Autumn in Baker Street

di Ceci Princessofbooks
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Leaves -la scommessa dell'Autunno ***
Capitolo 2: *** Leaves II - Contronatura ***
Capitolo 3: *** Cold - Un tepore inaspettato ***
Capitolo 4: *** Halloween - Rituali ***
Capitolo 5: *** Seasons - In ogni giorno ***
Capitolo 6: *** Rain - La dolcezza di una conferma ***
Capitolo 7: *** Evening -Una casa a cui tornare ***
Capitolo 8: *** Fog- del bisogno di un'illusione ***
Capitolo 9: *** Chestnut - Il giusto ingrediente ***



Capitolo 1
*** Leaves -la scommessa dell'Autunno ***


Leaves -La scommessa dell'Autunno

 

A Londra piove oro, oggi.

Le foglie muoiono sui marciapiedi in tappeti rossi, i rami nudi che si intrecciano alle loro vesti di nebbia. Fuori da Baker Street i pedoni passano veloci, i volti sprofondati nelle sciarpe.

Sherlock è in piedi di fronte alla finestra del salotto, le magre dita da violinista posata sul vetro. C'è sempre stato qualcosa di spaventoso per lui, nell'autunno: come se fosse l'offerta di morte di tutto ciò che è materia, la sconfitta di tutte le promesse della primavera. Per questo, Sherlock ha scelto per così tanto tempo di legare a sé solo cose che non possono morire: la logica, le distanze della mente, il ricercarsi degli altri e degli enigmi. Cose eterne, pure. Senza fallimenti, e senza retrogusti di cenere.

Siamo così effimeri Siamo foglie, figli dello stesso albero che ci uccide dopo una stagione.

Riconosce senza problemi lo scalpiccio determinato e aritmico di John, ma non si volta: lui gli allaccia le mani intorno alla vita, posando il mento sulla sua spalla. La sua pelle sa di tepore e sonno e sapone.

-Buongiorno- mormora John, ed è così naturale voltarsi e incontrare il tocco appassionato, mai invadente, delle sue labbra.

-Buongiorno- sussurra a sua volta.

Forse, anche Sherlock Holmes ha trovato qualcosa di effimero per cui combattere.

 

Grazie a Mr.Ungaretti e a Mr. Mimnermo per l'ispirazione, e a chiunque leggerà.

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Capitolo 2
*** Leaves II - Contronatura ***


Leaves II – Contronatura

 

C'è solo la sua voce, e la condanna che non vuoi accettare.

Sei seduto sulla sua poltrona, le ginocchia raccolte contro il petto e gli occhi fissi sulla porta. La febbre ti ha stordito tutto il pomeriggio e quando ti sei svegliato hai trovato solo il suo biglietto, laconico e innocente come sempre.

Andato a verificare l'ipotesi. Se non torno, sai dove sono documenti.

Chi è capace di gettarsi nel buio con tanta sfrontata lucidità?

Avresti voluto arrabbiarti, ma la paura è una bestia che divora il cuore, e tu ne hai troppa. Potrebbero essere le ultime parole che sentirai da lui. Potrebbe essere l'ultima concrezione di quello che avete e che non osate chiamare amore. Questa volta, potrebbe essere troppo avventato nell'inseguimento, troppo superbo nel valutare l'assassino. Potrebbe.

No, non oggi.

E mentre guardi il cielo freddo di stelle di Novembre, ti ritorna in mente quella sera, Sherlock in piedi accanto al bovindo, il profilo bianco e nitido contro il buio.

Siamo come le foglie, John, ti aveva detto, e tu ricordi quanto pallida fosse la sua mano sul vetro, possiamo essere strappati dalle nostre radici in qualunque momento, e cadere nell'abisso che abbiamo scorto per tutta la vita.

E la speranza? Avevi chiesto.

La speranza è contronatura.

Respirare, ora, è difficile.

No, non oggi.

