Somewhere I belong di Layla (/viewuser.php?uid=34356)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1) Gli occhi del serpente. ***
Capitolo 2: *** 2) Passato e presente. ***
Capitolo 3: *** 3)Alla scoperta dell'amore ***
Capitolo 4: *** 4)Meg ***
Capitolo 5: *** 5) Addio, Hao ***
Capitolo 6: *** Epilogo: il grande abete bianco. ***
Capitolo 1 *** 1) Gli occhi del serpente. ***
1) Gli occhi del serpente.
Ci
sono persone che
entrano come meteore nella tua vita.
Un attimo prima non le
conoscevi, poi la mano crudele del destino ti spinge inesorabilmente
verso di
loro, a rischio di bruciarti e perdere te stessa.
Hao Asakura è una di
queste persone.
Non ci vuole molto a
capire che lui sia speciale, emana un’aura do potere
– carisma – che è
impossibile ignorare. Con i suoi lunghi capelli castani, gli occhi
profondi
color cioccolato, i vestiti eleganti e le uniche note di stravaganza
costituite
da un poncho e da orecchini vistosi è un tizio che non si
dimentica.
Solitamente la gente
quando incrocia il suo sguardo ne rimane affascinata e lo ascolterebbe
parlare
per ore, esattamente com’è successo a me.
Mi chiamo Mathilda Matisse
e sono una strega inglese, le ragazze di qui guardano con invidia i
miei
capelli arancio e i miei occhi viola, ma nel mio paese non sono poi
così
strani.
Ci sono tante persone pel
di carota, ma poche streghe.
Quando sono morti i miei
sono dovuta scappare dal mio villaggio perché –
pur essendo in pieno ventesimo
secolo – la gente aveva ancora paura di quelle come me.
È dispostissima a
festeggiarle per Halloween, ma non devono essere nella loro
comunità, portano
male.
Mi raccolse un’ altra
strega, era vecchia e perciò iniziai a considerarla come una
nonna. Fu lei a
insegnarmi tutto quello che sapeva e che so e fu la prima a capire che
in una
secolare famiglia di streghe come la mia era nata una sciamana.
Non sapeva cosa fare, così
si limitò a insegnarmi quello che sapeva sulle pozioni e
sulla magia in
generale, mi voleva molto bene, ma le persone se ne vanno sempre. A
volte per
loro volontà, a volte perché il Grande Spirito le
reclama e nessuno può dirgli
di no.
Morì che ero molto giovane
e fu in quel momento che arrivò lui e mi portò
via da quello sconosciuto
villaggio inglese verso le foreste del Giappone. Fu lui a dirmi cosa
ero e
dirmi come utilizzare il mio potere, fu lui a donarmi la zucca
intagliata –
Jack – che poi sarebbe diventata il contenitore del mio
furyoku. Fu lui a
donarmi una nuova vita in cui sapevo con precisione cos’ero e
in cui non mi
sentivo una rinnegata.
Fu lì che trovai quelle
che sono le mie compagne di team, le mie sorelle: Kanna e Marion.
Abbiamo iniziato a
obbedire a Hao, soggiogate dal loro potere e a fare amicizia, tutte e
tre
avevamo storie simili.
Kanna è tedesca e ha
lunghi capelli azzurri, un tatuaggio e una sigaretta perennemente tra
le
labbra; Marion è italiana, bionda e sempre priva di
espressione. Lei non ride
mai, non ce la fa, so che si esercita da sola in segreto; ma finora non
l’allenamento non ha dato frutti.
In ogni caso, stasera non
ho voglia di pensare a loro o a Hao, voglio solo bere pensando a come
la mia
vita sia costellata di perdite.
I miei, la mia nonnina, la
mia vita, Hao…
Sono morta anche io in
un’occasione e non è stato bello. A Hao serviva
del furyoku e si prese la mia
vita e quella delle mie amiche.
Eravamo state tradite
un’altra volta e se non fosse stata per la moglie dello
Shaman King, Anna
Kyoyama, saremmo rimaste per sempre dei tristi spiriti vaganti.
Ci ha riportate in vita e
ci ha detto di aspettare il suo segnale, quando sarebbe arrivato
avremmo
cominciato a lavorare nelle terme di Funbari.
Il segnale è arrivato e
noi ci siamo messe a lavorare come cameriere, con la nostra divisa
composta da
un kimono arancio decorato di fiori nessuno direbbe che siamo state
così
infelici in passato.
Kanna si è raccolta i
capelli in uno chignon da cui scappano molte ciocche e da qualche mese
si vede
con Ryu, il cuoco delle terme.
Mari ha iniziato a portare
i suo codini bassi in modo che ricadessero sul kimono, è la
mascotte del hotel
e per ora so che si vede con Lyserg Diethel, ma non si sbilancia
più di tanto.
Io invece sono sola.
“Un bicchiere di vodka,
per favore.”
Chiedo alla cameriera al
bancone che guarda con un misto di stupore e orrore il teschio che ho
in testa
e che copre il mio chignon.
“Subito.”
Poco dopo arriva con il
bicchiere e io lo vuoto in un colpo solo.
Oggi mi sento davvero uno
schifo, sola come non mai. Le altre stanno tentando di andare avanti,
vogliono
dimenticarsi di Hao e delle sue promesse, vogliono una vita normale e
forse ci
stanno riuscendo: Kanna e Ryu sono molto affiatati.
Io invece sto rimanendo
indietro, vedo solo le loro schiene e non sono al loro fianco come al
solito e
la ragione è una sola: sento ancora il richiamo di Hao
Asakura, nonostante
tutto il male che ci ha fatto.
È orribile, a volte mi
sveglio la notte per smettere di sentire la sua voce ammaliante nei
miei sogni,
non lavorerei mai più per lui, ma qualcosa mi attira verso
di lui come la
limatura di ferro è attratta dalle calamite.
È un qualcosa di viscerale
a cui ho paura di dare un nome, forse perché mi sento quella
che è stata più
salvata da lui. Non è che sia una gara tra vite di merda, ma
Kanna aveva i suoi
amici di strada e Marion una famiglia che, pur considerandola strana e
inquietante, comunque la cresceva.
Io ero sola, una foglia in
balia del vento che non vedeva l’ora di trovare un posto in
cui posarsi e che
credeva di averlo trovato in Hao.
Mi sbagliavo, lui non era
mio.
Ho deliberatamente
ignorato la sua crudeltà, il suo usare gli altri come
pedine, la facilità con
cui si liberava degli elementi inutili.
Visto che per una volta la
crudeltà non era rivolta verso di me ho provato un piacere
sadico nel vedere
gli altri soffrire per causa sua, non ho mai pensato –
nemmeno per un attimo –
che lui potesse essere così anche con noi.
Quando sono morta si è infranta
in me un’intima certezza, qualcosa di così
radicato che anche adesso sento un
pezzo di cuore che manca.
Mi ero semplicemente
affezionata alla persona più sbagliata del mondo.
Cinico, menefreghista,
ammaliatore, Hao somiglia più a un serpente che a una
persona.
“Un altro bicchiere di
vodka per la signorina e uno per me.”
Il suo arrivo mi giunge
talmente inaspettato che il bicchierino che ho in mano sfugge al
controllo
delle mie dita e si infrange per terra, seminando polvere scintillante.
“Hao.”
Cerco di dire il più
freddamente possibile.
“Mathilda.”
Il suono della sua voce è
dolce, morbido, qualcosa su cui è facile adagiarsi.
“Come mai da queste parti?
Pensavo che fossi tipo da
posti più sofisticati.”
Lui ride divertito, io ho
ritrovato la mia parlantina e un minimo di controllo della situazione.
“Sì, di solito mi
piacciono altri posti, ma immergersi nel popolo a volte può
essere un piacevole
diversivo.”
Eccolo, lo stronzo cinico.
Non ho mai sentito un
tizio essere così pieno di sé e sembrare
seducente allo stesso tempo, è
l’esatto contrario del suo gemello.
Yoh è una persona calma e
gentile, soprattutto è molto umile. Se un estraneo vedesse
come Anna conduce le
terme e la famiglia potrebbe pensare che sia privo di spina dorsale, ma
Yoh
Asakura è molto forte. Così forte da sciogliere
il cuore di Anna ed essere lo
Shaman King che comanda tutti con un pugno di velluto.
Yoh è forza calma, Hao è
fuoco distruttivo.
“Interessante, peccato che
io non possa dire il contrario, non ho il piacere di frequentare la
creme di
Tokyo.”
“Potresti, in fondo hai
lavorato per me e questo potrebbe aprirti molte porte.”
“Sì, suppongo di sì, ma
non ho intenzione di farlo. Le porte possono richiudersi e lasciarti
morire
d’inedia in una stanza.”
“Non mi hai ancora
perdonato per quel piccolo incidente.”
La vodka arriva e ne bevo
un sorso.
“No, direi di no. È tutta
una questione di prospettiva, sai Hao Asakura?
Quello che per te può
essere piccolo per un’altra persona può essere
molto importante.”
“Capisco. Sì, può essere.”
Vuoto il mio bicchiere e
lo appoggio al bancone.
“Grazie per avermi offerto
da bere e per la piacevole chiacchierata, se così si
può definire, ma ora devo
andare.
Domani devo alzarmi molto
presto.”
Faccio per allontanarmi,
ma lui mi afferra per un polso: la sua stretta è calda e
piacevole.
Ho dei piccoli brividi
lungo tutto il corpo, non posso essere innamorata di lui! Non posso!
Il mio corpo dice il
contrario, però e questo è un bel problema.
“Non puoi fare
un’eccezione per un vecchio amico?”
Io lo guardo ironica.
Vecchio amico, è così che si
definisce uno che ti ha preso la vita solo perché gli
serviva?
“Ho qualche altra scelta?”
“C’è sempre un’altra
scelta, ma direi che in questo caso faresti meglio a venire con
me.”
“D’accordo.”
Usciamo insieme dal bar,
l’aria è leggermente frizzante così
rabbrividisco e lui mi mette
la sua giacca sulle spalle.
“Come siamo galanti, cosa
ne pensa Tamao a riguardo?”
“Oh, è a casa a scrivere
canzoni e a tenere a bada quei suoi due spiriti volgari, non credo che
soffrirà
se non saprà nulla, no?”
“Questo è mentire, ti è
sempre venuto particolarmente bene.”
“E voi apprezzavate le mie
bugie, vero?”
Io lascio cadere la sua
domanda nella fresca aria autunnale e guardo le foglie cadere sui viali
di
Tokyo.
“Come ci si sente?”
Chiedo all’improvviso.
“A fare cosa?”
“A essere dei perdenti. A
vedersi strappare all’ultimo secondo la vittoria proprio da
una delle tue
vittime, la vittima principale per essere precisi. Come ci si sente a
sapere
che non solo non hai assorbito Yoh, ma ti ha addirittura
battuto?”
Questa volta è la mia
domanda che si perde nel vento, per la prima sul suo volto si incrina
il
sorrisetto sarcastico per fare spazio a un’espressione quasi
addolorata.
Sicuramente non gli fa
piacere ricordare quei momenti, a nessuno piace perdere, soprattutto se
ci si
considera invincibili.
Un punto per me.
Casa
mia è un piccolo
appartamento vicino alle terme, un appartamento tradizionale
– con tanto di
tatami per terra – per cui pago un affitto basso.
Non so come siamo finiti
qui io e Hao.
Abbiamo passeggiato un po’
per le vie della città, osservato le vita animata dei
caffè, i ragazzini in
skate, i gruppetti di punk e quelli che si divertivano con le macchine
truccate.
Ci siamo scambiati
impressioni e battute sulla nostra vecchia vita.
“Torneresti a lavorare per
me?”
Mi ha chiesto a un certo
punto.
“No, non lo farei per
nessuna ragione al mondo.”
Deve essere stato a questo
punto che lui ha deciso di venire al mio appartamento, qui
l’elettricità che
è corsa tra di noi per tutta la sera è diventata
più forte.
Mi sento imprigionata in
una tela di ragno e non mi piace per niente.
Odio me stessa che gli
serve un the, impeccabile come ho imparato a esserlo sul lavoro.
Maledizione, così non va
bene!
Quel ragazzo deve essere
sbattuto fuori di qui!
“Non credo proprio che mi
sbatterai fuori di qui Mathilda.”
Lo guardo sconvolta, mi
ero dimenticata che lui è in grado di leggere nella mente
altrui.
“Perché? Pensi che non sia
capace?”
Lui si alza e mi prende
entrambi i polsi, è troppo vicino.
“Perché tu non vuoi
affatto che me ne vada, tu vuoi che io rimanga.”
“N-no!”
Nego poco convinta,
facendolo ridere.
“Oh, sì che vuoi che
rimanga!
Tutto il tuo corpo lo
vuole e anche la tua mente!”
Io mi sento
improvvisamente fragile e in balia di lui e del suo potere.
“Smetti di leggere nella
mente della gente!
Anna Kyoyama ti ha
insegnato come si chiude la mente, mettilo in pratica!”
Lui ride.
“Ah! Inizi a sentirti
fragile!”
Le lacrime minacciano di
scendere.
“Vattene via, Hao!
Non voglio più avere a che
fare con te!”
Per tutta risposta mi
bacia con passione.
“Vuoi che me ne vada?”
“S-sì!”
Mi ribacia di nuovo e
questa volta è quasi certo che cederò.
“Vuoi che me ne vada?”
“No.”
Lui sorride, ha vinto
anche questa volta.
Anche questa volta la preda è sua, inizia di nuovo a
baciarmi e presto i nostri
vestiti sono sul tatami.
Mi porta in camera mia e
mi adagia sul futon e poi ci sono i nostri respiri, ansiti e gemiti
mischiati.
La
mattina dopo il posto
sul futon accanto al mio è vuoto.
