertata da quanto insensata stesse diventando tutta quella situazione. Giusto quella mattina –o per meglio dire notte, quando lei e Alibaba si erano messi a chiacchierare di roba inutile- si era svegliata pensando che finalmente tutto il casino in cui si trovava si sarebbe risolto e lei sarebbe tornata da Halima.

«Sinceramente sì! Molto esilarante!»

Lilith sospirò. Judal si distese più comodo accanto a lei con lo sguardo rivolto al soffitto e continuò a ridacchiare per un po’, finché non rimase solo un piccolo sorrisetto sulle sue labbra e cessò di far rumore. Lilith sospirò nuovamente. Calò il silenzio e i minuti passarono.
L’aria non era tesa, anzi, si sarebbe quasi potuta definire leggera mentre entrambi i ragazzi erano persi nei loro pensieri, l’uno affianco all’altra, le menti troppo distratte che ricordavano e assorbivano gli eventi successi poche ore prima.

Fu il Magi a rompere il silenzio «Mi devi raccontare tutto quello che ti è successo, pensavamo te ne fossi andata per sempre.»

La bruna ruotò leggermente il viso verso di lui «Pensavate?»

«Io e la vecchia, quando sei scomparsa ti abbiamo cercato per tutta una notte.»

«Tu e Halima vi siete…?»

Il Magi sventolo una mano, annoiato «Sì sì, all’inizio ero solo io, ma dopo un po’ che non ti trovavo ho pensato che la vecchia potesse conoscere qualche posto dove ti eri andata a nascondere, quindi sono andato da lei.»

Lilith si schiaffò una mano in fronte «Non ci posso credere, dopo tutti i miei sforzi per non farvi incontrare…» improvvisamente un pensiero le folgorò la mente. Era successo tutto così in fretta che non ci aveva potuto pensare con calma e tranquillità, ma in quel momento un dubbio che per tutto il tempo aveva fastidiosamente bussato a una piccola porticina della sua mente, cercando di avere più attenzioni, finalmente si fece più tangibile. La ragazza si alzò e guardò seria il suo interlocutore che le rivolse uno sguardo interrogativo.
Esitò, quasi timorosa di portare quella questione alla luce, eppure doveva chiederglielo «Judal… quando sono tornata al paesetto, cioè, quando ci siamo rincontrati… tu stavi-»

Sfortunatamente dei passi la interruppero. Avvicinandosi, risuonarono sempre più rumorosi, forti, frettolosi. Sembravano dei passi molto arrabbiati.
La penombra venne spazzata via dalla luce del sole che inondò improvvisamente la stanza, mentre una figura spalancava un pannello scorrevole che faceva da porta e attraversava la soglia a passo deciso. Kougyoku si erse in tutta la sua statura, gli occhi fiammeggianti, il mento alto e imperioso. Appena vide Judal parve che il viso le si ammorbidisse in un sorriso che non fece in tempo ad esprimersi perché vide l'altra figura vicino a lui «Che ci fai tu qui?» chiese, rivolgendosi a Lilith e assumendo un’espressione vagamente stizzita.

Lilith inarcò le sopracciglia. Era da quando erano arrivati che quella principessa non aveva fatto altro che lanciarle sguardi velenosi, aveva capito di non andarle molto a genio ma quell’occhiata con cui la stava inchiodando le ricordava tanto i visi schifati di certi ricchi quando passavano per i quartieri poveri.
Fece per risponderle a tono ma fortunatamente Judal la bloccò, evitando, forse involontariamente, il diverbio che si sarebbe andato a creare «Kougyoku~» canticchiò, alzando una mano in segno di saluto «Sei l’inutilità fatta persona, non eri neanche qui al mio risvegl-» non riuscì a completare la frase perché, essendosi sporto troppo dal letto e avendo tutta la parte inferiore del corpo addormentata e indolenzita, cadde rovinosamente per terra finendo a testa in giù, con le gambe ancora aggrappate al lenzuolo.

Sopraffatta da un improvviso attacco di risate, Lilith cominciò a battere i piedi sul materasso, le lacrime agli occhi, il dito puntato contro il ragazzo «Pfff AHAHAHAHAH! Ma che- ahahah movimento… aggraziato!»  annaspò, senza riuscire a impedire al suo sorriso di ingrandirsi ancora di più quando vide le guance di Judal diventare vermiglie.

Il moro per tutta risposta alzò la gamba buona e la colpì con il piede sulla fronte, facendola sbilanciare indietro «Silenzio!» intimò, cercando di rimettersi dritto.

La bruna perse l’equilibrio e quasi cadde anche lei «Ma sei stupido?! Mi fai mal- ahahaha!» ricominciò a ridere, non riusciva neanche ad essere arrabbiata con il ragazzo se stava in una posizione del genere.

«Lilith, giuro che appena mi rialzo ti ammazzo!!» il Magi venne interrotto da una lieve risata alle sue spalle e si voltò per vedere Kougyoku che nascondeva velocemente il viso dietro le larghe maniche del suo hanfu «Vecchia befana, non osar-»

«Su su, rialzati!» disse la principessa, riacquistando a sua compostezza e avvicinandosi, cercando di aiutarlo «Sarebbe sconveniente vedere il grande e terribile Sacerdote del nostro impero in una posizione del genere.» un piccolo sorriso però danzava ancora sulle labbra della principessa. Se Lilith non fosse stata troppo occupata a sbellicarsi dalle risate, avrebbe pensato che la ragazza sembrava molto più giovane e gentile con quell’espressione serena in viso.

Judal sbuffò appoggiandosi a lei e risedendosi con un tonfo sul letto «Stai zitta!» ringhiò di nuovo, spingendo la piccoletta che sghignazzava ancora senza neanche cercare di darsi un contegno.

«Allora, che è successo qui?» chiese Kougyoku divertita, mettendosi le mani sui fianchi ma rivolgendo a Lilith uno sguardo ben più amichevole. Quest’ultima si alzò dal letto, stiracchiandosi finché non sentì le ossa della schiena scrocchiare «Niente, raccontavo a questo idiota come sbava mentre dorme.»

«Ehi non ignora-»

Ah, addio sguardo amichevole, le fini sopracciglia di Kougyoku si piegarono leggermente all’ingiù «Non puoi certamente rivolgerti al sommo Sacerdote in questo modo! Non permetterti più!»

«Sul serio Kou-»

«Credo che continuerò a fare come voglio, grazie tante.»

«Mi prendete per il c-»

«Che insolenza! Non ti hanno mai insegnato le buone maniere?»

Lilith non ebbe comunque tempo di ribattere «ALLORA!» Judal si sporse e afferrò la sua bacchetta, di metallo abbandonata su un piccolo comodino di legno e la puntò contro le due «SONO PER CASO INVISIBILE?» velocemente, borbottò un incantesimo che fece condensare il vapore presente nell’aria, formando una piccola nuvola d’acqua che scagliò senza troppi complimenti verso le ragazze. Ma sfortunatamente mancò il bersaglio.

«Principessa, che succede? Le urla si sentono fin da fuori.» Ka Koubun venne completamente inzuppato dalla furia del Magi e dalle risate sguaiate di una piccola ragazzina, che cominciò letteralmente a rotolarsi sul letto.
 

Avevano lasciato Lilith nella stanza, intimandole di non muoversi da lì. Judal sarebbe voluto rimanere con lei ma Kougyoku era venuta a dirgli che i maghi di Al Sarmen le avevano chiesto di andarlo a chiamare perché gli dovevano parlare. Il Magi si chiese distrattamente come facessero a sapere che si era svegliato.
Di malavoglia si era alzato in volo –camminare era fuori questione con la gamba che si ritrovava- e si era diretto nella tenda dall’altra parte dell’accampamento, dove si trovavano i due uomini.

Judal rifletté che forse era stato un bene lasciare Lilith da sola, probabilmente si sarebbe annoiata e, nonostante le raccomandazioni di Ka Koubun, si sarebbe fatta un giro per l’accampamento creando qualche casino. Il ragazzo ghignò, sperando che la piccola facesse proprio così, almeno non si sarebbe annoiato.

Passò vicino al piccolo edificio che un tempo era stato la stanza di Kougyoku e dovette ammettere che effettivamente poche ore prima non aveva inscenato uno dei suoi atterraggi migliori: una parte delle pareti era completamente sfondata, all’interno c’era qualche schizzo di sangue (il suo sangue) e la maggior parte degli oggetti lì presenti era stata rotta o buttata malamente in un angolo. 

Con una smorfia, distolse lo sguardo dal gruppo di soldati che stavano cercando di renderla di nuovo presentabile e lo puntò verso la sua meta.

Appena fu abbastanza vicino alla tenda dove si trovavano i due uomini di Al Sarmen, però, si bloccò.

«Rukh neri.» le piccole anime sbatacchiavano pigramente le ali e fluttuavano intorno alla tenda, soprattutto davanti l’entrata; non erano tantissime ma un numero abbastanza grande da poter dire che i due maghi dovevano star facendo qualcosa lì dentro. Si ridestarono quando Judal si avvicinò di più, riconoscendo il loro Magi, avvicinandosi a lui più vivaci e quasi euforiche.

Aggrottando le sopracciglia, il moro si decise a scostare il panno che copriva l’entrata e varcare la soglia.

Per un attimo esitò, lasciando che gli occhi si abituassero alla penombra della stanza, fissandosi su una piccola figura al centro della stanza.
L’amica di Lilith era distesa per terra, priva di sensi, al centro di quelli che sembravano cerchi magici scavati nel terreno: brillavano di una tenue luce bianca, alcuni grandi e altri più piccoli, e all’interno di essi c’erano minuscole file scritte in quel linguaggio che Judal non si era mai preoccupato di imparare (gli sembrava si chiamasse Toran) che, come piccoli fili di ragnatela si intrecciavano, collegandosi tutte a quel corpo anziano.

«Magi.» una voce bassa e pacata lo chiamò e il ragazzo si rivolse verso un angolo della stanza dove due figure si nascondevano nell’ombra.

«Cosa avete fatto alla vecchia?» chiese guardandosi di nuovo alle spalle, verso Halima.

I maghi di Al Sarmen emersero dalle tenebre «È stata una fortuna, Magi.» uno dei due parlò, anche se il moro non seppe dire quale «Inizialmente non avevamo molte speranze, nonostante tu ci avessi chiesto di curarla, la donna era praticamente morta, non potevamo fare molto. Ma poi,» ci fu una pausa, uno dei due si diresse verso il centro della stanza, esaminando con attenzione il corpo privo di sensi «abbiamo notato che la sua anima era parzialmente nera.»

Judal inarcò un sopracciglio «È caduta nella depravazione?» era strano, quando l’aveva incontrata era sicuro che la vecchia non avesse maledetto il suo desti-  ah.
Certo, doveva essere successo quando Lilith era tornata. Anzi, più precisamente quando lui aveva tentato di portare via la piccola senza dirle che la vecchia si trovava lì nella stanza, schiacciata dal soffitto. Sbuffò, guardando l’anziana signora «Ironia della sorte, sembra che alla fine io ti abbia salvata. Che fortuna sfrontata che hai. Ecco come hai fatto a urlare per l’ultima volta il nome di Lilith, eh? Devono essere stati i rukh neri a darti la forza.» fluttuò più vicino a lei, notando che qualcosa era appoggiato sul suo petto: una piccola scatoletta nera.

«Magi, ti dobbiamo chiedere cos’è successo esattam-»

«Dopo.» l’uomo tacque a quello che sembrava quasi un ordine da parte del ragazzo, consapevole che insistere sarebbe servito solamente a farlo innervosire.

Judal fissò la vecchia, percependo le intricate magie e il misterioso potere che scorrevano da quei cerchi nello scrigno e successivamente nel corpo di Halima «Beh, la piccola sarà felice di sapere che la sua vecchia starà bene.»

«Forse hai frainteso, Magi.» il moro si voltò, uno sguardo che chiedeva risposte stampato sul viso.

«Tutto quello che abbiamo fatto -continuò l’uomo- è stato far sì che la vita non abbandonasse quel corpo, che gli organi non smettessero di funzionare, dunque che il rukh non si staccasse completamente da le-»

«Arriva al punto!»

«Magi, nulla potrà tornare come prima.»
 


L’ennesimo brivido freddo percorse la piccola ragazzina che si arrese, concedendosi finalmente il lusso di infilarsi sotto le coperte.

Era da quando Judal e la principessa se ne erano andati che non smetteva di tremare, uno strano freddo le si era insinuato nella pelle, tra le ossa, e non sembrava volerla lasciare. Alla fine, si era decisa a cercare conforto nelle coperte del letto dove aveva dormito il Magi e lì si rannicchiò, trovando un minimo di sollievo nel lievissimo tepore che era rimasto.

“Sei ridicola Lilith.” pensò prima si tuffare la testa nella morbida stoffa del cuscino e ispirare profondamente.
Le arrivò alle narici il familiare odore di Judal. Era molto più forte del solito, la stoffa ne sembrava pregna: era un unione di effluvi a lei sconosciuti, aromi esotici e speziati, quasi pungenti, come la stessa personalità del ragazzo e c'era di più, qualcosa che sapeva di scontri e di terra e di cielo, odori che non sapeva descrivere se non semplicemente come "Judal". Non le dispiacque.

Lasciò vagare lo sguardo nella stanza, lungo le pareti, sul pavimento, senza pensare a qualcosa in particolare. D’un tratto lo puntò sulla sua mano e lo fece scendere, finché non intravide i piccoli solchi rossi che le unghie del Magi avevano lasciato incisi nella sua carne; prudevano leggermente ma presto sarebbero scomparsi. Ciò che la preoccupava di più erano i lievi segni viola che sembravano partire da essi: lì dove le dita del Magi si erano strette, dei lividi le abbracciavano tutto il polso. Li sfiorò. Era successo quando gli era stata strappata via la freccia dalla gamba, era stato in quel momento che Judal l’aveva afferrata senza lasciarla più –o almeno fin quando non si era svegliato.

Poco prima aveva mentito al Magi. Non era perché sbavava che era sentita a disagio, anzi, fosse stato solo quello l’avrebbe trovato molto divertente.
Era il ricordo dei suoi urli che la metteva in difficoltà. Da quando la sua mano di era stretta su di lei, imprigionandole il polso, i lamenti di dolore erano iniziati e mai cessati; per lunghi minuti il moro aveva urlato parole incoerenti o suoni insensati senza quasi respirare, così tanto che insieme all’antidolorifico il medico aveva dovuto somministrargli un tranquillante, ma nessuno dei due aveva avuto un grande effetto. L’unica cosa che si rimediò fu che le grida si trasformarono in rantoli e piagnucolii.

Lilith si era chiesta più volte cosa stesse succedendo nella mente di Judal, cosa stesse vedendo, cosa stesse pensando, quasi affascinata dagli orrori che sembravano passare davanti a quegli occhi vermigli che alcune volte si spalancavano per poi richiudersi subito.
Lilith si era chiesta più volte se erano risate quei suoni leggermente diversi che si potevano sentire insieme alle urla strazianti del ragazzo.
Lilith si era chiesta più volte come mai, più che dolore, ciò che avvertiva scuotere il moro fosse un’enorme e incontrollabile rabbia.

Un altro tremito la pervase e per un attimo serrò le dita sulla sua carne, lì dove si erano strette quelle del ragazzo.

Fissò di nuovo i lividi.

“Sono bellissimi.” quasi non percepì i suoi ultimi pensieri mentre, senza accorgersene, scivolava tra le braccia del sonno.
 
And, for the first time in my innocent and confined life, I sensed in myself a potentiality for corruption that took my breath away.
 
—Angela Carter, The Bloody Chamber
 


Spalancò gli occhi appena sentì la porta della stanza aprirsi. Dopo tutto quello che era successo era diventata vigile e attenta a qualsiasi rumore, pronta a reagire se la situazione fosse diventata d’un tratto pericolosa. Forse anche perché stava avendo un sonno agitato, forse perché era ormai da giorni che aveva i nervi a pezzi, scattò seduta, pronta ad affrontare quell’improvviso rumore.

I suoi occhi incontrarono uno sguardo rosso sangue leggermente canzonatorio «Te la sei fatta sotto, piccola?» Judal varcò la soglia, fluttuando a pochi metri da terra «Certo che non ti rilassi nemmeno per un momento.»

Lilith con un gemito si distese di nuovo sul letto «È colpa tua che apri così di scatto la porta.» chiuse di nuovo gli occhi, rilassandosi «Devo essermi assopita. Non ho connesso subito, non ricordavo di essere a Kou, al sicuro.» marcò l’ultima parola con un tono leggermente sarcastico.

Sentì il moro sbuffare rumorosamente «Assopita? Hai dormito per un sacco di tempo!» il materasso si piegò leggermente sotto il peso del Magi «Mi stavo annoiando a morte. Pensavo che, restando da sola, saresti uscita per l’accampamento a guardare un po’ in giro e invece ti sei addormentata.»

La ragazza mugugnò qualcosa di incoerente prima di riuscire a formulare una frase «È che non conosco nessuno… e le guardie sembrano abbastanza ostili, non volevo cacciarmi in ulteriori guai.» borbottò stiracchiandosi, desiderosa di tornare tra le braccia del sonno.

Due mani la presero bruscamente per le spalle e la tirarono su «Allora,» si ritrovò il viso di Judal, su cui era prontamente ritornato un sorrisetto, a pochi centimetri di distanza «ti porto a fare un giro per l’accampamento, basta che non ti riaddormenti.»

«Non mi va.»

«A me invece sì.»

«E perché dovresti decidere tu-» quasi non fece in tempo a finire la frase che sentì il letto spostarsi da sotto di sé. O, per meglio dire, era stata lei ad essere stata spinta oltre il materasso dal Magi.
Per evitare di schiantarsi al suolo si appoggiò con il braccio a un piccolo mobiletto, mettendosi completamente eretta e rivolgendo a quel maledetto essere petulante uno sguardo di puro astio «Ehi!»

In risposta ebbe una scrollata di spalle «Io sono il più forte, io decido.»

«Non credi di essere un po’ presuntuoso?»

Ignorando le proteste della ragazzina, il moro ghignò e la trascinò oltre la soglia.

Davanti agli occhi dei due apparve l’accampamento di Kou sotto un cielo stellato. Piccoli falò erano stati accesi qua e là e uomini in armatura o vestiti in un abbigliamento che Lilith non aveva mai visto stavano attorno ai fuochi, chi affilando la spada, chi mangiando qualcosa, chi ancora bevendo allegramente. All’orizzonte si stagliava solo il grande deserto nero.

La bassa ragazzina alzò gli occhi al cielo «Ho dormito un sacco…» sbadigliò «Ah, le scarpe.»

«Te l’ho detto, infatti mi stavo annoiando.» disse Judal scrollando le spalle e puntando la sua stecca di metallo sulle scarpe di Lilith rimaste all’interno della stanza. Quelle volarono davanti alla bruna che, leggermente sorpresa, le prese. «E che hai fatto per tutto questo tempo?» chiese mentre se le infilava ai piedi.

«Ho avuto il mio da fare.» le rispose lui, dandosi una pacca sulla gamba sinistra  su cui sembrava essere stata ricucita la stoffa dei pantaloni (o ne aveva messi altri? Lilith non avrebbe saputo dirlo) «Quei vecchi mi hanno detto che questa è una buona occasione per imparare qualche nuovo incantesimo dai rukh. Anche se non sono bravo con l’ottavo tipo di magia, dovrò riuscire a guarirmi da solo questa ferita e ho già fatto qualche progresso; per guarire i tessuti della pelle non serve tanto magoi, ma i nomi delle magie sono complicati da avvertire. Comunque credo di essere quasi riuscito a sentirli, mi serve solo un po’ di pratica in più.» sembrava essere abbastanza fiero di quello che stava dicendo e forse si aspettava qualche parola di apprezzamento, peccato che a Lilith fosse sfuggito il senso della maggior parte delle parole che aveva detto.

«Ah.»

«“Ah”? È tutto quello che hai da dire?»

«Chi sono i “vecchi”?» Judal le lanciò uno sguardo che sembrava parlare da sé ma le rispose comunque, scocciato «Al Sarmen.» con un mugugno come risposta, Lilith si apprestò a seguire il giovane che aveva già cominciato a fluttuare in avanti ma d’improvviso, le tornò in mente la sua di vecchia. L’aveva dimenticata, di nuovo.

«Judal, dov’è Halima?»

Il Magi la guardò di sbieco piegando leggermente la testa di lato e volgendo gli occhi verso il cielo «È viva, ma non puoi ancor- ehi!»

La bruna non lo stava più ascoltando, si era messa a setacciare con lo sguardo l’accampamento, in cerca di qualcosa di ben preciso e appena lo vide ci si diresse di gran carriera, ignorando i richiami del Magi.

Che le stava succedendo? Non era da lei comportarsi così, dopo tutto quello che Halima aveva passato e forse stava passando in quel momento, lei non poteva semplicemente permettersi di dimenticarsi di lei, non poteva nascondersi dietro la scusa di essere stanca, non quando la vita della persona che le stava più a cuore rischiava di finire. Sentendo una leggera fitta di rimorso stringerle lo stomaco, Lilith affrontò le due figure che sembravano tenersi in disparte, nascoste tra le tenebre, silenziose come dei morti.

«Voglio vedere Halima.» tentò di usare un tono più perentorio possibile, cercando di far capire che  non avrebbe accettato un no come risposta. Non era sicura di avere tutto il diritto di comportarsi in quel modo dato che tutto sommato in quel momento era ospite di Kou, ma aveva bisogno di sapere dove si trovava la vecchia, di accertarsi con i suoi occhi che stesse bene, di parlarle.

I due uomini di Al Sarmen si voltarono verso di lei, fissandola in silenzio, e la ragazza si sforzò di non distogliere lo sguardo, di tenerlo puntato su quei veli che coprivano i volti dei due, senza lasciar intendere quali fossero le loro espressioni. Le davano fastidio, avrebbe voluto strapparli via e fissarli negli occhi.

Fece per riaprire la bocca senza neanche sapere bene cosa dire, ma una forte pacca dietro la nuca la bloccò «Ahia!» protestò, voltandosi verso Judal.

«Quando ti parlo mi devi ascoltare.» disse lui, gonfiando le guance in un’espressione offesa, ma poi si rivolse alle due figure 
silenziose «Portatela da lei.» ordinò, con un tono che sembrò far suonare una campanella d’allarme nella testa di Lilith che si irrigidì, sentendo un brivido freddo scenderle lungo la schiena. Non ebbe il tempo di capire cosa fosse però, perché finalmente uno dei due uomini le si avvicinò e parlò «Come desideri Sacerdote. Solo,» e si piegò leggermente verso di lei «non deve fare mosse avventate signorina, ora come ora la donna è ancora instabile, non deve né toccarla né calpestare i cerchi di magia o sfiorare lo scrigno, anche per il suo stesso bene.» incerta, Lilith annuì, confidando nel fatto che una volta vista Halima avrebbe capito di cosa stesse parlando l’uomo.

Lasciando l’altro mago alle spalle, che non aveva dato segno di volerla scortare verso il luogo dove i trovava la vecchia, Lilith seguì Judal e l’uomo in silenzio. Il Magi sembrava perso nei propri pensieri e a lei era montata dentro una strana ansia, quindi accolse volentieri quel momento di silenzio, non aveva voglia di parlare.
Passarono accanto a qualche fuoco guadagnandosi le occhiate incuriosite di alcuni uomini e la bruna realizzò solo in quel momento quanto la sua presenza dovesse apparire singolare a quei tizi; una ragazzina piombata dal cielo insieme al potentissimo Sacerdote –che per altro, si era beccato una freccia nella coscia-? Nonostante in guerra potessero succedere molte cose, dubitava che i soldati fossero abituati a stranezze del genere.
Per caso incrociò lo sguardo della principessa Kougyoku che si trovava a pochi passi da loro, ma quella si affrettò a guardare da un’altra parte, il viso imbronciato.