Ti stringi al centro di te stesso, mordendoti il labbro, aggrappandoti a quella promessa. Perché la natura è cambiamento, è sfuggire ad uno schema, e forse può trovarvi un posto anche una manciata di speranza. Perciò continui ad aspettare, il cuore che spacca il petto, ben sapendo quanto sia probabile che si sia preso una pallottola o sia stato ferito o non apra mai più quella porta.

Ma non oggi.

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Capitolo 3
*** Cold - Un tepore inaspettato ***


Cold – Un tepore inaspettato

 

Quando rientra, Sherlock è semplicemente disfatto. Il gelo di Ottobre gli si è incollato addosso, durante l'appostamento si è storto una caviglia in una pozzanghera e la pista che aveva ipotizzato si è rivelata del tutto inutile. Si libera del cappoto con un gesto stizzito, scalcia via le scarpe e si abbandona sulla sua poltrona.

Quando solleva gli occhi verso il crepuscolo torbido, il pensiero arriva e fa male.

La sua vita, quando non avvampa della luce elettrica di un ragionamento, assomiglia troppo a quel giorno: grigia e sterile e piena di ombre senza forma. Un mondo di fine Autunno, in cui la vita è un germe abortito nel fango.

La tazza di tè gli appare d'improvviso di fronte al naso. Il suo sguardo la segue, salendo lungo la mano, il braccio, il sorriso obliquo sul volto di John. -Giornataccia, eh?-.

Solleva un sopracciglio. -Come?-

-Ti lascio solo un momento, e ti ritrovo bagnato come un gatto inzuppato.- commenta lui, sedendosi davanti e rovesciando sul tavolino un impressionante fascio di carte. -Allora, passiamo a cose serie: mentre ero in pausa ho pensato ai dati che mi hai dato, e mi chiedevo se non potesse essere...-.

Sherlock si china in avanti, rispondendo alle domane di John e valutando strategie, immerso nel tepore della tazza tra le sue dita e in quello che gli ha d'improvviso riempito il petto.

Non ricordava quanto caldo potesse essere l'Autunno.

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Capitolo 4
*** Halloween - Rituali ***


Halloween - Rituali

 

Le urla graffiano le pareti, e nell'aria c'è sempre quell'odore: odore di zucchero e sudore e alcool da due soldi.

Sherlock ha otto anni, un costume da investigatore e una paura che mangia ogni cosa. É raggomitolato contro la porta, le braccia avvolte attorno alle ginocchia con abbastanza forza da sbiancare le nocche, e, forse, da tenere tutti i pezzi insieme. Non potrà mai dimenticare quell'odore: è quello che sente ogni volta che i suoi genitori gridano e litigano, ogni volta che suo padre beve troppo e si trasforma e i suoi occhi diventano piatti e crudeli come quelli di una lucertola. Ogni volta che trascina la mamma in soggiorno, sputandole addosso tutto il suo disprezzo, e le sue mani sono abbastanza forti e cattive da fare male.

Sherlock si porta la mano all'occhio, e sussulta; sotto le dita, la carne è gonfia e violacea. Mycroft è in collegio, e questa volta non può difenderlo, né avvolgerlo nelle sue braccia larghe per dirgli che va tutto bene. Questa volta, ci sono solo lui, e le urla.

Dovevamo andare a fare dolcetto o scherzetto. Dovevamo divertirci.

È sempre stato un bambino timido: vede con troppa lucidità il reticolo di incastri nascosto sotto la pelle del mondo, il filo cremisi che annoda sguardi e vite e morti nella stessa grande trama. Vede con troppa facilità ciò che anche molti adulti ignorano. Per questo, quello della passeggiata di Halloween è diventato una sorta di rito per sua madre e per lui: un momento per sentirsi una famiglia comune, per sorridere agli altri bambini e ingozzarsi di dolci al cioccolato ridendo sulle scale di casa. Solo loro. Solo loro, con i loro occhi fragili e impietosi, con la loro energia fatta di luce e di rabbia.

Ma oggi suo padre è tornato prima dal lavoro, una bottiglia di gin tra le dita e il volto frammischiato di un'ombra sporca.

Dovevamo divertirci.

E ora Sherlock è seduto lì, e ci sono solo i sussurri segreti che il mondo gli bisbiglia da sempre.

