Avrai di Yuna Shinoda (/viewuser.php?uid=30027)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 ***
Capitolo 2: *** 2.2 ***
Capitolo 3: *** Nuova Amicizia ***
Capitolo 4: *** La fantasia ***
Capitolo 5: *** La lunga attesa ***
Capitolo 6: *** Non è finita ***
Capitolo 7: *** Troppo persa... ***
Capitolo 8: *** A & A ***
Capitolo 9: *** Second Time ***
Capitolo 10: *** Via ***
Capitolo 11: *** La Fine? ***
Capitolo 1 *** 1.1 ***
Avrai
sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli e stelle
storie fotografate dentro un album rilegato in pelle…
Avrai
due lacrime più dolci da seccare
avrai una donna acerba e un giovane dolore
viali di foglie in fiamme ad incendiarti il cuore
avrai una sedia per posarti e ore vuote come uova di cioccolato
ed un amico che ti avrà deluso
tradito e
ingannato...
Avrai, avrai, avrai il tuo tempo per andar lontano,
camminerai dimenticando, ti fermerai sognando...
Avrai, avrai, avrai la stessa mia triste speranza
e sentirai di non avere amato mai abbastanza
Avrai - Claudio Baglioni
Manca poco,
amore mio.
Ormai ci siamo, ancora poche settimane e…
Spero di riuscire a comportarmi bene, spero di
riuscire a dimenticare tutto. Spero che tu mi faccia dimenticare tutto.
Sono ancora molto giovane, ma sento già che cresce
in me l’istinto di protezione come quello che hanno le madri
con i propri
cuccioli… Adesso lo capisco.
Si desidera per le persone il meglio, si cerca di
far andare la vita nel modo più giusto possibile, si tenta
di dimostrare amore
e si tenta d’essere altruisti quando poi ti viene restituita
solo…
indifferenza.
Così è
andata a me, ma a te non auguro una cosa del genere.
Sapessi
già quanto ti amo, e tu sei l’unica cosa che mi
lega a lui.
Vorrei
che mi facessi rimembrare dell’amore che provavo per
lui… Lui.
Chissà se
è stato solo frutto della mia fantasia.
“Sarà
come se non fossi mai esistito”, disse.
Versai
delle lacrime, ma non fu nulla a confronto di ciò che passai
dopo.
Non ti
assicuro che non soffrirai nella vita, anche tu, come me, per una donna
che
magari non ti merita oppure vuole solo usarti.
Gli amici
ti inganneranno e ti tradiranno, stanne certo, e spesso non riuscirai
ad
uscirne subito; ma ce la farai.
Come me.
Come
penso di aver fatto durante questi mesi in cui lui non c’era.
Un
periodo in cui non ho smesso mai di pensarlo anche quando ho deciso di
stare
con l’altra punta del triangolo.
Forse ci
avrei dovuto pensare su.
Penso di
no. Non
c’erano alternative. Mi aveva
fatto a pezzi.
Mi aveva
detto di non amarmi, di non volermi più.
E poi… ho
saputo del tuo arrivo, e ho deciso di condividerlo con qualcuno.
Guarda
che la vita sarà anche sorrisi e cieli da contemplare,
sarà piena di sogni
infranti e sogni che invece realizzerai; ci sarà di
tutto… Ma sono sicura che
lo vivrai al meglio.
Spero
solo che non ti capiti la mia stessa sorte… Cerca di amare
tutti allo stesso
modo, di farli sentire bene, di dimostrargli il tuo bene, la tua
lealtà.
Cerca di
trovare una donna che ti voglia bene e che ti ami…
Poiché ti può capitare di amare
ma non abbastanza, come me, che ho dimostrato amore immenso e ho
ricevuto solo
un triste addio.
Chi sa se
immagina la tua esistenza… Chi sa se solo lo immagina.
Scritta in un momento un po' triste, non sono ancora sicura se
continuare questa fanfic... dipende tutto da voi, perchè
forse non la trovo tanto tanto bella, poichè quando scrivo
di cose tristi faccio scendere l'umore sotto i piedi XD... ma ho deciso
di postarla...
Grazie se
commentate, ne sarò contenta. =)
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Capitolo 2 *** 2.2 ***
…e
poi mi perderò,
tra braccia che non so,
ma è me che tradirò
ma qualcosa devo fare, se vivere è un dovere,
riuscissi almeno odiarti riuscire a immaginare
un'altra vita
un brivido, un segnale
un gesto di speranza in questo temporale
e
mi fa piangere
la mia fragilità
difendere il mio orgoglio non so più
e non mi consolerà nessuna verità
e niente serve a niente
se tu non tornerai
un'altra vita, qualunque vita sia
è solo un cielo spento, un'ultima bugia
Roberta
Bonanno – L’ultima
Bugia
La vita era
diventata una grossa gabbia di dolore.
Nulla andava
bene, nulla era come avevo progettato
mesi fa.
Ricordo tutto
come se fosse ieri…
Io che ti
stringevo la mano forte, in modo che tu
capissi quanto fossi
importante per me…
Tu mi guardavi negli occhi in un modo tale che chiunque avrebbe
obiettato che
il nostro fosse amore vero.
Al mio
compleanno, poi, prima dello spiacevole
incidente nel salone di casa tua, mi dicesti che avevi un regalo per
me.
Inizialmente
fui contraria, sapevi quanto odiavo
ogni tipo di regalo.
“Non
preoccuparti, non è nulla di costoso”, mi
dicesti sorridendo facendo l’occhiolino.
Mi copristi
gli occhi con un pezzo di stoffa
rosso, mi caricasti sulle tue spalle e corremmo via veloci.
Non avevo
idea di cosa si trattava finché non
arrivammo a destinazione.
Mi levasti la
benda senza parlare, aspettando la
mia reazione che giunse veloce…
Mi avevi
portato nella nostra radura, che adesso
era dominata da un piccolo tavolo di legno con tutte le prelibatezze
più
ricercate.
Rimasi
estasiata dalla tua sorpresa, davvero non
me l’aspettavo.
Mangiai quasi
tutto, mentre il tuo occhio attento
mi osservava dolcemente.
Poi mi
chiedesti “C’è qualcos’altro
che vorresti?”.
Naturalmente
la mia risposta fu che volevo che mi
cambiasse. Volevo essere come lui.
Lui
però fu come al solito restio, e mi chiese di
scegliere dell’altro.
Qualunque
cosa ma di trasformarmi non se ne
parlava proprio.
Istintivamente,
pensai che quello era il momento
giusto.
C’era
luce, c’era atmosfera, c’era
amore.
“Io…
io ti voglio” riuscì a dire, senza usare
altri termini.
Lui lo
capì.
Mi venne
vicino e mi accarezzò piano la guancia
facendomi venire i brividi.
Iniziò
a baciarmi anche i capelli e il collo,
passando le sue mani gelide lentamente su ogni parte del mio corpo.
All’inizio
provai freddo, ma dopo mi abituai alla
temperatura fredda del suo corpo e quando entrò in me, fu la
cosa migliore del
mondo.
“Buon
compleanno, Bella” mi disse, durante il
momento più alto del nostro piacere.
Non usammo
nessuna precauzione, lui non era
come tutti gli altri uomini.
Dopo la
brutta questione del piccolo taglietto sul
mio dito, e il suo attacco quasi famelico per mandarmi il
più lontano possibile
dai denti di suo fratello, iniziò a sentirsi in colpa.
Era diverso,
non era più lui.
Capì
che qualcosa era cambiato da quel giorno.
Tutto divenne
più chiaro, quando mi disse addio,
scomparendo nella foresta fitta.
E da
lì iniziai a star male, non solo per il
dolore che avevo dentro a causa del suo abbandono, ma anche
perché non potevo
credere di essere stata ingannata…
Non parlavo e
non mangiavo da giorni, che
improvvisamente iniziai a vomitare molto spesso.
Sempre. Per
circa due mesi.
Charlie
iniziò a preoccuparsi, così chiamò di
nascosto un sua amico medico
per farmi
visitare.
All’inizio
non capì cosa avessi, ma dopo i
risultati delle varie analisi che feci, ne fu certo.
“Charlie…
E’ difficile da dire, sai perché la
ragazza è giovane, ma… è
incinta”.
Papà
rimase di sasso, iniziò a farmi domande verso
il quarto mese, quando ormai la mia pancia era un po’
cresciuta e s’iniziava
già ad intravedere.
Io non gli
dicevo nulla, conscia di chi era quel
bambino.
Suo padre non
l’avrebbe mai conosciuto.
Poi iniziai a
rivedere Jacob…
Standoci
insieme a La
Push, mi accorsi che ci stavo
davvero bene, che in un certo senso quasi dimenticavo un po’ lui.
Furono tante
le volte che ci provò, ma io non
accettai mai.
Non volevo
dimenticarlo. Ma poi decisi.
Una sera,
durante un falò, Jacob ci riprovò.
Quella volta
non riuscì a fermarmi, non so nemmeno
io perché.
“Questo
cosa vuol dire?”, mi chiese.
“Vuol
dire che ti voglio bene” risposi, “ma come
amico”.
Da quel
giorno, poi, non osai più toccare le sue
labbra, anche se considero spesso la voglia di farlo.
Ho
riflettuto, e se tutto andrà bene, lo
troverò.
Troverò
tutti.
E
così eccomi all’aereoporto di Seattle.
Ieri
è scaduto l’ottavo mese della mia gravidanza
e tra un po’ il bambino nascerà.
Ma io voglio trovarli.
Voglio rivederlo. Voglio
che sappia di suo figlio.
Inizierò
da Portland, in Oregon, e poi andrò in
altre regioni.
Ma…
li troverò.
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Capitolo 3 *** Nuova Amicizia ***
If I could, then I would,
I'll go wherever you will go
Way up high or down low, I'll go wherever you will go
And maybe, I'll find out
A way to make it back someday
To watch you, to guide you, through the darkest of your days
If a great wave shall fall and fall upon us all
Then I hope there's someone out there
Who can bring me back to you
Se
potessi,
allora vorrei
Andrò dovunque andrai
Dal luogo più alto a
quello più basso*
Andrò dovunque andrai
E forse, scoprirò
Il modo per ritornare un giorno
Per guardarti, per guidarti
Attraverso il più
oscuro dei tuoi giorni
Se una grande onda dovesse
cadere
Travolgerebbe tutti noi
Bene io spero che ci sia
qualcuno
Che possa riportarmi da te
The Calling – Wherever you will go
Il viaggio
verso Portland
non fu faticoso.
Presi un volo
lowcost,
tanto perché non navigavo nell’oro, ed arrivai in
città verso le 20.30.
L’aeroporto
era quasi
deserto, solo le persone che erano sul mio volo mi facevano compagnia.
Mi diressi
subito verso
l’uscita, dovevo trovare un ostello o un hotel prima che
facesse notte.
Iniziai a
camminare più
veloce – più veloce di quanto il mio peso mi
facesse andare – e raggiunsi
l’uscita dopo un tempo brevissimo.
Andai a
prendere il
bagaglio e mi diressi subito verso una zona dove c’erano si e
no dei taxi.
I almeno
così credevo.
Avvicinandomi
di più,
notai che erano tutte macchine, il taxi era solo uno.
Avanzai il
passo per
cercare di arrivare prima, così che nessun altro passeggero
avesse potuto prendere
quella vettura.
Però
come al solito non ci
riuscivo.
Ero troppo
pesante, non
riuscivo nemmeno a camminare in linea retta!
La mia
lentezza non fu
dalla mia parte.
Pochi passi
più in là, un
ragazzo mi sorpassò.
- Hei!
– gridai, con tutta
la voce che avevo – Serve a me il taxi! -
- Scusami,
sono in ritardo! – Fece lui.
- Ed io sono
incinta. –
Si
fermò e si voltò per guardarmi.
Mi
squadrò da capo a piedi, e chiese al
tassista di aspettare.
- Scusami,
non ci avevo fatto caso -
- Pochi ci
fanno caso – risposi acida.
- Allora, chi
prenderà questo taxi? –
- Di regola
dovrei prenderlo io, visto che non
mi reggo nemmeno in piedi –
- Giusto.
Però io devo andare in un posto, non
posso proprio fare tardi –
- Caro mio,
mi dispiace ma anche io sono in
ritardo! –
- Dove devi
andare? –
- Cerco un
ostello o qualsiasi cosa per
dormire –
Ma
perché gli stavo dicendo tutto questo? Ah,
sì, per farmi prendere quel dannato taxi.
- Ho
un’idea. Io vado dove devo andare e tu
vieni con me. Poi ti accompagno con la mia macchina in un albergo. Ti
và? -
-
E’ l’unica idea che ti è venuta in
mente? –
- Sono poco
fantasioso –
- Va bene,
dai che sono stanca! –
Annuì.
Entrai nella
macchina con quel tizio.
Il sedile
posteriore era molto spazioso, così
mi avvicinai sempre più impercettibilmente verso il
finestrino sinistro della
vettura.
Il ragazzo
entrò poco dopo nell’auto,
fissandomi con aria stupita.
- Ti faccio
così paura? -
-
Ehm… no. E’ una distanza di sicurezza. –
Iniziò
a ridere.
- Sai che sei
proprio simpatica? -
Non gli
risposi.
Perché
si fissava di voler parlare con me? Io
volevo solo una stanza d’albergo per dormire!
Cercai di
ignorarlo e guardai fuori dal
finestrino.
Era tardi,
tutti i negozi erano chiusi e
l’unica cosa ad illuminare le strade erano le insegne
colorate dei vari “Gucci”
o “D&G” oppure altri negozi simili.
Mi
meravigliai nel vedere tutti negozi di
lusso in quella via.
La mia
espressione era a dir poco
meravigliata.
A Forks non
c’erano negozi simili…
Improvvisamente,squillò
il mio cellulare.
Sobbalzai,
ero ormai abituata al silenzio
dell’abitacolo che non mi resi conto che stava squillando
ormai da alcuni
secondi.
Il ragazzo mi
fissò, curioso.
-
Bhè, non rispondi? -
- Fatti gli
affari tuoi. –
Presi il
cellulare e lessi il numero sul display.
Bene, non
avrei atteso tanto per questa
telefonata. Jacob.
- Pronto?
– dissi sottovoce.
- Bella?
Bella? –
- Dimmi,
Jacob, che c’è? –
- Bella dove
sei? Tuo padre è arrabbiato,
tutti nel branco sono allarmati. Vuoi aiuto? Vuoi che ti vengo a
prendere? –
- Jacob, per
favore. Sono grande ormai.
Tornerò quando sarà necessario. Quando
saprò che tutto quello che sto facendo è
vano. –
-
Vuoi… trovare… lui? –
Esitai nel
rispondere. Cercai di parlare più
piano possibile per evitare che il mio compagno di viaggio potesse
ascoltare i
fatti miei.
- Si. Devo
convincermi che non era un sogno. -
Mi stavo per
commuovere.
Una lacrima
mi rigò il volto quando ripensai a
lui. Lui che mi toccava, lui che diceva di amarmi.
Non
è possibile che sia stato tutto un sogno.
Per mia
fortuna la lacrima mi scese
dall’occhio verso cui guardavo fuori, così non
avrei dovuto dare spiegazioni al
tizio che mi era accanto.
-
Bella… Pensa. Pensa che il tuo bambino sta
per nascere. Pensa a lui, cazzo! -
Credimi, ci
penso. Penso anche però
all’esistenza del mio bambino senza suo padre.
Se
riuscirò in questa ricerca… Se
riuscirò a
trovarli, a fargli sapere tutto… Solo allora sarò
felice.
Potrà
anche dirmi di non volermi più, di
essere ormai disinteressato al mio amore. Però voglio solo
confermare a me
stessa che non è stato tutto una pura illusione.
- Jacob, per
favore. Ci sentiamo. -
- Sei troppo
cocciuta. Cosa dirò a Charlie? –
-
Digli… la verità. Per favore, Jacob. Non
farlo venire qui. Voglio provarci, diglielo. –
Non sentivo
più nulla dall’altra parte del
ricevitore.
Improvvisamente,
Jacob parò di nuovo. Questa
volta la sua voce era rotta dai singhiozzi, anche se non voleva farmelo
sentire.
-
Va… bene. A malincuore… lo farò.
Ma… se
avrai bisogno di aiuto…. Chiamami. Anche di notte. Io per te
ci sarò sempre. -
Adesso non
riuscivo più a trattenermi.
Le lacrime
iniziarono a sgorgarmi copiose e mi
bagnai tutto il viso.
Sapevo che
voleva solo il bene per me. Per
questo soffrivo.
Sapevo che
andare via da Forks era forse uno
sbaglio, ma volevo tentare, a costo di scontrarmi con un muro nero in
un vicolo
cieco per l’ennesima volta.
Il mio volto
era già stato graffiato dalle sue
parole una volta, una seconda non sarebbe stata dolorosa.
-
Ciao… Jacob. – cercai di dire, non volevo
stare al telefono con lui troppo a lungo. Mi faceva star male. Attaccai.
Non osavo
girarmi verso destra.
Di sicuro il
mio compagno di viaggio mi stava
fissando e stava pensando qualcosa su di me.
Su chi mi
avesse chiamata ed i motivi del
perché. Perché ero lì, sola e incinta.
Appoggiai la
testa allo schienale del sedile e
mi lasciai andare guardando il panorama che veloce passava fuori. Poi,
mi
addormentai senza pensieri.
Per un tempo
che non ricordai, dormii nella
vettura.
All’improvviso,
sentì qualcosa che mi toccava.
Ero intontita, non avevo dormito dalla sera prima perché i
calci del bambino me
lo avevano reso impossibile. Non avevo nemmeno mangiato, non ne avevo
avuto il
tempo.
Aprii gli
occhi. Era lui. Il tizio accanto a
me intendo.
- Hei! Siamo
arrivati. - La sua
voce era dolce e premurosa.
Con una mano
mi strofinai gli occhi, e, con il
suo aiuto, uscì dalla vettura.
A malapena mi
reggevo in piedi, quel tipo fu
davvero gentile che mi aiutò a camminare stringendomi a lui.
Il peso del viaggio
iniziava a farsi sentire. Il ragazzo raggiunse una panchina e mi
aiutò a farmi
sedere.
-
Ahia… - feci, perché il bambino nemmeno
quella sera voleva darmi pace.
- Cosa
succede? – Sempre più premuroso o…
curioso.
- Niente.
–
Di nuovo.
Accusai un dolore allo stomaco e in
più sentii un rumore assordate.
Cercai di
guardare in un’altra
direzione, sapevo che mi stava
osservando, ora più che mai che nella macchina, dato che qui
le luci erano più
alte.
