Somewhere I belong

di Layla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1) Gli occhi del serpente. ***
Capitolo 2: *** 2) Passato e presente. ***
Capitolo 3: *** 3)Alla scoperta dell'amore ***
Capitolo 4: *** 4)Meg ***
Capitolo 5: *** 5) Addio, Hao ***
Capitolo 6: *** Epilogo: il grande abete bianco. ***



Capitolo 1
*** 1) Gli occhi del serpente. ***


1) Gli occhi del serpente.

Ci sono persone che entrano come meteore nella tua vita.
Un attimo prima non le conoscevi, poi la mano crudele del destino ti spinge inesorabilmente verso di loro, a rischio di bruciarti e perdere te stessa.
Hao Asakura è una di queste persone.
Non ci vuole molto a capire che lui sia speciale, emana un’aura do potere – carisma – che è impossibile ignorare. Con i suoi lunghi capelli castani, gli occhi profondi color cioccolato, i vestiti eleganti e le uniche note di stravaganza costituite da un poncho e da orecchini vistosi è un tizio che non si dimentica.
Solitamente la gente quando incrocia il suo sguardo ne rimane affascinata e lo ascolterebbe parlare per ore, esattamente com’è successo a me.
Mi chiamo Mathilda Matisse e sono una strega inglese, le ragazze di qui guardano con invidia i miei capelli arancio e i miei occhi viola, ma nel mio paese non sono poi così strani.
Ci sono tante persone pel di carota, ma poche streghe.
Quando sono morti i miei sono dovuta scappare dal mio villaggio perché – pur essendo in pieno ventesimo secolo – la gente aveva ancora paura di quelle come me.
È dispostissima a festeggiarle per Halloween, ma non devono essere nella loro comunità, portano male.
Mi raccolse un’ altra strega, era vecchia e perciò iniziai a considerarla come una nonna. Fu lei a insegnarmi tutto quello che sapeva e che so e fu la prima a capire che in una secolare famiglia di streghe come la mia era nata una sciamana.
Non sapeva cosa fare, così si limitò a insegnarmi quello che sapeva sulle pozioni e sulla magia in generale, mi voleva molto bene, ma le persone se ne vanno sempre. A volte per loro volontà, a volte perché il Grande Spirito le reclama e nessuno può dirgli di no.
Morì che ero molto giovane e fu in quel momento che arrivò lui e mi portò via da quello sconosciuto villaggio inglese verso le foreste del Giappone. Fu lui a dirmi cosa ero e dirmi come utilizzare il mio potere, fu lui a donarmi la zucca intagliata – Jack – che poi sarebbe diventata il contenitore del mio furyoku. Fu lui a donarmi una nuova vita in cui sapevo con precisione cos’ero e in cui non mi sentivo una rinnegata.
Fu lì che trovai quelle che sono le mie compagne di team, le mie sorelle: Kanna e Marion.
Abbiamo iniziato a obbedire a Hao, soggiogate dal loro potere e a fare amicizia, tutte e tre avevamo storie simili.
Kanna è tedesca e ha lunghi capelli azzurri, un tatuaggio e una sigaretta perennemente tra le labbra; Marion è italiana, bionda e sempre priva di espressione. Lei non ride mai, non ce la fa, so che si esercita da sola in segreto; ma finora non l’allenamento non ha dato frutti.
In ogni caso, stasera non ho voglia di pensare a loro o a Hao, voglio solo bere pensando a come la mia vita sia costellata di perdite.
I miei, la mia nonnina, la mia vita, Hao…
Sono morta anche io in un’occasione e non è stato bello. A Hao serviva del furyoku e si prese la mia vita e quella delle mie amiche.
Eravamo state tradite un’altra volta e se non fosse stata per la moglie dello Shaman King, Anna Kyoyama, saremmo rimaste per sempre dei tristi spiriti vaganti.
Ci ha riportate in vita e ci ha detto di aspettare il suo segnale, quando sarebbe arrivato avremmo cominciato a lavorare nelle terme di Funbari.
Il segnale è arrivato e noi ci siamo messe a lavorare come cameriere, con la nostra divisa composta da un kimono arancio decorato di fiori nessuno direbbe che siamo state così infelici in passato.
Kanna si è raccolta i capelli in uno chignon da cui scappano molte ciocche e da qualche mese si vede con Ryu, il cuoco delle terme.
Mari ha iniziato a portare i suo codini bassi in modo che ricadessero sul kimono, è la mascotte del hotel e per ora so che si vede con Lyserg Diethel, ma non si sbilancia più di tanto.
Io invece sono sola.
“Un bicchiere di vodka, per favore.”
Chiedo alla cameriera al bancone che guarda con un misto di stupore e orrore il teschio che ho in testa e che copre il mio chignon.
“Subito.”
Poco dopo arriva con il bicchiere e io lo vuoto in un colpo solo.
Oggi mi sento davvero uno schifo, sola come non mai. Le altre stanno tentando di andare avanti, vogliono dimenticarsi di Hao e delle sue promesse, vogliono una vita normale e forse ci stanno riuscendo: Kanna e Ryu sono molto affiatati.
Io invece sto rimanendo indietro, vedo solo le loro schiene e non sono al loro fianco come al solito e la ragione è una sola: sento ancora il richiamo di Hao Asakura, nonostante tutto il male che ci ha fatto.
È orribile, a volte mi sveglio la notte per smettere di sentire la sua voce ammaliante nei miei sogni, non lavorerei mai più per lui, ma qualcosa mi attira verso di lui come la limatura di ferro è attratta dalle calamite.
È un qualcosa di viscerale a cui ho paura di dare un nome, forse perché mi sento quella che è stata più salvata da lui. Non è che sia una gara tra vite di merda, ma Kanna aveva i suoi amici di strada e Marion una famiglia che, pur considerandola strana e inquietante, comunque la cresceva.
Io ero sola, una foglia in balia del vento che non vedeva l’ora di trovare un posto in cui posarsi e che credeva di averlo trovato in Hao.
Mi sbagliavo, lui non era mio.
Ho deliberatamente ignorato la sua crudeltà, il suo usare gli altri come pedine, la facilità con cui si liberava degli elementi inutili.
Visto che per una volta la crudeltà non era rivolta verso di me ho provato un piacere sadico nel vedere gli altri soffrire per causa sua, non ho mai pensato – nemmeno per un attimo – che lui potesse essere così anche con noi.
Quando sono morta si è infranta in me un’intima certezza, qualcosa di così radicato che anche adesso sento un pezzo di cuore che manca.
Mi ero semplicemente affezionata alla persona più sbagliata del mondo.
Cinico, menefreghista, ammaliatore, Hao somiglia più a un serpente che a una persona.
“Un altro bicchiere di vodka per la signorina e uno per me.”
Il suo arrivo mi giunge talmente inaspettato che il bicchierino che ho in mano sfugge al controllo delle mie dita e si infrange per terra, seminando polvere scintillante.
“Hao.”
Cerco di dire il più freddamente possibile.
“Mathilda.”
Il suono della sua voce è dolce, morbido, qualcosa su cui è facile adagiarsi.
“Come mai da queste parti?
Pensavo che fossi tipo da posti più sofisticati.”
Lui ride divertito, io ho ritrovato la mia parlantina e un minimo di controllo della situazione.
“Sì, di solito mi piacciono altri posti, ma immergersi nel popolo a volte può essere un piacevole diversivo.”
Eccolo, lo stronzo cinico.
Non ho mai sentito un tizio essere così pieno di sé e sembrare seducente allo stesso tempo, è l’esatto contrario del suo gemello.
Yoh è una persona calma e gentile, soprattutto è molto umile. Se un estraneo vedesse come Anna conduce le terme e la famiglia potrebbe pensare che sia privo di spina dorsale, ma Yoh Asakura è molto forte. Così forte da sciogliere il cuore di Anna ed essere lo Shaman King che comanda tutti con un pugno di velluto.
Yoh è forza calma, Hao è fuoco distruttivo.
“Interessante, peccato che io non possa dire il contrario, non ho il piacere di frequentare la creme di Tokyo.”
“Potresti, in fondo hai lavorato per me e questo potrebbe aprirti molte porte.”
“Sì, suppongo di sì, ma non ho intenzione di farlo. Le porte possono richiudersi e lasciarti morire d’inedia in una stanza.”
“Non mi hai ancora perdonato per quel piccolo incidente.”
La vodka arriva e ne bevo un sorso.
“No, direi di no. È tutta una questione di prospettiva, sai Hao Asakura?
Quello che per te può essere piccolo per un’altra persona può essere molto importante.”
“Capisco. Sì, può essere.”
Vuoto il mio bicchiere e lo appoggio al bancone.
“Grazie per avermi offerto da bere e per la piacevole chiacchierata, se così si può definire, ma ora devo andare.
Domani devo alzarmi molto presto.”
Faccio per allontanarmi, ma lui mi afferra per un polso: la sua stretta è calda e piacevole.
Ho dei piccoli brividi lungo tutto il corpo, non posso essere innamorata di lui! Non  posso!
Il mio corpo dice il contrario, però e questo è un bel problema.
“Non puoi fare un’eccezione per un vecchio amico?”
Io lo guardo ironica.
Vecchio amico, è così che si definisce uno che ti ha preso la vita solo perché gli serviva?
“Ho qualche altra scelta?”
“C’è sempre un’altra scelta, ma direi che in questo caso faresti meglio a venire con me.”
“D’accordo.”
Usciamo insieme dal bar, l’aria è leggermente frizzante così rabbrividisco e lui mi  mette la sua giacca sulle spalle.
“Come siamo galanti, cosa ne pensa Tamao a riguardo?”
“Oh, è a casa a scrivere canzoni e a tenere a bada quei suoi due spiriti volgari, non credo che soffrirà se non saprà nulla, no?”
“Questo è mentire, ti è sempre venuto particolarmente bene.”
“E voi apprezzavate le mie bugie, vero?”
Io lascio cadere la sua domanda nella fresca aria autunnale e guardo le foglie cadere sui viali di Tokyo.
“Come ci si sente?”
Chiedo all’improvviso.
“A fare cosa?”
“A essere dei perdenti. A vedersi strappare all’ultimo secondo la vittoria proprio da una delle tue vittime, la vittima principale per essere precisi. Come ci si sente a sapere che non solo non hai assorbito Yoh, ma ti ha addirittura battuto?”
Questa volta è la mia domanda che si perde nel vento, per la prima sul suo volto si incrina il sorrisetto sarcastico per fare spazio a un’espressione quasi addolorata.
Sicuramente non gli fa piacere ricordare quei momenti, a nessuno piace perdere, soprattutto se ci si considera invincibili.
Un punto per me.
 

Casa mia è un piccolo appartamento vicino alle terme, un appartamento tradizionale – con tanto di tatami per terra – per cui pago un affitto basso.
Non so come siamo finiti qui io e Hao.
Abbiamo passeggiato un po’ per le vie della città, osservato le vita animata dei caffè, i ragazzini in skate, i gruppetti di punk e quelli che si divertivano con le macchine truccate.
Ci siamo scambiati impressioni e battute sulla nostra vecchia vita.
“Torneresti a lavorare per me?”
Mi ha chiesto a un certo punto.
“No, non lo farei per nessuna ragione al mondo.”
Deve essere stato a questo punto che lui ha deciso di venire al mio appartamento, qui l’elettricità che è corsa tra di noi per tutta la sera è diventata più forte.
Mi sento imprigionata in una tela di ragno e non mi piace per niente.
Odio me stessa che gli serve un the, impeccabile come ho imparato a esserlo sul lavoro.
Maledizione, così non va bene!
Quel ragazzo deve essere sbattuto fuori di qui!
“Non credo proprio che mi sbatterai fuori di qui Mathilda.”
Lo guardo sconvolta, mi ero dimenticata che lui è in grado di leggere nella mente altrui.
“Perché? Pensi che non sia capace?”
Lui si alza e mi prende entrambi i polsi, è troppo vicino.
“Perché tu non vuoi affatto che me ne vada, tu vuoi che io rimanga.”
“N-no!”
Nego poco convinta, facendolo ridere.
“Oh, sì che vuoi che rimanga!
Tutto il tuo corpo lo vuole e anche la tua mente!”
Io mi sento improvvisamente fragile e in balia di lui e del suo potere.
“Smetti di leggere nella mente della gente!
Anna Kyoyama ti ha insegnato come si chiude la mente, mettilo in pratica!”
Lui ride.
“Ah! Inizi a sentirti fragile!”
Le lacrime minacciano di scendere.
“Vattene via, Hao!
Non voglio più avere a che fare con te!”
Per tutta risposta mi bacia con passione.
“Vuoi che me ne vada?”
“S-sì!”
Mi ribacia di nuovo e questa volta è quasi certo che cederò.
“Vuoi che me ne vada?”
“No.”
Lui sorride, ha vinto anche questa volta.
Anche questa volta la preda è sua, inizia di nuovo a baciarmi e presto i nostri vestiti sono sul tatami.
Mi porta in camera mia e mi adagia sul futon e poi ci sono i nostri respiri, ansiti e gemiti mischiati.