Mio padre. Rabbia. Frustrazione. Insicurezza mascherata da violenza.

Mia madre. Grande sbaglio da giovane. Forza d'animo mescolata ad amarezza.

E per una volta, vorrebbe solo rinunciare a quella chiarezza atroce, ed essere un bambino normale.

 

Quando apre gli occhi, lo stesso odore è nella bocca e nelle narici e nel cuore. Sherlock scatta a sedere, ed è come se gli anni non fossero mai trascorsi.

No. Non di nuovo.

Un respiro. Due. Ne bastano tre, e c'è un altro profumo: un profumo di buono e di casa, che scaccia piano i fantasmi. La fragranza di tè e di tende pulite e di legno bruciato.

-Ah, ti sei svegliato.- interviene una voce, e un istante dopo la sagoma solida e dorata di John appare di fronte alla sua poltrona. -Cominciavo a temere lo stato comatoso.-

Sherlock si guarda intorno, la mente che marchia a fuoco i dettagli. Lo schienale liso contro le sue spalle. Il cielo scuro acceso dal chiarore di febbre di Londra. L'orologio sula mensola.

-Ho...ho dormito per tre ore?!- esclama, inarcando le sopracciglia.

-Bè, visto che non hai dormito per nulla negli ultimi tre giorni, non mi sembra esattamente bizzarro.- gli lancia qualcosa, un involto di lana nera che riconosce subito dopo come il suo cappotto. -Coraggio, adesso: mettiti questo e usciamo.-

Il sopracciglio si solleva ancora. -Ma è la sera di Halloween.-

-Vero. E io ho voglia di dolci.-

-Quindi vuoi andare a fare dolcetto o scherzetto?- chiede, lentamente. Il volto illeggibile.

John scrolla le spalle. -Veramente pensavo di più al Londis dell'altro isolato. Allora, mi fai compagnia?-

Sherlock esita solo un istante, sospeso sull'orlo vertiginoso del passato, prima di afferrare la giacca e mettersi in piedi. Perché gli esseri umani hanno bisogno di rituali, e quando alcuni muoiono, altri nascono.

E tu, dopo tutto, sei un essere umano.

-Credo di essere praticamente obbligato- risponde, infilandosi i guanti -altrimenti chi controllerebbe che tu non incorra in un caso di indigestione acuta da orsetti di cioccolato?-

-Vuol dire che ti corromperò con le rotelle di liquirizia...- borbotta John, incastrando il braccio sotto il suo.

Il sorriso di Sherlock è leggero, ma c'è. Le grida nella grande casa e il bambino spaventato non se ne sono andati, e non lo faranno mai; e tuttavia l'odore è cambiato e, forse, senza le sue ferite potranno anche cominciare a rimarginarsi.

Non sono più un bambino. Sono qualcosa di diverso.

Sono con John.

E questo basta.

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Capitolo 5
*** Seasons - In ogni giorno ***


Seasons – In ogni giorno

 

Camminano lungo il sentiero ricamato di foglie, il passo identico; l'uno è più nervoso e l'altro più placido, ma la cadenza è la stessa che hanno imparato dalla madre. Il vento profuma di terra e gonfia fantasmi di nebbia nel cielo di Hyde Park. Si fermano accanto al lago, due ombre alte e nere chine sull'acqua, come l'ombra di falchi.

-È da un po' che non ti vedo gironzolarmi intorno come un lupacchiotto impaziente, fratellino. Lo considero un miglioramento.-

-Un miglioramento?-

-Be', sì: significa che cominci ad avere una vita tua a cui tornare.-

-Non mi sembra di essere stato un particolare peso.-

-Non fingere di non capire cosa intendo: puoi passare per un automa senz'anima con molti, ma non con me.-

-Elabora il concetto.-

Il più vecchio affonda le mani nelle tasche, scrollando le spalle.-Niente. Semplicemente, da quando è arrivato lui mi sembri più presente; più vero.-

