A piece of you

di Parabates
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo; ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo; ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo; ***


A PIECE OF YOU
20 Ottobre, Berlino.
 
Sono nella mia nuova stanza, a migliaia di chilometri dalla mia migliore amica, con le lacrime che mi scendono sul viso e scatoloni pieni di ricordi che non potrò condividere mai più con nessuno.

Il mio nome è Jane Gray, vivo a Berlino da circa 5 ore, dopo averne affrontate 12 di aereo. Sono alta un metro e settanta centimetri scarsi, ho i soliti noiosi capelli castani, ho gli occhi verdi, sono testarda, chiusa, insicura, curiosa e scrivo poesie. Sono stanca, distrutta e sola. Non conosco nessuno e i miei genitori saranno a lavoro circa 13 ore al giorno. Non vedo come le mie prospettive di vita possano essere positive in questo momento.

Dovrò andare a scuola, parlare una lingua che, pur avendo studiato per anni, non conosco ancora molto bene. Dovrò frequentare persone con cui non voglio avere niente a che fare e che probabilmente mi prenderanno in giro per molti fattori, iniziando dal fatto che io non sappia la lingua e finendo con il mio aspetto fisico.

Ho sedici anni e la mia vita sta già andando a rotoli. Non credo di avere la forza per andare avanti, non ho niente per cui combattere. La vita non aspetta, la vita va avanti. E Sam era l'unica cosa che mi aveva aiutato ad andare avanti, Sam era la mia migliore amica da sempre, aveva vissuto sempre a poche decine di metri da me, ed ora ci separavano migliaia di chilometri.

Cosa potrebbe andare peggio? Ci sono un sacco di cose che potrebbero andare peggio. Partiamo del fatto che sarò sola per i prossimi anni, vedrò i miei genitori si e no due ore al giorno. E in più non sono molto brava a farmi nuovi amici. L'anno scorso a scuola non avevo poi così tanti amici, certo non ero la sfigata di turno, ma non ero neanche chissà chi.  Il punto è che ora non ho nessuno, nessuno a cui dire le cose, nessuno con cui parlare, nessuno con cui studiare, nessuno con cui passare il tempo.

In realtà non ho proprio niente. Solo una marea di ricordi che volteggiano nella mia testa, gli occhi umidi e gonfi, le mani bagnate, il mascara sulle guance e un'infinità di domande.

E in più ci sono un sacco di cose che mi spaventano. Ma la cosa che mi spaventa di più è sapere che, dato che non ho amici, non so la lingua, non ho alcun contatto con il mondo, sarò solo io, saremo solo i miei pensieri ed io. E' questo quello che mi spaventa maggiormente. Dover convivere con me stessa per chissà quanto tempo, sopportarmi giorno e notte, sentire tutte le cose che ho contro di me ad ogni ora del giorno e della notte, perché ci saremo solo io ed i miei pensieri.

E' arrivato il momento di tenere le lacrime, alzarsi e rendere mia questa stanza, che sarà l'unico posto che, forse, mi ricorderà casa. Svuotando gli scatoloni trovo tutte quelle foto con Sam, i libri che mi ha regalato con le sue dediche, le mie poesie di quando avevo nove anni. Non riesco a non piangere, è più forte di me, devo piangere. Tiro fuori il computer, per vedere se è online, anche se non so che ore siano da lei, ma, come era prevedibile, non è collegata. Faccio partire la musica, che mi circonda, mi entra nelle orecchie e riesco a smettere di pensare al passato, alla mia casa, alla mia migliore amica.

Inizio finalmente a dare un posto a tutte le cose e, dopo tre ore e mezza circa, la mia camera è pronta, ed è meravigliosa. E' diversa dalla mia vecchia stanza, ma ha un non so che di familiare. Vorrei rimanerci per sempre, ma non posso, la mamma mi ha detto di andare a salutare i vicini del pianerottolo non appena si fosse fatta "un'ora decente".