“Qual è il suo problema?” Lilith non ebbe tempo di chiederlo a nessuno, il tizio con il velo aveva scostato il panno di una tenda facendole cenno di entrare.

Intravide subito Halima. Lì, distesa sul freddo terreno, sembrava ancora più magra e minuta di quello che era. Così stanca e provata da tutto il dolore che aveva passato.
Un improvviso calore, che non seppe bene dire se fosse sollievo o senso di colpa, le inondò il petto e per un attimo si dimenticò delle raccomandazioni che le erano appena state date. L’unica cosa che voleva fare in quel momento era avvicinarsi alla vecchia, scuoterla finché non si sarebbe svegliata, e urlarle contro quanto si era preoccupata per lei, dirle che era un'idiota e scusarsi per averla fatta preoccupare.

Fortunatamente, Judal la riportò alla realtà appoggiandole una mano sulla spalla «Ehi, nessuna mossa avventata, ricordi? Non la puoi toccare.»

«Che le avete fatto?» chiese lei in risposta, guardando quelli che dovevano essere i “cerchi magici” menzionati prima.

Il ragazzo si rivolse al mago di Al Sarmen «Lasciaci.» e l’uomo, con un lieve inchino, si affrettò ad uscire dalla tenda. Una volta soli, il Magi fluttuò verso la vecchia e la ragazza lo seguì, stando attenta  non calpestare le linee luminescenti scavate nel terreno.

«Allora?» lo incalzò lei, accucciandosi accanto alla sua amica senza levarle un attimo gli occhi di dosso.

Il ragazzo si grattò la nuca, evidentemente in difficoltà «È leggermente complicato, quanto sai di magia?» chiese, anche se sapeva già la risposta.
Eppure, Lilith lo sorprese «Rukh.»

«Cosa?»

La bruna gli lanciò un’occhiata «È una parola che hai ripetuto un po’ di volte quando parlavi di incantesimi e roba varia, anche poco fa. Ricordo che la prima volta che l’hai menzionato era nel boschetto, quando dicesti che avresti potuto far diventare il mio rukh nero… o una cosa del genere.»

Judal sorrise soddisfatto, gli piacevano le persone svelte a capire «Sì, diciamo che i rukh sono le anime delle persone; tu, la vecchia, io e qualsiasi essere umano ne possediamo uno. E quando si muore, il rukh torna al “Grande Flusso”, diciamo che si stacca dal suo corpo di carne e vaga per il mondo.» fece una pausa, rivolgendo lo sguardo alle anime nere che in quel momento fluttuavano placide nella stanza «A parte il proprio, ognuno ha un certo numero di rukh dentro di sé e questi producono il magoi, una specie di energia che, se si sa come fare, può venire sfruttata per generare attacchi, difendersi, o addirittura trasferirla a qualcun altro, ed è proprio questo che stiamo facendo con la tua vecchia. Attraverso quella» indicò la piccola scatolina adagiata sul petto di Halima «e i cerchi magici, una quantità costante di magoi viene passata dai rukh che si trovano in questa stanza al corpo della tua vecchia, dandole la forza di sopravvivere, dato che il magoi è anche una fonte di energia vitale –infatti se la si esaurisce si muore.» si fermò di nuovo, dando il tempo a Lilith di assorbire i concetti che le stava dando. Non aveva mai avuto la pazienza di spiegare cose a qualcuno, temeva di non essere chiaro abbastanza. Eppure la piccoletta rimase in silenzio, concentrata, fissando un punto indefinito davanti a sé; dunque si decise a continuare «Il punto è che questo è un incantesimo molto complicato, perché normalmente non si potrebbe attingere alla forza di rukh esterni–solo i Magi sono capaci di una cosa del genere- ma con tantissime formule e i rukh neri i vecchi sono riusciti a farlo. Però è appunto un incantesimo instabile, non si possono sfiorare i cerchi o la scatola o la vecchia, perché tutto potrebbe collassare. L’unica cosa che ora puoi fare è aspettare e sperare che si stabilizzi.» concluse fissandola con occhi socchiusi, tentando di capire cosa le stesse passando per la mente. In quel momento il viso di Lilith era una maschera inespressiva. Judal notò che era la prima volta che la vedeva comportarsi in quel modo.

Dopo una manciata di secondi, la ragazza si decise a parlare «E tu puoi vederle, queste anime?»

Il Magi sbatté le palpebre, sorpreso di nuovo «Oggi hai deciso di mettere in funzione il cervello, piccola? Esattamente, tutti i maghi sono capaci di vederli.»  in quel momento la ragazza incrociò il suo sguardo. E d’un tratto si poterono leggere tutti i sentimenti che la attraversarono, forse perché solo in quel momento, aveva capito appieno ciò che le era stato detto.

Fino a quel momento, Lilith aveva ascoltato la spiegazione di Judal quasi fosse un racconto, qualcosa che non la riguardava, solo una storia ben costruita. Perché era troppo surreale e inverosimile, praticamente demoliva alcune delle sue sicurezze più importanti, come poteva semplicemente accettare una cosa del genere?
Fu solo solo quando sentì la risposta del moro alla sua domanda che tutto sembrò diventare più vero. Senza volerlo, il ragazzo aveva anche risposto a una delle questioni che l’avevano assillata di più sin dalla prima volta che si erano incontrati.

Gli occhi di Judal.

Fin dall’inizio aveva avuto la stranissima sensazione che il Magi potesse vedere qualcosa di più, qualcosa che a lei, che a tutti, sfuggiva. Qualche verità che se fosse riuscita ad afferrare anche lei, forse –forse, avrebbe capito.

«Cosa? Cosa ne vuoi sapere tu, tesoro? Cosa potrebbe mai capire la mia dolce bambina? Cosa mai riusciresti a intendere tu, stupido, cieco, ottuso amore mio?»

Solo dopo quell’ultima rivelazione, capì veramente quanto quello che le era appena stato spiegato fosse vero. Una cosa normale ma nascosta, il corso della natura che lei era incapace di vedere.

Si alzò, realizzando che aveva bisogno di una boccata d’aria fresca per schiarirsi le idee. Sembrava che la mente le stesse per scoppiare sotto la carica di verità con cui era stata appena bombardata.

Lanciò un ultimo sguardo ad Halima e si diresse all’esterno senza guardarsi più in dietro, accettando finalmente il fatto che non c’era davvero nulla che potesse fare per la sua amica.
Eppure detestava sentirsi così impotente, e forse l’atto di allontanarsi da lei fu anche un po’ egoista; stare semplicemente a fissarla le dava i nervi, non poter fare neanche la più piccola cosa che l’aiutasse a stare meglio le faceva montare dentro solo una grande rabbia. Quindi meglio non guardarla più, non voltarsi, non pensarci. Aspettare.

Immersa nei suoi pensieri, uscì dalla tenda e senza pensarci due volte diede le spalle all’accampamento e si diresse verso le grandi e oscure dune di sabbia. Aveva bisogno di stare da so-

Era così persa nei propri pensieri che per un attimo si era dimenticata di Judal e solo in quel momento realizzò che il ragazzo le era stato affianco, chiamandola per tutto il tempo, e lei non l’aveva neanche sentito. E forse avrebbe continuato così, se il Magi non le avesse tirato i capelli, incredulo che la ragazzina non gli prestasse ascolto.

«Ma che ca- lasciami!» la bruna si divincolò dalla sua presa facilmente, voltandosi verso di lui con uno sguardo scocciato «Che vuoi?»

«Ti rendi conto che non è normale quanto tu sia distratta?» disse lui, incrociando braccia e gambe «O forse lo fai solo per darmi fastidio, eh, piccola?»

Lei sospirò, massaggiandosi la testa «Ho solo bisogno di stare un po’ per i fatti miei,» indicò il deserto «puoi per favore, andartene?»

«No!»

«…Scusa?»

«Ti ho già lasciata dormire abbastanza, ora stai con me.» la stava trattando come se fosse un animale da compagnia? Ooh, in quel momento Lilith non aveva certo la pazienza di cercare di fare la persona matura tra i due.

«Io non sto al servizio di nessuno, specialmente il tuo.» disse fra i denti «Non hai davvero nessuno da infastidire? Sei così infantile da non poter stare da solo?»

Poté chiaramente vedere una vena spuntare sulla tempia del suo interlocutore «Come ti permetti, brutta stupida? E dire che oggi ti ho salvato il culo e sto salvando anche quello della tua vecchia, sii più riconoscente o forse potrei cambiare idea.» concluse con l’ennesimo ghigno stampato in faccia, come se si stesse complimentando da solo per l’idea che gli era venuta in mente.

“Mi sta… minacciando?” solo quel pensiero fu la miccia che la fece finalmente esplodere; non poteva davvero credere a quanto quel ragazzo fosse egoista, le dava fastidio, le prudevano le mani dalla voglia di colpirlo. E d'un tratto tutta la tensione accumulata in quel giorni si manifestò «Ho avuto una giornata di merda, Judal!» sbottò, alzando la voce «A dire la verità da quando ti ho conosciuto sto avendo varie giornate di merda, ma con quest’ultima ho raggiunto il mio limite! Mi hai appena detto che una piccola e insulsa scatoletta sta tenendo in vita la persona a cui tengo di più al mondo, sono stata rapita da dei mercanti di schiavi, il mio paese è stato completamente distrutto e ormai ho perso il conto di quante volte ho rischiato di morire! Potrai almeno farmi il sacrosanto favore di non rompermi le palle?» perfetto, quella sfuriata le stava anche facendo venire il mal di testa, di bene in meglio.

«Povera piccola vittima!» la prese in giro il Magi, sovrastando la sua voce «Maltratta dal mondo intero, lei ha solo bisogno di un po’ di pace! Se vuoi ti trapasserò molto volentieri la gamba con un freccia, così poi mi dici cosa si prova. Credi di essere l’unica ad essere stanca? Beh, notizia del giorno: non lo sei. Quando sei scomparsa ho passato tutta una notte a cercarti, chiedendomi dove cazzo ti fossi cacciata e quando finalmente mi convinco che probabilmente sei schiattata da qualche parte ecco che ricompari! Ho addirittura portato quella cazzo di Halima con noi, mentre avrei benissimo potuto lasciare te e lei morire lì come meritavate e come probabilmente il destino aveva deciso per voi!»

Destino. Eccolo di nuovo. Era davvero impossibile non sentire più quella parola? Voleva cancellarla. Non voleva mai più sentirla nella sua vita. Era così facile per tutti attribuire la colpa a qualcosa che nemmeno esisteva.
«Vaffanculo!» urlò quindi, esasperata «Nessuno nessuno nessuno ti ha chiesto di farlo! Potevi semplicemente non venirmi appresso fin dall’inizio, io di sicuro non mi sarei lamentata! Non stai facendo nient'altro che rinfacciarmi quanto ti devo la vita, quanto mi sei stato d’aiuto, beh, ti informo che non lo sei stato per niente! Per quanto mi riguarda potresti scomparire adesso e io mi arrangerei come ho sempre fatto, anzi forse starei anche meglio! Io... io non ce la faccio più. Perché sembri aver deciso di rendermi la vita un inferno?!»

«Perché io voglio stare con te!» una forte folata di vento investì i due e Lilith non ebbe dubbi provenisse proprio da Judal. Sentì un vociare scontento alle sue spalle e rumori di tende che probabilmente venivano spostate e scaraventate via dall’improvvisa rabbia del Magi, eppure non si voltò. Per quanto potesse sembrare palese e ovvia, l’ultima affermazione l’aveva lasciata senza parol; sembrava essere sfuggita dalle labbra del moro. Stranamente, quella consapevolezza le sembrò molto più imbarazzante di tutti i commenti maliziosi che si erano scambiati in passato, probabilmente perché, mentre quelle erano solo delle frecciatine con cui Judal voleva metterla a disagio, le parole che aveva appena sentito sembravano così naturali –così sincere che le si formò un nodo in gola al punto che, anche volendo, non avrebbe potuto emettere alcun suono.

“Non arrossire.” nell'esatto istante in cui pensò quelle parole sentì il suo viso avvampare di vergogna.
Si irrigidì ancora di più, pregando qualsiasi entità divina che Judal non la vedesse. E forse il moro non la vide davvero, o più probabilmente ebbe la decenza di non dire nulla, perché non spiccicò parola; sembrava deciso a non guardarla negli occhi, fissandosi invece su un punto indefinito alla sua sinistra con fare infastidito. Teneva le labbra strette a tal punto che ormai erano diventate una linea sottile, quasi volesse fonderle insieme e non aprirle mai più.

Passò una manciata di secondi. Poi un’altra. Poi un’altra ancora. Lilith cominciava a convincersi che sarebbe potuta rimanere lì impalata per il resto della notte mentre quella stupida frase le rimbombava come un eco in testa. Eppure si riscosse; la cosa che catturò la sua attenzione fu una piccolissima scia di luce che sembrò quasi uno spiraglio bianco, una crepa, nella grande cupola nera che era diventata la volta celeste.

Si lasciò sfuggire un'esclamazione «Una stella cadente!»

«Eh?!» Judal si girò verso il punto che la ragazzina stava indicando «Dove? Non l’ho vista!»

«Era vividissima! Che sia periodo? Aah che bello, era da anni che non ne vedevo una!»

Il Magi gonfiò le guance «Voglio vederla anche io!»

Lilith si grattò la nuca «Forse qui c’è troppa luce dell’accampamento, proviamo ad andare verso quella duna.» si incamminò a passo svelto con il Magi che le fluttuava accanto, entrambi con il naso rivolto all’insù, lo sguardo fisso e concentrato, cercando di non perdersi alcun movimento di quei piccoli puntini luminosi.

Incespicando un paio di volte e rimediandosi qualche ghigno di scherno da parte di Judal, la bruna raggiunse per prima la cima dell’alta duna che aveva indicato ma non si fermò lì, anzi, la superò e continuò a camminare sul terreno in pendenza finché non si decise e senza troppe cerimonie si mise a sedere sulla sabbia fredda. Si levò le scarpe, godendosi la bella sensazione del terreno sotto ai piedi nudi, e si distese secondo l’inclinazione della duna, le mani intrecciate dietro la nuca.

Con la coda dell’occhio intravide Judal esitare affianco a lei «Allora?» batté una mano vicino a sé, facendogli segno di stendersi.

Il moro borbottò qualcosa tra i denti.

Lei inclinò la testa in avanti «Che?»

«I capelli si riempiono di sabbia.» bofonchiò il Magi in risposta.

Lilith soffocò un sorriso «Certe volte sei più donna di me. Dai, se i capelli sono il problema te li lavo io appena torniamo.»

Vedendolo snudare i denti bianchi in un ghigno si chiese se avesse appena firmato la sua condanna a morte «Allora mi accomodo.» disse semplicemente lui distendendosi e reprimendo il piccolo brivido che gli percorse il corpo quando poggiò la schiena sulla sabbia 
fredda . Si avvicinò di più alla bruna finché le loro spalle non si toccarono.

«Che fai?»

«Fa freddo.»

«Esagerato, c’è solo una leggera umidità.»

«Fa molto freddo.»

«Sei un viziato.»

Piombò un silenzio che nessuno dei due si preoccupò di rompere, entrambi rilassati e concentrati a guardare il cielo, già dimentichi del diverbio avuto poco fa. Successivamente Lilith avrebbe dato colpa alla stanchezza e al non voler prolungare un'inutile litigata ma forse, più che altro, entrambi stavano facendo finta di niente di fronte a qualcosa che nessuno dei due sapeva gestire, lasciando semplicemente cadere la discussione nel nulla, in un accordo comune e silenzioso. Sta di fatto che nessuno dei due accennò neanche per sbaglio all'argomento.

Lilith si mosse, cercando una posizione più comoda, trovando silenziosamente conforto nel calore del corpo accanto al suo. Le erano sempre piaciute le stelle, le davano una sorta di serenità. Non le capitava molte volte di uscire dal paesino ma quando lo faceva preferiva le ore serali, il sole che calava o era già scomparso all’orizzonte, così da potersi fermare a guardare il firmamento senza che le fastidiose luci delle abitazioni le offuscassero la visuale.

«Che forma hanno i rukh?» chiese sovrappensiero, setacciando ogni angolo del cielo in cerca di qualche movimento da parte degli astri.

«Sono dei piccoli uccelli fatti di luce e hanno diversi colori, ma principalmente si dividono in bianchi e neri.» le arrivò una risposta un po’ assonnata e con la coda dell’occhio vide Judal fare un grande sbadiglio.

«Sono anche qui?»

«Sì, ce n’è uno che ti sta volando sopra il naso.» il moro ridacchiò appena vide la ragazza sventolarsi una mano davanti alla faccia.

«E quindi sono loro che ti permettono di fare quelle magie.» borbottò ancora lei, la mente che ricominciava a viaggiare veloce, cercando di ricordare tutto quello che il Magi le aveva spiegato.

«Sì, sono loro che mi sussurrano i nomi degli incantesimi e sono loro a darmi un’energia che dubito tu abbia mai visto. Posso creare enormi fenomeni distruttivi e fonderli insieme: fulmini, uragani, terremoti. Questo è il potere di noi Magi. Diciamo che l’unico nostro limite è il corpo, che potrebbe distruggersi se sottoposto a una quantità di magoi troppo grande. Ma io sto aspettando una situazione del genere e non mi importerebbe di spingermi a limite. La sto aspettando.» Judal per un attimo sembrò non trovarsi lì ma tanto, tanto lontano.

«Una situazione del genere… quale?» a quella domanda, gli occhi del moro sembrarono tornare alla realtà, ogni traccia di sonno era scomparsa dal suo viso.

«Una guerra.» sussurrò, alzando le mani verso le stelle quasi volesse afferrarle «Non una stupida battaglia con soldati e eserciti, no. Una guerra vera. Dove solo i più forti, coloro che sono stati scelti, sopravvivranno e combatteranno tentando di avere la meglio gli uni sugli altri, volando sopra a un tappeto di morte, sangue e distruzione. In quel momento i rukh non saranno più quieti ma si agiteranno, turbineranno nel cielo come impazziti, costretti a donare tutto quello che hanno a coloro che li richiedono, in una tempesta di luce e di potere.» si alzò in volo, tenendo gli occhi spalancati fissi sul cielo buio, un sorriso forse troppo grande, forse troppo distorto per essere considerato sano, gli illuminava gli occhi «In una guerra del genere si perde se stessi. Non importa quali siano le proprie convinzioni o gli stupidi ideali per cui ipocritamente si afferma di star combattendo e di voler cambiare il mondo. Non c’è più niente. Tutto si riduce al semplice desiderio di sopravvivere, quello di poter esalare ancora un respiro, di sentire dentro di sé il cuore battere nel petto. E nulla, nulla, nulla ha più importanza. Le idee, i sogni, gli affetti scompaiono e per un attimo si è soli con se stessi.» si voltò verso Lilith e il suo sorriso si ammorbidì fissando quegli occhi grigi che sembravano splendere sotto al cielo stellato «Non importa più chi sei.»

«Quando…» la ragazza si ritrovò a boccheggiare, 
per un attimo tutte le cose che voleva dire le si bloccarono in gola, le sembrò di non essere capace di esprimerle a parole «Quando ci sarà una guerra del genere?» si era messa seduta, portando le ginocchia al petto e avvolgendoci attorno le braccia, quasi volesse proteggersi da tutto ciò che aveva detto il ragazzo. Le sembrò quasi di poterle toccare, le emozioni che parevano aver avvolto la figura di Judal, e per un attimo pensò che stessero per avvolgere anche lei. Anche se non avrebbe mai saputo dire cosa fossero esattamente.

Lui abbassò le spalle, il viso tornò serio mentre le si risedeva accanto «Tra tanto tempo.» rispose, passandosi una mano tra i capelli «Ma succederà. Sono un Magi, il mio compito è quello di portare un unico sovrano a governare sul mondo intero e ora che ci sono così tanti candidati re… è solo una questione di tempo, si deve solo aspettare. Succederà.»

Altre stelle cadenti brillarono nel cielo ma nessuno dei due le vide. Erano troppo occupati a parlare.

Anche quando alcuni soldati li trovarono e dissero loro che dovevano tornare all’accampamento, anche quando si ritrovarono da soli nella camera di Judal. Passarono ore e ore e nessuno dei due fu mai sazio delle parole dell’altro; il Magi raccontò ancora le dinamiche di quel nuovo mondo che si stava rivelando agli occhi di Lilith, sconosciuto, bellissimo, e lei gli narrò ciò che le era capitato la sera in cui avevano bevuto, di come si era trovata a Qishan, del viaggio di ritorno con Alibaba. Il moro rise.

Si fecero portare la cena in camera e entrambi si sorpresero di quanta fame avessero, divorando la carne e la zuppa, chiedendone poi nuove porzioni. Per la prima volta Lilith si sentì completamente sazia e serena. Si dimenticò perfino della vera domanda che l’aveva tormentata, un timore che forse neanche lei voleva davvero portare alla luce; lo rinchiuse in un angolo della sua mente e inconsciamente lo lasciò lì, con la speranza che presto sarebbe scomparso.

“Judal, quando sono tornata al paesino tu sapevi che Halima si trovava in quella stanza, schiacciata dal legno e dalle pietre. So che lo sapevi.

In fondo perché dar retta a una cosa del genere?


“E allora perché non me l'hai detto?”

Judal stava ridendo.

“Volevi... che morisse?”

Non avrebbe mai permesso a una stupida paura, anche se fondata, di rovinarle quel meraviglioso attimo. C'era solo la risata di Judal. Chissà come mai era così ammaliante, le sembrava di non averla mai udita veramente. 

“...Tu in realtà cosa vuoi da me?”


Se solo Halima fosse stata lì in quel momento, probabilmente si sarebbe rattristata.
Perché lei aveva pensato che solo Lilith potesse salvare il Magi. Ma non aveva capito. Non aveva visto quanta influenza potesse avere il ragazzo sulla sua bambina, quanto lei potesse cambiare a causa sua senza neanche accorgersene. Se avesse visto il sorriso che danzava sulle labbra della ragazzina che aveva amato così tanto mentre, sotto le stelle, il Magi le parlava della folle guerra che sarebbe infuriata sul mondo, forse avrebbe capito quanto Lilith stesse mutando. Forse si sarebbe agitata e avrebbe rabbrividito, cercando di scuoterla e farla rinvenire, di ficcare un po’ di buon senso in quella mente che aveva cominciato a galoppare veloce, piena di eccitazione, trepidazione, aspettativa.

Ma l'anziana signora non era lì.

Anzi forse c’era, chi può dirlo. Magari uno dei tanti rukh neri che volteggiavano sopra i due era proprio il suo, ma noi non abbiamo la capacità di vederli e Judal non notò niente di diverso nel moto delle piccole anime oscure.

I due giovani si addormentarono al lume di una piccola lampada ad olio e per quel giorno alcuni segreti rimasero tali.


