Avrai

di Yuna Shinoda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 ***
Capitolo 2: *** 2.2 ***
Capitolo 3: *** Nuova Amicizia ***
Capitolo 4: *** La fantasia ***
Capitolo 5: *** La lunga attesa ***
Capitolo 6: *** Non è finita ***
Capitolo 7: *** Troppo persa... ***
Capitolo 8: *** A & A ***
Capitolo 9: *** Second Time ***
Capitolo 10: *** Via ***
Capitolo 11: *** La Fine? ***



Capitolo 1
*** 1.1 ***


Avrai sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli e stelle
storie fotografate dentro un album rilegato in pelle…

Avrai due lacrime più dolci da seccare
avrai una donna acerba e un giovane dolore
viali di foglie in fiamme ad incendiarti il cuore
avrai una sedia per posarti e ore vuote come uova di cioccolato
ed un amico che ti avrà deluso tradito e ingannato...

Avrai, avrai, avrai il tuo tempo per andar lontano,
camminerai dimenticando, ti fermerai sognando...
Avrai, avrai, avrai la stessa mia triste speranza
e sentirai di non avere amato mai abbastanza

Avrai - Claudio Baglioni
 









Manca poco, amore mio.
Ormai ci siamo, ancora poche settimane e…
Spero di riuscire a comportarmi bene, spero di riuscire a dimenticare tutto. Spero che tu mi faccia dimenticare tutto.
Sono ancora molto giovane, ma sento già che cresce in me l’istinto di protezione come quello che hanno le madri con i propri cuccioli… Adesso lo capisco.
Si desidera per le persone il meglio, si cerca di far andare la vita nel modo più giusto possibile, si tenta di dimostrare amore e si tenta d’essere altruisti quando poi ti viene restituita solo… indifferenza.
Così è andata a me, ma a te non auguro una cosa del genere.
Sapessi già quanto ti amo, e tu sei l’unica cosa che mi lega a lui.
Vorrei che mi facessi rimembrare dell’amore che provavo per lui… Lui.
Chissà se è stato solo frutto della mia fantasia.
“Sarà come se non fossi mai esistito”, disse.
Versai delle lacrime, ma non fu nulla a confronto di ciò che passai dopo.
Non ti assicuro che non soffrirai nella vita, anche tu, come me, per una donna che magari non ti merita oppure vuole solo usarti.
Gli amici ti inganneranno e ti tradiranno, stanne certo, e spesso non riuscirai ad uscirne subito; ma ce la farai.
Come me.
Come penso di aver fatto durante questi mesi in cui lui non c’era.
Un periodo in cui non ho smesso mai di pensarlo anche quando ho deciso di stare con l’altra punta del triangolo.
Forse ci avrei dovuto pensare su.
Penso di no.  Non c’erano alternative. Mi aveva fatto a pezzi.
Mi aveva detto di non amarmi, di non volermi più.
E poi… ho saputo del tuo arrivo, e ho deciso di condividerlo con qualcuno.
Guarda che la vita sarà anche sorrisi e cieli da contemplare, sarà piena di sogni infranti e sogni che invece realizzerai; ci sarà di tutto… Ma sono sicura che lo vivrai al meglio.
Spero solo che non ti capiti la mia stessa sorte… Cerca di amare tutti allo stesso modo, di farli sentire bene, di dimostrargli il tuo bene, la tua lealtà.
Cerca di trovare una donna che ti voglia bene e che ti ami… Poiché ti può capitare di amare ma non abbastanza, come me, che ho dimostrato amore immenso e ho ricevuto solo un triste addio.
Chi sa se immagina la tua esistenza… Chi sa se solo lo immagina.



Scritta in un momento un po' triste, non sono ancora sicura se continuare questa fanfic... dipende tutto da voi, perchè forse non la trovo tanto tanto bella, poichè quando scrivo di cose tristi faccio scendere l'umore sotto i piedi XD... ma ho deciso di postarla... 

Grazie se commentate, ne sarò contenta. =)

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Capitolo 2
*** 2.2 ***


…e poi mi perderò, tra braccia che non so,
ma è me che tradirò
ma qualcosa devo fare, se vivere è un dovere,
riuscissi almeno odiarti riuscire a immaginare

un'altra vita
un brivido, un segnale
un gesto di speranza in questo temporale

e mi fa piangere
la mia fragilità
difendere il mio orgoglio non so più
e non mi consolerà nessuna verità

e niente serve a niente
se tu non tornerai

un'altra vita, qualunque vita sia
è solo un cielo spento, un'ultima bugia

Roberta Bonanno – L’ultima Bugia

 

La vita era diventata una grossa gabbia di dolore.

Nulla andava bene, nulla era come avevo progettato mesi fa.

Ricordo tutto come se fosse ieri…

Io che ti stringevo la mano forte, in modo che tu capissi quanto  fossi importante per me… Tu mi guardavi negli occhi in un modo tale che chiunque avrebbe obiettato che il nostro fosse amore vero.

Al mio compleanno, poi, prima dello spiacevole incidente nel salone di casa tua, mi dicesti che avevi un regalo per me.

Inizialmente fui contraria, sapevi quanto odiavo ogni tipo di regalo.

“Non preoccuparti, non è nulla di costoso”, mi dicesti sorridendo facendo l’occhiolino.

Mi copristi gli occhi con un pezzo di stoffa rosso, mi caricasti sulle tue spalle e corremmo via veloci.

Non avevo idea di cosa si trattava finché non arrivammo a destinazione.

Mi levasti la benda senza parlare, aspettando la mia reazione che giunse veloce…

Mi avevi portato nella nostra radura, che adesso era dominata da un piccolo tavolo di legno con tutte le prelibatezze più ricercate.

Rimasi estasiata dalla tua sorpresa, davvero non me l’aspettavo.

Mangiai quasi tutto, mentre il tuo occhio attento mi osservava dolcemente.

Poi mi chiedesti “C’è qualcos’altro che vorresti?”.

Naturalmente la mia risposta fu che volevo che mi cambiasse. Volevo essere come lui.

Lui però fu come al solito restio, e mi chiese di scegliere dell’altro.

Qualunque cosa ma di trasformarmi non se ne parlava proprio.

Istintivamente, pensai che quello era il momento giusto.

C’era luce, c’era atmosfera, c’era amore.

“Io… io ti voglio” riuscì a dire, senza usare altri termini.

Lui lo capì.

Mi venne vicino e mi accarezzò piano la guancia facendomi venire i brividi.

Iniziò a baciarmi anche i capelli e il collo, passando le sue mani gelide lentamente su ogni parte del mio corpo.

All’inizio provai freddo, ma dopo mi abituai alla temperatura fredda del suo corpo e quando entrò in me, fu la cosa migliore del mondo.

“Buon compleanno, Bella” mi disse, durante il momento più alto del nostro piacere.

Non usammo nessuna precauzione, lui non era come tutti gli altri uomini.

Dopo la brutta questione del piccolo taglietto sul mio dito, e il suo attacco quasi famelico per mandarmi il più lontano possibile dai denti di suo fratello, iniziò a sentirsi in colpa.

Era diverso, non era più lui.

Capì che qualcosa era cambiato da quel giorno.

Tutto divenne più chiaro, quando mi disse addio, scomparendo nella foresta fitta.

E da lì iniziai a star male, non solo per il dolore che avevo dentro a causa del suo abbandono, ma anche perché non potevo credere di essere stata ingannata…

Non parlavo e non mangiavo da giorni, che improvvisamente iniziai a vomitare molto spesso.

Sempre. Per circa due mesi.

Charlie iniziò a preoccuparsi, così chiamò di nascosto un sua amico  medico per farmi visitare.

All’inizio non capì cosa avessi, ma dopo i risultati delle varie analisi che feci, ne fu certo.

“Charlie… E’ difficile da dire, sai perché la ragazza è giovane, ma… è incinta”.

Papà rimase di sasso, iniziò a farmi domande verso il quarto mese, quando ormai la mia pancia era un po’ cresciuta e s’iniziava già ad intravedere.

Io non gli dicevo nulla, conscia di chi era quel bambino.

Suo padre non l’avrebbe mai conosciuto.

Poi iniziai a rivedere Jacob…

Standoci insieme a La Push, mi accorsi che ci stavo davvero bene, che in un certo senso quasi dimenticavo un po’ lui.

Furono tante le volte che ci provò, ma io non accettai mai.

Non volevo dimenticarlo. Ma poi decisi.

Una sera, durante un falò, Jacob ci riprovò.

Quella volta non riuscì a fermarmi, non so nemmeno io perché.

“Questo cosa vuol dire?”, mi chiese.

“Vuol dire che ti voglio bene” risposi, “ma come amico”.

Da quel giorno, poi, non osai più toccare le sue labbra, anche se considero spesso la voglia di farlo.

Ho riflettuto, e se tutto andrà bene, lo troverò.

Troverò tutti.

E così eccomi all’aereoporto di Seattle.

Ieri è scaduto l’ottavo mese della mia gravidanza e tra un po’ il bambino nascerà.

Ma io voglio trovarli. Voglio rivederlo. Voglio che sappia di suo figlio.   

Inizierò da Portland, in Oregon, e poi andrò in altre regioni.

Ma… li troverò.

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Capitolo 3
*** Nuova Amicizia ***


If I could, then I would,
I'll go wherever you will go
Way up high or down low, I'll go wherever you will go

And maybe, I'll find out
A way to make it back someday
To watch you, to guide you, through the darkest of your days
If a great wave shall fall and fall upon us all
Then I hope there's someone out there
Who can bring me back to you



Se potessi, allora vorrei
Andrò dovunque andrai
Dal luogo più alto a quello più basso*
Andrò dovunque andrai

E forse, scoprirò
Il modo per ritornare un giorno
Per guardarti, per guidarti
Attraverso il più oscuro dei tuoi giorni
Se una grande onda dovesse cadere
Travolgerebbe tutti noi
Bene io spero che ci sia qualcuno
Che possa riportarmi da te

The Calling – Wherever you will go

Il viaggio verso Portland non fu faticoso.

Presi un volo lowcost, tanto perché non navigavo nell’oro, ed arrivai in città verso le 20.30.

L’aeroporto era quasi deserto, solo le persone che erano sul mio volo mi facevano compagnia.

Mi diressi subito verso l’uscita, dovevo trovare un ostello o un hotel prima che facesse notte.

Iniziai a camminare più veloce – più veloce di quanto il mio peso mi facesse andare – e raggiunsi l’uscita dopo un tempo brevissimo.

Andai a prendere il bagaglio e mi diressi subito verso una zona dove c’erano si e no dei taxi.

I almeno così credevo.

Avvicinandomi di più, notai che erano tutte macchine, il taxi era solo uno.

Avanzai il passo per cercare di arrivare prima, così che nessun altro passeggero avesse potuto prendere quella vettura.

Però come al solito non ci riuscivo.

Ero troppo pesante, non riuscivo nemmeno a camminare in linea retta!

La mia lentezza non fu dalla mia parte.

Pochi passi più in là, un ragazzo mi sorpassò.

- Hei! – gridai, con tutta la voce che avevo – Serve a me il taxi! -

- Scusami, sono in ritardo! – Fece lui.

- Ed io sono incinta. –

Si fermò e si voltò per guardarmi.

Mi squadrò da capo a piedi, e chiese al tassista di aspettare.

- Scusami, non ci avevo fatto caso -

- Pochi ci fanno caso – risposi acida.

- Allora, chi prenderà questo taxi? –

- Di regola dovrei prenderlo io, visto che non mi reggo nemmeno in piedi –

- Giusto. Però io devo andare in un posto, non posso proprio fare tardi –

- Caro mio, mi dispiace ma anche io sono in ritardo! –

- Dove devi andare? –

- Cerco un ostello o qualsiasi cosa per dormire –

Ma perché gli stavo dicendo tutto questo? Ah, sì, per farmi prendere quel dannato taxi.

- Ho un’idea. Io vado dove devo andare e tu vieni con me. Poi ti accompagno con la mia macchina in un albergo. Ti và? -

- E’ l’unica idea che ti è venuta in mente? –

- Sono poco fantasioso –

- Va bene, dai che sono stanca! –

Annuì.

Entrai nella macchina con quel tizio.

Il sedile posteriore era molto spazioso, così mi avvicinai sempre più impercettibilmente verso il finestrino sinistro della vettura.

Il ragazzo entrò poco dopo nell’auto, fissandomi con aria stupita.

- Ti faccio così paura? -

- Ehm… no. E’ una distanza di sicurezza. –

Iniziò a ridere.

- Sai che sei proprio simpatica? -

Non gli risposi.

Perché si fissava di voler parlare con me? Io volevo solo una stanza d’albergo per dormire!

Cercai di ignorarlo e guardai fuori dal finestrino.

Era tardi, tutti i negozi erano chiusi e l’unica cosa ad illuminare le strade erano le insegne colorate dei vari “Gucci” o “D&G” oppure altri negozi simili.

Mi meravigliai nel vedere tutti negozi di lusso in quella via.

La mia espressione era a dir poco meravigliata.

A Forks non c’erano negozi simili…

Improvvisamente,squillò il mio cellulare.

Sobbalzai, ero ormai abituata al silenzio dell’abitacolo che non mi resi conto che stava squillando ormai da alcuni secondi.

Il ragazzo mi fissò, curioso.

- Bhè, non rispondi? -

- Fatti gli affari tuoi. –

Presi il cellulare e lessi il numero sul display.

Bene, non avrei atteso tanto per questa telefonata. Jacob.

- Pronto? – dissi sottovoce.

- Bella? Bella? –

- Dimmi, Jacob, che c’è? –

- Bella dove sei? Tuo padre è arrabbiato, tutti nel branco sono allarmati. Vuoi aiuto? Vuoi che ti vengo a prendere? –

- Jacob, per favore. Sono grande ormai. Tornerò quando sarà necessario. Quando saprò che tutto quello che sto facendo è vano. –

- Vuoi… trovare… lui? –

Esitai nel rispondere. Cercai di parlare più piano possibile per evitare che il mio compagno di viaggio potesse ascoltare i fatti miei.

- Si. Devo convincermi che non era un sogno. -

Mi stavo per commuovere.

Una lacrima mi rigò il volto quando ripensai a lui. Lui che mi toccava, lui che diceva di amarmi.

Non è possibile che sia stato tutto un sogno.

Per mia fortuna la lacrima mi scese dall’occhio verso cui guardavo fuori, così non avrei dovuto dare spiegazioni al tizio che mi era accanto.

- Bella… Pensa. Pensa che il tuo bambino sta per nascere. Pensa a lui, cazzo! -

Credimi, ci penso. Penso anche però all’esistenza del mio bambino senza suo padre.

Se riuscirò in questa ricerca… Se riuscirò a trovarli, a fargli sapere tutto… Solo allora sarò felice.

Potrà anche dirmi di non volermi più, di essere ormai disinteressato al mio amore. Però voglio solo confermare a me stessa che non è stato tutto una pura illusione.

- Jacob, per favore. Ci sentiamo. -

- Sei troppo cocciuta. Cosa dirò a Charlie? –

- Digli… la verità. Per favore, Jacob. Non farlo venire qui. Voglio provarci, diglielo. –

Non sentivo più nulla dall’altra parte del ricevitore.

Improvvisamente, Jacob parò di nuovo. Questa volta la sua voce era rotta dai singhiozzi, anche se non voleva farmelo sentire.

- Va… bene. A malincuore… lo farò. Ma… se avrai bisogno di aiuto…. Chiamami. Anche di notte. Io per te ci sarò sempre. -

Adesso non riuscivo più a trattenermi.

Le lacrime iniziarono a sgorgarmi copiose e mi bagnai tutto il viso.

Sapevo che voleva solo il bene per me. Per questo soffrivo.

Sapevo che andare via da Forks era forse uno sbaglio, ma volevo tentare, a costo di scontrarmi con un muro nero in un vicolo cieco per l’ennesima volta.

Il mio volto era già stato graffiato dalle sue parole una volta, una seconda non sarebbe stata dolorosa.

- Ciao… Jacob. – cercai di dire, non volevo stare al telefono con lui troppo a lungo. Mi faceva star male. Attaccai.

Non osavo girarmi verso destra.

Di sicuro il mio compagno di viaggio mi stava fissando e stava pensando qualcosa su di me.

Su chi mi avesse chiamata ed i motivi del perché. Perché ero lì, sola e incinta.

Appoggiai la testa allo schienale del sedile e mi lasciai andare guardando il panorama che veloce passava fuori. Poi, mi addormentai senza pensieri.

Per un tempo che non ricordai, dormii nella vettura.

All’improvviso, sentì qualcosa che mi toccava. Ero intontita, non avevo dormito dalla sera prima perché i calci del bambino me lo avevano reso impossibile. Non avevo nemmeno mangiato, non ne avevo avuto il tempo.

Aprii gli occhi. Era lui. Il tizio accanto a me intendo.

- Hei! Siamo arrivati. - La sua voce era dolce e premurosa.

Con una mano mi strofinai gli occhi, e, con il suo aiuto, uscì dalla vettura.

A malapena mi reggevo in piedi, quel tipo fu davvero gentile che mi aiutò a camminare stringendomi a lui. Il peso del viaggio iniziava a farsi sentire. Il ragazzo raggiunse una panchina e mi aiutò a farmi sedere.

- Ahia… - feci, perché il bambino nemmeno quella sera voleva darmi pace.

- Cosa succede? – Sempre più premuroso o… curioso.

- Niente. –

Di nuovo. Accusai un dolore allo stomaco e in più sentii un rumore assordate.

Cercai di guardare in un’altra direzione, sapevo che mi stava osservando, ora più che mai che nella macchina, dato che qui le luci erano più alte.

Lo fissai anche io e lui si voltò, cercando di nascondere la curiosità.

Ora che lo vedevo bene, era molto carino.

Aveva dei capelli arruffati ma lucidi di colore castano. Gli occhi non riuscivo a vederli dato che era girato, ma pensai fossero verdi. Restai imbambolata a vederlo che non mi accorsi quando si girò nuovamente verso di me. Si, erano verdi.

