the best of times

di Tardis Door
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tocco dell'Angelo ***
Capitolo 2: *** Non è così che va la storia ***
Capitolo 3: *** Aiutami, io voglio vivere! ***
Capitolo 4: *** Non mi fai fare un viaggio? ***
Capitolo 5: *** Un'altra Noble ***
Capitolo 6: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 7: *** Il pianeta Windego ***
Capitolo 8: *** Il Dottore e la Regina Rossa ***
Capitolo 9: *** Le Amazzoni ***
Capitolo 10: *** La Mongolfiera ***
Capitolo 11: *** Il vortice dell'invecchiamento ***
Capitolo 12: *** The power of the blue box ***
Capitolo 13: *** La comparsa ***
Capitolo 14: *** Finchè io vivo, lei vive ***
Capitolo 15: *** Ancora il Dottore-Donna! ***
Capitolo 16: *** -Basta!- ***
Capitolo 17: *** La Fabbrica Dei Sogni ***
Capitolo 18: *** Di generazione in generazione... ***



Capitolo 1
*** Il tocco dell'Angelo ***



Cominciò tutto in una calda giornata di agosto del 2012. In quell'anno io avevo appena compiuto gli inutili 19 e stavo passeggiando tranquillamente nella reggia di Caserta, posto davvero bellissimo. Guardavo l’incantevole giardino e pensavo alla mia vita. Vanvitelli era riuscito a diventare immortale per ciò che era stato capace di creare durante la sua vita. E io cosa avrei lasciato al mondo? Un mucchio di ossa.
Nella vita non ne avevo fatta una giusta. Mio padre ci aveva abbandonate e ancora mi sentivo la colpa pesare sulle spalle, pur non avendo fatto nulla per agevolare l’accaduto, apparte venire al mondo. Io e mia madre vivevamo da sole in un appartamento che pagavamo con i soldi che lei guadagnava a lavoro, non erano molti ma bastavano a mantenere solo noi due. Il mio bisnonno, insisteva spesso a darci una parte del suo stipendio, così come mia nonna, ma noi non accettavamo mai. Bhè, una volta, quando eravamo davvero nei guai, i due lasciarono dei soldi in un cassetto, facendo credere a mia madre di averceli messi lei per sbaglio. Ancora credono che io non me ne sia accorta, ma in seguito, per un lavoro che mi fruttò non poco, restituii alla stessa maniera quei soldi che ci avevano regalato. I miei studi li pagavo da sola, o almeno ci provavo, facendo i lavori che mi capitavano. Non sempre riuscivo a tenerne uno fisso. Spesso finiva con me licenziata per piccoli errori, come qualche piatto rotto, un cane disperso o un criceto finito nel tosaerba. Nulla che avessi potuto evitare.
Insomma stavo facendo questo viaggio con l’università, quando iniziai a sentirmi seguita. Mi girai e mi accorsi di aver perso il resto della scolaresca, il che mi capitava abbastanza spesso, dato che mi distraevo a guardarmi intorno senza ascoltare la guida. Continuai a camminare, col cuore che mi batteva a mille ed ebbi un deja-vu. Qualche anno prima mi successe la stessa cosa mentre attraversavo un vicolo buio che avevo preso come scorciatoia per tornare a casa. Non riuscivo girarmi per la paura e mi tremavano le gambe. Quando ebbi preso coraggio, notai che non c’era assolutamente nessuno in quel vicolo oltre me. Nessun assassino, nessun barbone, nessun rapinatore, nessuno che volesse in qualche modo farmi del male. Così, ricordando quell’episodio, presi tutto il coraggio che avevo, inalai più aria possibile, chiusi gli occhi e mi girai di scatto. C’era una statua, giusto al centro del corridoio. Era un angelo e si copriva la faccia con le mani. Era così bello con le sue forme classicheggianti, eppure incuteva così tanto terrore.
Risi di me stessa al pensiero di averlo creduto pericoloso per la mia incolumità. Era una statua! Una statua che stava giusto al centro del corridoio, dove pochi attimi prima io stavo camminando. Se fosse stata sempre lì, sicuramente l’avrei urtata, o almeno l’avrei notata. Era forse apparsa dal nulla? O la stavo immaginando? Forse erano delle allucinazioni. Decisi di ricontrollare, giusto per essere sicura di essere o no pazza. Ma la statua c’era e si trovava proprio dietro di me. Anzi, non solo la statua c’era eccome, ma si era anche mossa! Aveva le mani allungate verso di me, come a volermi toccare, e la faccia era contorta in una smorfia arrabbiata. Istintivamente, lanciai un urlo e scappai. Ogni volta che guardavo dietro, l'angelo si fermava in pose diverse, come se stessimo giocando a ''Uno due tre, stella!''. Continuai a correre, ma qualcosa fece saltare la corrente. L'ultima cosa che ricordo è che mi sentii toccare la spalla.


Quando mi risvegliai, ero per strada, stesa inerme a terra. Faceva freddo ed io indossavo gli abiti che avevo qualche secondo prima, a Caserta. Una maglia a maniche lunghe ed una gonna che mi arrivava al ginocchio, le calze ed ai piedi degli stivali. Mi guardai intorno e da come tutti gli altri erano vestiti, ad occhio e croce, ricordando i tre mesi nei quali avevo studiato storia della moda, avrei giurato fossero Medievali.
Ero finita nel Medioevo. Insomma cose che capitano ogni giorno …  Addormentarsi a Caserta e svegliarsi in una cittadina medievale.
Ero spaventata e tremavo per il gelo della notte passata al freddo. Era forse un sogno? No, di solito mi accorgevo di quando sognavo, e riuscivo anche a svegliarmi a comando, se per caso non mi piaceva cosa stava succedendo. Tipo quella volta che un dinosauro mi stava stritolando! O forse era solo una fiera medievale e qualcuno mi aveva fatto un bello scherzo. Sicuramente i miei compagni d’università. Quei mattacchioni adoravano fare scherzi alle matricole. La strada dura e piena di sassi sulla quale giacevo era un sobborgo povero. La gente stava cucinando, o almeno quelli che potevano permetterselo. Alcuni poveri uomini si scaldavano accanto ad un fuoco sul quale avrebbero cotto delle castagne appena raccolte. Un gruppo di donne, invece, era intenta a fare l’unica cosa che potevano fare, cioè pulire casa. Mi alzai e girovagai in quella stradina. Sentivo uno sgradevole odore, anzi più di uno. In un buco nel muro, letteralmente, c’era un fabbro che forgiava delle spade per i guerrieri del proprio sovrano. Le scintille quasi mi colpirono e l’uomo, grosso e scorbutico, non mi chiese neppure scusa.
<< Levati! >> urlò una signora che, affacciata da una finestra giusto sulla mia testa, stava per buttare il secchio con le proprie feci. Fin troppo realistico per essere una semplice fiera medievale. Mi spostai appena in tempo per non riceverle addosso. Ecco cos’era quell’odore! Continuai a camminare, stando attenta a dove mettevo i piedi. Quegli stivali erano un regalo di mia madre! Una vecchia signora faceva degli infusi alle erbe. Uno di quelli, dall’odore, mi sembrò semplice camomilla. Eppure aveva l’aria di una strega! Cioè era ricurva, con un naso aquilino, un grosso neo peloso sul naso ed uno strano cappello, e poi era anche ricoperta di fumo. Mi chiese se volevo un po’ di pozione per non ammalarmi, chiedendomi dei soldi in cambio. Rifiutai, constatando che non avevo neppure un centesimo in tasca. Un uomo, poi, mi offrì della stoffa, un altro dei gioielli fatti di pietre, un altro degli abiti. Rifiutai tutto e cercai di divincolarmi, inciampando in un cadavere. Ma che bella giornata!

Un giovane uomo mi porse la mano per farmi rialzare, io l'afferrai. << Sembra che si sia smarrita, venga con me >> disse e mi portò in un castello enorme, tutto fatto in pietra. Sembrava ancora più vecchio di tutta la cittadina e aveva delle mura impenetrabili. Quella storia mi sembrava sempre di meno uno scherzo. Volevo tornare a casa, mi mancava molto la mia famiglia. Mi sentii in colpa per non aver mai mostrato un briciolo di affetto, di non aver mai abbracciato nessuno, ma detto ‘’ti voglio bene’’ a nessuno di loro. Alloggiai nelle stanze di quel generoso ragazzo, finché non mi fui ripresa dallo sbandamento della strana disavventura. Dormii per quelli che mi sembrarono giorni, forse per lo shock di ciò che mi era successo, o forse perché avevo, semplicemente, molto sonno, oppure ancora perché avevo paura di affrontare la realtà che era cambiata radicalmente in pochi secondi.
<< Cos'è questo posto? >> chiesi al ragazzo che mi aveva aiutata. Lo osservai attentamente. Era piuttosto pulito e ben rasato per quei tempi. Mi balenò di nuovo in mente l’ipotesi dello scherzo.
<< Il grande e glorioso regno di Camelot >> mi disse. E sembrava piuttosto serio. Mi scappò da ridere. Sapevo cos'era Camelot, le storie del re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda, ed erano solo finzione. Come potevo essere finita in un posto immaginario? Era certamente uno scherzo. Uno scherzo ben riuscito. Doveva esserlo.
<< Perché ridete? >> mi chiese lui davvero stupito. Oh mio dio! Ero finita in un libro? Se era davvero così allora non avrei dovuto toccare né far succedere nulla, oppure avrei potuto cambiare la storia. Forse era il potere di quegli angeli, far finire la gente nei libri.
<< Niente >> risposi in fretta per riparare al danno. Anche se, in fondo, col mio arrivo, la storia era già cambiata.
<< Io mi chiamo Merlino, voi siete? >>
<< Merlino? Il mago Merlino? >> chiesi. Poi mi tappai la bocca. Avevo dato del mago a Merlino! Che mi era saltato nella testa!
<< Come dite? >> chiese ancora più stupito. La sua faccia celò la paura di essere stato scoperto da una ragazza sconosciuta. Avrebbe potuto pensare che io fossi una spia di qualche suo nemico!
<< Nulla, io sono Barbara! >> dissi facendo un leggero inchino, in segno di rispetto.
<< Perché vi chinate? Io sono solo un servo di sua maestà. A proposito, dovrò riferirgli del vostro risveglio! >> sbottò. Ero piena di domande senza risposta e non sapevo se conveniva o no dire loro la verità. Da come mi guardava Merlino intesi che era meglio starmene più in silenzio possibile e cercare di non interferire. Notai che la camera nella quale ci trovavamo era degna di un servo, piccola, molto piena di oggetti e con uno strano odore. Odorava di magia.
<< No! Non serve, me ne andrò subito! Loro non verranno neppure a sapere che ero qui! >> tentai, ma Merlino mi spiegò che già lo sapevano e che il principe Artù era venuto spesso al mio ''capezzale'' per assistermi, aspettando il mio risveglio. Ed inoltre che aveva accennato un certo interesse nei miei confronti. Non avevo dubbi, dato che avevo degli strani vestiti per quei tempi. Avrò di sicuro stupito tutti. Ma non potevo interagire con i personaggi di una storia o avrei modificato gli eventi. Non che non volessi, ma non potevo!
Ero così confusa! Non sapevo cosa fare e come comportarmi. Un attimo prima avevo la mia vita, e l'attimo dopo ero nel regno dello spietato Uther Pendragon. La sua fama lo precedeva. Odiava la magia e mandava a morte chiunque ritenesse in possesso di oggetti o conoscenze fuori dal normale, cioè tutti gli studiosi dell'epoca. Dovevo stare molto attenta. Con le mie conoscenze della storia, delle scienze (non proprio, ma sempre più di loro) e, soprattutto, del futuro avrei rischiato di finire al rogo o affogata nel lago, oppure con qualche tizzone ardente in posti che nemmeno osavo nominare.
<< Merlino, dammi un pizzico! >> Dissi porgendogli il braccio. Chiusi gli occhi e strinsi i denti, aspettando il dolore che mi avrebbe svelato se poteva oppure no essere davvero un sogno.
<< Come dice? >> Chiese sbigottito dalla mia richiesta. Non credo fosse incluso nelle sue competenze provocare dolore a giovani donzelle.
<< Fallo. Dammi un pizzico! >>
Obbedì all'istante e mi resi conto, sfortunatamente e come già sapevo da molto, che era tutto vero e che dovevo seriamente temere per la mia vita. Avrei dovuto inventarmi un'identità, e dato che mi trovavo, supponevo, in Inghilterra, doveva essere un nome strano da un posto lontano, così da non creare troppi sospetti.
<< Si sente meglio? >> mi chiese un signore anziano che riconobbi, da immagini sbiadite nella mente, come il mio medico.
<< Si, grazie a lei immagino. >> Dissi. << Io sono Barbara >>
<< Bene, >> disse lui inchinandosi, << andiamo. >>
Merlino e il mio medico mi condussero nella sala del trono, dove tutti erano riuniti intorno al re. La sala era maestosamente spaventosa. Alta all’incirca dieci metri, circondata da antiche colonne e con finestre istoriate attraverso le quali il sole illuminava tutti i volti e riscaldava la pelle. Mi inchinai, terrorizzata dalla situazione e tremante come una foglia che stava per essere portata via dal forte vento autunnale.
<< Mi scuso profondamente per il disturbo creatovi, vostra maestà. Vi prometto che non riaccadrà >> provai. Mi chinai fino a toccare terra col ginocchio e ci rimasi per un bel po’.
<< Non è colpa vostra. Il servitore di mio figlio vi ha trovata nella neve con una ferita alla testa. Vi ricordate qualcosa di ciò che vi è successo quella sera? >> mi chiese gentile il feroce, o almeno quello era ciò che credevo, Uther. La ferita alla testa l’avevano sicuramente inventata per salvarmi il culo.
<< No, in verità non mi ricordo quasi nulla >> provai, sperando che non trovasse stregoneria anche l'amnesia. Mi risultava molto faticoso stare attenta ad ogni minima parola che pronunciavo. Ma ne andava della mia vita!
<< Ricordate il vostro nome? >> Lui stava seduto sul suo trono dorato, con perle e diamanti incastonati, mentre la sua gente moriva di fame intorno a lui. Mi ritornarono in mente quelle persone che avevo visto, che camminavano sulle proprie feci e mangiavano ciò che trovavano per terra.
<< Barbara >> dissi. << E vengo dal Regno di Sicilia. Stavo viaggiando per studiare e poi non ricordo più niente >>
<< Viaggiando? >> chiese stupito. << Per studiare? >>
Mi morsi la lingua. ‘’Le bugie hanno le gambe corte’’ continuava la vocina della mia coscienza. << Si, sono una reale, mi è stato concesso tale privilegio >> mi ripresi. Il mio carattere libertino mi stava portando a dire grandi stupidaggini. Quando mai si era sentito, in quel periodo, che alle donne fosse concesso di viaggiare e studiare?
<< Io le consento di restare nel mio regno fin quando vorrà >> disse e se ne andò, così, lasciandomi a riflettere su ciò che avevo fatto e detto. Ero andata abbastanza bene, cioè, acciderbolina, ero ancora viva!

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Capitolo 2
*** Non è così che va la storia ***


[Pov. Barbara]
Rimasi per molto tempo al palazzo di Camelot, d’altronde non potevo andare da nessun’altra parte. Col tempo mi abituai a quel modo di vivere e iniziai a condividere col fatto che sarei rimasta lì per sempre e che non avrei rivisto più la mia famiglia. Ogni sera, nel letto che Uther mi aveva concesso, piangevo e ripensavo a chiunque io avessi mai conosciuto. Ogni notte pensavo ad una persona e a tutti i ricordi che avevo legati a loro. Quella sera toccò ad Andrea, mio migliore amico, nonché ex fidanzato. Ricordai le notti passate insieme, la canna che mi aveva fatto provare, la sua fissazione per i film e le serie tv, il modo in cui mi toccava il naso, il sorriso che faceva ogni qual volta il mio sguardo incrociava al suo; o quando decidemmo di fare campeggio sul terrazzo di casa sua. Aveva preso l’unica tenda che avevamo, proprietà di sua madre, che era in parte trasparente, così da permettere a chi stava all’interno di guardare le stelle. Mi aveva preso la mano e mi aveva detto ‘’Mi piaci, ecco l’ho detto. Mamma mia che sudata!’’. E io avevo risposto salendo su di lui e baciandolo. Inizialmente andava tutto bene tra di noi, ma in realtà entrambi lo trovavamo strano. E poi l’inizio dell’università ci aveva divisi. ‘’Rimaniamo amici’’ aveva detto lui e io avevo accettato. Inizialmente parlavamo, poi iniziammo a messaggiare, col passare del tempo finimmo per vederci solo a Natale per lo scambio dei regali e poi più nulla. Ma quella vita oramai non c’era più e non sarebbe tornata.
Feci amicizia con Merlino, il medico senza nome, Artù e Ginevra. Morgana provava sempre ad avvicinarsi a me, ma io cercavo di tenerla a distanza. Quella stregaccia non avrebbe messo in pericolo me e la mia storia di copertura! La verità è che avevo molta paura di lei. Sapevo che era l’acerrima nemica di Merlino, ma che lui ancora non ne era a conoscenza. Il medico mi fece da maestro. Mi insegnò la storia, che in parte già sapevo, l'astronomia e la medicina. Ovviamente non quella avanzata del 2012, ma quella conosciuta nel 1130 circa. Artù, su mia richiesta e facendosi pregare molto, mi insegnò a combattere con la spada e l'arco, e ad andare a cavallo. Avevo sempre sognato di saperlo fare, colpa di tutti i film che guardavo con Andrea. Ginevra, al contrario si faceva insegnare da me nuove pettinature e modi di indossare gli abiti. Cercai di non esagerare inventando i pantaloni o le mini-gonne, ma giocando sulla fantasia con la stoffa che avevamo a disposizione. Merlino invece era come un buon amico. Parlavamo spesso, soprattutto quando mi offrivo di aiutarlo nelle pulizie per non essere di peso alla corte. Artù mi sgridava spesso, ricordandomi le mie origini reali, ma il poverino lavorava come un mulo dalla mattina alla sera ed io non avevo nessuna ricchezza se non la mia fantasia.
Un giorno, mentre aiutavo a spolverare la loro camera, Merlino mi fece una domanda che stavo aspettando da molto. Ci aveva messo anche troppo. << Il primo giorno che abbiamo parlato, te lo ricordi? >> chiese. Annuii. << Mi hai chiamato mago Merlino. Perché? >>
<< Tra il mio popolo ci sono molti maghi, ne riconosco uno quando lo vedo >> spiegai, tentando di essere convincente. Lui mi sorrise, poi tornò cupo.
<< Per favore non ditelo a nessuno o Uther mi ucciderà >> mi supplicò, prendendomi le mani tra le sue. La cosa era alquanto imbarazzante. Sicuramente non erano cose che mi capitavano spesso. Quel contatto mi ricordò per l’ennesima volta Andrea. Avevano le stesse mani vellutate e lo stesso tocco gentile, come se avessero paura di farmi male.
<< Il tuo segreto è al sicuro con me >> dissi, guardandolo negli occhi e mimando un fiocco sulle labbra. La tensione si stava facendo imbarazzante, i nostri sguardi sembravano non volersi lasciare, ma il mio era solo un modo per fargli capire che ero sincera. Quando non riuscii più a reggerlo, gli diedi una pacca sulla spalla e continuai a pulire, sbirciando con la coda dell’occhio quel che faceva.
Quello stesso pomeriggio andai a cavallo con Artù. Cavalcare richiedeva concentrazione ed equilibrio. Caddi più e più volte prima di riuscire ad avere maestria della tecnica. Alla sesta lezione riuscii già ad andare veloce quanto lui e facemmo anche una gara. ‘’Impari in fretta’’ mi aveva detto un attimo prima di perdere, forse volutamente, contro la novellina.
<< Ti mostro un posto bellissimo. Non ci porto mai nessuno, ma tu non sei nessuno … >> iniziò. Ecco, tentava di fare il sentimentale, non riuscendoci molto bene aggiungerei, e io non potevo permetterlo. Lui avrebbe dovuto sposare Ginevra non me! Cavalcai dietro di lui, fino ad arrivare davanti ad uno splendido lago nel quale si rifletteva tutto il panorama circostante. C’era un’atmosfera così magica e non ero io quella che doveva trovarsi lì in quel momento.
<< Ti piace? >> mi chiese Artù. Mostrandomi tutto con un gesto della mano.
<< Ci sono pesci nel lago? >> chiesi. Niente frasi romantiche, non potevo permettergli anche solo di pensare che ci sarebbe riuscito con me.
<< Si >> rispose lui, ridendo di come avevo cambiato discorso. Per lui era difficile parlare d’amore tanto quanto lo era per me cambiare argomento ai suoi flirt.
<< Mi insegni a pescarli? Così stasera potremmo mangiare pesce! >> dissi muovendomi goffamente con uno degli abiti che mi aveva prestato Ginevra. Non osavo prenderli da Morgana, poteva averli stregati per farmi prendere fuoco o per avvelenarmi, come nell'antico mito di Giasone. Quell’abito mi ricordava una delle fiere medievali alle quali avevo partecipato da bambina. All’epoca mi piaceva indossare cose del genere, perché sapevo che potevo toglierle quando volevo.
Artù non se lo fece ripetere una seconda volta, e costruì, con due frecce e due rami, delle lance. Entusiasta della nuova esperienza, ne presi una dalle sue mani, alzai il vestito fino alle ginocchia, e mi fiondai in acqua per infilzare dei pesci. Artù fece lo stesso, con qualche secondo di ritardo.
<< Nel tuo regno sono tutti strani come te? >> mi chiese osservando in modo maniacale l’acqua, come a voler trovare per forza un pesce. Mi bloccai, fissandolo, ma lui non alzò lo sguardo.
<< In che senso? >> domandai a mia volta. Mi ero lasciata sfuggire un pesce! Sbuffai e infilzai la sabbia. L’acqua era così fredda che le gambe mi si stavano congelando.
<< Le donne studiano, viaggiano, combattono, mostrano le … ginocchia >> ebbe qualche difficoltà anche solo a pronunciare tale parola.
<< Si >> lo interruppi. Stavo mettendo idee di uguaglianza tra i sessi nella testa di Artù. Ma ... << Aspetta. Mostrano le ginocchia? >> chiesi, in imbarazzo. Giusto! Vestiti fino alle caviglie per non far vedere nulla! << Scusa, non volevo metterti a disagio >>
<< Mettermi a disagio? >> disse facendosi rosso in viso. << No, io ne ho viste molte di ginocchia! >> Il discorso si faceva equivoco.
<< Ah >> sospirai sorpresa. Non che io sapessi! Il povero principe non seppe più come riprendersi da quell'affermazione, così finì per non dire più nulla, fingendo di concentrarsi intensamente sulla pesca. Così ci pensai di nuovo io a cambiare argomento.
<< Sai cos'altro facciamo noi reali, nel mio regno? >> chiesi alzandomi la bretella dell’abito che tendeva a scendere ogni qual volta alzavo il braccio e infilavo la lancia nella sabbia.
<< Cosa? >>
<< Organizziamo piccoli incontri, o cene con alcune persone della servitù alle quali teniamo molto >> spiegai, facendo chiari riferimenti.
<< Volete fare un'uscita con Merlino e me insieme? >> mi chiese come se la trovasse una cosa oltraggiosa. La sua lancia infilzò violentemente un pesce, quasi come se volesse spezzarlo in due.
<< E il medico e Ginevra, e se preferite anche Morgana >> dissi, tentando di abbassare la voce nell'ultima frase. Era la sua sorellastra, a proprio non mi piaceva.
<< E mangeremo il pesce che pescheremo? >> mi chiese ancora. Osservando quello morto che aveva in pugno. Grondava sangue e le budella gli uscivano dallo squarcio che Artù gli aveva procurato.
<< Certamente >>
Lui mi sorrise e in un batter d’occhio organizzammo la serata. Decidemmo di metterci su di una terrazza, al chiaro di luna e accendemmo il fuoco. Ci sedemmo tutt'intorno e arrostimmo il pesce, mangiandolo come selvaggi. Artù non aveva invitato Morgana, capendo forse che non mi piaceva molto la sua presenza. Ero sicura che quel gesto mi avrebbe fatta finire nei guai. Quella serata mi ricordò una delle serate che organizzavano spesso all’università. Però non pescavamo pesce, ma compravamo marshmellows.
<< Dovremmo proprio andare a visitare questo vostro regno di cui tanto parlate >> disse Merlino, iniziando una conversazione.
<< Si >> continuò Ginevra sognante. << Deve essere molto bello da come ne parlate >>
<< E' bellissimo >> dissi mangiando l’unico pesce che ero riuscita a catturare io. Ero proprio un’incapace nella pesca. Non l’avrei fatto mai più! Non ero portata per niente.
<< E le donne possono fare molte cose >> azzardò il medico. Avevano paura a parlare di libertà di fronte al futuro re di Camelot.
<< Possono fare ciò che vogliono! >> mentii. La realtà era che tutto il mondo, in quel preciso periodo, era messo male quanto Camelot, donne abusate e uccise perché ritenute streghe. << Anche andare in giro con abiti corti che lasciano intravedere le ginocchia >>
Tutti ebbero un sussulto. Poteva essere quasi una scena da film. L’avrei dovuto dire ad Andrea che ne avrebbe fatto una serie tv. Ed ecco che mi tornava in mente. Ma cosa stavo facendo? Che combinavo ancora in quel posto? Cosa avrei fatto fino alla vecchiaia? Volevo tanto tornare a casa. Avrei dato qualsiasi cosa per poter tornare a casa.
<< Davvero? >> chiese Merlino tentando di non far capire quanto, sia lui che Artù, erano emozionati da quell'idea.
<< Assolutamente >> dissi alzando la mia gonna fino sopra le ginocchia e accavallando le gambe. << Soprattutto quando fa caldo >>
Mi fissarono tutti sbigottiti. Stavo dicendo cose che non potevano ancora capire, e che, forse, non avrebbero mai appreso. << E sapete cos'altro facciamo nel mio regno? >> chiesi porgendo la mano a Merlino. Lui la afferrò e lo tirai su, in piedi. La notte ci nascondeva da occhi indiscreti e ci illuminava della sua luce magica.
<< Cosa? >> chiesero tutti per capire cosa ne avrei fatto del povero ragazzo.
<< Balliamo >> dissi ascoltando della musica che proveniva dal castello. Avevo chiesto ad alcuni servitori che sapevano suonare strumenti dell'epoca, di uscire e darci della musica su cui poter ballare. Menestrelli, così venivano chiamati. Cantavano le storie di altri paesi, portando avanti tradizioni e leggende.
Trascinai Merlino con me e iniziammo a ballare danze medievali che mi capitò di imparare per quella famosa fiera. Così non finii per fare una brutta figura. Non che mi interessasse molto fare bella figura con loro. Artù si fece coraggio e invitò Ginevra in pista, tutto stava andando nel verso giusto. Mi resi conto, allora, che il povero medico era rimasto solo. Quindi lo chiamai e lo feci unire a me e Merlino.
Era oramai mezzanotte quando decidemmo di andarcene a dormire. Il re Uther mi aveva dato una stanza enorme tutta per me, dicendomi che era adatta alla mia bellezza, ma quella sera avevo paura a dormire da sola e mi sembrava di aver finito la lista delle persone da ricordare, così me ne andai sul lettino nell'appartamento di Merlino. Mentre mi stendevo, sentii uno strano formicolio percorrermi la schiena. Un brivido mi fece tremare dalla testa ai piedi. Mi alzai e bussai alla porta della camera di Merlino.
<< Avanti >> disse lui, sconfitto dalla stanchezza. Quando vide che ero io, si portò la coperta fin sotto al mento, alzandosi a sedere, a disagio.
<< Sei nudo? >> chiesi coprendomi gli occhi e girandomi dal lato opposto.
<< No, ma voi lo siete! >>
Mi guardai. Capperi! Avevo la vestaglia da notte! Ok, forse si vedeva la forma dei capezzoli a causa del freddo, ma niente di più!
<< Non è vero! >> mi lamentai infilandomi nel suo letto. Si scansò, chiudendo gli occhi, come se Medusa in persona si stesse dimenando al suo fianco per tentare di trasformarlo in pietra. Quel letto era stranamente comodo, ma mai quanto il mio.
<< Cosa ci fate qui? >> mi chiese preoccupato. Pensava volessi stuprarlo forse?
<< Rilassati Merlino, voglio solo parlare. >> Tirai le coperte fin sopra le spalle e fissai il soffitto. Lui si rilassò e si stese al mio fianco, tenendo la coperta ben ferma sulla sua gola.
<< Di cosa volete parlare, lady? >>
<< Non chiamarmi così, è insopportabile >> mi lamentai. << Io, ho un segreto >> bisbigliai.
<< E volete dirlo a me? >> chiese ora spaventato. Forse non riusciva a mantenerli, perciò si lamentava tanto.
<< Solo tu puoi capirmi, e dato che io so il tuo segreto, vorrei essere sincera con te e ricambiare >>
<< Sono tutt'orecchi >>
E così finii per raccontargli tutto, da dove venivo e com'ero finita a Camelot. Lui, sempre dubbioso, finì per credermi e iniziò a farmi domande sul futuro alle quali non potevo rispondere.
<< Siete davvero bellissima >> mi disse poi, quando il discorso precedente era ormai concluso. << E misteriosa, e incredibile, portate con voi storie così fantastiche e pericolose che potrebbero portarvi alla morte in questo regno >>
Non volevo smuovere tanto gli eventi, ma mi uscì spontaneo baciarlo. Gli ci volle un po' per lasciarsi andare, in fondo ero il suo primo bacio, e forse anche l'ultimo dato che non si parlava mai di una compagna per il grande mago Merlino.
<< Mi dispiace, non avrei dovuto, non è così che va la storia! >>

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Capitolo 3
*** Aiutami, io voglio vivere! ***


CHAPTER 3 [Pov. Barbara]
Io non esistevo in quel luogo. Non appartenevo a quel mondo e non potevo attirare l’attenzione su di me. Ma non potevo neppure rimanere a castello senza far nulla per sempre, aspettando inerme la morte o qualsiasi cosa la vita mi avrebbe riservato. Iniziai col scendere nel villaggio ai piedi del castello e ad aiutare chi mi capitava a tiro. Non sapevo neppure il perché, ma avevo preso quella nuova vita come un'occasione per rimediare ad alcuni danni causati in precedenza. Ero gentile con tutti, donavo del cibo che avanzava al castello, e facevo ciò che potevo per chiunque. Mi capitò anche di costruire dei giocattoli per i bambini …
Passano settimane, mesi dal mio arrivo e ancora non succedeva nulla. Mi aspettavo qualsiasi cosa da quel viaggio, anche la morte dato che non mi rimaneva più nulla se non la vita stessa. Un giorno, facendo spesa dalla fioraia, sentii delle voci che dicevano che la gente moriva nella città bassa e queste le voci comprendevano tutte la possibilità che la causa fosse la magia. Quello era il problema dell’ignoranza.
Il medico portò me e Merlino a vedere uno dei cadaveri ed in effetti non c'era nulla che mi fece credere nel contrario. Le persone venivano pietrificate, e ovviamente morivano asfissiate da quella corazza dura che li ricopriva. Erano tutti nella stessa posizione, come se avessero appena indossato qualcosa. Forse una mantella, o un gioiello, comunque qualcosa tra il collo e le spalle.
<< Sire, non posso smentire le voci che girano tra il popolo che si tratti di magia >> disse il medico inchinandosi davanti a Uther. Lui non poteva mentire al re davanti a prove così schiaccianti. Sarebbe scoppiato il putiferio, ne ero certa ed in qualche modo ci sarei andata di mezzo io.
<< Quindi come lo fermiamo? >> chiese lui conciso.
<< Posso dirvi che probabilmente è un oggetto, come un mantello, una collana, qualcosa che vada indossato vicino al collo >>
<< Perquisite tutte le camere, nessuno escluso. >> urlò Uther. << Cercate un oggetto che vi sembri magico, così come vi ha suggerito il medico di corte! >> ordinò alle guardie. Loro scapparono via immediatamente. La sensazione brutta tornò a fare capolino nella mia strana esistenza e sperai tanto che non fosse collegato a Morgana e a qualche suo scherzetto idiota per mettermi fuori gioco.
La guardai per un secondo e vidi che sorrideva, poi alcune guardie vennero dietro di me e mi bloccarono le braccia. Merlino e il medico provarono a parlare, ma furono zittiti da altre due guardie. Artù fece per alzarsi, ma poi ci ripensò. Era più utile da vivo.
<< Sire abbiamo trovato questa collana che scintilla in modo strano nella camera dove alloggia la lady >> tuonò una delle due guardie che mi tenevano ferma. Mi sentivo così vulnerabile e inerme. Avrebbero potuto fare qualsiasi cosa di me. Non ero altro che un corpo per loro.
<< Cosa dite a vostra discolpa? >> mi chiese Uther. Sarei morta o potevo ancora fare qualcosa?
<< Quella non è mia, lo sapete, non avevo nulla con me quando mi avete trovata, tantomeno soldi per comprarla >> provai.
<< Mi dispiace, ma non c'è nessun elemento a tuo favore, dovrò mandarti al rogo >> disse sedendosi sul trono e calando il capo. Ecco che il vero Uther faceva capolino. Proprio quando ne avevo bisogno.
<< Padre! No! >> urlò Artù. Loro due litigavano, ma io non li sentivo neppure. Pensavo e riflettevo, su come sfuggire, su cosa avrei fatto. Sarei morta quella sera o il giorno dopo o quello dopo ancora? Ma le lacrime non mi uscivano. Ancora non avevo ben realizzato la situazione, ancora non mi rendevo conto che stavo per lasciare questo mondo. Era come se fosse un sogno. L'avevo pensato dal primo giorno in cui ero finita a Camelot, che fosse tutto un sogno. In quel momento, forse più un incubo.
Mi rinchiusero in una cella, dicendomi che la sera stessa mi avrebbero messa al rogo, che non avrebbero aspettato qualche altra magia. Mentre attendevo l’arrivo della mia ora, vennero a trovarmi un po' tutti quelli che avevo conosciuto. Ginevra e il medico mi portarono del cibo, ma lo rifiutai. A che serviva mangiare se dovevo morire? Poi passò Artù, dicendomi che avrebbe fatto il possibile per aiutarmi. Lo stesso mi disse Merlino, ma nel suo caso capivo cosa intendeva.
<< No >> lo fermai, abbassando la voce ad un sussurro. << Niente di azzardato o ti scopriranno! >>
<< Ho i miei trucchi >> disse.
<< Si, e poi penseranno che davvero sia una strega. Ascoltami preferisco che tu non lo faccia ... >>
<< Perché? >> mi interruppe. I suoi occhi grondavano lacrime quasi più dei miei. Non avrei mai più rivisto né lui, ne la mia famiglia.
<< Perché così Uther capirà lo sbaglio e la smetterà di uccidere chiunque e tu potrai rivelare il tuo segreto! >> non credevo neppure di averlo detto. Io non ero così coraggiosa. Cosa mi stava succedendo? Mi sacrificavo per uno che poteva benissimo salvarsi con la propria magia?
<< Il tuo sacrificio non farà cambiare idea a Uther, ne ha già uccisi in molti e ne ucciderà ancora e tu sarai solo una tra tante >> si lamentò. Una lacrima che tanto ballava nel suo occhio, gli rigò il viso e solo allora mi resi conto di quanto volessi vivere. Non ero pronta a lasciare questo mondo senza sapere dove sarei andata a finire dopo. Io volevo vivere. Non avevo fatto ancora nulla per me stessa. Non avevo concluso nulla. Io avevo sogni da realizzare, persone da incontrare, avrei dovuto cercare la mia anima gemella e sposarla, avrei voluto avere dei figli e una volta vecchia avrei guardato la tv e guardato i miei nipotini giocare allegramente rimembrando i tempi nei quali ero io a giocare. Ma dal momento in cui avevo messo piede in quell’epoca tutto era svanito. I miei sogni bruciati, le mie speranze disintegrate, la mia vita distrutta! Quegli angeli, da sempre associati alla figura di dio, mi avevano portato via tutto trascinandomi dritta all’inferno.
<< Vai e non ti azzardare a fare nulla! >> lo sgridai. Lui mi baciò, attraverso le sbarre, prendendomi alla sprovvista, poi fuggì, furioso come non l'avevo mai visto.
Poco dopo, proprio come credevo, mi ritrovai legata nella piazza, stretta ad un palo di legno, con sotto tanti rami da poter accendere l'intera Roma. Intorno a me c'erano poche persone, eppure sapevo che in queste occasioni la gente si riuniva a godersi lo spettacolo. Speravo fosse perché erano grati dell’aiuto che gli avevo dato.
La situazione era davvero tragica. Non credevo in nessun dio, ma iniziai a pregare a caso. Chiedendo di essere aiutata. In momenti come quelli, ogni appiglio e ben accetto. Continuavo a ripetere, nella mia mente, ''Aiutami. Io voglio vivere''. Lo ripetevo, autoconvincendomi che sarebbe servito a qualcosa. In fondo la speranza era l'ultima a morire. Anche se in quel momento ero io a dover morire, e non sarei stata di certo l'ultima, come mi aveva già informata Merlino.

