Have you ever wanted someone so much it hurts?

di Ale HP
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Running for you (Day 1 - Cliché) ***
Capitolo 2: *** Of firsts and seconds (Day 2: Paris) ***
Capitolo 3: *** I (He)art you. ***
Capitolo 4: *** Getting back to you (Day 4 - Lezioni Noiose) ***
Capitolo 5: *** Cooked like a cake (Day 5 - Cucina) ***
Capitolo 6: *** The perfect present. ***



Capitolo 1
*** Running for you (Day 1 - Cliché) ***


Have you ever wanted someone so much it hurts?

Running for you.
Se c'era una cosa che Thad Harwood odiava della Dalton era l'enorme quantità di ragazzi che bloccavano i corridoi.

Tutti fermi vicino le aule a chiacchierare, a sparlare di chi aveva baciato chi sabato sera in discoteca, a entusiasmarsi per la nuova canzone di Katie Perry, sempre pronti a guardarti storto se correvi col fiatone su e giù per il corridoio, magari con una pila di libri in mano.

E se c'era un'altra cosa che Thad odiava con tutto se stesso era la matematica. Semplicemente, non la capiva, non capiva a cosa gli servisse complicarsi l'esistenza con x e y quando l'unica cosa che voleva dalla vita era cantare. Ma comunque doveva andare avanti in qualche modo lì dentro, in quel covo di matti; per quello era diventato il facchino personale del professor Hacht e si ritrovava a correre per quei corridoi con miliardi di libri in mano e caffè bollenti che non potevano assolutamente arrivare nemmeno tiepidi.

E fu in uno di quei fatidici momenti che accadde tutto, in quel nanosecondo che cambiò per sempre la sua miserabile vita.

Come in uno di quei fantastici film romantici che avrebbe potuto guardare a ripetizione infinita, mentre sfrecciava giu per le scale con due libri sotto un braccio, un cornetto caldo sotto l'altro e un caffè fumante in mano, un ragazzo intento a usare il telefono si scaraventò completamente su di lui. Perché sì, ovviamente non poteva mai essere colpa sua che aveva chiaramente la testa altrove, era unicamente per via di quel ragazzo con la faccia piantata nel telefono.

Fatto sta, che si ritrovò con un caffè bollente in faccia e un ragazzo caduto a peso morto su di lui.

« Scusami » borbottò, con fare impacciato. « Ti potresti alzare? »

Il ragazzo lo guardò intontito, per poi ricomporsi in meno di un secondo e trovarsi di nuovo in piedi. « Mi dispiace » provò a dire quello.

Thad gli aveva sorriso, mentre recuperava i libri da terra. « Non c'è problema ».

Si ritrovò subito a pensare che quel ragazzo che si ritrovava di fronte rasentava davvero il suo standard di perfezione. Aveva i capelli tendenti tra il castano e il biondo, quel colore pieno di luminosità che lui trovava bellissimo; li portava leggermente rialzati, lasciando vedere perfettamente tutto il suo volto e i suoi occhi.

Due bellissimi occhi verdi, tra l’altro.

Era alto, sicuramente più di lui – non che ci volesse molto, poi – e forse era la persona a cui la divisa della Dalton stava meglio. Gli calzava a pennello, non come a lui che se non accorciava i pantaloni di qualche centimetro erano davvero improponibili.

« Che stai fissando? » chiese il ragazzo, facendolo tornare alla realtà. Quella imbarazzante e bagnata realtà.

« Niente » sviò lui, abbassando lo sguardo su di sé e sulla sua camicia ormai diventata marrone a causa del caffè.

Era abbastanza sicuro di essersi ustionato tutto il petto, ma il problema maggiore era sicuramente cosa gli avrebbe combinato dopo il professore Hatch.

« Stai bene? » chiese, una volta notato che tutta la sua pelle visibile era completamente rossa. « Ti sei scottato parecchio ».

Thad si limitò a scrollare le spalle: imbranato come era, non era la prima volta che gli succedeva, era soltanto la volta più imbarazzante, questo era certo.

« Dovresti andare in infermeria, sai » aggiunse, probabilmente cercando di essere il più distaccato possibile, senza in realtà riuscirci.

« Ti ci posso accompagnare, se vuoi. Giusto per evitare che finisca su altri poveri ragazzi col cellulare in mano ».

Thad scosse la testa, deciso. Era chiaro come il sole che quel ragazzo ci stesse provando con lui e, per quanto lo lusingasse, non poteva permettersi di perdere tempo. E poi aveva paura.

Sembrava una di quelle ragazzine che vanno in discoteca con l’intento di rimorchiare e poi appena un ragazzo le si avvicinava scappavano via impaurite. E lui, alla fin fine, si comportava sempre da ragazzina.

Così, nell’alto della sua paura, fece l’unica cosa sensata che gli venne in mente: scappare.
 

 
Se c’era una cosa che Sebastian odiava era correre – specialmente se si trattava di farlo in mezzo alla calca.

Eppure, quando aveva visto il ragazzo del caffè del giorno prima passargli di fianco, la prima cosa che pensò di fare fu corrergli dietro. E non era di certo una cosa che faceva tutto i giorni.

« Ehi! » continuava ad urlare, cercando di richiamare l’attenzione del ragazzo.

