Higher.

di emotjon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo. ***
Capitolo 2: *** 2. Looking for a soulmate. ***
Capitolo 3: *** 3. Cassiel. ***
Capitolo 4: *** 4. Green eyes. ***
Capitolo 5: *** 5. Like chocolate. ***
Capitolo 6: *** 6. You're weird. ***
Capitolo 7: *** 7. Decisions. ***
Capitolo 8: *** 8. White feather. ***
Capitolo 9: *** 9. Nightmare. ***
Capitolo 10: *** 10. Like the darkness. ***
Capitolo 11: *** 11. Angels. ***
Capitolo 12: *** 12. He's evil. ***
Capitolo 13: *** 13. Choose me. ***
Capitolo 14: *** 14. I lose him, Cas. ***
Capitolo 15: *** 15. Flashback. ***
Capitolo 16: *** 16. Fell in love. ***
Capitolo 17: *** 17. Complicated. ***
Capitolo 18: *** 18. Fly, baby. ***
Capitolo 19: *** 19. Alive. ***
Capitolo 20: *** 20. Only the beginning. ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo. ***


*probabilmente mi crederete una pazza, lo so.
ho in corso "Blind love" e "Irresistible" ferma ad un punto vagamente morto.
eppure sto iniziando una terza storia.
sì, sono decisamente pazza. eppure, qualcuno dopo aver letto in anteprima questo prologo, mi ha pregata di postarlo.
le ho ascoltate, per mia sfortuna. no, okay, a parte gli scherzi.
se vi sembrerà di leggere "Fallen", vi capisco. ma vi assicuro che ho solo preso spunto.
non sarà la stessa cosa, promesso. bene, detto questo...
mi dileguo. e vi lascio alla lettura. spero vi piaccia almeno un po'.
recensite, mi raccomando c:
alla prossima, xx Fede.




1. Prologo.
 

“Non si può sfuggire alle tenebre,
perché il male non muore mai.”
 


Parigi, 1789.
Una ragazza mora, dagli occhi scuri. Ventidue anni.
Gli abiti logori, sporchi e lacerati dalle intemperie. Sdraiata malamente su quel marciapiede sudicio da ore ormai, senza che nessuno si accorga di lei, senza che nessuno si sia fermato per soccorrerla. Siamo in piena rivoluzione francese. E quella ragazza in realtà non è una ragazza qualunque, ma la dama di compagnia della regina, Maria Antonietta.
Un ragazza che fino al giorno prima se ne stava tranquilla nel palazzo di Versailles, nonostante dovesse sottostare agli ordini della regina. Le piaceva quello che faceva, in fondo. Indossava bei vestiti, parlava con le persone più influenti di Francia…
E ora si trovava lì con gli occhi chiusi, aspettando che la morte la portasse con sé.
O in alternativa, aspettando che un’anima buona la salvasse dal suo destino. E come se l’avessero sentita, un uomo dalla carnagione chiara, i capelli ricci tirati indietro e gli occhi color smeraldo, e una donna di colore dai lunghi capelli color ebano, comparvero al suo fianco, apparentemente dal nulla.
«Dobbiamo portarla via da qui», mormorò lui abbassandosi al livello della giovane per sfiorarle il viso coperto di polvere. A quel contatto, fu come se la parte della ragazza che voleva morire, tornasse alla realtà, alla vita.
E aprì gli occhi. Poco, ma abbastanza per immergersi in quelli color prato del ragazzo davanti a lei. Lui le sorrise appena, ma dentro di sé saltava di gioia per il fatto che lei non fosse morta.
«Aiutami…», riuscì a mormorare.
Un soffio, non udibile da orecchie umane. Ma lui l’aveva sentita.
«Harry, stanno arrivando… devi portarla via, ora», gli disse severa la donna che era con lui. Il ragazzo si irrigidì, se non fosse riuscito a salvarla nemmeno quella volta non l’avrebbe sopportato. Non ancora, non poteva succedere ancora. «Adesso, Harold», ripeté la mora, usando apposta il nome per intero del riccio.
«Non posso, devo ucciderli tutti…».
«La porto via io», li interruppe un terzo ragazzo, comparendo apparentemente dal nulla, come avevano fatto anche loro pochi minuti prima. Harry si irrigidì a quella voce, ma in qualche modo riuscì ad annuire, nonostante l’altro non gli fosse mai andato a genio.
Mai, nella sua lunga vita, avrebbe pensato di dover fare affidamento su uno come lui.
Ma doveva, per una volta doveva fidarsi.
Il riccio si voltò appena, quanto bastava per vedere la pelle ambrata e il profilo perfetto dell’altro ragazzo. I suoi capelli mori, tirati indietro. I suoi occhi color cioccolato, spenti da anni. Le sue labbra sottili, stirate in un mezzo sorriso. E il suo completo, da perfetto gentiluomo, tutto spiegazzato.
Annuì appena, lasciando un bacio sulla fronte della ragazza che ancora giaceva a terra, mentre il moro la prendeva in braccio come fosse una piuma. «Voglio che viva quanto lo vuoi tu», sussurrò, un attimo prima di dispiegare le ali nere e sparire verso il cielo.
Non l’aveva visto nessuno, ovviamente. Nessuno che non fossero Harry e la ragazza mora. Nessuno che non fosse chi la voleva morta. Così, quando il demone perse la presa sulla ragazza, furono in pochi a vederla cadere.
Ma il suo debole cuore non fu l’unico a spezzarsi.
Ne aveva appena spezzati altri due insieme al suo.
Solo che lei non se ne rese nemmeno conto, mentre moriva.
 

Chicago, 1922.
Una ragazza mora, dagli occhi scuri. Ventidue anni.
Gli occhi luccicanti dall’alcool e dalla musica che sembrava scorrerle direttamente nelle vene. I capelli tagliati corti, cotonati e tenuti su in tanti boccoli. Una ragazza mora, che voleva in suo divertimento nonostante tutto. Nonostante il proibizionismo.
Una ragazza con degli occhi tanto penetranti da sembrare quasi irreali.
Abbracciata ad un ragazzo riccio, castano scuro e dagli occhi color smeraldo. Stavano ballando un normalissimo charleston, si stavano divertendo come non mai, mentre una ragazza di colore dai capelli color ebano li accompagnava con la sua voce calda, perfetta per la musica dell’epoca.
«Mi prometti che non te ne andrai?», le chiese il ragazzo accarezzandole il viso arrossato dal caldo, dall’alcool e dal troppo ballare. La ragazza inclinò la testa da un lato, non riuscendo a capire cosa intendesse.
«Harry, che…?».
«Promettilo», le sussurrò lui, ad un centimetro dalle sue labbra. La fece arrossire come ogni volta, quasi costringendola ad annuire. Perché non poteva permettersi di perderla ancora, l’avrebbe ucciso. Come lo uccideva ogni fottuta volta.
Ogni volta che lei moriva, era come se Harry morisse con lei.
Ed era come se anche l’altro ragazzo, che in quel momento li guardava da bancone del bar, morisse con lei. Innamorato di lei dall’alba dei tempi, all’inizio il suo cuore si era semplicemente crepato, profondamente magari, ma solo crepato. Ma di volta in volta si spezzava in mille pezzettini, che niente e nessuno potevano rimettere insieme.
Solo lei avrebbe potuto.
«Te lo prometto», mormorò la mora stringendosi al ragazzo dagli occhi color smeraldo.
Senza sapere che di lì a qualche istante sarebbe morta tra le sue braccia, senza che nessuno potesse fare niente per fermare la sua morte. Perché era destinata a morire, di vita in vita, all’infinito, finché in un modo o nell’altro non si fosse resa conto.
Morta, di nuovo, senza poter mantenere la promessa fatta all’amore della sua vita.
Delle sue vite, sarebbe meglio dire.
 

L’Avana, 1959.
Un ragazza mora, dagli occhi scuri. Ventidue anni.
La felicità di una ragazza qualunque, in quegli occhi. L’amore che traspare, da quegli occhi. L’amore per il ragazzo leggermente mulatto che la sta trascinando per le strade affollate della capitale cubana, sballottandola da un parte all’altra per arrivare in piazza, dove sono tutti.
«Zayn, aspetta!», urlò la mora ridendo. Era meglio prenderla sul ridere, decisamente. Sapeva perfettamente quanto al moro piacesse la sua risata. Era la cosa che più di tutte aveva impedito la sua autodistruzione, in tutti quegli anni. Tutto quel tempo in cui l’aveva aspettata, era stato meno vuoto solo grazie al ricordo della sua risata.
Una risata cristallina, piena di vita.
Una risata che veniva spazzata via dalla morte ogni ventidue anni. E Zayn non ce la faceva più. Avrebbe dovuto essersi abituato a perderla, ma era impossibile. Impossibile abituarsi quando la persona che più ami al mondo ti muore tra le braccia.
Ne soffrirai, sempre e comunque.
Il moro si unì alla sua risata, tirandola a sé per stringerla in un abbraccio. Quello che sarebbe stato il loro ultimo abbraccio, in quella vita. Perché Zayn l’avrebbe aspettata, sempre, anche in capo al mondo.
«Ti amo… lo sai, vero?», mormorò il ragazzo lasciandole un bacio sulla fronte. La ragazza annuì, ma era confusa, come se stesse vivendo una sorta di deja vu. Le sembrava di aver già sentito quelle parole, ma uscite dalla bocca di qualcun altro.
«Ti amo anch’io, Jawaad», sussurrò il suo secondo nome, facendo quasi ridere il ragazzo, che la strinse a sé ancora di più, se possibile. Le lasciò un bacio sulle labbra, un bacio a dir poco casto mentre intorno a loro scoppiava la rivoluzione cubana, e alla comparsa di centinaia di Nephilim lei moriva tra le sue braccia.
Senza accorgersene. E ogni volta come fosse la prima. E come fosse l’ultima.
Mentre un ragazzo riccio li osservava da uno dei tetti, anche lui con le lacrime agli occhi e il cuore spezzato, le ali aperte, candidissime, e brillanti dalla rabbia. Arrabbiato per non averla potuta salvare, di nuovo. Arrabbiato perché quella volta lei non aveva scelto lui, ma suo fratello. Aveva scelto l’unica altra persona il cui amore per lei era totalizzante, infinito.
Aveva scelto Zayn, e non Harry.
E anche se non era la prima volta che succedeva, faceva male, come faceva male vederla morire tra le braccia di qualcuno che non fosse lui. Ma se ne rimase lì, a osservare la sua anima gemella staccarsi dal proprio corpo e sparire tra le nuvole, un mezzo sorriso ad increspargli le labbra, ma senza avere la forza di far comparire le fossette.
Quelle erano solo per lei. E si ritrovò a piangere, su quel tetto, mentre due braccia familiari lo avvolgevano. Mentre il profumo della propria migliore amica lo inebriava, facendogli dimenticare tutto anche se solo per un istante.
Non avrebbe sopportato l’ennesimo funerale, Zayn, stavolta non ce l’avrebbe fatta, lo sentiva. Così, mentre i Nephilim lo accerchiavano, Zayn fece l’unica cosa che gli sembrò giusta fare. Dispiegò le ali di tenebra e si librò verso l’alto, lasciando che una serie di lacrime bollenti solcassero il suo viso.
Lasciando il corpo della ragazza di cui era innamorato da sempre in pasto alla folla.
Il suo corpo, perché Zayn sapeva perfettamente che la sua anima non era più in quel luogo. Si era appena liberata, e stava già correndo alla sua prossima vita, come succedeva da migliaia di anni, sempre nello stesso modo.


 

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Capitolo 2
*** 2. Looking for a soulmate. ***


*yeeeeeh, eccomi qua. okay, la voglia di darmi fuoco è alta in questo periodo.
ma, viste le 23 recensioni al prologo di questa "cosa"... ho deciso di rimanere in vita.
per vostra fortuna, ovviamente. quindi, grazie a chi ha recensito. siete state adorabili.
e grazie alle preferite, seguite e ricordate. in più...
grazie a chi ha avuto il coraggio di leggere.
bene, evaporo. alla prossima miei carissimi sofficini c:
xx Fede.*
 



2. Looking for a soulmate.
 
 

“So, you think you can tell Heaven from Hell?”
(credi di poter distinguere il Paradiso dall’Inferno?).

 
 
La sua era una di quelle anime destinate a reincarnarsi all’infinito, o almeno fino a che non avesse svolto il suo compito e compiuto il suo destino. Un’anima sempre pura, nonostante fosse una delle anime più vecchie sulla faccia della Terra. Un’anima che aveva combattuto, ma che soprattutto aveva sempre saputo amare.
Si era incarnata centinaia di volte nella sua lunghissima vita, eppure ogni volta era come se dimenticasse tutto. Come se per lei fosse tutto nuovo. Come se in un certo senso le resettassero la memoria, facendole ricominciare tutto daccapo.
Le uniche cose che nel tempo non erano mai cambiate erano sostanzialmente tre: il suo nome, il colore di occhi e capelli (sempre scuri), e il fatto che si fosse sempre innamorata solo di una delle due anime che a loro volta l’avevano amata sin dall’inizio, e che non avrebbero mai smesso di amarla.
Madeleine era sempre stato il suo nome.
Aveva sempre avuto occhi e capelli scuri.
Si era sempre innamorata, “a turno”, dell’angelo riccio dagli occhi verdi o del demone dalla pelle ambrata e gli occhi color cioccolato fuso. O Harry, o Zayn. Mai entrambi. Perché non era così che era stato previsto. Madeleine non aveva mai dovuto scegliere, perché ne aveva conosciuto sempre uno.
Fino a questa vita. La sua ultima vita, in un certo senso.
Immaginate una luce fluttuare da un corpo che sta esaurendo la sua forza vitale, ad un corpo nuovo, un organismo appena nato. Immaginate che questa luce brilli al centro del suo nuovo corpo, fino ad appropriarsene. Immaginate l’infanzia di una bambina dagli occhi e i capelli scuri. Immaginate la sua adolescenza, fino al compimento del suo ventiduesimo anno di età.
Ora immaginate due ragazzi, che una volta erano fratelli, a chilometri di distanza. Entrambi alla ricerca di quella luce. Perché chi l’avrebbe trovata per primo l’avrebbe avuta per sé, come era sempre stato. Fino a questa vita, quando a trovarla per primo non sarebbe stato né l’angelo né il demone.
L’angelo dalla pelle color ebano e i lunghi capelli neri se ne stava seduta a gambe incrociate su una nuvola sopra il cielo di Los Angeles, con le ali iridescenti spiegate tutto intorno a sé, impegnata ad intrecciarsi i capelli. Canticchiava una vecchia canzone a bocca chiusa, ricordando con un sorriso gli anni venti a Chicago. Ma venne distratta quando venne attraversata da un brivido tanto forte da farle quasi perdere il controllo alquanto precario che aveva sulla sua tranquilla nuvoletta.
Spalancò gli occhi davanti a quello spettacolo che si presentava puntualmente ogni ventidue anni, quando l’anima fatta di luce di Madeleine passava da un corpo all’altro. E se da un lato Cassiel poteva essere distrutta dalla morte della sua migliore amica, dall’altro in quel caso era felice, alla vista dell’atterraggio dell’anima sotto di lei.
Los Angeles.
E Cassiel sorrise inconsciamente. A Maddie sarebbe piaciuta, la città degli angeli. Un caso? Molto probabilmente no. Magari semplicemente dopo migliaia di anni era solo arrivato il tempo, per il destino, di fare il suo corso.

***

La soffiata di Louis si era rivelata fondata.
Certo, ancora Zayn non riusciva a comprendere come mai il migliore amico dagli occhi color cielo e i capelli castani, non riuscisse a togliersi dalla testa Cassiel. Non solo un angelo, il che sarebbe già stato sbagliato di per sé, ma che dopo migliaia di anni ancora la seguisse dappertutto, non era chiaro.
Stavolta però gli era stato utile, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
Ed era riuscito a farlo ridere, come non faceva da anni. Los Angeles, cazzo. Bello, davvero molto fantasioso. Alzò gli occhi al cielo, ripensandoci, e sentendo improvvisamente un presenza familiare avvicinarsi. Sentì l’onda d’urto colpirlo inaspettatamente, e sbuffò, spiegando le ali e librandosi verso il cielo della California.
Kismet incazzata non era proprio il massimo della gioia per uno che aveva appena perso – di nuovo – l’amore della sua vita. Gli avrebbe detto ancora che secondo lei era stato un coglione a non averla avuta per due vite di fila. Gli avrebbe rinfacciato che forse il suo amore non era abbastanza forte.
La verità era che Kismet era bellissima e che in fondo si era sempre voluti più che bene, a modo loro. Ma non sapeva un accidente di quello che passava Zayn ogni volta che Madeleine moriva, che fosse tra le sue braccia o meno. Kismet non sapeva un cazzo, ma era pur sempre una delle uniche persone che fosse riuscita a stargli intorno tutti quegli anni.
Perciò, preso da un inaspettato moto di dolcezza, si fermò a mezz’aria, aspettandola.
E si lasciò abbracciare, lasciando che le punte delle loro ali color tenebra si sfiorassero. Perché Zayn stava troppo male per rifiutare un abbraccio. Perché Kismet sembrava voler rimanere in silenzio. Perché il moro aveva bisogno di affetto, anche se non l’avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura.
E perché la mora era l’unica che fosse disposta a darglielo, quell’affetto.
«Va tutto bene, Jawaad», gli sussurrò la ragazza stringendolo a sé e accarezzandogli i capelli, lasciando che si sfogasse. Lasciando che piangesse. Perché sì, anche i demoni piangono. «Mi è venuta un’idea, e anche se non ti piacerà, potreste averla…». Si bloccò all’improvviso notando lo sguardo di fuoco del demone che aveva di fronte.
«Entrambi?», le chiese lui ridendo amaramente. Zayn si allontanò scuotendo la testa al vedere l’altra annuire. Per un attimo aveva pensato che Kismet lo volesse aiutare. Beh, magari doveva semplicemente smetterla di pensare, e agire. «Non la possiamo avere entrambi, non funziona così», borbottò lasciandole un bacio sulla fronte e sparendo tra le nuvole.
La mora sbuffò, tornando a terra e iniziando a cercare ad occhi chiusi la luce emanata dall’anima di Cassiel. Una volta erano sorelle, inutile negarlo. E sapendo di avere ragione, le serviva assolutamente un’alleata.
Aveva ragione.
Averla entrambi era l’unica soluzione a cui non avessero mai nemmeno lontanamente pensato. Orgogliosi com’erano, Zayn e Harry si erano limitati a seguire la strada già scritta centinaia di volte dal destino.
Magari era ora di dare una smossa all’universo, pur di farla finita una volta per tutte.

***

Sedici anni dopo un ragazzo dagli occhi color smeraldo e una ragazza dalla pelle color ebano se ne stavano seduti l’una sulle ginocchia dell’altro, apparentemente parlando e ridendo tra loro come due giovani innamorati. In realtà Cassiel stava cercando di distrarre Harry da una Madeleine adolescente – e splendida come al solito – mano nella mano con un ragazzo.
Il riccio non riusciva a smettere di guardarla, l’amore della sua vita in piena crescita e in piena tempesta ormonale. Strinse i pugni, fino a far sbiancare le nocche, non appena vide quel ragazzino scostarle una ciocca di capelli dal viso e avvicinarsi per baciarla.
Un attimo a Cassie gli aveva preso il viso tra le mani, facendolo concentrare su di sé.
«Guarda solo me, e smettila di fare il geloso», aggiunse lasciandogli una serie di baci sulla punta del naso. Harry sbuffò , sfiorandole la schiena, come per distrarsi. E la ragazza annuì con un sorriso, notando che quegli occhi tanto verdi non volevano saperne di uscire dai suoi. «Abbiamo un piano, no?».
«Tu e Kismet avete un piano, che non funzionerà e che non piace a nessuno».
La ragazza scosse la testa, contrariata. Harry era il suo migliore amico da sempre, oltre che un fratello. Gli voleva un bene assurdo – che a volte persino lei stessa faceva fatica a comprendere – e aveva supportato Harry e Madeleine, sempre. In qualsiasi epoca e contro qualsiasi cosa cercasse di fermare il loro amore.
C’era sempre stata. E ora che avevano una soluzione, lui faceva l’orgoglioso.
Era esasperante. E insopportabile. E irremovibile.
Sbuffò sonoramente, preparandosi psicologicamente all’ennesima discussione, ma si bloccò sentendo una presenza davvero troppo familiare per essere ignorata. Si irrigidì, contraendo le dita che stringevano dolcemente i ricci di Harry. «Cas, che succede?», le chiese lui stringendo impercettibilmente la presa sui suoi fianchi. La ragazza scese dalle sue gambe e gli si sedette accanto incrociando le caviglie, mentre l’ultima persona che avrebbe voluto vedere compariva a qualche passo da loro. «Ah, ecco…».
«Harry, bellissima», li salutò Louis, , sedendosi poi accanto a Cassiel e posandole una mano sul ginocchio nudo. Lei rabbrividì, scostandogli malamente la mano. «Ehi, calma angelo». Cassiel represse malamente un sorriso, assieme alla voglia di sedersi sulle sue ginocchia, come poco prima era con Harry. «Geloso, Eddy?», chiese poi, rivolgendosi al riccio.
«Chiudi il becco, William», sbottò passandosi nervosamente una mano tra i ricci. «Che ci fai qui?», aggiunse dopo qualche secondo mentre Cassiel posava la testa sulla sua spalla. Era alquanto curioso che Louis fosse da solo, e sempre proprio dove si trovava Cassiel.
Dopo migliaia di anni, Harry continuava a trovarlo inquietante.
Il castano lanciò un’occhiata a Madeleine, senza nemmeno curarsi di trattenere un sorriso. «Sto controllando che tu non scompigli l’ordine delle cose», gli disse con un ghigno provando a portare un braccio dietro le spalle di Cassiel. Lei sbuffò, ma questa volta non si oppose. «Sto guardando la ragazza che costringe tutti noi a ripetere tutto da sempre… sto guardando la nostra condanna, Harry», aggiunse spostando lo sguardo da Cassie a Harry, e ritorno.
Odio, amore, sofferenza, dolore, speranza.
Il tutto immerso in quell’azzurro cielo, che però di celeste non aveva niente.

***

Altri sei anni. Sei anni in cui Madeleine era cresciuta, fino a diventare una donna. Bellissima e indipendente. Sei anni in cui, come nei sedici precedenti, Madeleine era stata tenuta d’occhio da decine tra angeli e demoni.
Harry, Zayn, Cassiel, Kismet e Louis.
Ma anche altri.
Chi più chi meno, avevano tutti controllato che stesse bene.
Che non morisse prima del tempo. Perché da lei dipendevano davvero troppe cose perché le schiere angeliche ne permettessero una morte prematura. Da lei, dipendeva tutto quanto. Dipendeva la salvezza, la condanna, o la grazia di tutti loro.
Così Maddie era stata circondata dagli angeli per ventidue anni, senza sospettarne minimamente l’esistenza. L’avevano protetta tutti, ognuno a modo suo. E senza che lei si sentisse seguita o a disagio. Aveva vissuto una vita normale, fino a quel momento.
E ora stava sfogliando il giornale degli annunci di Los Angeles, a metà marzo, alla ricerca di uno straccio di lavoro che le permettesse di pagarsi l’affitto. Sarebbe andato bene qualsiasi cosa. Ma essendo laureata in arti figurative, si stava rigirando quel foglietto di carta tra le mani da più di mezz’ora, mordicchiandosi di tanto in tanto l’interno delle guance.
Sentì sua madre sbuffare, per poi scendere dallo sgabello e posare la tazza di tè nel lavandino. Nervosa e esasperata. Almeno il doppio della figlia.
Allora Madeleine prese il telefono e digitò il numero della giovane proprietaria di un negozio di tatuaggi su Sunset Boulevard. Una telefonata che pensava di fare da più di una settimana. Un telefonata che le avrebbe cambiato la giornata.
E la vita.


 

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Capitolo 3
*** 3. Cassiel. ***


*buongiorno pasticcini miei (?)
al solito, ignorate il delirio, non ci fate proprio caso.
allora. strano ma vero sono in orario, nonostante il calo vertiginoso di recensioni...
non mi interessa, io aggiorno lo stesso u.u
parlando del capitolo... finalmente si inizia a profilare la storia, spero.
vi lascio alla lettura, e in fondo vi ho messo i prestavolto e i soliti contatti, yeeeh.
alla prossima bellezze c:
xx Fede.*
 


3. Cassiel.
 
 
“And your eyes… irresistible”.
 
 
Cassiel lasciò che il telefono squillasse, mentre finiva di tatuare un particolare del veliero sulla spalla del suo migliore amico, per poi alzarsi e correre fino all’ingresso, facendo ondeggiare la lunga coda di capelli neri. Prese il telefono appena in tempo e incastrò sapientemente la cornetta tra l’orecchio e la spalla.
«Pronto, Angels Tattoo, posso esserti utile?», disse, leggermente affannata, giocando con un orecchino. E per poco non le venne un colpo, a sentire la voce all’altro capo del telefono. Per poco non tornò nell’altra stanza da Harry, per abbracciarlo fino a stritolarlo. Per poco non la chiamò per nome, rischiando di sconvolgere l’ordine delle cose.
«Ho letto che vi serve una ragazza come aiutante», le disse Madeleine cercando di rimanere calma. Parlare con chi non conosceva la intimidiva. Da sempre, per quel che ricordava.
«Assistente», la corresse Cassie con un sorriso a trentadue denti. «Puoi venire nel pomeriggio per un colloquio, se ti va», aggiunse mentre Harry arrivava al suo fianco scompigliandosi i ricci. Ad un suo cenno, la ragazza annuì felice, facendo comparire sul viso dell’angelo uno dei sorrisi migliori di sempre, con tanto di fossette.
«Certo, nessun problema… mi chiamo Madeleine», aggiunse dopo una manciata di secondi. La ventiduenne sorrise inconsciamente, contenta almeno di aver ottenuto un colloquio. Fece un cenno alla madre, che battè le mani eccitata, le lasciò un bacio sulla fronte e uscì dal monolocale ridacchiando tra sé.
Mad tornò alla realtà sentendo la voce melodiosa della ragazza del negozio.
«Io sono Cassiel, quando vieni però dovresti chiedere di Cherubiel, okay?», le disse Cassiel, navigando con lo sguardo negli occhi di Harry, addirittura più verdi del solito. Intanto Madeleine annuiva tra sé, cercando di ricordare quei nomi tanto strani. «Mad, ci sei?».
E alla castana quasi non venne un colpo.
Nessuno la chiamava così, nessuno l’aveva mai fatto. Eppure era come se stesse avendo un deja vu, come se quel diminutivo fosse molto più familiare di quanto dovesse esserle. Come se conoscesse Cassiel, cosa che ovviamente non era possibile. «Ci sono, okay… chiedo di Cherubiel», mormorò, decisamente confusa e fuori fase.
Erano nomi familiari. La voce di Cassiel le era familiare.
Eppure, prendendo appuntamento per quel pomeriggio, Madeleine proprio non capiva dove avesse sentito quei nomi, o la voce di Cassiel. Fece spallucce, arrendendosi miseramente, e decise di farsi una doccia. Magari l’acqua calda le avrebbe schiarito le idee. O magari l’avrebbe confusa più di quanto non fosse già.
Fatto sta che le serviva una doccia più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Almeno in quel momento.
Cassiel intanto era letteralmente saltata in braccio a Harry, che come la mora non sembrava avere intenzione di smettere di ridere, mentre la stringeva come se fosse appena capitato l’evento più importante dell’universo. E in effetti era proprio così. «Mi ha trovata, te l’avevo detto!», cantilenò la ragazza saltellando allegramente sulle sue tacco dodici.
Harry rise, riprendendola stretta a sé, mentre Cherubiel compariva praticamente dal nulla, un sopracciglio biondo elegantemente inarcato. Lei era davvero l’angelo per antonomasia. Capelli biondi, chiarissimi, lunghi fin sotto le spalle e mossi. E quegli occhi tanto cerulei in cui chiunque sarebbe annegato davvero troppo volentieri.
Bionda, occhi celesti, le labbra naturalmente rosa – tipo gomma da masticare – e il fisico che milioni di donne nel mondo avrebbero voluto avere. Sembrava un angelo, come venivano descritti dagli umani dai secoli dei secoli.
Era perfetta, bellissima e affascinante.
E ispirava bellezza più di moltissimi altri angeli.
«Immagino ci sia un motivo per la vostra euforia incontrollata», suppose con un mezzo sorriso arrampicandosi con grazia decisamente innaturale su uno sgabello. Ecco, forse era il suo unico difetto. Non era umana. Ma mentre la maggior parte degli angeli e dei demoni provava ad esserlo, lei non ci provava. E nemmeno voleva provarci.
Harry scosse la testa con un sorriso, mentre Cassiel partiva col monologo, con la cronaca dettagliata della telefonata con Madeleine. «Mi raccomando, comportati da umana… nel limite del possibile», fu l’ultima frase di Cas, prima che Cher sbuffasse sonoramente. La bionda si lasciò scompigliare malamente i capelli da Harry, sorridendo appena. «Noi andiamo a cercare Zayn», aggiunse Cassiel lasciando un bacio sulla guancia dell’amica.
Cherubiel salutò con la mano, mentre i suoi amici uscivano nel sole caldo di marzo, alla ricerca del pezzo mancante del puzzle.
Zayn. Il demone, bellissimo come sempre. La parte mancante dell’equazione.
Zayn, che nel frattempo si era fatto convincere da Kismet a svagarsi, e che in quel momento girava per Los Angeles a bordo di uno skateboard, mentre lei si divertiva in pantaloncini inguinali e canottiera semi trasparente su un paio di roller.
Il moro si fermò all’improvviso, tirando su lo skateboard, vedendo due figure familiari andargli incontro. E Kismet, troppo concentrata sulla musica sparata nelle cuffiette, gli andò addosso, finendo contro la sua schiena. «Che cazzo fai, Malik?», gli urlò dandogli un pugno su una scapola e trattenendosi a fatica dallo spiegare le ali dalla rabbia. «Sei un coglione!», aggiunse un attimo dopo.
Ma si trattenne dal disintegrarlo con le proprie mani al sentire la risata cristallina di Cassiel risuonarle nelle orecchie. Le due ragazze erano sempre andate d’accordo, nel corso dei secoli. Forse perché cresciute come sorelle. Forse perché entrambe vivevano per il bene di Madeleine. O forse perché ognuna delle due era legata al nemico più di quanto volesse ammettere.
Si capivano, si rispettavano.
E nonostante tutto si erano sempre volute bene.
«Sappi che rimani un coglione», borbottò Kismet, pattinando fino ad abbracciare l’amica. Cassiel ridacchiò, lanciando un’occhiata a Zayn, per poi guardarsi intorno. Come se in quel quadretto mancasse qualcosa. O qualcuno. «Louis è non si sa dove, con non si sa chi a fare non so cosa», le disse in un sussurro, che fece sorridere Cas.
Un sussurro che sentirono tutti e quattro.
Un sussurro che fece ridacchiare Harry, ma più per attirare l’attenzione di Kismet che per altro. La mora era uno dei pochi demoni che l’angelo dagli occhi verdi riuscisse a sopportare. Forse l’unica che secondo lui si trovava nello schieramento sbagliato, da sempre.
Lei, dal canto suo, stava bene dove stava.
«Non sei cambiata per niente, Kis», scherzò tirandola a sé per un abbraccio.
«Doveva far ridere, Harold?», gli chiese lei con un sopracciglio inarcato.
«Sì, ma a quanto pare hai lasciato l’umorismo all’inferno».
La ragazza rise, trascinando nella sua risata persino Zayn, che fino a quel momento se n’era rimasto in disparte, guardando la migliore amica abbracciare i due angeli. E fu un attimo, prima che i suoi occhi color cioccolato fuso incontrassero quelli verde prato di Harry.
Si guardarono e basta, facendo cozzare i colori tanto diversi delle loro iridi, creando un intreccio che nessuno aveva mai capito appieno. Nessuno. O forse solo Madeleine.
«Come mai di buonumore?», chiese Zayn tirando fuori dalla tasca dei jeans scuri un pacchetto di sigarette e l’accendino. Si accese una sigaretta, fece un tiro e sbuffò fuori il fumo, aspettando una risposta, mentre Kismet e Cassiel si allontanavano parlottando tra loro. «Allora?». Zayn fece un altro tiro, cominciando ad agitarsi.
Che Madeleine fosse morta?
O, che si fossero incontrati?
L’aveva persa di nuovo?
«Ha chiamato Cassiel», disse semplicemente il riccio, con un mezzo sorriso sulle labbra. Il moro si rilassò visibilmente. E non ci fu nemmeno bisogno di fare il nome di Maddie. Zayn sapeva perfettamente che stava parlando di lei, solo dal tono di voce, o dal suo sorriso. «Ha il colloquio al negozio con Cher, in questo momento», aggiunse Harry dopo qualche istante di silenzio.

***
 
«Sono fantastici».
Semplicemente, Cherubiel non riusciva a smettere di dirlo, sfogliando i disegni che le aveva portato Madeleine. Erano a dir poco fantastici. Spettacolari, forse, era il termine più adeguato.
E la castana arrossì per l’ennesima volta, a quel complimento.
Non pensava minimamente che i suoi disegni fossero fantastici. Gli angeli che disegnava lei fin da quando era una ragazzina, non erano niente in confronto alla ragazza che le stava davanti. Disegnava angeli, da sempre. Semplici ali. O tratti del volto. A volte aveva come dei flashback. Vedeva un particolare che le piaceva e si ritrovava a disegnarlo, ovunque si trovasse.
Fu in quel momento, osservando l’espressione estasiata di Cher, che si rese conto di quanto le fosse familiare. Le tolse velocemente l’album dalle mani, e arrivò in fondo. Ai disegni che nessuno aveva mai visto.
Perché erano troppo personali perché qualcuno li vedesse.
Ma la somiglianza della ragazza che aveva di fronte con l’angelo seminudo che aveva disegnato qualche settimana prima era… impressionante. Solo, i capelli erano più lunghi, le labbra leggermente più pronunciate.
E aveva le ali, nel disegno di Mad.
«Somiglia troppo a te, Cher!», strillò Kismet comparendo dietro Madeleine. E facendola saltare sullo sgabello, costringendola a portarsi una mano sul cuore, che le batteva all’impazzata. «Oddio, scusa… ti ho spaventata?». Cherubiel ridacchiò appena, mentre Maddie lanciava un’occhiataccia alla ragazza che le aveva appena fatto prendere un colpo.
«Non fa niente…», si limitò a sussurrare, facendo spallucce e posando il disegno che teneva in mano sulla scrivania. E stavolta fu Cher a prendere un colpo, portandosi una mano alla bocca.
Lei e l’angelo nel disegno erano praticamente identiche.
Forse perché erano la stessa persona.
Solo che Madeleine non poteva minimamente immaginarlo.
«Fosse per me, dopo questo ti assumerei qui, ora. Immediatamente», esclamò la bionda gesticolando incessantemente, facendo comparire un mezzo sorriso sulle labbra della castana. «Ma penso di doverne parlare con Cassiel», aggiunse dopo un attimo, fin troppo professionale.
E più umana che mai. Strano. Molto strano.
«Oh, certo… nessun problema», le disse Mad, leggermente avvilita, iniziando a mettere via i disegni. Ma una mano color cioccolato si posò delicatamente sulla sua, all’improvviso, togliendole di mano il disegno di una piuma nera, che gocciolava sangue. Uno dei suoi disegni preferiti. Uno dei disegni fatti di getto, senza nemmeno immaginarne il significato.
«Wow», le disse Cassiel, sinceramente colpita.
L’angelo lanciò un’occhiata a Kismet, che era appena diventata di pietra. Quella su quel pezzo di carta poteva benissimo essere una delle sue piume. O di Zayn. O di Louis. O di Skylar, che in una vita precedente era stato molto vicino a Mad. Molto, molto vicino.
Ma questa è un’altra storia.
«Ne ho altri simili», disse loro la castana legandosi i capelli in uno chignon disordinato, per poi sfogliare velocemente l’album. Sorrideva felice, contenta di aver trovato qualcuno che apprezzasse i suoi bozzetti tanto strani. Fino a trovare il disegno che secondo la stessa Madeleine era il più bello in assoluto.
Un angelo dalla pelle scura e un demone dagli occhi chiarissimi.
Abbracciati, e avvolti a malapena da un velo, come un lenzuolo. Viola.
Le cui piume, quasi rosa pallido quelle di lei, e color tenebra quelle di lui, si sfioravano. Come fossero timide e timorose di toccarsi. Quasi come quel contatto gli fosse proibito, ma a loro non importasse.
Quasi come Cassiel e Louis.
E a Cassie venne da sorridere a vedere quel disegno. Non tanto per la perfezione col quale era stato messo su carta. Non tanto per la bravura di Madeleine, che conosceva già. Ma per il disegno stesso. Mad aveva disegnato, senza saperlo, una parte di una sua vecchia vita. Aveva disegnato Cassiel e Louis, senza averli mai visti.
Ed era incredibile.
«Vuoi prima la buona o la cattiva notizia?», le chiese Cassiel affiancando Cherubiel. Sedendosi come la bionda su una sgabello e guardando la ragazza davanti a sé dritta negli occhi. Dio, se le era mancata. Ma di certo non poteva abbracciarla come se la conoscesse. Doveva far finta di non conoscerla, anche se lo odiava, più di qualsiasi altra cosa.
Madeleine inclinò la testa da un lato. «La buona?».
Il tono con cui lo disse fece ridere i due angeli e il demone di fronte a lei. E la loro risata celestiale la fece arrossire come non mai. Sembrava più una domanda, in effetti. Come se Mad avesse paura di sapere, sia la notizia buona che quella cattiva.
«Cominci a lavorare domattina». Un attimo, e le labbra della castana si schiusero a formare una “o”. Incredula. Sorpresa. Ma anche felice. Felice come una ragazza che non ha intenzione di smettere di sorridere. Felice come non era quasi mai stata, nei suoi ventidue anni. «La cattiva invece è che dovrai sopportarci per parecchio tempo, perché io di certo non ti faccio scappare», aggiunse con un sorriso a trentadue denti.
«Scherzi?», esclamò Madeleine, eccitatissima.
Battè le mani come una bambina piccola, continuando a sorridere. E facendo ridere le tre ragazze davanti a lei. Il suo entusiasmo. Quello sì che era mancato, a tutti. Era sempre stata allegra e sorridente, di epoca in epoca. Ed era una delle cose per cui Harry e Zayn si innamoravano di lei ogni volta.
Il suo sorriso.
Tanto luminoso da spegnere il sole.
Tanto bello da schiarire la notte più buia.
«Puoi abbracciarmi, se vuoi», scherzò la mora vedendola indecisa se scendere dallo sgabello e stritolarla, o meno. E Madeleine non se lo fece ripetere due volte. In sostanza scese dallo sgabello con un saltello, girò attorno al tavolo… e quasi non le saltò addosso. Ah, e senza smettere per un attimo di mormorare una serie di “grazie”, facendo ridacchiare Cassiel.
«Grazie», ripeté a voce appena più alta, staccandosi, seppur di poco.
Cas la liquidò con un gesto della mano, ma senza smettere di sorridere. Finché non le venne in mente una cosa. «Domattina vieni mezz’ora prima, devo presentarti Eveline». Al che, Madeleine inarcò elegantemente un sopracciglio, confusa. E Cas rise, divertita. «La mia… “socia”, insieme a Cherubiel», le spiegò in breve.
«E i ragazzi», borbottò Cher mascherandolo con un finto colpo di tosse.
Maddie ridacchiò, scuotendo leggermente la testa. Le ragazze le piacevano, tanto. Per essere un primo incontro, forse le piacevano anche troppo. O forse era quel senso stranissimo di familiarità a fargliele piacere. Mah, chissà.
«E i ragazzi, giusto», la canzonò Cassiel alzando gli occhi al cielo. «Ma tu non pensi ad altro, bionda?», aggiunse spingendola leggermente, mentre Mad recuperava i disegni, senza perdere il sorriso nemmeno per un attimo. Sempre sorridente, finché… «A proposito, devo chiedere ad Harry di passare domattina per finire il veliero», buttò lì la mora, osservando attentamente la reazione di Madeleine.
La vide arrossire al solo sentire il nome del riccio.
Poi sbiancare. Poi chiudere gli occhi per un istante.
Per poi arrossire di nuovo e infine tornare a sorridere.
E quando dopo altre piacevolissime chiacchiere, la castana si decise a tornare verso casa, non fece altro se non pensare a quel nome. Harry. A quanto le fosse familiare. Alla sua stessa reazione al sentirlo dalle labbra di Cassiel.
E la prima cosa che fece una volta a casa fu tirare fuori l’album da disegno.
E buttare giù lo schizzo di un paio di occhi.
Verdi.


 
*nell'ordine, Madeleine, Cassiel, Cherubiel e Kismet*



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Capitolo 4
*** 4. Green eyes. ***


*tipo che oggi è il mio compleanno, e mi ero ripromessa di non aggiornare niente.
ma tipo che ieri ho finito di scrivere il capitolo, e non vedevo l'ora di aggiornare.
quindi, ho aggiornato lo stesso, nonostante sia il mio compleanno, lol.
tanti auguri a me, yep.
okay, a parte il delirio puro, spero che il capitolo vi piaccia.
e spero che salgano le recensioni, perchè a questa storia ci tengo da morire...
bene, vi lascio alla lettura, alla prossima.
xx Fede.*
 



4. Green eyes.
 
 

Guess you're permanent
Can't be removed
Each time my heart breaks
It's like a new tattoo”.

 
 
Madeleine lavorava al negozio di tatuaggi da quasi due settimane ormai. Eppure ancora non era riuscita ad abituarsi al canticchiare continuo di Eveline. Canticchiava, sempre. Qualsiasi cosa succedesse, e qualsiasi genere musicale.
Canticchiava disegnando, inviando e-mail, intingendo la punta nell'inchiostro durante un tatuaggio. E quella mattina, mentre Mad buttava giù qualche bozzetto... canticchiava. Senza sosta. Quasi senza riprendere fiato.
Madeleine sorrise, per poi automaticamente prendere a canticchiare con lei. La cosa più naturale del mondo. Come se si conoscessero da sempre. Un attimo, e anche la voce melodiosa di Cher si unì alle loro, seguita dal leggero battere del tacco di Cassiel sul parquet.
Eveline rise piano, facendo l'occhiolino a Mad dall'altra parte del negozio, per poi cambiare improvvisamente canzone, facendo ridere la nuova impiegata dell'Angels Tattoo.
«Così non vale», borbottò Cherubiel mettendo il broncio. La sentirono sbuffare, mentre Eveline riprendeva a canticchiare, stavolta a bocca chiusa, muovendo la testa ad un ritmo tutto suo.
Se Cherubiel era l'angelo per antonomasia, Eveline non era da meno. E si somigliavano, in un certo senso. Si somigliavano, ma in un modo che Madeleine non riusciva a capire. Forse erano gli occhi azzurri, o la bellezza che emanavano entrambe.
Non riusciva a spiegarsi perché le vedesse tanto simili.
«A cosa pensi?», le chiese Cassiel vedendola con la testa tra le nuvole. Lei per tutta risposta scosse leggermente la testa, quasi come a scacciare qualche brutto pensiero. «Quelle due danno da pensare anche a me, credimi», aggiunse, facendo ridacchiare l'altra.
«Sicura che non siano sorelle?», scherzò sistemandosi alla meno peggio lo chignon. Se prima era disordinato, ora era un disastro. Ma in fondo non le stava male. «Sono identiche», aggiunse gesticolando leggermente. Cas le sorrise, ed è probabile che stesse per risponderle, ma al sentir tintinnare il campanello sopra la porta, si voltò di scatto, aprendosi in un sorriso fenomenale.
«Ragazze!», esclamò Niall entrando per primo, con una scatola di ciambelle tra le mani, e seguito da Liam, che portava i cappuccini per tutti. Madeleine li aveva conosciuti il suo primo giorno al negozio, quando avevano portato la colazione alle ragazze.
Come anche quella mattina, del resto.
Niall era… incredibile.
Bello da star male, con quegli occhi celesti che ti inchiodavano al suolo, impedendoti di muoverti. Quando ti guardava, era come se non esistesse nient’altro al mondo se non i suoi occhi. Riusciva a calamitare l’attenzione di chiunque con uno sguardo, con un sorriso, con la sua risata.
E finivi ai suoi piedi, cotta a puntino.
«La sua ordinazione, signorina», scherzò salutando Mad con un bacio sulla guancia e porgendole il sacchetto di carta col solito cornetto al cioccolato. Lei avvampò, come sempre quando il biondo le rivolgeva tutte quelle attenzioni.
Anzi, no. Mad arrossiva con chiunque, non solo con Niall.
Ma con lui era tutto come più imbarazzante. Amplificato, in un certo senso.
«Grazie, biondo».
La mettevano in soggezione, tutte quelle attenzioni. Ma Liam era diverso. Meno espansivo. Più simile a lei. Il più umano di tutti, in effetti. Così si limitò a regalarle un sorriso e a posarle il suo cappuccino sul bancone, di fianco ai suoi disegni.
Niente abbracci da amiconi. Niente baci sulla guancia. Solo un sorriso.
Sorriso che Madeleine ricambiò allegramente, senza la minima traccia di rossore sulle guance. Liam le piaceva, in un certo senso. La trattava da ragazza normale, la faceva sentire bellissima, nonostante fosse circondata da ragazze decisamente più… appariscenti. La trattava da amica.
«Vado a salutare la mia ragazza, prima che mi prenda a sprangate… dopo ricordami di farmi vedere quel disegno che mi dicevi, okay?», le disse Liam scompigliandole leggermente i capelli.
Adorabile. Bellissimo. Ma impegnato. Come anche Niall, del resto.
Liam con Cherubiel. E Niall con Eveline.
Ma Madeleine aveva già la testa da tutt’altra parte. Non sulle smancerie inadeguate di Niall. Non sul sorriso incredibilmente bello di Liam. Ma sugli occhi che non faceva altro che disegnare da due settimane.
Verdi. Color prato, spruzzati d’argento.
Gli stessi occhi del ragazzo che in quel momento stava ridendo con Cassiel. Un ragazzo di cui Mad nemmeno si era accorta, distratta dal biondo e dal castano. Un ragazzo incredibilmente alto e davvero troppo bello anche solo per sembrare vero. Dalla carnagione chiara, liscia alla vista. Dai capelli castano scuro, ricci.
E dagli occhi verdi. Gli stessi occhi di cui era pieno l’album dei bozzetti di Maddie.
Un viso familiare. Troppo familiare per essere una coincidenza. Come se la ragazza l’avesse già visto, già incontrato, già abbracciato. Come se ci avesse già parlato. Come se ricordasse perfettamente il suono della sua voce. Come se lo conoscesse, ma non riuscisse a capire come.
Come con le ragazze. Ma peggio, da un certo punto di vista.
«Ehi». Kismet invece, aveva la bruttissima abitudine di comparire dal nulla e far prendere dei gran colpi al cuore alla povera Madeleine. Kismet arrivava, salutava, e puntualmente l'altra perdeva un battito, saltando sullo sgabello.
«Ciao Kismet», sbuffò la ragazza, portandosi come sempre la mano sul cuore, solo per sentirlo battere all'impazzata. E come ogni volta in quelle due settimane, Kismet finiva per scoppiare a ridere, passandosi una mano tra i capelli scuri.
Era la loro routine, in un certo senso.
Ma Kismet era indecisa. Indecisa se chiedere o meno a Mad cosa ne pensasse di Harry. Indecisa se chiederle o meno cosa stava disegnando con tanto impegno quel giorno. Indecisa se fare conversazione, o se per una volta lasciarla in pace.
«Hai conosciuto Harry?». Ed eccolo, il suo animo da pettegola. Che fece sorridere Madeleine. E non solo per la sua domanda, o per il modo in cui gliel'aveva chiesto. Ma perché in fondo sperava che Kismet glielo chiedesse.
Sperava che qualcuno le confermasse che il ragazzo dagli occhi verdi fosse proprio Harry.
E si limitò a scuotere la testa. Arrossendo violentemente. Forse era anche più rossa del solito, vista la risatina in risposta di Kismet. Ma in fondo non le importava. Insomma, è vero che le dava fastidio imbarazzarsi per qualsiasi cosa... ma in quel caso era come se sentisse il bisogno di arrossire.
Perché Harry era davvero troppo, per non essere notato.
«Se vuoi...».
Lasciò apposta la frase in sospeso. Il suo era come un “se vuoi te lo presento”. Che fece rimanere di sasso Madeleine, con la brioche a mezz'aria e l'altra mano che le tremava sul coperchio del cappuccino al cioccolato.
«Assolutamente no», le disse Mad, cercando di riprendersi e trattenendo una risata nervosa. Non aveva bisogno di conoscere Harry. Non le serviva. Ma la domanda è un'altra. Lei lo voleva? Voleva conoscere il ragazzo che aveva ispirato così tanti disegni in quelle due settimane? Assolutamente sì. «O magari...».
Ma non fece in tempo a finire la frase che Kismet aveva già battuto le mani, eccitata come una bambina, e si era incamminata – con forse troppa eleganza per una che dovrebbe sembrare un’umana – verso Cassiel e il riccio. E Madeleine ovviamente non aveva il coraggio di fermarla. Di certo non poteva mettersi a strillare davanti a tutti.
Perciò sospirò scuotendo leggermente la chioma di capelli castani, e tornò alla sua colazione, mentre con la mano libera ripassava i contorni di un disegno, canticchiando. Cantare la distraeva, un po' come disegnare e mangiare.
Ma dopo un po' le venne un'idea per un disegno, e chissà come riuscì persino a trattenersi dal disegnare l'ennesimo paio di occhi verdi. Si mordicchiò il labbro inferiore disegnando la sagoma di un occhio, contornato da una miriade di ciglia scure.
Un occhio. Non verde. Un occhio scuro. Color cioccolato fuso.
«Sei brava». La voce roca di Harry interruppe a metà un tratto che dalla matita che Mad teneva in mano sarebbe andato a formare l'angolo di quell'occhio. Occhio che non sapeva di chi fosse. O meglio, Mad non lo sapeva. Harry sì, perfettamente.
E quando la ragazza alzò lo sguardo verso il suo interlocutore, per poco il suo cuore non smise di battere. Così, all'improvviso. Fermo. Per qualche battito. Ma non per la paura. Nemmeno per l'imbarazzo.
I suoi occhi si erano appena incatenati a quelli di Harry.
E non sembravano in grado di staccarsi da essi.
Madeleine non voleva che si staccassero. Non voleva perdere il contatto con gli occhi più incredibili che avesse mai visto, non ora che finalmente li vedeva dal vivo e non solo immaginati nella sua mente.
«Grazie», cercò di dire senza balbettare. E in qualche modo ci riuscì. La sua voce risultò netta, limpida, leggermente emozionata, e leggermente presuntuosa. A Mad riusciva bene. Se la tirava un po’ magari, ma in fondo era la ragazza più umile sulla faccia della Terra. «Io sono Madeleine», aggiunse con un mezzo sorriso porgendogli la mano libera dal cappuccino.
Lo stava torturando, quel povero bicchiere.
E il riccio ridacchiò, davanti a tanto spirito d’iniziativa. Era la prima volta – la prima vita – in cui Mad si presentava prima di lui. E la cosa non gli dispiaceva… anzi, era il contrario. «Harry», mormorò con un sorriso con tanto di fossette facendole un elegantissimo baciamano.
Ma solo per un motivo. Vederla arrossire.
Detto fatto. La pelle di Madeleine prese praticamente fuoco, a contatto con le labbra del riccio. Rossa in viso, e giù, scendendo fino allo scollo della maglietta nera che indossava. Pochi secondi ed era diventata color fragola, solo con quel tocco minuscolo. Harry sorrise impercettibilmente. Ma Mad non riusciva a capire come potesse farle quell’effetto…
Harry invece stava ripercorrendo con lo sguardo il viso della ragazza che aveva davanti, mentre nello stesso momento ripercorreva i ricordi. Ogni vita in cui l’aveva amata, a volte da vicino, altre da lontano. Ogni vita in cui l’aveva salutata, a volte abbracciata, a volte baciata. Ogni vita in cui si erano uniti, in ogni modo possibile.
Ogni volta in cui il suo amore per lei era stato più forte del dolore della perdita. Ogni volta che i loro occhi si erano incrociati e lui si era sentito in colpa, perché ogni suo sguardo significava una fine, per Madeleine, prima o poi.
«Io… ti lascio lavorare», le disse dopo quella che ad entrambi parve un’eternità, lasciandole dolcemente la mano e sorridendole, per poi tornare da Cassiel, che parlava con Liam.
Ma che in realtà non gli aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
E si stava trattenendo dal sorridere come un’ebete, in effetti.
«Come sta andando?», gli chiese Cas legandosi i lunghi capelli ebano in una coda alta, sorridendo enigmaticamente, per poi prendere l’occorrente per ritoccare il tatuaggio del riccio. Lui le sorrise, con tanto di fossette, per poi stringersi nelle spalle.
«Mi è mancata così tanto, che non poterla stringere mi fa… male». Disse l’ultima parola in un sussurro, appena percepibile, in modo che lo sentisse solo la sua migliore amica. «Hai pensato all’eventualità che scelga Zayn?», le chiese poi, serrando la mascella.
Cassiel annuì piano, con un mezzo sorriso.
Avevano pensato a tutte le possibilità, lei e Kismet. Ma Harry non avrebbe dovuto pensare in quel modo. Doveva solo fare tutto il possibile perché Madeleine scegliesse lui. Avere il tempo di farsi conoscere, di farsi amare. Come aveva fatto tutte le altre volte.
Solo che questa volta Madeleine avrebbe conosciuto anche il demone dagli occhi cioccolato. Avrebbe avuto la possibilità di conoscere, abbracciare, baciare, amare, entrambi. E di scegliere.
«Devi lasciar scegliere lei, è questo il piano, Haz», gli disse dopo una manciata di secondi facendogli togliere la maglietta bianca che indossava e facendolo sdraiare su uno dei lettini. «Cosa ritocchiamo oggi?», aggiunse cercando disperatamente di cambiare argomento.
Il riccio ci penso su qualche istante, per poi posare lo sguardo sulla ragazza castana dall’altra parte del negozio, che era tornata a disegnare, canticchiando tra sé. E gli venne un’idea, che lo fece ridacchiare, e che fece impallidire Cassiel.
Lei non voleva che Harry corresse. Doveva andare con calma.
O l’avrebbero persa.
«Respira, Cas… voglio solo che mi tatui uno dei suoi disegni», la interruppe divertito alzando le mani, come se si stesse arrendendo. Aveva bisogno del contatto fisico con Madeleine, però, o sarebbe scoppiato. «Voglio che me lo disegni a mano libera sulla pelle».
L’angelo al suo fianco si rilassò visibilmente. Ma forse non aveva capito quello che voleva Harry. «Vado a prendere un pennarello, allora…», gli disse con la testa inclinata da un lato, curiosa di capire cosa avesse in mente il ragazzo semi sdraiato sul lettino.
Per tutta risposta scoppiò a ridere.
«Se ti dico Mosca, cosa ti viene in mente?», le chiese con un ghigno divertito.
A lui veniva in mente di quando si era finto malato di colera. E di quando una bellissima infermiera dai lunghi capelli castani e gli occhi nocciola si era presa cura di lui, steso su un lettino non molto diverso da quello su cui era sdraiato in quel momento. Era il 1848.
Una delle vite in cui Harry e Madeleine si erano solo guardati. E il massimo erano le carezze di Mad sulla sua fronte imperlata di sudore. Ma era comunque un suo ricordo. E nel profondo era anche un ricordo di Mad.
«No, Harry, no», lo fermò Cassiel prima che si potesse alzare e andare da Maddie di persona. Il ragazzo puntò i suoi occhi verde smeraldo in quelli dell’amica, sporgendo il labbro inferiore in fuori, cercando di persuaderla. Lei scosse la testa, divertita, e gli lasciò un bacio veloce sulla guancia, prima di alzarsi dal suo sgabello. «Ma mi devi un favore», borbottò andando verso la postazione della sua nuova (o vecchia, a seconda della prospettiva) amica.
Mad era completamente concentrata su quello che stava facendo, ma non amava avere gli occhi di qualcuno addosso mentre disegnava. Tutta quell’attenzione la metteva in soggezione. «Dimmi Cas», disse piano alla mora, sorridendo appena.
Ma senza distogliere lo sguardo dal blocco da disegno.
Lei prese un respiro profondo, attirando l’attenzione di Madeleine, che si mise a guardarla, con un sopracciglio elegantemente inarcato. «Te la senti di disegnare una delle tue piume… direttamente sulla pelle?», le disse tutto d’un fiato, tanto veloce che per un istante la ragazza credette di non aver capito.
Ma poi spostò lo sguardo su Harry, che si divertiva a scherzare su qualcosa che non riusciva a sentire con Eve. La vide ridere, passandosi una mano tra i capelli mogano, mentre il riccio spostava lo sguardo proprio su di lei.
«Su di lui?», le chiese, la voce più alta di un’ottava. Quasi stridula.
Cassiel si limitò ad annuire, cercando di reprimere una risatina. E sperando con tutta sé stessa che accettasse. Perché in fondo l’idea di Harry non era tanto male, da un certo punto di vista. «Ti prego, solo a pennarello, poi lo tatuo io».
Allora la ragazza rise, passandosi una mano tra i capelli perfettamente lisci e tirando fuori un pennarello dal cassetto del suo bancone. Cassiel sapeva essere convincente, c’era da ammetterlo. E poi Mad stava morendo dalla voglia di toccarlo.
Solo che, ancora una volta, non ne capiva il motivo.
«La piuma però la scelgo io, e anche il punto dove tatuarla», disse a Harry sedendosi dove poco prima stava seduta Cassiel. Lui annuì, visibilmente divertito, non capendo da dove venisse tutta quell’intraprendenza. Sicuri che quella fosse la sua Madeleine?
«Sono tutto tuo», le sussurrò in un orecchio, prima di sdraiarsi e lasciare che la ragazza iniziasse a disegnare, poco sopra la cresta iliaca destra. Un brivido gli attraversò la schiena, così come ne fu attraversata la schiena della ragazza.
Sì, quella era proprio Madeleine. La sua Madeleine.