Mentre lo fissavo, un nuovo rumore – più imbarazzante di prima – mi scosse.

Un leggero brontolio della pancia… Avevo fame. Molta fame.

- Questo non mi sembra niente. – disse ironico e divertito.

- Credimi, sto bene. –

Ripartì. Il rumore che sentii dopo fu ancora più assordante di prima.

- Cara, adesso che arriva il mio amico ti porto a mangiare. Chi sa da quanto tempo non mangerai! -

- Eh? Cosa? Il tuo amico? –

Già era stato troppo accettare la proposta di uno sconosciuto… Ancora peggio se ce n’era un altro!

- Sì. La macchina non è mia, ma io e lui dovevamo vederci questa sera, quindi… -

- Ah. –

- Eccolo lì. – Indicò un’automobile nera fiammante che stava venendo proprio verso noi due.

La macchina frenò quasi impercettibilmente. Avrei giurato che andava come un lampo. Amaramente, nel modo di frenare, mi ricordava la Volvo di… lui.

Il ragazzo si era già alzato, corse verso l’auto e vidi un finestrino abbassarsi.

- Abbiamo un ospite. – disse al ragazzo che vidi comparire dalla vettura.

Lui gettò uno sguardo verso di me, quasi esaminandomi.

- Ah. Nessun problema. -

Il ragazzo si girò verso di me, venendomi incontro.

- Allora? Vieni qui che ti porto a destinazione! -

Mi alzai, mio malgrado, dirigendomi verso la portiera di dietro.

Il ragazzo, senza che me ne accorgessi, si diresse velocemente ad aprirmi la portiera. Quel gesto, così come la frenata, mi ricordò nuovamente il mio unico amore.

Cercai di eliminare dalla mente quelle immagini del passato che mi ricordavano quel gesto, entrai nell’auto e mi accoccolai sul sedile in pelle beige.

I due ragazzi misero un po’ di musica. Niente di serio, era quella brutta roba commerciale che si metteva nelle discoteche.

- Allora, dove ti porto? – chiese l’altro ragazzo.

- Io… io non lo so. –

Vedevo dallo specchietto che fece una faccia strana.

- Come… non lo sai? -

- Ora ti spiego. Ho incontrato questa bella ragazza all’aeroporto, volevamo prendere lo stesso taxi ed era tardi. Così le ho proposto di cercare un albergo perché è appena arrivata. – Si girò verso di me e mi sorrise.

- Ah. Scusa, perché non la porti a casa tua e lo cercate domani? Hai una reggia! –

Eh? Io andare a casa di quel tizio? E chi mi garantisce che non è un maniaco, un approfittatore?

Restai allibita e dalla mia espressione si notava chiaramente.

- Hei, non è mica una cattiva idea! - disse – Ti và? -

Pensai. Se avessi detto di no di sicuro avrei dovuto passare una notte al freddo senza aver mangiato nulla. Il bambino ne avrebbe di sicuro risentito. L’avrei fatto per lui.

- O…ok. – dissi esitante.

- Allora a casa mia – disse lui.

La macchina cominciò a sfrecciare veloce sull’asfalto, quasi come se fosse la padrona della strada.

“Non pensarci, non pensare a nulla”, mi ripetevo, assalita nuovamente da un suo ricordo.

Tutto il paesaggio attorno si muoveva velocemente, come un uragano potente.

Il viaggio, che mi sembrò cortissimo, durò un quarto d’ora.

Quando ci fermammo, non riuscii subito a vedere ciò che circondava perché non c’era illuminazione.

Ero stanca e avevo fame e sonno. Il bambino continuava a darmi sui nervi con i calci che avrei desiderato non averlo più.

La macchina si fermò.

Non ebbi neanche il tempo di aprire la portiera che il ragazzo si precipitò ad aprirmi.

- Prego… - mi disse con voce suadente.

Non risposi, quello era già troppo.

Mi aiutò a camminare e prese il mio bagaglio. Arrivammo sotto un grande portico, la casa sembrava enorme da lì. Prese dalla tasca le chiavi e aprì. Notai che il suo amico non era venuto con noi.

- Allora, tu questa notte puoi stare di sopra. -

- Va bene –

- Ti mostro la strada –

Mi condusse verso una scala. Salii appoggiandomi al corrimano per non cadere.

Svoltammo a destra ed entrammo in un lungo corridoio. Poi si fermò davanti ad una porta.

- Ecco, entra -

Mi fece spazio ed entrai. Era carina. C’era un letto a due piazze al centro ed anche un armadio ed una scrivania e una televisione.

- G – grazie – riuscì a dire.

- Nel tuo stadio era impossibile non fare un gesto così. A proposito… non voglio essere invadente ma mi piacerebbe sapere come ti chiami –

- Io… sono Isabella. – sospirai – Bella. – mi corressi.

- Bella… Uhm. Io sono Dean. –

- Molto piacere. –

- Piacere mio – mi rispose sorridendo.

Un nuovo rumore arrivò dal mio stomaco.

- Oh. Hai fame. Vieni giù che ci prepariamo una bella cena -

Scendemmo le scale e mi portò in una bella e spaziosa cucina.

Mi disse di sedermi dove volevo, lui avrebbe preparato qualcosa di veloce che avrei potuto mangiare.

Fece prima di subito. Mi portò un piatto di spaghetti con il sugo che apprezzai moltissimo.

- Ti sono piaciuti? -

- Si, molto. – Non volevo fargli credere troppo.

Iniziammo allora a parlare… Cose futili, di tutti i giorni. Più che altro commentavamo il telegiornale che aveva sintonizzato sul plasma.

Poi arrivarono le domande personali. Direi, più che lecite, adesso.

- Tu da dove vieni? -

- Forks, vicino Seattle. – risposi sintetica.

- Ah. Io nel tuo stato non mi sarei mai mossa da lì. E’ un po’ lontanuccio… Scusa, se posso… Perché sei venuta qui? –

Mi inebriai di adrenalina. Ora più che mai, ero sicura che ciò che stavo facendo era giusto.

Dovevo trovare il padre di mio figlio, o almeno ci avrei provato.

- Io… io sono venuta per… - mi accarezzai la pancia.

- Tuo figlio. –

- Esatto. –

- Sei… giovanissima. –

- Ho… 18 anni – la mia voce sembrava un sussurro.

Vidi il suo sguardo pensieroso.

- Stai forse cercando… - vidi che ci andava cauto – il padre del bambino? -

Annuii. Non riuscivo più a parlare.

- Che stronzo. -

Mha, questo Dean non conosceva nemmeno lui e lo dichiarava stronzo. Tutti i torti non li aveva, dato che aveva lasciato me incinta e se n’era andato. No. Lui se n’era andato senza sapere che io fossi incinta. Ritiro tutto quello che ho detto.

Non risposi.

- Cioè… se io fossi stato in lui non avrei mai lasciato una ragazza carina come te… con un figlio in arrivo -

- Non sapeva… - Lo difesi.

- Non è comunque un buon motivo. –

- Ho deciso. Sono molto dispiaciuto per te… quindi, visto che ufficialmente dormirai nella mia casa… Voglio aiutarti. Non ti lascerò andare in nessun albergo. Starai qui finchè non lo troveremo. –

- Ma… non è sicuro che è a Portland. –

- Non m’importa. Ti aiuterò anche se si trova a Washington. -


Ciao! come vedete ho aggiornato anche questa storia. Prima di dormire, mi è venuto in mente un continuo e l'ho scritto. Spero vi piaccia, presto posterò anche nuovi capitolo delle altre storie!

Baci, Yuna

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Capitolo 4
*** La fantasia ***


Say it, say it, say what you believe
Say it, say it, say it to me

Do you live, do you die, do you bleed
For the fantasy
Automatic, I imagine, I believe

Do you live
Do you die
Do you bleed
For the fantasy

Do you live, do you die, do you bleed
For the fantasy
In your mind, through your eyes, do you see
It's the fantasy
Automatic, I imagine, I believe
Automatic, I imagine, I believe

Dillo, dillo, dillo che credi
(Automatico, immagino, credo)
Dillo, dimmelo
(Automatico, immagino, credo)

Vivi, muori, sanguini
Per la fantasia
Automatico, immagino, credo

Vivi
Muori
Sanguini
Per la fantasia

Vivi, muori, sanguini
Per la fantasia
Nella tua mente, nei tuoi occhi, vedi
È la fantasia
Automatico, immagino, credo
Automatico, immagino, credo

The fantasy - 30 seconds to Mars






Il giorno seguente mi svegliai alla buon ora.

La stanza che mi aveva data Dean era molto accogliente, il letto su cui avevo riposato molto ricco e morbido. Sembrava proprio che non potessi farci nulla se attiravo solo ragazzi con un conto in banca stratosferico…

Vidi che nella stanza c’era un piccolo bagno. Tanto meglio.

Mi diressi lì e velocemente mi lavai perché così avrei avuto l’occasione di cercare più a fondo quella mattina assieme a Dean. Chissà se quello era il posto giusto.

Scesi infine in cucina.

Nella grande stanza, notai subito Dean che, seduto alla grande tavola di vetro, trangugiava una ciotola di latte con i biscotti. Impaziente, sentii che il mio stomaco brontolò. Lui sentì subito la mia presenza. Iniziò a fissarmi mentre scendevo gli ultimi gradini. Improvvisamente le sue labbra si curvarono in un sorriso.

Quando scesi anche l’ultimo gradino, mi salutò.

- Buongiorno, Isabella. Dormito bene? -

- Bene, grazie. La stanza era accogliente. –

- Bhè, è servita a qualcosa almeno. Non c’è mai nessuno qui –

Nei suoi occhi leggevo un po’ di malinconia. Che l’avessero sempre lasciato solo, così?

Vidi che al centro della tavola c’era una grossa brocca di latte, e, accanto ad essa una ciotola come quella di Dean. Lui mi aiutò a prenderla e a versare un po’ di liquido bianco nella mia ciotola. Iniziai subito a bere. Avevo una grossa fame!

Da quando avevo scoperto di essere incinta tutto ciò che mangiavo era doppio. Non riuscivo a mangiare solo un panino. No. Ne volevo due. Temevo di vedermi ingrassata dopo la nascita del piccolo.

Quella mattina stranamente era molto calmo, non aveva ancora cominciato con i calcetti che mi facevano costantemente ricordare la sua presenza.

Ero assorta nei miei pensieri, completamente. Pensare al bambino mi aveva anche fatto pensare a suo padre. Nella mia mente, vedevo o cercavo di vedere sbiadita l’immagine dell’uomo che aveva rapito il mio cuore. Lui, una folta chioma bronzea, che giocava con il bambino.

Lui che lo alzava in aria ripetendo quanto mi somigliasse o quanto fosse carino.

Lui… lui che solo Dio sa dove si trovi.

Improvvisamente mi sentii toccare.

Dean, con una mano molto bollente mi stava richiamando alla realtà.

- Bella? -

- Si? – sussultai, quando mi accorsi di essere troppo soprappensiero.

- Non ti vedevo più… Sbattere ciglio. Stavi pensando a qualcosa? –

- Si, scusa, ero soprappensiero. Pensavo a mio padre, a Forks. – Mentii.

- Ti manca? -

- Bhè, certo. Mi mancano tutti. Non mi perdoneranno mai per ciò che sto facendo. – Avevo uno sguardo assorto, guardavo la ciotola di latte e giravo furiosa il cucchiaio nel contenitore.

- Capisco. Li vorresti chiamare? Non mi importa se è un’interurbana –

Il mio volto si illuminò.

Semmai, anche se non potevo annunciare ai miei amici, coloro che mi aspettavano a Forks, che stavo tornando e che ero riuscita a combinare qualcosa… Avrei sentito almeno la loro voce. Mi bastava anche la voce di Jacob per farmi sentire meglio. Speravo che avesse cambiato idea.

Dean mi passò il telefono.

Da quando dissi a Jacob del mio stato, prese un cellulare per stare sempre in contatto con me, qualora ne avessi avuto bisogno. Qualora ci fosse stato qualche vampiro che avesse voluto uccidermi. Ma tanto lì ormai forse non c’era più nessuno.

Composi il numero. Mi tremavano le mani, così sbagliai una cifra e dovetti ricomporre tutto dall’inizio. Sentii che stava chiamando, adesso.

Tu… Tu… Tu… - Pronto? – Rispose la voce calda che amavo così tanto.

- Jacob? -

- Bella? Sei… sei… Tu? –

- Si, proprio io. –

- Stai… bene? –

- Benissimo. Volevo sapere te e gli altri… -

- Charlie è… distrutto. Voleva venire a cercarti di persona ma gli ho detto che l’avrei fatto io. –

- Tu? Venire… qui? –

- Non c’è nulla di male, Bella. Tu sei… mia amica, è naturale che voglia aiutarti anche se penso che tu stia compiendo una pazzia. –

- Jacob. Resta dove sei. Starai meglio lì, con Charlie. Potrai dargli un sostegno. Si fida di te. –

- No. Troppo tardi. Sono già all’aeroporto. –

Di colpo il mio volto divenne allarmato.

Dean se ne accorse e mi fece delle occhiate strane.

- Sei un pazzo! -

- Mi vieni a prendere? – sempre il solito stupido.

- Certo, Jacob, sicuro! – Gli attaccai il telefono in faccia.

Quando rialzai gli occhi – ero molto imbarazzata così per un po’ di tempo fissai la finestra – Dean aveva intuito qualcosa. I suoi occhi erano sospettosi e curiosi.

- Sta venendo qui. -

Annuii.

- Non te ne andrai, l’ho promesso. Visto che lui è un tuo amico… gli concedo di stare qui con te. -

Sorrise. Sembrava ci conoscessimo da tempo, invece era solo da poche ore. Seppur poche ore, si era dimostrato molto più leale di molte altre persone che conoscevo.

Dovevamo andare a prendere Jacob all’aeroporto.

Dean prese una delle sue macchine meno appariscenti – ne aveva tre – una Mercedes C 320 nera.

Troppo inosservati saremmo passati.

Appena la vidi mi ricordò la macchina di… Carlisle. Modello simile, stesso colore. Aveva anche i vetri scuri come la sua. Solo che a lui serviva quando c’era sole e… Basta. Stavo cercando di dimenticare quei piccoli particolari che rendevano lui e la sua famiglia… speciali.

Arrivammo subito.

Dean guidava come un pazzo anche lui, forse era la follia della macchina. Non osai nemmeno ricordare chi si comportava in quel modo, lasciai che l’oblio si prendesse gioco di me guardando fuori dal finestrino scuro.

Quando fummo nell’aeroporto barcollavo un po’. Avevano da poco lavato il pavimento e Dean fu costretto ad aiutarmi per non farmi cadere.

Poi lo vedemmo.

Jacob, nel suo metro e novanta di altezza, mi salutava con la grande mano da una panchina lontana, vicino al bar. Non appena mi vide, corse nella mia direzione e mi strinse forte a sé quasi come se non mi vedesse da tempo. Erano passati solo due giorni.

- Bella! – Gridò. Fui presa da quel abbraccio caloroso che non riuscivo più a respirare. Diedi dei pugni sul petto di Jacob così che lui si allontanò.

- Oh, Bella – ripeté – come hai fatto ad arrivare fin qui? –

- Lui – indicai Dean alla mia destra.

Non appena lo indicai, Jacob lo scrutò con sguardo indagatore, quasi come se Dean si fosse macchiato presumibilmente di qualche crimine strano.

- Ciao – disse Dean con il sorriso sulle labbra.

- Dean mi ha ospitato a casa sua. Ospiterà anche te finchè… - Lasciai la frase sul vago. I due ragazzi avevano capito entrambe a cosa mi riferivo. Ripeterlo lì, in un momento così felice mi suonava strano.

Jacob ci disse di avere dei bisogni da soddisfare… da qualche parte.

Io e Dean andammo al bar, lui si era fissato di volermi offrire qualcosa.

Ci sedemmo ad un tavolo non molto distante dall’uscita, un tavolo discreto.

Alla fine presi un cornetto a cioccolato ed un caffè. Erano buonissimi. Jacob intanto perdeva tempo, così potevo gustare tutto con calma.

Dean non parlò molto. Era pensieroso, era strano.

Poi, chi sa per quale magia, le sue preoccupazioni nascoste si avverarono.

Mentre bevevo il caffè, una ragazza si fermò al nostro tavolino.

- Dean? – chiese semplicemente.

- Miranda –

- Oh, ma che ci fai qui? – indicò me con un occhio. Sembrava che non gli andassi a genio.

- Nulla, ho accompagnato Bella a prendere un suo amico. Contenta? –

Sembrava quasi che questa Miranda fosse molto più di un’amica.

- Si, certo. Mi sono davvero meravigliata ieri, quando non mi hai chiamato… Eri con Mike? -

- Ehm, sì. – Cercò di giustificarsi. Lo sentivo cercare di far sembrare vera quella risposta.

Con il suo amico c’era stato, ma c’ero anche io. Ed avevo anche dormito da lui.

- Senti, vieni un attimo qui… Devo parlarti di una… cosa – Mi fissò per un attimo. Un attimo che sembrò durare a lungo, visto che il suo sguardo era di fuoco. Che pensasse che io stessi con Dean? Che continui a sognare, allora!

Vidi che discutevano animatamente. Non sentivo bene le parole che si dicevano, ma intuii che non fossero molto carine. Evidentemente la ragazza lo stava accusando di qualcosa, magari di aver fatto qualcosa di male con me, come se io potessi con questa grande pancia.

Jacob mi raggiunse. Mi alzai dalla sedia e andammo fuori a sederci.

Ci avevo pensato, era meglio per noi dire a Dean che andavamo in albergo, così avrebbe fatto pace con la sua ragazza.

Io e Jacob aspettammo per un quarto d’ora, poi Dean spuntò solo da dietro le porte scorrevoli dell’entrata principale.