Ma Thad avrebbe continuato con orgoglio la sua parte da ragazzina impaurita, questo era certo.

Riuscì a fermarlo solo quando lo raggiunse e lo prese per un braccio. Non sapeva perché lo stesse facendo, non sapeva cosa ci fosse di speciale in quel ragazzo che lo attraeva così tanto, non sapeva perché stava andando in contro ad un ragazzo evidentemente l’opposto di quello che era lui. Eppure lo affascinava incredibilmente, con quei capelli scompigliati, gli occhi dolci di chi legge troppi libri romantici o ascolta troppe canzoni melense e quei pantaloni con la piega fatta male.

« Ehi » disse, sorridendo. « Sono Sebastian ».

« Thad ».

« Ti va di fare un giro? Sono nuovo, potresti farmi esplorare il mondo ».

Thad rise, con semplicità, facendo trovare a Sebastian il motivo per il quale avesse corso per qualcuno. « Okay ».

E se c’era un’altra cosa che Sebastian odiava a quel mondo erano le persone che parlavano a monosillabi; ma per quella volta avrebbe fatto un’eccezione.
 





Note:
Non ho la minima idea del perché lo stia facendo, per lo più perché mi andava e perché non scrivevo da tempo, ma non ho la più pallida idea di dove andrò a parare. Nel senso: il resto della week è in via di elaborazione, nel mio cervello, ben nascosta anche a me. Ma qual è il problema?! 

Il titolo della week è semplicemente perché è la frase della mia canzone preferita, che mi ha fatto partorire 'sto scempio qui, ed è We Owned the Night, però la versione dei Fun. perché quella originale è... no niente, continuamo xD

Be', ci si rivede domani con il Day 2 e Parigi!

Mio dio, ho già l'ansia, non ho mai pubblicato così tanto.
 

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Capitolo 2
*** Of firsts and seconds (Day 2: Paris) ***


Of firsts and seconds

La prima volta che Thad aveva incontrato Sebastian era stato nei dormitori della Dalton, mentre vagava mezzo addormentato alla ricerca di una bottiglia d’acqua, visto che Nick era stato capace di finirle tutte e lui aveva una sete assurda.

Sebastian era seduto su una poltrona, intento a leggere nonostante avesse un’aria evidentemente assonnata. Doveva avere tra le mani uno di quei libri che ti catturano completamente, pensò subito Thad, non poteva essere altrimenti. Gli si avvicinò quel tanto che poteva, per cercare di leggere qualcosa, ma era praticamente impossibile per un mezzo sonnambulo come Thad.

« Che leggi? » gli chiese quindi, facendo saltare Sebastian dallo spavento. Di certo l’ultima cosa che si aspettava alle due di notte era qualcuno che gli arrivasse alle spalle per chiedergli cosa stesse leggendo.

« Ehm, scusa » aggiunse poi, ridendo. Il salto di Sebastian gli era sembrato la cosa più buffa al mondo e non aveva potuto fare a meno di trovarlo adorabile.

Sebastian si girò verso di lui, e Thad si ritrovò a sorridere come un ebete davanti a quel ragazzo che sfoggiava il suo fantastico pigiama bianco con la torre Eiffel e con tanto di scritta “I love Paris”, in un rosso così acceso da accecare chiunque lo guardasse.

« Victor Hugo » gli rispose, « Les Miserables ».

« Oh, lettura impegnativa ».

Sebastian scrollò le spalle. « Non per me ».

Thad si sedette al suo fianco, strappandogli il libro di mano. « Ho solo visto il musical, io. Com’è? »

« Sei fastidioso, lo sai? » gli chiese Sebastian, cercando inutilmente di riprendersi il suo libro.

« Non puoi rispondere ad una domanda con un’altra domanda ».

« Era retorica, la mia » replicò quello, infastidito.

Thad rise, mentre continuava a sfogliare il libro. « Non mi hai risposto ».

« È bello, tralasciando gli inutili mille capitoli sul Prete dal nome impronunciabile » disse infine quello.

Quella fu anche la prima volta che Thad e Sebastian restarono svegli a parlare per tutta la notte, riempiendosi di frecciatine, odio gratuito e vari spintoni, finché Sebastian non buttò definitivamente giù Thad ed andò a dormire.
 

 
La prima volta che si baciarono fu nelle vacanza di Natale, quando Sebastian portò tutti i Warblers nella casa di suo padre a Parigi – perché ovviamente uno ricco come lui non poteva non avere una casa in qualche città europea. Fino a quel momento avevano vissuto un rapporto di amore-odio, uno di quelli pieni di scherzi, battutacce, ma anche bei momenti, come quando Thad – mezzo addormentato come sempre – era caduto giù per le scale della Dalton e Sebastian era corso ad aiutarlo – che poi l’aveva preso in giro fino alla fine dei suoi giorni, però, era un’altra questione.

In ogni caso, accadde nel meno romantico dei modi. Stavano litigando, totalmente ubriachi, e a un certo punto, senza nemmeno sapere come, Thad decise che lo voleva baciare e l’aveva semplicemente fatto.