 
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(askate, vi supplico in ginocchio, lol)

*e vi lascio con Eveline (Miranda Kerr), alla prossima.
ah, e già che siete qui, me la lasciate una recensione, vero?*

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Capitolo 5
*** 5. Like chocolate. ***


*buonpomeriggio splendori, yeeeh.
scusate il ritardo, anche se sono imperdonabile.
è che non riuscivo a partire col capitolo.
e odio essere banale e scontata, per cui non vi posterò mai un capitolo scontato.
nah, non è da me. quindi, spero che vi piaccia.
okay, ora evaporo. alla prossima bellezze c:
xx Fede.*





*ho anche fatto il banner, finalmente, yeeeh.
vi piace? a me tanto, troppo forse, lol*


5. Like chocolate.
 

All I can is I was
enchanted to meet you”.
 

A Zayn tremavano le ali dal nervoso. Avrebbe dovuto lasciare che Harry conoscesse Madeleine per primo, come stabilito dal piano di Cassiel e Kismet. Ma non riusciva a passeggiare tranquillamente per Los Angeles senza poter fare assolutamente niente.
Emise l’ennesimo sospiro nervoso, facendo ridacchiare il demone che camminava al suo fianco, con le mani infilate nelle tasche dei bermuda di jeans. Ma lo ignorò, come del resto era solito fare la maggior parte delle volte.
«Non ti facevo tanto pappamolle, Malik», gli fece notare Louis con un ghigno, accendendosi una sigaretta e portandosela alle labbra, ridacchiando tra sé. Dal canto suo, il moro gli avrebbe tirato volentieri un pugno. «Allora?».
«Che avresti fatto tu? Se ci fosse Cas al posto di Madeleine?», sbottò fermandosi di scatto e voltandosi verso di lui. Lo vide serrare la mascella all’improvviso, e stringere i pugni tanto forte da far sbiancare le nocche. «E’ la stessa cosa, Lou», aggiunse Zayn più dolce, dandogli una pacca sulla spalla.
E Zayn aveva ragione.                     
Louis era innamorato di Cassiel da parecchio tempo. Forse da sempre, dall’inizio di tutto. Da prima della caduta, quando erano ancora tutti angeli. Da prima della scelta tra bene e male. Quando Cassiel aveva scelto il Paradiso, e Louis aveva scelto Lucifero.
Si erano persi. Ma poi erano caduti, tutti quanti, sia angeli che demoni.
E si erano ritrovati, con le ali sanguinanti nel deserto dei Gobi, senza un posto dove ripararsi. Si erano presi cura l’uno dell’altro, lasciando da parte l’odio e ricordando l’amore che provavano da sempre. Si erano persi, allontanati, ripresi, un secolo dopo l’altro. Nonostante fosse proibito. Nonostante tutto.
Avevano continuato ad amarsi.
E a pensare di dover patire quello che passava Zayn a veder morire Mad di volta in volta… no, Louis non riusciva nemmeno ad immaginare come facesse, come riuscisse a resistere senza di lei. O come riuscisse a stare calmo a vederla tra le braccia di Harry. In realtà lo ammirava, parecchio.
«Cosa hai intenzione di fare, Zayn?», gli chiese allora, mentre camminando di stavano avvicinando al negozio di tatuaggi di Cassiel. Mentre nel frattempo Madeleine continuava a disegnare la piuma sull’addome di Harry. Mentre lei e il riccio si punzecchiavano come amici di vecchia data.
Zayn cosa aveva intenzione di fare?
«Se ti dicessi che ho un piano?», gli chiese di rimando, con un sorriso spettacolare sul volto. Sorriso che avrebbe steso chiunque avesse un minimo di ormoni in circolo. Sorriso che era tutto un programma.
Ormai erano a pochi metri dal negozio. E i due demoni potevano sentire la risata di Madeleine, da quanto erano vicini. Ma lei era ancora con Harry. E Zayn non sarebbe entrato. Non avrebbe rovinato tutto in quel modo. Anche perché non voleva vedere Harry, a dire il vero. Non voleva vederlo ridere con quella che era la ragione della sua felicità.
«Vado dentro… ci vediamo, Malik». La voce di Louis lo distrasse dai suoi pensieri, quando ormai erano davanti alla vetrina. Ma Zayn di limitò ad un cenno del capo, continuando a camminare per la sua strada, attento a non farsi vedere. A non farsi vedere da lei, ovviamente.
Proseguì lungo la strada, finché con nonchalance si infilò in un vicolo e spiegò le ali, che ancora vibravano dal nervosismo. Sentire la risata di Madeleine, unita a quella di Harry, lo rendeva nervoso.
E quella volta era anche più nervoso del solito.
Un salto ed era già al di sopra dei palazzi. Un paio di battiti di ali e si librava senza sforzo all’altezza delle nuvole. Lo facevano tutti i caduti, quando avevano bisogno di staccare dall’umanità. Quindi, non si sorprese più di tanto a trovare Storm sdraiato qualche nuvola sopra di lui, con le ali nere a ripararsi dal vento.
Storm era un demone. Come Zayn, Kismet e Louis. Ma allo stesso tempo era diverso da tutti loro. Storm aveva le ali nere, come loro, ma dorate, evanescenti, quasi come quelle degli angeli. Storm aveva amato un’umana. E l’aveva persa. Lui soffriva, giorno dopo giorno, senza riuscire a far nulla per provare a dimenticare.
Ed era quello che riusciva a capire Zayn più di tutti, in effetti.
«Ciao Zayn», lo salutarono in coro il demone biondo e dagli occhi grigi e la ragazza – demone anche lei – alla quale apparteneva la seconda serie di ali color tenebra, che Zayn non aveva notato, arrivando dal basso.
Capelli castani, corti. Occhi color nocciola e sempre brillanti. Un folletto, in sostanza.
Il moro represse una risatina al vederli abbracciati in quel modo. Ma in effetti Soraya era l’unica che riuscisse a stare a contatto con Storm senza il pericolo di essere attaccata. Verbalmente, o fisicamente. Non aveva importanza. Fatto sta che Storm si incazzava con chiunque, per la minima cosa. E attaccava, in qualsiasi modo.
Colpa del dolore represso, secondo Soraya.
«Devo accelerare le cose, o rischio di impazzire», disse loro sedendosi sulla nuvola accanto, con le gambe a penzoloni, mentre anche loro si mettevano a sedere, Storm seduto davanti e Soraya inginocchiata dietro, a giocare coi suoi capelli biondi, un mezzo sorriso a incresparle le labbra.
Il moro vide il ragazzo biondo inarcare un sopracciglio.
«Madeleine è legata a te… ti troverà lei, non c’è bisogno di fare la guerra con Harold», gli disse sinceramente. Si irrigidì appena, ma si calmò all’istante, sentendo le labbra di Soraya posarglisi appena sotto l’orecchio. «E va bene, cosa ti serve?», borbottò mentre la castana ridacchiava divertita.
Aveva più potere lei su Storm che chiunque altro, e lo sapeva perfettamente. Come fossero fratello e sorella. Come fossero migliori amici. Ma in realtà erano molto di più. Si erano curati le ferite a vicenda. Si erano aiutati. Un po’ come Cassiel e Louis, ma non ad un livello così profondo.
Zayn sorrise, lanciando un’occhiata a Soraya, che gli fece l’occhiolino.
Non l’avrebbe mai ringraziata abbastanza.

***
 
«Se la smetti di muoverti, magari…», disse Madeleine trattenendo una risatina. Harry non la smetteva di divincolarsi sotto il pennarello che scorreva deciso sulla sua pelle. Aveva quasi finito, ma con Harry che si muoveva in continuazione avrebbe dovuto ricominciare da capo… di nuovo.
Il riccio era divertito dal carattere di Madeleine. Era timida ma estroversa allo stesso tempo. Era strana come situazione, e pur di sentirla ridere e lamentarsi, si sarebbe mosso in continuazione per tutta la giornata.
Pur di sentire le sue dita addosso, l’avrebbe fatto.
«Agli ordini», le disse trattenendo a malapena un sorriso. La vide inarcare un sopracciglio, mentre con un sorriso continuava a disegnare sulla sua pelle, estraniandosi dal resto quanto più possibile.
Senza accorgersi che praticamente tutti gli angeli presenti nel negozio la stavano osservando, appena dietro di lei. Ma cercò di non farci caso. Cercò di finire il disegno velocemente – ma non troppo in fretta.
Voleva allo stesso tempo finire e non smettere mai di disegnare sulla sua pelle.
«A che punto sei, Mad?», le chiese all’improvviso Eveline, con un sorriso enorme sul volto. All’improvviso, tanto che per poco alla ragazza non scappò di mano il pennarello. All’improvviso, tanto che persino Harry si stupì della velocità con la quale fu costretto a fermarle la mano, che presa alla sprovvista stava per rovinare il bellissimo e faticoso disegno.
«Grazie», mormorò la castana puntando gli occhi in quelli verdissimi di Harry, e facendo comparire un sorriso con tanto di fossette sul suo volto. Si sentì arrossire violentemente, ma non ci fece caso, non quella volta. «Ho quasi finito, Eve», aggiunse senza staccare gli occhi da quelli del ragazzo.
Ma non appena riuscì a riprendere con disegno, la voce di Cassiel la interruppe. E stavolta nessuno riuscì ad impedirle di rovinare il disegno. «Che cazzo ci fai qui?», sentì urlare la ragazza dalla pelle color cioccolato. E per lo spavento le scappò il pennarello di mano, tracciando una linea netta su parte del disegno.
«Cazzo, Cas!», sbottò Madeleine voltandosi di scatto, facendo ridacchiare Harry, che la guardava, basito dalla sua reazione. Basito e stupito. Dal canto suo, Mad era tanto incazzata che scagliò a terra il pennarello e si alzò, scappando verso il retro, vicina alle lacrime. «Cazzo…», borbottò ancora, una volta nel vicolo dietro al negozio.
Cassiel intanto non aveva potuto far altro se non guardarla con gli occhi sgranati, per poi prendersela con Louis, che comparendo all’improvviso aveva causato tutto quanto. Lo spinse, forte, su una spalla. Ma senza smuoverlo di un centimetro, tanto che quando se ne accorse si ritrovò a qualche millimetro dalle sue labbra.
«Sei un coglione», borbottò, spaesata. Stava annegando nei suoi occhi.
«Però lo ami da seimila anni…», le fece notare Harry alzandosi dal lettino e seguendo Madeleine sul retro. Gli fece male al cuore vederla seduta su una pila di bancali di legno, con le ginocchia al petto e le lacrime agli occhi. «Ehi…», mormorò con un mezzo sorriso.
Fragile, come lo era stata sempre. Quella era la sua Madeleine.
«Senti, posso rifartelo domani? Non ce la faccio a finire il turno… è troppo…», ammise lei in un soffio asciugandosi velocemente una lacrima, che era sfuggita al suo controllo. Scese dai bancali con un saltello e senza aggiungere altro. Cercando di scappare da quel vicolo. Voleva solo andarsene.
«Posso offrirti la colazione, almeno? Per farmi perdonare di questo pasticcio», aggiunse grattandosi la nuca imbarazzato. Madeleine, che era ormai sulla porta, pronta letteralmente a scappare, fu costretta a bloccarsi, voltandosi con un mezzo sorriso. «Non è un appuntamento, se non vuoi».
Riuscì a farla ridere, chissà come. E a strapparle un cenno del capo, mentre si mordeva il labbro inferiore, come se stesse annuendo tra sé, ma allo stesso tempo ci stesse pensando. Come se non sapesse cosa rispondergli. Stava solo prendendo tempo, a dire il vero.
«Va bene, ci vediamo domattina, allora…», acconsentì sorridendo. E rientrò nel negozio di Cassiel un po’ più leggera. Ma raccogliendo le sue cose senza spiegare niente a nessuno. Uscendo di lì senza che quasi se ne accorgessero. Come fosse stata invisibile. Lanciò un sorriso a Harry e uscì di lì, nel sole di Los Angeles.
Prese un respiro profondo, cercando di spiegarsi quello che era appena successo.
Si era appena incazzata – praticamente per senza niente – con una ragazza straordinaria come Cassiel, che le aveva offerto un lavoro senza praticamente chiedere niente della sua vita o del suo passato. Era appena scappata, si era rifugiata in un vicolo e si era fatta consolare da uno sconosciuto. In più, aveva accettato di uscire, con quello sconosciuto.
E in quel momento stava passeggiando per il lungomare di Los Angeles, andando da tutt’altra parte rispetto a dove abitava. Cercando di smettere di pensare alla sensazione che gli provocava sfiorare le pelle di Harry. Cercando di smettere di pensare ai suoi occhi. Cercando di non pensare a quanto bene l’avesse trattata nonostante non la conoscesse e nonostante non fosse stata il massimo della compagnia, mentre gli disegnava addosso.
Si era pure preso la colpa per quel “pasticcio”.
E Madeleine doveva ammetterlo. Era stato proprio adorabile.
E le scappò un sorriso, camminando sul lungomare immersa nei suoi pensieri. Immersa nei suoi pensieri a tal punto che quasi non si accorse del ragazzo che le era appena finito addosso con lo skateboard, facendola finire a terra.
Imprecò, mentre lui sfrecciava via ridendo. E poté vederne solo i capelli biondi, la camicia sbottonata e i bermuda di jeans strappati. Cercò di tirarsi su, ma le faceva male la caviglia. Allora si passò una mano tra i capelli, borbottando qualcosa di incomprensibile persino alle sue stesse orecchie.
Finché un secondo ragazzo con lo skateboard non comparve nella sua visuale. Jeans strappati, canottiera bianca. Capelli neri tirati su in un ciuffo. Barba di un paio di giorni. Un mezzo sorriso a increspargli le labbra sottili ma allo stesso tempo carnose.
E poi, c’erano quegli occhi color cioccolato, cazzo.
Madeleine sbatté le palpebre un paio di volte, velocemente, cercando di smettere di fissarlo. Ma era impossibile. Non riusciva a smettere. E non solo perché fosse tremendamente bello e con quell’aria da cattivo ragazzo. Certo, anche, ma…
Era sicura di non averlo mai visto. Eppure le era familiare. Anche lui.
«Stai bene?», le chiese Zayn porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Se si fosse fatta male avrebbe tirato i capelli di Storm uno ad uno. Lei si limitò a fare una smorfia, lasciando che il moro la tirasse su. Cercò di appoggiare la caviglia a terra, ma non appena la sentì mugolare, Zayn le passò una mano intorno alla vita, imprecando a bassa voce. Non voleva che le facesse male, non era nei piani. «Scusa, domanda idiota…».
«Non è colpa tua… è quel cretino che…».
Cercò per la seconda volta di posare il piede a terra, ma per poco non si mise a urlare dal dolore, e fu costretta ad aggrapparsi al braccio di Zayn, graffiandolo, da tanto forte stava stringendo.
«Ti accompagno a casa, dai… così intanto penso ad un modo per farmi perdonare», aggiunse con un sorriso. Storm l’aveva colpita troppo forte, cazzo. Ma forse – egoisticamente – avrebbe dovuto ringraziarlo, invece di pensare a come strappargli i capelli uno ad uno. E Mad non ebbe nemmeno il tempo di pensare, che il moro la prese in braccio, mettendosi sotto braccio lo skateboard. La sentì ridacchiare, sorpresa.
«Che stai facendo?», riuscì a chiedere, ridendo. Stare abbracciata a lui le dava i brividi, letteralmente. Ma non perché avesse paura di lui, anzi. Più che altro come se sentisse di potersi fidare ciecamente. Però era piacevole come sensazione. «Non so nemmeno come ti chiami…», borbottò intimorita non appena i loro occhi si incrociarono.
«Zayn, piacere», le disse con un sorriso porgendole la mano sotto il cui braccio stringeva lo skateboard, per non farlo cadere. Lei la strinse sorridendo appena, e sentendo distintamente una scia di brividi scivolarle lungo la schiena.
«Madeleine», mormorò arrossendo, cosa che fece ridere il demone, che la teneva su come pesasse meno di una piuma. «E abito da tutt’altra parte…», si rese conto, guardandosi intorno, mentre Zayn la trasportava attraverso un parcheggio, e fino ad una fila di moto, fermandosi poi davanti ad una moto completamente nera, con due caschi appesi dalla sella.
«Solo se ti fidi, se no ti chiamo un taxi».
E lo stesso senso di smarrimento che aveva avuto Harry al vederla incazzarsi in quel modo con Cassiel, lo ebbe anche Zayn, quando Mad si limitò a ridacchiare e a lasciare che lui la facesse sedere sulla moto, attento a non toccarle la caviglia nemmeno per sbaglio. «Allora? Dai, su… non ho paura».
«E’ solo che non ti facevo il tipo da moto, tutto qui», ammise trattenendo una risata, ricordando una vita particolarmente esilarante, in cui per convincerla a fare il tour degli Stati Uniti in motocicletta ci aveva messo… troppo. Era morta prima che potessero partire. Pensiero che fece svanire il sorriso dal suo volto, e che fece preoccupare Madeleine.
«Va tutto bene?».
«Sì, tranquilla… la mia ex odiava le moto», le spiegò sorridendo appena, inventando la prima bugia che gli venne in mente. E Madeleine sembrò crederci, perché gli rivolse un sorriso imbarazzato, come se le dispiacesse di aver tirato in ballo la sua ex.
Non sapendo che era proprio lei, la ragazzi di cui parlava Zayn.
Fatto sta che si stava fidando. Lasciò che le mettesse il casco. E lasciò che portasse le sue mani sui proprio addominali. Si strinse a lui, cercando di tenere la caviglia immobile, in modo di non farsi più male di quanto già sentisse.
E fatto sta che mezz’ora dopo si fece aiutare a scendere dalla moto. Si fece riprendere in braccio, senza imbarazzo. E suonò il campanello di casa, sperando che sua madre ci fosse. «Hai pensato a come farti perdonare?», scherzò, mordendosi il labbro inferiore per non ridergli in faccia.
«Se ti chiedessi di uscire?», gli chiese lui, facendole inclinare la testa da un lato.
Era il secondo che le chiedeva di uscire per farsi perdonare, nello stesso giorno. Che fosse un caso? No, lei non aveva mai creduto nel caso. Né nel destino. O nell’amore a prima vista. Non aveva motivo per crederci, a dirla tutta.
«Va bene», si arrese ridendo, mentre lui la metteva giù, e finalmente sua madre arrivava ad aprire la porta, accigliandosi vedendola in quello stato. Con un ragazzo, per di più. «Ci vediamo domani, Zayn», aggiunse facendo per allontanarsi, ma lui la prese per un polso e tirò fuori un pennarello dalla tasca dei pantaloni.
Inarcò un sopracciglio, per poi arrossire violentemente, al vederlo scrivere quello che doveva essere il proprio numero di telefono sulla sua mano. «A domani, bellissima», le disse in un sussurro lasciandole un bacio sulla guancia, per poi sparire verso la sua auto, lasciandola imbambolata a ripensare alle mille sfumature del suo sorriso.


 


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Capitolo 6
*** 6. You're weird. ***


*sì, so di essere in ritardo.
eppure, aggiorno prima di Natale, nonostante siano calate le recensioni.
in fondo non mi interessa. quindi, grazie a chi continua ad esserci c:
vi lascio direttamente al capitolo.
e se non ci sentiamo, buon Natale e buon anno meraviglie.
alla prossima, xx Fede.*






6. You’re weird.
 

I am, the future you lost in the past”.

 
 
Ehi, sono Harry… ho chiesto il tuo numero a Cas, per domattina… va bene se ci vediamo davanti a Starbucks alle otto? Notte bellissima. – Harry.
Perfetto alle otto, a domani… Notte Harry. – Mad.
 
Sarei dovuta essere io a darti il mio numero, non tu… è imbarazzante, pffff. – Mad.
Non mi sembravi tanto imbarazzata quando ti stringevi a me, Madeleine. A domani principessa, buonanotte. Mi faccio sentire io. – Zayn.
 
Così Madeleine quella sera era arrossita due volte. La prima, al messaggio di Harry. E la seconda, alla risposta di Zayn. Bellissima. Principessa. Stava passando dall’essere la ragazza meno considerata dall’intero genere umano maschile, all’ottenere due appuntamenti in un giorno e ricevere messaggi del genere.
E aveva sorriso per tutta la durata dell’interrogatorio della madre. Chi fosse Zayn, cosa avesse fatto alla caviglia. Perché non la smettesse di sorridere. Ma quello a dire il vero non lo sapeva nemmeno lei. Sorrideva e basta, come non aveva mai fatto. Ma solo perché non aveva mai avuto motivo.
Ora di motivi ne aveva addirittura due, in un colpo solo.
Aveva sorriso prima di cena, durante la cena, e dopo cena. Col ghiaccio sulla caviglia, in modo da sgonfiarla, e sotto la doccia fredda, in modo da spegnere i bollenti spiriti. In modo da spegnere il sorriso. Ma no, non era servito a niente. Aveva sorriso fino al momento in cui le si erano finalmente chiusi gli occhi ed era entrata nel mondo dei sogni.
«Piccina, sei già sveglia?», le chiese la madre la mattina dopo, mentre lei saltellava allegramente giù per le scale. Niente dolore alla caviglia. Era solo un po’ gonfia, ma niente di preoccupante. Inarcò elegantemente un sopracciglio, come a chiederle che ci facesse lì. Quella era casa sua, l’appartamento che si pagava da sola per non pesare sui suoi genitori tristemente divorziati. «Faccio colazione e vado, te lo giuro… vuoi qualcosa?».
Madeleine scosse la testa sorridendo, lasciandole poi un bacio su una guancia.
«Faccio colazione con Harry», fu la sua scusa, che la fece arrossire appena. Persino il suo nome, detto dalle sue stesse labbra, la faceva avvampare. Com’era possibile? E la madre se ne accorse, mandando poi di traverso un sorso di caffè. No, quella non era sua figlia, dovevano averla rapita gli alieni.
«Che non è il ragazzo di ieri…».
Mad rise, scuotendo poi la testa e recuperando la borsa e le chiavi di casa, che tanto avrebbe sicuramente perso nei meandri della borsa stessa. Poco ma sicuro. Camminò lungo il vialetto legandosi i capelli in una coda alta, per poi bloccarsi all’improvviso, trovandosi di fronte un Range Rover nero, coi vetri oscurati.
Moto nera. Auto nera.
Ma non era chi si sarebbe aspettata. Era il suo opposto.
Sollevò entrambe le sopracciglia, mentre il finestrino veniva abbassato più che lentamente, a rivelare un paio di fossette, due occhi verde prato e un ciuffo di capelli ricci tirati indietro. E si ritrovò a scuotere la testa divertita. Era strana come situazione, ma decisamente divertente.
«Che ci fai qui?», gli chiese incrociando le braccia sotto al seno e restando ferma a poco più di un paio di metri dall’auto. Ogni pensiero positivo che potesse fare la sua mente, stava urlando, a caratteri cubitali, la parola “stalker”. Perché quasi nessuno sapeva dove abitasse. «Ti ha detto Cas dove abito…», mormorò imbarazzata rendendosi conto.
E Harry annuì, ridacchiando. Era proprio divertente vederla arrossire. Anche se non gli piaceva mentirle in quel modo. Non gli piaceva tenerle nascosto tutto un mondo, che probabilmente non avrebbe mai scoperto.
«Se non vuoi un passaggio ti aspetto davanti a Starbucks…», buttò lì con un sorriso, mentre Madeleine spostava il peso del corpo da un piede all’altro, fingendosi indecisa. Ma poi annuì con un sospiro, come se sentisse di dover salire in macchina e andare con lui. Come se Harry la calamitasse a sé. «Buongiorno», aggiunse continuando a sorridere e sporgendosi per darle un bacio su una guancia.
Lei arrossì violentemente a quel contatto, e borbottò quello che doveva essere un “buongiorno”, ma che sembrava tutto tranne che quello. Borbottio che fece ridere Harry, di gusto. «Non mi prendere in giro, non è divertente…», gli disse a voce appena più alta mettendo il broncio, mentre lui metteva in moto l’auto e guidava verso il centro. «Perché mi hai chiesto di uscire?».
A quel punto Madeleine era voltata verso di lui. Aveva sbollito l’imbarazzo, e sentiva di doverglielo chiedere. Perché si era sentita inadatta agli appuntamenti per anni, e ora tutti le chiedevano di uscire. Era… strano.
«Per scusarmi… è stata mia l’idea di farti disegnare direttamente sulla pelle…», ammise con un mezzo sorriso, guardandola con la coda dell’occhio. Quindi, si stava prendendo la colpa… di tutto. Della sua reazione spropositata verso Cassiel, su tutto. «Ma ti avrei chiesto di uscire lo stesso, tranquilla», ammise voltandosi per stordirla con un sorriso.
E Madeleine si ritrovò a schiudere le labbra, sorpresa.
Non si aspettava una risposta del genere, proprio no.
«Sei serio?». Lo vide annuire, sorridendo, mentre si passava una mano tra i ricci. Perché Madeleine era la classica ragazza bella ma che non se ne rende conto. Una ragazza normale, ma in un contesto tutt’altro che normale. «Allora sei strano, è ufficiale», aggiunse quando una decina di minuti dopo Harry si precipitava ad aprirle la portiera.
La guardò con un sopracciglio inarcato, trattenendo una risata.
«Sicura che sia io quello strano?».
«Beh, stai uscendo con me, mi sei venuto a prendere, mi hai chiamata bellissima, e…». Harry alzò gli occhi al cielo, per poi voltarsi all’improvviso e posarle due dita sulle labbra, facendo scontrare i colori tanto differenti delle loro pupille. E facendole perdere un battito.
«Penso davvero che tu sia bellissima, Maddie», le fece notare chiamandola apposta con quel diminutivo, tanto per vedere la sua reazione. La vide sbattere velocemente le palpebre, come se non se l’aspettasse. Per poi… arrossire. Un po’ per il complimento in sé. Un po’ per come l’aveva appena chiamata. «Quindi, ora andiamo a fare colazione? Sto morendo di fame», mormorò staccando le dita dalle sue labbra e scostandole una ciocca di capelli dal viso.
E mentre Madeleine conosceva Harry, e lui la guardava estasiato come se non l’avesse mai guardata, Kismet non riusciva a smettere di ridere e saltellare. Zayn le stava raccontando del pomeriggio precedente, quando Storm era andato addosso a Mad e lui l’aveva “salvata”, se così si poteva dire.
Smise di agitare le braccia e di ridere solo quando sentì la presenza di Celestine. Vicino, tanto vicino. Tanto vicino da farle battere il cuore all’impazzata, e senza ancora averlo visto. Ma quando i suo occhi si intrecciarono con quelli scurissimi dell’angelo di cui era innamorata da sempre… perse un battito. E due, tre. Smise di respirare, fino a che Zayn non le si parò davanti, sorridente.
«Vai da lui… io me la cavo», le disse facendo spallucce.
Sapeva perfettamente che quando c’era Cel, per Kismet non esisteva nessun altro. Sapeva che quei due avevano occhi l’una per l’altro. Sapeva che erano tanto diversi per stare insieme, eppure stavano insieme lo stesso, fregandosene dei giudizi altrui.
Zayn ridacchiò, al vederla indecisa, allora le stampò un bacio su una guancia e si allontanò, anticipandola. In fondo – molto in fondo – Celestine gli stava simpatico. E poi, vedere la propria migliore amica sorridere in quel modo, era semplicemente una delle cose più belle che avesse mai visto.
«Sicuro, Zayn?», gli chiesero in coro Celestine e Kismet, facendolo ridere.
E voltandosi per rispondere, gli venne un’idea. Aveva davanti a sé il molo di Santa Monica. E gli venne da sorridere, mentre cadeva in un flashback. Lui, e Madeleine, sulla London Eye, un paio di vite prima.
Certo, la ruota panoramica non era la stessa, nemmeno lontanamente.
Ma era sempre lei. E sempre lui. Sempre loro, anche se in un’epoca diversa e in un luogo completamente differente. A Zayn venivano in mente i bei momenti passati con lei, prima che gliela portassero via.
«Forse mi serve una mano», ammise passandosi una mano tra i capelli. E forse stava vivendo nel passato, sperando che riportando a galla una delle loro vite insieme, Madeleine potesse ricordare. Forse era sciocco. Ma non poteva importargliene di meno, a dirla tutta.
Zayn odiava chiedere aiuto, se non in casi disperati. O in situazioni di vita o di morte. Se non quando si trattava di Madeleine, in sostanza. Harry invece se la cavava benissimo anche da solo, a quanto pareva.
«Ti prego, dimmi che stai scherzando», le disse Harry scoppiando a ridere. Piegato in due, e tenendosi addirittura la pancia, da quanto stava ridendo. Madeleine alzò gli occhi al cielo, continuando a camminare e superando l’auto del riccio. Gli aveva raccontato una cosa personale. Divertente, certo. Ma personale.
E lui non la smetteva di ridere. Insopportabile.
«Fottiti, Harry… vado a piedi», gli disse di rimando, mostrandogli il medio. Ma con un meraviglioso sorriso sulle labbra. Meraviglioso, anche se lui non lo poteva vedere, dato che lei gli dava le spalle. Non poteva vederlo, ma poteva pur sempre immaginarlo.
«Dai, Mad… era divertente», la bloccò correndole dietro e prendendola per un polso. Lei inarcò un sopracciglio, cercando di non ridere, mentre lui sporgeva il labbro in fuori. La faccia da cucciolo migliore della storia, bisogna ammetterlo. «Eri una ragazzina adorabile, ne sono sicuro», aggiunse ridacchiando, alludendo al racconto di poco prima.
Madeleine gli aveva raccontato del primo ragazzo che aveva avuto. Del primo bacio che gli aveva dato. E di come baciandosi, lei e il ragazzo avessero camminato fino ad arrivare ad un albero… e di come Madeleine fosse inciampata in una radice, facendo ridere il ragazzo, che nemmeno si degnò di tirarla su.
Situazione esilarante. A cui Harry aveva assistito, seppur da lontano.
«Non mi corromperai con quel bel faccino, te l’assicuro», gli disse puntandogli un dito contro, facendogli inclinare la testa da un lato. Compiaciuto, decisamente. E la ragazza arrossì, rendendosi conto di quello che gli aveva detto. Ma era più forte di lei, gli veniva naturale giocare in quel modo con Harry. «Io volevo dire…».
Harry scosse la testa, ridendo. Era incredibile. «Volevi dire che ti farai dare un passaggio da questo bel faccino, giusto?», scherzò indicandosi con un sorriso. Mad ridacchiò, dandogli una spinta e strappandogli le chiavi dell’auto di mano, per poi mettersi a correre, facendolo ridere.
Ma Madeleine non poteva immaginare di avere a che fare con un angelo.
Un angelo, che in meno di due secondi la raggiunse e la prese per i fianchi, sollevandola da terra. E sentirla ridere era davvero la fine del mondo. Fosse morta in quell’istante, Harry avrebbe avuto la forza di aspettarla, ancora e ancora, all’infinito. Come aveva sempre fatto.

***
 
Era pomeriggio inoltrato. E Zayn si stava rigirando il cellulare tra le mani da quella che poteva sembrare un’eternità. Soraya e Kismet svolazzavano ridendo. Su e giù. Dal suolo e qualche metro di altezza, e ritorno. E riuscirono a distrarre il moro dallo stato in cui si trovava solo quando Celestine prese al volo Kismet e la lanciò in aria, facendola ridere più forte e volare più in alto.
Zayn se la trovò davanti, a mezz’aria, che rideva felice, mentre lui combatteva contro la sua indecisione, seduto sulla cima della “H” della scritta di Hollywood. «Odio non sapere come comportarmi con lei», ammise mentre la sua migliore amica gli si sedeva accanto, ritirando le ali e prendendogli una mano.
«Hai sempre saputo come comportarti con lei, Zayn… e non è cambiato niente, siete sempre voi», gli disse intrecciando le dita delle loro mani e stringendo appena la presa. Gli voleva un bene inimmaginabile, immenso. E vederlo in quel modo faceva male, tanto. «Devi avere fede».
Sentirono entrambi la risata di Celestine, da terra. In effetti era un gran bel paradosso. E Kismet non si era nemmeno resa conto dell’ironia della cosa, all’inizio. Ma alla risata dell’angelo non poté far niente se non ridere con lui, trascinando con sé anche Zayn.
Chiedere di avere fede ad un demone. Molto, molto strano.
«Chiamala», gli disse poi Kismet, appena prima di buttarsi nel vuoto e atterrare in punta di piedi, senza nemmeno l’ombra di un graffio.
Così Zayn si fece coraggio e digitò il numero di Mad, mentre lei sfogliava la sua copia consunta di Cime Tempestose, lanciando di tanto in tanto un’occhiata al telefono, convinta che Zayn le stesse dando buca. Perché con Harry aveva passato una mattinata fantastica, certo. Ma la curiosità di conoscere Zayn la stava divorando, distruggendola dall’interno.
Quindi, immaginate la fine che fece il romanzo tra le mani della ragazza quando vide lo schermo del proprio cellulare illuminarsi, col nome del moro stampato sopra. Una manciata di istanti, e finì sul pavimento, senza quasi che Madeleine se ne accorgesse.
«Ehi», rispose semplicemente, sentendo sferragliare le chiavi nella serratura. Sua madre stava mettendo le tende a casa sua, a quel punto. Ma Zayn non poté far altro se non sorridere. Almeno gli aveva risposto. Era già un traguardo.
«Non sembri sorpresa».
Mad rise, chiudendo la porta della camera da letto a chiave, come faceva quando ancora viveva con i suoi e non voleva che la disturbassero quando era al telefono. «Tu invece sembri sorpreso che mi sia fidata quando mi hai detto che ti saresti fatto sentire», ribattè ridacchiando.
Zayn rise con lei, cercando di ignorare Soraya, che era comparsa al suo fianco, con le dita bellamente incrociate. «Fatti trovare pronta per le otto, va bene?», le disse con un sorriso passandosi una mano tra i capelli e tirandone le punte, nervoso. La sentì ridere, e borbottare qualcosa di non troppo comprensibile.
«Cos’hai in mente?».
«Preparati ad essere stupefatta… ah, e niente vestitini eleganti o cose del genere». Stavolta Madeleine rise più forte, per poi annuire, come se Zayn potesse vederla. «A dopo, principessa…», aggiunse il demone dopo una manciata di secondi, facendola arrossire violentemente.
E come se non bastasse quasi non le cedettero le gambe, quando portandosi una mano sul cuore lo sentì battere all’impazzata, come volesse uscirle dalla cassa toracica. Ma fu un attimo, prima che si rendesse che mancavano meno di due ore all’appuntamento con Zayn. Al che, imprecò, aprendo di scatto la porta di camera sua e quasi scontrandosi con sua madre.
«Non ora, mà… è tardi», borbottò superandola e spogliandosi, mentre camminava verso il bagno. E per una volta le diede ascolto, in modo che Madeleine potesse prepararsi senza essere disturbata. Non le importava dei problemi della madre, non quel giorno. Era come se sentisse che per una volta dovesse preoccuparsi per sé, e per nessun altro.
E non era una brutta sensazione.
Ma evidentemente arricciando i capelli doveva averci messo più del dovuto. Oppure a forza di pensare non si era accorta della scorrere del tempo, perché quando alle otto precise Zayn suonò alla porta lei era ancora mezza nuda. «Oh bene…», si lamentò infilando in fretta un paio di pantaloncini a vita alta e una canottiera, con sopra un cardigan blu notte. Un paio di scarpe dello stesso colore del cardigan, borsa e cellulare, e si mise a correre per l’appartamento, scoprendo poi che la madre aveva già aperto a… «Cazzo», le scappò vedendo Zayn. Un paio di jeans aderenti e una canottiera, con sopra una felpa.
Uno spettacolo.
«Anche tu non sei niente male, sai?», ribattè il moro prendendole una mano e facendole fare una giravolta, che la fece ridere. La paura di avere esagerato col trucco o coi capelli arricciati svanì, nell’istante esatto in cui si guardarono negli occhi. «Sei bellissima», aggiunse in un soffio, leggermente malinconico.
Ma Madeleine non ebbe il tempo di ribattere, o di chiedere il motivo di quell’improvviso cambio d’umore, che Zayn l’aveva già trascinata fuori casa, fatta salire sulla sua moto ed erano partiti. Schiena contro seno, mani contro addominali, cosce contro cosce. Capelli svolazzanti nella notte.
E buio, tanto buio. Quel buio tipico della periferia di Los Angeles. Il buio tipico dell’autostrada semi deserta. Il buio intervallato dalle luci delle poche case intorno a loro, o dai pochissimi lampioni funzionanti. Finché Zayn non fermò la moto, nel buio più totale, se non fosse stato per le luci delle bancarelle e delle giostre che abitavano il molo di Santa Monica.
Completamente deserto, per l’occasione.
Zayn non avrebbe mai ringraziato Kis e Cel abbastanza.
Madeleine invece era completamente a bocca aperta, completamente senza parole. E decisamente stupefatta. Adorava il molo di Santa Monica, ma non l’aveva mai vissuto veramente. C’era sempre stata troppa gente, troppa confusione. Non c’era mai stato spazio per i pensieri.
Ma non quella sera. Erano solo loro due, nel buio. Lui, ad osservare il sorriso di lei mentre passavano da un chiosco all’altro. E lei, a chiedersi come avesse fatto a far aprire il molo solo per loro due.
«Zayn, non so cosa…».
«Ti piace?», la zittì all’improvviso mentre salivano sulla ruota panoramica. Madeleine si limitò ad annuire, non fidandosi della propria voce. Perché nessuno era mai stato in grado di stupirla. Nessuno aveva mai fatto così tanto per lei.
«Lo adoro, grazie», mormorò con un filo di voce mentre la ruota saliva, fino a fermarsi sulla cima. Scostò lo sguardo dal panorama fenomenale di Los Angeles solo per voltarsi verso Zayn e stampargli un bacio sulla guancia. Molto, molto vicino alle labbra. «Sei un angelo», aggiunse accoccolandosi contro di lui e posando la testa sulla sua spalla.
E Zayn sorrise, scuotendo leggermente la testa. Un angelo. Buona questa.


 
 
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Capitolo 7
*** 7. Decisions. ***


*sto aggiornando quasi in tempi decenti, yeeeeh.
allora... spero che abbiate passato delle feste migliori delle mie.
uno schifo e una tristezza che non vi dico.
ma non vi interessa, ovviamente. comunque, vi lascio alla lettura.
e spero vivamente che il capitolo vi piaccia.
perchè, strano ma vero, a me piace. anche se è stato un parto scriverlo.
poi? ah, sì. mi stavo dimenticando.
dovrei mettervi le foto dei prestavolto. solo che non riesco, ve le metto la prossima volta.
comunque, tanto per darvi un idea...
Soraya è Emma Watson, Storm è Tom Felton, Skylar è Trey Songz, e Remember è Jessica Lowndes.
le foto al prossimo capitolo, se mi ricordo, lol.
okay, evaporo. alla prossima bellezze c:
xx Fede.*






7. Decisions.
 

J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans.
(Ho dentro più ricordi che se avessi mille anni.)
 

Un mese dopo.

Decisioni, su decisioni, su decisioni. Se ne prendono tutti i giorni, giorno dopo giorno, da sempre. E all’infinito. Tutti dobbiamo decidere, di qualsiasi cosa si tratti.
Ad esempio, Zayn e Harry avevano deciso – di comune accordo, stranamente – di andarci piano. Di permettere a Madeleine di conoscere entrambi. Con calma e senza fretta. Cassiel aveva deciso di fregarsene delle regole, stando con Louis come mai aveva fatto. Lo stesso per Celestine, che con Kismet si era trattenuto tante di quelle volte che ormai era finito per perderne il conto.
Tutti dobbiamo prendere decisioni, che esse ci piacciano oppure no.
E Madeleine? Oh, lei dal canto proprio ne aveva parecchie di cose da decidere. Se lasciare i capelli sciolti o legarli, quella mattina. Se fare colazione a casa o al bar. Se cacciare sua madre di casa oppure no. Doveva anche decidere cosa farsi tatuare da Cassiel.
E beh, se le fosse rimasto del tempo, magari anche scegliere tra Harry e Zayn.
Capelli castani e ricci o capelli neri come la notte e sempre perfettamente scompigliati? Occhi verde prato o color cioccolato? Auto o moto? Maglietta bianca o canottiera nera dei Nirvana? Sorriso con fossette o senza? Il modo di abbracciarla di Harry o quello di Zayn? E… stava meglio con il riccio o con il moro?
Angelo o demone?
Harry o Zayn?
«E’ difficile, vero?», le chiese Cherubiel quel pomeriggio sedendosi accanto a lei mentre ritoccava uno dei disegni del suo album. Si ritrovò ad arrossire, rendendosi conto di avere un ritratto di Zayn e uno di Harry. Uno accanto all’altro. «Immagino… sono entrambi due ragazzi favolosi», aggiunse facendola quasi strozzare con la saliva.
Mad si voltò velocemente verso la bionda, con gli occhi sgranati. Non sapeva che conoscesse anche Zayn. Non l’avrebbe nemmeno immaginato. Ma Cher si mise a ridere, scuotendo una mano come per minimizzare la cosa.
«Eh, no… non te ne vai così», le disse la castana, stranamente allegra, prendendola al volo per un polso. «Come conosci Zayn?». La sua era semplice curiosità, certo. Non poteva sapere tutto il mondo che c’era dietro. E dal canto proprio la bionda cercò di non far vedere quanto l’avesse turbata quella domanda.
«Cliente del negozio, vecchio amico… ed è il migliore amico di Kismet», aggiunse cercando disperatamente di cambiare argomento. Le era tornato a galla un ricordo, più doloroso degli altri. Lei, che sceglieva di stare dalla parte del Trono. E lui, che guardandola negli occhi si rifiutava di scegliere. E lei, che scoppiava in lacrime, un attimo prima che la caduta li prendesse tutti.
Ma per fortuna riuscì a far cambiare argomento a Mad. Per fortuna, o sarebbe scoppiata in lacrime, forse senza nemmeno accorgersene. «Kismet lo conosce? Oh, cazzo…», borbottò la castana, decisamente sorpresa dalla piega che stava prendendo quella conversazione. «Quindi Harry e Zayn si conoscono», aggiunse dopo un attimo, più tra sé che rivolta a Cherubiel. Dire che non ci poteva credere era dire poco.
«Chi conosce chi?». La voce di Harry, bassa e roca, a pochi centimetri dal suo orecchio, fece venire i brividi a Madeleine. Oltre che farle quasi venire un infarto. Ma ormai si stava abituando al fatto che comparissero tutti sempre praticamente dal nulla.
Poi lo sguardo di Harry di posò sui due disegni e realizzò quello che in realtà già sapeva. Che Madeleine stava uscendo anche con Zayn. Gli scappò una risata nervosa, quasi isterica. E lasciò che la ragazza di voltasse verso di lui e gli prendesse il viso tra le mani. «Ti prego, dimmi che non ho riacceso una vecchia faida o qualcosa del genere…», mormorò la ragazza, sinceramente dispiaciuta.
Ma Harry non ce la fece a sorridere, non in quella circostanza. Non in quel momento. Dimmi che non ho riacceso una vecchia faida. Cazzo, non avrebbe potuto dirlo in modo più azzeccato. Che avesse capito? La guardò negli occhi, che le erano appena diventati lucidi. E tentò un sorriso. Non poteva aver capito.
E odiava almeno quanto lui trovarsi in una situazione del genere.
«Diciamo che Zayn non è il mio migliore amico», ammise il riccio. Mad si era allontanata di mezzo passo, mordicchiandosi il labbro. Non riusciva a credere che due ragazzi tanto diversi si conoscessero. Come non riusciva a credere a tutta quella situazione. Era un gran casino, detta il più semplicemente possibile.
«Voi due… siete entrambi spettacolari… e lo so che devo scegliere, ma…».
«Io ti voglio bene, tienilo conto quando ti deciderai su chi scegliere con chi continuare a uscire, okay?», ribattè il riccio posandole due dita sulle labbra, prima che potesse continuare la frase. La vide sbattere velocemente le palpebre, come se non se l’aspettasse. Ma era proprio così che doveva andare.
Harry stava solo cercando di non spingerla alla scelta. Di non fare pressioni. Come se implicitamente le stesse dicendo di prendersi tutto il tempo che le serviva per scegliere. E le voleva bene, era la cosa più vera che le avesse detto in quel mese.
Solo che non era proprio tutta la verità.
Ad un occhio allenato era evidente quanto la amasse, si notava da chilometri di distanza.
«Okay», fu l’unica cosa che Madeleine riuscì a sussurrare, mentre Harry si allontanava da lei, per poi uscire dal negozio di Cassiel sbattendo la porta. Calma apparente. Si dice così, no? Quando una persona sembra totalmente calma e a suo agio, e poi esce di scena scatenando il putiferio. «Sto bene…», si costrinse ad aggiungere vedendo Cher ed Eve avvicinarsi.
«Tesoro…».
Madeleine si accorse appena della voce di Cherubiel, così soffice alle sue orecchie. Se ne accorse appena, tra le braccia di Eveline. Le ragazze dell’Angels Tattoo avevano legato parecchio con la castana. E non tanto perché la conoscevano già. Erano davvero diventate amiche.
«La mia vita non è mai stata tanto incasinata», borbottò Mad mentre Eve continuava a stringerla a sé, accarezzandole dolcemente i capelli. L’angelo sorrise, lasciandole un bacio sulla testa. Sapeva perfettamente come si sentiva. Eveline era particolarmente empatica, se così si può dire. Percepiva ogni singola sensazione di chiunque volesse.
«Lo so, Mad… io penso che tu debba parlare con entrambi… e magari baciarli, finalmente».
Eveline non aveva tutti i torti. Anzi, a dire il vero aveva perfettamente ragione. Solo che Madeleine non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura. Baciarli. Era terrorizzata. Insomma, non che non avesse mai baciato qualcuno, ma con Harry e Zayn era diverso. Erano amici. Voleva bene ad entrambi. Ed era attratta da entrambi, nella stessa misura in cui sentiva di volergli bene.
Ma baciarli. Non che non volesse. Sentiva come l’indecisione lasciarle una voragine al centro del petto. Chi avrebbe dovuto baciare per primo? E poi, baciando il secondo si sarebbe sentita come se stesse tradendo il primo.
Sbuffò, allontanandosi appena da Eve, che scoppiò a ridere.
«Non so… che casino, cazzo!».
«Baciali nell’ordine in cui li hai incontrati», buttò lì Cherubiel, prima di nascondere il viso dietro ad una rivista, per nascondere l’enorme sorriso sul suo volto. L’altro angelo ridacchiò, mentre Cassiel entrava nel negozio, mano nella mano con Louis.
«Quindi, prima Harry e poi Zayn… mi sembra di discriminarlo, poverino», aggiunse con un mezzo sorriso alludendo al moro. Aveva conosciuto Harry per primo. Ed era uscita con lui per primo. Come se Zayn venisse per secondo, come se fosse la seconda scelta.
«Prendo la macchina o no?». La voce della bionda interruppe prepotentemente il flusso dei suoi pensieri, facendole inarcare un sopracciglio. Eveline sorrise sardonica, prima di rimettersi al lavoro, mentre Cherubiel giocherellava con le chiavi della sua Mini giallo canarino. «So io dove trovare Harry… allora?», aggiunse dopo un attimo, vedendo l’indecisione prender possesso degli occhi della castana.
Andare o non andare?
Fare una pazzia del genere o no?