Lo fissai
anche io e lui si voltò, cercando di
nascondere la curiosità.
Ora che lo
vedevo bene, era molto carino.
Aveva dei
capelli arruffati ma lucidi di
colore castano. Gli occhi non riuscivo a vederli dato che era girato,
ma pensai
fossero verdi. Restai imbambolata a vederlo che non mi accorsi quando
si girò
nuovamente verso di me. Si, erano verdi.
Mentre lo
fissavo, un nuovo rumore – più
imbarazzante di prima – mi scosse.
Un leggero
brontolio della pancia… Avevo fame.
Molta fame.
- Questo non
mi sembra niente. – disse ironico
e divertito.
- Credimi,
sto bene. –
Ripartì.
Il rumore che sentii dopo fu ancora
più assordante di prima.
- Cara,
adesso che arriva il mio amico ti
porto a mangiare. Chi sa da quanto tempo non mangerai! -
- Eh? Cosa?
Il tuo amico? –
Già
era stato troppo accettare la proposta di
uno sconosciuto… Ancora peggio se ce n’era un
altro!
-
Sì. La macchina non è mia, ma io e lui
dovevamo vederci questa sera, quindi… -
- Ah.
–
- Eccolo
lì. – Indicò un’automobile
nera
fiammante che stava venendo proprio verso noi due.
La macchina
frenò quasi impercettibilmente.
Avrei giurato che andava come un lampo. Amaramente, nel modo di
frenare, mi
ricordava la
Volvo
di… lui.
Il ragazzo si
era già alzato, corse verso
l’auto e vidi un finestrino abbassarsi.
- Abbiamo un
ospite. – disse al ragazzo che
vidi comparire dalla vettura.
Lui
gettò uno sguardo verso di me, quasi
esaminandomi.
- Ah. Nessun
problema. -
Il ragazzo si
girò verso di me, venendomi
incontro.
- Allora?
Vieni qui che ti porto a
destinazione! -
Mi alzai, mio
malgrado, dirigendomi verso la
portiera di dietro.
Il ragazzo,
senza che me ne accorgessi, si
diresse velocemente ad aprirmi la portiera. Quel gesto, così
come la frenata,
mi ricordò nuovamente il mio unico amore.
Cercai di
eliminare dalla mente quelle
immagini del passato che mi ricordavano quel gesto, entrai
nell’auto e mi
accoccolai sul sedile in pelle beige.
I due ragazzi
misero un po’ di musica. Niente
di serio, era quella brutta roba commerciale che si metteva nelle
discoteche.
- Allora,
dove ti porto? – chiese l’altro
ragazzo.
-
Io… io non lo so. –
Vedevo dallo
specchietto che fece una faccia
strana.
-
Come… non lo sai? -
- Ora ti
spiego. Ho incontrato questa bella
ragazza all’aeroporto, volevamo prendere lo stesso taxi ed
era tardi. Così le
ho proposto di cercare un albergo perché è appena
arrivata. – Si girò verso di
me e mi sorrise.
- Ah. Scusa,
perché non la porti a casa tua e
lo cercate domani? Hai una reggia! –
Eh? Io andare
a casa di quel tizio? E chi mi
garantisce che non è un maniaco, un approfittatore?
Restai
allibita e dalla mia espressione si
notava chiaramente.
- Hei, non
è mica una cattiva idea! - disse –
Ti và? -
Pensai. Se
avessi detto di no di sicuro avrei
dovuto passare una notte al freddo senza aver mangiato nulla. Il
bambino ne
avrebbe di sicuro risentito. L’avrei fatto per lui.
-
O…ok. – dissi esitante.
- Allora a
casa mia – disse lui.
La macchina
cominciò a sfrecciare veloce
sull’asfalto, quasi come se fosse la padrona della strada.
“Non
pensarci, non pensare a nulla”, mi
ripetevo, assalita nuovamente da un suo
ricordo.
Tutto il
paesaggio attorno si muoveva
velocemente, come un uragano potente.
Il viaggio,
che mi sembrò cortissimo, durò un
quarto d’ora.
Quando ci
fermammo, non riuscii subito a
vedere ciò che circondava perché non
c’era illuminazione.
Ero stanca e
avevo fame e sonno. Il bambino
continuava a darmi sui nervi con i calci che avrei desiderato non
averlo più.
La macchina
si fermò.
Non ebbi
neanche il tempo di aprire la
portiera che il ragazzo si precipitò ad aprirmi.
-
Prego… - mi disse con voce suadente.
Non risposi,
quello era già troppo.
Mi
aiutò a camminare e prese il mio bagaglio.
Arrivammo sotto un grande portico, la casa sembrava enorme da
lì. Prese dalla
tasca le chiavi e aprì. Notai che il suo amico non era
venuto con noi.
- Allora, tu
questa notte puoi stare di sopra.
-
- Va bene
–
- Ti mostro
la strada –
Mi condusse
verso una scala. Salii
appoggiandomi al corrimano per non cadere.
Svoltammo a
destra ed entrammo in un lungo
corridoio. Poi si fermò davanti ad una porta.
- Ecco, entra
-
Mi fece
spazio ed entrai. Era carina. C’era un
letto a due piazze al centro ed anche un armadio ed una scrivania e una
televisione.
- G
– grazie – riuscì a dire.
- Nel tuo
stadio era impossibile non fare un
gesto così. A proposito… non voglio essere
invadente ma mi piacerebbe sapere
come ti chiami –
-
Io… sono Isabella. – sospirai – Bella.
– mi
corressi.
-
Bella… Uhm. Io sono Dean. –
- Molto
piacere. –
- Piacere
mio – mi rispose sorridendo.
Un nuovo
rumore arrivò dal mio stomaco.
- Oh. Hai
fame. Vieni giù che ci prepariamo
una bella cena -
Scendemmo le
scale e mi portò in una bella e
spaziosa cucina.
Mi disse di
sedermi dove volevo, lui avrebbe
preparato qualcosa di veloce che avrei potuto mangiare.
Fece prima di
subito. Mi portò un piatto di
spaghetti con il sugo che apprezzai moltissimo.
- Ti sono
piaciuti? -
- Si, molto.
– Non volevo fargli credere
troppo.
Iniziammo
allora a parlare… Cose futili, di
tutti i giorni. Più che altro commentavamo il telegiornale
che aveva
sintonizzato sul plasma.
Poi
arrivarono le domande personali. Direi,
più che lecite, adesso.
- Tu da dove
vieni? -
- Forks,
vicino Seattle. – risposi sintetica.
- Ah. Io nel
tuo stato non mi sarei mai mossa
da lì. E’ un po’ lontanuccio…
Scusa, se posso… Perché sei venuta qui?
–
Mi inebriai
di adrenalina. Ora più che mai,
ero sicura che ciò che stavo facendo era giusto.
Dovevo
trovare il padre di mio figlio, o
almeno ci avrei provato.
-
Io… io sono venuta per… - mi accarezzai la
pancia.
- Tuo figlio.
–
- Esatto.
–
-
Sei… giovanissima. –
-
Ho… 18 anni – la mia voce sembrava un
sussurro.
Vidi il suo
sguardo pensieroso.
- Stai forse
cercando… - vidi che ci andava
cauto – il padre del bambino? -
Annuii. Non
riuscivo più a parlare.
- Che
stronzo. -
Mha, questo
Dean non conosceva nemmeno lui e
lo dichiarava stronzo. Tutti i torti non li aveva, dato che aveva
lasciato me
incinta e se n’era andato. No. Lui se n’era andato
senza sapere che io fossi
incinta. Ritiro tutto quello che ho detto.
Non risposi.
-
Cioè… se io fossi stato in lui non avrei mai
lasciato una ragazza carina come te… con un figlio in arrivo
-
- Non
sapeva… - Lo difesi.
- Non
è comunque un buon motivo. –
- Ho deciso.
Sono molto dispiaciuto per te…
quindi, visto che ufficialmente dormirai nella mia casa…
Voglio aiutarti. Non
ti lascerò andare in nessun albergo. Starai qui
finchè non lo troveremo. –
-
Ma… non è sicuro che è a Portland.
–
- Non
m’importa. Ti aiuterò anche se si trova
a Washington. -
Ciao!
come vedete ho aggiornato anche questa storia. Prima di dormire, mi
è venuto in mente un continuo e l'ho scritto. Spero vi
piaccia, presto posterò anche nuovi capitolo delle altre
storie!
Baci,
Yuna
|
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Capitolo 4 *** La fantasia ***
Say
it, say
it, say what you believe
Say it, say it, say it to me
Do you live, do you die, do you bleed
For the fantasy
Automatic, I imagine, I believe
Do you live
Do you die
Do you bleed
For the fantasy
Do you live, do you die, do you bleed
For the fantasy
In your mind, through your eyes, do you see
It's the fantasy
Automatic, I imagine, I believe
Automatic, I imagine, I believe
Dillo, dillo,
dillo che credi
(Automatico, immagino, credo)
Dillo, dimmelo
(Automatico, immagino, credo)
Vivi, muori,
sanguini
Per la fantasia
Automatico, immagino, credo
Vivi
Muori
Sanguini
Per la fantasia
Vivi, muori, sanguini
Per la fantasia
Nella tua mente, nei tuoi occhi, vedi
È la fantasia
Automatico, immagino, credo
Automatico, immagino, credo
The
fantasy - 30 seconds to Mars
Il giorno
seguente mi svegliai alla buon ora.
La stanza che
mi aveva data Dean era molto
accogliente, il letto su cui avevo riposato molto ricco e morbido.
Sembrava
proprio che non potessi farci nulla se attiravo solo ragazzi con un
conto in
banca stratosferico…
Vidi che
nella stanza c’era un piccolo bagno.
Tanto meglio.
Mi diressi
lì e velocemente mi lavai perché
così avrei avuto l’occasione di cercare
più a fondo quella mattina assieme a
Dean. Chissà se quello era il posto giusto.
Scesi infine
in cucina.
Nella grande
stanza, notai subito Dean che,
seduto alla grande tavola di vetro, trangugiava una ciotola di latte
con i
biscotti. Impaziente, sentii che il mio stomaco brontolò.
Lui sentì subito la
mia presenza. Iniziò a fissarmi mentre scendevo gli ultimi
gradini. Improvvisamente
le sue labbra si curvarono in un sorriso.
Quando scesi
anche l’ultimo gradino, mi
salutò.
- Buongiorno,
Isabella. Dormito bene? -
- Bene,
grazie. La stanza era accogliente. –
-
Bhè, è servita a qualcosa almeno. Non
c’è
mai nessuno qui –
Nei suoi
occhi leggevo un po’ di malinconia.
Che l’avessero sempre lasciato solo, così?
Vidi che al
centro della tavola c’era una
grossa brocca di latte, e, accanto ad essa una ciotola come quella di
Dean. Lui
mi aiutò a prenderla e a versare un po’ di liquido
bianco nella mia ciotola.
Iniziai subito a bere. Avevo una grossa fame!
Da quando
avevo scoperto di essere incinta
tutto ciò che mangiavo era doppio. Non riuscivo a mangiare
solo un panino. No.
Ne volevo due. Temevo di vedermi ingrassata dopo la nascita del
piccolo.
Quella
mattina stranamente era molto calmo,
non aveva ancora cominciato con i calcetti che mi facevano
costantemente
ricordare la sua presenza.
Ero assorta
nei miei pensieri, completamente.
Pensare al bambino mi aveva anche fatto pensare a suo padre. Nella mia
mente,
vedevo o cercavo di vedere sbiadita l’immagine
dell’uomo che aveva rapito il
mio cuore. Lui, una folta chioma bronzea, che giocava con il bambino.
Lui che lo
alzava in aria ripetendo quanto mi
somigliasse o quanto fosse carino.
Lui…
lui che solo Dio sa dove si trovi.
Improvvisamente
mi sentii toccare.
Dean, con una
mano molto bollente mi stava
richiamando alla realtà.
- Bella? -
- Si?
– sussultai, quando mi accorsi di essere
troppo soprappensiero.
- Non ti
vedevo più… Sbattere ciglio. Stavi
pensando a qualcosa? –
- Si, scusa,
ero soprappensiero. Pensavo a mio
padre, a Forks. – Mentii.
- Ti manca? -
-
Bhè, certo. Mi mancano tutti. Non mi
perdoneranno mai per ciò che sto facendo. – Avevo
uno sguardo assorto, guardavo
la ciotola di latte e giravo furiosa il cucchiaio nel contenitore.
- Capisco. Li
vorresti chiamare? Non mi
importa se è un’interurbana –
Il mio volto
si illuminò.
Semmai, anche
se non potevo annunciare ai miei
amici, coloro che mi aspettavano a Forks, che stavo tornando e che ero
riuscita
a combinare qualcosa… Avrei sentito almeno la loro voce. Mi
bastava anche la
voce di Jacob per farmi sentire meglio. Speravo che avesse cambiato
idea.
Dean mi
passò il telefono.
Da quando
dissi a Jacob del mio stato, prese
un cellulare per stare sempre in contatto con me, qualora ne avessi
avuto
bisogno. Qualora ci fosse stato qualche vampiro che avesse voluto
uccidermi. Ma
tanto lì ormai forse non c’era più
nessuno.
Composi il
numero. Mi tremavano le mani, così
sbagliai una cifra e dovetti ricomporre tutto dall’inizio.
Sentii che stava
chiamando, adesso.
Tu…
Tu… Tu… - Pronto? – Rispose la voce
calda
che amavo così tanto.
- Jacob? -
- Bella?
Sei… sei… Tu? –
- Si, proprio
io. –
-
Stai… bene? –
- Benissimo.
Volevo sapere te e gli altri… -
- Charlie
è… distrutto. Voleva venire a
cercarti di persona ma gli ho detto che l’avrei fatto io.
–
- Tu?
Venire… qui? –
- Non
c’è nulla di male, Bella. Tu sei… mia amica, è naturale che voglia
aiutarti
anche se penso che tu stia compiendo una pazzia. –
- Jacob.
Resta dove sei. Starai meglio lì, con
Charlie. Potrai dargli un sostegno. Si fida di te. –
- No. Troppo
tardi. Sono già all’aeroporto. –
Di colpo il
mio volto divenne allarmato.
Dean se ne
accorse e mi fece delle occhiate
strane.
- Sei un
pazzo! -
- Mi vieni a
prendere? – sempre il solito
stupido.
- Certo,
Jacob, sicuro! – Gli attaccai il
telefono in faccia.
Quando
rialzai gli occhi – ero molto
imbarazzata così per un po’ di tempo fissai la
finestra – Dean aveva intuito
qualcosa. I suoi occhi erano sospettosi e curiosi.
- Sta venendo
qui. -
Annuii.
- Non te ne
andrai, l’ho promesso. Visto che
lui è un tuo amico… gli concedo di stare qui con
te. -
Sorrise.
Sembrava ci conoscessimo da tempo,
invece era solo da poche ore. Seppur poche ore, si era dimostrato molto
più
leale di molte altre persone che conoscevo.
Dovevamo
andare a prendere Jacob
all’aeroporto.
Dean prese
una delle sue macchine meno
appariscenti – ne aveva tre – una Mercedes C 320
nera.
Troppo
inosservati saremmo passati.
Appena la
vidi mi ricordò la macchina di…
Carlisle. Modello simile, stesso colore. Aveva anche i vetri scuri come
la sua.
Solo che a lui serviva quando c’era sole e… Basta.
Stavo cercando di
dimenticare quei piccoli particolari che rendevano lui e la sua
famiglia…
speciali.
Arrivammo
subito.
Dean guidava
come un pazzo anche lui, forse
era la follia della macchina. Non osai nemmeno ricordare chi si
comportava in
quel modo, lasciai che l’oblio si prendesse gioco di me
guardando fuori dal
finestrino scuro.
Quando fummo
nell’aeroporto barcollavo un po’.
Avevano da poco lavato il pavimento e Dean fu costretto ad aiutarmi per
non
farmi cadere.
Poi lo
vedemmo.
Jacob, nel
suo metro e novanta di altezza, mi
salutava con la grande mano da una panchina lontana, vicino al bar. Non
appena
mi vide, corse nella mia direzione e mi strinse forte a sé
quasi come se non mi
vedesse da tempo. Erano passati solo due giorni.
- Bella!
– Gridò. Fui presa da quel abbraccio
caloroso che non riuscivo più a respirare. Diedi dei pugni
sul petto di Jacob
così che lui si allontanò.
- Oh, Bella
– ripeté – come hai fatto ad
arrivare fin qui? –
- Lui
– indicai Dean alla mia destra.
Non appena lo
indicai, Jacob lo scrutò con
sguardo indagatore, quasi come se Dean si fosse macchiato
presumibilmente di
qualche crimine strano.
- Ciao
– disse Dean con il sorriso sulle
labbra.
- Dean mi ha
ospitato a casa sua. Ospiterà
anche te finchè… - Lasciai la frase sul vago. I
due ragazzi avevano capito
entrambe a cosa mi riferivo. Ripeterlo lì, in un momento
così felice mi suonava
strano.
Jacob ci
disse di avere dei bisogni da
soddisfare… da qualche parte.
Io e Dean
andammo al bar, lui si era fissato
di volermi offrire qualcosa.
Ci sedemmo ad
un tavolo non molto distante
dall’uscita, un tavolo discreto.
Alla fine
presi un cornetto a cioccolato ed un
caffè. Erano buonissimi. Jacob intanto perdeva tempo,
così potevo gustare tutto
con calma.
Dean non
parlò molto. Era pensieroso, era
strano.
Poi, chi sa
per quale magia, le sue preoccupazioni
nascoste si avverarono.
Mentre bevevo
il caffè, una ragazza si fermò
al nostro tavolino.
- Dean?
– chiese semplicemente.
- Miranda
–
- Oh, ma che
ci fai qui? – indicò me con un
occhio. Sembrava che non gli andassi a genio.
- Nulla, ho
accompagnato Bella a prendere un
suo amico. Contenta? –
Sembrava
quasi che questa Miranda fosse molto
più di un’amica.
- Si, certo.
Mi sono davvero meravigliata ieri,
quando non mi hai chiamato… Eri con Mike? -
- Ehm,
sì. – Cercò di giustificarsi. Lo
sentivo
cercare di far sembrare vera quella risposta.
Con il suo
amico c’era stato, ma c’ero anche
io. Ed avevo anche dormito da lui.
- Senti,
vieni un attimo qui… Devo parlarti di
una… cosa – Mi fissò per un attimo. Un
attimo che sembrò durare a lungo, visto
che il suo sguardo era di fuoco. Che pensasse che io stessi con Dean?
Che
continui a sognare, allora!
Vidi che
discutevano animatamente. Non sentivo
bene le parole che si dicevano, ma intuii che non fossero molto carine.