 

La prima volta che si baciarono in modo romantico, invece, fu sotto la torre Eiffel – proprio la stessa che Sebastian aveva sul suo pigiama. Era l’ultimo giorno prima di ripartire, e dopo due settimane di pura sbronza, avevano deciso che sarebbero dovuti andare per lo meno a vedere la torre Eiffel. Così, mentre Thad era intento a fare fotografie su fotografie, uno stufo Sebastian l’aveva preso per un braccio, gli aveva accarezzato una guancia e poi l’aveva baciato dolcemente. Era stato l’esatto contrario del loro primo bacio. Non era bagnato come quello, non puzzava d’alcool, non era veloce o sfuggito. Era caldo, dolce, una di quelle cose belle che erano in grado di fare Thad e Sebastian.

« Voglio una foto anche di questo » sussurrò Thad nell’orecchio di Sebastian.

« Biondo! » urlò allora Sebastian.  « Vieni a renderti utile ».

 

La loro prima volta fu appena furono tornati da Parigi. In realtà, con tutte le sbronze che si erano presi era anche probabile che l’avessero già fatto ma non lo ricordassero nemmeno; ma in ogni caso, la loro prima volta che ricordarono accadde il momento stesso in cui arrivarono alla Dalton dopo le vacanze.

Dopo essere tornati ognuno a casa propria, non si erano visti per due giorni che erano sembrati infiniti, e quando la Dalton aveva riaperto e loro si erano trovati faccia a faccia, avevano mandato a quel paese i rispettivi compagni di stanza e si erano buttati sul primo letto che avevano trovato.

Fu perfettamente nel loro stile. Fu dolce, ma nemmeno troppo; fu pieno di sospiri, ma anche di sussurri innamorati; fu pieno di urli soffocati, ma anche pieno di carezze, di baci, pieno di abbracci sfuggiti e gambe intrecciate le une nelle altre.
 
 

La prima volta che si dissero quelle magiche parole, quel “ti” e quel “amo”, fu mentre guardavano “Midnight in Paris”. Sebastian e Thad condividevano la stessa stanza da ormai secoli, ad entrambi sembrava stupido dividere la stanza uno con Nick e l’altro con Jeff. Era semplicemente uno spreco di tempo.

Fu mentre Gil raccontava alla ragazza dell’antiquariato quanto fosse bella Parigi, e quanto fossero belli gli anni venti. Fu mentre i titoli di coda scorrevano e Thad se ne stava disteso fra le braccia di Sebastian. Fu mentre quest’ultimo gli accarezzava dolcemente i capelli.

A Thad uscì spontaneo, non ci pensò nemmeno. « Ti amo ».

E Sebastian ci mise nemmeno un nano secondo per dire il suo « Ti amo anch’io ».
 

 
La prima volta che Thad e Sebastian fecero un viaggio per conto loro, a diciannove anni, venne spontaneo dire “Andiamo a Parigi”.

Decisero che la città in cui tutto era nato avrebbe costruito un nuovo futuro per loro. Partirono all’avventura, con trecento dollari a testa in tasca, qualche vestito casuale e i cellulari. Stettero in un piccolo albergo a tre stelle, mangiavano solo panini, niente cose chic alle quali Sebastian era abituato. Quando i soldi iniziarono a scarseggiare e la voglia di tornare a casa non c’era, si misero a cantare per strada.

Vissero di prime volte, per un po’ di tempo, senza pensare al futuro.

Litigarono seriamente per la prima volta – non si parlarono per tre giorni! – andarono fuori da Parigi per la prima volta, salirono sulla torre Eiffel per la prima volta, rubarono un croissant per la prima – e unica, si sente di precisare Thad – volta. Fecero persino una lista di tutte le cose che avevano fatto, come anche baciarsi in mezzo al traffico per smuovere un po’ di rivolte, per puro divertimento.

Ci fu solo una cosa che fecero per la seconda volta, una cosa che non potevano dimenticare affatto: il bacio sotto la torre Eiffel.





Note:
Eccoci con il Day 2, Paris!  Non ho idea di cosa dire, semplicemente, penso che questa sia la storia che mi è uscita più facilmente tra tutte, e spero vi piaccia <3
Ale  

 

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Capitolo 3
*** I (He)art you. ***


I (he)art you.

New York alle prime luci dell'alba era una delle cose più belle al mondo. C'era quella luce rosata che invadeva tutto, che faceva risplendere i vetri dei grattacieli, che faceva incantare Sebastian fino al punto da restarsene fermo in mezzo la strada a fissare il cielo.

Daltronde, lui era un artista, il suo occhio doveva essere più che attento a cogliere quei dettagli di infinita bellezza e farli suoi. Era per questo che appena il sole era sorto del tutto, si recava nel freddo delle gallerie sotteranee di New York e iniziava a dipingere. Usava solo quattro colori: il rosso, il giallo, il bianco e l'azzurro. Solo quelli gli servivano per fare la sua alba, ma non funzionava mai ugualmente. Mancava sempre qualcosa.

I barboni e gli altri artisti che se ne stavano come lui lì sotto dicevano che erano delle vere e proprie opere d'arte. Solo una persona era d'accordo con Sebastian.

Annuiva sempre quando lui si criticava, e diceva che mancava il sentimento, mancava l'amore.

Era anche vero tutto questo, Sebastian non aveva mai amato e mai avrebbe voluto amare nessuno, non faceva per lui, ma non riusciva ad accettare critiche da uno la cui arte consisteva nel premere un fottuto bottone su una stupida macchinetta.