Così mi sistemo un po', prendo il mio nuovo, anonimo mazzo di chiavi, composto da ben tre chiavi, quella di casa, quella del portone e quella della cassetta della posta, e mi chiudo la porta dietro. Rimango ferma sullo zerbino nuovo, guardando di fronte a me. Alla mia sinistra ci sono le rampe delle scale, alla mia destra il muro, che, procedendo, è interrotto da una porta, e, di fronte a me, una decina di metri più avanti, c'è la porta del terzo abitante di questo pianerottolo. Decido di andare a salutare il "vicino della porta davanti", mi avvio e suono il campanello. Dopo qualche minuto la porta si apre e compare una signora ben vestita e curata, avrà si e no quarantadue anni, che inizia a parlare molto velocemente, e quello che riesco a capire è una piccola frase che mi dice di andar via; la fermo e le dico che sono la figlia dei nuovi arrivati, indicandole la porta di casa.

È strano chiamarla casa, ma non so come altro chiamarla e poi devo abituarmi all'idea che vivrò lì. Facendo mente locale e capendo che non so molto bene la lingua, inizia a parlare più lentamente e mi da il benvenuto, mi invita ad entrare in casa e mi regala un vassoio pieno di biscotti caldi per i miei genitori. Spero che i biscotti siano buoni, perché io adoro i biscotti. Ha i modi di fare di una vecchietta speranzosa, credo si fidi molto di me, in fondo, sono solo una ragazzina.

"Grazie signora -le dico- i miei genitori gradiranno"

"Ma figurati... come hai detto di chiamarti?"

"Mi chiamo Jane, Jane Gray"

"Jane mi ha fatto molto piacere conoscerti, sei stata molto carina a venire a salutarmi. Salutami i tuoi genitori, non vedo l'ora di conoscerli."

"Oh ma certo, non si preoccupi, si faranno vedere presto. Grazie ancora e arrivederci!"

Mi saluta e chiude la porta dietro le mie spalle.

Non credevo che la signora Müller potesse essere così gentile, mi fa piacere avere qualcuno di amichevole, ma di certo non andrò a parlare con lei quando ne avrò bisogno, sarebbe triste per una ragazza della mia età, anche se ora mi sembra l'unica persona che si è data disponibile. Vado a posare i biscotti a casa e ne prendo uno, poi mi avvio verso la porta dell'altro vicino di casa, suono ed aspetto. Leggo il cognome, Roberts, è un cognome americano, bene, magari parleremo in inglese. Non risponde nessuno. Sto per andarmene quando apre la porta un ragazzo di poco più di vent'anni, ma ne dimostra di più. È ubriaco e non si fa la barba da troppo tempo, puzza di fumo.

"Tu devi essere quella nuova. Non sei un po' giovane per avere un marito ed un figlio rompipalle?"

"Io sono il figlio rompipalle"

"Aaah" ride "scusami piccola, non volevo offenderti"

"Ci vuole un po' di più per offendermi" gli rispondo duramente

"Che tipa tosta. Che ci fai qui? Cosa vuoi? Non posso darti né sigarette né alcolici, sei minorenne"

"Veramente ero venuta per salutare"

"Quindi dovrei darti il benvenuto. Benvenuta, allora"

"Grazie. Be' il mio dovere l'ho fatto, quindi vado, ciao"

" Non scappare! Io sono Matthew"

"Io Jane"

"Se hai bisogno di qualcosa -ammicca- non mi faccio scrupoli eh"

"Tranquillo, so badare a me stessa" e dopo avergli detto così, apro la porta e ritorno dentro la mia nuova casa.

Sono solo le undici di mattina, cosa faccio? Decido di andare un po' in giro per la città. La cosa che mi colpisce di più è l'architettura.
Ho sempre sognato di fare l'architetto, forse questa città potrà essere uno stimolo, ma io voglio Sam, voglio la mia città e i miei amici, voglio tornare a casa. Mi metto seduta in mezzo a un parco, con l'erba verde tempestata dei colori delle foglie cadute dagli alberi, adoro i colori dell'autunno. Non fa freddo, c'è un brezza piacevole che mi smuove un po' i capelli. Decido di sdraiarmi e poggio la testa sulla borsa. Poi, mi addormento.

Quando mi sveglio, guardo l'ora sul telefono e vedo che sono le due e mezza del pomeriggio, così decido di avviarmi verso casa. Sono parecchio infreddolita, stare in un parco, ferma, per tre ore e mezza ti irrigidisce un po', ma camminare mi aiuterà a riscaldarmi.