Non che aspettassi di
trovarlo occupato, questo è il genere di cose che non
prevedono un uomo al tuo
fianco dopo che ti sei svegliata.
Mi faccio una doccia,
faccio colazione e vado al lavoro.
Devo dimenticarmi
dell’accaduto se voglio sopravvivere, altrimenti rischio di
andare in para e non
mi servirebbe a niente.
“Tutto bene, Mathilda?”
Mi chiede Kanna, notando
la mia faccia sovrappensiero.
“Sì, ho solo dormito male
questa notte. Niente di grave.”
“Ok, stanotte cerca di
dormire.”
“Puoi giurarci!”
Ci mettiamo al lavoro e la
giornata passa velocemente. Finito il nostro turno Yoh ci invita a
cena, il che
non è poi così insolito, in fondo a lui stiamo
simpatiche, lui trova quasi
tutti simpatici.
Anna brontola tutto il
tempo, dicendo che la pensione potrebbe renderle di più
anche se sappiamo tutti
che non è vero. Lei brontola perché le piace
farlo, non perché c’è un reale
motivo.
“Dai, Anna. Abbiamo
abbastanza soldi per farci una vacanza come si deve dopo Ferragosto.
Magari in
quell’isola tropicale che ti piace tanto.”
“Sei troppo conciliante, Yoh!”
Lui ride sotto i baffi e
la lite è sedata.
Sta per essere servito il
caffè quando si spalanca la porta sul retro ed entrano Tamao
e Hao mano nella
mano.
Il mio cuore finisce sotto
i piedi, cosa ci fa qui con lei?
E poi perché sembrano così
felici?
Ieri sera sembra non sia
mai successa e a me sta venendo da vomitare.
“Ciao, Hao, Tamao!
È raro vedervi qui a
quest’ora!”
Lei sorride.
“Sì, lo so che è un po’
tardi, ma dovevamo dirvelo.”
“Dirci cosa?”
Chiede spiccia Anna.
“Sono incinta, presto
sarete zii di un bambino o di una bambina!”
Il mio volto diventa verde
all’improvviso e scappo in bagno, lì posso
vomitare in liberta e a maledirlo.
Mi ha scopata sapendo che le cose con Tamao andavano bene.
Non ha avuto rispetto né
di me né di lei!
Cosa potevo aspettarmi da
lui?
Ha preso la mia vita e
avrebbe preso anche quella di suo fratello se solo gli fosse andata
bene.
Una volta ripresa torno in
cucina, Tamao è radiosa e Hao sembra contento, stronzo.
“Non è una notizia
meravigliosa, Mathilda?”
Mi chiede Anna.
“Sì, molto bella.
Complimenti e tanti auguri
a entrambi.”
Rispondo con la voce più
normale che riesco a produrre.
“Sapete già il sesso?”
Hao sorride a suo
fratello.
“No, l’abbiamo scoperto
solo ieri, è troppo presto per saperlo.”
Ieri, eh?
Prima scopre di diventare
padre e poi si scopa me, che gran bastardo!
“Direi che per
un’occasione come questa va tirato fuori lo champagne. Ne
abbiamo una cassa in
dispensa, Hao mi aiuti a cercarla?”
I due fratelli Asakura
lasciano noi ragazze da sole, Anna e Tamao cominciano immediatamente a
parlare.
Si scambiano consigli e sensazioni, noi rimaniamo un po’ in
disparte, non
facciamo parte della famiglia e vogliamo lasciare loro la giusta
privacy.
“Mathilda, stai bene?”
Kanna me lo domanda di
nuovo, credo non le sia sfuggito il fatto che io sia scappata dopo la
lieta
notizia.
“No, ma non è il caso di
parlarne qui. Te lo dirò quando saranno finiti i
festeggiamenti.”
Lei annuisce e mi batte
una mano sulla spalla.
Poco dopo arrivano Hao e
Yoh con lo champagne e il neopapà riempie a tutti i
bicchieri e brinda a suo
figlio. Rispondono tutti al brindisi con allegria, tranne me.
Rimaniamo ancora un po’,
poi finalmente riusciamo a toglierci da questa festa che non
è la nostra e
tiriamo tutte e tre un sospiro di sollievo.
Mari sparisce subito con
Lyserg, Kanna invece mi segue a casa mia per cercare di capire cosa
stia
succedendo: in fondo è ancora la sorella maggiore del gruppo.
Arriviamo a casa mia e
noto che la casa non è molto ordinata.
“Scusa il disordine, ma…”
Lei scuote la testa.
“Lascia perdere queste
smancerie e arriva al dunque.”
“Ieri sono uscita a fare
un giro e mi sono fermata in un chioschetto, volevo bere.”
“Poi cosa è successo?”
“È arrivato Hao, mi ha
offerto da bere e abbiamo iniziato a parlare dei vecchi tempi.
Poi siamo usciti e abbiamo
fatto una passeggiata.”
Lei annuisce.
“Poi siamo arrivati a casa
mia e abbiamo fatto sesso.”
Concludo piatta.
“Che bastardo! Ma perché
ci sei stata sapendo com’è?”
Io non alzo lo sguardo e
rimango in silenzio, sento Kanna avvicinarsi e poi mi costringe a
guardarla
negli occhi.
“Tu ami Hao.”
Io non dico nulla, non la
smentisco e non le dico che ha ragione.
“Povera te, soffrirai le
pene dell’inferno, ma ti passerà prima o
poi.”
“E se non passasse?”
“Passerà. È l’ultimo
rigurgito del passato e prima o poi riuscirai a tornare a vivere nel
presente e
a trovare un ragazzo che ti piace. È Hao il bastardo, povera
Tamao.”
Io non riesco a provare pietà
per Tamao, non ancora almeno, Kanna mi prende le mani.
“Stagli lontano! Mi
prometti che gli starai lontano?”
“Sì, te lo prometto.”
“Sul serio, Mathilda!
Torna in Inghilterra, parlerò io con Anna.”
Io annuisco, prenotiamo
insieme un volo per Londra che partirà tra due giorni, il
giorno dopo parla ad
Anna e poi mi aiuta a fare le valigie la sera prima della partenza.
“Starai bene anche là, hai
bisogno di cambiare aria.”
Io annuisco, chiedendomi
se sia la cosa giusta.
Il giorno della partenza
mi sveglio molto presto, Mari e Kanna mi accompagnano
all’aeroporto di Narita
in silenzio. Non ci siamo mai separate fino ad ora.
“Tornerai presto?”
Mi chiede con voce
tremante Mari.
“Non lo so, spero di sì.”
Kanna mi guarda seria.
“Prenditi tutto il tempo
necessario, quel ragazzo non deve rientrare nella tua vita.”
“Lo so, arrivederci a
presto ragazze.”
Mi avvio verso le partenze
internazionali, mi
fa strano tornare
verso la mia terra d’origine e quasi non ricordarmela.
Kanna ha ragione, devo
dimenticarlo.
Una volta partito il mio
aereo mi perdo a guardare le nuvole bianche che circondano il velivolo
e mi
sento leggera, qualcosa è appena scivolato dalla mia schiena.
Il fascino che Hao
continuava a esercitare su di me è finito, ora mi sento
davvero libera.
Ho messo il passato nel
passato e ora mi concentro sul presente.
Addio, Giappone.
Addio, Hao.
Benvenuta, nuova vita.
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Capitolo 2 *** 2) Passato e presente. ***
2) Passato e presente.
La
prima sensazione che
provo tornando a Londra è di sentirmi a casa ed è
veramente strano.
Tutti i ricordi che ho
dell’Inghilterra sono negativi, ma in questa grande
città non sono la più
strana delle creature e mi sento abbastanza protetta.
Con i soldi della
liquidazione che mi ha dato Anna mi
pago
il primo mese di affitto in un appartamentino. Anna si è
dimostrata davvero
comprensiva, mi ha detto che andarmene era una mossa saggia, che Hao
era una persona
da evitare, soprattutto adesso che Tamao è incinta.
Quando le ho chiesto cosa
avrei potuto fare se lui si fosse presentato alla porta del mio
appartamento
londinese lei ha sorriso enigmatica e mi ha battuto una mano sulla
spalla.
“Ci penserà Yoh, non di
devi preoccupare. Adesso cerca solo di rifarti una vita.”
Le ho dato retta.
Per i primi tre mesi sono
stata cameriera in un bar, quando ha chiuso sono stata assunta a tempo
indeterminata in un multisala e solo dopo sei mesi ho trovato un lavoro
più adatto
a me: mi ha assunta una casa editrice. Il mio compito è
tradurre i manga di
cui viene decisa la pubblicazione.
È un lavoro che mi piace e
vengo pagata molto di più che come cameriera o tutto fare al
cinema.
È perfetto.
Stasera – per la prima
volta dopo sei mesi di vita solitaria – decidi di concedermi
una birra e una
serata fuori. Non molto lontano da dove vivo si esibisce una band punk
e quale
occasione migliore per fare quattro salti?
Indosso un paio di jeans
pieni di strappi e spille, una maglia dei Rancid, una felpa con le
maniche
tagliate e il mio chiodo di pelle.
Esco di casa canticchiando
e mi sento di buon umore.
Stasera non può succedermi
nulla di male, Hao è a migliaia di chilometri e questo mi
tranquillizza
parecchio.
Quando arrivo il locale è
già pieno, spero che la band valga la pena di sopportare
questa calca, non mi
piace molto stare in mezzo alla gente.
Alle dieci iniziano a suonare e ci regalano due ore di sano punk,
pop-punk su
cui possiamo pogare e fare surf –crowd: molto bello.
Erano anni che non mi
divertivo così, adesso so perché a Kanna mancano
così tanto i concerti punk,
sono una figata assurda! Lei in Germania ci andava spesso e lo ha
raccontato
spesso a me e a Mari.
A proposito di loro, quando arrivo in casa devo scrivere loro come sta
andando,
non mi sono certo dimenticata di loro!
A mezzanotte e mezza me ne
vado dal locale, mi accorgo immediatamente di essere seguita: quattro
tizi
grandi e grossi aspettano solo di trovarsi in un angolo buio per farmi
chissà
cosa.
Poveri sciocchi! Che ci
provino, saranno cadaveri in me che non si dica!
Finalmente arriva
l’agognato angolo buio e io mi preparo
a
dare loro una lezione con Jack, ma qualcuno mi precede.
“Andatevene!”
Sibila una voce maschile,
tagliente e minacciosa.
Io mi volto verso questo
ragazzo e vedo un’ombra magra, alta e che emana
un’aura di minaccia, i quattro
se ne vanno via spaventati.
“Grazie per avermi
aiutato, posso vederti in faccia?”
Ci spostiamo sotto un
lampione e vedo una faccia magra con un leggero velo di barba, dei
capelli blu
spettinati, un piercing che luccica sul labbro e diversi tatuaggi che
gli
coprono le braccia nude.
“Figurati, ci si aiuta tra
colleghi, no?”
“Prego?”
Chiedo io, un po’ confusa.
“Sei una sciamana anche
tu, vero?”
“Sì, mi chiamo Mathilda
Matisse.”
“Mi chiamano tutti Pain,
tu puoi chiamarmi Benji.”
Io annuisco.
“Va bene, Benji. Posso
rimediare in qualche modo al fatto che tu mi abbia dato una
mano?”
Lui si gratta la testa.
“Potresti ospitarmi a casa
tua? È da un mese che vivo in strada visto che mi hanno
sbattuto fuori da
casa.”
Io ci penso un attimo, poi
annuisco.
“Va bene, seguimi.”
Devo essere matta per
portarmi a casa un barbone, ma lui non può essere peggio di
Hao, niente può
essere peggio di lui.
Arriviamo a casa mia, io
butto le chiavi nel pattino vicino all’entrata e mi tolgo la
giacca di pelle,
lui si guarda attorno.
“Bello qui, posso farmi
una doccia e magari avere qualcosa da mangiare.”
“Va bene.
Sparisce in bagno, io
intanto gli preparo tre panini molto sostanziosi che lui apprezza una
volta
lavato.
“Grazie, possiamo parlare
un po’, se vuoi.”
Gli dico curiosa, lui
annuisce.
“Cosa ci fai per strada?”
“L’orfanotrofio in cui
vivevo mi ha sbattuto fuori appena ho compiuto diciotto anni e con
questa
faccia non riesco a trovare lavoro. Ho un brutto carattere, diciamo. Tu
cosa
fai nella vita?”
“Traduco manga per una
casa editrice, sono stata a lungo in Giappone.”
Lui mi guarda e poi
spalanca gli occhi come fulminato.
“Io mi ricordo di te! Eri
una del team Hao Asakura.”
“Sì e non mi piace ricordare
questo fatto.”
“Ok.”
“Cosa usi come
contenitore?”
Lui tira fuori un lungo
stiletto dalla tasca dei pantaloni, sul filo della lama
c’è scritto qualcosa in
italiano che io non capisco.
“C’è scritto “Non ti
fidare di me”, l’ha preso mio nonno a un fascista
italiano durante la seconda
guerra mondiale.”
“Capisco e il tuo spirito
chi è?”
Qualcosa inizia a prendere
forma e vedo un giovane uomo in divisa militare, probabilmente della
prima
guerra mondiale.
“Lui è Joshua, in vita era
un cecchino infallibile ed era molto bravo con la spada. Per ora vive
dentro lo
stiletto, spero di procurarmi un pistola presto.”
“Non deve essere facile.”
Lui scuote la testa.
“Serve una pistola d’epoca
per far sì che lui sia in grado di dare il meglio, ma per ora non ho fretta, il
nuovo shaman king non
ama i conflitti.
Tu lo conosci, vero?”
“Sì, lo conosco.”
“Beata te, avrei voluto
partecipare allo shaman fight, ma non sono abbastanza forte e
così ho dovuto
rinunciare.”
“Hai fatto una buona
scelta!”