« Sul serio, non si sente niente quando lo guardi. È un peccato, perché è perfetto sotto ogni altro punto di vista ».

« E quindi? » si ritrovò un giorno a rispondere, stufo.

Gli ripeteva quelle parole ogni giorno, sempre uguali, mai una sola virgola differente da quella che aveva pronunciato il giorno prima. E lui ne era abbastanza scocciato.

« Pensa a qualcuno che ami e poi dipingi » disse l’altro, scrollando le spalle.

Ma Sebastian non l’aveva fatto; aveva semplicemente mandato a quel paese quel ragazzo di cui non sapeva nemmeno il nome e aveva iniziato a dipingere pensando a quanto lo odiasse. Ogni pennellata era un insulto che mandava mentalmente a quello stupido fotografo che in quel momento era seduto a terra ad osservare il barbone Frank e che cercava di cogliere l'attimo in cui una mosca si era posata sul suo naso.

Sebastian non l’avrebbe mai detto, ma il suo volto era corrucciato e concentrato al massimo, forse anche più del suo, e una volta scattata la foto aveva continuato per almeno cinque minuti a smanettare con i pulsanti della macchinetta, finché non aveva iniziato di nuovo a scattare velocemente, e Sebastian non si era nemmeno reso conto di quanto lo stesse fissando fino a che quel ragazzo non gli aveva puntato il flash contro.

« Ehi! » si lamentò.

« Potresti smetterla di fissarmi » disse il ragazzo.

« È che non pensavo che la fotografia potesse essere tanto impegnativa ».

« Non lo è, infatti. Non se è la tua passione; ti viene difficile dipingere? »

Sebastian ci dovette pensare un attimo; gli veniva di sicuro naturale prendere un pennello in mano, ed era perfettamente sicuro di sé mentre  lo muoveva sulla tela, e poi gli liberava la mente, lo faceva stare meglio. 

« No » disse infine.

Allora il ragazzo gli sorrise. « Posso vedere cosa hai fatto? »

Sebastian annuì, ormai per quanto gli desse fastidio quel fotografo non si faceva mai i fatti suoi, e non se li sarebbe mai fatti.

Era diverso dai soliti dipinti che faceva, non era una semplice alba: nei tanti colori che si mescolavano sulla tela si potevano intravedere due figure abbracciate, aggrappate l’una all’altra, e sprigionavano un bisogno così eccessivo che entrambi si sentivano a disagio a guardarlo insieme.

« Non so che dire » fece. « Io… davvero, è fenomenale ».

Sebastian gli sorrise, finalmente grato. « Posso vedere le tue foto? »

Quello gli porse semplicemente la macchina fotografica e Sebastian iniziò a girare per le varie foto, per poi fermarsi di botto ad una che catturò la sua attenzione.

« Quando me l’hai fatta? » chiese.

C’era lui in quella foto, lui con la faccia fissa sulla tela, lo sguardo concentrato e il pennello in una mano. Era… magica. Dietro di lui spiccavano i graffiti, che sebravano quasi prendere tutta la foto, e la sua tela dipinta si perdeva tra i colori di quelli; lui in tutto quello sembrava un intruso, ma non sembrava dar fastidio al fotografo.

« Ieri » rispose. « Ti piace? »

Sebastian annuì, per la prima volta non infastidito dalla presenza di quel ragazzo.

« Sai, non so nemmeno come ti chiami » fece, poi.

« Sono Thad, e tu? » disse, porgendogli la mano.

Lui la strinse sorridendo. « Sebastian ».

« Quindi, pittore Sebastian, ti andrebbe di uscire alla luce del giorno e andare a prendere un caffè? » chiese poi, a bruciapelo.

Sebastian ne rimase spiazzato, di solito era lui che ci provava con gli altri, ma comunque non doveva essere sorpreso, visto che quel Thad era l’esatto opposto di tutte le persone con cui aveva avuto a che fare.

E per la prima volta, si rese conto che era anche un bel ragazzo. Aveva passato gli ultimi mesi ad odiarlo incessantemente e solo in quel momento si era reso conto. Solo in quel momento, solo quando aveva realizzato che quel dipinto gli era venuto bene perché era a Thad che aveva pensato, che erano quei capelli neri arruffati e quegli occhi castani a cui aveva pensato.

« Certo » aveva quindi detto.

E Thad aveva sorriso per la millesima volta quel giorno, pieno di felicità, perché era da quando l’aveva conosciuto che voleva stare solo con lui per un po’, e quando lo disse a Sebastian quest’ultimo si diede dello stupido per averci messo tanto tempo.

« Scusa » si ritrovò a dire.

Thad rise. « E perché mai? »

« Per non aver fatto questo prima » gli disse, prima di baciarlo.

E in mezzo secondo si trasformarono nelle due figure che Sebastian aveva dipinto, facendo restare entrambi senza fiato.