Evidentemente la ragazza lo stava accusando di qualcosa, magari di aver
fatto
qualcosa di male con me, come se io potessi con questa grande pancia.
Jacob mi
raggiunse. Mi alzai dalla sedia e
andammo fuori a sederci.
Ci avevo
pensato, era meglio per noi dire a
Dean che andavamo in albergo, così avrebbe fatto pace con la
sua ragazza.
Io e Jacob
aspettammo per un quarto d’ora, poi
Dean spuntò solo da dietro le porte scorrevoli
dell’entrata principale.
- Bella!
– gridò, venendoci incontro – pensavo
te ne fossi andata -
- No.
Però è un’idea. Portami a casa, prendo
le valigie e ce ne andiamo –
-
Ma… -
- So come
sono queste cose, Dean. Non voglio
che per colpa mia litighi con la tua ragazza. –
Sul volto del
ragazzo comparve una smorfia.
- La
mia… ragazza? – Cominciò a ridere
–
Quella è mia sorella! Ieri avrei dovuto chiamarla, stava
partendo. -
- Sicuro?
Sicuro che non ci stai mentendo? –
S’intromise Jacob.
- Sicuro. Al
cento per cento. Potete anche non
credermi. –
Jacob
sbuffò.
Improvvisamente
fummo tutti e tre attirati dal
rumore di una suoneria… Non era né il mio
telefono, né quello di Jacob, ma
quello di Dean.
Originale.
Adesso va di moda mettere le opere
composte al pianoforte come suonerie? Un nuovo ricordo mi
assalì e cercai di
levarmelo di dosso.
Dean per
fortuna mi distrasse subito.
- Ho trovato!
– disse, tutto eccitato.
-
Ehm… cosa? –
- Ho un amico
che lavoro in un’agenzia di
detective… Ha scoperto che il tuo… Il padre del
bambino… Ha scoperto che c’è
una famiglia o una coppia di ragazzi che ha questo cognome…
Potrebbero essere
parenti suoi. –
Mi bloccai a
guardare la strada.
Aveva trovato
qualcuno di loro. Era sicuro?
Poteva anche aver trovato un’altra persona omonima.
Lacrime
fresche mi bagnarono il viso. Non ci
credevo. Non era vero.
Senza neanche
accorgermene, svenni e vidi il
buio attorno a me.
Ciao!!! Come vedete pian piano sto riprendendo i ritmi di prima! In
questa settimana ho letto The Host, il nuovo libro della Meyer!
Bhè, ve lo consiglio vivamente se non l'avete comprato! Io
ne sono rimasta affascinata!
Ringrazio Hele91
, aLbICoCCaCiDa,. Midnight
Dream , _Natsuki_,
che hanno commentato. Mi fa piacere che sia piaciuta a qualcuno questa
ficcy... è un po' difficile per me scriverla, è
duro l'argomento, però ci riuscirò.
Domani aggiornerò anche qualche storia vecchia, ho bisogno
di riprendere le redini di tutto!
Grazie a chi commenterà. Baci, Yuna!
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Capitolo 5 *** La lunga attesa ***
Quante volte
ho camminato per
cercarti
E tu che ancora non ci sei…
Dimmi tu qual è la strada
Per averti…
Quanto tempo è già passato sul mio viso
Ma non sono stanco, sai…
Non ho fretta,
So aspettare, ancora…
Quale mare devo navigare,
Dimmi quali sono le parole,
Quale storia, quale brutto vento
Ti allontana adesso che ti sento…
Ho
bisogno di sapere solo che ci sei…
Per
Averti – Gigi finizio
Mi
sentivo fredda e senza vita. Mi risvegliai,
ero stesa sull’asfalto gelato di Forks.
Di sicuro
stavo sognando. Mentre cercavo di
alzarmi, una voce raggiunse le mie orecchie.
Riuscii
subito a stare in piedi, stranamente.
Sentivo di non avere più un peso sullo stomaco, mi sentivo
felice, leggera. In
effetti, guardai la mia pancia ed era piatta.
-
Cosa… Cosa succede? Perché non sono
più
incinta? -
- Bella, ma
se Anthony è qui… - Mi disse una
voce. Quella voce.
Mi voltai,
quasi non ci credevo, ma lui non
c’era più. Forse non c’era mai stato,
era stato frutto della mia fantasia.
Seduto per terra, davanti a me, un piccolo fagottino.
Dentro
c’era il mio bambino. Ma come… era già
nato? Non me lo ricordo.
Due mani
calde mi toccarono. Erano bollenti.
- Bella!
Bella! – Di nuovo quella voce.
Apparteneva a qualcuno che non conoscevo o non ricordavo.
Improvvisamente,
sentii quelle stesse mani
carezzarmi il volto.
Cercai di
trovare la forza per aprire gli
occhi e ci riuscii.
Jacob era
alla mia sinistra, la mano ancora
sul mio viso. Dean era alla mia destra, con un’espressione
impaurita sul volto.
Cercai di
sedermi, ma non ci riuscivo, Jacob
mi aiutò.
- Bella!
– gridò – Sono contento che ti sia
svegliata! – Era raggiante.
- Io
– io… dove sono? – Chiesi, stralunata.
- Sei a casa
mia, nella tua stanza. –
s’intromise Dean.
In effetti,
mi guardai attorno e riconobbi la
stanza dove avevo dormito poche ore prima.
Ero stesa sul
letto e le coperte mi arrivavano
fin sul seno.
-
Bella… Forse ti sei emozionata. Forse è
meglio rimandare di un giorno la nostra ricerca… - disse
dean, ancora con lo
sguardo triste e impaurito.
Misi a fuoco
ciò che aveva detto e mi
ricordai.
Ero svenuta
all’aeroporto di Portland perché
dean mi aveva riferito che… un suo amico aveva trovato una
coppia che faceva di
cognome Cullen.
Il fatto di
essere in stato interessante era
stato decisivo, ero praticamente crollata emotivamente.
Non potevo
però mollare proprio adesso, anche
se ero molto stanca e spossata.
- No
– gli dissi decisa – io… voglio adesso.
Non posso aspettare, ti prego –
- Bella,
ma… - Jacob mi poggiò la sua mano
calda sulla spalla.
- Jacob, per
favore. Saranno solo pochi
chilometri da qui. E poi sono con due amici, non sarò sola
–
Jacob e Dean
si scambiarono per la prima volta
un’occhiata.
L’indiano
annuì e anche Dean. Avevo il loro
consenso.
Pochi minuti
dopo eravamo sulla Mercedes di
Dean, che, agile e veloce si districava dal traffico di Portland.
Jacob si era
intestardito che era meglio che
io stessi dietro, così mi sono seduta dietro Dean e mi sono
spaparanzata sul
largo sedile posteriore.
- Almeno lo
sai l’indirizzo? – domandò Jacob,
acido.
- Secondo te
andavo a vuoto, così? –
Jacob si
zittì.
Nessuno
parlò per le dure ore successive,
tranne le rare volte in cui chiedevo l’ora e chiedevo, quando
saremmo arrivati.
Ero troppo impaziente.
Guardare
fuori del finestrino era totalmente
inutile, dato che Dean correva come un ossesso perché voleva
raggiungere più in
fretta la periferia di Portland.
La casa
Cullen di cui gli avevano riferito era
fuori città, in provincia.
C’è
da dire una cosa, però. La provincia di
Portland era la campagna. Sembrava quasi Forks con i suoi viali
alberati e i
suoi grandi campi coltivati.
Non so per
quanto tempo passammo davanti ad un
ambiente con morfologia simile, ma ben presto, con un tonfo leggero, la Mercedes
si fermò davanti
un lungo viale che conduceva ad una villa.
Guardandola
bene, era nel loro stile.
Alberi alti e
con foglie copiose che coprivano
quasi tutto il tetto della casa.
Sospirai e i
miei due accompagnatori si
voltarono verso di me.
- Veniamo con
te? -
- No. Devo
affrontare da sola tutto questo. –
dissi dura.
- Come vuoi.
Noi ti aspettiamo qui. –
Presi
coraggio e uscii fuori dell’auto.
Il viale
alberato che conduceva a quella
villetta non era lungo, anche se io andavo lenta per non inciampare e
mi
sembrava lunghissimo.
Impiegai
quasi cinque minuti per percorrerlo
tutto. Sentivo gli sguardi dei due ragazzi incollati alla mia figura.
Anche
loro speravano che fosse qualcuno che conoscevo.
Finalmente
arrivai alle scale. Erano cinque.
Salii ogni
gradino con calma, per paura che
dietro quella porta che ora era davanti a me chiara e distinta si
celasse la
delusione.
Andai avanti
piano, cauta. Bussai il
campanello.
Il mio cuore
batteva a mille, non sapevo chi
mi avrebbe aperto quella porta.
Sarebbe stato
qualcuno che conoscevo, o me ne
sarei andata da lì con il dolore nel petto e mi sarei decisa
che forse loro non erano mai
esistiti.
Nessuna
risposta. Decisi di riprovare, avevo
tutto il tempo del mondo.
Passarono
cinque minuti ma… Nessuna risposta.
Speravo che
ci fosse qualcuno, magari qualcuno
che era in una camera all’ultimo piano e che non aveva
sentito il campanello. Impossibile.
Se ci fossero stati avrebbero
sentito.
Nulla. Il
vuoto. Il vuoto che ripopolò il mio
cuore che dei minuti prima era colmo di speranza.
“Forse
non ci sono, Bella.” Dissi a me stessa.
Era
possibile, erano appena le quattordici del
pomeriggio.
Se fossero
usciti?
Se fossero
andati nella foresta? La vedevo,
era dietro di me e circondava la casa.
“Aspetta,
aspetta”, ripetevo.
Non potevo
mollare proprio adesso. D’altronde
non potevo stare per molto
tempo in
piedi, ne soffrivo. Ero troppo, troppo stanca per stare lì
immobile.
Una piccola
panchina ad altalena mi colpì.
Era sotto la
veranda, con tanto di cuscini
appoggiati sopra.
“D’accordo,
io e te saremo amici finché non
tornano.”
Mi diressi
lì e mi sedetti. Presi il cellulare
dalla borsa e chiamai Jacob, a pochi metri da me.
- Jacob -
- Bella,
allora? –
-
Allora… Non c’è nessuno. –
- Vuoi che ti
vengo a prendere? Ho visto che
ti sei seduta –
- No.
Io… resto qui. Finché non torna qualcuno
–
- Bella, sii
ragionevole. Se nessuno ti ha
risposto vuol dire che… non c’è nessuno
–
Sentivo gli
occhi gonfi. Le lacrime
cominciarono a scendere dai miei occhi e mi macchiavano tutta la
camicetta
rosa.
Sapevo che
aveva ragione. Ma poteva anche aver
torto.
Il fatto che
ora non ci siano non vuol dire
che dopo non ci siano lo stesso.
- Jacob
– ripetevo tra le lacrime – Io, io lo
so che qualcuno c’è. Qualcuno ci sarà,
me lo sento. Lasciami… lasciami
aspettare fino a stasera, ti prego – le lacrime mi rendevano
impossibile ogni
parola detta correttamente.
Jacob
sopirò. – Bella ma… - disse indeciso
–
Va bene, noi ti aspetteremo qui. Non ti perderemo di vista –
Un altro sospiro.
Gli costava caro dire quelle parole. Sapevo che mi amava e che mi
avrebbe
voluto far dimenticare tutto, ma… ci dovevo provare in
qualche modo.
Dovevo
provare che il bambino che cresceva
dentro di me non era suo. Che tutto ciò che c’era
qui attorno era finto e che
ero in un sogno. Domani mi sarei risvegliata a Phoenix con
Reneè e tutto
sarebbe tornato uguale.
Mi toccai la
pancia, l’accarezzai. Il mio
bambino era vero e voleva vedere suo padre.
All’improvviso
mi venne sonno.
Il cuscino
accanto a me era morbido e comodo,
così che lo misi dall’altro capo della panchina e
poggiai la testa sopra,
stendendomi in una posizione in cui non avrei fatto del male al
bambino.
Chiusi gli
occhi e non so quanto mi ci volle
per addormentarmi.
Durante quel
lungo tempo, sognai ancora.
Ero
nuovamente a Forks, questa volta il mio
bambino tra le mie braccia.
- Bella
– mi disse una voce sensuale – puoi darlo
a me se ti sei stancata -
Mi voltai,
certa che quella fosse la sua voce.
Invece no.
Non c’era nessuno dietro di me.
Poi, di nuovo
una voce. Una voce che forse
avevo già sentito, ma di cui non ricordavo bene il tono.
- Bella?
Bella sei tu? –
La voce
rombava.
- Bella? -
Sentii due
mani sulla mia spalla, poco dopo mi
accorsi che erano fredde.
Pensai che
fosse ancora un sogno, ma quando
aprii gli occhi e notai che intorno a me era tutto scuro, mi
ricredetti.
C’era
solo una debole luce sulla porta d’ingresso, ci vollero
alcuni secondi per far
abituare gli occhi alla luce debole che mi illuminava il volto.
Davanti a me
due figure.
Non avevo
capito di chi si trattava finché non
vidi il pallore del loro volto illuminato dalla luce della veranda.
- Bella, sei
tu? - Ringhiò il ragazzo.
- Si
– si sono… io – Appena lo riconobbi mi
venne un colpo al cuore.
Iniziai a
respirare affannosamente, non ci
credevo.
- Come ti
butta? -
-
B-bene… - riuscii a dire, ero bloccata
dall’emozione.
- Ma sei
sicuro che è lei? Non vedi che è
incinta? Sarà qualcuno che le assomiglia. – disse
la voce femminile. Era sempre
altezzosa e tagliente come la ricordavo.
- Ma no,
è lei, non lo vedi? –
- Si si.
Credici. – Era ancora scettica.
- Bella, vuoi
entrare? –
- Ehm, si.
–
- Prego
– fece lui, con il sorriso sulle
labbra.
- Mi aiuti?
– chiesi timidamente – Non riesco
a camminare bene –
Mi venne
vicino e mi aiutò ad alzarmi. Era
sempre stato così caro e cucciolone.
Entrai nella
grande casa e insieme a lui ci
dirigemmo verso un grande divano.
- Allora,
Bella, cosa ti porta qui? -
- Io
io… volevo parlare con voi. –
- Dicci pure,
cara! – la sua voce era sempre
forte.
- Ma
l’hai vista? Mica sarai venuta qui
dicendo che questo è di nostro fratello? –
- Basta,
Rose. Eppure se fosse, cosa cambia?
Tanto sappiamo che è impossibile –
- No
– li interruppi – qui – mi toccai la
pancia con la mano – c’è… il
figlio di… - presi tutto il coraggio che avevo per
pronunciare quel nome – Edward. –
Una lacrima
mi scese sulla guancia.
- E sentiamo,
come avrebbe fatto nostro
fratello a generare quel coso? – indicò con
ribrezzo la mia pancia.
- Rose, che
domande fai! Non vedi che la stai
facendo sentir male? Bella, puoi anche non rispondere, io ti credo
–
- No, Emmett.
Forse tua moglie si è dimenticata
come si fa. – Lanciai
un’occhiataccia
a Rosalie.
- Bella, e tu
vuoi dirmi che tu e mio fratello
avreste… fatto del sesso? –
- Bella,
ricorda che puoi anche non rispondere
– tuonò severo Emmett.
Annuii.
– Il giorno del mio compleanno. Lui…
lui era stato…
così gentile… Quando
mi amava – dissi con gli occhi gonfi nuovamente di lacrime.
Rievocare
quel ricordo era troppo difficile.
Era il più bel ricordo che avessi di lui.
Emmett si
alzò e mi venne accanto, cingendomi
la vita.
- Bella
ma… lui lo sa? -
Scossi la
testa.
- Come poteva
saperlo? – intervenne Rosalie –
Se noi siamo partiti poco dopo? Non abbiamo lasciato recapito, nulla.
Abbiamo
fatto solo il suo volere, ce ne siamo andati. Non pensavamo che ci
avresti
trovati. -
- Rose,
calma. Bella, io ti voglio bene dal
primo momento in cui Edward ti ha portata a casa nostra
quindi… - Rosalie lo
interruppe.
-
Quindi… cosa? Vuoi dirle dove si trova
Edward, dove si trovano gli altri? Ti serve il suo consenso.
E’ stato lui
l’artefice di questa decisione e sarà lui a
decidere cosa fare ora. Sarebbe
fare qualcosa contro il suo volere. E se non la vuole più
vedere? E se… -
Rosalie stava
per porre un’altra acida
domanda, ma Emmett la bloccò.
- Rose, per
favore. Bella soffre, non vedi? E
poi… è giusto che lui sappia dopotutto. Anche se
decida di… - lasciò in sospeso
quella frase. Sapeva che mi avrebbe fatto soffrire di più.
- E va bene,
Emmett. Questa volta te la do
vinta! – Sbuffò. Era troppo difficile perdere per
Rosalie.
- Bella,
domani verrai con noi, dagli altri.
Adesso vieni con me, ti accompagno in una stanza così puoi
dormire qui – Emmett
mi sorrise. Era sempre premuroso e giocherellone, come quasi un anno
fa. Mi
prese sotto braccio e mi portò al piano di sopra.
Nella grande
stanza, chiamai Jacob per
avvertirlo. Non ci credevo.
- Bella? Dove
sei? -
- Jacob. Sono
Rosalie ed Emmett. Portami la
valigia che domani si parte. -
Ciauuuuu! Come vedete ho deciso di continuare prima questa
fanfic. Pensavo al continuo prima di dorimire, all'una di notte che non
riuscivo ad aspettare di più per metterla su carta!
Inanzitutto ringrazio chi ha commentato, ovvero: Midnight
Dream, clodiina85, Girasole94, carlottina, LittleBloodyMary, Hele91, aLbICoCCaCiDa, ka
chan, _Natsuki_.
Ognuna di voi mi ha fatto essere felice per un po',
siete state tutte davvero gentili. *______*
Non vi preoccupate, per chi voleva che fossero Alice
e Jasper, li vedrete prestissimo! hihih
Baci, Yuna
|
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Capitolo 6 *** Non è finita ***
Well I’ll try to do to it
right this time around
It’s not over,
Try to do it right this time around
It’s not over
But a part of me is dead and in the ground.
This love is killin me
But your the only one
It’s not over.