Camminando, passo davanti alla scuola in cui andrò. Sono le tre e stanno uscendo. Così mi fermo a guardare e mi diverto ad indovinare chi di loro sarà un mio compagno di classe da domani. Vedo un sacco di persone così poco interessanti. Non credo che quest'anno avrò molti amici, forse non avrò proprio nessuno. Mi accorgo di un ragazzo che mi sta guardando, è solo, vicino alla sua auto e mi sta guardando. Non distinguo bene i suoi tratti, è abbastanza lontano, ma mi guardo intorno e non ho nessuno, quindi sono certa che stia guardando me. Cosa ha da guardare? Che vuole da me? Trovo questa cosa piuttosto inquietante, così mi abbottono di più il giubbotto e mi avvio per la mia strada velocemente e senza pensarci.

Lungo la strada mi metto le cuffiette, schiaccio "play" sul mio iPod e la musica mi fa scordare tutto.
Torno a casa e qui trovo, stranamente, mia madre. Non faccio neanche in tempo a spogliarmi, che mi urla contro: "Jane! Ma dove eri?"

"Ero in giro, hai detto tu di cercare di trovarmi a mio agio, così sono uscita e ho fatto una passeggiata per la città e mi sono appisolata."

"Sei sempre la solita"

"Mamma, perché sei a casa?" Le domando dirottando il discorso da un'altra parte.

"Che c'è, non posso stare a casa mia? Aspettavi qualcuno? Devo andarmene?"

"No, ma hai detto che avresti lavorato fino a tardi.."

"Certo che tu sei proprio rimbambita! Oggi è il primo giorno, ti facevo più intelligente. Io e tuo padre abbiamo una sorpresa per te, seguimi"

Seguo mia madre di nuovo giù per le scale, che corre freneticamente, come se la sorpresa fosse per lei. Mi porta giù in un garage, non sapevo avessimo un garage. Lì trovo papà, dentro la sua macchina, che mi dice di salire. Salgo e mi chiede "Ehi pesciolino, hai mangiato?"

"No, in realtà no, papà"

"Bene, ora andiamo a mangiare tutti insieme" concluse e mia madre continuò "Si, è tanto tempo che non lo facciamo"

Era tantissimo tempo che non mangiavamo insieme, che non andavamo a pranzo tutti insieme. Di solito capitava solo durante una ricorrenza speciale, il compleanno dei miei nonni. Purtroppo però i miei nonni sono venuti a mancare due anni fa, tutti e tre nello stesso anno, è stato un colpo davvero brutto per i miei. Così era un bel po' che non passavano un po' di tempo in famiglia, sono contenta di poter apprezzare questi momenti ancora una volta.

"Sai Steve, la mia compagna di ufficio mi ha consigliato un ristorante, si trova ad un quarto d'ora da qui" dice mia madre riferendosi a mio padre "E' economico e dice che il cibo è ottimo, andiamo a provare, no?"

"Certo, come no" risponde entusiasta mio padre.

Come ci aveva detto la mamma, arriviamo in un quarto d'ora al ristorante. Prendiamo posto vicino alla vetrata che si affaccia sulla strada e osserviamo il menu, non so davvero cosa prendere, non solo perché non so cosa significhino alcune parole, ma anche perché hanno tutti dei nomi strani, quindi dico alla mamma che avremmo preso la stessa cosa. Il cameriere, che è stato molto gentile nei nostri confronti, prende le ordinazioni e i miei iniziano a chiedermi come mi è sembrata la città, cosa mi piace, se la casa va bene e domande inutili su cui ripiegano perché non hanno altro da chiedermi, la carta jolly della scuola non può ancora essere giocata. Rispondo che la casa mi piace, è più grande di quella dove vivevamo prima, è più luminosa e gli spazi saranno sicuramente meglio gestiti, dato che la arrederò io, come ci eravamo accordati. A questa mia affermazione ridono. Poi gli dico di aver già ultimato la mia stanza, quindi la casa, in meno di una settimana, sarà pronta, scuola permettendo. Dopo di che il telefono di mio padre squilla e anche quello di mia madre. Sembra che siano in qualche modo sincronizzati. Sapendo che le loro conversazioni non dureranno poco, mi metto a guardare un po' fuori.