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Capitolo 4
*** Non mi fai fare un viaggio? ***


CHAPTER 4 [Punto di vista del Tardis]
Stava per arrivare un messaggio sulla carta psichica del Dottore, il mio caro ladro. Era ancora convinto di essere stato lui a rubare me, povero fessacchiotto, in realtà ero stata io a scegliere lui! Nella mia testa c'era tutto ciò che lo riguardava, e io avevo il compito di portarlo in giro per l’universo facendo avverare il suo destino e facendogli conoscere ragazze che poi gli avrebbero salvato la vita e che non gli avrebbero fatto pesare la tanto odiata solitudine. Sembrava scordarsi che io sarei rimasta con lui per sempre!
La ragazza che aveva bisogno di lui stava chiamando ed il messaggio sarebbe arrivato tra tre...due...uno.
<< Oh >> urlò e si dimenò come se avesse sentito una scossa dritta al petto. << Un messaggio sulla carta psichica! >> disse il mio Dottore, che ricambiava il mio amore platonico accarezzandomi, chiacchierando con me senza ricevere risposta, e chiamandomi Sexy. Mi piaceva quel nome!
<< Il messaggio dice ''Aiutatami, io voglio vivere''. Che dici, tesoro? Andiamo? >>
Ovviamente lo stava chiedendo a me. Parlava spesso con me quando era solo. Ed in quel momento era più che solo. E io, che già sapevo tutto, misi in automatico le coordinate e lo condussi a Camelot! WHOOOOOOO WHOOOOOO WHOOOOOOO!
Appena atterrai, il Dottore, senza perdere tempo, si fiondò alla scoperta di quel posto e finì dritto nelle stanze di Merlino, dove io volevo che andasse. Lo trovò mentre stava mischiando qualcosa per preparare una pozione. Sicuramente per aiutare la ragazza al rogo.
<< Lei chi è? >> chiese Merlino, spaventandosi dell'improvvisa visita. Nascose in fretta la pozione da occhi indiscreti.
‘’ Io sono il Dottore, lei è?’’
<< Io sono il Dottore, lei è? >> chiese di rimando. Sembrava quasi che lui giurasse che tutti nell’universo sapevano chi era, oppure come se non volesse che sapessero chi era.
<< Sono Merlino >>
Ed ecco che si faceva scoprire …
<< Oh, oh, che onore, il grande mago Merlino! >> disse il Dottore stringendogli le mani. Merlino si spaventò, ricordando della stessa scena ma con una ragazza al posto del Dottore. Come mai tutti sapevano tutto di lui tranne se stesso?
<< Chi siete voi? >> disse alzandosi di scatto. Aveva per caso trovato chi avrebbe potuto salvare Barbara dal rogo?
<< Ve l'ho detto, io sono il Dottore, vengo dal futuro, qualcuno in pericolo mi ha mandato un messaggio >> spiegò lui tutto d’un fiato al povero apprendista medico della città di Camelot.
<< Dal futuro? Come Barbara? >>
<< Che vuol dire ''come Barbara?'' >> era molto sorpreso, in fondo come poteva esserci un'altra persona che veniva dal futuro? Come aveva viaggiato? Forse come Jack e le si era rotto il bracciale. Oppure con una navicella che teneva nascosta.
<< Barbara, anche lei viene dal futuro. Non so come abbia fatto, ma credo che sia lei ad avervi mandato il messaggio. Sta per essere messa al rogo per stregoneria, ma lei è innocente >> spiegò, il più in fretta possibile, spingendo il Dottore fuori dalla sua camera.
<< Strano, e mi piace! Ora dimmi tutto quello che lei ha raccontato sulla sua identità ad Uther >>
<< Ha detto di venire dal Regno di Sicilia, di essere una reale >> disse poi esitò. << E... io l'ho trovata nella neve con abiti strani, quindi ha potuto dire di non ricordare molto … >>
<< Benissimo, grazie grande mago Merlino >> rispose il Dottore inchinandosi di nuovo, << e non usare la magia! >> lo prese in giro. In realtà, come sia io che il Dottore sappiamo, Merlino era solo un bravissimo medico che curò moltissime persone e per questo gli fu dato quell'appellativo. Per quanto riguarda Morgana, lei aveva semplicemente fatto gettare del cemento addosso a delle persone, e posto una pietra molto preziosa in una camera che non era la sua.
Scappò, più veloce che poté e chiese udienza al re Uther, mostrando il suo titolo di Ser Dottore Del Tardis, con la carta psichica. Non c’era tempo da perdere!
<< Sono qui per portare a casa la principessa Barbara >> disse inchinandosi. Il Dottore era calmo come al solito, si era trovato in situazioni ben peggiori! Ad esempio quando aveva affrontato Satana in persona, o almeno così diceva l’essere; oppure … ogni santissimo giorno!
<< Mi dispiace darle la notizia, ma è stata messa al rogo per stregoneria, l'esecuzione ci sarà tra due ore >> disse impassibile Uther. Quando si trattava di stregoneria non conosceva pietà, non vedeva essere umano degno di aver salva la vita.
<< Quindi ho due ore per convincere sua maestà che non è stata la principessa? >> chiese ancora il Dottore. Uther annuì, senza speranza, perché era convinto che non ci sarebbe riuscito. Avrebbe ucciso una persona innocente solo per non rischiare di lasciare libera una strega. << Bene >> proseguì il Dottore, << lavoro meglio sotto pressione! >>
Prima di iniziare a darsi da fare, prese un secondo per osservare, dalla finestra, la ragazza che stava per salvare. Sembrava oramai sconfitta. Come se si fosse rassegnata al suo destino. Aveva la testa calata, ma le mani strette a pugno gli fecero capire che aveva ancora la forza per lottare e l’avrebbe fatto fino alla fine. Questo lo aiutò molto, gli diede la spinta che serviva a mettere in moto le gambe.
Prese un respiro e si avviò alla ricerca di false prove che potessero spingere Uther a scagionare Barbara e al contempo, non fargli scoprire la verità su Morgana, dato che non era ancora il momento. Perlustrò la città bassa, parlò col venditore della collana stregata, ricordò le informazioni e trovò colui che l'aveva portata al castello, morto. Poi tornò da Uther con tutto ciò che aveva ‘’trovato’’, o meglio, costruito.
<< Sire, quest'uomo ha venduto la collana al cadavere che vedete ai vostri piedi >> iniziò il Dottore, mostrando con un gesto il corpo senza vita.
<< Lo confermo, ma era una semplice collana quando gliel'ho venduta, lo giuro! >> si difese il pover'uomo. Ovviamente non era nelle intenzioni del Dottore far condannare un altro uomo innocente al posto della ragazza.
<< In casa del defunto ho trovato questi libri di magia e altre pozioni, che farete meglio a bruciare al posto di quella ragazza innocente >> proseguì. << Credo siano abbastanza prove. Ora lasciatemi portar via la mia principessa. >> Sembrava quasi una frase romantica detto così. Quasi quasi, se solo non avessi saputo già tutto ciò che sarebbe accaduto, potrei dire di essermi ingelosita!
<< Ma perché è morto? >> chiese Uther. Sospettoso, ma allo stesso tempo menefreghista. Non importava di chi era la colpa, bastava che qualcuno avesse pagato con la vita. Si, voleva la verità, ma non voleva cercarla e si accontentava dell’ipotesi che più lo convinceva.
<< Ovviamente, non sapeva usare la sua stessa magia. Era un principiante che si divertiva ad ammazzare la gente. Ah e dimenticavo, delle guardie l'hanno visto entrare nel castello, logicamente per posare la collana in camera della principessa >> fece cenno alle guardie di annuire, e loro obbedirono da bravi soldatini pagati a peso d’oro.
<< Siete stato bravo >> disse Uther. << Meritate di riavere la vostra principessa! E grazie per i servigi >>
Un urlo spezzò l’atmosfera trionfante che circondava l’umore del Dottore. Morgana aveva ordinato alle guardie di far arrostire prima del tempo la condannata. Sapeva che ciò che aveva tra le mani era ben poco e che non avrebbe vinto contro il Dottore. Lo sentiva a pelle. Chiunque lo vedeva, istintivamente, sapeva come doveva comportarsi con lui; se erano brave persone allora gli avrebbero dato fiducia, se erano cattive allora l’avrebbero temuto.
<< Chi ha appiccato il fuoco? >> urlò Uther, nessuno fiatò, ovviamente. Il silenzio è oro, o in quel caso monete e gemme preziose. Il Dottore corse, come solo lui sapeva fare. Quella ragazza era sotto la sua responsabilità dal momento in cui aveva letto il suo messaggio sulla carta psichica. Un normale essere umano non riusciva, neppure con anni di allenamento, a mandare messaggi sulla sua carta psichica. Lei, in un momento buio tra la vita e la morte, aveva avuto la forza di andare oltre i limiti della propria razza. Meritava la vita come chiunque altro in tutto l’universo, con la sola differenza che lei aveva avuto la fortuna di avere a che fare con lui.
Salì le scale, gradino dopo gradino, cercando di non inalare il fumo e di restare lucido. La vide tossire così forte che gli sembrò che le stesse uscendo via l’anima. Com’erano vulnerabili gli esseri umani. Questo il Dottore lo sapeva bene. Aveva perso molte persone, la maggior parte umane perché erano quelle che assomigliavano di più alla sua razza. Stare a contatto con loro gli faceva dimenticare cosa lui aveva fatto a loro per salvarli e gli sembrava di riaverli di nuovo al suo fianco come se non fosse mai successo nulla. Afferrò le corde che la tenevano legata al palo e perse parecchio tempo a slegarle. La sua estrema contrarietà alla guerra, ovviamente, gli impediva di portare con sé delle armi, inclusi coltelli che magari sarebbero potuti servire a slegare delle corde! Quindi dovette cavarsela a mani nude e gli sembrò l’impresa più ardua di sempre. Avrebbe preferito abbattere un albero a testate! Quando finalmente lei poté muoversi, si resse, per non cadere, al busto magro del Dottore, afferrandolo come se non credesse poteva essere realmente lì in quel momento. Ma quando si girarono, pronti finalmente a scendere, la scala era bruciata, come del resto quasi tutto intorno a loro. Le fiamme erano alte circa tre metri e bruciavano come se dovessero riscaldare l’inferno. I loro occhi, per il fumo e per il calore, iniziarono a lacrimare. I loro abiti sembravano appesantirsi, diventando solo un ulteriore ostacolo. Ora avrebbero potuto fare solo ciò che il Dottore sapeva fare meglio: andare alla cieca!
<< Saltiamo >> urlò il Dottore a Barbara. Il suo naso fu riempito dal fumo che subito gli inondò i polmoni e le orecchie sembravano non voler ascoltare neppure la sua stessa voce. Lei non riusciva a parlare, forse per lo shock, forse per il fuoco o forse perché credeva di stare sognando … Scosse semplicemente la testa, come a voler dire che non ce l’avrebbero fatta. Il Dottore la guardò. Non poteva perdere tempo, sarebbe costato la vita di lei ed una sua rigenerazione, che magari poteva venir anche presa come stregoneria in quel luogo perverso. Non poteva tentare di convincerla, o di spiegarle. << Fidati di me >> disse. Un classico del Dottore! Quando lo diceva, nessuno aveva più dubbi. Potevano cadere mondi, poteva partire un fulmine dal terreno, potevano volare asini, starnutire nuvole, piovere persone e ringiovanire i cadaveri, ma lui non avrebbe deluso nessuno.
Mano nella mano, spingendosi con i piedi sul pezzo ancora intero di legno, saltarono e rotolarono a terra. Il Dottore, atterrò sul fianco, finendo giusto sul braccio di Barbara, che ancora lo cingeva. Entrambi i loro abiti erano ancora coperti dalle fiamme, che tentarono di spegnere rotolandosi sul terreno. Due guardie mandate da Artù, li avvolsero con delle coperte così da far mancare ossigeno al fuoco e farlo lentamente morire. I due respirarono come se potessero farlo per l’ultima volta, pulendo molto velocemente i polmoni oramai piedi di fumo.
<< Non lasciarmi >> disse Barbara al Dottore, tenendo salda la presa intorno al suo torace. Non lo lasciò per i dieci minuti seguenti, nei quali rimasero stesi a riprendersi dalla botta di adrenalina. In quel momento era il suo unico aggrappo alla vita, l’unica cosa che le faceva credere di essere ancora viva, l’unica prova che le faceva credere di appartenere ancora al mondo dei vivi.
Quando entrambi riuscirono ad alzarsi, si recarono con fatica dal medico di corte che pensò bene di fare degli impacchi da mettere sulle bruciature. Il Dottore era già guarito e Barbara non aveva nessuna ustione grave, per fortuna. Rivedere le facce che oramai trovava familiari la rincuorava e poter conoscere l’uomo che l’aveva salvata era per lei un onore. Prima di tutta quell’avventura non aveva mai voluto conoscere così intensamente nessuno, se non Batman.
<< Io, non so come ringraziarla … >> commentò Barbara appena rimase sola col suo salvatore. Davvero non trovava le parole. Anzi a stento riusciva a mettere vicine due lettere per formare una parola. Era difficile tenere la mente abbastanza lucida da fare una cosa del genere …
<< Allora, Merlino ha detto che vieni dal futuro. Com'è possibile? >> chiese il Dottore, cercando di non sembrare troppo ficcanaso, ma solo curioso.
<< Non mi crederesti >> fece lei, oramai era certa di dover rimanere in quell’epoca per sempre. Poi una scena le balenò in mente. Non credeva di essere capace di poter riguardare così i suoi ricordi ma, come un film, vide la scena del Dottore che la slegava. Lui aveva degli abiti non proprio di quel secolo, ma che le ricordavano il suo bisnonno da giovane. Avrebbe detto, più o meno, risalenti agli anni ’50.
<< Mettimi alla prova >>
<< Un angelo >> disse lei. << Cioè, la statua di un angelo, si copriva la faccia con le mani e poi si è mosso >> ripercorse nella sua mente la scena e le vennero i brividi. Si portò una delle mani, quella che non manteneva degli impacchi sulla gamba, sulla forchetta sternale. << Mi ha toccata e … >>
Una lacrima le percorse rapidamente il viso, quasi come se volesse scappare il più velocemente possibile dal luogo dal quale proveniva. Proprio il contrario di quello che voleva  lei. Il Dottore emise un lamento. Gli angeli piangenti! Gli davano del filo da torcere ogni volta. Quegli esseri si che lo spaventavano. Aveva paura di essere toccato, poiché in un’altra epoca e senza il suo Tardis non avrebbe potuto più viaggiare! Li odiava tanto quando odiava i Dalek e i Cyberman. E sicuramente tutti e tre ricambiavano in egual misura il suo odio. ‘’Eppure’’ pensò il Dottore, ‘’ di solito il luogo nel quale vengono mandati i poveri malcapitati è sempre protetto da un forte campo temporale che impedisce l’atterraggio al Tardis’’. Non pensò di dare molta importanza alla cosa, ma si promise di aiutare quella che poteva essere l’unica vittima degli angeli che era riuscito a trovare.
<< Ti riporto a casa >> disse il Dottore alzandosi e iniziando il suo solito monologo. Nel frattempo Barbara stava avendo in leggero ‘’attacco cardiaco’’ e forse non le aveva sfiorato neppure la mente l’idea di ascoltare ciò che continuava a dire. << Stavolta hanno esagerato, di solito mandano le vittime in posti in cui non fa la differenza se ci stanno o meno, ma tu sei finita a Camelot e stai cambiando la storia! >>
<< Camelot non esiste nemmeno! >> si agitò lei, capendo che forse quell'uomo avrebbe davvero potuto aiutarla. In fondo ne sapeva molto. E si, lo aveva ascoltato!
<< E questa come la chiami? >> chiese il Dottore indicando la bellissima vista che si vedeva dalla finestra. Ettari ed ettari di verde, il sole che illuminava tutto ciò che trovava dinnanzi al suo cammino nell’arcata celeste, il profumo di terra bagnata e fiori freschi, e il soave canto degli uccellini. In quel momento di momentanea estasi, entrò Merlino che li guardò come se qualcuno gli avesse confessato di volerlo uccidere.
<< Volete andarvene, non è così? >> chiese il giovane a Barbara, senza calcolare neppure la presenza del Dottore. Il poverino si era innamorato di lei, e ora aveva difficoltà a credere che dovesse andar via. O meglio, non aveva difficoltà a crederlo, ma ad accettarlo.
<< Non lo so >> commentò lei a disagio. Andarsene era ciò che desiderava di più al mondo, anche se l’idea di lasciarlo la faceva star male. Si era affezionata a quel timido ragazzino impacciato che ci aveva messo un anno per poter stare nella stessa stanza con lei senza arrossire almeno una volta. Non l’avrebbe mai dimenticato.
<< Ma il Dottore viene dal futuro, sicuramente vi porterà via! >> disse Merlino sedendosi di fronte ai due. Li guardò come uno psicologo fa con i suoi pazienti quando, all’inizio della seduta chiede: ‘’Cominci dall’inizio’’.
<< Il Dottore? >> chiese Barbara. Ancora non le era venuto in mente di chiedergli il nome. E a quanto pareva quell’uomo non aveva un nome. Ancora più misterioso.
<< Si, mi chiamo così >> rispose lui. << Solo il Dottore >>
Barbara si perse nei suoi pensieri. Tutte quelle storie che il bisnonno le raccontava ... Non potevano essere vere!
Il Dottore la guardò. Dopo che le aveva detto come si chiamava, lei era diventata strana. Non parlava più e aveva lo sguardo perso nel vuoto come se stesse rispolverando vecchi ricordi. La guardò come se volesse aprirle la testa e leggerle i pensieri. E l’avrebbe anche fatto se solo non avesse avuto molto rispetto per la sua privacy.
<< Allora >> il Dottore, stufo della perdita di tempo, mise una mano davanti la faccia di Barbara per attirare la sua attenzione, << vuoi tornare a casa? >>
La fatidica domanda.
<< Si >> disse lei prendendogli la mano che lui le porgeva. Quel tocco per lei era sinonimo di libertà. Già iniziava a respirarla e ad udirla. Lo smog delle auto, i clacson! Cose delle quali non andava molto fiera, ma che le mancavano davvero molto. Andarono a salutare Uther e Artù, poi il medico, poi ancora Ginevra, mentre Merlino li seguiva fino davanti a me, il mezzo di trasporto. La bellissima e sexy macchina del tempo! Badabum tsss!
Barbara rimase a fissarmi come una tonta. Si, vedermi faceva sempre un certo effetto. Le lessi in viso che mi immaginava più grande. Bhè, speravo di non deluderla una volta aperte le porte. Lei era destinata a viaggiare col mio Dottore. E, a dirla tutta mi stava anche simpatica!
<< Ci rivedremo? >> le chiese Merlino. Si trovava giusto di fronte ad una macchina del tempo e non aveva lasciato trasparire nessuna emozione che non fosse rivolta a Barbara. Come se fossi una cosa che si vede ogni giorno!
<< Non lo so, ma suppongo di no >> disse sincera lei. La sua espressione cambiò da ‘’cagnolino bastonato’’ a ‘’uomo sicuro di sé’’ in meno di un secondo. Allungò una mano a cingere il collo di lei e la baciò con foga. Non se lo sarebbero mai aspettato, nessuno di loro, tantomeno il Dottore, il quale iniziò a muoversi in imbarazzato dietro di loro. Aveva 2000 anni di esperienza, ma quando si trattava di donne, sembrava un eterno ragazzino impacciato. Si insinuò, sinuoso come un gatto, precisamente come Garfield, dietro Barbara ed entrò dentro di me...
Ok, magari sembra brutto detto così, forse dovrei parlare in 3° persona di me stessa. Me lo ricorderò …
Allora, dicevo, il Dottore entrò nel Tardis, felice di aver fatto del bene anche in quella giornata e si preparò ad affrontare un solo viaggio con quella ragazza. Aveva capito che aveva bisogno di tornare a casa e di rivedere la sua famiglia, quindi non l’avrebbe trattenuta.
<< E' più grande all'interno >> disse sorpreso Merlino. Ecco che qualcosa l’aveva distratto dall’unica cosa che interessava agli uomini. Era la millesima volta che sentivamo quella frase, seguita da un' uscita e un giro intorno alla cabina. Nessuno poteva credere ai propri occhi.
Ero troppo seducente!
Comunque, tornando a noi, Merlino, da vero gentiluomo, lasciò entrare Barbara, rimanendo sulla soglia per salutare.
<< Ah Merlino! >> urlò il Dottore. << Quando scriverai tutti quei libri su Camelot, usando nomi falsi, ricordati di non citare noi due, grazie! >>
Merlino rise, ormai non si sorprendeva più di nulla di ciò che poteva uscire dalle bocche di quei due alieni. Li osservò sparire con la loro macchina del tempo, poi tornò alla sua vita, pensando e ripensando a quei fantastici giorni dei quali non poteva parlare a nessuno. Come della sera durante la quale Barbara gli aveva raccontato tutte le cose fantastiche che l’uomo aveva inventato nel corso dei secoli. Il telefono che permetteva a due persone di parlare a distanza senza mandare corvi e aspettare molto tempo; le auto, mezzi di trasporto veloci; gli aerei che permettevano all’uomo di volare! Avrebbe tanto voluto vedere quel fantastico mondo, ma sapeva di doversi accontentare dei racconti. Se era nato in quel periodo, doveva restare in quel periodo, così come Barbara stava per tornare nel suo. Tutto stava tornando in ordine.
Il Dottore impostò le coordinate per il pianeta terra, nell'anno che precisò Barbara, 2012.
<< Siamo arrivati >> disse, dopo averle fatto provare la brezza degli scossoni che creavano delle turbolenze. Convinto di non portarla con sè. Ancora credeva di poter comandare il destino!
<< Non mi fai fare un viaggio? >>

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Capitolo 5
*** Un'altra Noble ***


CHAPTER 5 [Pov. Barbara]

<< Dove vorresti andare? >> mi chiese il Dottore entusiasta quasi quanto me. Pensai e ripensai, ma non mi venne nulla in mente. Dissi la cosa più banale. O almeno a me sembrò banale. Non avevo idea di quante persone potessero già averglielo chiesto, ma ricordo che mio nonno ne parlava spesso.
<< Il big bang, si può? >> chiesi. Probabilmente sarebbe stato pericoloso starci vicino, essendo un’esplosione.
<< Non proprio nell'istante dell'esplosione, però, oppure ci colpirebbe una forza tale da distruggerci >> disse sorridendo poiché sapeva che già lo immaginavo. Mise le coordinate e la nave sobbalzò, scaraventandomi a terra. Mi aggrappai ad un pezzo della navicella che mi sembrò un’ancora messa lì apposta per le emergenze del genere. Appena si stabilizzò, lui mi porse la mano e mi aiutò ad alzarmi. Ogni volta che lo toccavo, mi tornava in mente il momento esatto del salto a terra. Eravamo in fiamme, ma non riesco a ricordare il dolore, quasi come se fosse una scena non vissuta da me. Come il ricordo di un film, come se fossi stata una spettatrice. Ottimo modo per mettere quell’istante nel dimenticatoio.
<< Abituatici >> disse, riferendosi alle turbolenze. Evidentemente era vero anche il fatto che non era molto capace a pilotare quella macchina, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Aprì la porta e mi lasciò ammirare quello spettacolo incredibile che era la nascita dell'universo. Un miscuglio di colori, asteroidi, e tantissime luci. Avrei scommesso di sentire qualche odore o qualche strano vento, ma probabilmente la macchina creava un qualche campo di ossigeno per farmi respirare, o avrei rivisto la morte in faccia e magari ci avrei danzato assieme per l’ennesima volta.
<< E' bellissimo >> dissi prendendolo sotto braccio e poggiando la testa sulla sua spalla. Lui si agitò come un bambino all'asilo al quale è stata rubata la caramella. << Stai tranquillo, non mordo >> lo rassicurai massaggiandogli la schiena. << A meno che tu non me lo chieda >>
Si sciolse dalla mia presa e si allontanò con sguardo indeciso. Decisi che forse facevo meglio a stare zitta, non avrei voluto mai turbarlo. E così rimasi da sola ad osservare il panorama. Vidi dei pezzi di asteroidi schiantarsi contro altri pezzi, a volte si univano, altre si respingevano così forte da sembrare invisibili. I colori che si mischiavano sembravano tanto un immenso arcobaleno. Era così meravigliosamente speciale che quasi mi aspettavo di veder spuntare degli unicorni.
<< Potrei vedere la nascita della terra? >> chiesi ancora. Non potevo credere che tutte le storie che mi aveva raccontato il nonno fossero vere. Cioè, in fondo io volevo crederci, ma la società vuole che noi crediamo di essere al sicuro dagli alieni e cose soprannaturali. Non mettevo in dubbio l’esistenza di altre creature, ma credere che fossero speciali e meravigliose come lo era il Dottore, era così difficile da immaginare!
<< Non ti ci posso portare, sarebbe un paradosso vedere me stesso e la mia vecchia compagna, Donna >> spiegò. Come? Donna? Lo sapevo! Lo sapevo!
<< Dottore? >> chiesi, ma lui sembrava preso nella spiegazione del perché non poteva portarmi. Ed io il perché già lo sapevo!
<< Non posso ritornare dove sono già stato, cioè sulla mia stessa linea temporale... >>
<< Dottore? >> riprovai.
<< Potremmo creare per sbaglio uno squarcio nel tessuto dell'universo e far collassare tutto! >>
<< Dottore! >> urlai. Si bloccò di colpo e mi fissò, come se fosse la prima volta che lo chiamavo. O la prima volta che mi vedeva!
<< Che c'è? >>
<< Hai detto Donna? Donna Noble? >> chiesi.
<< Si … Ma … come fai a sapere il suo nome? >> domandò, quasi più sorpreso di me. E io che avevo sempre dubitato di lui!
<< E' mia madre! >> urlai con un sorriso che arrivava da un lato all’altro del viso, aspettandomi una reazione altrettanto positiva. Ma così non fu.
<< Oddio >> fece lui abbassando lo sguardo. Forse aveva paura di avere a che fare con un'altra Noble. Una era abbastanza. << Te l'ha detto tuo nonno, vero? >>
<< Si, mi raccontava storie su di te quando ero bambina. E mi diceva anche che non potevo parlarne con la mamma, perché poteva morire se ricordava. E' vero? >> chiesi. Dovevo sapere la verità su tutto.
<< Si >> rispose sincero. << Era diventata mezza umana e mezza Signora del tempo... >>
<< Che sarebbe la tua razza! >> intervenni mostrando le mie conoscenze. Nella mia mente c’era una barretta che si riempiva ogni volta che indovinavo una risposta. Un punto per me!
<< E le ho dovuto cancellare la memoria, se prova a ricordare muore. A proposito come sta? >> Sembrava veramente provato. Gli doleva tanto lasciarla da sola sapendo cosa le era successo. Ma non poteva far nulla per lei, come non poteva farla nessuno di noi.
<< Bene >> risposi. << Bhè, è invecchiata, ma credo che questo tu lo sappia già >>
<< Il tempo passa per tutti >> disse muovendo le mani in uno stano modo. Notai che lo faceva spesso. Gesticolava esageratamente quando parlava, neppure stesse dirigendo il traffico!
<< Ma non per te >> conclusi, portando a parole quello che stava pensando. Lo vidi, perso nei suoi pensieri. Chissà come era essere lui. Eternamente in giro senza mai fermarsi, senza morire. In quel momento l’idea di non morire mi sembrò una cosa utile e avrei anche venduto l’anima per ottenerla, però tentai di guardare la storia con lungimiranza. A distanza di qualche anno, qualche secolo, qualche millennio, tutti quelli che io abbia mai amato sarebbero morti. Ne avrei conosciuti tanti altri, ma anche loro sarebbero morti a loro volta e così all’infinito. Solo sofferenze, infinite sofferenze. E mi resi improvvisamente conto di essere appena diventata una delle sue sofferenze.
Improvvisamente, distruggendo il filo dei miei tristi pensieri, mi diede le spalle, facendosi passare una mano tra i capelli lisci.
<< E' la mia condanna >> disse sottovoce. Quasi come se non volesse farmelo sentire. Avrei voluto toccarlo, consolarlo, ma non avrei saputo trovare le parole giuste. Dopotutto che ne potevo mai capire io delle sue condanne? Potevo solo immaginarle.
Chiusi le porte del Tardis e mi avvicinai ai comandi. Erano tutti colorati e vivaci. C'erano anche delle parole in Italiano incise su alcune parti. Ma sono sicura che se avessi dovuto guidarla, l’avrei sicuramente rotta. Io, però, ero giustificata dato che non avevo le sue competenze. Quella macchina non l’aveva inventata la mia razza, ma la sua, quindi era suo dovere saperlo fare! Ma evidentemente non aveva passato l’esame! Provai ad accarezzarla e a parlarle, magari anche lei era qualcosa in più di quel che sembrava.
<< Sei così bella e speciale! >> le dissi. Giurai di aver sentito delle fusa metalliche, probabilmente era una persona anche lei. Mi allontanai di scatto, spaventata. C’era davvero una persona lì dentro? E stava bene? Come faceva a vivere in una macchina? Il Dottore si mise a ridere. Contenta di avergli migliorato la giornata!
<< Le piaci >> disse. Nemmeno stesse parlando del suo animale domestico!
<< E' … viva? >> provai. Probabilmente se stava lì dentro era perché così era nata. Non poteva essere un esperimento scientifico, non era tipico di quella razza.
<< In un certo senso si >>
<< E come la devo chiamare? >>
<< Come vuoi >> disse alzandosi e accarezzandola. Sembrava più innamorato di lei che di una qualche donna. Probabilmente perché il Tardis, come lui, gli avrebbe fatto compagnia per sempre.
<< Tu come la chiami? Tardis? >> chiesi, poi mi sentii sciocca a chiedere il nome di una macchina. Proprio non sapevo come comportarmi. Trattarla da macchina o da persona? Ecco, non avevo passato neppure un’ora con lui e già mi aveva incasinato la vita!
<< Io la chiamo Sexy >> disse spudorato. Era in intimità con la sua macchina e respingeva le donne che gli facevano delle avances … Stavo avendo seri dubbi sul suo orientamento sessuale o , meglio, su di lui in generale.
<< Bene, presto chiamerai anche me così >> dissi in modo seducente. Mi guardò con il solito sguardo terrorizzato. << Mamma mia! Quanti anni hai? >>
<< 2040, perché? >> chiese ingenuo. Si, avevo le idee confuse, e anche parecchio. Era come se in lui vivessero tante persone diverse.
<< E ancora ti comporti come un ragazzino terrorizzato dal sesso femminile? >> lo presi in giro. Forse non avrei dovuto essere così diretta e cattiva. Ricordo quando anche io ero così. Non potevo sentire una parola che diventavo tutta rossa. ‘’Pene’’ continuava a ripetere il mio migliore amico delle scuole elementari, aspettando che io diventassi rossa come una melanzana. Mi sfidava anche a dire certe parole perché non ci riuscivo. ‘’Dici vagina!’’ bofonchiava, ‘’Non ci riesci!’’
<< No, non è vero! >> protestò. Quanto mi faceva tenerezza! ‘’Non è vero, certo che so dirlo. E’ solo che non voglio dirlo ad alta voce!’’ rispondevo io tentando, nel contempo, di nascondere la testa nella sabbia.
In quel momento qualcosa fece sobbalzare il Tardis e finii di nuovo a faccia a terra. Il mio labbro inferiore, stufo della sua già affermata obesità, decise di diventare, in meno di un secondo, un gommone. Lo toccai. Niente sangue, almeno quello! Le luci e i macchinari si spensero, lasciando me e il Dottore al buio più totale. Situazione che non mi piaceva per niente. Tentai di rialzarmi, sgranando gli occhi per far abituare al buio i miei occhi. Lentamente iniziai a vedere almeno i contorni delle cose. Da fuori si iniziò a sentire un rumore crescente. Sembrava un tritarifiuti, o dei trapani elettrici. Qualsiasi cosa fossero, non sembrava nulla di buono!
<< Che succede? >> urlai per sovrastare il fracasso. Vidi l’ombra del Dottore muoversi accanto ai comandi, tentando di premere qualcosa. Si innervosì quando non ci fu nessuna risposta e sbatté i pugni sulla console.
<< Qualcuno ci ha catturati, il che non è possibile dato che siamo nello spazio, prima dell'invenzione di ogni cosa! >> urlò di rimando lui, appena trovò tempo da perdere per rispondermi, invece che picchiare la sua amata.
<< Forse qualcuno ha una macchina del tempo come la tua! >> consigliai. Non mi rispose, forse non gli sembrava un’ipotesi neppure da considerare. Stolta che non ero altro!
Il Tardis ci fece sentire un altro scossone e mi fece rotolare, o meglio, volare fino dal Dottore, che mi afferrò prima che potessi cadere al piano inferiore atterrando di faccia. La sua mano mi cingeva la vita, stringendomi contro di lui. La situazione mi sarebbe anche piaciuta, se non avessi contato il fatto che ci stavano catturando e che il Dottore aveva una faccia molto seria, invece che il solito terrore per le donne. L'ultimo volo ci fece arrivare fino alle porte del Tardis e li ci fermammo, aspettando che si stabilizzasse.
<< Fortuna che avevo gli scudi alzati o sarebbe successo di nuovo! >> disse lui tra sé e sé.
<< Successo cosa? >> chiesi. Sembrava che lui ritenesse scontato che io sapessi già le cose, oppure che non ritenesse importante farmele sapere. Che dilemma.
<< Si sarebbe distrutto il Tardis! >>
Oh, bene. Almeno il peggio non era avvenuto, allora. Ringraziando il cielo!
<< Ma chi ci voleva prendere? >>
<< Chiunque fosse si è arreso >> disse lui guardando sullo schermo. Intorno a noi non c'era nessuno. Si fiondò alle porte e guardò fuori. Il panorama era rimasto inalterato, come se non fosse mai successo nulla. Qualcosa non andava, glielo leggevo in faccia. Il Dottore rimase dubbioso per molto tempo, pensando e ripensando all’accaduto, prima di decidere che fosse più saggio andare via da lì.
<< Lo vuoi fare un altro viaggio? >> mi domandò con la solita innocenza. Il primo non era andato a buon fine e voleva fare un altro tentativo.
<< Vedi che allora ti piaccio! >> lo provocai. Lui mi guardò trattenendo le risate. Iniziai già a pensare a quale posto avrei voluto visitare. Poi mi resi conto che il problema era che mi concentravo solo sullo spazio e non sul tempo.
<< Passato o futuro? >> chiese, facendomi notare che poteva anche decidere sui sulle basi di ciò che volevo io.
<< Ne ho abbastanza del passato! Futuro! >> Dopo la disavventura a Camelot, ne sarebbe dovuto passare di tempo prima che di mia spontanea volontà sarei voluta tornare in un posto come quello! Iniziò a premere pulsanti a caso, poi tirò una manovella e tutto tremò, ANCORA! Mi aggrappai saldamente quella volta, avevo capito l'andazzo!
<< Secondo me non lo sai pilotare il Tardis! >> gli urlai, esponendo chiaramente il mio pensiero. Non era normale che si sbattesse in quel modo e che facesse tutto quel baccano.
<< E' progettato per sei piloti! >> urlò, correndo da un lato all'altro della console come un esaurito.
<< Se mi insegni ti aiuto! >> provai. Ovviamente non sapevo quanto potesse essere geloso un Signore del Tempo del suo Tardis, ma soprattutto orgoglioso! Se solo mi avesse detto, tira questo o muovi quello non ci sarebbero stati tanti disagi.
<< No, lo piloto da solo! >>
Corsi a vedere cosa c'era fuori. Appena uscii, non ebbi nemmeno il tempo di mettere un piede a terra che due alieni mi presero e mi trascinarono via. Urlai, per farmi notare dal Dottore, oppure mi avrebbero dovuta cercare in uno di quei tristi programmi sulle persone scomparse. Sentii che urlava il mio nome, prima di scomparire con loro nella strana nebbia.
<< Che volete da me? >> urlai. Non mi risposero. Forse non mi capivano, forse parlavano un'altra lingua e forse ero fregata, di nuovo! I miei piedi strusciavano a terra come stessero trascinando un sacco, mentre le braccia erano diventate livide per la loro salda presa. Mi portarono in una grande stanza piena di persone spaventate, mi buttarono tra di loro e ci chiusero dentro. Era tutto troppo bianco lì dentro. La sala era stata dipinta da poco e ancora si sentiva il pungente odore della vernice. Sui muri c’erano delle semi colonne ioniche incastonate nella parete.
<< Che succede? >> chiesi in giro. << Qualcuno sa dirmi che succede qui? >> Le facce indifferenti delle persone al dolore altrui mi sconvolsero. Nessuno aveva intenzione di rivolgermi la parola, era tutti troppo impegnati a piangersi addosso invece di pensare a trovare un modo per svignarsela. Come mai piangevano? Sapevano tutti la risposta, ma nessuno aveva il buon cuore di informarmi. Vagai per tutta la sala, la feci più volte avanti e indietro, destra e sinistra e nessuno sembrava notarmi. Finché …
<< Siamo cibo >> mi rispose infine un ragazzo. E non avevo nessun dubbio sulle sue parole. Se mi trovavo in quel posto non era sicuramente perché mi era stata offerta una vacanza tutta pagata! Eppure sembrava calmo e rilassato per essere uno pronto ad affrontare una situazione del genere. Mi avvicinai a lui. Accanto c’era un grosso camino verde, largo almeno due metri e alto uno.
<< E allora tu come mai sei così tranquillo? >> chiesi.
<< Mi sono rassegnato. Ormai sto qui da quattro giorni e ho provato a scappare come tutti quanti, ma non c'è via d'uscita! >>
<< Ma c'è un camino! >> E se c’era un camino, c’era una cappa e quindi una via d’uscita!
<< Se ti avvicini esce un fumo tossico che ti stordisce per diverse or...>> mi avvertì mentre già ci mettevo le mani sopra. Il fumo di cui mi aveva parlato uscì. Provai ad allontanarlo con le mani, ma ormai avevo già inspirato una piccola dos..
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Capitolo 6
*** Sensi di colpa ***


CHAPTER 6 [P.o.v. Tardis]