I’ve taken all I can take
And I cannot wait
We’re wastin too much time
Bein strong, holdin on
Can’t let it bring us down
My life with you means
everything
So I won’t give up that easily
Beh,
Cercherò di fare tutto giusto
questa volta
Cominciamo daccapo
Tentiamo di fare tutto giusto
questa volta
Non è finita
Perché una parte di
me è a terra morta
Questo amore mi sta uccidendo
Ma tu sei la sola
Non è finita
Ho preso tutto ciò
che potevo prendere
E non voglio aspettare
Stiamo sprecando troppo tempo
Essere forti, resistere
Non lasciamo che ci butti a
terra
La mia vita con te acquista
pieno significato
Perciò non
cederò così facilmente
Daughtry
– It’s Not Over
Quella notte,
non sognai nulla.
Fu la prima
notte, dopo tante, in cui mi
sentii serena e anche un po’ felice e speranzosa di poterli rivedere. Naturalmente,
più di tutti, speravo di poter
rivedere lui.
Cosa avrebbe
fatto, quando mi avrebbe vista?
Sarebbe scappato senza degnarmi di uno sguardo oppure sarebbe corso
verso di me
per stringermi di nuovo tra le sue braccia?
Oppure…
l’avrei visto con… un’altra?
Questi
pensieri, seppur dolorosi, mi
attanagliavano. Solo la speranza teneva viva la mia voglia di tentare,
sperando
di non ritrovare il fuoco che alcuni mesi fa mi aveva bruciata.
Guardai la
sveglia sul comodino. Erano le
quattro e trenta del mattino e mi ero svegliata improvvisamente, forse
spinta
dalla gioia.
Bussarono
alla porta, e con un debole “avanti”
feci entrare chi aveva bussato.
- Oh, pensavo
non stessi dormendo – disse
Emmett, con voce forte.
- Mi sono
appena svegliata – gli riferii.
- Ottimo.
Stavo venendo a svegliarti io perché
dobbiamo partire adesso. –
Quella
rivelazione mi fece felice. Non sarei
riuscita a resistere per altre ore.
Annuii e gli
dissi che mi sarei vestita
subito. Gli chiesi anche di Jacob, e lui mi disse che stava
già aspettando in
veranda perché l’aveva telefonato lui stesso la
sera prima.
Emmett
uscì dalla stanza, ed io mi vestii e
lavai, in fretta e furia. Non avevo voglia di restare ancora
lì, lontano da
loro. Volevo rivederli.
Quando uscii
da casa, ansiosa anche di
rivedere Jacob, notai che non era solo.
Dean, il mio
amico di Porland, era accanto a
lui, e come lui, aveva una valigia accanto.
- Ciao, Bella
– mi disse Jacob, felice di
rivedermi.
- Ciao,
ragazzi – risposi, mentre scendevo
anche i tre scalini della porta d’ingresso.
Dean mi
indicò la sua auto, a pochi metri.
Mi chiesi che
ci facesse lì. Non potevo
credere che sarebbe voluto venire anche lui. Non potevo credere che
già tenesse
a me tanto da seguirmi in un altro stato.
Poco dopo
scesero anche Emmett e Rosalie, che
si diressero nella nostra stessa direzione.
- Emmett e
Rosalie? -
- Verranno
con noi. Mi sono offerto volontario
di portarvi all’aeroporto e di accompagnarti a Seattle, con
Jacob. –
- Ehm? Ma non
faresti meglio a restare qui?
Dopotutto, è casa tua Portland –
- No. Ricordi
cosa ti ho detto dei giorni fa a
casa? Che ti avrei aiutata. Dovunque.
Quindi è inutile che ti opponi – Mi disse, con un
sorriso larghissimo e ironico
sul volto.
Mi limitai ad
annuire, anche se non ero
d’accordo con la sua scelta. Non pensavo di conoscere una
persona con tanta
caparbietà.
In ogni caso,
la parte casa Cullen –
aeroporto, fu davvero veloce.
Avevo avuto
la fortuna (?) di conoscere uno
che guidava come un ossesso che ci permise di arrivare prima che
sorgesse il
sole.
Anche
l’imbraco fu veloce, anche grazie a
Rosalie che stranamente si mise a convincere i vari impiegati addetti
alle
varie sezioni dell’imbarco. Dovevano fare presto se non
volevano uscire al
sole.
Quello,
però, fu più furbo di loro.
Forse
l’avevano già programmato, però, quando
due ore dopo arrivammo a Seattle. Il sole era quasi alto nel cielo, che
minacciava la mia felicità.
Scesi
dall’aereo, prendemmo i bagagli e
cercammo subito un taxi.
Il sole era
davvero alto, per essere solo le
nove, e ne Rosalie, ne Emmett potevano avvicinarsi troppo alle grandi
vetrate
dell’aeroporto.
- Bella
– mi chiamò Emmett, quando stavamo
recuperando i nostri bagagli – sai bene che non possiamo
–
-
Sì, lo so. Dammi l’indirizzo –
- Tieni.
Già ci avevo pensato prima – mi
disse, con il sorriso sulle labbra. – Dì ai tuoi
amici che noi restiamo qui per
un po’, per giustificare la nostra assenza. Ci rivedremo
questa notte o domani
mattina –
-
Ma… Alice… -
-
Sì, sa già tutto. L’abbiamo chiamata
poco
tempo fa, perché lo dicesse agli altri. Naturalmente, le ho
fatto promettere di
non dirlo ad Edward. Sai che è improbabile la sua
reazione… -
-
Sì. Lo so benissimo. Ma… è
lì con loro? –
Un’altra fioca speranza.
- Non lo so,
credimi. L’ultima volta che ho
visto mio fratello è stato mesi fa. Alice mi ha detto che va
e viene da
Seattle, ma non so cosa combina, perdonami… - rispose, un
po’ triste per non avermi
potuto dire tutto ciò che volevo sapere.
In quel
momento, un po’ della speranza che
possedevo, svanì.
Pensavo che
se non l’avessi trovato entro
pochi giorni a Seattle, forse con il cuore di nuovo a pezzi sarei
tornata a
Forks per partorire, e forse, se avessi mai rincontrato Edward, poteva
anche
darsi che avrebbe costretto tutti i Cullen a trovare un’altra
casa… Non ci
potevo pensare.
Cercavo di
non pensare a nulla di male,
cercavo di pensare che ce l’avrei fatta a far credere a tutti
che in grembo
porto il figlio di Edward. Questo, finora era il mio obiettivo.
Se poi non mi
avrebbero creduta – a questo non
ci volevo nemmeno pensare – almeno avevo detto loro la
verità. Li avevo visti
almeno per un’ultima volta.
Jacob mi
chiamò alla realtà.
Io, lui e
Dean ci dirigemmo all’esterno per
trovare un taxi.
- E loro,
dove sono andati? – chiese Dean.
- Hanno delle
faccende da svolgere – mentii –
li rivedremo dopo –
- Ah
– fu la sua unica risposta.
Camminammo
per alcuni metri, quando notai una
grossa insegna luminosa che si notava anche a metri di distanza.
“Micheal
& Katy, noleggio automobili”
Noleggio…
automobili? Dopotutto a che ci
serviva un taxi?
Cercai di far
vedere ai due ragazzi quello che
tanto mi aveva incuriosito.
- Cosa? Vuoi
noleggiare una macchina? - disse
Jacob.
- Sai meglio
di me che si fa prima –
- Per me
è un’ottima idea. Conosci la strada?
– mi chiese Dean.
In effetti, a
Seattle c’ero stata poche volte,
e con Alice. Non conoscevo bene tutte le vie, ma molte le ricordavo. E
poi, potevo
sempre comprare una mappa per cercare ciò che volevo.
Annuii.
– Ho l’indirizzo – gli risposi. - Jacob? –
Jacob, un
po’ riluttante, acconsentì facendo
un cenno con il capo.
Il nostro
strano trio si diresse verso il
negozio. Alla fine, Dean si fissò che voleva pagare lui il
noleggio, e ne io,
ne Jacob dovevamo opporci.
Lo lasciai
fare, dopotutto avevo già avuto a
che fare con tipi del genere nella mia vita…
Naturalmente,
Dean non scelse una macchina da
quattro soldi.
Prendemmo una
BMW X3 per andare sulla strada
sterrata che ci avrebbe condotti a casa Cullen.
Però,
prima di partire, precisai le mie
volontà.
- Dean,
Jacob… vorrei chiedervi un favore -
- So
già cos’hai in mente. Te lo dico già da
ora, la risposta è NO! – disse Jacob, senza
nemmeno farmi esporre le mie idee.
Sapeva già cos’avrei detto, mi conosceva troppo
bene.
- Jacob.
Questa è la mia storia.
Io sono voluta venire a Portland e poi a Seattle per
intraprendere questa ricerca. Se non
posso nemmeno decidere io cosa fare,
allora è meglio che
torni a casa. –
Diretto e
molto tagliente.
Sul volto di
jacob comparve un’espressione
delusa, ma anche orgogliosa.
-
Bella… Sai che… se non va in porto…
questa
cosa… - preferì non continuare.
Cercando di
respingere le lacrime indietro,
gli risposi – Si, Jacob. Lo so. Ma devo affrontarla io questa cosa. Non voglio protettori.
Non mi faranno del male se è
questo che pensi. –
Jacob
notò la decisione sul mio volto. Stavo
quasi per piangere, ero in crisi.
Volevo andare
da sola fin lì. Dovevo
affrontare questa cosa senza
l’ausilio di nessuno.
- E va bene
– disse, serio, - però…
non resteremo lontano. Se dovesse
succedere qualcosa, qualsiasi cosa, tu devi chiamarci. Sono stato
chiaro? - .
Vedevo la preoccupazione nei suoi occhi.
- Si. Lo
farò. – Abbracciai Jacob. Speravo
davvero che tutto questo sarebbe andato a buon fine.
I due ragazzi
si allontanarono ed io misi in
moto.
Non avevo mai
guidato un’auto di quella
cilindrata, ma era spaziosa ed adatta alla strada che avrei dovuto
percorrere.
Ero sicura che si trattasse di un lungo sentiero nella foresta.
Le mie
aspettative non furono vanificate,
quando vidi una folta coltre di foglie che si disperdevano
sull’asfalto. Un’insegna
diceva “Foresta di Greenwood”.
E’
il posto giusto. Spero solo di non perdermi…
Girai a
destra ed entrai nella foresta.
Inizialmente la coltre era molto rada, ed il sole
s’intravedeva benissimo.
Alcuni metri più avanti, invece, la vegetazione si fece
più fitta, tanto che
sembrava già si stesse facendo sera.
Guardai il
navigatore dell’auto – Dean aveva
pensato anche a questo – e notai che la mia meta era ancora
molto lontana. Mi
chiedevo se la foresta fosse davvero così profonda come
appariva da fuori al
finestrino. Forse più avanti tutto sarebbe diventato
più scuro o forse ci avrei
impiegato più del dovuto per “cercare”
di raggiungere la nuova casa Cullen.
Accesi lo
stereo perché mi dava un po’
fastidio il silenzio dell’abitacolo dell’auto.
Non
c’era nulla di bello, ma mi limitai ad
avere dei suoni per compagni.
Il viaggio si
stava rivelando allo stesso
tempo monotono e felice, era davvero triste ciò che mi
circondava.
Continuavo a
dire a me stessa che tutto
sarebbe andato bene, che non sarebbero successi imprevisti, ma poi,
dovetti
ricredermi.
All’improvviso,
diedi un’occhiata ad una luce
che lampeggiava sul quadro. Era quella della benzina.
- Oh, cazzo
– riuscii a dire, prima che il
motore si spegnesse definitivamente.
In un primo
momento, non seppi cosa fare.
Poi mi decisi
a scendere e a proseguire a
piedi. Vidi delle tracce di pneumatici per terra e mi rincuorai che
potevano
portare proprio dove dovevo arrivare. Presi la borsa, e mi avviai.
Guardai
l’orologio. Avevo guidato per due ore
senza essere ancora arrivata.
Ricordo che
l’ultima volta che vidi il
navigatore mancavano all’incirca due o tre chilometri.
Continuai a
seguire le tracce per terra,
finchè non successe qualcosa che non mi sarei mai aspettata.
Qualcosa,
che, per succedere, non chiede il
tuo permesso. Qualcosa che sarebbe dovuta accadere tra un mese o meno,
ma non
pensavo potesse accadere proprio oggi.
Si erano
rotte le acque.
Avete
visto? Nuovi imprevisti attentano alla vita di Bella XD,,, Pensavate
che sarebbe successa una cosa simile? XD
Adesso,
per tutti voi che pensate adesso "Bella dovrà fare tutto da
sola"... Vi sbagliate! Il prossimo capitolo ihih non voglio dirvelo
altrimenti vi rovino la sorpresa XD
Volevo ringraziare tutti coloro
che hanno letto il capitolo precedente, e anche carlottina,
Girasole94
, LittleBloodyMary,
Hele91,
_Natsuki_, clodiina85
che hanno
recensito.*_*
Davvero,
nel prossimo capitolo non vi pentirete di leggere! Mia sorella ha detto
che sembra Beautiful ihihih XD
Alla prossima, Ciau! Yuna
|
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Capitolo 7 *** Troppo persa... ***
I
got no
strength at all
In the state that I'm in
And my knees are weak
And my mouth can't speak
Fell too far this time[…]
Well
you
whispered to me
And I shiver inside
You undo me and move me
In ways undefined
And you're all I see
And you're all I need
Help me baby (help me baby)
Help me baby (help me now)
Non ho alcuna
forza
Nello stato in cui sono
Le mie ginocchia sono deboli
La mia bocca non riesce a parlare
Sono caduta troppo lontano questa volta[…]
Beh mi hai
bisbigliato qualcosa
E io tremo dentro
Tu mi disfi e mi sposti
E tu sei tutto quello che vedo
E tu sei tutto quello che mi serve
Aiutami
Aiutami adesso
Too
Lost In You - Sugababes
Quel giorno
avevo indossato un vestito non
troppo lungo, così non mi bagnai troppo.
Ma non fu
tanto l’essermi bagnata o meno che
mi fece venire le lacrime agli occhi, quanto i dolori che forti
sopraggiunsero mentre
cercavo di reggermi accanto all’albero più vicino.
Continuavo a
ripetere “Oh, merda! Oh, merda!”,
non sapevo proprio cosa fare.
Era davvero
quello il mio destino?
Oltre ad
essere stata lasciata e con un
figlio in arrivo, adesso quel povero neonato
doveva nascere in una foresta in cui mi ero sicuramente persa, e per
giunta
dovevo farlo nascere… da sola?
Le lacrime
scendevano più velocemente ed i
dolori allo stomaco aumentavano.
Lo so, voleva
uscire. Mi sentii un po’
egoista, quando pensai “Non poteva aspettare qualche
giorno?”. Cercai di non
pensarci.
Improvvisamente
mi ricordai di quello che mi
aveva detto Jacob “Chiama, se ti serve aiuto”.
Cercai nella
borsa il cellulare, e dopo poco
lo trovai. Premetti un tasto per sbloccare ma come per magia anche il
display
era fuori uso come la macchina pochi KM prima di lui.
- Perfetto!
Oggi è la mia giornata fortunata!
– dissi ad alta voce. Tanto nessuno
avrebbe potuto sentirmi.
Continuai a
camminare, sperando che la casa
fosse vicina, ma mi sentii troppo male e mi fermai.
Il dolore era
lancinante. Mi sentivo come se
mi stessero gettando addosso dei massi pesanti e non potevo farne a
meno. Il
bambino dentro di me di sicuro urlava “fammi
uscire!”. Ma io non sapevo come
fare.
Mi accasciai
accanto ad un albero ed iniziai a
piangere a dirotto, come poco prima.
Singhiozzavo
e urlavo, ripetendomi che tanto
ero sola. Lo ero sempre stata.
Iniziai a
respirare profondamente, come avevo
visto fare in numerosi film in cui le donne ed i loro partner andavano
a quei corsi
pre maman per imparare le varie tecniche di respirazione per evitare
attacchi
di panico o fobie del genere.
Io, con
fermezza, avevo rifiutato tutti i
corsi. Non volevo andare lì da sola.
Non volevo nemmeno che gli altri mi vedessero così. Ma
avevano scoperto presto
la mia gravidanza. Quando un giorno mi dirigevo in centro a prendere
delle
cose, una Jessica curiosa si era avvicinata chiedendomi tutti i
particolari e
li aveva raccontati a tutti. Io chiaramente ero stata molto vaga. Non
volevo
sentirmi ancora più male.
Più
cercavo di respirare nel modo giusto, più
sentivo che stavo sudando freddo.
Mi toccai la
fronte, ed avevo ragione. La
sentii gelida sotto il mio tocco.
- Per favore,
fai che non succede nulla –
dissi, mentre mi accarezzavo la pancia per sentirmi più
sicura. Ma lì non c’era
nulla di sicuro.
Respiravo a
fatica, e di sicuro ero proprio in
preda ad un attacco di panico che avevo tanto odiato.
Le cose
attorno a me diventarono più scure.
Non vedevo chiaramente i contorni degli alberi, delle foglie. Niente.
Vedevo
solo tanti pallini colorati, come quando guardi troppo il sole e ne
resti
accecato. Tutto perdeva forma e colore, ed intanto piangevo ed urlavo
come
un’ossessa.
Non so bene
cosa dicevo, ma forse “vorrei che
adesso fossi qui”. L’ho ripetuto tante volte.
La parte
inconscia aveva preso il sopravvento
su quella conscia. Ne fui certa anche dopo che sentii un rumore di
pneumatici
che veloci si muovevano nella foresta. Pensavo di aver perso
conoscenza, ed, in
effetti, era così, più o meno. Mi ripetevo che
ormai ero intontita e mezza
svenuta e che mi facevo delle paranoie inutili. Tanto non
c’era nulla.
-
Aiutami… - dissi, in preda ai deliri, quando vidi una figura
fermarsi davanti a
me.
Non riconobbi
chi era, ma aveva dei tratti che
il mio cervello ricordava, anche se al momento non li legava a nessun
nome
concreto. Per un secondo, sperai che potesse essere lui.
“Si,
continua a sognare”, mi ripetevo. Sì,
forse quello era davvero un sogno.
Sta di fatto
che la figura si avvicinò a me e
osservò con sguardo impaurito e preoccupato. Mi
accarezzò la guancia e mi
strinse forte a sé.
Sentivo
freddo. Forse era il calo di
pressione, eppure sentivo che il corpo della figura non aveva la mia
stessa
temperatura corporea. Ormai non connettevo più. Credevo davvero che fosse qualcuno di
loro.
La figura mi
alzò di peso da terra e mi poggiò
su un sedile posteriore di un’auto. Lo riconobbi
perché vidi che entravamo da
qualche parte. Eppure, mentre cercavo di riprendermi, sentivo
un’aria
familiare. La mia mente mi ripeteva che io lì dentro già c’ero stata.