***

Harry e Skylar non erano mai stati migliori amici. Mai, nemmeno quando era cominciato tutto. Non si odiavano. Ma nemmeno morivano dalla voglia di stare insieme tutta la vita. Ma, ecco… Sky e Mad erano stati insieme. E la castana lo considerava come si considera un fratello, o qualcosa del genere.
«E’ strano che tu sia venuto da me», borbottò il ragazzo dalla pelle scura passando al riccio quello che aveva tutta l’aria di essere uno spinello. Ma non un semplice spinello. Arricchito di quella che gli umani chiamavano erba del diavolo. Una semplice erba medicinale, per gli esseri umani. Per gli angeli e i demoni alcune erbe erano come la cannabis. Come droga. E una di quelle era proprio l’erba del diavolo. E si dà il caso che Skylar fosse come un fornitore ufficiale, in un certo senso. Una specie di spacciatore.
«Ho bisogno di smettere di pensare…».
«Problemi con Mad?», gli chiese guardandolo prendere un tiro abbastanza profondo dalla sigaretta. Il riccio mugolò qualcosa di non troppo comprensibile, sdraiandosi sulla sabbia e chiudendo gli occhi. «Vacci piano con quella roba, Harold», aggiunse ridacchiando, al terzo tiro.
Ma ancora Harry non aveva risposto alla sua domanda.
«Ho bisogno di lei», mormorò il ragazzo dagli occhi verdi facendo spallucce, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. Beh, in effetti per lui lo era. «Ho bisogno di stringerla, di baciarla, di… lo sai Sky».
«Sì, penso che lo sappiano tutti ormai… ciao ragazzi». Harry aprì gli occhi con una smorfia, trovandosi davanti l’ultima dei demoni che avrebbe voluto rivedere. Mora, capelli lunghi e mossi, occhi del colore del cielo più azzurro. Stronza di prima categoria. «Ti struggi ancora per quella, Harold?».
Harry si trattenne dall’alzarsi e tirarle un pugno. Ma solo per la presenza di Cherubiel e Madeleine nella vicinanze. O probabilmente l’avrebbe fatta a pezzi, senza alcuna pietà. «Remember, chiudi il becco», le disse acido, mettendosi a sedere e passando lo spinello alla mora, in modo da farla stare zitta.
La sua voce gli dava ai nervi. Tutto di lei, gli dava ai nervi, a dirla tutta. Anche se non era sempre stato così. Una volta Harry le voleva bene. Molto bene, forse troppo, considerando il fatto che era un demone. Poi lei rovinò tutto con una frase. Credi negli angeli, piccola Maddie? E Mad era morta, presa dai Nephilim nel giro di dieci minuti.
Harry non aveva mai capito perché l’avesse fatto.
Ma non poteva essere più semplice. In una parola: gelosia.
«Oh, guarda chi arriva…», borbottò la mora sbuffando fuori il fumo e sedendosi ridacchiando tra le gambe di Skylar. Il suo debole per lui era evidente. Ma mai evidente come il suo debole per l’angelo biondo che accompagnava Mad da Harry. «Le due santarelline».
«Mi pare che una volta fossi innamorata, di una delle due santarelline», ribattè Skylar, facendola zittire nel giro di un istante. Diventò pallida come un cencio, a pensare a Cherubiel, e fece ridacchiare Harry, ma una risata amara, più dovuta all’effetto dello spinello e ai ricordi che ad altro.
«Oh, zitto Skylar…».
«Porca puttana! Skylar!». Cher stava saltellando praticamente senza sosta da quando gli erano arrivate vicine, la mano ancora incollata a quella di Madeleine. Skylar era uno dei demoni con cui la bionda andava più d’accordo, nonostante fossero praticamente l’uno l’opposto dell’altra. «E’ una vita che non ti vedo». Letteralmente, una vita. O forse di più.
Ma Madeleine smise di ascoltare, quando qualche secondo dopo Harry si voltò verso di lei, sorpreso. L’aveva sentita arrivare, certo. Ma non si aspettava che gli corresse dietro. non l’aveva mai fatto. Si accorse appena degli altri che si allontanavano, così come Harry. A nessuno dei due importava.
«Posso?», gli chiese indicando la sabbia accanto a lui col mento. Senza staccare nemmeno per un momento gli occhi dai suoi. Sarebbe stato impossibile, anche se avesse voluto. Gli sedette accanto non appena lo vide sorridere. «Scusa per prima…».
«Davvero pensi sia stata colpa tua?». Madeleine annuì, facendolo ridacchiare. Poi te ne sei andato, e io volevo spiegarmi. Ma non lo disse, non ne ebbe la forza. Ebbe solo la forza di avvicinarsi e posare la testa sulla sua spalla. «Scusa se sono scappato in quel modo».
«Hai sbattuto la porta…».
Fu un attimo, prima che Harry intrecciasse le dita con le sue. Un attimo, prima che il cuore della ragazza perdesse un battito. O forse più di uno, non ha importanza. Un attimo, prima che Madeleine si voltasse verso di lui sorpresa da quel semplice gesto. Un attimo prima che i suoi occhi brillassero in quelli del riccio. Una manciata di secondi, e le loro labbra si sfiorarono.
Un brivido, lungo la schiena di entrambi. E come una forza sovrannaturale che li attrasse l’uno verso l’altra. Come fossero due calamite. Madeleine sentiva solo la mano libera di Harry sulla guancia, mentre i suoi occhi verde prato le scavavano un buco nel petto, facendole male, ma di un dolore nient’altro che piacevole.
Un respiro spezzato in due, e due paia di labbra, le une ad appena qualche millimetro dalle altre. E poi, nient’altro. Niente più distanza. Labbra contro labbra. E brividi, brividi a non finire. Quei brividi che quando arrivano riesci a distinguerli lungo la schiena, scivolare una vertebra dopo l’altra.
Labbra contro labbra. Labbra che si muovono insieme, all’unisono, come fossero nate proprio per restare attaccate, senza nemmeno il bisogno impellente di prendere fiato. Battiti di cuore impossibili da controllare, che sbattono contro le rispettive casse toraciche, a distruggere il silenzio.
E le mani di Harry che corrono lungo la schiena di Madeleine, fino a fermarsi sui suoi fianchi. Fino a fare pressione su di essi e sollevarla fino a farla sedere a cavalcioni su di sé. Fino a sentirla ridere nel bacio. Fino a staccarsi da lei con un sorriso enorme sul volto, completo di fossette.
Felice Harry. E felice Madeleine. Come mai era successo, almeno a lei.
«Ora devi andare da lui, vero?», le sussurrò scostandole delicatamente una ciocca di capelli castani dal viso. Mad si irrigidì, calmandosi subito dopo, sentendo le labbra di Harry sulla fronte. «Non ti sto accusando di niente… è giusto che tu conosca entrambi, prima di scegliere…».
Non pensava fosse giusto, ma l’espressione della ragazza ancora sedutagli sopra era contrita a tal punto che rassicurarla gli era venuto naturale. Intanto Cherubiel stava tornando verso di loro, con Skylar e Remember. E non fu nemmeno troppo sorpresa quando vide Madeleine baciare Harry a stampo, alzarsi da terra e arrancare nella sabbia verso di lei.
«Stai bene?».
La castana non le rispose. Solo, si sfiorò le labbra con la lingua, sentendo ancora su di esse il sapore dolce di quelle di Harry. E salì in macchina sospirando, sentendosi profondamente in colpa per quello che stava per fare.
Ma non rivolse nemmeno una parola all’amica, se non un “Augurami buona fortuna” appena sussurrato, al quale la bionda rispose con una risata allegra. Cherubiel aveva sentito ogni singolo pensiero di Harry e Madeleine mentre si baciavano. Ed era particolarmente fiduciosa quando sfrecciò via sulla sua Mini dal marciapiede davanti casa di Zayn.
«Fai un respiro profondo, Mad…», borbottò tra sé la castana chiamando l’ascensore e passandosi nervosamente una mano tra i capelli. E stava già per imprecare per la lentezza di quel dannato ascensore, quando si aprirono le porte e si trovò faccia a faccia con Zayn. «Stavi uscendo?». Ti prego, dimmi di no.
«Stavo venendo da te, veramente», ammise Zayn tenendo aperte le porte dell’ascensore. Lui dentro, e lei fuori. Ad un metro di distanza. Lui appena sorridente. Lei sorpresa da quello che le aveva appena detto. «Ma mi hai battuto sul tempo, principessa», aggiunse tendendole una mano, che lei prese dopo qualche secondo, non senza arrossire.
E fu il tempo di far partire l’ascensore, prima che Zayn schiacciasse il pulsante per fermare quel trabiccolo che si degnavano di chiamare ascensore. Madeleine soffocò un grido, sobbalzando al fermarsi improvviso della cabina, e guardò il moro, il dito ancora fermo sul pulsante di stop. «Sei impazzito?», sbottò cercando di respirare normalmente. Rimanere chiusi in ascensore e soffrire di claustrofobia. Un classico.
«C’è Kismet a casa… è l’unico posto dove poter parlare».
No, ma… un parco? Un bar? Qualsiasi altro posto?
«E dirmelo prima?».
«Guardami, Madeleine», le disse con voce roca avvicinandosi e prendendole delicatamente il viso tra le mani. Prese a respirare profondamente, facendole cenno di imitarlo. Occhi negli occhi, respirando all’unisono. E sempre più vicini. «So perché sei venuta, sai?».
«No…». La protesta più debole di sempre, col respiro affannato di chi ha appena corso la maratona. Zayn le sorrise, costringendola a guardarlo, nonostante lei volesse solo uscire di lì e scomparire. «Avrei dovuto dirti che uscivo anche con lui… sono orribile».
Ti amo troppo per pensare di odiarti.
La vide chiudere gli occhi, arrendendosi al fatto di dover parlare con lui. In fondo era a casa sua proprio per quello. «E io avrei dovuto dirti che lo conoscevo», mormorò lui di rimando, lasciandole un bacio sulla spalla. In un certo senso avevano sbagliato entrambi. E da un certo punto di vista era già molto che lo stessero ammettendo.
«Se dovessi scegliere lui mi odieresti?».
«Sono fatto per odiare lui… non potrei mai odiare te, Madeleine».
E forse fu il modo in cui pronunciò il suo nome. Un sussurro roco, direttamente dall’inferno. O il fatto che la chiamava sempre col suo nome intero, senza sminuirne la bellezza. O il fatto che guardando nei suoi occhi color cioccolato lo rivide come fosse la prima volta. Fatto sta che per la prima volta da quando aveva baciato Harry, non si sentì in colpa a sentire di dover baciare anche lui.
«Perché?», gli chiese sfiorando le sue labbra con le proprie, anche se solo per un attimo.
«Sarebbe folle se ti dicessi che muoio dalla voglia di baciarti?».
«Sarebbe folle se provassi lo stesso…».
«E lo provi?».
E quasi Zayn non fece in tempo a finire la frase, trovandosi labbra contro labbra con l’amore della sua vita. L’aveva aspettata, per anni e anni. E ora era di nuovo tra le sue braccia. Le mani di lei a giocare coi suoi capelli, tirandoli appena. Le sue labbra contro le proprie. Le loro lingue a giocare tra loro come si conoscessero da sempre.
Il suo odore a riempire la poca aria nell’ascensore. I loro respiri affannati che andavano all’unisono, così come i battiti dei loro cuori. La schiena di Madeleine contro una parete, e le sue gambe finite quasi automaticamente a stringere i fianchi di lui. Mentre, ancora in automatico, le mani di Zayn sparivano sotto la maglietta della ragazza.
E un sospiro, mentre il moro si staccava da lei, ma rimanendo nella stessa posizione, fronte contro fronte. Ancora labbra contro labbra, a rubarsi il respiro a vicenda. E le dita di Zayn a cercare il pulsante per far ripartire l’ascensore, ma senza staccare gli occhi da lei. «Se mi dai un secondo, prendo le chiavi della moto e ti riporto a casa…».
«Posso restare qui?», gli chiese sfiorandogli il naso con il suo e tentando un sorriso, che si allargò quando lo vide annuire, sorpreso.
Zayn. Harry. Madeleine.
Il primo, convinto di essere la scelta della ragazza. Il secondo, impietrito a pochi metri da loro, ad ascoltare ogni singola parola. E convinto di non avere più alcuna speranza. E lei, confusa più che mai.



 

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(askate, vi supplico in ginocchio, lol)

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Capitolo 8
*** 8. White feather. ***


*buongiorno meraviglie. non so con quale coraggio sto postando, non chiedetemelo.
sono in ritardo. e giovedì ho un esame che ho il terrore di non passare, help.
comunque, a parte tutto... ci siamo.
e spero che il capitolo vi piaccia. a me non fa impazzire, lo ammetto.
ma non penso sia venuto tanto male, in fondo in fondo.
quindi, vi lascio leggere... e vi lascio le foto dei prestavolto in fondo.
buona lettura; alla prossima pasticcini c:
- Fede.*






8. White feather.
 
Esiste un amore per cui vale la pena di morire?”.
 
Né Kismet né Celestine avevano mai sentito Zayn ridere così tanto. Mai. Non così spensierato e felice, e non con Madeleine. Stavano nella camera degli ospiti di Zayn, mentre lui e la castana erano in salotto, a ridere di non si sa cosa. Ma erano vicini, lei sdraiata su di lui, con la testa posata sul suo petto e i resti del ristorante cinese e le bottiglie vuote di birra lasciati andare sul pavimento.
«Sicuro che posso rimanere?», gli chiese strofinando il naso nell’incavo del suo collo. Le birre stavano facendo effetto, e quella era l’unica cosa che era riuscita a dire, tra uno sbadiglio e l’altro. Il demone si era limitato ad annuire e lasciarle un bacio tra i capelli. «Però non so se riesco a trascinarmi fino al letto», mormorò ancora Madeleine, in un soffio.
Era un sussurro sempre più debole il suo, tipico di chi si sta abbandonando al mondo dei sogni. E il suo tono di voce, per quanto flebile, fece tremare leggermente il petto del moro dalle risate trattenute. «Se stai comoda rimaniamo qui…», le mormorò di rimando, accarezzandole dolcemente la schiena.
E il borbottio che uscì dalle labbra della castana fu il suono migliore del mondo alle orecchie di Zayn, che le lasciò un bacio su una tempia e la guardò. La guardò dormire, tutta la notte. Perché gli era mancata davvero troppo, e non voleva perdere nemmeno un attimo, nemmeno un istante. La osservò, almeno finché lei non scivolò al suo fianco, ancora addormentata e col sorriso sulle labbra.
Erano le quattro di notte, quando si accorse di una presenza, di qualcuno che non doveva essere lì. Allora si alzò dal divano, lasciando un bacio leggerissimo sulla fronte di Madeleine. E caracollò verso il balcone, passandosi nervoso una mano tra i capelli, tirandone le punte.
Si era detto niente fretta, niente pressioni, niente comparsate a casa dell’altro se fosse stata presente Madeleine. Niente litigi in sua presenza, e niente stress. In modo che lei potesse scegliere coi suoi tempi.
Ma stranamente il demone non fu nemmeno troppo sorpreso, quando vide l’angelo dagli occhi verdi in equilibrio precario sulla ringhiera in ferro battuto del balcone, con le ali chiuse dietro di sé, ma ben visibili. E che emanavano la tipica luce perlata, quasi accecante nel buio della notte.
«Si era detto niente intrusioni, se non sbaglio».
La voce di Zayn era gelida come il ghiaccio, quasi acida alle orecchie di Harry. Era nella sua natura trattarlo in quel modo, non era solo la rivalità per Madeleine. Era qualcosa di primitivo, di ancestrale, di più forte di qualunque rivalità, gelosia o rancore.
C’era qualcosa, che li spingeva ad essere così l’uno con l’altro.
«Si era anche detto di non spingerla…».
«E’ stata lei a venire da me», si difese il demone interrompendolo, e appoggiandosi mollemente alla parete, per poi accendersi una sigaretta e portarsela alle labbra con aria di sfida. «Ed è stata lei a baciarmi», aggiunse con un mezzo sorriso ad increspargli le labbra. Quasi un ghigno, a dire il vero.
«Sei uno stronzo, Malik», sputò il riccio. Gli tremavano le ali, un po’ dal nervoso, e un po’ da quello che gli aveva appena detto l’altro. Harry cercò di prendere un respiro profondo, e di fermare il movimento incontrollato delle ali, invano. Però non aveva tutti i torti; era da stronzo rinfacciargli gli avvenimenti della sera prima in quel modo. «L’hai chiusa tu in quel fottuto ascensore, cazzo», aggiunse poi, alzando sensibilmente la voce, roca dalla rabbia.
L’angelo era allo stesso tempo nervoso, arrabbiato, e addolorato.
Nervoso, perché la sera prima li aveva sentiti parlare, respirare all’unisono e gemere l’una contro le labbra dell’altro. Aveva sentito gli schiocchi dei loro baci, e non era riuscito a fare niente, nemmeno a muovere un muscolo. Arrabbiato, perché convinto con ogni cellula del proprio essere che Madeleine avesse scelto Zayn.
E addolorato. Triste. E sofferente. Perché sicuro di averla persa, ancora, come le volte precedenti. Ma peggio, allo stesso tempo, perché stavolta aveva conosciuto entrambi. E Harry non poteva far altro se non sentirsi come se non avesse fatto abbastanza per essere scelto.
«Comunque, non c’era bisogno di questa scenetta… abbiamo solo dormito insieme», minimizzò il demone facendo spallucce. Certo, era già un gran bel traguardo. Ma Mad non aveva scelto. Stava valutando le opzioni. E Zayn lo sapeva perfettamente. «Anzi… lei ha dormito, io no», specificò il moro con un’altra scrollata di spalle.
Abbiamo solo dormito insieme. Harry non riusciva a smettere di pensare a quella frase. A cosa avrebbero potuto fare se si fossero ubriacati, se non avessero solo dormito. E nel giro di una manciata di secondi gli salì il sangue al cervello. Gli si spalancarono le ali senza che riuscisse a fermarle e in un attimo gli avrebbe dato contro, se… Kismet non si fosse messa in mezzo, le ali color tenebra a fare da scudo al suo migliore amico.
«Smettila. Smettetela, tutti e due», si corresse, puntando un’unghia smaltata di nero verso lo stomaco di Harry, che riuscì a trattenersi per un pelo dall’attaccarla. Dire che era incazzato era dire poco, e le sue ali brillavano e tremavano come non mai. «Smettila di prendertela per qualsiasi cosa esce dalla sua bocca… e tu smettila di provocarlo, sembrate due bambini, cazzo», aggiunse scocciata, rivolta a Zayn, ritirando lentamente le ali.
Ma Harry era ancora nella stessa posizione. Ancora in bilico sulla ringhiera. Con le ali ancora aperte. E con uno sguardo terribilmente gelido negli occhi verdi. Uno sguardo che non presagiva nulla di buono, soprattutto per Kismet, che gli stava ancora di fronte.
Celestine – nel frattempo – era in salotto, per fare in modo che Madeleine non sentisse nulla della litigata sul balcone, guardandola dormire con un mezzo sorriso ad increspargli le labbra. E ascoltando Kismet che cercava di calmare Zayn ed Harry. Soprattutto Harry, a quanto pareva.
Allora l’angelo la guardò, come se non l’avesse mai vista davvero. Guardò la ragazza che era la ragione di tutto quel pasticcio da migliaia di anni. La guardò, raggomitolata nel plaid, coi capelli castano scuro sparsi ovunque e le palpebre abbassate. Un mezzo sorriso sulle labbra dischiuse, e le ciglia posate delicatamente sugli zigomi.
Beh, che fosse bellissima non c’erano dubbi.
Così Celestine chiuse gli occhi, e li riaprì qualche istante dopo, curioso di vedere come fosse la sua aura. Il bagliore mandato dalla sua anima, in sostanza. L’aura, che negli angeli andava dal color panna, al rosa pallido al celeste acceso; mentre nei demoni passava dal blu notte, all’oro, al grigio fumo. A seconda della gerarchia, a seconda dei casi.
L’aura di Madeleine era bianca.
Del bianco più puro che Celestine avesse mai visto. Di quel bianco che faceva male agli occhi se lo fissavi troppo a lungo. Bianco, della brillantezza delle stelle messe in risalto dal cielo scurissimo della notte. Bianca, ed era davvero troppo strano che lo fosse. Così come era strano che stesse cambiando colore, mentre la ragazza mugugnava qualcosa e si rigirava nel sonno.
Ora, quel bianco quasi accecante virava verso il rosa.
«Che strano…», mormorò l’angelo scostandole delicatamente una ciocca di capelli dal viso, e guardandola rabbrividire leggermente, mentre la sua aura tornava bianca sotto al suo tocco. «Kismet, piccola, vieni un secondo…», sussurrò ancora, inclinando la testa da un lato e scostandosi da Madeleine, per osservare ancora una volta il colore della sua aura mutare, stavolta tendente al dorato.
Sentì la sua ragazza borbottare qualcosa ai due innamorati sul balcone, raccomandandosi di non uccidersi, per poi sentirla camminare velocemente verso il salotto, coi piedi scalzi sulle piastrelle ghiacciate. Una sua camicia addosso – mezza sbottonata – e le gambe nude. I capelli legati in uno chignon disordinato, e lo sguardo stanco negli occhi quasi neri. Bellissima, come al solito, ai suoi occhi.
«Prega che non si uccidano… che succede?», aggiunse in un sussurro sedendosi sulle sue ginocchia e posandogli un bacio leggero sulla tempia. Celestine gli fece cenno di guardare Mad, la cui aura si stava scurendo a vista d’occhio, con la vicinanza di Kismet. «La sua aura, è stranissima…», mormorò la ragazza avvicinando una mano al viso della castana.
La sua aura, un attimo prima tendente al grigio, si scurì in un batter d’occhio.
Fino quasi a diventare nera, con delle incredibili sfumature dorate.
«E’ strano anche che tu la veda, piccola», le fece notare l’angelo baciandole la base del collo. Solo Celestine poteva vedere le aure in quel modo. Solo lui, e altri angeli o demoni della sua stessa gerarchia. Solo i principati potevano distinguere le aure, vederne il colore, notarne i cambiamenti, e tutto il resto. Ma Kismet rise, dandogli una gomitata nello stomaco.
Era con lui. Normale che vedesse l’aura di Madeleine. «Imbecille».
Ma fu interrotta dal vociare poco distante da loro, sul balcone. Zayn ed Harry, ancora. Gli occhi del moro sprizzavano lampi di fuoco – rosso acceso – nonostante fosse bloccato contro la parete, tenuto fermo da una mano di Harry intorno al collo. Le sue unghie, conficcate nella pelle olivastra del moro. «Lasciami», boccheggiò Zayn, quasi ringhiandoglielo contro.
Stava albeggiando ormai, e dalla luce che filtrava dalle tende del salotto, avrebbe potuto svegliarsi Madeleine. Sarebbe potuta andare a cercare Zayn, se non l’avesse trovato con lei sul divano. E li avrebbe visti. Sarebbe morta, ancora una volta. Senza possibilità di scelta, ancora un volta.
E avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo, ancora una volta.
«Lascialo, Harry». La voce di Celestine era a dir poco glaciale, ma allo stesso tempo calmissima mentre posava una mano sul braccio in tensione del riccio. Puntò gli occhi scuri nei suoi, inarcando un sopracciglio e inclinando la testa da un lato. «Madeleine potrebbe svegliarsi, vedervi con le ali spalancate, rendersi conto di tutto, e morire. È questo che vuoi?», aggiunse, forse con troppa durezza nella voce. Ma non gli importava. E il lampo di tristezza che comparve in quegli occhi verdi bastò a calmare le acque. Bastò a far sì che Harry si staccasse da Zayn, di scatto, tornando ad appollaiarsi sulla ringhiera. Con le ali ancora aperte, ma sicuramente più rilassate di poco prima.
«Sai una cosa, Harry? Così passi dalla parte del cattivo…», scherzò il moro avvicinandosi sensibilmente a lui, e ignorando le proteste di Celestine, che cercava di mettersi in mezzo, mentre il cielo iniziava a schiarirsi e si vedeva il primo minuscolo spicchio di sole nascente. «Madeleine vedrà i segni sul mio collo, e si farà delle domande», aggiunse con un ghigno sul volto, e gli occhi scuri, quasi neri.
Incazzato. A dir poco.
Sarebbe bastata una minima pressione in più delle dita di Harry contro il suo collo per ucciderlo. Avrebbe smesso di respirare, e a quel punto il riccio avrebbe avuto l’occasione di ucciderlo. Qualsiasi strumento acuminato di argento benedetto l’avrebbe ucciso, ridotto in cenere.
Niente più Zayn. Niente di triangolo. E Madeleine avrebbe scelto Harry.
Sarebbe finito tutto nel giro di una manciata di minuti, se Harry avesse avuto il coraggio di ucciderlo. Di uccidere quello che una volta era suo amico. Il suo migliore amico. Suo fratello, da un certo punto di vista. Ma poi guardava in quegli occhi color cioccolato, e rivedeva il tempo in cui erano entrambi angeli. Fratelli. E rivedeva la luce negli occhi di Madeleine quando era stata sua, di Zayn.
No, non l’avrebbe ucciso. Non poteva. E non voleva.
«E tu la convincerai che stai bene, e che non è niente, Malik».
«Oppure potrei dirle che sei stato tu», azzardò il moro, avvicinandosi ancora. Erano a pochi centimetri, e Zayn fu talmente rapido che Harry quasi non si accorse di nulla. Né della sua mano che si mosse rapida verso di lui. Né della spinta. Né della caduta.
E si accorse a malapena del dolore al secondo paio di ali.
Aveva perso una piuma, quasi sicuramente, a giudicare dal dolore e dal sangue. Atterrò con un gemito sul marciapiede, ritirando immediatamente le ali, anche per fermare l’emorragia che sentiva di avere.
Perdere una piuma non era una cosa che succedeva tutti i giorni. E non era per niente un bene. Non per il dolore in sé, ma per l’uso che un demone o un Nephilim avrebbero potuto farne. Sarebbe potuto morire, se chi avesse trovato e conservato la piuma, poi l’avesse bruciata.
Così Harry sperava che la trovasse Madeleine. Che Zayn non se ne accorgesse mentre se la rideva, e lui e Celestine se ne andavano di lì, senza nemmeno degnarsi di salutare. Sperava che anche Kismet non avesse visto la piuma bianca impigliata nella ringhiera. O che almeno non dicesse all’altro demone della sua esistenza.
E ormai era l’alba, quando Zayn smise di ridere e finì la sua sigaretta, soddisfatto di non essere stato ucciso, e ancor più soddisfatto di aver tenuto testa ad un cherubino come Harry. Non succedeva tutti i giorni, davvero. I cherubini facevano parte della prima gerarchia di angeli, quelli più vicini a Dio. I più potenti, con i serafini e i troni.
Ed era l’alba, quando Madeleine aprì lentamente gli occhi, borbottando qualcosa di non troppo comprensibile. E trovandosi davanti Kismet, che la guardava con un sorriso evidentemente malizioso sulle labbra. «Buongiorno», le disse, con un tono di voce fin troppo alto e stridulo, almeno alle orecchie della castana, appena sveglia.
«Mmm…», borbottò coprendosi le orecchie con un cuscino.
«Io dormirei un altro po’ se fossi in te… è l’alba».
E Madeleine avrebbe voluto ribattere con qualche battuta acida, magari, ma si limitò a sbuffare, girandosi dall’altro lato e ignorando la mora, che sparì verso la cucina, ridacchiando. E lasciandola finalmente da sola. Appena sveglia, il massimo che le si poteva cavare di bocca era qualche borbottio.
Aveva bisogno dei suoi tempi, tutto qui. Di legarsi i capelli, di stropicciarsi gli occhi, di sbadigliare, sgranchirsi le braccia e il collo, alzarsi lentamente. E all’ennesimo sbadiglio sentì le labbra di Zayn posarsi sulla spalla, piano, e col rumore di un sorriso. «Buongiorno…», le disse con voce roca in un orecchio, riuscendo a farla sorridere.
«E’ presto…», si lamentò la ragazza, accompagnando la frase con un altro sbadiglio. E facendo ridere il moro, ancora con le labbra a pochissimi centimetri dal suo orecchio. «Avremmo dovuto abbassare le persiane», borbottò voltandosi per lasciargli un bacio leggerissimo, a fior di labbra. Quasi senza rendersene conto, a dire il vero. E Zayn le sorrise appena, lasciandole un bacio sulla fronte.
Convinto che lo avesse scelto? No. Non si illudeva fino a quel punto.
«Vado a farti un caffè, ti stai perdendo l’alba», aggiunse spingendola delicatamente verso il balcone, e dimenticando per un istante quello era successo qualche minuto prima. Dimenticando tutto, solo vedendola sorridere. «E puoi prendere una delle mie sigarette, sotto il vaso sulla destra», aggiunse, facendola ridacchiare. La risata che più avrebbe voluto sentire, all’infinito. La risata che gli era mancata così tanto…
E intanto Madeleine stava caracollando verso il balcone, con la risata divertita di Zayn a seguirla. Gli mostrò il dito medio, ridendo, e si lasciò andare su una sedia, in un angolo del balcone, con lo sguardo fisso sul sole che stava sorgendo. Come stesse sorgendo solo per lei, come se lo stesse guardando solo lei.
E pensò, mentre il sole saliva, illuminando a mano a mano ogni cosa.
Ripensò ad Harry, a Zayn. Ai baci, con entrambi. Alla spiaggia e all’ascensore. A come avesse chiesto al moro se poteva rimanere con lui. A quanto si fossero divertiti la sera prima. E a come gli si fosse addormentata addosso.
Poi si accese una sigaretta. E il luccichio di qualcosa di bianco catturò la sua attenzione. Era qualcosa che doveva essere incastrata nella ringhiera. Una piuma. O almeno, era quello che le sembrava. Appena sveglia non era il massimo… prima le serviva la sua fidata sigaretta. Poi una tazza di caffè, e magari un cornetto al cioccolato.
Ma era davvero troppo curiosa.
Tanto da lasciar perdere la sigaretta, l’accendino, e lo splendore dell’alba, e alzarsi in piedi. Caracollare verso il bordo della ringhiera e sporgersi. Fino a sfiorare con le dita una piuma. Aveva visto bene. Una piuma, bianca, evanescente. Lunga trenta centimetri, su per giù.
Intrisa di sangue. Rosso, fin troppo in contrasto col bianco della piuma stessa.
E Madeleine non riusciva a smettere di guardarla, né di sfiorarla. Come se qualcosa la portasse a guardarla a non finire. Come se quella piuma fosse il metallo, e lei una calamita. Allora chiuse gli occhi, sospirando. E li riaprì, con le dita all’estremità della piuma, riuscendo a vedere solo una cosa…
Gli occhi di Harry. Più verdi che mai.



 
 


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(askate, vi supplico in ginocchio, lol)
(Se volete, potete anche chiedere chi siano i prestavolto, non ho avuto tempo di scrivere i loro nomi, sorry)

PRESTAVOLTO:
(Harry, Madeleine e Zayn)
  

(Cassiel, Cherubiel ed Eveline)
  

(Celestine, Liam e Niall)
  

(Kismet, Remember e Soraya)
  

(Louis, Storm e Skylar)
  

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Capitolo 9
*** 9. Nightmare. ***


*buon pomeriggio splendori. sono viva.
stamattina ho saltato un esame. mancanza di preparazione.
e ho scritto la metà di capitolo che mi mancava.
 
aieah, siamo a 120 recensioni.
grazie, siete l'amore, tutte quante.
 
perciò, vi lascio col capitolo, sperando che vi piaccia.
mi raccomando, sclerate nelle recensioni, che mi divertite troppo, lol.
ah, nei contatti in fondo troverete una cosa nuova.
il gruppo di facebook. per farvi sclerare ancora meglio.
e per restare in contatto con me, oltre che per ricevere tanti succosissimi (?) spoiler.
 
okay, evaporo bellezze.
alla prossima c:
- emotjon.*

 

 
9. Nightmare.

 
Madeleine non riusciva a smettere di pensarci. Aveva messo di nascosto la piuma che aveva trovato sul balcone di Zayn nella borsa, stando attenta che nessuno la vedesse. Non sapeva perché, ma si sentiva in dovere di nasconderla. E di proteggerla, soprattutto. Come se quella piuma fosse per lei la cosa più importante di questo mondo.
Aveva passato tutta la giornata con Zayn, Kismet e Celestine. Aveva conosciuto l’angelo dagli occhi scuri, che detto tra noi era davvero troppo carino, simpatico, e palesemente innamorato di Kismet per non piacerle. Il demone dagli occhi cioccolato, poi, l’aveva tenuta per mano tutto il giorno, come fosse naturale.
E si erano divertiti quel giorno, come non mai.
Ma la castana ancora non si era tolta dalla testa quella dannata piuma, come non riusciva a smettere di pensare a quanto stesse bene con Zayn, con le sue labbra sulle proprie. Stava bene, meglio che mai. Ma poi le tornavano in mente la piuma candidissima e gli occhi fin troppo verdi di Harry e… perdeva ogni certezza, rendendosi conto che non poteva scegliere.
Non così e non in quel momento.
Era ancora troppo presto. E lei ancora troppo confusa.
Confusa, e particolarmente tra le nuvole quel giorno. E Zayn se n’era accorto. Come si era accorto della presenza della piuma dell’angelo nella borsa della ragazza. Difficile non accorgersene, ad essere sinceri. «Stai bene?», si decise a chiederle, lasciando che Kismet e Celestine continuassero a camminare. Madeleine provò un sorriso, ma più che altro le uscì una smorfia non troppo convinta. «Non ti uccido se lo chiami», le sussurrò poi, costringendola ad alzare lo sguardo su di lui.
Poteva sembrare cattivo, Zayn. E in fondo lo era. Un demone. Il cattivo della situazione, da un certo punto di vista. Ma con lei proprio non riusciva ad essere cattivo. Gli era impossibile, quasi. E vederla soffrire, o vederla confusa e in preda al panico, faceva male a lui nello stesso identico modo in cui ne faceva ad Harry.
«Davvero?».
Come poteva pensare che avrebbe potuto ucciderla? Non le avrebbe fatto del male in nessun caso, nemmeno se lo avessero costretto con la forza. Ma Zayn non glielo disse. Non le disse nemmeno una parola. Solo, si limitò a lasciarle un bacio sulla fronte e ad allontanarsi da lei, anche se era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare.
Un sospiro di sollievo uscì piano dalle labbra di Madeleine. Non perché Zayn non l’avrebbe uccisa se avesse chiamato Harry. Quello lo sapeva. Anzi, ormai si fidava del demone, ciecamente. Ma comunque si sentiva sollevata, come se l’avessero appena liberata da un peso. Perché aveva davvero troppo bisogno – quasi fisico – di chiamare l’angelo dai capelli ricci, che aveva baciato il giorno prima e poi abbandonato sulla spiaggia.
Se si sentiva in colpa? Forse. Anzi, molto probabile.
E fece il numero di Harry a memoria, quasi in automatico e senza fare troppo caso ai tasti sfiorati dalle sue stesse dita. Chiuse gli occhi castani, come di riflesso, e contò gli squilli, tormentandosi una ciocca di capelli con le dita. Uno squillo, due, tre. E quattro. Poi niente, se non la linea libera. «Pronto, piccola». La voce di Harry, leggermente roca, come fosse assonnato o stesse poco bene. Una voce quasi estranea, ma allo stesso tempo terribilmente familiare.
«Stai bene?», gli chiese piano, maledicendosi qualche istante più tardi.
Lei si sentiva meglio, ora che aveva sentito il suono della sua voce, ma si sentiva anche in colpa. E si sentiva stupida, per avergli chiesto come stesse. Era evidente che non stesse bene. Ed era anche colpa sua, in fondo. O forse… non troppo in fondo.
«Tu stai bene?», le chiese Harry di rimando, sperando quasi che lei gli dicesse di no. Dal canto proprio, Madeleine non riuscì a rispondere. Riuscì a malapena a buttare fuori l’aria, in un respiro stanco, scuotendo poi la testa come se lui potesse vederla. Era lontano chilometri da lei, con Cassiel che gli controllava la ferita alle ali, ma poteva benissimo immaginare la sua espressione. «Mi ha detto Kismet che hai dormito con Zayn».
Non era una domanda, e forse in quel modo era anche peggio.
Ad una domanda, la ragazza avrebbe potuto rispondere, in un modo o nell’altro. Magari si sarebbe arrampicata sugli specchi, non sapendo che dire. Certo è che ne sarebbe uscita, se quella di Harry fosse stata una domanda. Ma ad un’affermazione del genere… proprio non sapeva come reagire.
Annuì semplicemente, rendendosi poi conto di essere al telefono. Harry non le stava di fronte, eppure lei continuava a comportarsi come se l’avesse a qualche centimetro da sé. Era… strano, decisamente. Strano anche che l’angelo intuisse ogni minima mossa della ragazza.
«Ho dormito con lui, sì». Geloso, Harry? Avrebbe voluto chiederlo, anche se in fondo conosceva già la risposta. Lui era geloso di lei, certo. E si vedeva lontano chilometri. L’avrebbe notato anche un cieco, forse, dal tono di voce che usava quando erano insieme. «Ma ti prego, non giudicare… ci ho solo dormito, te lo giuro».
Come se volesse giustificarsi per qualcosa che non aveva fatto.
Come se volesse giustificarsi per aver dormito con Zayn, e non con lui.
Panico, nella sua voce. Una paura terribile di perderlo. Paura di essere giudicata male, di essere ignorata, di essere abbandonata. Madeleine non voleva perderlo, non ora che si erano trovati, a modo loro. E nemmeno trovati del tutto. Ma c’erano. Lui, e lei. E avevano qualcosa che nessun altro aveva.
«Ti credo, sai?». Le credeva, certo. Lui c’era. L’aveva vista ridere col demone. L’aveva vista addormentarsi tra le sue braccia. Sorridere con lui, abbracciarlo, farlo ridere. E aveva dormito, l’aveva vista. Ovvio che non avessero fatto altro. E poi, di Zayn si poteva dire tutto, ma non avrebbe approfittato di una ragazza ubriaca. O almeno, non l’avrebbe fatto con lei. «Solo…», aggiunse il riccio, mordendosi le labbra per non continuare. L’ultima cosa che avrebbe voluto era che Madeleine si spaventasse, alle sue parole.
«Solo cosa?», gli chiese lei, divertita dal suo tono di voce.
Terribilmente protettivo. Fin troppo, forse.
«Stai attenta», le disse semplicemente.
In un fil di voce, appena prima di chiudere la telefonata senza nemmeno darle il tempo di ribattere. E Madeleine rimase lì, immobile, con il cellulare ancora incastrato tra l’orecchio e la spalla. Ferma, a ripensare alle sue parole. Stai attenta. Cosa poteva significare? L’unica cosa che le veniva in mente era… Zayn. Che le avesse appena chiesto di stare attenta a lui?
No, era impossibile. E non riusciva a spiegarselo.
E oltre che impossibile era impensabile. Okay che Zayn ed Harry si conoscessero. E okay che non fossero proprio in ottimi rapporti. Ma che uno dei due la avvertisse di stare attenta all’altro era impensabile, oltre che davvero troppo strano. Come se fosse davvero preoccupato per lei, nonostante la conoscesse da così poco – almeno, dal punto di vista di Madeleine.
Si passò una mano tra i capelli, confusa. Più ci pensava e più le parole di Harry la confondevano, più le aumentava il mal di testa. Fin quasi a farla svenire. Si passò delicatamente una mano sulla fronte, cercando di portare via il sudore freddo che le si era appiccicato addosso.
Le parole dell’angelo l’avevano scossa, a dir poco.
«Mad, stai bene?». Kismet era tornata indietro, lasciando Zayn con Celestine solo per non farlo preoccupare. Sentiva che c’era qualcosa che non andava, anche se era lontana durante la telefonata della ragazza con Harry. E ora le teneva le mani sulle spalle, come volesse tenerla ancorata al suolo, impedendo al vento di farla volare via. «Madeleine, guardami», aggiunse, preoccupata. La castana era diventata pallida come un cencio. Sconvolta per un nonnulla, apparentemente. «Che ti ha detto Harry, angelo?».
Allora la ragazza si riprese, riprendendo anche un minimo di colore, rispetto al pallore di un attimo prima. Sgranò gli occhi e provò ad allontanarsi dalla mora. Come se quella parola – angelo – avesse fatto scattare qualcosa in lei.
Ed era così, in un certo senso.
Era come un deja-vu. Come se avesse già sentito la voce di Kismet chiamarla in quel modo. Ma c’era anche la voce di qualcun altro, alla quale poi Madeleine ribatteva dicendo che era lui l’angelo, e non lei.
«Come mi hai chiamata?», le chiese Madeleine, trattenendo le lacrime. Kismet la guardò con un sopracciglio inarcato. Dall’espressione della castana si capiva benissimo che c’era qualcosa che non andava. Ma era impossibile che cominciasse già a ricordare. Non succedeva mai in quel modo. Il processo non partiva mai da Kismet, ma sempre da Harry. Più raramente, da Zayn.
«Angelo… tesoro, ti porto a casa, non stai bene…», aggiunse tentando un sorriso. Inutile dire che era preoccupata. Poteva aver fatto una cazzata stratosferica, a chiamarla in quel modo. Magari Madeleine avrebbe ricordato tutto, e i Nephilim l’avrebbero presa, e uccisa, per l’ennesima volta.
«Perché, Kis?».
«Perché… non lo so perché, cazzo! Zayn ti chiama “principessa” ventiquattr’ore al giorno, ho pensato che chiamarti “angelo” non fosse poi tanto male», si giustificò lanciandola andare e lasciando che si allontanasse, il labbro inferiore intrappolato tra i denti.
Era ancora più confusa di prima, glielo si leggeva in faccia.
Ma Kismet non ci aveva fatto nemmeno troppo caso. Stava mandando un messaggio a Celestine. Un pensiero portato dal vento, facendo finta di scriverlo sul cellulare. E poi l’aveva presa per mano, quasi trascinandola verso l’auto. Madeleine, dal canto proprio, si fece trascinare per mezza Los Angeles come fosse una bambola di pezza tra le mani della ragazza.
Una bambola, ma con davvero troppi pensieri che le frullavano per la testa.
«Mi ha detto di stare attenta», riuscì finalmente a dire Madeleine, una volta in macchina. Era ancora scossa, ma almeno aveva ripreso un po’ di colore. E quasi fece uscire Kismet di strada, a quella frase, detta così all’improvviso. La mora imprecò, non riuscendo a trattenersi. Era incredibile. Non strano, per lei. Ma incredibile che usasse la paura di Madeleine in quel modo. «Non so a cosa… ma penso si riferisse a Zayn», aggiunse, mentre le dita della ragazza al volante si contraevano quasi di riflesso intorno al volante.
«Ovvio che si riferisse a Zayn, lo stronzo», borbottò tra i denti, a voce tanto bassa che quasi Madeleine non la sentì. Harry stava rovinando tutto, con quelle parole. Stai attenta. Come diavolo poteva essergli venuto in mente, Kismet non lo sapeva. E non voleva saperlo, a dire il vero.
Pregava solo che il suo migliore amico non perdesse tutto un’altra volta.
Sarebbe stato straziante, per tutti.
Soprattutto per Zayn. Di Harry non le importava, non più.
«Mi spieghi cosa c’è tra di loro? Sembrano…». Odiarsi. Era l’unica parola che a Madeleine veniva in mente. Solo che non riusciva a pronunciarla senza mordersi la lingua. «Sembra che si odino a morte», riuscì a dire, dopo diversi minuti di indecisione e di silenzio.
Kismet annuì semplicemente, passandosi poi una mano tra i capelli. Non sapeva che dire. Se dirle qualcosa. Se spiegarle almeno un minimo la rivalità che divorava quei due. Se spiegarle perché li avesse conosciuti entrambi. Non sapeva che fare. Non sapeva niente, Harry aveva rovinato i piani di tutti, con quella fottuta frase.
«Ci sono già passati… uscivano entrambi con la stessa ragazza», si decise a dirle, guardandola di sottecchi per osservare la sua reazione. La castana trattenne il respiro per qualche secondo, per poi buttare fuori tutta l’aria in un sospiro. E stava per chiederle  come mai si odiassero in quel modo quando Kismet la anticipò, con un sorriso amaro a incresparle il viso. «Si incolpano l’un l’altro della sua morte, per questo si odiano», aggiunse in un sussurro, appena udibile.
Peccato che Madeleine riuscì a sentirla. Forte e chiaro.
Ma non le rispose. Non riuscì a trovare la forza per farlo. Solo, come faceva sempre quando era sconvolta, si limitò a fissare il vuoto fuori dal finestrino, chiudendosi in sé stessa e nei suoi pensieri. Senza fare caso a Kismet, o al tramonto che le scorreva indisturbato intorno.
Non vedeva niente. Non sentiva niente. Nemmeno pensava, quasi.
Voleva solo arrivare a casa, farsi una doccia bollente e buttarsi a letto, sperando che la madre non fosse a casa. Sperando che non ci fosse nessuno a disturbarla. Sperando di riuscire a smettere di pensare ai due ragazzi di cui inevitabilmente si stava innamorando. Inutile negarlo, arrivati a quel punto.
«Tesoro, siamo arrivate…».
E Madeleine si riscosse, battendo velocemente le palpebre. Kismet le sorrideva appena, con la testa leggermente inclinata di lato. «Scusa se prima ho reagito male quando mi hai chiamata…».
«Angelo».
La castana annuì piano, sentendo di nuovo un brivido accarezzarle la spina dorsale, a quel nomignolo. Non riusciva a capire come potesse sembrarle familiare. Fatto stava che lo era. Familiare, ed estraneo, allo stesso tempo. Le ricordava come di un tempo lontano, che non aveva vissuto fisicamente, ma che sentiva di aver vissuto. «Scusa, davvero… forse sono solo stanca», si giustificò facendo spallucce.
E Kismet le sorrise, leggermente più tranquilla. Le diede un bacio su una guancia e la guardò scendere dall’auto, salutandola con la mano, mentre nello stesso momento le arrivavano i pensieri di Celestine, più nitidi che mai.
Stai tranquilla. Parlo io con Harry. Andrà tutto bene, te lo prometto.
Non poté far altro se non sorridere. Sarebbe andato tutto alla grande, come da programma. Bastava avere un po’ di fede in più. Paradosso? Certo. Ma Kismet si sarebbe fidata di Celestine, questo era più che evidente.
Intanto Madeleine aveva buttato a terra la borsa, stravolta dalla giornata. Si era tolta le scarpe, i leggings e la giacca di pelle di Zayn, rimanendo in mutande e una maglietta larga. Senza curarsi del fatto che sua madre sarebbe potuta sbucare dal nulla, iniziando a dirle che si era preoccupata perché non l’aveva vista rincasare la sera prima.
Le avrebbe chiesto dove aveva dormito, e con chi. E Madeleine non voleva pensare a Zayn. Voleva solo farsi una doccia, e una dormita. Nient’altro. Si legò i capelli in una treccia fatta di fretta e finì di spogliarsi, buttandosi poi sotto la doccia ed evitando persino di guardarsi allo specchio.
Avrebbe visto la paura riflettersi dai suoi occhi castani allo specchio, e viceversa.
E non voleva angosciarsi più di quanto non fosse già. aveva già abbastanza cose a cui pensare, senza il bisogno di rivivere la paura che inconsciamente le aveva causato quella frase di Harry.
Così, si lavò e si asciugò cercando di non pensare a niente, anche se inevitabilmente il pensiero le scivolava verso due paia di iridi. Un paio verde prato. Un paio color cioccolato fuso. Che stesse impazzendo? «Sto perdendo la testa», borbottò tra sé infilando la maglietta che usava per dormire e sciogliendosi i capelli, per poi buttarsi tra le lenzuola color crema.
Chiuse gli occhi, stanchi dalla giornata, e si abbandonò al sonno in men che non si dica.
E una coltre nera ricoprì ogni bel sogno, ancor prima che esso potesse affacciarsi tra i pensieri della ventiduenne.
Era tutto nero, in quel sogno. O incubo, che dir si voglia. Nere, le lenzuola sulle quali Madeleine era sdraiata. Nero, l’intimo di pizzo che indossava. Nere, le calze autoreggenti, strappate e smagliate per quasi tutta la loro lunghezza. Nero, il mascara colato sotto agli occhi della ragazza.
Chiuse, le palpebre. Sparpagliati sul cuscino nero, i capelli castani.
Color cappuccino, la pelle del ragazzo che comparve dalle tenebre. Scuri fin quasi a sembrare neri, i suoi occhi. E color dell’ebano, i suoi capelli disordinati ad arte. Neri, i jeans strappati sulle ginocchia che indossava. Nero, l’inchiostro dei tatuaggi che gli ricoprivano il torace e quasi totalmente il braccio destro.
Terribilmente bianco, il suo sorriso nel buio.
Neri, gli occhi della ragazza una volta aperti, quasi a confondersi col buio. Nero, lo sguardo del ragazzo sul suo corpo seminudo. Neri anche i brividi lungo la schiena della ragazza. Un attimo, e lui incombette su di lei, a sfiorare ogni centimetro di pelle lasciata scoperta.
Le labbra di lui su quelle di lei, e sul mento, la gola, l’incavo tra i seni, e giù per tutto l’addome, fino a fermarsi poco sotto l’ombelico. Le mani di lei tra i capelli del ragazzo, a stringere, come se la aiutasse a trattenere i gemiti. Due corpi incollati, una schiena inarcata.
E poi come uno strappo, e due ali color tenebra intrise di sangue a comparire dalla schiena del ragazzo. Ad avvolgere tutto intorno ai due. Un ghigno sulle labbra di lui, premute contro il collo di lei. Un urlo, dalle labbra della ragazza. Terrore, paura, e le mani ad aggrapparsi alla schiena del demone, un po’ a volerlo allontanare, e un po’ a volerlo trattenere a sé, per chissà quale motivo.
Poi gli occhi di lui immersi in quelli di lei. Occhi familiari, decisamente.
Di uno strano color cioccolato fuso, che la ragazza aveva già visto, al di fuori di quel dannato incubo.
E si ritrovò a riaprire gli occhi di scatto, col respiro affannato, e un velo di sudore freddo a ricoprirle la nuca e il collo. Si tirò a sedere, ancora con gli occhi sgranati e il respiro corto dall’affanno. E dal terrore. Rabbrividì, ripensando al sogno, e lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino.
Le due di notte. «Perfetto», borbottò tra sé, sarcastica.
Scivolò fuori dalle lenzuola con un sospiro, e caracollò fino in bagno, aprendo l’acqua della doccia come un automa, quasi senza pensarci. Ma poi le cadde l’occhio sulla propria immagine riflessa nello specchio. Si portò una mano alla bocca, per impedirsi di urlare. E sgranò gli occhi, al vedere una serie di gocce di sangue sporcarle il collo, una spalla, e l’incavo tra i seni.
Chiuse gli occhi per un attimo, strizzandoli.
E quando li riaprì il sangue non c’era più. Nemmeno una goccia.
Era solo nei suoi ricordi. E nei ricordi di quel sogno, che continuava a suggerirle di dover stare davvero attenta, come le aveva detto Harry. Attenta a Zayn. Perché era quasi sicura che gli occhi, il sorriso, e il corpo del ragazzo del sogno fossero suoi, di Zayn.
Forse stava impazzendo.
O forse no.