 

La mattina dopo il posto sul futon accanto al mio è vuoto.
Non che aspettassi di trovarlo occupato, questo è il genere di cose che non prevedono un uomo al tuo fianco dopo che ti sei svegliata.
Mi faccio una doccia, faccio colazione e vado al lavoro.
Devo dimenticarmi dell’accaduto se voglio sopravvivere, altrimenti rischio di andare in para e non mi servirebbe a niente.
“Tutto bene, Mathilda?”
Mi chiede Kanna, notando la mia faccia sovrappensiero.
“Sì, ho solo dormito male questa notte. Niente di grave.”
“Ok, stanotte cerca di dormire.”
“Puoi giurarci!”
Ci mettiamo al lavoro e la giornata passa velocemente. Finito il nostro turno Yoh ci invita a cena, il che non è poi così insolito, in fondo a lui stiamo simpatiche, lui trova quasi tutti simpatici.
Anna brontola tutto il tempo, dicendo che la pensione potrebbe renderle di più anche se sappiamo tutti che non è vero. Lei brontola perché le piace farlo, non perché c’è un reale motivo.
“Dai, Anna. Abbiamo abbastanza soldi per farci una vacanza come si deve dopo Ferragosto. Magari in quell’isola tropicale che ti piace tanto.”
“Sei troppo conciliante, Yoh!”
Lui ride sotto i baffi e la lite è sedata.
Sta per essere servito il caffè quando si spalanca la porta sul retro ed entrano Tamao e Hao mano nella mano.
Il mio cuore finisce sotto i piedi, cosa ci fa qui con lei?
E poi perché sembrano così felici?
Ieri sera sembra non sia mai successa e a me sta venendo da vomitare.
“Ciao, Hao, Tamao!
È raro vedervi qui a quest’ora!”
Lei sorride.
“Sì, lo so che è un po’ tardi, ma dovevamo dirvelo.”
“Dirci cosa?”
Chiede spiccia Anna.
“Sono incinta, presto sarete zii di un bambino o di una bambina!”
Il mio volto diventa verde all’improvviso e scappo in bagno, lì posso vomitare in liberta e a maledirlo. Mi ha scopata sapendo che le cose con Tamao andavano bene.
Non ha avuto rispetto né di me né di lei!
Cosa potevo aspettarmi da lui?
Ha preso la mia vita e avrebbe preso anche quella di suo fratello se solo gli fosse andata bene.
Una volta ripresa torno in cucina, Tamao è radiosa e Hao sembra contento, stronzo.
“Non è una notizia meravigliosa, Mathilda?”
Mi chiede Anna.
“Sì, molto bella.
Complimenti e tanti auguri a entrambi.”
Rispondo con la voce più normale che riesco a produrre.
“Sapete già il sesso?”
Hao sorride a suo fratello.
“No, l’abbiamo scoperto solo ieri, è troppo presto per saperlo.”
Ieri, eh?
Prima scopre di diventare padre e poi si scopa me, che gran bastardo!
“Direi che per un’occasione come questa va tirato fuori lo champagne. Ne abbiamo una cassa in dispensa, Hao mi aiuti a cercarla?”
I due fratelli Asakura lasciano noi ragazze da sole, Anna e Tamao cominciano immediatamente a parlare. Si scambiano consigli e sensazioni, noi rimaniamo un po’ in disparte, non facciamo parte della famiglia e vogliamo lasciare loro la giusta privacy.
“Mathilda, stai bene?”
Kanna me lo domanda di nuovo, credo non le sia sfuggito il fatto che io sia scappata dopo la lieta notizia.
“No, ma non è il caso di parlarne qui. Te lo dirò quando saranno finiti i festeggiamenti.”
Lei annuisce e mi batte una mano sulla spalla.
Poco dopo arrivano Hao e Yoh con lo champagne e il neopapà riempie a tutti i bicchieri e brinda a suo figlio. Rispondono tutti al brindisi con allegria, tranne me.
Rimaniamo ancora un po’, poi finalmente riusciamo a toglierci da questa festa che non è la nostra e tiriamo tutte e tre un sospiro di sollievo.
Mari sparisce subito con Lyserg, Kanna invece mi segue a casa mia per cercare di capire cosa stia succedendo: in fondo è ancora la sorella maggiore del gruppo.
Arriviamo a casa mia e noto che la casa non è molto ordinata.
“Scusa il disordine, ma…”
Lei scuote la testa.
“Lascia perdere queste smancerie e arriva al dunque.”
“Ieri sono uscita a fare un giro e mi sono fermata in un chioschetto, volevo bere.”
“Poi cosa è successo?”
“È arrivato Hao, mi ha offerto da bere e abbiamo iniziato a parlare dei vecchi tempi.
Poi siamo usciti e abbiamo fatto una passeggiata.”
Lei annuisce.
“Poi siamo arrivati a casa mia e abbiamo fatto sesso.”
Concludo piatta.
“Che bastardo! Ma perché ci sei stata sapendo com’è?”
Io non alzo lo sguardo e rimango in silenzio, sento Kanna avvicinarsi e poi mi costringe a guardarla negli occhi.
“Tu ami Hao.”
Io non dico nulla, non la smentisco e non le dico che ha ragione.
“Povera te, soffrirai le pene dell’inferno, ma ti passerà prima o poi.”
“E se non passasse?”
“Passerà. È l’ultimo rigurgito del passato e prima o poi riuscirai a tornare a vivere nel presente e a trovare un ragazzo che ti piace. È Hao il bastardo, povera Tamao.”
Io non riesco a provare pietà per Tamao, non ancora almeno, Kanna mi prende le mani.
“Stagli lontano! Mi prometti che gli starai lontano?”
“Sì, te lo prometto.”
“Sul serio, Mathilda! Torna in Inghilterra, parlerò io con Anna.”
Io annuisco, prenotiamo insieme un volo per Londra che partirà tra due giorni, il giorno dopo parla ad Anna e poi mi aiuta a fare le valigie la sera prima della partenza.
“Starai bene anche là, hai bisogno di cambiare aria.”
Io annuisco, chiedendomi se sia la cosa giusta.
Il giorno della partenza mi sveglio molto presto, Mari e Kanna mi accompagnano all’aeroporto di Narita in silenzio. Non ci siamo mai separate fino ad ora.
“Tornerai presto?”
Mi chiede con voce tremante Mari.
“Non lo so, spero di sì.”
Kanna mi guarda seria.
“Prenditi tutto il tempo necessario, quel ragazzo non deve rientrare nella tua vita.”
“Lo so, arrivederci a presto ragazze.”
Mi avvio verso le partenze internazionali,  mi fa strano tornare verso la mia terra d’origine e quasi non ricordarmela.
Kanna ha ragione, devo dimenticarlo.
Una volta partito il mio aereo mi perdo a guardare le nuvole bianche che circondano il velivolo e mi sento leggera, qualcosa è appena scivolato dalla mia schiena.
Il fascino che Hao continuava a esercitare su di me è finito, ora mi sento davvero libera.
Ho messo il passato nel passato e ora mi concentro sul presente.
Addio, Giappone.
Addio, Hao.
Benvenuta, nuova vita.

 

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Capitolo 2
*** 2) Passato e presente. ***


2) Passato e presente.

 

La prima sensazione che provo tornando a Londra è di sentirmi a casa ed è veramente strano.
Tutti i ricordi che ho dell’Inghilterra sono negativi, ma in questa grande città non sono la più strana delle creature e mi sento abbastanza protetta.
Con i soldi della liquidazione che mi ha dato Anna mi  pago il primo mese di affitto in un appartamentino. Anna si è dimostrata davvero comprensiva, mi ha detto che andarmene era una mossa saggia, che Hao era una persona da evitare, soprattutto adesso che Tamao è incinta.
Quando le ho chiesto cosa avrei potuto fare se lui si fosse presentato alla porta del mio appartamento londinese lei ha sorriso enigmatica e mi ha battuto una mano sulla spalla.
“Ci penserà Yoh, non di devi preoccupare. Adesso cerca solo di rifarti una vita.”
Le ho dato retta.
Per i primi tre mesi sono stata cameriera in un bar, quando ha chiuso sono stata assunta a tempo indeterminata in un multisala e solo dopo sei mesi ho trovato un lavoro più adatto a me: mi ha assunta una casa editrice. Il mio compito è tradurre i manga  di cui viene decisa la pubblicazione.
È un lavoro che mi piace e vengo pagata molto di più che come cameriera o tutto fare al cinema.
È perfetto.
Stasera – per la prima volta dopo sei mesi di vita solitaria – decidi di concedermi una birra e una serata fuori. Non molto lontano da dove vivo si esibisce una band punk e quale occasione migliore per fare quattro salti?
Indosso un paio di jeans pieni di strappi e spille, una maglia dei Rancid, una felpa con le maniche tagliate e il mio chiodo di pelle.
Esco di casa canticchiando e mi sento di buon umore.
Stasera non può succedermi nulla di male, Hao è a migliaia di chilometri e questo mi tranquillizza parecchio.
Quando arrivo il locale è già pieno, spero che la band valga la pena di sopportare questa calca, non mi piace molto stare in mezzo alla gente.
Alle dieci iniziano a suonare e ci regalano due ore di sano punk, pop-punk su cui possiamo pogare e fare surf –crowd: molto bello.
Erano anni che non mi divertivo così, adesso so perché a Kanna mancano così tanto i concerti punk, sono una figata assurda! Lei in Germania ci andava spesso e lo ha raccontato spesso a me e a Mari.
A proposito di loro, quando arrivo in casa devo scrivere loro come sta andando, non mi sono certo dimenticata di loro!
A mezzanotte e mezza me ne vado dal locale, mi accorgo immediatamente di essere seguita: quattro tizi grandi e grossi aspettano solo di trovarsi in un angolo buio per farmi chissà cosa.
Poveri sciocchi! Che ci provino, saranno cadaveri in me che non si dica!
Finalmente arriva l’agognato angolo buio e io mi preparo  a dare loro una lezione con Jack, ma qualcuno mi precede.
“Andatevene!”
Sibila una voce maschile, tagliente e minacciosa.
Io mi volto verso questo ragazzo e vedo un’ombra magra, alta e che emana un’aura di minaccia, i quattro se ne vanno via spaventati.
“Grazie per avermi aiutato, posso vederti in faccia?”
Ci spostiamo sotto un lampione e vedo una faccia magra con un leggero velo di barba, dei capelli blu spettinati, un piercing che luccica sul labbro e diversi tatuaggi che gli coprono le braccia nude.
“Figurati, ci si aiuta tra colleghi, no?”
“Prego?”
Chiedo io, un po’ confusa.
“Sei una sciamana anche tu, vero?”
“Sì, mi chiamo Mathilda Matisse.”
“Mi chiamano tutti Pain, tu puoi chiamarmi Benji.”
Io annuisco.
“Va bene, Benji. Posso rimediare in qualche modo al fatto che tu mi abbia dato una mano?”
Lui si gratta la testa.
“Potresti ospitarmi a casa tua? È da un mese che vivo in strada visto che mi hanno sbattuto fuori da casa.”
Io ci penso un attimo, poi annuisco.
“Va bene, seguimi.”
Devo essere matta per portarmi a casa un barbone, ma lui non può essere peggio di Hao, niente può essere peggio di lui.
Arriviamo a casa mia, io butto le chiavi nel pattino vicino all’entrata e mi tolgo la giacca di pelle, lui si guarda attorno.
“Bello qui, posso farmi una doccia e magari avere qualcosa da mangiare.”
“Va bene.
Sparisce in bagno, io intanto gli preparo tre panini molto sostanziosi che lui apprezza una volta lavato.
“Grazie, possiamo parlare un po’, se vuoi.”
Gli dico curiosa, lui annuisce.
“Cosa ci fai per strada?”
“L’orfanotrofio in cui vivevo mi ha sbattuto fuori appena ho compiuto diciotto anni e con questa faccia non riesco a trovare lavoro. Ho un brutto carattere, diciamo. Tu cosa fai nella vita?”
“Traduco manga per una casa editrice, sono stata a lungo in Giappone.”
Lui mi guarda e poi spalanca gli occhi come fulminato.
“Io mi ricordo di te! Eri una del team Hao Asakura.”
“Sì e non mi piace ricordare questo fatto.”
“Ok.”
“Cosa usi come contenitore?”
Lui tira fuori un lungo stiletto dalla tasca dei pantaloni, sul filo della lama c’è scritto qualcosa in italiano che io non capisco.
“C’è scritto “Non ti fidare di me”, l’ha preso mio nonno a un fascista italiano durante la seconda guerra mondiale.”
“Capisco e il tuo spirito chi è?”
Qualcosa inizia a prendere forma e vedo un giovane uomo in divisa militare, probabilmente della prima guerra mondiale.
“Lui è Joshua, in vita era un cecchino infallibile ed era molto bravo con la spada. Per ora vive dentro lo stiletto, spero di procurarmi un pistola presto.”
“Non deve essere facile.”
Lui scuote la testa.
“Serve una pistola d’epoca per far sì che lui sia in grado di dare il meglio, ma per  ora non ho fretta, il nuovo shaman king non ama i conflitti.
Tu lo conosci, vero?”
“Sì, lo conosco.”
“Beata te, avrei voluto partecipare allo shaman fight, ma non sono abbastanza forte e così ho dovuto rinunciare.”
“Hai fatto una buona scelta!”
Sbadiglio.
“Senti, domani è domenica, cosa ne dici se chiacchieriamo un po’ domani?”
Lui annuisce, io gli preparo il divano per la notte e poi vado a letto, non prima di aver scritto alle mie amiche, entrambe mi raccomandano di stare attenta a Benji.
Lo farò sicuramente, anche se per ora non ha ancora fatto scattare i miei allarmi interiori.