Forse
per un riflesso condizionato, ma senza accorgermene dissi
“Edward”.
La figura si
limitò a dire “Shh. Non
sforzarti.” Per la seconda volta in quella giornata, pensai
davvero fosse lui.
Quando ci
fermammo, mi sentii già un po’
meglio. Riuscivo a distinguere meglio ciò che mi circondava
e riuscii anche ad
alzarmi.
Quando poi la
figura di prima scese dalla
macchina, chiusi gli occhi. Ero ancora troppo stanca per camminare.
Sentivo che
camminava veloce, non sembrava un passo d’uomo.
Mentre
camminava, aprii gli occhi. Ero tra le
sue braccia, che erano gelide. Davanti a noi c’era una casa
immersa nel verde.
Notai una cassetta della posta accanto all’ingresso.
C’era
scritto “Cullen”. Allora… ero arrivata?
Ma come? Chi era colui che mi portava in braccio?
Sulle prime
pensai ad Emmett, poi mi ricordai
che era ancora lontano. Poi a Jasper, ma mi ricordai che il mio sangue
era
ancora troppo sensibile per lui. Infine pensai a Carlisle. Lui non
aveva mai
dimostrato di temere il mio sangue. E poi, pensai anche a lui, ma
cancellai
subito il pensiero.
Cercai di
alzare il volto, ma non riuscivo a
vedere chi era. Ero troppo stanca.
- Sta
giù – mi disse la voce, lieve e calma.
- Oh, no!
Questo non l’avevo previsto! –
sentii quella che riconobbi essere la voce di Alice.
Mi girai, ed,
in effetti, era sotto al portico
con un’espressione sbalordita sul volto.
-
Dov’è Carlisle? – chiese la voce, che la
mia
mente connetteva stranamente alla sua.
-
E’ di sopra. Spero abbia gli accessori
adatti a questo –
Entrammo in
casa. Con una velocità
eccezionale, salimmo le scale e ci dirigemmo verso quello che mi
sembrò essere
un corridoio infinito.
Quando
arrivammo alla fine del corridoio, mi
voltai, e vidi il dottor Cullen.
Anche lui,
come Alice prima, aveva stampato
sul volto un’espressione incredula. Solo che la sua era
serena.
-
Cos’è successo, Edward? -
Ha
detto… Edward? Era davvero lui che… No. Non
può essere. Però quello non era un sogno, ne ero
sicura. Sentivo il dolore.
Sentivo i calci. Voleva uscire. Iniziai a piangere.
-
L’ho trovata nella foresta, da sola. Era
appoggiata ad un albero… Penso stia per partorire -
Carlisle si
avvicinò per toccarmi la fronte.
Iniziai a singhiozzare sempre può forte.
-
Cos’ha? – chiese Alice.
- Saranno i
dolori. Non restate qui, ragazzi.
Credo proprio che dovrò fare un cesario –
- La porto
nella mia stanza –
- Ottimo,
Edward. Prendile dei cuscini comodi
e caldi. Alice, tu prepara una culla improvvisata –
sospirò – Io… andrò a
prendere
ciò che serve. Mi raccomando, mi fido –
Continuavo a
piangere. Sentivo una mano che mi
accarezzava il volto, e per un po’ stetti in silenzio.
Allora era vero.
Ero davvero tra le sue braccia.
- Edward
– cercai di dire, mentre mi sentivo
poggiare su una superficie morbida. Un letto.
Lui non
rispose. Fece ciò che gli chiese
Carlisle e poi lo vidi avvicinarsi.
I suoi occhi
erano neri. Mi accarezzò
nuovamente la guancia con il dorso della mano e mi prese la testa tra
le mani.
- Speravo ci
rivedessimo in una situazione
migliore – disse, sorridendo.
Sentii che
qualcun altro era entrato. Sentii
anche ago nel braccio, forse un antidolorifico o una flebo.
-
Edward… Sei-sei… proprio tu? - dissi, con il
fiato corto.
- Si. Ma
adesso calmati. Respira profondamente.
Adesso sarai libera. –
- Edward, mi
vorresti assistere? Sei l’unico
che ha esperienza in questo campo –
Edward, che
era ancora accanto a me, mi guardò
negli occhi in modo strano. Sapevo quello sguardo cosa significava: non
era
sicuro di farcela.
Avevo capito
che avrei dovuto subire un
cesario, e questo avrebbe comportato sangue. Mi accarezzò
nuovamente.
-
Sei… sicuro? E se… - lasciò la frase
in
sospeso. Capii subito a ciò che si riferiva.
- Nella mia
vita non ho mai visto una persona
che si sa auto controllare come te. So che ce
la puoi fare. Hai fatto pratica sui corpi, no? Ci riuscirai.
Ci sono anche
io con te – Carlisle era sempre ottimista.
-
Sì, lo so. Ci devo riuscire – disse Edward,
guardando sempre me.
- Avvicinala
al bordo… Anzi, metti il
materasso su quella scrivania, lì. –
Edward si
alzò velocemente, e sentii qualcosa
che cadeva in terra… Qualcosa di vetro, forse.
Poi mi prese
di peso e mi poggiò su un
materasso poggiato sulla scrivania che Carlisle aveva menzionato poco
prima.
- Allora,
Bella. Adesso dovrò farti
un’incisione, per il cesario… Non farti problemi
se vuoi urlare -
Mi
rassicurò Carlisle. – Edward, tu cerca di
tenerle la mano ben stretta. Non deve muoversi. –
Edward
annuì, ed ecco che la mia mano – che
adesso trasudava – era nella fredda e dura mano di Edward. Di
colpo, la strinsi
fortissimo.
Non vedevo
bene, e forse era meglio così.
Carlisle mi alzò il vestito, per incidere. In quel momento
ebbi un po’ di
vergogna, ma subito me ne dimenticai. Adesso la cosa più
importante era mio figlio.
- Non
guardare – mi disse Edward, che aveva
visto la mia curiosità.
Sentii
qualcosa di freddo sulla pancia.
Inizialmente non provai nulla, ma poi sentii che scendeva in
profondità e che
colpiva le zone che già mi dolevano.
Strinsi
ancora di più la mano ad Edward, che
di rimando fece lo stesso. Non aveva smesso di guardarmi. Quello fu
davvero un
sollievo per me.
Per quelli
che mi sembrarono un’eternità,
Carlisle incise la pelle della pancia per riuscire ad aprire il varco
per far
uscire il bambino.
- Bella, ci
siamo quasi – mi disse Carlisle –
vedo una testa -
Vidi Edward
serio. Fissava ancora me, però si
vedeva che era molto sensibile al mio odore. Proprio adesso che avevo
lo
stomaco squarciato. Gli strinsi più forte la mano, per
fargli capire che
immaginavo come potesse sentirsi in quel momento.
- Edward,
stai andando troppo bene. Cerca di
non respirare – disse sempre Carlisle.
Edward
restava muto.
I minuti
intanto passavano lenti e mi
chiedevo, quando sarebbe finita. Il dolore era meno forte,
però c’era sempre.
- Che cosa
strana – disse il Dottore, ridendo.
- Cosa? Ci
sono complicazioni? – chiese
Edward, allarmato. Io avevo la lingua troppo asciutta per parlare.
- No, anzi.
Vedo due teste –
- Due teste?
– chiesi io, che recuperai subito
la voce. Non avrei mai potuto pensare che…
- Si, proprio
due. Edward, mi servirà anche il
tuo aiuto… Prendi degli asciugamani –
Edward corse
via a fare ciò che aveva ordinato
Carlisle.
- Davvero non
lo sapevi? – mi chiese il
dottore.
Scossi il
capo – Non avevo mai fatto nessun
test… Non so nemmeno il sesso –
- Oh, ottimo.
Mettile lì e avvicinati – disse
Carlisle ad Edward.
Anche se non
vedevo molto bene da lì, riuscii
a scorgere l’incertezza negli occhi di Edward.
Carlisle gli
diede una pacca sulla spalla e
gli sorrise. Credeva in lui.
Edward, con
lo sguardo più serio e severo che
mai, si avvicinò, come se avesse paura. No. Aveva paura, e
tanta.
- Cosa devo
fare? – chiese a Carlisle.
- Mantieni
qui – gli indicò un punto sulla mia
pancia – dobbiamo far uscire i bambini –
Che strana
sensazione sentire quella parola al
plurale. L’avevo sempre pensata singola. Adesso i bambini
erano due… Non sapevo
cosa avrei fatto. Sì, d’accordo, Edward si stava
dimostrando disponibile e
questo mi faceva essere felice. Ma se era solo una
disponibilità dettata dalle
mie condizioni? Se dopo il parto avrei scoperto che si comportava
così ma che
in realtà aveva già trovato un’altra
compagna? Non ci volevo pensare.
Non sentii
niente. Forse fu l’anestesia, ma non
percepii dolore.
- Prendi la
testa piano, mantenendo con una
mano il resto del corpo – disse Carlisle. Vedevo Edward
trattenere il respiro.
Mi ricordai del primo giorno in cui lo vidi. Il suo volto era solcato
dai segni
dell’istinto… Non riusciva più a
ragionare perfettamente. Fece ciò che il padre
gli ordinò.
Per due o tre
minuti, lo vidi maneggiare con
la mia pancia. Poi sentii un piccolo rumore.
- Prendilo
per i piedi e dagli uno schiaffo
sul sedere -
Da lontano
vidi che Edward eseguì l’ordine. Un
pianto successivo interruppe il silenzio. Mi iniziarono a scendere le
lacrime…
Il mio primo figlio era nato.
-
E’ un maschio – mi informò Carlisle, ma
ero
troppo occupata a piangere dalla gioia per dargli subito conto.
- Sai cosa
devi fare, figliolo. Adesso è
facile –
La scena si
ripeté. Edward, per la seconda
volta estrasse il bambino dalla pancia e lo sculacciò. Un
nuovo pianto ed una
nuova scia di lacrime invasero il mio viso.
- Sono pronto
a ricucire, Edward. Dovresti
pulire un po’ i bambini -
-
E… il sesso? – chiesi, forse troppo a bassa
voce per farmi
comprendere. Ma loro
capirono lo stesso.
-
E’ una femminuccia. – mi sorrise Carlisle
–
E’ finita –
Lo vidi
armeggiare attorno alla pancia e
sentivo di tanto in tanto tirarmi sullo stomaco. Forse tra poco
l’effetto
dell’anestesia sarebbe finito. Chiusi gli occhi. Ero davvero
stanca.
Angolino...
Heilà!
Come andate? Io vado bene... XD Sono troppo contenta, domani esce
Breaking Dawn e me lo vado a comprare! *____* OMG! Spero davvero che si
concluda bene per i nostri eroi u.u
Soprattutto,
cercherò di non scrivere per il momento storie che possano
contenere spoilers... anche se è difficile!XD
Comunque,
veniamo a noi... Sono davvero contenta che questa storia sia piaciuta
ad un sacco di voi, grazie °-° Spero di
avervi rese contente con questo capitolo, però... ricordate
che non sappiamo come reagirà Edward dopo, quando Bella si
sarà riposata... Non cantante vittoria subito anche se devo
ammettere che a me non piacciono le cose tristi... quindi di sicuro non
vi deluderò XD!!
Ringrazio
particolarmente: momob,
Helen
Cullen, LittleBloodyMary,
PhOeNiX_93,
Girasole94,
Hele91,
MoonlessNight,
clodiina85,
_Natsuki_,
ka chan.
Grazie, grazie, e ancora grazie! *____*
Spero di postare presto il nuovo
capitolo, che è in fase di lavorazione
ù.ù Un saluto da Yuna, kisses *_*
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Capitolo 8 *** A & A ***
Shouldn't
let you conquer me completely.
Now I can't let go of this dream.
Can't believe that I feel...
Good enough,
I feel good enough.
It's been such a long time coming, but I feel good.
And I'm still waiting for the rain to fall.
Pour real life down on me.
'Cause I can't hold on to anything this good enough
Am I good enough... For you, to love me too?
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non avrei dovuto permetterti
di conquistarmi completamente
adesso non riesco ad uscire da questo sogno
non riesco a credere che mi sento
abbastanza bene...
mi sento abbastanza bene
ci sarà un lungo periodo in arrivo,
ma mi sento bene
e sto ancora aspettando che la pioggia cada
la vita reale cola su di me
perchè non riesco a tenermi stretta
a niente che sia abbastanza buona
sono abbastanza buona da farmi amare anche da te?
Evanescence - Good Enough
Sentii due
mani fredde che mi cinsero la vita, quando Carlisle terminò
il suo lavoro. Edward mi stava riportando sul letto. Mi
adagiò sui cuscini, messi in modo che potessi stare seduta
senza affaticarmi, e mi sorrise. Forse, se avesse potuto, avrebbe
pianto.
- Vuoi vederli? – mi chiese, con la voce dolce e commossa.
Annuii, quel evento mi aveva tolto il fiato.
Edward prese due piccoli fagottini, e me li porse con attenzione.
Notai i due bambini. Erano davvero belli. Uno aveva gli stessi capelli
di Edward, color bronzo. Aveva dei profondi occhi verdi e la pelle
molto chiara. Sembrava la copia di Edward.
L’altra, la bambina, era sempre di carnagione chiara, ma
aveva i capelli castani e gli occhi castano chiaro.
- Sono davvero belli – disse, guardandoli. Poi si
avvicinò a me. – Hanno anche il tuo stesso
odore… - ed annusò l’aria.
- Si. – mi limitai a dire. La verità
gliel’avrei detta dopo.
- Adesso dormi, amore mio. Devi aver patito le pene
dell’inferno con questi due neonati – mi disse, con
tono suadente e molto dolce.
- Tu… tu… non te ne andrai, vero? Io…
io ho da dirti… Voglio spiegarti questo…
Tu… - parlavo in modo sconnesso. Volevo dirgli tutto e nulla
in quel momento. Non volevo che andasse via.
- Non me ne andrò. E, per, questo, non devi preoccuparti.
Non devi spiegarmi nulla –
- Ma tu… devi sapere… Devi sapere che i
bambini… -
- Bella, non c’è bisogno che mi spieghi. Immagino
ciò che mi vuoi dire – rispose, con un sorriso
raggiante sul volto.
- No. So… cosa immagini… Che… sono
figli… di qualcun altro… -
- Bhè, penso che non immagino una sciocchezza. Sai
che è praticamente impossibile che… quando
noi… - s’interruppe, ricordando, quando mesi prima
avevamo fatto l’amore. Vidi sul suo volto una traccia di
malinconia. Che rimpiangesse quei giorni?
- No… Sai quando ho saputo che erano… tuoi?
–
- Di sicuro, ti sbagli – disse, serio.
- L’ho saputo due mesi dopo. Non mangiavo… Non
facevo nulla. Vomitavo soltanto. Forse, mi dissi, era perchè
mi mancavi… troppo. Ma poi, i sintomi non continuavano e
stavo male. Charlie chiamò un medico per farmi visitare e
lui mi prescrisse delle analisi. Da lì…
uscì che i valori erano alterati. Il medico vedeva la cosa
strana, e così decise di farmi fare una visita ginecologica.
Lì, seppi la verità. Fu nello stesso tempo felice
e triste. – Ormai piangevo e singhiozzavo da più
di due minuti.
Sentivo le mani di Edward sul mio volto, che cercavano di rasserenarmi.
Forse non credeva ancora alle mie parole. Tuttavia, non rispose. Sapeva
che dovevo dirgli altro.
- Non decisi di abortire. Quel figlio era l’unica, la sola
speranza che mi facesse credere che tu fossi stato davvero insieme a
me. Che mi avessi amata. -
Sospirò. Sapeva che quelle parole facevano male anche a lui.
Pensavo si sentisse nella mia medesima situazione.
- Bella… Sai che ogni gesto che ho fatto, l’ho
fatto perché ti amo. Tu… tu… non
potevi darmi una gioia più grande – disse,
avvicinando il volto al mio. La sua guancia gelata toccò la
mia, calda e madida di sudore. Rabbrividii. Quanto mi era mancato il
suo tocco.
E poi, aveva detto “l’ho fatto perché ti
amo”. Allora, era vero? Mi amava ancora?
- Tu… mi credi? – dissi, con le lacrime agli
occhi.
- Sì. Tuttavia, sarebbe meglio fare delle prove –
- Fai ciò che vuoi. Però… Sappi
che… Dopo di te… Io non l’ho fatto mai
più con nessuno. Non riuscivo ad amare più
nessuno… Come amavo te. – cercai la sua mano, e la
trovai. Uno dei bambini iniziò a piangere.
- Oh. Penso che i bambini hanno fame – disse sorridente e
divertito – Vuoi che me ne vada? –
- No! Per favore… Resta qui, ti prego. Non sai per quanto
tempo ho sognato… Ho sognato che tutto questo potesse essere
vero –
- Non è un sogno, se è questo che pensi. Sono
qui, accanto a te, e non ho mai smesso di amarti, mai. Nemmeno in tutto
questo tempo. Ma adesso, dai da mangiare ai bambini – disse,
il tono calmo e gioioso. Sul volto sempre il solito sorriso…
Il mio sorriso.
Si avvicinò ancora di più, ed avvicinò
le labbra fredde alle mie. In preda alla gioia, le mie labbra si
muovevano ancora più veloci che prima, e cercavano le sue
con avidità.
Lui, dal canto suo, si muoveva sempre rapido e mi baciava come mai
aveva osato. Quello era davvero il miglior benvenuto che avrei mai
potuto ricevere.
Si concluse subito, come anche le volte precedenti. Fermò le
mani ai lati del volto e sospirò, forse annusando nuovamente
l’aria. I due bambini, intanto, piangevano
all’unisono.
Edward si allontanò, si alzò dal letto e si
voltò, quando vide che mi sbottonavo i bottoni del vestito.
Avvicinai il bambino che assomigliava ad Edward al seno destro. Subito
lo prese, ed io sentii un piccolo solletico che mi fece sorridere.
- Dai, puoi anche girarti – dissi ad Edward, che cercava di
restare girato e guardava fuori dalla finestra.
- Sicura? Vorrei lasciarti tutta la privacy che vuoi –
- Ma dai! Mi conosci. E poi penso tu sia curioso di vedere come Anthony
succhia il latte – gli dissi, ridacchiando. Adesso ero sicura
di quale nome dare al bambino. L’avevo visto nei miei sogni.
Edward si voltò. – Anthony? –
- Sì. Non ti piace? Io… l’ho visto in
un sogno. Mi ha ispirata -
- Capisco. In ogni caso mi piace – Si avvicinò
lentamente, e si sedette nuovamente vicino a me e iniziò ad
accarezzare il piccolo faccino di Anthony. – E la bambina?