La gente che passa mi incuriosisce molto, qui le persone sono diverse da quelle della mia vecchia città, camminano tutti molto più lentamente, ma hanno la fretta negli occhi; sono tutti indaffarati, ma poi c'è qualcuno che spicca tra questi, solitamente i ragazzi, che camminano tranquillamente senza alcuna preoccupazione. Un gruppo di ragazzi passa, ridono e scherzano, riesco a capire quello che dicono e la cosa mi consola un po'. Sorrido anche io alle battute che fanno e abbasso lo sguardo, quando lo rialzo,  mi accorgo che in questo gruppo c'è lo stesso ragazzo che ho visto a scuola. So che ero lontana, che non l'ho visto bene, ma sono sicura che è lui, ne sono certa. E' ancora lì, che mi guarda, come se avessi un non so che di speciale, è inquietante. "LIAM!" lo chiama un ragazzo, lui distoglie lo sguardo e si dirige verso il gruppetto, che era andato avanti.
Arriva un cameriere con i piatti, che non era quello gentile, era un'altro più carino. Mamma aveva preso un'insalata, e quindi mi è toccato mangiarmi un'insalata. Non appena torneremo a casa, mi mangerò tutti i biscotti che ci ha dato la vicina. Pensando alla signora Müller, dico: "Ah, oggi sono anche andata salutare i vicini"

"E come sono?" dice mio padre con la bocca piena, abitudine che ha da sempre.

"Oh allora, c'è la signora Müller che è molto gentile ed accogliente, ci ha regalato dei biscotti e vi saluta tanto, vorrebbe conoscevi."

"Molto bene -si inserisce mia madre- e l'altro vicino?"

"Non è niente di speciale, un certo Matthew Roberts, è americano, immagino, è piuttosto giovane, ma non è tutto questo gran che"

"Li inviteremo tutti a cena questa sera da noi e cucineremo la nostra specialità!" dice la mamma.

"Abbiamo una specialità?" chiede mio padre

"Boh, qualcosa ci inventeremo" replica la mamma.

Abbiamo appena finito di mangiare, che subito ci portano il conto, paghiamo e ce ne andiamo.

"E' stato bello -dico- dovremmo farlo più spesso"

"Mi fa piacere che tu lo pensi" dice la mamma sorridendomi "ma c'è una sorpresa per te, cara la mia Jane. Ti avevo detto che oggi non eravamo andati a lavoro, e siamo andati a cercare una cosa per te."

"Si, guarda un po' qui" finisce mio padre tirando fuori dalla giacca un paio di chiavi e indicando un motorino grigio lucido e senza neanche un graffio.

Mi avevano regalato un motorino. Non so quante volte glielo avevo chiesto prima di trasferirci, e naturalmente la risposta era stata sempre no. Avevo anche preso frequentato i corsi e preso la patente di nascosto per farmelo comprare, ma era stato inutile. E me lo avevano comprato oggi, forse per farmi fare una figura migliore domani, forse per comprarmi un po'. In fondo, la notizia della partenza e la partenza stessa erano state troppo frettolose, avevano sentito i miei pianti notturni e vedevano la mia tristezza. Non mi importa se hanno cercato di comprarmi, io sono felice comunque, ho un motorino, finalmente.

Salto su mio padre per prendere le chiavi mentre inizio a ripetere la parola grazie a ripetizione, ma lui sposta il braccio in alto, in modo che io non ci arrivi e mi dice "Jane, mi raccomando, noi ci fidiamo di te"

"Non vi deluderò, ma ora posso avere le chiavi?"

"No, prima torni a casa con noi, ad avvertire tutti della cena e poi puoi farci un giro"

"Ma mamma.."

"Non si discute, signorina"

"Va bene.." dico imbronciata.

Li seguo fino a casa e andiamo a bussare alla porta della signora Müller, che ci accoglie come se ci conoscessimo da una vita.

"Benvenuti, benvenuti! Entrate in casa. Questa mattina ho conosciuto vostra figlia Jane, è un amore."

"Oh bene, ci fa molto piacere."

"Come vi trovate? Spero tutto bene, se avete bisogno di qualcosa non esitate a chiedere."

"La ringraziamo signora Müller, io e Steve le siamo molto grati" dice mia madre

"Chiamatemi Britta" dice l'altra

"Noi siamo Steve, Jane e io sono Abbie. Quindi, cara Britta, noi eravamo venuti qui per invitare te e tuo marito questa sera a casa nostra."