Sbadiglio.
“Senti, domani è domenica,
cosa ne dici se chiacchieriamo un po’ domani?”
Lui annuisce, io gli
preparo il divano per la notte e poi vado a letto, non prima di aver
scritto
alle mie amiche, entrambe mi raccomandano di stare attenta a Benji.
Lo farò sicuramente, anche
se per ora non ha ancora fatto scattare i miei allarmi interiori.
La
mattina lo trovo
davanti al frigorifero alla ricerca di qualcosa.
“Buongiorno.”
“Buongiorno, stavo
cercando di preparare la colazione.”
“Fai pure. Sono pigra.”
“Capito.”
Fa bollire del latte e lo versa
in due tazze, poi ci aggiunge del caffè e trova i biscotti,
alla fine serve
tutto nel minuscolo tavolino del locale.
Facciamo colazione in
silenzio, finito buttiamo le cose nel lavandino della cucina e usciamo
a
fumarci una sigaretta.
Lui sembra contento.
“Bella Londra vista da
qui, non sembra poi così pericolosa.”
“O forse la pancia piena
mette di buon umore, io non vivevo a Londra.”
“Lo so che vieni dal
Giappone.”
Io scuoto la testa, come
al solito mi sono espressa male.
“Prima di andare in
Giappone ed entrare bel gruppo di Hao Asakura vivevo in un villaggio
sperduto
nella campagna.”
“Capisco. Bel salto,
vero?”
Io alzo le spalle.
“Beh, un po’. In fondo
anche Tokyo è una metropoli ed è bella, anche se
i ricordi legati ad essa non
molto.”
Lui annuisce.
“Tu come ti sei accorto
che eri uno sciamano?”
“All’istituto riuscivo a
far sollevare le foglie secondo i miei comandi e ne avevo un
po’paura e poi
vedevo cose che gli altri ragazzi non vedevano.
Non puoi credere quanti
ragazzi e ragazze decidano di uccidersi in un istituto come quello in
cui sono
cresciuto io.”
“Ne ho una vaga idea,
invece. Sono orfana anche io e l’unico motivo in cui non sono
finita in un
orfanotrofio è stato il fatto che Asakura mi ha trovato
prima dei servizi
sociali.”
“Come sono morti i tuoi?”
“Ufficialmente per
l’esplosione accidentale di una bombola di gas, in
realtà la brava gente del
paese ha dato fuoco alla casa.
E i tuoi?”
Lui si siede su una delle
sedie.
“Incidente d’auto, mio
padre aveva il vizio di bere e una sera ce l’ha quasi fatta a
far fuori lui e
la sua famiglia. Lui è morto sul colpo, mia madre
è stata cinque giorni in coma
prima di morire.
Torniamo all’essere
sciamani?”
“Torniamo.”
“Beh, praticamente a un
certo punto mi è stato consegnato lo stiletto come
eredità di mio nonno morto,
nonostante il parere contrario della direttrice
dell’orfanotrofio.
Non dovrebbero girare
armi, ma io sono riuscita a girarla sul lato affettivo, del tipo che mi
ricordava mio nonno.
La sera stessa è uscito
Joshua dallo stiletto e mi ha raccontato cosa ero e mi ha spiegato come
controllare i miei poteri.”
“Capisco. Beh, è una
storia interessante.
La mia non più di tanto,
dopo che sono morti i miei per un po’ mi ha cresciuto una
vecchia strega che
viveva nella foresta. Mi ha insegnato gli usi delle erbe e un
po’ di magia, poi
è morta e Hao è arrivato a prendermi.
Mi ha procurato Jack – la
zucca intagliata che vedi nell’angolo – e mi ha
insegnato a usare i miei
poteri, poi mi ha messa in un team con due ragazze che più o
meno hanno vissuto
le mie stesse esperienze.
C’è stato lo shaman fight,
abbiamo combattuto e poi a un certo punto a Spirito of Fire serviva
più Furyoku
e Hao si è preso le nostre vite. È stata Anna
Kyoyama a riportarci indietro e
io, insieme alle mie compagne di team, lavoravo per lei.
Poi Hao si è fatto vivo
per scopare, mi ha scopato e poi ho scoperto che sua moglie Tamao
è incinta e
ho levato le tende.”
“Che brutta storia.”
Io scuoto le spalle.
“Così va la vita. Ti va se
entriamo?
Inizio ad avere freddo.”
Lui annuisce e ci sediamo
sul divano.
“Sei l’unica sciamana
della tua famiglia.”
“No. Lo era anche mio
nonno e tu, in un certo senso, gli somigli.”
Lui alza un sopracciglio.
“Quando sono venuta a
Londra il primo weekend l’ho sprecato andando a rovistare
nelle macerie della
mia vecchia casa nella campagna e ho trovato il suo diario.
In paese nessuno diceva
nulla contro di lui o lo importunava perché ne avevano
paura, emanava un’aura
indefinita di minaccia, per te è lo stesso.”
“Capisco.
Forse hai ragione,
nonostante non sia un armadio pochi vogliono fare rissa con
me.”
“Vedi? Anche i non
sciamani a volte percepiscono qualcosa, io conosco un non sciamano che
vede i
fantasmi. È Manta, un amico di Yoh.”
“Capisco, davvero curioso.
Matisse non è un comune
inglese, è francese.”
Mio nonno è francese, è
arrivato qui durante la seconda guerra mondiale.”
“Era ebreo?”
Scuoto la testa.
“No, non lo era, ma aveva
lo stesso attirato l’attenzione dei tedeschi.”
“Come mai?”
“Conosci la famiglia Tao?”
Lui si gratta pensoso il
mento.
“Tao.. Quelli dei Kionshi?
Quelli che usano i
cadaveri per combattere?”
“Loro. Beh, mio nonno
aveva un potere simile ed era stato dai Tao per un po’, come
apprendista o
qualcosa del genere.
Era un potere interessante
agli occhi dei nazisti, almeno anche i morti sarebbero serviti a
qualcosa,
peccato che mio nonno non avesse intenzione di collaborare.
È riuscito a scappare da
Parigi, dove viveva, per unirsi a un gruppo di profughi ebrei diretti
verso il
Regno Unito. Hanno attraversato di nascosto la Manica con
l’aiuto di alcuni
pescatori e sono arrivati a Londra, mio nonno si è procurato
una stella gialla
e ha finto di essere ebreo.
Dopo la guerra è andato a
vivere in un villaggio nella campagna, ha incontrato mia nonna e si
è sposato.
Non ha mai rivelato a nessuno le sue tecniche di combattimento, ha
mantenuto la
promessa che aveva fatto ai Tao.”
“Capisco.
Credo di capire perché tuo
nonno emanasse autorità, serve per controllare i cadaveri,
credo.”
“Può darsi!”
Mi stiracchio.
“Usciamo a fare un giro,
Benji?”
“Sì, Mathilda.”
Io sorrido.
“Chiamami Match.”
“Va bene Match.”
Mi cambio e facciamo un
giretto per Londra, la maggior parte dei negozi sono chiusi e
c’è in giro poca
gente, ma vale sempre la pena dare un’occhiata al Big Ben.
“Ti piace Londra, eh?”
“Sì, molto. Mi sento così
libera.
In una grande città non
vengo notata per la mia stranezza, c’è sempre
qualcuno più strano di me, e poi
posso parlare la mia lingua natale. È stranissimo,
perché per anni non mi è
mancato parlare inglese, ora invece scopro che mi era
mancato.”
Lui non dice nulla.
“Forse perché a volte
nella vita un cambio è necessario.”
“Forse sì. Forse per me
era arrivato il momento di lasciare il Giappone e non l’avevo
capito.”
“Può darsi.”
Lui guarda l’orologio.
“Andiamo a Buckingham
Palace, stanno per fare il cambio della guardia!”
“Andiamo!”
Ci prendiamo – un gesto
spontaneo – per mano e corriamo verso il palazzo. Io sono
incantata dalle uniformi e
dalla precisione con cui viene eseguito il rito.
Che bello se mio nonno
fosse rimasto a Londra! Forse avrei ancora i miei genitori e magari non
avrei
mai incontrato Hao.
Mi intristisco.
“Cosa succede?”
“Niente, pensavo che
sarebbe stato meglio per tutta la mia famiglia se mio nonno sarebbe
rimasto a
Londra, ma purtroppo non si può cambiare il
passato.”
“Esatto. Vorrei cambiare
un sacco di cose, ad esempio impedire a mio padre di bere come una
spugna.
Negli ultimi tempi ero diventato abbastanza forte da contrastarlo, ma
avevo
paura.”
“È comprensibile se hai
passato la tua infanzia come un punchiball per la rabbia
altrui.”
Lui annuisce.
Riprendiamo il nostro giro
e ci fermiamo in un parco in cui ci sono parecchie famiglie con prole
al
seguito. Io e lui puntiamo verso le altalene.
“Benji, mi spingi?”
“Non sei un po’ vecchia
per le altalene, Match?”
Mi chiede divertito.
“Eddai!”
“Va bene!”
Inizia a spingermi piano
poi aumenta e a me sembra di toccare il cielo con i piedi, mentre il
vento
muove i miei capelli e mi accarezza il volto. È freddo, ma
è piacevole lo stesso.
Vicino a me sento Benji
ridere.
“Dai, salta su anche tu!”
“Non so se mi regge!”
“Prova!”
Lui mi dà retta e presto
siamo in due sulle altalene per i bambini, sotto lo sguardo stupito
della gente
presente. Probabilmente qualcuno da un momento all’altro
verrà a dirci che le
altalene non sono fatte per due della nostra età, ma per i
mocciosi, ma per ora
ci godiamo il momento.
Finito – grazie alle
proteste di un padre agguerrito – ci sediamo su una panchina
a guardare le
papere, le anatre e i cigni che ci sono nel laghetto.
I cigni sono belli, così
eleganti, mi ricordano Hao, io invece sono un’umile papera.
Il brontolio sordo della
pancia di Benji mi fa capire che è ora di smettere di
contemplare il laghetto e
di tornare a casa.
Ci alziamo un po’ a malincuore
e torniamo a casa, io mi metto subito ai fornelli, lui invece prepara
la tavola
in silenzio.
Servo il pranzo e lo
mangiamo in un silenzio complice che mi stupisce, come è
possibile che io sia
così in sintonia con una persona che ho conosciuto solo ieri
e che farebbe
paura alla maggior parte delle persone?
Forse perché io sono
diversa o forse perché le persone sono superficiali.
“Devo trovarmi un lavoro.”
“Come te la cavi con il
disegno?”
“Bene.”
“Hai un portfolio?”
Lui annuisce.
“Bene, stasera preparalo e
dammelo, credo di avere una mezza idea su cosa farne.”
Lui mi guarda curioso.
“Tipo?”
“Cercano un apprendista
tatuatore in un tattoo store vicino alla casa editrice, potrei sempre
lasciargli il tuo portfolio e vedere cosa succede.”
“Va bene, sarebbe
fighissimo se mi prendessero!”
“Io ci provo.”
Il pomeriggio lo
trascorriamo a fare le pulizie al mio appartamento, alla sera siamo
stanchissimi e filiamo subito tutti e due a letto. Io prima di mettermi
sotto
le coperte scrivo a Kanna e Mari, domani leggerò la loro
risposta.
Chissà cosa penseranno di
questa situazione, forse che sono impazzita del tutto o forse mi
diranno che è
ok.
Non ne ho idea, ma va bene
così, questo non mi impedisce di prendere sonno e per la
prima volta da secoli
il mio è un sonno tranquillo.
Non ci sono gli incubi in
cui rivivo la mia morte e la mia resurrezione, non
c’è Hao, c’è solo un grande
prato verde in cui cammino scalza e felice.
Finalmente un po’ di pace,
mi ci voleva proprio.
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Capitolo 3 *** 3)Alla scoperta dell'amore ***
3)Alla scoperta dell'amore
La
mattina dopo mi sveglio
di buon umore.
Devo andare al lavoro e la
giornata è già grigia e nuvolosa adesso, ma non
mi importa. Entro nella camera
di Benji e lo scuoto fino a farlo svegliare, lui mi guarda senza
capire, gli
occhi gonfi di sonno.
“Ben, il portfolio!”
Lui si illumina, si alza
di scatto, scalciando via le coperte. Dorme solo in boxer e io non posso fare a meno di arrossire.
È magro, ma ha
davvero un bel fisico!
Lui mi porge un album e io
cerco di far finta di non essere stata persa nella contemplazione del
suo
fisico fino al secondo prima.
Lui – ancora mezzo
addormentato – per fortuna non se ne accorge.
Io esco dalla stanza mezzo
scombussolata, lui ha davvero un bel fisico, ha anche un buon carattere
ed è
uno sciamano: è perfetto per prendere il posto di Hao nel
mio cuore.
Chissà.
Prima di andare al lavoro
passo al negozio di tatuaggi, è il mio preferito visto che
mi sono fatta
tatuare Jack Skeletron sulla spalla lì.
“Ciao, Mathilda. Vuoi
farti un nuovo tatuaggio?”
“No, ti ho portato il
portfolio di un mio amico che cerca lavoro.”
Rispondo alla segretaria.
“Va bene, lascialo pure
lì, gli darò un’occhiata più
tardi.”
Io annuisco.
“Grazie mille per avermelo
fatto lasciare.”
“Di niente.”
Esco dal negozio e vado al
lavoro. Di solito odio il lunedì, oggi non mi pesa
particolarmente, molto
strano. Lo notano anche le mie colleghe, ma hanno il buon senso di non
dirmi
nulla, sanno che posso essere piuttosto acida quando non voglio parlare
di
qualcosa e il mio buon umore non è una cosa di cui voglio
parlare.