.
.
.
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Seriamente, io detesto quando le persone postano un capitolo ogni morte di papa. Si perde il pathos, il feeling che si era creato con i personaggi e, se passa davvero tanto tempo, si rischiano di perdere i punti fondamentali della trama. Credo che questa mia fic, dovrebbe essere letta più o meno tutta assieme, poiché magari negli ultimi capitoli ci sono riferimenti a fatti che sono stati solo menzionati all'inizio della storia o semplicemente perché faccio accadere delle cose, le lascio perdere per un po' e poi le riprendo cinque capitoli dopo (tutto ciò perché sono davvero una frana a costruire una trama decente e lineare).
Al contempo però, sono una persona enormemente pigra che rimanda tutti i suoi impegni e conseguentemente, io faccio sempre ritardo. Insomma, dopo metà anno ho ancora la faccia tosta di aggiornare questa fic. Che gli dèi mi fulminino.
Sarei comunque davvero tanto, tanto felice che voi commentiate anche questo capitolo e cerchiate di perdonarmi anche questa volta.
........Anzi no, non perdonatemi, non me lo merito, linciatemi a dovere.

L'ho gia detto nelle risposte alle recensioni ma vorrei dirlo anche in questo angolo di fine capitolo: anche questa volta ho una valida scusa giustificazione per questo ritardo madornale. Teoricamente, a Dicembre avevo finito il capitolo, mi mancava solo di revisionarlo un po' e correggere alcuni passaggi, poi l'avrei postato. Ironia della sorte, alla mia mente bacata è venuta la brillante idea di fare un po' di pulizia sul computer e per sbaglio ho cancellato il file word dove appunto c'era il capitolo 9 per poi sovrascriverci sopra altri millemila file. Insomma, in poche parole l'ho distrutto, sfanculizzato, cancellato. Evviva.
Caduta nello sconforto più totale c'è voluto un po' di tempo prima che mi rimettessi a scrivere seriamente.
Tutto questo per dire che non penso vi farò più aspettare così tanto tempo, almeno spero, insomma sono leggermente imbarazzata >___>

Detto ciò me ne vado, che mi sono già dilungata troppo. Mi siete mancati tantissimo ma finalmente sono tornata.

Alla prossima!

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Capitolo 10
*** Quando tutto va bene qualcosa andrà male ***


Piccola annotazione: ho cambiato le caratteristiche della fic inserendo "dark" al posto di "angst" e in più ricordo che il rating della storia è arancione; tutto ciò perché ci saranno vari momenti nel corso della trama con descrizioni di violenza fisica o psicologica, non credo sarà nulla di serio o troppo dettagliato ma ci tenevo a farlo notare. Buona lettura c:

 
Cancel your destiny

 
 
10. Quando tutto va bene qualcosa andrà male
 


Little girl, little girl
Why are you crying?
Inside your restless soul your heart is dying.


—Green Day, ¡Viva la Gloria! Little Girl


Un bagliore nacque all’orizzonte, tingendo di un arancio sbiadito il cielo intorno a sé e mischiandosi con l’oscurità della notte. Per un attimo luce e ombra sembrarono scontrarsi in una lotta silenziosa che però parve riecheggiare su ogni cosa, mentre la realtà prendeva una sfumatura sempre più chiara; gradualmente infatti la luce prevalse, diventando calda e luminosa, evidenziando tutte le increspature delle nuvole sulle quali si rifletteva e per poco tempo esse sembrarono oro puro sullo sfondo azzurro del cielo, più buio e minaccioso, l’ultimo posto in cui all’oscurità era stato concesso di rimanere. Poi anche quello scomparve, trasformandosi in un celeste chiaro e sereno, e a poco a poco il sole sorse dalle lontane dune di sabbia, nascondendo le ultime stelle, illuminando lo sconfinato e brullo paesaggio del deserto.
 
L’alba veniva sempre paragonata a una nascita, alla speranza, alla felicità che vinceva su una notte tormentosa.
 
Lilith si era spesso chiesta quando una vista del genere non le aveva più trasmesso simili emozioni.
 
Uno sbadiglio le nacque sul viso e lei non esitò a chiudere gli occhi, nascondendo allo sguardo quello spettacolo nel quale non trovava più significato. Una lieve brezza si alzò e la sabbia docilmente seguì il suo moto, mutando forma alle dune che per un attimo sembrarono muoversi e prendere vita. Il deserto parve tirare un lungo, sofferente, sospiro.
 
Lilith aveva le mani ghiacciate. Nonostante avesse provato più volte a riattivare la circolazione sulle dita, sfregandole e alitandoci sopra, non era servito a niente.
In un gesto distratto fece per mettersele intorno al collo, sulla pelle morbida e calda, sperando di renderle tiepide e di riacquistare un minimo di sensibilità; ma appena sentì il freddo attorcigliarsi attorno alla sua gola le ritrasse, d’un tratto rigida. Aggrottò le sopracciglia, torcendo i polsi in movimenti circolari osservò attentamente le nocche, le falangi, le unghie.
 
Un dejà vu. Un tremito. Una fitta dolorosa.
 
Lilith si era spesso sforzata di ricordare l’esatto momento in cui tutto era andato in pezzi.
 
Si era sempre chiesta cosa avesse mai potuto provocare un così repentino cambiamento, in che preciso istante quelle mani che si tendevano verso di lei in un gesto rassicurante, avessero iniziato a stringersi attorno alla sua gola nonostante lei le dicesse di smetterla –faceva male, male, male, male. Non riusciva neanche a ricordare il calore che era sicura doveva aver provato nel prima, perché il dopo era così pieno di paura e dolore e tristezza che non poteva, non riusciva, non voleva.
No no no no no no no no no no no no no.
 
Aveva dimenticato. Aveva dimenticato tutto.
 
Persino quella voce, che un tempo doveva essere stata calda e piena d’affetto. Tutto ciò che echeggiava nei ricordi di Lilith era un risata strozzata, simile a un pianto disperato.
 
La bruna avrebbe dato qualsiasi cosa per intravedere l’istante in cui tutto era totalmente e irrimediabilmente andato in pezzi.
 
Ma forse niente aveva avuto un inizio, forse era sempre stato lì nonostante lei non se ne fosse mai accorta. Non si dice forse che ognuno di noi ha un po’ di follia dentro di sé? Chi più, chi meno. C’è a chi basta una piccola spinta per cadere completamente in quel baratro oscuro e di sicuro sua madre era una di esse. E Lilith odiava quanto le loro mani si assomigliassero, era come una maledizione che l’avrebbe costretta a ricordare per sempre.
 
Inspirò profondamente.
 
Quella notte, mentre era distesa nel letto con Judal affianco che dormiva, le era capitato: nonostante sentisse un’enorme stanchezza pesarle sulle spalle i ricordi non avevano fatto altro che riaffiorare nella sua mente affaticata –implacabili, tormentosi- correndo liberi nella sua mente, facendola sentire ancora una volta intrappolata in quella stanza buia, circondata da fredde pareti fatte di pietre.
 
Affondò le mani nella sabbia, lanciando uno sguardo al cielo sopra di sé. Limpido e imperturbabile come sempre, pareva quasi felice. Sembrava prendersi gioco di lei.
 
Intravide una figura solitaria volare tra le nuvole, compiere svariati cerchi per poi scendere in picchiata. Il grande rapace sembrò afferrare qualcosa –una piccola biscia?- che strisciava nella sabbia. Lilith non fece in tempo a capirlo perché quello con un battito d’ali tornò alto nel cielo, volando sopra la sua testa e dirigendosi all’orizzonte, dove ormai il sole si era staccato dalle alte colline e saliva nel cielo.
 
La bruna alzò la mano destra, aprendo al massimo pollice e indice e posizionandoli in modo che la figura dell’animale, sempre più piccola, si trovasse esattamente nel mezzo. Sorrise.
Era così bello, sembrava possente,  implacabile, libero. Così giusto.
 
Con uno scatto unì con forza le due dita, schiacciando la sagoma e nascondendola alla propria vista.
 
«Bam!»
 


 L’accampamento aveva preso vita. Notò come svariati soldati si stessero già affaccendando a rimettere tutto in ordine, spegnendo i pochi fuochi che erano rimasti accesi e portando via la legna bruciata. Nessuno l’aveva vista allontanarsi durante la notte e in molti le lanciarono sguardi interrogativi. Fece il più possibile per ignorarli, sapeva che probabilmente c’erano state varie chiacchiere su di lei ma in quel momento aveva troppi pensieri per starsi a preoccupare anche di qui futili problemi.
 
Trottò verso il piccolo edificio che fungeva da stanza per lei e Judal e fece per entrare ma si bloccò. Era ancora molto presto e il Magi, a differenza sua, il giorno prima non aveva potuto dormire neanche un po’, senza aggiungere che erano rimasti svegli a parlare fino a notte fonda. Non era del tutto sicura di volerlo svegliare.
 
“Ma dove posso andare?” con uno sbuffo la ragazza diede le spalle alla porta che stava per varcare e camminò in modo flemmatico tra le tende, curiosando  in giro, osservando di sottecchi ogni cosa, diffidente e attenta. Con la coda dell’occhio intravide una scia di color giallo scomparire dietro un angolo e velocemente girò i tacchi, affrettandosi a seguire il servitore dell’ottava principessa di Kou, sembrava star dando direttive ai vari soldati.
 
«Ehi!» gli stretti occhi di Ka Koubun si rivolsero verso di lei e l’uomo la squadrò da capo a piedi; la ragazza si ritrovò a pensare che se non avesse indossato quel ridicolo cappellino giallo e verde sarebbe pure potuto sembrare minaccioso.
 
«Sì, ehm…?»
 
«Lilith.»
 
«Giusto. Di cosa ha bisogno, signorina Lilith?»
 
«Di qualcosa da fare.» osservò le biforcute sopracciglia dell’uomo aggrottarsi, rendendo ancora più palese quanto fosse infastidito.
 
«Temo di non capire, il Sacerdote sta ancora dormendo, perché non aspet-»
 
«Lo so che sta ancora dormendo, è proprio per questo che sono venuta qui.» lo interruppe lei, restituendogli lo sguardo seccato «Non mi va di stare con le mani in mano, quindi ho pensato che sarebbe stato meglio aiutare in qualcosa, se posso. Inoltre vorrei ripagare la vostra gentilezza di ospitarmi qui con voi.» il sarcasmo trasudava dalle sue parole, sperava di dar noia a quel tizio. La faceva innervosire come nessuno tentasse anche solo di nascondere quanto non fosse ben accetta lì, certo, fin quando c’era Judal poteva non preoccuparsene, ma onde evitare eventuali seccature avrebbe fatto meglio a rendersi utile.
 
Ka Koubun sospirò, volgendosi completamente verso di lei «Signorina, sa smontare o montare una tenda?»
 
Lilith aggrottò le sopracciglia «Beh, no, ma-»
 
«E sa,» la interruppe lui «Prendersi cura di un cavallo? Ad esempio sellarlo, o pulirgli gli zoccoli?»
 
«I cavalli non mi sono mai piaciuti, però so come trattare un cammell-»
 
«Cucinare?»
 
La bassa ragazzina deglutì e distolse lo sguardo «Non sono molto brava.» borbottò, sentendosi vagamente in imbarazzo.
 
L’uomo annuì, per nulla sorpreso «Come vede, non c’è bisogno che lei faccia niente.» il ché equivaleva a dire in modo più o meno gentile che la sua presenza era pressoché inutile.
«Non si disturbi a far qualcosa, prima o poi il Sacerdote si sveglierà. Può aspettarlo facendo colazione, se va verso quella tenda, poi gira a destra, può trovare-»
 
«Ci sarà qualcosa che posso fare!» sbottò lei
 
«Ad esempio?»
 
«Non lo so, è per questo che lo sto chiedendo a te… a lei. Cioè, a te. Ti posso dare del tu?»
 
L’uomo non si prese neanche la briga di nascondere uno sguardo irritato «Ho molte cose da fare, signorina Lilith, non posso preoccuparmi anche di alleviare la sua noia.» la bruna fece per ribattere ma alla fine ci ripensò.
Noia uh? Probabilmente era vero, stava solo cercando una distrazione. Con uno sguardo fra l’abbattuto e l’innervosito, volse le spalle a Ka Koubun e fece per andarsene.
 
Dietro di sé, sentì l’uomo sospirare nuovamente «…E va bene. Perché non porta la colazione e vestiti puliti alla principessa Kougyoku?» Lilith si volse velocemente verso di lui, pronta a sorridere e ringraziarlo per averle dato retta «Anzi, ancora meglio, perché oggi non si prende cura di lei? A causa dei briganti che hanno repentinamente invaso il vostro paesino ci siamo dovuti spostare in fretta e furia e dunque sono molto indaffarato, direi che non ho un momento libero!»
 
Gelò. Tutto il giorno? Proprio tutto il giorno?
 
«Ehm, non c’è qualcos’altro da fare?» lo sguardo dell’uomo la fulminò seduta stante «Cioè, non mi va di… insomma, non sono una schiavetta. Solo portarle la colazione va bene, ma tutto il giorno…» si arrese dopo la seconda occhiataccia che le fu rivolta «Okay okay, lo faccio!» Sapeva di non piacere all’ottava principessa e sinceramente neanche a lei andava a genio quella ragazza dai capelli rosa e il troppo trucco in faccia ma a quanto pareva non aveva altra scelta, d’altra parte l’aveva voluto lei.
 
Ka Koubun le concesse un mezzo sorriso che alla bruna non sembrò altro che un ghigno di scherno «Bene, aspetti che finisca di mangiare e poi riporti i piatti sporchi alla mensa e aiuti chi è di turno a lavarli, insieme alle altre posate consumate dai soldati ovviamente.» le spiegò velocemente dove doveva andare, indicandole frettolosamente i vari luoghi «Ah, pulisca anche i vestiti che la principessa le consegnerà, spero che almeno questo lo sappia fare.» la bruna si morse la lingua per non rispondergli a tono. Decise che quel tizio non le piaceva, lui e quegli stupidi segni che aveva intorno agli occhi. Sembravano degli occhiali «E infine torni dalla principessa e le chieda di cosa ha bisogno, se la vede annoiarsi può proporle di fare qualche gioco da tavolo o una passeggiata all’aperto. Insomma, si inventi qualcosa.»
 
Quando l’uomo ebbe finito Lilith si affrettò ad andarsene, pestando rumorosamente i piedi a terra e borbottando spergiuri tra sé e sé «Ah e dire che non c’era niente da fare. Ti farò vedere io, pulirò tutto in maniera così impeccabile che ti verrà da piangere. Stupido quattr’occhi.»
 
Anche Ka Koubun fece per voltarsi ma dopo due passi si bloccò, girandosi lentamente verso la bassa figura che trottava via “…Come mi ha chiamato?”
 
Ma neanche la piccoletta sembrava essersi accorta di come si era permessa di apostrofare l’uomo e prima che quest’ultimo potesse effettivamente dire qualcosa era già scomparsa. Fiondandosi prima di tutto alla ricerca dei vestiti di Kougyoku, suo malgrado Lilith dovette ammettere che non fu per niente semplice: i soldati li avevano portati da qualche parte ma nessuno si ricordava esattamente dove. La ragazza tentò di scacciare il fastidioso sospetto che si stessero prendendo gioco di lei dopo che il quarto uomo le aveva detto di andare a chiedere a un altro tizio, assicurandole che lui doveva per forza saperlo; peccato che Lilith avesse già parlato anche con quello.
 
Ci volle una mezz’oretta prima che riuscisse a trovare la sacca contenente i pregiati indumenti, e dato che durante quel tempo la colazione che aveva preso si era raffreddata, fu costretta a chiederne un’altra –guadagnandosi una brutta occhiata dal cuoco dell'esercito, che probabilmente aveva pensato che stesse prendendo altro cibo per se stessa.
 
Comunque, dopo aver preso tutto l’occorrente riuscì ad arrivare a destinazione «Principessa?» Lilith occhieggiò la grande tenda circolare che era diventata l’alloggio momentaneo di Kougyoku dopo che lei e Judal, il giorno prima, erano piombati nella sua stanza distruggendola completamente «Principessa, sta ancora dormendo?» la bruna ponderò sul lasciarle il cibo e i vestiti all’entrata e andarsene via, già cominciava a rimpiangere di aver chiesto a quel quattr’occhi se poteva collaborare. Lei non sapeva fare quel genere di cose, non aveva fatto altro che rubare per tutta la sua vita, aveva imparato a prendersi cura di se stessa ma di certo non ad aiutare gli altri. Figuriamoci se sapeva come potersi rendere utile in un accampamento di guerra! Soprattutto se il suo compito era quello di stare appresso alla-
 
«Principessa!» quasi urlò questa volta «Le giuro che se non mi risponde le lascio tutto qui.» Aspettò. Silenzio più totale.
 
Con un sospiro esasperato poggiò il vassoio per terra e fece per andarsene ma un improvviso rumore all’interno della tenda la fece fermare. Delle piccole e pallide mani sbucarono da dietro il panno che faceva da entrata e lo scostarono, rivelando il viso imbronciato dell’ottava principessa di Kou. Se non era stata la voce di Lilith a svegliarla era comunque probabile che si fosse alzata pochi minuti prima: gli occhi ancora sonnolenti, i capelli scarmigliati e l’inequivocabile cipiglio infastidito la dicevano lunga.
 
«Dov’è Ka Koubun?» chiese e Lilith per poco non alzò gli occhi al cielo.
 
«Aveva delle cose da fare, quindi ha chiesto a me di aiutare con… questo.» disse, prendendo sottobraccio la sacca con i vestiti e raccogliendo il vassoio da terra, mostrandole il cibo «A dire la verità, mi ha chiesto di farlo per tutto il giorno.»
 
Kougyoku aggrottò le sopracciglia «Ka Koubun mi ha sempre servito, non vedo perché la cosa debba cambiare.» borbottò «Aspetterò lui.»
 
Questa volta la bruna non poté trattenere uno sbuffo «Principessa,» scandì lentamente, tentando di mantenere la calma «non è che il suo servitore è morto, posso capire che certe abitudini sono difficili da abbandonare ma è solo per oggi. Ka Koubun sembrava molto stanco e stressato quindi perché non cerchiamo di aiutarlo e facciamo le persone collaborative, eh?»
 
La principessa la fulminò con lo sguardo  ma dopo un attimo di esitazione –e il silenzio imbarazzante che ne conseguì- si schiarì la gola e raddrizzò la schiena, aprendo di più l’entrata della stanza «Appoggiali sul tavolo.» ordinò, cercando di riacquistare quel portamento che sapeva di aver perso poco prima.
 
«Sia ringraziato il cielo.» sospirò Lilith, varcando la soglia e dirigendosi verso il tavolino al centro della stanza. Appoggiò il vassoio e lanciò in malo modo i vestiti sul letto, poi si rivolse di nuovo alla ragazza che era rimasta immobile a guardarla «Bene, aspetterò qui fuori, mi dica quando  ha terminato.» la oltrepassò e senza fare troppi complimenti fece per uscire.
 
«…Tu non mi piaci.»
 
“Ah.” la bruna si bloccò “Ma non mi dire.” si girò lentamente, tentando di stamparsi in faccia uno sguardo amichevole e simulare un tono dispiaciuto «Davvero? Come mai?» purtroppo, era sicura che il suo viso non esprimesse altro che ostilità.
 
Kougyoku contrasse  la mascella e si sedette sul letto, volgendo lo sguardo in un punto indefinito della stanza. Afferrò un piccolo pettine e in modo fintamente distratto cominciò a lisciarsi i capelli, il broncio ancora ben visibile sul volto.
 
Lilith poté sentire chiaramente il crack di qualcosa che si rompeva nella sua testa, probabilmente la pazienza.
 
“Okay, tutto sotto controllo, inspirare e espirare.” questa volta non si sforzò di sorridere «Aspetterò fuori, quando ha finito me lo dica.»
 
E per l’ennesima volta in quella mattinata, fu costretta a bloccarsi «Judal ti ha… trovata?»  per un attimo non credé di aver sentito bene ma quando incrociò quei grandi occhi schivi non ebbe dubbi su quanto fosse seria la domanda.
 
«…Non ricordo di essere diventata un qualche animale da compagnia che ha bisogno di essere trovato.» disse acidamente, troppo orgogliosa per chiedere cosa intendesse veramente con quelle parole «Io e quell’idiota ci siamo incontrati per caso, stava camminando per il mio paesino e gli sono inciampata davanti.» a pensarci ora, sembravano essere passati secoli.
 
Con sua grande soddisfazione la principessa sembrò molto infastidita da come si era permessa di apostrofare il Magi, si poteva intuire dal piccolo spasmo che aveva preso il suo sopracciglio destro «Perché ti ha portata qui?»
 
Questa volta, toccò a Lilith ammutolire.
 
Non era sicura neanche lei di saperlo esattamente eppure, nonostante fosse difficile formulare una risposta, ciò che era successo le sembrava naturale. Non si era veramente chiesta perché, il giorno prima, quando si erano ritrovati davanti quel gruppo di briganti, senza un attimo di esitazione Judal si fosse diretto verso di lei e l’avesse afferrata per la vita stringendola a sé. Non si era certo fatta domande quando erano schizzati in alto nel cielo, lontano dalle sciabole e dalle frecce che tentavano di ferirli, dirigendosi velocemente lontano dal paesino. Non si era veramente domandata come mai il Magi le avesse salvato la vita.
 
«Uhm, vede, eravamo circondati e se non ci fossimo allontanati probabilmente sarebbe finita veramente male-»
 
«Ma perché qui?» ripeté Kougyoku con più veemenza «Di che utilità gli sei? In fondo, pensavo fossi solo una delle tante cose a cui Judal si interessa ma dopo poco tempo lascia perdere. Lui si annoia in fretta. Ti avrebbe potuto portare lontano dal paesino, in un luogo sicuro, ma condurti qui implica che vuole tenerti più a lungo di-»
 
Un forte rumore di oggetti infranti fece rinvenire la principessa dal suo stesso monologo, con il quale si era quasi distratta, non prestando veramente attenzione alla sua interlocutrice. Alzando gli occhi verso di lei la vide tenere una postura rigida, il piede con cui aveva calciato il suo vassoio ancora sollevato a mezz’aria, la mascella contratta in un’espressione furiosa.
 
Lilith abbassò lentamente la gamba «Ops.» la voce suonò monocorde «È caduto.» e non disse nient’altro, tenendo lo sguardo fisso sui cocci sparsi per terra e la zuppa che ora imbrattava il tappeto.
 
Dopo una manciata di secondi Kougyoku sembrò rinvenire dal suo stato di shock «Lilith-»
 
«Ooh, ora ti ricordi il mio nome?» la interruppe la bassa ragazzina, volgendo gli occhi seminascosti dalla frangia verso di lei; alla principessa parve di intravedere un guizzo di colore grigiastro, ma prima che potesse effettivamente appurare ciò che le era sembrato essere stata la sua immaginazione, la piccoletta le aveva voltato le spalle ridacchiando «È strano, avrei potuto giurare che fino a poco fa ti stavi rivolgendo a me proprio come fossi un oggetto!» continuò a ridere senza allegria, scostando l’entrata della tenda «Vado a prendere un altro vassoio.» e uscì.
 


Dopo aver portato alla principessa un terzo pasto (probabilmente ormai il cuoco stava meditando di cucinare lei per pranzo) e aver notato con soddisfazione come lo sguardo di quella avesse volontariamente evitato il suo, Lilith marciò per l’accampamento gongolando. Chi avrebbe mai detto che per metterla in riga bastava mandare in frantumi qualche piatto!  L’unica cosa che le faceva rabbia era di aver sprecato quel modo il cibo, buttare per terra delle cose commestibili ma soprattutto buone  non era esattamente il suo passatempo preferito, senza contare che aveva dovuto pulire lei stessa lo sporco, ma dopo le parole di quella stupida viziata non ci aveva visto più.
 