Il Dottore, come suo solito, tanto fece che finì per farsi arrestare. Quante volta l’avevo visto in una situazione come quella. Se non passava almeno un giorno su sette dietro le sbarre mi sarei preoccupata.
Lo scortarono nella stessa sala e ce lo, letteralmente, buttarono dentro. Finì dritto con la faccia a terra, anche se tentò di mantenersi con le mani. Tornò in piedi in pochi secondi. Doveva trovare Barbara e riportarla sana e salva a casa. Questo era il suo problema più grande. Quando portava qualcuno a fare un giro, lo proteggeva sotto la sua ala e si sentiva responsabile per tutto ciò che gli sarebbe successo. Quindi finiva sempre col soffrire. E’ impossibile proteggere realmente una persona, soprattutto se appartiene ad una razza che ha una vita limitata.
<< Cerco una ragazza alta così, capelli rossicci, magra, un po' rompipalle, l'avete vista?>> chiedeva in giro, a chiunque capitasse. Girò in tondo per cinque buoni minuti, tra gente disperata che non ne voleva sapere nulla dei suoi problemi perché già troppo oppressi dai loro. Poi un ragazzo lo chiamò con un fischio, proprio come si chiama il proprio cagnolino.
<< Da questa parte! >> urlò agitando le braccia. Il Dottore lo raggiunse e vide Barbara stesa a terra ai piedi del ragazzo. I suoi due cuori iniziarono a battere furiosamente. Come poteva essere successo? Era stata colpa sua? No, ma a lui non interessavano i dettagli. Quell’avvenimento gli pesava sui cuori come un mattone e non se lo sarebbe mai perdonato.
<< Che le è successo? >> urlò appena riuscì a riprendersi dalla paralisi. Si fiondò sul suo esile corpicino per sentirle il polso. La speranza era l’ultima a morire. E avrebbe dovuto aspettare ancora molto per farla finita perché i battiti di Barbara erano regolarissimi per un essere umano.
<< Tutto ok, l'avevo avvertita di non andare vicino al camino, ma non ha fatto in tempo e ha inalato un po' di narcotico >> spiegò il ragazzo indicando al Dottore il camino così da non farlo cascare nello stesso tranello. Quel camino aveva ingannato tutti, dalla prima all’ultima persona. Lo stesso ragazzo che tentava di avvertire tutti, c’era cascato il primo giorno di permanenza. E l’esperienza non gli era piaciuta per niente.
Il Dottore lo guardò sgranando gli occhi, quasi come se potesse utilizzare i raggi x per rilevare qualcosa di anomalo in lui. << Da quanto tempo sei qui? >>
<< Quattro giorni >> rispose il ragazzo. Il poverino aveva madre e padre a casa che lo aspettavano. Ma loro, nei loro cuori già infranti, sapevano bene che fine avrebbe fatto. Come molti prima di lui.
<< Perciò sei così informato e rilassato. Mi sai spiegare che succede qui? >>
<< Conosce il pianeta terra? >> chiese il ragazzo, viaggiando con la mente a tempi lontani dei quali lui non aveva altro che racconti.
<< Si, molto bene. >> Praticamente ci viveva sul pianeta Terra! Altro che molto bene. Quell’uomo vuole sempre fare il misterioso!
<< Noi veniamo da lì, ci siamo spostati e mischiati ad altre razze, ma arrivati qui non siamo riusciti a domare un mostro che vi abitava da prima del nostro arrivo >> spiegò, come se stesse narrando una fiaba. << E così il mito di Minosse e il Minotauro si è ripetuto >>
<< Cioè, mandano delle persone nelle fauci di questo mostro, così che la sua rabbia non si scateni, dico bene? >> Provò il Dottore ricordandosi di quella volta in cui era riuscito a salvare delle ragazza dal vero e solo Minotauro. In quell’occasione aveva dovuto correre più veloce della luce per scappare alle stesse ragazze che aveva salvato, visto che loro volevano pagarlo in natura. ‘’No davvero, non voglio che mi ringraziate’’ continuava ad urlare mentre veniva inseguito. Ma a nessuna di loro importava cosa diceva, non quando potevano avere il suo corpo. E chi può biasimarle?
Il Dottore fu risvegliato dai suoi pensieri quando Barbara si mosse e tossì. I due si fiondarono ai suoi due fianchi per vedere come stava. Che esagerazione! In fondo era solo un po’ di narcotico! Ella aprì gli occhi e sbatté due volte le palpebre prima di alzarsi all’improvviso urlando:
<< Qual’ è il tuo nome? >> Indicò il ragazzo ovviamente. Non avrebbe mai chiesto il nome al Dottore, sapeva che non l’avrebbe rivelato.
<< Sono Thiseys >> rispose lui, stupendosi di come stesse reagendo la sua nuova amica al risveglio da un sonnellino soporifero. Lui ci aveva messo dieci minuti solo per riprendersi e rialzarsi. E nessuno l’aveva soccorso.
<< Che nome strano. L'ho già sentito >> disse sottovoce, poi proseguì il suo discorso. << Dobbiamo uscire di qui e salvare tutti, tu sei con noi? >> Che ragazza grintosa! Lei e il Dottore sarebbero andati d’accordissimo.
<< Certamente, ragazza dal sonno pesante >> la prese in giro lui.
<< Dottore esponimi la minaccia, so che già hai scoperto qualcosa >>
Lui si sedette comodamente. Il che faceva presagire che avesse intenzione di fare uno dei suoi soliti discorsi lunghi, insensati, e incomprensibili per l'orecchio umano. Ah, e noiosi per il mio.
<< C'è un mostro che si ciba degli abitanti >> disse lui prendendo alla sprovvista tutti tranne me. La mia condanna, a differenza del Dottore era quella di sapere tutto. Proprio tutti. Spesso era insopportabile perché non potevo far nulla per modificare gli avvenimenti. Non in questa forma almeno. Ma anche da donna, non avrei potuto azzardarmi a toccare neppure una farfalla.
<< Wow >> si esaltò Barbara. << Come nel mito del Minotauro! Teseo... >>
<< Si >> sorrise il Dottore, interrompendola. Senza pensare, pur sapendo tutte le lingue del mondo, che Teseo in greco si diceva Thiseys. Tutta colpa della vecchiaia, poteva capitare anche ai migliori.
<< Bene >> fece lei sedendosi sulle gambe del Dottore, con il suo solito fare provocante che lo imbarazzava. Quell'atteggiamento era quello giusto per fargli perdere la testa. E io ne sapevo qualcosa … pur non avendo un vero e proprio corpo. Ma uno dei pregi del Dottore era quello di riuscire ad andare aldilà dell’esteriorità.
<< Allora tu sarai il mio Teseo e io la tua Arianna >> disse facendo scorrere il suo dito sul collo del Dottore.
<< Certamente! >> Rispose lui, ironico, alzandosi e scaraventandola in piedi. Prese il cacciavite sonico e iniziò ad andarsene in giro a ''sondare'' il terreno. Ecco cosa faceva quando era sotto pressione. Sondava.
<< Il cacciavite sonico >> disse Barbara seguendolo a ruota. Il nonno gliene aveva parlato tanto. Il gadget dal quale il Dottore non riusciva a separarsi, che non uccideva e non feriva, ma era ottimo per aprire le porte! Lui allungò il passo per conservare della distanza tra di loro. << Ne voglio uno anche io >>
<< Non se ne parla, anzi! E appena usciremo da qui ti rispedirò immediatamente a casa >>
Barbara non lo rispose, prese la cosa molto sul serio e decise di mettercela tutta per dimostrargli di essere all'altezza di viaggiare con lui. Tornò da Thiseys e gli chiese di strappare un pezzo di stoffa dal suo vestito, che Merlino le aveva regalato prima di lasciarla. Non era nulla di speciale, l’aveva fatto perché i suoi abiti si erano bruciati sul rogo. Scacciò quei pensieri e mise i vari strati di stoffa davanti al naso, alla bocca e alle mani, avvicinandosi di nuovo il camino, ma stavolta con una piccola fiala in mano. Si avvicinò e ricordò il punto preciso dal quale era uscito il gas. Lo fece finire dritto dritto nella fiala, così da non rilasciarne molto nell'aria. Lo tappò per bene e si tolse tutti quegli strati protettivi.
<< Che ti è venuto in mente? >> la sgridò il Dottore, quasi come se avesse a che fare con sua figlia. << Volevi farti un altro sonnellino? >>
<< Il primo sonnellino mi è servito a vedere da dove uscisse il gas! >> Mentì lei. In realtà era stato solo un caso. Ma non era necessario che il Dottore lo sapesse.
<< Notevole. E la fiala dove la tenevi? >> Mentre lo diceva, il Dottore iniziò a pentirsi di averlo domandato. Ad una domanda del genere c’erano almeno dieci risposte possibili, metà delle quali non andavano a buon fine.
<< Se te lo dicessi ti faresti tutto rosso! >> Lo prese in giro lei. Go girl, go! Io, dato che io non potevo essere in gara, facevo il tifo per lei. Il Dottore scosse la testa, senza prenderla sul serio, come sempre, ed espose il problema.
<< Non si può uscire da qui. Niente finestre né punti deboli nella parete, ed infine, ma non per importanza, stiamo fluttuando nello spazio >>
<< Cioè stiamo dentro una stanza che vola? >>
Il Dottore la guardò come se lei non facesse altro che dire cose sciocche. In fondo lei non conosceva nulla dello spazio e ovviamente non sapeva cosa potesse essere scientificamente possibile e cosa no. Anche se col Dottore tutto era possibile …
<< Si >> rispose infine, grattandosi con disinvoltura la testa. Lo faceva quando era costretto a rispondere a domande che riteneva  ovvie o stupide, anzi stupidamente ovvie.
<< Un po' come la tua cabina >> disse ancora lei, insistendo sull’argomento.
<< Dove vuoi arrivare? >> chiese il Dottore sperando in un piano. Ma Barbara si avvicinò al muro, lo toccò e disse:
<< Forse se lo chiamo Sexy ci da retta! >> Spiritosa!
Il Dottore sorrise malizioso, guardando la sua esile figura proiettare una lunga ombra sulle mura bianchissime. << Provaci, non si sa mai! >>
<< Ti piacerebbe! >>
La stanza improvvisamente traballò, e tutti finirono spiaccicati a terra come formaggini su una fetta di pane. La luce si spense e le persone iniziarono ad urlare. ‘’Si, proprio come nel Tardis’’ pensò Barbara, rivivendo la situazione per l’ennesima volta.
<< Dottore, dove sei? >> urlò Barbara muovendo le braccia sul pavimento. Un attimo dopo la luce tornò e lei lo vide, in piedi al centro della stanza che puntava il suo cacciavite sonico verso la lampada. Era merito suo se la corrente era tornata. Ma c'erano altre cose che spaventavano la gente, tipo uno strano lamento animale. Era terrorizzante.
<< Ci ha inghiottito mangiando anche la stanza >> disse il Dottore, pensando e mettendosi le mani tra i capelli, come per aprire scatoloni chiusi nella sua mente. E ne aveva eccome di scatoloni, molti chiusi ermeticamente. << Ho già sentito questo rumore e il fatto che mangia anche la stanza... Come una storia, quando ero bambino >>
<< Posso aiutarti? >> chiese lei, che voleva solo rendersi utile e meritare di diventare una compagna del Dottore.
<< Conosci le favole antiche dei Signori del Tempo? >> chiese lui rude.
<< No >> fece lei abbassando la voce ad un sussurro.
<< Quindi no, non puoi aiutarmi! >> urlò. Lei tacque. La stava trattando piuttosto male, ma lei sapeva che lo faceva solo perché in realtà era spaventato dalla situazione e da quanto era attratto da lei. Si, a quanto pare il destino aveva deciso che il Dottore doveva conoscere tutta la famiglia Noble, ma baciarne solo alcuni membri. Barbara lo fermò, prendendolo per un braccio.
<< Non so cos'hai contro di me, forse non sarò all'altezza di tutte le tue altre compagne, compresa mia madre, la Dottoressa mancata, ma io ti voglio aiutare e tu devi permettermelo! >> Discorso da Oscar, tanto da convincere anche me.
Ora lui aveva tutta l'attenzione che voleva lei. << Tu non devi dimostrare niente a nessuno, ma se insisti allora aiutami! >>
<< Avevo un'amica africana alle scuole medie, lei mi raccontava delle favole del suo luogo. Una parlava di questo mostro enorme che aveva bisogno di nutrirsi della disperazione delle persone ... >>
<< E ... >> continuò il Dottore. << Per far aumentare la tensione e la disperazione bisogna togliere tutto quello che qualcuno ha di caro ... >>
<< Cioè la famiglia >> completò lei la frase. La coppia diventava sempre più affiatata.
<< Metterli in un luogo stretto senza via di fuga e ... >> si fermò per far finire Barbara.
<< Minacciare di mangiarli? >> chiese lei, che voleva evitare a tutti i costi di deluderlo. Il Dottore la guardò, lei credette di aver detto qualcosa che non andava, ma in realtà lui stava solo pensando. Si, aveva una strana faccia quando pensava.
<< Ah! Ecco! >> urlò con una voce più acuta del solito. << Ma... credevo fossero estinti! >>
Tutti i presenti lo guardarono, aveva urlato un po' troppo forte. E poi erano solo una centinaia di persone in quella stanza e nessuna stava più piangendo da un po’.
<< Potrebbe spiegare anche a noi la sua geniale scoperta? >> gli urlò un uomo di mezz’età con un’aria burbera.
<< Scusate >> disse. << Allora, questo mostro è uno Wanhoop, che nella cultura africana era un mostro che si nutriva di disperazione. E qui siete tutti disperati poiché vi hanno portato via dalle vostre famiglie e vi hanno fatto credere che morirete >>
<< E invece che succederà? >> chiese una donna. Nei suoi occhi, a quelle parole, si inziò a leggere della speranza.
<< Che questo mostro vi succhierà la disperazione, riducendovi a vegetali. E poi, forse, vi mangerà >>
Si levarono di nuovo urla e pianti. E la cosa più triste era che ancora non avevano un piano ben definito. O almeno così sembrava …
<< Aspettate! >> urlò Barbara per calmarli, ma proprio non ne volevano sapere. << Dottore cosa dobbiamo fare? >>
<< Sarebbe buono non disperarsi … >> Provò lui, ricevendo molte parolacce da madri che avevano a casa dei bambini, bambini che volevano i genitori, mogli che desideravano rivedere i mariti.
Il Dottore tornò da me e Thiseys . << Qualcuno ha un piano? >> Barbara indicò la fiala che aveva in mano. << Non so se funzionerà .. >>
<< Se dormono non si disperano >> disse lei. In fondo era un gran ben piano, ma il Dottore non lo volle ammettere. L’aveva battuto sul tempo!
<< Copritevi! >> Disse mentre puntava il cacciavite contro il camino. Subito si liberò il gas che stordì tutti, tranne loro tre. Quando l'aria si fu liberata aspettarono che il mostro facesse qualcosa. Ma non sembrava succedere nulla. Tutto taceva. Com’era possibile? Il mostro rimasto senza nutrimento doveva lamentarsi in qualche modo! Non poteva infischiarsene! E ovviamente se metteva in scena tutto questo caos, la motivazione era la sua sopravvivenza. Non poteva vivere senza nutrirsi della disperazione della gente. E allora perché non faceva nulla!?!
<< Mi manca la mia famiglia >> disse Thiseys con una strana voce. Una voce innaturale e atona. Quando il Dottore e Barbara lo guardarono, videro solo il suo corpo prosciugato da tutti i liquidi. Era rimasta solo la pelle e le ossa. Sembrava un palloncino appena scoppiato da un bambino dispettoso. Ma i palloncini portavano allegria, Thiseys era morto e non c’era nulla di più triste.
Barbara urlò, precipitandosi accanto a lui. Avrebbe voluto accarezzarlo ma, non osando toccarlo, si tenne a distanza. Le lacrime scorrevano a fiumi e lei non riusciva a fermarle. Il Dottore lo esaminò col cacciavite, il Wanhoop l'aveva ridotto in quelle condizioni e non osava sapere di cos'altro era capace. Doveva trovare un modo per fermarlo prima che avrebbe fatto lo stesso con tutte le altre persone nella stanza, compreso lui stesso e Barb …
<< Dottore … >> La sua voce era strana, proprio come lo era stata quella di Thiseys qualche attimo prima. Il Dottore si girò e la vide rinsecchirsi. Le guance si stavano appendendo, il vestito sembrava andarle sempre più largo, le mani stavano scomparendo.
<< No! Lei no! >> urlò con tutta la rabbia che aveva. << Barbara, io ti salverò come ho già fatto, lo sai che puoi fidarti di me. Ora se mi senti stringimi la mano! >>
Lei non se lo fece ripetere due volte e, con la sua mano ossuta afferrò quella del Dottore. Iniziavano a vedersi le ossa di ogni sua parte del corpo.
<< Bene. Solo tu puoi fermarlo. Non disperarti, usciremo illesi da qui. Ricorda tutte le storie che ti raccontava tuo nonno. Anzi te ne racconto qualcuna io. Io e tuo nonno abbiamo fatto un viaggio insieme... no, no forse questa te l'ha già raccontata. Ti racconto del primo incontro con tua mamma. Lei è praticamente finita nel mio Tardis perché il tipo che doveva sposare l'aveva avvelenata con particelle Huon, che sono... non importa >> si bloccò, per non spiegarle tutta la storia della matita nella tazza. << Abbiamo affrontato insieme un Aracnos, un ragno gigante che voleva liberare i suoi figli e dargli come pasto tutto il pianeta Terra. Se non fosse stato per lei, io sarei affogato con loro lì sotto perché... >>
Barbara lentamente si stava rigonfiando. In quel momento il paragone col palloncino era più che adatto. Era finalmente tornata del suo colorito naturale e stava sorridendo al Dottore. Si sentiva viva come un paziente che si risveglia dal coma.
<< Ricordami che appena usciamo da questa situazione devo baciarti! >> disse. Il Dottore frugò nel suo abito in cerca della fiala col soporifero che aveva preso qualche minuto prima. << Nel reggiseno >> lo informò lei, sfidandolo ad infilarci la mano dentro. Il Dottore non se lo fece ripetere due volte. Quando si trattava di salvare la vita a qualcuno avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche infilare la mano nelle chiappe di una mucca terrestre. Ok, questa potevo risparmiarmela.
Afferrò la fiala con due sole dita, come se avesse paura di ustionarsi, rispettoso nel tentare di non sfiorare il seno di lei. Ok, ne andava di mezzo la sua vita, ma non era la scusa adatta per palpare liberamente ciò che c’era da palpare.
<< E' meglio per te se fai un sonnellino, non posso perdere tempo a rianimarti con delle storielle! >> La sgridò e le fece annusare il gas. A lei non stava per niente bene, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa il gas l'addormentò. O almeno quello era ciò che credette il Dottore.
<< Wanhoop >> urlò lui per farsi sentire. << Per tutti questi anni ha ammazzato gente succhiando la loro disperazione, ma ora basta! >>
Altro silenzio. Poi il mostro si decise a farsi avanti, prima con la voce.
<< Dottore, so molte cose su di te >> rispose il mostro prendendo una forma umana ed entrando nella stanza dal camino. << Se assorbissi la tua disperazione potrei vivere 100 anni senza nutrirmi. Tutte quelle persone che hai perso ... >>
<< Oh, non iniziare! Non funziona con me! >>
<< Come si chiama quella che mi piace molto ... Rose Tyler! Bloccata nell'universo parallelo con una versione umana di te, ma che in fondo non sei tu. Poi c'è Donna Noble, la poverina che ti ha dimenticato. Martha Jones che ti ha lasciato. Amy e Rory Pond, presi dagli angeli. Clara Oswald che per te è morta tante e tante volte. Tutti sulla tua coscienza! Hai rovinato le loro vite e non riesci a perdonartelo, per questo stai facendo di tutto per non affezionarti a questa ragazza. Vuoi evitare di portarla con te e vederle fare la brutta fine che hanno fatto tutti gli altri ... >> disse indicando Barbara, si avvicinò a lei e le accarezzò i lunghi capelli rossi. << Cosa vuoi farmi Dottore? Vuoi distruggermi? Vuoi mettere fine alla mia carneficina? E quand'è che metterai fine alla tua? >>
Il Dottore rimase immobile. Le parole del Wanhoop stavano penetrando nella sua mente e si insinuavano sotto forma di idee e dubbi. Senza di lui, molte persone starebbero bene, ma altrettante sarebbero morte. Pensando e ripensando, quella era la sua tecnica di acquisizione della disperazione altrui, non si rese conto che il mostro lo stava prosciugando. Cadde in ginocchio, diventando tutto violaceo e sempre più magro. Le ossa sembravano voler uscire fuori dalla pelle e diventare un essere indipendente. Ma non era il corpo quello che preoccupava il Dottore. I sensi di colpa, quelli lo stavano lacerando, così come avevano fatto per secoli e secoli. Ma questa volta sarebbero stati mortali, non avrebbe potuto nasconderli o reprimerli come aveva fatto e continuava a fare, ma avrebbe dovuto affrontarli e sconfiggerli. E queste cose non si risolvono senza l’aiuto di qualcuno. Qualcuno che sa quanto il Dottore lo meriti. Oltre me.

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Capitolo 7
*** Il pianeta Windego ***


CHAPTER 7 [Pov. Barbara]

Merlino mi aveva regalato due fiale, solo perché gli avevo detto che mi piaceva la forma. Uno era vuoto e l'altro conteneva il gas. Il Dottore aveva preso quello vuoto, perché l'avevo posizionato dove ero sicura l'avesse preso. E comunque non comandava lui nella nostra squadra! Avrei conservato la sgridata per dopo il piano: 'salviamo il Dottore come lui ha salvato me'.
Mentre il mostro era preso a succhiare la disperazione del Dottore, presi la sedia e gliela diedi in testa con tutta la forza che avevo. Questo cadde a terra, immobile. Prima che potesse muoversi di nuovo, presi l'altra fiala, quella col gas e gliela feci annusare. Quando fui sicura di aver finito con lui, corsi dal Dottore e lo schiaffeggiai finché non tornò in carne e ossa nel mondo dei vivi ...
<< Come lo ammazziamo? >> chiesi, lui mi stava chiedendo con lo sguardo cosa avessi fatto. Ancora non ce la faceva a mettere due parole vicine per formare una frase. << Sapevo che non avevi il coraggio di toccarmi, così la fiala piena l'ho messa più nascosta, e quella vuota a portata di mano >> dissi indicando i vari nascondigli. Lui guardò attentamente dove mettevo le mani. Poi si girò imbarazzato. Cosa alla quale oramai mi ero abituata.
<< Sei brava, complimenti >> si lodò con me. Sentii in sottofondo una musichetta angelica e la luce per il paradiso mi guidò fino tra le nuvole. Aveva ammesso che ero brava, eravamo a metà dell’opera!
<< Penserai dopo a come ricompensarmi! >> Dissi provandoci ancora, e, di nuovo, vidi quella solita faccia terrorizzata. Quanto mi eccitava!
<< Per rispondere alla domanda di prima, lo uccidiamo facendogli ingoiare un oggetto pieno di sola felicità >> disse allungando una mano verso di me. Dovevo cacciare io qualcosa? Ma che tirchio!
<< Io ho una foto con me e il mio bisnonno insieme, credo che basti >> provai, porgendogli la foto. Non c’era nulla del mio bisnonno che non adorassi, quindi era l’oggetto perfetto per l’occasione. Lui la prese e la guardò, forse ricordando i bei vecchi tempi. Lo guardai osservare quella foto come se fosse oro scintillante; il lieve sorriso sul suo volto mi fece capire che quella piccola disavventura dei quattro rintocchi e della rigenerazione gliele aveva perdonate già da parecchio tempo. Era andato avanti senza risentimenti.
Il momento di tenerezza si rovinò quando aprii bocca per parlare: << Gliela ficchi tu? >>
Mi guardò, ora schifato. Ma gli toccò obbedire perché io non l’avrei mai fatto. Da vero gentiluomo, piegò la foto e la infilò fin dentro la gola del mostro. Aspettammo che la saliva la trascinasse giù … Sembrava non succedere nulla.
<< Dottore ... perché non ... >>
BOOM! Il mostro scoppiò, esplodendo sulle nostre facce sotto forma di una schifosa melma arancione. Non riuscivo neppure ad aprire gli occhi con quella roba appiccicosa in faccia. La stanza si mosse, riportandoci a terra con uno scossone. Gli abitanti ci ripulirono e fecero una festa in nostro onore. ''I liberatori'' così stava scritto sotto una nostra statua che fecero erigere per l'occasione da un centinaio di persone in due ore. Che società efficiente. Rimanemmo scioccati, ma anche lusingati da tutto quell'entusiasmo. E dire che qualche ora prima ci urlavano addosso e credevano che non ce l’avremmo fatta.
Ma il Dottore, a differenza della sottoscritta, non amava troppo essere festeggiato e avere tutta la gloria del salvatore, preferiva essere ringraziato silenziosamente. Una stretta di mano e VIA.
<< Andiamocene, devo riportarti a casa. >> Mi disse prendendomi la mano. Salutammo tutti e tornammo al Tardis. Quando fummo dentro, e nessuno poteva più vederci né sentirci, convenni che era il momento giusto per parlare.
<< Ti ho salvato la vita ed in più volevi addormentarmi senza il mio consenso. Non mi sarebbe dispiaciuto se fosse stato per scopi... creativi, ma tu credevi di potercela fare da solo. E io, ti ho solo dimostrato la verità. Tu hai bisogno di me! >> Dissi con enfasi, senza risparmiarmi battutine e allusioni di vario genere. Le gambe mi stavano cedendo per la stanchezza, quindi decisi di aspettare comodamente sul divano la sua risposta. Lui, serio, continuava a girare per la console e a premere tasti, quasi come se non avessi detto ancora nulla. Rimase così per un bel po’. Poi con uno scatto rapido si fermò.
<< Non voglio rovinare anche la tua vita … >> disse sedendosi sulla poltrona di fronte la mia.
<< Non hai rovinato la vita di nessuno! Da quanto ho capito Rose Tyler è felicemente fidanzata col tuo clone … >>
<< Metastasi >>
<< Si, quello che è … Mia madre non sa neppure chi sei, quindi non le cambia molto la vita, Martha Jones ... >>
<< E' sposata con l'ex di Rose. >> Continuò lui per me.
<< Amy e Rory, hanno fatto la mia stessa fine, a quanto ho capito, ma in fondo sono morti felici e ancora insieme, giusto? >>
<< Si, me l'hanno anche scritto in un libro! >>
Lo stavo tirando su di morale, confortandolo con quelle parole, ma la parte migliore doveva ancora arrivare. Mi alzai e mi sedetti accanto a lui così le mie parole non sarebbero volare dappertutto prima di finire nel suo orecchio.
<< Mi dispiace dirti questo, Dottore, ma non sei tu che rovini la vita alle persone. Sono le persone che rovinano la vita a te! E io vorrei rovinartela ancora di più, se permetti … >>
Mi guardò a fondo, socchiudendo le palpebre come a ragionare su ciò che avevo appena finito di dire. Lo stavo convincendo, ma non era quello che volevo. Io non volevo convincerlo delle mie idee, volevo che ne avesse delle sue; e che non tutte finissero con la frase ‘’è colpa mia’’ e ‘’le/gli ho rovinato la vita’’.
<< Diciamo che ci rovineremo la vita a vicenda. >> Concluse. Ero pienamente d'accordo. << Allora! Dove vuoi andare? >>
<< Chiedilo a Sexy >> dissi. << Sembra che decida sempre lei dove andare. O mi sbaglio? >> La macchina sembrò darmi ragione.
<< No, ho io il controllo, mi basta mettere le coordinate e ... >> Non finì neppure di parlare che il Tardis partì da solo, per volontà della mente pensante di una donna, un uomo o un asessuato intrappolato al suo interno, che voleva scoprire il mondo e visitarlo col Dottore. Ma come facevo a sapere quelle cose? Mi sembrava di riuscire a pensare come il Tardis, a sentire quello che sentiva e mi rendevo anche conto che era impossibile. Anche se ... avevo appena scoperto che quelle che credevo favole erano tutte storie vere, quindi non c'era limite all'impossibilità! Non con il Dottore nei paraggi!
<< Questo non capiterà più! >> Chiarì il Dottore mettendo il muso. Poi gli spuntò un incantevole sorriso e mi porse la mano. Aprimmo la porta e ciò che vidi fu incredibile! C'era un enorme giardino, infinito come il campo di calcio del cartone Holly e Benji, di un verde brillante, pieno di fiori enormi e variopinti. In lontananza si estendevano montagne con la cima azzurra che si confondevano col cielo. Gemme e diamanti volavano a mezz'aria, accendendo l'atmosfera di una brillantezza magica. Avrei avuto quasi paura di sbatterci contro!
<< E' bellissimo! >> Dissi. Il Dottore mi lasciò immediatamente la mano e corse ad esplorare quel mondo sconosciuto.
<< Qui non c'ero mai venuto, ma dovrebbe essere il pianeta Windego, abitato dalle fate dei diamanti. >> Mi spiegò, rispolverando le sue conoscenze dell’universo.
<< Questo pianeta, Wigo, Wingo … >>
<< Windego. >> Mi aiutò lui.
<< Mi suona familiare … >>
<< Impossibile! A meno che tu non sia una viaggiatrice, non dico del tempo, ma almeno proveniente da un futuro in cui l'umanità conosca l'universo! >>
<< Sai cosa sento uscire dalla tua bocca? >> chiesi con un tono scortese e sprezzante del suo essere perennemente un fastidioso saccente. << Solo bla bla bla! >>
<< Bhè, almeno sei sincera! >> Disse lui sorridendomi. Quel sorriso mi stendeva sempre, così mi distrassi e inizia ad esplorare quel fantastico posto. Camminammo per tutto il giardino finché non incontrammo delle fate. Si, fate! Erano tutte donne bellissime, umanoidi con ali da fata. Ma la cosa più importante era che erano tutte nude e brillavano, come i vampiri di Twilight. E non so se l'ho già detto, ma erano nude! Cioè, mostravano tutto ciò che la natura, buona e generosa com’era stata, le aveva donato, facendomi quasi sentire come il cesso di un autogrill. La mia autostima, se ancora non l’avete capito, cadde in pochi attimi fin sotto ai miei piedi e restò lì per mooolto tempo!
<< Salve stranieri. >> Disse una di loro. << Cosa ci fate qui? >>. Tutte le altre risero, quasi avesse fatto una divertente battuta che solo loro fate potevano capire. Il Dottore non rispondeva, si era incantato. Gli tirai un pugno sulla spalla. Alla sua età ancora si incantava a guardare le donne nude!
<< Era necessario? >> Si lamentò strofinandosi il punto dolente. << Bhè, noi siamo di passaggio … >> Rispose poi alle fate.
<< Venite a visitare i nostri fiori. Vi tiriamo su noi e vi mostriamo l'interno! >> Sembrava satana vestita da fata quella che ci tentava. Una di loro era così bella da attirare la mia, quasi altrimenti inesistente, attenzione. Era bionda, occhi azzurri come il riflesso dei diamanti nell'aria, e un corpo da favola. Sembrava possedesse tutto ciò che desideravo avere ed essere io. Cioè, diciamoci la verità, a nessuno piace esattamente se stesso così come ‘’mamma l’ha fatto’’, ognuno di noi vorrebbe poter modificare qualcosa, piccola o grande, per essere accettati e amati dagli altri.
<< Io sono Barbara >> le dissi. Lei mi sorrise, arrossendo. Poi quattro di loro presero in braccio e la nostra forza fu annullata. Non potevamo muoverci, non ce la facevamo e non volevamo. Loro ci stavano controllando e spostando a loro piacimento e a noi stava bene così. Ci posarono giusto al centro di un fiore e lì riacquisii la capacità motoria che avevo temporaneamente perduto. Non ero molto convinta dell’innocenza e della buona fede di quella razza, ma pensare a quella fata mi fece scordare tutto e passare ogni dubbio. ‘’Vorrei abbracciarla e assaporare le sue labbra’’ pensavo mentre atterravo su un morbido e profumato tappeto, quella che doveva essere il talamo del fiore. Le fate iniziarono a ridere, sempre più forte, finché non divenne un suono insopportabile.
<< Dottore, credo ci sia qualcosa che non va! >> Dissi tappandomi le orecchie. Lui fece lo stesso, con l’aggiunta di un’espressione che diceva ‘’Ma dai, non mi ero accorto di nulla. Che perspicacia!’’. La corolla si chiuse sopra le nostre teste, bloccandoci all’interno del fiore con un tonfo sordo, nemmeno fossero state di metallo.
<< Credo che ci abbiano catturato! >> Disse osservandosi intorno.
<< Sei un genio! >> Urlai di rimando. Ok, era capitato anche me l’attimo prima di dire un’ovvietà, ma quella era da premio Oscar!
<< Grazie! >> Disse fiero di sé, poi ci pensò un po' su, tentando di decifrare il tono che avevo usato. << Eri ironica? >>
Non valeva neppure la pena risponderlo. Mi alzai e andai a picchiare sui petali per vedere se erano abbastanza forti o potevamo distruggerli per uscire. Ma ogni mio sforzo fu vano, ovviamente. Per una volta non poteva essere tutto facile? Il Dottore fece la solita scansione con il cacciavite sonico.
<< E' un fiore a tutti gli effetti >> constatò. Lo fissai in modo truce poiché, dal momento in cui non riuscivo a romperlo, qualche problema doveva esserci per forza. Come poteva un normale fiore essere così forte e resistente? Avrei dovuto riuscire a romperlo in poco tempo e sforzo, e invece stavamo ancora dentro a pensare. Era diventato quello che sapevamo fare meglio. Pensare.
<< La prossima volta mi spoglio e mi cospargo di brillantini, così non avrai bisogno di attraversare l'universo per masturbarti! >> urlai, in preda al panico. Ci avrebbero mangiate, ne ero sicura. Sennò a cosa potevamo servire? Io proprio a nulla, ma il Dottore sarebbe potuto essere una cavia da laboratorio per i loro esperimenti … Boh!
<< Ti ricordo che è stato il Tardis a mandarci qui! >>
Passammo due ore intere a tentare di uscire, fallendo ad ogni tentativo. Insomma il nostro destino era quello di essere catturati e messi alle strette ogni fottuta volta! Esilarante. Dopo due ore, stanchi e sfiniti, decidemmo di sederci e aspettare il momento in cui quelle maledette fate ci sarebbero venute a prendere. Ci girammo i pollici e guardammo il soffitto. Lo supplicai in ginocchio per farmi fare una treccia ai capelli, che uscì anche abbastanza brutta, oppure artistica se la vediamo da un altro punto di vista. Quando ebbe finito l’opera mi proposi di toccargli i capelli, per farlo rilassare e, dopo svariate insistenze, cedette alla proposta. Si stese con la testa sulla mie gambe e, a disagio come suo solito, si lasciò infilare le dita tra i capelli. Lo accarezzai così delicatamente che quasi lo feci addormentare. Le sue palpebre stavano per cedere, quando …
<< Mi presti un foglio e una penna? >> chiesi all'improvviso, stanca di fare qualsiasi altra cosa. Lui frugò tra le sue infinite tasche e mi passò ciò che chiedevo. Scrissi il nome di quel paese su di un foglio, poggiandomi sulla sua pancia per evitare sbavature. Windego. Mi diceva qualcosa e dato che non avevo nulla da fare mi misi a pensare. Cercai nei cassetti della mia memoria un nome simile a quello.
W I N D E G O
Forse era un anagramma, cosa poteva uscire se cambiavo le lettere?
Wogendi, Wednigo, Wendigo!! Wendigo!!! Quella vecchia storia che mi raccontava il vecchio indiano al corso dei boy scout! Come avevo fatto a non pensarci prima! Era una storia che mi aveva da sempre affascinata, poiché l'indiano diceva fosse una storia vera, anche se nessuno dei miei amici ci aveva mai creduto.
 
Stavamo tutti intorno al fuoco a raccontare storie mentre arrostivamo marshmallows. Seduti su tronchi di legno scomodi davanti alla calda luce del falò. I ragazzi più grandi raccontavano stupide storie dell'orrore che non avevano mai fatto spaventare nessuno. Poi arrivava quel momento della serata, quello che più mi piaceva, il turno di ‘’Aquila Selvaggia’’, così si faceva chiamare il vecchio indiano che abitava nella riserva che ospitava il mio gruppo. Quando parlava lui, tutto taceva o faceva rumore al momento giusto, quasi come se la natura si fosse messa d’accordo con lui. Raccontava le sue storie come se le avesse vissute, e a noi sembrava lo stesso. La mia preferita era appunto quella del Wendigo. Quando nel racconto c'era rumore di foglie, le foglie si muovevano, quando c'erano animali di mezzo, si sentivano versi nella notte. Sembrava che tutta il bosco volesse ascoltarlo e aiutarlo. Era magico...
 
<< Dottore, la parola Wendigo non ti dice niente? >> chiesi.
<< Si, sono dei mostri cannibali che si dice abbiano capacità fuori dal normale, ma non esistono, o almeno io non li ho mai incontrati. >> Mi spiegò, ma forse per una volta dovevo essere io a fargli conoscere la verità.
<< E se esistessero? >> Chiesi.
<< Arriva al punto >>
<< So una storia che parla dei Wendigo. Dice che una volta erano umani, ma che poi, mangiando carne umana, abbiano acquisito nuove capacità come forza e velocità. Col tempo sono diventati mostri, allontanandosi sempre di più dall'aspetto umano e vivendo solo di notte, uscendo solo per catturare persone e conservarle per mangiarle in seguito … >>
<< Bhè, è possibile che, essendo di un'altra specie, il cannibalismo è sfociato in questa forma stupenda e in grado di attirare uomini, e donne, da ogni angolo dell'universo. Wendigo poi, è l'anagramma di Windego, il nome del pianeta, e non credo sia una coincidenza, >> spiegò, e fui assolutamente d’accordo con quella versione. In fondo avevo dato io l'idea, quindi era ovvio che fosse giusta, << sei stata brava! >> Aggiunse in seguito, forse mentre pensava a come ucciderli.
<< Fuoco >> dissi, mentre girava per la stanza in cerca di risposte. Io ero rimasta a terra seduta e nessuno mi smuoveva!
<< Come? >> chiese tornando sulla ''terra''.
<< Si uccidono col fuoco >>
<< Abbiamo intenzione di ucciderli? >> Chiese. Ovviamente! Come avevo fatto a non pensarci prima! Lui era l’uomo che più ne sapeva di guerra e che più la odiava.
<< Per legittima difesa si... >> Provai. Mi guardò, come se mi stesse leggendo un capitolo di un libro in faccia, o forse stava pensando a dove prendere il fuoco, in caso d'emergenza. Mi sbottonai improvvisamente il pantalone e lo abbassai di poco.
<< Che fai?! >> Si agitò come al solito. << Non è davvero il momento! >> Mi sgridò, distraendosi da qualunque cosa stesse pensando. Continuò, però, a guardare con la coda dell’occhio ciò che stavo facendo. Ovviamente apprezzava ciò che vedeva. Forse, oppure mi stava paragonando a quelle belle fate killer. Bhè, in tal caso, non c’era proprio paragone.
<< Stai calmo, sto solo prendendo il coltello! >> Dissi estraendo dalla mia giarrettiera segreta, un coltellino. Di solito lo portavo per difendermi da qualsiasi cosa, ma prima di allora non mi era mai servito. No, neppure a Camelot. Non avevo mai avuto l’intenzione di ammazzare nessuno. Infatti mi ero anche dimenticata della sua esistenza! Eppure era stato un regalo di mia madre. Strano regalo … Tirai di nuovo su il pantalone, sotto lo sguardo vigile del Dottore e glielo mostrai. Poi, senza avvertirlo, lo conficcai al centro di quello che era il nostro ‘’pavimento’’. Il fiore urlò di dolore, aprendo i petali e richiudendoli a raffica.
<< Mossa azzardata! >> Si lamentò lui prendendomi la mano e lanciandosi dal fiore. Atterrammo dolorosamente sul morbido prato. Si, era morbido, ma avevamo fatto un volo di circa sei metri! Bhè, la cosa positiva era che eravamo vivi, quella negativa che eravamo circondati dalle fate malvagie. Senza darci il tempo di massaggiarci gli altri doloranti, ci presero e ci legarono ad un palo da esecuzione pubblica, simile a quello del mio rogo. A quanto pare era così che il destino aveva scelto per farmi morire, il maledetto rogo! Mi sentii di nuovo come in quel momento. Ma stavolta il mio salvatore stava per morire con me, quindi non mi avrebbe aiutata. Il mio cuore batté all'impazzata, poi si calmò. Sarebbe andato tutto bene. Tutto bene ... L’importante era rimanere insieme.
<< Io posso aiutarvi! >> Disse il Dottore. << Lo so che non amate mangiare le persone, lo fate solo per sopravvivere ... >>
Le fate risero all'unisono, tutte tranne una. Quella che era la mia concezione di perfezione. Mi guardava come se mi conoscesse. Speravo ci volesse aiutare. Ci doveva essere una ribelle nel gruppo!
<< Io credo che a loro piaccia mangiare esseri umani. >> Lo contraddii.
<< Ascoltatemi, questa è l'ultima offerta. Lasciateci andare e avrete salva la vita! >>
Le fate risero di nuovo. E non le biasimavo. Come me, trovavano divertente il fatto che era lui quello legato. Come faceva ad essere sempre sicuro di sé anche in momenti come quello?
<< Non credo tu sia nella posizione di fare queste minacce, a meno che tu non abbia un piano ... Hai un piano? >>
<< No. >> Mi rispose tranquillo. Sembrava sicuro di non dover morire, speravo lo fosse davvero oppure ci avrebbero fatti arrosto e mangiati. E l'idea non era delle più allettanti. Guardai la fata strana, così l'avrei chiamata, e lei ricambiò il mio sguardo. Mimai con la bocca la parola ''aiutaci'', sperando che capisse la mia lingua. Lei mi fece cenno di tacere e di chiudere gli occhi al suo tre. Mi fidai, così come quella volta al rogo, mi fidai del Dottore.
<< Al mio tre chiudi gli occhi. Niente domande. Fallo e basta. >> Dissi passandogli l’informazione. Non mi rispose quindi lo presi per un si.
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Chiudemmo gli occhi, o almeno io li chiusi. Sentii un rumore fastidioso e subito dopo fece molto caldo, le fate urlavano all'unisono facendomi quasi esplodere i timpani, ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare era al Dottore. Li aveva chiusi gli occhi? Si era fidato di me? Il solo pensiero che poteva essere morto mi faceva stringere il cuore. Mi sentii più leggera, forse perché qualcuno mi stava slegando e mi stava portando via in volo. Non sapevo dove né con chi ero, avevo ancora gli occhi chiusi. Sentii il brivido dell'altezza pur non vedendo nulla. La sensazione che si prova sulle montagne russe, o su una ruota panoramica, credi di cadere ogni secondo, ma sai che non accadrà. O almeno lo speri.
Quando atterrammo, la fata mi sussurrò ‘’Apri gli occhi’’. Mi ritrovai di fronte al Dottore. Aveva un sorriso che diceva: ‘’E tu che dubitavi che mi sarei fidato di te!’’. Corsi ad abbracciarlo. Era bello potersi rivedere con ancora salva la vita.
<< Se ne usciamo vivi, giuro di organizzare una mega festa in nostro onore! >> Dissi stavolta. Basta minacce di baci, finché non li avesse chiesti lui. Ed ero più che sicura che me li avrebbe chiesti, gli serviva solo tempo ... E lui ne aveva molto più di me.
Guardai le due fate che ci avevano salvati. L'altra era molto bella e per certi aspetti somigliava a me, ma era bionda e riccia e un po' più in carne, con più curve. Non che io non avessi le curve! Manco un’autostrada! ... Va bene. Forse era quella con le sembianze di ciò che più piaceva al Dottore. Forse era un misto di tutte le sue compagne! Sarebbe stato imbarazzante per lui.
<< Noi due, siamo le uniche fate a non esserci mai nutrite di umani. Perciò a differenza delle altre riusciamo a tenere la mente lucida. Ormai, le nostre sorelle, non sembrano più neppure fate, sono dei mostri che divorano tutto ciò che le circonda. Hanno sempre fame, e mangiando la fame aumenta! >> Spiegò una delle due.
<< Si, siete mutate appena avete iniziato a mangiare carne umana. Non si sa mai che effetti può avere su altre specie, >> spiegò il Dottore, << ma quello che avete fatto, cos'era? >>
<< Una forma di difesa che le altre hanno perso con la trasformazione. E' una luce abbagliante che le mette fuori gioco per cinque minuti e ci permette di fuggire. Le fate maggiori ce l'hanno suggerito. Ci hanno detto che voi potevate aiutarci! >>
Il mistero si stava infittendo e al Dottore sembrava piacere la situazione. Sapevo che più era difficile più gli piaceva. Mi veniva quasi da pensare che, in fondo, fosse uno psicopatico. A quale persona sana di mente sarebbe piaciuto tanto il pericolo? Rischiare la vita ogni giorno per salvare gente che nemmeno conosceva! Ma chi ero io per parlare? In fondo se lo seguivo voleva dire che piaceva anche a me quella vita. Due psicopatici che si attiravano come poli opposti, molto bene!
<< Chi sono queste fate maggiori? >> chiese lui incuriosito. Voleva aiutare, ma prima si sarebbe informato di non star aiutando il nemico.
<< Sono per noi come il Dio per gli umani. >> Spiegarono, senza troppi giri di parole.
<< Voglio poter parlare con loro. >>
<< Anche noi. Ma come le ho già detto, loro sono come il Dio per gli umani. Lei ha mai parlato con Dio? >> Domandò la fata. I suoi capelli volteggiarono nel vento e solo allora mi accorsi che non poggiava i piedi a terra. Stava fluttuando come se fosse la cosa più naturale del mondo. Come una foglia mossa dal vento, come un angelo. Era così beata e pura che sembrava alleggerire anche me e il peso della mia vita.
<< No, ma scommetto che le vostre dee faranno un'eccezione per me. >> Si avvicinò alla fata. << Ora farò una cosa, >> le mise le mani sui lati del viso, << se c'è qualcosa che non vuoi farmi vedere, chiudila dietro una porta. >>
<< Sei nella mia testa? >> Chiese la fata corrucciando la fronte e pensai che stesse sbattendo parecchie porte virtuali in faccia al Dottore. << Puoi provarci, ma le nostre conversazioni con le fate sono a senso unico. Solo loro possono comunicare con noi, noi non possiamo rispondere. Ci limitiamo ad obbedire. >>

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Capitolo 8
*** Il Dottore e la Regina Rossa ***


CHAPTER 8 [P.o.v Tardis]

