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Autore: Tardis Door    30/09/2013    1 recensioni
La mia, era quella che si definiva una vita strana, anormale, fantastica. O almeno così mi sembrava. A quanto dicevano i medici, ero completamente sana di mente, eppure io credevo di aver vissuto due vite, se non di più. Cioè, ora vi spiego...
La mia storia è collocabile in un punto indefinito dopo la 7° stagione. Il Dottore incontrerà una nuova companion, Barbara, che in seguito scoprirà essere imparentata con qualcuno che conosce ''molto bene'' ;)
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Doctor - Altro, Jack Harkness, Nuovo personaggio, TARDIS
Note: Lime, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Cominciò tutto in una calda giornata di agosto del 2012. In quell'anno io avevo appena compiuto gli inutili 19 e stavo passeggiando tranquillamente nella reggia di Caserta, posto davvero bellissimo. Guardavo l’incantevole giardino e pensavo alla mia vita. Vanvitelli era riuscito a diventare immortale per ciò che era stato capace di creare durante la sua vita. E io cosa avrei lasciato al mondo? Un mucchio di ossa.
Nella vita non ne avevo fatta una giusta. Mio padre ci aveva abbandonate e ancora mi sentivo la colpa pesare sulle spalle, pur non avendo fatto nulla per agevolare l’accaduto, apparte venire al mondo. Io e mia madre vivevamo da sole in un appartamento che pagavamo con i soldi che lei guadagnava a lavoro, non erano molti ma bastavano a mantenere solo noi due. Il mio bisnonno, insisteva spesso a darci una parte del suo stipendio, così come mia nonna, ma noi non accettavamo mai. Bhè, una volta, quando eravamo davvero nei guai, i due lasciarono dei soldi in un cassetto, facendo credere a mia madre di averceli messi lei per sbaglio. Ancora credono che io non me ne sia accorta, ma in seguito, per un lavoro che mi fruttò non poco, restituii alla stessa maniera quei soldi che ci avevano regalato. I miei studi li pagavo da sola, o almeno ci provavo, facendo i lavori che mi capitavano. Non sempre riuscivo a tenerne uno fisso. Spesso finiva con me licenziata per piccoli errori, come qualche piatto rotto, un cane disperso o un criceto finito nel tosaerba. Nulla che avessi potuto evitare.
Insomma stavo facendo questo viaggio con l’università, quando iniziai a sentirmi seguita. Mi girai e mi accorsi di aver perso il resto della scolaresca, il che mi capitava abbastanza spesso, dato che mi distraevo a guardarmi intorno senza ascoltare la guida. Continuai a camminare, col cuore che mi batteva a mille ed ebbi un deja-vu. Qualche anno prima mi successe la stessa cosa mentre attraversavo un vicolo buio che avevo preso come scorciatoia per tornare a casa. Non riuscivo girarmi per la paura e mi tremavano le gambe. Quando ebbi preso coraggio, notai che non c’era assolutamente nessuno in quel vicolo oltre me. Nessun assassino, nessun barbone, nessun rapinatore, nessuno che volesse in qualche modo farmi del male. Così, ricordando quell’episodio, presi tutto il coraggio che avevo, inalai più aria possibile, chiusi gli occhi e mi girai di scatto. C’era una statua, giusto al centro del corridoio. Era un angelo e si copriva la faccia con le mani. Era così bello con le sue forme classicheggianti, eppure incuteva così tanto terrore.
Risi di me stessa al pensiero di averlo creduto pericoloso per la mia incolumità. Era una statua! Una statua che stava giusto al centro del corridoio, dove pochi attimi prima io stavo camminando. Se fosse stata sempre lì, sicuramente l’avrei urtata, o almeno l’avrei notata. Era forse apparsa dal nulla? O la stavo immaginando? Forse erano delle allucinazioni. Decisi di ricontrollare, giusto per essere sicura di essere o no pazza. Ma la statua c’era e si trovava proprio dietro di me. Anzi, non solo la statua c’era eccome, ma si era anche mossa! Aveva le mani allungate verso di me, come a volermi toccare, e la faccia era contorta in una smorfia arrabbiata. Istintivamente, lanciai un urlo e scappai. Ogni volta che guardavo dietro, l'angelo si fermava in pose diverse, come se stessimo giocando a ''Uno due tre, stella!''. Continuai a correre, ma qualcosa fece saltare la corrente. L'ultima cosa che ricordo è che mi sentii toccare la spalla.


Quando mi risvegliai, ero per strada, stesa inerme a terra. Faceva freddo ed io indossavo gli abiti che avevo qualche secondo prima, a Caserta. Una maglia a maniche lunghe ed una gonna che mi arrivava al ginocchio, le calze ed ai piedi degli stivali. Mi guardai intorno e da come tutti gli altri erano vestiti, ad occhio e croce, ricordando i tre mesi nei quali avevo studiato storia della moda, avrei giurato fossero Medievali.
Ero finita nel Medioevo. Insomma cose che capitano ogni giorno …  Addormentarsi a Caserta e svegliarsi in una cittadina medievale.