 

La mattina lo trovo davanti al frigorifero alla ricerca di qualcosa.
“Buongiorno.”
“Buongiorno, stavo cercando di preparare la colazione.”
“Fai pure. Sono pigra.”
“Capito.”
Fa bollire del latte e lo versa in due tazze, poi ci aggiunge del caffè e trova i biscotti, alla fine serve tutto nel minuscolo tavolino del locale.
Facciamo colazione in silenzio, finito buttiamo le cose nel lavandino della cucina e usciamo a fumarci una sigaretta.
Lui sembra contento.
“Bella Londra vista da qui, non sembra poi così pericolosa.”
“O forse la pancia piena mette di buon umore, io non vivevo a Londra.”
“Lo so che vieni dal Giappone.”
Io scuoto la testa, come al solito mi sono espressa male.
“Prima di andare in Giappone ed entrare bel gruppo di Hao Asakura vivevo in un villaggio sperduto nella campagna.”
“Capisco. Bel salto, vero?”
Io alzo le spalle.
“Beh, un po’. In fondo anche Tokyo è una metropoli ed è bella, anche se i ricordi legati ad essa non molto.”
Lui annuisce.
“Tu come ti sei accorto che eri uno sciamano?”
“All’istituto riuscivo a far sollevare le foglie secondo i miei comandi e ne avevo un po’paura e poi vedevo cose che gli altri ragazzi non vedevano.
Non puoi credere quanti ragazzi e ragazze decidano di uccidersi in un istituto come quello in cui sono cresciuto io.”
“Ne ho una vaga idea, invece. Sono orfana anche io e l’unico motivo in cui non sono finita in un orfanotrofio è stato il fatto che Asakura mi ha trovato prima dei servizi sociali.”
“Come sono morti i tuoi?”
“Ufficialmente per l’esplosione accidentale di una bombola di gas, in realtà la brava gente del paese ha dato fuoco alla casa.
E i tuoi?”
Lui si siede su una delle sedie.
“Incidente d’auto, mio padre aveva il vizio di bere e una sera ce l’ha quasi fatta a far fuori lui e la sua famiglia. Lui è morto sul colpo, mia madre è stata cinque giorni in coma prima di morire.
Torniamo all’essere sciamani?”
“Torniamo.”
“Beh, praticamente a un certo punto mi è stato consegnato lo stiletto come eredità di mio nonno morto, nonostante il parere contrario della direttrice dell’orfanotrofio.
Non dovrebbero girare armi, ma io sono riuscita a girarla sul lato affettivo, del tipo che mi ricordava mio nonno.
La sera stessa è uscito Joshua dallo stiletto e mi ha raccontato cosa ero e mi ha spiegato come controllare i miei poteri.”
“Capisco. Beh, è una storia interessante.
La mia non più di tanto, dopo che sono morti i miei per un po’ mi ha cresciuto una vecchia strega che viveva nella foresta. Mi ha insegnato gli usi delle erbe e un po’ di magia, poi è morta e Hao è arrivato a prendermi.
Mi ha procurato Jack – la zucca intagliata che vedi nell’angolo – e mi ha insegnato a usare i miei poteri, poi mi ha messa in un team con due ragazze che più o meno hanno vissuto le mie stesse esperienze.
C’è stato lo shaman fight, abbiamo combattuto e poi a un certo punto a Spirito of Fire serviva più Furyoku e Hao si è preso le nostre vite. È stata Anna Kyoyama a riportarci indietro e io, insieme alle mie compagne di team, lavoravo per lei.
Poi Hao si è fatto vivo per scopare, mi ha scopato e poi ho scoperto che sua moglie Tamao è incinta e ho levato le tende.”
“Che brutta storia.”
Io scuoto le spalle.
“Così va la vita. Ti va se entriamo?
Inizio ad avere freddo.”
Lui annuisce e ci sediamo sul divano.
“Sei l’unica sciamana della tua famiglia.”
“No. Lo era anche mio nonno e tu, in un certo senso, gli somigli.”
Lui alza un sopracciglio.
“Quando sono venuta a Londra il primo weekend l’ho sprecato andando a rovistare nelle macerie della mia vecchia casa nella campagna e ho trovato il suo diario.
In paese nessuno diceva nulla contro di lui o lo importunava perché ne avevano paura, emanava un’aura indefinita di minaccia, per te è lo stesso.”
“Capisco.
Forse hai ragione, nonostante non sia un armadio pochi vogliono fare rissa con me.”
“Vedi? Anche i non sciamani a volte percepiscono qualcosa, io conosco un non sciamano che vede i fantasmi. È Manta, un amico di Yoh.”
“Capisco, davvero curioso.
Matisse non è un comune inglese, è francese.”
Mio nonno è francese, è arrivato qui durante la seconda guerra mondiale.”
“Era ebreo?”
Scuoto la testa.
“No, non lo era, ma aveva lo stesso attirato l’attenzione dei tedeschi.”
“Come mai?”
“Conosci la famiglia Tao?”
Lui si gratta pensoso il mento.
“Tao.. Quelli dei Kionshi?
Quelli che usano i cadaveri per combattere?”
“Loro. Beh, mio nonno aveva un potere simile ed era stato dai Tao per un po’, come apprendista o qualcosa del genere.
Era un potere interessante agli occhi dei nazisti, almeno anche i morti sarebbero serviti a qualcosa, peccato che mio nonno non avesse intenzione di collaborare.
È riuscito a scappare da Parigi, dove viveva, per unirsi a un gruppo di profughi ebrei diretti verso il Regno Unito. Hanno attraversato di nascosto la Manica con l’aiuto di alcuni pescatori e sono arrivati a Londra, mio nonno si è procurato una stella gialla e ha finto di essere ebreo.
Dopo la guerra è andato a vivere in un villaggio nella campagna, ha incontrato mia nonna e si è sposato. Non ha mai rivelato a nessuno le sue tecniche di combattimento, ha mantenuto la promessa che aveva fatto ai Tao.”
“Capisco.
Credo di capire perché tuo nonno emanasse autorità, serve per controllare i cadaveri, credo.”
“Può darsi!”
Mi stiracchio.
“Usciamo a fare un giro, Benji?”
“Sì, Mathilda.”
Io sorrido.
“Chiamami Match.”
“Va bene Match.”
Mi cambio e facciamo un giretto per Londra, la maggior parte dei negozi sono chiusi e c’è in giro poca gente, ma vale sempre la pena dare un’occhiata al Big Ben.
“Ti piace Londra, eh?”
“Sì, molto. Mi sento così libera.
In una grande città non vengo notata per la mia stranezza, c’è sempre qualcuno più strano di me, e poi posso parlare la mia lingua natale. È stranissimo, perché per anni non mi è mancato parlare inglese, ora invece scopro che mi era mancato.”
Lui non dice nulla.
“Forse perché a volte nella vita un cambio è necessario.”
“Forse sì. Forse per me era arrivato il momento di lasciare il Giappone e non l’avevo capito.”
“Può darsi.”
Lui guarda l’orologio.
“Andiamo a Buckingham Palace, stanno per fare il cambio della guardia!”
“Andiamo!”
Ci prendiamo – un gesto spontaneo – per mano e corriamo verso il palazzo. Io sono incantata dalle uniformi e dalla precisione con cui viene eseguito il rito.
Che bello se mio nonno fosse rimasto a Londra! Forse avrei ancora i miei genitori e magari non avrei mai incontrato Hao.
Mi intristisco.
“Cosa succede?”
“Niente, pensavo che sarebbe stato meglio per tutta la mia famiglia se mio nonno sarebbe rimasto a Londra, ma purtroppo non si può cambiare il passato.”
“Esatto. Vorrei cambiare un sacco di cose, ad esempio impedire a mio padre di bere come una spugna. Negli ultimi tempi ero diventato abbastanza forte da contrastarlo, ma avevo paura.”
“È comprensibile se hai passato la tua infanzia come un punchiball per la rabbia altrui.”
Lui annuisce.
Riprendiamo il nostro giro e ci fermiamo in un parco in cui ci sono parecchie famiglie con prole al seguito. Io e lui puntiamo verso le altalene.
“Benji, mi spingi?”
“Non sei un po’ vecchia per le altalene, Match?”
Mi chiede divertito.
“Eddai!”
“Va bene!”
Inizia a spingermi piano poi aumenta e a me sembra di toccare il cielo con i piedi, mentre il vento muove i miei capelli e mi accarezza il volto. È freddo, ma è piacevole lo stesso.
Vicino a me sento Benji ridere.
“Dai, salta su anche tu!”
“Non so se mi regge!”
“Prova!”
Lui mi dà retta e presto siamo in due sulle altalene per i bambini, sotto lo sguardo stupito della gente presente. Probabilmente qualcuno da un momento all’altro verrà a dirci che le altalene non sono fatte per due della nostra età, ma per i mocciosi, ma per ora ci godiamo il momento.
Finito – grazie alle proteste di un padre agguerrito – ci sediamo su una panchina a guardare le papere, le anatre e i cigni che ci sono nel laghetto.
I cigni sono belli, così eleganti, mi ricordano Hao, io invece sono un’umile papera.
Il brontolio sordo della pancia di Benji mi fa capire che è ora di smettere di contemplare il laghetto e di tornare a casa.
Ci alziamo un po’ a malincuore e torniamo a casa, io mi metto subito ai fornelli, lui invece prepara la tavola in silenzio.
Servo il pranzo e lo mangiamo in un silenzio complice che mi stupisce, come è possibile che io sia così in sintonia con una persona che ho conosciuto solo ieri e che farebbe paura alla maggior parte delle persone?
Forse perché io sono diversa o forse perché le persone sono superficiali.
“Devo trovarmi un lavoro.”
“Come te la cavi con il disegno?”
“Bene.”
“Hai un portfolio?”
Lui annuisce.
“Bene, stasera preparalo e dammelo, credo di avere una mezza idea su cosa farne.”
Lui mi guarda curioso.
“Tipo?”
“Cercano un apprendista tatuatore in un tattoo store vicino alla casa editrice, potrei sempre lasciargli il tuo portfolio e vedere cosa succede.”
“Va bene, sarebbe fighissimo se mi prendessero!”
“Io ci provo.”
Il pomeriggio lo trascorriamo a fare le pulizie al mio appartamento, alla sera siamo stanchissimi e filiamo subito tutti e due a letto. Io prima di mettermi sotto le coperte scrivo a Kanna e Mari, domani leggerò la loro risposta.
Chissà cosa penseranno di questa situazione, forse che sono impazzita del tutto o forse mi diranno che è ok.
Non ne ho idea, ma va bene così, questo non mi impedisce di prendere sonno e per la prima volta da secoli il mio è un sonno tranquillo.
Non ci sono gli incubi in cui rivivo la mia morte e la mia resurrezione, non c’è Hao, c’è solo un grande prato verde in cui cammino scalza e felice.
Finalmente un po’ di pace, mi ci voleva proprio.
 