« Direi scuse accettate ».




note
Mi sa che questo è anche più cliché del primo giorno. Ma che ci posso fare, Sebastian pittore è tipo il mio kink più grande, ma anche chiunque pittore è il mio kin più grande. 
Non so se avete notato, ma queste prime tre shot erano sui primi incontri di Thad e Sebastian, sui diversi modi in cui si potevano essere conosciuti, poiché sono ispirate alla prima parte della canzone a cui è ispirata la raccolta (We owned the night) che parla di una storia d'amore che inizia per caso. Mentre le prossime tre si ispireranno alla seconda parte cioè a quel "We've never met again" che conclude la canzone, cioè sulla fine della storia. (ma non temete, io sono per l'happy ending uu)

ci si vede domani!
Ale

 

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Capitolo 4
*** Getting back to you (Day 4 - Lezioni Noiose) ***


Getting back to you.

Il professor Jackson era la persona più noiosa di questo mondo. Persino Sebastian, che era uno studente modello, appena quello iniziava a parlare, sprofondava nel sonno più assoluto. Era monotono, fastidioso e incredibilmente ripetitivo e petulante.

Il fatto che poi aveva litigato malamente con Thad non aiutava di certo a stare concentrato nella fisica. Continuava a pensare al modo in cui lo aveva mandato a quel paese, a come lo aveva maltrattato davanti a mezza Dalton; ma di certo quello non era il problema. Il problema era che gli mancava, e incredibilmente.

E poi, era passato un mese da quando si erano presi “una pausa”, ed era stato il mese più brutto della sua vita. Thad non tornava più in stanza, passava le notti da Nick e Jeff o da Trent, se i due piccioncini erano troppo occupati. Sebastian li odiava in una maniera indescrivibile. E – in ogni caso – lui ci stava male.

Aveva provato più volte a parlargli, a chiedergli scusa, perché – per quanto gli sembrasse bizzarro – a lui mancava starsene anche solo seduto accanto a Thad in classe, o a girovagare per il cortile della Dalton mano nella mano, o dormire nello stesso letto perché uno dei due a caso diceva di avere freddo e l’altro si precipitava a riscaldarlo. Per suo stupore, tutto quello gli mancava anche più del sesso. Certo, anche quello gli mancava spropositatamente, ma avrebbe preferito mille volte tornare a stare con Thad anche senza farlo mai più, che restare in quella situazione di stallo per così tanto tempo.

Così, intento a catturare l'attenzione di Thad, iniziò a lanciargli delle palline di carta una continuazione. Era stupido e infantile: sapeva che Thad lo avrebbe sopportato al massimo per due secondi contati.

« Sebastian, smettila! » gli intimò, infatti, dopo nemmeno la prima pallina.

« Solo se ti decidi ad ascoltarmi » disse lui, deciso come non mai.

 « Sto provando a seguire la lezione ».

Sebastian roteò gli occhi. « Nessuno lo fa ».

Thad si limitò semplicemente a non rispondergli, cercando di concentrarsi sulla lezione.

Forse stava sbagliando, ma non gli interessava; Sebastian aveva tradito la sua fiducia, lo aveva ferito e non sarebbe tornato da lui, per niente al mondo. Eppure la presenza insistente lo metteva a disagio e ogni volta che gli si avvicinava tutte le sue certezze crollavano come i castelli di carte che costruiva da piccolo con il padre, una semplice folata di vento e via.

« Ti prego » lo implorò allora Sebastian.

Non si era mai spinto così in basso, non aveva mai implorato nessuno o chiesto scusa, ma per Thad l'avrebbe fatto anche ogni giorno - e, in fin dei conti, lo faceva.

« Sono stato uno stronzo, lo so. Ho flirtato incessantemente con Blaine e anche con quell’altro tizio di cui non mi ricordo nemmeno il nome nonostante la nostra storia fosse iniziata, e te l'ho tenuto nascosto. Ma non era per cattiveria, non lo ritenevo necessario ».

« Non ritenevi necessario dire al tuo ragazzo che lo hai tradito? »

« Non ti ho tradito, cazzo! » sbuffò Sebastian. « E... aspetta, come mi hai chiamato? »

« Non è importante » concluse Thad, girandosi di nuovo davanti, intento a seguire la lezione.

Sebastian si guardò intorno, cercando un modo per sedersi al banco vuoto vicino a Thad senza attirare l’attenzione di nessuno. E proprio nel momento in cui si spremeva le meningi, il professore si abbassò per raccogliere il gessetto che gli era caduto mentre scriveva sulla lavagna.

« Thad » disse, quando gli fu seduto accanto. « Mi dispiace ».

Lui non lo degnò nemmeno di uno sguardo, fece semplicemente finta di niente, continuando a guardare fisso la lavagna e il professore che gesticolava come non mai, preso dalla sua “avvincente” spiegazione.

Così, deciso a risolvere tutta quella situazione, iniziò a scrivere tutto quello che riteneva che Thad dovesse sapere sul retro del suo quaderno, che gli aveva preso di nascosto. Quando ebbe finito, poi, posò il quaderno sotto il naso di Thad e lo intimò a leggere.

« Mi dispiace » lesse, a bassa voce, una volta essere arrivato alla conclusione che non poteva far altro che assecondare quello che riteneva ormai il suo ex ragazzo. « Ho fatto una cazzata e ne sono consapevole, ma questo non vuol dire che lo rifarò. Questo non vuol dire che tengo a te, non vuol dire che l’unica persona con la cui voglio stare sei tu ».