- Bella! – gridò, venendoci incontro – pensavo te ne fossi andata -

- No. Però è un’idea. Portami a casa, prendo le valigie e ce ne andiamo –

- Ma… -

- So come sono queste cose, Dean. Non voglio che per colpa mia litighi con la tua ragazza. –

Sul volto del ragazzo comparve una smorfia.

- La mia… ragazza? – Cominciò a ridere – Quella è mia sorella! Ieri avrei dovuto chiamarla, stava partendo. -

- Sicuro? Sicuro che non ci stai mentendo? – S’intromise Jacob.

- Sicuro. Al cento per cento. Potete anche non credermi. –

Jacob sbuffò.

Improvvisamente fummo tutti e tre attirati dal rumore di una suoneria… Non era né il mio telefono, né quello di Jacob, ma quello di Dean.

Originale. Adesso va di moda mettere le opere composte al pianoforte come suonerie? Un nuovo ricordo mi assalì e cercai di levarmelo di dosso.

Dean per fortuna mi distrasse subito.

- Ho trovato! – disse, tutto eccitato.

- Ehm… cosa? –

- Ho un amico che lavoro in un’agenzia di detective… Ha scoperto che il tuo… Il padre del bambino… Ha scoperto che c’è una famiglia o una coppia di ragazzi che ha questo cognome… Potrebbero essere parenti suoi. –

Mi bloccai a guardare la strada.

Aveva trovato qualcuno di loro. Era sicuro? Poteva anche aver trovato un’altra persona omonima.

Lacrime fresche mi bagnarono il viso. Non ci credevo. Non era vero.

Senza neanche accorgermene, svenni e vidi il buio attorno a me.










Ciao!!! Come vedete pian piano sto riprendendo i ritmi di prima! In questa settimana ho letto The Host, il nuovo libro della Meyer! Bhè, ve lo consiglio vivamente se non l'avete comprato! Io ne sono rimasta affascinata!

Ringrazio Hele91 , aLbICoCCaCiDa,. Midnight Dream , _Natsuki_, che hanno commentato. Mi fa piacere che sia piaciuta a qualcuno questa ficcy... è un po' difficile per me scriverla, è duro l'argomento, però ci riuscirò.
Domani aggiornerò anche qualche storia vecchia, ho bisogno di riprendere le redini di tutto!

Grazie a chi commenterà. Baci, Yuna!

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Capitolo 5
*** La lunga attesa ***


Quante volte ho camminato per cercarti
E tu che ancora non ci sei…
Dimmi tu qual è la strada
Per averti…

Quanto tempo è già passato sul mio viso
Ma non sono stanco, sai…
Non ho fretta,
So aspettare, ancora…

Quale mare devo navigare,
Dimmi quali sono le parole,
Quale storia, quale brutto vento
Ti allontana adesso che ti sento…

Ho bisogno di sapere solo che ci sei…

Per Averti – Gigi finizio







Mi sentivo fredda e senza vita. Mi risvegliai, ero stesa sull’asfalto gelato di Forks.

Di sicuro stavo sognando. Mentre cercavo di alzarmi, una voce raggiunse le mie orecchie.

Riuscii subito a stare in piedi, stranamente. Sentivo di non avere più un peso sullo stomaco, mi sentivo felice, leggera. In effetti, guardai la mia pancia ed era piatta.

- Cosa… Cosa succede? Perché non sono più incinta? -

- Bella, ma se Anthony è qui… - Mi disse una voce. Quella voce.

Mi voltai, quasi non ci credevo, ma lui non c’era più. Forse non c’era mai stato, era stato frutto della mia fantasia. Seduto per terra, davanti a me, un piccolo fagottino.

Dentro c’era il mio bambino. Ma come… era già nato? Non me lo ricordo.

Due mani calde mi toccarono. Erano bollenti.

- Bella! Bella! – Di nuovo quella voce. Apparteneva a qualcuno che non conoscevo o non ricordavo.

Improvvisamente, sentii quelle stesse mani carezzarmi il volto.

Cercai di trovare la forza per aprire gli occhi e ci riuscii.

Jacob era alla mia sinistra, la mano ancora sul mio viso. Dean era alla mia destra, con un’espressione impaurita sul volto.

Cercai di sedermi, ma non ci riuscivo, Jacob mi aiutò.

- Bella! – gridò – Sono contento che ti sia svegliata! – Era raggiante.

- Io – io… dove sono? – Chiesi, stralunata.

- Sei a casa mia, nella tua stanza. – s’intromise Dean.

In effetti, mi guardai attorno e riconobbi la stanza dove avevo dormito poche ore prima.

Ero stesa sul letto e le coperte mi arrivavano fin sul seno.

- Bella… Forse ti sei emozionata. Forse è meglio rimandare di un giorno la nostra ricerca… - disse dean, ancora con lo sguardo triste e impaurito.

Misi a fuoco ciò che aveva detto e mi ricordai.

Ero svenuta all’aeroporto di Portland perché dean mi aveva riferito che… un suo amico aveva trovato una coppia che faceva di cognome Cullen.

Il fatto di essere in stato interessante era stato decisivo, ero praticamente crollata emotivamente.

Non potevo però mollare proprio adesso, anche se ero molto stanca e spossata.

- No – gli dissi decisa – io… voglio adesso. Non posso aspettare, ti prego –

- Bella, ma… - Jacob mi poggiò la sua mano calda sulla spalla.

- Jacob, per favore. Saranno solo pochi chilometri da qui. E poi sono con due amici, non sarò sola –

Jacob e Dean si scambiarono per la prima volta un’occhiata.

L’indiano annuì e anche Dean. Avevo il loro consenso.

Pochi minuti dopo eravamo sulla Mercedes di Dean, che, agile e veloce si districava dal traffico di Portland.

Jacob si era intestardito che era meglio che io stessi dietro, così mi sono seduta dietro Dean e mi sono spaparanzata sul largo sedile posteriore.

- Almeno lo sai l’indirizzo? – domandò Jacob, acido.

- Secondo te andavo a vuoto, così? –

Jacob si zittì.

Nessuno parlò per le dure ore successive, tranne le rare volte in cui chiedevo l’ora e chiedevo, quando saremmo arrivati. Ero troppo impaziente.

Guardare fuori del finestrino era totalmente inutile, dato che Dean correva come un ossesso perché voleva raggiungere più in fretta la periferia di Portland.

La casa Cullen di cui gli avevano riferito era fuori città, in provincia.

C’è da dire una cosa, però. La provincia di Portland era la campagna. Sembrava quasi Forks con i suoi viali alberati e i suoi grandi campi coltivati.

Non so per quanto tempo passammo davanti ad un ambiente con morfologia simile, ma ben presto, con un tonfo leggero, la Mercedes si fermò davanti un lungo viale che conduceva ad una villa.

Guardandola bene, era nel loro stile.

Alberi alti e con foglie copiose che coprivano quasi tutto il tetto della casa.

Sospirai e i miei due accompagnatori si voltarono verso di me.

- Veniamo con te? -

- No. Devo affrontare da sola tutto questo. – dissi dura.

- Come vuoi. Noi ti aspettiamo qui. –

Presi coraggio e uscii fuori dell’auto.

Il viale alberato che conduceva a quella villetta non era lungo, anche se io andavo lenta per non inciampare e mi sembrava lunghissimo.

Impiegai quasi cinque minuti per percorrerlo tutto. Sentivo gli sguardi dei due ragazzi incollati alla mia figura. Anche loro speravano che fosse qualcuno che conoscevo.

Finalmente arrivai alle scale. Erano cinque.

Salii ogni gradino con calma, per paura che dietro quella porta che ora era davanti a me chiara e distinta si celasse la delusione.

Andai avanti piano, cauta. Bussai il campanello.

Il mio cuore batteva a mille, non sapevo chi mi avrebbe aperto quella porta.

Sarebbe stato qualcuno che conoscevo, o me ne sarei andata da lì con il dolore nel petto e mi sarei decisa che forse loro non erano mai esistiti.

Nessuna risposta. Decisi di riprovare, avevo tutto il tempo del mondo.

Passarono cinque minuti ma… Nessuna risposta.

Speravo che ci fosse qualcuno, magari qualcuno che era in una camera all’ultimo piano e che non aveva sentito il campanello. Impossibile. Se ci fossero stati avrebbero sentito.

Nulla. Il vuoto. Il vuoto che ripopolò il mio cuore che dei minuti prima era colmo di speranza.

“Forse non ci sono, Bella.” Dissi a me stessa.

Era possibile, erano appena le quattordici del pomeriggio.

Se fossero usciti?

Se fossero andati nella foresta? La vedevo, era dietro di me e circondava la casa.

“Aspetta, aspetta”, ripetevo.

Non potevo mollare proprio adesso. D’altronde non potevo stare per molto tempo in piedi, ne soffrivo. Ero troppo, troppo stanca per stare lì immobile.

Una piccola panchina ad altalena mi colpì.

Era sotto la veranda, con tanto di cuscini appoggiati sopra.

“D’accordo, io e te saremo amici finché non tornano.”

Mi diressi lì e mi sedetti. Presi il cellulare dalla borsa e chiamai Jacob, a pochi metri da me.

- Jacob -

- Bella, allora? –

- Allora… Non c’è nessuno. –

- Vuoi che ti vengo a prendere? Ho visto che ti sei seduta –

- No. Io… resto qui. Finché non torna qualcuno –

- Bella, sii ragionevole. Se nessuno ti ha risposto vuol dire che… non c’è nessuno –

Sentivo gli occhi gonfi. Le lacrime cominciarono a scendere dai miei occhi e mi macchiavano tutta la camicetta rosa.

Sapevo che aveva ragione. Ma poteva anche aver torto.

Il fatto che ora non ci siano non vuol dire che dopo non ci siano lo stesso.

- Jacob – ripetevo tra le lacrime – Io, io lo so che qualcuno c’è. Qualcuno ci sarà, me lo sento. Lasciami… lasciami aspettare fino a stasera, ti prego – le lacrime mi rendevano impossibile ogni parola detta correttamente.

Jacob sopirò. – Bella ma… - disse indeciso – Va bene, noi ti aspetteremo qui. Non ti perderemo di vista – Un altro sospiro. Gli costava caro dire quelle parole. Sapevo che mi amava e che mi avrebbe voluto far dimenticare tutto, ma… ci dovevo provare in qualche modo.

Dovevo provare che il bambino che cresceva dentro di me non era suo. Che tutto ciò che c’era qui attorno era finto e che ero in un sogno. Domani mi sarei risvegliata a Phoenix con Reneè e tutto sarebbe tornato uguale.

Mi toccai la pancia, l’accarezzai. Il mio bambino era vero e voleva vedere suo padre.

All’improvviso mi venne sonno.

Il cuscino accanto a me era morbido e comodo, così che lo misi dall’altro capo della panchina e poggiai la testa sopra, stendendomi in una posizione in cui non avrei fatto del male al bambino.

Chiusi gli occhi e non so quanto mi ci volle per addormentarmi.

Durante quel lungo tempo, sognai ancora.

Ero nuovamente a Forks, questa volta il mio bambino tra le mie braccia.

- Bella – mi disse una voce sensuale – puoi darlo a me se ti sei stancata -

Mi voltai, certa che quella fosse la sua voce.

Invece no. Non c’era nessuno dietro di me.

Poi, di nuovo una voce. Una voce che forse avevo già sentito, ma di cui non ricordavo bene il tono.

- Bella? Bella sei tu? –

La voce rombava.

- Bella? -

Sentii due mani sulla mia spalla, poco dopo mi accorsi che erano fredde.

Pensai che fosse ancora un sogno, ma quando aprii gli occhi e notai che intorno a me era tutto scuro, mi ricredetti.

C’era solo una debole luce sulla porta d’ingresso, ci vollero alcuni secondi per far abituare gli occhi alla luce debole che mi illuminava il volto.

Davanti a me due figure.

Non avevo capito di chi si trattava finché non vidi il pallore del loro volto illuminato dalla luce della veranda.

- Bella, sei tu? - Ringhiò il ragazzo.

- Si – si sono… io – Appena lo riconobbi mi venne un colpo al cuore.

Iniziai a respirare affannosamente, non ci credevo.

- Come ti butta? -

- B-bene… - riuscii a dire, ero bloccata dall’emozione.

- Ma sei sicuro che è lei? Non vedi che è incinta? Sarà qualcuno che le assomiglia. – disse la voce femminile. Era sempre altezzosa e tagliente come la ricordavo.

- Ma no, è lei, non lo vedi? –

- Si si. Credici. – Era ancora scettica.

- Bella, vuoi entrare? –

- Ehm, si. –

- Prego – fece lui, con il sorriso sulle labbra.

- Mi aiuti? – chiesi timidamente – Non riesco a camminare bene –

Mi venne vicino e mi aiutò ad alzarmi. Era sempre stato così caro e cucciolone.

Entrai nella grande casa e insieme a lui ci dirigemmo verso un grande divano.

- Allora, Bella, cosa ti porta qui? -

- Io io… volevo parlare con voi. –

- Dicci pure, cara! – la sua voce era sempre forte.

- Ma l’hai vista? Mica sarai venuta qui dicendo che questo è di nostro fratello? –

- Basta, Rose. Eppure se fosse, cosa cambia? Tanto sappiamo che è impossibile –

- No – li interruppi – qui – mi toccai la pancia con la mano – c’è… il figlio di… - presi tutto il coraggio che avevo per pronunciare quel nome – Edward. –

Una lacrima mi scese sulla guancia.

- E sentiamo, come avrebbe fatto nostro fratello a generare quel coso? – indicò con ribrezzo la mia pancia.

- Rose, che domande fai! Non vedi che la stai facendo sentir male? Bella, puoi anche non rispondere, io ti credo –

- No, Emmett. Forse tua moglie si è dimenticata come si fa. – Lanciai un’occhiataccia a Rosalie.

- Bella, e tu vuoi dirmi che tu e mio fratello avreste… fatto del sesso? –

- Bella, ricorda che puoi anche non rispondere – tuonò severo Emmett.

Annuii. – Il giorno del mio compleanno. Lui… lui era stato… così gentile… Quando mi amava – dissi con gli occhi gonfi nuovamente di lacrime.

Rievocare quel ricordo era troppo difficile. Era il più bel ricordo che avessi di lui.

Emmett si alzò e mi venne accanto, cingendomi la vita.

- Bella ma… lui lo sa? -

Scossi la testa.

- Come poteva saperlo? – intervenne Rosalie – Se noi siamo partiti poco dopo? Non abbiamo lasciato recapito, nulla. Abbiamo fatto solo il suo volere, ce ne siamo andati. Non pensavamo che ci avresti trovati. -

- Rose, calma. Bella, io ti voglio bene dal primo momento in cui Edward ti ha portata a casa nostra quindi… - Rosalie lo interruppe.

- Quindi… cosa? Vuoi dirle dove si trova Edward, dove si trovano gli altri? Ti serve il suo consenso. E’ stato lui l’artefice di questa decisione e sarà lui a decidere cosa fare ora. Sarebbe fare qualcosa contro il suo volere. E se non la vuole più vedere? E se… -

Rosalie stava per porre un’altra acida domanda, ma Emmett la bloccò.

- Rose, per favore. Bella soffre, non vedi? E poi… è giusto che lui sappia dopotutto. Anche se decida di… - lasciò in sospeso quella frase. Sapeva che mi avrebbe fatto soffrire di più.

- E va bene, Emmett. Questa volta te la do vinta! – Sbuffò. Era troppo difficile perdere per Rosalie.

- Bella, domani verrai con noi, dagli altri. Adesso vieni con me, ti accompagno in una stanza così puoi dormire qui – Emmett mi sorrise. Era sempre premuroso e giocherellone, come quasi un anno fa. Mi prese sotto braccio e mi portò al piano di sopra.

Nella grande stanza, chiamai Jacob per avvertirlo. Non ci credevo.

- Bella? Dove sei? -

- Jacob. Sono Rosalie ed Emmett. Portami la valigia che domani si parte. -


Ciauuuuu! Come vedete ho deciso di continuare prima questa fanfic. Pensavo al continuo prima di dorimire, all'una di notte che non riuscivo ad aspettare di più per metterla su carta!

Inanzitutto ringrazio chi ha commentato, ovvero: Midnight Dream, clodiina85, Girasole94, carlottina, LittleBloodyMary, Hele91, aLbICoCCaCiDa, ka chan, _Natsuki_.

Ognuna di voi mi ha fatto essere felice per un po', siete state tutte davvero gentili. *______*

Non vi preoccupate, per chi voleva che fossero Alice e Jasper, li vedrete prestissimo! hihih

Baci, Yuna

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Capitolo 6
*** Non è finita ***


Well I’ll try to do to it right this time around
It’s not over,
Try to do it right this time around
It’s not over
But a part of me is dead and in the ground.
This love is killin me
But your the only one
It’s not over.

I’ve taken all I can take
And I cannot wait
We’re wastin too much time
Bein strong, holdin on
Can’t let it bring us down

My life with you means everything
So I won’t give up that easily


Beh, Cercherò di fare tutto giusto questa volta
Cominciamo daccapo
Tentiamo di fare tutto giusto questa volta
Non è finita
Perché una parte di me è a terra morta
Questo amore mi sta uccidendo
Ma tu sei la sola
Non è finita

Ho preso tutto ciò che potevo prendere
E non voglio aspettare
Stiamo sprecando troppo tempo
Essere forti, resistere
Non lasciamo che ci butti a terra

La mia vita con te acquista pieno significato
Perciò non cederò così facilmente

Daughtry – It’s Not Over

Quella notte, non sognai nulla.

Fu la prima notte, dopo tante, in cui mi sentii serena e anche un po’ felice e speranzosa di poterli rivedere. Naturalmente, più di tutti, speravo di poter rivedere lui.

Cosa avrebbe fatto, quando mi avrebbe vista? Sarebbe scappato senza degnarmi di uno sguardo oppure sarebbe corso verso di me per stringermi di nuovo tra le sue braccia?