Durante la pausa pranzo
vado a mangiare in un ristorante giapponese in cui non si paga molto,
ogni
tanto ho nostalgia di Tokyo e questo posto è perfetto per
guarirla, un giorno
dovrò portarci Benji.
Ecco, sto di nuovo
pensando a lui e questa cosa non ha senso, cavolo!
Torno al lavoro e mi
concentro sulla traduzione, lasciando per il momento il volto del mio
nuovo
coinquilino fuori dai miei pensieri. Ho bisogno di tempo per capire
cosa sta
succedendo e ammetto di avere un po’ paura: non ho mai
permesso a nessuno di
amarmi.
Il mio terrore è che prima
o poi si stanchino del fatto che io sia una strega e mi caccino via,
lasciandomi di nuovo sola, in mezzo a una strada.
La prospettiva mi
paralizza, non so se questa volta sarei in grado di rialzarmi e tornare
a
vivere una vita normale. Sono sul filo del rasoio, se venissi rifiutata
credo
che questa volta potrei semplicemente saltare tra le braccia del Grande
Spirito
e lasciare che lui si occupi di me.
Il Grande Spirito non
spreca nulla, tutto distrugge per creare qualcosa di nuovo.
Pensieri negativi. Anche
questa non è una cosa che va bene, devo levarmeli dalla
testa, nessuno mi farà
ancora così male, non sono più la bambina
abbandonata, sono una giovane donna
con una casa e un lavoro!
Torno a casa con un gran
mal di testa, Benji vedendo la situazione ordina due pizze in modo che
non
debba cucinare io, che pensiero carino!
Questo ragazzo è davvero
un tesoro!
Ho di nuovo permesso ai
miei pensieri di focalizzarsi su di lui e non doveva succedere.
“Ti senti bene, Match?
Mi sembri strana.”
“No, non ho nulla, sono
solo stanca per il lavoro.
Ho lasciato il tuo
portfolio al tatuatore, adesso si faranno vivi loro.”
“Grazie mille, sei davvero
una brava persona. Non ho mai trovato nessuno che mi aiutasse
così.”
Io arrossisco.
“Ma dai, non esagerare!”
“Esagerare?
Trovami una sola persona
in Londra che accolga in casa un barbone di cui non sa assolutamente
nulla e
che potrebbe essere pericoloso.”
Io arrossisco ancora di
più.
“Dai, smettila con le
smancerie o ti butto fuori casa!”
Mi rifugio in cucina, seguita
dall’eco della sua risata, mi sento così fragile e
debole in sua presenza.
Ho sempre odiato sentirmi
così, ma stranamente quando mi succede con noi provo anche
una punta di
felicità, come se avessi ritrovato una persona che conoscevo
dopo tanto tempo.
Il suono del campanello mi
distoglie dai miei pensieri e corro ad aprire, ritiro le pizze e pago
il
fattorino.
“Benji, prepara la tavola
se vuoi mangiare!”
Urlo, lui esegue
immediatamente e poco dopo siamo a tavola a mangiare le nostre pizze,
sono davvero
buone.
“Come mai hai deciso di
farmi venire a vivere da te?”
Io quasi mi strozzo con il
mio boccone.
“Non lo so, forse il fatto
che anche tu sei uno sciamano e nessuno può essere peggiore
di Hao.
Dovresti essere tu ad
avere paura di me, il mio furioku è molto più
alto rispetto al tuo.”
“Anche questo è vero, ma
ho lo strano presentimento che non mi farai niente. Quanti ne hai fatto
fuori
prima di uscire dalla congrega di Hao e da quanti sensi di colpa sei
perseguitata?”
Io abbasso gli occhi, sono
perseguitata da parecchi sensi di colpa, ma purtroppo non potevo agire
diversamente o Hao mi avrebbe uccisa. Visto che alla fine mi ha uccisa
comunque
forse sarebbe stato meglio morire da eroina che da gregario.
“Un po’, ma dormo la
notte. Sono più cinica di quello che pensi, mi sono
perdonata perché ho agito
per puro spirito di sopravvivenza, il che non è proprio
indice di bontà.”
Lui non mi risponde.
“Non era facile vivere
sotto il suo comando.”
“Per la Mathilda
dell’epoca lo era, quello che diceva Hao era oro colato, non
ho mai messo in
discussione nessuna delle sue decisioni o delle sue azioni
perché mi sembravano
quelle più giuste.
Perché avere pietà per la
razza umana dopo quello che avevano fatto a me e ai miei genitori?
Solo quando sono morta ho
capito quanti valore abbia ogni singola vita.”
Lui non mi dice nulla per
un po’.
“Scusa, credo di averti
fatto rievocare momenti che per te non sono piacevoli.”
“Scuse accettate, prima o
poi dovrò parlare della mia vita da sciamana sotto il
comando di Hao.”
Lui annuisce, non del
tutto certo di aver detto o fatto la cosa giusta.
Io sorrido per
rassicurarlo, non ho vissuta una bella infanzia e nemmeno una bella
adolescenza, ma devo lasciarmi tutto alle spalle.
Hao soprattutto, adesso
voglio con tutta me stessa mettere un punto fermo oltre cui lui non si
può
spingere nella mia vita, non voglio più scopare con lui solo
perché non accetto
che le cose siano andate avanti.
Adesso capisco meglio
anche i comportamenti di Kanna e Mari e mi chiedo perché
diavolo non ho fatto
così anche io prima. Sono stata davvero una stupida a cadere
nella rete di Hao.
Una stupida che non ci
ricascherà mai più.
Dopo
cena guardiamo la tv
insieme, stiamo per andare a letto quando suona il telefono.
Sono le dieci,chi diavolo
sarà?
Rispondo io, sperando che
non sia una sorpresina dal mio passato.
“Pronto?”
“Mathilda, scusa per l’ora
tarda, sono Anneliese.”
“La segretaria del tattoo
store?”
"Sì, volevo parlarti del
portfolio che mi hai lasciato stamattina, Maxi gli ha dato
un’occhiata.”
Maxi era il piccolo
padrone del negozio. Un ragazzo mingherlino, piano di tatuaggi e con
una lunga
coda di capelli neri, dietro la sua piccola statura nascondeva un
vulcano di
energie e dietro l’aria da duro un cuore d’oro.
“Cosa ha detto?”
“Che accetta di prendere questo
Benjamin come apprendista.”
“Meraviglioso! Aspetta che
ti passo Benji così potrete mettervi
d’accordo.”
“Va bene.”
Io appoggio la cornetta al
mobile e chiamo il mio coinquilino.
“Benji, ha appena chiamato
la ragazza del tattoo store, ti deve parlare.”
Lui prende in mano la
cornetta, incerto, ma subito dopo il suo volto si apre in un sorriso
felice.
“Non si preoccupi, domani
alle nove sarò lì da lei.
Mi farò spiegare la strada
da Mathilda, grazie mille per avermi dato
un’opportunità.”
Parlano ancora un po’, poi
Benji chiude la chiamata e mi solleva da terra facendomi fare una
giravolta,
finita quella appoggio la testa nell’incavo della sua spalla.
Ha un buon odore, mi
piace.
Un po’ imbarazzato mi
appoggia di nuovo a terra.
“Grazie mille, Match,
senza di te non saprei proprio cosa fare.”
“Prego, figurati e ora
andiamo a letto.”
Ci chiudiamo ognuno nelle
propria stanza, ognuno con i suoi pensieri. I miei sono
contraddittori,da una
parte vorrei che il nostro rapporto diventasse qualcosa di
più, dall’altra ho
paura.
Chissà cosa pensa lui?
Forse che è stato molto
fortunato a trovare me sulla mia strada, sicuramente mi è
grato, ma non so come
mi consideri dal punto di vista fisico.
Una bella ragazza?
Una nella media?
Una che non si farebbe
mai?
Boh, perché mi interessa
poi?
Mi tiro la coperta sulla
testa e tento di addormentarmi, ma mi riesce difficile con tutti questi
pensieri contradditori in testa.
Alla fine cedo al sonno
stremata.
La mattina dopo vengo
svegliata da un Benji su di giri, prepara lui la colazione, mentre io
mi
trascino in bagno come uno zombie. Lui ha energie da vendere, saltella
per
tutta la casa, parla a macchinetta, sembra un bambino il giorno di
Natale.
“Benji, sembri un pupazzo
a molla, solo che devo trovare la leva per spegnerti.”
Lui ride.
“Non la troverai, non la
troverai.”
“Non so se sia un bene o
un male. Sono sicura che oggi farai bella figura con tutta questa
energia.”
Lui ride.
“Spero di sì. È la prima
volta che qualcuno mi dà fiducia per fare
qualcosa.”
Io sorrido.
“Sono sicura che te la
caverai.”
Conosco la sensazione che
si prova quando qualcuno finalmente ti dà fiducia, dopo una
vita passata ai
margini – scansata da tutti – e so che è
bellissima. Sono felice che la provi
anche il mio nuovo amico.
Ci vestiamo ed usciamo,
incrocio la padrona di casa sulle scale e la saluto, lei guarda per un
attimo
Benji poi sorride. Forse non farà problemi per il nuovo
inquilino.
Io e lui saliamo in
macchina e mentre guido gli spiego la strada da fare, lui si guarda
attorno per
memorizzare e annuisce. Lo lascio fuori dal tattoo store, lui mi
abbraccia
un’ultima volta ed
entra, in quanto a me
arrivo alla casa editrice e mi metto subito al lavoro,
c’è una montagna di
carta stamattina sulla mia scrivania.
“Ah, sarà un lunga
mattinata!”
Esclamo teatralmente prima
di mettermi a sbrogliare la matassa, con metà cervello che
si sta chiedendo
come se la sta cavando Ben.
Decido di escluderlo dalla
mia mente, so che a mezzogiorno si farà sentire,
così il lavoro fila spedito, la
montagna arriva all’altezza di una collina.
A mezzogiorno ricevo un
messaggio, il mittente è Benji.
“Ciao
Match, ti va se ci vediamo per pranzo?
Almeno
ti posso raccontare qualcosa e poi non sono molto pratico della
zona.”
Io rispondo subito.
“Va
bene, ti vengo a prendere al tattoo store a mezzogiorno e mezza circa,
spero
sia andato tutto bene, punk grande e grosso <3.”
A mezzogiorno e mezzo
entro in pausa pranzo e declino l’invito delle mie colleghe a
pranzare con
loro, salgo in macchina e trovo Benji che ciondola davanti alla vetrina
del
tattoo store.
Il suo essere così alto lo
rende poco coordinato nei movimenti e fa tenerezza, io scendo dalla
macchina e
vengo travolta dal suo abbraccio.
Lui inizia a parlare a
macchinetta e io gli appoggio un dito sulle labbra, arrossendo.
“Ehi, aspetta almeno di
arrivare in macchina.”
Gli dico allegra.
“Va bene.”
“Posso chiederti una cosa?
Come fai di cognome?”
“Wargrave, la tizia che me
l’ha dato era un’appassionate lettrice di Agatha
Christie.”
“Umh, vero! Wargrave è il
nome del giudice pazzo di “Dieci piccoli
indiani.””
Entriamo in macchina e lui
inizia a parlare, mi descrive accuratamente Maxi e Anneliese, la
segretaria. Mi
dice che è tedesca, io non lo sapevo.
Dice che lo hanno trattato
molto bene e che gli hanno fatto provare a tatuare, sono
così felice di vederlo
al settimo cielo.
Ci fermiamo in un bar poco
lontano dalla casa editrice e ordiniamo due hamburger e patatine.
“Davvero, mi hanno fatto
persino tatuare e non mi hanno fatto pesare che sono
così… strano.
Maxi, poi è davvero un
mito, un piccoletto pieno di energia, vorrei che mi tatuasse qualcosa,
ma non
so cosa.
Di solito quelli come me
si tatuano homesick sulla mano, ma io non ho nostalgia
dell’istituto.”
“Un’ancora? Un’qualcosa a
tema alieno o spaziale?”
“Non è una pessima idea.
Ci devo pensare.
Voglio diventare sempre
più bravo e un giorno aprire
un’attività mia, voglio fare qualcosa che mi renda
orgoglioso di me stesso.”
“È davvero un buon
proposito!”
Esclamo colpita.
Era da molto tempo –
escluso il caso di Anna e Yoh – che non sentivo un buon
proposito, ho sempre
vissuto tra gente che voleva conquistare il mondo o odiava
l’umanità. L’ho
odiata anche io per un certo periodo e certe volte la odio anche io, ma
molto
meno rispetto al passato.
Stare con Yoh e Anna mi ha
cambiato, prima avrei demolito l’idea di Benji, adesso lo
ascolto partecipe,
pensando che si merita tutte le cose che elenca.
Si merita di riuscire ad
aprire un suo negozio.
Si merita una vita
normale.
Si merita una ragazza.
E su quest’ultimo punto
una vocina sconosciuta mi sussurra che non sarebbe male se fossi io la
sua
ragazza. Io sorrido dentro di me, non sarebbe affatto male, ma
è ancora presto
e poi potrei non piacergli.
Do un’occhiata
all’orologio, il tempo è volato e dobbiamo tornare
tutti e due al lavoro.
“Ehi, Benji, dobbiamo
tornare a lavorare.”
“Vero. Cosa ne dici di
uscire a cena stasera?”
Io arrossisco.
“È una specie di
appuntamento.”
Lui mi guarda sorpreso.
“No, solo per festeggiare
il mio nuovo lavoro.”
“Ok, va bene. È una buona
idea.
A proposito hai mai avuto
una ragazza, Benjamin?”
“Sì, ma erano solo storie
poco serie.
Il grande amore non è
arrivato, non ancora.”
E con questa frase smette
di parlare e mi guarda intensamente negli occhi come per dirmi
qualcosa, per un
attimo esistono solo i miei occhi viola e i suoi occhi scuri.
Poi la bolla si rompe.
“Andiamo a pagare.”