La dea Eámanë Ciryatan, la comandante tra tutte le dee, riconobbe il Dottore, pur avendo lui cambiato viso, a fianco del quale aveva combattuto tempo prima e gli concesse l'accesso alla loro sala del trono. Permesso mai concesso a nessuno. Letteralmente a nessuno. Ma il Dottore era il Dottore e Eámanë voleva davvero rivederlo, abbracciarlo e magari fargli delle domande su come fosse sopravvissuto. Da troppo tempo, oramai, lei pensava che fosse morto, estinto, come tutta la sua specie a causa della guerra del tempo. Attraverso la testa della fata gli diede la parola segreta per poter entrare.
<< Tári Caran. >> Pronunciò il Dottore, che nel loro elfico significava Regina Rossa, era così che si faceva chiamare l'elfa prima di iniziare ad usare il suo vero nome, un po' come ''il Dottore''. Una luce brillante lo tirò su, facendolo levitare, sotto gli occhi sorpresi e preoccupati di Barbara. Ella, con l’intenzione di seguirlo, si avvicinò alla scia di luce, la toccò e fu scaraventata lontano da una specie di onda d'urto.
<< Non pensavo che tu fossi sopravvissuto. >> Disse l'elfa. Il Dottore la trovò più bella che mai, anche se un po' invecchiata. Anche lei sarebbe morta prima o poi. Tutti morivano, ma alcuni avevano più tempo di altri. E stava a loro decidere cosa ne volevano fare di quel tempo.
<< E invece, eccomi qui! >> Rispose. La donna si alzò e sorrise, correndo ad abbracciarlo e infrangendo il bon ton degli dei. Nessuno di loro si doveva scomporre così tanto se non per questioni importanti. E per lei, riabbracciare il Dottore era una di quelle. Solo quando ebbe i capelli dell’elfa in faccia, notò tutte le altre donne e uomini seduti in cerchio in quella che sembrava una strana copia, a ferro di cavallo, della tavola rotonda del re Artù.
<< Ho vissuto tutto questo tempo pensando che tu fossi morto! >> Si lamentò lei. << E invece ti ritrovo con l'ennesima compagna, carina e giovane! >>
Il Dottore sorrise. << Cambio faccia ma non il vizio! >>
<< Ti fai chiamare ancora Dottore? >> chiese lei, facendolo sedere sul bracciolo del suo enorme trono.
<< Perché tu hai cambiato nome? >> rispose con una domanda. Lei capì che non avrebbe mai rivelato il suo vero nome, proprio come ricordava, così spiegò il suo cambiamento.
<< Si, i tempi di Tári Caran sono finiti. Ora uso il mio nome di battesimo Eámanë Ciryatan. >>
<< Bel nome. >> Disse lui. << Non mi presenti? >>
<< Dee e dei, lui è il Dottore >> urlò lei con tono imperale. Si alzarono tutti e si inchinarono. Poi ognuno disse il suo nome.
<< Elrohir Calaelen >> disse un uomo mingherlino con il viso stanco di chi passa la vita a combattere, proprio come quello del Dottore.
<< Órelindë Sáralondë >> una donna giovane e bella, come d'altronde erano tutte le elfe. Aveva un abito quasi trasparente con delle rose vere attaccate sopra.
<< Aranel Helyanwë >> un uomo vecchio col viso segnato dall'età. Forse era il più anziano del gruppo, ma non il più saggio, dato che non stava al comando.
<< Gilraen Felagund >> una donna anziana con più rughe che viso. Le mancava solo un cappellino in testa e poteva essere la nonna di Cappuccetto Rosso!
<< Larien Coamenel >> disse un'altra ragazza giovane e bella. I capelli scuri che le scendevano giù per il corpo, insieme all’abito dello stesso colore la rendevano molto inquietante. O forse solo cattiva.
<< Ed io sono Ireth Mithrandír >> l'unica con la carnagione scura. Di solito gli elfi erano tutti molto bianchi di pelle, quasi simili a cadaveri. Mi chiesi da dove fosse uscita quel colore se nessun’altro elfo era nero. Probabilmente era un miscuglio di razze …
<< Piacere! >> Disse il Dottore, quasi in imbarazzo, come se poi riuscisse a ricordare tutti quei nomi! << Allora qual'è il problema? >>
<< Tempo fa intrappolammo un mostro nelle viscere del pianeta, pensavamo non potesse muoversi, e invece andò alla fonte del nostro cibo e iniziò a mangiarlo. La fonte si prosciugò e nessuno fu tanto coraggioso da andare fin laggiù a cacciarlo. Così per la fame divennero quasi tutti cannibali e il resto lo sai già … >>
<< Questo mostro è davvero tanto spaventoso? >> chiese lui, dopo aver ascoltato la storia. Mentre rifletteva sul da farsi.
<< E' molto aggressivo e per combatterlo la prima volta e sbatterlo lì sotto, ho perso cinquanta uomini … >> Confessò, in imbarazzo.
<< Scommetto che è per quella tua convinzione di non addestrare i sudditi al combattimento! >> Provò, ricordandosi di quel momento successivo alla guerra combattuta insieme, in cui lei aveva confessato che voleva dedicarsi alla pace e non voleva che anche i suoi sudditi, come lei, fossero costretti ad imparare a diventare degli assassini. Lei annuì.
<< Onorevole da parte tua! >> Commentò lui. Passandole un braccio sulle spalle. << Ma anche rischioso ... Vedrò che posso fare per aiutarvi. >>
<< Ne sei sicuro? >> chiese lei, in preda al panico. Non voleva che gli succedesse qualcosa. Aveva passato fin troppo tempo credendolo morto, e non voleva vederlo accadere a causa sua.
<< Te lo devo! >> Rispose lui, ricordando quando era stata lei ad offrirsi di aiutarlo.
<< Allora verrò con te. >> Lei lo guardò negli occhi così intensamente. Quel blu già così profondo, sembrò brillare come se volesse riflettere tutta la luce di cui disponeva l’universo.
<< Come i vecchi tempi? >> Chiese il Dottore porgendole la mano. Barbara non sarebbe stata molto contenta di vederlo così affiatato con un'altra donna.
<< Come i vecchi tempi. >> Rispose lei prendendogli la mano e seguendolo al raggio di luce. Senza salutare o chiedere il parere degli altri componenti del consiglio degli dei, scesero e trovarono una Barbara arrabbiata e ancora dolorante per la botta alle natiche. Si stava giusto massaggiando il sedere quando vide il Dottore e la dea. Si fermò di colpo.
<< Barbara lei è una mia vecchia amica, Eámanë Ciryatan. >> Disse il Dottore, poi lasciò a loro i convenevoli.
<< Ciao gne gne gna o come cavolo di chiami. Io sono Barbara e quel tuo raggio di luce mi ha sbattuta col sedere a terra! >> Delicata come una goccia di rugiada su di un fiore. La dea si lasciò cadere la mano sul fianco, capendo che Barbara non gliel'avrebbe stretta, e guardò il Dottore, ridendo, quasi come per sbeffeggiarlo della scelta assurda.
<< Preferivo quando le sceglievi aliene le tue compagne! >> Disse la donna, continuando a ridere. Barbara la trafisse con lo sguardo, e riuscì a notare dei tagli sul suo collo che però non sanguinavano. Forse, pensò, erano dei tratti della sua specie, così come le ali e dei tatuaggi accanto agli occhi che solo ora stava scoprendo. << Almeno erano più resistenti, invece gli umani sono così fragili! >>
<< Fragile ci sarai tu! >> Le urlò Barbara arrabbiata. Non le piaceva per niente, e il suo comportamento razzista la faceva innervosire ancora di più. Ma nella mente del Dottore, quelle parole, si stavano facendo strada a gomitate. Aveva ragione Eámanë, c'erano altre specie molto più forti, resistenti e coraggiose degli esseri umani, tra le quali poter scegliere una compagna di viaggio. Era forse un masochista? Amava il dolore che gli provocava la loro perdita?
No, per niente, ma loro erano gli unici che potevano contenere la sua immensa rabbia, la ferocia del Signore Del Tempo che teneva sepolta in fondo al cuore. Senza una ''baby sitter'' che gli ricordasse quando fermarsi, probabilmente avrebbe combinato qualche guaio irreparabile allo spazio e al tempo. E gli umani erano ottimi in quell’aspetto.
Ognuno decise, spontaneamente, di non badare al comportamento dell'altro, preparandosi per incamminarsi nei meandri del pianeta. Dopo aver spiegato tutto a Barbara, il Dottore si mise a chiacchierare dei ''vecchi tempi'' con Eámanë, mentre la terza incomoda stava per i fatti suoi, cercando di non essere di peso. Ci teneva davvero molto a stare con quell'uomo straordinario, anche per scoprire cosa avesse fatto sua madre per ''salvare il mondo'', così come le raccontava il nonno, quindi non voleva rovinare tutto col suo brutto carattere, preso proprio da Donna.
Proseguirono giù per un tunnel, che ricordò a tutti il set di un brutto film dell'orrore, ed in più era umido, puzzolente e … rumoroso, quasi come se qualcuno si stesse lamentando. Ai tre vennero i brividi. Sembrava un ululato di disperazione o rabbia. Insomma niente di positivo.
<< E ti ricordi quando ti diedi le mie ali? Tu non le sapevi usare e mentre sbandavi mi chiedevi disperatamente informazioni! >> Disse l'elfa, tornando in men che non si dica, calma e rilassata, come se non avesse mai sentito quel suono. Barbara la trovava ''disperatamente'' fastidiosa. Era certa che stesse cercando di rubarle il posto al fianco del Dottore e non gliel'avrebbe permesso facilmente. ‘’Il Dottore è solo mio!’’ pensava durante tutto il viaggio, alimentando involontariamente la rabbia contro ‘la donna col nome impronunciabile’.
<< Siamo arrivati? >> fece lei per interrompere i due piccioncini.
<< Quasi. >> Disse l'elfa, infastidita dalla sua sola presenza. C'era aria di competizione tra le due donne del Dottore. Dovevo chiamarle così! Le donne del Dottore! Anche io facevo parte del club e non solo quando potevo avere una forma umana (il che non capitava spesso), ma non mi lamentavo.
Ma, tornando a noi … I tre arrivarono davanti a quello che sembrava un grosso muro rotondo, che però sembrava muoversi.
<< Si muove. >> Provò l'elfa. Barbara si avvicinò e ci poggiò la mano sopra.
<< Io direi, respira … >> Si girò per guardare il Dottore. Lui alzò il suo solito sopracciglio e prese, lentamente, il cacciavite sonico puntandolo contro la rotondità. Quei movimenti a rallentatore sembravano così naturali che pensò fosse proprio il tempo a rallentare.
<< Ci sono segni di vita. >> Disse, posando il cacciavite. << Credo che questo sia il nostro mostro! >>
Se questa fosse stata una serie tv, in questo momento avrei visto bene un'inquadratura di tutti e tre di fronte al mostro con una musichetta terrificante in sottofondo. Se mi trovassero un corpo da poter usare senza provocare danni o rischiare di ucciderlo, allora credo proprio che mi darei al cinema. In fondo tutto il tempo che non ho niente da fare lo passo a guardare film e serie tv del tempo e dello spazio. Sarò banale, ma i miei preferiti sono quelli della Terra. Ne sapevano una più del diavolo, pur non conoscendo lo spazio come la maggior parte degli abitanti degli altri pianeti. Insomma, usavano di più la fantasia, il che era un punto a loro favore.
<< Trafiggiamolo e risolveremo tutto! >> Propose l'elfa, che era nata e cresciuta come una guerriera, ma il Dottore non agiva così e anche lei aveva deciso di non agire mai più così, quindi doveva anche tentare di rispettare il patto fatto con se stessa.
<< No! >> Disse bloccandole il braccio che pareva stare per sguainare la spada. << Non lo uccideremo! >>
<< Forse non te l'ho detto, ma lui era qui per uccidere noi! >> Si lamentò. << Ha sterminato molti del miei sudditi, e infrangerei volentieri il mio patto di pace per vendicarli! >>
<< Ti capisco, >> fece il Dottore abbracciandola per consolarla. Voleva farle scordare il dolore per farla ragionare a mente lucida. << ma non risolverai nulla, anzi ti sentirai peggio di prima se non ti comporti meglio di lui. >>
<< Tu dispensi sempre buoni consigli, ma mai per te stesso. >>
Il Dottore la/si distrasse abbracciandola forte, ma sapeva molto bene che quella che aveva detto era proprio la verità. Riusciva a far ragionare tutti, o quasi, tranne se stesso.
La bestia si dimenò, facendo crollare un pezzo del muro che lo circondava. Ora c'era un buco abbastanza grande da far passare il suono.
<< Aiutatemi! >> Urlò la bestia. << Sono bloccato! >>. Ovviamente ero io che traducevo, sennò avrebbero sentito: ‘’ OjOfj sfudnOdjf naskOfjnf!’’. Si, letteralmente!
Adoro sentirmi indispensabile, almeno per Barbara e per l'elfa. In quanto al Dottore, lui parlava ogni lingua, quindi non aveva mai problemi di incomprensione. Ah si, invece! Quella volta con Satana, ma in quel caso avevo avuto problemi anche io.
<< Ti aiuteremo! >> Disse il Dottore. << Cosa è successo? >>
<< Tempo fa venni ad invadere questo pianeta, ma gli abitanti mi spedirono qui sotto. Per loro sfortuna sono finito giusto di fronte alla loro fonte, dove viene creato il loro cibo, e ho mangiato fino ad ingrassare. >>
L'elfa si alterò, e corse verso l'essere urlando: << C'era da aspettarselo, brutto ... >>
Il Dottore e Barbara la bloccarono, tenendola per le braccia. Non erano lì per ucciderlo, ma solo per aiutarlo. Si misero di fronte a lei, tentando di farla ragionare.
Ma le intenzioni del mostro non erano gentili come le loro. Infilò quella che sembrava una specie di proboscide nel buco che lui stesso aveva fatto nel muro e succhiò Barbara. Pensava di prenderli tutti alla sprovvista, ma Barbara aveva buoni riflessi e afferrò la mano del Dottore. Se non avesse trovato il modo di liberarsi, il risucchio, che ora aveva bloccato solo il suo sedere, l'avrebbe piegata tanto da farle arrivare la testa tra le gambe. L'avrebbe spezzata in due. Lei si sentiva tutta la schiena piena di saliva e iniziò a sudare per lo sforzo di tenere bene i piedi a terra.
<< Che stai facendo? >> Urlò il Dottore. Non se l'aspettava. Tendeva a fidarsi e a vedere sempre il buono nelle persone. Se qualcuno chiedeva aiuto, lui non resisteva. << Lasciala subito! >>
Barbara lo guardò, il modo in cui parlava, così coraggioso e forte, come se ci tenesse davvero molto a lei, come se la conoscesse da anni e sentisse di doverla proteggere. Strinse ancora di più la stretta della sua mano, sapeva di potersi fidare di lui, sapeva che non l'avrebbe lasciata … quello che non sapeva era il perché. Perché lo faceva? Cos'era che lo legava tanto a lei? La madre? Forse si sentiva in obbligo o qualcosa del genere?
In realtà non sapeva che il Dottore si sentiva in obbligo con tutti, voleva proteggere tutti, soprattutto quelli che viaggiavano con lui, poiché la maggior parte delle volte era lui che li invitava a viaggiare e si sentiva responsabile di ciò che accadeva. Ma soprattutto, si sentiva in dovere di riportare le persone sane e salve dalla propria famiglia. La famiglia, e lui lo sapeva bene, era la cosa più importante del mondo e non avrebbe permesso a nessuno di perderla come era successo a lui. Un dolore troppo forte da sopportare, che non avrebbe augurato a nessuno, neppure al suo peggior nemico. (Nel suo caso i peggiori nemici non avevano sentimenti, quindi poco importava!)
<< Ho fame. Lasciami mangiare questa ragazza magra! >> Urlò la bestia. Il poverino soffriva, anche se aveva tutta l'infinita fonte di cibo davanti a lui.
<< Mai! >> Disse il Dottore, e lasciò che Barbara lo abbracciasse per reggersi più forte. Lei stava tentando di spingere, ma il risucchio era troppo forte. Il Dottore lanciò il cacciavite sonico all'elfa che esaminò la proboscide. Il suo viso lasciava trasparire che non aveva scoperto nulla di buono.
<< Appena lo faccio, voi scappate più veloce che potete! >> Ordinò indicando la spada.
Il Dottore la guardò, c'era qualcosa che non andava nei suoi occhi e capì che voleva fare qualcosa di stupido, ma forse in grado di salvare la vita a tutti.
<< No! >> Disse sicuro. << Non ti lascio qui. >>
<< Non c'è altro modo! >> Tentò di convincerlo lei, mentre Barbara non capiva di cosa parlassero. Un risucchio più forte le fece poggiare la pancia sulle gambe, alzandole i piedi da terra. Le sue mani ora stringevano così forte la giacca del Dottore che avrebbe sicuramente rischiato di strapparla. Egli si decise, annuì all’elfa e scambiò degli sguardi d'intesa con Barbara, facendole capire che avrebbe dovuto correre più veloce che poteva.
Eámanë sguainò la spada e con un leggero colpo tagliò la proboscide sfiorando l'estremità di Barbara che era all'interno. Lei, tenendo la mano al Dottore, corse più veloce che potè, proprio come lui aveva suggerito. Sentirono i lamenti della bestia sotto i colpi della spada dell'elfa e poi il silenzio. Poi ancora un fruscio, come d'acqua o come il rumore dentro una conchiglia, però sembrava starsi avvicinando a gran velocità.
<< Oh, no! >> Disse il Dottore. << Corri! >>
Adorava dire quella parola e adorava correre. Fecero l'ultimo tratto mettendo lo sprint finale, per poi nascondersi al volo dietro un grosso masso. Una strana cascata rossa e viscida uscì di colpo dalla caverna, inondando tutto ciò che c'era intorno.
<< Sono le budella del mostro? >> Chiese Barbara trattenendo i conati del vomito. Il Dottore non rispose, pensando che la domanda fosse retorica. Continuò, però, a cercare la sua amica. Non poteva credere che fosse davvero morta, non poteva perdonarsi di non essere riuscito a trovare una soluzione in tempo! Non gli succedeva quasi mai. Barbara aveva capito che lei si era sacrificata per salvare loro due, e si sentì estremamente in colpa. L’aveva giudicata piuttosto male e se ne pentiva amaramente.
In pochi secondi la schifezza si fu sparsa per tutta la valle. Poterono così iniziare le ricerche. Camminarono nella melma, sporcandosi tutti i piedi, e girando più volte a vuoto. Poi videro il corpo senza vita dell'elfa giacere accanto ad un fiore di dimensioni normali. Troppo normale per quel pianeta. Corsero da lei per vedere se potevano rianimarla. Barbara iniziò a premere sul petto più forte che poté, ricordando il corso da bagnina che aveva frequentato per qualche mese.
<< Non sta lì il cuore >> la aiutò il Dottore mettendole la mano all'altezza dello stomaco, giusto sopra l'inguine. Barbara continuò a premere, mentre lui le faceva la respirazione bocca a bocca. Sembrava non funzionare, ma decisero di continuare a provare dato che si sentivano entrambi responsabili per l'accaduto. E non se ne sarebbero andati finché non le avessero tentate tutte. Anche riti satanici se necessari! Dopo circa dieci minuti di massaggio respiratorio, l'elfa riprese conoscenza sputando sangue e un pezzo di intestino del mostro. Una scena non molto emozionante.
Quel che accadde dopo fu miracoloso e fece sentire bene sia il Dottore che Barbara. Dato che il grosso pesce non bloccava più il passaggio, la fonte tornò a scorrere nella valle, ripulendo tutta le budella e ritrasformando in fate tutte le creature diventate mostri cannibali. La razza degli elfi tornò a regnare e il Dottore e Barbara furono lodati, festeggiati e premiati mentre erano ancora sporchi delle budella del mostro. Gli furono fatte due statue e tutti gli scrittori più famosi promisero di narrare le loro gesta eroiche. Era la loro seconda avventura e già avevano ottenuto quattro statue e molte sceneggiature per dei libri.
<< E' sempre un piacere lavorare con te! >> Disse l'elfa al Dottore, abbracciandolo forte come non aveva mai fatto. Ora il debito era più che saldato. Poi guardò Barbara, questa volta non con rabbia o cattiveria, ma con uno strano sguardo materno.
<< In quanto a te, devo ricredermi. Sei sempre debole per natura, ma sei forte dentro e sei coraggiosa … >>
<< Tu lo sei molto più di me! >> Rispose lei e le strinse la mano, da persone mature.
<< Alla prossima! >> Eámanë li salutò, tornando al suo compito di regina delle dee della valle.
Quando tornarono sul Tardis, tutti gli abitanti li salutarono, porgendo doni, cibi e fiori con dentro ologrammi di alcune loro foto. Poi andarono via, mostrando agli elfi la magia della sua nave spaziale, che quasi nessuno conosceva.
Si, avevamo deciso che avrei parlato di me in terza persona, però è più difficile di quanto mi aspettassi. Accidenti!

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Capitolo 9
*** Le Amazzoni ***


CHAPTER 9 [Pov. Barbara]

<< Hai un odorino irresistibile! >> Dissi al Dottore, lui mi sorrise mentre osservava i suoi abiti adorati che oramai erano di un rosso acceso.
<< Ci servirebbe un bel bagno. >> Ora era lui che provocava me. Non ero certa che me lo stesse proponendo, quindi aspettai che facesse lui una qualsiasi azione. Ma sembrava non volersi muovere. Si stava osservando in modo strano la giacca insanguinata, paralizzato da una qualche fobia o ricordo improvvisamente tornato alla memoria.
<< Assolutamente >> risposi frastornata, costringendolo a riprendersi.
Il Dottore mi trascinò nella stanza dove aveva la piscina e iniziò a spogliarsi. Fissai quella camera, così maestosa. La piscina era immensa, sembrava quella olimpionica se non più grande, ed era pulitissima. Cioè, lo era prima del nostro arrivo.
Quando tornai con lo sguardo sul Dottore, lo trovai in mutande e decisi di seguirlo spogliandomi e restando in intimo. Si imbarazzava ad abbracciarmi e non a farsi vedere in mutande. Qualcosa non andava … Ci tuffammo contemporaneamente nel lato più profondo, chiudendo occhi e naso. Quando tornammo in superficie perdemmo più di un quarto d’ora per scrostare tutto ciò che c'era di organico, non appartenente a nessuna delle nostre due specie, sulla nostra pelle.
<< Mi potresti aiutare con la schiena? >> chiesi. Quando notai che si era fatto tutto rosso, capii che era tornato in sé. Prese un guanto, spuntato chissà da dove e iniziò a grattarmi. Mi sbottonai il reggiseno e lo buttai via. Anche quello era tutto sporco e giuro di non averlo fatto con malizia! Sentii la sua mano tremare per un attimo. Poi gliela bloccai.
So cosa state pensando, ma no! Non volevo fargli avances sessuali. Non quel giorno, non in quel momento.
<< Tocca a me >> dissi. Lui si girò, dubbioso, e lasciò che la mia mano scorresse sulla sua schiena, ripulendolo completamente. Aveva la pelle così delicata che si arrossò tantissimo. Sembrava che si fosse scottato prendendo il sole.
In un momento di follia, lo afferrai per le spalle e lo buttai sott'acqua godendomi la sua faccia al ritorno in superficie. Appena si fu ripreso dalla paura che gli avevo procurato, mi schizzò, prendendomi in pieno gli occhi. Che mira! Mi tolsi i capelli dalla faccia e notai che faceva di tutto per evitare di guardarmi. Era imbarazzato per l'assenza del reggiseno, ma sapevo che lo sarebbe stato lo stesso anche se avessi avuto addosso uno di quei costumi anni ‘30 che coprivano ogni centimetro di pelle. Ed in effetti lo ero anche io, ma senza darlo troppo a vedere. Ero abbastanza sicura di me, ma il Dottore mandava all'aria tutto con il suo comportamento.
Lui uscì, spingendosi sulle braccia, e il mio occhio cadde sulle sue mutande bagnate. Non che riuscissi a vedere granché se non il di dietro, ma mi sembrò di non notare segni di vita. Davvero non gli piacevo? O forse erano gli umani a non piacergli? Oppure non gli si drizzava ... in fondo alla sua età poteva benissimo avere problemi di quel genere. Oppure ancora poteva farlo solo con persone della sua specie. Smisi di pensarci appena mi porse l'asciugamano. La sua già lo copriva dalla vita in giù. Uscii e mi coprii per bene, arrotolandola intorno a tutto il busto.
<< Per caso hai dei vestiti per me? >>
<< Seguimi. >>
Mi condusse in una enorme stanza con delle scale a chiocciola, piena di abiti di ogni secolo e di ogni classe sociale. Sembrava il paradiso di uno stilista. Ecco, a quel punto, senza sapere che potevano servirgli per quando viaggiava nel tempo, avrei decisamente detto che fosse gay.
<< Ma è fantastico! >> Urlai, girando per gli abiti dell' '800. Cosa avrei indossato? Chi volevo essere? Una regina? Una zingara? Una milionaria? Una prostituta della Francia bohemien? Oh, Moulin Rouge! Il can can!
<< Dove andiamo adesso? >> Chiesi. Così avrei scelto bene i miei abiti.
<< Non lo so. Come al solito lo deciderà il Tardis, giusto? >> disse e la macchina sembrò risponderlo, dalla stanza a fianco, con strani rumori. Tremò tutto e dallo schermo vedemmo che eravamo finiti in una qualche foresta sperduta.
<< Selvaggi? >> Chiesi al Dottore. Lui tremava alla sola idea di andare in giro vestito in modo diverso dal suo solito abito. Difatti scelse una copia identica degli abiti che aveva prima.
Io scelsi una gonna fatta con pelli animali probabilmente risalente al Paleolitico e un reggiseno approssimato fatto dello stesso materiale.
<< Sembro l'amica di Xena versione super sexy! >> Dissi appena il Dottore uscì dalla cabina dove era andato a vestirsi. Così io sembravo una che veniva dal passato e lui uno che veniva dal futuro. Che coppia perfetta, sempre in disaccordo!
<< Allora che ne dici. Usciamo ad esplorare? >> Chiese col solito sopracciglio alzato, quasi in segno di sfida, come se io non fossi già pronta per affrontare qualche tribù indigena! Mano nella mano (l'unico contatto che ero riuscita ad avere con lui), uscimmo dalle sicure porte del Tardis e facemmo un giro per la foresta.
<< Dev'essere la foresta amazzonica >> disse il Dottore leccandosi il dito e sentendo il vento. Non capii da cosa l'avesse dedotto. Aveva dei sensori anche nel dito? Boh.
<< Allora sei nei guai! >> Lo informai. Le amazzoni, se era questo il tempo della loro esistenza, usavano gli uomini per avere figli e poi li uccidevano. Come le mantidi religiose. Che cosa affascinante e terrificante allo stesso tempo!
<< Lo so! >> Mi rispose divertito. Era completamente folle!
<< Chi siete voi? >> Urlò una donna spuntata dal nulla. Alzammo le mani come se fosse una poliziotta e lasciammo che ci annusasse. Era poco curata e poco vestita. I lunghi capelli scombinati mi solleticavano lo stomaco mentre con il naso aquilino mi perquisiva come un cane da tartufo.
<< Siamo di passaggio, siamo qui per visitare! >> Provò il Dottore, ma era ovvio che non avrebbe funzionato come scusa, non con loro.
<< Voi due verrete con me! >>
E chi discuteva!
E così ci ritrovammo nel loro villaggio. Me lo aspettavo molto più rude e violento. Con uomini resi schiavi e scheletri un po' dovunque. Invece degli uomini non ce n'era traccia e in quanto agli scheletri, ce n'erano solo tre che ornavano il trono della regina delle amazzoni.
<< Pensavo che avessero un seno solo … >> Disse il Dottore, quindi capii che era la prima volta che le vedeva. Non ne fui sorpresa, capivo il motivo per il quale non aveva mai visitato quel posto.
<< Ma va! E' solo una stupidaggine maschilista per allontanare la visione della donna forte! >> Spiegai.
<< E tu come lo sai? >>
<< Una prof a scuola >>
<< Oddio la scuola! >> Urlò. << Ma quanti anni hai? Ti ci devo riportare! Stai ancora a scuola? >> si agitò. Rompipalle come mia madre. Avevo capito perché andavano d'accordo.
<< L'ho già finita la scuola, ora sto all’università e non fa nulla se non frequento le lezioni. Stai calmo e pensa a come difenderti dalle amazzoni! >>
La regina scese dal suo trono soave come una pantera e parlò con quella che ci aveva portate nel villaggio. Fece qualche segno e due grosse donne muscolose vennero a prendere il Dottore.
<< Lui sarà reso schiavo e ci darà dei bambini! >> Urlò. << E se tenterà di scappare sarà ucciso! >>
<< Non solo molto bravo con i lavori manuali e neppure coi bambini! >> Si lamentò lui. Sempre il solito burlone che non prendeva sul serio le situazioni rischiose.
<< Per favore! >> Tentai. << Lui è un uomo buono, è mio amico. Fatelo restare con me. >>
<< No! >>
Quella fu l'ultima parola, una risposta bruta e secca. Lo trascinarono dentro una gabbia chiusa con del legno ben intrecciato e lo lasciarono lì.
<< E cosa ne faremo di te? Potremmo farti assaggiare i piaceri dell'essere donna! >> Mi sembrò quasi una minaccia. Mi trascinarono di peso in una grossa caverna sotto lo sguardo preoccupato del Dottore. All’interno la stanza era piena di donne felici che danzavano, mangiavano e bevevano in quantità. Altre suonavano strumenti fatti con legna, foglie e pelli trovate nei dintorni.
<< Questa donna è nostra ospite. Trattatela bene! >> Disse la regina e mi lasciò tra le grinfie di quelle amazzoni che sembravano molto simili alle ragazze super fighe della mia scuola. Quelle da congrega e da orge piene di alcool. Quelle perfette. Quelle con cui tutti volevano stringere un’intensa ‘amicizia’. Quelle che avevo sempre odiato.
<< Vieni, bevi e danza con noi! >>
<< Veramente non amo bere e danzare … >> Tentai, ma nessuno avrebbe potuto impedire a quelle arpie di divertirsi con me. Mi presero per mano e mi fecero girare e rigirare mentre loro saltellavano intorno a me come le api intorno al fiore. Ed era proprio così che mi sentivo. Un povero fiore che deve difendersi dall’essere impollinato da delle api cattive!
Mi buttarono a terra e si misero sopra di me. Sembrava una forza sovrumana quella con la quale mi bloccavano gli arti. Non ero mai andata con delle donne e non ero certa mi sarebbe piaciuto provare, ma a quanto sembrava non avevo molta scelta.
<< Quanto sei bella! >> Mi disse una di loro.
<< Si, hai dei bellissimi capelli rossi. >> Mentre me l’intrecciava, il mio cuore batteva così forte! Non sapevo cosa fare e non avrei neppure potuto fare un granché, ma la voglia di scappare c’era eccome.
<< Se si potesse procreare anche con le donne faremmo a meno di toccare quegli schifosi porci! >> Fece un'altra. E capii subito dove volevano arrivare e quanto fosse forte il loro odio per gli uomini.
<< Io veramente ora dovrei andare … >> No, non funzionava mai, ma tentare non avrebbe nuociuto.
<< Non penso proprio! >> Disse quella bionda mentre mi baciava il collo. Un'altra mi leccava l'orecchio e un'altra ancora le cosce. Mi stavano facendo il solletico, ma quella era l'ultima mia preoccupazione.
<< Che ne dite se facciamo una pausa e mangiamo qualcosa? >> Tentai ancora, ma come al solito fallii.
<< E che ne dici invece se ti rilassi e lasci che giochiamo con te? >> Stavolta erano andate dritte al punto. A parlare era stata una coi capelli neri che teneva tra le mani uno strano oggetto fallico. Non volevo neppure immaginare che uso ne avrebbe fatto. Ma mi venne da chiedermi se li trovavano in natura oppure li modellavano loro … Ma nemmeno quella era la mia prima preoccupazione.
<< Sentite, non mi va. Magari potremmo fare un'altra volta ... >> La fortuna a quel punto mi sorrise. Sentirono un urlo e si fiondarono tutte fuori dalla caverna, me compresa, appena mi fui alzata. Una delle loro amiche giaceva a terra morta.
Ok, forse non era proprio fortuna se era basata sulle disgrazie altrui ...
<< Cosa è successo? >> chiesi. La regina mi raccontò che accadeva ormai da svariati giorni. Un mostro invisibile uccideva le loro sorelle e poi scappava, lasciando dietro di sé la sua viscida bava e dei corpi maciullati. Una storia piena di colpi di scena!
<< Sentite, se liberate il mio amico, potremmo aiutarvi! >> Dissi.
<< Adesso ci mettiamo tutte intorno ad un falò e tu proverai a darci dei buoni motivi per liberare quello schifoso essere … >>
E così fu. Accesero un bel fuoco alto e misero a cuocere pezzi di carne di qualche animale cacciato da poco. Me ne porsero uno dal quale scorreva ancora il sangue, lo misi ad arrostire ancora un po’ mentre pensavo a cosa dire per far liberare il Dottore. Con lui non sarebbe stato difficile trovare qualcosa da dire.
<< Sai perché noi odiamo molto gli uomini? >> Mi chiese mordendo il suo pezzo di carne e succhiandone il sangue. Era terribile vedere quel rosso che le colava dai lati della bocca. Insopportabile.
<< Sinceramente no. Non lo capisco proprio … >>
<< Tempo fa, >> iniziò, << la nostra tribù era comandata dagli uomini. Essendo più forti, portavano loro il cibo e credevano di essere i padroni. Finché rimasero quieti andò tutto bene, ma poi iniziarono a stuprare le mie sorelle, a scambiarsi le donne, a decidere chi doveva appartenere a chi, e ci chiusero nelle caverne. Non potevamo fare altro che fare e accudire i loro bambini, e dar loro qualunque cosa volessero … >>
<< Si, ho studiato qualcosa del genere al liceo! >> Maledetta linguaccia! Che diavolo avevo detto!?!
<< Liceo? Cos'è? >> Mi chiese, ma prima che potessi spiegare, parlò di nuovo. << Tu parli come se venissi da un altro tempo. >>
Sperai tanto che la cosa non le facesse cambiare idea anche su di me. Addentai l’ultimo pezzo di carne che avevo sul legnetto.
<< Io vi capisco. Ma quello che fate voi è mettere in atto una vendetta, li trattate come loro trattavano noi, invece di insegnare loro qual’ è il modo giusto di comportarsi. >> Spiegai. Ma mi stavo allontanando dal punto centrale.
<< E qual'è il modo giusto? >> Mi chiese curiosa ma diffidente, porgendomi un'altra fetta.
<< Conoscersi, innamorarsi, condividere qualcosa di speciale e creare la vita con l'amore non con l'odio … >> Mentre parlavo mi resi conto che forse erano concetti troppo lontani dalla loro mentalità e dalla loro realtà.
<< E' questo che provi per quell'uomo? >>
Avrei voluto risponderle sinceramente, ma ero convinta che lui stesse ascoltando. Si, mi piaceva moltissimo, potevo dire che lo amavo. Ma questo era il problema. Chi non l'avrebbe amato! Io non ci avevo mai pensato che forse lui aveva già una donna nella sua vita. Non ero io il problema, né tantomeno il malfunzionamento di un organo, ma qualche altra donna di cui lui era innamorato.
<< Si. >> Risposi senza dire altro. << E vorrei solo che stesse bene. Ma ora come ora, solo io e lui possiamo aiutarvi con quel mostro perché è quello che facciamo ogni giorno. Oggi qui, domani altrove ... >>
<< Siete molto coraggiosi. Se ci aiuterete vi lasceremo andare! >> Disse e diede l'ordine di liberare il Dottore. Buttai a terra il pezzo di carne che non avrei certamente mangiato e corsi ad abbracciarlo appena lo vidi fuori da quella strana gabbia fai-da-te nel quale lo avevano rinchiuso. Era più resistente di quanto sembrava.
<< Sei stata grande! >> Mi disse nell'orecchio, sottovoce, mentre ancora lo abbracciavo. Non capii se aveva o no compreso la mia serietà nell'ultima parte del discorso. Ma non importava. Avevamo un caso da risolvere! Ci mancavano altre due persone ed un cane per assomigliare alla Scooby gang.
<< Diteci di più su questo mostro … >> Dissi. Le amazzoni accolsero a malincuore il Dottore vicino al fuoco e gli offrirono anche un pezzo di carne.
<< Attacca solo di giorno, quando il sole è alto. Prima di iniziare ad uccidere le mie sorelle, ha rapito alcuni uomini, i più anziani, che tenevamo in quella caverna. Allora Dottore, che si fa? >> La regina era per tutti simbolo di forza e coraggio. E meritava pienamente quel titolo.
<< Prepariamo una trappola! >>
Ecco, ora eravamo al cento per cento i personaggi di Scooby-Doo.
 
 
Un'amazzone stava al centro di una valle circondata dagli alberi. Sotto di lei c'era una rete fatta a mano dalle sue sorelle, mimetizzata con la terra e delle foglie autunnali. Noi altri, appostati dietro gli alberi, tirando le estremità della corda avremmo catturato il maledetto mostro che uccideva le sorelle. Era tutto troppo calmo e tranquillo, quasi ci addormentammo nei primi 20 minuti di attesa. Ma poi all'improvviso un rumore ci allarmò. Non vedevamo nulla, ma da quello che sentivamo, il mostro era vicino. La ragazza fu aggredita, la vedemmo volare a terra spinta da una manata sulla spalla. Per fortuna una sua amica la soccorse e la mise in salvo, mentre noi tiravamo le corde. Con estremo sforzo, riuscimmo a sollevare da terra l’essere invisibile. Quando le lance delle amazzoni colpirono la sua superficie, riuscimmo più o meno a definire la sua grandezza. Ed era più o meno quanto un orso.
<< No! Perché l'avete fatto? Io potevo riportarlo a casa! >> Si lamentò il Dottore, subito colpito dagli sguardi burberi delle sorelle. A loro interessava solo essere al sicuro da una eventuale minaccia. Ed avevano raggiunto lo scopo.
Una luce illuminò il corpo del mostro, che con un lamento iniziò a diventare sempre più piccolo, sempre più piccolo, finché non divenne visibile e... umano. Era un uomo.
<< Oppure già si trova a casa! >> Disse la regina, sbeffeggiando ciò che aveva appena detto il Dottore. Egli, per tutta risposta, corse accanto all’uomo, ed io lo seguii a ruota. Aveva dei piedi con solo quattro dita e le mani di tre. Sul collo c'erano delle incisioni.
<< Non è umano, vero? >> Chiesi. Non poteva esserlo, ma questo le amazzoni non lo sapevano.
<< No. >> Mi rispose lui malinconico. Non avrebbe mai creato quella trappola se avesse saputo cosa avrebbero fatto le amazzoni.
<< Lui è uno degli uomini che comandavano la nostra tribù. >> Spiegò la regina, riconoscendolo.
<< Come è possibile? >> Chiese il Dottore all'uomo, ignorando ciò che stava dicendo la regina. Lui parlò in una strana lingua che il Tardis non mi tradusse, ma il Dottore la capiva. Cosa stava succedendo?
<< Perché non traduce? >>
Lui non mi rispose, sembrava non vedermi e sembrava anche che lo facesse apposta. << Ha detto che voleva uccidervi tutte per rendervi di nuovo schiave e far tornare le cose com'era giusto che fossero. >> Disse quella orrenda frase a testa bassa, come se in realtà non volesse dirlo. Lo guardai indignata. Non poteva essere vero! Stava mentendo!
<< Lo sapevo! >> Urlò la regina.
<< Ora io e la mia amica possiamo andare? >> Chiese il Dottore.
<< Si e grazie per l'aiuto. Possiamo stare sicuri da adesso? E' davvero tutto finito? >> La regina pensava solo al bene del suo popolo, anche se non a quello maschile.
<< Si, addio! >>
Il Dottore mi trascinò via, senza dire una parola di più. Sul suo viso leggevo la furia di un Signore Del Tempo.
<< Dottore, devi dirmi ciò che ti ha detto l'uomo e perché io non l'ho capito! >>
<< Il Tardis traduce tutte le lingue, ma se tu vai in Francia e invece di parlare inglese e lasciare al Tardis la traduzione, parli francese, gli altri sentiranno l'inglese … >>
<< Quindi quel mostro ha parlato inglese e il Tardis l'ha tradotto nella sua lingua originaria! >>
<< Esatto. La prima volta che capisci al volo ciò che dico! >> Si lamentò tra sé e sé. Io non feci caso alla battutaccia.
<< Ma non mi hai ancora detto cosa ti ha sussurrato! >>
<< Mi ha detto che lui non è di quel tempo, e non aveva intenzione di uccidere nessuno. Era impazzito perché non si trovava più nel suo habitat. C'è una fessura che prende le persone da altri universi e li porta qui e io la chiuderò! >> Spiegò parlando a 300 km/h. Lo odiavo quando dovevo ripetere ciò che diceva in mente per non perdermi nulla.
<< E come mai alla regina hai detto una bugia? >> Dissi nervosa.
<< Perché tu, con i tuoi discorsi libertini, stavi per cambiare la storia! >> Quindi stavo per convincere le amazzoni a vivere a modo mio. Wow, spingevo popoli ad ascoltarmi quasi al pari di Gesù!
Ma il Dottore si era davvero arrabbiato con me, non mi stava solo sgridando. Mi spinse con un colpetto dietro la schiena, nel Tardis per scappare da quel posto il più velocemente possibile.
<< I miei discorsi ti hanno liberato! >> Gli rinfacciai, ma non ci fu niente da fare. Rimase arrabbiato e non mi parlò per il resto del viaggio, che come sempre durò pochissimo. Uno scossone e avevamo chiuso la fessura. Un altro scossone e avevamo cambiato era. Non gli chiesi neppure dove fossimo, feci un cambio d'abito e uscii, poi l'oscurità mi coprì.