"Ma è meraviglioso! Non mancheremo, assolutamente!"

"Perfetto, allora ci vediamo stasera"

"Ovviamente! Ci vediamo questa sera, allora" risponde la signora Müller accompagnandoci alla porta.

"Okay, ora andiamo da questo giovanotto" dice mio padre.

"Posso andare a casa, intanto?"

"No, Jane, devi esserci anche tu." risponde severa mia madre

"Uff.. e va bene." dico nascondendomi dietro ai miei.

Papà suona il campanello, attendiamo che qualcuno ci apra, ma non succede niente, così decidiamo di lasciare un biglietto sotto la porta, nella speranza che lo legga entro la sera. Dopo aver lasciato il biglietto decidiamo di tornare a casa e forse, finalmente, posso prendere il mio nuovo motorino e farci un giro. Neanche metto piede in casa che riesco a strappare di mano le chiavi del mio nuovo mezzo di trasporto e inizio a correre per le scale.

Siamo al terzo piano di un edificio, quindi non ci metto molto a scendere tutte le scale. Appena chiudo il portone dietro le mie spalle inizio a correre, come se il motorino fosse la mia unica ed ultima speranza di vita.

Monto sul motorino, metto in moto e parto. Inizio a prendere strade a caso e mi ritrovo in un posto in cui non sono mai stata. Non che conoscessi chissà quanti posti a Berlino, ma c'ero stata già due volte prima di trasferirmici definitivamente con i miei.
Tutto sommato, il posto dove sono finita, è un bel quartiere, probabilmente uno dei più ricchi nella città. Non è una zona di nuova costruzione, è abbastanza datata, ma tutta ben pulita e tirata a lucido, mi piace. Decido di scendere dal motorino e continuare a piedi, perché le mani iniziano a gelarmi. Lo parcheggio vicino ad un grande albero, così se mi perdo o non lo ritrovo, mi ricorderò di questo grande albero, il più grande di tutti. Mi avvio per la strada principale, c'è parecchia gente in giro, che corre a destra e a sinistra tra case e negozi, che parlano al telefono, che sono sedute sulle panchine del parco. E' un quartiere vivo, di persone giovani e uomini e donne che tornano da lavoro. Sono tutta infreddolita, così mi avvio verso il primo bar che vedo. Ha un bell'aspetto, invitante e caldo. Mi siedo ad un tavolino, dal quale riesco ad osservare bene tutto il negozio. I colori sono neutri, è tutto fatto di un legno chiaro, familiare e rustico, ma allo stesso tempo moderno e versatile. Ci sono ampie vetrate che fanno entrare la luce e permettono una piacevole vista. Ai muri non ci sono quelle panche orribili rivestite di gommapiuma ed orribili tessuti che, con il passare del tempo, si macchiano e diventano unti. Le pareti sono fatte di lavagna, decorate con scritte e disegni piacevoli, ma una di queste pareti è occupata da una grande libreria, libri di tutti i tipi, mi piace. Mi ritrovo a sorridere, mi piace questo posto, davvero molto.

"Non so a cosa tu stia pensando, fiorellino, ma un bel cappuccino ed una fetta di torta farebbero sicuramente un'ottima compagnia a quel sorriso" mi dice una voce. Catapultata nuovamente nella realtà, il mio sorriso svanisce e le mie guance arrossiscono.
"Questo significa che non vuoi un cappuccino e una fetta di torta? Ti avrei portato la mia torta preferita, ma non fa niente. Quando hai trovato qualcosa che ti piace chiamami." Alzo gli occhi e vedo il ragazzo che era fuori da scuola questa mattina, che è lo stesso che ho visto fuori dal ristorante, quel Liam. Lo conferma anche il cartellino che porta sulla maglietta bianca, probabilmente la divisa del ristorante. Portava un grembiule nero con scritto "That's your coffee". Non capisco mai perché in qualsiasi paese vada di moda scrivere le cose in inglese, ma meglio per me, devo impegnarmi di meno nel capire quello che c'è scritto. Lui mi sta ancora guardando. Ha uno sguardo molto dolce, gli occhi castani, che ispirano sicurezza e calore.

"Ehm no, senti, oggi mi sento buona, ho voglia di fidarmi di te. Portami quella torta e vediamo se merita."