Dico piuttosto scossa, che
gli interessi?
Che quello che inizio a
sentire sia ricambiato?
Non lo so, ma lo scoprirò
presto, spero. Non amo vivere nel dubbio e nell’incertezza,
è qualcosa che mi
logora dentro. L’ho già sperimentato in passato e
non voglio ripetere
l’esperienza.
In questi momenti vorrei
avere il potere di leggere nella mente delle persone come Hao, ma poi
penso a
come questo potere l’abbia reso folle e mi passa la voglia.
Se c’è qualcosa da
scoprire, lo scoprirò a tempo debito.
Riporto Benji al tattoo
store e io me ne ritorno alla casa editrice, il non essere andata a
mangiare
con i miei colleghi ha sollevato un’ondata di pettegolezzi.
Mi chiedono tutte se ho un
ragazzo, io rispondo che ho solo un coinquilino che fortunatamente
è riuscito a
trovare lavoro. A giudicare dalle occhiate che mi lanciano non mi hanno
creduto
minimamente.
Che palle!
Il mio coinquilino è
l’argomento delle chiacchiere del pomeriggio, cosa che mi
annoia parecchio, ma
che forse è normale: sono giovane e carina – credo
– e si
aspettino che io abbia un ragazzo e Benji
non sarebbe male.
Arrossisco come una
quindicenne all’idea.
Finito il mio orario di
lavoro passo a prendere Benji e andiamo a casa.
Faccio la doccia e mi
preparo, indosso una gonna a fantasia scozzese, una maglia nera e una
felpa
dello stesso colore, in onore alla festa indosso un paio di paio di
scarpe a
tacco alto.
Lui invece è sempre il
solito, jeans stretti, maglia e felpa stracciata e chiodo,
però apprezza le mie
scarpe, dice che sembro Nancy.
Andiamo a mangiare in un
piccolo ristorante italiano non molto costoso che ho scoperto un mese
dopo il
mio arrivo a Londra.
“Che posto carino hai
scelto!”
Mi sorride Benji.
“Carino e soprattutto
economico. Dai, sediamoci!”
Seguiamo la cameriera e ci
sediamo a un tavolo vicino alla finestra, ha una tovaglia a quadretti
rossi e
bianchi e dei tovaglioli bianchi.
Ordiniamo una margherita,
ma Benji sembra a disagio.
“Cosa c’è?”
Gli chiedo.
“Non ti piace il posto?”
Gli chiedo con una punta
d’ansia eccessiva.
“No, tutt’altro. È molto
bello, solo che non sono mai uscito a mangiare prima d’ora.
Ho sempre mangiato
solo all’istituto.”
“Capisco. Forse sarebbe
stato meglio festeggiare a casa.”
Lui sorride.
“Nah, non badare a quello
che dico, qui va benissimo.”
“Ok, allora come è andata
oggi?
Dai, racconta per bene.”
Lui inizia a parlare a
macchinetta, continuando il racconto iniziato oggi al bar, è
felice e si vede e
io non posso fare a meno si sorridere. Sono felice di aver fatto del
bene,
soprattutto a lui.
Ogni volta finisco per
pensare a Benji,
è come se una forza
invisibile mi spostasse verso di lui e in fondo non mi dispiace davvero
tanto.
Mangiamo e chiacchieriamo
come vecchi amici e un paio di volte le nostre mani si sfiorano per
caso e
percepisco una lieve scossa elettrica.
Oh oh.
Questa è attrazione,
Match.
Io sorrido e mi dico che
va bene, che questa attrazione è sana, non ha nulla
dell’incantesimo che mi
rendeva succube di Hao.
Usciamo dal ristorante e
passeggiamo un po’ vicino al Tamigi, guardando le luci della
città che si
riflettono nell’acqua e le chiatte che passano pigre.
Senza nemmeno accorgersene
siamo mano nella mano come due fidanzati, mi piace il contatto con la
sua mano
calda e grande, mi rassicura.
Lui non cercherà mai di
cambiarmi o trasformarmi in un burattino nelle sue mani, a lui piaccio
per come
sono.
“Ahia!”
“Che c’è?”
“Mi fanno male i piedi!
Non sono abituata a portare i tacchi!”
Lui ride e si inginocchia
davanti a me.
“Togliti le scarpe che ti
porto a spalla.”
Io divento viola, ma alla
fine faccio quello che mi dice. Salgo sulle sue spalle, avvolgo le
scarpe in un
foglio di giornale e le ficco in borsa, poi mi stringo al suo collo e
alla sua
vita.
“Si parte, madame!”
Io scoppio a ridere.
Tutti i passanti ci
guardano male, ma io sento di stare benissimo.
Erano secoli che non mi
sentivo così bene.
Credo che anche per il mio
cuore martoriato sia arrivato il tempo dell’amore.
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Capitolo 4 *** 4)Meg ***
4)Meg
Arrivare
a casa dopo una
bella serata di solito è triste, ma se vivi con la persona
che te l’ha regalata
questo sentimento scompare.
Io e Benji arriviamo a
casa nostra, io salgo a piedi nudi, lui ridacchia come un demente,
abbiamo
urlato frasi senza senso a tutti i passanti che ci capitavano a tiro.
Fuggivano tutti
terrorizzati, ovviamente, vista la stazza del mio
“amico”. Estraggo le chiavi
ed entriamo nel salotto.
Io mi appoggio alla porta
e lui si avvicina a me, ha uno sguardo strano, serio. Senza dirmi
nulla, mi dà
un bacio delicato sulla bocca, non prova nemmeno ad approfondirlo.
Io lo guardo e – seguendo
il mio istinto – lo attiro a me e lo bacio sempre con
dolcezza, ma
approfondendo, lui rimane e lei sue mani mi stringono più
forte sui fianchi.
Ci stacchiamo solo quando
non abbiamo più fiato, rimaniamo comunque vicini, io abbasso
il volto, lui me
lo rialza gentilmente.
“È dalla prima volta che
ti ho visto che volevo farlo.”
Io sorrido.
“Mi piaci molto.”
“Anche tu, Match.”
Mi accarezza il volto e mi
sposta una ciocca.
“E adesso?”
“Adesso, cosa?”
“Mi butti fuori?”
“No di certo!”
Gli prendo una mano tra le
mie.
“Ti va se dormiamo
insieme?
Senza fare niente, così.”
Lui mi guarda per un
attimo e poi annuisce.
“Non mi era mai capitato
prima, di solito io cerco ragazze solo per fare sesso.
Tu sei diversa, non so
perché, lo sei e basta.”
Io lo guardo piacevolmente
sorpresa.
“Che bella frase! È la
prima volta che me la sento dire.”
Mano nella mano ci avviamo
nella mia camera da letto, dotata di un comodo letto matrimoniale, ci
spogliamo
e ci mettiamo sotto le coperte.
A Londra fa freddo e ci
abbracciamo stretti stretti, lui emana un calore piacevole.
“Sei fredda!”
Esclama lui,
massaggiandomi la schiena.
“Lo so. Forse non mi sono
ancora abituata al clima.”
“Uhm, una vera inglese si
abitua subito!”
Dice lui scherzando e io
rido con lui.
“Forse puoi aiutarmi a
farmi ambientare, che ne dici?”
“Che è una proposta molto
interessante.”
Mi risponde sbadigliando e
poi seppellendo la faccia nel collo, tra i miei capelli sciolti.
“Che buon odore!”
“Merito dello shampoo
naturale che uso io.”
Lo sento annuire, poco
dopo il suo respiro si fa pesante: si è addormentato.
E così ho una specie di
ragazzo, ho il cuore che mi scoppia dalla felicità,
finalmente sento che la mia
vita sta andando avanti in qualche modo lontana da Hao.
Ce la sto facendo,
lentamente, ma ce la faccio.
Sono orgogliosa di me
stessa.
Mi addormento così,
positiva.
Mi risveglio tra le sue
braccia e noto che sta sorridendo, con gentilezza lo scuoto e gli
indico l’ora,
siamo quasi in ritardo per il lavoro.
Lui sobbalza, mi dà un
bacio e insieme corriamo a prepararci, rinunciando alla colazione, e
poi ci
infiliamo in macchina.
Lo scarico davanti al suo
negozio, dopo averlo baciato, infine mi reco alla casa editrice senza
fiato.
Mi sono appena seduta alla
scrivania che il mio cellulare vibra,
“Buongiorno,
piccola.
Ti
va se ci vediamo a pranzo? Decidi tu il posto.
Ti
amo.”
Io
sorrido e digito rapida
una risposta prima di mettermi al lavoro.
“Ciao,
Benji!
Sì,
va bene. Non vedo l’ora che sia ora di pranzo.
Ops,
ho fatto un casino con le parole.
Potremmo
andare dove siamo andati ieri, che ne dici?
Ti
amo anche io”
La
risposta arriva subito
dopo.
“Va
benissimo.
A
dopo <3!”
“A
dopo <3 <3!”
Mi
metto al lavoro sorridendo,
particolare che non sfugge alle mie colleghe, che così
possono ricamare ancora
un po’ sul mio fidanzato.
Che lo facciano pure, io
non ho intenzione di dire una parola su Benji prima che le cose si
siano fatte
più stabili.
La mattina trascorre
tranquilla, traduco quello che serve, lo passo a chi si occupa di
metterlo nei
balloon e penso che la mia vita stia prendendo una bella piega.
A mezzogiorno e mezza
scatta la pausa pranzo e io – ancora una volta – me
ne vado via da sola,
rifiutando cortesemente l’invito delle colleghe.
Salto in macchina e Benji
non è fuori dal tatuatore, così entro in negozio.
Anneliese mi sorride e i mi
siedo su un divanetto davanti al bancone.
“Aspetti Benji?”
“Sì, come la sta cavando?”
“Bene, Maxi è
soddisfatto.”
“Sono contenta.”
Lei mi guarda attenta.
“Oh, ma qui c’è sotto
qualcosa!
Tu sei la ragazza di
Benji.”
Io arrossisco.
“Beh, c’è qualcosa, ma non
abbiamo ancora deciso i termini.”
Lei sorride.
“Ti auguro buona fortuna,
lui è un bravo ragazzo!”
“Lo è, spero che mi vada bene
per una volta.”
Poco dopo esce Benji
accompagnato da Maxi, si illumina quando mi vede.
“Ciao, scusa per il
ritardo, ma una seduta si è rivelata più lunga
del previsto.”
“Non ti preoccupare.”
“Posso andare adesso,
Maxi?”
Lui annuisce.
“Certo, a dopo Ben, ciao
Mathilda.”
Io e Benji usciamo mano
nella mano, è stato lui a prendermela e il gesto mi ha fatto
un immenso
piacere.
“Scusa per il ritardo.”
“Ti sei già scusato, non
mi sono arrabbiata comunque, so quanto vale per te il tuo
lavoro.”
“Grazie, penso che
Anneliese mi bombarderà di domande.”
“Anche le mie colleghe lo
faranno.”
Rimaniamo un attimo in
silenzio.
“Cosa diremo loro? Non
abbiamo ancora definito cosa siamo.”
“Io dirò a Anneliese che
tu sei la mia ragazza, se per te va bene.”
Io mi illumino letteralmente
e gli salto in braccio.
“Va benissimo.”
Lui sorride e mi porta in
braccio fino alla macchina.
Mi depone e io entro dalla
parte del guidatore, lui non ha la patente, e metto in moto, lui si
allaccia la
cintura e partiamo.
Andiamo al nostro solito bar
e ordiniamo due panini.
“Anneliese mi ha detto che
Maxi è molto soddisfatto di te.”
Lui sorride.
“Beh, sono felice. Nessuno
è mai stato soddisfatti di me prima di allora,
all’istituto ero la pecora
nera.”
“Ti capisco, prima di
incontrare Kanna e Mari mi sentivo allo stesso modo, anche adesso ogni
tanto mi
sento così. Mi mancano i miei genitori, ogni tanto li sogno.
Sogno di quando
vivevamo al nostro villaggio e mia madre preparava i muffins alla
mattina
presto o quando mio padre mi spingeva sull’altalena del
nostro giardino.
Tutto andato, perso e
distrutto oramai.”
Dico amara.
“Io i miei manco me li
ricordo. Ho una loro foto che tengo nel portafoglio, ma non ho nessun
ricordo.
I miei ricordi partono tutti da quella merda di orfanotrofio in cui mi
hanno sbattuto.
Ci credi che nessuno dei
miei parenti voleva prendersi cura di me?”
“Oh, ci credo. Nemmeno i
miei parenti si sono voluti prendere cura di me.”
Lui dà un morso al suo
panino.
“E tu cosa hai fatto?”
Io alzo le spalle.
“Una notte sono scappata dall’istituto
e sono tornata a casa mia, fortunatamente per me c’era in
giro una vecchia e mi
ha preso sotto la sua protezione.
Abitava nel bosco, non
aveva parenti, si faceva viva solo per la spesa e la pensione, era una
strega
anche lei e mi ha insegnato quello che sapeva.
Poi è morta anche lei e mi
ha trovato Hao, forse sarebbe stato meglio se mi avessero ritrovato i
servizi
sociali.”
“Non lo so. Sono brutte
cose tutte e due.”
Io annuisco, lui mi
stringe la mano.
“Almeno sappiamo cosa
significa essere non voluti e possiamo capire i problemi
dell’altro.”
“Magra consolazione!”
Esclamo io finendo il mio
panino.
“No, beh, è importante.”
“In un certo senso ha
ragione, ma è comunque triste.”
Lui mi guarda negli occhi.
“Ma ce la faremo.”
Io sorrido.
“Giusto, ce la faremo.”
La
prima settimana da
conviventi passa senza problemi.
Lui dissemina la casa di
piccole attenzioni per me e io
faccio lo
stesso, ci andiamo cauti, tutti e due abbiamo un po’ paura.