-Vero?-

-Sì. Diciamolo, fratellino: per molto tempo io e te siamo vissuti per metà, sospesi tra questo mondo e lo spazio di ragionamenti e deduzioni che ci siamo costruiti, e che è tanto più facile da capire; e ci rifugiamo lì da molto, molto tempo. Ma ora, ti ritrovo là sempre meno. E questo perché hai un'ancora.-

Il più giovane distoglie gli occhi dall'acqua: ha occhi di neve e di sole. -Cosa significa “un'ancora”?-

-Se mi chiedi ancora una volta cosa intenda dire mi metto ad urlare.-

-Rispondi alla mia domanda.-

-Un'ancora, sì. Tutti hanno bisogno di un'ancora che li costringa a tornare al mondo, anche quando è grigio e freddo come oggi. Che li leghi all'Autunno, oltre che alla Primavera.-

Per un momento, rimangono in silenzio: c'è solo il cicaleccio delle anatre e le risate lontane dei bambini. -Credo tu abbia ragione.- risponde alla fine il più giovane, lentamente, come se le parole possedessero poteri che gli altri hanno dimenticato.

-È da quando avevi sei anni che non me lo dici, fratellino.-

-Solo perché non l'ho mai ritenuto opportuno.- solleva di scatto il braccio, controlla l'orologio. -Bene, direi che è il momento di tornare. Dobbiamo lavorare su quel caso e...-

-Certo, vai pure. Vai dalla tua ancora, fratellino.-

-Sì.-

-Molto bene. Promettimi solo una cosa, però: rimani stretto qui. A lui. A me. Lo farai?-

Il più giovane lo guarda a lungo, e non c'è inganno né esitazione. -Lo farò.-

É solo allora che si sorridono, ed è lo stesso sorriso che si scambiano da tutta una vita.

 

Capitolo un po' particolare, in uno stile diverso dal solito: ma l'idea mi ha formicolato nella testa da qualche giorno, e ho provato a darle una forma. Spero di riuscire a postare con regolarità, ma devo rispettare i tempi dell'ispirazione...see you soon!

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Capitolo 6
*** Rain - La dolcezza di una conferma ***


Rain – La dolcezza di una conferma

 

La pioggia è fitta e leggera come mussola, e le vetrine di Oxford Street sono cristalli di luce e ambra. Il freddo punge la pelle, ma il braccio di John è tiepido e solido contro il tuo, e l'ombrello nero è abbastanza ampio per tutte e due.

Come il suo cuore.

O come quello che non sapevi di avere.

Camminate lungo il marciapiede, sbirciando oziosamente oltre i vetri delle librerie. È incredibile, come non ci sia bisogno di parlare; è incredibile, come i vostri passi siano in equilibrio: in una naturale sincronia.

La mano di John scivola nella tua e, anche attraverso il guanto, le vostre dita si incastrano con una precisione che sa di dolcezza. I due ingranaggi di un congegno ben oliato. Il tuo sorriso è una linea dura, ma lascia intravedere il cuore.

È in quel momento che vedete la coppia: una giovane dai lunghi riccioli biondi e il volto tondo, un ragazzo allampanato con gli occhiali e un sorriso ingenuo e raggiante. Si tengono per mano, come voi, parlando della festa di Halloween e dell'assurdo costume di una loro amica.

Il tuo sguardo li decifra nel tempo di un respiro: studenti universitari, coppia collaudata, possibile desiderio di sposarsi. Avere una casa con il giardino. Dei bambini. Un cane.

È solo allora che ti accorgi che gli occhi di John indugiano un istante di troppo sui due ragazzi. Ti volti verso di lui, inarcando un sopracciglio.

Sospira, sul volto il ghigno obliquo dei momenti in cui una delle sue vecchie cicatrici torna a pulsare. -Niente. È solo...mi chiedevo se ti capitasse mai di invidiarli.- fa un cenno sbrigativo verso la coppia. -Di invidiare quello che loro possono avere.-

Tu non rispondi; ti limiti a osservarlo, nel modo pensoso e indifeso con cui guardavi da bambino ciò che ti meravigliava. Osservi la curva dolce della mascella, gli occhi che sanno di miele dei giorni di scuola e di sabbia di deserti lontani; quell'intelligenza gentile così diversa dalla tua, che accarezza e non brucia.