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Capitolo 10
*** La Mongolfiera ***


CHAPTER 10 [Pov. Barbara]

Quando ripresi conoscenza mi ritrovai in una stanza bianca. Interamente bianca, con tre porte di legno davanti a me. Era così perfetta, quella strana stanza, che quasi non sembrava vera. Immaginai fosse qualcosa di virtuale. Viaggiando col Dottore c'era una cosa, una sola cosa, di cui ero certa: poteva accadere di tutto, senza preavviso e senza spiegazioni. Bisognava sempre andare ad istinto e il mio istinto diceva che, anche se lo sembrava, non era reale, non lo era. La testa mi faceva male, mi pesava, mentre decidevo, immobile di fronte alle porte, in quale entrare prima. Dato che nessuna aveva la scritta ''Exit'', decisi di entrare nella prima. C'era un cimitero. E ti pareva! Non poteva essere un negozio di leccornie o un luna park?
Mi avvicinai lentamente. Dapprima vidi sfocato, ancora per colpa del dolore alla testa, poi lessi il nome del mio bisnonno e di mia madre. Immaginai che dovesse essere la sala delle mie paure. Forse era un percorso spirituale che dovevo completare. Chissà se anche il Dottore stava affrontando la stessa cosa. Chissà quante tombe avrà trovato …
Ma no. Non era reale. E con tutto quello che avevo visto fin'ora, non mi sarei lasciata condizionare tanto facilmente. Mi misi in testa di smetterla anche solo di pensare di non farcela ad affrontare la prova, girai i tacchi e spinsi la porta. Ma, a quanto pareva, era chiusa a chiave.
Il tempo scorreva inesorabile e io non sapevo proprio cosa fare. Il cimitero mi faceva rabbrividire e continuavo a sentire le voci del mio bisnonno e di mia mamma che soffrivano, poi il silenzio, poi ancora urla e poi silenzio. Mi rannicchiai contro le loro tombe e urlai e piansi e, anche se sapevo che non era reale, immaginavo che prima o poi sarebbe successo. Tutti dobbiamo morire infondo. E se erano morti durante la mia assenza? E se quella era la stanza del mio futuro?
Scavai, con le mani, nella terra. Volevo vedere se dentro c'erano i loro corpi. Magari li avevano catturati e uccisi solo per farmi un dispetto, per vedermi soffrire. Aprii la tomba di mio nonno, trovai uno scheletro. Era impossibile riconoscere se fosse o no davvero lui. Così scavai quella di mia madre. Il suo cadavere aveva appena iniziato a decomporsi, ma la riconoscevo e sembrava così reale! Ma non lo era, non lo era. No, non lo era.
Urlai, più che potei, pur rimanendo nel dubbio che fosse o no davvero mia madre. Urlai perché volevo che mi sentissero. Stavano ottenendo ciò che volevano, dovevano esserne felici.
La porta si aprì, ma l'unica cosa che riuscii a fare era prenderla a calci. Sfogai tutta la rabbia che avevo in corpo poi, esausta, mi sedetti a terra, contro la porta così da non farla chiudere, e aver tempo per riflettere. Non era vero. Era tutta una finzione, continuavo ad autoconvincermi, e dovevo resistere, non dovevo dargliela vinta. Mi alzai e entrai nella seconda porta, avrei portato a termine tutta la prova.
C'era una toilette con una doccia, un lavandino con un grande specchio, mancava solo il water. Era tutto marrone splendente, quasi accecante. C'erano candele ovunque, lasciavano un aroma alla fragola o forse ai frutti di bosco e creavano un'atmosfera fantastica. Mi guardai allo specchio, avevo gli occhi rossi e il trucco rovinato. Lo sciacquai via con del sapone che avevo trovato su un mobiletto lì accanto e quando mi rialzai c'era qualcuno alle mie spalle, quasi come in una scena spaventosa di un film horror. Ma non era il solito assassino pronto ad ucciderti con il suo coltello da macellaio. Era il Dottore e mi guardava sorridendo. Lo abbracciai.
<< Dottore, per fortuna, devi aiutarmi ad uscire di qui! >> Dissi mentre continuavo a stringerlo a me, nel dubbio che potesse non essere davvero lui. Avrei aspettato la sua reazione per constatarlo.
<< Sta tranquilla, ci sono io qui. >> Mi sussurrò all'orecchio, facendomi rabbrividire. Poi mi prese il mento e mi baciò con foga. Mi sbatté contro il muro, la sua mano calda mi stringeva violentemente il collo, senza farmi male e la sua bocca contro la mia chiedeva disperatamente brandelli della mia anima. I nostri fiati si confusero, e gli sguardi si incontrarono più di una volta. Mi toccò il seno, facendomi scorrere un brivido lungo la schiena. Immaginai, conoscendo quello reale, che colui che mi stava toccando fosse solo una fedele riproduzione. Non era sicuramente il Dottore, lui non mi avrebbe mai presa in quel modo, anche se io lo desideravo tanto. Lo bloccai e lo spinsi nella vasca, ma mi teneva così stretta che finii addosso a lui.
<< Tu non sei il vero Dottore! Dov'è lui? Dimmelo! >> Gli urlai, mentre con il filo dal quale passava l'acqua gli stringevo il collo. Avendo la sua immagine, quasi mi dispiaceva fargli del male, ma lui rideva. Probabilmente non era neppure una forma di vita vera e propria, quindi non sentiva dolore. Anzi, era stata creata per essere quello che le vittime desideravano. Accurato.
Mi alzai, lasciandolo legato nella vasca, per tentare di aprire la porta. Ebbi la brutta sensazione che dovevo affrontare il finto Dottore come avevo fatto prima con la mia paura. Tirai, con più forza possibile, la maniglia, ma quasi la staccai invece di aprirla. Così iniziai a riempirla di calci, per sfondarla. Ma appena mi sembrava di farcela, mi accorgevo che la porta era più integra di prima. La cosa mi stava facendo agitare parecchio. Avrei potuto ammazzare qualcuno in quel momento. A quanto pareva, non ero forte come mi dicevano tutti. In un attimo di rabbia, presi il barattolo del sapone e lo lanciai contro lo specchio che si frantumò, scoprendo un passaggio segreto per la camera successiva. Nel frattempo il falso Dottore si era liberato e veniva verso di me.
<< Vuoi farmi del male? >> Gli chiesi con disinvoltura mentre mi arrampicavo sul lavandino.
<< Voglio farti godere ... >> Mi rispose con una voce fin troppo sensuale. I miei ormoni avevano acceso un razzo ed erano partiti per raggiungere le stelle. Non so con quale coraggio seppi resistere alla tentazione.
<< Magari un’altra volta. Ora sono impegnata! >> Scivolai nel passaggio e finii in un'altra stanza che, sperai, fosse la terza e l’ultima. Era una campagna vasta, verdeggiante, sicuramente terrestre. Non che conoscessi perfettamente tutti i pianeti dell’universo, ma a primo impatto mi sembrò appartenere al mio pianeta. Pensai quasi di essere riuscita ad uscire, ma quando mi andai a girare non c'era più nulla, solo altra campagna. La stanza e lo specchio attraverso il quale ero passata erano scomparsi. Tentai di toccare dove un attimo prima c’era stato il muro che avevo superato, ma nulla, solo aria. Camminai e camminai cercando di raggiungere un punto preciso ma, come ogni incubo che si rispetti, non arrivavo mai.
Ad un tratto un'esplosione squarciò la terra in due. Una crepa divideva il campo in due parti. Non potevo saltare e non potevo continuare a camminare all'infinito. Ero bloccata.
Pensai e ripensai a come uscire da quell'incubo. Si, incubo. Quella era la chiave!
Mi venne in mente la volta in cui ero andata al cinema in 5D con mia madre, dove, in una piccola stanza c'era un posto enorme che sembrava vero. Ma in realtà erano solo proiezioni, era tutto falso. E anche lì era sicuramente così. Lasciavano la gente ad impazzire perché non avevano il coraggio di fare l'unica cosa che in un sogno, o in un incubo, non si può fare...
Morire.
Presi coraggio, ‘inspira ed espira’, contai fino a tre e mi lanciai nel vuoto. Mi sembrò di cadere, ma mi stavo solo svegliando. Aprii gli occhi e mi ritrovai legata ad una macchina con quelle che sembravano ventose attaccate alle palpebre. Guardai in alto e vidi un grosso specchio. Da quel che vedevo riflesso, sembravano due vermi, o forse erano due alieni blu. Blu! Letteralmente di colore blu! Avrei voluto vomitare, ma non ne avevo la forza né il tempo. Di fronte a me c'era il Dottore, legato, che fissava uno schermo insieme ad un uomo. Si girarono entrambi a fissarmi. L'uno quasi felice, l'altro sorpreso. Ovviamente quello quasi felice era il Dottore, nel caso ve lo steste chiedendo!!
<< Sei la prima umana che esce viva dalla mia macchina infernale. Gli umani sono così deboli. Scelgo sempre loro quando voglio una morte certa, e invece trovo te! >> Disse con enfasi mentre si avvicinava. Lui si che avrebbe potuto fare l’attore. Mi agitai per liberare mani e piedi, ma fu tutto inutile. Volevo almeno togliermi i vermi dagli occhi!
<< Che ne dici se ci riproviamo? >> Chiese con una domanda retorica.
<< E' inutile, ormai so tutto! >> Urlai, ancora con le lacrime agli occhi per chissà quale degli eventi appena successi. Non sapevo neppure perché urlavo. Era incontrollabile la rabbia.
<< Hai ragione, la vita devo strappartela a mani nude! >> Si avvicinò accigliato, ringhiandomi contro. Le sue mani si strinsero intorno al mio collo. Avrei voluto tirargli un calcio in pieno stomaco, ma non potevo muovermi. Mi sentivo così impotente, ed era peggio del pensiero che sarei morta di lì a poco per asfissia. Strinse più forte, e il respirò si mozzò di nuovo, con più violenza.
Immaginai, come nei film, che la mia faccia si stesse facendo sempre più rossa per la mancanza di ossigeno e quando non ne potei più, le mani dell'uomo affievolirono la presa. Forse voleva tenermi in vita il più possibile, continuando a strangolarmi, ma senza mai uccidermi per poter godere ancora e ancora nel farlo. Presi un grosso respiro e tossii. Cercai di guardare cosa stava succedendo, ma le lacrime me lo impedivano. Strinsi gli occhi, lasciandole scorrere lungo il mio viso. Il Dottore stava in piedi di fronte a me, dell’uomo nessuna traccia. Mi slegò e mentre ero ancora confusa per tutto quello che stava accadendo, mi abbracciò. Barcollai, attendendo che il sangue rifluisse al cervello. Mi aiutò a scendere dalla sedia e quasi inciampai nel corpo del mio quasi assassino. Il Dottore l’aveva colpito! Si era liberato per salvarmi, anzi per salvarci! Non avevo dubbi.
<< C'è altra gente qui dentro, dobbiamo liberarli tutti. Su quegli schermi ho visto quello che gli sta accadendo nel mondo virtuale, dobbiamo fare presto! >>
<< Hai visto anche quello che è successo a me? >> Chiesi. Iniziando a vederlo intero e non doppio.
<< Si. >> Disse semplicemente, e io rimasi come un'idiota a dannarmi per quella non-risposta. Cosa ne pensava di quello che era successo? Constatazioni? Dubbi? Pensieri? Non aveva nulla da dirmi? ‘’Grazie per non esserti scopata il mio ologramma’’?
Andammo nella stanza dei comandi e iniziammo a premere pulsanti a caso. Tutti i prigionieri non ancora morti si risvegliarono.
<< Vai a slegarli tutti mentre io mi occupo di lui! >> Disse il Dottore indicando l'uomo svenuto sul pavimento.
<< Cosa gli farai? >> Chiesi.
<< Ti basti sapere che non lo ucciderò, ovviamente. Poi verrò ad aiutarti, vai! >>
Obbedii e mi inoltrai in questo corridoio pieno di porte. Aprii solo quelle con le luci verdi poiché pensai che fossero quelle dove le vittime erano ancora vive. Verde, il colore della speranza. Ne avevo liberati cinque quando il Dottore venne ad aiutarmi.
<< State calmi, vi aiuteremo noi. Vi riporteremo a casa. >>
Alla parola ''casa'' tutte e tutti tirarono un sospiro di sollievo. Un uomo del gruppo, però, scappò dalla nostra protezione e andò ai comandi.
<< Cosa sta facendo? >> Gli urlammo contemporaneamente io e il Dottore. Lui lo seguì mentre io finivo di liberare altre due donne. Li trascinai tutti fuori mentre il Dottore era ancora impegnato con l'uomo. Sentimmo un allarme e una voce metallica che annunciava l'autodistruzione dell'edificio. Il conto alla rovescia iniziò.
29, 28, 27... Dovevo cercare il Dottore. Entrai e li trovai sull'uscio, li accompagnai fuori mentre il countdown continuava. 22, 21, 20... Mentre correvamo, vidi una stanza che mi era sfuggita. Corsi e ci trovai un bambino. Stavo per dimenticare un bambino! Ricontrollai, per sicurezza, sullo schermo, tutte le altre sale. Tutte vuote. Lo presi in braccio, era piccolo, innocente e indifeso. Mi chiesi come aveva potuto quell'uomo, prendersela con un bambino. Cosa poteva mai avergli fatto? Non che gli altri se lo meritassero! 15, 14, 13... Lo portai fuori e lo affidai al Dottore. Ma il tizio che ci aveva rapiti non lo vidi insieme agli altri, in salvo, fuori dall’edificio. Credetti che il Dottore lo avesse lasciato dentro per assicurarsi la sua morte. << Torno a prendere il super cattivo! >> Così lo soprannominai, per l'enfasi che aveva usato nel suo discorso precedente. Qualcuno urlò qualcosa, ma non lo sentii, ero già dentro. 10, 9, 8… Non lo trovavo e non potevo rischiare di saltare in aria per un uomo che aveva fatto soffrire e aveva ucciso tante persone. Corsi via e trovai, a metà strada il Dottore che era venuto a cercarmi. Mi prese per mano e mi trascinò via più veloce che poté. << Corri! >>
3, 2, 1... BOOM! L'esplosione fece volare pezzi di metallo e fumo per kilometri. Iniziò a fare estremamente caldo. Non ci eravamo allontanati abbastanza da evitarlo. Sentimmo un lamento disumano, che attirò l’attenzione di tutti.
<< Mi dispiace, mi dispiace tanto … >> Disse, quasi come una segreteria, un mantra, una frase fatta, come se dirlo gli avrebbe fatto pesare di meno la colpa che non era né sua, né mia. Mi girai brutalmente verso l'uomo che aveva fatto esplodere l'edificio e lo fulminai con lo sguardo. Lui abbassò gli occhi, pentito. O almeno sperai che lo fosse. Una vita era pur sempre una vita, e nessuno aveva il diritto di stroncarla così.
<< Il Tardis! >> urlò il Dottore in preda al panico.
<< Non sta dentro l'edificio, ricordo un odore d'erba e di ciliegie … >> Dissi. Accompagnammo le persone in città e ci mettemmo alla ricerca del Tardis. Il cacciavite ci faceva strada, catturando gli impulsi che la cabina mandava. Lo trovammo dietro un grosso albero di ciliegie, il che spiegava l'odore che avevo sentito. Entrammo nel Tardis, dolce Tardis e l'accarezzammo contemporaneamente. Vederla ci rallegrava la giornata … Quando ce ne accorgemmo, ci guardammo intensamente negli occhi. Poi, in imbarazzo, abbassai lo sguardo.
<< Sono sposato. >> Mi disse a bruciapelo. Rimasi a bocca aperta. Non me lo sarei mai aspettato. Cioè, sospettavo di un'altra donna, ma addirittura una moglie!
<< Oddio, scusami allora per quelle avances che ti ho fatto. Non lo sapevo ... Oddio! >> Abbassai lo sguardo nuovamente. Ripensando a tutte le volte che ci avevo, spudoratamente, provato con lui o che l'avevo messo in imbarazzo.
<< Non che mi siano dispiaciute! >> Mi sorrise e non potei far altro che ricambiare.
<< E chi è lei? >>
<< E' una lunga storia, lei si chiama River Song, è la figlia di due miei amici umani. L'hanno concepita nel Tardis, quindi è nata con i poteri di un Signore del Tempo... >>
Continuò a raccontarmi la storia di questa donna, così forte e coraggiosa, sembrava una donna fantastica dai suoi racconti. Si erano sposati mentre lui faceva credere a tutti di star morendo e lei lo stava uccidendo, comandata da una tuta spaziale. Una storia tanto complicata quanto affascinante.
<< Devi farmela conoscere! >> Dissi sognante. Era stata rapita e cresciuta dal Silenzio, un ordine che voleva morto il Dottore, l'avevano addestrata per l'ardua missione. Le avevano riempito la testa di falsità e cattiverie, finché lei, obbedendo, avvelenò il Dottore con un bacio. Capendo, poi, di essersi sbagliata, aveva donato tutte le forze rigenerative al Dottore, togliendole a se stessa. Davvero una donna meravigliosa, chi non vorrebbe averla sposata! L'unico intoppo era che non riuscivano mai ad incontrarsi nel tempo giusto.
<< La prima volta che l'ho incontrata, lei già sapeva il mio nome, che è un segreto che non può sapere nessuno tranne mia moglie! Capisci? E' stato bruttissimo vederla morire in quel modo! Ma per fortuna ero riuscito a mettere i suoi residui di coscienza in un computer che salvava le persone in una vita virtuale... >>
Il Dottore mi riempì di tante chiacchiere che mi sembrò aver vissuto tutto ciò che mi aveva raccontato. Poi, all'improvviso si era fermato a pensare, come faceva spesso, perdendosi nell'universo che aveva in testa e tutto intorno a lui si era fermato. Il Tardis non faceva neppure il minimo suono e io cercavo di respirare silenziosamente per non infastidire o spezzare neppure uno solo dei fili di pensieri che aveva in testa, ma mi sarebbe tanto piaciuto poter scoprire cosa c'era nella testa di un Signore del Tempo. Quante cose poteva pensare contemporaneamente. Quanti ricordi, belli e brutti, portava con sé, che magari spesso gli tornavano alla memoria e lo facevano sorridere o gli facevano scendere una lacrima, oppure ancora gli facevano odiare quella vita. I sensi di colpa che gli logoravano l'anima, col tempo si gonfiavano, come una mongolfiera, e si sa cosa succede al pallone aerostatico quando la fiamma è troppo calda e potente.

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Capitolo 11
*** Il vortice dell'invecchiamento ***


CHAPTER 11 [Pov. Barbara]

Atterrammo in un pianeta così piccolo da poter contenere solo un hotel e un grosso giardino con piscina. Il pavimento sembrava tondeggiante, ma camminando, per la gravità,  non si sentiva nessun rigonfiamento. ‘’Una camera matrimoniale’’ disse il Dottore che già sapeva come funzionavano le cose e, difatti, pagò con le ‘fuske’, la moneta locale. Qualche giorno fa, se avesse scelto la camera matrimoniale, avrei sicuramente fatto qualche battutina. Ma ora non era più il caso, sapendo di River, e mi limitai a sorridergli. Decidemmo, come era d’uso, di fare il giro del pianeta. In 10/15 minuti, nei quali ci sembrò di percorrere una strada dritta, ci ritrovammo di nuovo di fronte all’hotel.
<< Che pianeta insolito! >> Esclamai, toccando l'erba alta che, stranamente, era di un verde fin troppo normale.
<< Insolito? E non hai visto niente! Conosco un pianeta dove è tutto sottosopra. Immagina, i lampadari a terra e i tavoli appesi al soffitto! >> Raccontò con enfasi. I suoi occhi brillavano quando raccontava di tutto ciò che aveva visto. Lui aveva davvero ottenuto ciò che voleva, i suoi sogni erano diventati realtà. Si vedeva nel suo sguardo come adorasse tutto ciò che lo circondava. Fare nuove esperienze, vivere infinite avventure. Avrei dovuto scrivere un libro sulla sua storia. Anzi avrei fatto un album di foto! Aveva sicuramente una macchina fotografica nei meandri del Tardis!
<< Davvero? >> Chiesi immaginandomi la scena di come facessero quelle persone a mangiare. Non finiva tutto il cibo a terra?
<< Si, hanno creato degli strani sistemi per la gravità che non sto qui a spiegarti... >>
Sistemi di gravità al contrario? Quindi la gravità c'era o non c'era? Com’era vario l’universo. Avrei voluto vederlo tutto, da cima a fondo. Scoprirne tutti i dettagli, le bizzarrie e le stranezze. Avrei voluto avere una vita più lunga per poter avere più tempo per viaggiare. Ecco, quello era ora il mio sogno. Un sogno irrealizzabile e che mi avrebbe portata sicuramente alla sofferenza.
Continuammo a camminare, decidendo di fare un altro giro. Ci fermammo ad osservare un pezzo di terra che si trovava a circa metà percorso. In quel punto ci trovavamo nella parte ‘sottostante’, ma non c’era nulla che ci faceva credere di stare a testa in giù. Proprio come sulla Terra. Lì l'erba non cresceva, c’era solo un cerchio arido con all'interno una sedia a sdraio e accanto c'era un cartello: ‘Abbronzatura fantastica’.
<< Cos'è questo? >> Chiesi ancora.
<< Sarà una tecnologia inventata da loro ... >>
Decidemmo di non toccare niente, ma la cosa ci puzzava di problemi. Solo in quel punto ci si poteva abbronzare?
Ci distraemmo in attesa che succedesse qualcosa facendo amicizia con gli altri ospiti dell'hotel, che elogiarono i servizi e la bellezza di quello strano luogo. Sembravano tutti d’accordo che non ci fosse nulla che no andava, ma, girando attorno all'hotel, incontrammo un vecchietto.
<< Non mi faranno andare mai via di qui! >> Disse trattenendo le lacrime. Stava sempre chiuso in camera sua da quanto ci avevano detto e noi, infatti, lo vedemmo per caso sul suo terrazzo.
<< Come mai? Chi te lo impedisce? >> Chiese il Dottore facendomi l'occhiolino. Problemi ... ci avevamo visto bene, come al solito. Sembravamo portarceli dietro e a lui piaceva da morire; anche se erano problemi basati sulle disgrazie degli altri.
<< Sono arrivato qui che avevo 15 anni, e ora sono vecchio! >> Pianse e pianse ancora, senza pronunciare più frasi con senso logico. Non riuscimmo a capire cosa gli avesse impedito di andarsene, o perché il fatto di essere diventato vecchio lo sconvolgesse tanto. Prima o poi tutti invecchiamo ...
<< Qui succede qualcosa ... >> Disse il Dottore, sorridendomi. << Qualcosa di misterioso, spaventoso ed eccitante. Cosa c'è di meglio? >>
<< Il sesso! >> Risposi senza pensarci. Era più forte di me, e il sapere che era sposato non mi avrebbe impedito di parlare. Parlare ma non toccare. Mi guardò con il sopracciglio alzato, come per chiedersi cosa ci facevo io con lui ... << Ok, non lo dico più. Madonna quanto sei pudico! >>
Non c'erano molte attività che l'hotel forniva ai suoi clienti, solo una piscina e una piccola palestra. Decidemmo di continuare a camminare e a fare amicizia con gli ospiti. ‘Fare amicizia’ voleva dire indagare, ovviamente. Scoprimmo che nessuno di loro aveva mai visto il proprietario dell'hotel anche se era noto che restasse sempre lì dentro, nel suo ufficio.
<< Mai visto! >> Mi disse un bel ragazzo col quale mi fermai a parlare mentre il Dottore chiedeva ad altri. << Girano strane voci di questo hotel, perciò sono qui, sto indagando … >>
Gli sorrisi. << Raccontami ciò che sai … >>
<< Bhè, non tutta la gente che viene qui torna a casa, ma stranamente non c'è nessuna morte inspiegabile registrata, solo morti naturali. >>
Mi venne in mente il vecchietto sconvolto per la sua età. Forse era sconvolto perché quella non era la sua vera età! Qualcuno l'aveva fatto invecchiare prima del tempo. Aveva detto di avere 15 anni, e di essere invecchiato. Forse era invecchiato di colpo!
<< Sei un genio! >> Dissi al ragazzo, baciandolo in fronte e scappai per cercare il Dottore, lui mi seguì chiedendomi informazioni sulla mia meta. Che ragazzo appiccicoso!
<< Dottore, ho capito tutto! >> Il ragazzo dietro di me, emise un colpo di tosse come per ricordarmi di chi era stato il merito. << Grazie a questo ragazzo ... >>
<< Si, la gente invecchia prima del tempo su questo pianeta. >> Disse il Dottore. Come al solito aveva capito tutto prima di tutti. Non risposi, lo guardai fulminandolo. << Che c'è? >> chiese ingenuo. Avevo capito che lui non aveva mai bisogno di nessuno per risolvere i problemi che tanto cercava, ne' tantomeno di una fidanzata o una ragazza con la quale sfogarsi occasionalmente, e allora perché mi portava con sé? A cosa servivo io nella storia della sua vita? Un cane da compagnia? << Cerco di trovare qualche tipo di segnale. >> Disse puntandomi il cacciavite dritto in faccia, e credetti di aver fatto gli occhi storti per guardarlo, poi andò dove lui indicava.
<< Ti va di prendere un caffè? >> Mi chiese il ragazzo appiccicoso.
<< Ok, tanto il Dottore se la sa cavare da solo! >> E così mi sarei distratta un po' dal pensare. << Ma niente caffè, non mi piace. Un dolce, ho proprio voglia di un dolce al caramello ... >>
Andammo al bar e mangiammo un dolce insieme, si offrì di pagare lui da gentiluomo. Ma, rifiutai. Non facevo pagare gli uomini solo per cortesia, o per il fatto che io fossi una donna.
<< Allora, quel tuo strano amico, si chiama proprio Dottore? >> Mi chiese.
<< Si fa chiamare così, ''il Dottore'', ma non è il suo vero nome, quello non può rivelarlo a nessuno e non chiedermi perché ... >> Spiegai.
<< E il tuo nome qual'è? >> Chiese ancora.
<< Anche il mio nome è segreto! >> Dissi con finta enfasi. << Io uso ''la ginecologa''! >> Mi guardò come se fosse la cosa più stupida del mondo e trattenne a stento le risate. << Stavo scherzando, mi chiamo Barbara, tu invece? >>
<< Sono ''il Pompiere''! >> Disse ridendo. << Ok, basta, mi chiamo Bob. >>
<< Piacere di conoscerti Bob! >> Ci stringemmo la mano. La sua era sudatissima. Sembrava l’avesse infilata in un bicchiere d’acqua. Sperai di non essere io il motivo.
<< Tu e il Dottore siete qui insieme? >> Mi chiese mentre masticava il boccone del suo dolce alla panna.
<< Si. >> Risposi senza pensare, di nuovo. Non avevo ben capito cosa intendeva. Vidi che si rattristava, abbassando lo sguardo e capii che avevamo frainteso entrambi. << Oh no! >> Mi corressi subito. << Lui è sposato! Stiamo solo viaggiando insieme. >>
<< Siete poliziotti? >> Chiese ancora. Mamma mia quante domande. Ragazzo appiccicoso all'attacco!
<< Una specie, più o meno, perché? Ne abbiamo l'aspetto? >> la mia fetta di dolce era deliziosa. Mai mangiato dolci così buoni! Sulla terra non l'avrei mai trovato. Il caramello era morbido e non troppo dolce da disgustare. E il biscotto era semplicemente … buono.
<< Vi ho visti uscire da una cabina telefonica della polizia. >> Confessò. Aveva visto il Tardis, ovvio che l'aveva pensato, anche se in realtà quella cabina serviva a bloccare i criminali in attesa che la polizia li portasse in centrale, non c'erano i poliziotti dentro. Almeno questo succedeva negli anni ’50.
<< Giusto. >> Risposi sorridendo.
<< Vi aiuto nelle indagini, ma devi promettermi una cosa … >> Mi disse poggiando la mano sulla mia. Lo fissai ammutolita e mi morsi un labbro. Era imbarazzante. << Promettimi che se il mostro che fa invecchiare le persone sceglie me, mi aiuterete. >>
<< Ok, e tu farai la stessa cosa! >>
<< Affare fatto. >> Disse mettendosi una mano sul cuore. Poi me la porse e io la strinsi. Se ne andò dicendo che voleva prendere il sole e rimasi ad aspettare il Dottore. Il tempo di un bicchiere d'acqua e lui era lì.
<< Non ho trovato nulla. Ripensiamo alle cose strane trovate qui ... >> Disse appoggiandosi alla mia schiena. Comodo lui! << Quel pezzo di terra mi puzza ancora ... Ed è l’unica cosa strana trovata fin’ora. >> Ovviamente il suo concetto di strano era molto diverso dal mio. Fece una piccola pausa, poi mi girò, in modo da potermi guardare negli occhi. << Dov'è andato il tuo nuovo fidanzato? >>
<< Non è il mio nuovo fidanzato! Ed è andato ad... ABBRONZARSI ! >> Urlai. Abbronzarsi sull'unica sedia a sdraio esistente, cioè nel pezzo di terra arida! Corremmo il più velocemente possibile, con il vento che ci spingeva contro. Già da lontano vedemmo una piccola tromba d'aria sul pezzo di terra e sentimmo un urlo. Mi si strinse il cuore.
<< Bob! >> Urlai. Non mi rispondeva, continuava ad urlare. Il Dottore mi bloccò prima che potessi finire anche io nel vortice.
<< Dottore lasciami! Devo aiutarlo! >> Mi stringeva forte al suo petto, e l'avrei gradito in ogni altra occasione, ma non in quella.
<< Non puoi, o finirai nel vortice dell'invecchiamento anche tu! >> mi urlò all'orecchio. Gli aveva anche dato un nome! In un momento come quello, dare nomi a fenomeni anomali era piuttosto d’aiuto.
<< Tu non capisci! Io gli ho promesso che l'avrei aiutato! >>
<< E lo aiuteremo! >>
Restammo lì a guardarlo e a sentirlo urlare finché il vortice scomparve e lui cadde a terra, vecchio. Pelle rugosa, dolori continui e ossa fragili, ma pochi ricordi da raccontare.
<< Mi dispiace. >> Dissi aiutandolo a rialzarsi. Lo accompagnammo nella sua stanza. << Troverò il modo di aiutarti. >> Promisi stringendogli le mani secche e raggrinzite. Lo lasciammo a riposare, mentre noi tentavamo di trovare una soluzione, o di invertire il processo.
Dopo svariate ore, passate a cercare una soluzione e al non sapere cosa fare, scendemmo nei sotterranei, dato che avevamo notato che quel potere distruttivo arrivava dalla terra e saliva verso l'alto. Cioè, in Dottore l’aveva notato e lui aveva deciso di andare nei sotterranei. Io lo seguivo solamente. Lì sotto era buio e polveroso, come se non fosse stato utilizzato da molto. Poi sentimmo uno strano odore.
<< E' un vampiro. >> Dissi. << Sicuramente. Mancano solo delle tombe qui dentro! >>
<< Cosa se ne fa un vampiro di prendere gli anni della gente, quando ha l'eternità a disposizione? >>
<< Oh, giusto. >> Aveva appena ammesso che i vampiri esistevano e che erano immortali. Bene, i prossimi nella mia lista di mostri da vedere erano gli zombie. In lontananza si accese una luce. Cautamente ci avvicinammo, passo dopo passo, sulla punta dei piedi per evitare rumori molesti. Un sospiro, come qualcuno che stava inalando qualcosa, ci giunse all'orecchio. << Quanta vita che sento! >> Disse una voce, era un ragazzo, probabilmente perché aveva appena preso gli anni di Bob.
<< Ridai subito a quel ragazzo i suoi anni! >> gli urlai.
<< Lo farò solo se mi darai in cambio il Signore del Tempo! Dopo aver preso lui non dovrò succhiare la vita più a nessun'altro! >> Disse.
<< No! >> Bob per il Dottore? Nemmeno per sogno, sapevo di averglielo promesso, ma no, il Dottore no.
<< Allora ucciderò tutti su questo pianeta e nell'intero universo! >> Urlò. << Quel pezzo di terra serve ad amplificare il mio potere. Otterrò quello che voglio, e voi non potrete impedirmelo! >>
Il solito pazzo svitato con piani di distruzione di massa. Il vortice, a suo comando, si alzò, minacciando di far succedere ciò che quel folle aveva progettato.
<< Ok! >> Rispose in fretta il Dottore, poi si rivolse a me, sorridendo. << Gliel'hai promesso, no? >>
<< Ma che stai dicendo! Dottore no! >> Urlai, mentre il vortice gli appariva ai piedi. Un fortissimo vento mi colpì, facendomi mancare il respiro proprio come mi succedeva quando mettevo la testa fuori dal finestrino di una macchina che andava a tutta velocità. Mi spinse lontano da lui, facendomi sbattere contro il muro. Rimasi impalata lì, senza sapere cosa fare.
<< Addio Barbara, è stato bellissimo viaggiare con te. Il Tardis ti riporterà a casa per il protocollo di sicurezza numero 1 che ho avviato, >> disse usando per l’ultima volta il cacciavite, << salutami tuo nonno e Donna, la fantastica Donna. Sei uguale a lei, apparte per il fatto che lei non ci provava con me ... Almeno tu non dimenticarmi! >>
Una lacrima mi rigò il viso. Sapevo quello che era successo a mia madre, ma non immaginavo il dolore, di nessuno di loro due. Mia madre oramai non soffriva più, ma lui … Lui se lo portava dentro e l’avrebbe portato con sé per sempre. Ma quel ‘per sempre’ stava per concludersi ed io non potevo fare nulla. Mi sentivo così impotente. Lui aveva salvato me tante volte ed io non sapevo come ricambiare. Piansi e piansi ancora perché non sapevo che altro fare, il Dottore urlava e quel suono mi dilaniava le orecchie. Avrei voluto strapparmele. Poi sentii qualcos’altro, una voce fioca.
-Salvalo-
Così diceva, ma chi era? Inutile chiederselo, non l’avrei mai saputo. Quel che capii era che la sua vita era molto più importante della mia. In fondo io cosa avevo mai fatto? Nulla di importante. Invece lui aveva salvato mondi e universi e aveva ancora molto da fare, senza di lui il male avrebbe trionfato in tutto l’universo. Presi la ricorsa per poter affrontare il forte vento, mi fiondai nel vortice e spinsi il Dottore fuori con tutta la forza che avevo. Lui mi urlò qualcosa che non capii e dato che, a differenza mia, sapeva cosa fare, pensò bene di colpirlo ora che era più vulnerabile e gli scaraventò, col cacciavite sonico, il suo stesso vortice addosso. Invecchiò di colpo e morì d'infarto davanti ai miei occhi. Ai miei vecchi e stanchi occhi. Io, ero invecchiata in molto meno tempo di quanto ce ne avrebbe messo il Dottore. Il cattivo della situazione era morto, ma la situazione per me era rimasta invariata, quindi anche Bob era ancora vecchio. Ma almeno ci avevamo provato! Avevamo fatto tutto il possibile.
Il Dottore mi aiutò ad alzarmi e mi guardò e mi guardò ancora. Avrei voluto guardarmi anche io. Chissà com'ero bella con l'aspetto di una novantenne. Speravo solo di non morire troppo presto. Ma che mi lamentavo a fare? Sapevo cosa mi sarebbe successo quando avevo deliberatamente deciso di tuffarmi nel vortice. Me ne stavo quasi pentendo, ma il pensiero del Dottore sano e salvo, mi riempiva il cuore di gioia e speranza per il futuro. Con lui l’universo sarebbe stato salvo per ancora molto tempo.