Forse lui ne ha più
di me, i ragazzi di quell’età di solito vogliono
solo scopare e forse lui ha
paura di una storia seria che implichi sentimenti.
Per me è più o meno lo
stesso, ho paura di lasciarmi andare e non sono un’esperta di
relazioni, per
fortuna ci sono Kanna e Mari. Mi tengo in contatto con loro e
soprattutto Kanna
– essendo la più grande – mi
dà qualche consiglio.
Forse però ce la stiamo
cavando bene perché non ci sono stati litigi e tutto sembra
filare liscio.
Speriamo che duri.
Ormai è sabato pomeriggio,
stasera potremmo uscire a fare un giro.
“Senti, Benji, cosa ne
dici se torniamo in quel locale dove ci siamo conosciuti?”
“Uhm, sì. Perché no?
Mi hanno detto che la band
che si esibisce stasera è brava.”
“Perfetto, allora è
andata!”
Lui annuisce.
Io preparo la cena,
mangiamo tranquillamente e poi ci prepariamo. Lui si veste come la
prima volta
che l’ho visto, io metto un paio di pantaloni pieni di
cerniere, una maglia
nera con un teschio e una felpa senza maniche, anfibi e il mio chiodo
di pelle
nera.
“Stai bene così, non te le
metti mai le gonne?”
Chiede ridendo.
“No, sono un po’ a
disagio, ma magari
posso provare a
vincerlo.”
“Sarebbe bello, ma magari
un’altra volta. Adesso dobbiamo andare!”
Io alzo le braccia verso
l’alto.
“Giusto! Ci aspetta una
notte di divertimento.”
Lui mi sorride e io chiudo
la porta di casa, poco dopo sto guidando al locale cantando una canzone
dei
blink, lui si mette a cantare con me.
Parcheggio e scendiamo
mano nella mano, il locale è molto affollato quindi la band
deve essere
effettivamente brava.
Entriamo a malapena e ci buttiamo
subito in pista, nel pogo vengo separata da Benjamin e lo cerco. Lo
trovo con
una tizia con una cresta appiccicata addosso, cosa diavolo vuole dal
mio
ragazzo quella?
Riesco ad arrivare vicino
a lui e mi piazzo tra lui e la ragazza.
“Benji è già impegnato,
gira al largo!”
Lei scoppia a ridere.
“Benji non è impegnato,
Benji è mio e lo sarà sempre, tu sei solo una
stupida parentesi!”
Detto questo se ne va
ridendo, io rimango di ghiaccio.
“Cosa significa?”
Mi volto verso il mio
ragazzo, ma lui abbassa gli occhi, io sgrano i miei – come un
cervo davanti
alla macchina che lo investirà – e poi giro i
tacchi ed esco dal locale.
Non me ne frega niente
della macchina, mi metto a correre lontano da quel posto ed entro nel
primo
locale che trovo. Vado spedita verso il bancone e ordino un bicchiere
di vodka
e poi un altro e un altro ancora.
Alla fine ne bevo troppi e
mi ritrovo a barcollare, perciò mi siedo su uno degli
sgabelli e chiedo ancora
alcool.
“Non glielo serva.”
Ordina una voce dietro di
me: Benji.
“Cosa ci fai qui? Vai da
quella con la cresta e non rompere il cazzo, tanto sei suo, no?
Un’altra vodka!”
Il barista me la serve e
Benji me la toglie dalle mani.
“Smettila di rompere il
cazzo, ridammi da bere e togliti dalle palle e dalla mia vita!
Avresti dovuto dirmi che
eri impegnato!”
Bevo la mia vodka ed esco
dal locale, lui mi segue.
“Match..”
“Mathilda!”
Lo correggo tagliente.
“Mathilda lasciami
spiegare!”
“La tua amica è stata
abbastanza chiara, adesso voglio solo andare a casa, domani fa sparire
la tua
roba!”
“Mathilda, un tentativo di
spiegare me lo devi!”
“Vaffanculo!”
Gli urlo a mo’ di
risposta.
Raggiungo a piedi il mio
appartamento e mi butto a letto non prima di aver bevuto due aspirine,
domani
mattina mi eviteranno un bel mal di testa.
Mi addormento subito, alle
nove, con la verve di un cadavere mi trascino in bagno e poi in
cucina,dove
trovo Benji, ha le occhiaie quindi non ha dormito.
Chi se ne frega!
Gli passo accanto
indifferente, lui però mi afferra per un polso e mi fa
sedere in braccio a lui.
“Cosa vuoi?
Ti sei già preso quello
che volevi.”
“No.”
“Cosa vuoi? Buttarmi fuori
casa e venirci a vivere con la tua troia!”
“Non è la mia troia!”
Io sbuffo.
“Smettila con le bugie!
Hai tenuto il piede in due scarpe e hai sfruttato me per avere una
casa. Bravo,
ci sei riuscito!
Adesso mollami!”
Lui non accenna a farlo.
“Ti prego, lasciamo almeno
provare a spiegare, ti prego.”
Io sospiro e mi massaggio
le tempie, da una parte vorrei ascoltarlo, dall’altra una
voce maligna mi dice
che perderei il mio tempo facendolo.
“Va bene, fallo se devi,
ma sbrigati.”
“La tizia, che si chiama
Meg, non è la mia ragazza. Lei crede di esserlo
perché l’ho scopata un paio di
volte quando ero in istituto, ma poi gliel’ho detto che era
finita.
Te lo giuro che gliel’ho detto,
è lei che non vuole capire.
Non mi interessa nulla di
Meg, sono venuto a cercare te e non sono rimasto con lei e ti giuro che
non sto
facendo tutto questo per la casa.
Avrei potuto chiedere
ospitalità a qualcun altro, non ti sto sfruttando.
Quando ti ho detto che ti
amavo non scherzavo, sei la prima ragazza che mi fa questo effetto.
Sei la prima per cui metto
da parte il sesso e mi godo la compagnia e non potrei vivere senza le
tue facce
buffe o i tuoi commenti sempre un po’ acidi.
Ti prego, Match, dammi
un’altra possibilità.”
“Come faccio a fidarmi?”
Lui mi guarda fisso
negli occhi e io mi perdo in quei
dannatissimi occhi scuri, che sono sinceri come non mai. Ho visto
più volte la
menzogna all’opera, ma mai tanta purezza d’animo.
Abbaglia così tanto da
farti rimanere cieco.
In fondo con Hao non ho
sperimentato solo che bugie perché non provare a dare una
possibilità alla
verità e a questo ragazzo?
“Non c’è un modo per farti
fidare di me, deve venire da te.”
Io rimango in silenzio.
“Voglio crederti…
Io… Io … Mi hai resa
debole con la storia dell’amore e della fiducia, anche se
sono ancora
arrabbiata perché quella tizia ti stava parlando, non posso
fare a meno di te.
Mi fido, tu non la
cercherai più e se te la troverai
davanti…”
“La caccerò via, te lo giuro.“
Mi abbraccia e io
seppellisco la mia testa nell’incavo della sua spalla,
mettendomi
improvvisamente a piangere, probabilmente per sfogare la tensione.
Lui mi stringe di più e mi
sussurra che andrà tutto bene, che non succederà
più nulla di simile, che non
vuole perdermi.
Il fatto che qualcuno non
voglia perdermi è destabilizzante, io sono sempre stata una
pedina senza
valore, sacrificabile senza troppi rimorsi di coscienza.
Il campanello suona
all’improvviso, andiamo tutti e due ad aprire e ci troviamo
Meg con tutta la
sua merda.
“Beh, visto che il mio
ragazzo vive qui devo seguirlo.”
La sua faccia mentre Benji
le chiude la porta in faccia è qualcosa di impagabile.
“Non sono più il tuo
ragazzo! Sono secoli che te lo sto dicendo e siccome adesso ho davvero
una
ragazza che mi ama,
vattene!
Non ti voglio più vedere,
Meg!”
Dall’altra parte della
porta si sentono solo insulti, chissà cosa si aspettava?
Che le aprissi la porta e
le stendessi il tappeto rosso?
Non sono mai stata quel
genere di ragazza, preferisco conservare i tappeti rossi e le premure
per chi
se li merita.
“Pensi che si farà viva
ancora?”
Chiedo a Benji.
“Forse con me, ma non
credo che verrà ancora a bussare a questa porta.”
“Meglio o le avrei
cambiato i connotati.”
Ringhio minacciosa, sottovoce, lui
ride.
“Tranquilla. Adesso ci
occupiamo del tuo post sbronza e della colazione.”
Mangiamo insieme i nostri
cereali e poi lui mi dà un’aspirina, secondo lui
fa miracoli e io decido di
fidarmi.
Sono circa le sette e
mezza di mattina di una piovosa domenica londinese, è un
orario assurdo, uno di
quelli che si devono passare a letto.
Sbadigliando, prendo Benji
per mano e lo trascino in camera mia, dove ha sempre dormito da quando
ci siamo
messi insieme.
“Io ho sonno e penso che
sia completamente folle stare in piedi alle sette e mezza del mattino
di
domenica, cosa ne dici se ci facciamo una dormitina in attesa che
arrivi un
orario più civile?
Lui sorride.
“Dico che è una buonissima
idea.”
Ci infiliamo sotto le
coperte e la sua presa è particolarmente salda.
“Mi è mancato tanto
stringere questo corpicino.”
Sussurra lui, mezzo addormentato.
“Benji, ti amo.”
“Anche io.”
Risponde lui sorridendo.
Questo sì che è
un bel modo per salutare le sette e mezza
di mattina domenicali.
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Capitolo 5 *** 5) Addio, Hao ***
5) Addio, Hao
I
mesi passano velocemente
da quando Benji ha messo alla porta Meg.
Lei ci ha provato ancora e
ancora a infilarsi nel nostro rapporto, ma lui non le ha mai dato retta
e dopo
un paio di scherzetti che le ho tirato con la mia abilità
magica ha capito che
non era il caso di continuare.
A volte un po’ di sano
voodoo risolve molte situazioni scomode o difficili, Benji deve avere
intuito
qualcosa perché quando la stronza ha smesso di farsi vedere
è scoppiato a
ridere e mi ha guardato complice.
Io non ho battuto ciglio,
eccetto per un piccolo sorriso sardonico.
In ogni caso Natale si
avvicina ed è molto diverso rispetto al Natale giapponese,
innanzitutto è una
festa e non si lavora e poi non è il genere di
festività che si trascorre con
il proprio ragazzo.
Natale è la festa della
famiglia per eccellenza, famiglia che io non ho più.
Mi mette leggermente
tristezza, ma non oso esternarla perché Benji sembra di buon
umore e non
capisco perché.
È una domenica fredda di
dicembre, la nebbia e il freddo la fanno da padrone per strada, io sono
sdraiata sul divano avvolta nel mio plaid, mentre Benji suona la sua
chitarra
in camera.
All’improvviso il suono
cessa e lui arriva in salotto con un sorrisone che gli va da un
orecchio
all’altro.
“Che succede?”
“Dai, andiamo a prendere
l’albero di Natale e le cose per decorare la casa.”
Io appoggio il mio libro
ed esco rabbrividendo dalla coperta.
“Se ci tieni tanto ci
andiamo, adesso vado a cambiarmi.”
Lui annuisce, io tolgo la
felpa e i pantaloni della tuta per mettermi un paio di jeans, una
maglia nera e
una felpa di Jack Skeleton.
Il tempo di mettere gli
anfibi, il cappotto e di prendere il cappotto che lui mi sta
già trascinando
per le scale. Saliamo in macchina e sembra eccitato come un bambino.
“Come mai tutta questa
agitazione?”
“Perché è la prima volta
che posso decidere io con cosa decorare casa mia e non con cose che
sono state
donate all’istituto nell’45 o giù di
lì.”
“Capisco. Ma sì! Andiamo
alla ricerca di qualcosa per decorare l’appartamento!
Partiamo dall’albero.”
Ci fermiamo in un grande
negozio di bricolage e passeggiamo mano nella mano tra gli scaffali, le
cose
per il Natale sono tra le prime.
Ci sono alberi di plastica
di diversi colori, io mi incanto davanti a un albero bianco.
“A me non piace, io sono
più per il verde!”
Protesta Ben.
“Mannò! Immaginati che il
bianco sia la neve, un magnifico abete carico di neve!”
“Magari nella campagna.
Che ne dici? Ci facciamo un giro in campagna dopo Natale?”
“Uhm, perché no? A patto
di stare lontani dal mio villaggio.”
“Giuro solennemente!”
Alla fine prendiamo
l’albero bianco e delle decorazioni e festoni blu, viola e
argentati, una bella
stella cometa argentata e un piccolo presepio con le lucine.
Arrivati a casa scegliamo
il posto migliore per mettere l’albero e lo montiamo, poi
iniziamo a mettere le
lucine. In seguito mettiamo i festoni e le palline e come ultimo tocco
finale
la stella argentata.
Mi sembra un buon
risultato.
Il piccolo presepio
finisce su un mobile del salotto, le lucine in avanzo vanno in terrazza
e sul
nostro letto, mi piacciono così tanto che ho una mezza idea
di lasciarle lì per
sempre, danno un tocco magico al tutto.
“Che belle!”
Urlo in preda
all’entusiasmo, Benji annuisce e rimaniamo un po’a
osservarle con lui che mi
abbraccia da dietro.
Ho una bellissima
sensazione di calore che mi sale dal fondo dell’anima e che
mi rende felice
come non mai.
Ho come l’impressione di
essere troppo felice e che presto qualcosa arriverà a
interrompere il mio buon
umore.
“Bello quel letto,
Mathilda. Hai sempre avuto un gusto strano, ma elegante.”
Al suono della sua voce mi
irrigidisco nelle braccia di Benji e non ho il coraggio di girarmi.