 


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(alcune di voi me le ricordavo e le ho aggiunte.
chi non è stato aggiunto, che si aggiunga pure, non mordiamo, giuro)


 

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Capitolo 10
*** 10. Like the darkness. ***



*sinceramente nemmeno so da quanto tempo non aggiornavo...
penso di aver perso il conto dei giorni, lol. e chiedo scusa, davvero.
solo, ho dovuto preparare un esame (che ho passato, tra l'altro).
e ne devo preparare un'altro per fine mese... aiuto.
comunque, ci siamo. capitolo di svolta, in un certo senso.
non prendete per oro colato il momento Zadeleine, potrebbe ribaltarsi tutto da un momento all'altro.
ah, e per la cronaca... siamo a metà. capitolo 10. metà di Higher.
boh, penso di aver detto tutto, credo...
quindi, alla prossima c: e grazie per le recensioni, i preferiti, ecc.
addio (?) - emotjon.*






 

10. Like the darkness.



Erano passati giorni. Giorni in cui era cambiato tutto. Madeleine era ancora confusa, ma sempre meno. Sempre più sicura che Harry fosse il ragazzo più… affidabile? Quello con cui insomma sarebbe stata più al sicuro. L’angelo aveva lasciato perdere la sua facciata di tristezza apparente, per il suo meraviglioso sorriso. E Zayn. Lui stava crollando, centimetro dopo centimetro, nelle tenebre.
La mattina dopo aver sognato Zayn – era quasi totalmente sicura che il ragazzo del sogno fosse proprio lui – la ragazza era andata al lavoro al negozio. E non aveva smesso per tutta la mattina di giocherellare nervosa con una ciocca di capelli. Aveva continuato a disegnare, sempre le stesse due piume, tutta la giornata.
La piuma bianca, appena sporca di sangue ormai secco. E una delle piume del ragazzo del sogno. Nera, quasi del colore delle tenebre. E grondante sangue. Non riusciva a smettere di vederle nella propria mente, entrambe. Come una litania. Come un sogno e un incubo insieme, all’infinito.
E aveva disegnato, quasi fino a farsi sanguinare le dita, o a finire la matita.
Finché nel tardo pomeriggio Harry non era arrivato in negozio.
Capelli scompigliati, occhi coperti da un paio di Ray-Ban scuri. Jeans aderentissimi, un paio di converse bianche con la suola molto probabilmente sfondata, e una semplice maglietta bianca, che ben poco lasciava all’immaginazione.
E vedendolo, Madeleine aveva perso un battito. Dopodiché il cuore aveva preso a batterle all’impazzata contro la cassa toracica. Fino a fare male, fisicamente. Fino a sentire il battito ronzarle nelle orecchie. Si era dovuta tenere alla scrivania per non crollare, da quanto sentiva le ginocchia molli.
E addirittura aveva dovuto subire lo sguardo divertito di Liam e Cherubiel, dall’altra parte dello studio. Li aveva ignorati, continuando a tenere lo sguardo puntato su Harry. Non riusciva a smettere, come se ne fosse appena stata ipnotizzata.
Possibile? Decisamente no.
Era più probabile che parte del suo cuore avesse appena scelto. Solo una parte del cuore. Solo una metà. Peccato, no? Sarebbe potuto finire tutto in quell’istante. Madeleine tra le braccia di Harry. Entrambi felici e sorridenti. Zayn fuori dai piedi una volta per tutte… e basta.
Ma poi alla castana era caduto lo sguardo sul blocco da disegno, mentre il riccio si toglieva con grazia gli occhiali da sole e si avvicinava a lei, continuando a sorridere. E, cadutole lo sguardo sull’album, ogni certezza era crollata. Ancora. Si era costretta ad un sorriso, mentre spostava dei fogli bianchi a coprire i disegni delle due piume.
E si era lasciata abbracciare, sprofondando nell’abbraccio profumato di limone di Harry.
Lui le aveva detto che la trovava stanca. Si era preoccupato, sfiorandole le occhiaie mal coperte dal correttore con i polpastrelli. E lei, semplicemente gli aveva detto la verità. Che non aveva dormito molto. Che aveva avuto un incubo. Non si era nemmeno accorta del corpo del ragazzo che la stringeva, che si irrigidiva un secondo dopo l’altro.
Non se ne era curata. Stava bene, in quel momento.
Ed erano passati giorni. Giorni in cui era cambiato tutto, e allo stesso tempo non era cambiato niente. Giorni di calma. Calma sulla Terra. Caos nei cieli e negli inferi. Una specie di calma apparente, se così poteva essere definita. Erano tutti nervosi, sia angeli che demoni. Tutti convinti che Madeleine avrebbe scelto presto. Convinti che finalmente si sarebbe arrivati ad una soluzione, alla fine di tutto.
Dio, come si sbagliavano.
Erano giorni che Madeleine cercava di stare lontana da Zayn, dopo quel sogno. Le venivano ancora i brividi, a pensare al sudore che si era sentita addosso una volta sveglia, o al sangue che credeva di aver visto guardandosi allo specchio. Credeva di aver visto. O aveva visto davvero. Non fa differenza.
«Mad, puoi andare a casa prima, se vuoi… tanto non c’è nessuno».
La castana alzò lo sguardo dal blocco da disegno per immergersi con un sorriso negli occhi color petrolio di Cassiel, che stava cercando di sistemarsi i capelli, tenendoli fermi con una matita. Sbuffando quando alcune ciocche non ressero all’acconciatura improvvisata. E saltando di qualche centimetro non appena sentì le dita di qualcuno davvero troppo familiare sfiorarle il collo e sistemarle i capelli.
Louis. Vicino. Tanto vicino da farle sentire il proprio respiro leggero contro la nuca.
Tanto vicino da farla rabbrividire.
Tanto vicino da far sorridere Madeleine. Nonostante il demone castano dagli occhi celesti le ricordasse terribilmente dell’unica persona per cui stava facendo di tutto pur di ignorarla. Zayn, ovviamente.
«Vado, allora», sussurrò con un briciolo di malinconia di troppo nella voce.
Cassiel e Louis se ne accorsero. E mentre il ragazzo aveva continuato a sorridere, la ragazza dalla pelle scura si era limitata a mordersi un labbro, pur di non fare una smorfia. Ma la verità era che Madeleine non riusciva a stare lontana da Zayn. Forse nemmeno voleva stargli lontana, nonostante tutto.
Però, era come se sentisse di dovergli stare lontana.
Dovere, non volere.
Chiuse gli occhi per un momento, una volta fuori di lì. Prese un respiro profondo, ma fu costretta ad aprire gli occhi di scatto, al sentire il fantasma di un respiro caldo contro la nuca. Si voltò, impaurita, ma… non c’era nessuno.
Come non c’era nessuno ad osservarla, nonostante sentisse di essere spiata. Come se un paio d’occhi castano scuro la stessero osservando dall’ombra, ma lei non potesse vederli, nemmeno a volerlo con tutta sé stessa.
Si passò una mano tra i capelli. Confusa, stordita, e decisamente impaurita da quelle sensazioni. Si sentiva strana, come se sentisse di essere in pericolo, anche se non capiva di cosa dovesse aver paura, in quel caso. E fece un salto, quando sentì una mano fresca posarsi sul suo braccio scoperto.
Sgranò gli occhi, voltandosi poi verso… «Zayn, mi hai spaventata», gli disse piano portandosi una mano sul cuore, che le batteva all’impazzata. Era stato un sussurro, e con una sfumatura di paura piuttosto evidente alle orecchie del demone. E guardandolo negli occhi dopo quei giorni, si rese conto di non essersi sbagliata.
Erano gli stessi occhi del ragazzo che aveva visto in sogno.
Era lui. Aveva sognato lui. Non era solo la sua immaginazione.
E non era servito assolutamente a niente provare ad auto convincersi del contrario.
«Scusa piccola», le disse il moro con un sorriso, attirandola a sé per un abbraccio. Abbraccio che Madeleine non riuscì a ricambiare. C’era qualcosa che non le tornava, in tutta quella situazione. Solo, non capiva cosa fosse. E rimase rigida tra le sue braccia, facendo irrigidire anche lui, improvvisamente arrabbiato. «Mi stai ignorando, non è vero?», le chiese con voce roca, prendendola poi poco delicatamente per i polsi.
Gli si erano scuriti gli occhi in meno di un secondo, come poté notare Madeleine sgranando i suoi. Erano quasi neri. Quasi dello stesso colore del buio. Quasi del colore delle ali nere che aveva intravisto nel sogno.
«Zayn…».
«Lasciala, Zayn… le fai male», si intromise Cassiel dopo una manciata di secondi. Apparentemente calma, ma con le mani smaltate di bianco serrate a due pugni, tanto da avere le nocche bianche e le unghie conficcate con prepotenza nei palmi. Si stava trattenendo dallo staccare Madeleine da lui, per poi prenderlo a pugni.
Cassiel non era mai stata violenta. Ma restava il fatto che il demone si stesse comportando da stronzo patentato, anche più del solito. Si era incazzato solo guardandola negli occhi, impauriti e svuotati da ogni luce. E senza accorgersi di aver fatto male a lei, l’unica ragione che gli rimanesse per continuare a vivere con un minimo di senso.
Le lasciò andare le mani di scatto, quasi facendole più male di quanto non gliene avesse fatto stringendola. Probabilmente le si sarebbero riempiti i polsi di lividi. Ma non le importava. La verità è che da quando Madeleine aveva visto negli occhi di Zayn la consapevolezza di averle fatto male… non aveva più avuto paura. Non per sé stessa almeno. Aveva avuto paura per lui, paura di perderlo.
I suoi occhi erano tornati normali, e li aveva sgranati a dismisura, boccheggiando in cerca d’aria.
Madeleine poteva vederlo impaurito anche quando finalmente si decise ad allontanarsi e rifugiarsi nell’abbraccio stracolmo di affetto della ragazza dalla pelle color caffè, mentre Louis cercava di far allontanare Zayn dalle due ragazze.
«Tesoro, stai tremando», le fece notare la mora accarezzandole le braccia.
Aveva la pelle d’oca. E tremava, quasi incontrollatamente. Ma «Sto bene, Cas…», mentì in un soffio, quasi inudibile.
Voleva solo andare a casa e dormire, come era successo il giorno in cui Harry le aveva chiesto di stare attenta a… Zayn. Ora tutto stava prendendo un minimo di senso. Il moro era pericoloso, anche se a guardarlo negli occhi sembrava solo terribilmente spaventato, quasi quanto lei.
«Ti accompagno io, Mad… se vuoi», le chiese Louis posandole una mano sulla spalla. La ragazza rabbrividì appena, ma dopo un attimo si costrinse ad annuire. Bastava smetterla per un momento di pensare a Zayn, e non c’era motivo per aver paura anche di Louis. «Ho la macchina dietro l’angolo», aggiunse il castano con un mezzo sorriso, e facendole cenno di seguirlo, mentre quella che ormai era la sua ragazza raggiungeva Zayn dall’altra parte della strada.
Madeleine continuava a tremare però. E nonostante sentisse di essere al sicuro ora che il moro era lontano, continuava a vedere i suoi occhi scuri ovunque, in ogni angolo non esposto alla luce del sole. Oppure vedeva Zayn, il viso trasfigurato dalla rabbia e dal dolore, ogni volta che sbatteva le palpebre.
Ed era un sussulto ogni volta. Ogni volta un colpo al cuore.
Finché non dovette sorreggersi a Louis per non cadere. Stava avendo le allucinazioni. Era evidente. «Mad!». Ma non era la voce del ragazzo al suo fianco, a chiamarla. Sentì qualcuno tenerla in piedi e due mani grandi prenderle il viso, obbligarla a guardarlo. «Che è successo? Guardami, piccola…», aggiunse puntando gli occhi verdi in quelli castani di lei.
«Harry…», mormorò riuscendo per miracolo a non scoppiare in lacrime.
Sentì a malapena Louis che gli spiegava cosa fosse successo con Zayn. Li sentì parlare, non capendo una parola del loro discorso. Si limitò a guardare l’angelo davanti a sé negli occhi, non vedendo altro se non il verde della sue iridi. Verde che addirittura riusciva a spegnere il color cioccolato che continuava a frullarle nella mente, come impazzito.
Colse stralci del loro discorso, dopo che Harry l’ebbe presa in braccio. Stavano seguendo Louis fino alla sua auto. E Madeleine non si chiese nemmeno il motivo per cui il ragazzo che la stava tenendo stretta a sé fosse nelle vicinanze nel momento esatto in cui lei si era sentita male.
Poteva anche essere una coincidenza, in fondo. Anche se non ci credeva più di tanto.
«Devo portarla da Eve», disse l’angelo facendo sdraiare la castana sui sedili posteriori del fuoristrada di Louis, che però scosse la testa ridacchiando, a quella richiesta, che alle orecchie di Madeleine non poteva sembrare più strana. «Louis, andiamo…».
«Pensavo sapessi che a noi arcangeli non è permesso entrare nel territorio di un serafino». Lo disse con tutta la naturalezza di questo mondo, ignorando l’occhiataccia di Harry, mentre metteva in moto. Mad borbottò qualcosa, non riuscendo a capire più niente, a quel punto. E in più, aveva ricominciato a vedere di occhi di Zayn ovunque… «Chiama Eve… la posso portare da Skylar, a casa mia, da Zayn, o da Liam, lascio scegliere te».
Harry si passò una mano sul viso, riconoscendo che in fondo il demone avesse tutte le ragioni del mondo. Louis era solo un arcangelo. E non avrebbe nemmeno dovuto aver a che fare con la schiera angelica, anche se era innamorato di Cassiel. Non avrebbe dovuto aver a che fare con nessuno di loro… ma in fondo…
«Da…».
«Andiamo da Eve, ho cambiato idea», gli disse, facendo un’inversione a “u” in mezzo alla strada, totalmente noncurante degli insulti degli automobilisti di Los Angeles. Sentire Madeleine lamentarsi di quello che stava vedendo nella sua mente, l’aveva convinto a fregarsene delle regole ancora una volta. Aveva persino accettato di buon grado il “grazie” appena accennato di Harry. «Non lo faccio per te, sia chiaro… solo perché Cassiel vorrebbe che fossi un po’ più come te e un po’ meno come Zayn».
Harry ridacchiò a quel giro di parole, fatto più che altro per non far capire niente a Madeleine. Ma tornò serio quando la sentì mugolare qualcosa. Si voltò, e la vide ad occhi spalancati, vuoti. «Che…?». Poi si rese conto. L’incubo. Zayn. E la sua piuma, quella che Mad si portava dietro da giorni. «Dobbiamo dirle tutto, Louis». Il castano quasi non inchiodò in mezzo alla strada, a qualche minuto da casa di Eveline.
«Sei fuori di testa…».
«No invece», ribattè passandosi una mano tra i capelli, scompigliandoli più di quanto non fossero già. «Sta così da quando ha trovato la mia piuma, da quando le ho detto di stare attenta a Zayn… da quando l’ha sognato…», aggiunse con voce stanca.
«Non le possiamo dire tutto, lo sai… deve essere lei a vederci, o i Nephilim la prenderanno di nuovo». Harry non poteva crederci. Louis lo stava davvero aiutando? Stava davvero suggerendo una soluzione plausibile? «E non guardarmi in quel modo… le voglio bene anche io, anche se non sembra», aggiunse con un mezzo sorriso ad increspargli le labbra.
E si accorse appena delle nuvole nere sopra casa di Eveline – era una villa immensa, a dire il vero. Era così che Eve reagiva alle intrusioni ostili. E quelle nuvole potevano essere viste solo da altri angeli, da altri demoni. Non dagli umani. C’era ancora il sole, per loro, e non una nuvola a sporcare il cielo azzurro, ormai tendente al tramonto.
«Ha già la mia piuma… e sono sicuro che abbia visto Malik in sogno», spiegò Harry stringendo i pugni, mentre il castano parcheggiava in fondo al viale che portava alla villa di Eveline. E Harry aveva ragione, era come se Madeleine sapesse già tutto, ma non se ne rendesse conto. Non riusciva a rendersi conto che fosse tutto vero… come se sapesse che tutto quello era impossibile, o qualcosa di molto vicino ad esso.
«Che hai intenzione di fare?».
«Convincere Eve a mostrarsi… di lei si fida». Più di quanto si fidi di me, forse. Ma Harry non lo disse. Non ce n’era bisogno, perché il demone al suo fianco aveva già capito tutto, senza bisogno di troppe parole. Soprattutto, non fece in tempo nemmeno a pensare, che videro l’angelo dai capelli castani arrivare correndo.
«Portala dentro, poi ci penso io… e Louis, fa convocare tutti voi dal più alto di grado», disse la ragazza legandosi velocemente i capelli mentre Harry prendeva i braccio Madeleine e Louis annuiva, senza riuscire a fare altro.
L’ordine di un serafino era legge, del resto. Non per niente erano gli angeli più vicini a Dio. Così il demone sfrecciò via, diretto verso casa di Storm, mentre i due angeli portavano dentro la ragazza, in meno di un battito di ciglia.
E non ci fu il tempo di fare domande, né il tempo di pensare. Tantomeno il tempo di reagire per gli altri angeli, che erano già stati convocati da Eveline. Il serafino aveva appena chiuso gli occhi, lentamente, mentre Harry posava Madeleine sul suo divano di pelle bianca.
Un attimo, e gli occhi di Eveline erano più azzurri che mai, quasi viola. Un attimo, e i capelli avevano preso a svolazzarle intorno, mossi da chissà quale corrente e seguiti subito dopo dalla risata melodiosa di Niall. Lui la guardava, come la guardavano tutti. Con la differenza che fu la sua risata leggera a scatenare tutto.
Fu la sua risata a farla sospirare, e far comparire le ali.
Tre paia di ali. Di un rosa chiarissimo, quasi bianco. Un paio di ali per volare. Le più grandi e imponenti, immense, quasi due metri e mezzo di apertura. Un secondo paio, per coprirsi il viso. E un ultimo paio di ali, più piccole, per coprirsi i piedi.
Le sbatté appena, sollevandosi da terra di qualche centimetro. Tanto quanto bastava per farla appollaiare sul bracciolo del divano, le ali più grandi inclinate davanti a sé a sfiorare il viso di Madeleine, che nel frattempo aveva smesso di lamentarsi. Respirava normalmente, in presenza dell’angelo.
Solo, aveva ancora gli occhi chiusi.
«Maddie, tesoro…». Un sussurro, che fece schiudere le palpebre della ragazza sul divano, facendole poi strizzare gli occhi per la luce. Harry sorrise appena, vedendo la sua espressione, ma dentro aveva solo paura di rovinare tutto, facendo scoprire il suo mondo alla ragazza che amava. «Piano, con calma… e non urlare, ti prego», aggiunse Eveline portando il terzo paio di ali color confetto a coprirle i piedi nudi.
Allora gli occhi castani di una si posarono in quelli quasi viola dell’altra… ma dopo un attimo furono distratti dalle ali. Dal paio che circondava i capelli di Eveline. Poi dal paio che le ricopriva i piedi. Infine dal paio che circondava la stessa Madeleine, fino a sfiorarla. Sbatté più volte le palpebre, senza riuscire a capire.
«E’ un sogno, Eve?». L’angelo scosse la testa delicatamente e sussurrò un “no” silenzioso, che sentì solo Madeleine, nella mente. «Cosa…?». Cosa sei? Era necessario chiederlo? «Non puoi essere…». Non puoi essere un angelo. Gli angeli non esistono, continuava a ripetersi la ragazza, ignorando il fatto che l’angelo davanti a lei la potesse sentire, forte e chiara.
«Sono un serafino, non un angelo qualsiasi», le disse avvicinando di nuovo l’estremità di un’ala al suo viso. Si aspettava che si scostasse, invece no. Rimase immobile, e nemmeno troppo rigida, a lasciare che Eve la sfiorasse. «Hai paura?», le chiese dopo qualche secondo, e quando lei scosse la testa… fu un sospiro di sollievo dopo l’altro. Prima di tutti Harry. Poi Cassiel, Cher, Niall, Celestine, Liam.
Sospirarono tutti. In modo che Madeleine si accorgesse anche di loro.
«La vedete anche voi… un attimo, la piuma…».
«Grazie per averla tenuta al sicuro», la interruppe il riccio sorridendole, facendo persino comparire una delle due fossette. Madeleine inarcò un sopracciglio. Confusa? Parecchio. Ma poi Eveline si scostò sbattendo delicatamente le ali, e atterrò di fianco a Niall, ripiegandole all’indietro.
E Madeleine lo vide.
Harry. Con gli occhi verdi più brillanti del solito.
E le due paia di ali spiegate intorno a sé. Candide, quasi perfettamente bianche. Curiosamente, dello stesso identico colore della piuma che si stava portando dietro da giorni. Quella piuma che aveva trovato, protetto e disegnato ogni secondo, in quei giorni.
Ma fu l’ultima cosa che vide, prima di svenire.



 



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Capitolo 11
*** 11. Angels. ***


*buongiorno polpette (?)
non fate caso a me, sono troppo felice di riuscire ad aggiornare, lol.
in effetti, nemmeno so come definire questo capitoli, ma okay.
spero lo stesso che vi piaccia, perchè a me non fa impazzire...
volevo dire qualcos'altro... non mi ricordo.
okay, facciamo finta di niente, mi verrà in mente, forse.
grazie a chi recensisce, siete l'amore.
e chi ha la storia nelle varie categorie, amo tutti, lol.
beh, posso anche evaporare, alla prossima...
- emotjon.*


*ho litigato con l'editor.
quindi è probabile che il testo non sia col solito carattere, sorry*



 

11. Angels.



Era iniziato tutto migliaia di anni prima. Gli angeli erano nati prima di tutto, appena dopo Dio stesso. Prima del mondo degli umani, prima dei fiori, degli animali. Prima di Adamo ed Eva. Dio li comandava tutti, dal primo all’ultimo. Li aveva addirittura divisi per grado, se così si può dire.
In cima alla gerarchia, i serafini. Gli angeli più vicini a Dio, i più potenti. Quattro di loro addirittura stavano sopra gli altri. I guardiani del trono. E governavano il movimento del cielo, oltre ad essere dotati di tre paia di ali.
Al di sotto dei serafini stavano tutti gli altri.
I cherubini. E poi i troni, le dominazioni, la potestà, i principati e gli arcangeli. E in fondo, ultimi ma non ultimi, gli angeli. I semplicissimi angeli. Gli esseri angelici che più potevano essere definiti vicini e familiari agli essere umani. Come gli angeli custodi, ad esempio.
E migliaia di anni prima erano tutti lì. Tutti insieme nell’Empireo, come avrebbe detto Dante. Nessuna divisione. Nessuno schieramento. Finché Lucifero non si era ribellato, ed era stato bandito, causando la caduta di tutti angeli. Causando la formazione di due schieramenti.
La schiera angelica. Coloro che avevano scelto di stare dalla parte di Dio. Dalla parte del bene. Eveline, ad esempio. O coloro che non avevano avuto il coraggio di scegliere, ma che il Trono aveva reputato degni di restare. Harry, tanto per fare un nome.
La schiera demoniaca. Coloro che avrebbero seguito Lucifero ovunque, persino in capo al mondo, o nelle profondità più buie. Persino all’inferno. Storm, o Louis. O, anche in questo caso, coloro che non avevano avuto il coraggio di scegliere, ma che al contrario non erano stati considerati degni del Paradiso. Kismet. E Zayn, in particolare.
E poi, una terza schiera, in un certo senso. Né angelica né demoniaca. Solo, il frutto delle unioni tra gli angeli (o i demoni) e gli esseri umani. I Nephilim. Né cattivi né buoni. Né ordine né disordine.
Né bianco né nero.
Perché se gli angeli potevano essere presi come bianco, come purezza, e tutto il resto, e i demoni come cattiveria, lussuria, come nero… i Nephilim erano grigi. Né abbastanza puri per essere considerati angeli, né abbastanza corrotti da essere demoni. Una via di mezzo imbarazzante, non definibile. Non classificabili. Una specie di limbo, se volete.
Sotto tutti loro, stavano gli esseri umani, ignari per la maggior parte di tutto ciò che succedeva all’infuori delle proprie vite. O, al massimo, delle vite delle persone a cui tenevano di più, a cui erano in qualche modo più legati. Legami. Alla fine tutto andava a finire lì.
Tra un essere umano e l’altro. Tra due angeli. Tra due demoni.
Tra un angelo e un demone.
E, in casi davvero molto rari, c’erano anime più degne di altre. Anime illustri, nate per uno scopo, che fosse per creare scompiglio tra gli uomini, per salvarli. O che fosse per fare confusione tra gli angeli. Per renderli più… umani. Per farli innamorare.
Madeleine. La sua anima era stata creata appunto per quello scopo. Per rendere gli angeli meno superiori a tutto il resto. Per creare scompiglio. Per far sì che provassero le stesse emozioni che Dio aveva donato agli uomini. Per creare amicizia. Fratellanza. O anche odio. Invidia. Qualsiasi sentimento sarebbe andato bene, purché provassero qualcosa, qualsiasi cosa.
Amore, anche.
Lo stesso che Harry e Zayn provavano per Madeleine. Lo stesso amore che legava Kismet e Celestine, o Cassiel e Louis. Non avrebbero dovuto amarsi, tanto erano diversi. Eppure lo facevano ugualmente, governati da chissà quale forza superiore. O forse non così superiore come credevano.
Quando Madeleine aprì gli occhi… era confusa. Si sentiva come se le fosse passato sopra un autobus. Con la testa che girava e che le doleva. I pensieri che le frullavano in mente come impazziti, e la luce. Era troppa. Davvero troppa perché potesse capire dove si trovasse.
Ricordava solo di non riuscire a smettere di vedere gli occhi scuri di Zayn, che la seguivano ovunque andasse. Ricordava di essere andata via con Louis, e di aver incontrato Harry per strada. Ma poi tutto si confondeva, come fosse un sogno che quando ti svegli poi non riesci a ricordare.
Era… strano.
Ricordava un paio di ali rosa chiaro. E di essere stata bene. Davvero bene, senza il pensiero delle ali nere del sogno di due settimane prima. Stava bene. Solo, non ricordava il volto dell’angelo a cui appartenevano le ali rosa. Né quello del secondo angelo che ricordava di aver visto (forse in sogno?), con le ali bianchissime, quasi irreali.
«Mmm…», borbottò stropicciandosi gli occhi con un pugno chiuso. Niall si affrettò a ripiegare le ali su se stesse, dietro la schiena. No, non a nasconderle. A quel punto, non valeva più provare a nascondersi. Non ora che avevano risvegliato la memoria della castana. «Niall, ciao… mi sento… strana», riuscì a borbottare non appena lo vide a pochi metri da lei.
L’angelo biondo ridacchiò, facendo risplendere appena le ali, ma cercando di non attirare l’attenzione della ragazza. L’avrebbe spaventata e nient’altro, visto anche che credeva di aver sognato tutto. Eveline con le ali spiegate, inclusa. Ma mentre stava per chiederle cosa sentisse e come stesse, la sua ragazza entrò nella camera da letto con una folata di vento fresco.
Inutile provare a fermarla.
Inutile anche solo pensare di provarci.
Le ali di Eve erano ben visibili, fin troppo. Tanto rosa, e tanto rilucenti, quasi quanto il sorriso limpido che splendeva sul suo bel viso da serafino. E Niall non poté far altro se non ridere, a quella scena. Per poi lasciare un bacio su una tempia della ragazza dagli occhi azzurri, sussurrarle un vacci piano, e uscire dalla stanza, con l’espressione di Madeleine ben impressa nella mente.
«Come stai?».
Alle orecchie della ragazza, la voce di quell’angelo era… diversa. Più limpida. Più… angelica? Più pura. Forse anche più felice, non riusciva a spiegarselo. Come non riuscì a spiegare il sorriso che le comparve sul viso, al suono di quella voce. Un sorriso naturale, a sostituire le labbra socchiuse e gli occhi sgranati che albergavano sul suo viso fino a qualche attimo prima.
Come stava? Non poteva esserci domanda più difficile a cui rispondere, per Madeleine.
Confusa. Confusa. E ancora confusa.
Non sapeva se chiedere ai propri occhi o meno. Se credere a quello che credeva di aver sognato. Non sapeva se credere alla visione di Harry, con quelle ali tanto candide da far male agli occhi. Non sapeva nemmeno più se credere alla piuma che portava nella borsa da giorni. Come non sapeva se credere all’incubo del demone dalle ali nere che somigliava terribilmente a Zayn.
Non sapeva più niente.
«Sei vera… sono morta o sto sognando, non è vero?». In effetti, le opzioni razionali erano quelle. Poteva essere morta, e allora se avesse creduto negli angeli, li avrebbe visti, in Paradiso. Oppure stava sognando. Stava immaginando tutto. Non poteva essere altrimenti, dal punto di vista di una semplice umana.
Ma la risata cristallina di Eveline la fece ricredere. La ragazza non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, da quanto era bella. Bella, più del solito. Con una luce diversa negli occhi. Con qualcosa di diverso ad illuminarle il sorriso, la risata e la voce. Era una persona diversa da quella che Madeleine aveva conosciuto al negozio di tatuaggi.
«Sono vera, tesoro… lo so che può sembrare strano…». Eveline si morse un labbro, trattenendo un sorriso. Dire che era strano, era decisamente un eufemismo. Era parecchio strano. Surreale, sarebbe stato il termine più adatto. La ragazza, ancora sdraiata sul letto, si mise e sedere, per poi avvicinarsi all’angelo e allungare una mano verso le ali più grandi. «Le puoi toccare, se vuoi».
E Madeleine non se lo fece ripetere due volte. Continuò a tenere gli occhi castani in quelli celesti dell’altra, mentre avvicinava le dita alle piume rosa confetto. Al contatto con le dita erano morbide. Quasi impalpabili. Irreali, nonostante le stesse sentendo sotto le dita. Era una sensazione strana, ma toccandole ogni preoccupazione svaniva nel nulla, quasi come non fosse mai esistita.
«Sei un… serafino?», mormorò continuando ad accarezzare le piume. Non riusciva a smettere. Eveline annuì con un sospiro di sollievo. Sollevata dal fatto che ricordasse quello che era successo il pomeriggio precedente, o almeno parte di esso. Era già un passo avanti. «Quindi, tipo il capo degli angeli?». Eve annuì di nuovo, abbassando le palpebre al tocco delicato dell’amica e ridacchiando. Il capo. Beh, in un certo senso…
«Ti ricordi nient’altro di ieri?».
Madeleine si scostò leggermente dall’angelo, inarcando pianissimo un sopracciglio. Appena, quasi un movimento impercettibile, quasi invisibile ad occhio umano. Ma Eveline non era umana. «Sono svenuta, ma non mi ricordo perché… aspetta, anche gli altri sono angeli?». La ragazza dalle ali rosa chiaro prese un respiro profondo, chiudendo poi gli occhi per chiamare gli altri. Una manciata di secondi, e comparvero Cassiel e Cherubiel sulla soglia.
La prima con un sorriso triste sul viso, e le ali color pervinca spiegate dietro di lei, ma ripiegate dietro di sé, in modo da non attirare troppo l’attenzione. La seconda, coi capelli biondi legati in una crocchia, gli occhi azzurri particolarmente brillanti, e le ali ripiegate dietro, color carta da zucchero, di una tonalità chiarissima.
E quella era l’unica risposta di cui aveva bisogno. Anche gli altri sono angeli? Sì. Decisamente. Non c’era bisogno di troppe parole. Aveva la risposta nitida di fronte a sé. E a meno che i suoi occhi non le stessero facendo uno scherzo, era costretta a credere a quello che le stavano mostrando.
Aprì la bocca, indecisa se dire o meno qualcosa, anche se non sapeva cosa dire. Ma non disse niente, quando vide entrare anche Liam, Celestine e Niall. Anche loro avevano una luce diversa negli occhi, e nel sorriso. Erano più chiari, puri e lucenti. E le ali dei ragazzi erano bellissime, più chiare e meno colorate, sui toni del bianco, del grigio e dell’argento. Ma non faceva male agli occhi, a guardarle… «Harry…». Fu l’unica parola che uscì dalle sue labbra, prima che riuscisse a scendere dal letto senza che le girasse la testa.
E mancavano anche Kismet, Louis e Zayn.
Ma questo Madeleine non lo disse. Le importava di Harry, in quel momento. Ricordava qualcosa, del pomeriggio prima. Ricordava le sue ali bianche, la piuma che teneva nella borsa. E i suoi occhi che andavano dal verde all’argento. Le sue labbra stirate in un sorriso. Ed era svenuta, da quanto la sua visione riusciva a toglierle il fiato.
«Soffri di vertigini?», le chiese Liam mentre Niall le tendeva una mano, chiarissima in confronto a quella color caffelatte della ragazza, che scosse la testa tentando un sorriso, mentre titubando appena incastrava la mano in quella dell’angelo biondo. «Non farla cadere, Nialler», aggiunse il castano cingendo la vita della propria ragazza, senza riuscire a trattenersi dal ridacchiare.
Niall intanto la stava trascinando, ancora per mano, fino al balcone della camera – una delle camere – degli ospiti di Eveline, sotto il suo sguardo sempre più confuso e stranito, che mutò fino a farle sgranare gli occhi a dismisura quando lo vide salire con un saltello sulla balaustra e tirarla su come pesasse due chili appena. «Chiudi gli occhi».
E Madeleine lo fece, non riuscendo a spiccicare parola. Per ultima cosa vide cinque paia di occhi angelici e cinque sorrisi più o meno luminosi, cercare di infonderle coraggio. Ci riuscirono, in un certo senso. Ma non poté trattenersi dal lanciare un gridolino, non appena sentì i piedi di Niall – e i propri – sollevarsi dalla ringhiera in ferro battuto, provocando un leggero stridio.
«Non farmi cadere».
«Oh, tranquilla… non ci tengo a farmi ammazzare da Harry, o da Zayn», aggiunse dopo un paio di battiti di ali. Alla ragazza fischiavano le orecchie, un po’ per il vento fresco di metà mattina, un po’ per la paura immobilizzante che sentiva in quel momento. La paura di cadere nel vuoto. Paura che la lasciasse andare, e che non riuscisse a salvarla. Erano sopra i palazzi, i palazzi, le ville e la spiaggia di Los Angeles, quando Madeleine si sentì sussurrare di aprire gli occhi, mentre un trilione di pensieri le vorticavano nella mente, come impazziti.
Quei pensieri svanirono, quando si decise a sollevare le palpebre.
La città vista dall’altro era un capolavoro. Bellissima, con i palazzi, le persone e le palme sul lungomare, tanto piccole da somigliare a formiche. E le persone che passeggiavano, o le piccole auto scure, parevano davvero insetti, che lavoravano operosi nel proprio nido, completamente ignari di quel che succedeva al di fuori del loro mondo.
E altri due battiti di ali, prima che la terra sotto ai loro piedi svanisse, come inghiottita, e Madeleine vide solo una coltre di nubi che copriva tutto il resto. Faceva più freddo lassù, ma ancora non abbastanza da soffrirne davvero, non sufficientemente da prendere a tremare. O forse era solo la presenza di Niall a non farle sentire freddo.
«Wow». Un sussurro, quasi impalpabile e inudibile.
Un sussurro che fece sorridere l’angelo biondo che ancora la teneva stretta per i fianchi, mentre gli occhi di lei si abituavano pian piano alla presenza delle nuvole, alla nebbia leggera. E comparve un angelo, seduto sul bordo di una nuvola, con le gambe a penzoloni nel vuoto e due paia di ali bianche aperte dietro la schiena, farsi strada nella nebbia, e illuminare tutto intorno a sé.
E Madeleine si accorse appena di camminare su una nuvola, con Niall a stringerla forte per mano in modo che non cadesse. Era come camminare sulla gomma piuma, ma con la consistenza della zucchero filato. E la ragazza si ritrovò a sorridere, quasi a ridacchiare, camminando, mentre si avvicinavano un passo dopo l’altro ad Harry.
L’angelo dagli occhi verdi sorrise, guardandola. Era bellissima. E non sembrava nemmeno troppo sconvolta. Sarebbe andato tutto bene, forse. Almeno, era quello che sperava. Con tutto il cuore. Con tutto sé stesso.
«Grazie Niall», riuscì a mormorare, mentre l’altro la lasciava scivolare tra le sue braccia. Madeleine lo strinse a sé come se andasse della propria vita, mentre il biondo volava via. E Harry si lasciò stringere in quell’abbraccio, che tutto sommato lo fece sentire meglio. Ma non meno nervoso. «Piccola… credo di doverti spiegare», le mormorò accarezzandole i capelli.
La ragazza si irrigidì, ma Harry aveva perfettamente ragione. Doveva spiegare. Perché non ci stava capendo un accidente. Così annuì, allontanandosi appena per guardarlo negli occhi verdi. Perse un battito, vedendolo poi aprirsi in un mezzo sorriso e far comparire una delle due fossette.
«Sono tutta orecchie…».
Allora Harry le raccontò degli angeli. Le varie gerarchie, la storia della Creazione, di come stavano bene in Paradiso, senza distinzioni. E poi, di Lucifero, della Caduta. Stando attento ad ogni minima reazione da parte della ragazza, che annuiva ogni tanto, ma non diceva una parola. Non riusciva a parlare, sotto quel carico di informazioni tanto… strane. Irreali. Insomma, lei non credeva praticamente in niente.
E ora le si veniva a dire che esisteva Dio. E gli angeli. E i demoni.
Le raccontò tutto di sé. Ma evitò di dirle di lei. Le disse di essere un cherubino, le spiegò di essere più forte e veloce di un essere umano. Di saper volare. Di poter leggere i pensieri delle persone, se avesse voluto. Le raccontò dei demoni, nominando Louis, e Kismet. Le disse che il castano aveva scelto di stare dalla parte di Lucifero; la mora invece non aveva scelto, ma era stata spedita all’inferno comunque. E le disse degli altri angeli.
Parlò per ore, continuando a tenerla stretta, a giocare con le sue dita fresche. E continuando a guardarla, a guardarle in viso, finché ad un certo punto non la vide schiudere leggermente le labbra e inarcare un sopracciglio. Nel momento esatto in cui il cielo tutto intorno a loro si faceva più scuro e più freddo.
Le nuvole cambiarono colore, passando dal bianco, al grigio chiaro, al grigio fumo, fino quasi a diventare nere. E anche Madeleine le vide cambiare colore, quando di solito erano solo le creature angeliche a vedere quei cambiamenti. Harry la vide sgranare gli occhi, davanti a quel mutamento, allora si alzò in piedi con un movimento fluido e la tirò a sé, accarezzandole la schiena coperta solo da una canottiera. Iniziò a tremare, mentre la domanda che voleva fare all’angelo, arrivava finalmente sulla punta della sua lingua.
«E Zayn?», gli chiese pianissimo, sentendo la paura impadronirsi di lei.
Aveva già la risposta, Madeleine. Ricordava perfettamente l’incubo di due settimane prima. Ricordava ancora le piume nere intrise di sangue. E gli occhi del demone dell’incubo, uguali a quelli di Zayn. Ricordava come l’aveva trattata il giorno prima, anche se sembravano passati secoli. Ricordava il suo sguardo, cattivo, maligno, e subito preoccupato e dispiaciuto. Ricordava perfettamente di aver sentito la sua voce nella mente. E la sua risata cattiva, che le risuonava come un disco rotto nelle orecchie.
Ma Harry si irrigidì, semplicemente, chiudendo per un istante le palpebre per chiamare Niall, o chiunque altro. Non faceva differenza. Solo, doveva portare Madeleine via di lì, era la sua priorità principale, in quel momento. «Devi andare via da qui…», le sussurrò stampandole un bacio rapidissimo all’angolo delle labbra. Lei si allontanò appena per guardarlo, scuotendo poi la testa.
Lo fece sorridere. Aveva paura di stare lì, eppure non voleva lasciarlo.
«Prima spiegami, Harry… non puoi fare così ogni volta che ti chiedo qualcosa, non a questo punto», gli disse prendendogli il viso tra le mani e alzandosi in punta di piedi, in modo da essere occhi negli occhi. Castano nel verde. La terra fusa col suo prato. «Zayn da che parte sta?», gli chiese in un soffio, praticamente contro le sue labbra.
E quasi come in un sogno, i demoni comparvero, a pochi metri da loro, mentre dietro Harry facevano capolino Liam e Cherubiel. La ragazza non si voltò nemmeno. Non ne ebbe bisogno, per capire da che parte stesse il moro.
Sentì la sua risata, appena soffocata. E quello bastava per capire tutto.
O almeno, una buona parte del tutto.


 





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Capitolo 12
*** 12. He's evil. ***


*buon pomeriggio, e buon martedì, lol.
non so quanto sia passato dall'ultima volta che ho aggiornato.
non ne ho proprio idea... so solo che le recensioni diminuiscono.
ma tranquille, me ne sbatto altamente.
le poche che arrivano sono meravigliose, comunque.
quindi, mi accontento. e grazie, a proposito, awwww.
okay, vi lascio leggere ragazze... i contatti in fondo, al solito.
un abbraccio,
- emotjon.*