Adesso sono curioso di sapere anche il suo nome… Spero non
sia eccentrico – sogghignò.
- Angela. –
- Angela? Mi piace. – sorrise.
Dopo tanti mesi di lontananza, avevo finalmente rivisto il suo volto.
Era sereno, era felice. O almeno era ciò che io vedevo.
Edward non era il tipo di troppe parole, lui preferiva fare i fatti,
come quando se n'era andato. Se avesse scelto qualcosa di doloroso da
fare, non so come avrei reagito. Rabbrividii al solo pensiero.
Edward se ne accorse e cercò di rimediare.
- Siete davvero belli, insieme... tanto meravigliosi ai miei occhi che
credo, giuro che non vi lascerò andar via tanto facilmente -
il suo volto s'illumino.
Era quasi come se avesse risposto alla mia domanda interiore. Sapeva
che non avevo il coraggio di chiedere, per avere una verità
che forse sarebbe stata scioccante.
Sarebbe restato. Sarebbe restato qui con me ed i bambini.
Sembrava troppo bello per essere vero, e invece lo era.
Dopo che Anthony ebbe finito la poppata, Edward lo reclamò
tra le sue braccia. Quando glielo passai, il bambino smise di piangere.
Sapevo che era merito suo. Chi non poteva resistergli...
Presi Angela, che era stata quieta tra le mie gambe mentre allattavo il
suo gemello.
Lei si attaccò al mio seno sinistro, premendo piano la
boccuccia attorno ad esso.
Sia io che Edward restammo in silenzio per molto tempo.
Mi limitavo a guardarlo spesso mentre osservava il bambino sempre con
maggior stupore.
Sembrava affascinato. Osservava ogni minimo tratto del suo
viso, tastando piano con le mani la liscia pelle pallida. In
questo, il piccolo Anthony era come suo padre.
Angela, invece, aveva sempre la pelle molto chiara ma assomigliava di
più a me. Speravo che da grande, però non avrebbe
preso anche la mia goffagine... Povera bambina.
- Non ne sono sicuro - esordì Edward improvvisamente - ma
penso che abbia il mio stesso colore di occhi... Da umano intendo. -
- Penso... Penso di sì - risposi sussurrando. Intanto anche
Angela aveva finito la sua poppata. Si era addormentata tra le mie
braccia.
Edward sospirò. La somiglianza era evidente.
Mi rivestii, mentre Edward reclamò anche Angela tra le sue
braccia.
Aveva una bambino a destra, ed uno a sinistra. Sembravano tre angeli
insieme.
Improvvisamente, sentii dei forti rumori dal piano di sotto. Crescevano
piano, fino a raggiungere il luogo dove giacevo.
Come avevo sospettato, erano delle visite.
- Oh, Bella! Come stai? Ohh! - urlò come era suo solito nei
momenti di esultazione.
- Shh - fece Edward - Stanno dormendo -
- Già? - gli chiesi.
- Sì. Mica possono solo piangere - sogghignò.
Alice salì sul letto e mi gettò le braccia al
collo. Era gelida come sempre.
- Bella! Sono così felice di vederti! Non sai da quanto ho
aspettato tutto questo! -
Edward si voltò verso sua sorella con espressione stranita.
Poggiò i bambini in una piccola culla - l'avevano presa in
un grande magazzino che l'aveva subito portata a causa delle minacce di
Alice - e venne accanto a noi. Alice era seduta accanto a me e guardava
suo fratello con aria saccente.
- Tu... Cosa? - si limitò a dire. Era furioso.
- E' stato solo una settimana fa, Edward. E' lì che lei ha
preso la sua decisione. Non ho mai guardato nel suo futuro,
è tutto arrivato senza bussare! -
- Perchè non me l'hai detto subito? -
- Te l'ho detto, sapevo che sarebbe venuta... E poi, non sapevo come
avresti reagito. Voi dovevate incontrarvi di nuovo... - disse, un po'
triste.
Edward non rispose. Si avvicinò alla finestra e
guardò fuori, forse stava riflettendo su qualcosa. Lo vedevo
teso.
- Bella, stai bene? - mi chiese, dopo aver sbuffato un paio di volte.
- Sì, adesso sì. -
Mi sorrise. Poi si bloccò, come in preda ad una visione.
- I tuoi amici stanno arrivando - mi riferii - Jacob è
davvero arrabbiato... L'altro... Mmh. Lo stesso. E poi vorrebbe
uccidere Edward -
- Ah. -
Edward sembrava ancora assorto nei suoi pensieri. Non se ne importava
granchè. Improvvisamente si voltò.
- Bella, se vuoi posso dirgli di aspettare per vederti - mi disse,
avvicinando tremendamente il volto al mio - mi sembri stanca -
- Va tutto bene, Edward. Lo conosci, sai che se non mi vede subito... -
sbuffai, anche se mi faceva piacere rivedere il mio vecchio amico lupo
ed il mio recente amico umano.
- Io, me ne vado! Non sopporto quella puzza! - disse Alice, chi
schizzò via dalla stanza.
Edward si sedette sul letto accanto a me, cingendomi la spalla e
poggiando la testa sul mio petto. - So che sei felice... di rivederlo.
- disse, forse un po' deluso. Sapevo che era geloso di Jacob.
- Sì - risposi secca. D'altronde, non potevo nascondergli la
pura e semplice verità. Sapeva quanto ci tenessi a Jacob.
Sospirò nuovamente. - Sta arrivando. C'è anche un
altro assieme a lui... Chi è? - chiese curioso.
- E'... Dean. Un ragazzo che ho conosciuto a Portland... Si
è fissato che mi doveva accompagnare fin qui -
- Ah - rispose semplicemente - E' davvero furioso con me. I suoi
pensieri sono funesti... Vorrebbe staccarmi la testa - rise
fragorosamente. La sua risata mi ricordava tanto il canto di un
uccello... O di qualsiasi altra cosa soave, calma e melodiosa.
- Scusami... E' che gli ho detto... La verità. Che tu... -
non riuscivo a dire "mi avevi lasciata"... Riaffiorava un dolore troppo
grande.
Mi poggiò il dito sulla bocca per non farmi continuare.
- Shh, Bella. Non ti preoccupare. Oggi è un altro giorno e
le cose sono diverse... Ti assucuro che non ripeterò
nuovamente lo stesso sbaglio. Non lo faccio mai. Non sono bravo a
mentire a me stesso - Sentivo il gelo sul cuore. Questa volta non era
per il dolore, ma per la pelle fredda di Edward contro la mia, bollente.
All'improvviso, sentii dei passi sempre più veloci e
tuonanti provenire dal piano di sotto.
- Sono loro? - gli chiesi.
- Sì - rispose semplicemente. Edward era ancora nella stessa
posizione, mi cingeva le spalle e aveva la testa poggiata sul mio
petto. Non si spostò di un centimetro nemmeno quando Jacob e
Dean irruppero nella stanza.
- Meno male che sei salva! - fece Dean, sollevato - Una ragazza ci ha
telefonati per avvertirci che eri qui, oh santa pazienza! -
Jacob aveva un espressione seria e adirata. Era visibilmente
arrabbiato. Sul suo volto la sua bocca era un ghigno, passava da Edward
a me e viceversa.
- Il telefono... - grugnì.
- Scarico - risposi secca.
Jacob sbuffò, e Dean dopo di lui. Edward
s'irrigidì.
- Bella, pensavo che ti aveva mangiata un orso - scherzò
Dean - e invece... - indicò col capo verso Edward. Quando i
suoi occhin si fissarono su di lui, quasi lo fulminarono. Edward
sogghignò così a bassa voce che nemmeno io quasi
lo sentii.
- Sì, sono stato io - rispose Edward, forse ad un pensiero
di Dean.
C'era tensione nella stanza. I miei due amici fissavano Edward con
disprezzo, quasi come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Per due
intensi minuti si guardarono negli occhi senza dire nulla.
- No, non me ne andrò - disse Edward, rivolto a Jacob. Forse
rispondeva ad un suo pensiero, adesso.
- Non usare i tuoi trucci con me, succhia- - Jacob si fermò,
prima di pronunciare quella parola disgustosa e offensiva per il mondo
dei vampiri. Sapeva che Dean avrebbe cominciato a fare delle domande
indiscrete.
Dean fissava entrambi, adesso. Forse era davvero confuso da tutto
ciò che Edward e Jacob si stavano dicendo. In effetti...
- Basta, ragazzi! - sbottai - Non voglio che litighiate... Di nuovo.
Jacob, Dean, sono davvero felice di vedervi. - tagliai corto,
altrimenti avrebbero continuato di sicuro.
- E' lui... - disse Dean a bassa voce, riferendosi a Edward.
- Sì, sono io - rispose nuovamente Edward, impedendomi di
parlare.
- Tu ed io dovremmo fare quattro chiacchiere... - disse Dean, le mani
chiuse a pugno.
- Alt. Qui nessuno parla con nessuno se non prima di parlare con me.
Non voglio discussioni. - sottolineai. E poi Edward avrebbe di sicuro
ucciso letteralmente Dean... Jacob forse l'avrebbe reso male, ma lui
sarebbe guarito presto.
- Ma Bella... Com'è possibile che... Tu... -
- Dean, preferirei spiegarti da sola, il perchè... ma non
pensare nemmeno di batterti con lui! - urlai, quasi sogghignando al
solo pensiero.
Edward, ancora nella stessa posizione di prima, rideva sotto i baffi
mentre mi accarezzava la guancia. Probabilmente pensava a lui e Dean
che si battevano. Anche io ridevo, attenta a non farmi vedere, mentre
accarezzavo anche io la sua guancia.
- Edward - gli sussurai - vorrei stare un attimo sola con lui -
Edward si alzò e andò accanto a Jacob - Andiamo,
cane - gli disse a bassa voce, ancora sogghgnando.
Dean si avvicinò, e si sedette sulla sedia vicino alla
finestra.
- Dean... Non avercela a male con lui... -
- Ma, Bella, e se se ne andasse di nuovo? Adesso hai due bocche da
sfamare in più! -
- No, non se ne andrà. Lui sa... Sa cosa è
giusto. Non ci riuscirebbe mai. -
- Tu ci credi subito a queste cose? Non pensi che l'ha detto solo
così, perchè adesso sei un po' debole... Per non
addolorarti? - Le sue parole erano taglienti ma vere, in un certo
senso. Sapevo che Edward una volta fatta una scelta non si voltava
indietro. Mai. Anche adesso che inconsciamente era diventato padre.
- Tu non capisci... Io... Lo amo, tanto. Troppo. E lui ama me. -
- Bella... Tu... Potresti trovare anche qualcuno migliore... Qualcuno
stabile, che ti dia sicurezze. Che sicurezza potresti trovare in uno
che già ti ha abbandonata una volta? -
- Qualcuno come Jacob, intendi? Lui è solo un amico, per me.
E tale resterà. -
- No, Bella. Guardati attorno. Non vedi nulla? -
- Te. -
- Esatto! Io? Bella io... Non posso più trattenermi... Io...
ti amo -
- Dean... Ci conosciamo da pochissimi giorni... Non dire sciocchezze. -
Dean era veloce a parlare come ad agire. Svelto si avvicinò
al letto e restò in ginocchio sul materasso. Piano, si
sporse verso di me per raggiungere il mio volto... E baciarmi sulle
labbra. Io restai immobile. Era solo un amico, come Jacob. Io amavo
solo Edward.
Pochi secondi dopo il contatto, sentii dei passi avvicinarsi. Subito
dopo, un Edward visibilmente furioso entrò nella stanza.
- Adesso penso proprio che uno scontro ci voglia proprio -
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Angolino...
Ciau a tutti!! Come vedete sono passati alcuni giorni da quando ho
postato... Bhè, primo, ho preso Breaking Dawn e sono stata
immersa nella lettura per giorni e sono rimasta un po' scioccata da non
riuscire a scrivere per giorni, e, secondo, ho un nuovo pc senza
connessione e quindi ho dovuto pregare mia sorella di farmi venire un
attimo a questo per postare il capitolo nuovo.
Vi sono piaciuti i due bimbi? Che fantasia che ho avuto a scegliere i
nomi madù... XD
Sper di non aver deluso le Edward's Fans, però questo
è solo l'inizio... Non ci sarà solo Dean a
rendere le cose difficili, ma anche altre apparizioni... XD
Ringrazio tutte coloro che hanno commentato lultimo capitolo, scusate
se non vi nomino tutte ma davvero vado di fretta! T_T
Spero davvero che mi arriva la connessione wifi molto presto,
così posto più veloce! ;)
Ciau! Yuna
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Capitolo 9 *** Second Time ***
non posso resisterti
There's a song that's inside of my soul.
It's the one that I've tried to write over and over again.
I'm awake in the infinite cold, but you sing
to me over and over and over again.
So I lay my head back down,
and I lift my hands and pray to be only yours
I pray to be only yours.
I know now you're my only hope.
Sing to me the song of the stars.
Of your galaxy dancing and laughing and laughing again.
When it feels like my dreams are
so far, sing to me of the plans that you have for me over again.
I give you my destiny.
I'm giving you all of me.
I want your symphony.
Singing in all that I am.
At the top of my lungs,
I'm giving it back.
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C'è una canzone che si trova nella mia anima
è quella che ho provato a scrivere più e più volte
mi sono svegliata in un freddo infinito
ma tu hai cantato per me più e più volte
quindi abbandono la testa all'indietro
e poi sollevo le mani e prego di essere solo tua
prego di essere solo tua
ora so che tu sei la mia unica speranza
cantami la canzone delle stelle
della tua galassia mentre balliamo e ridiamo più e più
volte
quando sembra che i miei sogni siano troppo lontani, cantami
ripetutamente dei piani che hai fatto per me
ti darò il mio destino
ti darò tutto di me
voglio che la tua sinfonia canti in tutto ciò che
sono
mentre ti rispondo con tutto il fiato che ho..."
Mandy Moore - Only Hope
- No, Edward! - urlai, pensando al peggio. Dopotutto Dean era solo un umano.
- Dai su, voglio proprio vedere quanto tieni a lei! - Lo incintava Dean.
Forse non aveva proprio idea di ciò che gli sarebbe potuto succedere se davvero
lui e Edward si fossero picchiati... Lo stesso pensiero che avevo avuto prima
quando lui e Jacob erano entrati furtivamente nella mia stanza.
Dean si avvicinò a Edward, le mani strette a pugno. Sul suo volto, un
espressione davvero paurosa. Era davvero arrabbiato. Nemmeno la metà della
rabbia che avevo visto prima sul volto di Jacob.
Edward non si mosse di un millimetro. Il suo sguardo era fiero, irremovibile;
lui già sapeva cosa aveva intenzione di fare il suo "avversario". Che strana
cosa immaginare soltanto quella parola. Aveva davvero intenzione di battersi con
un umano?
Dean si avvicinò ancora di più a lui. Camminò lentamente, misurando ogni
passo. Il suo pugno destro era davvero stretto e pronto ad agire...
- Per favore, Dean... Non farlo... - Urlai, pensando a quanto si potrebbe far
male dando un pugno ad Edward. Non ne aveva proprio idea, secondo me.
Sul volto di Edward adesso c'era un largo sorriso. Quasi diceva "vieni,
qui,"... Sembrava davvero così cattivo... Non l'avevo mai visto così... Mi
faceva paura.
Dean sferrò il suo colpo, senza pensarci... E Edward si scostò, impassibile.
Il sorriso ancora sul suo volto, il corpo rigido. Forse lo stava evitando
apposta... Sapeva che se non faceva nulla lui di sicuro avrebbe dubitato di
tutti loro. Sarebbe di sicuro uscito fuori di senno come aveva pensato che sarei
uscita anch'io quando avevo scoperto che lui era un vampiro.
- Che c'è? Perchè mi eviti? - ringhiò Dean, semplicemente sorpreso di vedere
che Edward era tanto bravo. Di sicuro l'aveva giudicato male. No, l'aveva
giudicato male...
Dean continuò imperterrito per altre due o tre minuti, e notai che aveva
ormai il fiatone. Un po' mi dispiaceva per lui, dato che ce la stava mettendo
tutta, anche se non c'era bisogno di battersi per decidere chi era il
migliore... Dannato Edward... Volevo che non facesse stancare troppo quel povero
ragazzo. Alla fine era solo un umano. Alla fine era come me.
Improvvisamente sentii dei piccoli strilletti nella stanza.
- I bambini! Avete fatto svegliare i bambini! - Entrò Alice in fretta,
avvicinandosi alla culla.
- Adesso basta con i giochi, grazie - disse Edward, con il suo tono suadente.
- Giochi? Vuol dire che stavi fingendo? - chiese Dean, alquanto sorpreso.
- Pensavi davvero che avrei alzato le mani contro di te? Davanti a Bella?
Davanti ai bambini? -
- E allora? - Dean sembrava davvero non capirci più nulla.
- Disturberesti mai una principessa quando dorme? - gli rispose Edward, la
sua voce ancora più soffice e persuasiva come prima. Lo voleva davvero
convincere di quello che stava dicendo. Ed, in effetti, da parte sua era molto
carina come cosa. Arrossii.
Dean era un po' interdetto, forse dalle parole di quel ragazzo che aveva
effettivamente giudicato un po' troppo presto quel vampiro misterioso.
- Ehm... No -
- Edward, stanno arrivando - disse all'improvviso Alice. Non avevo idea di
chi stesse parlando. Era uno dei Cullen? Emmett forse?
Edward si bloccò e fissò il vuoto, poi me, e poi sua sorella.
- Sono in tre? -
- No, c'è anche lui -
Edward serrò i denti e strinse la mascella. Evidentemente stava per arrivare
qualcuno che non gli era molto simpatico. Ma di scuro non erano Rosalie ed
Emmett. Chi poteva essere? Mi ricordai di quando, alcuni mesi prima, ero andata
per la prima volta a casa Cullen. Quando io e Edward ci eravamo messi insieme...
Tanto tempo fa. E, durante la partita di baseball, erano arrivati James, Laurent
e Victoria. Che io sappia, l'unico morto finora è solo James. Non sapevo se gli
altri due erano ancora assieme...
- Non ti preoccupare, non farà nulla. Adesso è come noi -
- Sicura? Stessa dieta? -
Sapevo a cosa si riferisse. Dieta per intendere stile di vita. Stavano
parlando di vampiri. E questa cosa mi faceva pensare molto. Di nuovo, chi poteva
essere?
Alice annuì, mentre notai Dean ancora più confuso. Non stava capendo più
nulla.
- Allora, Dean, penso sia meglio che tu vada a riposarti - gli disse Alice,
mentre muoveva la culla per far riaddormentare i neonati.