Mise la bacinella sul fuoco e aspettò che l’acqua al suo interno si scaldasse. Lanciò uno sguardo di sfida al mucchio di piatti accanto a sé; e dire che sembrava un piccolo accampamento, chi avrebbe mai potuto immaginare che i soldati mangiassero così tanto! Il cuoco le aveva detto di cominciare a lavare quelli e di star tranquilla che ne sarebbero arrivati altri (era un sorriso sadico quello che aveva visto dipingersi sul volto dell’uomo?).
 
«Tranquillissima!» sbottò a denti stretti, riversando tutto il suo fastidio su un povero bicchiere «Tanto non è che abbia altro da fare oggi.»
 
Una risata sguaiata, che poteva appartenere solamente a un qualcuno che conosceva bene, le fece tornare alla mente quanto la sua vita non fosse affatto facile.
 
«Se continui a sfregarlo così forte quel bicchiere si romperà.» la faccia di Judal entrò nel suo campo visivo a testa in giù e Lilith dovette nascondere un piccolo sogghigno, notando come il ragazzo stesse fluttuando nell’aria all’incontrario e il sangue stesse inevitabilmente affluendo sul suo viso, rendendolo paonazzo «Che stai facendo?» chiese lui, ricambiando lo sguardo divertito.
 
«Prova ad indovinare.» rimbeccò sarcastica, mostrandogli le posate buttate nella bacinella e lo straccio insaponato che brandiva a mo’ d’arma «E buongiorno anche a te.»
 
Il moro tornò dritto e si stiracchiò «Sarebbe stato un buongiorno se ti avessi ritrovata accanto a me addormentata. Sai quanto mi sarei divertito a svegliarti di soprassalto? Magari buttandoti giù dal letto!» le fluttuò accanto, lasciando che la sua treccia ondeggiasse al ritmo delle brezza mattutina e le andasse in faccia.
 
Lilith la scostò infastidita «Non ho dormito bene, avevo i brividi… deve essere stata la tua presenza.»
 
«E quindi per passare il tempo ti sei messa a fare la sguattera?»
 
Non lo degnò di uno sguardo, prendendo i piatti e immergendoli nell’acqua calda «Volevo fare qualcosa, tra le occhiatacce che mi rivolgono i soldati, la principessa e quel Ka Koubun… non so quale siano le peggiori.»
 
Judal si abbassò alla sua altezza, piegando un po’ la testa per guardarla in viso. Sorrise, vedendo il solito cipiglio infastidito campeggiarle sul volto «Ti guardano male? Non me ne ero accorto. Però posso capirlo, sono gelosi di tutte le attenzioni che ti rivolgo!»
 
«Più che altro credo che trovino la mia presenza alquanto inutile, quindi ho pensato di farmi furba: ho chiesto a Ka Koubun se potevo aiutare in qualcosa. E indovina un po’? Per oggi faccio la servetta a Kougyoku Ren.» con la pezza ancora in mano indicò teatralmente l'hanfu femminile buttato in malo modo accanto a lei «Devo anche lavarle i vestiti.»
 
Il Magi alzò un sopracciglio, divertito «Ma non mi dire, ti sei fregata da sola.»
 
La bruna abbassò le spalle, abbattuta. Non poteva certo dargli torto «Temo di sì.»
 
«Bene, è divertente vederti così afflitta, continua pure a intrattenermi.»
 
Judal schivò facilmente lo schizzo d’acqua che la ragazzina gli aveva indirizzato accompagnato da un sonoro ‘Idiota!’ e esibì un grande sbadiglio «Sai, ieri hai detto che i miei insulti sono ripetitivi ma neanche i tuoi scherzano. Prova a inventarti qualcosa di nuovo, stai diventando noiosa.»
 
«‘Stai diventando noiosa’.» lo scimmiottò lei, imitando la sua voce rauca «Cos’è, fai come ha detto la principessa sta mattina? Mi ha riferito che credeva io per te fossi nient’altro che una cosa di cui poi ti annoierai e che butterai via facilmente. Un passatempo insomma.»
 
Il sorriso di scherno non fece altro che allargarsi sul volto del moro e Lilith si chiese se ormai i suoi muscoli facciali si fossero bloccati in quell’espressione «Ha detto così?»
 
«Più o meno.»
 
«E tu cosa hai fatto?»
 
«Ho distrutto la sua colazione.»
 
Un altro scroscio di risate proruppe dal ragazzo e anche lei si ritrovò a sorridere, l’ilarità di Judal era in qualche modo contagiosa, di sicuro la distraeva da tutti i brutti pensieri che l’avevano assalita all’alba. Era in momenti come quelli che gli era davvero grata.
 
«È per questo» sussurrò lui, una volta calmatosi «che non potrò mai stufarmi di te.» in modo quasi distratto le passò una mano dietro la nuca e avvicinò nuovamente i loro visi.
Tutta la leggerezza di un attimo prima scomparve; la bruna sgranò impercettibilmente gli occhi e subito si irrigidì, trattenendo il respiro. Come un fulmine il suo sguardo guizzò sulle labbra del Magi, poi sui suoi occhi e poi altrove, cercando di concentrarsi su qualsiasi altra cosa che non fosse lui o le sue dita che avevano preso a massaggiarle il collo e intrecciarsi nei suoi capelli, facendole accapponare la pelle in una maniera per niente spiacevole. Sapeva che il ragazzo aveva notato la sua agitazione ed era già pronta a qualche battutina sarcastica, ma non arrivò nulla del genere.
 
«Lilith.» la voce di Judal la costrinse a rivolgersi di nuovo verso di lui e si sorprese a vedere quanto lo sguardo divertito del ragazzo fosse ora incerto, vacillante. Lentamente, il moro appoggiò la fronte a quella di lei, lasciando che le ciocche delle lunghe frange di entrambi gli solleticassero gli occhi, e parlò con una voce che non gli apparteneva, sembrava più calda «Domani mattina non andartene, va bene?»
 
La bruna deglutì e dopo un attimo di esitazione annuì leggermente. Non provò a parlare, temeva che la sua voce non sarebbe venuta fuori.  
Judal si schiarì la gola e si allontanò un poco, probabilmente con l’intenzione di lasciarla andare, ma all’ultimo momento sembrò ripensarci. Esitante, con il pollice andò ad accarezzarle uno zigomo e si sorprese a sentire quanto l’osso fosse appuntito sotto la carne; nonostante le guance di Lilith fossero così paffute, la pelle sul suo viso era comunque tirata ed emaciata.
 
«Hai mangiato sta mattina?» le chiese ancora a bassa voce mentre la sua mano scendeva percorrendo il disegno morbido della mascella.  
La bruna sembrò rinvenire dallo stato di trance in cui era caduta e sobbalzò, rendendosi improvvisamente conto della posizione in cui stavano e di cosa Judal stesse facendo. Con un'espressione di estremo imbarazzo cercò di allontanarsi dal ragazzo e guardarsi intorno, preoccupata che ci fosse qualcuno nei paraggi che li avesse visti; ma il moro non la lasciò andare e non si curò di scrutare i dintorni, completamente concentrato su di lei. Si ritrovò a fissare attentamente la sottile ruga che si era formata di nuovo tra le sue piccole sopracciglia, era quasi onnipresente, un segno inequivocabile che la piccoletta si sentiva a disagio. Decise che gli piaceva.
 
Quando Lilith capì che Judal non aveva alcuna intenzione di ridarle anche solo un poco del suo spazio vitale che stava occupando, scosse la testa in segno di diniego alla domanda che le era stata posta, più per distrarre lui e se stessa che per altro «Non…» dovette deglutire di nuovo «Non ho avuto tempo, sono andata da Kougyoku e il cuoc-»
 
«Devi mangiare.» ordinò lui e gli venne da sorridere quando uno sguardo combattivo si accese negli occhi chiari della ragazzina.
 
«Lo so, l’avrei fatto, non c’è bisogno che me tu me lo dica.»
 
«Davvero?» ribatté, prendendo una ciocca di capelli castani e spostandogliela dietro l’orecchio. Fermò le dita lì e lentamente accarezzò la pelle dell’incavo dietro il lobo, stuzzicandola. Entrambi si sorpresero quando Lilith non riuscì più a trattenere un piccolo sospiro di piacere; Judal sentì un brivido percorrergli la spina dorsale e lo stomaco gli si chiuse in una gradevole stretta che non fece altro che intensificarsi quando le guance di Lilith si infiammarono ma la ragazzina non si spostò di un millimetro, anzi, gli parve quasi che inclinasse impercettibilmente il capo verso la sua mano. Ma probabilmente fu solo la sua immaginazione.
 
«Se ti dà fastidio me lo puoi dire~» la punzecchiò malevolo.
 
«La tua esistenza mi dà fastidio.»
 
Il Magi ridacchiò «Ah, sì? Invece a me piaci.» ammirò di nuovo quel viso paffuto lanciargli uno sguardo sconcertato e confuso «Temo proprio che potrei abituarmi alla tua presenza, piccola e debole ragazzina.»
 
«È una minaccia?»
 
Negli occhi di Judal ci fu un guizzo, riconoscendo le stesse parole che si erano detti il primo giorno che si erano conosciuti «Oh no, è una promess-»
 
«C-c-c-cosa state facendo!»
 
Di colpo entrambi i giovani sembrarono tornare coscienti del mondo intorno a loro; si voltarono contemporaneamente verso l’acuta voce che li aveva interrotti e si ritrovarono davanti la principessa Kougyoku, la faccia quasi completamente nascosta dalle grandi maniche dell'hanfu che indossava –ma, da quel poco che si poteva vedere, era completamente paonazza.
 
«S-siete troppo vicini! F-fare queste cose in pubblico…»
 
Lilith impallidì «EH?! Cosa?! QUALI cose? Non stavamo facendo nien-»
 
«Eeeeeh non saprei, sei sicura piccola? E dire che pensavo ti facesse piacere la nostra vicinanza… Ah no, ho capito: ti vergogni! Ecco perché non vuoi far sapere a nessuno quello che abbiamo fatto nella mia stanza la scorsa not-»
 
«C-c-che avete fa-atto??!»
 
«Niente! Judal, ti giuro che se non chiudi quella bocca… E levami le mani di dosso!»
 
«Mi rifiut-» purtroppo, il rifiuto del moro non ebbe molto valore, dato che si ritrovò uno straccio pieno d’acqua e sapone in faccia.
 
I soldati dell’accampamento si chiesero tristemente come mai, con il Magi, ogni volta che si cominciava una discussione del genere si andava a finire in quel modo. Oppure l’accampamento veniva casualmente colpito da un fulmine.

 

I thought I kept you safe and sound, I thought I made you strong
But so
mething made me realize that I was wrong
            ...            
'Cause you don't know what you've got, until it's gone

—Linkin Park, Until It’s Gone
 


«Ti trovo bene.» non era riuscita a risparmiarsela, la battutina sarcastica. Fissò di nuovo in silenzio il corpo di Halima, disteso nello stesso identico punto in cui l’aveva lasciata. La sua espressione era impassibile, non si poteva dire fosse contrita o che stesse soffrendo ma neanche che fosse totalmente serena. Sembrava semplicemente priva di qualsiasi emozione, il viso di un cadavere. Solo il petto che ancora si alzava e si abbassava provava il contrario.
«Io sto abbastanza bene, ieri Judal mi ha raccontato tantissime cose.» era quasi snervante parlare in quel modo, senza nessuno che le rispondeva e probabilmente Halima non poteva neanche sentirla. Si disse che era ancora in tempo ad andarsene e troncare subito quella che sapeva già sarebbe stata una conversazione a senso unico. Si alzò.
 
E si risedette «Sono sicura che non riusciresti a crede alla metà delle cose che mi ha rivelato, fanno accapponare la pelle, lo sai che a questo mondo esistono delle persone chiamate Candidati Re? Praticamente sono coloro i quali riescono a conquistare i dungeon evocati dai Magi che, compreso Judal, sono solo tre al mondo. Sì, dungeon, come quello che abbiamo visto a Qishan due anni fa! Le persone che riescono ad uscirne ottengono oro e ricchezze e un potere strabiliante, dato loro dal Djinn, il guardiano del dungeon…» si grattò la nuca, odiando se stessa «Un po’ confusionario, eh? Non riesco a spiegarlo bene, ci sono così tante cose che ho scoperto e che vorrei dirti… aah, se non fosse stato Judal a raccontarmele, probabilmente non ci avrei mai creduto. Ma dopo tutto quello che ho visto sono pronta a prestare ascolto a qualsiasi cosa, pure la storia più assurda!» ad accogliere la sua euforia non ci fu altro che silenzio. La bruna deglutì.
«Lo sai che ora quell’idiota sta cercando di guarirsi una ferita? Sì, quella che si è fatto portandoci all’accampamento. Prima è sembrato che riuscisse a capire il nome di un incantesimo così l’ha sussurrato e la pelle, anche se solo per pochi secondi, ha cominciato a rigenerarsi; la carne si è compattata e lentamente è come se si stesse intrecciando in se stessa, ricostruendosi perfettamente. È stato qualcosa di incredibile… in senso positivo ovviamente. Poi però  si è fermato, è come se Judal avesse perso l’occasione, ha detto che i rukh erano diventati confusi.» le venne da sorridere al ricordo dell’espressione imbronciata che aveva assunto il Magi «E mi ha letteralmente mandata via dicendo che lo distraevo, quindi eccomi qui.»
 
Silenzio.
 
Non le rispose altro che uno spietato silenzio.
 
«E… ah! Non ti ho spiegato cosa sono i rukh!» la risata che le uscì suonò forzata perfino alle sue orecchie «Che stupida, parlo di una cosa dando per scontato che tu la conosca…»
 
Silenzio.
 
Lilith desiderava così tanto vedere dipingersi sul viso di Halima almeno un’espressione –per capire cosa stesse provando, per capire se riusciva a sentirla- che sarebbe stata felice anche di vedere una smorfia di dolore.
 
(Egoista, così egoista.)
 
«…Sai, questo sarebbe il momento giusto per svegliarsi.»
 
Niente.
 
«Ora ho davvero bisogno di te, è così difficile provare ad essere forte? Svegliati.»
 
In realtà, aveva sempre avuto bisogno di lei. Ma si sa, non ci si rende mai conto di quanto una cosa, una persona, sia importante finché non la si perde.
 
«Halima, ti prego.»
 
Eppure l’unica cosa che si mosse fu il petto della vecchia che continuava quasi crudelmente a respirare.
 
«Mamma, ti preg-»
 
La bruna si alzò di scatto «Io…» strinse i pugni e assottigliò così tanto gli occhi da non riuscire quasi a vedere niente intorno a sé «Io ti odio.» sputò quelle parole con una rabbia che non le apparteneva, d’un tratto il cuore batteva forte –troppo forte «Ti odio così tanto… ti ho sempre odiata.» era colpa sua, tutta colpa sua «Se non fosse stato per te io ora sarei altrove, forse sarei più felice, forse no, ma sono sicura che non mi starei a preoccupare della vita di una stupida e debole vecchia. Non vedi quello che mi hai fatto?! È colpa tua. Se sapevi di essere così fragile perché mai hai permesso che mi affezionassi a te?!» senza trovare un altro modo per sfogarsi batté i piedi per terra, poi con un ringhio si voltò verso i cerchi magici scavati nel terreno –quelli che tenevano in vita l’anziana signora- ed ebbe l’invitante tentazione di spazzarli via, di cancellarli. Ma si fermò.
 
Lentamente si voltò di nuovo verso il corpo disteso per terra; nessuna reazione, nessun cambiamento, sembrava non curarsi della sua sofferenza.
 
Sospirò profondamente e trascinando i piedi le si riavvicinò, le spalle un po’ più basse, lo sguardo un po’ più vuoto «Credo di aver sognato mamma, la scorsa notte.» fissò un punto nella penombra, era più facile che guardare Halima «O comunque mi è tornata in mente, non lo so. So solo che ad un certo punto non riuscivo più a respirare. In momenti del genere ci sei sempre stata tu, è stato strano affrontare quelle cose da sola, mi ha ricordato di quando non ci eravamo ancora conosciute; solitamente in situazioni come quella mi alzavo e mi mettevo a correre così veloce che ad un certo punto stramazzavo a terra per la stanchezza, ma oggi ho preferito andare a vedere l’alba e sguazzare un po’ nei ricordi.» contrasse la mascella, cominciando a pizzicarsi la gamba per il nervoso. Per qualche minuto regnò il silenzio.
 
«Ho raccontato a Judal del bambino con la fetta di melone.» dichiarò ad un tratto «A dir la verità gliel’ho raccontato il primo giorno che ci siamo conosciuti. Sono un’idiota, eh? Non so perché l’ho fatto. O forse sì. Forse ho capito che lui non mi avrebbe mai giudicata per una cosa del genere, che in un certo senso mi avrebbe accettata nonostante quello –anzi, credo di aver destato il suo interesse soprattutto per quello: insomma, appena gli ho detto che avevo ammazzato una persona il suo sguardo si è acceso come quello di un infante a cui si regalano le caramelle.» si ricordava ancora i suoi occhi cremisi sgranarsi e trapassarla da parte a parte, era stato quello il momento in cui aveva cominciato a guardarla in modo totalmente diverso «Il punto è che non credo di essermi pentita di quello che ho fatto. Sono… felice che lui sappia. Però so anche che è la sua vicinanza a farmi ricordare tutte queste memorie spiacevoli e questo non voglio che accada.» era ancora troppo codarda per affrontare i suoi demoni «Ma ormai… che posso fare? Lui stesso mi ha detto che non mi lascerà andare; mi sento come se mi stesse conducendo da qualche parte ma io fossi bendata, non ho idea di cosa succederà d’ora in poi e tu.» le lanciò di nuovo uno sguardo accusatore «Tu te ne dovevi andare proprio adesso.»
 
Restò in silenzio per un tempo che non seppe quantificare. Si sedette di nuovo e chiuse gli occhi. Tentò di armonizzare il suo respiro con quello lento e tranquillo di Halima, cercò liberare la mente da qualsiasi pensiero e fondersi con quella della vecchia, di sfiorarla, di trasmettere tutto quello che non era riuscita a dire a parole. C’era troppo. Troppo da dire e da non dire, era un groviglio di pensieri che era sicura Halima sarebbe riuscita a sbrogliare facilmente se solo si fosse svegliata. Ma non importava quanto lo desiderasse ardentemente, quel giorno la voce della vecchia non sarebbe risuonata intorno a lei e i suoi occhi non l’avrebbero guardata con quel misto di affetto e pazienza che solo lei riusciva mostrare.
 
Si alzò sospirando pesantemente e le rivolse un ultimo sguardo «Non fare troppo sforzi e riposati, mi raccomando.» riuscì a cavarsela con un piccolo sorrisetto sardonico prima di uscire e venire accecata dalla luce di un sole maledettamente splendente.
 
«Fa caldo.»
 
Suo malgrado, era abbastanza sicura che quelle visite ad Halima sarebbero diventate routine; aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, aveva bisogno di esprimere ciò che provava anche se quel qualcuno non la riuscisse a sentire. Era un modo per espellere tutto il veleno che accumulava di giorno in giorno e forse anche per chiarirsi un po’ le idee.
 
«Troppo caldo.»
 
Si stiracchiò pigramente, schermandosi gli occhi dalla luce accecante.
 
Voleva vedere Judal.
 
«Li~li~» e sembrava proprio che i due giovani fossero telepatici «th~!» appena la bruna si voltò in direzione della voce del Magi le piombò addosso qualcosa di ruvido e pesante che le fece perdere l’equilibrio.
 
«Ma che-» Lilith fece giusto in tempo a sgusciare fuori dal pesante tappeto che Judal senza troppi complimenti le aveva lanciato che si ritrovò la faccia di quest’ultimo a un palmo dal naso.
 
«Andiamo!»
 
«Andiamo?»
 
«Sì!»
 
«E dove?»
 
Judal le prese la mano e la tirò su, afferrando poi il tappeto e lanciandolo in aria; quello si distese docilmente, cominciando a fluttuare come se fosse fatto del materiale più leggero del mondo «Al tuo paesino, ovviamente.»
 
La ragazzina dovette far passare un paio di secondi prima di comprendere appieno ciò che le era appena stato detto «Cosa?!»
 
«Sì, sono appena riuscito a far rimarginare la mia ferita- beh, più o meno. In realtà è rimasta ancora una profonda cicatrice ma di quello mi occuperò dopo. Sta di fatto che riesco a camminare e i vecchi mi hanno dato il permesso di portarti un po’ in giro!» il Magi balzò sul tappeto e lo fece abbassare ancora, per far sì che anche Lilith riuscisse a salire.
 
«Aspetta, perché dovremmo tornarci? Ci saranno ancora i briganti e inoltre oggi devo stare con la principessa-»
 
«Sono sicuro che Kougyoku riuscirà a cavarsela da sola per un po’. E poi dopo aver fatto quella scenata quando ci ha visti si è rinchiusa in camera dicendo che non mi vuole più vedere.» fece spallucce, sventolando la mano «Si è offesa. Le passerà quando vedrà in che modo impeccabile le hai lavato i vestiti.» le rivolse un sorriso angelico, piegandosi verso di lei «E poi ho lasciato al paesino il tuo puzzle.»
 
La bruna non recepì subito la notizia, troppo intenta a pensare all'hanfu della principessa e quanto fosse stato effettivamente difficile lavarlo. Quando finalmente comprese le ultime parole del moro sbatté gli occhi un paio di volte. Poi ancora. Poi spalancò la bocca «Che cosa?!»
 
«Ecco, lo sapevo che ti saresti arrabbiata. Non l’ho fatto apposta, probabilmente mi è caduto mentre stavamo cercando di salvare la tua vecchia e-»
 
«Non sono arrabbiata!» lo interruppe lei, arrampicandosi velocemente sul tappeto volante «Pensavo di averlo perso quella notte quando ci siamo ubriacati, non credevo che- perché non me l’hai detto prima? Ah che bello, allora dobbiamo andarci subito, vai vai!»
 
Judal le rivolse un mezzo sorriso «Cos’è tutta questa euforia? Non avrei mai pensato fossi capace di sprizzare così tanta positività.»
 
In risposta ricevette un’occhiataccia «Non è positività, è solo sollievo che una cosa a cui tengo non sia andata perduta. E quella era una battuta? Mi complimento sei così simpatico.»
 
«Ehi, modera i termini piccola che qui siamo sul mio tappeto e, come dire, potrei accidentalmente fare questo.» la bruna non ebbe neanche tempo di registrare il veloce movimento del polso del moro che un attimo dopo stavano salendo verso le nuvole a una velocità impressionante. Quasi non udì il suo stesso urlo mentre perdeva l’equilibrio e cadeva dal bordo del tappeto, per poi essere afferrata all’ultimo momento dal ragazzo, che la tirò a sé e la intrappolò in una morsa ferrea; sentì il freddo metallo dei bracciali del moro contro la pelle della sua schiena in parte scoperta, e involontariamente tentò di allontanarsene stringendosi di più a lui.
 
«Ooh, oltre che più felice sei diventata anche più intraprendete!»
 
«Z-z-zitto! Rallenta!! Non fare mai più una cosa del-»
 
«Fare cosa? Questo?» e il tappeto cominciò a precipitare verso le cime di alcuni alberi per poi sterzare all’ultimo momento e tornare in aria, dirigendosi velocemente lontano dall’accampamento.
 