Oppure… l’avrei visto con… un’altra?

Questi pensieri, seppur dolorosi, mi attanagliavano. Solo la speranza teneva viva la mia voglia di tentare, sperando di non ritrovare il fuoco che alcuni mesi fa mi aveva bruciata.

Guardai la sveglia sul comodino. Erano le quattro e trenta del mattino e mi ero svegliata improvvisamente, forse spinta dalla gioia.

Bussarono alla porta, e con un debole “avanti” feci entrare chi aveva bussato.

- Oh, pensavo non stessi dormendo – disse Emmett, con voce forte.

- Mi sono appena svegliata – gli riferii.

- Ottimo. Stavo venendo a svegliarti io perché dobbiamo partire adesso. –

Quella rivelazione mi fece felice. Non sarei riuscita a resistere per altre ore.

Annuii e gli dissi che mi sarei vestita subito. Gli chiesi anche di Jacob, e lui mi disse che stava già aspettando in veranda perché l’aveva telefonato lui stesso la sera prima.

Emmett uscì dalla stanza, ed io mi vestii e lavai, in fretta e furia. Non avevo voglia di restare ancora lì, lontano da loro. Volevo rivederli.

Quando uscii da casa, ansiosa anche di rivedere Jacob, notai che non era solo.

Dean, il mio amico di Porland, era accanto a lui, e come lui, aveva una valigia accanto.

- Ciao, Bella – mi disse Jacob, felice di rivedermi.

- Ciao, ragazzi – risposi, mentre scendevo anche i tre scalini della porta d’ingresso.

Dean mi indicò la sua auto, a pochi metri.

Mi chiesi che ci facesse lì. Non potevo credere che sarebbe voluto venire anche lui. Non potevo credere che già tenesse a me tanto da seguirmi in un altro stato.

Poco dopo scesero anche Emmett e Rosalie, che si diressero nella nostra stessa direzione.

- Emmett e Rosalie? -

- Verranno con noi. Mi sono offerto volontario di portarvi all’aeroporto e di accompagnarti a Seattle, con Jacob. –

- Ehm? Ma non faresti meglio a restare qui? Dopotutto, è casa tua Portland –

- No. Ricordi cosa ti ho detto dei giorni fa a casa? Che ti avrei aiutata. Dovunque. Quindi è inutile che ti opponi – Mi disse, con un sorriso larghissimo e ironico sul volto.

Mi limitai ad annuire, anche se non ero d’accordo con la sua scelta. Non pensavo di conoscere una persona con tanta caparbietà.

In ogni caso, la parte casa Cullen – aeroporto, fu davvero veloce.

Avevo avuto la fortuna (?) di conoscere uno che guidava come un ossesso che ci permise di arrivare prima che sorgesse il sole.

Anche l’imbraco fu veloce, anche grazie a Rosalie che stranamente si mise a convincere i vari impiegati addetti alle varie sezioni dell’imbarco. Dovevano fare presto se non volevano uscire al sole.

Quello, però, fu più furbo di loro.

Forse l’avevano già programmato, però, quando due ore dopo arrivammo a Seattle. Il sole era quasi alto nel cielo, che minacciava la mia felicità.

Scesi dall’aereo, prendemmo i bagagli e cercammo subito un taxi.

Il sole era davvero alto, per essere solo le nove, e ne Rosalie, ne Emmett potevano avvicinarsi troppo alle grandi vetrate dell’aeroporto.

- Bella – mi chiamò Emmett, quando stavamo recuperando i nostri bagagli – sai bene che non possiamo –

- Sì, lo so. Dammi l’indirizzo –

- Tieni. Già ci avevo pensato prima – mi disse, con il sorriso sulle labbra. – Dì ai tuoi amici che noi restiamo qui per un po’, per giustificare la nostra assenza. Ci rivedremo questa notte o domani mattina –

- Ma… Alice… -

- Sì, sa già tutto. L’abbiamo chiamata poco tempo fa, perché lo dicesse agli altri. Naturalmente, le ho fatto promettere di non dirlo ad Edward. Sai che è improbabile la sua reazione… -

- Sì. Lo so benissimo. Ma… è lì con loro? – Un’altra fioca speranza.

- Non lo so, credimi. L’ultima volta che ho visto mio fratello è stato mesi fa. Alice mi ha detto che va e viene da Seattle, ma non so cosa combina, perdonami… - rispose, un po’ triste per non avermi potuto dire tutto ciò che volevo sapere.

In quel momento, un po’ della speranza che possedevo, svanì.

Pensavo che se non l’avessi trovato entro pochi giorni a Seattle, forse con il cuore di nuovo a pezzi sarei tornata a Forks per partorire, e forse, se avessi mai rincontrato Edward, poteva anche darsi che avrebbe costretto tutti i Cullen a trovare un’altra casa… Non ci potevo pensare.

Cercavo di non pensare a nulla di male, cercavo di pensare che ce l’avrei fatta a far credere a tutti che in grembo porto il figlio di Edward. Questo, finora era il mio obiettivo.

Se poi non mi avrebbero creduta – a questo non ci volevo nemmeno pensare – almeno avevo detto loro la verità. Li avevo visti almeno per un’ultima volta.

Jacob mi chiamò alla realtà.

Io, lui e Dean ci dirigemmo all’esterno per trovare un taxi.

- E loro, dove sono andati? – chiese Dean.

- Hanno delle faccende da svolgere – mentii – li rivedremo dopo –

- Ah – fu la sua unica risposta.

Camminammo per alcuni metri, quando notai una grossa insegna luminosa che si notava anche a metri di distanza.

“Micheal & Katy, noleggio automobili”

Noleggio… automobili? Dopotutto a che ci serviva un taxi?

Cercai di far vedere ai due ragazzi quello che tanto mi aveva incuriosito.

- Cosa? Vuoi noleggiare una macchina? - disse Jacob.

- Sai meglio di me che si fa prima –

- Per me è un’ottima idea. Conosci la strada? – mi chiese Dean.

In effetti, a Seattle c’ero stata poche volte, e con Alice. Non conoscevo bene tutte le vie, ma molte le ricordavo. E poi, potevo sempre comprare una mappa per cercare ciò che volevo.

Annuii. – Ho l’indirizzo – gli risposi. - Jacob? –

Jacob, un po’ riluttante, acconsentì facendo un cenno con il capo.

Il nostro strano trio si diresse verso il negozio. Alla fine, Dean si fissò che voleva pagare lui il noleggio, e ne io, ne Jacob dovevamo opporci.

Lo lasciai fare, dopotutto avevo già avuto a che fare con tipi del genere nella mia vita…

Naturalmente, Dean non scelse una macchina da quattro soldi.

Prendemmo una BMW X3 per andare sulla strada sterrata che ci avrebbe condotti a casa Cullen.

Però, prima di partire, precisai le mie volontà.

- Dean, Jacob… vorrei chiedervi un favore -

- So già cos’hai in mente. Te lo dico già da ora, la risposta è NO! – disse Jacob, senza nemmeno farmi esporre le mie idee. Sapeva già cos’avrei detto, mi conosceva troppo bene.

- Jacob. Questa è la mia storia. Io sono voluta venire a Portland e poi a Seattle per intraprendere questa ricerca. Se non posso nemmeno decidere io cosa fare, allora è meglio che torni a casa. –

Diretto e molto tagliente.

Sul volto di jacob comparve un’espressione delusa, ma anche orgogliosa.

- Bella… Sai che… se non va in porto… questa cosa… - preferì non continuare.

Cercando di respingere le lacrime indietro, gli risposi – Si, Jacob. Lo so. Ma devo affrontarla io questa cosa. Non voglio protettori. Non mi faranno del male se è questo che pensi. –

Jacob notò la decisione sul mio volto. Stavo quasi per piangere, ero in crisi.

Volevo andare da sola fin lì. Dovevo affrontare questa cosa senza l’ausilio di nessuno.

- E va bene – disse, serio, - però… non resteremo lontano. Se dovesse succedere qualcosa, qualsiasi cosa, tu devi chiamarci. Sono stato chiaro? - . Vedevo la preoccupazione nei suoi occhi.

- Si. Lo farò. – Abbracciai Jacob. Speravo davvero che tutto questo sarebbe andato a buon fine.

I due ragazzi si allontanarono ed io misi in moto.

Non avevo mai guidato un’auto di quella cilindrata, ma era spaziosa ed adatta alla strada che avrei dovuto percorrere. Ero sicura che si trattasse di un lungo sentiero nella foresta.

Le mie aspettative non furono vanificate, quando vidi una folta coltre di foglie che si disperdevano sull’asfalto. Un’insegna diceva “Foresta di Greenwood”.

E’ il posto giusto. Spero solo di non perdermi…

Girai a destra ed entrai nella foresta. Inizialmente la coltre era molto rada, ed il sole s’intravedeva benissimo. Alcuni metri più avanti, invece, la vegetazione si fece più fitta, tanto che sembrava già si stesse facendo sera.

Guardai il navigatore dell’auto – Dean aveva pensato anche a questo – e notai che la mia meta era ancora molto lontana. Mi chiedevo se la foresta fosse davvero così profonda come appariva da fuori al finestrino. Forse più avanti tutto sarebbe diventato più scuro o forse ci avrei impiegato più del dovuto per “cercare” di raggiungere la nuova casa Cullen.

Accesi lo stereo perché mi dava un po’ fastidio il silenzio dell’abitacolo dell’auto.

Non c’era nulla di bello, ma mi limitai ad avere dei suoni per compagni.

Il viaggio si stava rivelando allo stesso tempo monotono e felice, era davvero triste ciò che mi circondava.

Continuavo a dire a me stessa che tutto sarebbe andato bene, che non sarebbero successi imprevisti, ma poi, dovetti ricredermi.

All’improvviso, diedi un’occhiata ad una luce che lampeggiava sul quadro. Era quella della benzina.

- Oh, cazzo – riuscii a dire, prima che il motore si spegnesse definitivamente.

In un primo momento, non seppi cosa fare.

Poi mi decisi a scendere e a proseguire a piedi. Vidi delle tracce di pneumatici per terra e mi rincuorai che potevano portare proprio dove dovevo arrivare. Presi la borsa, e mi avviai.

Guardai l’orologio. Avevo guidato per due ore senza essere ancora arrivata.

Ricordo che l’ultima volta che vidi il navigatore mancavano all’incirca due o tre chilometri.

Continuai a seguire le tracce per terra, finchè non successe qualcosa che non mi sarei mai aspettata.

Qualcosa, che, per succedere, non chiede il tuo permesso. Qualcosa che sarebbe dovuta accadere tra un mese o meno, ma non pensavo potesse accadere proprio oggi.

Si erano rotte le acque.










Avete visto? Nuovi imprevisti attentano alla vita di Bella XD,,, Pensavate che sarebbe successa una cosa simile? XD

Adesso, per tutti voi che pensate adesso "Bella dovrà fare tutto da sola"... Vi sbagliate! Il prossimo capitolo ihih non voglio dirvelo altrimenti vi rovino la sorpresa XD

Volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto il capitolo precedente, e anche carlottina, Girasole94 , LittleBloodyMary, Hele91, _Natsuki_, clodiina85 che hanno recensito.*_*

Davvero, nel prossimo capitolo non vi pentirete di leggere! Mia sorella ha detto che sembra Beautiful ihihih XD

Alla prossima, Ciau! Yuna

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Capitolo 7
*** Troppo persa... ***


I got no strength at all
In the state that I'm in

And my knees are weak
And my mouth can't speak
Fell too far this time[…]

 

Well you whispered to me
And I shiver inside
You undo me and move me
In ways undefined
And you're all I see
And you're all I need
Help me baby (help me baby)
Help me baby (help me now)

 

 

 

 

 

Non ho alcuna forza
Nello stato in cui sono

Le mie ginocchia sono deboli
La mia bocca non riesce a parlare
Sono caduta troppo lontano questa volta[…]

 

Beh mi hai bisbigliato qualcosa
E io tremo dentro
Tu mi disfi e mi sposti
E tu sei tutto quello che vedo
E tu sei tutto quello che mi serve
Aiutami
Aiutami adesso

 

Too Lost In You - Sugababes

 

 

 

 

Quel giorno avevo indossato un vestito non troppo lungo, così non mi bagnai troppo.

Ma non fu tanto l’essermi bagnata o meno che mi fece venire le lacrime agli occhi, quanto i dolori che forti sopraggiunsero mentre cercavo di reggermi accanto all’albero più vicino.

Continuavo a ripetere “Oh, merda! Oh, merda!”, non sapevo proprio cosa fare.

Era davvero quello il mio destino?

Oltre ad essere stata lasciata e con un figlio in arrivo, adesso quel povero neonato doveva nascere in una foresta in cui mi ero sicuramente persa, e per giunta dovevo farlo nascere… da sola?

Le lacrime scendevano più velocemente ed i dolori allo stomaco aumentavano.

Lo so, voleva uscire. Mi sentii un po’ egoista, quando pensai “Non poteva aspettare qualche giorno?”. Cercai di non pensarci.

Improvvisamente mi ricordai di quello che mi aveva detto Jacob “Chiama, se ti serve aiuto”.

Cercai nella borsa il cellulare, e dopo poco lo trovai. Premetti un tasto per sbloccare ma come per magia anche il display era fuori uso come la macchina pochi KM prima di lui.

- Perfetto! Oggi è la mia giornata fortunata! – dissi ad alta voce. Tanto nessuno avrebbe potuto sentirmi.

Continuai a camminare, sperando che la casa fosse vicina, ma mi sentii troppo male e mi fermai.

Il dolore era lancinante. Mi sentivo come se mi stessero gettando addosso dei massi pesanti e non potevo farne a meno. Il bambino dentro di me di sicuro urlava “fammi uscire!”. Ma io non sapevo come fare.

Mi accasciai accanto ad un albero ed iniziai a piangere a dirotto, come poco prima.

Singhiozzavo e urlavo, ripetendomi che tanto ero sola. Lo ero sempre stata.

Iniziai a respirare profondamente, come avevo visto fare in numerosi film in cui le donne ed i loro partner andavano a quei corsi pre maman per imparare le varie tecniche di respirazione per evitare attacchi di panico o fobie del genere.

Io, con fermezza, avevo rifiutato tutti i corsi. Non volevo andare lì da sola. Non volevo nemmeno che gli altri mi vedessero così. Ma avevano scoperto presto la mia gravidanza. Quando un giorno mi dirigevo in centro a prendere delle cose, una Jessica curiosa si era avvicinata chiedendomi tutti i particolari e li aveva raccontati a tutti. Io chiaramente ero stata molto vaga. Non volevo sentirmi ancora più male.

Più cercavo di respirare nel modo giusto, più sentivo che stavo sudando freddo.

Mi toccai la fronte, ed avevo ragione. La sentii gelida sotto il mio tocco.

- Per favore, fai che non succede nulla – dissi, mentre mi accarezzavo la pancia per sentirmi più sicura. Ma lì non c’era nulla di sicuro.

Respiravo a fatica, e di sicuro ero proprio in preda ad un attacco di panico che avevo tanto odiato.

Le cose attorno a me diventarono più scure. Non vedevo chiaramente i contorni degli alberi, delle foglie. Niente. Vedevo solo tanti pallini colorati, come quando guardi troppo il sole e ne resti accecato. Tutto perdeva forma e colore, ed intanto piangevo ed urlavo come un’ossessa.

Non so bene cosa dicevo, ma forse “vorrei che adesso fossi qui”. L’ho ripetuto tante volte.

La parte inconscia aveva preso il sopravvento su quella conscia. Ne fui certa anche dopo che sentii un rumore di pneumatici che veloci si muovevano nella foresta. Pensavo di aver perso conoscenza, ed, in effetti, era così, più o meno. Mi ripetevo che ormai ero intontita e mezza svenuta e che mi facevo delle paranoie inutili. Tanto non c’era nulla.

 - Aiutami… - dissi, in preda ai deliri, quando vidi una figura fermarsi davanti a me.

Non riconobbi chi era, ma aveva dei tratti che il mio cervello ricordava, anche se al momento non li legava a nessun nome concreto. Per un secondo, sperai che potesse essere lui.

“Si, continua a sognare”, mi ripetevo. Sì, forse quello era davvero un sogno.

Sta di fatto che la figura si avvicinò a me e osservò con sguardo impaurito e preoccupato. Mi accarezzò la guancia e mi strinse forte a sé.

Sentivo freddo. Forse era il calo di pressione, eppure sentivo che il corpo della figura non aveva la mia stessa temperatura corporea. Ormai non connettevo più. Credevo davvero che fosse qualcuno di loro.

La figura mi alzò di peso da terra e mi poggiò su un sedile posteriore di un’auto. Lo riconobbi perché vidi che entravamo da qualche parte. Eppure, mentre cercavo di riprendermi, sentivo un’aria familiare. La mia mente mi ripeteva che io lì dentro già c’ero stata.

 Forse per un riflesso condizionato, ma senza accorgermene dissi “Edward”.

La figura si limitò a dire “Shh. Non sforzarti.” Per la seconda volta in quella giornata, pensai davvero fosse lui.

Quando ci fermammo, mi sentii già un po’ meglio. Riuscivo a distinguere meglio ciò che mi circondava e riuscii anche ad alzarmi.

Quando poi la figura di prima scese dalla macchina, chiusi gli occhi. Ero ancora troppo stanca per camminare. Sentivo che camminava veloce, non sembrava un passo d’uomo.

Mentre camminava, aprii gli occhi. Ero tra le sue braccia, che erano gelide. Davanti a noi c’era una casa immersa nel verde. Notai una cassetta della posta accanto all’ingresso. 

C’era scritto “Cullen”. Allora… ero arrivata? Ma come? Chi era colui che mi portava in braccio?

Sulle prime pensai ad Emmett, poi mi ricordai che era ancora lontano. Poi a Jasper, ma mi ricordai che il mio sangue era ancora troppo sensibile per lui. Infine pensai a Carlisle. Lui non aveva mai dimostrato di temere il mio sangue. E poi, pensai anche a lui, ma cancellai subito il pensiero.