Lui
non
può
essere qui, lui deve essere a Tokyo con Tamao incinta a badare alla sua
famiglia, non ha tempo da perdere con me.
“Mathilda, non saluti i
vecchi amici?”
Questa volta mi giro e mi trovo davanti Hao e il suo sguardo
ammaliatore, che
però questa volta non fa effetto. Non mi paralizza, non
annulla la mia volontà,
scorre via come acqua sulle pietre.
“Buonasera Hao, trovo
eccessivo definirci amici.”
“Eppure lo siamo.”
“No, non lo siamo.”
Lui guarda Benjamin.
“Interessante scelta, ma
non importa: tu vieni a Tokyo con me.”
“No, non ho intenzione di
seguirti.
Torna dalla tua famiglia,
non hai bisogno di me.”
“Sì, invece e tu hai
bisogno di me, non di questo ragazzino.”
Io stringo i pugni.
“Non è un ragazzino e io
non ho bisogno di te! Io non voglio essere la tua amante!”
La voce mi esce tagliente,
Hao sembra colpito, prima stupito e poi arrabbiato.
“Dunque tu ti rifiuti di
eseguire i miei ordini?”
“Sì, non sono più dalla
tua parte da tanto tempo, Hao.
Dovresti saperlo, la mia
lealtà va a tuo fratello e ad Anna.”
“Sei solo una stupida
ragazzina!”
So cosa sta per fare così
lo faccio anche io e anche Benji, in un attimo la stanza è
piena di tre
spiriti: spirito of fire, Jack e quello di Ben.
“Mathilda, contro di me?
Che speranze hai?”
“Nessuna, ma tu non mi
userai ancora!”
Lo vedo stringere i denti,
dopo di che sento uno spostamento d’aria e accanto a me
appaiono Kanna e Mari
con i loro spiriti.
“Doveva essere una
sorpresa, direi che è ben riuscita!”
Commenta caustica Kanna.
“Anche voi?”
“Anche noi!”
Hao ci guarda incredulo
per un altro lungo attimo, forse vorrebbe attaccare, ma la voce di Yoh
– chiara
dentro la nostra testa – ordina al fratello di lasciarci in
pace e di tornare
in Giappone immediatamente.
Lui si allontana a testa
bassa.
“Non tornare, non sono più
tua. Pensa a Tamao e alla creatura che porta in grembo, lascia stare
me.”
“Ogni tanto si perde.”
Commenta gelido prima di
andarsene del tutto da casa mia.
Dopo
un ciclone c’è sempre
un clima strano: ci sono macerie e
ci
sono persone che vagano instupidite alla ricerca di qualcosa o senza
nemmeno
avere realizzato a pieno quello che è successo.
Questo è quello che è
successo in camera mia, io, Benji e le mie amiche ci fissiamo con uno
sguardo
un po’ vitreo, increduli su come siamo riusciti a scampare
alla morte.
Sfidare Hao corrisponde
alla morte e noi l’abbiamo scampata bella.
“Ragazze, come mai qui?”
“Niente, siamo venute qui
per festeggiare il Natale e vedere come te la cavavi e soprattutto il
famoso
Benji.”
Io rido, mezza isterica.
“Invece vi siete trovate
davanti il vostro peggiore incubo.”
Continuo a ridere
isterica, Marion, Kanna e Benji si lanciano uno sguardo, Mari mi
trascina in
salotto e mi fa sdraiare sul divano. Poco dopo Kanna e Benji arrivano
con un
bicchierino di whisky e me lo fanno ingurgitare a forza. Solo quando il
liquido
ambrato raggiunge la mia gola torno in me.
“Non ci posso ancora
credere.”
“Nemmeno noi. Abbiamo
sfidato Hao e siamo sopravvissute.”
Rimaniamo un attimo in un
silenzio imbarazzato, poi cerco di alzarmi in piedi –
nonostante sappia di
essere pallida e poco stabile – e indico Benji.
“Ragazze, lui è Benji.”
Loro due annuiscono, Kanna
gli tende una mano.
“Piacere, io sono Kanna
Bismark.”
“Io invece sono Marion
Phauna.”
Non è cambiata per nulla,
stringe a sé la sua bambola, non fissa nessuno negli occhi e
ha una voce così
sottile che a malapena si sente.
“Molto carino, qui.”
Commenta Kanna con occhio
professionale, io guardo l’orologio: è tardi, devo
fare da mangiare.
Cerco di andare in cucina,
ma barcollo troppo e alla fine – se non fosse per Benjamin
– sarei caduta per
terra.
“Dove vai?”
“Devo prepararvi qualcosa
da mangiare.”
Lui sorride.
“Piccola, ordiniamo una
pizza, non sei in grado di cucinare, sei troppo sconvolta.”
Io faccio per replicare,
ma Kanna scuote la testa.
“Benjamin ha ragione, non
sei in grado di cucinare. Hai subito uno shock terribile, adesso
ordiniamo una
pizza e mangeremo quella.”
Io annuisco, mi sento un
automa, non riesco ancora a capacitarmi di quello che sia successo.
Benji ordina le
pizze e circa mezz’ora dopo siamo intorno
al tavolo a mangiarle, gli altri parlano, io invece taccio, la mia
sensazione
di irrealtà non se ne va.
No, non se ne va per
niente.
Dopo cena mostro a Kanna e
Mari la stanza in cui dormiranno, quella in cui teoricamente avrebbe
dovuto
dormire Benji, ma che lui non ha mai usato.
Loro annuiscono e
cominciano a sistemare tutto, mentre io mi faccio una
doccia. Solo molto tempo dopo – quando tutti
dormono e la casa è silenziosa – abbracciata a
Benji che dorme un sasso e mi
stringe possessivamente a sé mi rendo conto che è
successo davvero.
Abbiamo sconfitto Hao.
Con questo pensiero in
testa mi addormento sorridendo, un peso è scivolato via
dalle mie spalle, ora
posso smettere di temere che lui si faccia vivo perché non
lo farà mai più.
Posso godermi la mia
storia con Benji e tra poco è Natale e posso trascorrerlo
con la mia strana
famiglia.
Il giorno dopo mi
sveglio di buon umore, nonostante il fatto
che durante la notte ha cominciato a nevicare e io debba andare al
lavoro.
Fischietto persino mentre mi ciabatto verso il bagno per la doccia
mattutina.
Visto che sono la prima a
svegliarmi, preparo la colazione per tutti, Benji – il primo
che si sveglia –
mi abbraccia e mi bacia.
“Grazie, piccola. È stato
un pensiero gentile.”
“Figurati, ieri sera non
sono nemmeno riuscita a preparare una cena decente per te e le altre,
sono una
pessima padrona di casa.”
“Pessima padrona di casa?
Eri giustamente sconvolta
dal fatto che uno degli sciamani più feroci era appena stato
a casa tua e tu
l’avevi rifiutato, è una reazione
normale.”
Io annuisco, non del tutto
convinta.
“Senti, oggi ci vediamo al
solito posto?”
Io annuisco.
“Sì, Benji. Aspetta che
lascio un messaggio per Kanna e Mari, così se vogliono
possono venire anche
loro.”
“Ma non sanno dov’è.”
“Ci troveranno.”
Rispondo tranquilla,
bevendo il mio caffè. Ashcroft è dotato di un
senso dell’orientamento
straordinario, sa sempre come ritrovare qualcuno, me compresa.
Io e il mio ragazzo ci
vestiamo e poi usciamo per andare al lavoro, sperando in una mattinata
tranquilla. La mia si rivela una pia illusione visto che sotto le feste
la
redazione sembra diventata il covo di un gruppo di pazzi sanguinari,
perennemente insoddisfatti di ogni cosa.
C’è da avere paura ed è
con piacere che abbandono il mio posto a mezzogiorno e mezzo e passo a
prendere
Benji, che sta chiacchierando con Marion e Kanna.
Perfetto.
Fermo la macchina davanti
al negozio ed esclamo: “Forza, gente! A bordo!”
Mi ubbidiscono tutti alla
svelta.
“Giornata difficile?”
Mi chiede Kanna.
“Abbastanza difficile, da
cosa l’hai dedotto?”
“Da quel perentorio ordine
di salire in macchina.”
“Scusate. Adesso vi porto
a mangiare in un bel posto per rimediare.”
Sorridono tutti, per
fortuna.
L’incidente è archiviato.
Mangiamo tutti insieme,
Kanna e Mari mi rendono partecipe degli ultimi pettegolezzi delle terme
Funbari
e di come procedono le loro storie.
Kanna è soddisfatta, lei e
Ryu litigano spesso – hanno due caratteri forti –
ma poi fanno pace abbastanza
alla svelta, Mari e Lyserg ci vanno con i piedi di piombo. Uno ha perso
i
genitori da piccolo e l’altra ha problemi a esternare i
propri sentimenti sin
da quando la conosco.
È un miracolo che la
storia prosegua.
Finito il pranzo torno
alla casa editrice, non vedo l’ora che arrivi il 23 dicembre,
così posso
godermi almeno un paio di giorni di ferie.
E, facendosi attendere
come una prima donna, il famoso 23 dicembre arriva e io tiro un sospiro
di
sollievo, almeno fino al 26 non vedrò quella gabbia di matti.
“È finita!”
Urlo la sera
dell’antivigilia una volta tornata a casa.
“Buon per te e adesso
siediti a tavola, la cena è pronta.”
Io annuisco, felice per
quella gentilezza tipica di Kanna.
Corro in camera mia, mi
libero dei vestiti del lavoro e mi metto comoda, quando torno in
salotto sono
già tutti a tavola.
Kanna ha cucinato del
ramen per tutti, evviva!
Mi siedo e subito mi trovo
davanti a una ciotola fumante che inizio a mangiare con piacere, mi
mancava il
cibo giapponese.
Benji lo guarda un po’
scettico, ma alla fine lo mangia.
“Uhm, è buono! Brava,
Kanna!”
“Grazie mille.”
“Vi fermate per Natale?”
Chiedo io.
“No, domani partiamo per il
Giappone o Anna ci ammazza.”
“Ho capito, in questi
giorni c’è sempre il pienone alle terme,
vero?”
Loro annuiscono.
“Beh, peccato. Magari la
prossima volta veniamo io e Benji da voi.”
“Sarebbe molto bello.”
Mi risponde Mari con la
sua solita voce priva di inflessioni.
Finito di mangiare lavo io
i piatti e raggiungo il resto della truppa in salotto, stanno guardando
un film
alla tv.
Non è il massimo, è la
classica storia di Natale, ma se ci sono loro va bene. Passiamo il
tempo a
commentarlo sarcasticamente e
alla fine
si fanno le undici e mezza. Sarebbe bello uscire, ma sono stanca,
così
rimandiamo a domani.
“Vabeh, ragazze.
Io andrei a letto.”
Loro annuiscono e ci diamo
la buonanotte.
Benji mi prende per mano e
mi porta alla nostra camera, appena entrati lui si butta sul letto.
“Simpatiche le tue amiche,
Kanna soprattutto.”
“Sì, ma anche Mari lo è,
solo che ha qualche problema a esprimere i propri sentimenti.”
Lui ridacchia.
“Non si era capito.”
Io mi sdraio accanto a
lui.
“Ancora non ci credo che
abbiamo cacciato Hao.”
“Anche io non ci credo, ma
è successo e questo significa che possiamo stare insieme in
pace, diciamo.”
“Uhm, sì!”
Rispondo, soffocando uno
sbadiglio.
“Sei davvero stanca,
Match.”
Io annuisco.
Lui con gentilezza, mi
spoglia e mi mette in pigiama, poi si sdraia accanto a me. Io striscio
volentieri tra le sue braccia, che mi si chiudono attorno.
“Ho desiderato questo
momento da quando mi sono alzata.”
Lui annuisce soddisfatto.
“ E tra poco è Natale, non
vedo l’ora di festeggiarlo con te.”
“Anche io.”
Detto questo cado in un
sonno senza sogni, che viene interrotto solo da Benjamin la mattina
dopo.
“Piccola, le tue amiche se
ne vanno.”
Io scatto in piedi e mi
vesto alla velocità della luce, poi corro in salotto. Kanna
e Mari hanno le
loro valigie già pronte. Senza dire nulla abbraccio prima
Kanna e poi Mari.
“Mi mancherete, ragazze.”
“Anche tu ci mancherai, ma
la tua vita è qui, adesso.
Hai Benjamin, che mi
sembra un bravo ragazzo.”
“Lo è, a che ora avete il
volo?”
“Alle nove.”
“Vi accompagno io
all’aeroporto, sono già vestita.”
Mi metto il mio cappotto
nero e loro mi imitano, Benji esce ciabattando dalla mia camera e si
ferma
davanti a noi.
“Arrivederci, ragazze. Mi
ha fatto piacere conoscervi.”
“Anche a noi, vedi di
trattare bene Match o te la vedrai con noi!”
Lui alza le mani.
“Calma, signore. Prometto
di trattare bene Mathilda.”
Kanna annuisce
soddisfatta, Mari lo guarda inespressiva.
Usciamo tutte e tre
dall’appartamento, carichiamo le loro valigie in macchina e
poi io mi metto
alla guida. C’è un po’ di traffico, ma
non arriviamo ritardo, per fortuna.
Una volta arrivate dentro
la grande struttura dell’aeroporto arriva il momento
più difficile: salutarle.
Ho un groppo in gola e mi viene da piangere.
Le abbraccio di nuovo.
“Kanna,mi raccomando non
distruggere il povero Ryu e cerca di stare bene.
Mari, sono sicura che
imparerai a ridere e sorridere, ti auguro tanta fortuna con
Lyserg.”
“Tu invece prenditi cura
di te, ti auguro tanta fortuna con Benji, mi sembra un bravo ragazzo,
nonostante
le apparenze.”
“Lo so, sono davvero
felice di avervi rivisto.”
“Anche io, sono felice.”