 

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Capitolo 3
*** 3)Alla scoperta dell'amore ***


3)Alla scoperta dell'amore

 

La mattina dopo mi sveglio di buon umore.
Devo andare al lavoro e la giornata è già grigia e nuvolosa adesso, ma non mi importa. Entro nella camera di Benji e lo scuoto fino a farlo svegliare, lui mi guarda senza capire, gli occhi gonfi di sonno.
“Ben, il portfolio!”
Lui si illumina, si alza di scatto, scalciando via le coperte. Dorme solo in boxer e io non posso  fare a meno di arrossire. È magro, ma ha davvero un bel fisico!
Lui mi porge un album e io cerco di far finta di non essere stata persa nella contemplazione del suo fisico fino al secondo prima.
Lui – ancora mezzo addormentato – per fortuna non se ne accorge.
Io esco dalla stanza mezzo scombussolata, lui ha davvero un bel fisico, ha anche un buon carattere ed è uno sciamano: è perfetto per prendere il posto di Hao nel mio cuore.
Chissà.
Prima di andare al lavoro passo al negozio di tatuaggi, è il mio preferito visto che mi sono fatta tatuare Jack Skeletron sulla spalla lì.
“Ciao, Mathilda. Vuoi farti un nuovo tatuaggio?”
“No, ti ho portato il portfolio di un mio amico che cerca lavoro.”
Rispondo alla segretaria.
“Va bene, lascialo pure lì, gli darò un’occhiata più tardi.”
Io annuisco.
“Grazie mille per avermelo fatto lasciare.”
“Di niente.”
Esco dal negozio e vado al lavoro. Di solito odio il lunedì, oggi non mi pesa particolarmente, molto strano. Lo notano anche le mie colleghe, ma hanno il buon senso di non dirmi nulla, sanno che posso essere piuttosto acida quando non voglio parlare di qualcosa e il mio buon umore non è una cosa di cui voglio parlare.
Durante la pausa pranzo vado a mangiare in un ristorante giapponese in cui non si paga molto, ogni tanto ho nostalgia di Tokyo e questo posto è perfetto per guarirla, un giorno dovrò portarci Benji.
Ecco, sto di nuovo pensando a lui e questa cosa non ha senso, cavolo!
Torno al lavoro e mi concentro sulla traduzione, lasciando per il momento il volto del mio nuovo coinquilino fuori dai miei pensieri. Ho bisogno di tempo per capire cosa sta succedendo e ammetto di avere un po’ paura: non ho mai permesso a nessuno di amarmi.
Il mio terrore è che prima o poi si stanchino del fatto che io sia una strega e mi caccino via, lasciandomi di nuovo sola, in mezzo a una strada.
La prospettiva mi paralizza, non so se questa volta sarei in grado di rialzarmi e tornare a vivere una vita normale. Sono sul filo del rasoio, se venissi rifiutata credo che questa volta potrei semplicemente saltare tra le braccia del Grande Spirito e lasciare che lui si occupi di me.
Il Grande Spirito non spreca nulla, tutto distrugge per creare qualcosa di nuovo.
Pensieri negativi. Anche questa non è una cosa che va bene, devo levarmeli dalla testa, nessuno mi farà ancora così male, non sono più la bambina abbandonata, sono una giovane donna con una casa e un lavoro!
Torno a casa con un gran mal di testa, Benji vedendo la situazione ordina due pizze in modo che non debba cucinare io, che pensiero carino!
Questo ragazzo è davvero un tesoro!
Ho di nuovo permesso ai miei pensieri di focalizzarsi su di lui e non doveva succedere.
“Ti senti bene, Match?
Mi sembri strana.”
“No, non ho nulla, sono solo stanca per il lavoro.
Ho lasciato il tuo portfolio al tatuatore, adesso si faranno vivi loro.”
“Grazie mille, sei davvero una brava persona. Non ho mai trovato nessuno che mi aiutasse così.”
Io arrossisco.
“Ma dai, non esagerare!”
“Esagerare?
Trovami una sola persona in Londra che accolga in casa un barbone di cui non sa assolutamente nulla e che potrebbe essere pericoloso.”
Io arrossisco ancora di più.
“Dai, smettila con le smancerie o ti butto fuori casa!”
Mi rifugio in cucina, seguita dall’eco della sua risata, mi sento così fragile e debole in sua presenza.
Ho sempre odiato sentirmi così, ma stranamente quando mi succede con noi provo anche una punta di felicità, come se avessi ritrovato una persona che conoscevo dopo tanto tempo.
Il suono del campanello mi distoglie dai miei pensieri e corro ad aprire, ritiro le pizze e pago il fattorino.
“Benji, prepara la tavola se vuoi mangiare!”
Urlo, lui esegue immediatamente e poco dopo siamo a tavola a mangiare le nostre pizze, sono davvero buone.
“Come mai hai deciso di farmi venire a vivere da te?”
Io quasi mi strozzo con il mio boccone.
“Non lo so, forse il fatto che anche tu sei uno sciamano e nessuno può essere peggiore di Hao.
Dovresti essere tu ad avere paura di me, il mio furioku è molto più alto rispetto al tuo.”
“Anche questo è vero, ma ho lo strano presentimento che non mi farai niente. Quanti ne hai fatto fuori prima di uscire dalla congrega di Hao e da quanti sensi di colpa sei perseguitata?”
Io abbasso gli occhi, sono perseguitata da parecchi sensi di colpa, ma purtroppo non potevo agire diversamente o Hao mi avrebbe uccisa. Visto che alla fine mi ha uccisa comunque forse sarebbe stato meglio morire da eroina che da gregario.
“Un po’, ma dormo la notte. Sono più cinica di quello che pensi, mi sono perdonata perché ho agito per puro spirito di sopravvivenza, il che non è proprio indice di bontà.”
Lui non mi risponde.
“Non era facile vivere sotto il suo comando.”
“Per la Mathilda dell’epoca lo era, quello che diceva Hao era oro colato, non ho mai messo in discussione nessuna delle sue decisioni o delle sue azioni perché mi sembravano quelle più giuste.
Perché avere pietà per la razza umana dopo quello che avevano fatto a me e ai miei genitori?
Solo quando sono morta ho capito quanti valore abbia ogni singola vita.”
Lui non mi dice nulla per un po’.
“Scusa, credo di averti fatto rievocare momenti che per te non sono piacevoli.”
“Scuse accettate, prima o poi dovrò parlare della mia vita da sciamana sotto il comando di Hao.”
Lui annuisce, non del tutto certo di aver detto o fatto la cosa giusta.
Io sorrido per rassicurarlo, non ho vissuta una bella infanzia e nemmeno una bella adolescenza, ma devo lasciarmi tutto alle spalle.
Hao soprattutto, adesso voglio con tutta me stessa mettere un punto fermo oltre cui lui non si può spingere nella mia vita, non voglio più scopare con lui solo perché non accetto che le cose siano andate avanti.
Adesso capisco meglio anche i comportamenti di Kanna e Mari e mi chiedo perché diavolo non ho fatto così anche io prima. Sono stata davvero una stupida a cadere nella rete di Hao.
Una stupida che non ci ricascherà mai più.

 

Dopo cena guardiamo la tv insieme, stiamo per andare a letto quando suona il telefono.
Sono le dieci,chi diavolo sarà?
Rispondo io, sperando che non sia una sorpresina dal mio passato.
“Pronto?”
“Mathilda, scusa per l’ora tarda, sono Anneliese.”
“La segretaria del tattoo store?”
"Sì, volevo parlarti del portfolio che mi hai lasciato stamattina, Maxi gli ha dato un’occhiata.”
Maxi era il piccolo padrone del negozio. Un ragazzo mingherlino, piano di tatuaggi e con una lunga coda di capelli neri, dietro la sua piccola statura nascondeva un vulcano di energie e dietro l’aria da duro un cuore d’oro.
“Cosa ha detto?”
“Che accetta di prendere questo Benjamin come apprendista.”
“Meraviglioso! Aspetta che ti passo Benji così potrete mettervi d’accordo.”
“Va bene.”
Io appoggio la cornetta al mobile e chiamo il mio coinquilino.
“Benji, ha appena chiamato la ragazza del tattoo store, ti deve parlare.”
Lui prende in mano la cornetta, incerto, ma subito dopo il suo volto si apre in un sorriso felice.
“Non si preoccupi, domani alle nove sarò lì da lei.
Mi farò spiegare la strada da Mathilda, grazie mille per avermi dato un’opportunità.”
Parlano ancora un po’, poi Benji chiude la chiamata e mi solleva da terra facendomi fare una giravolta, finita quella appoggio la testa nell’incavo della sua spalla.
Ha un buon odore, mi piace.
Un po’ imbarazzato mi appoggia di nuovo a terra.
“Grazie mille, Match, senza di te non saprei proprio cosa fare.”
“Prego, figurati e ora andiamo a letto.”
Ci chiudiamo ognuno nelle propria stanza, ognuno con i suoi pensieri. I miei sono contraddittori,da una parte vorrei che il nostro rapporto diventasse qualcosa di più, dall’altra ho paura.
Chissà cosa pensa lui?
Forse che è stato molto fortunato a trovare me sulla mia strada, sicuramente mi è grato, ma non so come mi consideri dal punto di vista fisico.
Una bella ragazza?
Una nella media?
Una che non si farebbe mai?
Boh, perché mi interessa poi?
Mi tiro la coperta sulla testa e tento di addormentarmi, ma mi riesce difficile con tutti questi pensieri contradditori in testa.
Alla fine cedo al sonno stremata.
La mattina dopo vengo svegliata da un Benji su di giri, prepara lui la colazione, mentre io mi trascino in bagno come uno zombie. Lui ha energie da vendere, saltella per tutta la casa, parla a macchinetta, sembra un bambino il giorno di Natale.
“Benji, sembri un pupazzo a molla, solo che devo trovare la leva per spegnerti.”
Lui ride.
“Non la troverai, non la troverai.”
“Non so se sia un bene o un male. Sono sicura che oggi farai bella figura con tutta questa energia.”
Lui ride.
“Spero di sì. È la prima volta che qualcuno mi dà fiducia per fare qualcosa.”
Io sorrido.
“Sono sicura che te la caverai.”
Conosco la sensazione che si prova quando qualcuno finalmente ti dà fiducia, dopo una vita passata ai margini – scansata da tutti – e so che è bellissima. Sono felice che la provi anche il mio nuovo amico.
Ci vestiamo ed usciamo, incrocio la padrona di casa sulle scale e la saluto, lei guarda per un attimo Benji poi sorride. Forse non farà problemi per il nuovo inquilino.
Io e lui saliamo in macchina e mentre guido gli spiego la strada da fare, lui si guarda attorno per memorizzare e annuisce. Lo lascio fuori dal tattoo store, lui mi abbraccia un’ultima volta  ed entra, in quanto a me arrivo alla casa editrice e mi metto subito al lavoro, c’è una montagna di carta stamattina sulla mia scrivania.
“Ah, sarà un lunga mattinata!”
Esclamo teatralmente prima di mettermi a sbrogliare la matassa, con metà cervello che si sta chiedendo come se la sta cavando Ben.
Decido di escluderlo dalla mia mente, so che a mezzogiorno si farà sentire, così il lavoro fila spedito, la montagna arriva all’altezza di una collina.
A mezzogiorno ricevo un messaggio, il mittente è Benji.

“Ciao Match, ti va se ci vediamo per pranzo?
Almeno ti posso raccontare qualcosa e poi non sono molto pratico della zona.”