Ero spaventata e tremavo per il gelo della notte passata al freddo. Era forse un sogno? No, di solito mi accorgevo di quando sognavo, e riuscivo anche a svegliarmi a comando, se per caso non mi piaceva cosa stava succedendo. Tipo quella volta che un dinosauro mi stava stritolando! O forse era solo una fiera medievale e qualcuno mi aveva fatto un bello scherzo. Sicuramente i miei compagni d’università. Quei mattacchioni adoravano fare scherzi alle matricole. La strada dura e piena di sassi sulla quale giacevo era un sobborgo povero. La gente stava cucinando, o almeno quelli che potevano permetterselo. Alcuni poveri uomini si scaldavano accanto ad un fuoco sul quale avrebbero cotto delle castagne appena raccolte. Un gruppo di donne, invece, era intenta a fare l’unica cosa che potevano fare, cioè pulire casa. Mi alzai e girovagai in quella stradina. Sentivo uno sgradevole odore, anzi più di uno. In un buco nel muro, letteralmente, c’era un fabbro che forgiava delle spade per i guerrieri del proprio sovrano. Le scintille quasi mi colpirono e l’uomo, grosso e scorbutico, non mi chiese neppure scusa.
<< Levati! >> urlò una signora che, affacciata da una finestra giusto sulla mia testa, stava per buttare il secchio con le proprie feci. Fin troppo realistico per essere una semplice fiera medievale. Mi spostai appena in tempo per non riceverle addosso. Ecco cos’era quell’odore! Continuai a camminare, stando attenta a dove mettevo i piedi. Quegli stivali erano un regalo di mia madre! Una vecchia signora faceva degli infusi alle erbe. Uno di quelli, dall’odore, mi sembrò semplice camomilla. Eppure aveva l’aria di una strega! Cioè era ricurva, con un naso aquilino, un grosso neo peloso sul naso ed uno strano cappello, e poi era anche ricoperta di fumo. Mi chiese se volevo un po’ di pozione per non ammalarmi, chiedendomi dei soldi in cambio. Rifiutai, constatando che non avevo neppure un centesimo in tasca. Un uomo, poi, mi offrì della stoffa, un altro dei gioielli fatti di pietre, un altro degli abiti. Rifiutai tutto e cercai di divincolarmi, inciampando in un cadavere. Ma che bella giornata!

Un giovane uomo mi porse la mano per farmi rialzare, io l'afferrai. << Sembra che si sia smarrita, venga con me >> disse e mi portò in un castello enorme, tutto fatto in pietra. Sembrava ancora più vecchio di tutta la cittadina e aveva delle mura impenetrabili. Quella storia mi sembrava sempre di meno uno scherzo. Volevo tornare a casa, mi mancava molto la mia famiglia. Mi sentii in colpa per non aver mai mostrato un briciolo di affetto, di non aver mai abbracciato nessuno, ma detto ‘’ti voglio bene’’ a nessuno di loro. Alloggiai nelle stanze di quel generoso ragazzo, finché non mi fui ripresa dallo sbandamento della strana disavventura. Dormii per quelli che mi sembrarono giorni, forse per lo shock di ciò che mi era successo, o forse perché avevo, semplicemente, molto sonno, oppure ancora perché avevo paura di affrontare la realtà che era cambiata radicalmente in pochi secondi.
<< Cos'è questo posto? >> chiesi al ragazzo che mi aveva aiutata. Lo osservai attentamente. Era piuttosto pulito e ben rasato per quei tempi. Mi balenò di nuovo in mente l’ipotesi dello scherzo.
<< Il grande e glorioso regno di Camelot >> mi disse. E sembrava piuttosto serio. Mi scappò da ridere. Sapevo cos'era Camelot, le storie del re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda, ed erano solo finzione. Come potevo essere finita in un posto immaginario? Era certamente uno scherzo. Uno scherzo ben riuscito. Doveva esserlo.
<< Perché ridete? >> mi chiese lui davvero stupito. Oh mio dio! Ero finita in un libro? Se era davvero così allora non avrei dovuto toccare né far succedere nulla, oppure avrei potuto cambiare la storia. Forse era il potere di quegli angeli, far finire la gente nei libri.
<< Niente >> risposi in fretta per riparare al danno. Anche se, in fondo, col mio arrivo, la storia era già cambiata.
<< Io mi chiamo Merlino, voi siete? >>
<< Merlino? Il mago Merlino? >> chiesi. Poi mi tappai la bocca. Avevo dato del mago a Merlino! Che mi era saltato nella testa!
<< Come dite? >> chiese ancora più stupito. La sua faccia celò la paura di essere stato scoperto da una ragazza sconosciuta. Avrebbe potuto pensare che io fossi una spia di qualche suo nemico!
<< Nulla, io sono Barbara! >> dissi facendo un leggero inchino, in segno di rispetto.