Ci abbracciamo di nuovo,
poi loro si avviano verso le partenze internazionali e a me si stringe
il
cuore, staccarsi dalle proprie amiche fa sempre male, ma ormai siamo
grandi.
Ognuna di noi ha diritto
alla propria vita, la mia è a Londra, la loro è a
Tokyo.
Esco dall’aeroporto un po’
amareggiata, pensando che nulla rimane eterno, nemmeno le hanagumi, poi
penso a
Benji e mi scappa un sorriso.
Entro di nuovo in macchina
e mi dirigo verso quella che ho imparato a chiamare casa mia. Al mio
arrivo la
colazione è già in tavola e le decorazioni
dell’albero sono accese, Ben mi
aspetta sorridente.
Sì, la mia vita è qui e non mi pento di essermene
andata.
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Capitolo 6 *** Epilogo: il grande abete bianco. ***
Epilogo:
il grande abete bianco.
La
macchina scorre
tranquilla nel vialetto di ghiaia in mezzo ai campi. La chiamano
strada, ma non
è altro che un vialetto forse un po’
più grande rispetto agli altri e con dei
sassi ai lati per evitare che la vegetazione lo invada.
Ora però non c’è nemmeno
una pianta, c’è solo una distesa bianca di neve,
che diventa un cumulo continuo
vicino alla strada perché qualche anima di buon cuore
è passata a spazzare
anche questo posto in un angolo dimenticato di Inghilterra al confine
con la
Scozia.
Io e Benji ci siamo
fermati a mangiare alla locanda dell’ultimo villaggio che
abbiamo incontrato,
certe cose non cambiano mai nei piccoli paesi e siamo stati squadrati
tutti e
due come alieni.
Il cibo – in compenso –
era buono e ora siamo qui nel bel mezzo del nulla, per cercare il
nostro abete
carico di neve, come ci eravamo promessi quando abbiamo comprato il
nostro di
plastica.
In realtà forse volevamo
scappare anche solo per un attimo da Londra e dal suo rumore, Londra
non dorme
mai, al massimo abbassa i toni, ma il silenzio è una musica
difficile da
sentire.
Ci sono sempre dei camion
che passano, nottambuli, macchine di chi fa lavori notturni a
disturbare la
pace.
Certo, dopo un po’ ti ci
abitui, ma vorresti sempre che ci fosse un po’ di silenzio
vero.
Alla prima piazzola Benji
si ferma. Sono le cinque e per le nove dobbiamo essere in un piccolo
albergo in
cui lui ha prenotato una stanzetta, abbiamo un po’ di tempo
da perdere.
Scendiamo entrambi dalla
macchina e io stringo immediatamente la mano del mio ragazzo.
“Eccoci, arrivati. Forza,
cerchiamo il nostro abete carico di neve.”
Io sorrido.
“Va bene, iniziamo.”
Camminiamo – mano nella
mano – nel campo coperto di neve, attorno a noi si sente solo
il rumore dei
nostri passi, solo quando guardo verso il bosco mi pare di vedere
un’ombra che
sparisce, probabilmente era una lepre o una volpe.
“Per te cos’era?”
“Io penso fosse una volpe,
avviciniamoci.”
Detto fatto, siamo
arrivati vicino al bosco, dietro a un cespuglio ci sono delle impronte,
io le
guardo senza capire cosa siano, poi arriva Benji.
“Sono impronte di una
volpe.”
Sentenzia sicuro.
“Va bene.”
Torniamo nel campo e
finalmente lo vedo.
Al limitare del bosco, a
pochi metri dal cespuglio dietro cui noi abbiamo cercato le impronte.
È grande,
maestoso e colmo di neve.
È il nostro abete.
“Benji!”
Lo chiamo.
“L’ho trovato, è lui!”
Lui mi raggiunge e lo
guarda.
“Sì, è lui. Brava, Match!”
Io sorrido, poi lui tira
fuori qualcosa dalla tasca: un coltellino a serramanico.
“Che vuoi fare con
quello?”
“Adesso vedrai.”
Con abilità incide una B,
un + e una M, poi li contorna con un cuore.
“Ecco, adesso è il nostro
albero.”
Io annuisco, e mi alzo
sulle punte dei piedi per baciarlo, lui risponde impetuosamente come
suo
solito. A volte ho come l’impressione che lo faccia per
ribadire a non si sa
chi che io sono sua e lui è mio.
Non ce n’è bisogno, io so
che lo amo e che lui mi ama.
Quando mi stacco passo
delicatamente le dita sulla neonata incisione, mi piacerebbe portarci i
miei
figli e i miei nipoti un giorno e raccontare di come io e Benji ci
amavamo.
Sarebbe bello, quasi un
sogno a occhi aperti o un’ipotesi meravigliosa di
realtà.
“A cosa pensi?”
Mi chiede lui
abbracciandomi da dietro.
“Al futuro.”
Rispondo vaga.
“Ci vedi bene in futuro?”
“Lo spero, per ora il
presente mi piace e presente dopo presente spero non cambi
mai.”
“Anche io.”
Mi prende per mano.
“Ti va se andiamo in
macchina?
Qui fa freddo.”
“Va bene.”
Salutiamo il nostro albero
e risaliamo nella mia Mini, dentro fa caldo e la radio trasmette i
blink a
tutto volume.
“Abbiamo trovato il nostro
abete!”
Ripeto allegra.
“Mi piacerebbe venire a
trovarlo ogni anno.”
Lui sorride.
“Beh, se avremo soldi
potremo farlo.”
Io rimango un attimo in
silenzio, guardando il bianco che ci circonda, bianca è la
neve e bianco è il
cielo: presto nevicherà di nuovo.
“Benji, forse è meglio
muoverci. Penso che nevicherà ancora e non so come se la
caverà la mia
macchinina sotto la neve.”
“Va bene.”
“Benji, l’anno prossimo
verremo ancora a trovarlo e saremo insieme.”
La mia è una risposta
implicita alla sua domanda, l’anno prossimo saremo ancora una
coppia, lui mi
piace davvero tanto e noi funzioniamo. Non pensavo potesse succedere,
invece è
miracolosamente successo e persino Hao si è dovuto
rassegnare.
Ho visto un paio di volte
la sua ombra giù in strada, ma non ho provato il desiderio
di scendere, al
contrario ho tirato la tenda, infastidita.
“Credi che per allora Hao
sarà fuori del tutto dai tuoi pensieri?”
“È già fuori, è lui a non
capirlo. Non so cosa farci.”
“Prima o poi si
stancherà.”
Mi risponde conciliante, i
primi fiocchi iniziano a cadere, Benji lo nota.
“Che palle, ha ripreso a
nevicare!”
Lui accelera lentamente
l’andatura della nostra macchina prima che la nevicata
peggiori e diventi una
bufera o chissà che cosa.
“Dici che ce la facciamo
ad arrivare al villaggio prima che faccia buio?”
Mi chiede, io tiro fuori
una cartina e la consulto.
“Uhm, credo di sì.
Dovremmo essere abbastanza vicini, l’importante è
che questa nevicata non
peggiori.”
“Hai ragione, ma ce la
dovremmo fare.”
La macchina procede a
un’andatura costante e la neve per ora sembra decisa a non
cadere in modo
troppo fitto, forse stasera peggiorerà. Lentamente il cielo
diventa più scuro e
quando abbiamo ormai perso le speranze di arrivare al villaggio prima
che
faccia buio del tutto vediamo le prime case, illuminate dai lampioni.
Sospiriamo di sollievo, ce
l’abbiamo fatto.
Dalle prime case arriviamo
nella piazza principale, dove ci sono la chiesa e la locanda, lui
parcheggia e
poi scendiamo insieme.
Entriamo e veniamo accolti
dal calore del fuoco che brucia nel camino in fondo alla stanza e dal
profumo
del cibo.
Una donna sui quarant’anni
ci viene incontro sorridendo.
“Buonasera ragazzi, posso
fare qualcosa per voi?”
“Abbiamo prenotato una
camera a nome Matisse per il week end.”
Lei controlla e poi ci
chiede dei documenti, controlla anche quelli e poi ci fa firmare.
“Si è scatenata una bella
nevicata, volete che mandi qualcuno ad aiutarvi con i
bagagli?”
“No, non si preoccupi, non
è molta roba.”
Lei sorride.
“Va bene. questa è la
chiave della camera. È all’ultimo piano.”
“Grazie mille.”
Io e Benji usciamo a
prendere le valigie, ora la neve scende più fitta e si
è alzato il vento, se
fossimo arrivati un attimo più tardi avremmo avuto a che
fare con una tempesta
vera e propria.
Tiriamo fuori i bagagli e
poi torniamo dentro la locanda, salendo fino all’ultimo
piano, abbiamo la
camera numero 5.
Infilo la chiave nella
toppa, la faccio girare e ci troviamo in una stanza carinissima. Ha il
tetto in
legno e le tendine di pizzo alle finestre. Noi depositiamo i nostri
bagagli,
l’armadio è grande e di legno e il bagno
è piccolo e pulito, con una la doccia.
“Che bella cameretta!”
Benji si butta sul letto
sfinito.
“Bellissima, adesso spero
di poter mangiare qualcosa e poi dormire, sono stanchissimo.”
Io mi siedo accanto a lui
e allungo le gambe.
“Anche io. Mamma mia, che
faticaccia.”
Lui ride.
“Ma ne vale la pena, no?”
“Uhm, sì. Ne vale la
pena.”
Metto via un po’ di cose e
poi scendiamo dabbasso, dove troviamo la padrona ad accoglierci e
accompagnarci
al nostro tavolo.
Ci sono già il pane e
l’acqua e noi ci sediamo grati.
“Presto, vi porteremo
l’arrosto che è il piatto del giorno.
Va bene?”
“Benissimo, signora.”
Benji ha già l’acquolina
in bocca e io sono quasi al suo livello, anche io mi sono stancata
durante
questo viaggio.
Dieci minuti dopo una
cameriera ci serve due abbondanti piatti di arrosto, noi li mangiamo
avidi ed è
davvero buono.
Mangiamo un po’ di frutta
e la crostata che c’è come dolce e poi io inizio
ad avvertire una certa
sonnolenza, mi si chiudono gli occhi.
Facciamo i complimenti
alla padrona e saliamo in camera, Benji si butta subito sotto la
doccia, io
invece decido di fumarmi una sigaretta ed esco sul piccolo balcone che
dà sulla
piazza del paese.
Ha uno strano fascino
magico imbiancata dalla neve e la scelta di lasciare la fontana al
centro
contribuisce ancora di più a renderla un posto fuori dal
tempo.
Il fumo della mia
sigaretta si confonde con il vento e le neve e io sento una sensazione
di pace
invadermi e salire a ondate: erano secoli che non stavo così
bene in un posto.
Sono così immersa nei miei
pensieri che non mi accorgo del tempo che passa, Benji ha finito di
fare la
doccia e mi raggiunge sulla terrazza.
“Cosa fai qui?”
“Niente, guardo la piazza
e penso.
Come mai ha scelto questo
posto?”
Lui si stringe nelle
spalle.
“All’istituto ho spiato il
mio fascicolo, c’era scritto che ero nato qui e volevo vedere
se avessi
incontrato almeno una faccia simile alla mia.”
“E le hai incontrate?”
“Mi sono guardato attorno
mentre cenavamo, ma non c’era nessuno che mi somigliasse, ma
non mi importa.
Non ho bisogno di ritrovare la mia famiglia o – per meglio
dire – i miei
genitori biologici, perché ho te.
Tu sei la mia famiglia.”
Una lacrima solitaria
scende sul mio volto.
“Mi hai detto una frase
meravigliosa.”
“Non ti è mai capitato di
avere voglia di andare al tuo villaggio?”
Io rimango un attimo,
ponderando la risposta.
“Sì, qualche volta
sì. Ci
sono andata solo una volta per
recuperare i documenti della mia famiglia, come il diario di mio nonno,
ma non
mi sono sentita a casa.
Casa mia è dove sono le
persone a cui voglio bene, le ragazze e tu.
Ho capito che non aveva
senso cercare quello che ho già lì.”
“Giusto, e ora torna
dentro, sei gelata.”
Mi trascina in camera e
dallo sbalzo di temperatura mi accorgo che fuori fa davvero freddo e
che una
doccia bollente non mi dispiacerebbe.
Prendo il necessario e mi
infilo in bagno, mi spoglio e lascio che l’acqua scorra su di
me cancellando la
stanchezza, la nostalgia e qualsiasi altro sentimento negativo.
Quando esco trovo il mio
ragazzo già sotto le coperte che guarda la tv, io lo
raggiungo e lui mi attira
subito nel suo abbraccio.
Immersa nel calore delle
coperte e nel suo mi sento improvvisamente sonnolenta e al sicuro come
non mai.
A questa braccia affiderei la mia vita senza un ripensamento.
Lui mi accarezza
dolcemente i capelli e io mi lascio andare, rilassandomi del tutto.
Sono scappata dal Giappone
perché non volevo che il mio corpo diventasse solo un corpo
qualsiasi con cui
fare sesso e a Londra ho trovato l’amore. Quello vero.
Quello per cui basta stare
sdraiati abbracciati per stare bene.
Quello in cui sai di
essere alla pari dell’altra persona.
Quello che ti fa capire
quanto sei bella, perché vedi la bellezza riflessa negli
occhi dell’altro.
In Inghilterra ho trovato
tutto quello che mi mancava in Giappone e non posso chiedere di
più.
In questa notte, in cui
fuori nevica e fa freddo, ma che per me è tiepida tra le
braccia di Benji so di
aver trovato la felicità.
Mi addormento sorridendo.
Domani quando mi sveglierò
sarà ancora tutto qui, ormai la felicità
è mia.
La strega perduta ha
trovato la casa in cui vivere per tutta la vita.
Buonanotte.
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