Io rispondo subito.
“Va bene, ti vengo a prendere al tattoo store a mezzogiorno e mezza circa, spero sia andato tutto bene, punk grande e grosso <3.”
A mezzogiorno e mezzo entro in pausa pranzo e declino l’invito delle mie colleghe a pranzare con loro, salgo in macchina e trovo Benji che ciondola davanti alla vetrina del tattoo store.
Il suo essere così alto lo rende poco coordinato nei movimenti e fa tenerezza, io scendo dalla macchina e vengo travolta dal suo abbraccio.
Lui inizia a parlare a macchinetta e io gli appoggio un dito sulle labbra, arrossendo.
“Ehi, aspetta almeno di arrivare in macchina.”
Gli dico allegra.
“Va bene.”
“Posso chiederti una cosa? Come fai di cognome?”
“Wargrave, la tizia che me l’ha dato era un’appassionate lettrice di Agatha Christie.”
“Umh, vero! Wargrave è il nome del giudice pazzo di “Dieci piccoli indiani.””
Entriamo in macchina e lui inizia a parlare, mi descrive accuratamente Maxi e Anneliese, la segretaria. Mi dice che è tedesca, io non lo sapevo.
Dice che lo hanno trattato molto bene e che gli hanno fatto provare a tatuare, sono così felice di vederlo al settimo cielo.
Ci fermiamo in un bar poco lontano dalla casa editrice e ordiniamo due hamburger e patatine.
“Davvero, mi hanno fatto persino tatuare e non mi hanno fatto pesare che sono così… strano.
Maxi, poi è davvero un mito, un piccoletto pieno di energia, vorrei che mi tatuasse qualcosa, ma non so cosa.
Di solito quelli come me si tatuano homesick sulla mano, ma io non ho nostalgia dell’istituto.”
“Un’ancora? Un’qualcosa a tema alieno o spaziale?”
“Non è una pessima idea. Ci devo pensare.
Voglio diventare sempre più bravo e un giorno aprire un’attività mia, voglio fare qualcosa che mi renda orgoglioso di me stesso.”
“È davvero un buon proposito!”
Esclamo colpita.
Era da molto tempo – escluso il caso di Anna e Yoh – che non sentivo un buon proposito, ho sempre vissuto tra gente che voleva conquistare il mondo o odiava l’umanità. L’ho odiata anche io per un certo periodo e certe volte la odio anche io, ma molto meno rispetto al passato.
Stare con Yoh e Anna mi ha cambiato, prima avrei demolito l’idea di Benji, adesso lo ascolto partecipe, pensando che si merita tutte le cose che elenca.
Si merita di riuscire ad aprire un suo negozio.
Si merita una vita normale.
Si merita una ragazza.
E su quest’ultimo punto una vocina sconosciuta mi sussurra che non sarebbe male se fossi io la sua ragazza. Io sorrido dentro di me, non sarebbe affatto male, ma è ancora presto e poi potrei non piacergli.
Do un’occhiata all’orologio, il tempo è volato e dobbiamo tornare tutti e due al lavoro.
“Ehi, Benji, dobbiamo tornare a lavorare.”
“Vero. Cosa ne dici di uscire a cena stasera?”
 Io arrossisco.
“È una specie di appuntamento.”
Lui mi guarda sorpreso.
“No, solo per festeggiare il mio nuovo lavoro.”
“Ok, va bene. È una buona idea.
A proposito hai mai avuto una ragazza, Benjamin?”
“Sì, ma erano solo storie poco serie.
Il grande amore non è arrivato, non ancora.”
E con questa frase smette di parlare e mi guarda intensamente negli occhi come per dirmi qualcosa, per un attimo esistono solo i miei occhi viola e i suoi occhi scuri.
Poi la bolla si rompe.
“Andiamo a pagare.”
Dico piuttosto scossa, che gli interessi?
Che quello che inizio a sentire sia ricambiato?
Non lo so, ma lo scoprirò presto, spero. Non amo vivere nel dubbio e nell’incertezza, è qualcosa che mi logora dentro. L’ho già sperimentato in passato e non voglio ripetere l’esperienza.
In questi momenti vorrei avere il potere di leggere nella mente delle persone come Hao, ma poi penso a come questo potere l’abbia reso folle e mi passa la voglia.
Se c’è qualcosa da scoprire, lo scoprirò a tempo debito.
Riporto Benji al tattoo store e io me ne ritorno alla casa editrice, il non essere andata a mangiare con i miei colleghi ha sollevato un’ondata di pettegolezzi.
Mi chiedono tutte se ho un ragazzo, io rispondo che ho solo un coinquilino che fortunatamente è riuscito a trovare lavoro. A giudicare dalle occhiate che mi lanciano non mi hanno creduto minimamente.
Che palle!
Il mio coinquilino è l’argomento delle chiacchiere del pomeriggio, cosa che mi annoia parecchio, ma che forse è normale: sono giovane e carina – credo – e  si aspettino che io abbia un ragazzo e Benji non sarebbe male.
Arrossisco come una quindicenne all’idea.
Finito il mio orario di lavoro passo a prendere Benji e andiamo a casa.
Faccio la doccia e mi preparo, indosso una gonna a fantasia scozzese, una maglia nera e una felpa dello stesso colore, in onore alla festa indosso un paio di paio di scarpe a tacco alto.
Lui invece è sempre il solito, jeans stretti, maglia e felpa stracciata e chiodo, però apprezza le mie scarpe, dice che sembro Nancy.
Andiamo a mangiare in un piccolo ristorante italiano non molto costoso che ho scoperto un mese dopo il mio arrivo a Londra.
“Che posto carino hai scelto!”
Mi sorride Benji.
“Carino e soprattutto economico. Dai, sediamoci!”
Seguiamo la cameriera e ci sediamo a un tavolo vicino alla finestra, ha una tovaglia a quadretti rossi e bianchi e dei tovaglioli bianchi.
Ordiniamo una margherita, ma Benji sembra a disagio.
“Cosa c’è?”
Gli chiedo.
“Non ti piace il posto?”
Gli chiedo con una punta d’ansia eccessiva.
“No, tutt’altro. È molto bello, solo che non sono mai uscito a mangiare prima d’ora. Ho sempre mangiato solo all’istituto.”
“Capisco. Forse sarebbe stato meglio festeggiare a casa.”
Lui sorride.
“Nah, non badare a quello che dico, qui va benissimo.”
“Ok, allora come è andata oggi?
Dai, racconta per bene.”
Lui inizia a parlare a macchinetta, continuando il racconto iniziato oggi al bar, è felice e si vede e io non posso fare a meno si sorridere. Sono felice di aver fatto del bene, soprattutto a lui.
Ogni volta finisco per pensare  a Benji, è come se una forza invisibile mi spostasse verso di lui e in fondo non mi dispiace davvero tanto.
Mangiamo e chiacchieriamo come vecchi amici e un paio di volte le nostre mani si sfiorano per caso e percepisco una lieve scossa elettrica.
Oh oh.
Questa è attrazione, Match.
Io sorrido e mi dico che va bene, che questa attrazione è sana, non ha nulla dell’incantesimo che mi rendeva succube di Hao.
Usciamo dal ristorante e passeggiamo un po’ vicino al Tamigi, guardando le luci della città che si riflettono nell’acqua e le chiatte che passano pigre.
Senza nemmeno accorgersene siamo mano nella mano come due fidanzati, mi piace il contatto con la sua mano calda e grande, mi rassicura.
Lui non cercherà mai di cambiarmi o trasformarmi in un burattino nelle sue mani, a lui piaccio per come sono.
“Ahia!”
“Che c’è?”
“Mi fanno male i piedi! Non sono abituata a portare i tacchi!”
Lui ride e si inginocchia davanti a me.
“Togliti le scarpe che ti porto a spalla.”
Io divento viola, ma alla fine faccio quello che mi dice. Salgo sulle sue spalle, avvolgo le scarpe in un foglio di giornale e le ficco in borsa, poi mi stringo al suo collo e alla sua vita.
“Si parte, madame!”
Io scoppio a ridere.
Tutti i passanti ci guardano male, ma io sento di stare benissimo.
Erano secoli che non mi sentivo così bene.
Credo che anche per il mio cuore martoriato sia arrivato il tempo dell’amore.

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Capitolo 4
*** 4)Meg ***


4)Meg

 

Arrivare a casa dopo una bella serata di solito è triste, ma se vivi con la persona che te l’ha regalata questo sentimento scompare.
Io e Benji arriviamo a casa nostra, io salgo a piedi nudi, lui ridacchia come un demente, abbiamo urlato frasi senza senso a tutti i passanti che ci capitavano a tiro.
Fuggivano tutti terrorizzati, ovviamente, vista la stazza del mio “amico”. Estraggo le chiavi ed entriamo nel salotto.
Io mi appoggio alla porta e lui si avvicina a me, ha uno sguardo strano, serio. Senza dirmi nulla, mi dà un bacio delicato sulla bocca, non prova nemmeno ad approfondirlo.
Io lo guardo e – seguendo il mio istinto – lo attiro a me e lo bacio sempre con dolcezza, ma approfondendo, lui rimane e lei sue mani mi stringono più forte sui fianchi.
Ci stacchiamo solo quando non abbiamo più fiato, rimaniamo comunque vicini, io abbasso il volto, lui me lo rialza gentilmente.
“È dalla prima volta che ti ho visto che volevo farlo.”
Io sorrido.
“Mi piaci molto.”
“Anche tu, Match.”
Mi accarezza il volto e mi sposta una ciocca.
“E adesso?”
“Adesso, cosa?”
“Mi butti fuori?”
“No di certo!”
Gli prendo una mano tra le mie.
“Ti va se dormiamo insieme?
Senza fare niente, così.”
Lui mi guarda per un attimo e poi annuisce.
“Non mi era mai capitato prima, di solito io cerco ragazze solo per fare sesso.
Tu sei diversa, non so perché, lo sei e basta.”
Io lo guardo piacevolmente sorpresa.
“Che bella frase! È la prima volta che me la sento dire.”
Mano nella mano ci avviamo nella mia camera da letto, dotata di un comodo letto matrimoniale, ci spogliamo e ci mettiamo sotto le coperte.
A Londra fa freddo e ci abbracciamo stretti stretti, lui emana un calore piacevole.
“Sei fredda!”
Esclama lui, massaggiandomi la schiena.
“Lo so. Forse non mi sono ancora abituata al clima.”
“Uhm, una vera inglese si abitua subito!”
Dice lui scherzando e io rido con lui.
“Forse puoi aiutarmi a farmi ambientare, che ne dici?”
“Che è una proposta molto interessante.”
Mi risponde sbadigliando e poi seppellendo la faccia nel collo, tra i miei capelli sciolti.
“Che buon odore!”
“Merito dello shampoo naturale che uso io.”
Lo sento annuire, poco dopo il suo respiro si fa pesante: si è addormentato.
E così ho una specie di ragazzo, ho il cuore che mi scoppia dalla felicità, finalmente sento che la mia vita sta andando avanti in qualche modo lontana da Hao.
Ce la sto facendo, lentamente, ma ce la faccio.
Sono orgogliosa di me stessa.
Mi addormento così, positiva.
Mi risveglio tra le sue braccia e noto che sta sorridendo, con gentilezza lo scuoto e gli indico l’ora, siamo quasi in ritardo per il lavoro.
Lui sobbalza, mi dà un bacio e insieme corriamo a prepararci, rinunciando alla colazione, e poi ci infiliamo in macchina.
Lo scarico davanti al suo negozio, dopo averlo baciato, infine mi reco alla casa editrice senza fiato.
Mi sono appena seduta alla scrivania che il mio cellulare vibra,

Buongiorno, piccola.

Ti va se ci vediamo a pranzo? Decidi tu il posto.

Ti amo.”

Io sorrido e digito rapida una risposta prima di mettermi al lavoro.

Ciao, Benji!

Sì, va bene. Non vedo l’ora che sia ora di pranzo.

Ops, ho fatto un casino con le parole.

Potremmo andare dove siamo andati ieri, che ne dici?

Ti amo anche io”

La risposta arriva subito dopo.

Va benissimo.

A dopo <3!”

“A dopo <3 <3!”

Mi metto al lavoro sorridendo, particolare che non sfugge alle mie colleghe, che così possono ricamare ancora un po’ sul mio fidanzato.
Che lo facciano pure, io non ho intenzione di dire una parola su Benji prima che le cose si siano fatte più stabili.
La mattina trascorre tranquilla, traduco quello che serve, lo passo a chi si occupa di metterlo nei balloon e penso che la mia vita stia prendendo una bella piega.
A mezzogiorno e mezza scatta la pausa pranzo e io – ancora una volta – me ne vado via da sola, rifiutando cortesemente l’invito delle colleghe.
Salto in macchina e Benji non è fuori dal tatuatore, così entro in negozio. Anneliese mi sorride e i mi siedo su un divanetto davanti al bancone.
“Aspetti Benji?”
“Sì, come la sta cavando?”
“Bene, Maxi è soddisfatto.”
“Sono contenta.”
Lei mi guarda attenta.
“Oh, ma qui c’è sotto qualcosa!
Tu sei la ragazza di Benji.”
Io arrossisco.
“Beh, c’è qualcosa, ma non abbiamo ancora deciso i termini.”
Lei sorride.
“Ti auguro buona fortuna, lui è un bravo ragazzo!”
“Lo è, spero che mi vada bene per una volta.”
Poco dopo esce Benji accompagnato da Maxi, si illumina quando mi vede.
“Ciao, scusa per il ritardo, ma una seduta si è rivelata più lunga del previsto.”
“Non ti preoccupare.”
“Posso andare adesso, Maxi?”
Lui annuisce.
“Certo, a dopo Ben, ciao Mathilda.”
Io e Benji usciamo mano nella mano, è stato lui a prendermela e il gesto mi ha fatto un immenso piacere.
“Scusa per il ritardo.”
“Ti sei già scusato, non mi sono arrabbiata comunque, so quanto vale per te il tuo lavoro.”
“Grazie, penso che Anneliese mi bombarderà di domande.”
“Anche le mie colleghe lo faranno.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Cosa diremo loro? Non abbiamo ancora definito cosa siamo.”
“Io dirò a Anneliese che tu sei la mia ragazza, se per te va bene.”
Io mi illumino letteralmente e gli salto in braccio.
“Va benissimo.”
Lui sorride e mi porta in braccio fino alla macchina.
Mi depone e io entro dalla parte del guidatore, lui non ha la patente, e metto in moto, lui si allaccia la cintura e partiamo.
Andiamo al nostro solito bar e ordiniamo due panini.
“Anneliese mi ha detto che Maxi è molto soddisfatto di te.”
Lui sorride.
“Beh, sono felice. Nessuno è mai stato soddisfatti di me prima di allora, all’istituto ero la pecora nera.”
“Ti capisco, prima di incontrare Kanna e Mari mi sentivo allo stesso modo, anche adesso ogni tanto mi sento così. Mi mancano i miei genitori, ogni tanto li sogno. Sogno di quando vivevamo al nostro villaggio e mia madre preparava i muffins alla mattina presto o quando mio padre mi spingeva sull’altalena del nostro giardino.
Tutto andato, perso e distrutto oramai.”
Dico amara.
“Io i miei manco me li ricordo. Ho una loro foto che tengo nel portafoglio, ma non ho nessun ricordo. I miei ricordi partono tutti da quella merda di orfanotrofio in cui mi hanno sbattuto.
Ci credi che nessuno dei miei parenti voleva prendersi cura di me?”
“Oh, ci credo. Nemmeno i miei parenti si sono voluti prendere cura di me.”
Lui dà un morso al suo panino.
“E tu cosa hai fatto?”
Io alzo le spalle.
“Una notte sono scappata dall’istituto e sono tornata a casa mia, fortunatamente per me c’era in giro una vecchia e mi ha preso sotto la sua protezione.
Abitava nel bosco, non aveva parenti, si faceva viva solo per la spesa e la pensione, era una strega anche lei e mi ha insegnato quello che sapeva.
Poi è morta anche lei e mi ha trovato Hao, forse sarebbe stato meglio se mi avessero ritrovato i servizi sociali.”
“Non lo so. Sono brutte cose tutte e due.”
Io annuisco, lui mi stringe la mano.
“Almeno sappiamo cosa significa essere non voluti e possiamo capire i problemi dell’altro.”
“Magra consolazione!”
Esclamo io finendo il mio panino.
“No, beh, è importante.”
“In un certo senso ha ragione, ma è comunque triste.”
Lui mi guarda negli occhi.
“Ma ce la faremo.”
Io sorrido.
“Giusto, ce la faremo.”
 