Thad si fermò, col cuore in gola, per guardare la faccia soddisfatta di Sebastian. « Su, vai avanti ».

« E mi manchi, e non riuscivo a dirtelo ad alta voce, perché non è da me. Mi manca stringerti la mano, baciarti e… ».

Sebastian sorrise quando vide che Thad si fermò di nuovo e si mise la testa fra le mani. « Mi manca dormire accanto a te ».

Thad sospirò a lungo prima di dire un sussurrato « Anche a me » e sprofondare nuovamente nelle sue mani, come se potessero proteggerlo da ogni male. Perché era vero che ci era stato malissimo, era vero che aveva sofferto, ma era anche vero che quello che era nato con Sebastian era speciale e non voleva che finisse in quel modo.

« Allora scappiamo da questo mortorio » suggerì Sebastian, colmo di una nuova felicità.

Ma l’altro scosse subito la testa. « Non ho detto che ti perdono, non ho detto che tornerò con te ».

« Ma hai detto che ti manco » puntualizzò Sebastian. « Senti, non è meglio scappare via da qui che restare e probabilmente addormentarsi con tanto di bava alla bocca? »

Thad roteò gli occhi, stufato.

« Non se ne accorgerà neanche » insistette l’altro. « Ti prego ».

Così, all’ennesima predica che gli faceva Sebastian, Thad decise che l’avrebbe perdonato, perché non l’aveva mai visto più convinto di una cosa come in quell’occasione, ma decise anche che l’avrebbe fatto aspettare, perché in un modo o nell’altro l’aveva fatto soffrire, e doveva avere la sua piccola vendetta.
O almeno, questo era il suo intento, perché ci volle davvero poco affinché la sua mano non scivolasse in quella di Sebastian da sotto il banco ed entrambi capirono che non era nemmeno necessario scappare via, perché Sebastian la sua vittoria l’aveva avuta, e Thad era contento così, con la mano in quella di Sebastian.

Avrebbero parlato dopo, questo era certo, si sarebbero chiariti per bene, ma fino a quel momento, la stretta di Sebastian e quello che gli aveva scritto sul retro del suo quaderno erano più che sufficienti.

« Non hai letto una cosa » disse poi Sebastian, indicandogli il margine della copertina.

Thad sorrise, una volta vista la scritta. « Ti amo anch’io ».
 


note:
Giusto una toccata e fuga, spero vi sia piaciuta, ci si vede domani! <3
Ale

 

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Capitolo 5
*** Cooked like a cake (Day 5 - Cucina) ***


Cooked like a cake 

Vivere a stretto contatto con qualcuno non è mai semplice - come potrebbe essere facile dividere il bagno con uno che lascia le mutande nel lavandino? - nemmeno quando si è stati abituati per anni a un compagno di stanza evidentemente psicopatico come Sebastian Smythe.

Thad si era convinto che vivere col suo migliore amico non fosse una cosa molto complicata - e forse al principio non lo era nemmeno - e che sarebbe stata un’esperienza come minimo divertente. Si era ripetuto in continuazione frasi del tipo “Ehi, ma cosa cambierà mai dalla Dalton?”

Ci si può mai sbagliare così tanto?

, rispondeva la mente di Thad, mentre il ragazzo era costretto a levare via dal bagno i boxer dell’amico, che ovviamente dormiva.

Vivere con Sebastian Smythe si era rivelata la cosa più complicata del mondo. Perché Sebastian era un disordinato cronico, tragicamente senza lavoro e depresso, lamentoso in una maniera indescrivibile e - cosa più importante - goffamente perfetto. Thad l’aveva dovuto ammettere, mesi prima, quando si era trovato faccia a faccia con lui e si specchiava nei suoi occhi - i suoi meravigliosi occhi; era perfetto per lui, in tutto e per tutto, e anche se diceva di non sopportare i suoi boxer lasciati per la casa, in cuor suo era più che certo che non potrebbe mai far a meno di prendere le sue mutande, lavargliele e fargliele trovare pulite ai piedi del letto. E non doveva, perché lui un ragazzo ce l’aveva, e lo amava anche.

« Mmh? » borbottò Sebastian, quando intravide Thad alzare la persiana e iniziare a raccattare i vestiti per la stanza.

« Non dovresti essere a lavoro? » aggiunse poi, dopo aver distrattamente dato uno sguardo all’orologio: undici spaccate, Thad sarebbe dovuto essere a lavoro già da tre ore.

« Oggi non ci vado, ho una cosa più importate da fare ».

« Che sarebbe, esattamente? » chiese stupito l’altro; mai Thad si era preso un giorno di ferie - nemmeno quando era malato - e non si sarebbe mai aspettato che l’avrebbe fatto.

« Ho fatto una lista » disse prontamente Thad, sedendosi sul letto dell’amico mentre caccia un piccolo foglietto scritto in ogni millimetro. « “Le cose che Sebastian deve fare se non vuole trovarsi fuori da questa casa” » recitò, poi, soddisfatto.

Sebastian gli lanciò un’occhiata tra lo stupito e il disgustato.