Cercai di alzare il volto, ma non riuscivo a vedere chi era. Ero troppo stanca.

- Sta giù – mi disse la voce, lieve e calma.

- Oh, no! Questo non l’avevo previsto! – sentii quella che riconobbi essere la voce di Alice.

Mi girai, ed, in effetti, era sotto al portico con un’espressione sbalordita sul volto.

- Dov’è Carlisle? – chiese la voce, che la mia mente connetteva stranamente alla sua.

- E’ di sopra. Spero abbia gli accessori adatti a questo –

Entrammo in casa. Con una velocità eccezionale, salimmo le scale e ci dirigemmo verso quello che mi sembrò essere un corridoio infinito.

Quando arrivammo alla fine del corridoio, mi voltai, e vidi il dottor Cullen.

Anche lui, come Alice prima, aveva stampato sul volto un’espressione incredula. Solo che la sua era serena.

- Cos’è successo, Edward? -

Ha detto… Edward? Era davvero lui che… No. Non può essere. Però quello non era un sogno, ne ero sicura. Sentivo il dolore. Sentivo i calci. Voleva uscire. Iniziai a piangere.

- L’ho trovata nella foresta, da sola. Era appoggiata ad un albero… Penso stia per partorire -

Carlisle si avvicinò per toccarmi la fronte. Iniziai a singhiozzare sempre può forte.

- Cos’ha? – chiese Alice.

- Saranno i dolori. Non restate qui, ragazzi. Credo proprio che dovrò fare un cesario –

- La porto nella mia stanza –

- Ottimo, Edward. Prendile dei cuscini comodi e caldi. Alice, tu prepara una culla improvvisata – sospirò – Io… andrò a prendere ciò che serve. Mi raccomando, mi fido –

Continuavo a piangere. Sentivo una mano che mi accarezzava il volto, e per un po’ stetti in silenzio.

Allora era vero. Ero davvero tra le sue braccia.

- Edward – cercai di dire, mentre mi sentivo poggiare su una superficie morbida. Un letto.

Lui non rispose. Fece ciò che gli chiese Carlisle e poi lo vidi avvicinarsi.

I suoi occhi erano neri. Mi accarezzò nuovamente la guancia con il dorso della mano e mi prese la testa tra le mani.

- Speravo ci rivedessimo in una situazione migliore – disse, sorridendo.

Sentii che qualcun altro era entrato. Sentii anche ago nel braccio, forse un antidolorifico o una flebo.

- Edward… Sei-sei… proprio tu? - dissi, con il fiato corto.

- Si. Ma adesso calmati. Respira profondamente. Adesso sarai libera. –

- Edward, mi vorresti assistere? Sei l’unico che ha esperienza in questo campo –

Edward, che era ancora accanto a me, mi guardò negli occhi in modo strano. Sapevo quello sguardo cosa significava: non era sicuro di farcela.

Avevo capito che avrei dovuto subire un cesario, e questo avrebbe comportato sangue. Mi accarezzò nuovamente.

- Sei… sicuro? E se… - lasciò la frase in sospeso. Capii subito a ciò che si riferiva.

- Nella mia vita non ho mai visto una persona che si sa auto controllare come te. So che ce la puoi fare. Hai fatto pratica sui corpi, no? Ci riuscirai. Ci sono anche io con te – Carlisle era sempre ottimista.

- Sì, lo so. Ci devo riuscire – disse Edward, guardando sempre me.

- Avvicinala al bordo… Anzi, metti il materasso su quella scrivania, lì. –

Edward si alzò velocemente, e sentii qualcosa che cadeva in terra… Qualcosa di vetro, forse.

Poi mi prese di peso e mi poggiò su un materasso poggiato sulla scrivania che Carlisle aveva menzionato poco prima.

- Allora, Bella. Adesso dovrò farti un’incisione, per il cesario… Non farti problemi se vuoi urlare -

Mi rassicurò Carlisle. – Edward, tu cerca di tenerle la mano ben stretta. Non deve muoversi. –

Edward annuì, ed ecco che la mia mano – che adesso trasudava – era nella fredda e dura mano di Edward. Di colpo, la strinsi fortissimo.

Non vedevo bene, e forse era meglio così. Carlisle mi alzò il vestito, per incidere. In quel momento ebbi un po’ di vergogna, ma subito me ne dimenticai. Adesso la cosa più importante era mio figlio.

- Non guardare – mi disse Edward, che aveva visto la mia curiosità.

Sentii qualcosa di freddo sulla pancia. Inizialmente non provai nulla, ma poi sentii che scendeva in profondità e che colpiva le zone che già mi dolevano.

Strinsi ancora di più la mano ad Edward, che di rimando fece lo stesso. Non aveva smesso di guardarmi. Quello fu davvero un sollievo per me.

Per quelli che mi sembrarono un’eternità, Carlisle incise la pelle della pancia per riuscire ad aprire il varco per far uscire il bambino.

- Bella, ci siamo quasi – mi disse Carlisle – vedo una testa -

Vidi Edward serio. Fissava ancora me, però si vedeva che era molto sensibile al mio odore. Proprio adesso che avevo lo stomaco squarciato. Gli strinsi più forte la mano, per fargli capire che immaginavo come potesse sentirsi in quel momento.

- Edward, stai andando troppo bene. Cerca di non respirare – disse sempre Carlisle.

Edward restava muto.

I minuti intanto passavano lenti e mi chiedevo, quando sarebbe finita. Il dolore era meno forte, però c’era sempre.

- Che cosa strana – disse il Dottore, ridendo.

- Cosa? Ci sono complicazioni? – chiese Edward, allarmato. Io avevo la lingua troppo asciutta per parlare.

- No, anzi. Vedo due teste –

- Due teste? – chiesi io, che recuperai subito la voce. Non avrei mai potuto pensare che…

- Si, proprio due. Edward, mi servirà anche il tuo aiuto… Prendi degli asciugamani –

Edward corse via a fare ciò che aveva ordinato Carlisle.

- Davvero non lo sapevi? – mi chiese il dottore.

Scossi il capo – Non avevo mai fatto nessun test… Non so nemmeno il sesso –

- Oh, ottimo. Mettile lì e avvicinati – disse Carlisle ad Edward.

Anche se non vedevo molto bene da lì, riuscii a scorgere l’incertezza negli occhi di Edward.

Carlisle gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise. Credeva in lui.  

Edward, con lo sguardo più serio e severo che mai, si avvicinò, come se avesse paura. No. Aveva paura, e tanta.

- Cosa devo fare? – chiese a Carlisle.

- Mantieni qui – gli indicò un punto sulla mia pancia – dobbiamo far uscire i bambini –

Che strana sensazione sentire quella parola al plurale. L’avevo sempre pensata singola. Adesso i bambini erano due… Non sapevo cosa avrei fatto. Sì, d’accordo, Edward si stava dimostrando disponibile e questo mi faceva essere felice. Ma se era solo una disponibilità dettata dalle mie condizioni? Se dopo il parto avrei scoperto che si comportava così ma che in realtà aveva già trovato un’altra compagna? Non ci volevo pensare.

Non sentii niente. Forse fu l’anestesia, ma non percepii dolore.

- Prendi la testa piano, mantenendo con una mano il resto del corpo – disse Carlisle. Vedevo Edward trattenere il respiro. Mi ricordai del primo giorno in cui lo vidi. Il suo volto era solcato dai segni dell’istinto… Non riusciva più a ragionare perfettamente. Fece ciò che il padre gli ordinò.

Per due o tre minuti, lo vidi maneggiare con la mia pancia. Poi sentii un piccolo rumore.

- Prendilo per i piedi e dagli uno schiaffo sul sedere -

Da lontano vidi che Edward eseguì l’ordine. Un pianto successivo interruppe il silenzio. Mi iniziarono a scendere le lacrime… Il mio primo figlio era nato.

- E’ un maschio – mi informò Carlisle, ma ero troppo occupata a piangere dalla gioia per dargli subito conto.

- Sai cosa devi fare, figliolo. Adesso è facile –

La scena si ripeté. Edward, per la seconda volta estrasse il bambino dalla pancia e lo sculacciò. Un nuovo pianto ed una nuova scia di lacrime invasero il mio viso.

- Sono pronto a ricucire, Edward. Dovresti pulire un po’ i bambini -

- E… il sesso? – chiesi, forse troppo a bassa voce per  farmi comprendere. Ma loro capirono lo stesso.

- E’ una femminuccia. – mi sorrise Carlisle – E’ finita –

Lo vidi armeggiare attorno alla pancia e sentivo di tanto in tanto tirarmi sullo stomaco. Forse tra poco l’effetto dell’anestesia sarebbe finito. Chiusi gli occhi. Ero davvero stanca.












Angolino... 

Heilà! Come andate? Io vado bene... XD Sono troppo contenta, domani esce Breaking Dawn e me lo vado a comprare! *____* OMG! Spero davvero che si concluda bene per i nostri eroi u.u 

Soprattutto, cercherò di non scrivere per il momento storie che possano contenere spoilers... anche se è difficile!XD

Comunque, veniamo a noi... Sono davvero contenta che questa storia sia piaciuta ad un sacco di voi, grazie °-°  Spero di avervi rese contente con questo capitolo, però... ricordate che non sappiamo come reagirà Edward dopo, quando Bella si sarà riposata... Non cantante vittoria subito anche se devo ammettere che a me non piacciono le cose tristi... quindi di sicuro non vi deluderò XD!!

Ringrazio particolarmente: momob, Helen Cullen, LittleBloodyMary, PhOeNiX_93, Girasole94, Hele91, MoonlessNight,  clodiina85, _Natsuki_, ka chan. Grazie, grazie, e ancora grazie! *____* 

Spero di postare presto il nuovo capitolo, che è in fase di lavorazione ù.ù   Un saluto da Yuna, kisses *_*

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Capitolo 8
*** A & A ***


Shouldn't let you conquer me completely.
Now I can't let go of this dream.
Can't believe that I feel...

Good enough,
I feel good enough.
It's been such a long time coming, but I feel good.

And I'm still waiting for the rain to fall.
Pour real life down on me.
'Cause I can't hold on to anything this good enough
Am I good enough... For you, to love me too?

-----------------------------------------------------

non avrei dovuto permetterti
di conquistarmi completamente
adesso non riesco ad uscire da questo sogno
non riesco a credere che mi sento

abbastanza bene...
mi sento abbastanza bene
ci sarà un lungo periodo in arrivo,
ma mi sento bene

e sto ancora aspettando che la pioggia cada
la vita reale cola su di me
perchè non riesco a tenermi stretta
a niente che sia abbastanza buona
sono abbastanza buona da farmi amare anche da te?