12. He’s evil.



Madeleine aveva ancora la risata del moro che le risuonava nelle orecchie, insieme ad una domanda in particolare. La domanda e la risata fecero a gare per ottenere la sua attenzione per parecchi minuti, finché la ragazza non si accorse della mano di Cherubiel posata con delicatezza sul suo braccio.
I pensieri svanirono, come per magia, e rimase la domanda. Solo la domanda che le girava nella mente da quando erano scesi dalla nuvola, qualche ora prima. Da quando la bionda l’aveva trascinata via per un polso e l’aveva riportata a terra.
«Perché io, Cher?».
L’angelo sgranò i suoi meravigliosi quanto innaturali occhi celesti e si morse il labbro inferiore. Una via di mezzo tra lo stupore, la sorpresa, e l’indecisione del momento, in quegli stessi occhi. Quella domanda voleva dire tutto e niente, nello stesso istante. E in fondo la ragazza aveva tutto il diritto di sapere. Perché lei? Perché proprio lei, in mezzo a quel triangolo tra un angelo e un demone? Perché continuava a disegnare piume di angelo da anni, e all’improvviso saltava fuori che quegli angeli esistevano davvero?
Ma Cherubiel scosse la testa. Non doveva dirglielo. Non poteva semplicemente spiegarle il perché. Le cose in quel caso non funzionavano così. Non era tutto così semplice. Doveva essere Madeleine a credere. Doveva essere lei a ricordare. Però… forse una piccola spinta non avrebbe fatto male a nessuno, no?
L’angelo biondo prese un respiro profondo, per poi aprirsi nell’accenno di un sorriso. Annuì tra sé, mentre la ragazza che sedeva al suo fianco continuava a guardarla, con un’espressione leggermente stranita a distorcerle il viso. «Ti ricordi il disegno che mi hai mostrato al colloquio per il negozio?». Le aveva mostrato parecchi disegni, vero. Ma lei si riferiva ad uno in particolare, e la castana aveva capito perfettamente quale avesse in mente, così annuì, curiosa di capire dove volesse arrivare. «Quella sono io, per questo ero tanto sorpresa, quando l’ho visto…».
Madeleine scosse la testa. Insomma, era impossibile. Lei non la conosceva, quando aveva buttato giù quello schizzo. E sì, magari le somigliava in modo a dir poco incredibile, ma non poteva essere Cherubiel. Anche se in qualche modo spiegava come mai le fossero tutti fin troppo familiari.
Spiegava tutto e niente, proprio come la sua domanda.
«Non ti conoscevo, Cher…».
«Ed è qui che ti sbagli, piccola… ma devi essere tu a ricordare», la interruppe scompigliandole dolcemente i capelli, come avrebbe fatto una sorella maggiore. O come avrebbe potuto fare una vecchia conoscenza. Una vecchia amica. «Devi ricordare, okay? Vediamo… sei mai stata in Olanda?», le chiese dopo qualche secondo di silenzio. La castana si passò una mano tra i capelli, cercando di concentrarsi. Magari aveva ragione lei, chissà. Ma si ritrovò a scuotere la testa, non ricordando niente.
Ma Cherubiel non si sarebbe arresa tanto in fretta. Per nulla al mondo.
«Non sono mai stata in Olanda». Dove vuoi arrivare?
«E se ti dicessi che abbiamo vissuto insieme poco fuori Amsterdam?». Cherubiel stava infrangendo le regole. Ma in fondo non le importava. Era di vitale importanza che Madeleine capisse, in un modo o nell’altro. Vide con la coda dell’occhio Liam ed Eveline fermi sulla porta a vetri che dal salone dava sul giardino. Ma mentre si aspettava un’occhiataccia, il serafino annuì. «Se ti dicessi che avevamo una stamperia illegale di libri considerati proibiti, nel mulino dove stavamo… intorno al 1625?».
Stamperia. Mulino. 1625.
Quelle tre informazioni frullarono per qualche istante nella mente di Madeleine, prima che potesse scoppiare a ridere, con una punta di isteria nella voce. Si alzò di scatto dal divano, passandosi una mano tra i capelli. Si allontanò di qualche passo, cercando di calmarsi, per quanto fosse possibile. Perché era totalmente folle, quel che le aveva appena detto.
E non aveva intenzione di crederle.
Peccato che una minuscola parte di sé continuasse a sussurrarle che la bionda avesse ragione da vendere.
«E’ vero?», chiese semplicemente, guardando Liam dritto negli occhi. Lui annuì. Dopotutto, c’era anche lui, nel 1625. Quella di cui parlava la bionda era una delle vite di Mad finite peggio. Per colpa di Remember. Una delle vite in cui la ragazza aveva conosciuto l’angelo dagli occhi verdi. La vita in cui il demone dei ricordi perduti aveva rovinato tutto.
«E’ vero, Mad…».
Era vero.
Conosceva Liam abbastanza da sapere che non mentiva, e che se era costretto, non ci provava gusto nel farlo. In più, Madeleine sospettava che gli angeli non potessero mentire. Al massimo, potevano omettere qualcosa. Come sicuramente stavano facendo con lei anche in quel momento.
«Quindi state dicendo che sono una specie di essere immortale con una grave forma di amnesia?». La ragazza inarcò un sopracciglio, facendo ridere Eveline e Cherubiel, che se ne stava ancora seduta comodamente sul divano di pelle. Liam però continuava a guardarla negli occhi, con sguardo fin troppo serio per essere ignorato. «Me la merito una risposta, non credi?». Si rivolse solo a Liam. Solo a lui. L’unico in quella stanza che la stesse ascoltando davvero, prendendola sul serio.
Il ragazzo dagli occhi nocciola ignorò quindi l’angelo al suo fianco e prese la ragazza per mano. Madeleine aveva ragione. Meritava di sapere tutto, o almeno una buona parte. In fondo, a quel punto cosa avevano da perdere? Il peggio che sarebbe potuto accadere era l’ennesima venuta dei Nephilim, con successiva ennesima morte della castana.
Tanto valeva scoprire le carte.
Tanto valeva rischiare tutto e provare a dire la verità, una volta per tutte.
E mentre Liam portava via Madeleine, con gli occhi nocciola persi tra l’orizzonte e i suoi stessi pensieri, Soraya guardava tutto dall’alto di una nuvola. Una nuvola più in alto delle altre. Una nuvola nascosta, rispetto a dove erano praticamente tutti. A partire da Harry e Zayn. Erano lì da ore, senza aver risolto ancora niente, e senza essersi ancora dati addosso fisicamente.
Il demone dai corti capelli castani sospirò. Facendosi sentire dagli altri, qualche metro più in basso. Non le importava, che la sentissero. Solo, era stanca. Forse anche più stanca dell’angelo riccio e del demone dalla pelle ambrata.
Stanca di non essere abbastanza per fare qualcosa, in quella situazione. Stanca di invidiare quello che Zayn provava per Madeleine, perché avrebbe voluto anche lei qualcuno come lui, che la amasse fino a morirne, se necessario. Stanca di vedere Louis amare Cassiel fregandosene di qualsiasi altro. Stanca di non riuscire a staccare gli occhi da quel che le succedeva intorno, senza mai pensare a sé stessa. Stanca di non riuscire a smettere di guardare il demone dagli occhi grigi. Stanca di Storm. Stanca di essere sempre e comunque la sua seconda scelta.
Abbassò le palpebre, al pensiero di Storm, e portò le ali nere a coprirla. Era al buio. Chiusa in sé stessa, quando un respiro si unì al suo. Non se ne curò. Ma c’era uno strano silenzio. E solo uno tra le persone lì presenti avrebbe potuto creare il silenzio dal nulla, lasciando il resto fuori. Solo un serafino che avesse passato gli ultimi cinquemila anni all’inferno, avrebbe potuto.
«Va tutto bene?».
«Sono solo stanca, Storm». Vattene, ti prego. Lasciami morire dentro in pace.
Ma quando le piume dorate del biondo entrarono in contatto con le sue, si lasciò andare ad un sospiro, misto all’inizio di un singhiozzo. Prese un respiro profondo e scostò le ali dal corpo, lasciando che le si ripiegassero dietro la schiena, mentre una piuma del demone accanto a lei prendeva ad accarezzarle una guancia, bagnata di lacrime.
«Piccola».
«Non sono la tua piccola, smettila», singhiozzò mentre Storm le si avvicinava, attirandola a sé. Lo prese a pugni, prese ad urlare. Tanto non l’avrebbe sentita nessun altro. Quello sarebbe stato il loro piccolo segreto. Il loro momento per darsi contro, invisibili al resto del mondo. «Smettila di far finta che ti importi di me, quando pensi ancora a lei… smettila di chiedermi come sto, quando sai benissimo che sto male perché non ce la faccio ad andare avanti senza di te… smettila». Ogni parola, un pugno contro il suo petto muscoloso, e una lacrima che le scorreva lungo la guancia, perdendosi poi nel vento.
Gli occhi del demone si sgranarono leggermente, prima che potesse fermarle i polsi e stringerla a sé, nel primo vero abbraccio della loro storia. Il primo abbraccio che contasse per lui almeno quanto contava per lei. «Non puoi davvero pensare di non contare niente, Soraya». Un sussurro, mentre lei continuava a singhiozzargli sulla spalla. A sfogarsi. A stringersi a lui cercando di sentire meno freddo dentro, meno voglia di morire. «Lynn è il mio passato… ma ci sarà sempre posto per lei in me, sempre».
La ragazza tra le braccia di Storm si irrigidì appena, al sentirlo pronunciare il suo nome. Non parlavano mai di lei. Forse non ne avevano mai parlato davvero. Lynn era stata la ragazza del demone. Era l’unica esterna ad aver mai saputo dell’esistenza dei demoni ed essere sopravvissuta abbastanza per crederci davvero. L’aveva amato fino al suo ultimo respiro. E Storm l’aveva amata davvero, come non aveva mai amato nessuno, anche se era contro le regole. Si era sempre detto che prima o poi lei sarebbe morta, e lui sarebbe dovuto andare avanti, volente o nolente.
Era morta di vecchiaia. Ed erano passati centinaia di anni, eppure lei rimaneva ancora tra i suoi pensieri. Sempre giovane, sempre bellissima, e sempre fin troppo innamorata di lui, che le dava tutto, senza pretendere di ricevere qualcosa in cambio.
Lynn era il passato. Eppure era come se il suo cadavere fosse ancora lì, in mezzo a loro. Immobile tra Soraya e Storm. Un cadavere ormai putrido, tra di loro, che spingeva la prima ad amare il suo “migliore amico” come non aveva mai fatto con nessun altro, e che portava il secondo a vivere col suo ricordo impresso a fuoco dentro di sé, senza che riuscisse ad andare avanti come avrebbe voluto.
«Io però ti amo, Storm».
Fu l’ultima cosa che Soraya riuscì a dire, prima di uscire dal suo abbraccio. Prima di spalancare le ali e volare via. Lo lasciò lì. Immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto e un buco nel petto, dove gli umani hanno il cuore. E mentre lui se ne stava lì, e il resto del mondo ricominciava a fare rumore, la castana scendeva il più rapidamente possibile, diretta dall’unico angelo di cui potesse dire di fidarsi davvero.
Liam e Madeleine avevano appena parcheggiato l’auto dell’angelo dietro l’aeroporto, quando la videro scendere, e atterrare in punta di piedi sull’asfalto umido. Non fece nemmeno in tempo a chiudere le ali che iniziò a correre verso di loro, finendo tra le braccia del castano, mentre la ragazza la guardava, stranita. Stranita, sì. E affascinata, perché le sue ali grigio fumo erano davvero troppo belle.
«Che ti è successo?», le chiese Liam prendendole in viso tra le mani e portando via le lacrime e una scia di mascara dalle guance. E il demone gli sfiorò il viso con la punta di un’ala, mostrandogli tutto, mentre lui continuava a guardarla negli occhi tanto simili ai propri. «Mi dispiace, tesoro…».
Ma lei lo abbracciò e basta, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla. E sporcandogli con tutta probabilità la maglietta bianca con i residui del mascara. «Non fa niente… in fondo, sappiamo tutti come è fatto Storm, no?». Liam ridacchiò contro i suoi capelli, prima che Madeleine si schiarisse la voce con un mezzo sorriso sul volto. Imbarazzata, a dir poco. «Ciao, Maddie… scusa, ora te lo lascio».
La ragazza aprì la bocca, per poi richiuderla. Le si era come accesa una lampadina, in una zona abbandonata della memoria. Abbassò le palpebre per un istante, vedendo comparire una ragazza vestita da cameriera, con un cestino di pesche tra le mani, mentre camminava per un enorme giardino. Canticchiava, dirigendosi allegramente verso la reggia di Versailles, seguita un paio di metri più indietro dalla regina Maria Antonietta e dalla sua dama di compagnia.
E quando riaprì gli occhi, aveva un nome, sulla punta della lingua.
«Soraya…». Si ricordava di lei.
«Oh, cazzo!», si lasciò sfuggire il demone, staccandosi all’istante dall’abbraccio di Liam e iniziando a saltellare, per poi abbracciarla. Madeleine era incredula, dal canto proprio. Aveva appena visto uno spezzone di passato, e aveva anche assegnato un nome ad un volto tanto familiare. «Ti ricordi, oddio… cosa hai visto?». La ragazza aprì la bocca, non sapendo che dire. Ma non appena Liam sorrise, passandosi una mano tra i capelli, capì. O almeno, credette di capire.
«C’eri tu… e c’ero io… ma non è possibile…».
Sentiva le ginocchia molli. Davvero, non era possibile. Tutto quello, era troppo da credere tutto insieme. Sarebbe stato troppo per chiunque. Insomma, Cherubiel che le raccontava del 1625, e poi vedeva sé stessa con Soraya, nel 1789. C’era sicuramente qualcosa che le sfuggiva. Qualcosa che non riusciva a capire, a vedere. O a cui non riusciva a credere.
L’angelo e il demone la aiutarono a sedersi sul cofano dell’auto per evitare che crollasse a terra, mentre un aereo passava qualche metro sulle loro teste, per poi atterrare. Non un fiato. Non un rumore. Come fossero in una bolla.
E Madeleine chiuse gli occhi. Cercando di arrivare alla conclusione verso cui tutte quelle informazioni e quei pensieri la stavano portando. Fece un respiro profondo, fissando poi gli occhi in quelli del piccolo demone davanti a lei. «Posso farti vedere un altro spezzone, se me lo permetti… poi però spetta a te crederci». Riabbassò piano le palpebre, per poi annuire, mentre una piuma di Soraya le accarezzava una tempia. E non erano più lì. Non nello stesso luogo, e non nello stesso tempo.
C’era una ragazza, seduta ad una scrivania, con un diario aperto di fronte a sé.
16 gennaio 1981, diceva la pagina su cui era aperto il libricino dalla copertina di velluto rosso. Fuori dalla finestra si vedeva la neve. E c’era un ragazzo con lei, nella stessa stanza. Seduto sul letto, che disegnava, guardandola scrivere. Un ragazzo sorridente, coi capelli quasi neri, e spettinati. La pelle leggermente più scura di quella della ragazza, gli occhi color cioccolato.
E la ragazza che smetteva di scrivere all’improvviso, e andava a sedersi sul letto, raggomitolandosi tra le sue braccia, ricevendo un bacio sui capelli. Quella era lei. Era Madeleine, poteva riconoscersi perfettamente. E quello era…
«Zayn… lui voleva portarmi da qualche parte, con la moto…».
«Ma tu avevi paura», finì Soraya per lei, staccando l’ala quasi nera dalla sua pelle con un mezzo sorriso. E le tornò in mente di quando aveva conosciuto Zayn, e lui l’aveva guardata con tutta la malinconia del mondo, quando lei gli aveva detto di non aver paura delle moto. Poi le rivenne in mente la conversazione con Kismet. Ci sono già passati… uscivano entrambi con la stessa ragazza. Si incolpano l’un l’altro della sua morte, per questo si odiano. Il demone le asciugò una lacrima dal viso, e poi un’altra, mentre la castana arrivava alla conclusione più assurda e meno plausibile che ci potesse essere. Ma anche la più vera che ci fosse. «Tesoro, respira…». Soraya si lasciò abbracciare, mentre l’altra cercava di non crollare, di smettere di piangere, perché aveva il terrore di quel che aveva appena capito.
«Quindi… non sono una specie di immortale, vero? Insomma, me lo ricorderei, no?». L’altra annuì, continuando ad accarezzarle i capelli, mentre Liam si allontanava da loro passandosi ripetutamente una mano dietro la nuca, e nel frattempo mandando i propri pensieri agli altri angeli. «E’ la mia anima, Soraya?». Madeleine non aveva mai creduto nella reincarnazione, o cose del genere. Ma in fondo, non credeva nemmeno negli angeli, fino a poche ore prima. O nei demoni. O nell’anima gemella.
«Stiamo infrangendo…».
«Non stiamo infrangendo un bel niente, Liam… l’hai sentita, no?». Il demone non riusciva a smettere di sorridere, mentre l’angelo si guardava intorno, spaesato, come se attendesse l’arrivo di chissà quale esercito nemico da un momento all’altro. Tutto quello era nuovo per tutti. Anche per Liam. E per Soraya. Madeleine non era mai arrivata alla verità. Mai. In nessuna della sue innumerevoli vite. «La tua anima si reincarna da migliaia di anni, tesoro… sì».
Una lacrima. E un respiro spezzato. Un singhiozzo, mentre la ragazza si allontanava dall’altra, rannicchiandosi su sé stessa. E il cielo che cambiava improvvisamente colore, diventando più limpido che mai, con solo qualche nuvoletta bianca qua e là a sporcarlo. Lo sguardo della ragazza rivolto in automatico verso il cielo, mentre due paia di ali candide e bianche facevano capolino nella sua visuale.
«Cosa le hai detto, Soraya?». La voce roca dell’angelo dagli occhi verdi attaccò il demone ancora prima che i suoi piedi potessero toccare terra. E la prese per le spalle, sbattendola poco delicatamente contro il cofano, a pochi centimetri dalla stessa Madeleine. «Ti rendi conto di cosa hai fatto?». Stava praticamente urlando, mentre Liam cercava inutilmente di fermarlo, di staccarlo da lei, e alla castana scappava un singhiozzo.
Fu quel singhiozzo strozzato, probabilmente, a fermare Harry dall’uccidere Soraya.
Occhi negli occhi. Marrone nel verde. Occhi terrorizzati, i primi. Pieni di scuse mai dette, i secondi. Tanto lucidi da annegare nelle proprie lacrime, quelli di lei. Sgranati all’inverosimile, quelli di lui.
«Non pensavo fossi tanto imbecille, Harold», gli disse acida Soraya, mentre Liam continuava a borbottare qualcosa di poco comprensibile, cercando di allontanarla da lì prima che le potesse venire in mente di ridurre qualcuno in cenere. Avrebbe potuto, in un battito di ciglia.
E mentre loro si allontanavano, rimasero solamente un angelo ed un’umana. A guardarsi senza riuscire a dire una parola. Bloccati nel momento, come un fotogramma. Un’istantanea fin troppo nitida o troppo sfocata, a seconda dei punti di vista. Tutto immobile, fino a che Madeleine non si fece sfuggire un altro singhiozzo, lasciando poi che il riccio la prendesse per un polso e la tirasse a sé, facendola scendere dal cofano e abbracciandola.
Un abbraccio stretto, che davvero poteva essere definito tale. Un abbraccio vero, di quelli che non si dimenticano. Una stretta che però non fece ricordare nulla di nuovo alla ragazza. Harry era sempre Harry, mentre lei lo stringeva e lasciava che la stringesse.
«Perché io, Harry?».
Ancora quella domanda, alla quale in fin dei conti Cherubiel non si era preoccupata di rispondere. La bionda aveva cercato disperatamente di cambiare argomento, riuscendoci in pieno. Ma aveva lasciato che quella domanda continuasse a vorticare senza sosta e come impazzita nella mente della ragazza, senza la benché minima possibilità di trovare una risposta.
E del resto Harry non poteva rispondere a quella domanda.
Perché si chiedeva la stessa cosa da seimila anni, e ancora non aveva trovato uno straccio di risposta, qualcosa che spiegasse almeno in parte tutto quel casino che sembrava non finire mai, apparentemente senza ragione.
«Non ne ho idea, piccola», le sussurrò lasciandole un bacio sulla fronte. Ma mentre pensava che dopo quella risposta lei si sarebbe allontanata, Mad rimase ferma, immobile, continuando a respirare il suo odore, che le ricordava fin troppo le noci di cocco. «Però... potremmo provare a scoprirlo insieme», aggiunse dopo un paio di minuti di silenzio.
Madeleine si limitò ad annuire, senza accorgersi minimamente dell’ombra proiettata sul terreno da un paio di ali nere come la notte. E continuò ad abbracciare Harry, appena prima che il pensiero improvviso di Zayn riuscisse a prendere possesso di gran parte della sua mente.
«E… Zayn?».
Il riccio si irrigidì appena, a sentire quel nome uscire dalle sue labbra. Ma lei cercò di non farci troppo caso, allontanandosi per guardarlo negli occhi e lasciargli un bacio veloce all’angolo della bocca. Vide un sorriso comparire sul viso di Harry, e sentì i muscoli delle braccia rilassarsi, un secondo dopo l’altro.
«Promettimi che starai lontana da lui, per il tuo bene». Stavolta fu la ragazza ad irrigidirsi, e fu il riccio a baciarla, piano, sulle labbra. Solo un lieve contatto, di qualche secondo. Ma abbastanza  da far sì che un enorme perché? si facesse spazio tra i suoi pensieri. «Lui… è un demone, è cattivo… prometti, piccola».
«Non posso promettertelo, Harry… scusami».
E si allontanò da lui lasciandolo senza parole, con Soraya subito dietro.


 


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Capitolo 13
*** 13. Choose me. ***






13. Choose me.

 


Non posso prometterlo.
Non posso stare lontana da lui.
La sua voce e la sua espressione mentre gli diceva quelle parole continuavano a scorrergli dietro le palpebre chiuse, con la testa posata contro lo schienale di pelle dell’auto di Liam. c’era silenzio, eppure la voce della castana continuava a rimbombargli nelle orecchie fino a far male, fino a fargli strizzare gli occhi dal dolore. E aveva gli occhi chiusi,  ma continuava a vedere tante piccole lacrime fare capolino negli occhi di lei.
Il silenzio nell’abitacolo era rotto solo dal respiro sconnesso di Harry e dal fischiettare decisamente nervoso di Liam, oltre che dal traffico, fuori. C’era vento, eppure faceva caldo. E c’erano quelle nuvole grigio fumo su tutta Los Angeles, che sembravano dover portare pioggia. Ma in realtà c’era il classico sole losangelino e il cado tipico di inizio maggio.
Il resto era tutto invisibile ai più, sconosciuto a chiunque non fosse un angelo.
E regnava il silenzio anche tra Soraya e Madeleine, mentre il demone la portava nell’unico posto in cui avrebbero trovato Zayn, l’unico posto in cui la castana sentiva il bisogno di dover essere, nonostante tutto. C’era silenzio, interrotto solo dal battere ritmico delle ali della ragazza che la teneva stretta per la vita come stesse trasportando aria, e non il suo peso.
Le aveva chiesto solo quello, di portarla da lui. Poi erano cadute nel silenzio più assoluto, col solo vento che vorticava loro intorno e i ripetuti sospiri che uscivano automaticamente dalle labbra socchiuse di Madeleine mentre il viso sconvolto e distrutto di Harry campeggiava tra un pensiero e l’altro. Come aveva potuto chiederle di stare lontana da lui?
Lei era legata ad entrambi, seppur in quel modo tanto strano.
Pensieri silenziosi, tempo che scorre troppo lentamente, nuvole che fanno più rumore dei bisbigli degli innamorati. Sole che scende in fretta dietro l’orizzonte, portando con sé la luce, il calore. Lasciando spazio alla luna e alle stelle, troppo poco visibili dalla città, troppo sfruttate dai poeti e dai cantanti falliti per essere ancora considerate.
E un edificio semi deserto, forse abbandonato. Soraya che atterra proprio di fronte, tra la gente che cammina spensierata. Chi mano nella mano, chi a braccetto. Amanti, fidanzati, figli, fratelli. «Non ci vedono», disse Madeleine in un fil di voce, forse per paura di essere sentita, almeno lei. Ma niente. Nessuno che si voltasse al sentire il suono della sua voce. Niente di niente.
«Merito di Sky, tesoro…». Soraya ridacchiò, all’espressione di stupore della ragazza che ancora teneva per mano. Erano davanti ad una palestra abbandonata. Un… rifugio, per quelli come loro, i demoni. Casa di Skylar, in poche parole. «Spero tanto che tu ti ricordi anche di lui, sai?», aggiunge stringendole appena un braccio.
Madeleine rise, colpita dall’entusiasmo della ragazza al suo fianco. Era fantastica. E il fatto che si ricordasse di lei, la rendeva anche più fantastica di quanto non fosse già. Soraya emanava allegria, e tristezza, allo stesso tempo. Sorrideva col cuore, e i suoi occhi brillavano. Avevano brillato soprattutto quando Mad si era ricordata di lei e aveva pronunciato il suo nome.
«Sky…?».
«Skylar…».
Il sorriso malizioso del demone diceva più di mille parole, tanto che la castana si sentì arrossire. Tanto da portarla a ridere e nascondere il viso tra le mani, apparentemente senza motivo. Il nome le era familiare, parecchio. Più di quanto le fosse stato familiare quello di Cassiel all’inizio. Rise, e Soraya con lei, mentre la trascinava lungo il marciapiede e dentro la palestra.
Una hall deserta e impolverata. E un corridoio, dall’altra parte della sala, con accanto due porte, gli spogliatoi. Polvere ovunque, e ragnatele che pendevano dal soffitto, soprattutto dal lampadario che doveva essere di cristallo, forse. Madeleine era a bocca aperta. Non che quel posto fosse bello. Al contrario. Ma le ricordava più cose di quante sarebbe stata disposta ad ammettere.
«Non dovevamo andare da Zayn, Yaya?». Quel soprannome sfuggì dalle labbra della ragazza prima che potesse fermarlo, prima che riuscisse a collegare il cervello alla bocca. Ma al contrario di quel che si aspettava, il demone sbatté le ali e si sollevò da terra – sollevando anche migliaia di granelli di polvere stantia – volteggiando e ridendo.
«Dio, sei la cosa più bella che mi sia capitata oggi, Maddie».
«Potete dire il nome di Dio?».
Insomma, era strano che un demone potesse pronunciare il nome di Dio. Molto strano. Ma a quel punto stupire Madeleine diventava parecchio difficile. Iniziava a ricordare, e ogni particolare andava al suo posto in quella confusione come in automatico. Era pur sempre strano, ma bello. Bello riuscire a ricordare, e bello che tutto iniziasse a prendere un minimo di senso.
La ragazza riuscì a sorvolare sul soprannome che le aveva appena affibbiato l’altra, e su quanto le fosse familiare quel soprannome, quando una ragazza in leggings di pelle, tacchi chilometrici e corsetto bordeaux, comparve dal fondo del corridoio. I lunghi capelli neri legati in una coda alta, una serie di bracciali dorati ad entrambi i polsi e un lampo negli occhi celesti,
Remember era straordinariamente bella. Forse persino più del solito.
Straordinariamente bella. E stronza come suo solito.
«Da quando permettiamo alla gente di venire qui, Soraya?». Acida. Cattiva. E con lo sguardo fisso sul viso confuso della castana. Confusione che però sembrò scomparire, quando la mora arrotolò una ciocca di capelli intorno a un dito mentre si passava la lingua sulle labbra.
«Fai poco la stronza…».
«Ecco, sì… fai poco la stronza, Remember». E la salutò muovendo le dita, superandola e incamminandosi lungo il corridoio, con il demone dai capelli castani subito dietro. Soraya la prese a braccetto ridacchiando, mentre la mora rimaneva a bocca aperta e occhi sgranati, ferma immobile in mezzo alla hall.
Madeleine non sapeva bene cosa l’avesse portata a ricordarsi anche di lei. Più che altro ricordava spezzoni in cui il demone la attaccava per… per cosa esattamente? Non riusciva a ricordare. E c’era un ricordo, una specie di flashback, più nitido degli altri.
Un giardino. Un laghetto con le ninfee. Un albero di ciliegio in fiore, coi petali rosa mossi dal vento in piccoli turbinii sul terreno spoglio. Rossetto rosso fragola, capelli castani legati in uno chignon stretto. Pelle resa più chiara dalla biacca. Una geisha? Possibile? E una seconda ragazza, vestita e truccata allo stesso modo. Chiacchieravano sedute su una panchina sotto il ciliegio. Finché da lontano non sentivano dei passi e si voltavano verso… Zayn.
Sembrava… il Giappone, forse.
«Sono mai stata in Giappone, Soraya?». Erano quasi alla fine del corridoio, e il demone la afferrò per un gomito, voltandola verso di sé, un mezzo sorriso ad incresparle le labbra. Si limitò ad annuire, cercando di comprendere le reazioni di Madeleine. Ma lei… non riusciva a reagire. «C’era lei», mormorò alludendo a Remember. «E c’era Zayn». Soraya annuì ancora, mentre lei si passava una mano tra i capelli, sospirando.
«Un passo per volta, piccola… stai andando alla grande».
Ed era vero. Anche se a grandi linee, aveva ricordato Soraya, e Remember. A prima vista, a primo impatto, senza che nessuno le dicesse chi fossero, senza che nessuno la aiutasse a ricordare. Aveva fatto tutto da sola. I ricordi erano tornati a galla da soli, senza che nessuno spingesse o tirasse per farli riaffiorare.
Fine del corridoio. Buio. Malamente illuminato. Stanza enorme. Un ring, al centro. E dei sacchi da boxe. Il rumore di qualcuno che si allenava, prendendo a pugni un sacco. E odore di sudore. Odore di uomo, forte, che entrava nelle narici, nella mente. E un secondo rumore, dall’altra parte della sala. Pesi che venivano sollevati. Su e giù. Su e giù.
Madeleine ignorò il ragazzo che si allenava al sacco sapendo, anche da lontano, chi fosse. Era Zayn. Riconosceva la sua voce, anche se erano solo versi, rabbia che usciva a sbuffi dalle sue labbra. E avrebbe riconosciuto il suo profilo ovunque, anche se lei era sull’ingresso e lui in fondo alla palestra.
Quel posto le ricordava… qualcosa. Qualcuno.
Incontri di boxe clandestini. E anche un’altra cosa. Un ragazzo dalla pelle nera, cioccolato. Gli occhi scuri, le labbra carnose. Una lady, che doveva essere lei, con un lungo abito da principessa viola. Un cavallo. E il ragazzo, uno stalliere, vestito praticamente di stracci. Un baciamano, e lei che arrossiva.
Nient’altro, prima che lo vedesse. Proprio lui, proprio lì, quando qualche secondo prima l’aveva visto nella sua mente, nei suoi ricordi. Un altro luogo, un’altra epoca. «Skylar». Certo, Soraya le aveva detto il suo nome poco prima. Ma Madeleine non poteva sapere chi fosse, o come fosse fatto, a meno che non l’avesse già visto, conosciuto. A meno che non l’avesse già amato.
E il suo era il solito sussurro confuso e spaventato. Un soffio di zucchero e brezza marina, fuori dalle sue labbra, dritto alle orecchie del demone, che quasi non si fece cadere addosso i pesi che stava sollevando, al suono della sua voce. Persino Zayn smise di prendere a pugni il sacco, al suono della sua voce.
Ma mentre il primo si liberò immediatamente dei pesi per correre da lei e prenderla in braccio – noncurante di sorprenderla, o di essere tutto sudato e mezzo nudo – il secondo tirò un ultimo pugno al sacco e raccolse le sue cose, uscendo seguito da Soraya. E l’odore di Skylar era davvero troppo buono perché riuscisse a staccarsi da lui. C’erano più ricordi che riguardassero lui, di quanti non ne avesse in comune con Zayn. O con Harry.
Zayn. Harry.
Allora perché stava ricambiando l’abbraccio di Skylar?
«Dio, sei uno spettacolo… gli stessi occhi castani, gli stessi capelli, che sciolti ti stanno decisamente meglio… e mi sei mancata, tanto». La fece ridere, facendola poi scendere da quell’abbraccio e facendole fare una giravolta su sé stessa. E ancora, un demone che sembrava poter pronunciare il nome di Dio senza conseguenze. Inarcò un sopracciglio, facendolo sorridere. Un gran bel sorriso. «Il grande capo non se la può prendere con quelli che sono già stati dannati, sai?».
Gli diede una spinta, continuando a ridere. E c’era una domanda, che passeggiava sulla punta della sua lingua. Perché mi sei tanto familiare? Cosa eravamo, Skylar? Perché qualcosa le diceva che dovevano essere stati più che semplici conoscenti, nei secoli. Ma non riuscì a fare quella domanda, e nemmeno a pensarla davvero, che sentirono un rumore dalla hall. Un rumore forte, come di qualcosa che si rompe. E un urlo, probabilmente Remember.
Il demone di fronte a lei si mosse tanto rapidamente che Madeleine riuscì a vederlo a stento. La prese per la vita e spalancò le ali. Nere. Più nere del buio. Più nere di tutti gli altri demoni. E più piccole. Ma comunque uno spettacolo per gli occhi. La tenne stretta, mentre sfrecciava lungo il corridoio, e la ragazza poté osservarlo.
Non c’era sforzo, nei suoi occhi o nei lineamenti. Solo rabbia.
Anche se non riusciva a capire per cosa. O verso chi.
I secondi sembrarono ore. Tanto che quando arrivarono all’ingresso della palestra, Soraya stava tenendo Zayn per il collo, attaccato al muro. C’era polvere dappertutto, e Remember riversa contro la parete opposta, con una delle ali ricoperta di sangue. Sembrava suo. Decisamente.
«Calmati, Jawaad». La voce del demone dai capelli castani era ferma, quasi colma di dolcezza, nonostante lo stesse tenendo al muro contro la sua volontà. Skylar la lasciò andare per correre dal demone ferito. E riuscì a vederlo posare entrambe le mani sull’ala ferita, emanare una luce – o forse buio. Anche da quella distanza, poteva vedere il sangue fluire dall’ala di Remember alle sue mani. E scomparire, semplicemente.
Avrebbe dovuto chiedere spiegazioni. Un’altra domanda che si sistemava comodamente in coda alle altre, in attesa di una risposta che potesse essere almeno un minimo soddisfacente. Ma quello che premeva in quel momento, era il nome usato da Soraya per chiamare Zayn.
Jawaad. Cuba. L’Avana. La rivoluzione.
Così si lasciò cadere a terra, nella polvere, mentre l’ennesimo ricordo di un passato che non sembrava suo tornava a galla, senza che lei avesse fatto niente per farlo tornare, ancora una volta.
«Ti amo… lo sai, vero?».
«Ti amo anch’io, Jawaad».
Ed eccolo, quel nome, in quella piazza. Un’altra epoca, un altro luogo. Zayn le aveva detto di amarla. Le aveva chiesto se lo sapeva, che la amava. E ricordava perfettamente la confusione del momento. Come ricordava la propria risposta. Le aveva detto di amarlo anche lei. Di amarlo quanto lui amava lei.
«Principessa…». Un sussurro, che la fece tornare alla realtà. Ma non riuscì a rispondergli, pur fissando gli occhi nelle sue iridi tanto strane e differenti dal resto del mondo. Riuscì solamente a tremare, mentre la consapevolezza di quel ricordo la invadeva attimo dopo attimo. «Perché sei venuta qui? Non ti ha detto nessuno che noi siamo i cattivi?», scherzò, abbassandosi al suo livello e carezzandole una guancia. Le stava praticamente sussurrando sulle sue labbra, quelle parole.
«Sentivo di dover essere qui, con te…».
E il moro sorrise, posandole un bacio sulla fronte. Madeleine smise di tremare, mentre lui la tirava a sé e la stringeva. Forte. Come se non volesse più lasciarla andare. Sarebbe stato benissimo capace di farlo, di non lasciarla più andare, se solo non fossero stati in quella situazione tanto complicata.
«Resti qui, allora? Un paio di giorni, finché non si calmano le acque…». La tirò su, mentre lei si limitava ad annuire, tirando su col naso. Era spossata, da tutti quei ricordi che le riempivano la mente. Erano troppi per una persona sola. Troppi, da assimilare tutti insieme. Stanca persino di stare in piedi, tanto che Zayn dovette prenderla in braccio. Il respiro di lei contro il suo collo. L’odore del suo bagnoschiuma mischiato a quello della polvere e a quello della sua anima.
Parlano tutti dell’anima come di una cosa immensa. Senza colore, sapore o odore. Al contrario, l’anima di ognuno ha un colore differente, un diverso sapore, e un suo odore caratteristico. E al contrario di quel che si pensa, essa è talmente piccola da riuscire a nasconderla in una tasca.
Zayn la trasportò di nuovo lungo il corridoio, e su per una scala.
Tutto mentre Remember li osservava, e rimuginava. Poteva vedere l’anima di quella ragazza cambiare colore. Diventare più scura a mano a mano che il moro la teneva in braccio. Rimuginava, cercando di capire come potesse essere possibile una cosa del genere. E niente, non riuscì a capirlo. Soprattutto quando l’anima tornò chiara una volta che il demone l’ebbe fatta sdraiare su uno dei letti in una delle camere del piano superiore.
«Lo sai che non ti farei mai del male».
Pensava che la ragazza stesse già dormendo, probabilmente, quando posò delicatamente le labbra sulle sue. Un attimo, più breve del battito delle ali di un angelo. La baciò pensando che lei non stesse provando nulla, quando invece il cuore le stava battendo fin troppo veloce nel petto, fino a sentirlo nelle orecchie.
Lo sai. E lo sapeva davvero, nel profondo. Come se l’avesse sempre saputo.
 

Cherubiel stava cercando in tutti i modi di fermare Harry. Lo aveva praticamente pregato di lasciare che le acque si calmassero. E lui l’aveva ascoltata, almeno all’inizio. Erano stati due giorni intensi, ma si erano calmati tutti, a poco a poco. Solo, il riccio era in agitazione da due giorni, e in quel momento aveva quasi attaccato la bionda che cercava di tenerlo fermo, di impedirgli di fare qualcosa per cui poi si sarebbe pentito.
Avevano la stessa forza. La stessa intensità nella spinta.
Ma in qualche modo Harry si arrese. E un singhiozzo gli scappò dalle labbra non appena Cher lo lasciò andare. Scivolò lungo la parete tirandosi le ginocchia al petto. Senza Madeleine lui non aveva niente. Non era nessuno, senza di lei. E lei era con… Zayn. Con i demoni, da due giorni.
Per quanto fosse un angelo, quello era l’inferno. Per quanto potesse volare in alto, nella luce, il pensiero della ragazza di cui era innamorato, con un altro, lo spingeva nel buio, fin nelle profondità della Terra.
«Sei sicuro che sia con lui, Harry?».
La bionda aveva le sue ragioni per chiederlo. Insomma, non potevano fare irruzione nella palestra abbandonata, o a casa di Zayn. O peggio a casa di Storm. Non potevano, non se non fossero stati perfettamente sicuri di trovarla lì. Ma in fondo, dove altro avrebbe potuto essere se non con loro?
L’angelo dagli occhi verdi si limitò a fare spallucce, più fragile che mai, mentre Cherubiel gli si sedeva accanto e lo tirava a sé per un abbraccio. Liam fece capolino dalla porta dopo una manciata di secondi, un mezzo sorriso sulle labbra. «Ho incrociato Soraya… Madeleine è con loro».
«E…?».
«Ha ricordato qualcosa… non ha voluto dirmi cosa, ma sembrava felice».
Cherubiel gli lasciò un bacio sui capelli spettinati, anche più del solito, prima di alzarsi e porgergli una mano per aiutarlo a tirarsi su. Odiava vedere Harry in quel modo. L’aveva odiato da sempre, dalla prima volta in cui aveva perso Madeleine. Vederlo tanto spaesato, e confuso, e pieni di rabbia e di dolore faceva male. A tutti gli angeli.
Harry era sempre stato tanto allegro e sorridente, che vederlo così… non era giusto.
Così bastò uno sguardo perché i tre angeli uscissero di lì e prendessero la macchina. Sarebbero potuti arrivare volando, ma sapevano tutti che il riccio avrebbe fatto qualche casino. Era talmente teso, e con le nocche bianche. I pugni stretti fino a farsi male, fisico. Il dolore psicologico lo stava già provando.
E mentre Liam guidava, Cherubiel si preoccupò di avvertire tutti gli altri. Cassiel per prima. Era l’unica che avrebbe potuto trattenere Harry in caso qualcosa fosse andato storto. La ragazza dalla pelle color ebano lo conosceva meglio di chiunque altro. Conosceva il suo amore per Madeleine più di quanto riuscisse a comprendere il proprio per Louis.
Harry non smise di mordicchiarsi le labbra nemmeno per un secondo, in quella mezz’ora.
Arrivarono alla palestra che il sole stava tramontando sul mare. Arrivarono, e Cassiel, Eveline, Niall e Celestine li stavano aspettando, seduti su una panchina. La prima e l’ultimo sembravano a dir poco tesi, mentre la castana era seduta sulle ginocchia dell’angelo biondo, che le carezzava la schiena coperta da una canottiera colorata.
Alla vista del riccio, Cassiel si morse un labbro quasi fino a farlo sanguinare.
Aveva un brutto presentimento. Lo stesso che si poteva scorgere negli occhi scuri di Celestine. Il presentimento che qualcosa non sarebbe andata bene. Il presentimento che Madeleine sarebbe rimasta con Zayn, qualsiasi preghiera le avrebbe rivolto Harry. Che il presentimento fosse giusto o meno, era tutto da vedere.
«Oh, siete al completo… benvenuti nella tana del lupo». La voce acida di Remember era colma di divertimento. Harry l’avrebbe volentieri presa a pugni. Ma erano visibili, e per quanto le stesse sul cazzo, non doveva curarsi di lei, in quel momento. Doveva parlare con Madeleine, solo quello. «La tua bella è al piano di sopra, con Zayn», aggiunse, con un sorriso malizioso, che fece serrare la mascella del riccio.
Con Zayn.
La superò dandole una spallata ed entrò nella palestra, ignorando la sua risata decisamente irritante. Attraversò la hall, e il corridoio. Fino ad arrivare alla palestra vera e propria, dove Skylar si stava allenando con Kismet. Alla sua vista la mora smise di saltare la corda e si asciugò il sudore dalla fronte con un lembo della maglietta, per poi andargli incontro.
«Harry…».
«Devo parlare con lei, Kismet». La mora camminava all’indietro, mentre il riccio continuava ad avanzare verso di lei, verso le scale. Videro con la coda dell’occhio Skylar scuotere la testa, ma continuare ad allenarsi come se niente fosse, come se loro non esistessero. «Kis, ti prego…».
Lei inarcò un sopracciglio. Harry non pregava mai qualcuno perché facesse ciò che voleva. Mai. Non era mai successo. Non si abbassava mai a supplicare, non era da lui. Ma evidentemente era disperato a tal punto da farlo, per Madeleine. E le occhiaie bluastre sotto ai suoi occhi dicevano tutto. Tutto il dolore che stava provando, e che aveva provato da quando lei gli aveva detto che non sarebbe riuscita a stare lontana da Zayn.
«Zayn, vieni un attimo di sotto?». In fondo Kismet non era tanto cattiva. E in fondo Madeleine non aveva ancora scelto. Non era arrivata a scegliere Zayn, perciò non stava facendo un torto a nessuno, no? «Buona fortuna?». Domanda retorica che riuscì a far sorridere l’angelo, prima che salisse le scale di corsa.
L’angelo e il demone si incontrarono a metà strada, mentre in cima alle scale comparve Madeleine. I capelli castani scompigliati. Una camicia di Zayn addosso, nera, in parte sbottonata e completamente sgualcita. Nient’altro addosso se non un paio di slip e dei calzini bianchi.
Si sentì arrossire, non appena gli occhi verdi dell’angelo risalirono dai suoi piedi, lungo le sue gambe nude e su, su fino al suo viso, rosso dall’imbarazzo. Aprì la bocca, mentre Zayn continuava a scendere, non senza trattenere una risata. Ed Harry non poté far altro se non arrivare al suo livello e trascinarla di malo modo in una delle stanze da letto. Lacrime, negli occhi castani di lei. Dolore, in quelli verdi di lui.
«Che ci fai qui…?».
Harry avrebbe potuto farle la stessa domanda. Perché fosse lì, con loro, con lui. Al contrario, si limitò a prenderle il viso tra le mani e incollare le labbra alle sue. Amandola forte, anche senza bisogno di dirlo. Trasmettendole il dolore, la rabbia, il possesso. La voglia di averla.
Rispose al bacio, Madeleine. Assaporando di nuovo Harry, le sue labbra. Le era mancato, inutile negarlo. Le era mancato baciarlo in quel modo, come se fossero solo loro, senza che il resto del mondo potesse interferire. La lingua di lui ad accarezzare piano ma con foga quella di lei.
Le mani di Harry a tenerla stretta a sé per i fianchi. Vicini, quasi incollati.
Finché la ragazza non trovò la forza di posare una mano sul petto, porre una leggera pressione e allontanarlo appena per guardarlo negli occhi. Verdi. Rossi. Gonfi. Come fosse sul punto di piangere, davanti a lei.
«Che ci fai qui, Harry?». Gli lasciò un bacio pieno di disperazione sul mento, lasciando anche scorrere una lacrima. Non un ricordo era saltato fuori, che c’entrasse con Harry. E sapeva benissimo perché fosse andato a cercarla, perché si fosse spinto fin nella tana del lupo. La voleva, era palese. Salì con le labbra lungo la mascella, alzandosi in punta di piedi, mentre lui ancora la teneva per la vita, impedendole di cadere.
Sentiva la pelle calda di lei attraverso la stoffa leggera della camicia.
Sentiva il suo profumo penetrargli nelle narici. Intenso. Femminile. E mischiato con l’odore di Zayn, ovviamente.
«Scegli me…». Due parole, che fecero una fatica terribile ad uscire. Fatica a tramutarsi da pensieri a suoni. Fatica, che venne fuori col dolore, la sofferenza e la stanchezza. Due parole, che fecero sgranare gli occhi castani di Madeleine, per quanto se le aspettasse. «Sono innamorato di te da sempre, piccola… ho bisogno di te…». Una lacrima scese lungo la sua guancia, mentre le diceva quelle cose. Non riuscì ad impedirsi di piangere, per quanto potesse essere forte.
«Non puoi chiedermi di sceglierti, è troppo presto…».
Frustrazione, mentre si passava una mano tra i ricci, allontanandosi da lei. Non provava altro se non frustrazione. E dolore. Tanto da non sentire più il cuore battere. Tanto da non sentire niente, nemmeno il suono del proprio respiro nelle orecchie. Presto. Il tempo è relativo. «Sono migliaia di anni, Mad…».
La fece ridere. Davvero? Migliaia di anni?
«Ma io non mi ricordo di te… e poi… anche lui è innamorato di me».
E di lui mi ricordo, almeno in parte. Ma non le disse, quelle parole.
Crac. Il cuore di Harry. Rotto in mille pezzi. E che continuava ad autodistruggersi, mentre la lasciava lì, da sola, a crollare come stava crollando lui. Mentre scendeva le scale. Mentre ignorava la voce di Kismet che lo chiamava. Mentre usciva da quell’edificio pieno di polvere e spiegava d’impeto le ali, volando via.
Non riusciva a importargli di nulla. Nemmeno di Cassiel che lo seguiva, a dir poco preoccupata. Non riusciva nemmeno ad importargli la cosa più importante. Assieme al proprio, un altro cuore era stato appena distrutto in mille pezzi.
Madeleine.
E chi avrebbe raccolto i pezzi ora che lui era scappato via?



 


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*e, al solito, se non capite qualcosa (data la complessità della storia, mi rendo conto), non esitate a chiedere*

 

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Capitolo 14
*** 14. I lose him, Cas. ***






14. I lose him, Cas.



Dolore al cuore. Dolore quando il respiro lascia le labbra. Dolore quando il sangue pompa tanto velocemente da temere che il cuore esploda. Dolore, un singhiozzo dopo l’altro. Persino l’aria nei polmoni, fa male. Ma soprattutto le parole di Harry nelle orecchie, a ripetersi all’infinito.
Lui, la sua voce, i suoi occhi distrutti dal male che stava provando, mentre le chiedeva di sceglierlo. Di scegliere lui, perché l’aveva amata, la amava e l’avrebbe sempre amata. Di scegliere lui, perché ne aveva bisogno. Ne avevano bisogno entrambi, anche se in modo diverso.
Lui aveva bisogno di lei da sempre.
Lei aveva bisogno di lui da poco, ma allo stesso tempo sentiva di conoscerlo da sempre, e quindi di avere bisogno di lui ad un livello maggiore che se si conoscessero da solo un paio di mesi. Mesi, come in effetti era, dal punto di vista della castana.
E il tempo, che corre, inesorabile. Tempo che non basta, che sembra non essere mai passato. Tempo non ricordato. Tempo insopportabilmente lungo, nonostante Madeleine dicesse che era troppo presto. Tempo relativo, è la definizione migliore. Migliaia di anni, per lui. Solo una manciata di giorni, per lei.
Lei, che non riusciva a scegliere, perché era troppo presto. O forse solo perché ancora non era riuscita a venire a capo di tutto. Perché non riusciva a ricordarsi di lui. Perché sapeva nel profondo che c’era dell’altro, qualcosa che ancora nessuno aveva avuto il coraggio di dirle.
Per Zayn. Perché anche lui la amava.
E perché c’era quel ricordo, in cui anche lei diceva di amarlo. Non poteva ignorarlo. Non sarebbe stata capace di scordare quel che le era balzato alla mente nemmeno se avesse voluto, ora che lo sapeva. Non era tutto, e sapeva anche questo. Ma non poteva correre tra le braccia di Harry, quando non era il solo a tenerle aperte, ad aspettarla.
L’ennesimo singhiozzo, forse anche più forte dei precedenti. Forse più distruttivo, tanto da far cadere tanti piccoli pezzetti di lei sul pavimento impolverato su cui si era accasciata quando Harry l’aveva lasciata lì da sola, senza nemmeno dirle una parola. Non sapeva cosa, ma la ragazza avrebbe voluto sentire la sua voce ancora e ancora. Avrebbe dovuto parlarle, ancora e ancora. Non scappare. Non lasciarla lì a piangere.
«Madeleine…».
Il suo nome, detto in un sussurro, a distanza a dir poco ravvicinata dalle sue orecchie. Ma comunque ovattato, come se venisse da troppo lontano per poter essere ascoltato. O forse lo stava solo immaginando. Ma quando lo sentì per la seconda, e poi la terza volta, si costrinse ad aprire gli occhi.
Il viso di Zayn era a pochi centimetri da lei, e lui stava in equilibrio sui talloni, di fronte a lei. Una mano a spostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio, l’altra a tentare di asciugarle le lacrime dal viso, mentre esse continuavano a scendere imperterrite, e lei continuava a tirar fuori singhiozzi sempre più forti, tanto di rimanere senza fiato. Tanto da far fatica a respirare.
«E’ andato v-via…». E il moro annuì, anche se la sua non era una domanda. «Mi ha l-lasciata qui… nella polvere, a piangere… s-stronzo», riuscì a borbottare tra un singhiozzo e l’altro, prima che Zayn la aiutasse a tirarsi su e le tirasse a sé, posando il mento sui suoi capelli. Le braccia gracili di lei a stringerlo più che poteva, e lui che semplicemente le mormorava di calmarsi, che sarebbe andato tutto bene.
Stava bene, in quell’abbraccio.
«Ti va un bagno, principessa?». La ragazza alzò di malavoglia lo sguardo verso il viso del demone, continuando a stringerlo. E quando lo vide accennare un sorriso si costrinse ad annuire. Si fece trasportare come se non fosse altro che una bambola di pezza, lasciando che Zayn la spogliasse, che la sollevasse per lasciarla andare solo nella vasca. «Va meglio?».
«Sì… però rimani». E il demone non riuscì a fare nient’altro se non annuire e sporgersi verso di lei per lasciarle un bacio sui capelli umidi, prima che lei scomparisse sott’acqua con un mezzo sorriso.
Ora come ora, Zayn era la sua medicina.
Intanto le ali di Harry si muovevano veloci, rapide, al ritmo del suo respiro accelerato, e ignorando il battito malandato del proprio cuore spezzato. E lo portavano sempre più in alto, oltre le prime nuvole, dove faceva decisamente più freddo. Dove le gocce di pioggia congelavano fino a diventare neve.
Si fermò solo quando sentì le dita di Cassiel chiudersi intorno al suo polso, muoversi in fretta per voltarlo verso di lei. E gli occhi verdi del riccio erano semplicemente pieni di lacrime, mentre scivolavano in quelli quasi neri di lei. Ma invece di abbracciarla, o di farsi tirare in un abbraccio, scosse la testa con quello che sembrava un grugnito. Se la scrollò di dosso, prima di allontanarla con un battito di ali.
La ragazza lo guardò stranita. E per quanto capisse il dolore che stava provando per Madeleine, non capiva perché la stesse allontanando da lui. Quello non lo capiva, perché non era mai successo. Ogni volta che andava male con Mad, era da lei che Harry andava. E Cassiel l’aveva sempre accolto a braccia aperte, l’aveva seguito perché non facesse qualche sciocchezza, a volte.
Ma mai, mai e poi mai, Harry aveva anche solo pensato di evitarla, di allontanarla.
E la mora fu costretta a bloccare i proprio pensieri, quando vide il proprio migliore amico infilare una mano nella tasca dei bermuda di jeans e uscirne qualche secondo dopo con una piccola boccetta di cristallo contenente qualche goccia di liquido rosso, denso quasi come il sangue, e del medesimo colore. Fu come se alla ragazza si bloccasse il respiro, insieme al battito del cuore. Per un istante smise persino di battere le ali, rischiando di precipitare nel vuoto.
Sapeva perfettamente cosa Harry stesse tenendo in mano. E ne aveva una paura folle, irrazionale. Come la paura dell’ignoto, o forse addirittura peggio, dato che sapeva cosa fosse quel liquido. Non sangue, seppure gli somigliasse così tanto.
Peggio. Peggio del sangue. Peggio di qualsiasi altra cosa, per un angelo.
«Flagello degli angeli», disse infatti il riccio. La voce distrutta, anche più roca del solito. Distrutta da quello che stava passando, che tutto sommato era anche peggio di qualsiasi altra volta avesse perso Madeleine. Perché un conto era perderla, vederla morire. E un conto era perderla, ma vederla ancora viva tra le braccia di Zayn. Per quello, aveva ritirato fuori quella bottiglietta.
Erano giorni che ci pensava. E secoli che ce l’aveva. Secoli, da quando aveva chiesto – supplicato – a Soraya di procurargliela. Era veleno, sostanzialmente. Un veleno potente, del quale bastavano poche gocce per stendere un angelo. Due gocce, e chi l’avesse ingerito perdeva i sensi per giorni, come fosse in coma. Cinque gocce… e la morte.
Harry ci aveva pensato, diversi secoli prima, e aveva chiesto al demone dai corti capelli castani di aiutarlo. Era una follia, pensare di morire. Ma in fondo, cosa aveva da perdere? Madeleine l’aveva già persa, per l’ennesima volta. E quello era l’unico pensiero che riuscisse a dargli sollievo, in quel momento.
La morte. Non doveva essere tanto male.
«Harry… non fare sciocchezze». Minuti interminabili di silenzio, prima che esso venisse rotto dalla risata amara dell’angelo dagli occhi verdi. Una risata totalmente priva di allegria, e che non riuscì ad illuminargli gli occhi color prato. Una risata finta, che Cassiel conosceva bene. «Lei non ha ancora scelto, e lo sai». Aveva ragione. Del resto, se la castana avesse scelto Zayn sarebbe cambiato tutto, equilibrio cosmico compreso. E questo Harry lo sapeva.
Ma le sue dita affusolate continuarono a giocherellare con il tappo decorato con fili d’oro della boccetta di cristallo. Come se ci stesse pensando. Alle parole di Cassiel, e all’eventualità di farla finita, di levarsi di mezzo. La vide avvicinarsi, seppur concentrato sul liquido rosso che ondeggiava nel proprio contenitore. La vide porgergli una mano, segno che avrebbe dovuto passargli il veleno.
«Che senso ha?».
«Che senso ha avuto, in tutti questi anni? Senti… sei solo a terra perché ti ha detto di non riuscire a scegliere tra te e lui. E ti senti come se l’avessi persa». Lui alzò lo sguardo ferito verso di lei, guardandola finalmente. E Cassiel accennò un timido sorriso, sapendo di avere ragione. «Ma l’hai persa altre volte, eppure sei ancora qui, a lottare per averla». Aveva ragione, su ogni cosa. Come sempre.
Ancora la mano smaltata di argento di Cassiel sporta verso di lui, ad impedirgli di fare qualcosa di sicuramente stupido, e di cui sicuramente si sarebbe pentito. Non voleva morire davvero, poteva leggerglielo negli occhi. Aveva negli occhi solo le lacrime provocate da migliaia di anni in cui aveva Madeleine per qualche mese e lei spariva. Anni in cui la vedeva morire senza poter fare nulla. E lacrime date dalla conversazione di pochi minuti prima, con lei che si accasciava a terra mentre lui usciva trattenendo a stento i singhiozzi.
«Non si ricorda di me, Cas… non sai com’è».
Ma la migliore amica scosse la testa, perché anche se lui non riusciva a rendersene conto, lei era nella sua stessa situazione. Con meno importanza, ovvio, ma nella stessa identica posizione. Madeleine non si ricordava nemmeno di lei. Non ricordava gli angeli, solo i demoni.
«E se ti dicessi che posso ovviare a questa odiosa mancanza di memoria?», ribattè la mora inarcando appena un sopracciglio. Non ci aveva pensato fino a quel momento, finché Harry non gli aveva fatto notare che la ragazza che stava aspettando non si ricordava di lui.
Avrebbero dovuto pensarci prima.
Mosse le dita lentamente, mentre finalmente Harry si decideva ad avvicinarsi e a lasciare la bottiglietta nel palmo della sua mano, producendo un rumore di vetro che batte su metallo, per via degli anelli che portava. Sospiro di sollievo, dalle labbra della mora, mentre tirava a sé l’altro angelo per un abbraccio, lasciandolo piangere contro la propria spalla.
«Non l’avrei bevuto, piccola», lo sentì mormorare nell’incavo del suo collo.
«Mi hai fatto prendere un colpo, imbecille».
E in qualche modo riuscì a farlo ridere, mentre parecchi metri più in basso anche la sua ragione di vita ridacchiava, con Zayn che cercava di asciugarle i capelli col phon. A farla ridere, l’espressione concentrata sul viso del moro, che poteva vedere dallo specchio. La fronte aggrottata e il naso arricciato, con il labbro inferiore stretto appena tra i denti.
Era uscita dalla vasca con un peso in meno. Non sul cuore, non ancora. Ma almeno con un peso in meno sui pensieri, nonostante le domande continuassero ad affollarle la mente. Era bello che il demone le stesse dedicando tutte quelle attenzioni. Bello, che non fosse scappato alla prima parola sbagliata.
«Non so che fare, Zayn», gli disse, catturando il suo sguardo dallo specchio. La sentì nonostante il rumore dell’asciugacapelli, che spense dopo qualche secondo, per poi lasciarlo sul ripiano di fianco al lavandino. Le lasciò un bacio una spalla lasciata scoperta dalla canottiera, per poi posare le mani sui suoi fianchi e farla voltare.
«Vorrei che rimanessi qui, sai?». Un soffio, praticamente sulle sue labbra, prima che si allontanasse scuotendo leggermente la testa con un sorriso. Non era cattivo, Zayn. Non riusciva ad esserlo, con lei. Non c’era mai riuscito. E Madeleine gli accarezzò una guancia resa leggermente ispida dalla barba, aspettando che continuasse. «Solo… non posso decidere per te».
Era il suo modo di dirle che avrebbe sempre scelto lei. Che la scelta prima o poi avrebbe dovuto affrontarla, e che comunque sarebbe stata sua. Sarebbe stata lei a scegliere cosa fare, se scegliere lui o Harry. Se scegliere il bene o il male. Se scegliere se ricordare o meno. La scelta spettava a lei, sempre.
«Prima o poi mi spiegherete che ruolo ho in tutto questo?». Zayn annuì, ridacchiando appena e lasciandole un bacio sulla fronte, lasciando che lo abbracciasse, ancora e ancora. «Okay… vorrei stare a casa per un paio di giorni, è un problema?». Stavolta lo sentì scuotere la testa, col naso che strofinava appena sui suoi capelli. «Davvero…».
«Ti porto io, piccoletta», sentirono urlare dal piano di sotto, in modo che anche la ragazza potesse sentire. Skylar non vedeva l’ora di stare qualche minuto da solo con lei, e un viaggio in macchina era quello che gli serviva. Almeno, era la punta dell’iceberg del tempo di cui aveva bisogno per recuperare il rapporto con lei.
E Madeleine si ritrovò a ridere, nonostante Zayn si fosse irrigidito.
La castana gli lasciò un bacio sul mento, sussurrandogli che sarebbe tornata appena si fosse schiarita le idee. Era il massimo che avrebbe potuto promettere, in un momento come quello. Confusione alle stelle, eppure Zayn le serviva. Inutile negarlo.
Le serviva anche spazio. Tempo libero in cui i pensieri avrebbe proliferato, e le domande si sarebbero moltiplicate. Le serviva poter guardarsi allo specchio e cercare di vivere normalmente, alla giornata. Le serviva parlare con qualcuno degli angeli, magari con Cassiel. E le serviva anche Harry. Anche in quel caso, inutile negarlo.
Così si sistemò i pantaloncini prestatigli da Soraya e la maglietta nera di Kismet, prima di infilare le scarpe, raccogliere la propria roba, e legare i capelli in una coda alta. Prese il viso di Zayn tra le mani, prima di dargli un bacio veloce e di guardarlo cercando di fargli capire che si sarebbero rivisti presto, che sarebbe andato bene, qualunque cosa fosse successo. E gli lasciò la mano, per poi intrecciare le dita con Skylar, come fosse la cosa più naturale del mondo.
«Immagino tu sappia dove abito», scherzò una volta in auto, mentre lui si accendeva una sigaretta e ne posizionava una seconda dietro l’orecchio. Vederlo fumare mentre annuiva con un cenno del capo e metteva in moto, le fece venire in mente una cosa. «Ho mai fumato, Sky?».
Perché non fumava, eppure l’odore del fumo le piaceva, la attirava.
Le venne da ridere, quando il ragazzo al suo fianco annuì, passandole poi la sigaretta. Scosse la testa con un sorriso, giocando con la coda. «1922, bellezza… Chicago, proibizionismo. Ti giuro che fumavi. E bevevi anche parecchio». Lei rise, dandogli un pugno scherzoso sul braccio. Come lo conoscesse da sempre. Non si stupì nemmeno, quando si accorse che parlare con lui del passato che ancora non conosceva, non le dava fastidio. «Però stavi con Harry… Zayn era perennemente fatto, all’epoca», aggiunse con una smorfia, svoltando ad un incrocio.
Madeleine si irrigidì, a quell’informazione.
Zayn si drogava. Magari si ubriacava. Ed era solo colpa sua. Chissà quali altre sciocchezze avevano fatto, in tutto quel tempo, per lei. Ma scosse la testa, facendosi scappare un sospiro, mentre il viaggio in auto continuava tranquillo, con le solite chiacchiere. Niente passato ad incombere su di loro, non al punto da non farli respirare, almeno.
E lo guardò per tutto il tempo, soffermandosi sui suoi lineamenti, sulla linea delle labbra, su quanto gli fosse familiare, anche se ancora non ne aveva capito il motivo, non al cento per cento.
Potevano essere miliardi, i motivi per cui si ricordava di Skylar. Milioni di motivi, in migliaia di anni, in decine e decine di vite. Lei ricordava appena, solo spezzoni. Eppure doveva esserci qualcosa, chissà cosa, che spiegasse… tutto. Che spiegasse il perché sentisse tanto vicino proprio quel demone dalla pelle scura.
«Posso chiederti…?».
«Credo che tu mi abbia quasi sempre considerato il tuo migliore amico, Maddie», le disse, prima ancora che potesse chiederglielo. Aveva quella domanda in testa da giorni. Si chiedeva cosa fossero stati. Se ci fosse un legame particolare con lui. E anche ora che aveva la risposta, sentiva come se mancasse un pezzo. E quel quasi, era decisamente sospetto. «Però… siamo stati insieme, per questo mi senti più vicino di quanto non succeda con Soraya, Kismet e gli altri».
Siamo stati insieme. Eccola, la risposta che si aspettava.
Risposta che portò con sé un’altra decina di domande, prima che la castana riuscisse a fermarle. Quando? Dove? Perché? Ma Skylar parcheggiò davanti a casa sua prima che potesse aprire bocca, e le posò due dita color cioccolato sulle labbra rosa. Un contrasto incredibile, ma che non stonava.
«Devi ricordarti tutto tu, splendore».
«E se quello che ricordo non mi piace?».
Il demone scoppiò a ridere, scuotendo la testa divertito e posandole poi un bacio su una guancia. Era convinto che una volta ricordato tutto sarebbero tornati i migliori amici di sempre. No, non si aspettava che scegliesse lui. La loro relazione era stata solo un… incidente di percorso. Bellissima. Ma pur sempre un incidente.
«Oh…», la interruppe mentre stava per scendere dall’auto, al che la ragazza fu costretta a voltarsi verso di lui, che guardava attraverso il vetro del parabrezza con un sopracciglio inarcato. Come stesse guardando nel vuoto, mentre le ali vibravano per essere liberate. «Ah, è solo Cassiel… mi stavo spaventando».
«E’ bello sapere che ti preoccupi per me, sai?», gli disse sinceramente, scendendo poi dalla sua auto con un sorriso. Era davvero bello, che Skylar si preoccupasse per lei. Anche perché tutto sommato si comportava in modo… normale, per quanto strano possa sembrare.
E a Madeleine serviva davvero un po’ di normalità. Aveva bisogno di Skylar.
Come aveva bisogno di Cassiel, appena comparsa dal nulla, e che la aspettava seduta sugli scalini davanti alla palazzina in cui abitava. Palazzina che non vedeva da giorni. Appartamento che aveva praticamente abbandonato a sé stesso. E quando vide l’angelo, spettinata e coi vestiti sgualciti, non poté fare a meno di farsi venire in mente un altro angelo.
Riccio, castano scuro, occhi verdi. Cuore probabilmente spezzato.
Harry.
«Come sta?», fu l’unica cosa che riuscì a chiedere all’altra ragazza, sapendo perfettamente che fosse l’unica tra gli angeli con cui Harry parlasse liberamente, di qualsiasi cosa gli saltasse alla mente. Parlava di lei, anche. Ne era più che sicura. Parlava della paura, del dolore, di tutto. E in qualche modo Madeleine lo sapeva, poteva capirlo dagli occhi limpidi e scuri di Cassiel.
«Tu come stai?», ribattè l’altra mentre salivano le scale che portavano al suo appartamento.
Fu un attimo, prima che il peso della situazione le crollasse addosso. Zayn aveva raccolto i pezzi del suo cuore ridotto in frantumi. Skylar l’aveva fatta ridere, distrarre. E Cassiel aveva recuperato tutto il dolore di cui era riuscita a dimenticarsi, e l’aveva rimesso sulle sue spalle, sul suo cuore. Tutto insieme. Pesante abbastanza da crepare di nuovo tutto.
Dovette lasciarsi andare contro la parete di fianco alla porta d’ingresso, appena entrate. Si fece scivolare, come se effettivamente tutto quel peso non riuscisse a farla stare in piedi. Scosse la testa, ricacciando le lacrime che premevano per uscire al proprio posto. A fatica, ma mentre la mora si sedeva al suo fianco sulle piastrelle fredde, riuscì a non piangere.
«Voleva uccidersi», furono le parole che ruppero il silenzio.
«E io con lui, Cas…». Un singhiozzo, prima che posasse la testa sulla spalla dell’angelo, stancamente, senza forze. Ed era vero. Se avesse potuto si sarebbe tolta la vita. L’espressione di Harry l’aveva praticamente uccisa, sarebbe bastato poco per farla finita definitivamente. «L’ho perso, e non so perché mi ricordo di tutti loro ma non di lui…», aggiunse, iniziando a piangere.
Lacrime grosse come gocce di pioggia, violente come un temporale estivo, lungo le sue guance, mentre la ragazza al suo fianco non riusciva a fare altro se non accarezzarle una mano. Lasciò che si sfogasse, che parlasse a ruota libera. Che le dicesse quanto stava soffrendo, quanto fosse confusa. Quanto non ne potesse più. Quanto volesse ricordare… tutto. Tutto quanto, anche tutto insieme magari, in modo da portare qualche certezza, qualche risposta, in quella confusione che ormai era la sua mente.
«Ci sarebbe un modo, per farti ricordare di Harry… ma…».
«Cosa? Quale modo?».
Era pericoloso, e forse Cassiel non avrebbe dovuto nemmeno accennarlo, né a lei tantomeno a Harry. Ma le era scappato col migliore amico, e lui ci teneva così tanto, che alla fine si era convinta. Poteva provare. Far entrare Madeleine in una delle sue vecchie vite, in modo che vedesse tutto coi propri occhi, che ricordasse, che ci credesse.
Era l’unico modo che le fosse venuto in mente. Forse l’unico possibile.
Così, si alzò da terra e tirò su anche Madeleine, senza dire una parola, mentre la trascinava verso il divano e la faceva sedere su di esso, in modo che stesse comoda. Era… pericoloso, quello che stavano per fare. Sarebbe potuta essere vista. Sarebbe potuta rimanere incastrata nel passato. E non era una possibilità che potevano correre. Ma era l’unica che avessero.
Cassiel si sedette a gambe incrociate sul divano di fianco alla castana. Spiegò le ali. Bianche, con una punta di lilla. Più indaco, nel punto in cui si univano con la pelle della sua schiena.
«Basterà che tu sfiori l’attaccatura delle ali, e potrai fare un giro nel tuo passato. Una vita sola, e non devi staccare la mano dalla mia, per niente al mondo», la mise in guardia, guardandola dritta negli occhi scuri, quasi come i suoi. Quasi come quelli di Zayn. Un sospiro, via dalle labbra di Madeleine, mentre annuiva.
Voleva ricordare. Con tutta sé stessa.
E si fidava di Cassiel.
Quindi, se quello era l’unico modo, tanto valeva provare.
In fondo, cosa aveva da perdere?