«Judal!» Lilith era completamente terrorizzata e non le importava più quanto stesse stritolando il Magi «Appena scendiamo, ti giuro che-» un altro cambio di movimento del tappeto la interruppe.
 
Boccheggiando, affondò il viso nel petto del ragazzo e serrò forte gli occhi. Prese un gran respiro e l’odore di Judal la avvolse, riempiendole i sensi e lasciandola senza fiato «… ti ammazzo.» quelle ultime parole vennero portate via dal vento.
 

I can't exactly describe how I feel but it's not quite right. And it leaves me cold.
 
— F. Scott Fitzgerald, “The Love of the Last Tycoon”
 

«Sto per vomitare.»
 
«Se anche solo per sbaglio mi imbratti il tappeto questa volta ti faccio cadere sul serio.»
 
«Co- se tu fin dall’inizio non avessi fatto quelle stupide acrobazie di sicuro non starei così male ora!»
 
«Shh! Ci siamo!» c’era una strana eccitazione negli occhi di Judal ma Lilith non se ne curò più di tanto, era troppo presa a tenergli il broncio e a preoccuparsi del suo stomaco per far davvero caso al suo atteggiamento.
 
Una volta raggiunto il boschetto che delimitava i confini della città, entrambi i giovani avevano concordato che fosse meglio volare bassi e nascondersi alla vista, così da non destare troppo l’attenzione e creare inutili scompigli; dovevano solo entrare, trovare il puzzle e andarsene. Beh, questo l’aveva detto Lilith. Judal si era limitato a borbottare qualcosa di incomprensibile, ma a parte quello era stato sorprendentemente accomodante con l’idea della ragazzina di mantenere un basso profilo.
 
Superarono facilmente le mura della città e Lilith non se ne sorprese più di tanto; era solo la dimostrazione di quanto i briganti si sentissero tranquilli. Quello che avevano conquistato era un piccolo paesino dove i mercanti si incontravano per scambiare e vendere la merce, nonostante avesse una terra molto prolifica il livello di popolazione era molto basso dato che aveva una posizione svantaggiata per quanto riguardava il passaggio delle grandi carovane, in più era situato troppo a nord: con l’avvento dei grandi imperi nelle varie epoche quel territorio era sempre stato a rischio di invasioni dei popoli stranieri –difatti l’impero Kou non aveva esitato a prenderlo sotto il proprio comando. Di certo gli abitanti non erano stati capaci di opporre resistenza a una banda di predoni così agguerriti e quest’ultimi già sapevano che Kou non li avrebbe contrastati.
 
«Probabilmente,» osservò Judal con tono annoiato, distendendosi supino sul tappeto e intrecciando le mani dietro la testa «la maggior parte di loro ora è nello stradone principale a festeggiare, non ci saranno problemi a raggiungere la tua bottega.»
 
Lilith annuì distrattamente. Era seduta a gambe incrociate, così da poter permettere al suo sguardo di setacciare i dintorni e notò con uno strano peso sul petto che tutto era stato completamente raso al suolo. C’erano macerie annerite dal fuoco, ciarpame sparso lungo gli argini delle vie e rade e sottili volute di fumo –solo un ricordo dell’incendio che c’era stato- si innalzavano nel cielo per essere prontamente spazzate via dalla brezza leggera che soffiava in quel giorno soleggiato.
Non avevano visto molti morti, probabilmente perché, come le aveva spiegato Judal, la maggior parte delle persone era stata spinta nel centro e lì uccisa. Poco e niente era rimasto integro nel luogo che aveva chiamato casa per più un anno.
 
Lilith non sapeva esattamente cosa provare.
 
Il giorno prima, dopo essersi separata da Alibaba, vedendo il fuoco divampare tra le abitazioni era stata presa dal terrore che fosse successo qualcosa a Halima e non le era davvero importato degli abitanti o del paese in sé. Ma ora che poteva davvero vedere era diverso. Si accorse che la sua vita era stata distrutta proprio come quelle strade così familiari che di giorno in giorno aveva percorso; lo stato della città era un’ulteriore prova del fatto che nulla sarebbe tornato più come prima.
 
Lilith non aveva davvero idea di come si sarebbe dovuta sentire in quel momento.
 
Intravide un altro corpo disteso tra le macerie e riconobbe Abhay, l’ammaestratore di serpenti, e poco lontano c’erano altri quattro cadaveri e uno di essi stringeva ancora un pugnale, sporco del sangue del serpente a due teste che gli giaceva accanto. Quei quattro dovevano essere stati dei briganti, probabilmente Pamela dopo che il suo padrone era stato ucciso aveva combattuto con tutte le forze tentando di ammazzarne quanti più poteva, ma sembrava che alla fine gli uomini avessero avuto la meglio.
 
La bruna sospirò, scacciando dalla mente i ricordi che l’avevano assalita.
 
Judal seguì lo sguardo di Lilith fino a intravedere anche lui il serpente rosso, proprio mentre lo superavano con il tappeto. Non riuscì a trattenere un ghigno divertito «Diventiamo malinconici, eh?»
 
«No, mi è solo tornato in mente quando circa due settimane fa ho fatto scappare quei ladri che avevano aggredito me e Halima lanciandogli addosso i serpenti di Abhay, il giorno in cui ci siamo conosciuti.» rispose la ragazza, in tono piatto.
 
«Bugiarda.»
 
Pronta a ribattere con la rabbia che già le bolliva nello stomaco, si voltò verso di lui ma tacque quando vide il suo sguardo canzonatorio «…Cosa vuoi che ti dica? Che mi dispiace per uno stupido omino e il suo animaletto da compagnia?» disse a denti stretti, distogliendo lo sguardo. Era in momenti del genere, quando il ragazzo la guardava in quel modo –come se fosse sicuro di sapere cosa stesse pensando, come se la capisse più di quanto lei stessa non riuscisse a capirsi- era in quei momenti che Lilith provava una sorta di ripugnanza mista ad attrazione nei suoi confronti, lei stessa non riusciva a spiegarselo. Sapeva solo di non volere che quel ragazzo tanto potente le leggesse dentro ma al contempo ammirava quella sua capacità innata.
 
Cosa vedeva Judal in lei?
 
Forse era questo ciò che voleva sapere.
 
Dal canto suo, il Magi si limitò a ridacchiare e avvicinarsi «No…» quando Lilith si ritrasse, le mise due dita sotto il mento costringendola a guardarlo «Voglio che tu faccia uscir fuori la rabbia che tenti in continuazione di tenere a bada.»
 
«Che stai dicendo?»
 
«Perché?» chiese, ignorando la sua domanda «Perché continui a fuggire da te stessa? Tenti sempre di sopprimere quel qualcosa che c’è in te, soffocandolo, facendo finta che non esista e io muoio dalla voglia di sapere che cos’è.» nei suoi occhi ci fu un guizzo quando la bruna tentò di nuovo di allontanarsi.
 
«Non c’è niente dentro di me, smettila.»
 
«Allora dimostralo.» sbottò lui, di colpo infastidito «Dì che sei infuriata e che vuoi vendetta e che vuoi che quelli soffrano. Hanno distrutto il posto in cui vivevi, ucciso le persone che conoscevi, per poco anche la tua Halima. Dillo.»
 
«Ti ho detto di smetterla!» con tutta la forza che riuscì a raccogliere spinse via la sua mano e poi si alzò in piedi, fronteggiandolo «Anche se lo dicessi non cambierebbe niente. E io non sono te, io non… mi faccio consumare dalle emozioni che non riesco a controllare.» la sua voce divenne sempre più flebile ma Judal fu comunque capace di udirla.
 
Un silenzio carico di tensione aleggiò tra i due mentre si valutavano a vicenda, indecisi se cominciare ufficialmente la prima litigata della giornata o lasciar perdere. Poi, il Magi disse l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto dire «Lo farò io per te.»
 
«Co-»
 
«Dimmi che li vuoi morti e io li ammazzerò per te.»
 
La ragazza lo guardò con gli occhi sgranati, incapace di razionalizzare le sue parole «Judal che stai dicendo?» e poi, come dal nulla, venne travolta dalla verità «…Tu mi hai portato qui per questo. Fin dall’inizio, non volevi altro che succedesse questo
 
Il Magi sbuffò, alzandosi anche lui e guardandola dall’alto in basso «Ha davvero importanza?»
 
«Non lo stai negando. Cazzo, non posso crederci! Sei assurdo sei…» la ragazza si mise una mano sulla fronte e gli diede le spalle, non riuscendo a trovare le parole «Cosa vuoi eh? Che io ti dia la mia benedizione? Certo, vai a sterminare degli uomini, sono assolutamente d’accordo che tu ti sporchi le mani del loro sangue. Sai una cosa? Ne ho abbastanza, fammi scendere da qui. Non ho intenzione di far parte di quest’insensata-»
 
Non riuscì a finire la frase che le mani del moro la afferrarono, voltandola verso di sé, una nuova rabbia gli deformava i viso «Ti hanno quasi uccisa!» urlò a denti stretti «Ci hanno quasi uccisi. Hai mai pensato al fatto che quella freccia anziché trapassarmi la gamba avrebbe potuto colpire la tua vecchia? O te stessa? Hai pensato a quanti bambini sono morti ieri-»
 
«A te non te frega niente dei bambini o delle donne o di chiunque altro sia morto in questo posto!» urlò lei a sua volta, tentando di sovrastare la voce del moro «Non ti è mai importato niente quindi non fare l’ipocrita, non far finta di volerti vendicare su quelle persone per una giusta causa!!»
 
«Non lo sto dicendo per me!» sembrava quasi una gara a chi urlava più forte e nessuno dei due si curò di niente, neanche quando cominciarono ad essere udibili degli scalpiccii di zoccoli «Io lo sto dicendo per te, perché voglio che tu riconosca che se ci pensi anche tu vuoi che quella gente la paghi. Non ti sei vista ieri, non hai visto la tua espressione quando ci hanno circondati, ma io sì: quando hai capito che era tutta colpa loro, quando hai realizzato quanto la tua vita e la vita della tua vecchia fossero in pericolo eri pronta a combattere. Se non ti avessi afferrata e portata lontano, ti saresti scagliata contro di loro per ucciderli e forse te l’avrei dovuto lasciar fare, così ora non staremo a discutere di una cosa così stupida-»
 
«Stiamo discutendo della vita di esseri umani!»
 
«Deboli e insignificanti! Esseri umani che hanno derubato, ucciso e stuprato altre persone.»
 
«A te non frega un cazzo di quello che hanno fatto! Non farebbe differenza anche se fosse della brava gente. Sembra che tu voglia solo… solo uccidere per il semplice gusto di farlo e per favore dimmi che non è così!»
 
«È incredibile che proprio tu mi chieda una cosa del genere, pensavo che sapessi che è così che funziona il mondo, che la gente si uccide a vicenda-»
 
«Io ho visto persone uccidersi a vicenda, Judal! Io stessa quando avevo sette anni ho ammazzato un altro bambino ma era per sopravvivere! Non perché portavo rancore e sicuramente non per divertirmi!»
 
«Loro meritano di morire.»
 
«Perché? Perché ti hanno conficcato una freccia nella coscia?» la ragazza non riuscì a nascondere il tono derisorio, non poteva credere di star discutendo di quelle cose con lui. Quante persone aveva ucciso per arrivare a pensarla così? Chi gli aveva insegnato roba del genere? Dov’erano i suoi genitori? D’un tratto, si accorse di quanto poco sapesse del ragazzo che aveva di fronte; di quanto in realtà entrambi non fossero altro che degli estranei che si conoscevano da poco più di una decina di giorni e che avevano soltanto... condiviso del tempo assieme.
 
“Io non conosco questa persona.” e, nonostante tutto, nonostante quello che si stavano dicendo, venne travolta dal desiderio di conoscerlo. Non voleva che lui le raccontasse dei rukh o dei dungeon o della magia, no, voleva che le parlasse della sua infanzia, dei suoi amici, delle cose che gli piaceva fare e dei suoi piatti preferiti. Voleva sapere chi fosse davvero il Sacerdote dell’Impero Kou. Perché ormai non era più solo un qualcuno di importante venuto a creare un indesiderato caos nella sua vita, non era un'ombra verso la quale Lilith, in condizioni diverse, non si sarebbe mai neppure voltata; era Judal.
 
Notando che il ragazzo non sembrava intenzionato a risponderle prese un gran respiro, tentando di ricominciare a ragionare a mente lucida «Judal… torniamo indietro.» sussurrò, abbassando le spalle «Torniamo indietro e dimentichiamo tutto ques-»
 
«Tu non decidi proprio niente.» sibilò in risposta lui. Il suo tono somigliò così tanto a quello che aveva usato il giorno prima con i maghi di Al Sarmen che la bruna non poté non rabbrividire; d’un tratto lo sguardo che le rivolgeva era distante. «Mi sono stufato.» dichiarò quindi, facendo scendere il tappeto fino a farlo adagiare a terra, ignorando completamente lo sguardo sconcertato della ragazzina «Suppongo che fosse inevitabile. È un peccato, credevo che saresti durata un po’ di più ma a quanto pare mi sbagliavo. Scendi e vattene, non ti voglio più vedere, non ho alcun interesse a occuparmi di cose noiose, per quando mi riguarda puoi anche crepare.»
 
La spinse, costringendola ad indietreggiare e prima che uno dei due riuscisse a dire qualsiasi altra cosa un pugnale fischiò in mezzo a loro, nell’esatto punto dove un attimo prima di trovava la testa di Lilith. La ragazza fece appena in tempo a vedere l’espressione di Judal mutare da disinteressata a inorridita che una dozzina di frecce piombò su di loro.
 
D’istinto serrò gli occhi e quando li riaprì la prima cosa che notò fu il braccio del Magi attorno al suo viso, la mano che le stringeva i capelli e la teneva vicina a sé. Poi vide qualcosa che assomigliava a un velo dorato. Alzando lo sguardo, si accorse di come questo li circondasse completamente e come avesse bloccato le frecce che erano state scoccate nella loro direzione. La parola “borg” le affiorò sulle labbra ma non ebbe il tempo di dire nulla. Sentì il petto di Judal tremare sotto la forza di quello che avrebbe ben potuto essere un ringhio. Il giovane la spinse dietro di sé.
 
Grossi uomini tarchiati, chi a cavallo, chi con i pantaloni allacciati male, chi con il turbante storto, chi con una bottiglia di vino in mano, li fissavano minacciosi. Probabilmente erano così scombinati perché fino a un momento prima stavano festeggiando con viveri e vivande, d'altronde la città era stata conquistata, era anche comprensibile che si trovassero in una situazione del genere.
 
Lilith  però non abbassò la guardia, notando come la maggior parte di loro avesse ancora legati ai fianchi pugnali e scimitarre e che alcuni erano già intenti ad estrarli.
 
Judal invece esternava un senso di calma che cozzava molto con l’espressione che aveva indossato fino a un attimo prima «Sembra che alla fine mi potrò divertire un po’.» il tono di voce era leggero, ma i suoi occhi rimasero gelidi. Come aveva fatto a non accorgersi di loro? Era davvero così distratto che semplicemente non li aveva sentiti arrivare? Non poteva permettersi errori simili, non quando Lilith era con lui.
 
«Bene bene.» fra i briganti si fece spazio un omone a torso nudo con una grande sciabola in spalla e una cicatrice lungo la mandibola «Cosa abbiamo qui?» quando ghignò si riuscirono a scorgere un paio di denti fatti d’oro.
 
Judal lo squadrò da capo a piedi poi alzò gli occhi al cielo e si esibì in un lungo, teatrale, sospiro sconsolato «Eeeh, fammi indovinare, sei il capo di questi idioti.» scosse la testa «Ci mancava solo una benda sull’occhio o una luuunga barba ed eri la perfezione della banalità!»
 
L’uomo lo guardò con un’espressione ebete stampata in faccia. Se fossero stati in un’altra situazione probabilmente Lilith avrebbe sghignazzato ma in quel momento non era affatto divertita. «Judal.» chiamò il ragazzo, il suo tono sembrava un ammonimento ma neanche lei era sicura cosa volesse dire.
 
Lui non si girò neanche «Stai zitta, non rovinare l’atmosfera.» sibilò, estraendo la sua stecca di metallo «A questi qui ci penso io.»
 
«Questo vuole giocare con noi, capo!» sghignazzò uno degli uomini.
 
«Lo vedo.» disse il tizio con la cicatrice, un nuovo sorriso tronfio gli si dipinse sul viso «Come mai questi due sono ancora vivi? Credevo ci fossimo occupati di tutti gli abitanti.»
 
«Non lo sappiamo.» sputò in risposta il subordinato, giocherellando con alcuni pugnali «Li abbiamo visti a litigare, come se era la cosa più naturale da fare nel nostro villaggio! Quindi ho pensato di ficcare un coltello nella testa della ragazzina ma l’ha evitato.» sghignazzò, facendo roteare in aria le sue piccole armi e se Lilith non fosse stata intenta a guardarsi intorno per cercare una qualsiasi via di fuga probabilmente avrebbe storto il naso di fronte a così tanti errori lessicali.
 
«Il ragazzo sembra strano, capo.» continuò un altro avvicinandosi cautamente «Ha bloccato tutte le nostre frecce con un qualcosa che somigliava a una barriera.»
 
«Io me li ricordo!» urlò un quarto uomo, incoccando una freccia e puntandola verso di loro «Li abbiamo visti ieri pomeriggio, erano quelli che sono scappati via volando, saranno dei maghi da quattro soldi o roba simile... però strano, ero sicuro di essere riuscito a colpire il ragazzo in una gamba… perché siete tornati? Volete morire?!»
 
Dopo quelle ultime parole Lilith era completamente sbigottita. Nonostante non volesse volgersi verso Judal, temendo quello che avrebbe potuto vedere, non riuscì a impedire ai suoi occhi di guardare di nuovo il giovane. Trasalì. Un ghigno spietato stava deformando i bei tratti del suo volto; di fronte a quell’espressione tutti gli scontri che c’erano stati tra loro le sembrarono sciocchi e innocui bisticci. Perché in quel momento il Magi era veramente, irrimediabilmente, furioso.
 
«Judal, ti prego.» era la prima volta che si ritrovava a implorarlo, dopo sua madre aveva promesso che non l’avrebbe più fatto eppure le sembrò la cosa più naturale del mondo. Doveva fermarlo. Doveva fare qualcosa. «Non lo sto dicendo per loro ma per te, ti prego, non-»
 
«Sta’ zitta.»
 
«Tu-»
 
Vennero interrotti da una risata di scherno «Bisticci tra innamorati? Perfino in questa situazione? Avrei pensato a un bel bacio d’addio ma a quanto pare non avete ancora ben capito cosa vi succederà.» il capo dei briganti si avvicinò pericolosamente e puntò la sua sciabola contro il viso di Judal, a un soffio dai suoi occhi  «Accertatevi di non ucciderlo -comandò agli uomini- voglio che veda mentre ci prendiamo la sua ragazza e…» sorrise, lasciando in sospeso la frase, leccandosi le labbra «Spero non si rompa, piccola com’è.»
 
Un altro scroscio di risate proruppe tutt’intorno a loro, Lilith credette di vedere sempre più uomini spuntare da ogni dove e, per assurdo, solo in quel momento cominciò ad avere davvero paura. D’istinto afferrò la mano del Magi e la strinse come una muta ricerca di conforto, il cuore prese a battere così forte che quasi non le permise di sentire la voce di Judal. Straordinariamente, inevitabilmente e crudelmente calma.
 
«Alf ramz.*» anche lui le strinse la mano in risposta.
 
“No…”
 
Per un attimo l’aria divenne carica di elettricità, si poterono perfino sentire delle scintille crepitare intorno a loro. Poi piombò il silenzio. I banditi si guardarono l’un l’altro, allarmati, ma non successe più niente.
 
Il capo si rivolse verso Judal «E quello cos’era?» ridacchiò malevolo «Una magia venuta male? Abbiamo già ucciso altri maghi come te, non credere di poter-» non riuscì neanche a finire di parlare, Judal puntò il dito verso l’uomo che stava ancora lanciando in aria i suoi pugnali e da quello, come niente, si sprigionò un lampo di luce insieme a un’esplosione.
 
Il corpo carbonizzato stramazzò al suolo.
 
E il Magi decaduto cominciò a ridere come un bambino.



.
.
.
.


*Alf Ramz è un incantesimo di mia invenzione, non si trova assolutamente nell'anime o nel manga di Magi, letteralmente dovrebbe significare "mille simboli".
Alf --> "mille", infatti 
Alf Laylah wa Laylah sono "Le mille e una notte".

Ramz --> è un incantesimo usato da Judal nel manga per evocare i fulmini. Facendo qualche ricerca ho trovato che probabilmente è una parola araba che porta il significato di "codice" o "simbolo" ma non conoscendo la lingua non sono sicura, se ho sbagliato sentitevi liberi di correggermi!


( ͡° ͜ʖ ͡°) Ehi ehi.
Che comparsa inaspettata, eh? Vi ho sorpresi? Credevate me ne fossi andata una volta per tutte? Spiacente sono ancora qui, attaccata con le unghie e con i denti a questa storia. 
È stato sta mattina il momento in cui mi sono decisa che dovevo assolutamente revisionare una volta per tutte il capitolo e postarlo; l'ispirazione è arrivata dalla grande notizia che i Breaking Benjamin (band immeritatamente poco conosciuta) giusto un mese fa hanno pubblicato un nuovo album. Dopo sei anni. E io me ne sono accorta solo questa mattina.  Per la cronaca, secondo me alcune delle loro canzoni  rispecchiano in maniera impressionante Judal e di conseguenza le ascolto spesso per ispirarmi 
— difatti l'unica cosa che mi ha impedito di mettere come introduzione alla fic un estratto di un loro testo è stato il fatto che ho trovato una citazione di Richard B. Riddick (sì, il personaggio di un videogioco di cui io non sapevo neanche l'esistenza) di cui mi sono assolutamente e irrimediabilmente innamorata. 


Ultima cosa: spesso e volentieri mi metto a rileggere i vecchi capitoli della fic e inorridisco per una cosa o per l'altra, quindi sto (di nuovo) revisionando un pochettino tutto quanto e ho già apportato qualche piccola modifica qua e là (non perché voi dobbiate andare a rileggere tutto, solo volevo farlo sapere se mai notaste qualcosa di diverso ^^")
Ultimissima cosa: a periodi, nella pagina del mio account di EFP posterò aggiornamenti nei quali dirò a che punto è il prossimo capitolo, se sono in pausa, o se sto revisionando ancora una volta i capitoli precenti, quindi se siete interessati potete darci un'occhiata c:

Spero vi piaccia questo capitolo, io mi sono divertita molto a scriverlo, soprattutto la parte finale.

Da brava sbadata quale sono, ho scordato di ringraziare in modo speciale Halloween_ per avermi prestato il suo prezioso aiuto con una parte di questo capitolo e, in generale, di essere sempre pronta a supportarmi \(^^)/ probabilmente non smetterò di romperti le scatole cara.
Anywho! Grazie a chi legge ma sopratutto a chi recensisce! Vi voglio bene.

 

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Capitolo 11
*** Il mondo è terribile ma le persone lo sono ancor di più ***




Cancel your destiny


11. Il mondo è terribile ma le persone lo sono ancor di più



The greatest quintessence of a broken man isn’t so much that he himself is broken — it’s when everything else is breaking all around him, and all he could do is watch.

—N.T.
 