Quando parli, è come fai sempre: con una sincerità che sterilizza e penetra fino al cuore. -No- dici -mai.-

Il sorriso di John è la più preziosa delle conferme.

 

Scusate per il ritardo... Spero che questo capitolo grondante miele sia una ricompensa sufficiente per la vostra pazienza. See you soon!

P.S.: Mi piacerebbe immensamente avere qualche fanart dei miei due ragazzi legata ad Autumn...se avete voglia, fatevi avanti!

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Capitolo 7
*** Evening -Una casa a cui tornare ***


Evening – Una casa a cui tornare

 

Quando apre la porta di casa, l'odore gli mozza il respiro.

È indefinibile. Indimenticabile. Un impasto del puzzo sulfureo di un vecchio laboratorio di chimica e di quello della cucina da campo della sua unità. Con una nota dolciastra piuttosto preoccupante.

John si trascina stancamente nel soggiorno, il giubbotto ancora infilato per metà e lo stomaco contratto dai crampi. Il suo pranzo si è ridotto ad un tramezzino ingollato nell'intervallo infinitesimale tra due pazienti, e il turno al Pronto Soccorso gli ha lasciato cucita addosso quella frenesia a vuoto fatta in egual parte di eccitazione e di angoscia. Di frustrazione, mai: aiutare altri esseri umani, aggiustare l'armatura con cui affrontano il mondo, lo riempe di troppa luce per essere una perdita di tempo.

È allora che nota la cappa color piombo che ribolle contro il soffitto. -Sherlock?- chiama, incerto se slanciarsi a digitare il numero dei pompieri o aspettare di ricevere una spiegazione.

E a quel punto, quasi sicuramente, chiamare i pompieri.

-Sono qui, John.-

La voce è calma, limpida come il tintinnio di un metronomo; eppure, non vorresti sentire nessun'altra cadenza prima di addormentarti, né risvegliarti a nessun altro suono.

-Ma che cosa è succe...- John fa un passo in avanti, e rimane impietrito. Dalla nebbia di fumo è emerso il tavolo di quercia, la tovaglia spiegazzata e le posate disposte a casaccio, come da qualcuno, e chissà chi, che non abbia la minima dimestichezza con le faccende domestiche. Sul piatto, un grumo oleoso e scuro da cui, rileva inspirando rapidamente, proviene il mefitico odore.

Accanto, Sherlock lo osserva, gli occhi scintillanti di un sentimento illeggibile.

John serra le labbra, ancora in dubbio se doversi infuriare o preoccupare.

-Ehm, Sherlock?-

-Sì?-

-Che cos'è questa cosa?-.

Nessuna reazione. -La tua cena.-

John passa lo sguardo dal suo amico all'intruglio, e viceversa. Impedirsi di inarcare un sopracciglio è uno sforzo erculeo. -La mia cena?-

Sherlock intreccia le mani di fronte a sé, la bocca severa appena arricciata. Se si trattasse di chiunque altro, potrebbe quasi sembrare a disagio. -É un timballo di carne. Mia nonna lo preparava sempre, quando andavo a cena da lei dopo la scuola. Mia madre -un'esitazione, il tempo di un respiro -mia madre non aveva sempre tempo di cucinare, così spesso io e mio fratello andavamo da lei, la sera. Ho pensato che dopo il turno all'ospedale un cibo sostanzioso fosse l'opzione più auspicabile.-

John lo osserva a lungo: le dita bianche e forti, quel sussulto inspiegabile negli occhi. Non gli ha mai rivelato così tanto di sé, e in modo tanto diretto: senza lasciar cadere cocci polverosi, che tocca poi a lui ricomporre. Non è questo, però: quello che ha bisogno di sapere di Sherlock lo sta imparando nel sapore della sua pelle, nella sua stretta fredda quando sono vicini. Ma è trascorso così tanto tempo da quando qualcuno lo ha accolto con una cena da condividere, da quando è tornato in una casa che profuma di cucina e di un'altra vita, che il sollievo fa quasi male e gli annega lo sguardo.