<< Perché vi chinate? Io sono solo un servo di sua maestà. A proposito, dovrò riferirgli del vostro risveglio! >> sbottò. Ero piena di domande senza risposta e non sapevo se conveniva o no dire loro la verità. Da come mi guardava Merlino intesi che era meglio starmene più in silenzio possibile e cercare di non interferire. Notai che la camera nella quale ci trovavamo era degna di un servo, piccola, molto piena di oggetti e con uno strano odore. Odorava di magia.
<< No! Non serve, me ne andrò subito! Loro non verranno neppure a sapere che ero qui! >> tentai, ma Merlino mi spiegò che già lo sapevano e che il principe Artù era venuto spesso al mio ''capezzale'' per assistermi, aspettando il mio risveglio. Ed inoltre che aveva accennato un certo interesse nei miei confronti. Non avevo dubbi, dato che avevo degli strani vestiti per quei tempi. Avrò di sicuro stupito tutti. Ma non potevo interagire con i personaggi di una storia o avrei modificato gli eventi. Non che non volessi, ma non potevo!
Ero così confusa! Non sapevo cosa fare e come comportarmi. Un attimo prima avevo la mia vita, e l'attimo dopo ero nel regno dello spietato Uther Pendragon. La sua fama lo precedeva. Odiava la magia e mandava a morte chiunque ritenesse in possesso di oggetti o conoscenze fuori dal normale, cioè tutti gli studiosi dell'epoca. Dovevo stare molto attenta. Con le mie conoscenze della storia, delle scienze (non proprio, ma sempre più di loro) e, soprattutto, del futuro avrei rischiato di finire al rogo o affogata nel lago, oppure con qualche tizzone ardente in posti che nemmeno osavo nominare.
<< Merlino, dammi un pizzico! >> Dissi porgendogli il braccio. Chiusi gli occhi e strinsi i denti, aspettando il dolore che mi avrebbe svelato se poteva oppure no essere davvero un sogno.
<< Come dice? >> Chiese sbigottito dalla mia richiesta. Non credo fosse incluso nelle sue competenze provocare dolore a giovani donzelle.
<< Fallo. Dammi un pizzico! >>
Obbedì all'istante e mi resi conto, sfortunatamente e come già sapevo da molto, che era tutto vero e che dovevo seriamente temere per la mia vita. Avrei dovuto inventarmi un'identità, e dato che mi trovavo, supponevo, in Inghilterra, doveva essere un nome strano da un posto lontano, così da non creare troppi sospetti.
<< Si sente meglio? >> mi chiese un signore anziano che riconobbi, da immagini sbiadite nella mente, come il mio medico.
<< Si, grazie a lei immagino. >> Dissi. << Io sono Barbara >>
<< Bene, >> disse lui inchinandosi, << andiamo. >>
Merlino e il mio medico mi condussero nella sala del trono, dove tutti erano riuniti intorno al re. La sala era maestosamente spaventosa. Alta all’incirca dieci metri, circondata da antiche colonne e con finestre istoriate attraverso le quali il sole illuminava tutti i volti e riscaldava la pelle. Mi inchinai, terrorizzata dalla situazione e tremante come una foglia che stava per essere portata via dal forte vento autunnale.
<< Mi scuso profondamente per il disturbo creatovi, vostra maestà. Vi prometto che non riaccadrà >> provai. Mi chinai fino a toccare terra col ginocchio e ci rimasi per un bel po’.
<< Non è colpa vostra. Il servitore di mio figlio vi ha trovata nella neve con una ferita alla testa. Vi ricordate qualcosa di ciò che vi è successo quella sera? >> mi chiese gentile il feroce, o almeno quello era ciò che credevo, Uther. La ferita alla testa l’avevano sicuramente inventata per salvarmi il culo.
<< No, in verità non mi ricordo quasi nulla >> provai, sperando che non trovasse stregoneria anche l'amnesia. Mi risultava molto faticoso stare attenta ad ogni minima parola che pronunciavo. Ma ne andava della mia vita!
<< Ricordate il vostro nome? >> Lui stava seduto sul suo trono dorato, con perle e diamanti incastonati, mentre la sua gente moriva di fame intorno a lui. Mi ritornarono in mente quelle persone che avevo visto, che camminavano sulle proprie feci e mangiavano ciò che trovavano per terra.
<< Barbara >> dissi. << E vengo dal Regno di Sicilia. Stavo viaggiando per studiare e poi non ricordo più niente >>
<< Viaggiando? >> chiese stupito. << Per studiare? >>
Mi morsi la lingua. ‘’Le bugie hanno le gambe corte’’ continuava la vocina della mia coscienza. << Si, sono una reale, mi è stato concesso tale privilegio >> mi ripresi. Il mio carattere libertino mi stava portando a dire grandi stupidaggini. Quando mai si era sentito, in quel periodo, che alle donne fosse concesso di viaggiare e studiare?
<< Io le consento di restare nel mio regno fin quando vorrà >> disse e se ne andò, così, lasciandomi a riflettere su ciò che avevo fatto e detto. Ero andata abbastanza bene, cioè, acciderbolina, ero ancora viva!
   
 
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