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Capitolo 12
*** The power of the blue box ***


CHAPTER 12 [Pov. Tardis]
<< Sei sempre bella. >> Disse il Dottore a Barbara che, improvvisamente, aveva iniziato a piangere. Credeva di riuscire ad affrontare la situazione, ma la verità era che aveva agito senza pensare alle conseguenze.
Andarono a salutare Bob, scusandosi di ciò che era successo, di non essere riusciti ad aiutarlo.
<< Non vi preoccupate, >> disse lui, << vedo che avete fatto il possibile. >> Alluse all'aspetto di Barbara. Lei si rattristò. << Hei, se non sapessi per certo che sto per morire, ti sposerei! >>
Lei scoppiò a ridere le sue guancie appese saltarono seguendo i suoi movimenti, poi si mantenne il cuore e tossì. << Intoppi della vecchiaia … >> Si scusò.
<< Fate buon viaggio e grazie di tutto! >>
Appena i due uscirono fuori dalla stanza, Bob scoppiò in lacrime. Si, sentiva di stare per morire, ma sapere che anche la ragazza per la quale aveva una cotta avrebbe fatto la sua stessa fine era ancora più doloroso. Avrebbe quasi azzardato a dire che l’amava, e sperava di poterla rincontrare in paradiso.
<< Non voglio morire >> Disse Barbara, semplicemente, senza piangere, non più, senza supplicarlo di trovare una soluzione. Era solo una normalissima affermazione. Non voleva morire. E chi non lo desiderava?
Ma a volte bisognava stare attenti a ciò che si desidera!
<< Troveremo una soluzione. Ti porterò alla fonte della giovinezza, o troverò qualcosa, te lo prometto! >>
Iniziò a premere i pulsanti, ma ovviamente sappiamo tutti che il Dottore andava dove dicevo io.
<< Esci di qui e troverai la fonte della giovinezza! >> Disse fiero di sé per aver trovato le coordinate. Era proprio vero che non aveva preso la ''patente'' per guidare un Tardis. Barbara si avviò alla porta, aprì e trovò:
<< Cardiff! >> Urlò, facendo molti passi per constatare che quella che vedeva era proprio quella città. << A Cardiff c'è la fonte della giovine ... >> Le sue parole furono interrotte da uno sparo. Uno sparo che il Dottore conosceva bene. Uno sparo che anche lui aveva sentito e al quale era sopravvissuto senza dover cambiare aspetto.
I Dalek!
<< Barbara! >> Urlò. Si fiondò a vedere come stava, ma la trovò morta. Nessun’essere nell’intero universo sarebbe potuto sopravvivere allo sparo di un Dalek. Nessuno.
<< Sterminare! Sterminare! Sterminare! >>
Ma anche il Dalek aveva i minuti contati. Il Capitano Jack Harkness l'aveva sotto tiro e gli fece saltare la testa o ... la scatola.
<< Dottore! >> Urlò, raggiungendolo al capezzale di Barbara. Le sentì il polso, era davvero morta. << Chi è? >>
<< Era la figlia di Donna Noble, Barbara >> Disse trattenendo le lacrime. Era tutta colpa sua. Prima aveva fatto soffrire Donna, e poi sua figlia. Chi sarebbe stato il prossimo? Wilfred? Non poteva perdonarselo. Il solito sentimentale! Rischierebbe la vita solo per una parola data.
Decisi che quello era il momento giusto per farmi avanti, anzi lo sapevo, io so tutto! Uscii dal Tardis. La mia anima stava svolazzando per aria e mi sentivo così strana, senza tutti i controlli nelle mie mani.
Sapevo cose che potevano salvarle la vita, senza che nessuno pagasse le conseguenze. Almeno per una volta.
<< Il Tardis si è spento! >> Disse Jack. In realtà ero morta. Cioè la macchina era morta. Senza la mia anima era solo un cumulo di rottami.
<< Non è possibile! >> Urlò il Dottore. Stavano morendo tutti! Ah, caro tesoro, quante cose che ancora dovevi sapere!
Entrai nel corpo di Barbara e presi fiato tutto in una volta per rianimare il suo vecchio corpo morto.
<< Oh, non è ancora la tua, mia, sua, ora, dopo, quando! Cosa stai dicendo? Donna Noble aveva, aveva ... Si tutto merito mio! >> dissi senza accorgermene. Potevo parlare! Quanto adoravo poter parlare, anche se col Dottore comunicavo meglio a suoni.
<< Sei tu? Di nuovo? >> Chiese il Dottore tirando un sospiro di sollievo. Almeno non ero morta …
<< Di nuovo cosa? >> Chiese Jack che non ci stava capendo niente. << Che succede? >>
<< Io sono Sexy >> Dissi e anche lui lo era, tanto. Mi piaceva quel nome che mi aveva dato il Dottore. Esprimeva appieno il nostro rapporto. Usai parte della mia forza per far ringiovanire Barbara e riportarla alla sua età attuale. Agli occhi del Dottore quello che stavo facendo a Barbara sembrò una rigenerazione.
<< Il Tardis è dentro di Barbara >> Spiegò il Dottore a Jack mentre la mia luce svolazzò ovunque, colpendoli dritti negli occhi. Poi, quando potei parlare, si rivolse a me. << Attenta a non ucciderla! >>
<< E' già morta! >> Risposi abbracciandolo, adoravo il contatto fisico che potevano avere gli umani, un contatto reciproco. Non come quando ero nella macchina che potevo solo sentire le coccole del Dottore, ma non fargliele. Gli toccai l'orecchio, poi glielo baciai, di nuovo come la prima volta. I lobi erano così morbidi e le orecchie così divertenti. Ogni sporgenza del corpo umano era divertente poiché era a me sconosciuta.
<< Metà Donna metà Signore Del Tempo, lo avevano detto gli Ood! >> Dissi senza volerlo, di nuovo. Era come pensare ad alta voce! Non avevo mai avuto una bocca da dover chiudere! << Le do una scossetta di vortice del tempo. Non sono io che voglio! >> Urlai, poi mi fermai per riprendere fiato. Mi mantenni il punto che mi doleva, la testa. Contenevo nella mia mente tutto il vortice del tempo. Conoscevo il passato, il presente e il futuro meglio di chiunque altro, quindi sapevo cosa andava storto e facevo intervenire il Dottore. Senza di lui, e senza di me, il mondo sarebbe finito molto prima del tempo. A volte mi capitava di dire cose passate o future, ma rispetto alla prima volta mi ero abituata ad essere umana. Quasi mi piaceva!
<< Che stai dicendo? >> Chiese il Dottore. Lui sapeva meglio di chiunque altro cosa mi stava succedendo. Anche lui provava ciò che sentivo io in quel momento.
<< Scusate, mi è scappato. Ora spiego … >> Dissi, tentando di tenermi in equilibrio. Finii per mantenermi alla console, che cosa strana. << Ti ricordi Donna? >>
<< Certo che la ricordo! E' lei che non ricorda me! >> Urlò il Dottore riportando a galla l’eterna sofferenza. << Dove vuoi arrivare? >>
Mi toccai, cioè in teoria stavo toccando Barbara. << Cosa sono queste? >> Chiesi toccando il davanti del suo corpo. Erano due strane sporgenze, ma nell’altro corpo non erano così accentuate. Frugai nella memoria di Barbara per capire cosa fossero. Rimasi scioccata. Quante cose si potevano fare con un corpo umano! Le avrei dovute provare.
<< Ehm, potresti spiegare? >> Mi ricordò il Dottore, mentre ancora mi divertivo a palpare. E Barbara ne aveva fatto davvero un buon uso! Ma col Dottore non c’era riuscita.
<< Tu le hai fatto dimenticare tutto, addormentando la sua parte Signora Del Tempo, ma quella parte è rimasta in lei ed è passata geneticamente a Barbara. Ma a differenza della madre, la figlia non ha avuto il tuo cervello, oppure sarebbe morta, ma la rigenerazione. Però … ! >> dissi, aspettando che finisse lui la frase per me.
<< Senza qualcosa che l'accendesse è rimasta assopita … >> Concluse lui. << Quindi che stai facendo? >>
<< Le do una scossetta di vortice del tempo, come Rose ha fatto con Jack! >> Dissi. Jack mi guardò come se fossi un'aliena ... Ah, giusto. Giusto.
<< La vuoi rendere immortale? >> Mi sgridò lui.
<< Non sono io che voglio! E non immortale, ma solo Signora Del Tempo grazie al colpo del Dalek che ha risvegliato quella sua parte: ma senza il mio intervento avrebbe anche cambiato aspetto! Io le consento di restare così per sempre, senza ulteriori traumi per il continuo cambio di faccia, e tu ne sai qualcosa … >> Proseguii.
<< Non so cosa dire. Tu sei così ... >>
<< Potente. >> Lo interruppi. Sapevo l'avrebbe detto, io sapevo tutto, ed era insopportabile a volte. E questo? Com'è morbido! << Oh, il sedere! E Barbara ha fatto un buon uso anche di questo! >> Si misero entrambi a ridere. << Ops, forse non dovevo dirlo! >> misi giù le mani, e toccai i capelli. Erano rossi più di quelli di sua madre, rossi come li avrebbe voluti il Dottore.
<< No, no! >> Disse Jack, << Quest'informazione è molto interessante! >>
<< Si … >> Disse infastidito il Dottore, poi si rivolse a me. << Grazie. >>
<< Grazie a te, mio ladro. >> Dissi, prima di andare. Era il momento. Avrei voluto restare di più, ma quel corpicino non avrebbe potuto contenermi ancora a lungo.
<< Non sei tu che hai rubato me? >> Disse lui ridendo. Finalmente l'aveva capito! Sorrisi e tornai a casa. Una luce accecante uscì dal corpo di Barbara, che stava per cadere. Jack la prese al volo. Tornai alla mia postazione e controllai quale parte dell’universo avrebbe avuto bisogno del nostro aiuto.
Barbara rimase svenuta per un po'. E nel frattempo il Capitano spiegava al Dottore che i Dalek erano di nuovo tra i piedi e volevano, come sempre, distruggere tutto e sterminare tutti. Era la loro natura, in fondo.
<< Mi fa piacere rivederti! >> Disse il Dottore a Jack e lui rispose con un abbraccio. Proprio in quel momento Barbara si svegliò.
<< Oddio! Ero morta! Ero vecchia e morta! Una cosa mi ha sparato. E lei era dentro di me! E mi toccava, mi sono vista ringiovanire e bruciava! E ti ho baciato l'orecchio! >> Disse a perdifiato, poi vide, anzi, rivide Jack e si bloccò. << Lui chi è? >>
<< Capitano Jack Harkness ai suoi ordini! >>
<< Barbara Noble, >> rispose lei e gli strinse la mano, << sono single, se ti interessa! >>
‘’Proprio il mio tipo’’ pensò Jack, sorridendo col suo fare provocante e il Dottore alzò gli occhi al cielo.
<< Ok, possiamo concentrarci sulla minaccia dei Dalek? >>
<< Scusa! >> Dissero i due all'unisono, lasciando la stretta.
<< Allora, >> disse Barbara, << cosa sono i Dalek? >> Scandì quelle lettere come se non fossero alla portata della sua pronuncia.
<< Esseri creati per sterminare. Barattoli di metallo senza emozioni, solo odio e distruzione. >> Disse tentando di spaventarla.
<< Wow, che enfasi, sembravi un attore drammatico! >> Lo prese in giro lei. << Ora spiegami che mi è successo perché non l'ho capito bene. Rigenerazione, cambiare faccia, mi sfugge qualcosa ... >>
<< Ok, non abbiamo tempo. Mi ero ripromesso di non farlo mai più ma ora è necessario! >> Si avvicinò al suo viso, erano lontani un respiro.
<< Che vuoi fare? >> Chiese lei, ora spaventata, tentava di allontanarsi, ma lui le bloccò il viso. Le sue mani impedivano a Barbara qualsiasi movimento. Lei, pensando volesse baciarla, allungò la bocca, già pronta ad accogliere le sue labbra. Il Dottore non se ne accorse.
<< Farà un po' male … >> Disse lui e prima che lei potesse rendersi conto che non era un bacio quello che lui stava per darle, le diede una testata. Tutte le informazioni sui Signori del Tempo finirono nella sua memoria. Lei si lamentò per il dolore, ma poi vide ciò che voleva sapere. La biografia del Dottore insomma.
<< Quanti volti hai avuto, quante storie e quante donne! >> Urlò alla fine dell'agonia, alzando la voce nell’ultimo pezzo della frase. << No aspetta, quindi io sono come te? Non può essere, perché mai io? Non sono io quella importante in famiglia! >>
<< Uguale a tua madre, lo ribadisco! >> Si lamentò. A quella famiglia continuava a dire che erano importanti e nessuno lo credeva mai. << Non ho ancora mai incontrato nessuno, nell'universo, di poca importanza … >> Ripetè come se fosse uno scioglilingua.
<< Bhè, grazie, ma quando ero giovane ho letto molti libri di vampiri, e non sempre avere tanto tempo da vivere è una cosa buona. Vedrò mia madre e mio nonno morire come in quel mondo virtuale … >> Disse preoccupata, ma allo stesso tempo estasiata.
<< Eh si! >> Risposero il Dottore e Jack all'unisono. Entrambi sapevano bene a cosa si riferisse.
<< Anche tu hai molto tempo? >> Chiese a Jack. Il Dottore le diede un'altra testata, veloce e indolore e le informazioni su Jack le attraversarono la mente.
<< Tu sei immortale! Io adoro questo modo doloroso di avere informazioni! Voglio vedere tutto ciò che riguarda mia madre! >> disse lei eccitata.
<< Ne sei sicura? >> Chiese. Lui non lo era molto.
<< Si. >> Rispose d'un tratto seria.
<< Sono più informazioni, sarà più doloroso … >> Disse, aspettò il consenso e le diede l'ennesima testata. Barbara osservò e riguardò tutte le avventure di sua madre e vedendole dal punto di vista del Dottore le sembrò di averle vissute in prima persona. Rise quando la vide salutare il grasso, mimare al Dottore quanto l'avesse cercato, finire nel Tardis per la prima volta con l'abito da sposa, conoscere la metastasi del Dottore, nudo, che era più simile a lei di quanto gli piacesse ammettere e aiutare il Dottore a liberarsi dall' avvelenamento da cianuro con ginger, noci, acciughe e con uno scioccante bacio. Sentì l'adrenalina di ognuna delle volte in cui era stata in pericolo di vita, da quando pendeva dal palazzo delle Adipose Industries, a quando era sola nel Tardis che andava in fiamme. Sentì la tristezza della canzone degli Ood, della morte di Jenny, la figlia del Dottore, e delle 2000 persone a Pompei e il dolore di quando aveva capito che il Dottore le avrebbe cancellato la memoria. Sentiva quanto lei avrebbe preferito morire piuttosto che perdere tutti quei fantastici ricordi. Una lacrima le rigò il viso, poi un'altra e ancora un'altra.
 
''<< Sarei rimasta con te, per sempre, >> gli aveva detto, << per il resto della mia vita, viaggiando nel Tardis. Il Dottore-Donna. >> La disperazione si impossessava di lei, quando, scavando nella sua mente da Signore del Tempo, capì cosa le sarebbe successo. << Non posso tornare indietro, non farmi tornare indietro! >> Lo supplicava. << Dottore, ti prego, ti prego non farmi tornare indietro! >> Poi finalmente il Dottore parlò. << Donna, oh, Donna Noble mi dispiace così tanto! >> Lei si sentì morire dentro. << Ma ce la siamo spassata noi due, vero? Altroché! >> Fece una piccola pausa. << Addio >> disse infine. Donna si agitò, le lacrime scendevano come un fiume in piena. << No, no, ti prego no! >> Poi, come un nastro che torna indietro, rivide, per l'ultima volta tutti i momenti del suo viaggio col Dottore passarle davanti, come quando si muore e la vita ti scorre davanti come un film. E così era stato. Donna Noble in quel momento era morta. Ed era peggio dell'inferno.''
 
Quando Barbara riprese il controllo di sé si ritrovò a schiaffeggiare Jack che la teneva stretta, tentando di calmarla. Non aveva mai saputo così nei dettagli tutte le avventure che aveva vissuto sua madre. L'aveva sempre sottovalutata come persona, era convinta di essere nata solo per un suo sbaglio e che lei non era mai stata buona a niente, se non a vivere sulle spalle degli altri. Ma ora aveva capito quanto si fosse sbagliata. Quanto sua madre fosse stata coraggiosa, con quanta forza si era rialzata ogni volta che era caduta, e quanto era intelligente, gentile e altruista. E capì anche quanto le mancava. Avrebbe tanto voluto tornare a casa per rivederla e per scusarsi di tutte le volte che l'aveva trattata male, o le aveva detto brutte cose.
<< Vorrei tornare un attimo a casa! >> Disse, sciogliendosi dall'abbraccio di Jack, tremava ancora, ma era convinta più che mai di quello che voleva.
<< Che ne dici se salviamo prima il mondo? >> Fece il Dottore, tentando di rintracciare la nave dei Dalek, che doveva essere nascosta da qualche parte nell'atmosfera terrestre.
<< Salvando il mondo, salvo anche la mia famiglia, mi basta come scusante per non essere passata prima a salutarli! >>
<< Li ho trovati! >> Impostò le coordinate e stavolta lo ascoltai, portandolo in un posto che ritenevo più sicuro per la mia sicurezza. Non volevo finire di nuovo bruciata.
<< Vado io per prima, voglio provare le mie nuove abilità rigenerative … Il che implica che dovrei morire di nuovo, >> ci pensò un po' su, << ok, magari cercherò di non farmi uccidere! >>

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Capitolo 13
*** La comparsa ***


[P.o.v. Barbara]
Mi inoltrai nella nave dei Dalek, scrutando ogni piccolo dettaglio che mi avrebbe potuta aiutare a non perdermi. Una finestra, una bruciatura nella parete, un graffio sul pavimento. Dopo due minuti mi ero definitivamente persa, era tutto così uguale e monotono su quella nave. Ogni stanza sembrava esattamente uguale a quella che avevo visto prima e prima ancora.
Camminai ancora per qualche metro ed entrai in una stanza che sembrava la sala pilotaggio. Ma era vuota. Avrei voluto disattivare qualcosa in modo sicuro, ma non avevo idea di come si usassero quei comandi. Sentii dei rumori e quando mi girai, vidi il Dottore e Jack dietro di me.
<< Siete pazzi? >> Li sgridai per avermi fatta prendere uno spavento e lasciai che venissero con me, ma senza farsi vedere. Silenziosi come fantasmi. Mi sconsigliarono di toccare qualsiasi cosa per non mandare all'aria la carta dell'effetto sorpresa che avevamo ancora da giocare.
<< Non potresti creare quella roba che distrugge l'atmosfera come hai fatto con i Sontaran? >> chiesi al Dottore che restava nascosto dietro di me.
Se qualcuno mi avesse vista, avrebbe pensato che parlavo da sola. Bhè, se lo seguivo ancora allora lo ero eccome!
<< Non funzionerebbe coi Dalek, e poi non ho neppure i mezzi … >> Si scusò lui.
<< Ok, penseremo a qualcos'altro. >>
Sentimmo dei rumori e ci appiattimmo al muro per non farci vedere. Diciamo che ci spalmammo come Philadelphia su quel muro. Tirai la pancia più che potei, trattenendo il respiro. La voglia di avventura c’era, ma la paura mi fregava sempre.
<< Gio co no ro fo so co to! >> Sentimmo, lasciai che passassero tutti i rinoceronti umanoidi, poi raggiunsi i due.
<< Dottore, quelli sono i Judoon, vero? Li ho visti nei tuoi ricordi. ‘Un nome snob per dire polizia spaziale’ … >> Citai le sue stesse parole.
<< Si, e se sono qui non vuol dire niente di buono. >> Disse lui accigliandosi.
<< Perchè il Tardis non traduce ciò che dicono? >>
<< Hanno un congegno sul petto che gli permette di identificare le altre lingue e parlarle, ma permette anche agli altri di non far capire la loro. >> Mi spiegò, come se fossi una bambina ai primi anni di scuola. Si, scuola aliena. Quanto avrei voluto saperne più di lui e guardarlo anche io con superiorità ogni volta che aprivo bocca. Bhè, avrei avuto molto tempo per imparare, a quanto avevo capito.
Continuai a camminare e finii in una stanza molto buia. Non mi piaceva per niente, anche perché sentivo strani respiri. Spaventata, camminai all’indietro per non dare le spalle a qualsiasi cosa si trovasse in quella stanza. Andai a sbattere contro qualcosa e quando mi girai, mi trovai di fronte ad un Dalek.
<< Che ci fai qui? Spiegare! >> Urlò il barattolo.
<< Non urlare! Ci sono i Judoon, ci farai trovare! >> Provai. Il Dalek non mi sparò. Era già qualcosa.
<< Come hai avuto quest'informazione? >> Mi chiese con la sua stupida voce metallica.
<< Li ho visti! >>
<< E cosa dicevano? Cosa vogliono? Rispondi, rispondi! >>
<< Non ti agitare! Dicevano blo blo blo. Che ne so io che dicevano! >>
Si girò e iniziò a camminare, lo seguii pur non sapendo il perché. Arrivammo in una stanza piena di Dalek, ma stranamente non mi fece più paura di quella stanza buia dove avevo sentito dei respiri.
Quando ero solo una bambina c'era un barbagianni che aveva il nido sull’albero di fronte casa mia che faceva lo stesso suono. Speravo non fosse un barbagianni gigante, dato che già anche a dimensione naturale facevano paura! Una volta lo vidi mentre sbatteva con la faccia sulla finestra della mia camera nel tentativo di entrare. Per le cinque notti successive dormii nel letto con mia madre.
<< Cosa ci facevi in quell'area? >> Mi chiese quello che sembrava il capo.
<< Ci sono finita per caso. >> Dissi ironicamente.
<< Rispondi, rispondi, rispondi! >> Urlarono tutti in coro. Mi tappai le orecchie per il dolore.
<< Quante volte lo devo ripetere? Ci sono i Judoon a bordo! Ci farete scoprire! >>
<< Non c'è nessun Judoon sulla nave. Ancora non abbiamo fatto nulla contro le loro leggi! >> Mi spiegò il barattolo. Il che mi sembrò difficile da credere.
<< Se lo dite voi, ma io li ho visti. >>
<< Potrebbe anche dire la verità. >> Azzardò un Dalek.
<< In tal caso, sono qui per la creatura che abbiamo a bordo e che non dovrebbe esistere! >>
<< Non dovrebbe esistere? E che cos'è? >>
<< Un essere sbagliato, un abominio del suo mondo, tanto brutto da costringere i suoi simili a buttarlo nello spazio aperto, proveniente dal pianeta gemello di Raxacoricofallapatorius, >> disse e fece una pausa strategica, << Clom. >>
Rimasi incantata per un secondo da quei due nomi strani. Uno era uno scioglilingua, l'altro poteva essere un balbettio di un neonato.
<< Raxac ... >> Ma che diavolo? << Perché uno ha il nome impronunciabile e l'altro si chiama Clom se sono gemelli? >>
<< La cosa è irrilevante, non dovresti neppure porti certe domande! >> Urlò ancora.
<< Allora cosa volete farci con questo essere? >> Chiesi studiando la loro anatomia. Il punto più esposto era l'occhio e le due braccia con le quale uccidevano parecchia gente. In caso di necessità sapevo dove colpire. Sempre se ci sarei riuscita ...
<< Vogliamo studiare la sua genetica, impossessarci della sua tecnologia assorbente e usarla per risucchiare tutto l'universo! >>
Mi scappò una risata. << Scusate. >> Dissi.
<< Ridi? Non è nelle tue capacità ridere. Segnalare disfunzione Dalek >>
Il cuore iniziò a dare i numeri quando dei Dalek alzarono le loro armi contro di me. Sarei resuscitata si, ma dovevo prima provare la sofferenza della morte, di nuovo, e non era divertente. O almeno quello era ciò che ricordavo della volta prima. Quel raggio colpiva tutto il corpo e bisognava affrontare la più brutta sofferenza prima di poter finalmente morire. Ogni organo si rivoltava, il sistema nervoso impazziva, le ossa si scioglievano …
<< Cosa? Disfunzioni Dalek? Di cosa state parlando? >> Urlai, vedendo una mandria di Dalek imbufaliti, venire verso di me. Peggio dei tori che mia madre mi portò a vedere in Spagna. Lo spettacolo più brutto della mia vita.
<< Verrai mandata al manicomio, sei un Dalek disfunzionante!! >>
Non sapevo che dire per uscire da quella situazione. Sarei andata nel manicomio dei Dalek a fare cosa? Ad impazzire per il resto dei miei giorni? O sarei riuscita a scappare? Stavo balbettando, senza riuscire a dire una parola. Il Dottore e Jack uscirono allo scoperto e mi salvarono le chiappe, come sempre.
<< La portiamo noi fino al manicomio e la rinchiudiamo! >> Disse il Dottore con lo stesso tono di quegli esseri. Mi puntarono una mano dietro la schiena e uscii dalla stanza con quei due burloni, che appena giunti in salvo risero come pazzi dandosi il cinque. Poi, come al solito, il Dottore tornò serio in un quarto di secondo e si domandò com'era possibile che i Dalek avessero l'occhio disfunzionante, o compromesso.
<< Immagino che sia colpa, o meglio, merito dei Judoon, avranno fatto qualcosa a tutti gli occhi di tutti i Dalek. Ma c'è qualcosa che non mi convince ... >>
<< Hanno parlato di un alieno, dobbiamo aiutarlo! >> Tentai, facendo leva sulla parte sentimentale del Dottore. Adorava salvare alieni, umani o chiunque avesse bisogno di aiuto.
<< Si, più che altro dobbiamo evitare che i Dalek lo usino per assorbire tutto il creato. >> Mi stroncò Jack. Stavo dubitando della sua umanità, quando notò che lo stavo fissando e si ricompose. << Mi dispiace, intendevo dire che dobbiamo salvarlo dai Dalek … >>
Il Dottore lo guardò stupito, sembrava stesse pensando ''Jack che tenta di aggiustare una frase per compiacere qualcuno, non è da lui''.
Abbassai lo sguardo imbarazzata, lo stesso fece Jack, girandosi per trovare la strada verso la camera dell'alieno. Arrivammo, non per merito mio o ci saremmo persi di nuovo, davanti alla stanza ed entrammo. Sentii di nuovo quel rumore, quel respiro che mi faceva raggelare il sangue nelle vene.
<< Ha un respiro leggero, non sembra il timbro di uno degli alieni di Clom. >>
La luce si accese all'improvviso, spaventando tutti. Non c'era nessun alieno verde, ma un grosso aggeggio metallico, una macchina.
<< Sento puzza di trappola. >> Disse Jack. E ci aveva azzeccato. Quella macchina faceva uno strano rumore, ed in più sembrava muoversi con un certo ritmo. Non che ballasse, tremava.
<< Umani! Siete colpevoli di esservi infiltrati su una nave Dalek e la pena è che verrete sterminati! >>
<< No, aspettate! >> Urlai. << Non sapete con chi avete a che fare. Lui è il Dottore, il terrore dei mondi, volete davvero sfidarlo? >>
<< Il terrore dei mondi? >> mi chiese lui stesso.
<< Dottore chi? >> Chiese il Dalek, che davvero non sapeva chi fosse il Dottore. Qualcosa non quadrava ...
<< Pensavo che tutti nello spazio e nel tempo ti temessero! >> Mi lamentai, lasciando che si mettessero entrambi davanti a me, per proteggermi. Li spostai e mi infilai tra di loro. Potevo benissimo proteggermi da sola. Maledetto orgoglio, portami via!
<< Mi temevano, ma poi un'amica ha tolto tutte le informazioni su di me dai loro server. E ora che ci penso, lei potrebbe essere ancora qui! >> Urlò l'ultima frase come se fosse di vitale importanza, ricordando l'amica. << Dalle finestre sembra che ci siamo mossi anche avanti nel tempo oltre che nello spazio. E' tutto troppo confuso. E scommetto che la colpa è di quella macchina. >>
<< Indovinato. >> Disse il Dalek più importante, o almeno così sembrava dalla distanza che tenevano gli altri suoi compagni da lui.
<< Cosa fa quella macchina? >> Chiese un Judoon, che silenziosamente si era infiltrato nella stanza. Era solo. Poliziotti spaziali, a quanto pare erano più stupidi di quelli sulla Terra.
<< Manda i miei Dalek in tutto lo spazio e il tempo contemporaneamente. Popolazioni su popolazioni stanno tutte combattendo e ovviamente perdendo contro i miei guerrieri. In ogni parte dell'universo, civiltà stanno cadendo ai miei piedi, mondi stanno finendo, persone vengono sterminate e la razza Dalek ne esce vittoriosa! >> Urlò stonando tutti con la voce atona.
<< Stai cambiando il tempo, in tutti i tempi? >> Chiese il Dottore. Mi sembrava un rimbambito a volte. << Tutto ciò che ho fatto sarà stato inutile ... >> sussurrò tra sé e sé.
<< Vi do una piccola dimostrazione >>
Il Judoon venne sollevato da terra. L'arma che teneva in mano cadde al suolo. Lo vedemmo passare sulle nostre teste e finire giusto nella bocca della macchina. Dei fulmini fecero tremare la stanza. Mi aggrappai al braccio del Dottore con entrambe le mani, chiudendo gli occhi per non rimanere accecata. Jack si parò davanti a me, facendomi ombra. Riuscii a vedere, di sfuggita, alcuni Dalek che apparivano e scomparivano. Poi le luci si affievolirono e i miei occhi dovettero riabituarsi alla penombra della stanza.
<< E anche la civiltà dei Judoon è stata conquistata! >> Urlò il Dalek. Sembrava compiaciuto, anche non potendo provare nulla. Forse potevamo sperare in qualcosa che non andava nel sistema, o nei Dalek stessi, da spiegare il loro strano comportamento, la presenza di sentimenti ed emozioni estranee.
<< E' così che funziona allora? Tu butti una persona lì dentro e la macchina spedisce i Dalek a sterminare, in tutto il tempo, quella specie? >> Chiese il Dottore. Studiare il nemico, quello lo sapeva fare benissimo. Parlare era la sua specialità. Avrebbe potuto parlare per ore senza mai sentire la gola secca.
<< Esatto. Tu non sei umano, intelligenza superiore ... Dimmi chi sei! >> Urlò. A quanto pareva, adoravano urlare.
<< Sono un Signore del Tempo! >> Rispose lui con la solita enfasi. Viaggiare con lui era come guardare perennemente un bellissimo film. Ma in quel caso io ero la co-protagonista!
<< Non è possibile. Loro sono estinti! >>
<< Anche voi dovreste esserlo, eppure eccovi qui! >> Disse con disprezzo. Odiava così tanto quegli esseri che si era tutto irrigidito. Sembrava un pezzo di legno con le gambe, e tremava, ma non di paura, di rabbia. Avrebbe voluto prenderli per il collo, se solo ne avessero avuto uno, e strangolarli per bene tutti, uno ad uno, fin quando anche l'ultimo di loro avesse smesso di vivere. Anche se la sua voglia di pace, l'assenza di armi e il principio di amore, gli impedivano di ammazzare chiunque, sentivo che per loro avrebbe volentieri strappato il suo codice d'onore in mille pezzettini che poi avrebbe lasciato nello spazio infinito a marcire. Poi una volta sterminati tutti avrebbe ritrovato, lentamente, i pezzettini, li avrebbe riattaccati e avrebbe tentato di dimenticare il necessario errore commesso.
<< Siamo sopravvissuti, i Dalek devono sopravvivere! >> Disse la voce metallica.
<< No! Voi siete inutili e insignificanti. Fate solo del male a troppa gente e non meritate di vivere ancora un altro giorno! >> La sua voce andò ad aumentare di tono, finché non si ritrovò ad urlare e sbattere un piede a terra.
Approfittai di quel momento di chiacchiere tra migliori nemici, per avvicinarmi, di soppiatto alla macchina e magari tentare di spegnerla, disattivarla o distruggerla. Stando ben attenta a non farmi vedere, strusciai per tutto il perimetro della stanza, tenendomi stretta al muro e osservai a tutto tondo quel macchinario di distruzione. Nella parte posteriore sembrava esserci una vasca con del liquido viscido. Dentro, attaccato a dei tubi, c'era un essere. Forse quello di cui avevano parlato i barattoli prima, l'alieno dal quale avevano estrapolato quella tecnologia. Mi avvicinai, con lo scopo di liberarlo, ma qualcosa mi intorpidì gli arti. Persi il controllo dei movimenti e fui sollevata in aria, così come il Judoon. Sentii il Dottore e Jack urlare contro il Dalek per aiutarmi, tentare di contrattare. Non capivo bene cosa dicevano ma qualcuno si stava offrendo di prendere il mio posto. I sensi andavano scemando. Non vedevo bene quel che avevo intorno e non sentivo niente. Non sapevo cosa mi sarebbe successo una volta finita nella macchina, forse ero già morta, o forse no. Non riuscivo a distinguere le sensazioni. Qualcosa mi diceva di stare tranquilla, ma stavo per finire in una macchina della quale sapevo ben poco. Magari sarebbe stata così potente da uccidermi definitivamente, oppure mi avrebbe spedita nello spazio. Sarei morta per assenza di ossigeno e poi risorta, in continuazione, senza sosta, per l'eternità fino alla fine delle mie rigenerazioni.
Avevo finalmente capito che in realtà io non ero per niente la co-protagonista, ma una semplice comparsa in quella che doveva essere la grande storia del Dottore. Quante ce n'erano state prima di me, compresa mia madre e quante dovevano ancora arrivare! Ma si sa che la parte della comparsa non dura molto, e il mio copione stava finendo, le ultime battute erano state dette e i titoli di coda stavano per impossessarsi dello schermo sotto uno sfondo nero. Tutto nero, buio e freddo, come quello che vedevo e che sentivo. Il nulla.

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Capitolo 14
*** Finchè io vivo, lei vive ***


L'ennesimo lutto per il Dottore. Ne aveva passate tante e tante ancora ne doveva passare! Ogni volta era un colpo al cuore, sempre peggiore, ogni volta si sentiva responsabile per tutto ciò che accadeva e che non riusciva a fermare. Barbara era finita nella macchina, né il Dottore, né Jack erano riusciti ad impedirlo, ma dopo, grazie a quella ragazza era scattato qualcosa.
Tra i piccoli, leggeri e soffocati singhiozzi di Jack e i pesanti respiri del Dottore anche qualcun'altro si lamentava. Era la macchina stessa. Faceva strani versi, come di viti che si svitavano e sbuffi sordi che minacciavano la stabilità. Come qualcosa che sta per crollare, ma che ancora tenta di resistere.
<< Spiegare! Spiegare! >> Urlò un Dalek. Un altro provò a dare la colpa a Barbara.
<< Si! >> Urlò il Dottore di rimando, appena gli si accese la lampadina. << Barbara è umana, ma non del tutto. Ha una parte Signora del Tempo che ha fatto andare in tilt la macchina, che non ha riconosciuto una razza specifica alla quale collocarla! >>
<< Non è morta invano. Che bella consolazione! >> Disse amareggiato Jack. Si era affezionato a lei, e proprio quando l'aveva capito, l'aveva persa. Ciò che entrambi stavano provando li consumava dentro. La sanità mentale non li avrebbe accompagnati per sempre se continuavano di questo passo. E stavano già sulla buona strada.
<< No! >> urlò di rabbia il Dalek. Rabbia, ancora emozioni che già da un po' notavo di sospette in un Dalek.
<< Sei arrabbiato? >> Chiese il Dottore. << Fa male vero? >>
Il Dalek si rese conto di avere qualche problemino e tentò di darsela a gambe, come tutti quelli che stavano dietro di lui.
<< Programmiamo una bella autodistruzione della navicella! >> Provò il Dottore, muovendo tasti e comandi gemelli a quelli nella sala pilotaggio. La macchina fece dei colpi di tosse, o così sembrarono, ma i due non ci fecero caso, continuando a lavorare senza sosta.
<< Libero l'alieno! >> Disse Jack. ''Barbara avrebbe voluto che lo facessi'' voleva aggiungere, ma non lo fece, lo tenne per sé e ci pensò molto mentre colpiva con una spranga il vetro del cilindro che conteneva l'essere. Dopo tre colpi si ruppe e il liquido all'interno cadde sul pavimento imbrattando ciò che trovava attorno, comprese le loro scarpe. La macchina sussultò ancora, come se volesse distruggersi da sola. Forse era in qualche modo collegata all'essere e senza quel collegamento poteva essere fermata, o si poteva invertire l'effetto!
Jack, sperando di fare la cosa giusta, staccò lentamente tutti i tubi infilati in varie parti del corpo dell'alieno. Se il processo poteva essere invertito, allora Barbara sarebbe tornata nel mondo dei vivi.
<< Quella macchina è collegata a me, finché io vivo, lei vive >> disse l'alieno. Jack e il Dottore si fermarono, immobili e lo fissarono, poi i loro sguardi si incontrarono. Non potevano farlo, non potevano uccidere un essere innocente, Barbara non avrebbe voluto, loro non volevano. Ma c'era anche dell'altro in gioco. C’era l’universo. E l’universo valeva una sola vita?
<< Io non posso lasciarla morire! >> Disse Jack, il Dottore annuì. Nemmeno lui voleva. Quella sensazione di impotenza gli fece tornare alla mente Donna. L'aveva vista bruciare insieme al Tardis, aveva implorato i Dalek, adesso come allora, di poter prendere il posto della condannata. Gli sembrava di dover rivivere con la figlia, lo stesso destino toccato alla madre.
Ma adesso poteva fare qualcosa. Non era del tutto impotente. Poteva e doveva fare tutto ciò che era in suo potere per salvarla e vederla tornare come sua madre.
<< Se stacco tutti i fili il collegamento di spezza? >> Chiese Jack all'alieno.
<< Non potete far nulla per salvarmi. Ho visto tante di quelle crudeltà che voi neppure immaginate! Continuando a vivere diventerei pazzo. Uccidetemi vi prego! >> Urlava. Ma nessuno dei due ci riusciva. A loro sembrava quasi che lui lo stesse facendo per rendergli più facile e meno doloroso quell'atto ingiusto e crudele.
<< Sterminare! >> Urlò da lontano un Dalek che ancora non era fuggito. Sparò, mirando a Jack, i cuori del Dottore ebbero un sussulto. Non poteva perdere anche lui. Ma un colpo di scena fece spalancare tutte le bocche in quella stanza. L'alieno si mise davanti e lo salvò, prendendosi il colpo in pieno petto. Il Dottore prese, più veloce che poté, l'arma caduta al Judoon e sparò in testa al Dalek, per evitare che potesse fare altri danni, o aiutarli ancora in modi che loro non amavano. Quell'unico colpo fu micidiale per il barattolo, che andò immediatamente in fiamme.
<< Dottore! >> Urlò Jack. L'alieno, per il colpo, gli era caduto addosso e lo stava schiacciando. Lui l'aiuto, ma non era per quel peso incombente che aveva chiamato il suo amico: voleva ancora tentare di salvargli la vita. La macchina ricominciò a fare strani suoni, sembravano urla disperate. Poi, dopo svariate minacce e falsi allarmi, esplose. I due fecero giusto in tempo ad abbassarsi per evitare di essere colpiti. Ognuno tentava di proteggere l'altro con il proprio corpo, le braccia erano strette contro i volti per evitare schegge. Tutto intorno a loro era in frantumi. Si rialzarono, sperando che almeno qualcosa fosse andata per il verso giusto. Si scollarono la polvere e i detriti da dosso e scavarono e scavarono ancora sotto le macerie, in cerca di una qualche forma di vita. Sperando e pregando un dio onnipotente nel quale nessuno dei due credeva.
<< Dottore, qui! >> Urlò Jack da lontano. Aveva trovato il corpo di Barbara.
<< Portiamola nel Tardis e andiamo via di qui, ho messo l'autodistruzione tra cinque minuti e non posso disattivarla! >>
Jack se la issò in spalla e, da solo, la portò al sicuro, adagiandola sulla poltrona. Li portai, con molti problemi, scosse di assestamento e varie turbolenze, via da quella nave infernale, sulla terra, precisamente dove il Dalek aveva ucciso, la prima volta Barbara, a Cardiff, nel ‘presente’ se così vogliamo chiamarlo.
<< Si riprenderà? >> Chiese Jack. Il Dottore aspettò di aprire la porta e constatare che tutto fosse tornato esattamente com'era, prima di rispondere alla fatidica domanda. Tutto sembrava essere tornato in ordine, non c'era nessun Dalek nel cielo e le persone non sembravano essere spaventate da nulla. Passeggiavano come al solito, chi con fretta chi con calma, senza decisioni di vita o di morte o pensieri terrorizzanti; solo cosa mangiare a pranzo o se andare a trovare la nonna. Il tempo era tornato indietro in tutto il mondo tranne che per loro tre.
<< Si. >> Rispose alla fine. Jack sospirò. Quella pausa di qualche minuto gli era sembrata così lunga che aveva, per un attimo, temuto il peggio.
<< Provi qualcosa per lei, vero? >> Chiese il Dottore a Jack. Lui lo guardò, senza annuire né dissentire. I sentimenti non erano facili da individuare e dimostrare. << Non voglio che stia più con me. >>
<< Le spezzerai il cuore. >> Disse Jack. Con quella frase, sia io che il Dottore notammo che Jack era davvero in pena per lei, non voleva che soffrisse e questo bastava. Lei sarebbe stata in buone mani accanto a Jack.
<< Lei l'ha spezzato a me parecchie volte. Ogni giorno la vedevo soffrire in un modo o nell'altro, o ogni momento ripensavo a sua madre, >> disse, << a quanto lei abbia sofferto per causa mia. Mi sono promesso di riportarla a casa viva e vegeta, fare con lei ciò che non ho saputo fare con la madre, e se resta con me non so quanto riuscirò a mantenere questa promessa. >>
Jack lo fissò ancora, poi annuì. Non sapeva che dire, il suo discorso non faceva una piega.
<< Mi prenderò cura di lei. >> Disse infine e lo abbracciò. L'abbraccio silenzioso e profondo che li aveva sempre legati, quello con il quale ognuno diceva all'altro quanta stima provasse nei suoi confronti, quanto comprendeva le sue scelte e quanta sofferenza c'era in tutti quegli anni di vita. Entrambi sapevano cosa voleva dire vivere troppo, con troppi rimpianti e con troppe persone sulla coscienza, vive e morte. Erano entrambi soli, non potevano passare il resto della vita con nessuno né tantomeno tentare di amare qualcuno. L'amore li avrebbe definitivamente distrutti.
<< Grazie di tutto! >> Disse il Dottore lasciando l'abbraccio.
<< Alla prossima! >> Fece Jack uscendo dal Tardis con Barbara in spalla, come un sacco di patate. Sapeva, come ogni volta che lo lasciava o che veniva lasciato, che l'avrebbe rivisto. Due immortali, entrambi con la terra come pianeta di ''residenza'', non potevano non incontrarsi più. Solo che per il Dottore sarebbe stato tra qualche giorno, mentre per Jack e Barbara sarebbero stati venti anni.




E così il Dottore rimase, per l'ennesima volta da solo. A volte ci metteva molto per riprendersi, a volte pochi attimi. Il tempo di trovare qualcuno o qualcosa che potesse distrarlo. Ad esempio quando aveva detto addio a Rose, l'attimo dopo aveva trovato Donna, e sempre e ancora Donna quando Martha se n'era andata. Ogni cosa gli faceva ricordare Donna e il modo in cui lei riusciva ad affrontare qualsiasi cosa. Così forte e dura esteriormente, ma dolce, insicura e indifesa dentro.
E Barbara, come si sarebbe sentita sapendosi abbandonata? Avrebbe provato lo stesso per Jack? Oppure aveva fatto male a lasciarla? In fondo c'erano pericoli ad ogni angolo, non solo intorno a lui. Anche se intorno a lui ce n'erano molti di più perché se li cercava, o per il bene comune.
Decise di smetterla di auto-commiserarsi e di tenersi impegnato con un bel viaggio, qualche avventura, qualcosa di strano, qualche pericolo e un bel po' di adrenalina! Io avrei deciso dove mandarlo, cercando qualcosa di non troppo pericoloso e dove il Dottore potesse trovare ciò che cercava. Frugai nel vortice del tempo, cercando qualcosa che non fosse al suo posto. Niente domeniche, al Dottore non piacevano, non succedeva mai nulla di divertente, diceva.
Lo portai lontano, su un pianeta dove non succedeva quasi niente. C'era solo un piccolo mostro che divorava la gente, un piccolo Weevil. Risolse il tutto in meno di mezz'ora, senza morti né feriti. Non volevo che si buttasse subito in qualcosa di troppo esagerato. Era ancora un po' sconvolto per la perdita, ma la stava affrontando in modo ammirevole.
Due finti zombie qui, tre falsi vampiri lì, una visita a Oscar Wilde, il pagamento del suo debito con Casanova, un giro a Napoli, un multiforme là, un cavallo cannibale qua e il Dottore ancora si struggeva per la ragazza che era riuscita a salvare, ma a caro prezzo. Non poteva vederla, anzi non doveva vederla o l'avrebbe messa di nuovo in pericolo. E poi come poteva sapere che era salva? Doveva accertarsene?
No. Con Jack era al sicuro, molto più che con lui. Forse non era la verità, ma una bugia che lo faceva stare tranquillo. La responsabilità non era più la sua.
''Che egoista'' pensò di se stesso. Ma alla sua età non era molto felice di avere responsabilità o di temere per la vita delle persone che portava con sé. Decise di non portare più nessuno. Di continuare da solo ed evitare di far fare una brutta fine ad altri poveri sfortunati viaggiatori.
Ma, come sempre, non durò molto.