La prima settimana da conviventi passa senza problemi.
Lui dissemina la casa di piccole attenzioni per me e  io faccio lo stesso, ci andiamo cauti, tutti e due abbiamo un po’ paura. Forse lui ne ha più di me, i ragazzi di quell’età di solito vogliono solo scopare e forse lui ha paura di una storia seria che implichi sentimenti.
Per me è più o meno lo stesso, ho paura di lasciarmi andare e non sono un’esperta di relazioni, per fortuna ci sono Kanna e Mari. Mi tengo in contatto con loro e soprattutto Kanna – essendo la più grande – mi dà qualche consiglio.
Forse però ce la stiamo cavando bene perché non ci sono stati litigi e tutto sembra filare liscio.
Speriamo che duri.
Ormai è sabato pomeriggio, stasera potremmo uscire a fare un giro.
“Senti, Benji, cosa ne dici se torniamo in quel locale dove ci siamo conosciuti?”
“Uhm, sì. Perché no?
Mi hanno detto che la band che si esibisce stasera è brava.”
“Perfetto, allora è andata!”
Lui annuisce.
Io preparo la cena, mangiamo tranquillamente e poi ci prepariamo. Lui si veste come la prima volta che l’ho visto, io metto un paio di pantaloni pieni di cerniere, una maglia nera con un teschio e una felpa senza maniche, anfibi e il mio chiodo di pelle nera.
“Stai bene così, non te le metti mai le gonne?”
Chiede ridendo.
“No, sono un po’ a disagio,  ma magari posso provare a vincerlo.”
“Sarebbe bello, ma magari un’altra volta. Adesso dobbiamo andare!”
Io alzo le braccia verso l’alto.
“Giusto! Ci aspetta una notte di divertimento.”
Lui mi sorride e io chiudo la porta di casa, poco dopo sto guidando al locale cantando una canzone dei blink, lui si mette a cantare con me.
Parcheggio e scendiamo mano nella mano, il locale è molto affollato quindi la band deve essere effettivamente brava.
Entriamo a malapena e ci buttiamo subito in pista, nel pogo vengo separata da Benjamin e lo cerco. Lo trovo con una tizia con una cresta appiccicata addosso, cosa diavolo vuole dal mio ragazzo quella?
Riesco ad arrivare vicino a lui e mi piazzo tra lui e la ragazza.
“Benji è già impegnato, gira al largo!”
Lei scoppia a ridere.
“Benji non è impegnato, Benji è mio e lo sarà sempre, tu sei solo una stupida parentesi!”
Detto questo se ne va ridendo, io rimango di ghiaccio.
“Cosa significa?”
Mi volto verso il mio ragazzo, ma lui abbassa gli occhi, io sgrano i miei – come un cervo davanti alla macchina che lo investirà – e poi giro i tacchi ed esco dal locale.
Non me ne frega niente della macchina, mi metto a correre lontano da quel posto ed entro nel primo locale che trovo. Vado spedita verso il bancone e ordino un bicchiere di vodka e poi un altro e un altro ancora.
Alla fine ne bevo troppi e mi ritrovo a barcollare, perciò mi siedo su uno degli sgabelli e chiedo ancora alcool.
“Non glielo serva.”
Ordina una voce dietro di me: Benji.
“Cosa ci fai qui? Vai da quella con la cresta e non rompere il cazzo, tanto sei suo, no?
Un’altra vodka!”
Il barista me la serve e Benji me la toglie dalle mani.
“Smettila di rompere il cazzo, ridammi da bere e togliti dalle palle e dalla mia vita!
Avresti dovuto dirmi che eri impegnato!”
Bevo la mia vodka ed esco dal locale, lui mi segue.
“Match..”
“Mathilda!”
Lo correggo tagliente.
“Mathilda lasciami spiegare!”
“La tua amica è stata abbastanza chiara, adesso voglio solo andare a casa, domani fa sparire la tua roba!”
“Mathilda, un tentativo di spiegare me lo devi!”
“Vaffanculo!”
Gli urlo a mo’ di risposta.
Raggiungo a piedi il mio appartamento e mi butto a letto non prima di aver bevuto due aspirine, domani mattina mi eviteranno un bel mal di testa.
Mi addormento subito, alle nove, con la verve di un cadavere mi trascino in bagno e poi in cucina,dove trovo Benji, ha le occhiaie quindi non ha dormito.
Chi se ne frega!
Gli passo accanto indifferente, lui però mi afferra per un polso e mi fa sedere in braccio a lui.
“Cosa vuoi?
Ti sei già preso quello che volevi.”
“No.”
“Cosa vuoi? Buttarmi fuori casa e venirci a vivere con la tua troia!”
“Non è la mia troia!”
Io sbuffo.
“Smettila con le bugie! Hai tenuto il piede in due scarpe e hai sfruttato me per avere una casa. Bravo, ci sei riuscito!
Adesso mollami!”
Lui non accenna a farlo.
“Ti prego, lasciamo almeno provare a spiegare, ti prego.”
Io sospiro e mi massaggio le tempie, da una parte vorrei ascoltarlo, dall’altra una voce maligna mi dice che perderei il mio tempo facendolo.
“Va bene, fallo se devi, ma sbrigati.”
“La tizia, che si chiama Meg, non è la mia ragazza. Lei crede di esserlo perché l’ho scopata un paio di volte quando ero in istituto, ma poi gliel’ho detto che era finita.
Te lo giuro che gliel’ho detto, è lei che non vuole capire.
Non mi interessa nulla di Meg, sono venuto a cercare te e non sono rimasto con lei e ti giuro che non sto facendo tutto questo per la casa.
Avrei potuto chiedere ospitalità a qualcun altro, non ti sto sfruttando.
Quando ti ho detto che ti amavo non scherzavo, sei la prima ragazza che mi fa questo effetto.
Sei la prima per cui metto da parte il sesso e mi godo la compagnia e non potrei vivere senza le tue facce buffe o i tuoi commenti sempre un po’ acidi.
Ti prego, Match, dammi un’altra possibilità.”
“Come faccio a fidarmi?”
Lui mi guarda  fisso negli occhi e io mi perdo in quei dannatissimi occhi scuri, che sono sinceri come non mai. Ho visto più volte la menzogna all’opera, ma mai tanta purezza d’animo.
Abbaglia così tanto da farti rimanere cieco.
In fondo con Hao non ho sperimentato solo che bugie perché non provare a dare una possibilità alla verità e a questo ragazzo?
“Non c’è un modo per farti fidare di me, deve venire da te.”
Io rimango in silenzio.
“Voglio crederti…
Io… Io … Mi hai resa debole con la storia dell’amore e della fiducia, anche se sono ancora arrabbiata perché quella tizia ti stava parlando, non posso fare a meno di te.
Mi fido, tu non la cercherai più e se te la troverai davanti…”
“La caccerò via, te lo giuro.“
Mi abbraccia e io seppellisco la mia testa nell’incavo della sua spalla, mettendomi improvvisamente a piangere, probabilmente per sfogare la tensione.
Lui mi stringe di più e mi sussurra che andrà tutto bene, che non succederà più nulla di simile, che non vuole perdermi.
Il fatto che qualcuno non voglia perdermi è destabilizzante, io sono sempre stata una pedina senza valore, sacrificabile senza troppi rimorsi di coscienza.
Il campanello suona all’improvviso, andiamo tutti e due ad aprire e ci troviamo Meg con tutta la sua merda.
“Beh, visto che il mio ragazzo vive qui devo seguirlo.”
La sua faccia mentre Benji le chiude la porta in faccia è qualcosa di impagabile.
“Non sono più il tuo ragazzo! Sono secoli che te lo sto dicendo e siccome adesso ho davvero una ragazza che  mi ama, vattene!
Non ti voglio più vedere, Meg!”
Dall’altra parte della porta si sentono solo insulti, chissà cosa si aspettava?
Che le aprissi la porta e le stendessi il tappeto rosso?
Non sono mai stata quel genere di ragazza, preferisco conservare i tappeti rossi e le premure per chi se li merita.
“Pensi che si farà viva ancora?”
Chiedo a Benji.
“Forse con me, ma non credo che verrà ancora a bussare a questa porta.”
“Meglio o le avrei cambiato i connotati.”
Ringhio minacciosa, sottovoce,  lui ride.
“Tranquilla. Adesso ci occupiamo del tuo post sbronza e della colazione.”
Mangiamo insieme i nostri cereali e poi lui mi dà un’aspirina, secondo lui fa miracoli e io decido di fidarmi.
Sono circa le sette e mezza di mattina di una piovosa domenica londinese, è un orario assurdo, uno di quelli che si devono passare a letto.
Sbadigliando, prendo Benji per mano e lo trascino in camera mia, dove ha sempre dormito da quando ci siamo messi insieme.
“Io ho sonno e penso che sia completamente folle stare in piedi alle sette e mezza del mattino di domenica, cosa ne dici se ci facciamo una dormitina in attesa che arrivi un orario più civile?
Lui sorride.
“Dico che è una buonissima idea.”
Ci infiliamo sotto le coperte e la sua presa è particolarmente salda.
“Mi è mancato tanto stringere questo corpicino.”
Sussurra lui, mezzo addormentato.
“Benji, ti amo.”
“Anche io.”
Risponde lui sorridendo.
Questo sì che  è un bel modo per salutare le sette e mezza di mattina domenicali.

 

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Capitolo 5
*** 5) Addio, Hao ***


5) Addio, Hao

 

I mesi passano velocemente da quando Benji ha messo alla porta Meg.
Lei ci ha provato ancora e ancora a infilarsi nel nostro rapporto, ma lui non le ha mai dato retta e dopo un paio di scherzetti che le ho tirato con la mia abilità magica ha capito che non era il caso di continuare.
A volte un po’ di sano voodoo risolve molte situazioni scomode o difficili, Benji deve avere intuito qualcosa perché quando la stronza ha smesso di farsi vedere è scoppiato a ridere e mi ha guardato complice.
Io non ho battuto ciglio, eccetto per un piccolo sorriso sardonico.
In ogni caso Natale si avvicina ed è molto diverso rispetto al Natale giapponese, innanzitutto è una festa e non si lavora e poi non è il genere di festività che si trascorre con il proprio ragazzo.
Natale è la festa della famiglia per eccellenza, famiglia che io non ho più.
Mi mette leggermente tristezza, ma non oso esternarla perché Benji sembra di buon umore e non capisco perché.
È una domenica fredda di dicembre, la nebbia e il freddo la fanno da padrone per strada, io sono sdraiata sul divano avvolta nel mio plaid, mentre Benji suona la sua chitarra in camera.
All’improvviso il suono cessa e lui arriva in salotto con un sorrisone che gli va da un orecchio all’altro.
“Che succede?”
“Dai, andiamo a prendere l’albero di Natale e le cose per decorare la casa.”
Io appoggio il mio libro ed esco rabbrividendo dalla coperta.
“Se ci tieni tanto ci andiamo, adesso vado a cambiarmi.”
Lui annuisce, io tolgo la felpa e i pantaloni della tuta per mettermi un paio di jeans, una maglia nera e una felpa di Jack Skeleton.
Il tempo di mettere gli anfibi, il cappotto e di prendere il cappotto che lui mi sta già trascinando per le scale. Saliamo in macchina e sembra eccitato come un bambino.
“Come mai tutta questa agitazione?”
“Perché è la prima volta che posso decidere io con cosa decorare casa mia e non con cose che sono state donate all’istituto nell’45 o giù di lì.”
“Capisco. Ma sì! Andiamo alla ricerca di qualcosa per decorare l’appartamento!
Partiamo dall’albero.”
Ci fermiamo in un grande negozio di bricolage e passeggiamo mano nella mano tra gli scaffali, le cose per il Natale sono tra le prime.
Ci sono alberi di plastica di diversi colori, io mi incanto davanti a un albero bianco.
“A me non piace, io sono più per il verde!”
Protesta Ben.
“Mannò! Immaginati che il bianco sia la neve, un magnifico abete carico di neve!”
“Magari nella campagna. Che ne dici? Ci facciamo un giro in campagna dopo Natale?”
“Uhm, perché no? A patto di stare lontani dal mio villaggio.”
“Giuro solennemente!”
Alla fine prendiamo l’albero bianco e delle decorazioni e festoni blu, viola e argentati, una bella stella cometa argentata e un piccolo presepio con le lucine.
Arrivati a casa scegliamo il posto migliore per mettere l’albero e lo montiamo, poi iniziamo a mettere le lucine. In seguito mettiamo i festoni e le palline e come ultimo tocco finale la stella argentata.
Mi sembra un buon risultato.
Il piccolo presepio finisce su un mobile del salotto, le lucine in avanzo vanno in terrazza e sul nostro letto, mi piacciono così tanto che ho una mezza idea di lasciarle lì per sempre, danno un tocco magico al tutto.
“Che belle!”
Urlo in preda all’entusiasmo, Benji annuisce e rimaniamo un po’a osservarle con lui che mi abbraccia da dietro.
Ho una bellissima sensazione di calore che mi sale dal fondo dell’anima e che mi rende felice come non mai.
Ho come l’impressione di essere troppo felice e che presto qualcosa arriverà a interrompere il mio buon umore.
“Bello quel letto, Mathilda. Hai sempre avuto un gusto strano, ma elegante.”
Al suono della sua voce mi irrigidisco nelle braccia di Benji e non ho il coraggio di girarmi.