 


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Capitolo 15
*** 15. Flashback. ***


*vi metterei anche il banner, ma ho il terrore che la già precaria connessione mi abbandoni, lol*


15. Flashback.



Atene, 420 a.C.

La scalinata che portava al Partenone non era mai sembrata tanto lunga. Era come infinita, sembrava di non riuscire mai a vederne la cima. Più camminavano e salivano, più la cima sembrava allontanarsi. E forse era solo la mancanza di sonno della notte precedente, ma Madeleine proprio non ce la faceva, tanto da dover aggrapparsi ad una delle due ragazze al suo fianco, col fiatone e il sudore che le scendeva lungo il collo.
I lunghi capelli castani nella moda elaborata del tempo, con piccoli fiori bianchi e nastrini di seta tessuta d’argento intrecciati tra una ciocca e l’altra. Al collo, un ciondolo d’argento raffigurante l’effige rappresentativa del culto della dea Atena. Una civetta, ricchissima di particolari.
E indossava un semplice quanto ricco chitone bianco, candido come il colore della neve, che contrastava con la tonalità ambrata della sua pelle, ma senza stonare eccessivamente. Era bellissima, pur nella sua semplicità.
Bella, tanto quanto le ragazze che la seguivano. La prima, dalla pelle chiara, i lunghi capelli castani con un accenno di rosso e gli occhi del colore del mare che bagnava le isole al largo della penisola greca. Il chitone di Eveline era più semplice, così come la sua acconciatura, coi boccoli raccolti sulla testa. Cassiel invece portava i capelli tenuti sciolti in morbide onde sulla schiena, e i suo abito era di lino color panna anziché di seta bianca.
La ragazza al centro si fece aria con una mano, facendo tintinnare i bracciali che portava al polso, mentre continuavano a salire. Faceva caldo, fin troppo, ed Eveline fu costretta a stringerle il braccio, praticamente trascinandola su per l’ultima ventina di gradini. «State bene, mia signora?», le chiese quella vestita più poveramente, sistemandole una ciocca di capelli che stava sfuggendo all’acconciatura.
Il caldo e la stanchezza non le facevano bene, sommate insieme.
E sia Cassiel che Eveline ne sapevano perfettamente il motivo. Erano notti che la ragazza al servizio della dea della sapienza e della saggezza faticava a prendere sonno, e se anche si addormentava non faceva altro se non sognare ali dal bagliore allucinante e occhi verdi dalla bellezza sconvolgente.
«Sto bene, Cassiel… gradirei che mi lasciaste da sola con la Dea». L’affanno nella sua voce era evidente, in seguito a tutti quegli scalini. Ma le sarebbe bastato rinfrescarsi e inviare i propri pensieri alla dea madre e protettrice della città. La dea le avrebbe dato sollievo, l’avrebbe illuminata sulla strada da percorrere, in quel momento di confusione.
Così, mentre le due ragazze accennavano un inchino e si allontanavano per lasciarla libera di coltivare il proprio culto in veste di sacerdotessa, nel momento esatto in cui Madeleine si voltò verso l’entrata del tempio, sentì qualcuno arrivarle addosso.
Qualcuno che però la prese al volo prima che potesse cadere. Qualcuno che le sfiorò con delicatezza il polso ornato di braccialetti con le proprie dita affusolate, provocandole un brivido. Non di freddo. Tutt’altra sensazione, le provocavano le dita di quell’uomo sulla pelle. Quasi un senso di calore, che nei suoi ventidue anni, non aveva mai provato, nemmeno lontanamente.
«Perdonatemi», le sussurrò, aiutandola a riacquistare l’equilibrio perduto ed evitando di guardarla negli occhi. Harry teneva lo sguardo basso, per non far morire una parte di sé catturando lo sguardo della ragazza che amava. Che amava sempre, non solo in quel momento, non solo in quel luogo. «Non ne avevo l’intenzione, mia signora».
«Vi ringrazio di non avermi fatto cadere, piuttosto…».
«Immagino non sia vostro desiderio rotolare giù per i gradini».
«E doverli risalire? Non è mia massima aspirazione, no», ribattè lei lasciandosi scappare una risata. Era come se la stanchezza e il senso di calore fossero scivolati via da lei, come se addirittura non fossero mai esistiti, dal momento in cui la voce dell’angelo le era arrivata alle orecchie.
Solo, la risata scomparve non appena i loro sguardi finirono quasi per sbaglio l’uno dentro l’altro. Due paia di iridi dal colore tanto diverso da non riuscire a credere che potessero essere anche solo minimamente compatibili. Del colore della corteccia dei sempreverdi, quelle di lei. Un semplice castano, che alla luce del sole si arricchiva dello stesso oro che le ornava i polsi. Del colore del prato più verde, quelli di lui. E mutavano, quando meno te lo saresti aspettato.
Diversi, diametralmente opposti. Eppure, nonostante le differenze, riuscivano ad incastrarsi alla perfezione gli uni dentro gli altri. Un incastro eccezionale che era rimasto immutato negli anni, una vita dopo l'altra, una difficoltà di seguito all'altra. Ne avevano passate tante, troppe. Eppure i loro occhi erano ancora lì, ancora loro, ancora gli stessi colori fusi uno nell'altro.
La ragazza sgranò gli occhi a dismisura, riconoscendo le iridi verde mare che continuava a vedere da diverse notti in sogno. Al contrario, Harry si limitò a porgerle le proprie scuse con l'accenno di un sorriso munito di fossette, prima di lasciarle finalmente andare il polso e allontanarsi quasi come non fosse successo nulla.
Il polso le doleva come se l'avessero stretto troppo forte, fino a formicolare. Come se l'avessero bruciata. Ma era anche piacevole, da un certo punto di vista. Come se qualcosa di indefinito si fosse appena acceso dentro di lei.
E i pensieri di Madeleine vorticavano impazziti mentre cercava disperatamente di tornare alla routine di tutti i giorni. Attraversare il cortile che portava al Partenone, e il tempio stesso, per recarsi in preghiera. A testa bassa, per non rischiare di rincontrare quello sguardo di smeraldo. Più lentamente del solito, per la stanchezza. E perché non riusciva a smettere di pensare alle sue dita intorno al proprio polso, o al suo viso, o alle poche parole che si erano scambiati.
Il tempo sembrava non scorrere come al solito, ma decisamente più piano, mentre eseguiva i soliti riti per Atena. O mentre passava il suo tempo in meditazione, sperando di poter capire cosa fare di quei pensieri, riguardanti tutti quel ragazzo riccio e dagli occhi verdi. I pensieri poi scivolavano ai suoi sogni, a quelle ali del colore della neve, fin troppo bianche.
Che ci fosse un collegamento?
Chi poteva dirlo?

 
Era come guardare la vita di qualcun altro attraverso uno specchio d’acqua. Come un film, con tanto di suspence e respiro che si mozza in due. La castana era lì, presente, con la mano stretta in quella di Cassiel e il sudore freddo che le colava lungo il collo, facendole appiccicare i capelli alla nuca.
Probabilmente stava stritolando la mano di Cassiel, ma l’angelo dal canto proprio sembrava più sofferente per il passato che stava rivivendo piuttosto che per la stretta dell’amica. Perché se Madeleine era semplicemente golosa di informazioni e di ricordi, lei era preoccupata per la reazione che avrebbe sicuramente avuto non appena fossero arrivate alla fine della storia.
Preoccupata che rimanesse traumatizzata dagli avvenimenti.
Perché non era un mistero che Madeleine sarebbe morta, in quella vita.
«Reagisco sempre così, Cas?». Insomma, gli occhi sbarrati, le labbra schiuse, le guance rosse. Ed era bastata un’occhiata perché l’angelo capisse cosa intendesse l’altra. Uno scambio di pensieri a senso unico, che la fece sorridere. No, non reagiva sempre in quel modo. Ma era pur sempre la reazione che predominava sulle altre.
«Non sempre», la rassicurò stringendo appena la presa sulla sua mano.
Poi chiuse gli occhi, lasciando che il passato scorresse più in fretta davanti agli occhi di Madeleine. Non serviva che vedesse proprio tutto. La routine non era importante. L’importante era come fosse cambiata la sua vita all’arrivo di Harry, che lo vedesse, che capisse com’era quella vita con lui.

 
Quella notte Madeleine riuscì a dormire. Niente occhi penetranti o ali candide a disturbare il suo riposo. Ma c’erano le parole del ragazzo incontrato fuori dal tempio. La sua stretta intorno al polso. Il suo modo di sorridere, di muovere le labbra. I suoi capelli che sembravano non voler stare al loro posto. Il suo tono di voce, mentre scherzavano.
Le sembrava di conoscerlo da una vita. Da sempre, forse.
Eveline le aveva detto il suo nome, le aveva raccontato qualcosa, sempre rimanendo sul vago. Tra il popolo di Atene si diceva che Harry fosse l’incarnazione del dio Apollo. Il che spiegava perché la ragazza continuasse ad associare le ali candide del sogno ai suoi occhi verdi. E magari avrebbe dovuto crederci, o pensare di farlo, in quanto sacerdotessa di Atena.
Ma qualcosa le diceva che quelle fossero solo voci. Credenze popolari.
Lei, dal canto proprio doveva solo credere in Atena. Era il suo scopo nella vita. Quello per cui era nata, secondo la madre. Quello per cui viveva, secondo lei. Non c’era altro, se non Atena. Il tempio. I riti in suo onore. Nient’altro, da quando era stata accettata tra le sacerdotesse del tempio. Nessun ragazzo, nessuna speranza di sposarsi, avere dei bambini.
Vergini per scelta, erano le sacerdotesse della dea. Proprio come la dea stessa.
E la mattina successiva al loro primo incontro, Madeleine non poteva certo dire di averlo scordato. Forse non ci sarebbe mai riuscita, sarebbe rimasto il suo ricordo qualsiasi cosa avesse potuto o voluto fare per dimenticarlo. Magari sarebbe morta, ma il suo ricordo sarebbe rimasto, nei meandri della sua mente, in qualche modo.
Sentì il suo odore di biancospino, mischiato alle pesche e all’odore tipico del sudore. Lo sentì anche prima di potersi voltare e vederlo. Le arrivò alle narici mentre in silenzio terminava una delle tante cerimonie, con le altre sacerdotesse. E lo sentì accennare un sorriso, ancora una volta prima di vederlo sorridere davvero.
Si voltò appena in tempo per vederlo appoggiato ad una colonna, mentre il suo sorriso si ampliava quasi potesse vivere di vita propria. Madeleine sentì qualcuna delle ragazze ridacchiare, ma lei semplicemente non riusciva a smettere di guardarlo, nemmeno mentre qualche boccolo sfuggiva capriccioso all’acconciatura e le ricadeva sulla fronte.
Harry, d’altra parte, non avrebbe mai smesso di guardarla, per niente al mondo. Né avrebbe smesso di sorridere, non fosse che era proprio lei a nutrire il suo sorriso. E quando lei moriva, lui semplicemente perdeva la forza di sorridere.
«Mia signora…», la salutò avvicinandosi a lei e accennando un inchino. Un segno di cortesia, per una signora di alto rango come lei. Non nobile, ma le sacerdotesse godevano comunque di un rango abbastanza alto da dover sopportare gli inchini della maggior parte della popolazione ateniese. «Volevo chiedervi scusa per ieri, sarò sembrato un villano, ai vostri occhi». Un gran bel villano, era tutto quello a cui riusciva a pensare Madeleine.
«Non dovete scusarvi, Harold».
Eveline le aveva detto il suo nome, il giorno precedente quando si erano riviste. Il suo nome, e le mille e più storie che giravano sul suo conto. E quel nome aveva continuato a frullarle nella mente finché fortunatamente non era crollata dal sonno.
Lo vide inarcare un sopracciglio, e si lasciò andare ad una piccola risata. Sottovoce, per non disturbare il solito clima di sacralità di quel luogo. «Perdonatemi, una delle mie ragazze si è permessa di dirmi il vostro nome». In verità, era stato lei a chiederlo, anche se indirettamente. Cas e Eve l’avevano vista sovrappensiero, e avevano finito per farla parlare, per farsi dire cosa la tormentasse, perché era evidente che qualcosa c’era. Se ne sarebbe accorto anche un cieco.
«Beh, allora dovrei perdonare la ragazza in questione, non voi».
Ancora, la fece sorridere. E il suo sorriso era il più bello del mondo, pur per quante volte l’angelo l’avesse già visto, e rivisto, e rivisto. Non se ne sarebbe mai stancato. Come mai avrebbe dimenticato le mille sfumature, di quel sorriso. Le porse il braccio, chiedendole con lo sguardo se potesse accompagnarla.
Non una parola. Solo sguardi. Solo pensieri, che continuavano a vagare dall’uno all’altra, come inarrestabili.
Ma poi parlarono. Tanto, forse troppo, anche se non sembrava mai che fosse davvero troppo. Parlarono delle loro vite, dei loro interessi. Di quanto a Madeleine piacesse dipingere ma non ne avesse mai il tempo. Di quanto entrambi amassero la propria città, e di come avrebbero voluto una famiglia, un giorno.
Lui non la interruppe. Nemmeno per farle notare che in quanto sacerdotessa non avrebbe potuto avere figli. Non la interruppe, perché il suo sorriso era bello da far male. Perché le era mancata, e sentirla parlare – di qualsiasi cosa – gli faceva bene, spazzava via il dolore che aveva provato nel vederla morire, nella vita precedente.
E parlarono di dei, di eroi, di quello che avrebbero voluto essere.
Si lasciarono solo sulla soglia dell’abitazione della ragazza, dove Cassiel la aspettava, con un sorriso mal celato sulla sua pelle scura. Sorriso ben visibile agli occhi di Harry. E forse anche visibile da Madeleine, anche se non lo diede a vedere. Si godette solo la sensazione delle dita dell’angelo contro le proprie. Si godette la vista di quel sorriso che tanto le piaceva, pregando di poterlo vedere anche il giorno dopo, e quello dopo ancora, e così via.
La dea doveva essere di buon umore, o avere davvero a cuore la sacerdotessa.
Tanto a cuore da farli incontrare anche il giorno successivo. E quello dopo. E quello dopo ancora. Tanto a cuore da chiudere un occhio ad ogni loro parola, ad ogni scherzo, o ogni volta che le loro dita finivano per sfiorarsi, quasi in automatico. Ogni volta che Harry la guardava negli occhi, e lei si scioglieva come neve al sole. Ogni volta che anche Madeleine sorrideva, o rideva liberamente, come forse aveva mai fatto.
«Secondo voi è sbagliato… questo?», gli chiese un giorno, mentre passeggiavano in riva al mare. Una spiaggia isolata, con la sabbia bianca, fine. Una spiaggia che non conosceva. La spiaggia più bella che avesse mai visto. Non il posto più bello. Quello era diverso. Il posto più bello in assoluto erano le dita del riccio contro le sue. Ma quella domanda dovette farla comunque, come se si sentisse in dovere di chiedergli cosa ne pensasse.
Anche se apparentemente non erano niente.
Perché loro non erano mai stati, niente. Né mai lo sarebbero stati, quel niente.
«Questo?», le chiese di rimando, come per conferma, sollevando le loro mani intrecciate, mostrandole alla luce del sole. Lei annuì flebilmente, non senza arrossire. E mentre camminavano, senza che nessuno dei due dicesse una parola, Harry si fermò all’improvviso. La tirò appena per la mano, in modo che si voltasse. In modo che fossero a meno di un metro di distanza l’una dall’altro. «E’ la cosa più giusta che abbia mai fatto con voi, Madeleine».
Mentre diceva quelle parole, la Madeleine davanti a lui non poté fare a meno di sgranare appena gli occhi. Schiuse le labbra, inumidendole con la punta della lingua. Non sapendo che dire. L’altra Madeleine, al contrario, trattenne il respiro fino a sentire i polmoni iniziare a dolere, e strinse la mano di Cassiel fino a stritolarla, per impedirsi di interrompere il contatto. Per impedirsi di fare qualche sciocchezza.
Perché aveva sussurrato le stesse parole di Harry, proprio mentre lui le pronunciava.
Se n’era ricordata, semplicemente.
È la cosa più giusta che abbia mai fatto. Come se sottintendesse un lungo periodo di tempo. Come se alludesse ad aver fatto tante cose, con lei, quando al contrario si conoscevano da appena qualche mese. Troppo poco perché una frase di quel tipo potesse avere un senso.
«Chiudete gli occhi», le mormorò, facendosi immediatamente più vicino. La spiaggia era deserta, non fosse stato per il garrire dei gabbiani che volavano in cerchio poco sopra di loro. E Harry continuava ad avvicinarsi, fino a posarle le mani sul collo e avere le labbra quasi in contatto con la sua fronte. E lei poteva sentire distintamente il suo respiro sulla pelle, oltre alle dita che gli tremavano appena, facendole venire la pelle d’oca. «Tenete gli occhi chiusi, andrà tutto bene, ve lo prometto».
E nonostante lei non credesse nelle promesse, chiuse gli occhi.

 
I gabbiani in realtà non erano gabbiani.
E Madeleine vide perfettamente l’altra sé chiudere gli occhi, e Harry che le baciava la fronte. Vide i gabbiani che non erano gabbiani scendere in cerchio su si loro. E trasformarsi in… angeli. Non erano proprio angeli, di sicuro non ne avevano l’aspetto. Pallidi, biondo cenere, gli occhi iniettati di sangue. Tutti, dal primo all’ultimo, mettevano i brividi.
Cassiel continuava a stringerla perché non crollasse, mentre le sussurrava di non guardare. Ma lei proprio non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle figure tanto strane. Avevano le ali, e volavano. Ma erano ali diverse, con le punte delle piume sfrangiate. E non erano bianche come quelle di Harry. Né nere come quelle di Zayn. Era un colore non colore, il loro.
Un grigio spento, che deviava pericolosamente al color fango, in netto contrasto con quelle di Harry, appena spiegate in tutta la loro grandezza, a cercare di proteggere la ragazza che teneva tra le braccia. La castana poteva vedere le sue labbra muoversi contro la fronte di lei, sussurrare qualcosa. Ma non riusciva a sentire niente che non fosse il battito del proprio cuore, in parte sovrastato dal rumore delle ali malconce dei Nephilim.
Forse Harry stava pregando. Forse Cassiel stava stringendo troppo sulla sua mano. Forse le veniva da piangere. E forse non era stata una grande idea irrompere in quel modo nel suo passato. Forse non era più confusa come prima. Forse il pensiero di Zayn per un momento era svanito, lasciando il posto all’amore per Harry. E forse, forse… troppi forse.
Fatto sta che non riusciva a smettere di guardare la vita scivolare via da un corpo che non sarebbe più stato il suo. Riuscì ad intravedere l’ultimo respiro uscire da quelle labbra che somigliavano tanto alle sue, ma non lo erano davvero, non più. E vide l’anima fluire leggera nell’aria come una nuvola di brillantini soffiati dalla mano di una bambina dispettosa.
Si ruppe qualcosa, in lei.
Ma no, non tanto per aver appena visto la propria morte. Per l’espressione sul viso di Harry quando i Nephilim attaccarono la difesa data dalle sue ali candide. La fronte aggrottata, gli occhi che cercavano di trattenere le lacrime. Lacrime che però gli sfuggirono, insieme alle grida, non appena sentì la ragazza che teneva tra le braccia afflosciarsi semplicemente.
E non le aveva nemmeno detto di amarla.
«Andiamo, Mad…», riuscì a mormorare Cassiel mentre l’amica si accasciava a terra, col respiro spezzato e gli occhi pieni di lacrime. Vedere Harry in quello stato faceva male. Sentirlo urlare dal dolore che doveva aver provato, faceva male.
Ma comunque si sforzò di annuire, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla voce dell’angelo dalla pelle scura, mentre tornavano al presente. Un presente che sicuramente sarebbe cambiato, dopo quella sbirciata nel passato.
Restava solo da capire da che parte avrebbe iniziato a pendere la bilancia.

 
 

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Capitolo 16
*** 16. Fell in love. ***










16. Fell in love.



Aveva tentato il suicidio da nemmeno due ore. Eppure aveva permesso che Cassiel portasse Madeleine a vedere uno spezzone del proprio passato. Lui non era riuscito nel suo intento, non ne aveva avuto il coraggio, e nemmeno l'avrebbe fatto davvero. Ma aveva permesso che lei rischiasse la vita.
E nonostante si fidasse ciecamente di Cas, aveva paura.
Aveva più paura di perdere Madeleine in quel momento di quanta non ne avesse avuta in tutto quel tempo. Paura di lasciarla senza un ultimo saluto, un ultimo bacio, senza sentirla dire che lo amava quanto lui amava lei.
Forse aveva solo paura di lasciare le cose in sospeso, ancora, come ogni altra volta. Forse, semplicemente non vedeva l'ora che tutta quella storia finisse. Nella sua mente, nelle visioni più rosee, tutto finiva alla grande. Lui e Madeleine insieme, Zayn relativamente fuori dai piedi, le solite cose. I soliti sogni ad occhi aperti, che per quanto sembrassero irrealizzabili, continuavano a tornargli in mente ad intervalli regolari.
E i pensieri del demone erano più o meno gli stessi, ma al rovescio. Più che essere stanco, lui era arrabbiato. Piuttosto avrebbe preferito che Skylar non gli dicesse nulla, di quello che inaspettatamente aveva percepito da Cassiel. E l'avrebbe preso a pugni dal nervoso, ma in qualche modo era riuscito a contenersi. Era riuscito ad autoconvincersi che fosse giusto, che Madeleine ricordasse qualcosa del tempo passato con Harry.
Ma non era giusto, non dal punto di vista della parte perennemente in svantaggio.
Solo, non potevano far altro che aspettare, entrambi, sperando egoisticamente che bilancia avrebbe pesato un po' di più verso la propria parte, o che fossero ancora alla pari, nel peggiore dei casi. Magari Madeleine sarebbe corsa tra le braccia di uno o dell'altro. Magari avrebbe continuato a lottare contro sé stessa per non far straripare i sentimenti repressi. Magari si sarebbe finalmente affidata con tutta sé stessa, a quei sentimenti.
Magari sarebbe stato Harry. Magari Zayn.
Magari avrebbe sorpreso tutti, ammettendo di essere innamorata di entrambi.
Magari non sarebbe cambiato nulla, nonostante l'aiuto di Cassiel, il rischio di rimanere intrappolata in una vita che non era più sua e tutto il resto. Magari, come tutto il resto, anche quel tentativo non sarebbe servito a niente.
Non potevano far altro che aspettare, nel bene e nel male. Un'attesa lunga, quasi insopportabile. Tutti sull'attenti, ad aspettare un segno che sarebbe anche potuto non arrivare mai, per quanto ne sapevano. Entrambi a cercare di mantenere il controllo, chi a fissare il cielo privo di nuvole per non crollare, chi ad aspettare che l'erba del diavolo entrasse in circolo, ottenebrando almeno un po' i pensieri.
Ma, entrambi sdraiati, chi su un prato verde quanto i propri occhi, chi su un vecchio materasso, si tirarono su a sedere di scatto, nello stesso momento in cui le due ragazze tornarono con la mente da Atene, e la mora si affrettava a ritrarre le ali per poter abbracciare la castana.
C'era silenzio, sia nell'appartamento di Madeleine, che nel prato dove si trovava Harry, che nella stanza sopra la palestra abbandonata, dov'era Zayn. Silenzio interrotto improvvisamente da un singhiozzo, e simultaneamente dal respiro spezzato dell'angelo e dal rumore di un pugno scagliato con violenza contro un muro, tanto forte da crepare i mattoni.
Singhiozzo di dolore. Singhiozzo di improvvisa consapevolezza.
Respiro rotto dal dolore, mentre anche a distanza la sentiva singhiozzare. Respiro accelerato, così come i battiti del cuore, mentre si tirava a sedere, poi in piedi, spiegava le ali e prendeva il volo. Troppo veloce per essere visto. Troppo rapido e impulsivo per pensare di fermarlo.
Urlo di dolore. Urlo di disperazione. Urlo di consapevolezza, mentre le dita si chiudono a pugno e si scagliano con rabbia e ferocia contro il muro, a crepare i mattoni e far sanguinare le nocche, di nuovo integre dopo una manciata di secondi, col sangue ancora liquido sulla pelle, ma nessuna ferita visibile a dimostrarne la perdita. E un secondo pugno, e un terzo, e un quarto.
Fino a farsi male davvero. Fino a dover essere tirato via con la forza e scoprirsi in lacrime.
«Madeleine, shhh...».
Ma la ragazza non la sentiva, o non voleva sentirla. E non serviva a nulla dirle di calmarsi, di smettere di piangere o di non singhiozzare, perché le lacrime scendevano da sole, e i singhiozzi le seguivano a ruota, senza seguire le istruzioni di Cassiel, quasi come se lei non ci fosse.
E più l'angelo continuava a cercare di tranquillizzarla, più lei si chiudeva in sé stessa, continuando a piangere ma permettendo finalmente ai pensieri di prendere il sopravvento. Ignorando Cassiel nel modo più assoluto, tanto che dopo quello che parve un secolo la lasciò raggomitolata sul divano, con le lacrime ormai secche sul viso, a fissare il vuoto.
E nel vuoto, nel silenzio... la sua mente non faceva altro che riproporle quello che aveva visto e rivissuto una manciata di minuti prima. La scalinata sotto il sole. Lo scontro con Harry, il tempio, la spiaggia, la fine. Ogni dettaglio, anche l'insignificanza dei ricci dell'angelo fuori posto, le era stato impresso a fuoco, a sconvolgere e coprire ogni altra cosa.
Le sembrava di riavvolgere il nastro e farlo ripartire da capo. Fermarlo sui momenti salienti, quando le sensazioni della sé del passato le erano arrivate decisamente troppo nitide per non provarle a sua volta. E si era sentita spossata per il caldo, o aveva sorriso, o era arrossita. Come fosse tornata di persona a quel passato che non ricordava di aver vissuto.
Ora c'era di nuovo tutto, nella sua mente, di quella vita.
Lo sguardo dell'angelo. Il suo sorriso, la risata trattenuta. Le ali spalancate a tentare di proteggerla. E i Nephilim. La propria morte. Il modo in cui l'anima aveva lasciato il corpo. Chiuse gli occhi per un momento, rivedendosi tra le braccia di Harry, rivedendo le sue labbra contro la fronte, muoversi piano, solennemente, quasi in preghiera.
«Sempre amata, sempre ti amo e sempre ti amerò».
Le sembrava di sentirle echeggiare in quel salotto, quelle parole. Tanto vicine, come se a pronunciarle fosse stato lo stesso Harry. Accanto a lei, a sussurrarglielo nell'orecchio, magari. Si riscosse solo quando si accorse di essere stata proprio lei a pronunciarle. E si sorprese a ripeterle, per assimilarle meglio, mentre Cassiel compariva poco lontana dal divano, con le labbra schiuse dalla sorpresa.
La prima, sorpresa dal significato di quei sempre, delle loro conseguenze. Perché bastava pronunciarle, anche a voce bassa, per convincersi che non erano solo i sentimenti di Harry. Erano anche i suoi. Avrebbe potuto dirle ad Harry, quelle stesse parole, e finalmente tutto avrebbe preso un senso.
La seconda invece, sorpresa che avesse sentito quelle parole, o che le ricordasse. In fondo, non faceva differenza, il risultato non cambiava per nulla.
Ma mentre l'angelo stava per dire qualcosa... a Madeleine vennero in mente gli occhi di Zayn. In un attimo, il nocciola delle sue iridi, coprì tutto il verde di quelle di Harry. In una manciata di istanti, la ragazza si accorse che quelle stesse parole potevano valere anche per il demone, senza troppa difficoltà.
Sempre amato, sempre ti amo, e sempre ti amerò.
Non importava il colore delle ali, la gerarchia angelica, o il modo di pettinare i capelli. Non c'entrava niente il colore degli occhi di uno o dell'altro, o le loro labbra, o la loro risata, il sorriso, l'inflessione della voce. Niente, nessuna caratteristica di uno avrebbe vinto sull'altro. Che fosse fisica, psicologica o chissà cos'altro.
Non importava nulla, perché quelle poche parole potevano valere per Harry quanto per Zayn, per un angelo quanto per un demone. Non importava, perché per quanto facesse finta che non le importasse, c'era una nuova consapevolezza, nella sua mente fino a qualche minuto prima perennemente confusa. Una nuova idea, un nuovo pensiero che lottava per uscire.
«Tesoro...».
«Sono innamorata, Cassiel».
Ma qualsiasi reazione stesse per avere la ragazza dalla pelle color ebano, essa venne interrotta dal campanello, che prese a suonare, fin troppo fastidioso, insistente e invadente. Un rumore troppo forte, per quel silenzio. Un rumore anche inaspettato, almeno per Madeleine. Cassiel al contrario sembrava sollevata, decisamente. Tanto sollevata da togliersi in fretta i sandali col tacco e correre alla porta scalza, aprire e praticamente saltare in braccio a... Louis.
«Okay, di chi sei innamorata?», le chiese il castano, una volta libero dall'abbraccio a metà tra il disperato e lo speranzoso di Cassiel. Lei gli diede una leggera gomitata nelle costole, come a suggerirgli di andarci piano. D’altronde, Madeleine era instabile, visto lo scorrere degli ultimi eventi. «Ah, e com’è andata nella vecchia Atene?», aggiunse, senza il minimo tatto. Un’altra gomitata, più forte, che dopo tutte quelle lacrime versate riuscì a far sorridere la ragazza.
Di chi sei innamorata?
Di chi, Madeleine?
«Ho pensato di essere innamorata di Harry, dopo quello che ho visto poco fa, come ho pensato di esserlo di Zayn quando mi sono ricordata di Cuba… ma la verità è che chi amava uno ad Atene e chi amava l’altro a L’Avana non sono io. Sono io fisicamente, e magari tutte le me precedenti portano il mio nome, ma non sono io. Loro, e tutte le altre che ancora non ricordo, sono solo delle vecchie fotografie sbiadite, di me».
La ragazza fece una pausa, spostando lo sguardo dall’angelo al demone, e ritorno.  Fissando il lieve sorriso furbo sulle labbra di lui e la preoccupazione mal celata negli occhi di lei. Prese un respiro profondo, quasi spezzato dalla stanchezza, e si passò una mano tra i capelli distrutti, prima di continuare con quella serie di parole che a prima vista sembravano essere state buttate lì a caso.
«Io… se fossi stata la Madeleine di Atene ti avrei detto di essere innamorata di Harry, Louis. Dei suoi occhi verdi, delle fossette, dei capelli scompigliati, del suo modo di parlare tanto lentamente, o del modo in cui portava quel chitone, con disinvoltura, come se nella sua vita non avesse indossato altro che quello… ma non sono lei. Non sono innamorata di lui, non di quell’Harry».
Altra pausa. Altro respiro profondo, prima che si lasciasse andare mollemente tra i cuscini del divano. Qualche secondo di silenzio, prima che Louis camminasse lentamente verso la poltrona di fronte al divano, trascinando la mora con sé e lasciandola sedere sulle proprie ginocchia, con le labbra dischiuse e i capelli spostati tutti su una spalla.
In attesa, mentre Madeleine cercava le parole adatte a spiegare… tutto.
Tutto quello che sentiva. Tutto quello che provava.
«Del resto, se fossi stata la Madeleine di Cuba, ti avrei detto di essere innamorata di Zayn. Dei vestiti stracciati, dell’odore di sigaro, dei capelli scuri, del colore della sua pelle, di quanto facesse schifo a ballare la salsa… ma non sono lei, me la ricordo appena quella vita, e non sono innamorata di lui, non di quello Zayn», precisò ancora, non senza un mezzo sorriso. E mentre il demone lo ricambiava, quel sorriso, all’angelo scappò un sospiro. Forse di stanchezza, forse di sollievo.
Non sono innamorata di lui. Non di quell’Harry. Non di quello Zayn.
«Sono questa Madeleine… con questo cuore, in questa vita».
«E questa Madeleine di chi è innamorata», le chiese ancora il demone dagli occhi color cielo, dato che la mora non sembrava essere in grado di spiccicare parola. Forse il nervosismo, forse la paura, ma nemmeno le carezze di Louis lungo la schiena la stavano calmando. Era in preda all’agitazione, convinta con ogni cellula che l’amica stesse scegliendo. Scegliendo chi amare. Scegliendo da che parte stare.
Questa Madeleine di chi è innamorata?
Bella domanda, Louis. Complimenti vivissimi.
Ma del resto lui aveva già capito dove volesse arrivare Madeleine. Per lui, tutto quel preambolo sul non essere innamorata di Harry o di Zayn, era il discorso più chiaro che avessero mai tenuto in sua presenza. La ragazza a cui stava accarezzando le scapole, al contrario, sembrava non capire una parola di dove volesse arrivare.
«Io sono innamorata degli occhi verdi e dei capelli castani e ricci. Sono innamorata delle fossette, della risata tanto forte e spensierata da voler buttare la testa all’indietro e tenersi la pancia… sono innamorata dei tatuaggi, delle magliette semi-trasparenti, delle carezze, di come mi abbraccia, delle sue labbra contro le mie…». Fece una pausa per riordinare le idee, non più confuse, ma finalmente con l’accenno di un filo logico a dare loro senso. «Sono innamorata di Harry». La voce ferma e piena, come se la stanchezza fosse scivolata via solo a pronunciare il suo nome.
Vide Louis scuotere la testa divertito – da cosa, poi? – mentre Cassiel si apriva nel classico sorriso di chi capisce solo quello che vuole capire. Il discorso, la spiegazione di Madeleine, era solo a metà della sua conclusione, tanto che dovette faticare per non ridere, a vedere la reazione poco controllata e troppo entusiasta dell’amica. Inarcò un sopracciglio e si schiarì la voce passandosi una mano dietro il collo, facendo trasparire l’accenno di un sorriso.
«Dalla tua espressione presumo che non mi permetterai di spedire Zayn dall’altra parte del mondo a calci in culo, vero?». La castana si limitò a scuotere la testa, mordicchiandosi nervosa un labbro. Forse anche l’angelo ci stava arrivando, per quanto non lo desse a vedere.
«Sono innamorata del cioccolato fuso, dell’ambra e del miele, della barba sfatta, della lingua incastrata tra i denti quando ride, del suono della sua voce, dell’odore di tabacco di cui è impregnata la sua pelle. Sono innamorata delle canotte larghe, dei pantaloni strappati, dello skateboard… amo come tenti di farmi sentire sempre bene, anche  quando mi crolla tutto addosso e dovrei solo stare male, e amo come mi guarda…».
Madeleine scoppiò a ridere, non riuscendo più a trattenersi, e facendo ridere anche Louis, mentre Cassiel era semplicemente a bocca aperta e occhi sgranati, non riuscendo ad assimilare quello che le era appena stato detto. Era evidente che quello che aveva appena sentito fosse la pura verità, poteva notarlo dalla luce che scaturiva dalle iridi color nocciola della ragazza che ancora rideva.
«Quindi…».
«Sono innamorata di Zayn», disse, facendo spallucce. Era la cosa più naturale del mondo, amare Zayn. E amare anche Harry. Magari visto da fuori poteva sembrare strano, tanto strano. Ma era normale, ordinario. Come se li avesse amati entrambi da sempre, quando in realtà non era affatto così. «Mi guardi come fossi un’aliena, Cas», le fece poi notare, abbassando lo sguardo sulle scarpe da tennis rovinate.
Forse la stava guardando strano, come venisse davvero da un altro pianeta. Ma era solo sorpresa. Molto sorpresa. Tanto da non sapere che dire, o come comportarsi. Tanto da respirare male, da rimare immobile e rigida sulle ginocchia di Louis. Forse era ora di tirar fuori una parte della verità. La verità più importante di tutte, sotto un certo punto di vista.
«E’ solo sorpresa, Mad… lo sono anch’io», intervenne il demone, lasciando poi un bacio leggero sulla spalla nuda dell’angelo. La castana la vide rilassarsi appena, prima che borbottasse qualcosa di poco comprensibile, indecisa su cosa dire. Su come dirlo, soprattutto. «Non ti sei mai innamorata di entrambi… non li hai mai conosciuti entrambi nella stessa vita, tesoro», disse ancora Louis, facendo rilassare Cassiel una parola dopo l’altra, come se le avessero appena rimosso un peso da sopra le spalle.
Fu come se la voce del demone avesse fermato il tempo.
Madeleine aprì e richiuse la bocca un paio di volte, cercando le parole adatte per esprimersi, ma senza riuscire a trovarle, nemmeno lontanamente. Chiuse gli occhi, sentendoli umidi, ma non avrebbe pianto, era stufa di farlo. Stufa di sentirsi perennemente debole davanti a quel che succedeva, davanti a quel che non capiva.
E ora le si veniva a dire che la vita che stava vivendo era in un certo senso straordinaria. Una rarità. Un caso unico. La prima volta, in assoluto, in cui li conosceva entrambi. Sia Harry che Zayn. E non le avevano detto niente prima, ma stranamente non le importava il perché, per niente.
Era solo… sorprendente.
«Perché non…?». Perché non mi avete detto niente? Perché non li ho mai conosciuti entrambi? Perché proprio questa vita? Perché adesso, e non duecento anni fa? Perché sono condannata a tutto questo, a morire e poi rinascere, e poi morire, all’infinito? Erano un mare di perché, e sembravano moltiplicarsi un secondo di seguito all’altro, ostruendole la mente con ancora più domande, ancora più pensieri. «Cosa sono quei… cosi che ho visto scendere su di noi ad Atene?».
Stavolta fu Louis ad irrigidirsi, ma Cassiel si voltò prontamente verso di lui per sussurrargli qualcosa in un orecchio, troppo piano perché Madeleine la riuscisse a sentire.
«Nephilim, l’unione tra un angelico e una mortale», le spiegò Cassiel, voltandosi verso di lei con la mascella contratta.
Angelico, che fosse angelo o demone non faceva differenza. E sì, l’unione tra un angelico e una mortale. All’inizio dei tempi, appena dopo la Caduta, angeli e demoni seducevano le donne mortali, e capitava che rimanessero incinte. La loro unione generava quegli esseri, metà angelici, metà umani. Immortali, da parte di padre. Fragili come vetro, da parte di madre.
E perché io?
Aveva davvero importanza, in un momento simile?
«Ti prometto che ti spiegheremo tutto, tesoro… non ora però… dovresti far sapere ai tuoi spasimanti l’esito del vostro viaggetto nel tempo». La voce un poco divertita di Louis interruppe il flusso dei suoi pensieri, costringendola a tornare al presente. Magari prima o poi la sua curiosità avrebbe trovato pace. Ma no, non in quel momento. C’erano cose più importanti da fare, soprattutto da dire. «Parola di demone», scherzò, facendo ridacchiare Cassiel, finalmente rilassata.
Su dal divano, senza nemmeno guardarsi allo specchio prima di uscire. Sulle scale, poi fuori casa, nel buio della sera. Non ancora totalmente buio, ma nemmeno troppa luce da sembrare ancora giorno.
Strada deserta. Un angelo, un demone, una “semplice” ragazza umana. Le ali di Cassiel e di Louis che si sfioravano, nonostante ci fosse Madeleine in piedi tra di loro. La presero per mano e si sollevarono da terra simultaneamente, coi capelli della castana che svolazzavano nonostante non ci fosse nemmeno l’ombra di un alito di vento.
L’angelo aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non ne uscì niente.
E volavano nella notte, con l’aria fredda che scompigliava loro i vestiti. Con Madeleine che rideva per il solletico, per la sensazione strana che sentiva addosso, contro la pelle. Che rideva per le mani dei due innamorati che la tenevano stretta, attenti a non farla cadere, come si fa con la cosa più preziosa di questo mondo.
Avvicinandosi poteva vedere il blu dell’oceano, ormai quasi nero. Poteva vedere la città rimpicciolirsi in lontananza, mentre loro tra si avvicinavano al mare, al promontorio poco fuori Los Angeles in cui Madeleine andava spesso a disegnare. Non aveva mai capito il motivo per cui i suoi piedi la portassero proprio lì, ad osservare il sole cadere nel mare.
Ora lo capiva, grazie al sussurro di Cassiel nell’orecchio. Le stava dicendo che quello era uno dei cosiddetti “promontori dell’Angelo”. Il luogo più in alto sul livello del mare, nei paraggi. Il luogo più vicino a Dio, in un certo senso. Nei tempi antichi quello era un tempio pagano, per i pellerossa. Ed era diventato uno dei rifugi degli angeli e dei demoni, col passare dei secoli.
Zayn era seduto con le gambe a penzoloni su un ramo dell’unico albero presente sul promontorio. Un ramo che si allungava verso il vuoto, dal quale cadendo si sarebbe finiti dritti tra le onde che si abbattevano alla base della scogliera. Guardava l’orizzonte, spostando poi lo sguardo pensieroso sulle nocche che qualche ora prima aveva distrutto contro il muro di mattoni nella sua stanza alla palestra abbandonata.
Non un graffio, non una goccia di sangue.
Quasi non si accorse di Cassiel e Louis che atterravano all’unisono, ritraendo le ali come fossero una cosa sola, e Madeleine che ridacchiava, coi capelli che le volavano ancora tutto intorno. Sorrise di rimando, il demone. Volare era divertente, inutile negarlo.
Si accorse di loro solo quando l’angelo dalla pelle scura e il demone dagli occhi celesti si allontanarono di qualche metro, mano nella mano. E sentì la castana avvicinarsi al tronco della quercia, appoggiarsi con la schiena contro di esso e guardare l’orizzonte, proprio come stava facendo lui.
«A volte ti odio, principessa», disse in un soffio, che il leggero vento della sera fece arrivare alle orecchie di lei. Le scappò un mezzo sorriso, a sentire la sua voce. Per una volta, in quella vita, veniva prima Zayn di Harry. Ma inarcò anche un sopracciglio, sempre senza staccare gli occhi dal punto oceano e cielo si incontrano. Odiarla? «Ti odio, perché tu te ne vai, e io rimango qui ad aspettare senza sapere mai se sarai mia…».
«A volte?», ribattè alzando finalmente lo sguardo verso di lui, sentendo che quelle due parole erano proprio quelle da dire, che quello era il discorso che si facevano ogni volta che lei si innamorava di lui. Vide il sorriso del demone, anche nel buio, e seppe di aver ragione.
Non distolse lo sguardo dai suoi occhi color tenebra nemmeno per un istante, mentre lo guardava scendere da quel ramo e metterlesi di fronte, con le ali ancora spiegate e una mano contro il tronco dietro di lei, a pochi centimetri dal suo viso, a intrappolare una ciocca di capelli portata dal vento.
«Per il resto del tempo ti amo, Madeleine».
«Per il resto del tempo ti amo, Zayn».
All’unisono, come due giradischi che suonano la stessa musica, nello stesso momento. Con la stessa luce negli occhi, forse rubata alle stelle. E la risata di lei contro le labbra del demone, mentre abbassava le palpebre e si lasciava baciare. Come fosse la prima volta che le loro labbra si toccavano. E come fosse anche l’ultima. Ogni momento andava sfruttato, in una situazione del genere.
E del resto Zayn era la parte carnale dell’amore di Madeleine, lo era sempre stato.
Labbra contro labbra, mani lungo la schiena, fino a fianchi. Lui a sollevarla da terra, e lei a lasciarsi sollevare, come se il corpo di Zayn non fosse altro che un’appendice del suo. Attaccati, come con la super colla. Divertite, le stelle. Anche la luna rideva, davanti alla dimostrazione di quell’amore.
E un rumore improvviso, di foglie secche che vengono smosse, di ramo che si incrina. Due ali bianche che squarciano il buio, che illuminano tutto a giorno. Ali che si chiudono, occhi verdi che incrociano per un momento quelli castani di Madeleine, per poi scivolare via. E Harry si allontanava da lei, dai suoi occhi, dalle sue labbra, dal suo amore per Zayn.
«Harry…».
Il demone le lasciò un ultimo bacio a fior di labbra, prima di lasciarla andare. L’allegria stava svanendo di secondo in secondo, come la neve che si scioglie al sole di luglio. La speranza che Madeleine avesse scelto, poi, svanì in un battito di ciglia, quando la vide correre dietro al suo rivale, prenderlo per un polso, farlo voltare e… posare le labbra sulle sue.
Le labbra che ancora sapevano del bacio con Zayn, si posarono con delicatezza su quelle di Harry. Senza imbarazzo, almeno da parte di lei. L’angelo si irrigidì appena, ma poi ricambiò il bacio. Perché in fondo non gli importava che lei avesse appena baciato un altro.
L’importante era che stesse baciando lui.
«Mad, che stai…?».
«Sempre amato, sempre ti amo e sempre ti amerò». Vide i suoi occhi verde giada sgranarsi e farsi lucidi in un lampo, mentre il demone poco dietro di loro tratteneva il fiato. «Ti amo, non sto scherzando… amo tutti e due, anche se è da pazzi schizofrenici, probabilmente», aggiunse, prendendo a gesticolare, mentre a Harry scappava un sorriso.
Amo tutti e due.
Nonostante la stranezza, Harry era decisamente sollevato da quella rivelazione. Perché se qualche ora prima aveva pensato di farla finita, e solo qualche secondo prima aveva pensato di scappare da Madeleine… ora sapeva che lei lo amava almeno quanto la amava lui. Nonostante la stranezza, anche Zayn sapeva che Madeleine lo amava, almeno quanto la amava lui.
Tutto sommato, sarebbe potuta andare peggio.