Evanescence - Good Enough



















Sentii due mani fredde che mi cinsero la vita, quando Carlisle terminò il suo lavoro. Edward mi stava riportando sul letto. Mi adagiò sui cuscini, messi in modo che potessi stare seduta senza affaticarmi, e mi sorrise. Forse, se avesse potuto, avrebbe pianto.
- Vuoi vederli? – mi chiese, con la voce dolce e commossa.
Annuii, quel evento mi aveva tolto il fiato.
Edward prese due piccoli fagottini, e me li porse con attenzione.
Notai i due bambini. Erano davvero belli. Uno aveva gli stessi capelli di Edward, color bronzo. Aveva dei profondi occhi verdi e la pelle molto chiara. Sembrava la copia di Edward.
L’altra, la bambina, era sempre di carnagione chiara, ma aveva i capelli castani e gli occhi castano chiaro.
 - Sono davvero belli – disse, guardandoli. Poi si avvicinò a me. – Hanno anche il tuo stesso odore… - ed annusò l’aria.
- Si. – mi limitai a dire. La verità gliel’avrei detta dopo.
- Adesso dormi, amore mio. Devi aver patito le pene dell’inferno con questi due neonati – mi disse, con tono suadente e molto dolce.
- Tu… tu… non te ne andrai, vero? Io… io ho da dirti… Voglio spiegarti questo… Tu… - parlavo in modo sconnesso. Volevo dirgli tutto e nulla in quel momento. Non volevo che andasse via.
- Non me ne andrò. E, per, questo, non devi preoccuparti. Non devi spiegarmi nulla –
- Ma tu… devi sapere… Devi sapere che i bambini… -
- Bella, non c’è bisogno che mi spieghi. Immagino ciò che mi vuoi dire – rispose, con un sorriso raggiante sul volto.
- No. So… cosa immagini… Che… sono figli… di qualcun altro… -
- Bhè, penso che non immagino una sciocchezza.  Sai che è praticamente impossibile che… quando noi… - s’interruppe, ricordando, quando mesi prima avevamo fatto l’amore. Vidi sul suo volto una traccia di malinconia. Che rimpiangesse quei giorni?
- No… Sai quando ho saputo che erano… tuoi? –
- Di sicuro, ti sbagli – disse, serio.
- L’ho saputo due mesi dopo. Non mangiavo… Non facevo nulla. Vomitavo soltanto. Forse, mi dissi, era perchè mi mancavi… troppo. Ma poi, i sintomi non continuavano e stavo male. Charlie chiamò un medico per farmi visitare e lui mi prescrisse delle analisi. Da lì… uscì che i valori erano alterati. Il medico vedeva la cosa strana, e così decise di farmi fare una visita ginecologica. Lì, seppi la verità. Fu nello stesso tempo felice e triste. – Ormai piangevo e singhiozzavo da più di due minuti.
Sentivo le mani di Edward sul mio volto, che cercavano di rasserenarmi. Forse non credeva ancora alle mie parole. Tuttavia, non rispose. Sapeva che dovevo dirgli altro.
- Non decisi di abortire. Quel figlio era l’unica, la sola speranza che mi facesse credere che tu fossi stato davvero insieme a me. Che mi avessi amata. -
Sospirò. Sapeva che quelle parole facevano male anche a lui. Pensavo si sentisse nella mia medesima situazione.
- Bella… Sai che ogni gesto che ho fatto, l’ho fatto perché ti amo. Tu… tu… non potevi darmi una gioia più grande – disse, avvicinando il volto al mio. La sua guancia gelata toccò la mia, calda e madida di sudore. Rabbrividii. Quanto mi era mancato il suo tocco.
E poi, aveva detto “l’ho fatto perché ti amo”. Allora, era vero? Mi amava ancora?
- Tu… mi credi? – dissi, con le lacrime agli occhi.
- Sì. Tuttavia, sarebbe meglio fare delle prove –
- Fai ciò che vuoi. Però… Sappi che… Dopo di te… Io non l’ho fatto mai più con nessuno. Non riuscivo ad amare più nessuno… Come amavo te. – cercai la sua mano, e la trovai. Uno dei bambini iniziò a piangere.
- Oh. Penso che i bambini hanno fame – disse sorridente e divertito – Vuoi che me ne vada? –
- No! Per favore… Resta qui, ti prego. Non sai per quanto tempo ho sognato… Ho sognato che tutto questo potesse essere vero –
- Non è un sogno, se è questo che pensi. Sono qui, accanto a te, e non ho mai smesso di amarti, mai. Nemmeno in tutto questo tempo. Ma adesso, dai da mangiare ai bambini – disse, il tono calmo e gioioso. Sul volto sempre il solito sorriso… Il mio sorriso.
Si avvicinò ancora di più, ed avvicinò le labbra fredde alle mie. In preda alla gioia, le mie labbra si muovevano ancora più veloci che prima, e cercavano le sue con avidità.
Lui, dal canto suo, si muoveva sempre rapido e mi baciava come mai aveva osato. Quello era davvero il miglior benvenuto che avrei mai potuto ricevere.
Si concluse subito, come anche le volte precedenti. Fermò le mani ai lati del volto e sospirò, forse annusando nuovamente l’aria. I due bambini, intanto, piangevano all’unisono.
Edward si allontanò, si alzò dal letto e si voltò, quando vide che mi sbottonavo i bottoni del vestito.
Avvicinai il bambino che assomigliava ad Edward al seno destro. Subito lo prese, ed io sentii un piccolo solletico che mi fece sorridere.
- Dai, puoi anche girarti – dissi ad Edward, che cercava di restare girato e guardava fuori dalla finestra.
- Sicura? Vorrei lasciarti tutta la privacy che vuoi –
- Ma dai! Mi conosci. E poi penso tu sia curioso di vedere come Anthony succhia il latte – gli dissi, ridacchiando. Adesso ero sicura di quale nome dare al bambino. L’avevo visto nei miei sogni.
Edward si voltò. – Anthony? –
- Sì. Non ti piace? Io… l’ho visto in un sogno. Mi ha ispirata -
- Capisco. In ogni caso mi piace – Si avvicinò lentamente, e si sedette nuovamente vicino a me e iniziò ad accarezzare il piccolo faccino di Anthony. – E la bambina? Adesso sono curioso di sapere anche il suo nome… Spero non sia eccentrico – sogghignò.
- Angela. –
- Angela? Mi piace. – sorrise.
Dopo tanti mesi di lontananza, avevo finalmente rivisto il suo volto. Era sereno, era felice. O almeno era ciò che io vedevo. Edward non era il tipo di troppe parole, lui preferiva fare i fatti, come quando se n'era andato. Se avesse scelto qualcosa di doloroso da fare, non so come avrei reagito. Rabbrividii al solo pensiero.
Edward se ne accorse e cercò di rimediare.
- Siete davvero belli, insieme... tanto meravigliosi ai miei occhi che credo, giuro che non vi lascerò andar via tanto facilmente - il suo volto s'illumino.
Era quasi come se avesse risposto alla mia domanda interiore. Sapeva che non avevo il coraggio di chiedere, per avere una verità che forse sarebbe stata scioccante.
Sarebbe restato. Sarebbe restato qui con me ed i bambini.
Sembrava troppo bello per essere vero, e invece lo era.
Dopo che Anthony ebbe finito la poppata, Edward lo reclamò tra le sue braccia. Quando glielo passai, il bambino smise di piangere. Sapevo che era merito suo. Chi non poteva resistergli...
Presi Angela, che era stata quieta tra le mie gambe mentre allattavo il suo gemello.
Lei si attaccò al mio seno sinistro, premendo piano la boccuccia attorno ad esso.
Sia io che Edward restammo in silenzio per molto tempo.
Mi limitavo a guardarlo spesso mentre osservava il bambino sempre con maggior stupore.
Sembrava affascinato. Osservava ogni minimo tratto del suo viso,  tastando piano con le mani la liscia pelle pallida. In questo, il piccolo Anthony era come suo padre.
Angela, invece, aveva sempre la pelle molto chiara ma assomigliava di più a me. Speravo che da grande, però non avrebbe preso anche la mia goffagine... Povera bambina.
- Non ne sono sicuro - esordì Edward improvvisamente - ma penso che abbia il mio stesso colore di occhi... Da umano intendo. -
- Penso... Penso di sì - risposi sussurrando. Intanto anche Angela aveva finito la sua poppata. Si era addormentata tra le mie braccia.
Edward sospirò. La somiglianza era evidente.
Mi rivestii, mentre Edward reclamò anche Angela tra le sue braccia.
Aveva una bambino a destra, ed uno a sinistra. Sembravano tre angeli insieme.
Improvvisamente, sentii dei forti rumori dal piano di sotto. Crescevano piano, fino a raggiungere il luogo dove giacevo.
Come avevo sospettato, erano delle visite.
- Oh, Bella! Come stai? Ohh! - urlò come era suo solito nei momenti di esultazione.
- Shh - fece Edward - Stanno dormendo -
- Già? - gli chiesi.
- Sì. Mica possono solo piangere - sogghignò.
Alice salì sul letto e mi gettò le braccia al collo. Era gelida come sempre.
- Bella! Sono così felice di vederti! Non sai da quanto ho aspettato tutto questo! -
Edward si voltò verso sua sorella con espressione stranita. Poggiò i bambini in una piccola culla - l'avevano presa in un grande magazzino che l'aveva subito portata a causa delle minacce di Alice - e venne accanto a noi. Alice era seduta accanto a me e guardava suo fratello con aria saccente.
- Tu... Cosa? - si limitò a dire. Era furioso.
- E' stato solo una settimana fa, Edward. E' lì che lei ha preso la sua decisione. Non ho mai guardato nel suo futuro, è tutto arrivato senza bussare! -
- Perchè non me l'hai detto subito? -
- Te l'ho detto, sapevo che sarebbe venuta... E poi, non sapevo come avresti reagito. Voi dovevate incontrarvi di nuovo... - disse, un po' triste.
Edward non rispose. Si avvicinò alla finestra e guardò fuori, forse stava riflettendo su qualcosa. Lo vedevo teso.
- Bella, stai bene? - mi chiese, dopo aver sbuffato un paio di volte.
- Sì, adesso sì. -
Mi sorrise. Poi si bloccò, come in preda ad una visione.
- I tuoi amici stanno arrivando - mi riferii - Jacob è davvero arrabbiato... L'altro... Mmh. Lo stesso. E poi vorrebbe uccidere Edward -
- Ah. -
Edward sembrava ancora assorto nei suoi pensieri. Non se ne importava granchè. Improvvisamente si voltò.
- Bella, se vuoi posso dirgli di aspettare per vederti - mi disse, avvicinando tremendamente il volto al mio - mi sembri stanca -
- Va tutto bene, Edward. Lo conosci, sai che se non mi vede subito... - sbuffai, anche se mi faceva piacere rivedere il mio vecchio amico lupo ed il mio recente amico umano.
- Io, me ne vado! Non sopporto quella puzza! - disse Alice, chi schizzò via dalla stanza.
Edward si sedette sul letto accanto a me, cingendomi la spalla e poggiando la testa sul mio petto. - So che sei felice... di rivederlo. - disse, forse un po' deluso. Sapevo che era geloso di Jacob.
- Sì - risposi secca. D'altronde, non potevo nascondergli la pura e semplice verità. Sapeva quanto ci tenessi a Jacob.
Sospirò nuovamente. - Sta arrivando. C'è anche un altro assieme a lui... Chi è? - chiese curioso.
- E'... Dean. Un ragazzo che ho conosciuto a Portland... Si è fissato che mi doveva accompagnare fin qui -
- Ah - rispose semplicemente - E' davvero furioso con me. I suoi pensieri sono funesti... Vorrebbe staccarmi la testa - rise fragorosamente. La sua risata mi ricordava tanto il canto di un uccello... O di qualsiasi altra cosa soave, calma e melodiosa.
- Scusami... E' che gli ho detto... La verità. Che tu... - non riuscivo a dire "mi avevi lasciata"... Riaffiorava un dolore troppo grande.
Mi poggiò il dito sulla bocca per non farmi continuare.
- Shh, Bella. Non ti preoccupare. Oggi è un altro giorno e le cose sono diverse... Ti assucuro che non ripeterò nuovamente lo stesso sbaglio. Non lo faccio mai. Non sono bravo a mentire a me stesso - Sentivo il gelo sul cuore. Questa volta non era per il dolore, ma per la pelle fredda di Edward contro la mia, bollente.
All'improvviso, sentii dei passi sempre più veloci e tuonanti provenire dal piano di sotto.
- Sono loro? - gli chiesi.
- Sì - rispose semplicemente. Edward era ancora nella stessa posizione, mi cingeva le spalle e aveva la testa poggiata sul mio petto. Non si spostò di un centimetro nemmeno quando Jacob e Dean irruppero nella stanza.
- Meno male che sei salva! - fece Dean, sollevato - Una ragazza ci ha telefonati per avvertirci che eri qui, oh santa pazienza! -
Jacob aveva un espressione seria e adirata. Era visibilmente arrabbiato. Sul suo volto la sua bocca era un ghigno, passava da Edward a me e viceversa.
- Il telefono... - grugnì.
- Scarico - risposi secca.
Jacob sbuffò, e Dean dopo di lui. Edward s'irrigidì.
- Bella, pensavo che ti aveva mangiata un orso - scherzò Dean - e invece... - indicò col capo verso Edward. Quando i suoi occhin si fissarono su di lui, quasi lo fulminarono. Edward sogghignò così a bassa voce che nemmeno io quasi lo sentii.
- Sì, sono stato io - rispose Edward, forse ad un pensiero di Dean.
C'era tensione nella stanza. I miei due amici fissavano Edward con disprezzo, quasi come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Per due intensi minuti si guardarono negli occhi senza dire nulla.
- No, non me ne andrò - disse Edward, rivolto a Jacob. Forse rispondeva ad un suo pensiero, adesso.
- Non usare i tuoi trucci con me, succhia- - Jacob si fermò, prima di pronunciare quella parola disgustosa e offensiva per il mondo dei vampiri. Sapeva che Dean avrebbe cominciato a fare delle domande indiscrete.
Dean fissava entrambi, adesso. Forse era davvero confuso da tutto ciò che Edward e Jacob si stavano dicendo. In effetti...
- Basta, ragazzi! - sbottai - Non voglio che litighiate... Di nuovo. Jacob, Dean, sono davvero felice di vedervi. - tagliai corto, altrimenti avrebbero continuato di sicuro.
- E' lui... - disse Dean a bassa voce, riferendosi a Edward.
- Sì, sono io - rispose nuovamente Edward, impedendomi di parlare.
- Tu ed io dovremmo fare quattro chiacchiere... - disse Dean, le mani chiuse a pugno.
- Alt. Qui nessuno parla con nessuno se non prima di parlare con me. Non voglio discussioni. - sottolineai. E poi Edward avrebbe di sicuro ucciso letteralmente Dean... Jacob forse l'avrebbe reso male, ma lui sarebbe guarito presto.
- Ma Bella... Com'è possibile che... Tu... -
- Dean, preferirei spiegarti da sola, il perchè... ma non pensare nemmeno di batterti con lui! - urlai, quasi sogghignando al solo pensiero.
Edward, ancora nella stessa posizione di prima, rideva sotto i baffi mentre mi accarezzava la guancia. Probabilmente pensava a lui e Dean che si battevano. Anche io ridevo, attenta a non farmi vedere, mentre accarezzavo anche io la sua guancia.
- Edward - gli sussurai - vorrei stare un attimo sola con lui -
Edward si alzò e andò accanto a Jacob - Andiamo, cane - gli disse a bassa voce, ancora sogghgnando.
Dean si avvicinò, e si sedette sulla sedia vicino alla finestra.
- Dean... Non avercela a male con lui... -
- Ma, Bella, e se se ne andasse di nuovo? Adesso hai due bocche da sfamare in più! -
- No, non se ne andrà. Lui sa... Sa cosa è giusto. Non ci riuscirebbe mai. -
- Tu ci credi subito a queste cose? Non pensi che l'ha detto solo così, perchè adesso sei un po' debole... Per non addolorarti? - Le sue parole erano taglienti ma vere, in un certo senso. Sapevo che Edward una volta fatta una scelta non si voltava indietro. Mai. Anche adesso che inconsciamente era diventato padre.
- Tu non capisci... Io... Lo amo, tanto. Troppo. E lui ama me. -
- Bella... Tu... Potresti trovare anche qualcuno migliore... Qualcuno stabile, che ti dia sicurezze. Che sicurezza potresti trovare in uno che già ti ha abbandonata una volta? -
- Qualcuno come Jacob, intendi? Lui è solo un amico, per me. E tale resterà. -
- No, Bella. Guardati attorno. Non vedi nulla? -
- Te. -
- Esatto! Io? Bella io... Non posso più trattenermi... Io... ti amo -
- Dean... Ci conosciamo da pochissimi giorni... Non dire sciocchezze. -
Dean era veloce a parlare come ad agire. Svelto si avvicinò al letto e restò in ginocchio sul materasso. Piano, si sporse verso di me per raggiungere il mio volto... E baciarmi sulle labbra. Io restai immobile. Era solo un amico, come Jacob. Io amavo solo Edward.  
Pochi secondi dopo il contatto, sentii dei passi avvicinarsi. Subito dopo, un Edward visibilmente furioso entrò nella stanza.
- Adesso penso proprio che uno scontro ci voglia proprio -









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Angolino...
Ciau a tutti!! Come vedete sono passati alcuni giorni da quando ho postato... Bhè, primo, ho preso Breaking Dawn e sono stata immersa nella lettura per giorni e sono rimasta un po' scioccata da non riuscire a scrivere per giorni, e, secondo, ho un nuovo pc senza connessione e quindi ho dovuto pregare mia sorella di farmi venire un attimo a questo per postare il capitolo nuovo.
Vi sono piaciuti i due bimbi? Che fantasia che ho avuto a scegliere i nomi madù... XD
Sper di non aver deluso le Edward's Fans, però questo è solo l'inizio... Non ci sarà solo Dean a rendere le cose difficili, ma anche altre apparizioni... XD
Ringrazio tutte coloro che hanno commentato lultimo capitolo, scusate se non vi nomino tutte ma davvero vado di fretta! T_T
Spero davvero che mi arriva la connessione wifi molto presto, così posto più veloce! ;)
Ciau! Yuna

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Capitolo 9
*** Second Time ***


non posso resisterti

There's a song that's inside of my soul.

It's the one that I've tried to write over and over again.

I'm awake in the infinite cold, but you sing to me over and over and over again.

So I lay my head back down,

and I lift my hands and pray to be only yours

I pray to be only yours.

I know now you're my only hope.

Sing to me the song of the stars.

Of your galaxy dancing and laughing and laughing again.

When it feels like my dreams are

so far, sing to me of the plans that you have for me over again.

I give you my destiny.

I'm giving you all of me.

I want your symphony.

Singing in all that I am.

At the top of my lungs,

I'm giving it back.

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C'è una canzone che si trova nella mia anima

è quella che ho provato a scrivere più e più volte

mi sono svegliata in un freddo infinito

ma tu hai cantato per me più e più volte

quindi abbandono la testa all'indietro

e poi sollevo le mani e prego di essere solo tua

prego di essere solo tua

ora so che tu sei la mia unica speranza

cantami la canzone delle stelle

della tua galassia mentre balliamo e ridiamo più e più volte

quando sembra che i miei sogni siano troppo lontani, cantami ripetutamente dei piani che hai fatto per me

ti darò il mio destino

ti darò tutto di me

voglio che la tua sinfonia canti in tutto ciò che sono

mentre ti rispondo con tutto il fiato che ho..."

Mandy Moore - Only Hope

 

 

 

- No, Edward! - urlai, pensando al peggio. Dopotutto Dean era solo un umano.

- Dai su, voglio proprio vedere quanto tieni a lei! - Lo incintava Dean. Forse non aveva proprio idea di ciò che gli sarebbe potuto succedere se davvero lui e Edward si fossero picchiati... Lo stesso pensiero che avevo avuto prima quando lui e Jacob erano entrati furtivamente nella mia stanza.

Dean si avvicinò a Edward, le mani strette a pugno. Sul suo volto, un espressione davvero paurosa. Era davvero arrabbiato. Nemmeno la metà della rabbia che avevo visto prima sul volto di Jacob.

Edward non si mosse di un millimetro. Il suo sguardo era fiero, irremovibile; lui già sapeva cosa aveva intenzione di fare il suo "avversario". Che strana cosa immaginare soltanto quella parola. Aveva davvero intenzione di battersi con un umano?

Dean si avvicinò ancora di più a lui. Camminò lentamente, misurando ogni passo. Il suo pugno destro era davvero stretto e pronto ad agire...

- Per favore, Dean... Non farlo... - Urlai, pensando a quanto si potrebbe far male dando un pugno ad Edward. Non ne aveva proprio idea, secondo me.

Sul volto di Edward adesso c'era un largo sorriso. Quasi diceva "vieni, qui,"... Sembrava davvero così cattivo... Non l'avevo mai visto così... Mi faceva paura.

Dean sferrò il suo colpo, senza pensarci... E Edward si scostò, impassibile.

Il sorriso ancora sul suo volto, il corpo rigido. Forse lo stava evitando apposta... Sapeva che se non faceva nulla lui di sicuro avrebbe dubitato di tutti loro. Sarebbe di sicuro uscito fuori di senno come aveva pensato che sarei uscita anch'io quando avevo scoperto che lui era un vampiro.

- Che c'è? Perchè mi eviti? - ringhiò Dean, semplicemente sorpreso di vedere che Edward era tanto bravo. Di sicuro l'aveva giudicato male. No, l'aveva giudicato male...

Dean continuò imperterrito per altre due o tre minuti, e notai che aveva ormai il fiatone. Un po' mi dispiaceva per lui, dato che ce la stava mettendo tutta, anche se non c'era bisogno di battersi per decidere chi era il migliore... Dannato Edward... Volevo che non facesse stancare troppo quel povero ragazzo. Alla fine era solo un umano. Alla fine era come me.

Improvvisamente sentii dei piccoli strilletti nella stanza.

- I bambini! Avete fatto svegliare i bambini! - Entrò Alice in fretta, avvicinandosi alla culla.

- Adesso basta con i giochi, grazie - disse Edward, con il suo tono suadente.

- Giochi? Vuol dire che stavi fingendo? - chiese Dean, alquanto sorpreso.

- Pensavi davvero che avrei alzato le mani contro di te? Davanti a Bella? Davanti ai bambini? -

- E allora? - Dean sembrava davvero non capirci più nulla.

- Disturberesti mai una principessa quando dorme? - gli rispose Edward, la sua voce ancora più soffice e persuasiva come prima. Lo voleva davvero convincere di quello che stava dicendo. Ed, in effetti, da parte sua era molto carina come cosa. Arrossii.

Dean era un po' interdetto, forse dalle parole di quel ragazzo che aveva effettivamente giudicato un po' troppo presto quel vampiro misterioso.

- Ehm... No -

- Edward, stanno arrivando - disse all'improvviso Alice. Non avevo idea di chi stesse parlando. Era uno dei Cullen? Emmett forse?

Edward si bloccò e fissò il vuoto, poi me, e poi sua sorella.

- Sono in tre? -

- No, c'è anche lui -

Edward serrò i denti e strinse la mascella. Evidentemente stava per arrivare qualcuno che non gli era molto simpatico. Ma di scuro non erano Rosalie ed Emmett. Chi poteva essere? Mi ricordai di quando, alcuni mesi prima, ero andata per la prima volta a casa Cullen. Quando io e Edward ci eravamo messi insieme... Tanto tempo fa. E, durante la partita di baseball, erano arrivati James, Laurent e Victoria. Che io sappia, l'unico morto finora è solo James. Non sapevo se gli altri due erano ancora assieme...

- Non ti preoccupare, non farà nulla. Adesso è come noi -

- Sicura? Stessa dieta? -

Sapevo a cosa si riferisse. Dieta per intendere stile di vita. Stavano parlando di vampiri. E questa cosa mi faceva pensare molto. Di nuovo, chi poteva essere?

Alice annuì, mentre notai Dean ancora più confuso. Non stava capendo più nulla.

- Allora, Dean, penso sia meglio che tu vada a riposarti - gli disse Alice, mentre muoveva la culla per far riaddormentare i neonati.

Dean era ancora perplesso. - Dove? -

- Secondo piano, seconda stanza a destra... - Mentre diceva queste cose, arrivò Esme accanto a lei. Da quanto tempo non la vedevo. Mi guardò e mi sorrise, il che mi fece essere davvero contenta.

- Vieni, ti accompagno io, - disse Esme con voce dolce, da madre. Dean ne fu quasi ammaliato e senza una parola, la seguì.

Attesi che si fosse allontanato, e , quando ormai sentii i suoi passi in lontananza, cercai di capire cosa stava succedendo.

- Edward... Cosa? -

- Avremmo delle visite... - disse esitando.

- Ehm, posso sapere chi verrà? -

Alice e Edward si scambiarono uno sguardo d'intesa. Perchè non volevano dirmi nulla? C'era qualcosa che non potevo sapere?