«Tesoro mio, l’hai mai vista una tempesta? No?» una fresca risata risuonò armoniosa in quello spazio oscuro «Io l’ho vista, una volta. Tuo padre mi aveva portato in una terra lontana, un luogo così differente da questo che neanche la più fervida mente potrebbe mai immaginare. Era come un deserto, eppure al posto della sabbia un terriccio umido e nutriente permetteva a piante, erbette e alberi enormi con foglie più grandi delle tue mani di campeggiare alti nel cielo –sì, proprio come un’enorme e infinita oasi! Tuo padre mi portò lì e dopo due giorni arrivò quel temporale; l’acqua scendeva dalle nuvole ininterrottamente in piccole ma potenti gocce e tutto sembrava gioire e muoversi a ritmo del violento vento che soffiava su di noi. Un forte odore di terra, acqua e vita mi avvolgeva, perfino il cielo urlava la sua euforia.» ricordi passati sembrarono distendersi davanti ai suoi occhi, riemersero dentro di lei e si cibarono di lei «Fu la cosa più bella e più spaventosa che io avessi mai visto, annientò tutto: si alzò un uragano così forte che gli alberi si sradicarono, intere case vennero distrutte e tante persone persero la vita. E in quel momento, in quel preciso istante, seppi che quel luogo era casa.» delle mani le circondarono la testa e cominciarono ad accarezzarle il capo, gentili «Io, io potevo sopravvivere alla tempesta –potevo sopravvivere nella tempesta. Capii che essa mi avrebbe accolto e sarebbe arrivata a ferirmi, straziarmi, ma mai spezzarmi. No, mi avrebbe temprata, avrebbe forgiato una nuova me e così mi sarei potuta librare nell’eternità e finalmente, finalmente avrei potuto vivere. Con tuo padre.» le unghie le artigliarono i capelli e cominciarono a farle male «Le altre persone non potevano certo sfuggirle. Erano troppo deboli, difettose, non riuscivano a capire la sua bellezza ed è per questo che furono uccise. Invece tuo padre non era come loro, lui mi comprendeva, sapeva ciò che provavo. Glielo leggevo nei suoi occhi e nel suo sorriso. Era la promessa di una vita meravigliosa.» improvvisamente avvertì il freddo pavimento sotto i palmi delle mani e le dita che ancora le stringevano i capelli le fecero sbattere più e più volte la fronte contro la dura pietra. Si chiese se ciò che le colava sulle guance fossero rivoli di sangue o lacrime.

«E tu hai rovinato tutto.»
 



Lilith fu capace di dire che quello fosse il cadavere del brigante solamente perché un attimo prima aveva visto il bandito lì in piedi, se non l’avesse fatto probabilmente non sarebbe stata in grado di riconoscere quella... cosa carbonizzata come un corpo.

Il silenzio che calò su tutti i presenti durò solo un istante ma le pesò sulle spalle più di quanto lei stessa avrebbe mai potuto immaginare. Terribile, così dolorosamente terribile. Quella quiete stava urlando una sentenza di morte.

«Cosa…?»

«Che cazzo è successo?!»

«Cos’è quel-»

Ovattate udì le voci dei briganti, come se fossero lontane, un effimero eco che ben presto sarebbe svanito senza lasciare altro che quella offuscata apatia nella quale la sua mente era caduta.

«Uno.» Judal invece sembrava perfettamente presente, non esitò neanche per un momento: puntò nuovamente il dito contro un secondo uomo e un altro lampo di luce si sprigionò dal corpo di quello. Per qualche istante la sua carcassa carbonizzata ondeggiò in modo buffo, per poi cadere con un tonfo sordo a terra «Due.»

“Una tempesta…”

Un inferno di grida e fragore sembrò far tremare perfino il cielo quando i briganti capirono veramente cosa stava succedendo; sembrarono realizzarlo tutti nello stesso istante, trasformando ciò che prima era quiete in un coro assordante di terrore.

«In ognuno di voi,» la voce di Judal sovrastò il panico che si era creato «c’è una scarica elettrica pari a un fulmine, mi basta decidere quando farla esplodere e il vostro corpo diventerà un fuoco d’artificio!!» cominciò ad indicare velocemente più uomini che poteva e la risata che gli era nata nel petto non fece altro che ingigantirsi. Di più, di più e ancora di più, un susseguirsi di esplosioni eruppe tutt'attorno a loro e non serviva a niente scappare, nascondersi, urlare implorando pietà; l’implacabile voce del Magi continuava di riecheggiare su ogni cosa, senza fermarsi, senza indugiare, contando in modo quasi fiero quanti piccoli omini riusciva a buttar giù.

Tre, quattro, cinque, sei, sette, otto nove, dieci, undici…

Lilith fissava la scena con occhi sbarrati, incapace di convincere il corpo a muoversi anche solo di un passo.

“Una feroce e incontrollabile tempesta.”

Al vedere gli uomini tentare comunque la fuga, Judal proruppe in un gridolino offeso, quasi infantile «Ah! No no no, non potete scappare!» agitò velocemente la bacchetta e da essa si sprigionò un vento tale che riuscì a sollevare le macerie e i resti delle abitazioni distrutte, insieme a così tanta sabbia e cenere che in molti furono costretti a coprirsi il viso nel tentativo di proteggersi da quell’improvviso turbinio. L'incantesimo spazzò via ogni ostacolo, rivelando alla vista tutti gli uomini che si erano affrettati a nascondersi. Se il Magi avesse voluto, avrebbe potuto far crollare tutto al suolo e schiacciare completamente i briganti, ma no, sarebbe stato troppo semplice, noioso. Il divertimento era appena iniziato e non aveva alcuna intenzione di stroncarlo a quel modo. 
Con il vento che gli fischiava tra i capelli scuotendo violentemente la treccia in cui erano raccolti, ruotò il polso in movimenti circolari, e tutto ciò che aveva sollevato cominciò ad ammassarsi attorno a loro, creando un cerchio e intrappolandoli in esso come topi in gabbia; prima che qualcuno di loro potesse dire o fare qualsiasi cosa, le mura di quella grande arena si ersero come una terribile condanna.

Il primo che tentò di reagire fu un piccolo brigante che incoccò tre frecce contemporaneamente e le lanciò contro Judal ma quest’ultimo non si curò neanche di pronunciare il nome della magia; alzando gli occhi al cielo, gonfiò le guance e soffiò scherzosamente verso le frecce, agitando per la terza volta la sua stecca di metallo. Quelle si rigirarono a mezz’aria come sospinte dal suo respiro e si diressero versp l’uomo che le aveva scoccate. Una gli si conficcò nel cranio e due gli trapassarono le spalle, incastrandosi nei resti di una casa dietro di lui. Per qualche secondo il cadavere rimase grottescamente in piedi, attaccato alla vecchia parete di legno, gli occhi vitrei non mostravano neanche la sorpresa –l'orrore- che l’uomo doveva aver provato; erano leggermente socchiusi, quasi pensosi, come se il brigante non avesse avuto neanche il tempo di realizzare l’accaduto. E forse era stato davvero così. Forse non si era neanche accorto di essere morto.

Le frecce si ruppero sotto il suo peso e quello cadde scompostamente nel terreno.

«Ju-» la fievole voce di Lilith venne soffocata da altri lampi e rimbombi.

“Judal.”

Si era sollevato in aria, il Magi, e finalmente Lilith riuscì a vedere l’espressione euforica che aveva in viso. Veloce, volteggiò sopra il macabro spettacolo che lui stesso aveva creato, sordo a qualsiasi preghiera e cieco davanti tutto quell'atrocità, si fermava solo per scegliere chi sarebbe stato la sua prossima vittima.

Pareva stesse danzando, le esplosioni erano il suo ritmo e le urla la sua musica.

Doveva fermarlo doveva fermarlo doveva fermalo doveva fermarlo doveva fer-

“Smettila…” Lilith alzò lentamente un braccio, la mano distesa verso la figura del giovane come per cercare di afferrarlo, di farlo tornare in sé, perché quello che stava facendo era sbagliato e terribile e... e…

Lui le stava dando le spalle.

Non la vedeva e non la cercava con lo sguardo, e Lilith si sorprese quando realizzò di non esserne abituata; ogni volta che stavano insieme gli occhi vermigli di Judal erano pronti a volgersi verso di lei, sempre attento a cosa stesse facendo, sempre pronto a infastidirla o farla sorridere o semplicemente fissarla. Ora sembrava essersi scordato della sua esistenza e la ragazza rabbrividì quando un improvviso senso di smarrimento la avvolse, una strana consapevolezza sembrò piombarle addosso e le fece quasi male.

Era già troppo tardi.

La mano che tentava di raggiungerlo volò sulle sue stesse labbra quando un conato di vomito la costrinse a piegarsi in due. Lo stomaco sembrava contorcersi in dolorosi spasmi e un forte sapore di bile le inondò la bocca. Cercò di fare gradi respiri e deglutire, tutto il suo essere concentrato a non rigettare perché quello non era assolutamente il momento per una scenata simile. Tentò di risollevare lo sguardo ma una violenta vertigine la costrinse a piegare le ginocchia a terra.

Restò lì, inerme, la vista offuscata e la mente che non riusciva ancora a metabolizzare ciò che stava succedendo. Aveva assistito a tanta morte nella sua vita, credeva che ormai nulla avrebbe più potuto sconvolgerla ma ancora una volta era stata ingenua. Niente poteva essere paragonato a quel momento e non solo per ciò che stava accadendo; erano le sensazioni che aveva tentato di zittire a lasciarla completamente senza parole. Perché nonostante tutto, inizialmente –quando il primo cadavere era stramazzato a terra- si era accorta che una piccola parte di sé stava sussurrando che era giusto, era la punizione per tutta la morte e la distruzione che quegli uomini terribili avevano portato. Solo perché era terrorizzata dalla violenza con cui stava accadendo non voleva dire che ciò che stavano soffrendo non fosse meritato; erano morte famiglie, persone con un futuro luminoso davanti a loro, innocenti che avrebbero potuto vivere una vita felice se non fosse stato per quella disgrazia, persino Halima era rimasta ferita. Poco prima quegli stessi uomini che ora stavano cadendo a terra come mosche erano pronti a stuprarla e ucciderla.

Serrò forte gli occhi.

Fece finta di essere lontana da quel luogo, di non appartenere a quel momento, di non esistere.

[Come facevi con la mamma]

Per un attimo poté e riuscì a credere di essere sola, e si permise di desiderare che tutto quello che stava pensando fosse realtà. Per giustificare tutti quei dubbi, per giustificare Judal stesso.

Era vero, si meritavano di morire! Il mondo era marcio per colpa di persone del genere.

[Ipocrita… così ipocrita e fragile…]

Strinse ancora di più gli occhi e sperò che, una volta riaperti, sarebbe stata sicura di quello che pensava. Nessun dubbio, nessuna esitazione. 
Era giusto, sì giusto, Judal aveva ragione, era giu-

[Ipocrita e egoista.]

Alzando lo sguardo non vide nient’altro che un massacro.

[Apri gli occhi!]

Un forte brivido la riportò alla realtà quando si accorse che il Magi si era rivolto verso di lei e stava procedendo a passo cadenzato nella sua direzione. Quando le si parò davanti e distese il braccio con l’intento di toccarla, tutti gli sforzi che aveva fatto per riacquistare una freddezza che lei stessa sapeva di non avere si sgretolarono; appena sollevò gli occhi e incontrò quelle pupille vermiglie sembrò come se il mondo cominciasse di nuovo a funzionare. I rumori che prima erano solo un ovattato eco lontano la colpirono come una frustata in viso e la realtà ricominciò a muoversi velocemente, tutto sembrò fin troppo vero. Fece male.

«Non toccarmi!» la voce le era uscita diversa, non sembrava la sua, era un tono rotto, spezzato sotto il grande peso di un qualcosa che neanche lei riusciva a comprendere «Questo… questo è… tu-»

Ma nulla poteva essere paragonabile al sorriso che ancora campeggiava sul viso di Judal. Non era lo stesso che il ragazzo rivolgeva alla carneficina che stava compiendo, no, era un sorriso paziente e nella sua postura –nel suo atteggiamento- sembrava quasi compiacente; come se stesse semplicemente aspettando che Lilith arrivasse a una risposta che lui già conosceva, come se fosse perfettamente consapevole del violento tumulto di emozioni che si agitava dentro di lei e se ne rallegrasse.

Sorprendentemente il dolore che quello sguardo le provocò accese una fiamma che presto divenne un inferno e infuocò il suo animo.

«Tu sei un mostro.» le sputò, quelle parole, le rigurgitò fuori insieme a tutta la rabbia, la paura e l’incredulità che le stavano stritolando il cuore. Sperò di averlo ferito tanto quanto lo era lei.

Forse ci riuscì, forse riuscì a toccare qualcosa, lì in fondo, qualcosa di importante. Perché il sorriso scomparve in un battito di ciglia, sostituito da uno sguardo serio e pericoloso che la trapassò da parte a parte. Era così pieno di significati e traboccava di talmente cose non dette che Lilith non riuscì a comprenderlo. Sembrò star tentando di comunicarle qualcosa ma in una lingua incomprensibile, una che forse a quel punto non era neanche interessata a decifrare.

Il Magi alzò nuovamente il braccio e indicò un brigante che si era avventato su di lui brandendo un pugnale, pronto ad affondarlo nella sua carne. Esplose. Ne indicò un altro e un altro e un altro ancora, provocando una miriade di esplosioni attorno a sé, finché Lilith fu quasi sopraffatta dal desiderio di coprirsi le orecchie e serrare forte gli occhi, distoglierli da quello sguardo scarlatto che tornava a fissarla dopo ogni scoppio.

Non lo fece però, decidendo invece di chiudere le mani a pugno, conficcarsi le unghie nella carne e stringere i denti fino a sentire le gengive dolerle «Basta!» urlò a pieni polmoni, non curandosi del bruciore che le provocò contro la gola «Basta basta basta!!»

«…Basta, Lilith?» non fece in tempo a reagire all’improvviso movimento di Judal, quasi non lo registrò, perché per una frazione di secondo i suoi occhi si erano spostati proprio sul cadavere del brigante che ancora impugnava il Judal le afferrò il polso e la avvicinò a sé, il suo sguardo magnetico la costrinse per l’ennesima volta a rivolgersi a lui e a lui solo, facendole quasi dimenticare il veloce e disperato pensiero che le aveva attraversato la mente «E perché mai? Sei così bella con quell’espressione terrorizzata.» era quasi bestiale, ora, il tono con cui diceva quelle cose.

«Mi fai schifo!» ringhiò lei, incapace di sopprimere la seconda ondata rabbia che le esplose nel corpo, circondandola e dandole una nuova forza «Tu… sei solo questo, conosci solo questo… sei solo uno squilibrato che sguazza e annega nel suo potere, senza capire niente, niente, niente!» polmoni le facevano male a forza di urlare, ma in quel momento non le importava «E io provo solo pena per te.» e sentì le dita che le stringevano il viso allentare la presa, e vide di nuovo quel qualcosa attraversare lo sguardo del Magi. Dunque diede uno strattone, riuscendo a liberarsi.

I successivi movimenti del suo corpo furono così veloci che lei stessa si stupì di quanta energia le scorresse nelle vene; per una volta reagì d’istinto, ascoltando quella fugace e quasi inafferrabile idea che le aveva sfiorato la mente. Piegò le ginocchia e con una spinta delle gambe si lanciò verso il pugnale che le mani carbonizzate del brigante stavano ancora stingendo, lo afferrò e, senza esitare neanche per un momento, menò un fendente che Judal riuscì a evitare a mala pena, un’espressione quasi incredula gli si dipinse sul viso e Lilith si ritrovò a ghignare davanti ad essa. Ecco, quello era ciò che voleva vedere: smarrimento e debolezza, proprio come la faceva sentire lui. L’incontenibile desiderio di fargli del male la travolse e l’adrenalina che portò quel pensiero la fece sentire nuovamente forte.
Veloce, approfittando del fatto che il ragazzo fosse ancora sorpreso e non avesse un buon equilibrio sulle gambe, si spinse in avanti, agguantando il candido panno adagiato sulle sue spalle e tirandolo verso di sé, costringendolo a piegarsi. Puntò la lama nello spazio tra il mento e gli anelli d’oro che gli abbracciavano il collo, lì dove la carne pulsava di vita. Il sorriso le si allargò e per un attimo si sentì davvero invincibile.

«Io giuro, giuro, giuro che ti-»

«Ammazzo?»

E basta.

Bastò solo quella parola. Le bastò vedere l’espressione di Judal cambiare nuovamente e come –nonostante tutto, malgrado ciò che gli aveva detto, a dispetto di tutto quello che aveva fatto… come avesse ancora il coraggio di sorridere.

Quella finta bolla di euforia che l’aveva circondata esplose e si dissolse tanto velocemente quanto era apparsa.

Judal non aspettò nessuna reazione da parte sua, le afferrò il polso e spinse il pugnale contro la sua carne «Dai fallo.» e gli venne da ridere a squarciagola quando l’espressione di Lilith mutò completamente da quella che aveva avuto pochi istanti prima.

«Fallo, Lilith.» ripeté sfrontatamente, guardandola dall’alto in basso «Sei troppo vicina, non posso attivare il mio borg, solo un po’ di pressione in più e un piccolo movimento del polso. Sgozzami. Non dovrebbe essere così difficile.»

Con un sussulto, Lilith si rese conto che lungo la lama scorreva un piccolo rivolo di sangue, segno che doveva avergli tagliato la pelle. E di colpo lei aveva sette anni e il Magi non era altro che il piccolo bambino con la grande fetta di melone e il pugnale sembrava più piccolo, più arrugginito, terribilmente simile a quello che aveva usato per ucciderlo.

«Fall-»

Lasciò cadere l’arma ancor prima che Judal finisse di parlare. Lasciò che le scivolasse dalle dita tremanti e che rotolasse nella polvere, la quale andò ad attaccarsi a quell’unica, piccola goccia di sangue uscita dal collo del Magi. Entrambi osservarono il movimento della lama prima di puntare nuovamente lo sguardo l’una negli occhi dell’altro.

«Sono contento, sai?» Judal inclinò il capo, mantenendo l’espressione divertita, senza curarsi di nient’altro intorno a loro «Finalmente ti ho potuta vedere in questo stato. Finalmente credo di aver capito. È bello sapere che anche tu sei capace di fare un’espressione del genere.»

Lilith sentì l’urgenza di dire qualcosa, qualsiasi cosa «Io… mi…»

«Dispiace? Per cosa? Per quello che mi hai detto o per quello che hai fatto? Vedi, è questo il problema.» il Magi scrollò le spalle, probabilmente cercando di apparire indifferente, ma il lampo d’ira che gli illuminò i tratti del viso fu fin troppo evidente «Non sei niente più di questo. Hai un’enorme rabbia che non sai come gestire e che esplode quando sei messa alle strette, ma è comunque troppo debole e insulsa. Perché, nonostante tutto, ti fermi sempre prima; proprio mentre stai per fare finalmente qualcosa cambi idea. Perché sei fragile e scialba, irresoluta.» si allontanò di qualche passo per poterla squadrare completamente «Non odi abbastanza ma non riesci neanche a liberarti da questo odio. Non saresti capace di maledire il tuo destino ma neanche di amare la vita, perché è ovvio che non puoi farlo dopo tutte le cose che ti sono successe. La tua incapacità di reagire è veramente penosa, guardati: cosa ti è rimasto? Non sei riuscita a fermarmi dall’ammazzare quelli là, non sei riuscita a uccidermi, non avresti neanche avuto la forza di aiutarmi a farli crepare. Cos’hai fatto? Cos’hai fatto per tutta la tua vita? Niente.» si fermò per prendere un respiro, per mettere un punto a quel fiume di parole che impetuoso gli stava uscendo dalle labbra, incapace di fermarsi. Era arrabbiato –deluso? No, non era quello il sentimento che le sue parole esprimevano, era infuriato per qualcos’altro. Ma Lilith non riusciva più a capirlo, forse non lo aveva mai capito e non serviva più a niente rimuginarci sopra.

«Non ho più bisogno di te.» puntò la sua bacchetta verso il muro di macerie alle spalle della bruna e quelle si spostarono sotto suo comando, creando un varco «Te l’ho detto piccola, ho perso interesse e mi sto annoiando a morte. Ho visto quello che volevo vedere e non credo che tu possa darmi più di così.»

«Che-»

«Basta, Lilith.» e, per la prima volta dall’inizio della carneficina, tutte le emozioni abbandonarono il suo viso, lasciando solo un grande vuoto nel suo sguardo «L’avevo già detto prima che questi tizi arrivassero e non credere che abbia cambiato idea. Vattene, non mi servi più. Ma anche se è stato breve mi sono divertito, quindi suppongo che un grazie sia d’obbligo: vai per di là, lascia questo posto e non farti più vedere, altrimenti ti farò esplodere proprio come tutti questi altri. Vedi? È questo ciò che sono. Infinitamente più forte e potente di voi, di te. E non importa quanta vergogna o sconforto proverai, non sarai comunque capace di fare nulla.»

Lilith non era sicura di che espressione il suo viso stesse mostrando, perché lei stessa non aveva alcuna idea di cosa si stava agitando dentro di lei. Incredulità, confusione, spaesamento. Umiliazione.

«Io…» strinse i denti «Io ti o-»

«Uh, già, non sei la prima a dire di odiarmi.» il moro sbuffò e si scrocchiò il collo, noncurante «Ma ti posso dire che il sentimento è più o meno reciproco, dopo quello che mi hai detto ti lascio in vita solamente perché so quanto starai male d’ora in poi. Vattene via, Lilith, vattene e resta sola come meriti.» e per lui era abbastanza, aveva detto tutto, sapeva come sarebbe finita e sapeva che quello era un addio. Fece per darle le spalle.

Ma la ragazza dovette per forza peggiorare la situazione «Halima…» era un sussurro, e Judal avrebbe potuto far finta di non averla sentita se non avesse continuato «Non- non puoi mandarmi via, non puoi dire così, c’è ancora Halima all’accampamento e io non me ne andrò finchè-»

«Halima non esiste più.»

E proprio quando sembrava essersi fermato, il mondo ricominciò a crollarle addosso «Cosa?»

Il Magi digrignò i denti e si volse di nuovo verso di lei, le mani sui fianchi «Credevi davvero quei due di Al Sarmen sarebbero stati capaci di salvarla? Loro hanno fatto semplicemente ciò che ho detto: non farla morire. Ma sai, quando siamo arrivati la vecchia già non respirava più, la cassa toracica era stata compressa così tanto da tutta quella roba che le era caduta addosso che i polmoni erano stati completamente schiacciati, aveva varie emorragie interne e forse anche schiena spezzata? Non ricordo.» fece spallucce alzando gli occhi al cielo e assumendo un tono pensoso «È stata una fortuna che non sia morta mentre andavamo all’accampamento –probabilmente sono stati i Rukh neri ad aiutarla. Però neanche noi possiamo fare miracoli, per farla risvegliare ci sarebbero voluti almeno venti maghi e non due. Quelli di Al Sarmen, passandole il magoi attraverso la scatoletta nera, hanno semplicemente fatto in modo che i Rukh esterni continuassero a darle energia, facendo sì che il suo cuore non smettesse di battere e il suo stesso Rukh non si staccasse del tutto dal suo corpo, ma non potrà andare avanti per sempre: prima o poi avrà bisogno di nutrimento e non solo di energia magica e, non potendo mangiare nulla, il suo corpo diventerà sempre più debole fino a non poter sopportare neanche il peso del magoi che le viene dato. Morirà. Qui i Rukh neri sono troppo pochi e quei due non possono eseguire una magia guaritrice potente perché non ne hanno né i mezzi né le capacità, servirebbe qualcosa come Phenex per aggiustarla.»