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Capitolo 15
*** Ancora il Dottore-Donna! ***


[Pov. Barbara]

Erano ormai passati venti anni. Venti anni da quando il Dottore mi aveva abbandonata. Non avrebbe potuto ferirmi tanto neppure impegnandosi.
''Una volta che corri col Dottore è difficile ritornare alla solita routine'' mi aveva detto Jack, i primi giorni della nostra convivenza, per farmi abituare al nuovo stile di vita. Lui capiva come mi sentivo, come distruggeva dentro quell'amara situazione. Mi aveva aiutata molto in venti lunghi anni. Mi aveva spiegato le motivazioni del Dottore per avermi lasciata nelle sue mani, promettendomi che sarebbe ritornato. Mi aveva insegnato cose che non sapevo e mi aveva preparata a combattere contro qualsiasi cosa, nel Torchwood. Mi aveva assunta, per farmi sentire parte di qualcosa, come lo era lui. Ma non mi era mai bastato.
Andai spesso a trovare i miei genitori, in barba a quello che mi dicevano sul non coinvolgere la famiglia. Avevo bisogno di sapere che stavano bene, che potevo ancora contare su di loro, sapere di avere ancora delle radici, pur essendo stata abbandonata da una delle persone più importanti della mia vita.
Quel giorno era iniziato bene. Sentivo aria di cambiamento e ne ero spaventata. Qualcosa mi diceva che sarebbe tornato, e proprio non sapevo come affrontare quella situazione. Jack mi aveva preparata al suo eventuale ritorno, ma la teoria era diversa dalla pratica. Corsi al Torchwood e trovai solo lui. Era presto, e quel giorno non c'era nessuna minaccia da sventare, quindi se la prendevano tutti comoda.
<< Jack. Sta tornando. >>
Lui mi guardò, afferrando al volo di chi stavo parlando. Qualcosa mi diceva che lo sentiva anche lui, ma non voleva darlo a vedere.
<< Come fai a dirlo? >> Mi chiese.
<< Lo sento. Tu non lo senti? >>
Mi voltò le spalle, evitando di rispondermi. Non voleva dirmi che anche lui lo sentiva? Lo raggiunsi e gli presi la mano.
<< Andiamo su a vedere se arriva? >> Chiesi tirandolo verso la pedana elevatrice. Lasciò la mia presa. Non voleva rivedere il Dottore o era una mia impressione? << Che ti prende? >> Gli urlai.
<< Vuoi andare di nuovo con lui, vero? >> Mi chiese di rimando.
<< Certo! Perché tu no? >>
<< Io ... >> Iniziò, ma lasciò la frase a metà. Cos'era che lo tormentava tanto? Cosa non poteva dirmi?
Sentimmo un tonfo. Qualcosa si era schiantato contro il monumento che copriva la base del Torchwood. Per fortuna il sistema di protezione aveva salvato la struttura dal distruggersi in mille pezzi. Corremmo a controllare, sperando fosse il Tardis. Ma non era lui. In cielo, come una pioggia argentea, tantissimi Cyberman stavano cadendo e distruggendo ogni cosa si trovasse sotto di loro.
<< Torniamo dentro! Presto! >> Jack mi tirò per la manica della maglia e tornammo dentro, al sicuro.
<< Devo prendere mia madre! Non posso lasciarla! >> Urlai per sovrastare i forti rumori.
<< Vado a prenderla io, ma tu promettimi di restare qui, immobile! >> Urlò di rimando. Per una volta. L'unica nella mia vita, obbedii ad un ordine. In fondo era Jack. Mi fidavo di lui, e non avrei mai fatto nulla che avrebbe potuto metterlo nei guai. Avevo lasciato che rischiasse la vita per i miei genitori, solo perché ne aveva molte altre a disposizione. Non avrebbe perso nulla.
Venti minuti dopo, Jack era tornato con mia madre, mia nonna e il mio bisnonno. Al Torchwood potevano sentirsi al sicuro dalla Cyber minaccia. Mentre li rassicuravo e gli porgevo una tazza di tè ciascuno, sentii Jack parlare con qualcuno. Stava nel suo ufficio, con la porta socchiusa.
<< Si, e lei l'ha sentito. Ok, a presto. >> Fece e posò furtivamente il telefono che aveva in mano, guardandosi intorno. Lo raggiunsi e aprii la porta.
<< Con chi parlavi? >> Chiesi apparendogli alle spalle all'improvviso. Lo presi alla sprovvista per non dargli il tempo di inventarsi una scusa decente. Balbettava come un demente, tentando di dirmi che era un parente o chissà chi.
<< Parlavi col Dottore, vero? >> Anche questo l'avevo percepito. Aveva il suo numero e in venti anni non me l’aveva mai detto. Avrei potuto telefonarlo, dirgli quanto mi mancasse, sgridarlo per come mi aveva lasciata. Avrei potuto domandargli come stava, cosa faceva, se aveva già trovato qualche altra compagna …
<< Si. >> Ammise infine.
<< Perché non me l'hai detto? >> Chiesi evitando scenate. Quella la stavo facendo nella mia mente.
<< Perché non voglio che te ne vai! >> Sbottò.
Quell'affermazione mi prese alla sprovvista. Il mio unico cuore prese a battere all'impazzata. Da quanto me lo teneva nascosto? Non sapevo cosa dire, così aspettai che facesse lui una mossa. Ma neppure lui fece nulla, anzi, girò i tacchi e si allontanò. Lo fermai, prendendogli una mano.
<< E perché non me l'hai detto prima? >> Lo sgridai con un sorriso. Lui ricambiò il sorriso poi mi baciò. Stavolta fui io a ricambiare. Lo spinsi sul tavolo della scrivania, lui si girò prendendomi per il busto e facendomi sedere. Era così forte che sembrava stesse sollevando un cuscino. Buttò giù tutti gli ostacoli che ci impedivano di stare comodi. Mi tolse rapidamente la maglia e la lanciò lontano, feci lo stesso con la sua, approfittandone per toccare i suoi muscoli. La sua mano mi scivolò delicatamente sul collo, toccandomi il seno e scendendo fino all’ombelico. La sua bocca famelica mi morse le labbra mentre mi baciava furiosamente. Si tolse i pantaloni e le mutande insieme. Poi pensò alle mie. Sfilò tutto in meno di un secondo e la sua bocca scese tra le mie gambe. Riuscii a toccare le stelle con le dita grazie alla sua lingua. Immaginai quanta esperienza poteva aver fatto con tutti quegli anni avuti a disposizione. Mi aggrappai alla scrivania e nel momento in cui stavo per avere il primo orgasmo, lui si fermò. Strinsi le gambe. Quanto lo desideravo! Mi aprì con forza le gambe e i nostri corpi si confusero. Facemmo l'amore sulla sua scrivania, attenti a non farci sentire dai miei parenti e dagli altri componenti del Torchwood che, se vivi, stavano per arrivare. Quella notte per me, non c’era nessuno se non lui. E fu così finché non finimmo.
<< Resterai con me? >> Mi chiese mentre mi rivestivo. Il sudore mi ricopriva. Sarebbe stato meglio fare una doccia.
<< No. >> Risposi. << Verrai tu con noi. >>
Uscii dalla stanza, senza guardare il suo viso per non sapere ciò che stava provando. Non volevo lasciarlo, ma non volevo lasciare neppure il Dottore! Il resto del personale del Torchwood non si fece vivo, cercammo di contattarli ma nessuno rispose. Jack temeva il peggio.

Decidemmo di andare a perlustrare la situazione da soli. Prendemmo le armi e girammo per la città in cerca di superstiti da aiutare. Ma non c'era quasi nessuno da aiutare. La città era stata rasa al suolo. Grosse nuvole di fumo nero raggiungevano compatte il cielo, mentre il rosso del fuoco ancora si impossessava di tende e di tutto ciò che riusciva a bruciare. Gli edifici, oramai ridotti in cenere, ostruivano le strade e ci costringevano a fare attenzione a cosa calpestavamo, oltre che a farci cambiare percorso più e più volte.
<< Elementi ribelli, cancellare! >> Urlarono due Cyberman puntando le loro armi contro di noi. Li sparammo con le armi aliene di cui disponeva il Torchwood. Poi in lontananza vedemmo un bambino in difficoltà. Era il primo essere vivente che vedemmo in giornata. Ringraziammo il cielo per quell’anima salvata.
<< Ho perso la mamma! >> Piangeva. Lo aiutammo, chiamando ad alta voce i nomi, a trovare i suoi genitori. Si erano nascosti in bunker sotterranei che risalivano alla seconda guerra mondiale. Ovviamente tutti si nascondevano come meglio potevano. Alcuni si barricavano in casa, chi poteva prestava servizio militare, sennò aiutavano le altre famiglie in difficoltà. Tutte le grandi autorità chiamavano noi per chiederci aiuto, ma non potevamo fare granché in due. Era scoppiata una guerra, i giornalisti la chiamavano Terza Guerra Mondiale. Ma in fondo il termine ''mondiale'' era usato impropriamente. Non c'era di mezzo solo il mondo, ma parte dell'universo. Era, in realtà, la Terra contro gli alieni.

<< Che facciamo? >> Chiesi dopo altre domande per chiarire la terminologia ''Cyberman'' e cosa essi erano in grado di fare.
<< Non lo so! >> Urlò spazientito. Tutti i miei parenti si girarono spaventati. Li guardai per rassicurarli, poi tornai su Jack. Lo accarezzai per tranquillizzarlo.
<< Scusami! >> Disse nervoso e si allontanò. Ero sicuramente io la causa del suo nervosismo, oltre, ovviamente, all'attacco dei Cyberman. L'avevo deluso dopo avergli fatto credere qualcosa di diverso da ciò che volevo io. Ma non l'avevo fatto apposta. Era capitato e basta, e a quanto sapevo era lui quello libertino!
<< Senti, viviamo questa storia come va, ok? Niente complicazioni, niente distrazioni. Solo istinto. >> Dissi, avvicinandomi a lui. Mi guardò, dubbioso. Poi sorrise.
<< In pratica stai dicendo che la viviamo alla Jack Harkness! >> Rispose.
<< Esatto! >> Gli diedi una gomitata, ridendo e dimenticando per un attimo tutti i problemi.
Per tre settimane la situazione rimase immutata. I sopravvissuti si univano, definitivamente e indistintamente dal sesso dalla razza e dall'età, all'armata inglese. Tutti andavano bene per difendere la patria, bambini compresi. Noi pensavamo a cosa fare, ma senza la mente non avevamo idee.
<< Potremmo amplificare il potere delle armi alimentandola con la fessura, ma il raggio d'azione coprirebbe solo l'Inghilterra, l'Irlanda e parte della Francia. >> Propose Jack, mostrandomi i computer super moderni, che per quel periodo erano molto avanzati. Erano sicuramente di qualche secolo successivo.
<< Li dimezzeremo, è già un gran passo in avanti. >> Annuii. Premette alcuni tasti a caso e ci fu una scossa di terremoto.
<< E' normale! >> Urlò per sovrastare il baccano. Mi prese per mano e ci tenemmo forte per non rischiare di cadere. Dopo cinque minuti si ristabilì la calma. Attraverso i computer ci accertammo che, nel raggio indicato da Jack, i Cyberman fossero scomparsi.
Le riprese mostravano le strade piene di ''cadaveri'' di quei maledetti alieni. Aveva funzionato! Ma il lato negativo era che tutti, dopo aver visto cosa eravamo in grado di fare, volevano il nostro aiuto, la nostra tecnologia. Ci arrivavano messaggi da tutto il mondo. Italia, Francia, Germania, America, Russia. E noi non sapevamo come fare. Ci sentivamo così impotenti!

Poi successe quello che aspettavamo da troppo. Sentimmo quel dannato rumore e vedemmo apparire la cabina blu, proprio nel Torchwood ad un piano di distanza da noi.
<< Ci penso io! >> Urlò uscendo dalle porte del Tardis. << So come fare ad ampliare il raggio in tutto il mondo! >>
<< Come? >> Chiese Jack.
<< Passami quel filo nero e quel cavo rosso e collegali alla struttura del Torchwood, come facesti per mandarmi quel segnale che mi permise di arrivare sulla Terra, ricordi? >>
<< Si! >> rispose Jack obbedendo. Nel frattempo montò qualcosa che sembravano delle mattonelle giocattolo.
<< Poi metti questo nella macchina per ampliare l'energia presa dalla fessura. Ed io collego il tutto al Tardis, un po' della sua energia sarà sufficiente! >> Collegò dei cavi fin dentro al Tardis, che, per tutta risposta, sussultò sentendosi togliere energia.
<< Jamme ja! >> Urlò ancora e cliccò il pulsante fatale. Il raggio, come aveva previsto il Dottore, funzionò. In tutto il mondo i Cyberman stavano morendo, uno dietro l'altro come tanti computer che andavano in corto circuito nello stesso momento. Accadde tutto così in fretta che non mi passò neppure per la mente di salutarlo. Lui e Jack continuarono a correre avanti e indietro per il Torchwood come due esauriti. Mentre io ero immobile. Non avevo idee su cosa fare o cosa dire. Aspettavo che mi chiedessero qualcosa, ma non arrivò nessun ordine per me, anzi sembravo invisibile, non mi consideravano proprio. Li vedevo sfrecciare da un lato all'altro, cliccando pulsanti e dando comandi vocali a macchine intelligenti, a volte pensavo si sarebbero scontrati come due biglie, ma purtroppo non successe. Peccato, sarebbe stato divertente!
Cosa avrei fatto dopo? Sarei rimasta con Jack? O avrei seguito il Dottore? Li amavo entrambi, in modi diversi, platonicamente il Dottore e fisicamente Jack. E non volevo essere costretta a scegliere uno di loro. Volevo restare con tutti e due per sempre, viaggiando col Tardis, un'altra cara e muta amica. Passare il resto della mia infinita vita con loro, sarebbe stato perfetto.
<< Jack controlla i video dei telegiornali di tutto il mondo, giusto per essere sicuri che abbia funzionato. >> Chiese il Dottore a Jack da tre piani di distanza mentre scendeva, più veloce che poteva, le scale. Jack corse ai computer e controllò.
<< Stanno morendo tutti! >> Urlò. << La posta elettronica è piena di ringraziamenti da parte di tutti i pezzi grossi di tutto il mondo! >>
Il Dottore gli apparve alle spalle per controllare coi propri occhi ciò che aveva affermato. Dopo qualche secondo, risero e si abbracciarono.
<< Ottimo lavoro. E non avete neppure avuto bisogno di me! >> Dissi. I due si bloccarono, sciogliendo l'abbraccio. Il Dottore si girò e mi guardò serio, quasi con sguardo severo. Pensai volesse sgridarmi per qualcosa, ma la sua espressione cambiò in un quarto di secondo. Si allargò un sorriso che arrivava alle orecchie e corse ad abbracciarmi. Per la velocità che aveva raggiunto quasi mi buttò a terra, durante lo scontro. Mi afferrò e mi alzò da terra, facendomi girare. Mingherlino com’era mi stupii che ce l’avesse fatta. Lo strinsi forte, inalando il suo buon odore e tastando la sua presenza, sperando che fosse davvero lui e non un'illusione o un ologramma. Con lui non si poteva mai sapere cosa sarebbe successo!
Erano passati venti anni ed ero morta tre volte per aiutare l'umanità nel Torchwood, in attesa che tornasse. Ma avevo capito che se il Dottore tornava, era sempre per la presenza di una catastrofe imminente, o già iniziata. Forse per questo Jack sembrava amare e odiare l'arrivo del Dottore.
<< Cos'era quella strana lingua che hai nominato prima? >> Chiesi.
<< Era il dialetto napoletano! Jamme ja! Sono stato recentemente a Napoli, in Italia e sapete cos'ho scoperto? Che il Mickey Mouse che conoscete è nato lì. Un certo Michele Sorece l'aveva disegnato per l'etichetta di una bevanda all'anice del suo negozio. Poi emigrò in America e per caso bevve un sorso della sua bevanda col Signor Walter Disney che ebbe così l'idea per il famoso topo che prende proprio il nome dal creatore. Infatti Mickey Mouse è l'inglese per Michele Sorece. La prova che ciò che dico è vero è che Walt non ha mai fatto togliere quel topo, per plagio, dalla bevanda napoletana! Chi l'avrebbe mai pensato! >> Disse tutto d'un fiato. Sorrisi, non l'avevo neppure ascoltato, chi nell’intero universo sarebbe riuscito a stare al passo della sua lingua? Mi fissò strano, chiedendosi cosa avessi da ridere.
<< Mi sei mancato! >> Dissi, tornando ad abbracciarlo.
<< Anche tu mi sei mancata! >> Rispose sprofondando con la faccia nei miei capelli. Il tempo sembrò fermarsi mentre i nostri corpi si stringevano. Poi una voce si insinuò nella calma del momento.

<< Barbara presto vieni qui! >>
Era la voce di mia nonna. Corsi nella loro direzione. Vidi, da lontano, mia mamma stesa a terra in preda alle convulsioni.
<< Donna! >> Urlò il Dottore, scivolando al suo fianco. L'aveva sentito, l'aveva visto, si era ricordata di lui. E ora stava morendo.
Seguii il Dottore al suo fianco e la calmai accarezzandole la fronte.
<< E' tutta colpa mia, mi ero dimenticata di lei! >> Dissi scoppiando in lacrime.
<< Dottore! >> Disse mia madre con un filo di voce. << Felspoon. >> Accennò un sorriso.
<< No, Donna resisti! Non puoi lasciarmi di nuovo! >> Sussurrò, stringendole la mano.
<< Cosa posso fare? >> Singhiozzai. << Ti prego Dottore, ci dev'essere qualcosa che posso fare! >>
<< No, >> mi rispose mia madre, << niente, ho controllato nel mio cervello da Signora Del Tempo. >> Sorrise ancora. << Sono ancora il Dottore - Donna! >>

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Capitolo 16
*** -Basta!- ***


[Pov Tardis]
Il Dottore - Donna era tornata. Credeva di essere spacciata, ma non aveva considerato Barbara e le sue nuove capacità. Anche lei era per metà Signora Del Tempo e pur non avendo l'intelligenza superiore, aveva conservate altre rigenerazioni.
<< Dottore. Aiutami a salvarla! >> Sussurrò Barbara al Dottore. La sua testa stava scoppiando. Si, Barbara poteva salvare Donna, donandole le sue rigenerazioni, ma poi sarebbe morta. Il Dottore avrebbe potuto dire a Barbara ciò di cui lei era capace, ma poi sarebbe stato come ucciderla. E se non l'avesse fatto sarebbe stato come uccidere Donna.
Si trovava di nuovo di fronte ad una scelta impossibile. Chi doveva morire? Barbara? Lei era così giovane, aveva ancora molto tempo davanti a sé. Oppure Donna? La sua fedele compagna perduta in battaglia. Con la quale aveva ancora un conto in sospeso. Le doveva molto e non poteva lasciarla morire.
Perché era sempre lui il fattore decisivo per tutte le scelte? Perché doveva sempre soffrire in un modo o nell'altro? Odiava quei momenti, in cui doveva essere un dio. Decidere chi viveva e chi moriva. Lui voleva solo viaggiare! Ed era in quei momenti che si pentiva di non aver accettato l'offerta dei Crylitani. In quei momenti dove tutti si aspettavano che facesse la scelta giusta. In fondo lui era il Dottore! Se non era giusto lui, chi lo era?
<< Dottore! >> Urlò Barbara. Lui aveva lo sguardo perso nel vuoto, ancora pensava a chi doveva salvare la vita. Jack, vedendolo in difficoltà, si avvicinò a Donna. Aveva capito la situazione e voleva aiutare.
<< Hey, ti ricordi di me? >> Chiese.
<< Si, Capitano Jack Harkness. Ti ho abbracciato spesso durante il nostro ultimo viaggio ... >> Fece una pausa per prendere fiato. << I Dalek! >> Fece poi ridendo.
<< Si! >> Disse Jack. << E quando i Dalek hanno colpito di nuovo, abbiamo scoperto che il tuo dna Signore Del Tempo era finito anche in tua figlia. Lei ha preso le rigenerazioni però … >>
Donna guardò prima Jack, poi il Dottore. Nei suoi occhi c’era adesso una scintilla di paura. Ma non per sé, mai per sé. Per sua figlia. Per la vita di sua figlia.
<< No! >> Disse al Dottore, afferrandogli la giacca. << Non permetterglielo! >>
<< Non permettere cosa? >> Chiese Barbara ai due. << Non permettermi cosa? >> Urlò. Nessuno dei due le rispose.
Jack aveva reso la cosa più facile al Dottore, ma più difficile a Barbara, che sapeva di poter fare qualcosa ma non sapeva cosa e come. Aveva lasciato la scelta alla diretta interessata, piuttosto che a lui. E Donna aveva scelto di far vivere la sua bambina, com'era giusto che fosse. Un genitore non dovrebbe mai sopravvivere ai figli …
<< Ok, credo che ci dobbiamo dire di nuovo addio ... >> Disse lei sbarrando gli occhi. << The best of times … >> Sussurrò con un filo di voce al Dottore.
<< The best. >> Rispose lui mentre lei spirava. I suoi occhi si chiusero nell'abbraccio freddo della morte.
<< No! >> Urlò Barbara abbracciandola. << No, Dottore dimmi cosa posso fare! Ti prego! Dottore aiutami! >> Lo supplicava. Ma Donna aveva deciso. E come ogni mamma avrebbe fatto, aveva scelto la figlia. Era morta per amore. Mi venne in mente la rigenerazione del Dottore dal nono al decimo. Quando aveva deciso di morire per salvare Rose dal Bad Wolf, il vortice del tempo che aveva usato per salvare lui. Entrambi erano morti per salvare l'altro.
<< Dottore perché mi fai questo? Ti prego! >> Continuò lei a supplicarlo, la sua voce si faceva sempre più roca per colpa del pianto e del continuo urlare. E più lui non rispondeva, più la sua rabbia aumentava. Urlò così forte che rimbombò per tutta la struttura del Torchwood, facendo spaventare anche lo pterodattilo che stava per la prima volta tranquillo nella sua piccola caverna. L’animale ricambiò l’urlo con la stessa potenza.
<< Mi dispiace … >> Sussurrò lui.
<< Ti dispiace? >> Sputò lei con disprezzo. << Non ci faccio nulla con le tue scuse! Non mi serviranno per salvare mia madre! Per quanto mi riguarda puoi ritenerti un assassino! >>
In quel momento, dopo aver urlato l'ultima parola, iniziò a brillare. Il Dottore si sorprese di come fosse arrivata da sola alla soluzione del suo problema. Non era riuscita a controllare le rigenerazioni, le rigenerazioni controllavano lei e seguendo le sue emozioni e le sue volontà stavano agendo. La sua parte umana era riuscita a controllare e a comandare la parte Signora Del Tempo. Il Dottore l’aveva sempre pensato che la razza umana era forte.
<< No! Non farlo! >> La avvertì il Dottore, mentre faceva cenno agli altri di allontanarsi dalla bomba ad orologeria. Lei lo guardò intensamente negli occhi, come se sapesse ciò a cui andava in contro e sorrise, mentre si appoggiava a sua madre.
<< Anche con me è stato divertente vero? >> Chiese con lacrime brillanti agli occhi. Il Dottore la guardò accigliato, avrebbe voluto risponderle acidamente e sgridarla per ciò che stava per fare, ma proprio non ci riusciva. Capiva bene ciò che stava provando. Al suo posto avrebbe fatto la stessa, identica cosa.
Ricambiò, con sforzo, il sorriso. << E' stato magnifico! >> Rispose. Una lacrima gli rigò il viso. Una sola lacrima da dividere in due, due stati d'animo che si scontravano come un Dalek e un Cyberman. E ovviamente, come accadrebbe in un incontro tra un Dalek e un Cyberman, solo uno dei due prevaleva.
Vedere la vita andar via da una persona cara era sempre un dramma per il Dottore, che diventava ogni volta più pesante e più difficile da affrontare. La sua anima e il suo cuore erano a pezzi e nessuna colla, neppure la più potente, poteva riattaccare i cocci.
Il cadavere di Barbara giaceva a terra immobile. Non brillava più, ora era freddo e bianco, con le ossa che facevano capolino da sotto gli abiti stretti. Sembrava fosse bruciata viva anche se intorno a lei non c'erano fiamme. Stava, velocemente, diventando cenere.
<< Cos'è successo? >> Chiese Donna aprendo gli occhi. Il Dottore la abbracciò, evitando di farle guardare il corpo, o ciò che ne rimaneva, di sua figlia.
<< Va tutto bene, stai calma. >> Sussurrò lui, ma lei capì che c'era qualcosa che non andava.
<< Metti giù quelle manacce! >> Si girò scorbutica lei. << Dov'è mia figlia? >>
<< Donna, mi dispiace … >> Provò il Dottore, tentando di impedirle di girarsi, ma senza successo.
<< Oddio! >> Urlò. << No! Dottore perché gliel'hai permesso? >>
<< Abbiamo fatto di tutto ma chi, al posto suo, non avrebbe fatto lo stesso? >> Domandò. Donna scoppiò in lacrime. Aveva il Dottore, ma non aveva la cosa più bella che le aveva donato la vita. Tempo prima, pensava che incontrare il Dottore fosse stata l'unica cosa che la rendeva speciale. Chi non l'avrebbe pensato? Una comune mortale che viaggia nello spazio e nel tempo con un alieno. Se qualcuno gliel'avrebbe raccontato, lei si sarebbe sbellicata dalle risate. Ma cosa c'è di più importante di una figlia? E lei l'aveva persa per colpa del suo viaggio col Dottore. Se non fosse mai andata in giro con lui, il suo dna sarebbe stato pulito e la sua bambina sarebbe stata ancora viva, ma al suo posto sarebbero morte altrettante persone, se non tutto il genere umano.
<< E' stata molto coraggiosa. >> Le sussurrò il Dottore, mentre ancora l'abbracciava. Oramai quella era l'unica cosa che poteva fare. E l’avrebbe capita se lei non avesse voluto più vederlo. L'avrebbe assecondata, ne aveva tutto il diritto. Voleva tanto aggiustare le cose con lei, e invece le aveva complicate.
Restarono così per molto tempo, stretti in un pianto silenzioso al quale nessuno dei due voleva mettere fine. Jack li osservava, distrutto quanto i due, pregando silenziosamente per un miracolo che, sapeva, non sarebbe mai arrivato.
… No, i suoi compagni non erano solo comparse agli occhi del Dottore. Loro erano i veri protagonisti. Cos'era lui senza i suoi amici, la sua famiglia? Come aveva detto Sarah Jane ''Il dolore e la perdita fanno parte di noi come la felicità o l'amore. Che sia un mondo o una relazione, tutto ha il suo tempo e tutto finisce.''
Ripensava a quella frase ogni volta che doveva dire addio a qualcuno. Alcuni addii erano più dolorosi, altri venivano prima del tempo, altri ancora erano sereni come una bella giornata su Gallifrey, sotto il cielo arancio bruciato, all'ombra delle foglie argentate che si infuocavano sotto la luce cocente dei due soli gemelli. Quanto sentiva la mancanza della sua famiglia, la sua vera famiglia, quella di sangue, quella che aveva sul suo bellissimo pianeta nascosto dentro una splendente cupola! Con loro poteva essere sempre sé stesso. Era sempre felice e non aveva mai bisogno di mentire. Poi arrivò la fine. La fine di tutto ciò che amava. Una fine dettata dalle due cose che odiava di più: la guerra e i Dalek. Non capiva proprio perché tutti i popoli dell'Universo (fatta eccezione per i Dalek, perché li capiva [capiva, non accettava], loro erano progettati per non avere emozioni) dovessero necessariamente risolvere i problemi con la guerra. A partire dagli umani, fino ad arrivare ai Signori del Tempo. La guerra. Tutti la odiavano, ma nessuno voleva dire -basta!-. Quella parola era tutto ciò che serviva, tutto ciò che poteva rendere migliori gli esseri umani e tutti gli alieni. Una semplice parola che però aveva in sé tanta potenza da far finire o iniziare un nuovo mondo. Basta morti, basta addii, basta dolore, basta tristezza. Basta!

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Capitolo 17
*** La Fabbrica Dei Sogni ***


[Pov Barbara]