« Numero uno: Deve alzarsi da quel letto puzzolente e lasciarmi fare il bucato in santa pace ». Sebastian annuì: non era poi tanto difficile quello. « Numero due: Deve smetterla di lasciare le mutante proprio nel lavandino. Ci laviamo i denti lì, Sebastian! Se le lasciassi sul pavimento sarebbe già un passo avanti ». E anche questa ci poteva stare, acconsentì. « Numero tre: Deve cucinare il martedì e il giovedì sera. Mi va bene anche un panino, ma non farmi mai più cucinare dopo due giornate come quelle! ».

« Non so nemmeno come si taglia un panino! » si lamentò Sebastian.

« Secondo te perché non sono andato a lavoro? » Thad lo disse con un grosso sorriso, per poi continuare con la sua infinita lista.

« Non riuscirò mai a fare tutto questo! » sbuffò ancora Sebastian.

« Credo in te e nelle tue capacità » concluse l’amico, lasciandosi la lunga lista sul letto.

Così, successe tutto in fretta. Sebastian si ritrovò improvvisamente con una ciotola di uova in mano e un grembiulino rosso che gli copriva il pigiama, con Thad al suo fianco che gli dava istruzioni una continuazione.

« Spiegami ancora perché devo fare tutto questo » disse poi, completamente disperato.

« Perché non puoi continuare così, è questo è il primo passo per uscire dalla tua depressione cronica ».

Sebastian sbuffò, contrariato. « Non sono depresso ».

Thad annuì ironicamente e, senza ascoltare le sue lamentele, gli fece accendere il fuoco. « Sbatti le uova e poi mettile nella padella » disse.

« E se non volessi? » chiese Sebastian, avvicinandosi pericolosamente a Thad, in mano ancora la ciotola con il tuorlo dell’uovo.

Thad trattenne il respiro, stordito dalla presenza di Sebastian così vicino alla sua. Era a disagio, ed era la cosa più strana del mondo quella che sentiva, perché Sebastian era sempre stato il suo migliore amico, non capiva come tutto d’un tratto potesse sentire lo stomaco aggrovigliarsi e le farfalle farci la samba lì dentro.
Era completamente assurdo.

« Lo… lo fai e basta » mormorò, inizialmente indeciso su che dire.

Sebastian gli diede uno spintone, ridendo. « Che c’è? »

Lui distolse lo sguardo, tornando alla padella. « Penso che puoi iniziare a fare la frittata ».

In tutta risposta, Sebastian posò la ciotola sul tavolo, si avvicinò a Thad e lo prese per la faccia. « Non ce la faccio più » disse, sospirando arrabbiato. « Sai perché sto così? Me lo potevi chiedere, invece di mettere su questa farsa! »

Thad scosse la testa, essendo l’unica cosa che aveva il coraggio di fare, quel ragazzo era esattamente imprevedibile come una tempesta in mare aperto.

«  Tu e Chris » disse infine. « Non me ne fotte un cazzo di saper cucinare una frittata, voglio solo che capisci che… »

« Anche tu » lo interruppe Thad. « Anche tu sei un problema per me, e per colpa tua ieri ho lasciato Chris. E lui mi ha licenziato, non è vero che ho preso un giorno di vacanza ».

Sebastian lo lasciò finalmente andare, lasciandosi cadere su una sedia accanto al tavolo. « Che cazzo stai dicendo? »

« Sto dicendo che anche io mi sento morire ogni volta che mi stai vicino, e anche io stavo iniziando ad odiare Chris, sto dicendo che anche io stavo cadendo in depressione, e che nemmeno a me interessa se tu sai o meno cucinare una frittata » disse infine. Aveva preparato quel discorso giorni prima, l’aveva studiato per bene e aveva deciso che Sebastian l’avrebbe capito e ricambiato.

Perché se non fosse stato così, avrebbe soltanto rovinato cinque anni di amicizia.

E Sebastian non poté far altro che baciarlo, di fretta, perché aveva aspettato quelle parole per anni, nonostante non fosse nel suo stile.

« Ora posso imparare a fare la frittata » disse, soddisfatto.

Ma Thad lo tirò di nuovo a sé e lo baciò a fondo, perché quel piccolo e irruento bacio di qualche secondo prima non poteva di certo bastargli. « Penso che possa aspettare » disse, ridendo e trascinando entrambi nella sua stanza.

Sebastian fu certo che non ci potesse essere conclusione migliore di un’amicizia.

Perché Thad era bello, infinitamente bello, era simpatico, era suo amico, sapeva che poteva sempre contare su di lui e in tutta la sua vita non aveva mai trovato una persona così. Ed era cotto, era cotto di lui in una maniera imbarazzante, ma in quel momento non era un fattore importante, non mentre era intento a baciarlo.



note:
Anche oggi una toccata e guga, visto che devo scappare. Spero che questa cosa senza nè capo nè coda sia di vostro gradimento!
Ci si vede domani,
ale <3

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Capitolo 6
*** The perfect present. ***


 
The perfect present.
Sebastian Smythe era una delle persone più esigenti al mondo: tutto doveva essere rigorosamente perfetto quando si trattava di lui, nessun dettaglio poteva mai essere fuori posto; e questo Thad lo sapeva più che bene.

Era per quello che, fermo davanti alle vetrine dei negozi, non riusciva mai ad entrare. Non erano abbastanza, si diceva, Sebastian non sarebbe stato contento e lui si sarebbe dispiaciuto, perché era il suo sesto compleanno che passavano insieme e ancora non aveva azzeccato il regalo giusto.