Non capiva. Non capiva la maggior parte delle parole che stava dicendo «E tu… tu non puoi… fare qualcosa?»

Judal inarcò le sopracciglia «No, ti ho detto che non ci sono abbastanza Rukh neri.» fece una pausa, studiando l’espressione sui tratti della bruna. Notò che le mani avevano cominciato a tremarle violentemente. Non lo stava guardando, aveva lo sguardo perso in un punto indefinito e il ragazzo poteva quasi immaginare ciò che le aveva appena detto ripetersi mille e mille volte nella sua mente, mentre cercava di concepire la terribile verità che le si era parata davanti. Si decise a parlare di nuovo «E poi perché dovrei farlo?»

Gli occhi grigi scattarono nei suoi e un silenzio di tomba regnò tra i due. Lilith boccheggiò un paio di volte e poi tacque, mentre tutto quello che aveva tentato di ignorare, tutti i pensieri che aveva rinchiuso in un angolo della sua mente, venivano fuori. Judal non seppe quanto tempo passò prima che si decidesse a parlare. Forse un respiro. Forse parecchi istanti.

«Tu non mi mai hai detto niente.» mai, mai, mai, non aveva fatto altro che avvolgerla nell’effimera speranza che sarebbe andato tutto bene «Quando sono arrivata nella bottega, non mi hai detto che Halima era sotto le macerie mi- mi hai detto che si era salvata, che era sopravvissuta.» e ci aveva creduto, si era bevuta le parole del Magi come fossero acqua. Come poteva essere stata così stupida? «E- e poi… questo. Io credevo che…» ma non era più importante quello che credeva, no? Era solo una fantasia in cui si era crogiolata per troppo tempo, affidandosi completamente a quel ragazzo che ormai non sembrava nient’altro che un estraneo. Una persona crudele e spietata. Se solo non l’avesse mai incontrato…

«È colpa tua.» realizzazione. Era così che la chiamavano. Quando d’un tratto si viene travolti da una terribile verità e tutto, tutto comincia ad avere senso, si incastra così perfettamente che ci si stupisce di non essersene accorti prima.

«Tu lo sapevi che il villaggio era stato attaccato… saresti potuto andare da lei e salvarla e invece… cosa stavi facendo quando ti ho incontrato? Cosa facevi nel retrobottega dove Halima era… schiacciata e…» avevano parlato, ne era sicura, perché il soffitto non era crollato prima che Judal uscisse da quella stanza «Cosa ti ha detto?!» urlava, ora, soffocando nella sua stessa voce «Cosa le hai detto?! Sei stato tu a far crollare tutto, tu hai cercato di ucciderla-»

Venne interrotta dalla risata del ragazzo. Prima fievole, poi sempre più forte, finché non esplose in un eco tutt’attorno a loro e Judal fu costretto a piegarsi in due, le spalle scosse da un’ilarità che non credeva di poter avere «Sei- sei assurda.» rise così tanto che gli vennero le lacrime agli occhi «L’hai capito solo ora?»

«Co-»

«Non fraintendere.» mise le mani davanti, bloccando qualsiasi cosa stesse per dire «Puoi credermi o no, a questo punto non ti potrei neanche biasimare se non ti fidassi, ma non volevo ucciderla, quella stava crepando già da prima che arrivassi. E non sono stato io a far crollare il soffitto, è stato un caso, il fuoco aveva consumato tutta la bottega e le travi non hanno più retto, mi sembra anche normale. Ma tutto il resto…» ridacchiò di nuovo e si mise le mani in tasca, muovendo di nuovo qualche passo verso di lei «La piccola, povera, ignara Lilith se ne accorge solo adesso? Certo che ti ho mentito, certo che non l’ho voluta salvare.» sputò quelle parole quasi gli facessero disgusto «E ti chiedo di nuovo, perché avrei dovuto farlo? Lei non è niente per me, non è più o meno importante di questi briganti, o degli abitanti di questo paesino o delle persone che vivono in altre città. L’unica cosa che mi legava a lei eri tu… e in quel momento eri scomparsa. Entrambi ti avevamo data per morta a dire il vero. Quindi perché mai avrei dovuto aiutarla?»

«Tu potevi-»

«Non cercare di addossarmi colpe che non esistono.» sibilò chinandosi e rivolgendole uno sguardo spietato «Non cercare di giustificare il fatto che tu non eri lì per lei, che tu non l’hai potuta salvare. È vero, ti ho mentito, ti ho detto che era viva quando invece era accanto a te, sepolta dalle macerie, ma credo di aver già risposto al perché di questa domanda.» ridusse la sua voce a un sussurro e ripeté le parole del giorno prima «Perché voglio stare con te.»

Lilith fece istintivamente un passo indietro, rivolgendogli uno sguardo tra l’adirato e l’incredulo ma lui la ignorò, raddrizzando il busto e aggrottando le sopracciglia «O meglio -si corresse- volevo. Ti trovavo interessante, quindi volevo tenerti con me il più tempo possibile. Quando le travi sono crollate addosso alla tua vecchia ho pensato che non ci fosse più speranza per lei, e che senso avrebbe avuto mostrarti un cadavere? Probabilmente avresti avuto una crisi e sarebbe diventato impossibile farti ragionare o convincerti a venire con me. Lo stesso vale per la questione del suo risveglio –anzi, del suo non-risveglio. Anche se te l’avessi detto le cose non sarebbero cambiate, quindi perché farlo? Si sarebbe solo creato un gran casino per nulla.»

«Non-» la ragazza si mise una mano sulla bocca, di nuovo nauseata.  Halima era morta. Era già morta e niente avrebbe potuto farla più svegliare.

«Oddio…»

Non respirava, non riusciva a respirare.

«Non è vero, ci deve essere qualcosa che posso fare. Judal ti prego, ti prego, farò tutto quello che vuoi. Halima non può morire, non può…» sapeva di essere patetica agli occhi del ragazzo ma non le importava più, non le importava quello che aveva fatto o non aveva fatto. Non le importava più dei briganti o di se stessa. Semplicemente non riusciva a credere che avrebbe dovuto continuare a vivere in un mondo senza la sua amica. Era sola. Completamente sola.

“Ho paura.”

«Non c’è nulla da fare e anche se ci fosse non lo farei. Ora che ti sei messa l’anima in pace puoi anche andartene.» il Magi gesticolò di nuovo verso l’uscita e girò i tacchi una volta per tutte, non guardandola più.

«Oh... cazzo! Come puoi non provare niente? Come puoi essere così tranquillo e dirmi… dirmi… o mio dio. Fermati, fermati e ascoltami. Aspetta. Ti prego non lasciar-aspetta aspetta aspetta aspetta aspetta…»

“Mamma…”

Voltandosi, Judal notò un altro passaggio scavato tra le macerie. I pochi briganti che non aveva ancora ucciso erano scomparsi.
“Sono scappati da lì? Devono aver spostato tutta quella roba mentre parlavo con Lilith.” come aveva fatto a non accorgersene? Era stato davvero così distratto da non notare una cosa del genere? Poco male, li avrebbe rincorsi. Non sarebbero rimasti nel paese, erano troppo spaventati e probabilmente stavano già fuggendo con l’intenzione di allontanarsi il più possibile da quel luogo. Lui poteva volare ed era facile rintracciare le persone dall’alto, soprattutto se stavano fuggendo nel deserto. Forse era una cosa positiva, almeno avrebbe potuto riempire un altro po’ del suo tempo prima di tornare all’accampamento.

Attivando l’incantesimo gravitazionale spiccò un salto e cominciò a fluttuare in aria. Ignorò la voce di Lilith. La ignorò per tutto il tempo finché fu abbastanza lontano da non poter più distinguere quello che diceva –non che le frasi che stava farfugliando avessero un senso.

Si voltò solo un’ultima volta, quando non poté più sopportare quel grande macigno che gli pesava sul petto. Era piegata su se stessa, la ragazzina, il viso nascosto tra le mani, il petto che si alzava e si abbassava freneticamente. Continuava a parlare –a gridare, e Judal fu quasi sicuro di riuscire a distinguere la parola ‘mamma’ ripetuta più e più volte.

Ma ormai era troppo tardi.

«Io non sono te, io non mi faccio consumare dalle emozioni che non riesco a controllare.»

Sbuffò.

“È qui che ti sbagli, Lilith, io e te siamo fin troppo simili.”
 



{Il giorno prima}

«Magi, chi è quella ragazza?»

«Uh? Lilith? Lei è-» per un attimo si bloccò, aggrottando la fronte, guardando verso il piccolo edificio che era la sua stanza; Lilith si era addormentata sul suo letto e lui aveva avuto la compassione di lasciarla riposare, d’altronde aveva altre cose a cui pensare, prima fra tutti la fastidiosa ferita alla gamba «intrigante.» concluse, senza riuscire a elaborare più di così.

«Vuoi farle conquistare un dungeon?» chiese l’uomo di Al Sarmen senza scomporsi. Non sembrava sorpreso –probabilmente quei tizi non erano capaci di provare emozioni così forti, eppure appariva in qualche modo… cauto.

«No.» il moro questa volta non esitò «Non ha la stoffa del re.» non era lo stesso interesse che provava nei confronti di Hakuryuu, o Kouen o addirittura lo stupido sovrano, ad attrarlo verso la ragazzina «C’è qualcos’altro… lei… nasconde qualcosa, e voglio capire cos’è.»

«È un’affermazione parecchio vaga, Magi. Non puoi permetterti di-»

Oh, se gli sguardi avessero potuto uccidere... «Lei resta qui.» non era una richiesta «Non so neanche perché ne sto parlando con voi vecchi! Non è come se me lo poteste impedire.» il giovane si sedette più comodo sul tappeto che fluttuava a pochi metri dal terreno e fece per volare via.

«Tra poco ci dirigeremo a Balbadd, hai intenzione di farla venire con noi anche in quel paese?»

Suo malgrado, Judal si bloccò e si voltò leggermente, così da poterlo osservare con la coda dell’occhio «Se mi va sì.»

«E quando torneremo a Kou? È verosimile che in molti avranno qualcosa da ridire, non puoi portare una popolana, per giunta straniera, a palazzo, senza un vero motivo. La moglie dell’imperatore vorrà chiarimenti.»

«Me la vedrò io con Gyokuen e quel maiale di suo marito, se serve anche con Kouen e tutti gli al-»

«Non sarebbe meglio risolvere la questione il prima possibile? Potremmo cercare di capire cos’ha di peculiare questa giovane, noi tutti ci fidiamo e mai metteremmo in dubbio il tuo giudizio ma senza un vero motivo sarà complicato farla accettare. Lei stessa potrebbe incorrere in qualche… incidente, se non tutelata.»

Di colpo, Judal si trovava a pochi centimetri dal viso dell’uomo, le sopracciglia aggrottate in un modo che non prometteva niente di buono. Scrutò a fondo nel suo velo, tentando di scorgere qualche segno di espressività; un luccichio degli occhi, la piega che aveva assunto la bocca, qualsiasi cosa. Non trovò niente.

«Voi non la toccherete con un dito finché io non vi darò il permesso.»

«È per il bene di tutti.» si era quasi scordato ci fosse anche l'altro mago, era stato in silenzio per tutto il tempo, rinchiudendosi in quel mutismo tombale così tipico di quei tizi che era stato difficile prestare attenzione anche a lui «Presto la situazione si farà movimentata a Balbadd, è per questo che ti abbiamo fatto venire con noi, Magi, ma non possiamo permetterci imprevisti, soprattutto se quella ragazza potrebbe diventare una tua debolezza.»

«Una debolezza?! Vi rendete conto che quello che dite non ha un cazzo di senso-»

Il primo uomo parlò nuovamente «Oggi hai rischiato di morire.» e Judal stava davvero cominciando a pensare di farlo fuori per averlo interrotto di nuovo, ma ciò che disse lo bloccò. Aprì la bocca e la richiuse non trovando niente da dire, e volse il viso da un’altra parte con fare scocciato.

«Il borg per qualche strana ragione non si è attivato -continuò l’altro- e immagino tu possa capire quanto una cosa del genere possa essere pericolosa. Tutto ciò per salvare due persone; nonostante l’anziana si sia rivelata utile per condurre qualche nuovo esperimento, ora come ora la situazione appare molto scomoda.»

«Non è colpa di Lilith se non sono riuscito a proteggermi.»

«Il problema è che uno scenario del genere potrebbe riproporsi. Essere disposto a mettere la propria vita a repentaglio per, perdoni le mie parole, una sciocca infatuazione è una cosa insensata e controproducente, bisognerebbe liberarsi di questo fastidio.» l’uomo fece giusto in tempo a evitare una scia luminosa di magoi lanciata nella sua direzione; quella andò a scontrarsi con il terreno formando un piccolo cratere.

Judal puntò di nuovo la sua bacchetta contro di lui «Una cosa?!»

«Ti prego Magi di non creare disordini.» si affrettò ad ammonirlo l’altro, mettendo le mani avanti «È comprensibile che tu sia parecchio stanco da tutti questi viaggi ed è una cosa che si potrà risolvere facilmente quando raggiungeremo la prossima città –si trovano molte belle donne nei bordelli. Ma ti dobbiamo chiedere di liberarti di questa ragazza prima che il tutto degeneri in qualcosa di più.»

Li avrebbe distrutti. Li avrebbe fatti diventare un’insulsa poltiglia umana e poi li avrebbe gettati in pasto agli animali «Ma che cazzo- siete stupidi?! Lilith non è niente per me sotto quel punto di vista, come potrebbe mai-»

Fu quasi sicuro di sentire uno sbuffo da parte di uno dei due, ma probabilmente era stata solo la sua immaginazione «Se è come dici allora dimostracelo. Scopri cosa c’è di tanto interessante in lei e dacci un buon motivo.» con il suo bastone, gesticolò alla sua coscia fasciata dalle garze «Altrimenti trai le tue conclusioni, se ti rende vulnerabile è meglio allontanarla il prima possibile.»
 



Non si era accorto dell’arrivo dei briganti e non li aveva sentiti scavare una di via d’uscita per scappare. Tutto questo perché stava parlando con Lilith. Cosa sarebbe accaduto se uno di quelli avesse tentato di colpirlo in quel momento? Cosa sarebbe capitato se lui non avesse avuto la prontezza di agire?

Finalmente aveva tratto le sue conclusioni.

E poi era meglio così, aveva finalmente risposto alle sue domande; la piccoletta non aveva niente di peculiare, era solo incapace di controllare la sua rabbia, si faceva trasportare dai sentimenti esattamente come faceva lui. Per quello era arrivata ad uccidere un bambino. La differenza tra loro due era che Judal non si sarebbe mai pentito di una cosa del genere, mentre lei non faceva altro che flagellarsi con il ricordo di ciò che aveva fatto.

Si era tolto un peso, finalmente sarebbe potuto tornare a fare come più gli piaceva, senza quella fastidiosa voce che chiamava costantemente il suo nome o quegli occhi di pietra che a volte, quando lo guardavano in modo troppo insistente, lo facevano sentire instabile, quasi vulnerabile. Così facendo si era liberato di un sacco di problemi.

La morsa che gli stringeva lo stomaco non fece altro che aumentare.

(Avrebbe voluto... conoscerla di più...)

Il suo sguardo si indurì e senza rivolgerle un'altra occhiata salì ancora più in alto nel cielo, attraversando le nubi e ignorando il freddo e l’umidità che ben presto si attaccarono ai suoi vestiti fino a bagnarli. Continuò a volare più velocemente che poteva, senza sapere dove stava andando, senza vedere nulla.

«Un mostro.»
«Uno squilibrato che sguazza e annega nel suo potere.»
«Mi fai schifo.»

Lanciando un’occhiata sotto di sé vide un paio di figure a cavallo che si affrettavano a correre lungo il deserto. Si diresse verso di loro.

Persino i Rukh intorno a lui sembravano agitarsi infuriati, e il Magi dell’impero Kou promise a se stesso che quel giorno avrebbe fatto tremare la terra, tanto era grande il potere e la rabbia che gli stavano scorrendo nelle vene.
 



La principessa Kougyoku, anche se ad una prima occhiata poteva non sembrare, era una persona estremamente gelosa.

Non perché pensasse di avere un chissà quale diritto di possesso su quella determinata persona o oggetto, no, una sfrontatezza del genere non era di certo nel suo carattere; ciò che la spingeva a reagire in modo ostile verso maggior parte degli “agenti esterni” che le si avvicinavano –che si avvicinavano alle sue cose- era la grande e incontrollabile paura che questi le stessero per portare via ciò a cui teneva. Di nuovo, non perché ritenesse le cose a cui mostrava affetto sue e solamente sue, no, Kougyoku in fin dei conti non aveva alcun problema a condividere. Ma quel campanello d’allarme che le risuonava nella mente appena vedeva qualcosa che, in un certo senso, considerava vicino a sé volgersi verso qualcos’altro, sembrava sempre starle dicendo le stesse cose.

[Ecco. Hanno trovato qualcosa migliore di te.

Ti lasceranno di nuovo sola.

Ti abbandoneranno.

Che poi come mai si sono avvicinati a te? Sei così patetica.

Tornerai ad essere invisibile. E forse è meglio così.

Torna in quel buco di stanza dove ti eri rinchiusa e restaci.]

Era un’enorme insicurezza che la accompagnava da tutta la vita e forse lo avrebbe fatto per sempre. Probabilmente perché solo poche persone erano riuscite a farla sentire veramente accettata.
Non era del tutto consapevole di questa parte di sé ma sapeva ben dire quando aveva sbagliato o esagerato in qualcosa, ed era il caso di Lilith.

Probabilmente, vedendola, si era solo spaventata pensando che Judal se ne sarebbe andato. Il che era parecchio ironico dato che il Magi aveva più volte messo in chiaro che lui non era un suo amico, che tra loro non c’era nessun particolare tipo di legame se non quello tra due persone che si conoscono fin da quando sono bambine –non c’era neanche il tipo di rapporto che il Canditato Re ha con il suo Magi, Kougyoku sapeva di rappresentare pressoché l’ultima scelta per Judal tra le varie persone che avevano conquistato dei dungeon e sinceramente non desiderava neanche essere la prima. Non sarebbe stata in grado di addossarsi una responsabilità simile. Alcune volte si domandava come mai Vinea l’avesse scelta.

Ma nonostante ciò, la principessa era una persona che si riprendeva in fretta e riusciva anche a comportarsi in modo sorprendentemente maturo; quando riconosceva i suoi sbagli li ammetteva senza vergogna ed era ciò che aveva intenzione di fare con Lilith. Scusarsi prima di tutto. Tentare di spiegarle come mai aveva reagito in quel modo, stando attenta a non fare commenti come quello che aveva spinto la piccoletta a rovesciarle la colazione per terra.

D’altronde l’aveva aiutata, si era prestata ai suoi servigi e Judal era stranamente attratto da lei. Anche se ancora non capiva i motivi o i criteri di scelta del giovane, sicuramente c’era una buona ragione e, se Judal avesse mai deciso –cosa che sembrava molto probabile- di trascinarsela dietro per un tempo indeterminato, avrebbe almeno voluto entrare in buoni rapporti con lei.

Aveva preso una decisione dunque. Ora doveva solo metterla in atto.

Quando Ka Koubun la avvertì che Judal e Lilith erano stati visti andar via dall’accampamento si era detta che avrebbe aspettato fino al loro ritorno. C’era una sorta di tensione mista a trepidazione nel suo sguardo, mentre si ripeteva nella mente più e più volte le parole che avrebbe rivolto alla ragazzina.
La sua ansia presto scemò per venir sostituita da un sentimento simile, ma più profondo e preoccupante: la sera era arrivata e i due giovani non erano ancora rientrati. La principessa aveva un gran brutto presentimento. Ogni minuto si affacciava dalla sua stanza nella speranza di poter accorgersi di qualcosa, anche solo sentire la risata del Magi o un vociare arrabbiato che probabilmente sarebbe appartenuto a Lilith, insomma, un minimo segno che stavano tornando.

Niente. Niente finché non si fece notte e Kougyoku ancora non riusciva a scrollarsi di dosso quel profondo disagio che non la faceva addormentare. Cominciò a pensare a come raggiungerli, che forse erano tornati in quel paesino, che forse erano incappati in qualche problema che li aveva tenuti bloccati –non voleva neanche immaginare una situazione come il giorno prima, se Judal fosse morto per quella freccia… non riusciva nemmeno a pensarci.

La sua ultima congettura si rivelò sbagliata quando, lanciando un’altra occhiata fuori dalla sua finestra, vide il Magi atterrare con poca grazia tra le polveri dell’accampamento. Era così sollevata. Avrebbe voluto raggiungerlo, avrebbe voluto sorridere e chiedergli dov’era Lilith, dirgli che magari d’ora in avanti sarebbero stati dei giorni più leggeri e che in tre si sarebbero anche potuti divertire.

Si affrettò ad uscire fuori. Venne investita da un’aria innaturalmente gelida, un brivido le scese lungo la schiena e quella strana sensazione non fece altro aumentare quando si avvicinò al giovane; di fronte alla sua espressione, tutti i pensieri positivi della principessa vennero spazzati via.

«Ju…dal?» lo chiamò, avanzando qualche passo incerto nella sua direzione. Il Magi non si scompose di un millimetro, a passo cadenzato la oltrepassò senza degnarla di uno sguardo «Judal?» provò di nuovo, questa volta con voce più ferma «Cos’è successo?»

«Niente.» gli arrivò la risposta monocorde, priva di qualsiasi calore «Non succede un niente, come al solito.»

La principessa si ritrovò a pensare che forse Lilith le aveva davvero portato via una parte di Judal. Una parte che lei non sarebbe mai stata capace di riempire nuovamente.
 



{Cinque giorni dopo, Balbadd}

«Fratello Abumad…»

«È inevitabile.»

«Ma fratello, Kou non sarà per niente content-»

L’uomo dalla voce tremante e lo sguardo timoroso venne zittito con un gesto incurante «Ho detto che è inevitabile! Sei sordo forse?! Saranno ancora più infuriati se accogliamo la mia promessa sposa in una situazione del genere. Dannato popolo, quei vermi non sono mai contenti... Barkak!» il maggiore dei due fratelli non si preoccupò neanche di alzarsi dal suo bel trono imponente, sventolando una mano in aria e rivolgendosi a quello che sembrava essere il generale dell’esercito.

«Sì, mio re?»

«Chiama il consulente economico Marukkio! Digli che ho un messaggio urgente da riferire all’esercito di Kou che sta scortando l’ottava principessa qui a palazzo! E digli di fare presto!»

«Agli ordini.»

Ma Abumad non sembrava ancora contento «Dannazione…» digrignò i denti e la sua faccia si contorse in una smorfia di puro disprezzo «Proprio quando sembrava stesse andato tutto per il meglio. Maledetti Briganti della Nebbia… maledetto Alibaba!»
 


 

I know there’s something out there, I think I hear it move.
I’ve never felt like this before.
I wish you never told me, I wish I never knew.
I wake up screaming, it’s all because of you.

—Three Days Grace, Scared
 


 

Sorprendentemente, il tempo passò in modo fin troppo facile. Il sole e le stelle si avvicendarono nel cielo nell’esatto moto che avevano seguito per miliardi di anni, la sabbia si scaldò con la luce e gelò nella notte, le poche piante si cibarono di tutti i nutrimenti che la terra e l’aria avevano da offrire e i piccoli insetti volarono imperturbabili, facendosi sospingere dal vento e bramando il buon nutrimento dei piccoli e rinsecchiti fiori.