Dean era ancora perplesso. - Dove? -
- Secondo piano, seconda stanza a destra... - Mentre diceva queste cose,
arrivò Esme accanto a lei. Da quanto tempo non la vedevo. Mi guardò e mi
sorrise, il che mi fece essere davvero contenta.
- Vieni, ti accompagno io, - disse Esme con voce dolce, da madre. Dean ne fu
quasi ammaliato e senza una parola, la seguì.
Attesi che si fosse allontanato, e , quando ormai sentii i suoi passi in
lontananza, cercai di capire cosa stava succedendo.
- Edward... Cosa? -
- Avremmo delle visite... - disse esitando.
- Ehm, posso sapere chi verrà? -
Alice e Edward si scambiarono uno sguardo d'intesa. Perchè non volevano dirmi
nulla? C'era qualcosa che non potevo sapere?
- Bella, credimi, non è nessuno d'importante... Visite di routine per
Carlisle, vecchi amici -
Sbuffai e mi gettai all'indietro nei cuscini. Odiavo quando mi si negava la
verità.
Chiusi gli occhi e mi girai sul fianco. Temevo che ciò che mi stavano
nascondendo era qualcosa di triste o pericoloso per me e per i bambini, e che
avrebbe potuto farmi andare nel panico. Ma, pensandoci bene, l'unica cosa che
realmente mi faceva andare nel panico era proprio non sapere le cose. L'aveva
fatto spesso, spesso mi aveva nascosto cose che invece avrei dovuto sapere... Mi
aveva protetta troppo.
Sentivo i loro occhi su di me, e Alice che parlava piano con Edward. Riuscii
ad afferrare le parole "è meglio di sì, dopotutto c'è bisogno che lo sappia", ed
anche "no, è da solo. Ha deciso di convertirsi... Credimi, va tutto bene".
In queste situazioni desideravo leggere nel pensiero come Edward.
Mi sotterrai sotto le coperte, cercando di fingere di dormire. I bambini
avevano smesso di piangere, grazie ad Alice, e la stanza adesso era molto calma.
Mi sentii invadere improvvisamente dalla tranquillità e dalla gioia, e mi chiesi
subito se questo era dovuto a qualche persona in particolare. Non volevo
girarmi, dopotutto stavo quasi fingendo di dormire, ma percepii lo stesso i
passi felpati della persona che stava creando questa atmosfera.
- Non dovevi farlo, sta bene - disse Alice.
- Solo routine, - rispose Jasper.
Sentii qualcuno sbuffare. Pensai che fosse Alice, ma non ne fui sicura.
- Allora noi... andiamo! - disse, la voce almeno più alta di qualche ottava -
Mi raccomando... protezione! -
Sentii i passi di Alice e Jasper allontanarsi piano,chiudendosi la porta alle
spalle, ed altri passi che stavano venendo verso di me. Sapevo a chi
appartenevano.
Spense la luce, e sentii che piano salì sul letto, come faceva sempre anche
alcuni mesi fa, quando veniva di nascosto nella mia stanza e attendeva che mi
addormentassi. Quando mi cantava la sua ninna nanna...
Mi sfiorò i capelli con la mano, scendendo piano sulla guancia e risalendo
dolcemente in un movimento lento e misurato. Mi fece rabbrividire.
- Lo so che non stai dormendo - disse - ormai ti conosco bene -
Non gli risposi. Volevo che continuasse a stuzzicarmi, accarezzandomi la
guancia.
La sua mano si muoveva leggiadra sul mio mento, e lui si avvicinava sempre di
più al mio corpo, aderendo perfettamente alla mia figura curvata. Non volevo
aprire gli occhi anche se sapevo che non l'avrebbe notato visto che lui era
dietro di me, ma la tentazione era troppa. Alla fine cercai di cedere. Volevo
toccargli la mano, stringerla nelle mie per provare a me stessa che non stavo
sognando. Che lui era qui ed era vero. Ed era qui per me.
- Colpevole - gli risposi, conscia di non poter continuare così. Quelle
carezze mi stavano dando alla testa e non sarei riuscita a star ferma ancora per
molto...
La sua mano continuò il suo viaggio, abbassando un po' la coperta e scendendo
dalla guancia al braccio, provocandomi brividi di piacere.
- Non pensare che ti voglia nascondere qualcosa - riprese, con voce calma -
ma non so come potresti reagire -
- Dipende dalla cosa. Spara, sono pronta a tutto -
Sospirò, esitando. - Laurent sta venendo qui... E' assieme al clan di Denali,
però, e Alice non vede nulla di male... Tuttavia... - esitò di nuovo - non ti
permetterò di andar via da questa stanza. Ne a te, ne ai bambini. Faremo finta
che voi non ci siate, anche se è impossibile, dato che sentirebbero in ogni caso
il vostro odore... Ma. Ripeto, Alice ha detto che lui è cambiato. Non caccia più
umani da quando è con Irina, quindi... -
Trasalii. Anche se mi aveva assicurato che Laurent era cambiato, non ne ero
comunque molto sicura. Poteva succedere di tutto. Però, ero molto confortata dal
fatto di essere con lui e gli altri, che non avrebbero esitato a proteggere me e
i neonati...
La sua carezza continuò. Questa però era piuttosto per rassicurarmi.
- Bella, andrà tutto bene. Tu ed i bambini -i nostri bambini- starete
benissimo, qui. Alice pensa che resteranno per una settimana circa, giusto per
visitarci -
Sospirai e presi un respiro profondo, ma non risposi.
Edward mi baciò la guancia, e proseguì baciandomi anche i capelli e il collo,
in vari punti. Quei baci, anche se casti, mi facevano elettrizzare.
Procedeva baciandomi dappertutto, anche sulle braccia. Poi mi cinse la vita
con il braccio e mi voltò, per guardarlo negli occhi. Dietro du lui, fuori dalla
finestra, vedevo la luce chiara della luna. Quella sera era pià bianca che mai.
La luce si rifletteva sui suoi capelli, e li rendeva stupendi e brillanti.
Davvero uno spettacolo meraviglioso. Si avvicinò ancora di più, intrappolandomi
nella sua morsa e baciandomi sulle labbra con forte trasporto. Il suo bacio non
era come i soliti, era qualcosa di più intenso, e magico. Era quasi come se
parlasse e dicesse "bentornata, mi sei davvero mancata." Amavo le sue labbra
sulle mie. E su ogni altra parte del mio corpo.
Scese più in basso, baciandomi il petto ed indugiando più in basso, sul seno.
Quei baci mi fecero davvero sussultare per il piacere che provai, ed ero quasi
in iperventilazione quando mi accorsi che piano mi stava sbottonando l'abito che
avevo ancora indosso dopo il parto. Lo sentii cadermi dalle spalle, che adesso
erano nude e lisce sotto il suo tocco.
Sapevo cosa avesse intenzione di fare, e gliel'avrei permesso. Quello sarebbe
stato davvero un regalo di benvenuto.
Cercai di sbottonargli la camicia, senza successo, e lui mi sorrise e lo fece
da solo, mentre io, imbarazzata come se fosse la prima volta, abbassai lo
sguardo.
Lui mi alzò il mento, per farsi guardare, e mi sorrise nuovamente. - Non c'è
nulla di cui preoccuparsi, - mi disse, continuandomi a baciare e a disfarsi
della sua camicia - andrà tutto bene, amore -
Io non riuscivo a dire una parola, quel momento era troppo bello da essere
vissuto in silenzio, solo accompagnato dai nostri gemiti.
Cercai di sfilarmi l'abito e, quando ci riuscii, lo gettai a terra. Cercai di
sfilargli i pantaloni, ma la sua cerniera era troppo lontana, così lui fece di
nuovo tutto da solo rivolgendomi un dolce sorriso e baciandomi i seni.
Tastavo ogni centimetro del suo corpo con la bocca e tracciavo ogni
centrimetro del suo petto con la lingua, perchè ero decisamente affamata di lui.
Non lo vedevo da troppo, molto tempo.
Lui, dal canto suo, faceva lo stesso. Non c'era nessuna parte del mio corpo
che non lambisse con le sue mani e le sue labbra. Anche lui era affamato. Si
avvicinò sempre di più, muovendosi piano per cercare di non farmi male.
Ormai non avevo più nulla addosso, e lui procedeva lentamente ad accarezzarmi
il bacino e i fianchi, scendendo piano sul sedere e papandolo con grazia, quasi
come non volesse evitare di romperlo, dato che secondo lui ero molto fragile.
Certo, il mio corpo tra le sue braccia lo era, ma adoravo abbandonarmi
all'emozione... E così anche lui.
Continuava a baciarmi, mentre si avvicinava finalmente alla mia intimità. Con
un colpo secco, ma anche molto misurato, i nostri due corpi furono uno dentro
l'altro. Dalla mia bocca uscì un "ahia", perchè mi stavo davvero eccitando, ma
Edward si allarmò.
- Dolore? - chiese, sempre dolce e con il solito sorriso.
- No, per niente, - mentii, ed in parte non era vero. Anzi, invece del dolore
stavo provando una grande eccitazione. - Continua, per... favore - chiesi,
ansimante.
Edward si spinse ancora più dentro di me, facendomi urlare di nuovo, questa
volta più ad alta voce. Per non sentire dolore continuai a baciargli il collo, e
lui fece lo stesso con il mio, mentre con la mano libera mi accarezzava la
schiena.
Contnuò così per molto tempo, ed ogni volta le mie urla erano sempre più
acute che mi chiesi semmai le avessero sentite anche gli altri Cullen. Pensai di
sì.
Poi, stanca, aprii le braccia sul letto e cercai di riprendere fiato. Stavo
ansimando ormai da molti minuti. Mi girai verso Edward, che mi stava guardando,
e stava sogghignando. Lui non era stanco. Non lo sarebbe mai stato.
- Tutto bene? - mi chiese, con il suo tono dolce e suadente.
- Tutto... bene - gli risposi, ancora con il fiatone. Ero stanca. - L'altra
volta... Non era... stato così... -
La sua risata divenne più fragorosa. - L'altra volta era una specie di
prova... Non sapevo come... Come mi dovevo comportare... Se ti avrei fatto
male... - sospirò.
- Ah - dissi, forse già consapevole che avrebbe risposto in questo modo. So
che ci teneva a me... Ma soprattutto ci teneva a far restare intatto il mio
corpo... E la mia umanità.
- Stanotte, invece... - risprese, - ero davvero eccitato. Ho osato molto di
più rispetto all'altra volta e... Ho visto che anche tu... - sogghignò,
lasciando la frase in sospeso.
Arrossii. Sapevo a cosa si riferiva. Ai miei gemiti... Ops. Ora mi ricordai
che avevo urlato un po' troppo. E, da ciò che dicevo, si capiva che non urlavo
da dolore. Mi ricordai troppo tardi, di nuovo, che ero a casa di vampiri.
Vampiri che avevano un udito sopraffino.
Mi nascosi sotto la coperta, imbarazzata.
Lui, che aveva capito il perchè del mio gesto, mi scoprì subito e avvicinò il
mio volto al suo. Adesso eravamo occhi negli occhi.
- Non devi vergognarti, per questo - mi disse, accarezzandomi la guancia.
- Ma... Mi avranno sentito tutti! - risposi, ancora più rossa in volto.
Edward rise di nuovo. - Forse sì. Ma hanno deciso di non stare su questo
piano della casa, almeno per questa notte... -
- Edward, quanto lontano più arrivare l'udito di un vampiro? -
- Anche a due chilometri. Ma forse... -
Ero praticamente paonazza. - Che figura... - dissi, imbarazzatissima.
Edward non la smetteva di ridere.
Mi appoggiai sul suo petto, abbracciandolo. Lui di rimando mi circondò con le
sue braccia, e smise di ridere. O quasi.
Non so quanto tempo passai in quel modo, ma mi addormentai.
La mattina seguente, era tutto come lo ricordavo. Ero ancora stretta ad
Edward, la testa sul suo petto, e lui era ancora avvinghiato a me.La coperta mi
copriva le spalle, anche se non avevo molto freddo.
Alzai la testa, ed incontrai quella di Edward. Mi sorrideva.
- Buongiorno... - mi disse, con voce suadente.
Sbadigliai. Avevo ancora un po' di sonno dopo la notte passata in bianco...
Improvvisamente scattai a sedere. Mi ero dimenticata di una cosa. Una cosa
importante.
- I bambini! Devo allattarli! - urlai.
Edward mi poggiò una mano sulla spalla. - Calma, Bella. Stanno ancora
dormendo ed è ancora presto -
Sospirai. Meno male. Ero diventata madre da appena poche ore, non potevo
permettermi di sbagliare fin da subito. All'improvviso Edward s'irrigidì. Poi
capii il motivo.
Sentii dei passi veloci che provenivano da corridoio. Come mi aspettavo,
qualcuno entrò nella stanza a grandi passi.
- Dai, Tanya, può darsi che sta impegnato - sentii dire ad Alice.
- Ma no, dai! Cosa può fare di tanto importante? -
Non riconobbi la ragazza con Alice. Era alta, bionda e pallida, ed anche
molto bella. Da far invidia a Rosalie.
Fissò prima me, poi Edward, che tra l'altro era ancora svestito. Da sotto le
coperte di certo non si poteva vedere nulla, ma il suo pettò nudo marmoreo di
certo sì, visto che ormai era seduto e non era più coperto dal lenzuolo.
- Oh - disse la ragazza, immobilizzandosi - Non mi avevi detto che -
- Stavo tentando, credimi. Ma non hai voluto ascoltarmi -
- Oh mio Dio. Oh! Non pensavo che... Oh! - Dalla sua bocca uscivano solo
questi "Oh". Le cose erano due. O era sorpresa di vedere Edward con una donna,
oppure adesso era tremendamente imbarazzata.
Non potevo esserne sicura, dato che lei era come loro. Non sarebbe potuta
arrossire. Non avrei mai potuto sapere se lo era, o no.
- Ciao, Tanya - disse Edward, il tono di voce, calmo.
- Edward, scusami! - gli rispose lei - Non sapevo che... -
- Non preoccuparti, Tanya. E' successo tutto così in fretta... - lasciò la
frase in sospeso.
- Scusami, ancora. Pensavo... Oh - Tanya, la ragazza, si voltò in fretta e
sparì dietro la porta come un razzo, ed Alice la seguì.
Edward fissava ancora la porta.
- Edward... Chi è quella ragazza? -
Lui si voltò verso di me, adesso serio. Ero pronta al peggio.
-----------------------------------------------------------------------------
Ehiiiiii ciao a tutti!! Ho aggiornato anche questa! Dopo tanto
u.u
Allora, cosa ne pensate? Cosa pensate che risponderà Edward? Bene o
male?
Grazie a tutti coloro che hanno commentato l'ultimo chapter. Uno
nuovo arriverà presto ^^
Un
grande kiss, Yuna
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Capitolo 10 *** Via ***
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So hold me when I'm here Right me when I'm wrong Hold me
when I'm scared And love me when I'm gone Everything I am And
everything in me Wants to be the one You wanted me to be I'll never let
you down Even if I could I'd give up everything If only for your
good So hold me when I'm here Right me when I'm wrong You can hold me
when I'm scared You won't always be there So love me when I'm gone
--------------------------------------------------
Allora stringimi quando sono qui, Correggimi quando
sbaglio, Stringimi quando sono spaventato, E amami quando non ci
sono.
Ogni cosa che sono, Ed ogni cosa in me, Vuole essere quello
che vuoi che io sia. Non ti deluderò mai, Anche se
potessi, Abbandonerei tutto, Se solo fosse per il tuo bene,
Allora
stringimi quando sono qui, Correggimi quando sbaglio, Stringimi quando
sono spaventato, Non ci sarai sempre, Allora amami
quando non ci sono.
When
I'm Gone – 3 Doors Down
Edward sospirò e si voltò verso di me con
tono triste. Era davvero tanto grave?
-Bella... Tanya ... Una volta lei ha
cercato di... Ha cercato di baciarmi - disse, lottando con sé stesso per trovare
le parole giuste.
Io restai in silenzio, ancora incapace di
parlare.
Edward mi prese il viso tra le mani,
accarezzandomi la guancia.
-E' successo cinque mesi fa, quando decisi
di andare a Denali per svagarmi un po'. Ormai era divenuto più difficile vivere
tra gli umani, dopo che ti avevo abbandonata, e quindi optai per una visita alla
famiglia di Tanya per cercare di pensare ad altro, visto che, forse non mi
crederai, era difficile pensare a qualsiasi altra cosa tranne che a te. - Mi
sorrise.
Ebbi la forza di dire due parole –
Tutto... tutto qui, Edward? E' questo... è questo ciò che ti è successo con
Tanya? - Sapevo che, chiedendo altro, mi sarei messa in pericolo da sola. In
pericolo di soffrire di nuovo da sola. Speravo che non c'era altro.
-Bella... - riprese, - Quando arrivai a
Denali non andavo a caccia da più di un mese... La sera stessa del mio arrivo,
Tanya venne a parlarmi mentre ero in una radura nel bosco più vicino... Ero
confuso, ma tuttavia non le dissi il motivo preciso della mia stanchezza e
tristezza. Lei... cercò di consolarmi in qualche modo, dato che... aveva sempre
manifestato una preferenza per me, ancor prima che io ti conoscessi –
S'interruppe.
Allora... A Tanya piaceva Edward. Trasalii
ed ebbi un colpo al cuore. Mi portai la mano sul petto. C'era di sicuro altro e
tra pochi secondi l'avrei saputo. Lui se ne accorse, e poggiò la sua mano sulla
mia, stringendola.
-Tanya... cercò di baciarmi, come ti ho
detto poco fa. Io l'allontanai, perchè non volevo assolutamente essere consolato
in quello modo. Ero ancora innamorato di te, e non cambiavo così facilmente
idea. Però, ero molto assetato. Non so come spiegartelo, posso farti l'esempio
di un uomo che non mangia e non beve da giorni. E' stanco, e... confuso. -
disse, un tono serio nella sua espressione.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma
non ne cadde nemmeno una. Non ancora, almeno. Era il seguito che mi faceva
paura.
-Lei... Riuscì a baciarmi... Ed iniziò...
Iniziò a togliermi i vestiti... Lo notai solo pochi secondi dopo, dato che ero
addolorato ed abbastanza debole. E la bloccai, fuggendo via nella foresta, senza
tornare da lei e le sue sorelle, se non dopo una settimana. In quella settimana
andai a caccia più del dovuto, perchè se avessi incontrato di nuovo Tanya in
quelle condizioni, non osavo pensare a ciò che sarebbe potuto accadere se... -
Fu allora che iniziai a piangere. Mi
portai entrambe le mani agli occhi e cercai di allontanarmi da lui, perchè il
semplice fatto di sapere che quella ragazza ci avesse provato e lui, anche se
per pochissimo tempo ci era stato, mi faceva tornare nel baratro di solitudine
in cui avevo vissuto in tutti questi otto mesi in cui ero stata lontano da lui.