Trattiene le lacrime e, nella lucidità fragile di quel momento, riconosce cos'è l'emozione sul volto di Sherlock. Incertezza, e un timore che sa di serate solitarie e di sorrisi mancati.

E allora John sorride, e dice le uniche parole che possono contenere tutta la sua gratitudine. -Grazie. Sembra fantastico.-

In fondo, esistono le pizzerie.

 

Capitolo idiota, ma trovo inspiegabilmente adorabile descrivere i miei beniamini alle prese con i fornelli, per cui eccoci qua. Grazie per tutte le vostre splendide recensioni! E mandatemi richieste e spunti per le storie, se volete...See you soon!

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Capitolo 8
*** Fog- del bisogno di un'illusione ***


Fog – del bisogno di un'illusione

 

Non osi neppure respirare, ma la domanda urla.

Arriverò in tempo la prossima volta?

Il vento di Novembre preme contro le finestre dell'ospedale, lana grigia impastata di foglie; sotto di voi, Londra rabbrividisce nella penombra di sussurri e tè caldo dell'alba. Sherlock è disteso nel letto, e il fatto che sia ancora addormentato e non abbia già iniziato a tormentare i medici per tornare al lavoro significa che questa volta la ferita è profonda, troppo profonda. Lo guardi, e ancora una volta ti stupisci di quanto pallidi e leggeri siano i piani del suo volto; di come un'anima che brucia di energia elettrica possa essere racchiusa in un involucro di garza e ossa d'uccello. Non vorresti, ma il ricordo morde prima che te ne renda conto. Il puzzo di benzina e carne marcia dello scantinato in cui hai fatto irruzione con Lestrade. Sherlock raggomitolato in un angolo, un fiore di rosso e nero dove il cappotto e il sangue si incontravano. La sua mano contratta, così bianca, così immobile.

Deglutisci, la nausea un nodo nel mezzo dello stomaco. Nausea per le oscurità che continui a scoprire in quegli stessi uomini che tenti di salvare. Nausea per tutto ciò che stavi per perdere.

Questa volta, sei riuscito a tenerlo con te: hai sentito ancora battergli il petto contro il tuo, hai domato gli squarci che gli ulceravano la pelle. Questa volta, sei riuscito a riportarlo indietro dal ciglio di quell'abisso a cui, per paura o per superbia, hai dichiarato guerra tanti anni fa. Ma la domanda è lì, e sfrega sui nervi.

Arriverò in tempo la prossima volta?

Sapevi che sarebbe stato difficile, fin da quando Sherlock è diventato tuo amico; non sapevi che sarebbe stato insopportabile quando fosse diventato qualcosa di più, anche se non sai ancora definirlo davvero. Sei stato un soldato: sai che una vita può strapparsi nella banalità di un silenzio, e che coloro che danzano sull'orlo del baratro possono sempre fare un passo falso.

Nessuno però pensa mai a quelli che li piangono su quell'orlo.

È in quel momento che Sherlock si muove: le palpebre sussultano, prende un respiro, e due occhi di neve sciolta ti inchiodano alla sedia.

-Deduco che siate arrivati in tempo.- la voce è debole, ma non trema neppure un istante.

Tu sollevi lo sguardo, ed è con un sollievo che sa di rabbia che gli afferri le dita, e le stringi. Per non lasciarle mai. -Questa volta.-

Lui arriccia le labbra, ma non ritrae la mano. Un lupo si addomestica poco alla volta. -Notazione inutile. Valutando il vostro grado di abilità e la mia accuratezza nell'elaborazione dei piani, è altamente probabile che arriverete sempre in tempo. -

Tu rimani fermo, la bocca una linea amara che avvelena il volto. Potresti dirgli che hai visto strategie deflagrare e bruciare chi le aveva elaborate; potresti dirgli che spesso non è l'abilità o la luce di una mente a salvarti, ma solo una maledetta fortuna. Potresti dirgli che hai visto troppi amici tornare imprigionati in corpi spezzati, perché ogni sua ferita non ti strappi un pezzo di cuore.