- Bella, credimi, non è nessuno d'importante... Visite di routine per Carlisle, vecchi amici -

Sbuffai e mi gettai all'indietro nei cuscini. Odiavo quando mi si negava la verità.

Chiusi gli occhi e mi girai sul fianco. Temevo che ciò che mi stavano nascondendo era qualcosa di triste o pericoloso per me e per i bambini, e che avrebbe potuto farmi andare nel panico. Ma, pensandoci bene, l'unica cosa che realmente mi faceva andare nel panico era proprio non sapere le cose. L'aveva fatto spesso, spesso mi aveva nascosto cose che invece avrei dovuto sapere... Mi aveva protetta troppo.

Sentivo i loro occhi su di me, e Alice che parlava piano con Edward. Riuscii ad afferrare le parole "è meglio di sì, dopotutto c'è bisogno che lo sappia", ed anche "no, è da solo. Ha deciso di convertirsi... Credimi, va tutto bene".

In queste situazioni desideravo leggere nel pensiero come Edward.

Mi sotterrai sotto le coperte, cercando di fingere di dormire. I bambini avevano smesso di piangere, grazie ad Alice, e la stanza adesso era molto calma. Mi sentii invadere improvvisamente dalla tranquillità e dalla gioia, e mi chiesi subito se questo era dovuto a qualche persona in particolare. Non volevo girarmi, dopotutto stavo quasi fingendo di dormire, ma percepii lo stesso i passi felpati della persona che stava creando questa atmosfera.

- Non dovevi farlo, sta bene - disse Alice.

- Solo routine, - rispose Jasper.

Sentii qualcuno sbuffare. Pensai che fosse Alice, ma non ne fui sicura.

- Allora noi... andiamo! - disse, la voce almeno più alta di qualche ottava - Mi raccomando... protezione! -

Sentii i passi di Alice e Jasper allontanarsi piano,chiudendosi la porta alle spalle, ed altri passi che stavano venendo verso di me. Sapevo a chi appartenevano.

Spense la luce, e sentii che piano salì sul letto, come faceva sempre anche alcuni mesi fa, quando veniva di nascosto nella mia stanza e attendeva che mi addormentassi. Quando mi cantava la sua ninna nanna...

Mi sfiorò i capelli con la mano, scendendo piano sulla guancia e risalendo dolcemente in un movimento lento e misurato. Mi fece rabbrividire.

- Lo so che non stai dormendo - disse - ormai ti conosco bene -

Non gli risposi. Volevo che continuasse a stuzzicarmi, accarezzandomi la guancia.

La sua mano si muoveva leggiadra sul mio mento, e lui si avvicinava sempre di più al mio corpo, aderendo perfettamente alla mia figura curvata. Non volevo aprire gli occhi anche se sapevo che non l'avrebbe notato visto che lui era dietro di me, ma la tentazione era troppa. Alla fine cercai di cedere. Volevo toccargli la mano, stringerla nelle mie per provare a me stessa che non stavo sognando. Che lui era qui ed era vero. Ed era qui per me.

- Colpevole - gli risposi, conscia di non poter continuare così. Quelle carezze mi stavano dando alla testa e non sarei riuscita a star ferma ancora per molto...

La sua mano continuò il suo viaggio, abbassando un po' la coperta e scendendo dalla guancia al braccio, provocandomi brividi di piacere.

- Non pensare che ti voglia nascondere qualcosa - riprese, con voce calma - ma non so come potresti reagire -

- Dipende dalla cosa. Spara, sono pronta a tutto -

Sospirò, esitando. - Laurent sta venendo qui... E' assieme al clan di Denali, però, e Alice non vede nulla di male... Tuttavia... - esitò di nuovo - non ti permetterò di andar via da questa stanza. Ne a te, ne ai bambini. Faremo finta che voi non ci siate, anche se è impossibile, dato che sentirebbero in ogni caso il vostro odore... Ma. Ripeto, Alice ha detto che lui è cambiato. Non caccia più umani da quando è con Irina, quindi... -

Trasalii. Anche se mi aveva assicurato che Laurent era cambiato, non ne ero comunque molto sicura. Poteva succedere di tutto. Però, ero molto confortata dal fatto di essere con lui e gli altri, che non avrebbero esitato a proteggere me e i neonati...

La sua carezza continuò. Questa però era piuttosto per rassicurarmi.

- Bella, andrà tutto bene. Tu ed i bambini -i nostri bambini- starete benissimo, qui. Alice pensa che resteranno per una settimana circa, giusto per visitarci -

Sospirai e presi un respiro profondo, ma non risposi.

Edward mi baciò la guancia, e proseguì baciandomi anche i capelli e il collo, in vari punti. Quei baci, anche se casti, mi facevano elettrizzare.

Procedeva baciandomi dappertutto, anche sulle braccia. Poi mi cinse la vita con il braccio e mi voltò, per guardarlo negli occhi. Dietro du lui, fuori dalla finestra, vedevo la luce chiara della luna. Quella sera era pià bianca che mai. La luce si rifletteva sui suoi capelli, e li rendeva stupendi e brillanti. Davvero uno spettacolo meraviglioso. Si avvicinò ancora di più, intrappolandomi nella sua morsa e baciandomi sulle labbra con forte trasporto. Il suo bacio non era come i soliti, era qualcosa di più intenso, e magico. Era quasi come se parlasse e dicesse "bentornata, mi sei davvero mancata." Amavo le sue labbra sulle mie. E su ogni altra parte del mio corpo.

Scese più in basso, baciandomi il petto ed indugiando più in basso, sul seno. Quei baci mi fecero davvero sussultare per il piacere che provai, ed ero quasi in iperventilazione quando mi accorsi che piano mi stava sbottonando l'abito che avevo ancora indosso dopo il parto. Lo sentii cadermi dalle spalle, che adesso erano nude e lisce sotto il suo tocco.

Sapevo cosa avesse intenzione di fare, e gliel'avrei permesso. Quello sarebbe stato davvero un regalo di benvenuto.

Cercai di sbottonargli la camicia, senza successo, e lui mi sorrise e lo fece da solo, mentre io, imbarazzata come se fosse la prima volta, abbassai lo sguardo.

Lui mi alzò il mento, per farsi guardare, e mi sorrise nuovamente. - Non c'è nulla di cui preoccuparsi, - mi disse, continuandomi a baciare e a disfarsi della sua camicia - andrà tutto bene, amore -

Io non riuscivo a dire una parola, quel momento era troppo bello da essere vissuto in silenzio, solo accompagnato dai nostri gemiti.

Cercai di sfilarmi l'abito e, quando ci riuscii, lo gettai a terra. Cercai di sfilargli i pantaloni, ma la sua cerniera era troppo lontana, così lui fece di nuovo tutto da solo rivolgendomi un dolce sorriso e baciandomi i seni.

Tastavo ogni centimetro del suo corpo con la bocca e tracciavo ogni centrimetro del suo petto con la lingua, perchè ero decisamente affamata di lui. Non lo vedevo da troppo, molto tempo.

Lui, dal canto suo, faceva lo stesso. Non c'era nessuna parte del mio corpo che non lambisse con le sue mani e le sue labbra. Anche lui era affamato. Si avvicinò sempre di più, muovendosi piano per cercare di non farmi male.

Ormai non avevo più nulla addosso, e lui procedeva lentamente ad accarezzarmi il bacino e i fianchi, scendendo piano sul sedere e papandolo con grazia, quasi come non volesse evitare di romperlo, dato che secondo lui ero molto fragile.

Certo, il mio corpo tra le sue braccia lo era, ma adoravo abbandonarmi all'emozione... E così anche lui.

Continuava a baciarmi, mentre si avvicinava finalmente alla mia intimità. Con un colpo secco, ma anche molto misurato, i nostri due corpi furono uno dentro l'altro. Dalla mia bocca uscì un "ahia", perchè mi stavo davvero eccitando, ma Edward si allarmò.

- Dolore? - chiese, sempre dolce e con il solito sorriso.

- No, per niente, - mentii, ed in parte non era vero. Anzi, invece del dolore stavo provando una grande eccitazione. - Continua, per... favore - chiesi, ansimante.

Edward si spinse ancora più dentro di me, facendomi urlare di nuovo, questa volta più ad alta voce. Per non sentire dolore continuai a baciargli il collo, e lui fece lo stesso con il mio, mentre con la mano libera mi accarezzava la schiena.

Contnuò così per molto tempo, ed ogni volta le mie urla erano sempre più acute che mi chiesi semmai le avessero sentite anche gli altri Cullen. Pensai di sì.

Poi, stanca, aprii le braccia sul letto e cercai di riprendere fiato. Stavo ansimando ormai da molti minuti. Mi girai verso Edward, che mi stava guardando, e stava sogghignando. Lui non era stanco. Non lo sarebbe mai stato.

- Tutto bene? - mi chiese, con il suo tono dolce e suadente.

- Tutto... bene - gli risposi, ancora con il fiatone. Ero stanca. - L'altra volta... Non era... stato così... -

La sua risata divenne più fragorosa. - L'altra volta era una specie di prova... Non sapevo come... Come mi dovevo comportare... Se ti avrei fatto male... - sospirò.

- Ah - dissi, forse già consapevole che avrebbe risposto in questo modo. So che ci teneva a me... Ma soprattutto ci teneva a far restare intatto il mio corpo... E la mia umanità.

- Stanotte, invece... - risprese, - ero davvero eccitato. Ho osato molto di più rispetto all'altra volta e... Ho visto che anche tu... - sogghignò, lasciando la frase in sospeso.

Arrossii. Sapevo a cosa si riferiva. Ai miei gemiti... Ops. Ora mi ricordai che avevo urlato un po' troppo. E, da ciò che dicevo, si capiva che non urlavo da dolore. Mi ricordai troppo tardi, di nuovo, che ero a casa di vampiri. Vampiri che avevano un udito sopraffino.

Mi nascosi sotto la coperta, imbarazzata.

Lui, che aveva capito il perchè del mio gesto, mi scoprì subito e avvicinò il mio volto al suo. Adesso eravamo occhi negli occhi.

- Non devi vergognarti, per questo - mi disse, accarezzandomi la guancia.

- Ma... Mi avranno sentito tutti! - risposi, ancora più rossa in volto.

Edward rise di nuovo. - Forse sì. Ma hanno deciso di non stare su questo piano della casa, almeno per questa notte... -

- Edward, quanto lontano più arrivare l'udito di un vampiro? -

- Anche a due chilometri. Ma forse... -

Ero praticamente paonazza. - Che figura... - dissi, imbarazzatissima.

Edward non la smetteva di ridere.

Mi appoggiai sul suo petto, abbracciandolo. Lui di rimando mi circondò con le sue braccia, e smise di ridere. O quasi.

Non so quanto tempo passai in quel modo, ma mi addormentai.

La mattina seguente, era tutto come lo ricordavo. Ero ancora stretta ad Edward, la testa sul suo petto, e lui era ancora avvinghiato a me.La coperta mi copriva le spalle, anche se non avevo molto freddo.

Alzai la testa, ed incontrai quella di Edward. Mi sorrideva.

- Buongiorno... - mi disse, con voce suadente.

Sbadigliai. Avevo ancora un po' di sonno dopo la notte passata in bianco...

Improvvisamente scattai a sedere. Mi ero dimenticata di una cosa. Una cosa importante.

- I bambini! Devo allattarli! - urlai.

Edward mi poggiò una mano sulla spalla. - Calma, Bella. Stanno ancora dormendo ed è ancora presto -

Sospirai. Meno male. Ero diventata madre da appena poche ore, non potevo permettermi di sbagliare fin da subito. All'improvviso Edward s'irrigidì. Poi capii il motivo.

Sentii dei passi veloci che provenivano da corridoio. Come mi aspettavo, qualcuno entrò nella stanza a grandi passi.

- Dai, Tanya, può darsi che sta impegnato - sentii dire ad Alice.

- Ma no, dai! Cosa può fare di tanto importante? -

Non riconobbi la ragazza con Alice. Era alta, bionda e pallida, ed anche molto bella. Da far invidia a Rosalie.

Fissò prima me, poi Edward, che tra l'altro era ancora svestito. Da sotto le coperte di certo non si poteva vedere nulla, ma il suo pettò nudo marmoreo di certo sì, visto che ormai era seduto e non era più coperto dal lenzuolo.

- Oh - disse la ragazza, immobilizzandosi - Non mi avevi detto che -

- Stavo tentando, credimi. Ma non hai voluto ascoltarmi -

- Oh mio Dio. Oh! Non pensavo che... Oh! - Dalla sua bocca uscivano solo questi "Oh". Le cose erano due. O era sorpresa di vedere Edward con una donna, oppure adesso era tremendamente imbarazzata.

Non potevo esserne sicura, dato che lei era come loro. Non sarebbe potuta arrossire. Non avrei mai potuto sapere se lo era, o no.

- Ciao, Tanya - disse Edward, il tono di voce, calmo.

- Edward, scusami! - gli rispose lei - Non sapevo che... -

- Non preoccuparti, Tanya. E' successo tutto così in fretta... - lasciò la frase in sospeso.

- Scusami, ancora. Pensavo... Oh - Tanya, la ragazza, si voltò in fretta e sparì dietro la porta come un razzo, ed Alice la seguì.

Edward fissava ancora la porta.

- Edward... Chi è quella ragazza? -

Lui si voltò verso di me, adesso serio. Ero pronta al peggio.

 

 

-----------------------------------------------------------------------------

 

 

Ehiiiiii ciao a tutti!! Ho aggiornato anche questa! Dopo tanto u.u

Allora, cosa ne pensate? Cosa pensate che risponderà Edward? Bene o male?

Grazie a tutti coloro che hanno commentato l'ultimo chapter. Uno nuovo arriverà presto ^^

Un grande kiss, Yuna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Via ***


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So hold me when I'm here
Right me when I'm wrong
Hold me when I'm scared
And love me when I'm gone
Everything I am
And everything in me
Wants to be the one
You wanted me to be
I'll never let you down
Even if I could
I'd give up everything
If only for your good
So hold me when I'm here
Right me when I'm wrong
You can hold me when I'm scared
You won't always be there
So love me when I'm gone

 

--------------------------------------------------

 

Allora stringimi quando sono qui,
Correggimi quando sbaglio,
Stringimi quando sono spaventato,
E amami quando non ci sono.

Ogni cosa che sono,
Ed ogni cosa in me,
Vuole essere quello che vuoi che io sia.
Non ti deluderò mai,
Anche se potessi,
Abbandonerei tutto,
Se solo fosse per il tuo bene,

Allora stringimi quando sono qui,
Correggimi quando sbaglio,
Stringimi quando sono spaventato,
Non ci sarai sempre,
Allora amami quando non ci sono.

When I'm Gone – 3 Doors Down

 

 

 

 

Edward sospirò e si voltò verso di me con tono triste. Era davvero tanto grave?

-Bella... Tanya ... Una volta lei ha cercato di... Ha cercato di baciarmi - disse, lottando con sé stesso per trovare le parole giuste.

Io restai in silenzio, ancora incapace di parlare.

Edward mi prese il viso tra le mani, accarezzandomi la guancia.

-E' successo cinque mesi fa, quando decisi di andare a Denali per svagarmi un po'. Ormai era divenuto più difficile vivere tra gli umani, dopo che ti avevo abbandonata, e quindi optai per una visita alla famiglia di Tanya per cercare di pensare ad altro, visto che, forse non mi crederai, era difficile pensare a qualsiasi altra cosa tranne che a te. - Mi sorrise.

Ebbi la forza di dire due parole – Tutto... tutto qui, Edward? E' questo... è questo ciò che ti è successo con Tanya? - Sapevo che, chiedendo altro, mi sarei messa in pericolo da sola. In pericolo di soffrire di nuovo da sola. Speravo che non c'era altro.

-Bella... - riprese, - Quando arrivai a Denali non andavo a caccia da più di un mese... La sera stessa del mio arrivo, Tanya venne a parlarmi mentre ero in una radura nel bosco più vicino... Ero confuso, ma tuttavia non le dissi il motivo preciso della mia stanchezza e tristezza. Lei... cercò di consolarmi in qualche modo, dato che... aveva sempre manifestato una preferenza per me, ancor prima che io ti conoscessi – S'interruppe.

Allora... A Tanya piaceva Edward. Trasalii ed ebbi un colpo al cuore. Mi portai la mano sul petto. C'era di sicuro altro e tra pochi secondi l'avrei saputo. Lui se ne accorse, e poggiò la sua mano sulla mia, stringendola.

-Tanya... cercò di baciarmi, come ti ho detto poco fa. Io l'allontanai, perchè non volevo assolutamente essere consolato in quello modo. Ero ancora innamorato di te, e non cambiavo così facilmente idea. Però, ero molto assetato. Non so come spiegartelo, posso farti l'esempio di un uomo che non mangia e non beve da giorni. E' stanco, e... confuso. - disse, un tono serio nella sua espressione.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma non ne cadde nemmeno una. Non ancora, almeno. Era il seguito che mi faceva paura.

-Lei... Riuscì a baciarmi... Ed iniziò... Iniziò a togliermi i vestiti... Lo notai solo pochi secondi dopo, dato che ero addolorato ed abbastanza debole. E la bloccai, fuggendo via nella foresta, senza tornare da lei e le sue sorelle, se non dopo una settimana. In quella settimana andai a caccia più del dovuto, perchè se avessi incontrato di nuovo Tanya in quelle condizioni, non osavo pensare a ciò che sarebbe potuto accadere se... -

Fu allora che iniziai a piangere. Mi portai entrambe le mani agli occhi e cercai di allontanarmi da lui, perchè il semplice fatto di sapere che quella ragazza ci avesse provato e lui, anche se per pochissimo tempo ci era stato, mi faceva tornare nel baratro di solitudine in cui avevo vissuto in tutti questi otto mesi in cui ero stata lontano da lui. Avevo davvero sperato che ieri, quando mi aveva trovata, avrei potuto ricominciare una vita migliore assieme a lui ed i bambini, ma adesso penso che sia quasi impossibile.