Tutto dentro di me bruciò, perfino la mia essenza. Non sentivo più il mio corpo e pensai che la mia anima stesse svolazzando per andare in paradiso, o all’inferno. Ma non fu così.
Il nastro si riavvolse. Quasi riuscivo a sentire il fastidioso rumore delle vecchie cassette come un brutto sibilo che sembrava non volersi fermare. Vidi dinnanzi ai miei occhi tutto ciò che avevo fatto insieme al Dottore e insieme a Jack, non dal mio punto di vista, ma come in un film, c’ero anche io in quelle immagini sfocate, come se non l’avessi vissuto davvero.
Mi svegliai di botto. Il mio cuore batté così forte che pensai volesse uscirmi dal petto e andare via per rifarsi una vita per conto suo. Mi guardai intorno, ero nel Tardis. Qualcosa, mentre osservavamo l’universo e il compattarsi dei primi pezzi di terra, ci aveva fatto sballottare e avevamo rischiato di farla esplodere, di nuovo. Ma il Dottore mi aveva rassicurata dicendo che aveva gli scudi alzati, quindi eravamo al sicuro. Aveva guardato fuori e non aveva trovato nessuno. Chiunque ci avesse sfiorati se n'era andato. Ma chi poteva essere quel qualcuno? Eravamo andati ai confini nell'universo, all'inizio di tutto, non poteva esserci nulla tranne noi.
Mi ripresi, ero sudata e spaventata, e tutto ciò che era accaduto mi sembrò solo un sogno. Era stato solo un sogno, eppure era così reale! C'era qualcosa che non andava. Di solito i sogni che facevo erano sfocati e molto corti, ricordavo pochissimo, se non nulla. Invece questo sogno era diverso, ricordavo tutto nei minimi dettagli. Ogni odore, ogni colore, ogni sensazione, ogni emozione. Quelle persone non potevano essere fittizie. Le avevo inventate? Quindi non c'era nessun Jack? Bhè, era abbastanza ovvio. Un uomo tanto perfetto non poteva essere vero! L'avevo inventato di sana pianta e anche se non lo avevo conosciuto davvero, già sapevo che mi sarebbe mancato. Ma almeno avevo il Dottore … Lui era reale, questo lo sapevo bene.
Il Dottore! Dovevo trovarlo! Ma ero sola e al buio. Il Tardis sembrava morto e avevo un forte dolore al collo. Tentai di massaggiarlo, ma quando lo toccai, un cavo si staccò dalla mia nuca e cadde a terra, scomparendo in una piccola nuvola di fumo. Mi allontanai da quella schifezza viscida che avevo attaccata al mio corpo e constatai che non fosse rimasto un qualche buco o chissà cosa. Ma il mio collo era liscio come prima, nulla che non andasse.
Appena i miei occhi si furono adattati alla poca luce, intravidi, sulla panchina, il Dottore che dormiva. Dietro il collo aveva il mio stesso cavo. Da quella prospettiva sembrava un viscido verme bavoso. Che schifo.
<< Dottore, svegliati! >> Dissi scuotendolo. Ma probabilmente non mi sentiva. Senza pensare, lo spinsi a terra.
<< AHHH!!! >> Urlò, svegliandosi di soprassalto. Si sa che quando stai per cadere, ti svegli ...
<< Abbiamo fatto un brutto sogno! >> Dissi al Dottore. << Ti ricordi, mi avevi portato all'inizio dell'Universo e qualcosa ci aveva presi, ma poi non hai visto nulla ... >>
Si alzò, senza dire una parola e aprì le porte del Tardis. Una luce forte accecò i miei deboli occhi che da poco si erano abituati al buio.
<< Dove siamo? >> Chiesi. C'era una stanza, fuori da quelle sicure porte. Una scritta prendeva tutta la parete. ''La fabbrica dei sogni''. Era tutto scuro, eppure emanava una forte luce calda. Molto calda. La struttura era sorretta da delle colonne che si interrompevano a metà. In effetti ‘sorretta’ non era il termine adatto. In quell’unica stanza, ad ogni lato, c’erano almeno tre porte. Chissà dove conducevano. E cos’era quella fabbrica? Una figura indefinita si avvicinò. Inizialmente mi sembrò solo un punto bianco, poi prese delle sembianze umanoidi.
<< Salve. >> Disse quella che sembrava una donna alta e bella, vestita come un angelo. Cioè, aveva un abito bianco e delle ali. Non intendevo che la sua bellezza era paragonabile a quella di un angelo. Era sono una donna con le ali. << Benvenuti nella Fabbrica dei Sogni … >>
<< Chi siete e che ci facciamo qui? >> Chiese il Dottore uscendo. Non sembrava neppure una domanda per come l'aveva detto, ma era ovvio che voleva una risposta. Lo raggiunsi più in fretta possibile, avevo paura a rimanere da sola, pur stando nel Tardis, il luogo più sicuro dell'universo. Avevo ancora impresse le immagini di mia madre che rischiava di morire bruciata, da sola, in quello stesso Tardis. Mi chiedevo se quel sogno così reale avesse qualcosa a che fare con quella fabbrica. Sai com’è, la fabbrica dei sogni non sarà un nome messo a caso …
<< Qui noi ci nutriamo del futuro. Quello che voi avete sognato era il vostro futuro, ma non è ancora accaduto. Se la tua amica non avesse deciso di morire, ci saremmo nutriti di voi per sempre!>> Urlò l'ultima frase e si trasformò in un orrendo mostro gigante, tutto rosso, anche di rabbia. Se ne stava lì fermo e ci fissava. Aveva tre teste, ognuna con degli occhi mostruosamente rosso sangue e delle bocche da far invidia ad un cerbero. Le zanne poi, avrebbero potuto infilzare plutone e scaraventarlo in pieno spazio. Il corpo sembrava il misto di un cane e di un orso, ma con delle piccole ali. A me sembrava più un pollo. Non che non mi facesse paura! Cioè, mi stavo facendo sotto, ma era anche ridicolo!
Mi avvicinai al Dottore e insieme reggemmo il peso del suo sguardo. Avremmo potuto ucciderlo con uno sguardo? Il Dottore, a quanto mi sembrava, pensava di si. Non sapevo se muovermi, oppure aspettare e fare due chiacchiere. Il suo improvviso prendere la rincorsa e sputare fuoco su di noi ci fece capire che era il momento di correre. Il suo stomaco si illuminò prima che cacciasse il fuoco. Insomma, era un drago, altro che pollo, orso o cane! Avrei persino detto che fosse una lucertola piuttosto che un drago. Non ne avevo mai visto uno, ma non mi aspettavo un essere tanto ridicolo. I draghi nella mitologia erano sempre raffigurati come delle creature spaventosamente belle. Questo non era nulla di tutto ciò!
Ci rintanammo nel Tardis e chiudemmo le porte prima di fare la fine di due buonissimi marshmallows.
<< E’ un drago? >> Chiesi.
<< No! Ma che dici! I draghi sono molto più belli e sputano molto più fuoco! >> Mi disse.
Poi si mise a pensare. Rimase a grattarsi i capelli per un bel po’. Il fuoco colpì il Tardis e il calore si disperse nella stanza. Ancora qualche sputo e saremmo morti abbrustoliti.
<< Piccoli Diavoli! >> blaterò. << C'era da aspettarselo! >>
<< Che stai imprecando? >> Chiesi pensando forse la forma di bestemmia di un Signore Del Tempo. In effetti non ci avevo mai pensato. Chissà quali erano le loro imprecazioni e con quale dio se la prendevano …
<< E' il loro nome. Piccoli Diavoli. Sono esseri che si nutrono del futuro attraverso i sogni, ma si sa che l'unica cosa che non si può fare in un sogno è morire. E dato che hai deciso di morire, ti sei risvegliata e gli hai tolto il nutrimento! >>
<< Quindi ho fatto bene? >>
Dopo aver detto quella frase, con la voce di una bambina di cinque anni che chiede una caramella, mi sentii così stupida. Non per ciò che avevo chiesto, m’interessava il parere del Dottore, lui era l’esperto in cose aliene; ma perché avevo usato davvero un tono in cui non mi rispecchiavo.
Il Dottore si girò per guardarmi bene in faccia. Sembrava arrabbiato o infastidito. Poteva mai essere che non ne facevo una buona? Avevo sbagliato? Dovevamo restare per sempre nel sogno?
Ma come al solito mi sbagliavo. Proprio non sapevo leggere le espressioni del suo viso. No, forse era lui che provava troppe cose insieme, o era lunatico, o bipolare. Quest'ultima psicosi avrebbe chiarito tutto.
<< Si. >> Mi rispose sorridendo. Ma era un sorriso triste e stavolta non avevo dubbi. Chissà a chi era rivolto, questa volta, il suo pensiero.
<< Come ammazziamo questi stronzi? >> Chiesi assetata di sangue.
<< In realtà basta soffiarci sopra appena sputano fuoco … >> Spiegò. No, forse ero io che avevo ancora qualcosa che non andava alle orecchie. Un effetto collaterale del sogno ...  Perché, allora eravamo scappati?
<< Dobbiamo soffiare per farli morire? Un semplice soffio? Ma che diavolo...!! >>
E così, armati di grossi polmoni, uscimmo fuori dal Tardis e ci tenemmo pronti ad ucciderli tutti. Il primo Piccolo Diavolo stava per risputarci fuoco addosso, ma con un soffio finì, morto, a viaggiar nell'aria insieme ai miasmi. Senza più preoccupazioni, potemmo concentrarci su altro, tipo sul Tardis, era ancora tutto buio dentro e anche lei era attaccata ad un tubo. Anche lei stava sognando. Poteva?
<< Come svegliamo il Tardis? >> Chiesi.
<< Stacchiamo il tubo. >> Mi rispose mentre si accingeva, senza successo ad arrampicarsi sulla sua adorata cabina telefonica. Gli porsi in fretta le due mie mani saldamente intrecciate. Lui ci poggiò il piede sopra e lo guardai fare strane mosse che mi fecero intendere che aveva problemi a finire la salita. E quello fu il pretesto per fare una cosa che avevo atteso a lungo. Allungai le mani e le poggiai su quelle natiche che da tempo sembravano parlarmi. L’ultima spinta e si ritrovò sul tetto.
<< Ok, grazie, puoi toglierle ora! >> Disse e, con estremo imbarazzo, mi ricordai di mettere via quelle manacce che in realtà desideravano un altro uomo. Quello dei miei sogni, quello che non esisteva. Mi sembrò quasi di essere tornata la ragazza di un tempo, prima dell’incontro col Dottore, quando guardavo i film e m’innamoravo degli attori. Sapevo che erano solo personaggi e che nella realtà non erano per niente ciò che interpretavano, ma non potevo farne a meno. Amavo Klark Kent, con la sua imbranataggine e il suo coraggio. Amavo il capitano Malcolm Reynolds scorbutico, ma leale e valoroso. I fratelli Winchester, cacciatori di demoni sempre nei guai. Daenerys Targaryen, donna coraggiosa e forte. Bruce Wayne miliardario fascinoso e giustiziere della notte. E potrei andare avanti per ore! Avevo sempre sognato di essere come loro o di vivere un’avventura come la loro ed in quel momento mi sentivo davvero la protagonista di una serie tv. L’eroina che viaggia nello spazio e nel tempo con un alieno, salvando mondi e mondi, e tentando di rimanere sana di mente e di aggiustare alcuni piccoli problemi in famiglia. Finito tutta questa storia sarei tornata di corsa a casa, avrei abbracciato mia madre e le avrei detto tutto ciò che sentivo e che non avevo mai avuto il coraggio di dichiarare.
Appena il Dottore staccò il cavo, le luci si riaccesero. Sexy era tornata.
<< Possiamo andarcene ora? Questo posto mi inquieta! >> Dissi, aiutandolo a scendere. Questa volta senza toccare nulla.
<< Io credo che tutti quelli che sono apparsi nel nostro sogno siano stati catturati, così come il Tardis … >> Provò a spiegarmi il Dottore. Il mio cuore si agitò di nuovo. Anche i miei parenti? Mia madre? Mia nonna? Il mio bisnonno? … I guai non erano ancora iniziati allora!
<< Tutte? >> Chiesi. Annuì. Anche l'uomo dei miei sogni era reale?
Iniziai a camminare, seguendo il Dottore, era l'unica cosa che riuscivo a fare. Anzi non ero io che la facevo, sembrava uscirmi spontanea. Le mie gambe si muovevano da sole, portandomi dove volevo, ma allo stesso tempo non volevo andare. Girammo un angolo e vedemmo una porta. Ci guardammo con sguardo complice e l'aprimmo. Avemmo un sussulto quando trovammo ciò che cercavamo. Jack, l'elfa Eámanë, Bob, Oscar Wilde, Casanova, mia madre, mia nonna e mio nonno. Stavano tutti seduti in capsule piene di acqua con un'etichetta col nome sopra (altrimenti non avrei riconosciuto Casanova). Mi sembravano dei surgelati pronti per essere venduti. I tubi, così come ce li avevamo noi, collegavano il loro collo ad una macchina. L’unica cella vuota era quella di Thiseys. Lo vedemmo, un attimo dopo, raggomitolato in un angolino buio, ovviamente sveglio poiché era morto nel sogno.
<< Finalmente siete arrivati! Vi aspettavo! >> Urlò. La verità era un'altra. Era troppo terrorizzato per fare qualsiasi cosa, e aveva anche ragione. Non conosceva i suoi nemici, quindi non sapeva come agire, ed era stato meglio per tutti non creare ulteriori guai. Quando mi rigirai, tornai ad osservare tutte quelle celle. Ognuno di loro, nel sogno stava ancora vivendo come se lo credesse reale. Nessuno era a conoscenza di ciò che stava succedendo. Se lo avessero saputo, probabilmente, si sarebbero tolti la vita. Chissà cosa avranno pensato quando il Dottore era improvvisamente sparito e subito dopo il Tardis.
Mi salirono le lacrime agli occhi, tentai di girarmi per non farmi notare, ma se ne accorsero entrambi. Il Dottore pensò bene di abbracciarmi, ma non era abbastanza, non quella volta.
<< Dillo, forza, tanto già lo so ... >> Dissi al Dottore, lui capì al volo.
<< Mi dispiace, ma se la svegliamo, morirà. >>
Nel sogno aveva ricordato tutto ed era morta, poi però io ero morta per salvarla. Tutto questo non era successo nella realtà, però avendolo visto l'avrebbe ricordato, così come io ricordavo tutto quello che mi era capitato. Quindi svegliandola sarebbe morta di nuovo. Il Dottore pensò bene di iniziare a svegliare gli altri. Lo aiutai, mentre pensavamo cosa fare. Tirai su il naso e mi feci forza. Io staccavo i tubi e il Dottore tirava fuori dall'acqua le persone. L'elfa si svegliò, seguita da Bob, Oscar Wilde e Casanova.
<< Svegliamo anche Jack? Poi cosa penseranno i miei? >> Chiesi al Dottore.
<< Non lo so, ma dobbiamo farlo. Non possiamo lasciarlo. >>
Annuii e staccai il tubo. Lo tirammo su insieme, poiché la sua massa corporea era troppo pesante anche per tutti e due. Lo poggiammo a terra e aspettammo.
<< Dottore! Eravamo in un sogno? >> Chiese Eámanë capendo al volo tutto l’accaduto. Il Dottore spiegò cos'era successo a tutti quanti, tentando di calmarli. La mia mente si allontanò da quella stanza. Quasi non sentivo più il Dottore che parlava. Come delle onde nelle orecchie, mi concentrai solo sul come salvare mia madre. Misi una mano sul vetro della cella che la conteneva. L’unica cosa da fare per salvarla era lasciarla lì. Ma era davvero l’unica cosa che potevo fare? Ogni decisione andava pesata, ogni cosa poteva avere delle conseguenze devastanti.
<< Anche se era solo un sogno, volevo ringraziarti. In fondo hai fatto molto per me. >> Disse Bob, svegliandomi dal torpore e distruggendo il filo logico dei miei pensieri che si erano nutriti del silenzio e della calma delle onde marine. Mi baciò sul collo. Mi scansai. Non era il momento né la persona giusta.
<< Prego. >> Risposi fredda, stringendomi nelle braccia. Lui si allontanò, pentendosi di quel gesto troppo ...
Troppo.
Tornai a fissare mia madre, pensando a come salvarla. Io avevo trovato solo due opzioni, una delle quali era morte certa per lei. Ma ero sicura potesse esserci ancora qualche alternativa, ma la mia mente umana non ci sarebbe mai potuta arrivare. Poggiai la testa su quel vetro freddo e stavo per lasciar cadere una lacrima, quando fui interrotta, di nuovo. Una mano poggiata sulla mia spalla mi pesava come se avessi addosso il mondo. Mi girai nervosa.
<< Mi dispiace. >> Fece Jack alzando le mani come per proteggersi da un eventuale colpo che sarebbe partito direttamente dal mio stato d'animo non proprio al settimo cielo. << Ma io sono qui, sempre. >>
Ero convinta che sarei stata felice nel trovare Jack, l'uomo dei miei sogni, vivo e pronto per stare con me. Ma c'era stata una complicazione che mi aveva distolta da lui. Scoppiai a piangere e finii con l'affogare i singhiozzi, che da troppo trattenevo e che mi avevano bloccato pesantemente un groppo in gola, sul suo bel cappotto blu, mentre Oscar ci provava spudoratamente col Dottore, e Casanova ci provava con Eámanë. Era davvero imbarazzante quanto poteva essere degradante incontrare i propri idoli.
<< Dottore che succede se non la sveglio? >> Chiesi, riprendendomi dal torpore delle lacrime. Mi allontanai da Jack e spostai Oscar per avere una visuale libera degli occhi del mio Dottore.
<< Continuerà a vivere in quel mondo finché non morirà di vecchiaia >> Disse.
<< Senza intoppi? >>
<< Senza intoppi. >>
<< Puoi promettermelo? >> Chiesi ancora.
<< Si, i Piccoli Diavoli non lasciano le loro vittime e una volta che muoiono di vecchiaia, non si svegliano più ... >> Mi spiegò.
<< Sei capace di mettermi quel tubo dietro il collo? Voglio salutare mia madre. >> Domandai. Jack mi strinse la mano. Come ai vecchi tempi, anzi dovrei dire ai futuri tempi. Avevo il cervello incasinato. Viaggiando col Dottore quello sarebbe stato il risultato finale. Anzi, forse mi era andata anche bene. Ma sapevo a cosa andavo incontro, e sapevo che potevo morire da un momento all'altro. Non mi lamentavo di nulla.
<< Posso provarci. >>
Mi immersi nell'acqua fino alla vita. Jack mi teneva saldamente per le braccia, mentre il Dottore mi infilava il tubo nel collo. Il primo contatto non mi fece nulla, e notai, dalla faccia di Jack, che non stava funzionando. Poi delle piccole zampette meccaniche si infilarono nella mia pelle. Soffrii in silenzio, stringendo forte i denti e, con le mani, le braccia di Jack, mentre si insinuavano dentro di me. Li sentii, come delle scosse di corrente, collegarsi al mio sistema nervoso e al cervello. Degli spasmi mi fecero muovere la testa in modo strano.
<< Hai dieci minuti a disposizione, usali bene! >> Disse e Jack, dopo avermi fatto uno di quegli sguardi che sembravano dire ‘vedi di tornare viva o ti ammazzo’, mi lasciò andare, facendomi cadere nell'acqua. Mi sembrò di affogare, non riuscivo a respirare e speravo solo che il tutto finisse in fretta. Sbattei più volte le mani contro il vetro, dal quale riuscivo perfettamente a vedere Jack che si dimenava, credendo che ci fosse qualcosa che non andava e il Dottore che lo manteneva, rassicurandolo e dicendogli che stava andando tutto bene. Mi fermai, senza forza e le immagini si sbiadirono. Jack e il Dottore divennero due ombre grigie e poi scomparvero nel nero delle mie palpebre chiuse.
Mi risvegliai nel ''mondo dei sogni''. Mia madre mi stava piangendo addosso. << Mamma! >> Dissi con la voce di un morto che torna in vita. Sembravo un cavernicolo che sperimentava la parola.
<< Sei viva? >> Urlò, saltando per lo spavento.
<< Si, ma non ho molto tempo. >> Dissi con le lacrime agli occhi. << Mamma mi dispiace per tutto ciò che ho fatto da quando sono nata ad oggi. Mi dispiace per ogni volta che ti ho trattata male, o ti ho risposta in modo brusco, o ti ho fatta soffrire. Mi dispiace per quella volta che sono scappata, per quando ti ho fatto trovare la casa sottosopra, per i brutti voti a scuola. Quando il Dottore mi ha mostrato cosa eri stata capace di fare, ho capito di aver sbagliato troppo con te, non sono stata per niente una buona figlia … >>
Lei mi interruppe stringendomi in un abbraccio soffocante. << Neppure io sono stata una buona madre con te. Mi dispiace di essere sembrata un robot, di non averti mai mostrato amore o tenerezza, vorrei tanto rimediare, ma ormai è troppo tardi! >> Pianse, finendo per bagnarmi tutta la maglia. Rimanemmo abbracciate, in silenzio per cinque minuti buoni. Poi la lasciai con una tazza di tè per andare a parlare con la nonna e il bisnonno.
<< Questo mondo non è quello reale, è un perenne sogno. Se mamma muore, non di vecchiaia, allora morirà anche nella vita reale perché ormai ha ricordato il Dottore. >> Spiegai ai due. << Voi volete rimanere con lei o volete che vi riporti a casa? >>
<< Solo alcune informazioni. >> Chiese nonna Sylvia. << Se torniamo a casa lei resterà da sola? >>
<< Si. >> Risposi.
<< E quando moriremo noi, moriremo definitivamente? >>
<< Se di vecchiaia si. >> Risposi ancora.
<< Allora restiamo con lei. Non c'è più nulla per noi in quel mondo. >> Dissero entrambi. Anche Wilfred era un grande amico del Dottore e non l’aveva neppure potuto salutare.
<< E’ stata colpa mia se lui ha cambiato faccia, ma è riuscito a perdonarmi ed io non ho potuto fare nulla … >> Disse lui piangendo. << Dato che non lo rivedrò mai più, potresti salutarlo da parte mia? >>
Annuii commossa. Li abbracciai calorosamente entrambi. Stavo per perdere tutta la mia famiglia. Ma ero felice, in fondo li avevo salvati.
<< Vivi la tua vita senza rimpianti. >> Disse il bisnonno. Ricordai la sua avventura col Dottore dai ricordi che avevo, anche lui non era stato da meno al suo fianco. In una famiglia sola, tre componenti avevano avuto l'onore di correre al fianco dell'uomo più incredibile dell'intero universo. Era una storia inimmaginabile e ovviamente piena di lati negativi. Ma ne era valsa la pena per conoscere quell'uomo magico e straordinario. Quell'uomo che stravolgeva mari e monti con il suo altruismo e con tutto l'amore che aveva da donare.
<< Mi ha fatto piacere rivedervi tutti per un'ultima volta, non vi dimenticherò mai. >> Dissi a tutti e tre. Le lacrime scendevano a fiotti, o forse era l'acqua nella quale era immerso il mio vero corpo.
<< Dove vai? >> Mi chiese lei. Avrei tanto voluto dirle la verità, ma poi ero sicura che si sarebbe uccisa per rivedermi. Sorrisi, per perdere tempo, sperando che il Dottore fosse puntuale e non decidesse di darmi più tempo del previsto. Ma ai piani alti non si muovevano, sperai non ci fossero stati problemi. Mi ritrovai a sorridere come un’ebete ad una domanda seria.
<< Bhè, io sto andando, vado ... >> Un dolore al petto mi fece cadere sulle ginocchia. Tossii e vomitai dell’acqua. << Ti voglio bene. >> Riuscii a dire prima di tornare nel mondo reale.
Aprii gli occhi e, anche se riuscii a capire in tempo cosa succedeva, l'acqua riuscì lo stesso ad entrare su per le mie narici. Con un colpo al pavimento, mi spinsi in alto e due braccia mi tirarono su e mi caricarono in spalla. Jack mi poggiò a terra, mantenendomi la testa mentre sputavo l’acqua che avevo ingoiato. Feci un gran colpo di tosse e tornai a respirare, anche se le narici mi bruciavano tantissimo, facendomi anche lacrimare. Mi sorpresi di quant’acqua ancora ero capace di produrre. Jack continuava a prendersi cura di me, accarezzandomi e dandomi del colpetti dietro la schiena quando servivano a farmi tossire. Appena mi fui ripresa mi resi conto che tutti coloro che avevamo svegliato stavano combattendo a suon di soffi contro i Piccoli Diavoli, che nel frattempo si erano moltiplicati, aspettando il mio ritorno. Erano rimasti lì per me, combattendo con tutti i loro polmoni, a costo di perdere la vita per darmi la possibilità di salutare per l'ultima volta mia madre. Lo apprezzavo molto.
<< Tutti nella cabina blu! >> Urlò il Dottore, aiutando Jack a trascinarmi come si fa con uno zoppo o con un invalido. Appena tutti furono dentro, mise le coordinate e scappammo via da quell'inferno mascherato da paradiso.  Riportammo tutti al loro tempo. L'elfa nel 2380.
<< Mi ha fatto piacere vederti di nuovo, anche nel sogno. Mica potresti passare a rifarmi quel favore, dovrei togliere ancora quel mostro da lì sotto! >> Disse abbracciandoci tutti, uno ad uno. Quando arrivò a me, fece un gran sorriso e mi ringraziò in anticipo per i nostri servigi.
<< A presto! >> Urlò mentre tornava al suo trono da dea di quel luogo incantato. Non avrei mai pensato di trovare, in tutto lo spazio un posto simile, se non nei libri di fiabe.
Poi toccò a Bob, nel 4563.
<< Quello che è accaduto, riaccadrà? >> Chiese lui.
<< Non se starai a casa tua. Noi comunque torneremo su quel pianeta per fermare quell'uomo! >>
<< Allora grazie per la bellissima avventura! Addio. >> Disse guardandomi negli occhi. Evitai lo sguardo, era davvero imbarazzante, ma il ragazzino sembrava aver preso una cotta per la sottoscritta. Lo salutai con un cenno freddo del capo per fargli capire che le mie intenzioni non erano compatibili con le sue. Il che mi dispiacque, ma solo in seguito.
Poi fu il turno di Thyseis, nel 5670.
<< Vi aspetto nella bocca del mostro! >> Disse. << Ma stavolta eviterò di farmi uccidere! >>
<< Forse è meglio se eviti proprio di farti prendere! >> Consigliai, stringendo forte anche lui. Mi stavano consumando con tutti quegli addii.
Poi ancora Oscar Wilde, nel 1890.
<< Se un giorno avrai voglia, vienimi a trovare. Ti aspetterò con ansia. Magari ti farò leggere un mio libro. >> Disse nascondendo un desiderio sfrenato nei confronti del mio viaggiatore del tempo, che in tutta risposta non capì per niente le intenzioni dello scrittore. Il solito ingenuo!
<< Molto volentieri! >> Disse il Dottore. Io e Jack trattenemmo le risate finché potemmo. Spesso era devastante sapere che avevo molta più esperienza io in quell'ambito di quanta ne aveva lui in tutto il tempo che aveva avuto a disposizione. Avrei voluto fargli capire che Oscar voleva leggere un libro con lui tanto quanto io volevo mangiare una sanguisuga per poi vedere la sua faccia da fesso contorcersi in una mossa di stupore misto a scandalo, ma evitai. Anzi, tentai di aiutarlo fin dove potevo.
<< Io adoro ''Il Ritratto di Dorian Grey''! >> Intervenni.
<< Come? >> Chiese Oscar. Che succedeva? Avevo sbagliato qualcosa? Che avevo detto? Speravo tanto di non aver fatto una figuraccia per salvare le chiappe a quel disgraziato!
<< No! >> Bisbigliò il Dottore. << Lo scriverà tra un anno … >>
<< Ops! >>
<< Ho capito che viaggiate nel tempo, però cercate di non lasciare che delle informazioni di troppo sconvolgano la mia mente! >> Disse lui ridendo e uscì dalle porte del Tardis. Anche lui era tornato a casa sano e salvo.
Ed infine toccò a Casanova, nel 1754.
<< Madame è stato un vero piacere conoscerla, anche se, purtroppo, è stato in questa situazione non molto allegra! >> Disse, poi fece una pausa per squadrarmi da capo a piedi. << In un contesto diverso sareste stata mia! >> Mi lasciai baciare la mano anche se quello che aveva detto era molto presuntuoso e maschilista. Ma lo capivo, era la mentalità dell’epoca che parlava.
<< Addio! >> Risposi, più in fretta che potei. Poteva essere un uomo fascinoso quanto voleva, ma era proprio brutto!
 
 
Rimanemmo solo noi tre. Io, Jack e il Dottore. La tensione era alta. Cosa sarebbe successo? L'avrebbe deciso certamente il mio cuore. Era lui che di solito prendeva le iniziative e le decisioni più importanti, tanto che neppure io sapevo cosa sarebbe accaduto!
<< Dottore, >> iniziai, << sono stata venti lunghi anni senza di te. Sei una delle persone più importanti della mia vita, ma non potrò correre per sempre. Ho conosciuto Jack e mi piace davvero molto e ho scoperto che siamo più simili di quanto credessi. Non smetterò mai di esserti grata per ciò che hai fatto per me, per avermi salvata mille e mille volte, ma ho fatto la mia scelta. >>
Lui mi guardò sorpreso, la stessa faccia fece Jack. << Non sono passati venti lunghi anni. >> Mi fece notare.
<< Giusto … >> Dissi abbassando lo sguardo. Mi stavo confondendo. Sentii le mie guance arrossarsi per l'imbarazzo. Io non avevo ancora conosciuto Jack. E se lui non ricordava molto? Se magari nella realtà non gli piacevo come nel sogno? Se per lui non era stato nulla di importante? Non sapevo proprio come uscirne, così usai la tattica che funzionava sempre.
<< Non riesco più a distinguere la realtà dal sogno! >> Dissi scoppiando a ridere. Jack si avvicinò furtivo, mentre ancora ridevo, mi afferrò il viso e mi baciò. Non me lo aspettavo, ma mi piacque moltissimo. Rimanemmo così per molto tempo. Avevamo capito entrambi che anche se era stato solo un sogno, era forte e incombente quanto la realtà. In fondo cos'è la realtà? Una volta che viaggi col Dottore, la tua mente si stravolge. Tutto ciò che credevi impossibile era in realtà possibile. Quindi cos'aveva la realtà in più del sogno?
<< Ok! >> Si lamentò il Dottore. <>
<< Certamente! >> Risposi appena Jack si decise a farmi riprendere fiato. Le nostre labbra non si erano toccate da tempo e chiedevano disperatamente di sentire, assaggiare, mordere. Avevo bisogno di sentire e tastare la realtà. Lui era lì e nessuno lo avrebbe portato via da me.
E così partimmo per quello che sarebbe stato una ripetizione di tutto ciò che era già successo, ma questa volta c'era anche Jack. Dopo aver aiutato popolazioni su popolazioni, aver restituito il pollo a Casanova e aver mangiato in un ristorante di un pianeta dove si tagliavano gli arti (che in seguito ricrescevano), li cucinavano e li servivano ai clienti, io e Jack passammo la nostra prima/seconda notte insieme, in una camera da letto speciale nel Tardis. Era piena di candele profumate, aveva le pareti rosa con le forme tonde più chiare e un letto a forma di cuore che vibrava. Non capivo proprio cosa se ne faceva il Dottore di camere del genere!
Mi buttai sul morbido letto e assaporai il dolce odore che sprigionava. A lungo tempo mi avrebbe fatto venire un gran mal di testa, già lo sapevo, ma non m’importava. Jack si tolse la maglia e mi guardò come un leone guarderebbe la sua preda. Quel solo sguardo mi fece eccitare da morire. Lo incitai a raggiungermi e, senza farselo ripetere due volte, si fiondò su di me, mordendomi tutto, le labbra, l’orecchio, il collo. Lo feci girare, ritrovandomi su di lui. Le mie mani scesero leggere sul suo forte petto, fino a sfilargli ciò che ancora ci ostacolava. Gemette di piacere quando la mia bocca, dopo aver percorso tutto il suo busto, raggiunse la meta prestabilita. Nel sogno, ricordai, lui si era fermato sul più bello. L’avrei ripagato con la stessa moneta e sul più bello mi fermai. L’espressione sul suo visto era indescrivibile, sembrava essersi svegliato da una notte di combattimenti. Forse erano i capelli spettinati a darmi quell’impressione. Mi scappò una risata quando, per raggiungermi si alzò in piedi. Feci lo stesso, con sguardo di sfida. Mi prese per le spalle e mi girò con forza. Le mie spalle poggiavano sul suo petto e la sua bocca mi sfiorò il collo, facendomi sentire la persona più felice sulla terra. Si girò verso il letto e io mi mossi di conseguenza. Con una mano mi bloccò la coscia e con l’altra spinse ferocemente la mia schiena in giù. Mi fece poggiare le ginocchia sul letto ed in seguito, per potermi mantenere, anche le mani. Entrò dentro di me delicatamente, come se fosse la prima volta. Ed in teoria lo era, ma non volevo fosse delicato con me. << Non sono di porcellana. >> Provai a dire, tentando di fargli capire cosa volevo da lui. E mi capì al volo. Mi afferrò i capelli, li arrotolò alla sua mano e li tirò con forza, facendo arrivare la mia faccia contro la sua e baciandomi. La sua lingua prese possesso della mia bocca in meno di un secondo, mentre con l’altra mano mantenne il mio fianco per farlo combaciare con i suoi movimenti. Lasciò i miei capelli e iniziò a sfiorarmi il collo, poi il seno, poi la pancia ed infine mi stimolò per farmi avere un orgasmo in contemporanea col suo. La mia schiena, istintivamente si inarcò e le gambe si strinsero. Il piacere andava aumentando mentre con le mani stringevo forte i suoi capelli. Mi serviva qualcosa a cui aggrapparmi più saldamente. Caddi nuovamente con le mani sul letto e strinsi forte le coperte. I suoi forti colpi mi fecero lentamente cadere in avanti, e mi ritrovai stesa sotto il peso delle sue braccia che mi cingevano la vita e impedita nei movimenti. I nostri orgasmi, come lui aveva programmato, arrivarono insieme. Era stata anche migliore della finta prima volta. Ci sdraiammo entrambi, sfiniti, sul letto. Jack mi strinse la mano mentre guardavamo il soffitto senza sapere cosa dire. Nessuno dei due avrebbe provato a dire una frase fatta come ‘è stato bello’, oppure ‘sono stata/o brava/o?’ o addirittura qualcosa di più grande che avrebbe sicuramente fatto scappare uno dei due, il fatidico ‘ti amo’. No, la frase che doveva venire, sarebbe uscita spontaneamente dal cuore di uno dei due e doveva rispecchiare appieno quello che stavamo provando. A parlare per primo fu Jack e dopo di lui nessuno si azzardò a fare neppure il minimo rumore. L’universo era salvo grazie a noi e per ringraziarci ci fece passare la notte più bella della nostra vita.
<< Mi sei mancata. >>

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Capitolo 18
*** Di generazione in generazione... ***


[Pov Sylvia Harkness]
Moltissimissimissimi anni dopo ... (in a galaxy far far away)
<< ... La leggenda narra anche che Donna Noble, liberatrice degli Ood, riuscì a scappare dal lungo sogno e che abbia passato il resto dei suoi giorni a cercare la sua adorata figlia Barbara, che a quanto ho capito è tua madre. >> Mi raccontò la vecchia signora. Ero atterrata apposta su quel pianeta dove le persone erano piene di orecchi. Letteralmente piene di orecchi. E se non le sapevano loro le leggende, chi allora?
<< Si, è scomparsa tempo fa … >> Spiegai.
<< E tuo padre? >>
<< Non è con me. >>
<< Mi dispiace. >> Disse toccandomi la spalla. Sulle mani non aveva orecchie, altrimenti se ne sarebbe otturata una.
<< Sto bene. Ma vorrei trovare l'amico di mia madre con il quale ha viaggiato per molto tempo. >>
<< Stai parlando del Dottore? >> Chiese stranita, come se fosse convinta che quell'uomo non esistesse. Che stessi cercando un fantasma.
<< Si. >>
<< Ma tesoro, lui è una perla rara che non dovrebbe neppure esistere ... Nessuno può trovarlo, è lui che trova te >>
<< Bene, allora come faccio a farmi trovare? >> Domandai impaziente. Io volevo conoscerlo. Volevo porgli molte domande, volevo sapere tutto di lui e di tutta la mia famiglia. La vecchia sorrise. I denti erano tutti sporchi e bucati eppure non si sentiva nessuno sgradevole odore. Come se li avesse colorati.
<< Bambina mia, buttati nella mischia, cerca il pericolo, i problemi e lo troverai in prima fila! >>
<< Che tipo è? E' avventuroso e sempre in cerca di guai? >> Chiesi ancora.
<< Non ho idea di che tipo sia, ma una cosa è certa. Non se li cerca i guai, sono loro che trovano lui. >>
<< Grazie per i suoi racconti. Solo un'altra cosa ... Lei ha detto che Donna, mia nonna è riuscita a scappare dal lungo sonno. E dopo che ne è stato di lei? >>
L'aliena fece un grosso sospiro il che non era affatto un buon segno, secondo le mie esperienze. Si grattò la fronte, poi uno dei dieci orecchi che aveva in faccia ed infine scroccò più volte le dita.
<< Non ne ho la più pallida idea. >> Disse infine, dopo tanta attesa. << Prova a domandare agli Ood, loro la adorano, sicuramente sapranno qualcosa che io non so >>
Neppure finito di dirlo, mi misi al volante della mia navicella e solcai le cave di Ronta e i passaggi solitari delle terre d'Otranza, fino ad arrivare al pianeta dove, grazie a mia madre e al Dottore, gli Ood vivevano liberi. Mia nonna era viva! Potevo finalmente smettere di ascoltare storie su storie e vivere quello che la vita aveva da offrirmi ... insieme a mia nonna! Avevo perso mia madre e avevo lasciato mio padre, ma potevo finalmente fare qualcosa di buono nella mia inutile vita.
Forse Donna non sarebbe stata entusiasta di sapere che sua figlia se n'era andata, ma almeno poteva mettersi il cuore in pace e farsene una ragione. Avrei tentato di essere alla sua altezza.
<< Cerco un cantastorie! >> Dissi appena riuscii a lasciare la navicella in un buon parcheggio.
<< Qui siamo tutti cantastorie, tutti adoriamo ascoltare e raccontare. Chiedi pure, dolce aliena dalle sembianze umane … >>
<< Mi chiamo Sylvia Harkness, cerco informazioni su Donna Noble >>
<< Tu non cerchi solo informazioni. >> Disse uno. Tutti gli altri iniziarono a cantare una canzone triste. << Tu vuoi di più. Chi è Donna Noble per te? >>
Come cappero l'aveva capito? Le altre razze aliene mi stupivano sempre di più. A volte erano molto più intelligenti e intuitivi degli umani. << E' mia nonna. >> Risposi.
Gli Ood smisero di cantare. Che avevo fatto?
<< Tu non stai cercando davvero lei, o meglio, tu cerchi qualcuno che può condurti da lei. >> Disse un altro Ood, con la voce più profonda. Aveva degli occhi vecchi.
<< Si, il Dottore. >> Spiegai.
<< Donna Noble ha lasciato il lungo sonno molto tempo fa ... >> Spiegò. << Essendo umana, direi che è piuttosto impossibile che sia ancora viva, mi dispiace >>
Eppure in me c'era ancora un barlume di speranza. Un piccolo punto verde su di uno sfondo che gli Ood avevano appena colorato di nero. Era davvero morta? In effetti mia nonna era umana, non aveva una vita lunga come quella di mia madre o illimitata come la mia e di mio padre. A proposito di mio padre! Quel pazzo scellerato! Mi mancava molto, ma aveva accettato con serenità la mia scelta di partire. Quindi cercavo di non dar retta ai sensi di colpa che mi affliggevano da tempo ...
Dopo la morte di mia madre, mio padre non è stato più lo stesso. Le mancava moltissimo, ma mi aveva spiegato che DOVEVA stare bene. Aveva vissuto situazioni del genere per molto tempo. Aveva sofferto, e sofferto ancora, per tutti gli anni che aveva vissuto e tutte le persone alle quali aveva detto addio. Non riversava mai la sua rabbia, la sua frustrazione e i suoi dispiaceri su di me. Ma ricordo che una volta, quando ero piccola e mia madre era morta da qualche giorno per colpa di una truppa di gatti cobra molto arrabbiati che la fessura aveva portato a Cardiff, Jack urlò di quanto desiderasse morire e mettere fine a tutti quei dispiaceri che portava dietro da un lunghissimo tempo. Avrebbe voluto strapparsi la vita a mani nude in quel breve istante. L'unico momento di debolezza che aveva avuto di fronte a me. Ricordo, infatti, che subito dopo si era scusato e mi aveva portata a prendere un gelato per farmi dimenticare tutto. Ma non avevo dimenticato e avevo una paura folle di rimanere da sola. Si, è vero, se non volevo restare da sola allora la persona migliore era proprio mio padre. Ma non potevo passare il resto della vita con lui. Per questo avevo deciso di partire. La famiglia, o ciò che ne era rimasto, non mi bastava più. Volevo girare il mondo in cerca di qualcuno. E per partire cos'era meglio di scoprire di più sulle proprie origini?
<< Grazie di tutto. >> Dissi. Mi girai e tornai alla nave, ma mi fermò l'inizio di una nuova canzone.
<< Questa è per te e la tua famiglia, Sylvia. Tu, che porti il nome della tua bisnonna, verrai ricordata da noi Ood, canteremo canzoni su di te, racconteremo le tue gesta ai posteri! >> Disse. Il vento mi stava congelando la faccia, ma loro sembravano non sentirlo per niente.
<< Gesta? Io non ho fatto nulla! >> Dissi alitando sulle mie mani, stavo congelando. << Di quali gesta parlate? >>
<< Parlo di quelle future ... >>
‘’Grazie per lo spoiler allora!’’ avrei voluto dirgli, ma mi trattenni. Anzi, addirittura sorrisi, chiedendomi se stavano tirando ad indovinare o sapevano qualcosa di cui io non ero ancora a conoscenza. Ood, strani e misteriosi, ma con le canzoni più sentimentali dell'intero universo. Se non piangi con i loro canti vuol dire che sei un Dalek o un Cyberman ... Girai i tacchi più in fretta che potevo e prima di ritrovarmi con qualche arto mancante, mi fiondai nella mia calda navicella e ripartii, pensando a dove poter andare. Mi serviva una guerra. Ma quale? Dove?
Continuai a volare verso una meta sconosciuta, in una direzione sconosciuta, andando troppo veloce per una normale navicella come quella. Il radar rilevò un ostacolo davanti a me, quindi decisi di rallentare e vedere cosa stesse accadendo. C'era una grossa nave che sparava ad un'altra nave più piccola. Mi avvicinai per aiutare chi ne aveva più bisogno, ma un raggio blu proveniente da quella più grande e dall'aria più minacciosa mi bloccò i comandi della navicella e mi trascinò dentro. Ecco, ci ero cascata come al solito. Questo perché non mi facevo mai gli affari miei. Però a pensarci bene, poteva essere la mia occasione per trovarlo, oppure un'altra occasione per morire.
La porta si aprì da sola e degli alieni a forma di patata, che conoscevo con il nome di Sontaran, mi presero e mi condussero dal loro comandante. Mi avevano insegnato a stare molto attenta a quella razza, adoravano distruggere e uccidere per la loro gloria personale. Quindi stavo decisamente sperando che non accadesse il peggio. Ma sperare non serviva a nulla e se avessi avuto molti soldi, avrei scommesso sulla mia morte certa.
Evvai.
Mi decisi che non era una buona cosa lasciare che mi trascinassero come un burattino, così con uno strattone mi liberai dalla loro presa e infilai in fretta i tirapugni che avevo legati alla cintura. Diedi due colpi alle spalle dei Sontaran, colpendo il pulsante che li metteva KO. Due erano fuori gioco, ne restavano circa altri dieci, per non parlare di tutti quelli nel resto della nave.
Scappai, tentando di raggiungere la mia navicella, ma la vidi esplodere davanti al mio naso, disintegrata con un raggio laser. La sorpresa mi stoppò per qualche secondo, poi ripresi la mia folle corsa verso la salvezza. Sperai di trovare un'altra navicella o una tuta spaziale curatrice, ma su quella nave sembravano non esserci nient'altro che armi. Presi al volo due fucili a particelle e sparai alla cieca sui miei inseguitori. Riuscii solo a rallentarli, dato che il loro punto debole era dietro la schiena e non correvano al contrario come i Crouton (una delle poche razze che riuscivano davvero a mettermi i brividi. Forma umana, chele al posto delle mani, un pungiglione sulla schiena e occhi che erano in grado di girare a 360° pur restando incollati alla faccia).
Una di quelle patate lesse, più intelligente dei suoi compagni, iniziò a spararmi addosso. Meglio tardi che mai ... Una pallottola mi prese il torace, che iniziò a sanguinare. Sarei morta in una decina di minuti, dovevo trovare un posto dove poterlo fare in sicurezza. Svoltai, in un corridoio laterale e misi lo sprint per l'ultimo tratto prima di una porta. Strinsi la ferita, mirai e feci schizzare il sangue più avanti per depistarli. Entrai nella stanza e chiusi la porta alle mie spalle, rannicchiandomi dietro quella che mi sembrava la caldaia. Si, decisamente la caldaia, stavo letteralmente sudando, a differenza delle altre volte. Tremavo, avevo freddo poi caldo. Mi faceva male tutto, come se le mie budella stessero andando a fuoco. Poi il dolore andò svanendo, la vista iniziò ad appannarsi, le palpebre si socchiusero e capii di star perdendo i sensi. Sperai solo di non essere trovata.
 
 
Quando mi svegliai mi ritrovai su di una pedana scorrevole, insieme ad una centinaia di cadaveri di alieni, compresi quelli della piccola navicella che volevo aiutare, che arrivava dopo una centinaia di metri in un forno crematorio. La testa mi girava per tutto il sangue che avevo perso, il mio corpo non ne aveva ancora creato altro a sufficienza. Rimasi intorpidita per qualche secondo, tentando si svegliare braccia e gambe. Non riuscii a spostare il cadavere di un Raxacoricofallapatoriano alla mia sinistra, quindi dovetti scavalcarlo e non fu molto eccitante. Guardai giù. Erano all'incirca 3 o 4 metri, la caduta non mi avrebbe fatto più male di quanto non stessi già. Senza pensarci ulteriormente, oppure avrei finito per cambiare idea e preferire il forno, mi buttai. Caddi a terra in un tonfo sordo. Due lividi in più non facevano la differenza a quel punto.
Lottai contro il mio stesso corpo e vinsi, costringendomi a mettermi in piedi. Avevo ancora i tirapugni alle mani e mi stavano dando un immenso fastidio, poiché mi impedivano qualsiasi movimento delle dita. Li posai sulla cintura. Zoppicai fino alla porta più vicina e uscii da quella stanza maledetta, tornando a sentire aria pulita. Feci un respiro profondo, riempiendo e svuotando più e più volte i polmoni, riassaporando di nuovo la vita. Ogni volta era più bello della prima. Tornare alla vita dopo la sofferenza della morte era sempre magico e dava una sensazione di pace interiore, come se fossi stata purificata dai peccati della vita precedente. Non che avessi fatto chissà cosa di tanto peccaminoso o immorale, solo qualche uccisione, ma nessuna di cui mi pentivo. Mi ricomposi e tornai alla ricerca di un modo per fuggire da quel posto infernale.
<< Sontar - an! Sontar - an! >> Urlarono tre patate lesse mentre marciavano in fila indiana. Non mi videro, così continuai a camminare, ritrovandomi nella sala 'mezzi di trasporto'. C'era una moto. Era bellissima, pulita e sicuramente veloce. Motore a benzina di Hulferville, 2 milioni di cavalli, ecologico e con sediolino in pelle sintetica. Mi avvicinai e l'accarezzai, come facevo con ogni mezzo di trasporto che mi piaceva. Mi rispose accendendosi e mostrandomi una scritta che chiedeva di inserire qualcosa in una fessura. Mi tolsi l'anello di mia madre, quello di fidanzamento che le aveva regalato mio padre. Solo sulla terra e su pianeti arretrati si usavano ancora le monete, in tutti gli altri posti c'era prevalentemente una forma psichica di pagamento, la psicometria. Salii in sella al gioiellino e inserii l'anello. Si mise in moto in un attimo e sperimentai tutta la velocità negli infiniti corridoi bui.
<< Autodistruzione tra 30 rels! >> Disse una voce metallica dagli altoparlanti su tutti i muri. Circa 30 secondi per uscire e quella navicella era un immenso labirinto.
22, 21, 20 ... Non avrei trovato un'uscita neppure pagandola. Vidi in lontananza una finestra e misi il turbo. Sperai di essere fortunata e non morire di nuovo, spiaccicata al vetro, nel caso fosse stato fatto su Palpettinacciu. Su quel pianeta facevano il vetro più resistente dell'intero universo, non l'avrebbe rotto neppure un guerriero di ghiaccio. Quando avevo ormai raggiunto la velocità di 600 km/h, ebbi l'incontro ravvicinato col suddetto vetro. Per fortuna si ruppe, lasciandomi del frammenti infilati un po' ovunque. Mi allontanai il più possibile, staccandomi i pezzi di vetro che riuscivo a vedere. Avevo gli occhi appannati dalle lacrime, ma fui sicura di aver visto una macchia blu in lontananza, forse una navicella di salvataggio o un'ambulanza spaziale. Mi allontanai velocemente dalla bomba ad orologeria che annunciava i secondi mancanti.
10, 9, 8 ... La macchia blu si stava delineando. Era una cabina telefonica. Proprio quella che stavo cercando. L'avevo trovato. Ero vicina alla salvezza, ma la maledetta voce metallica mi paralizzò. Me ne sarebbe mai andata una dritta?
3, 2, 1 ... BOOOOOM! Sentii l'esplosione alle mie spalle e una luce arancione riempì l'aria. Tremavo al pensiero che sarei volata in aria, nello spazio e sarei morta, ancora e ancora. Ma più pensavo alla mia morte e più sembrava non succedere nulla.
Mi girai, guardando, con un solo occhio, il fumo farsi strada sull'intera navicella. Appena mi fui autoconvinta che la navicella avesse un dispositivo di contenimento, l'onda d'urto mi colpì. Fui scaraventata nello spazio aperto, lontana dalla moto. Chiusi gli occhi, tenendomi pronta a morire asfissiata e risvegliarmi più e più volte prima di entrare nell'atmosfera di qualche pianeta, finire bruciata e di schiantarmi al suolo o meglio, di polverizzarmi. Ma non accadde nulla di tutto ciò. Caddi a peso morto su di un pavimento duro e freddo. Non avevo idea di che posto fosse, ma sperai con tutto il cuore che fosse il Tardis, oppure mi sarei trovata per la centesima volta nei guai. Non riuscivo ad aprire gli occhi senza lacrimare, così decisi di prendermi due minuti per lasciare al mio corpo il compito di curarmi. Qualcuno mi venne vicino. Tremai sotto il suo tocco delicato.
<< Stai bene? >> Mi chiese. Sentii i pezzi di vetro scivolare fuori dal mio corpo e fare un debole suono cadendo a terra. Le ferite si curarono e le ossa che si erano fratturate si risanarono. In cinque minuti mi rimisi in piedi. Zoppicavo, ma era già un passo in avanti. L'uomo mi guardò, vedendo forse in me, qualcosa di familiare o di già visto. La sua fronte si aggrottò, scrutando ogni centimetro del mio corpo. Ricambiai lo sguardo, apprezzando il suo attraente aspetto fisico. Troppo magro, ma sexy.
<< Niente male! >> Dissi girandogli attorno come un avvoltoio che scruta la preda. Lui girava insieme a me, impedendomi di osservare il lato b. Peccato, mi interessava quella parte di lui. La sua espressione era, al momento, di stupore mista a nervosismo, o forse era divertito? << Grazie per avermi aiutata comunque! >>
<> Disse fermando il mio roteare e impedendomi ulteriori movimenti. Avevo molte domande da porgli, ma potevano tutte aspettare ...
<< Oh, giusto. Non mi sono ancora presentata! Io sono Sylvia Harkness. >> Dissi porgendogli la mano. Esitò, con sguardo confuso, probabilmente per collegare il mio cognome a Jack e il mio nome alla mia bisnonna, poi infatti sorrise e strinse forte entrambe le mie mani.
<< Io sono il Dottore e ho viaggiato con tua madre, tuo padre, tua nonna e il tuo bisbisnonno. E mi sembra più che giusto che ora sia il tuo turno. Ma che strano il destino! Giro e rigiro, viaggiando nello spazio e nel tempo e mi imbatto sempre nella famiglia Noble! >> Blaterò, gli misi un dito sulla bocca per fermare quel flusso infinito di parole.
<> Domandai avvicinandomi a lui. La sua espressione passò da spaventata a intrigata. Lo presi per mano e ci avvicinammo alle porte del Tardis. Le spalancai e guardai dove l'onda d'urto ci aveva spostati. Era tutto così magico visto dalle stelle. Quegli splendidi punti bianchi erano così lontani e astratti visti dalla Terra, come se fosse stato impossibile raggiungerli. E invece erano a portata di navicella. Guardarle e scoprire che sopra ad alcune c'era persino la vita, era fantastico e non ci avrei rinunciato per nulla al mondo. Volevo viaggiare con il Dottore per accrescere la mia cultura, scoprire cose nuove, salvare gente, viaggiare... Quale vita era meglio di quella?

... Il Dottore. Il misterioso Signore del Tempo avvolto da mille leggende. La prima di tutte riguardava il suo nome, che teneva ben nascosto all'ombra di qualche antica paura. Molti popoli si domandavano chi fosse in realtà. Scrivevano versi, componevano canzoni e preghiere e ancora facevano sculture e quadri in suo onore. Alcuni popoli, quelli che lo avevano conosciuto e che lui aveva aiutato, avevano scolpito la sua immagine in enormi sculture evocative che tenevano in esposizione nelle piazze delle città più importanti. Chi poteva donava fiori o lasciava ricordi psichici accanto ad essa. Altri lo odiavano e tentavano in ogni modo di distruggerlo. Altri ancora lo dimenticavano, ma la domanda che opprimeva tutti coloro che lo conoscevano anche solo per sentito dire, rimaneva infissa nella storia e veniva tramandata di generazione in generazione. La domanda che, si diceva, sarebbe stata la sua condanna, la sua fine... Quella domanda che oltre lui stesso, conosceva solo una persona e che io volevo tanto scoprire.
-Dottore chi?-







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