"Certo che merita, te la porto subito. Cappuccino?"

"Come dirti di no? Anche un cappuccino." gli rispondo sorridente.

Così torno a pensare alla bellezza di questo Coffee Shop. Nella mia vecchia città ce n'erano tanti , ma erano tutti quanti uguali; quello dove andavamo sempre io e Sam era "Millie's": la proprietaria era una vecchia signora, il negozio era quasi sempre vuoto, ma lei era sempre gentile con noi; ci andavamo tutti i giorni alla stessa ora e lei ci faceva sempre trovare il nostro 'solito', che consisteva in un caffè macchiato e un muffin al cioccolato per Sam ed un tè ed un cupcake alla vaniglia per me, sul nostro solito tavolo, quello vicino alla vetrina. Spesso parlavamo con Millie e lei ci raccontava delle sue storie d'amore, che erano sempre estremamente romantiche ed avventurose. Io e Sam sognavamo spesso di trovare qualcun'altro da portare da Millie, ma era capitato solo una volta per uno, con Alex e John, ma si era rivelato un fallimento. Alex non era stato né il mio primo, né il mio unico ragazzo, ma fu l'unico ad entrare in quel locale con me e Sam. Pensare a queste cose mi ha messo un po' di tristezza, ma subito arriva la mia fetta di torta e il cappuccino.

"Eccoti qua, fiorellino" dice Liam porgendomi il mio ordine ed accomodandosi sulla sedia di fronte alla mia, a questo gesto la mia espressione cambia e lui dice "Ah, stai aspettando qualcuno? Non posso sedermi. Scusami, non lo sapevo."

"No, stai tranquillo, sono sola e rimarrò sola per tutta la mia permanenza. Pensavo dovessi lavorare e non provarci con me."

"Ehi ehi, chi ti dice che ci sto provando con te? Non perché sei carina, ti chiamo fiorellino e ti consiglio la mia torta preferita significa che io ci stia provando con te."

"A me sembrerebbe di si, ma se tu mi assicuri che non è così, allora ti crederò."

"Ah, meno male. Sei nuova, non è così?"

"Eh già. Si nota tanto?"

"Eccome, si nota da lontanissimo."

"Giusto, Liam, tu l'hai notato da fuori scuola."

"Sei troppo sveglia, tu. Sai il mio nome e mi hai riconosciuto. Dovresti per lo meno dirmi il tuo, di nome."

"Sei il tipo che mi segue, devo sapere il tuo nome."

"Sei la nuova ragazza, devo sapere il tuo nome" dice facendomi il verso.

"Mi chiamo Jane e vivo a Berlino da questa mattina alle due."

"Altro che nuova, sei nuovissima! Dovresti avere una guida che ti porti in giro per la città."

"E, provo ad indovinare, vorresti offrirti volontario per questo compito."

"Io l'ho detto che sei sveglia."

"Be' non ci vuole un genio, Liam. Sei scontato e ho visto troppi film al riguardo."

"Pensavo che tu avessi avuto così tanti ragazzi da conoscere tutte le tattiche d'approccio. Allora, facciamo che la smetto di importunarti, che assaggi la torta e poi mi dici com'è. Ti piace l'idea?"

"Non so come farò a starti lontana, ma se è questo quello che vuoi, lo farò."

"Ehi, capisco di essere magnetico, ma andiamoci piano, fiorellino." Ridiamo tutti e due mentre lui se ne va verso la cucina. Non è poi così spaventoso come sembrava. Finisco la mia torta, sorseggio il mio cappuccino e mi dirigo alla cassa per pagare. Da quando ha lasciato il tavolo, non ho più visto Liam, forse perché ero troppo intenta a mangiare la mia fetta di torta. Uscendo lo vedo e gli faccio un cenno con la mano, lui mi chiede se ci saremmo visti il giorno dopo, io gli rispondo che sarebbe potuto capitare e mi avvio verso il motorino.

Sono le sei e mezza, per bere un cappuccino e mangiare una torta ho impiegato due ore e mezza, un record. Ritorno sotto il grande albero e ritrovo il mio motorino, salgo in sella e metto in moto, poi sfreccio verso casa. Il vento tra i capelli, sul viso, sulle mani, è questo quello che mi piace, avere come la sensazione di volare.