Lui non può essere qui, lui deve essere a Tokyo con Tamao incinta a badare alla sua famiglia, non ha tempo da perdere con me.
“Mathilda, non saluti i vecchi amici?”
Questa volta mi giro e mi trovo davanti Hao e il suo sguardo ammaliatore, che però questa volta non fa effetto. Non mi paralizza, non annulla la mia volontà, scorre via come acqua sulle pietre.
“Buonasera Hao, trovo eccessivo definirci amici.”
“Eppure lo siamo.”
“No, non lo siamo.”
Lui guarda Benjamin.
“Interessante scelta, ma non importa: tu vieni a Tokyo con me.”
“No, non ho intenzione di seguirti.
Torna dalla tua famiglia, non hai bisogno di me.”
“Sì, invece e tu hai bisogno di me, non di questo ragazzino.”
Io stringo i pugni.
“Non è un ragazzino e io non ho bisogno di te! Io non voglio essere la tua amante!”
La voce mi esce tagliente, Hao sembra colpito, prima stupito e poi arrabbiato.
“Dunque tu ti rifiuti di eseguire i miei ordini?”
“Sì, non sono più dalla tua parte da tanto tempo, Hao.
Dovresti saperlo, la mia lealtà va a tuo fratello e ad Anna.”
“Sei solo una stupida ragazzina!”
So cosa sta per fare così lo faccio anche io e anche Benji, in un attimo la stanza è piena di tre spiriti: spirito of fire, Jack e quello di Ben.
“Mathilda, contro di me?
Che speranze hai?”
“Nessuna, ma tu non mi userai ancora!”
Lo vedo stringere i denti, dopo di che sento uno spostamento d’aria e accanto a me appaiono Kanna e Mari con i loro spiriti.
“Doveva essere una sorpresa, direi che è ben riuscita!”
Commenta caustica Kanna.
“Anche voi?”
“Anche noi!”
Hao ci guarda incredulo per un altro lungo attimo, forse vorrebbe attaccare, ma la voce di Yoh – chiara dentro la nostra testa – ordina al fratello di lasciarci in pace e di tornare in Giappone immediatamente.
Lui si allontana a testa bassa.
“Non tornare, non sono più tua. Pensa a Tamao e alla creatura che porta in grembo, lascia stare me.”
“Ogni tanto si perde.”
Commenta gelido prima di andarsene del tutto da casa mia.
 

Dopo un ciclone c’è sempre un clima strano: ci sono macerie  e ci sono persone che vagano instupidite alla ricerca di qualcosa o senza nemmeno avere realizzato a pieno quello che è successo.
Questo è quello che è successo in camera mia, io, Benji e le mie amiche ci fissiamo con uno sguardo un po’ vitreo, increduli su come siamo riusciti a scampare alla morte.
Sfidare Hao corrisponde alla morte e noi l’abbiamo scampata bella.
“Ragazze, come mai qui?”
“Niente, siamo venute qui per festeggiare il Natale e vedere come te la cavavi e soprattutto il famoso Benji.”
Io rido, mezza isterica.
“Invece vi siete trovate davanti il vostro peggiore incubo.”
Continuo a ridere isterica, Marion, Kanna e Benji si lanciano uno sguardo, Mari mi trascina in salotto e mi fa sdraiare sul divano. Poco dopo Kanna e Benji arrivano con un bicchierino di whisky e me lo fanno ingurgitare a forza. Solo quando il liquido ambrato raggiunge la mia gola torno in me.
“Non ci posso ancora credere.”
“Nemmeno noi. Abbiamo sfidato Hao e siamo sopravvissute.”
Rimaniamo un attimo in un silenzio imbarazzato, poi cerco di alzarmi in piedi – nonostante sappia di essere pallida e poco stabile – e indico Benji.
“Ragazze, lui è Benji.”
Loro due annuiscono, Kanna gli tende una mano.
“Piacere, io sono Kanna Bismark.”
“Io invece sono Marion Phauna.”
Non è cambiata per nulla, stringe a sé la sua bambola, non fissa nessuno negli occhi e ha una voce così sottile che a malapena si sente.
“Molto carino, qui.”
Commenta Kanna con occhio professionale, io guardo l’orologio: è tardi, devo fare da mangiare.
Cerco di andare in cucina, ma barcollo troppo e alla fine – se non fosse per Benjamin – sarei caduta per terra.
“Dove vai?”
“Devo prepararvi qualcosa da mangiare.”
Lui sorride.
“Piccola, ordiniamo una pizza, non sei in grado di cucinare, sei troppo sconvolta.”
Io faccio per replicare, ma Kanna scuote la testa.
“Benjamin ha ragione, non sei in grado di cucinare. Hai subito uno shock terribile, adesso ordiniamo una pizza e mangeremo quella.”
Io annuisco, mi sento un automa, non riesco ancora a capacitarmi di quello che sia successo.
Benji ordina  le pizze e circa mezz’ora dopo siamo intorno al tavolo a mangiarle, gli altri parlano, io invece taccio, la mia sensazione di irrealtà non se ne va.
No, non se ne va per niente.
Dopo cena mostro a Kanna e Mari la stanza in cui dormiranno, quella in cui teoricamente avrebbe dovuto dormire Benji, ma che lui non ha mai usato.
Loro annuiscono e cominciano a sistemare tutto, mentre io mi faccio una  doccia. Solo molto tempo dopo – quando tutti dormono e la casa è silenziosa – abbracciata a Benji che dorme un sasso e mi stringe possessivamente a sé mi rendo conto che è successo davvero.
Abbiamo sconfitto Hao.
Con questo pensiero in testa mi addormento sorridendo, un peso è scivolato via dalle mie spalle, ora posso smettere di temere che lui si faccia vivo perché non lo farà mai più.
Posso godermi la mia storia con Benji e tra poco è Natale e posso trascorrerlo con la mia strana famiglia.
Il giorno dopo  mi sveglio di buon umore, nonostante il fatto che durante la notte ha cominciato a nevicare e io debba andare al lavoro. Fischietto persino mentre mi ciabatto verso il bagno per la doccia mattutina.
Visto che sono la prima a svegliarmi, preparo la colazione per tutti, Benji – il primo che si sveglia – mi abbraccia e mi bacia.
“Grazie, piccola. È stato un pensiero gentile.”
“Figurati, ieri sera non sono nemmeno riuscita a preparare una cena decente per te e le altre, sono una pessima padrona di casa.”
“Pessima padrona di casa?
Eri giustamente sconvolta dal fatto che uno degli sciamani più feroci era appena stato a casa tua e tu l’avevi rifiutato, è una reazione normale.”
Io annuisco, non del tutto convinta.
“Senti, oggi ci vediamo al solito posto?”
Io annuisco.
“Sì, Benji. Aspetta che lascio un messaggio per Kanna e Mari, così se vogliono possono venire anche loro.”
“Ma non sanno dov’è.”
“Ci troveranno.”
Rispondo tranquilla, bevendo il mio caffè. Ashcroft è dotato di un senso dell’orientamento straordinario, sa sempre come ritrovare qualcuno, me compresa.
Io e il mio ragazzo ci vestiamo e poi usciamo per andare al lavoro, sperando in una mattinata tranquilla. La mia si rivela una pia illusione visto che sotto le feste la redazione sembra diventata il covo di un gruppo di pazzi sanguinari, perennemente insoddisfatti di ogni cosa.
C’è da avere paura ed è con piacere che abbandono il mio posto a mezzogiorno e mezzo e passo a prendere Benji, che sta chiacchierando con Marion e Kanna.
Perfetto.
Fermo la macchina davanti al negozio ed esclamo: “Forza, gente! A bordo!”
Mi ubbidiscono tutti alla svelta.
“Giornata difficile?”
Mi chiede Kanna.
“Abbastanza difficile, da cosa l’hai dedotto?”
“Da quel perentorio ordine di salire in macchina.”
“Scusate. Adesso vi porto a mangiare in un bel posto per rimediare.”
Sorridono tutti, per fortuna.
L’incidente è archiviato.
Mangiamo tutti insieme, Kanna e Mari mi rendono partecipe degli ultimi pettegolezzi delle terme Funbari e di come procedono le loro storie.
Kanna è soddisfatta, lei e Ryu litigano spesso – hanno due caratteri forti – ma poi fanno pace abbastanza alla svelta, Mari e Lyserg ci vanno con i piedi di piombo. Uno ha perso i genitori da piccolo e l’altra ha problemi a esternare i propri sentimenti sin da quando la conosco.
È un miracolo che la storia prosegua.
Finito il pranzo torno alla casa editrice, non vedo l’ora che arrivi il 23 dicembre, così posso godermi almeno un paio di giorni di ferie.
E, facendosi attendere come una prima donna, il famoso 23 dicembre arriva e io tiro un sospiro di sollievo, almeno fino al 26 non vedrò quella gabbia di matti.
“È finita!”
Urlo la sera dell’antivigilia una volta tornata a casa.
“Buon per te e adesso siediti a tavola, la cena è pronta.”
Io annuisco, felice per quella gentilezza tipica di Kanna.
Corro in camera mia, mi libero dei vestiti del lavoro e mi metto comoda, quando torno in salotto sono già tutti a tavola.
Kanna ha cucinato del ramen per tutti, evviva!
Mi siedo e subito mi trovo davanti a una ciotola fumante che inizio a mangiare con piacere, mi mancava il cibo giapponese.
Benji lo guarda un po’ scettico, ma alla fine lo mangia.
“Uhm, è buono! Brava, Kanna!”
“Grazie mille.”
“Vi fermate per Natale?”
Chiedo io.
“No, domani partiamo per il Giappone o Anna ci ammazza.”
“Ho capito, in questi giorni c’è sempre il pienone alle terme, vero?”
Loro annuiscono.
“Beh, peccato. Magari la prossima volta veniamo io e Benji da voi.”
“Sarebbe molto bello.”
Mi risponde Mari con la sua solita voce priva di inflessioni.
Finito di mangiare lavo io i piatti e raggiungo il resto della truppa in salotto, stanno guardando un film alla tv.
Non è il massimo, è la classica storia di Natale, ma se ci sono loro va bene. Passiamo il tempo a commentarlo sarcasticamente  e alla fine si fanno le undici e mezza. Sarebbe bello uscire, ma sono stanca, così rimandiamo a domani.
“Vabeh, ragazze.
Io andrei a letto.”
Loro annuiscono e ci diamo la buonanotte.
Benji mi prende per mano e mi porta alla nostra camera, appena entrati lui si butta sul letto.
“Simpatiche le tue amiche, Kanna soprattutto.”
“Sì, ma anche Mari lo è, solo che ha qualche problema a esprimere i propri sentimenti.”
Lui ridacchia.
“Non si era capito.”
Io mi sdraio accanto a lui.
“Ancora non ci credo che abbiamo cacciato Hao.”
“Anche io non ci credo, ma è successo e questo significa che possiamo stare insieme in pace, diciamo.”
“Uhm, sì!”
Rispondo, soffocando uno sbadiglio.
“Sei davvero stanca, Match.”
Io annuisco.
Lui con gentilezza, mi spoglia e mi mette in pigiama, poi si sdraia accanto a me. Io striscio volentieri tra le sue braccia, che mi si chiudono attorno.
“Ho desiderato questo momento da quando mi sono alzata.”
Lui annuisce soddisfatto.
“ E tra poco è Natale, non vedo l’ora di festeggiarlo con te.”
“Anche io.”
Detto questo cado in un sonno senza sogni, che viene interrotto solo da Benjamin la mattina dopo.
“Piccola, le tue amiche se ne vanno.”
Io scatto in piedi e mi vesto alla velocità della luce, poi corro in salotto. Kanna e Mari hanno le loro valigie già pronte. Senza dire nulla abbraccio prima Kanna e poi Mari.
“Mi mancherete, ragazze.”
“Anche tu ci mancherai, ma la tua vita è qui, adesso.
Hai Benjamin, che mi sembra un bravo ragazzo.”
“Lo è, a che ora avete il volo?”
“Alle nove.”
“Vi accompagno io all’aeroporto, sono già vestita.”
Mi metto il mio cappotto nero e loro mi imitano, Benji esce ciabattando dalla mia camera e si ferma davanti a noi.
“Arrivederci, ragazze. Mi ha fatto piacere conoscervi.”
“Anche a noi, vedi di trattare bene Match o te la vedrai con noi!”
Lui alza le mani.
“Calma, signore. Prometto di trattare bene Mathilda.”
Kanna annuisce soddisfatta, Mari lo guarda inespressiva.
Usciamo tutte e tre dall’appartamento, carichiamo le loro valigie in macchina e poi io mi metto alla guida. C’è un po’ di traffico, ma non arriviamo ritardo, per fortuna.
Una volta arrivate dentro la grande struttura dell’aeroporto arriva il momento più difficile: salutarle. Ho un groppo in gola e mi viene da piangere.
Le abbraccio di nuovo.
“Kanna,mi raccomando non distruggere il povero Ryu e cerca di stare bene.
Mari, sono sicura che imparerai a ridere e sorridere, ti auguro tanta fortuna con Lyserg.”
“Tu invece prenditi cura di te, ti auguro tanta fortuna con Benji, mi sembra un bravo ragazzo, nonostante le apparenze.”
“Lo so, sono davvero felice di avervi rivisto.”
“Anche io, sono felice.”
Ci abbracciamo di nuovo, poi loro si avviano verso le partenze internazionali e a me si stringe il cuore, staccarsi dalle proprie amiche fa sempre male, ma ormai siamo grandi.
Ognuna di noi ha diritto alla propria vita, la mia è a Londra, la loro è a Tokyo.
Esco dall’aeroporto un po’ amareggiata, pensando che nulla rimane eterno, nemmeno le hanagumi, poi penso a Benji e mi scappa un sorriso.
Entro di nuovo in macchina e mi dirigo verso quella che ho imparato a chiamare casa mia. Al mio arrivo la colazione è già in tavola e le decorazioni dell’albero sono accese, Ben mi aspetta sorridente.
Sì, la mia vita è qui e non mi pento di essermene andata.