Avevo davvero sperato che ieri, quando mi aveva trovata, avrei potuto
ricominciare una vita migliore assieme a lui ed i bambini, ma adesso penso che
sia quasi impossibile.
Non era proprio un tradimento, però ero
molto offesa. Non so se sarei riuscita a convivere con questa cosa, quindi,
amaramente, tra e lacrime, presi la mia decisione. La decisione più triste che
abbia mai preso in vita mia.
Edward si avvicinò sempre di più a me,
cercando di abbracciarmi, ma io mi divincolavo sempre di più. La voglia di
dirgli “sì, ti perdono perchè ormai è una cosa passata,” era forte dentro di me.
Ma, testarda com'ero, mi volevo far male da sola.
Finalmente Edward riuscì a stringermi tra
le sue braccia, ed io mi appoggiai sul suo petto e continuai a piangere a
dirotto. Lui continuava ad accarezzarmi i capelli, ed io iniziai ad affondargli
le dita nella schiena, arrabbiata. Non gli avrebbero di certo scalfito la pelle
marmorea, ma forse avrebbe capito che la sua rivelazione non mi aveva fatto
affatto bene.
Stetti in quella posizione per non so
quanto tempo, ancora nuda e stretta a lui.
Fui interrotta dal pianto dei bambini,
forse verso le dodici o anche più tardi.
-Penso che abbiano fame, - disse Edward,
che intanto continuava a consolarmi.
Annuii. Non avevo ancora voglia di
parlare.
Edward si alzò dal letto, ancora svestito
come me, e mi porse i due neonati.
Mi portai Anthony al seno per allattarlo,
e poco dopo, quando ebbe finito, feci la stessa cosa con Angela. Erano davvero
due bambini tranquilli... Chi sa se avrei saputo garantirgli un futuro con
quello che avevo appena pensato di fare...
Guardavo i bambini e piangevo. In realtà,
non proprio per la rivelazione di poco fa, ma anche perchè ancora non credevo
che i bambini fossero nati, e che fossero lì tra le mie braccia. All'improvviso
il mio stomaco brontolò.
-Oh, meglio che ti porti qualcosa da
mangiare, - disse Edward, che continuava a fissarmi e a sorridermi. Si alzò in
fretta dal letto, e si vestì ancora più in fretta.
Prima di uscire dalla stanza per andare a
prendere qualcosa per me, si abbassò e mi baciò dolcemente. Quello sarebbe stato
il nostro ultimo bacio.
Non appena uscì dalla stanza, poggiai i
neonati nella culla e mi vestii, anche se non ero veloce come Edward nel farlo.
Presi i bambini e li baciai, stringendoli a me. Presi anche una borsa, dove
c'erano i miei soldi, e presi un respiro profondo.
Me ne sarei andata. Sarei tornata a Forks
facendo finta, anche se dolorosamente, che non ero mai stata qui. Che Edward e i
Cullen non esistevano. Che io ero una ragazza madre e così doveva essere fino
alla fine dei miei giorni. Così, forse, Edward avrebbe potuto continuare a
vivere la sua vita. Magari con quella ragazza, Tanya. Lei avrebbe potuto
consolarlo quando io non c'ero.
La fortuna era dalla mia parte, visto che
nella stanza di Edward c'era una porta – finestra che conduceva fuori, nella
foresta aperta. Dovevo solo scendere delle rampe di scale e poi avrei detto
addio al passato.
Ci vollero giusto cinque o sei minuti per
uscire di casa ed arrivare al limitare della foresta accanto alla villa. Prima
di addentrarmi all'interno, diedi un ultimo sguardo alla casa, conscia che non
l'avrei mai più rivista. Non avrei osato tornarci. Presi di nuovo un respiro
profondo e mi avviai verso il mio futuro.
Erano circa le due o tre del pomeriggio,
quando raggiunsi un bivio nella foresta dove mi stavo incamminando. Non sapevo
dove andare, quella era di certo una fuga alla cieca. Una fuga verso qualsiasi
cosa che non riguardasse i vampiri.
Sperai di essere distante a sufficienza
per far sì che Edward o qualunque altro vampiro della famiglia non venisse a
cercarmi, e così mi sedetti ai piedi di un albero perchè ero troppo stanca.
Guardando l'orologio, notai che ormai stavo camminando da due ore piene senza
una meta.
I bambini piangevano, ma non riuscivo a
capire bene il perchè. Pensai che fossero affamati, ma mi ripetei che non poteva
essere, dato che avevano mangiato prima che io decidessi di andarmene.
Poi capii il motivo.
Alzai la testa, poiché fui colta
improvvisamente da un rumore di passi sulle foglie morte del bosco. All'inizio
pensai che fosse Edward, o qualcun altro della sua famiglia, ma mi sorpresi
vedendo davanti a me, Laurent.
Era proprio come lo ricordavo, alto, e
molto bianco e pallido come tutti loro.
Mi sorrise, e ne dedussi che anche lui si
ricordava di me.
-Sei proprio tu? - chiese.
-Sì – sì.... Sono Bella -
Il suo sorriso si allargò. - In effetti,
quando siamo arrivati qui avevo sentito un odore conosciuto... - Alzò la testa
odorando l'aria.
Io restai in silenzio e lui ricominciò a
parlare. -E vedo con piacere che anche i tuoi bambini hanno un odore molto
simile al tuo...-
-Già – risposi, un po' intimorita. Poi
guardai i suoi occhi. Erano dorati come quelli dei Cullen. Allora Alice non si
sbagliava a riguardo della dieta.
-Beh, visto che siamo qui, soli, - disse
improvvisamente, avvicinandosi, - non ci riesco. -
Non osai pensare a cosa non riusciva a
resistere. Forse la risposta era ovvia, dopo che si era nuovamente complimentato
per il mio odore.
-Chiederò scusa ad Irina, quando tornerò a
casa – disse, ancora guardandomi, - però adesso, proprio non ce la faccio -
Si avvicinò ancora di più, ed in parte,
capii le sue intenzioni.
Capii che stavo per morire. Una seconda
volta in pochi mesi. Caspita, ero davvero fortunata.
Mi maledì per essermi portata i bambini
con me, forse avrei potuto lasciarli lì e poi Jacob, al suo ritorno me li
avrebbe riportati a casa. Ma era una cosa vigliacca da fare per una madre. E,
adesso, per colpa della stessa madre, i bambini sarebbero morti.
Pregai che Edward mi stesse cercando, in
quel momento.
Ma, inerme ed umana com'ero, non potei
fare nulla tranne che stringere forte al petto i bambini, mentre Laurent si
avvicinava e si metteva in una posizione da caccia.
-----------------------------------------------
Ciao ragazzi! Come
state? Ho deciso di continuare ad aggiornare anche questa storia
:D...
Non preoccupatevi per i
risvolti... sapete che a me non piacciono le cose tristi... quindi nel prossimo
capitolo aspettatevi di tutto!
Grazie a chi ha
commentato lo scorso capitolo, ed anche a chi ha aggiunto la storia ai
preferiti.... ^^
Tornerò presto con il
secondo capitolo di "Edward Cullen sexual training" entro fine settimana, quindi
se vi interessa, potete leggere la storia qui ma vi avverto che ci sono lievi spoiler di Breaking Dawn (non
riguardanti la trama, ma un avvenimento che avviene ad inizio libro)...
^^
A presto! Baci,
Yuna
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Capitolo 11 *** La Fine? ***
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Winter has come for me, can't carry on. The chains to my life are
strong but soon they'll be gone. I'll spread my wings one more time.
Is it a dream? All the ones I have loved calling out my name. The
sun warms my face. All the days of my life, I see them passing me by.
------------------------------------------------
L'inverno è arrivato, per me. Le catene alla mia vita sono forti,
ma presto si spezzeranno. Aprirò le ali per un'ultima volta...
E' un sogno? Tutti quelli che amo stanno chiamando il mio nome. Il
sole riscalda il mio volto... Vedo tutti i giorni della mia vita passarmi
davanti...
Within Temptation – The Swan Song
Odorò l'aria, prima di gettarsi quasi a peso morto su di me. Riuscii a
scansarmi di poco, stringendo ancora i due neonati al mio petto. Pensai a
quanto ero stata incosciente ad averli portati con me. Avrebbero potuto vivere
molto di più, se fossero rimasti con Jake, oppure con Edward... E invece?
Invece la loro vita era destinata a durare solo poche ore, per colpa di una
madre incosciente e giovane e inesperta. Cercai di poggiare i neonati per
terra, e di scappare, così che Laurent mi avrebbe inseguita e li avrebbe
lasciati perdere. Edward o qualcun altro dei Cullen li avrebbe di sicuro
trovati, non sarebbero morti. Decisi di fare come avevo pensato, ma Laurent
mi prese per un piede e non riuscii a muovermi di un centimetro. -Sei
sola... - disse, odorando di nuovo l'aria. - Questa volta possiamo davvero farla
finita – continuò con tono sprezzante. Io ero ammutolita, e non riuscivo
quasi nemmeno a respirare. Laurent riprese – Non ci vorrà nulla, non
sentirai niente – disse. I bambini piangevano. Laurent non sembrava
affatto infastidito dal loro pianto, e capii quanto era caparbio in quello che
stava facendo adesso. Voleva uccidermi, non importava se aveva nelle orecchie le
urla di due piccoli infanti. Bastava fare fuori me. Ero stesa sul manto di
foglie e lui si avvicinava enfaticamente sempre più vicino a me. I suoi
occhi dorati – che tra un po' sarebbero nuovamente divenuti cremisi -, mi
fissavano in modo famelico. Non stavo affatto tremando, non temevo per la
mia vita. Già una volta stavo per morire, forse questo era davvero il mio
destino. Non avevo affatto paura. Cercai di rialzarmi, ma la stretta del
vampiro era ancora forte che non riuscii a muovermi. Intanto lui sorrideva
scaltro, pronto ad affondare i suoi denti nel mio collo. “Ultimo desiderio,
ragazzina?” mi chiese, ed i suoi occhi si accesero di gloria. Aveva vinto.
Decisi di tentare. “Posso alzarmi, almeno?” dissi, con l'affanno “I bambini
piangono troppo. Vorrei lasciarli lì, per terra. E, per favore... Uccidi solo
me” Fui sincera. Laurent iniziò a ridere. “Io... Lasciare te? Mi prendi in
giro? Sono solo due neonati... Non sentiranno nulla, proprio come te...” Si
avvicinò ancora di più, sempre sentendo il mio odore forte. Poi parlò di nuovo.
“Beh, se vuoi morire in piedi, allora lascia che esaudisca questo tuo
desiderio...” disse, sembrando assorto per qualche secondo nei suoi pensieri, e
poi lasciando la presa. Mi alzai di scatto. Corsi più in fretta che potevo,
girandomi senza guardare mai indietro, ma purtroppo non ero troppo veloce per
lui... Mi fu subito davanti che mi bloccai all'istante. Sorrideva ancora, e non
prometteva nulla di buono. “Eh, no, Bella... Avevo ragione a dire che mi
stavi prendendo in giro... Accetta semplicemente la verità...” Trasalii.
Pensavo che non poteva finire così, no... Non poteva. Cercai di trovare qualche
stratagemma per salvare i bambini. “Almeno... Vorrei che loro...” indicai i
neonati “Loro...” Laurent li osservò, poi mi rispose. “Sono troppo deboli,
per i miei gusti” disse, quasi disgustato. “Il sangue di un bambino... Non è
prelibato come quello di una donna...” “Almeno... Posso lasciarli qui? Per
favore... E' l'ultima cosa che ti chiedo...” dissi, cercando di farmi dire
almeno un sì. Lascia morire me, ma loro no! Laurent annuì, e poggiai alla mia
destra i due neonati, avvolti in una piccola copertina bianca. Li osservai per
pochi secondi, prima che mi scendesse una lacrima da entrambe gli occhi. Avevamo
passato troppo poco tempo assieme. Nemmeno all'inferno me lo sarei
perdonata. Ero una madre deplorevole. Mentre mi apprestavo ad alzarmi, un
calcio mi colpì in pieno stomaco. La mia fine era vicina. Il calcio fu
davvero forte che andai a finire in un albero lì accanto. Sentii un forte
male alla testa, ed anche alle spalle. Lui era ancora lontano, e piano si stava
avvicinando peggio di un cacciatore. Mi toccai la nuca, e avevo le mani
piene di sangue. Ci siamo, è finita. Quando vidi il sangue copioso sulla mia
mano, iniziai subito a sudare freddo. Non era una novità che odiassi il sangue.
Mi accasciai accanto all'albero, mentre Laurent si scagliò di nuovo su di me,
facendomi scontrare di nuovo contro il tronco. Cercai di tenere gli occhi
aperti e di vedere qualcosa, ma vedevo tutto oscurato. Sembrava essere
sott'acqua, quando la pressione ti tappa le orecchie e non senti più nulla.
Laurent continuava a farmi del male, ma io, debole ed umana com'ero, non
riuscivo a controbattere. Nell'oscurità del momento, sentivo solo lievemente
il pianto dei miei figli. Figli che non avrebbero avuto mai più una madre.
Improvvisamente, però, sentii altre voci. Qualcuno era arrivato...
Oppure no? La mia vista era troppo offuscata per vedere. Sentivo Laurent
affaticato. Forse... Forse. Passarono cinque o più minuti, in cui sentii
solo urli di strazio e di attacco, ma non capii se effettivamente c'era
qualcuno. Qualcuno disse “Il fuoco! Accendetelo!”, ma non capii chi fosse.
Chiusi gli occhi e cercai di dormire. Oppure ero già nell'oblio, e quello
era un gesto di fine? Non avevo idea di ciò che avrei trovato dall'altra parte.
Di sicuro, Edward no. Lui avrebbe vissuto per sempre, ed io sarei vissuta in un
altro mondo, senza di lui. E senza i nostri bambini. Nel dolore che mi
faceva la testa, sentii una lacrima bagnarmi il viso. “Presto! E'
ferita!” “Bisogna portarla subito a casa” “A casa? Ci sono tanti vampiri
famelici, a casa! Qui, Carlisle, per forza!” “Hai ragione. Aiutami, dobbiamo
darle dei punti... La ferita alla testa è molto grave...” disse qualcuno, che al
momento non riconoscevo. Sentii qualcosa nel braccio, e non capii di cosa si
trattava. Poi, fui davvero nell'oblio. Non sentivo più dolore, ed ero
sollevata. Almeno questo era quello che mi suggeriva la mia mente. Era la
realtà? Possibile che nel mondo ultraterreno ci si potesse sentire così
bene? Sentii che gli occhi volevano aprirsi. Feci piano, insicura di
trovare davanti a me qualcosa di brutto. Laurent, per esempio. All'improvviso,
ebbi paura. Poi, cercando di essere più cauta possibile, li aprii.
Cercai di capire dov'ero. Una stanza. E se il paradiso fosse così? Sentii
dei passi nella stanza. “Si è svegliata, presto!” Era Edward. Edward? In
paradiso? Forse era il frutto della mia immaginazione. Cercai di sedermi, e con
dolore, ci riuscii. Due mani mi aiutarono. Le fissai per qualche secondo, poi
cercai di alzare la testa. Mi doleva. Incontrai gli occhi di Edward. Mi stava
sorridendo. “Bella...” furono le sue uniche parole. “E-Edward... I-
io...” “Shhh. Calma, tesoro. Non sforzarti.” “Ma... Dove sono?” Credetti
di essere davvero il paradiso. Se Edward c'era, lo era di sicuro. “Bella,
nella mia stanza” mi disse, baciandomi la fronte. “Ma... Ma... Cosa è
successo?” Ero confusa. “Vedi, Laurent... Ti abbiamo trovata nella foresta,
due giorni fa. Avevi la testa che ti sanguinava... Carlisle ti ha operata... Ed
ora se qui” Vidi che intanto nella stanza erano arrivati anche Alice e Jake.
Quest'ultimo mi fissava quasi arrabbiato. Ora ricordo. Io ed i bambini...
Due giorni fa, nella foresta. Per tornare a Forks. Laurent che ci aveva trovati,
e che voleva uccidermi... Il volo verso l'albero, il dolore lancinante alla
testa... “Oh.” Mi vennero subito in mente. “I bambini!” Urlai, ed una
lacrima mi scese subito dagli occhi. Edward, prontamente, me l'asciugò con
la punta delle dita. “Sono qui, Bella. Esme è con loro, e tutti li stanno
curando in tua assenza” mi rispose, sorridendomi ed accarezzandomi la guancia.
Fui commossa, che versai altre lacrime. “Stanno bene?” dissi, piangendo.
“Benissimo. Siamo arrivati giusto in tempo...” disse, senza continuare la
frase. Immaginavo il seguito, e non volevo pensarci affatto. “Oh, Edward”
dissi tra le lacrime “Ti amo”. Non riuscii a pensare ad altro. Mi gettai tra le
sue braccia, e mi sentii un po' indolenzita. Edward mi strinse a sé. Iniziò
ad accarezzarmi i capelli, e subito mi sentii bene. “Anche io, Bella. Per
sempre” disse, con un tono dolcissimo. Qualcuno ci interruppe.
“Scusatemi, vado a dire che Bella si è svegliata... Vuoi ricevere delle
visite?” Riaprii gli occhi, e fissai Alice. “Sì, grazie Alice... Vorrei
vedere i bambini...” dissi, quasi in un sospiro. Jake intanto era ancora
sulla porta, e mi fissava. “Bella...” cominciò Edward “in questi giorni in
cui tu dormivi, a causa dei farmaci, io e Carlisle... Abbiamo fatto dei
test...” “Dei test? Su... Sui bambini?” “Esatto” Fui sorpresa. Ancora
non credeva fossero suoi? Non risposi, ma mi limitai a fissarlo negli occhi.
“Bene, ho scoperto...” disse, esitando “che alla fine... Alla fine, io sono
il padre” Mi venne da piangere. Allora ci credeva. Ma c'era qualcosa di
strano. Lo leggevo nei suoi occhi. “Visto che hanno anche il mio sangue... I
bambini... Loro, vedi...” “Edward, cosa succede? Non prenderla alle
lunghe” “Hanno preso i miei geni. Loro sono... Immortali come me” “C-cosa?
Non ti seguo” “Non abbiamo scoperto ancora nulla di certo, ma in teoria sono
già dei vampiri...”
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