Ora sono di nuovo sotto casa, ci ho messo solo un quarto d'ora a tornare, salgo le scale di fretta, apro la porta e trovo i miei, che parlano con Matthew Roberts, il mio vicino che puzza di alcol. Noto anche, però, che hanno sistemato in modo precario il salone e la cucina, il tanto che basta per non sconvolgere i nuovi vicini.

"Jane, eccoti finalmente!" dice la mamma

"Ciao mamma, ciao papà, ciao Matthew." dico io

"Ciao Jane" dice beffardo Matthew.

"Che ci fa lui qui?" chiedo con un tono leggermente sprezzante

"Jane, sii più carina" interviene la mamma

"Non si preoccupi, signora." conclude Matthew

"Be' ha trovato il biglietto ed è stato molto carino a venire qui ed avvertirci che questa sera sarebbe venuto. E' molto simpatico, voi due dovreste conoscervi meglio!" dice papà

"Si, certo, stasera ne avremo tutto il tempo -risponde Matthew- ma ora è meglio che vada, voi dovrete cucinare immagino, visto che non volete alcun aiuto"

"Te l'abbiamo già detto, stai tranquillo, noi sappiamo cavarcela molto bene in cucina, ci vediamo a dopo!"

"A dopo signori Gray, è stato un piacere! Ciao Jane!" Dice uscendo di casa. Non appena la mamma la mamma chiude la porta dico di andarmi a fare una doccia, poi li ringrazio ancora per il motorino.
Fare la doccia è una delle mie attività preferite. Adoro sentire l'acqua calda che scende sul mio viso, si trascina sul mio collo, striscia sulle spalle e poi scivola lungo tutto il mio corpo. E' come se ogni volta mi portasse via tutti i problemi. Quando ho finito di lavarmi mi sento sempre così leggera. Appena finisco di asciugarmi i capelli, la mamma entra e mi dice di mettermi qualcosa di non troppo elegante, un vestito con una stampa a fiori, che non metto mai, perché non mi piace, ma piace alla mamma, così lo metto per farla contenta.

Verso le otto e mezzo arrivano tutti e tre insieme. Britta e suo marito Augustus hanno portato un dolce e un mazzo di fiori, mentre Matthew una bottiglia di vino. Quando entra gli sussurro "Be' da buon intenditore non potevi che portare dell'alcol"

"Ehi, che umorismo tagliente che hai. Mi piace" dice sfiorandomi la schiena. Perché fa così? Si crede divertente? E' insopportabile.

"Matthew, benvenuto!" dice mia madre.

"Bene, miei cari ospiti, è arrivato il momento di accomodarsi a tavola". Mamma ci teneva davvero molto a questa cena. Aveva sempre dato molta importanza ai vicini, ma oggi si era davvero superata. Ha lavorato molto questo pomeriggio, per sistemare la casa, per liberarla dagli scatoloni. Ha continuato il lavoro che avevo iniziato e ha sistemato come avevo richiesto i mobili, tutto sommato è uscito qualcosa di davvero bello, sono fiera di me e di lei.

La serata è noiosa e passa molto lentamente, non sono molto partecipe, a parte per le frecciatine che mi lancia Matthew ogni tanto, a cui non faccio caso. Ho altro a cui pensare: domani è il mio primo giorno di scuola. Ho una paura tremenda, non so cosa devo mettermi, che impressione farò, chi saranno i miei compagni di classe e i miei insegnanti. E poi c'è quel Liam, che è un tipo che mi incuriosisce parecchio.

Alla fine della cena, se ne vanno tutti e i miei genitori non fanno che dire quanto sia divertente Matthew, che lo dovrei prendere come esempio e che dovrei farci amicizia. Evidentemente solo io sono in grado di sentire il suo puzzo anche a metri di distanza, di vedere le sue mani che tremano per colpa della sua dipendenza, i denti gialli causati dal troppo fumo e le occhiaie per le nottate passate a rovinarsi la vita.

Decido di chiamare Sam, mi manca troppo. Prendo il telefono e la chiamo, non mi interessa quanto dovrò spendere. Il telefono squilla a vuoto, forse starà dormendo. Poi, la sua voce. "Ciao, sono Sam. In questo momento non posso rispondere, lasciate un messaggio e vi richiamerò al più presto, baci" E poi il suono acuto del segnale acustico. Passa qualche attimo, poi inizio a parlare
"Sam, mi manchi" la mia voce si spezza ed inizio a piangere, attacco immediatamente, non voglio che lei mi senta piangere, lo ha già fatto in passato, ma ora è diverso.