 

 

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Capitolo 6
*** Epilogo: il grande abete bianco. ***


Epilogo: il grande abete bianco.

 

La macchina scorre tranquilla nel vialetto di ghiaia in mezzo ai campi. La chiamano strada, ma non è altro che un vialetto forse un po’ più grande rispetto agli altri e con dei sassi ai lati per evitare che la vegetazione lo invada.
Ora però non c’è nemmeno una pianta, c’è solo una distesa bianca di neve, che diventa un cumulo continuo vicino alla strada perché qualche anima di buon cuore è passata a spazzare anche questo posto in un angolo dimenticato di Inghilterra al confine con la Scozia.
Io e Benji ci siamo fermati a mangiare alla locanda dell’ultimo villaggio che abbiamo incontrato, certe cose non cambiano mai nei piccoli paesi e siamo stati squadrati tutti e due come alieni.
Il cibo – in compenso – era buono e ora siamo qui nel bel mezzo del nulla, per cercare il nostro abete carico di neve, come ci eravamo promessi quando abbiamo comprato il nostro di plastica.
In realtà forse volevamo scappare anche solo per un attimo da Londra e dal suo rumore, Londra non dorme mai, al massimo abbassa i toni, ma il silenzio è una musica difficile da sentire.
Ci sono sempre dei camion che passano, nottambuli, macchine di chi fa lavori notturni a disturbare la pace.
Certo, dopo un po’ ti ci abitui, ma vorresti sempre che ci fosse un po’ di silenzio vero.
Alla prima piazzola Benji si ferma. Sono le cinque e per le nove dobbiamo essere in un piccolo albergo in cui lui ha prenotato una stanzetta, abbiamo un po’ di tempo da perdere.
Scendiamo entrambi dalla macchina e io stringo immediatamente la mano del mio ragazzo.
“Eccoci, arrivati. Forza, cerchiamo il nostro abete carico di neve.”
Io sorrido.
“Va bene, iniziamo.”
Camminiamo – mano nella mano – nel campo coperto di neve, attorno a noi si sente solo il rumore dei nostri passi, solo quando guardo verso il bosco mi pare di vedere un’ombra che sparisce, probabilmente era una lepre o una volpe.
“Per te cos’era?”
“Io penso fosse una volpe, avviciniamoci.”
Detto fatto, siamo arrivati vicino al bosco, dietro a un cespuglio ci sono delle impronte, io le guardo senza capire cosa siano, poi arriva Benji.
“Sono impronte di una volpe.”
Sentenzia sicuro.
“Va bene.”
Torniamo nel campo e finalmente lo vedo.
Al limitare del bosco, a pochi metri dal cespuglio dietro cui noi abbiamo cercato le impronte. È grande, maestoso e colmo di neve.
È il nostro abete.
“Benji!”
Lo chiamo.
“L’ho trovato, è lui!”
Lui mi raggiunge e lo guarda.
“Sì, è lui. Brava, Match!”
Io sorrido, poi lui tira fuori qualcosa dalla tasca: un coltellino a serramanico.
“Che vuoi fare con quello?”
“Adesso vedrai.”
Con abilità incide una B, un + e una M, poi li contorna con un cuore.
“Ecco, adesso è il nostro albero.”
Io annuisco, e mi alzo sulle punte dei piedi per baciarlo, lui risponde impetuosamente come suo solito. A volte ho come l’impressione che lo faccia per ribadire a non si sa chi che io sono sua e lui è mio.
Non ce n’è bisogno, io so che lo amo e che lui mi ama.
Quando mi stacco passo delicatamente le dita sulla neonata incisione, mi piacerebbe portarci i miei figli e i miei nipoti un giorno e raccontare di come io e Benji ci amavamo.
Sarebbe bello, quasi un sogno a occhi aperti o un’ipotesi meravigliosa di realtà.
“A cosa pensi?”
Mi chiede lui abbracciandomi da dietro.
“Al futuro.”
Rispondo vaga.
“Ci vedi bene in futuro?”
“Lo spero, per ora il presente mi piace e presente dopo presente spero non cambi mai.”
“Anche io.”
Mi prende per mano.
“Ti va se andiamo in macchina?
Qui fa freddo.”
“Va bene.”
Salutiamo il nostro albero e risaliamo nella mia Mini, dentro fa caldo e la radio trasmette i blink a tutto volume.
“Abbiamo trovato il nostro abete!”
Ripeto allegra.
“Mi piacerebbe venire a trovarlo ogni anno.”
Lui sorride.
“Beh, se avremo soldi potremo farlo.”
Io rimango un attimo in silenzio, guardando il bianco che ci circonda, bianca è la neve e bianco è il cielo: presto nevicherà di nuovo.
“Benji, forse è meglio muoverci. Penso che nevicherà ancora e non so come se la caverà la mia macchinina sotto la neve.”
“Va bene.”
“Benji, l’anno prossimo verremo ancora a trovarlo e saremo insieme.”
La mia è una risposta implicita alla sua domanda, l’anno prossimo saremo ancora una coppia, lui mi piace davvero tanto e noi funzioniamo. Non pensavo potesse succedere, invece è miracolosamente successo e persino Hao si è dovuto rassegnare.
Ho visto un paio di volte la sua ombra giù in strada, ma non ho provato il desiderio di scendere, al contrario ho tirato la tenda, infastidita.
“Credi che per allora Hao sarà fuori del tutto dai tuoi pensieri?”
“È già fuori, è lui a non capirlo. Non so cosa farci.”
“Prima o poi si stancherà.”
Mi risponde conciliante, i primi fiocchi iniziano a cadere, Benji lo nota.
“Che palle, ha ripreso a nevicare!”
Lui accelera lentamente l’andatura della nostra macchina prima che la nevicata peggiori e diventi una bufera o chissà che cosa.
“Dici che ce la facciamo ad arrivare al villaggio prima che faccia buio?”
Mi chiede, io tiro fuori una cartina e la consulto.
“Uhm, credo di sì. Dovremmo essere abbastanza vicini, l’importante è che questa nevicata non peggiori.”
“Hai ragione, ma ce la dovremmo fare.”
La macchina procede a un’andatura costante e la neve per ora sembra decisa a non cadere in modo troppo fitto, forse stasera peggiorerà. Lentamente il cielo diventa più scuro e quando abbiamo ormai perso le speranze di arrivare al villaggio prima che faccia buio del tutto vediamo le prime case, illuminate dai lampioni.
Sospiriamo di sollievo, ce l’abbiamo fatto.
Dalle prime case arriviamo nella piazza principale, dove ci sono la chiesa e la locanda, lui parcheggia e poi scendiamo insieme.
Entriamo e veniamo accolti dal calore del fuoco che brucia nel camino in fondo alla stanza e dal profumo del cibo.
Una donna sui quarant’anni ci viene incontro sorridendo.
“Buonasera ragazzi, posso fare qualcosa per voi?”
“Abbiamo prenotato una camera a nome Matisse per il week end.”
Lei controlla e poi ci chiede dei documenti, controlla anche quelli e poi ci fa firmare.
“Si è scatenata una bella nevicata, volete che mandi qualcuno ad aiutarvi con i bagagli?”
“No, non si preoccupi, non è molta roba.”
Lei sorride.
“Va bene. questa è la chiave della camera. È all’ultimo piano.”
“Grazie mille.”
Io e Benji usciamo a prendere le valigie, ora la neve scende più fitta e si è alzato il vento, se fossimo arrivati un attimo più tardi avremmo avuto a che fare con una tempesta vera e propria.
Tiriamo fuori i bagagli e poi torniamo dentro la locanda, salendo fino all’ultimo piano, abbiamo la camera numero 5.
Infilo la chiave nella toppa, la faccio girare e ci troviamo in una stanza carinissima. Ha il tetto in legno e le tendine di pizzo alle finestre. Noi depositiamo i nostri bagagli, l’armadio è grande e di legno e il bagno è piccolo e pulito, con una la doccia.
“Che bella cameretta!”
Benji si butta sul letto sfinito.
“Bellissima, adesso spero di poter mangiare qualcosa e poi dormire, sono stanchissimo.”
Io mi siedo accanto a lui e allungo le gambe.
“Anche io. Mamma mia, che faticaccia.”
Lui ride.
“Ma ne vale la pena, no?”
“Uhm, sì. Ne vale la pena.”
Metto via un po’ di cose e poi scendiamo dabbasso, dove troviamo la padrona ad accoglierci e accompagnarci al nostro tavolo.
Ci sono già il pane e l’acqua e noi ci sediamo grati.
“Presto, vi porteremo l’arrosto che è il piatto del giorno.
Va bene?”
“Benissimo, signora.”
Benji ha già l’acquolina in bocca e io sono quasi al suo livello, anche io mi sono stancata durante questo viaggio.
Dieci minuti dopo una cameriera ci serve due abbondanti piatti di arrosto, noi li mangiamo avidi ed è davvero buono.
Mangiamo un po’ di frutta e la crostata che c’è come dolce e poi io inizio ad avvertire una certa sonnolenza, mi si chiudono gli occhi.
Facciamo i complimenti alla padrona e saliamo in camera, Benji si butta subito sotto la doccia, io invece decido di fumarmi una sigaretta ed esco sul piccolo balcone che dà sulla piazza del paese.
Ha uno strano fascino magico imbiancata dalla neve e la scelta di lasciare la fontana al centro contribuisce ancora di più a renderla un posto fuori dal tempo.
Il fumo della mia sigaretta si confonde con il vento e le neve e io sento una sensazione di pace invadermi e salire a ondate: erano secoli che non stavo così bene in un posto.
Sono così immersa nei miei pensieri che non mi accorgo del tempo che passa, Benji ha finito di fare la doccia e mi raggiunge sulla terrazza.
“Cosa fai qui?”
“Niente, guardo la piazza e penso.
Come mai ha scelto questo posto?”
Lui si stringe nelle spalle.
“All’istituto ho spiato il mio fascicolo, c’era scritto che ero nato qui e volevo vedere se avessi incontrato almeno una faccia simile alla mia.”
“E le hai incontrate?”
“Mi sono guardato attorno mentre cenavamo, ma non c’era nessuno che mi somigliasse, ma non mi importa. Non ho bisogno di ritrovare la mia famiglia o – per meglio dire – i miei genitori biologici, perché ho te.
Tu sei la mia famiglia.”
Una lacrima solitaria scende sul mio volto.
“Mi hai detto una frase meravigliosa.”
“Non ti è mai capitato di avere voglia di andare al tuo villaggio?”
Io rimango un attimo, ponderando la risposta.
“Sì, qualche volta sì.  Ci sono andata solo una volta per recuperare i documenti della mia famiglia, come il diario di mio nonno, ma non mi sono sentita a casa.
Casa mia è dove sono le persone a cui voglio bene, le ragazze e tu.
Ho capito che non aveva senso cercare quello che ho già lì.”
“Giusto, e ora torna dentro, sei gelata.”
Mi trascina in camera e dallo sbalzo di temperatura mi accorgo che fuori fa davvero freddo e che una doccia bollente non mi dispiacerebbe.
Prendo il necessario e mi infilo in bagno, mi spoglio e lascio che l’acqua scorra su di me cancellando la stanchezza, la nostalgia e qualsiasi altro sentimento negativo.
Quando esco trovo il mio ragazzo già sotto le coperte che guarda la tv, io lo raggiungo e lui mi attira subito nel suo abbraccio.
Immersa nel calore delle coperte e nel suo mi sento improvvisamente sonnolenta e al sicuro come non mai. A questa braccia affiderei la mia vita senza un ripensamento.
Lui mi accarezza dolcemente i capelli e io mi lascio andare, rilassandomi del tutto.
Sono scappata dal Giappone perché non volevo che il mio corpo diventasse solo un corpo qualsiasi con cui fare sesso e a Londra ho trovato l’amore. Quello vero.
Quello per cui basta stare sdraiati abbracciati per stare bene.
Quello in cui sai di essere alla pari dell’altra persona.
Quello che ti fa capire quanto sei bella, perché vedi la bellezza riflessa negli occhi dell’altro.
In Inghilterra ho trovato tutto quello che mi mancava in Giappone e non posso chiedere di più.
In questa notte, in cui fuori nevica e fa freddo, ma che per me è tiepida tra le braccia di Benji so di aver trovato la felicità.
Mi addormento sorridendo.
Domani quando mi sveglierò sarà ancora tutto qui, ormai la felicità è mia.
La strega perduta ha trovato la casa in cui vivere per tutta la vita.
Buonanotte.
 

 

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