Potresti, ma non lo farai. Perché se hai imparato qualcosa, stringendo le dita dei tuoi pazienti mentre sprofondavano nel buio, è che tutti gli uomini, anche i più eccezionali, hanno bisogno di un'illusione dolce. Di una certezza fatta di niente e di luce, che rimanga salda nell'entropia del mondo.

Perciò sorridi, e ingoi la paura. -Certo. Arriveremo sempre in tempo.-

E se sei tu la certezza di questo grande uomo, va bene.

La tua è un bisturi, e la mano che ti stringe.

 

Scusatemi, ma mi piace troppo il Watson crocerossino...

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Capitolo 9
*** Chestnut - Il giusto ingrediente ***


Chestnut – L'ingrediente giusto

 

La signora Hudson non spia; osserva.

Un po' per affetto e un po' per nostalgia, si sente moralmente tenuta a vigilare sui suoi giovani, complicati inquilini; perché, nonostante ciò che ama lasciar credere agli altri, è molto meno svagata di quanto possa sembrare, e non le sono sfuggite le crepe negli occhi di quei due; crepe fini, che sfuggono agli sguardi di stima o di odio, ma che possono affiorare certe sere, davanti ad una tazza di tè e miele, o nella solitudine lanosa di un'alba di nebbia. Piccoli momenti, in cui non sono eroi di fronte ad un nemico formidabile, ma uomini. E gli uomini, anche i più straordinari, desiderano davvero solo una manciata di cose: una casa, lo slancio per vivere un'avventura, e qualcuno da cui tornare dopo averla affrontata. I tre ingredienti per poter essere felici. Dunque, la signora Hudson è determinata a non smettere di vegliarli fino a quando non abbiano avuto anche loro l'occasione, non la certezza, di raccogliere tutti e tre gli ingredienti

Se il dolce lieviterà, è responsabilità loro, non sua.

È per questo che anche oggi è passata di fronte alla loro porta, portando due piatti della sua famosa torta di castagne; stava per bussare, quando ha sentito le voci.

-No, John. La mano deve essere fluida, ma precisa.-

-Come diavolo faccio a comandare tutte le maledette dita insieme?!?-

-La tua abilità chirurgica dovrebbe venirti in aiuto.-

-Io ho le mani ferme, non ballerine.-

La signora Hudson sapeva che avrebbe dovuto ritirarsi e tornare più tardi; una vera signora si sarebbe comportata così.

Ma talvolta una vera signora può infischiarsene.

Ha spinto la porta, solo uno scampolo di luce e tepore. E ha spalancato gli occhi.

John teneva tra le mani il violino, le dita contratte in una posa impacciata. Dietro di lui, Sherlock lo circondava con le braccia, l'espressione aggrottata e lievemente incredula.

-Non posso credere che tu non riesca a capirlo, John.-

-Bè, considerato che il mio vertice musicale è stata la recita di quarta elementare, era prevedibile.-

-Mi rifiuto di crederlo- ha replicato lui, una fessura testarda che gli incideva la fronte. -Ecco, devi mettere le mani così.-

Sherlock si è teso in avanti, ed è stato un attimo: non è cambiato nulla, eppure le loro mani si sono sfiorate un istante di troppo, i loro volti erano appena troppo vicini. Si sono fermati, in silenzio, nella luce di grano di Settembre, oscillando sul ciglio dolce di quel nuovo sentiero. Sulla punta di pan di zenzero di quel nuovo ingrediente.

Poi le mani di Sherlock hanno guidato quelle di John, lentamente; i tratti angolosi sfumati, come mussola attorno al metallo.-Ecco, in questo- un'esitazione -in questo modo.-

Le dita di John hanno tremato sotto quel tocco; ma solo per un istante. Il tempo di scrollari di dosso una vecchia pelle. -In questo...questo modo.-

La signora Hudson ha chiuso la porta con circospezione, un sorriso sornione sul volto, e ha riportato i dolci in cucina gongolando.

Dopotutto, forse il dolce lieviterà.

 

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