Non era proprio un tradimento, però ero molto offesa. Non so se sarei riuscita a convivere con questa cosa, quindi, amaramente, tra e lacrime, presi la mia decisione. La decisione più triste che abbia mai preso in vita mia.

Edward si avvicinò sempre di più a me, cercando di abbracciarmi, ma io mi divincolavo sempre di più. La voglia di dirgli “sì, ti perdono perchè ormai è una cosa passata,” era forte dentro di me. Ma, testarda com'ero, mi volevo far male da sola.

Finalmente Edward riuscì a stringermi tra le sue braccia, ed io mi appoggiai sul suo petto e continuai a piangere a dirotto. Lui continuava ad accarezzarmi i capelli, ed io iniziai ad affondargli le dita nella schiena, arrabbiata. Non gli avrebbero di certo scalfito la pelle marmorea, ma forse avrebbe capito che la sua rivelazione non mi aveva fatto affatto bene.

Stetti in quella posizione per non so quanto tempo, ancora nuda e stretta a lui.

Fui interrotta dal pianto dei bambini, forse verso le dodici o anche più tardi.

-Penso che abbiano fame, - disse Edward, che intanto continuava a consolarmi.

Annuii. Non avevo ancora voglia di parlare.

Edward si alzò dal letto, ancora svestito come me, e mi porse i due neonati.

Mi portai Anthony al seno per allattarlo, e poco dopo, quando ebbe finito, feci la stessa cosa con Angela. Erano davvero due bambini tranquilli... Chi sa se avrei saputo garantirgli un futuro con quello che avevo appena pensato di fare...

Guardavo i bambini e piangevo. In realtà, non proprio per la rivelazione di poco fa, ma anche perchè ancora non credevo che i bambini fossero nati, e che fossero lì tra le mie braccia. All'improvviso il mio stomaco brontolò.

-Oh, meglio che ti porti qualcosa da mangiare, - disse Edward, che continuava a fissarmi e a sorridermi. Si alzò in fretta dal letto, e si vestì ancora più in fretta.

Prima di uscire dalla stanza per andare a prendere qualcosa per me, si abbassò e mi baciò dolcemente. Quello sarebbe stato il nostro ultimo bacio.

Non appena uscì dalla stanza, poggiai i neonati nella culla e mi vestii, anche se non ero veloce come Edward nel farlo. Presi i bambini e li baciai, stringendoli a me. Presi anche una borsa, dove c'erano i miei soldi, e presi un respiro profondo.

Me ne sarei andata. Sarei tornata a Forks facendo finta, anche se dolorosamente, che non ero mai stata qui. Che Edward e i Cullen non esistevano. Che io ero una ragazza madre e così doveva essere fino alla fine dei miei giorni. Così, forse, Edward avrebbe potuto continuare a vivere la sua vita. Magari con quella ragazza, Tanya. Lei avrebbe potuto consolarlo quando io non c'ero.

La fortuna era dalla mia parte, visto che nella stanza di Edward c'era una porta – finestra che conduceva fuori, nella foresta aperta. Dovevo solo scendere delle rampe di scale e poi avrei detto addio al passato.

Ci vollero giusto cinque o sei minuti per uscire di casa ed arrivare al limitare della foresta accanto alla villa. Prima di addentrarmi all'interno, diedi un ultimo sguardo alla casa, conscia che non l'avrei mai più rivista. Non avrei osato tornarci. Presi di nuovo un respiro profondo e mi avviai verso il mio futuro.

 

 

Erano circa le due o tre del pomeriggio, quando raggiunsi un bivio nella foresta dove mi stavo incamminando. Non sapevo dove andare, quella era di certo una fuga alla cieca. Una fuga verso qualsiasi cosa che non riguardasse i vampiri.

Sperai di essere distante a sufficienza per far sì che Edward o qualunque altro vampiro della famiglia non venisse a cercarmi, e così mi sedetti ai piedi di un albero perchè ero troppo stanca. Guardando l'orologio, notai che ormai stavo camminando da due ore piene senza una meta.

I bambini piangevano, ma non riuscivo a capire bene il perchè. Pensai che fossero affamati, ma mi ripetei che non poteva essere, dato che avevano mangiato prima che io decidessi di andarmene.

Poi capii il motivo.

Alzai la testa, poiché fui colta improvvisamente da un rumore di passi sulle foglie morte del bosco. All'inizio pensai che fosse Edward, o qualcun altro della sua famiglia, ma mi sorpresi vedendo davanti a me, Laurent.

Era proprio come lo ricordavo, alto, e molto bianco e pallido come tutti loro.

Mi sorrise, e ne dedussi che anche lui si ricordava di me.

-Sei proprio tu? - chiese.

-Sì – sì.... Sono Bella -

Il suo sorriso si allargò. - In effetti, quando siamo arrivati qui avevo sentito un odore conosciuto... - Alzò la testa odorando l'aria.

Io restai in silenzio e lui ricominciò a parlare. -E vedo con piacere che anche i tuoi bambini hanno un odore molto simile al tuo...-

-Già – risposi, un po' intimorita. Poi guardai i suoi occhi. Erano dorati come quelli dei Cullen. Allora Alice non si sbagliava a riguardo della dieta.

-Beh, visto che siamo qui, soli, - disse improvvisamente, avvicinandosi, - non ci riesco. -

Non osai pensare a cosa non riusciva a resistere. Forse la risposta era ovvia, dopo che si era nuovamente complimentato per il mio odore.

-Chiederò scusa ad Irina, quando tornerò a casa – disse, ancora guardandomi, - però adesso, proprio non ce la faccio -

Si avvicinò ancora di più, ed in parte, capii le sue intenzioni.

Capii che stavo per morire. Una seconda volta in pochi mesi. Caspita, ero davvero fortunata.

Mi maledì per essermi portata i bambini con me, forse avrei potuto lasciarli lì e poi Jacob, al suo ritorno me li avrebbe riportati a casa. Ma era una cosa vigliacca da fare per una madre. E, adesso, per colpa della stessa madre, i bambini sarebbero morti.

Pregai che Edward mi stesse cercando, in quel momento.

Ma, inerme ed umana com'ero, non potei fare nulla tranne che stringere forte al petto i bambini, mentre Laurent si avvicinava e si metteva in una posizione da caccia.

 

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Ciao ragazzi! Come state? Ho deciso di continuare ad aggiornare anche questa storia :D...

Non preoccupatevi per i risvolti... sapete che a me non piacciono le cose tristi... quindi nel prossimo capitolo aspettatevi di tutto!

Grazie a chi ha commentato lo scorso capitolo, ed anche a chi ha aggiunto la storia ai preferiti.... ^^

Tornerò presto con il secondo capitolo di "Edward Cullen sexual training" entro fine settimana, quindi se vi interessa, potete leggere la storia qui ma vi avverto che ci sono lievi spoiler di Breaking Dawn (non riguardanti la trama, ma un avvenimento che avviene ad inizio libro)... ^^

A presto! Baci, Yuna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** La Fine? ***


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Winter has come for me, can't carry on.
The chains to my life are strong but soon they'll be gone.
I'll spread my wings one more time.

Is it a dream?
All the ones I have loved calling out my name.
The sun warms my face.
All the days of my life, I see them passing me by.

 


------------------------------------------------

 


L'inverno è arrivato, per me.
Le catene alla mia vita sono forti, ma presto si spezzeranno.
Aprirò le ali per un'ultima volta...

E' un sogno?
Tutti quelli che amo stanno chiamando il mio nome.
Il sole riscalda il mio volto...
Vedo tutti i giorni della mia vita passarmi davanti...

Within Temptation – The Swan Song

 

 

 

 


Odorò l'aria, prima di gettarsi quasi a peso morto su di me.
Riuscii a scansarmi di poco, stringendo ancora i due neonati al mio petto.
Pensai a quanto ero stata incosciente ad averli portati con me. Avrebbero potuto vivere molto di più, se fossero rimasti con Jake, oppure con Edward...
E invece? Invece la loro vita era destinata a durare solo poche ore, per colpa di una madre incosciente e giovane e inesperta.
Cercai di poggiare i neonati per terra, e di scappare, così che Laurent mi avrebbe inseguita e li avrebbe lasciati perdere. Edward o qualcun altro dei Cullen li avrebbe di sicuro trovati, non sarebbero morti.
Decisi di fare come avevo pensato, ma Laurent mi prese per un piede e non riuscii a muovermi di un centimetro.
-Sei sola... - disse, odorando di nuovo l'aria. - Questa volta possiamo davvero farla finita – continuò con tono sprezzante.
Io ero ammutolita, e non riuscivo quasi nemmeno a respirare.
Laurent riprese – Non ci vorrà nulla, non sentirai niente – disse.
I bambini piangevano.
Laurent non sembrava affatto infastidito dal loro pianto, e capii quanto era caparbio in quello che stava facendo adesso. Voleva uccidermi, non importava se aveva nelle orecchie le urla di due piccoli infanti. Bastava fare fuori me.
Ero stesa sul manto di foglie e lui si avvicinava enfaticamente sempre più vicino a me.
I suoi occhi dorati – che tra un po' sarebbero nuovamente divenuti cremisi -, mi fissavano in modo famelico.
Non stavo affatto tremando, non temevo per la mia vita. Già una volta stavo per morire, forse questo era davvero il mio destino.
Non avevo affatto paura.
Cercai di rialzarmi, ma la stretta del vampiro era ancora forte che non riuscii a muovermi. Intanto lui sorrideva scaltro, pronto ad affondare i suoi denti nel mio collo.
“Ultimo desiderio, ragazzina?” mi chiese, ed i suoi occhi si accesero di gloria. Aveva vinto.
Decisi di tentare. “Posso alzarmi, almeno?” dissi, con l'affanno “I bambini piangono troppo. Vorrei lasciarli lì, per terra. E, per favore... Uccidi solo me” Fui sincera.
Laurent iniziò a ridere. “Io... Lasciare te? Mi prendi in giro? Sono solo due neonati... Non sentiranno nulla, proprio come te...”
Si avvicinò ancora di più, sempre sentendo il mio odore forte. Poi parlò di nuovo. “Beh, se vuoi morire in piedi, allora lascia che esaudisca questo tuo desiderio...” disse, sembrando assorto per qualche secondo nei suoi pensieri, e poi lasciando la presa. Mi alzai di scatto.
Corsi più in fretta che potevo, girandomi senza guardare mai indietro, ma purtroppo non ero troppo veloce per lui... Mi fu subito davanti che mi bloccai all'istante. Sorrideva ancora, e non prometteva nulla di buono.
“Eh, no, Bella... Avevo ragione a dire che mi stavi prendendo in giro... Accetta semplicemente la verità...”
Trasalii. Pensavo che non poteva finire così, no... Non poteva. Cercai di trovare qualche stratagemma per salvare i bambini.
“Almeno... Vorrei che loro...” indicai i neonati “Loro...”
Laurent li osservò, poi mi rispose. “Sono troppo deboli, per i miei gusti” disse, quasi disgustato. “Il sangue di un bambino... Non è prelibato come quello di una donna...”
“Almeno... Posso lasciarli qui? Per favore... E' l'ultima cosa che ti chiedo...” dissi, cercando di farmi dire almeno un sì. Lascia morire me, ma loro no!
Laurent annuì, e poggiai alla mia destra i due neonati, avvolti in una piccola copertina bianca. Li osservai per pochi secondi, prima che mi scendesse una lacrima da entrambe gli occhi. Avevamo passato troppo poco tempo assieme.
Nemmeno all'inferno me lo sarei perdonata. Ero una madre deplorevole.
Mentre mi apprestavo ad alzarmi, un calcio mi colpì in pieno stomaco. La mia fine era vicina.
Il calcio fu davvero forte che andai a finire in un albero lì accanto.
Sentii un forte male alla testa, ed anche alle spalle. Lui era ancora lontano, e piano si stava avvicinando peggio di un cacciatore.
Mi toccai la nuca, e avevo le mani piene di sangue. Ci siamo, è finita.
Quando vidi il sangue copioso sulla mia mano, iniziai subito a sudare freddo. Non era una novità che odiassi il sangue. Mi accasciai accanto all'albero, mentre Laurent si scagliò di nuovo su di me, facendomi scontrare di nuovo contro il tronco.
Cercai di tenere gli occhi aperti e di vedere qualcosa, ma vedevo tutto oscurato.
Sembrava essere sott'acqua, quando la pressione ti tappa le orecchie e non senti più nulla.
Laurent continuava a farmi del male, ma io, debole ed umana com'ero, non riuscivo a controbattere.
Nell'oscurità del momento, sentivo solo lievemente il pianto dei miei figli. Figli che non avrebbero avuto mai più una madre.
Improvvisamente, però, sentii altre voci.
Qualcuno era arrivato... Oppure no? La mia vista era troppo offuscata per vedere.
Sentivo Laurent affaticato. Forse... Forse.
Passarono cinque o più minuti, in cui sentii solo urli di strazio e di attacco, ma non capii se effettivamente c'era qualcuno.
Qualcuno disse “Il fuoco! Accendetelo!”, ma non capii chi fosse.
Chiusi gli occhi e cercai di dormire. Oppure ero già nell'oblio, e quello era un gesto di fine? Non avevo idea di ciò che avrei trovato dall'altra parte. Di sicuro, Edward no. Lui avrebbe vissuto per sempre, ed io sarei vissuta in un altro mondo, senza di lui. E senza i nostri bambini.
Nel dolore che mi faceva la testa, sentii una lacrima bagnarmi il viso.
“Presto! E' ferita!”
“Bisogna portarla subito a casa”
“A casa? Ci sono tanti vampiri famelici, a casa! Qui, Carlisle, per forza!”
“Hai ragione. Aiutami, dobbiamo darle dei punti... La ferita alla testa è molto grave...” disse qualcuno, che al momento non riconoscevo.
Sentii qualcosa nel braccio, e non capii di cosa si trattava. Poi, fui davvero nell'oblio.
Non sentivo più dolore, ed ero sollevata. Almeno questo era quello che mi suggeriva la mia mente. Era la realtà? Possibile che nel mondo ultraterreno ci si potesse sentire così bene?
Sentii che gli occhi volevano aprirsi.
Feci piano, insicura di trovare davanti a me qualcosa di brutto. Laurent, per esempio. All'improvviso, ebbi paura.
Poi, cercando di essere più cauta possibile, li aprii.
Cercai di capire dov'ero. Una stanza. E se il paradiso fosse così?
Sentii dei passi nella stanza.
“Si è svegliata, presto!” Era Edward. Edward? In paradiso? Forse era il frutto della mia immaginazione. Cercai di sedermi, e con dolore, ci riuscii. Due mani mi aiutarono. Le fissai per qualche secondo, poi cercai di alzare la testa. Mi doleva.
Incontrai gli occhi di Edward. Mi stava sorridendo.
“Bella...” furono le sue uniche parole.
“E-Edward... I- io...”
“Shhh. Calma, tesoro. Non sforzarti.”
“Ma... Dove sono?” Credetti di essere davvero il paradiso. Se Edward c'era, lo era di sicuro.
“Bella, nella mia stanza” mi disse, baciandomi la fronte.
“Ma... Ma... Cosa è successo?” Ero confusa.
“Vedi, Laurent... Ti abbiamo trovata nella foresta, due giorni fa. Avevi la testa che ti sanguinava... Carlisle ti ha operata... Ed ora se qui”
Vidi che intanto nella stanza erano arrivati anche Alice e Jake. Quest'ultimo mi fissava quasi arrabbiato.
Ora ricordo. Io ed i bambini... Due giorni fa, nella foresta. Per tornare a Forks. Laurent che ci aveva trovati, e che voleva uccidermi... Il volo verso l'albero, il dolore lancinante alla testa...
“Oh.” Mi vennero subito in mente. “I bambini!” Urlai, ed una lacrima mi scese subito dagli occhi.
Edward, prontamente, me l'asciugò con la punta delle dita.
“Sono qui, Bella. Esme è con loro, e tutti li stanno curando in tua assenza” mi rispose, sorridendomi ed accarezzandomi la guancia.
Fui commossa, che versai altre lacrime.
“Stanno bene?” dissi, piangendo.
“Benissimo. Siamo arrivati giusto in tempo...” disse, senza continuare la frase. Immaginavo il seguito, e non volevo pensarci affatto.
“Oh, Edward” dissi tra le lacrime “Ti amo”. Non riuscii a pensare ad altro. Mi gettai tra le sue braccia, e mi sentii un po' indolenzita. Edward mi strinse a sé.
Iniziò ad accarezzarmi i capelli, e subito mi sentii bene.
“Anche io, Bella. Per sempre” disse, con un tono dolcissimo.
Qualcuno ci interruppe.
“Scusatemi, vado a dire che Bella si è svegliata... Vuoi ricevere delle visite?”
Riaprii gli occhi, e fissai Alice. “Sì, grazie Alice... Vorrei vedere i bambini...” dissi, quasi in un sospiro.
Jake intanto era ancora sulla porta, e mi fissava.
“Bella...” cominciò Edward “in questi giorni in cui tu dormivi, a causa dei farmaci, io e Carlisle... Abbiamo fatto dei test...”
“Dei test? Su... Sui bambini?”
“Esatto”
Fui sorpresa. Ancora non credeva fossero suoi? Non risposi, ma mi limitai a fissarlo negli occhi.
“Bene, ho scoperto...” disse, esitando “che alla fine... Alla fine, io sono il padre”
Mi venne da piangere. Allora ci credeva. Ma c'era qualcosa di strano. Lo leggevo nei suoi occhi.
“Visto che hanno anche il mio sangue... I bambini... Loro, vedi...”
“Edward, cosa succede? Non prenderla alle lunghe”
“Hanno preso i miei geni. Loro sono... Immortali come me”
“C-cosa? Non ti seguo”
“Non abbiamo scoperto ancora nulla di certo, ma in teoria sono già dei vampiri...”

 

 

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