Lilith si sorprese a chiedersi più volte come fosse possibile che dentro di lei ci fosse così tanto ma che il mondo continuasse la sua routine prestabilita senza prestarle attenzione, senza curarsi delle emozioni che sembravano starle corrodendo le interiora. Non sapeva come definire se stessa in quel momento, mentre si trascinava come un fantasma nel deserto, sempre più assetata, sempre più stanca.

Distrattamente si era ricordata di prendere qualcosa con cui sostenersi, nel paesino: un po’ d’acqua, qualche indumento in cui aveva avvolto una discreta quantità di frutta, un panno chiaro per coprirsi il capo e proteggersi dai violenti raggi del sole da cui sapeva non avrebbe avuto scampo.
Si era diretta verso l’oasi che circondava le mura della città ma non ci si era fermata per molto tempo; giusto quanto bastava per riposarsi e ripartire di mattina presto. Arrivata lì era perfino stata capace di prendere qualche dattero –da bambina faceva a gara con i suoi coetanei a chi riusciva ad arrampicarsi più velocemente lungo i tronchi delle palme per poi afferrare quei piccoli frutti zuccherosi, non era estranea a cose del genere. Ma non era sicura di ricordare come ci fosse riuscita. Sentiva il capo stranamente leggero e i pensieri lontani, le orecchie le fischiavano e gli occhi non riuscivano a focalizzarsi su qualcosa in particolare.

Non guardava i cadaveri delle persone, non stava all’erta se qualche altra forma di vita si stesse ancora aggirando per quelle stradine desolate. Quasi non fece caso alle ferite che si procurò mentre, in modo distratto e goffo, si aggrappava alla tagliente corteccia delle palme per prendere i piccoli e appiccicosi frutti. Osservò silenziosamente i profondi tagli sui palmi delle mani prima di fasciarli con dei pezzi di stoffa che un attimo dopo cominciò a impregnarsi di sangue.

Si era tenuta indaffarata per tutto il tempo, ricontrollando più e più volte se aveva preso tutto il necessario, contando in modo maniacale ogni cosa, camminando tra le palme e gli arbusti, in cerca di qualcosa che non conosceva neanche lei.

(Per non pensare, non pensare, non pensare che in quel posto avevano passato del tempo assieme, che tra quegli alberi gli aveva sorriso e avevano scherzato e bevuto e giocato. Era stato per pochissimo tempo. Perché faceva così male?)

Fortunatamente, il tempo passò in modo assurdamente veloce e presto cominciò ad albeggiare. Lilith non aveva dormito neanche un po’ ma convenne con se stessa che non sarebbe stato un problema.

Era andata avanti così: camminava all’alba e nelle ore serali, durante il giorno cercava sempre un rifugio all’ombra –che fosse un albero rinsecchito o una duna più alta delle altre- si scavava una buca così da trovare sabbia meno calda che in superficie e si distendeva lì, avvolgendosi in panni chiari, tentando di proteggersi dal sole.
Era stata costretta ad abbandonare alcune delle cose che aveva deciso di prendere; solitamente in viaggi del genere bisognava portare almeno un cammello con sé, avrebbe aiutato a trasportare i viveri e tutti gli oggetti più pesanti e scomodi. Lei era sola e le cose che aveva preso la rallentavano, di quel passo non sarebbe neanche riuscita a raggiungere la meta che si era prefissata.

«Ho preso l’acqua. Il cibo. I vestiti di ricambio li ho buttati. Devo stare attenta che gli occhi non si brucino per la troppa luce. Ho l’acqua. Attenzione ai coyote. I datteri. Per fortuna Alibaba mi ha dato delle scarpe buone con cui riesco a camminare senza ustionarmi i piedi. Ho preso la frutta ma prima o poi ne dovrò lasciare un po’ indietro. L’acqua. Appena mi comincia a girare la testa devo trovare un posto all’ombra. I datteri. Attenzione ai serpenti. Ci dovrebbe essere un pozzo non molto lontano da qui. Per la prossima città ci vorrà un po’. Devo accendere un fuoco di notte. Devo trovare la via principale. Trovare una carovana. Chiedere un passaggio. Un cammello. L’acqua. L’acqua. Non mangiare molto. L’acqua.»

Era un mantra finché non si assopiva. Il sonno durava solo poche ore, solitamente si risvegliava di soprassalto o soffocando un grido; a volte avrebbe potuto giurare di sentire una voce, un sibilo, borbottarle qualcosa di incomprensibile all’orecchio.

Dormiva sempre meno.

Un giorno si trovò uno scorpione tra i vestiti. Era stata fortunata che non l’avesse punta, anche solo una piccola quantità di veleno sarebbe stata capace di ammazzare un uomo adulto. Aveva stretto il suo pungiglione tra le dita, così da essere sicura che non l’avrebbe usato, e aveva sollevato il piccolo animale all’altezza degli occhi, scrutandolo attentamente.

«Ora ti mangio.» sussurrò e si chiese se lo scorpione potesse almeno avvertire il pericolo incombente. Le piacque pensare fosse così, dato che sembrò cominciare a divincolarsi più di prima «Ti staccherò le zampette a morsi e mi gusterò le tue interiora, ma ti lascerò in vita.» lo agitò per aria «Farò in modo che tu possa restare vivo per tutto il tempo, così da essere consapevole di cosa ti sta succedendo. Divertente vero?» fece un sorriso ebete quando quello si inarcò puntando le proprie chele verso di lei, come un gesto di sfida. I suoi movimenti erano aggraziati ma allo stesso tempo rivoltanti.

«…Non preoccuparti.» sussurrò dopo un po’ la bruna «Sono sicura che farà meno male di quello che sto provando io.»

Non lo mangiò. Anche se gli scorpioni erano commestibili, dopo la piccola chiacchierata che avevano avuto non era più affamata, forse aveva sviluppato una sorta di affettività per la creaturina. Lo lanciò il più lontano possibile, lungo la pendenza di una duna molto alta e guardò la sua piccola figura confondersi con la sabbia dorata fino a scomparire.

Si chiese se stesse impazzendo.

Altri due giorni passarono. Il sole le aveva ustionato la pelle e la sete aumentava; più di una volta era stata tentata di svuotare le tre borracce –ora ne rimaneva solo una- che aveva deciso di portare, così da dissetarsi completamente ma era riuscita a resistere al desiderio, d'altronde era nata in quell'ambiente ostile, fin da piccola era stata costretta ad adattarsi alle rigide regole del deserto.

Non bere troppi fluidi. Raziona con attenzione minimale ogni cosa. Continua a muoverti.

Eppure era sempre più difficile trovare ragioni per non lasciarsi andare. Tentava di ricordare la sua vita, di rimembrare momenti importanti. Non le era rimasto niente. Solo un grande senso di vuoto e di abbandono. Aveva sbagliato, sbagliato così tanto che ormai non riusciva neanche a trovare una giustificazione. Non c'era più nulla, era tornata al punto di partenza; tutto quello che aveva provato da quando se ne era andata dal luogo in cui era nata –da casa- sembrava essere scomparso, un gran senso di vuoto e di stanchezza le pesava sullo stomaco. Non voleva più neanche quello, non voleva più niente.

Niente. Niente. Niente.

Il mondo sarebbe solo dovuto scomparire come il sole nel tramonto; spegnersi e immergere tutto nel silenzio più assoluto. Ogni giorno credeva che di notte sarebbe stata meglio, nel buio era più facile non notare quanto la desolazione del deserto fosse l'unica cosa che le rimaneva. Ma, oh, quanto si sbagliava. L'oscurità portava pensieri diversi, più profondi e spaventosi, e quell’infinità di sabbia non scompariva ma diventava un enorme mare d’inchiostro su cui non splendeva alcuna luce, simile a un cielo senza stelle, e la inghiottiva nel suo freddo abbraccio.
Cominciò ad odiare sia la luce che il buio.

Fu in una di quelle notti che si rese conto di essere troppo stanca.

Mentre tremava per il freddo e si stringeva al petto il sacco in cui erano rimaste le ultime cose da mangiare, convenne con se stessa che era inutile continuare a combattere; chiuse gli occhi e si rilassò, senza borbottare più alcunché, senza cercare di trovare una distrazione. Per un momento ascoltò il silenzio che la circondava e quasi senza accorgersene, cominciò a rimettere in ordine i propri pensieri.

Eventualmente si addormentò o, per meglio dire, entrò in quello stato di dormiveglia dove la mente diventa completamente schiava delle emozioni e perde qualsiasi potere di volontà su se stessa. Sapeva di essere Lilith, sapeva di trovarsi nel deserto e sapeva di essere inevitabilmente sola. Eppure delle immagini cominciarono a disegnarsi e prendere vita nella sua testa, prima confuse, poi sempre più nitide, fino a mostrarle i più piccoli particolari che era stata sicura di essersi dimenticata con il passare degli anni. Sotto le palpebre, i suoi occhi cominciarono a muoversi in modo quasi frenetico, ammirando quello che sembrava un sogno –ma lei era sveglia, era presente, sapeva cosa stava succedendo- distendersi davanti a lei e circondarla.
 



La prima cosa che le veniva in mente quando qualcuno menzionava la parola “casa” era un colore. Una sfumatura tetra, forse grigiastra, con mille e mille crepe nere ad adornarla. Poi quel colore si trasformava in qualcosa di tangibile, diventando una parete di pietra, e le crepe si allungavano e distorcevano, andando a disegnare i contorni della stanza in cui si trovava.

Era in quel momento che Lilith si ricordava dell’odore: secco e leggermente aromatico, si mischiava alla costante muffa che impregnava quei freddi muri. L’odore della muffa le era sempre piaciuto.

Per ultimo ma non meno importante, il ricordo che le giungeva alla mente era quello uditivo; non c’era mai silenzio, a casa sua. I sussurri non cessavano quasi mai, il rumore di piccoli oggetti che venivano spostati in modo attento sugli scaffali era comune e poi c’erano i passi. Così tanti –troppi troppi troppi- passi risuonavano con piccoli tonfi sul tappeto che rivestiva il pavimento, sul quale lei giaceva, a fissare la parete. Passi che, una volta cominciati, non si fermavano più. Erano veloci e decisi ma con il passare del tempo sarebbero diventati troppo forti, frettolosi, e quasi confusi, come se non avessero idea di dove dovessero andare. Da qui in poi non era sicura di non mescolare ricordi e eventi di quando era bambina con quelli che era sicura ci fossero stati quando era cresciuta. D’altronde fino all’età di tredici anni (almeno, questa era l’età che Halima aveva detto che doveva avere la prima volta che si erano incontrate) era sempre stato tutto uguale: urla e sorrisi, mani che prima le sfioravano il capo, le districavano i nodi dei capelli e le intrecciavano le ciocche in motivi eleganti, un attimo dopo le artigliavano il viso, la scuotevano per le spalle costringendola a guardare l'artefice di quei gesti in volto. Erano degli occhi neri quelli che si ritrovava a fissare, leggermente strabici, forse in tempi più giovani erano potuti risultare sensuali. A lei, l’unica cosa che avevano mai trasmesso –per lo meno, per quanto riusciva a ricordarsi- era un sentimento che fin troppo presto aveva saputo riconoscere e nominare. Follia.

Era sicura, sicura ci fossero stati tempi migliori, era assolutamente certa che sua madre non fosse sempre stata così… fuori di sé. Lei stessa glielo raccontava. Suo padre, suo padre era stata la benedizione e poi la rovina della mamma, questa era una delle prime cose che Lilith era riuscita a comprendere.

«Tuo padre era come il sole per me. Anzi no, no, era qualcosa di più! Era la vita stessa. Era l’unica persona con la quale io potevo finalmente respirare e essere felice. Tutti i sogni che una sciocca ragazzina può avere a quell’età, lui con un solo sguardo sembrava realizzarli; mi amava e io lo amavo.»

Allora perché, avrebbe voluto chiedere Lilith, perché l’aveva abbandonata?

«Tuo padre, tesoro mio, tuo padre era come il sole.»

Lo aveva già detto.

Lo aveva già detto lo aveva già detto lo aveva già detto.

«Anzi, era molto di più!»

Zitta zitta zitta zitta zitta zitta zitta zitta zitta.

«Aveva sempre vissuto per le strade, facendo i lavori più disparati, amando il mondo come se non ci fosse niente di più bello. Quando lo incontrai per la prima volta, tentò di vendermi un cesto di vimini. Allorché gli dissi che non ce ne era bisogno, che a casa ne avevamo tantissimi, essere figlia di un ricco commerciante dava i suoi frutti. Lui a quel punto mi rivolse un sorriso bello come il sole.»

Lilith aveva sempre odiato il sole.

«E insistette; diceva che era importante, che non era un semplice cesto, di prenderlo, prenderlo e scoprire le bellezze che esso conteneva. Ti sembrerà assurdo, ma alla fine lo comprai. E capii che accettarlo era come accettare il fatto che, da quel momento in poi, la mia vita sarebbe appartenuta a lui. Tuo padre lo sapeva e io lo sapevo e dopo quel muto accordo cominciammo a vederci sempre di più, amandoci alla follia. Successivamente riuscii a convincere i miei genitori che lui era l’uomo giusto per me, che nonostante non avesse una famiglia ricca mi avrebbe reso felice, e dopo un po’ di tempo mi diedero la loro benedizione. Ci sposammo e con i soldi che la mia famiglia mi regalò viaggiammo per il mondo; tuo padre era molto bravo nelle contrattazioni e conosceva tutte le vie e i mezzi per raggiungere luoghi sconosciuti e esotici, riuscimmo a sostenerci per tre interi mesi e io lo amai come non sapevo essere capace di amare.» più o meno a quel punto prorompeva sempre in una risata sciocca, socchiudendo gli occhi e perdendosi in quei ricordi. Lilith la osservava in modo attento, quasi guardingo, sapendo già cosa sarebbe successo dopo. Storie simili gliele raccontava sempre, sua madre; prima l’uomo di cui si era innamorata era un principe diseredato, poi una assassino in fuga, poi un lontano parente di suo cugino che per pura circostanza aveva scoperto di essere stato adottato, dunque di non avere legami di sangue con lei, dunque di poterla amare senza riguardi.

Ci volle un po’ di tempo prima che la bambina si accorgesse che in realtà non era la storia che cambiava, le cose che accadevano erano pressoché identiche. L’unica cosa che mutava era il ruolo di suo padre, la mamma si inventava sempre cose nuove riguardo alle sue origini, ma per il resto non cambiava niente al loro incontro: lui era sempre un uomo povero e latitante, con un animo così positivo e sereno che sembrava catturare l’attenzione di tutte le persone attorno a sé, e la mamma era sempre la figlia di questi ricchi mercanti. I loro viaggi erano sempre gli stessi e anche la fine della storia era sempre uguale.
Al loro ritorno dal viaggio, i genitori della mamma erano stati misteriosamente uccisi e dunque il suo amato, mantenendo sempre quell’atteggiamento sicuro e positivo, decideva di prendersi carico delle loro attività commerciali. Ma per qualche strano intrigo che persino la mamma non sembrava essere capace di spiegare, finirono sul lastrico, e i due sposi rimasero con nient’altro che quella piccola casa e una bambina appena nata.

«Non è stata colpa di tuo padre. -ripeteva- Tuo padre ha dato tutto se stesso affinché le cose andassero in porto… eppure… eppure siamo stati sfortunati. Ma non mi importava, d’altronde avevo voi due e l’amore che provavo per entrambi mi bastava per sopravvivere.»

Quello era il momento.

Lilith lo sapeva ancora prima che succedesse.

Le braccia di sua madre cominciavano a stritolarla in una morsa di ferro, facendole male e lei provava anche a dirglielo ma la stretta non faceva altro che aumentare.

«Quando tu avevi pressoché due anni, lui se ne andò.» a dare inizio al pianto era sempre un piccolo singhiozzo. Sfuggiva dalle labbra screpolate della mamma per poi dare il via a una serie di pietosi singulti «Non sembrava più felice in quel periodo, il suo sorriso bello come il sole non si mostrava quasi più e ogni volta che ci fissava era… era…» piangeva più forte, spingendo via Lilith, e ogni volta cercava il suo cesto di vimini, ormai rovinato e rotto, consumato da quel sentimento che non aveva più –e forse non aveva mai avuto- ragione di esistere.

«Quando quel giorno, poco prima di uscire, ti guardò per un’ultima volta, capii che era colpa tua, amore mio. Tutta, tutta, tutta colpa tua. Se solo tu non fossi nata, lui non mi avrebbe mai abbandonato. Ti odiava. Odiava il fatto che la tua nascita era avvenuta precisamente lo stesso giorno in cui ci hanno comunicato che la nostra compagnia doveva chiudere. Sapevo, sapevo che ti considerava come un segno di cattivo augurio, eppure tentai di dare il mio amore sia a lui che a te, così che un giorno potesse aggiustarsi tutto.» rigirava tra le mani quell’oggetto di vimini che diceva essere stata la cosa che l’aveva legata a lui, ci passava le labbra sopra, ne sentiva il profumo. Annegava sempre di più nella sua pazzia. Eppure Lilith era troppo piccola, troppo giovane per capirlo davvero.

«Anche tu mi vuoi lasciare, non è così?» terminava sempre con quella domanda e la bruna si era arresa ormai a negarlo; sapeva che non l’avrebbe comunque ascoltata. Si limitava a fissare la parete di pietra dalle mille crepe, ascoltando il suono dei suoi passi farsi sempre più forte finché non le era di nuovo vicina e la prendeva tra le sua braccia in un gesto violento e gentile «Non te lo permetterò.» sussurrava e il suo sguardo non mostrava altro che panico «Sei solo una piccola irriconoscente. Io sono l’unica che ti ama, tesoro mio. L’unica che potrà mai amarti e tu vuoi andartene?!»

Non era vero. Non voleva farlo. Non poteva. Perché le faceva questo? Perché perché perché per-

«Tu hai bisogno di me.»

Era vero.

«Resteremo per sempre insieme.»

Anche quello era vero.

«Perché la mamma ti ama, e anche tu ami la mamma.»
 



Solo successivamente, una volta lontana da quell’inferno, Lilith si era resa conto di molte cose –Halima stessa l’aveva aiutata a capire.

Ma ormai neanche quello aveva più senso, perché perfino Halima l'aveva lasciata. E mentre era lì, avviluppata tra i vestiti che usava come coperte, piena di sabbia e sudore freddo, circondata da nient’altro che solitudine e silenzio, le parole di Judal cominciarono a sommarsi a quelle di sua madre, in un vortice che la trascinava sempre più in fondo.

Si accorse che il Magi aveva ragione. Era bloccata. Non riusciva ad arrendersi, non riusciva ad andare avanti; desiderava ambe due le cose allo stesso modo ma non era capace di scegliere né l'una né l'altra. Non era capace di odiare ma neanche di amare.
Immobile in quell’indecisione di cui sapeva non si sarebbe mai liberata, sentì il disperato bisogno di qualcuno che la guidasse, che le dicesse che andava tutto bene e che era al sicuro, qualcuno che le stesse affianco. Si rannicchiò ancora di più.

Soffocava. Avrebbe voluto urlare ma era sicura non sarebbe uscito niente. Forse stava impazzendo davvero.

Era vero, era vero, era vero, la sua vita non era stata altro che un vortice di indecisioni a cui non avrebbe saputo neanche dare un nome... che cosa aveva fatto? Che cosa aveva costruito in tutto quel tempo? Niente. Tutto ciò che riusciva a stringere tra le mani insanguinate erano piccoli granelli di sabbia che le si attaccavano alle ferite sui palmi ormai infettate.

La mamma. Halima. Il padre. Il bambino che aveva ucciso. Judal.
Li odiava, li odiava tutti. Eppure al tempo stesso sentiva un irrimediabile e terribile bisogno di-

«Non è importante.» sussurrò a se stessa, ricordandosi che di tutte quelle persone solo una era sicura fosse ancora viva e, comunque non l’avrebbe rivista mai più «Non importa più nulla.»

Nonostante tutto la mattina dopo si alzò e riprese a camminare, e quando Kougyoku la trovò, stava mangiando gli ultimi datteri che le erano rimasti.
 



{Accampamento dell'impero Kou. Scorta dell'ottava principessa imperiale Kougyoku Ren.}

«Magi, ti disturbo?»

«Cosa vuoi? Ho già detto che non toccherò più nessuno.»

«Non sono qui per quello, anche se non posso negare che ci hai fatto la vita molto difficile con la sfuriata di due giorni fa, ma è tutto risolto e ormai il signor Ka Koubun sta più o meno bene. Ah, non che ti possa interessare ma questa mattina la principessa Kougyoku-»

«Non me ne frega niente di Kougyoku o del quattr’occhi. Se sei venuto solo per questo puoi anche evaporare.»

«In realtà no, Magi.»

«Allora cosa c’è!»

«Ti prego di non arrabbiarti, ma volevo domandarti cos’è quest’oggetto.»

«…»

«Ti fa venire in mente qualcosa?»

«È il puzzle di Lilith… avrei dovuto buttarlo via, mi sono scordato. L’hai trovato in camera mia?»

«Sì, Magi. Ma bisogna ammettere che è stata una fortuna che tu non te ne sia liberato.»

«Ah? E perché?»

«Temo che le tue congetture sulla peculiarità di quella ragazza non fossero del tutto infondate, abbiamo trovato qualcosa di alquanto interessante… e forse sarebbe un bene se potessi portarla di nuovo qui.»

.
.
.
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EHM, SALVE!

In ritardissimo ma neanche troppo (almeno, non come le altre volte) ecco il capitolo undicesimo. Oltre al fatto che l'11 è il mio numero preferito sì okay non interessa a nessuno avete notato qualcosa? Qualcosina?? No?!? Probabilmente no.
SONO ESATTAMENTE DUE ANNI DA QUANDO HO POSTATO IL PRIMO CAPITOLO *fuochi artificiali*. Devo dire che è stato un caso, non me ne sono accorta fino a mezz'oretta fa, mentre, rileggendo il capitolo, ho pensato che domani è il mio compleanno e mi si è accesa la lampadina! Sono stranamente euforica per questa cosa e non so neanche perché.

Comunque! Nonostante possiamo prendere questo aggiornamento come un piccolo festeggiamento per il compleanno della fic (e il mio uhuh) questo è probabilmente il capitolo più deprimente che abbia mai scritto. Spero vi... ehm... piaccia?
Ho avuto grandissimi dubbi a far andare in questo verso la storia (e Halloween_ lo sa molto bene, ti ringrazio ancora per il grande aiuto che mi hai dato, tesoro :3) ma alla fine mi sono convinta, anche perché è un pezzo che bene o male avevo programmato di scrivere fin dagli albori di Cancel your destiny. Spero sia ben riuscito.

Qui, vi lascio qualcosa che mi è stato inviato poco dopo aver postato il capitolo 10, che mi ha letteralmente fatto fare i tripli salti mortali di gioia.

Al vederla, il mio povero cuoricino è imploso di felicità e davvero non sarò mai in grado di spiegare quanto jaspeg (andate a dare un'occhiata alle sue storie e ai suoi disegni mi raccomando) mi abbia reso felice con questo disegno! Specialmente Lilith, è bellissima. Grazie grazie e ancora grazie cara :D Nei prossimi capitoli posterò i successivi diegni che con sua immensa gentilezza mi ha inviato!

Vi auguro un felicissimo Halloween e tanti dolci e tante carie, festeggiate tutti assieme la notte dei mostri e divertitevi! ^^

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