 

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Capitolo 17
*** 17. Complicated. ***






17. Complicated.

*"Akielah" si pronuncia "Ekilè"*


Risata cristallina, generata dal luccicare delle stelle. Risata a bocca aperta e denti scoperti, coi capelli mossi ormai sfuggiti alla coda disordinata. Risata spontanea, mentre le dita lunghe e forti di un demone le fanno il solletico sui fianchi, facendola dimenare mentre ancora gli sta sopra, a cavalcioni. E non riesce a smettere di ridere, nemmeno quando lui smette di farle di solletico e sale con le dita lungo la schiena, sotto la camicia che indossa.
Risata che si ferma, non appena le labbra del demone le si posano sul mento, facendole di nuovo il solletico, ma stavolta con la barba. E facendola rabbrividire, invece che ridere. Facendole chiudere gli occhi con un sorriso, mentre Zayn saliva con la punta della lingua fino alle sue labbra appena dischiuse.
«Sicuro di non essere un angelo, Malik?». Lo chiamò in quel modo senza nemmeno saperne il perché. Ma facendolo ridacchiare, mentre si scostava per guardarlo negli occhi. Le parole angelo e Malik non andavano esattamente d’accordo, a dire il vero. C’è da dire però, che lei non poteva saperlo.
Angelo sì. Ma angelo della morte e della distruzione.
«Perché questa insinuazione, miss?».
Lei rise, scuotendo appena la testa. Miss era… carino. «Perché sei dolce», ammise lei, mordicchiandosi appena il labbro inferiore. Vide i suoi occhi diventare più scuri – più per il gesto fatto che per le parole pronunciate. Ed era dolce davvero, anche mentre si passava una mano tra i capelli e scuoteva la testa ridacchiando, come in quel momento.
«Sei tu che mi rendi così…».
«Condivido, sei tu che lo rendi così», li interruppe una voce piena, leggermente divertita. E mentre Zayn scuoteva la testa con un mezzo sorriso ad increspargli le labbra, Madeleine si voltava verso il proprietario di quella voce, decisamente sorpresa di averla sentita. Familiare, era la parola giusta. «Di me non ti ricordi, immagino…».
«Più che altro lo spera», ribattè il moro, sussurrandolo nell’orecchio della ragazza e facendola ridere. Il demone biondo inarcò un sopracciglio, mentre lei cambiava posizione sulle ginocchia del moro per poterlo guardare meglio. Capelli biondi, quasi dorati, ma con quella luce non avrebbe potuto dirlo. Occhi grigio-azzurri, forse più grigi che azzurri. Un velo di barba a sporcargli le guance. Camicia blu sbottonata, con sotto una vecchia canotta. Dei bermuda di jeans strappati, e delle infradito nere che sicuramente avevano visto tempi migliori. «Se non ti ricordi…».
Ma Madeleine lo interruppe scendendo dalle sue ginocchia, quasi cadendo a terra e andando spedita verso il demone biondo, che si allontanò di un passo, alzando le mani come a discolparsi di qualsiasi cosa lei potesse aver ricordato. Ma di certo, un pugno su una spalla era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato. Pugno che probabilmente gli avrebbe fatto male, se non fosse stato un demone.
Al contrario, lo fece ridere.
«Sei lo stronzo che mi è venuto addosso con lo skateboard!», gli fece notare, quasi urlando. Ma anche se poteva sembrare arrabbiata, non lo era. Al contrario, avrebbe quasi voluto ringraziarlo, se non gli avesse messo tanta soggezione. E fece per dire Dio solo sa cos’altro, ma lui la interruppe porgendole una mano.
«Storm, piacere», le sorrise, e Madeleine credette di sciogliersi, come si scioglie un cubetto di ghiaccio tra le dita. Il suo sguardo era addirittura più intenso di quello di Zayn, e per quanto non volesse, dovette ammettere che fosse il demone più affascinante che avesse mai conosciuto.
«La smetteresti di usare il tuo charme da serafino sulla donna che amo?». Madeleine fu costretta a interrompere il contatto visivo con Storm, a quelle parole. Si voltò verso l’altro demone con gli occhi leggermente sgranati, mentre lui si limitava a sorridere sghembo e a fare spallucce. Come se parlare del suo amore per lei davanti ad altri fosse cosa da tutti i giorni. E magari lo era davvero. Da tanti giorni, ma mai troppi. «Comunque, che ci fai qui?», aggiunse Zayn, mentre la ragazza andava a sdraiarsi sul divano, posando la testa sulle sue gambe e guardandolo dal basso. Aspettando anche lei la risposta di Storm, curiosa anche lei, quanto il demone dai capelli scuri.
«E’ ora di spiegare un paio di cose alla donna che ami», gli fece il verso, alzando con delicatezza inaspettata le gambe di Madeleine e sedendosi, per poi rimetterle sopra le proprie, facendole scappare l’accenno di un sorriso. Forse non era male come sembrava, in fondo.
Soprattutto il modo in cui aveva detto la donna che ami.
Scherzando, ma senza cattiveria. Quasi con malinconia.
Ecco, quello non era affatto male. E avrebbe voluto capire il perché, di quella malinconia.
«E se non mi fidassi di te?», gli chiese, inarcando elegantemente un sopracciglio, facendo ridere Zayn, che smise un istante di carezzarle un braccio per passarsi la mano tra i capelli scompigliati. Non che non si fidasse, effettivamente. Ma non lo conosceva, né si ricordava di lui. Era normale e giusto che fosse almeno un po’ diffidente.
Ma Storm non fece in tempo a ribattere, che videro una testa bionda e due occhi celesti fare capolino da dietro la porta d’ingresso, che Zayn aveva lasciato aperta per non doversi alzare. Per non doversi allontanare da Madeleine, sarebbe più corretto dire. Niall si aprì in un sorriso, a vedere la castana e il moro, ma si fece scappare un mezzo sospiro per via del biondo.
Potente o no, serafino o meno, non gli era mai andato totalmente a genio.
«Muoviti, Nialler, stai bloccando il traffico». La voce di Cherubiel sapeva essere una ventata di aria fresca. Sapeva stemperare la tensione. Sapeva far sorridere quando ce n’era bisogno, e solo con qualche frase messa lì un po’ a caso. Ma Madeleine si accorse appena dell’allegria portata in quel stanza dal bellissimo angelo biondo.
Nialler, se non ti dai una mossa ci farai uccidere tutti.
Poche parole le tornarono in mente come se le avessero appena pronunciate. Poche parole che le fecero ricordare tutta una vita. In Olanda, la vita che le aveva accennato proprio Cherubiel poco tempo prima, quando aveva iniziato a scoprire qualcosa di quel mondo tanto strano. Sembrava passato un secolo.
«Tutto bene, principessa?». Nemmeno si era accorta di essersi messa a sedere di scatto, di aver fatto preoccupare Zayn. Forse di aver fatto preoccupare tutti i presenti. Ma annuì e basta, borbottando qualcosa e tentando un sorriso che potesse sembrare convincente. «Che è successo?», insistette il moro accarezzandole una guancia. Solo loro, come in una bolla di sapone.
Momento effimero che sembra durare per sempre.
Ma la ragazza scosse piano la testa, lasciandogli un bacio sulle labbra e voltandosi poi verso Storm. Curiosa di sapere finalmente tutto. O almeno sperava in buona parte di quel tutto che sembrava voler opprimere tutti quanti. Altro sorriso malinconico da parte del demone biondo, prima che iniziasse a raccontare tutto quello che lei aveva bisogno di sapere.
Le raccontò a grandi linee del principio, della Caduta. Della scelta di Lucifero e dei demoni che lo seguirono. Dello smarrimento degli angeli e dei demoni una volta caduti, e di come si fossero trovati nei luoghi più impensabili, chi da solo, chi in compagnia di un altro angelo o demone.
Il ragazzo dagli occhi grigi sospirò appena, ricordando la propria caduta così come gli altri tre nella stanza stavano ricordando la propria. Chi disperso nel deserto con le ali sanguinanti, chi aveva cercato rifugio in un luogo di culto, rischiando la vita.
Perché non potevano mettere piede nei luoghi sacri.
Sarebbe crollato loro addosso, tutto quanto.
Cherubiel si passò una mano tra i capelli, mormorando come si fosse sentita una volta sulla Terra. Fuori posto. Dolorante. Terribilmente sola. Ed erano passati diversi anni prima che riuscisse a trovare Remember e altrettanto tempo prima che Liam la trovasse. Stessa cosa per Zayn, finito nel bel mezzo del deserto della Patagonia, aggregatosi ad un villaggio di indigeni e trovato dopo mezzo secolo da Kismet e Celestine, caduti insieme da qualche parte nel Golfo del Messico. E come loro la stessa cosa valeva per Niall ed Eveline, come per Cassiel e Louis. Skylar, Soraya e Storm invece, avevano ricominciato la loro vita nel cuore del Sudafrica, e Harry si era ritrovato sperduto, solo e sanguinante tra le montagne del Tibet.
A Madeleine si strinse il cuore, per quelli che erano da soli, in un mondo che non conoscevano, feriti. Quasi si sentì mancare il fiato, pensando a Harry che girovagava tra le montagne tutte uguali della catena montuosa tibetana. Stessa cosa a pensare a Zayn che si trascinava per la Patagonia alla ricerca di qualcuno che lo aiutasse.
Storm fece una pausa, notando che la castana fosse sul punto di piangere. La vide prendere un respiro profondo, poi un secondo e un terzo, prima che tornasse a guardarlo negli occhi e annuisse. E le dita di Zayn iniziarono a scorrerle lungo un fianco, mentre l’altro riprendeva a parlare.
Angeli e demoni si stabilirono tra i vari popoli del mondo. Alcuni si invaghirono delle loro donne o dei loro uomini. Alcuni li usarono solo per divertirsi, lasciando la loro “preda” con qualcosa che le cresceva dentro e sparendo la mattina successiva come se non fosse successo nulla.
Ma passarono secoli prima che – vagando da un posto all’altro, da un popolo all’altro e da un continente all’altro – Zayn ed Harry si rincontrassero. In Paradiso avevano creduto entrambi di non sapere o non riuscire ad amare. Poi c’era stata la Caduta, e da fratelli erano arrivati ad essere nemici.
«Akielah era una maori», mormorò Storm, spostando lo sguardo da Madeleine al demone al suo fianco, che a sentire quel nome per un attimo si irrigidì. Il viso di quella ragazzina gli tornò alla mente come fosse passato qualche minuto, e non migliaia di anni. «Capelli e occhi scuri… aveva quindici anni quando la diedero in sposa ad un cugino… o qualcosa del genere», continuò, senza staccare lo sguardo dall’amico, osservando l’ombra delle sue ali che premevano per spiegarsi dalla rabbia.
Zayn era furioso. Sentir parlare di lei era… troppo da sopportare.
E Madeleine fu costretta a trattenere il respiro, non appena sentì una delle due ali – ormai libere – passarle ad un soffio dalla schiena, muoverle la camicia, sfiorarle i capelli. Farle venire i brividi. La ragazza voltò la testa di qualche centimetro, appena in tempo per vedere le ali prendere a vibrare come attraversate da chissà quale corrente elettrica.
«Ne aveva diciotto quando si sposarono», continuò Storm, come se niente fosse. E continuò ancora col suo discorso, dicendo a Madeleine di quanto fosse bella e desiderabile, e di come Zayn prima ed Harry poi l’avessero conosciuta e se ne fossero innamorati.
Zayn prima. Harry poi.
Il demone aveva sempre pensato che in fondo l’angelo dai capelli ricci avesse fatto apposta a innamorarsi della giovane maori. Per ripicca nei suoi confronti o per chissà cos’altro. Ma la verità era che l’angelo aveva finito per pensare la stessa cosa, perché in realtà nessuno dei due aveva mai saputo chi l’avesse conosciuta prima.
Fatto sta che Akielah aveva conosciuto sia uno che l’altro nello stesso giorno, appena un mese prima che venisse promessa a quel cugino. E li vide entrambi per anni, senza che l’uno sapesse dell’altro. Se ne innamorò e li fece innamorare, li usò per il proprio divertimento. E all’apice di questo suo giochetto subdolo, sposata da più di tre anni e già con due bambini… rimase incinta.
A suo marito disse che il bambino era suo, ovviamente. Con le lacrime agli occhi.
E fu quel giorno che Harry e Zayn si rividero. In una notte di luna piena.
Una volta fratelli, poi amici dimenticati. Ma dal momento in cui la ragazza di cui erano entrambi innamorati disse loro di aspettare un figlio e di non sapere di chi fosse… si odiarono, senza mai pensare di poter odiare lei. Dopotutto lei li aveva manipolati, aveva fatto credere all’uno e all’altro di amarli, senza differenze. Aveva promesso che li avrebbe amati, che avrebbero costruito una vita insieme…
Erano solo parole vuote.
«Me ne sono andato la mattina dopo». La voce rotta di Zayn interruppe l’ennesima pausa di Storm, fatta più per permettere alla ragazza al suo fianco di assimilare quella cascata di parole, che per altro. Ma il tono della sua voce le impedì di formulare un pensiero che potesse essere definito coerente. Zayn aveva la voce distrutta, e Madeleine non riusciva a sentire altro che non fosse il suo dolore.
Dolore fisico, dolore al centro del petto. Dolore visibile nell’aria, quasi tangibile.
Tanto dolore da fargli scappare un singhiozzo mal soffocato, mentre ritraeva le ali e la ragazza si voltava verso di lui per abbracciarlo, per far sfogare quelle lacrime nell’incavo del proprio collo. Si accorsero appena di Storm che si alzava dal divano, o di Cherubiel e Niall che sussurravano qualcosa a voce appena udibile e seguivano il demone dagli occhi grigi verso la cucina.
E il moro continuò a piangere in silenzio, col suono del cuore che gli si spezzava che sembrava far più rumore dei singhiozzi che morivano contro la pelle di lei. Lei, che lo lasciò sfogare, limitandosi ad accarezzargli il collo e la schiena, cercando di portare al suo corpo una tranquillità che sembrava davvero troppo difficile da trovare.
Minuti infiniti, nei quali la ragazza cercò disperatamente di non piangere.
Doveva essere forte, soprattutto se voleva conoscere il resto della storia.
«Me ne sono andato perché non riuscivo a guardarla negli occhi senza morire dentro». Sussurrò quelle parole con le labbra ancora contro la pelle delicata di Madeleine, che odorava di fiori, di orchidee. La sentì rabbrividire mentre le sfiorava il collo, parola dopo parola. Ma quel contatto non le dava fastidio, come non le dava fastidio abbracciarlo fino a non avere più fiato. Fino ad aggiustarlo, o almeno a tentare di farlo. «Me ne sono andato, l’ho lasciata sola…».
Madeleine si allontanò di poco, tanto quanto bastava per prendergli il viso tra le mani e guardarlo negli occhi pieni di lacrime, mentre sentiva anche i propri diventare lucidi. Ma tenne lo sguardo nel suo anche quando vide una piccola goccia di sale sfuggire al suo controllo e scivolare lungo lo zigomo, fino a impigliarsi nella barba che a lei piaceva così tanto. Faceva male, vederlo così. Le faceva male, vedere la persona che amava in quello stato.
«Non è stata colpa tua, per niente», gli sussurrò, tanto vicina da sentirne il battito del cuore. Fronte contro fronte, mentre Storm e i due angeli tornavano dalla cucina, appena in tempo per vederlo annuire e baciarle la punta del naso, come se stesse provando a rassicurarla. «Va meglio?». Sorrise appena, al sentirlo annuire contro i propri capelli, tornando al proprio posto mentre Niall le faceva l’occhiolino.
Proprio mentre Storm ricominciava a raccontare.
Akielah partorì il giorno del solstizio d’estate.
Per quanto ne sapevano, era morta partorendo. Era morta chiedendo ad Harry di perdonarla. Morta per un gioco tanto subdolo, tanto… crudele. Morta per amore, per quanto sembrasse strano. Morta forse per aver amato troppo. Per non essere riuscita a scegliere tra uno e l’altro.
«Mi spiegate cosa c’entro io?».
«Harry si prese la colpa per la sua morte, idiota», borbottò Zayn contraendo la mascella. E continuò, senza più riuscire a contenere la rabbia. Raccontò di come Dio avesse convocato tutti gli angeli e tutti i demoni. Raccontò di come furono costretti a dare ognuno la propria versione dei fatti, anche se ovviamente Dio sapeva già tutto. «Si prese la colpa… e Lui diede la colpa anche a me», sospirò il moro passandosi una mano tra i capelli.
Stanco. Nervoso come non mai. Incazzato, anche, per i ricordi che gli stavano tornando alla mente.
La castana espirò, stringendogli appena più forte la mano. Inutile dire quanto non continuasse a capire, quanto la confusione stesse tornando ad essere il sentimento predominante. Gli posò un bacio su una spalla, chiudendo gli occhi. E prese un respiro profondo, aspettando che le spiegassero. Perché lo sentiva, che stavano arrivando in fondo.
Riprese la parola Storm, dopo essersi passato una mano dietro la nuca, leggermente a disagio. Non ne capiva il motivo, ma tutto quel ricordare e spiegare e incazzarsi e avere rimpianti gli faceva ricordare Lynn. E Soraya. E il proprio rapporto con loro. Era forse più confuso lui, di Madeleine. Possibile? Comunque, cercò di mettere da parte i pensieri, almeno per qualche minuto.
E raccontò alla ragazza che aveva di fronte – guardandola negli occhi – della decisione del grande capo, come piaceva chiamarlo ai demoni. Per loro infatti non era quasi mai “Dio”. Non sentivano più il bisogno di rivolgersi a lui in quel modo, come invece accadeva agli angeli.
Le raccontò di come li avesse condannati tutti.
«I Nephilim ti… uccidono ogni ventidue anni perché Akielah aveva quell’età quando partorì l’ultimo di loro», si intromise Niall cercando di velocizzare la cose.
L’ultimo di loro, l’ultimo Nephilim. Perché da quel momento Dio rese gli angeli sterili, dal primo all’ultimo. Potevano tranquillamente avere rapporti sessuali, sia tra di loro che con esseri umani, senza rischiare che la storia si ripetesse.
Poteva vedersi da lontano chilometri di quanto Madeleine non ne potesse più di tutto quel mistero. Infatti rivolse all’angelo biondo un mezzo sorriso, a sentirlo pronunciare quelle parole. Sorriso colmo di gratitudine, mentre Cherubiel si trovava a ridacchiare tra sé, al gesto tanto benigno dell’altro angelo.
Ogni ventidue anni. Finalmente una delle domande irrisolte di Madeleine trovava una risposta.
«Ma… perché proprio io?». Madeleine non riuscì a fermarla, quella domanda. Non era la prima volta che provava a farla, ma forse sarebbe stata la prima in cui qualcuno la prendeva sul serio, e magari le rispondeva. Credette di poter esplodere quando li vide scambiarsi una serie di sguardi… strani. Di sicuro non avrebbe potuto definirli in altro modo.
«La tua anima era destinata a incarnarsi in una bambina che stava nascendo nello stesso momento in cui Akielah morì», sussurrò Cherubiel, che fino a quel momento era riuscita a dire poco e niente. La bionda vide l’altra sgranare gli occhi, incredula, mentre cercava quasi disperatamente di mettere insieme i pezzi. Un piccolo pezzo era al suo posto, ora. Ma Madeleine sentiva ancora di non riuscire ad arrivare al bandolo della matassa.
Mancava ancora qualcosa.
«Un angelo e un demone verranno condannati ad amare in eterno la stessa donna, almeno finché non abbiano trovato un accordo, o finché lei, anima condannata a morire, rinascere e amare, non sarà in grado di prendere una decisione», recitò Storm, come se a quel punto l’avesse ripetuta un milione di volte, o di più. Il demone prese un respiro profondo, osservando incuriosito Madeleine. Lei però non batteva ciglio. Immobile, fissava il vuoto davanti a sé. «E fino a che angelo e demone non impareranno a collaborare, l’anima potrà amare solo uno di loro per volta. Uno solo per ogni vita. E quando l’anima eletta avrà saputo e ricordato tutto quel che c’è da sapere e ricordare… starà a lei scegliere. Starà a lei scegliere chi amare e da che parte stare. Starà a lei riunire i sacri oggetti. E col sacrificio di un elemento per parte, sarà la fine di questa maledizione».
La castana sentì il proprio cuore prendere a battere velocemente, mentre quasi ogni pezzo del puzzle finiva al proprio posto. Ma il suo cuore sembrava essere sul punto di esplodere, tanto da fermarsi per il tempo di un battito. Tanto da farla diventare bianca come un lenzuolo. Si accorse appena della parole di Niall, e di Cherubiel che gli rispondeva. Come si accorse a malapena del sospiro stanco di Storm, o di Zayn che le mormorava qualcosa in un orecchio.
Sentiva le sue labbra muoversi, ma non capiva cosa stesse dicendo. Non davvero.
Un angelo e un demone. Condannati. Anima eletta. Uno per volta.
C’erano migliaia di parole che vorticavano impazzite nella mente di Madeleine, senza che provasse a fermarle. Avrebbe voluto, ma non riusciva a trovare la forza per farlo, per farle stare in silenzio quanto bastava perché riuscisse a prendere la parola.
Ora era tutto decisamente più chiaro. Era chiaro chi fossero l’angelo e il demone di cui parlava Storm. Era chiaro perché morisse ogni ventidue anni e si reincarnasse. Era chiaro perché avesse capelli e occhi scuri; semplicemente perché ricordasse loro Akielah, ogni volta che la guardavano. Ed era chiara la proprio condanna, come quella inflitta ad Harry e Zayn.
Era chiaro il perché fino a quel momento Madeleine non li avesse conosciuti entrambi. Come era chiaro che finalmente stessero collaborando, o lei non li avrebbe incontrati, non tutti e due. Le era chiaro che avrebbe dovuto capire e ricordare ancora chissà quante vite, prima di… scegliere.
Scegliere. Era quello il fulcro della questione. Sarebbe stata lei a scegliere, a meno che Harry e Zayn non avessero trovato un accordo. A meno che uno dei due non si fosse fatto da parte, in sostanza. Sarebbe stata lei a scegliere chi amare, e quindi da che parte stare. Avrebbe cambiato il destino del mondo scegliendo uno piuttosto che l’altro? Non lo sapeva. E capiva tutto, finalmente.
Solo… c’erano un paio di punti nelle parole di Storm che le erano… difficili da capire.
Starà a lei riunire i sacri oggetti.
«Io… penso di non aver capito un paio di cose», ammise Madeleine dopo parecchio tempo. Dopo che i suoi pensieri ebbero la parvenza di un ordine. Tornò alla realtà sentendo il sospiro di sollievo di Zayn, che non aveva smesso per un attimo di preoccuparsi e accarezzarle una gamba. «La parte sugli oggetti da riunire… che vuol dire?», mormorò spostando lo sguardo da uno all’altro, fissando poi gli occhi leggermente lucidi in quelli di Zayn.
Non era la parte che la preoccupava di più, ovviamente.
Meglio partire dalla cosa più semplice.
«Ci sono gli specchi della conoscenza», iniziò Cherubiel, attirando lo sguardo della castana su di sé. «Sono tre specchi, nascosti in tre diverse parti del mondo. Uno è accessibile solo agli angeli, se trovato. Il secondo solo ai demoni, e il terzo solo a chi saprà ricordare dove cercarlo».
Madeleine si costrinse ad annuire, mentre inarcava impercettibilmente un sopracciglio. Non confusa, no. Anche se le parole dell’angelo erano confuse, il concetto le era chiaro. Uno specchio agli angeli, uno ai demoni, e uno a lei. In fondo era lei che aveva qualcosa da ricordare, in tutta quella situazione.
«Oltre agli specchi, vanno trovati tre oggetti senza i quali gli specchi non potranno essere attivati e usati», aggiunse Niall con un mezzo sorriso. Madeleine ridacchiò per stemperare la tensione. Era peggio di ogni romanzo giallo che avrebbe mai potuto leggere. Come una… caccia al tesoro.
«Okay… e col sacrificio di un elemento per parte?», chiese dopo qualche secondo. Avrebbe chiesto in seguito degli altri oggetti. Quel che premeva per essere chiesto era la faccenda dei sacrifici. Uno per parte. Un angelo e un demone? Era quello che intendevano? Sentì la presa di Zayn intensificarsi sulla propria mano, allora si voltò appena per guardarlo. «Ho bisogno di saperlo, Zayn».
Lo vide distogliere per qualche attimo lo sguardo dai suoi occhi, mentre si scambiava un occhiata con Storm. Ma lei continuò a guardare Zayn negli occhi, con la poca forza che le rimaneva. Continuò fino a che non lo vide abbassare le palpebre ed espirare con forza, quasi volesse liberarsi di un respiro che ormai gli pesava continuare ad emettere.
«Un angelo e un demone… e devi scegliere tu chi sacrificare».
Aprì la bocca come per ribattere. Forse avrebbe detto qualcosa, se un leggero bussare alla porta d’ingresso non l’avesse interrotta a metà di un pensiero. Allora si ritrovò a distogliere lo sguardo da Zayn per posarlo sull’angelo dai capelli ricci che stava sulla soglia dell’appartamento del moro, guardandola negli occhi, preoccupato.
Come avrebbe potuto scegliere?
Come sarebbe riuscita a trovare quel che c’era da trovare?
E come avrebbe potuto sacrificare qualcuno di loro?
Lasciò da parte i pensieri solo per alzarsi di scatto dal divano e correre ad abbracciare Harry. Stretta a lui, col viso nascosto contro la sua clavicola e una mano ad accarezzarle i lunghi capelli castani – mentre indossava una camicia che portava inequivocabilmente l’odore di Zayn – Madeleine pianse.
Pianse finché non le tremarono le ginocchia.
Fino a che Harry non fu costretto a prenderla in braccio.
Fino a che angelo e demone non si sdraiarono nello stesso letto, con lei al centro, già con un piede nel mondo dei sogni.



 


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Capitolo 18
*** 18. Fly, baby. ***


*ritardo ritardo ritardo, lo so.
e non scrivo uno spazio autrice da un secolo, dettagli.
il punto è che siamo quasi alla fine, e mi sembrava giusto dirvelo.
per il resto, a parte i soliti ringraziamenti, sto zitta che è meglio.
ah, e cagatevi la storia che linko in fondo, please :))
alla prossima dolcezze...
- emotjon.*




18. Fly, baby.



Fosse stato per Harry e avessero avuto delle esistenze normali, avrebbe passato le proprie giornate a guardarla dormire. Solo guardarla. Al massimo le avrebbe accarezzato la schiena, senza mai staccare la punta delle dita dalla sua pelle. Solo guardarla, per imprimere anche solo un mero riflesso di quella creatura meravigliosa nel fondo delle proprie iridi.
Verdi come le foglie degli alberi a primavera, brillanti come gocce di rugiada.
Ancora più verdi e brillanti, quando guardava lei.
Qualsiasi parte di lei. Dai capelli lasciati scompigliati sul cuscino, al collo lungo, alle clavicole leggermente sporgenti. La linea delle spalle, della schiena. E le anche, il profilo del sedere. E giù fino alle caviglie, alle dita dei piedi. Avrebbe potuto respirare il profumo di quella pelle vellutata ancora e ancora, senza mai stancarsi, senza mai averne abbastanza.
Non importava che si fosse addormentata piangendo o che gli avesse rivolto la schiena tutta la notte, lasciando che Zayn le accarezzasse il viso praticamente senza sosta, respirandola e guardandola proprio come stava facendo lui. E proprio come lui era probabile che non avesse chiuso occhio apposta per guardarla, rimanendo in silenzio per godersi meglio il momento.
Ed era appena sorto il sole quando la sentirono emettere un sospiro. Zayn la vide schiudere le labbra e aggrottare la fronte, mugugnando qualcosa tra i denti. Il moro continuò a guardarla, come l'avrebbe guardata notti intere, osservando i capelli sulla fronte, o l'ombra delle ciglia riflessa sugli zigomi. O ancora l'arco di cupido o il colore delle sue labbra. Ogni particolare impresso nella sua mente, perché ogni notte sarebbe potuta essere l'ultima.
«Zayn...».
La sua voce sembrava come essere rotta dalla paura, o dal dolore, quasi fosse sul punto di piangere. Il moro rabbrividì, mentre l'angelo le lasciava un bacio all'attaccatura dei capelli, provando a farla smettere di tremare. Tutto inutile, ma quando Harry provò a scuoterla per svegliarla, l'altro posò una mano sul suo braccio in tensione, fermandolo.
«Piccola, che c'è?», provò allora Harry dando retta allo sguardo preoccupato del demone. Inutile dire che fosse preoccupato nello stesso modo. Alle parole di Harry, però, la ragazza scosse la testa, stringendo le labbra in una linea sottile. «La dobbiamo svegliare, cazzo», borbottò tra sé mettendosi a sedere sul materasso con un sospiro.
Ma Zayn si limitó a scuotere la testa e chiudere gli occhi, passando poi due dita sulle labbra di Madeleine. Piano, con delicatezza, finché non la sentì smettere di tremare e non vide le piccole rughe sulla sua fronte scomparire una dopo l'altra. E spostó le dita lungo la sua guancia, fermando la carezza solo quando la sentirono parlare di nuovo, una manciata di secondi più tardi.
«Non fategli male... no».
«Madeleine, svegliati», mormoró il demone sentendo le mani della ragazza stringersi sulla propria maglietta, mentre Harry scendeva dal letto portandosi le mani tra i capelli. Era chiaro che la ragazza stesse sognando, quasi sicuramente qualcosa di spiacevole. Che stesse sognando Zayn? In fondo era il suo nome ad essere uscito dalle sue labbra mentre ancora dormiva.
Ma non si svegliava e iniziava ad agitarsi. A singhiozzare.
«Entra nel suo incubo». Furono quelle le parole del demone, rivolte all'angelo che credeva suo nemico praticamente da sempre. O almeno così gli sembrava. Harry si voltó di scatto verso di lui, facendo sospirare Zayn mentre annuiva stancamente. Allora il riccio si costrinse a sedersi sul ciglio del letto abbassandosi quanto bastava da posare le labbra contro la tempia della ragazza. L'avrebbe fatto Zayn, se solo fosse stato qualche gradino più in alto nella gerarchia. Per una volta non gli rimase altro se non fidarsi.
Collaborare sembrava essere l'unico modo.
Harry non avrebbe voluto farlo. Lo odiava, entrare nella mente delle persone. Che fossero angeli, demoni o esseri umani. Non faceva differenza. Gli dava semplicemente fastidio, trovarsi la mente piena zeppa di ricordi di altri. Per non parlare di quanto fosse rischioso, entrare nella mente di qualcuno. Rischioso per entrambe le parti.
Un solo passo falso, e le avrebbe rovinato la vita.
Ma era preoccupato, e per Madeleine avrebbe fatto qualsiasi cosa, nonostante fosse stato Zayn a suggerire quella soluzione. E sebbene quello fosse inequivocabilmente un incubo, l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di vedere era il buio. La castana era sempre stata... solare. Era la parola giusta. La sua anima ne era la testimonianza più lampante, insieme con la luce emanata dal suo sorriso.
Era buio. Di quel buio col quale si fa fatica a vedere ad un palmo dal naso. Quel buio pesto, quasi completamente nero. Quel buio che ti fa pregare di tornare alla luce e di vedere di nuovo, perché hai paura e ti senti uno schifo. Buio ovunque. Un corridoio, forse, e una luce fioca in fondo.
Troppo in fondo perché possa riempirti del briciolo di speranza che ti serve per andare avanti. Troppo lontano per credere che non sia un miraggio. Ma abbastanza luminosa - del resto - da non spaventare un angelo. Harry vedeva perfettamente, seguendo però più i singhiozzi di Madeleine che il riflesso emesso da quella che doveva essere una semplice candela.
Più sì inoltrava in quel corridoio più pregava che non le stessero facendo del male - anche se era solo un sogno. Più si avvicinava e più la sentiva singhiozzare e più moriva dentro. Un respiro profondo, la mano passata nervosamente tra i capelli, ed era in fondo, davanti ad una cella male illuminata.
Le sbarre nere che si confondevano col buio. L'odore di chiuso e di sudore e di sangue che si mischiavano l'uno con l'altro. Il rumore di qualcosa che colpiva qualcos'altro e di qualcosa che gocciolava. Il pavimento ricoperto di polvere e sangue in parte rappreso. Era l'incubo più realistico che Harry avesse mai visto.
Ma se non fosse stato un incubo?
All'interno della cella, un demone. Coi vestiti strappati, sollevato da terra e trattenuto contro il muro grigio topo da delle pesanti catene. Forse argento, da come brillavano, nonostante la poca luce. Le ali nere spalancate, inchiodate al muro e gocciolanti sangue sul pavimento anch'esso grigio della cella.
Gli occhi chiusi, le sopracciglia e la fronte contratte per lo sforzo di non mettersi a urlare. Il viso distorto in un espressione di dolore e sofferenza che Harry non aveva mai visto su nessuno, non in quel modo. Non così. Trattenne il respiro guardandolo meglio, per quanto glielo permettesse la luce e per quanto i singhiozzi di Madeleine lo distraessero.
Si irrigidì all'istante, riconoscendo il demone.
Zayn.
Ma non fece nemmeno in tempo a rendersi conto, che un singhiozzo più intenso degli altri lo costrinse a voltarsi verso la parete opposta alla cella. Madeleine era seduta a terra, schiacciata contro la parete e con lo sguardo fisso sul moro. Gli occhi sgranati tanto da non riuscire a chiuderli, le lacrime che le scorrevano sulle guance come vivessero di vita propria. I singhiozzi che uscivano da soli da quelle labbra martoriate dai morsi, rosse quasi come il sangue che gocciolava dalle ali del demone.
Le si inginocchiò di fronte riempiendo totalmente il suo campo visivo di occhi verdi e fossette semi nascoste. Vide il suo viso cercare di rilassarsi e le lacrime cessare di scenderle lungo le guance a poco a poco. Le posó un bacio sulla fronte, chiudendo gli occhi e mormorandole di svegliarsi.
A poco a poco gli occhi castani di Madeleine si chiusero, lasciando ricadere le ciglia lunghe e folte sugli zigomi, lasciando che la loro ombra fosse l'unica ombra, mentre a poco a poco l'incubo svaniva, lasciando il posto alla camera di letto di Zayn con le lenzuola blu notte e le tende ancora tirate per lasciare la stanza nella penombra.
La ragazza si svegliò con un strana sensazione alla bocca dello stomaco e un singhiozzo incastrato in gola. Non capiva il motivo per cui sentisse il bisogno di piangere - sempre che non lo stesse già facendo. Riusciva solo a sentire le labbra di qualcuno staccarsi dalla sua tempia e le dita di qualcun altro smettere all'improvviso di sfiorarle un braccio. Il tutto mentre si sforzava di aprire gli occhi.
Schiuse gli occhi nel momento in cui si accorse che stava piangendo davvero, che non era solo frutto della propria immaginazione. Piangeva. Ricordava qualche dettaglio sfocato dell'incubo dal quale non riusciva a svegliarsi. Ricordava il buio, il sangue, un demone legato e un angelo che correva a portarla via dalle tenebre, chiedendole di svegliarsi.
Zayn. Non fategli male.
Spalancó gli occhi non appena si rese conto, facendoli scontrare con quelli altrettanto castani ma ben più profondi del demone in questione. Si accorse si stringere la sua maglietta tra le dita. E singhiozzó, non sapendo che altro fare. Nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Sorprendendolo, dato che lui non poteva sapere cosa avesse visto in sogno.
«Piccola...».
«Sei qui...», si assicuró continuando a piangere. Lo sentì annuire piano, mentre con lo sguardo cercava quello di Harry, seduto quasi senza fiato dall'altra parte del letto, con gli occhi fissi a guardare il soffitto bianco. Zayn le accarezzò un braccio, aspettando che smettesse di piangere, che si calmasse e tornasse a respirare regolarmente. «Pensavo fosse vero... loro ti avevano preso e... sanguinavi, ed era buio...».
«Loro?», le chiese il moro allontanandosi quanto bastava per guardarla in viso.
«I Nephilim», si intromise Harry. A voce bassa, tanto che la ragazza al suo fianco, per quanto vicina, fece fatica a sentirlo. E si voltó di scatto, quando si accorse della sua presenza, sorpresa che fosse rimasto. Sorpresa che entrambi fossero rimasti, insieme. «Ha sognato qualcosa che non è ancora accaduta... ma sai anche tu che le premonizioni non sono mai esatte, Zayn».
«Sei entrato nella mia testa...».
Ma il sussurro della ragazza venne fermato a metà dalle dita fresche del demone sulle labbra, mentre pensava alle parole dette dall'altro ragazzo. Premonizioni. Era dai tempi di Akielah che non ne sentiva parlare. Era da tempo immemore che non gli capitava di trovarsi in un sogno altrui senza che lui stesso lo volesse.  Era strano, che fosse capitato proprio in quel momento. Meno strano che fosse capitato a Madeleine.
«Hai fatto altri sogni, piccola?», le chiese Zayn con leggera urgenza nella voce. La vide annuire appena, ancora con le proprie dita sulle labbra leggermente screpolate, e si sentì finire il cuore in gola nel tempo di un respiro. «Su di me?». La castana si sentì arrossire violentemente, ripensando a quel sogno.
La stanza scura, il demone con le nere ali spiegate su di lei. E lei mezza nuda e addormentata. Il sangue che gocciolava dalle ali. Le era rimasto tanto impresso da farla disegnare quella piuma insanguinata per giorni, prima che scoprisse tutto quel che sapeva sugli angeli.
«Sì, è stato quando ti vedevo ovunque è sono svenuta con Louis».
Harry annuì, per poi alzarsi di scatto a sedere. Si scambió un'occhiata con Zayn, che però scosse la testa. Il primo credeva fosse stato lui a mettere quel sogno nella mente di Madeleine. Il secondo, d'altro canto, non sapeva minimamente di cosa stessero parlando. E la parola "problema" si poteva veder lampeggiare nel verde delle sue iridi, e al demone sembró di vedere quella parola prendere forma tra di loro, come se la ragazza non esistesse.
Come non succedeva da parecchio tempo, che loro comunicassero in quel modo.
«Mi spiegate?», sbottó la castana dopo parecchi secondi di silenzio. Insopportabile. Non riusciva che a spostare lo sguardo dall'uno all'altro, in quel silenzio che faceva più male di quanto le avrebbe fatto qualsiasi parola avessero potuto dire. Era ancora stordita dell'incubo, ma il terrore aveva lasciato il posto alla solita voglia di sapere che la caratterizzava da sempre.
E prima che l'angelo potesse dire qualsiasi cosa, una qualsiasi, per fermare il demone... «Stanno arrivando», le disse semplicemente. Con voce roca, stanca, di chi non sa che altro dire. Perché in fondo non avrebbe potuto dirle altro se non la verità. Non voleva dirle nient'altro che non fosse la verità, perché se lo meritava una buona volta di sapere tutto. L'avevano tenuta all'oscuro per troppo tempo, e Zayn era stufo di vederla piangere quando scopriva che le avevano tenuto nascosto qualcosa. Non riusciva a sopportare il suo sguardo duro e triste quando scopriva qualcosa che per lei era nuovo, sconosciuto.
E non poté dire nient'altro, che il telefono di Harry prese a squillare quasi con furia sul comodino. Zayn lo vide rispondere, mentre Madeleine scendeva dal letto e si nascondeva verso il bagno. Forse per pensare, forse solo per cercare di dimenticare l'incubo, o per cercare di capire cosa volesse dire quello "stanno arrivando".
Sarebbe morta di nuovo?
L'avrebbero salvata?
Sarebbe stata in grado di scegliere?
Non sapeva niente. Forse non voleva sapere niente. Forse voleva solo cercare di vivere normalmente, senza il fiato di qualcuno che la voleva morta sul collo. Senza dover essere obbligata a scegliere, a trovare chissà quale oggetto o a sacrificare chissà chi. E si buttó sotto il getto di acqua calda della doccia cercando di non sentire quel che si stavano dicendo i due ragazzi che amava nella stanza accanto.
«Lo so, Liam... sì, ha avuto una premonizione...».
Zayn non poteva far altro se non guardarlo camminare avanti e indietro per la stanza, mentre parlava al telefono con l'altro angelo. Chiuse gli occhi, cercando di non risentire i singhiozzi di Madeleine invadergli la mente. Cercando di non rivedere le sue lacrime da dietro le palpebre. Cercando con tutto sé stesso di non urlargli di smetterla, perché anche lui - come Madeleine - non ne poteva più.
«Perché le hai detto che sarebbero arrivati?».
«Perché è la verità, e ci odierebbe - entrambi - se le nascondessimo ancora qualcosa che la riguarda», gli disse sinceramente, sentendo poi l'acqua della doccia iniziare a scorrere. Represse a stento il bisogno di abbracciarla, anche sotto la doccia, non gli importava, e tornó a guardare gli occhi verdi di Harry, che lo fissavano come fosse confuso.
«Mi ha detto Liam che Soraya li ha visti arrivare...». Gli scappó un sospiro rumoroso, mentre pronunciava quelle parole. Tutto quello a cui riusciva a pensare era la premonizione, quel sogno grazie al quale i Nephilim avevano fatto capire loro che stavano arrivando, magari senza volerlo. Anzi, era più che sicuro che i Nephilim non volessero far sapere i loro piani.
Allora perché?
«Tra quanto?», gli chiese Zayn in un soffio, quasi come se le sue parole le portasse il vento.
L'angelo ci mise qualche minuto a rispondere, mentre ascoltava le gocce d'acqua cadere dalla doccia sul corpo di Madeleine, a qualche metro da lui. Avrebbe solo voluto abbracciarla fino a non sapere più dove si trovasse. Invece resto immobile e in silenzio, cercando la forza di dire le poche parole che voleva il demone seduto sul bordo di quel materasso sul quale avevano dormito tutti e tre, per la prima volta come fossero una squadra. Come fossero una cosa sola.
«Qualche giorno...».
E forse aveva aspettato troppo, quasi in religioso silenzio. Facendosi scappare quelle parole proprio mentre la castana usciva dal bagno in pantaloncini di jeans, canottiera, piedi nudi e capelli ancora quasi completamente bagnati. Videro l'asciugamano scivolarle dalle dita e finire con un leggero fruscio sulle piastrelle gelate; i capelli presero a gocciolare, e lei non fece niente per impedirlo. Lasció che gocciolassero, senza staccare lo sguardo da i due ragazzi, spostandolo da uno all'altro e cercando di trasmettere loro... tutto.
«Qualche giorno?», la sentirono chiedere. Harry le si avvicinò, abbassandosi per raccogliere l'asciugamano e gettandolo sul materasso dietro di sé, per poi stringerla in un abbraccio, incurante del fatto che i suoi capelli gli stessero inzuppando la maglietta. Solo i capelli, però. Madeleine non versó nemmeno una lacrima.
«Non lasceremo che ti prendano, stavolta», le disse, sentendo poi che Zayn si fosse alzato dal letto. Con la coda dell'occhio lo vide uscire dalla stanza, mentre finalmente la ragazza si stringeva a lui ricambiando l'abbraccio.
«Me lo prometti?».
«Te lo prometto», mormoró di rimando, sollevandola poi da terra tanto quanto bastava per farli essere alla stessa altezza. Tanto quanto bastava da permettere alle loro labbra di toccarsi, in uno di quei baci che non sapevano mai se sarebbe stato l'ultimo. Labbra contro labbra, ogni volta come la prima, ogni volta come l'ultima. «Ti amo».
E sentirla ridere gli bastó, quella volta.
***
Passeggiare per il lungomare di Los Angeles con le ragazze quando avrebbe voluto essere da tutt'altra parte, non era proprio il massimo. Cercava di svagarsi, di non pensare al fatto che quello avrebbe potuto essere il suo ultimo giorno in quella vita. Cercava di partecipare ai discorsi un po' frivoli delle ragazze, che dal canto loro sembravano essere come una famiglia, senza l'ombra di una rivalità o di uno schieramento.
Era passato qualche giorno dell'incubo, o premonizione, o quel che era.
E Madeleine aveva passato più tempo che poteva sia con Harry che con Zayn. I loro rapporti erano diversi, questo iniziava a capirlo, ma non riusciva proprio a smettere di vederli entrambi. Un giorno era in spiaggia con uno, e il giorno dopo le veniva voglia di un giro in moto con l'altro. E lo faceva, faceva tutto senza pentirsene, tutto come se dovesse finire da un momento all'altro.
Forse il primo era amore e il secondo era passione. Forse il riccio era la dolcezza e il moro era la passione pura. Erano acqua e fuoco, luce e buio, dolcezza e malizia, verde prato e color terra. Ma in fondo non le importava che fossero tanto diversi, perché a lei servivano entrambi nello stesso modo e nella stessa quantità. Voleva le parole tenere di uno e i baci passionali dell'altro.
Era tanto sbagliato?
«Tesoro, va tutto bene?», le disse Kismet affiancandola e prendendola a braccetto. Avevano visto tutte quanto fosse distratta, ma nessuna di loro aveva detto una parola, né aveva provato a a capire come potesse sentirsi quella povera ragazza in balia del destino da tutta una vita.
«Sono solo soprappensiero, Kis», ammise passandosi una mano tra i capelli, lisci quel giorno. Ed era vero. Soprappensiero era la parola perfetta. Non faceva altro se non pensare, da giorni. Mangiava meno e dormiva poco, per colpa di quei pensieri. Mangiava per non svenire e dormiva solo se era con Zayn o con Harry. Di dormire da sola non se ne parlava, aveva paura di avere un'altra premonizione e non avrebbe saputo che fare per uscirne, se fosse stata sola.
«Se ne vuoi parlare io ci sono, okay?».
«Lo so», ribatté la ragazza con un sorriso colmo di gratitudine.
Ma mentre continuavano a camminare si accorsero che Cassiel era rimasta indietro. Ferma in mezzo al marciapiede con lo sguardo vuoto rivolto al cielo. Sembrava non guardare nulla, eppure teneva lo sguardo rivolto in su, come se vedesse qualcosa, o come se aspettasse qualcosa.
La mano di Kismet si chiuse su quella di Madeleine, mentre Cherubiel le si metteva accanto dall'altro lato, prendendole l'altra mano e stringendola altrettanto. Forse di più, la ragazza non l'avrebbe saputo dire. Come non avrebbe saputo dire come si sentisse, se più preoccupata o più terrorizzata.
La seconda ad alzare lo sguardo fu Eveline. La castana tenne lo sguardo sollevato qualche secondo, prima di rivolgere uno sguardo all'angelo biondo e al demone dai capelli scurissimi che tenevano la castana per mano. «Portatela da Harry», disse solamente, con voce apparentemente calma. Dentro stava ribollendo di rabbia.
Cher e Kis si sollevarono da terra nello stesso istante, spiegando le ali all'unisono. Ali tanto ampie da toccarsi mentre si sollevavano. Ali bianche contro ali nere, messe esattamente allo stesso livello, per il bene di Madeleine, che rabbrividì appena per il vento fresco che le colpiva mentre salivano. La bionda le sussurró di tenersi al demone, mentre le lasciava la mano per un secondo per poi avvolgerle la vita con un braccio per tenerla meglio.
Volarono veloci sulla città, ignorando le nuvole che si facevano sempre più nere al loro passaggio, e ignorando anche quello che sembrava un normale stormo di gabbiani. Non erano semplici gabbiani, lo sapevano tutte e tre. E forse fu quel particolare a rendere il volo meno piacevole delle altre volte, per la ragazza. Forse gridó quando all'improvviso Kismet lasció la presa su di lei per scendere di una ventina di metri, lasciandola alla stretta salda di Cherubiel.
«Lasciala cadere», sentirono dire dopo una manciata di secondi. Ma la ragazza non ebbe il tempo di accorgersene che stava già cadendo. Pensó di urlare, ma era senza fiato, e quando finalmente trovó la forza per farlo si ritrovò in braccio a Skylar, che nonostante la situazione infelice se la rideva beato.
«Ti fa ridere? Mi hai fatto prendere un colpo, idiota!».
«È il momento giusto per ridere, Mad», ribatté lui lasciandole un bacio leggero sulla fronte, che finalmente la fece sorridere. Ed era quello che voleva, vederla sorridere. Non tanto perché sarebbe potuta essere l'ultima volta, quanto piuttosto perché se lo fosse stata, avrebbe avuto il suo sorriso in mente fino alla vita successiva. Le sarebbe mancata meno. Ci avrebbe pensato meno, almeno credeva.
«Ti voglio bene, Sky... se non dovesse andare bene...», aggiunse con l'accenno di una smorfia mentre scendevano di quota e venivano affiancate dalle due ragazze. Il demone strinse appena la presa su di lei, per poi annuire. Perché in fondo quelle tre parole, dette da lei, gli servivano più di quanto fosse disposto ad ammettere. «Secondo te come andrà a finire?».
«Bene, piccola. Te lo prometto».
Al demone scappò un sorriso, quando la sentì annuire e accoccolarsi contro il suo petto, mentre continuavano a scendere, metro dopo metro sempre più vicini alla terra e ad Harry. Non dissero una parola per tutti i minuti seguenti. C'era solo il vento, e il battito del cuore del demone dalla pelle scura contro il suo orecchio.
Momento giusto per ridere.
Momento meno giusto per morire.
Dipendeva dai punti di vista.
L'angelo dai capelli ricci e gli occhi verdi intanto guardava il cielo diventare sempre più scuro. Tanto assorto nei propri pensieri da non accorgersi dell'arrivo di Zayn accanto a lui, preoccupato quanto poteva esserlo lui. Andavano più d'accordo di quanto avrebbero ammesso, ma tutto sommato era solo merito di Madeleine e dell'amore che entrambi provavano incondizionatamente per lei. Magari proprio quel l'amore li avrebbe fatti collaborare, e tutto sarebbe finito bene - o il meglio possibile.
«Qualche idea?», gli chiese il moro, con gli occhi color cioccolato resi più scuri dall'ansia, dalla preoccupazione e dalla rabbia che provava. Occhi scuri che fissavano le nuvole, scure a tratti e cielo limpido che diminuiva sempre più con l'avvicinarsi dei Nephilim. L'angelo si voltò appena verso di lui, limitandosi a fare spallucce. Qualche idea? Non c'erano idee abbastanza furbe o geniali da poter mettere in atto. Non avevano nulla, se non la speranza che quella volta qualcosa sarebbe andato diversamente.
Zayn non aveva idee, ma nemmeno si aspettava che l'angelo al suo fianco ne avesse.
«Ti prenderesti cura di lei, Zayn?», mormorò il riccio, a voce tanto bassa che fece fatica a sentirlo. Con più dolore nella voce di quanto non ne avesse mai sentito. Sapeva che Harry stava male, lo sapevano tutti. Ma quello... era troppo da sopportare persino per lui. «Quando loro arriveranno voglio che la porti via da qui, come a Parigi... solo, stavolta non lasciarla andare».
«Harry...».
«Amala anche da parte mia se sopravvive, e dille che torno a prenderla appena posso».
«E se dovesse scegliere me?».
«Allora non mi vedrete più, te lo prometto», gli disse serio, porgendogli una mano come a suggellare quella promessa. Non erano solo parole. Harry sapeva perfettamente cosa stava facendo, e Zayn era l'unico al quale l'avrebbe lasciata, nonostante tutto quello che era successo in passato. Il moro prese la mano del riccio e la strinse forte. Era il suo modo di promettergli tutto quel che gli stava chiedendo.
Si sarebbe preso cura di lei. L'avrebbe amata.
Non era poi una così difficile promessa da mantenere, pensandoci bene.
Skylar mise piede a terra nell'istante in cui le mani dei due si separarono. Li aveva sentiti, parola per parola. Ma non aveva detto niente alla ragazza accoccolata contro il suo petto. Non una parola. Aveva solo osservato i suoi occhi inumidirsi e i capelli fluttuarle intorno col vento fresco. La sua mano si strinse un po' di più contro la maglietta del ragazzo, nel momento in cui toccarono terra. Non per paura di Skylar. Piuttosto per paura di tutto il resto.
Occhi negli occhi, Madeleine e Zayn. Castano nel castano, con il moro che faceva cenno impercettibilmente verso il riccio. La ragazza cambiò espressione, accennando un sorriso. Le stava davvero chiedendo di correre da lui? E... perché? Ma lo fece. Scese dall'abbraccio del demone e quasi corse tra le braccia di Harry, che preso alla sprovvista aprì le braccia per accoglierla all'ultimo secondo, stringendola in un abbraccio che serviva a entrambi.
Occhi negli occhi, Harry e Zayn. Verde nel cioccolato. E un grazie mormorato da uno all'altro senza curarsi che la ragazza tra le sue braccia lo sentisse. Madeleine capiva poco o niente di quel che stava succedendo tra i due; era solo contenta di essere tra le braccia dell'angelo. Era solo contenta del gesto del demone, che per una volta si era messo in secondo piano, lasciandola libera di andare dal suo rivale.
Lasciandola libera di scegliere.
Ma quando alzò lo sguardo per incrociare gli occhi di Harry e li vide lucidi, si rese conto che  forse avevano già scelto loro per lei. Magari a fin di bene. La ragazza scosse la testa cercando di non piangere, e cercò di dire qualcosa, ma le dita del ragazzo la costrinsero al silenzio. «Devi andare con Zayn», mormorò posando la fronte contro la sua. Un soffio che spinse le lacrime nei suoi occhi a moltiplicarsi come dotate di vita propria. «Loro stanno arrivando, piccola... e ho bisogno che tu sia al sicuro quando cercheremo di respingerli».
Con la coda dell'occhio la ragazza poteva vedere arrivare tutti gli altri angeli e demoni atterrare poco distante da loro. Tutti, dal primo all'ultimo. Senza schieramenti, a giudicare da come Kismet e Celestine si tenevano per mano, o da come Cassiel e Louis stavano abbracciati mormorandosi qualcosa.
«Non ti lascio qui...».
«Sì invece, vai con lui».
A quel punto erano praticamente labbra contro labbra, e ad Harry scappò una lacrima. Era un peso lasciarla andare. Un peso che gli gravava sul cuore, perché non avrebbe voluto lasciarla. Semplicemente doveva, per il suo bene. Ma prese un respiro profondo e la bació. La strinse a sé non riuscendo a fare altro. La baciò fino a non aver più fiato, fino a sentirla singhiozzare e tirargli un po' più forte i capelli sulla nuca.
Poi la terra prese a tremare sotto i loro piedi, e Zayn la prese per mano mentre ancora guardava Harry negli occhi. Spiegò le ali color tenebra in meno di un battito di ciglia, prima di stringerla a sé e chiederle in un sussurro di chiudere gli occhi. Il "ti amo" che le sfuggì dalle labbra poteva essere rivolto ad Harry come a Zayn. Non lo sapevano e non l'avrebbero mai saputo.
Aveva davvero importanza?
Non ne aveva.
Erano più importanti le ali bianche e nere che si stavano spiegando tutto intorno, mentre le sagome dei Nephilim con le ali sfrangiate comparivano tra un angelo e l'altro, tra un demone e l'altro, tra un angelo e un demone. «Non urlare», le mormorò Zayn in un orecchio, prima di sollevarsi da terra con un salto e battere un paio di volte. Due battiti ed erano già al livello delle nuvole. Non un urlo, non un singhiozzo. Madeleine sembrava muta, forse per la paura. «Andrà tutto bene, principessa».
E continuarono semplicemente a salire, mentre una decina di Nephilim si libravano in cielo per seguirli.