Certo, Sebastian l’aveva sempre accolto felice e l’aveva sempre ringraziato, ma si vedeva lontano un miglio che non gli piaceva mai qualunque cosa che Thad gli propinava davanti.

Non era colpa sua, questo Sebastian lo capiva, ma Thad aveva un gusto alquanto discutibile. Avrebbe dovuto dirglielo più volte, ma pensava fosse stato chiaro quando gli aveva regalato un pigiama di pile azzurro e bianco al compleanno dell’anno scorso. E il suo compleanno veniva a inizio Settembre.

Eppure Sebastian non si era mai lamentato, perché non era poi così importante avere un regalo perfetto, però non nascondeva che sarebbe stato bello almeno una volta.

Thad era a conoscenza di quello, e aveva chiesto aiuto a chiunque, aveva chiamato Nick, Jeff, Trent, persino Kurt e Blaine, ma tutti i loro suggerimenti non gli sembravano adatti, nemmeno lo specchio che diceva “Sei tu il più bello del reame” che gli aveva suggerito Kurt, per far aumentare l’ego di Sebastian. Era abbastanza convinto che fosse ironico e lo stesse soltanto prendendo in giro, ma aveva preso seriamente in considerazione quella proposta.

Era disperato.

Così, mentre si struggeva alla ricerca del regalo perfetto, si imbatté in una gioielleria e, tutto d’un tratto, gli sembrò stupido non averci pensato prima.

 
Sebastian quella mattina era abbastanza turbato dalla presenza di Thad accanto a lui. Era silenzioso, completamente, disteso nel letto ad occhi chiusi, nonostante fosse sveglio da ore. Lo conosceva da anni, ormai, e non era mai restato in silenzio per così tanto tempo.

« Thad? » lo chiamò, scuotendolo per una spalla.

Lui prese un forte respiro: non era di certo pronto a fare quello che si era promesso di fare. Ma doveva, era Sebastian quello che si ritrovava di fianco.

Così, si girò di scatto e lo baciò, cercando di sorprenderlo.

« Ehi, ehi » disse Sebastian, ridendo. « Che stai facendo? »

Thad lo baciò ancora, ancora e ancora, scendendo pian piano lungo il collo e iniziando a baciare il suo petto. « Buon compleanno » disse poi, sorridendogli.

« Penso che sia il risveglio più bello di sempre » sussurrò, ad un centimetro dalle sue labbra.

Thad lo guardò negli occhi, sprofondandoci dentro un po’ come ogni volta, prima di prendere il suo regalo.

« Devo darti una cosa » disse. « Se non ti piace, questa volta dimmelo sul serio ».

Così si alzò e prese la scatolina che aveva comprato il giorno prima in quella gioielleria. Era ansioso di vedere la reazione di Sebastian, e aveva paura, un’enorme paura di rovinare ogni cosa per l’ennesima volta. Perché per quanto fosse il pensiero quello che contava, non poteva continuare a deludere Sebastian ogni volta.

Gliela porse e lasciò che Sebastian l’aprisse per conto suo. Conteneva un piccolo anello d’argento, senza nessuna pietra preziosa sopra, perché sapeva che a Sebastian le cose sfarzose non piacevano affatto.

« Cosa vorrebbe dire? » chiese Sebastian, guardandolo interrogativo.

Thad allora perse un battito, perché era spaventato, era spaventato a morte da quella domanda e aveva il terrore che Sebastian gli dicesse di no, come la prima volta che gli aveva chiesto di uscire e lui

Thad gli sorrise, per prendere coraggio. « Sebastian Smythe, vuoi sposarmi? »

« Questo è, assolutamente, il regalo più bello che tu mi abbia mai fatto » disse, prima di buttarsi su Thad e iniziare a baciarlo con foga, felice.

« Era un sì? »

Sebastian annuì in fretta, mentre continuava a baciarlo e mentre iniziava a levargli il pigiama.

« Ti amo » disse Thad, gettandosi fra le sue braccia.

L’altro rotolò sul letto, mettendosi sopra a Thad. « Ti amo anche io ».

Si baciarono per l’ennesima volta, perdendosi l’uno nell’altro, come ogni volta che succedeva. Era bello, era migliore di qualunque regalo Sebastian potesse mai ricevere.

Non gli importava che aveva un pigiama di pile azzurro e delle ciabatte a forma di topolino, non gli importava che Thad era bizzarro, che non sapeva spendere i suoi soldi in cose effettivamente utili, non gli importava che ogni volta che aveva la busta paga comprava un nuovo tipo di tè e una copertina diversa, non gli importava che in inverno andava completamente in letargo e che le uniche volte che usciva di casa era per andare a lavoro.

Gli importava solo che nessuno sapeva abbracciarlo come faceva Thad, che nessuno sapeva cantare con lui come faceva Thad, gli importava solo che l’unica persona a cui aveva mai detto “ti amo” era lui, gli importava solo che dopo di lui non c’era mai stato nessun altro. Gli importava solo di Thad, e di nessun altro.


note:
Oggi sono arrivata un po' in ritardo, ma vabbè.
Spero vi piaccia, a domani,
Ale <3

 

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