 



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Capitolo 19
*** 19. Alive. ***


*sono di nuovo qui, miracolosamente dopo solo sei giorni.
effettivamente, ultimo capitolo prima dell'epilogo.
ultimo capitolo prima che io possa dirvi cos'ho in mente.
fino ad allora, muta come una tomba.
intanto buona lettura... ci risentiamo a breve, spero.
un abbraccio immenso,
- emotjon.*





19. Alive.



 
Le dita gelide e bagnate di Zayn erano ferme sulle labbra della castana da quel che sembrava essere un'eternità. Continuava a guardarla negli occhi come a volerle leggere dentro, beandosi della stretta della sua piccola e gelida mano sulla maglietta e circondandola con le ali color tenebra.
Qualche battito di ali più forte degli altri ed erano spariti nelle nuvole nere nell'istante in cui iniziava a piovere. Diluviare, a dire il vero. A Madeleine era scappato un grido, al contatto con la pioggia ghiacciata, ma quel grido era stato fermato con prontezza dalle labbra del demone sulle sue.
La maggior parte dei Nephilim era quasi completamente cieca. Punizione divina per impedirgli di vedere il mondo al quale appartenevano per sbaglio. Punizione divina che li rendeva diversi, strani e invisibili a chiunque non ne conoscesse l'esistenza. Creature quasi cieche. Del resto però ci sentivano perfettamente.
Il loro udito andava oltre il rumore del vento, della pioggia, delle gocce d'acqua che si schiantavano al suolo. Fiutavano respiri, sentivano i vestiti stropicciarsi al soffio del vento, udivano i sospiri e i sussurri degli amanti. Riconoscevano angeli e demoni solo dall'odore.
Zitta, le mimò solo muovendo le labbra, sperando che la castana sapesse leggere il labiale come un tempo. Il pensiero dell'India gli vorticò per un attimo nella mente, facendogli quasi dimenticare tutto il resto e mettendogli addosso la voglia di portarla, in quel paese lontano. Perché stava sopravvivendo, proprio come le avevano promesso.
Lei mosse appena la testa come per annuire, continuando a guardarlo in quegli occhi nei quali sarebbe annegata più volentieri di quanto non stesse accadendo sotto la pioggia, nascosti dentro una nuvola carica d'acqua. Si strinse a lui aspettando che il momento di impasse passasse. Si strinse a lui per sentire meno freddo. Si strinse a lui per cercare di smettere di pensare alle parole di Harry.
Si irrigidirono entrambi quando sentirono dei borbottii poco comprensibili poco lontano da dove si trovavano. Ma le mani di Madeleine continuarono a stringere sulla maglietta sgualcita di Zayn, e il moro continuava a tenere il mento posato delicatamente sulla sua testa. Le prese una mano, intrecciandone le dita ormai gelide con le proprie.
Poi, successe in un attimo.
Un grido che avrebbe potuto gelare il sangue nelle vene. Una risposta a quel grido. E poi ancora urla, grida, ali che sbattevano velocemente. Nel giro di una manciata di secondi stava smettendo di piovere. Nel giro di pochissimo le urla dei Nephilim erano solo un ricordo lontano, e Zayn poté finalmente tirare il sospiro di sollievo tanto agognato.
«Non ci hanno sentiti...».
«Devo portarti via da qui», le disse in un sussurro, tenendo sempre il mento posato sul suo capo. Stentava a crederci, ma Madeleine era ancora viva, ancora tra le sue braccia. Sana e salva. «Scendiamo a terra, ci mettiamo dei vestiti asciutti e prendiamo la prima navetta per San Francisco».
«Zayn...».
«Devi fidarti però».
«Zayn, guardami», gli disse dolcemente, alzando appena la voce e costringendolo a guardarla. Aveva gli occhi lucidi, Madeleine. Non gliene sarebbe potuto importare di meno. Aveva i capelli incollati al viso dalla pioggia e le labbra blu dal freddo che sentiva. Ma riuscì comunque ad arrivare alle labbra del demone e lasciarci un bacio. Lo sentì rilassarsi sensibilmente, prima che riuscisse a ricambiare. «Mi hai salvata, Zayn...». Avrebbe voluto dirgli grazie, o che lo amava da morire.
Non serviva. Le si leggeva in viso.
E la consapevolezza delle sue parole comparve all'improvviso sul volto del demone. Sorpresa, incredulità. Gli venne da ridere, al pensiero di averla salvata. E rise, lasciandole una serie di baci leggerissimi sulle labbra. Rise, continuando a stringerla. Facendola ridere di rimando.
Perché a quel punto non importava più che i Nephilim li trovassero.
Era sopravvissuta. Zayn l'aveva salvata. Aveva mantenuto la promessa.
Smise di ridere solo quando la ragazza gli accarezzò una delle due ali, continuando a guardarlo negli occhi. Con la coda dell'occhio vide l'ala iniziare a splendere, e le labbra della castana schiudersi fino a formare una piccola "o". «Sei ancora un angelo, qui dentro», gli disse in un soffio, sfiorandogli il petto con la mano libera, nel punto in cui c'era il suo cuore.
«Cosa te lo fa dire?».
«Non mi avresti salvata».
«Ti ho salvata perché ti amo», le disse con un sorriso sincero lasciandole un bacio sulla fronte. La vide sorridere di rimando, colpita e sorpresa da quelle parole tanto esplicite. Perché di solito era introverso, e sentirlo parlare tanto chiaramente di sentimenti era tanto strano quanto incredibile.
Non si accorse nemmeno che stavano scendendo a terra. Scesero in picchiata, più velocemente di quanto si sarebbe aspettata. Atterrarono poco distanti dalla palestra di Skylar, il che le fece pensare che avrebbero dovuto dire agli altri che lei era ancora viva. «Zayn...».
«So a cosa stai pensando, ma non abbiamo tempo...», le disse una volta dentro la palestra. Chiuse le ali di fretta, ignorando la sensazione strana che ancora sentiva dopo il tocco della ragazza. Le sue ali avevano brillato, come se davvero fosse ancora un angelo. Come se il tocco di Madeleine avesse qualche strano potere, su di lui. Un potere che davvero non riusciva a spiegarsi. Scosse la testa e le passò qualche vestito pulito e un asciugamano.
Era con lei. Ma col pensiero era da tutt'altra parte.
Il suo pensiero vagava alla battaglia a cui non stava partecipando, a pochi chilometri da dove si trovavano.
Harry non credeva che avrebbe potuto lottare contro il nemico comune al fianco di qualcuno che non fosse un angelo. Eppure con l'aiuto di Skylar stava ferendo e mettendo in fuga decine di Nephilim, decisamente sorpresi che i due schieramenti nemici da sempre stessero combattendo insieme. Sorpresi che stessero collaborando, proprio come chiedeva la profezia.
E tra un fendente e l'altro, tra un colpo d'ali e altro, si accorsero appena di Cherubiel. Sempre più spalle al muro di un vecchio palazzo. Con due Nephilim che le se si avvicinavano passo dopo passo mentre lei continuava a camminare all'indietro. Bloccata. Immobile corto il muro, con un graffio sulla guancia e le ali spiegate ma senza la forza di volare. Nessuno si accorse della sua situazione finché non la sentirono chiedere aiuto, con gli occhi sgranati e i capelli biondi sparsi sul viso.
Nessuno si accorse di lei.
Nessuno si accorse di quel che succedeva.
Nessuno tranne Remember.
L'angelo dai capelli biondi si accorse di lei solo quando si ritrovarono occhi negli occhi. Cielo nel mare, ghiaccio nel ghiaccio. La vide spiegare le ali in un battito di ciglia. La vide farle da scudo con le ali nere, tanto vicine da distinguerne le piume. Tanto vicine loro da sentire il suono del suo respiro nelle orecchie e avere il suo profumo di cedro e cardamomo nelle narici.
Accadde tutto tanto velocemente da non rendersene conto. I Nephilim attaccarono la mora credendo che fosse la bionda. Attaccarono un demone credendo fosse un angelo. Attaccarono in fretta, poi volarono via come richiamati da qualcosa - o da qualcuno.
Tutti immobili.
Tutti avevano sentito la lama del pugnale d'argento superare i vestiti e penetrare la carne  come fosse carta. Tutti avevano sentito il singhiozzo di dolore di Cherubiel e il sospiro altrettanto doloroso di Remember. Tutti potevano vedere la lama ancora conficcatale nella schiena, col sangue scuro che iniziava a sporcarle la camicia in una macchia sempre più grande.
Tutti avevano visto le sue ali diventare deboli, tanto da non riuscire più a reggerla. La bionda vide le mani dell'altra scivolare lungo il muro dietro di sé, la sentì gemere fino a posare la testa sulla sua spalla. Cercò di tenerla prendendola per i fianchi, ma in realtà le veniva solo da vomitare, anche con le lacrime che le scivolavano lungo il viso portando via tutto il trucco.
«Rem, oddio...».
Riuscì finalmente a dire qualcosa, con le mani che correvano in automatico alla schiena del demone fino a trovare l'impugnatura del pugnale. La tenne stretta a sé sussurrandole che sarebbe andato tutto bene anche se non ci credeva. E tirò, facendola gridare e facendole scappare una serie di singhiozzi contro il suo collo.
Il primo a muoversi fu Skylar. Si avvicinò alle due ragazze ignorando il dolore alle ali. Ignorando tutto, perché Remember era quella che più si avvicinava ad essere la sua migliore amica. Ignorando Harry che teneva fermo a terra l'unico Nephilim rimasto, ferito, che non era riuscito a scappare. Ignorando i graffi sul collo di Soraya e su chiunque altro.
«Avrei parecchi insulti da rivolgerti, ma me li conservo per dopo, piccola».
«Non ci arrivo a "dopo", Sky», mugugnò la ragazza ritraendo finalmente le ali e abbassando le palpebre, più per non vedere Cherubiel piangere che per altro. Vederla piangere faceva più male persino del dolore lasciato dalla pugnalata. Faceva più male di perdere i sensi, di sanguinare o di non riuscire a respirare.
«Rem... perché...?». Il demone dalla pelle scura riuscì a zittirla con un'occhiataccia. Perché... le stava davvero chiedendo il perché quando era chiaro come il sole che la mora fosse ancora innamorata di lei? Il ragazzo scosse la testa, aiutando Remember a sdraiarsi a terra, con la testa sulle gambe leggermente graffiate della bionda. «Devi guarirla, Sky», aggiunse l'angelo dopo un po', vedendo l'altra ragazza farsi sempre più pallida.
«È una ferita profonda... sai anche tu che non ho quel tipo di potere, Cher».
«Va tutto bene...». Remember avrebbe voluto chiamarla "piccola", come un tempo. Ma si bloccò vedendo la sagoma di Liam entrare nel proprio campo visivo, per quanto sfocato potesse essere. Prese quello che voleva essere un respiro profondo e cercò di continuare a rimanere sveglia, con gli occhi aperti e il respiro pressoché regolare. Perché se fosse stato un buon momento per morire, aveva prima qualcosa da dire. «Piccola, guardami», mormorò, costringendo la bionda a posare lo sguardo su di lei.
Sorpresa, a dir poco. Perché non si sentiva chiamare in quel modo da lei da un'eternità.
Schiuse le labbra, capendo finalmente perché si fosse messa tra lei e i Nephilim che volevano ucciderla. Le venne in mente quel che avevano passato prima che Liam le trovasse, non ricordava nemmeno più dove. Ricordava solo che erano state solo loro due per talmente tanto tempo da riuscire a dimenticarsi di quello che aveva avuto in Paradiso con il castano.
E la guardò, cercando quasi disperatamente di cacciare le lacrime al proprio posto. Non le piaceva piangere, men che meno davanti a lei; sembrava che riuscisse a leggerle dentro come fosse un libro che avesse già sfogliato un milione di volte. Ancora azzurro nel l'azzurro. Quasi la stessa tonalità di cielo, ma in due persone differenti. Quasi uguali, ma opposte.
Fu in quello sguardo, probabilmente, che Cherubiel si accorse di non riuscire a vederla morire senza fare nulla. Avrebbe voluto salvarla come la mora aveva appena fatto con lei. Avrebbe voluto guardare Liam negli occhi e dirgli che quel "piccola" non significava niente, quando al contrario per lei in quel momento era tutto.
E sarebbe stata una bugia. Perché gli angeli non sanno mentire.
«Credevo che morire facesse più male...».
«Non stai morendo... Sky...», aggiunse l'angelo in un soffio, pregando il ragazzo di fare qualcosa. Almeno di provarci. Il demone scosse la testa, come esausto. Ma poi lo videro prendere un respiro profondo e imporre le mani sulla ferita. Una lieve luce dorata, tanto quanto bastava per farla respirare un po' meno affannosamente e farle sentire appena un po' meno il sapore del sangue sulla punta della lingua. «Non puoi, okay?».
«Siamo tutti nati per morire, lo sai. Come sai che io...». Si fermò per un colpo di tosse, che le spezzò il fiato il due, facendole quasi fermare il cuore. A Cherubiel al contrario si fermò davvero; sentiva come se fosse lei quella accoltellata e in fin di vita. «Sai che quando amo lo faccio davvero, amo forte e senza riserve». La bionda si limitò ad annuire, quella volta, cercando di accennare un sorriso che somigliava più ad una smorfia che ad altro. Ricordava perfettamente quelle stesse parole, dette qualche secolo prima, anche se in quel momento sembrava passato solo qualche attimo. «Con te l'ho fatto...».
Con te ho amato davvero. Con te ho amato forte. Con te ho amato senza riserve.
L'angelo si passò una mano tra i capelli color dell'oro, guardando in alto e cercando di nuovo di fermare le lacrime, senza successo. Non riusciva a crederci. Aveva avuto davanti agli occhi l'amore di Remember e non se n'era mai accorta. Aveva avuto davanti tutto quell'amore e l'aveva ignorato come se non esistesse. Donando sé stessa a Liam. Lasciando scivolare la mora nel dolore. Dimostrando che per lei non valeva nulla, anche se non era vero.
«Non puoi fare niente», aggiunse il demone mentre la ragazza si ostinava a stringerle la mano, a intrecciarne le dita con le proprie.
Non aveva idea di cosa stesse pensando Cherubiel. Non ne aveva idea nemmeno Liam, se non quando la vide chiudere gli occhi e le sue labbra presero a muoversi quasi da sole, quasi senza che lei lo volesse. Le si spiegarono le ali, simili a batuffoli di cotone, anche se leggermente in disordine dalla battaglia appena finita e un po' macchiate di sangue che non sapeva se fosse suo o meno.
Iniziarono a splendere, quelle ali, mentre lei continuava a mormorare qualcosa e la mora cercava di fermarla, invano. Stava attirando l'attenzione di tutti e fregandosene nello stesso tempo. Lei l'aveva salvata. Non restava che ricambiare il favore, nell'unico modo che conosceva.
Skylar e Liam alzarono lo sguardo all'unisono, come anche tutti gli angeli e demoni lì presenti. Perché oltre alle ali di Cherubiel, anche il cielo risplendeva. Tutti tranne le due ragazze. La bionda continuava a mormorare e tenere gli occhi chiusi. La mora invece la guardava a basta, ignorando il dolore e le forze che le mancavano sempre di più. La guardava aspettando che riaprisse gli occhi, perché di quegli occhi aveva bisogno, erano il suo cielo.
Detto fatto.
Ma i suoi occhi non erano più blu. Erano indaco.
«Magari non riesco ad amarti quanto te, ma devi fidarti», le disse in un soffio, avvicinandosi talmente da essere quasi labbra contro labbra. Quelle labbra che sembravano dello stesso colore della gomma da masticare alla fragola. Quelle labbra che sapevano anche, di fragola. Quelle labbra che ormai erano a pochi millimetri da quelle di Remember, che alla ragazza erano mancate tanto, forse troppo.
Liam trattenne il fiato, quando la ragazza che amava da sempre posò delicatamente le labbra su quelle della ragazza ferita. Non riuscì nemmeno a distogliere lo sguardo, troppo curioso di vedere che effetto avrebbe potuto avere quel bacio. Erano solo labbra contro labbra, a respirare la stessa aria, a passarsi il dolore.
La bionda sentì una delle due gambe iniziare a farle male, a il castano vide una ferita iniziare a formarlesi sulla coscia. All'inizio solo un taglietto, poi sempre più profondo, ma non troppo, mai tanto da essere letale. Nello stesso momento a poco a poco la ferita sulla schiena della mora smise di sanguinare, iniziando a rimarginarsi. E con la ferita migliorata lei prese a respirare meglio; il suo cuore prese a battere di nuovo normalmente. Riprese un po' di colore, mentre l'altra impallidiva un secondo dopo l'altro.
«Non ti saresti dovuta mettere in mezzo, piccola».
«Saresti morta».
«Siamo tutti nati per morire», le sussurrò posandole un bacio sulla fronte, per poi allontanarsi e guardare Liam negli occhi. Il castano distolse lo sguardo, ferito. La amava come non aveva mai amato nessun altro, mai. Eppure lei stava rischiando la propria vita per un'altra; per un demone; per una persona che non avrebbe dovuto amare.
Ma per quanto ferito dentro, Liam si costrinse a spiegare le ali e prendere in braccio la bionda. Freddo, come non avesse più sentimenti. E non una parola, da parte di lei. Riuscì solo a nascondere il viso contro la spalla del castano, stringendo i denti per il dolore alla gamba e cercando solo di non pensare a Remember.
La mora scoppiò in lacrime non appena furono abbastanza lontani da non sentirla piangere. Si strinse a Skylar, per quanto glielo permetteva la ferita, che ancora faceva male. Ma mai abbastanza da simulare il dolore di aver appena perso lei. Si rese conto a malapena di essere sollevata da terra, o degli altri angeli tutto intorno al Nephilim ferito che Harry era riuscito a fermare. Si rese conto appena delle labbra dell'altro demone contro la fronte, o di qualsiasi altra cosa.
Perché quando riaprì gli occhi erano in una delle camere della palestra.
Lei sdraiata su un letto, lui in piedi davanti a lei.
E Skylar fissava un pezzetto di carta con uno strano sorriso sul volto.
Harry intanto avrebbe solo voluto uccidere. Uccidere il Nephilim che teneva fermo a terra, con un piede puntatogli sulla gola. Uccidere Louis che stava cercando in tutti i modi di fermarlo. Uccidere chiunque gli si fosse messo davanti, perché era probabile che Madeleine fosse morta. Uccidere Zayn per non averla salvata, anche.
«Perché siete volati via all'improvviso?». Ormai aveva perso il conto di quante volte gli aveva fatto quella domanda. Era come su un altro pianeta, sul quale importava solo sapere se Madeleine fosse viva o meno. «Ti ho fatto una domanda», aggiunse, premendo un po' di più sulla sua gola, tanto da farne uscire un suono strozzato.
Ma per quanto Harry potesse premere su quella gola, al Nephilim veniva solo da ridere. E lo fece. Rise sguaiatamente, con la voce resa ancora più roca dalla pressione prodotta dal piede dell'angelo. «Avete collaborato, angelici». La sua voce era come metallo che sfrega contro altro metallo. Non era proprio il suono più piacevole dell'universo.
Il riccio lo ignorò. «Che è successo?».
«Cosa ti fa pensare che io te lo dica, cherubino?».
Stava per farlo. Stava per premere tanto forte da ucciderlo. Stava per uccidere l'unica cosa che avrebbe potuto dirgli quel che serviva sapere a tutti loro. Stava per farlo, quando le braccia di Louis lo tirarono indietro, staccandolo dal Nephilim e tenendolo fermo. Non ci vedeva dalla rabbia, non fosse stato per la sagoma di Cassiel davanti a sé, con le lacrime agli occhi.
«È viva, Har».

***
 
La castana era seduta coi piedi a penzoloni nel vuoto, sul cornicione di un vecchio palazzo della periferia di San Francisco. Poteva vedere il famoso ponte di metallo rosso. Si vedeva ovunque fossi, da quasi qualsiasi punto della città. Ed era il tramonto, erano passati due giorni da quando era sopravvissuta ai Nephilim.
Zayn l’aveva trascinata sul primo autobus, direzione San Francisco. Aveva detto che era meglio che viaggiassero via terra, per quanto potesse essere scomodo per un angelo. I Nephilim avrebbe fatto più fatica a trovarli, mischiati nella folla. Quindi, meno Zayn volava meglio era.
Meno Madeleine si spostava da un posto all’altro, meglio era.
Prese un sospiro, prima di sollevarsi in piedi sul cornicione e mettere un piede dietro l’altro, fino in fondo al balcone, in modo da sedersi nell’angolo. In modo da rimanere sola il più possibile. Non aveva voglia di guardare Zayn negli occhi, e vedere il suo sorriso, per poi farsi venire alla mente gli occhi verdi di Harry.
Ma per quanto ci provasse, il demone era sempre dov’era lei. In quel caso, pochi metri più in alto, sul tetto. Seduto con le ginocchia al petto, a guardare il panorama. A guardare lei che si muoveva agilmente fino a rimettersi seduta.
La sentì canticchiare una vecchia melodia. Vecchia, a dir poco. Non credeva nemmeno che potesse ricordarla. Era una ninna nanna, del periodo in cui erano stati in India. E magari era solo il suo inconscio ad avergliela riproposta, o forse… c’era altra possibilità? L’unica era che si fosse ricordata.
In fondo però, al moro non importava.
Canticchiò anche lui, facendole alzare lo sguardo in alto. Facendola sorridere, leggermente sorpresa. Gli fece cenno di scendere, ennesima contraddizione. Voleva stare sola, ma allo stesso tempo sentiva il bisogno di avere Zayn. Di guardarlo, di sfiorarne la pelle. Era la peggiore delle dipendenze.
«Ehi…», mormorò lui atterrando con un saltello dietro di lei, sul balcone.
Le cinse i fianchi per assicurarsi che non cadesse, poi posò il mento sulla sua spalla, respirandole sul collo. Facendole venire i brividi. Facendole desiderare di amare solo lui, perché in quel momento era così, Harry non esisteva. Chiuse gli occhi, Madeleine, con un sorriso sul volto. Schiuse le labbra al passaggio di quelle del ragazzo nel punto il cui il collo si unisce con la spalla. Le scappò l’inizio di un gemito, quando sentì le mani di lui scivolarle sotto la maglietta, a contatto con la sua pancia, a solleticarle la pelle tutto intorno all’ombelico.
La schiena di lei era posata totalmente al petto di lui. Attaccati, senza nemmeno uno spiraglio per far passare l'aria tra l'uno e l'altro. Coi cuori che battevano all'unisono e il respiro leggermente affannato di Madeleine nelle orecchie di Zayn. Che ricordasse, nessuno l'aveva mai toccata così. Non in quella vita, né in nessuna delle vite che le erano tornate in mente. Non così, come se la conoscesse meglio di quanto non conoscesse sé stesso.
«Zayn...».
«Non puoi immaginare quanto io ti voglia...».
Le sue labbra le si posarono sul collo, appena sotto il lobo dell'orecchio, facendola sospirare. Più un ansimo che un sospiro. Quasi un gemito, mentre faceva ricadere la testa all'indietro, sulla spalla del demone. Lo sentì ridacchiare nel proprio orecchio, il che non fece altro se non spingerla a girarsi verso di lui e legare le gambe intorno al suo bacino.
Poteva immaginarlo eccome, quanto la volesse. Per il semplice motivo che lei lo voleva allo stesso identico modo. Forse di più. Lo voleva più di quanto avesse mai desiderato nessuno. «Sei bravo, sai?», gli sussurrò contro le labbra, intrecciando le dita tra i suoi capelli scuri, quasi neri. Lo fece ridere.
Ma la risata si interruppe all'improvviso quando sentirono il campanello prendere a suonare.
«È Harry», la avvertì, strofinando il naso contro il suo collo e facendola rabbrividire. Al sentire il nome dell'angelo però si irrigidì, posando entrambe le mani sul suo petto. Lo allontanò di poco per guardarlo in viso e mordendosi il labbro, mentre il campanello continuava a suonare. «Se non vuoi lo mando via», scherzò, facendola ridere.
Al contrario, scosse la testa sorridendo e gli lasciò un bacio sulle labbra, prima di lasciare che la prendesse per i fianchi e la tirasse su, trasportandola in silenzio lungo il balcone, solo per il gusto di sentirla ridere. Arrivarono alla porta che ancora rideva, e smise di farlo solo quando incrociò gli occhi di Harry.
Allora le si riempirono gli occhi di lacrime, nel tempo di un secondo.
«Harry...», mormorò, costringendo l'altro ragazzo a lasciarla scendere. Il moro la lasciò fare, per poi scomparire di nuovo verso il balcone. Non avrebbe retto, se li avesse visti baciarsi, abbracciarsi. Solo sentirli parlare gli avrebbe fatto male, più di quanto avrebbe potuto sopportare. «Mi sei mancato», fu tutto quello che le sentì dire, prima di andare a sedersi ancora sul tetto, sulle tegole rese calde dal sole che ci aveva battuto tutto il giorno.
«Pensavo fossi morta...», mormorò stringendola a sé e affondando il viso nel suo collo. Respirando il profumo di quella pelle che le era mancata così tanto. La sentì singhiozzare, mentre la stringeva. E continuò a stringerla, senza curarsi di stringere troppo. Bastava sentirla; e la sentì, tanto da lasciarsi scappare una lacrima. «Se Zayn non avesse mantenuto...».
«Te l'ha promesso?», chiese lei, più che sorpresa.
«Ti avrebbe salvata comunque», ammise lui, sorprendendo anche sé stesso e lasciandole un bacio su una tempia. Poi prese un respiro profondo. E «Per questo devi rimanere con lui», aggiunse con un sorriso amaro. Sarebbe stato meglio per tutti, soprattutto per lei. Lui ci sarebbe stato male, vero; ma era importante che lei fosse al sicuro, che lei fosse felice, che lei non rischiasse la vita per qualcosa che nemmeno ricordava.
Madeleine ci mise qualche istante a capire davvero le sue parole. Ci mise un po' a capire cosa volesse dire. Ci mise parecchio per assimilare. Per capire cosa le stava chiedendo. Perché era assurdo, al cento per cento. Rimanere con lui? Stava scherzando? Lo allontanò con una smorfia, e gli occhi ancora gonfi e rossi dalle lacrime.
«Mi prendi in giro?». Abbozzò una risata, probabilmente isterica. «Non mi puoi lasciare qui con lui, io ho bisogno anche di te», ammise, alzando sensibilmente la voce, per quanto non lo volesse. «Non puoi dire davvero», continuò guardandolo negli occhi. Verdi, ma più scuri del solito; seri come mai li aveva visti.
«Piccola...».
Si allontanò da lui mentre Zayn tornava quasi di corsa dal terrazzo, sentendola piangere; appena in tempo per vedere il riccio passarsi una mano tra i capelli e sospirare, chiudere gli occhi e riaprirli, asciutti, senza nemmeno l'ombra di una lacrima.
«Voglio che stia con te, Zayn, e che tu la aiuti a ricordare...».
«E quello che voglio io?», sbottò la ragazza dandogli addosso e riempiendogli il petto di pugni. Si aspettava che lui la fermasse, che la abbracciasse e che le dicesse che sarebbe andato tutto bene. E Zayn si aspettava la stessa identica cosa. Quel che nessuno dei due si aspettava era che l'angelo la prendesse per i polsi e la costringesse a guardarlo.
Quel che nessuno si aspettava era la smorfia di dolore sul viso della ragazza.
Quel che nessuno si aspettava erano le parole di Harry.
«Quel che vuoi tu? Pensi davvero che mi importi qualcosa?». Colpo al cuore, forte, quasi abbastanza forte da farlo fermare, quel povero cuore. «Pensi di importare qualcosa?». Harry rise amaramente, lasciandola andare di scatto, tanto che le mani presero a formicolarle per il flusso del sangue che finalmente tornava in circolo. «Sei solo una puttana, proprio come Akielah».
Zayn la prese al volo prima che accasciandosi su sé stessa potesse toccare terra.
«Vattene Harold, hai fatto abbastanza danni», gli disse. Arrabbiato e rabbioso. Inginocchiato sul pavimento accanto a lei, tenendola stretta perché non crollasse, perché non perdesse il contatto col mondo. «Vattene, cazzo!», gli urlò contro, sentendo la castana tremare sempre più forte tra le sue braccia.
Si alzò da terra - tirando su anche Madeleine - solo quando sentì la porta sbattere e i passi dell'angelo toccare l'ultimo gradino del palazzo, parecchi piani più in basso. Lei singhiozzava e tremava ancora, senza riuscire a smettere.
«Sono una puttana...».
«No che non lo sei, principessa», le mormorò a pochi centimetri dall'orecchio una volta depositata sul letto e scostatale una ciocca di capelli scuri dal viso. Non lo era. Harry aveva esagerato. Forse nemmeno le pensava, quelle cose. «Non lo sei, shhh», aggiunse dopo qualche secondo prendendo ad accarezzarle la schiena.
«Te ne vai anche tu?».
«Io rimango, qualsiasi cosa accada».
«Sempre?».
«Sempre».
Glielo promise sdraiandosi al suo fianco e lasciandole un bacio sulla spalla. Sempre era una promessa. E per quanto non credesse nelle promesse, per quanto non credesse alla parola "sempre" o per quanto fosse un demone... avrebbe mantenuto la promessa.



 
 

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Capitolo 20
*** 20. Only the beginning. ***


*allora... non so come, ma sono di nuovo qui.
non vi dico più di tanto, se non di leggere in fondo.
ci saranno i ringraziamenti, gli avvisi e le note.
non mi uccidete prima di aver letto tutto, please.
intanto un abbraccio,
- emotjon.*



20. Only the beginning.
 
 

Cade
la piuma
ritmica attesa del disastro
a inabissarsi
nelle spume originarie
donde già s’innalzò il suo delirio sino a una vetta colpita
dalla neutralità identica dell’abisso.
- S. Mallarmè.
 


Aveva insistito talmente tanto che alla fine il demone dai capelli scuri e gli occhi cioccolato aveva acconsentito. Era buio, e l’unica luce proveniva dalle stelle, dalla luna, e dalla piuma candida che teneva delicatamente tra le dita. Le lacrime le si erano ormai seccate sulle guance, ed erano finite. Non ne aveva più. Era probabile che i suoi occhi non ne avrebbero più prodotte; in fondo, era proprio quello che sperava.
C’è una poesia di Mallarmè che dice che una piuma che cade sia la ritmica attesa del disastro. Questa piuma poi si inabissa nel mare. In quel momento, dalla cima di una delle colonne del ponte di San Francisco, sembrava che la castana volesse prenderlo alla lettera. Lasciò che Zayn intrecciasse le dita con quelle della sua mano libera, per poi lasciar cadere la piuma.
Videro il leggero biancore spegnersi a mano a mano che quella cadeva. Pesante. In linea retta, come se il vento non potesse scalfirla. Bianco contro nero, sino a sprofondare nelle acque tumultuose del mare parecchi metri sotto di loro. Nelle spume originarie dove si era già innalzato il suo delirio, come avrebbe detto il vecchio poeta francese.
Silenzio disturbato solo dal fischiare del vento. Silenzio rotto solo dal frusciare dei vestiti contro la pelle, dai respiri che uscivano lenti a mischiarsi con l’aria della sera. Silenzio distrutto dallo schiocco di un bacio contro il collo della ragazza.
Non c’era nulla da dire. Niente che servisse. Avrebbe detto tutto il vento, o la spuma del mare che si infrangeva contro i piloni del ponte, o quella piuma che non avrebbero mai più rivisto – se essa avesse potuto parlare.
Nulla da dire, se non un “ti amo” appena sussurrato, forse portato dal vento stesso.
Al proprietario di quella piuma per un momento era parso come di affogare. Gli era sembrato davvero come se stesse annegando, e non come se fosse solo una parte di lui a farlo. Si sentì mancare l’aria, costretto a chiudere gli occhi per il dolore al petto. E una lacrima gli era scivolata indisturbata lungo la guancia, mentre la sua migliore amica gli stringeva una mano cercando di dargli la forza.
Madeleine doveva aver gettato la sua piuma. Era l’unica cosa di lui che le rimaneva, e l’aveva gettata in mare. Era l’unica cosa che gli avrebbe permesso tra i suoi pensieri ancora molto a lungo, e ora non c’era più. Forse aveva esagerato, e ci stava male da morirne, ad averla vista in quello stato.
Le aveva fatto male in tutti i modi possibili.
Altro respiro rotto dal dolore, seguito da un singhiozzo.
Poi il respiro gli era tornato regolare, insieme con la consapevolezza di averla persa. Insieme con la consapevolezza di aver fatto di tutto per perderla, quasi fosse vero che per lui non contasse nulla.
Altri respiri, non spezzati. Respiri che viaggiano all’unisono.
Due demoni, finalmente vicini; tanto vicini da far ridere lui e far ansimare lei, nello stesso istante. I capelli biondi di uno a solleticare il collo candido dell’altra, mentre la teneva ferma contro la parete di un’anonima camera da letto. E la toccava come mai aveva osato toccarla. E la amava come mai l’aveva amata, per la prima volta in vita sua senza il pensiero di Lynn a disturbare quello che voleva davvero.
Ci aveva messo un po’ a capirlo, ma Soraya era la persona che avesse desiderato di più, da sempre. Forse il pensiero di perderla nella battaglia di qualche ora prima gli aveva dato la spinta giusta. Fatto sta che Storm non riusciva a staccare le labbra da quelle zuccherine di lei, che a loro volta l’avevano desiderato tanto, forse troppo.
Demoni innamorati. Demoni che si desiderano. E no, la lussuria non vale solo per loro; essi non sono gli unici a sapere che cosa sia. Per quanto si possa pensare agli angeli come gli esseri più puri che esistano, la lussuria vale per tutti, anche per loro.
In fondo, tra lussuria e amore la linea è piuttosto sottile.
E quella notte le dita di un angelo dai capelli biondi e gli occhi azzurri non sembravano voler smettere di sfiorare la schiena nuda dell’angelo con cui avrebbe fatto l’amore ogni notte, fin quasi a non poterne più. La vide sorridere, con la guancia premuta contro il cuscino e i lunghi capelli castani sparpagliati su di esso.
Si chinò su di lei per lasciarle una scia di baci su una delle due cicatrici lasciata dalle ali. Appena visibile da occhi umani, ma luminescente e come brillante di luce propria, per un altro angelo, o per chiunque sapesse della sua esistenza. Eveline ridacchiò, al solletico provocato dalle labbra di Niall sulla schiena, con le ali che premevano per uscire, mentre quelle di lui erano già libere e brillanti, ampie abbastanza da piegarsi in avanti e sfiorarle i capelli sul cuscino.
Un altro “ti amo” appena mormorato, era tutto quel che serviva.
Più ci pensava, più Cherubiel era arrivata alla conclusione di non aver mai fumato erba del diavolo in vita sua. E più guardava quella sigaretta posata sul tavolino davanti a sé più le veniva voglia di provare. Si diceva che aiutasse a dimenticare, che facesse evaporare i pensieri per qualche ora, che ti facesse sentire leggera e libera e un altro milione o più di cliché.
Di certo non si aspettava che Skylar fosse ancora nei paraggi. Come non si aspettava di vederlo sedersi sul divano accanto a lei e passarle un accendino. Con la coda dell’occhio lo vide accendere la propria sigaretta e inspirare il fumo, prima di tenerlo qualche secondo nei polmoni ed espirare in una nuvoletta di fumo bianco, denso.
«Fa passare anche il dolore, Cher…», le sussurrò chiudendo gli occhi e posando la testa contro lo schienale del divano.
E se voleva essere un incoraggiamento, funzionò. Tanto da spingerla a prendere quella sigaretta che stava fissando da minuti interi e accenderla. Tanto da prendere un tiro e posare la testa sulla spalla del demone, cacciando indietro le lacrime e il senso di colpa. Tanto da continuare a fumare fino a non sentire più il dolore alla gamba, o il dolore più forte che sentiva al centro del petto per aver perso Remember, e forse anche Liam.
Continuò a fumare, ignara che proprio Liam li stesse guardando dalla cima della scalinata. Fregandosene di tutto, per una volta. Perché tutto quel che voleva era smettere di pensare, e Skylar sembrava l’unico in grado di aiutarla a farlo.
«Grazie», fu tutto quel che riuscì a sussurrare, sentendo il demone al suo fianco stringerle una mano. Quel piccolo e timido “grazie” era tutto quel che serviva, in quel momento.
E mentre il sussurro della bionda arrivava alle orecchie del demone dalla pelle scura, mentre il castano si sedeva in cima alla scalinata e si passava esausto le mani tra i capelli, un demone dai capelli castani – forse resi rossicci dalla luce delle lampade al neon – passava l’indice sul bordo di un bicchiere di vetro colmo di un liquido scuro, forse vino rosso.
La mora al suo fianco aveva il busto fasciato e si rigirava un bicchiere tra le dita, indecisa se bere anche quello o meno. Indecisa se tentare di dimenticare tutto con l’alcool o se tornare a casa e mettersi a dormire ignorando le lacrime. Indecisa se smettere di pensare o meno, perché per quanto potesse far male aveva sempre avuto bisogno del pensiero dell’angelo biondo per andare avanti.
Stava per portare l’ennesimo bicchiere alle labbra, quando il ragazzo seduto sullo sgabello al suo fianco la fermò, obbligandola a far tintinnare il bicchiere col suo. Vetro contro vetro, come se effettivamente avessero qualcosa o qualcuno a cui dedicare quel brindisi. «Ad Akielah, per averci messo tutti in questa situazione di merda», mormorò Louis, alzando il bicchiere e facendolo scontrare contro quello della ragazza, lasciandone zampillare fuori qualche goccia.
«A Madeleine, per essere sopravvissuta», ribattè Remember, facendo ridere l’altro demone. Non sapeva se stesse ridendo per il vino o per altro. Magari rideva per non piangere, proprio come stava facendo lei. Magari le lacrime all’angolo dell’occhio erano lacrime vere, e semplicemente gli mancava Cassiel. «A te, Louis… per essere rimasto con la ragazza dal cuore distrutto».
Non disse nient’altro, prima di portare il bicchiere alle labbra e bere tutto d’un fiato.
Fuori città si vedevano solo le stelle. Era buio, tanto da non distinguere l’iride di qualcuno dalla pupilla. Tanto da far fatica a vedere ad un palmo dal naso, non ci fosse stata la luna, non ci fossero state le stelle. Tanto da confondere la mano della ragazza dalle ali nere con quella del ragazzo dalle ali bianche, le dita intrecciate come a suggellare una promessa che nessuno avrebbe pronunciato e che nessuno avrebbe potuto sentire.
Kismet spiegò le ali con un sospiro, nere quanto la notte. Forse ancora più nere.
Celestine tenne le ali al proprio posto, cambiando la presa sulla mano della ragazza al suo fianco, in quel prato, su quel promontorio che nessun’altro a parte loro avrebbe potuto vedere, quella sera. La tirò a sé, vedendola poi sorridere e riportare le ali al proprio posto. Belle quanto ingombranti, in certi casi.
E non si dissero una parola. Si limitarono a guardare le stesse stelle e lo stesso cielo, immaginando di essere dalla stessa parte. Rimpiangendo le scelte che li avevano portati ad essere dov’erano in quel momento. Rimpiangendo tutto. Tutto tranne l’amore che li univa; quell’amore che era riuscito ad andare oltre al loro essere così diversi, opposti.
Quella sera era così. Poche parole, parecchi pensieri.
C’era chi pensava a come sarebbe potuta andare a finire, chi non riusciva a smettere di baciare, o di sussurrare parole degne della migliore poesia francese. C’era chi aveva appena perso l’unica persona che avesse mai amato, chi quella persona ce l’aveva tra le braccia e chi l’aveva appena rivendicata come propria.
C’era chi perdeva, chi trovava.
Chi amava.
Chi pensava al passato e chi al futuro.
C’era chi non pensava affatto.
L’importante era che loro ci fossero. Non importava come.
Perché quello era solo l’inizio.



 


Forse me la cavo a scrivere, a lavorare di fantasia, a immaginare cose che non esistono e non esisteranno mai. Forse potrò essere brava a descrivere il colore delle iridi di qualcuno, o il profumo particolare che emana la pelle di qualcun altro. Forse e ripeto forse, non sono male nel descrivere due persone che si baciano, che si scoprono, che fanno l'amore... e chi più ne ha più ne metta.
Di sicuro però, non sono brava coi ringraziamenti.
Proprio non sono capace, per quanto io sia solita dire grazie tre volte ogni due parole.
Ho deciso che ci voglio provare lo stesso, un po' perché provare non costa nulla, e un po' perché ci tenevi davvero tanto a ringraziare, anche se magari in modo tanto prolisso e un po' inutile, dallo schermo di un pc.
Non vi dirò che questo fa parte del capitolo, perché non è vero.
Ma già che siete qui, vi chiedo solo di leggere un'altra manciata di parole, fazzoletti alla mano. 

Cominciamo coi grazie più semplici da dire, quelli che escono dalle labbra quasi da soli, come un fiume in piena.
Grazie a chi ha letto questi venti capitoli.
A chi all'inizio non capiva un'accidente.
A chi ha recensito il primo capitolo e poi se l'è data a gambe.
A chi ha continuato col secondo, e il terzo e così via perché era curiosa di sapere.
A chi non si è arreso alla confusione e ha lottato per la verità.
A chi si è rivista in Madeleine, per quanto strana possa essere quella povera ragazza.
A chi ha riso, pianto, trattenuto il fiato.
A chi voleva baciare Harry in spiaggia, e chi voleva saltare addosso a Zayn in ascensore.
A chi ha amato uno, e a chi ha amato l'altro.
A chi li ha amati entrambi, perché proprio come Madeleine non è riuscita a scegliere.
A chi voleva maledirmi quando si è accorta di quanti personaggi ci fossero.
A chi ha shippato Cassiel e Louis, Kismet e Celestine. Perché per quanto opposti e diversi e non destinati a stare insieme magari a voi sono piaciuti dal primo istante. Da quando Louis cinge le spalle di Cas, o da quando Kis compare mezza nuda con addosso la camicia di Cel.
chi ha adorato Storm e Soraya, non solo per i prestavolto.
A chi non ha abbandonato la storia per la presenza di Remember e Cherubiel. Perché l'amore va oltre il sesso di chi ama, e perché io sono più Remember di quanto possiate immaginare. Quindi non potete capire quanto valga il commento di qualcuno che ama quelle due ragazze.
A chi ha amato Eveline e Niall, per quanto poco si siano visti.
A
chi ha immaginato di essere una delle ragazze, solo per ricevere un bacio da uno dei ragazzi.
A chi... Dio, sto perdendo il filo. E sto piangendo come una fontana.
A chi avrebbe voluto volare tra le braccia di Skylar ad un passo dalla fine di tutto.
A voi tutte, grazie. Dal profondo del cuore.
A chi ha continuato a seguire la storia restando senza fiato un capitolo dopo l'altro, pensando che valesse la pena continuare a seguire le avventure della povera sciagurata, dei due spasimanti, e della scrittrice sclerotica.
A chi ha trovato il tempo per recensire quando avrebbe dovuto studiare.
A chi ha perso tempo a leggere, recensire, commentare, sclerare, urlare...
A chi ha messo le storia tra le seguite/ricordate e preferite, perché quando ho iniziato a scrivere di certo non mi aspettavo che potesse essere così tante, come non mi aspettavo che una storia del genere potesse piacere.
Grazie a chi ha aiutato la mia poca autostima a raggiungere livelli accettabili.
Grazie a Lauren Kate per aver scritto la saga di Fallen e aver ispirato in parte Higher.
Grazie alla religione islamica, per avere un certo Malik come "angelo della morte e della distruzione", perché a dire il vero tutto nasce da lì e dalle mie ricerche senza senso alle tre di notte su siti che normalmente non si calcolerebbe nessuno.
Grazie. Lo ripeterei fino a non avere fiato.
Ma non è finita, e so di star scrivendo un poema. Il bello è che non mi interessa, perché ora arrivano i ringraziamenti difficili, quelli dai quali non uscirò senza lacrime e mascara sbavato e probabilmente anche singhiozzi.
Grazie ad Anna Chiara e Marta, per avermi costretta a pubblicare il prologo di Higher e a vedere come sarebbe andata. Grazie per aver letto in anteprima, per aver insistito tanto da farmi cedere e anche per avermi minacciata. Meno male che vi ho ascoltate, va. Vi voglio bene, tanto.
Grazie alle ragazze del gruppo su Facebook e a quelle del gruppo whatsapp, che non sto a fare i nomi una ad una perché se no finisco domani. Però grazie, vi voglio bene una per una, anche se vi conosco a malapena. Grazie, perché se non ci fosse state voi non sarei andata avanti.
Grazie ad Aurora, Blue, Milla, Mimì, Mary, Elena e Elena, Giorgia, Annarita, Federica, Valentina, Francesca, Sofia, e sicuramente sto dimenticando qualcuno.
Grazie ad Helena. Grazie per avermi ispirata per quello che verrà. Grazie per aver insultato Zayn fino allo sfinimento e fino alle lacrime, perché per quanto possa sembrare assurdo, dopo i tuoi insulti all'immigrato vengono in mente dialoghi indimenticabili che devono necessariamente essere trascritti su carta. Grazie per il tuo amore per lui che supera anche quello che provo io. Grazie per avermi fatto pensare "cosa farebbe Hel se non volare a Londra e prenderlo a sprangate?" quando mi svegliavo alle tre di notte piangendo e pensando a lui. E grazie per un'altra infinità di cose che se le elenco tutte finiamo domani. Grazie tesoro, ti voglio un bene infinito.
Grazie al mio migliore amico, che mi ha tenuta sveglia al telefono fino a notte fonda per finire certi capitoli. Grazie per avermi aiutata con la trama, un pizzico con le descrizioni e soprattutto grazie per avermi aiutata coi prestavolto. Grazie per non aver mollato, perché in caso contrario l'avrei fatto anche io.
Grazie alla mia ex ragazza, per aver sopportato gli scleri quando stavano insieme e per aver creato senza nemmeno saperlo i personaggi di Cherubiel e Remember. Non sto a dire altro, tanto nemmeno lo leggerai.
Grazie a... Zayn.
Grazie ad Harry.
Grazie a Madeleine, per essersi fatta plasmare sotto l'attacco dei miei neuroni impazzito senza fiatare e senza la minima protesta. Grazie per avermi fatta piangere, ridere, imbarazzare e desiderare di essere te. 

Bene, penso di aver finito. Se ho dimenticato qualcuno a cui l'avevo promesso chiedo venia.
E ora, la notizia bomba.
Come avrete potuto notare, la storia ora come ora è incompleta. Mancano pezzo del puzzle, Madeleine deve ancora scegliere, Harry è un coglione patentato e Zayn è diventato il cioccolatino più dolce dell'universo conosciuto.
Quindi, dato questo insieme di cose...
Vi annuncio che ci sarà un seguito!!
Un seguito che si intitolerà "Deeper", che sarà anch'esso di 20 capitoli e che penso inizierò a pubblicare dopo essere tornata dalle quasi tre settimane in Calabria. In sostanza scrivo qualche capitolo, riprendo una delle storie sospese e ci rivediamo a fine agosto, massimo inizio settembre.
Vi voglio bene piccolette.
A presto, un abbraccio immenso... 

- emotjon.



 


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