Mi asciugo le lacrime, mi lavo i denti e mi metto il pigiama, è ora di finire questo giorno, è durato fin troppo. Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dai pensieri notturni che affollano la mia testa, fino a quando non mi addormento.




 
ANGOLO AUTRICE
Buona sera a tutti!
Questa è la mia seconda long, yayyyy
Ma questa è la mia prima long fanfiction, perché l'altra è una storia originale.
Ma comunque, ho alcuni avvertimenti da farvi.
Innanzitutto il carattere di Liam è inventato da me in gran parte, Berlino è solo un'ipotetica città, non ci sono mai stata quindi boh, mi piaceva ambientare una storia lì e poi alcuni personaggi -tipo tutti- hanno caratteristiche di alcune persone che conosco, quindi se vi ci riscontrate, significa che assomigliate ai miei amici, lol 
eeeh niente.
ringrazio Tienimiconte, la mia amata fornitrice di banner, per avermene fatto uno così bello. grazie. <3 
ho paurissima, ditemi quello che ne pensate, per favore, sono nelle vostre mani.
spero a presto, 
Parabates <33

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo; ***


 

A PIECE OF YOU 

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21 Ottobre, ancora Berlino.

La giornata è iniziata. Apro gli occhi, mi alzo dal letto, il cuore inizia a  battermi forte, è come se avessi un tamburo nel petto, che, a ritmo regolare, rimbomba dentro di me. Mi avvio verso il bagno, per sciacquarmi il viso, poi scendo al piano di sotto per fare colazione. Qui non c’è nessuno, la casa è vuota, quasi sento il battito del mio cuore risuonare in tutta la stanza, in tutta la casa. Sono le sette e mezza di mattina e i miei genitori sono già fuori di casa a lavorare. Trovo un biglietto su un tavolo provvisorio che si trova vicino ai fornelli:
 
Buongiorno tesoro,
io e tuo padre ti facciamo i migliori auguri per il tuo primo giorno di scuola. Per questa mattina, fai uno sforzo e preparati qualcosa di speciale.
Ti vogliamo bene,
Un bacio,
mamma
Mi riesce a strappare un sorriso, ma la preoccupazione è sempre lì, più che altro ho paura, sono spaesata, non so cosa dovrò fare quando sarò a scuola.
Dato chela mamma ha detto di prepararmi qualcosa di speciale, decido di preparare velocemente dei pancake. Nella mia modesta opinione, posso affermare con una discreta sicurezza che quelli che faccio sono davvero molto buoni. Ormai posso definirmi una cuoca esperta e quindi conosco a memoria i tempi di cottura e riesco con facilità a gestirmeli, così riesco a non bruciarne neanche uno. Li metto tutti in un piatto e me li porto in giro per la casa, mentre mi vesto e preparo le ultime cose.

Sono pronta. Sistemo la cucina, mi lavo, prendo le chiavi e la borsa, chiudo la porta alle mie spalle e mi fermo sullo zerbino. Prendo fiato e faccio il primo passo con incertezza, ne faccio un altro ed un altro ancora, ma poi inizio a camminare più velocemente, senza accorgermene.
Raggiungo la scuola. Mi sono completamente dimenticata di avere un motorino, pazienza penso, ormai sono qui. Mi fermo, osservo tutti i ragazzi che arrivano, assonnati e annoiati dalla solita routine, mentre io sono qui, non conosco nessuno, non so perfettamente la lingua, non ho amici, sono sola e spaesata.
Come dovrò comportarmi? Chi saranno i miei compagni di classe? Piacerò a qualcuno? Le materie che studierò saranno interessanti? Andrò bene a scuola? Poi mi  dico di smetterla, perché sembra che io non sia mai andata a scuola. Mi avvio verso l’entrata. Mentre attraverso il cortile, mi riviene in mente che avrei dovuto prendere un cappuccino mentre venivo , ma, presa dall’ansia, me ne sono dimenticata,  pazienza mi ripeto. Spero di non fare niente che mi faccia mettere in imbarazzo, come cadere sulle scale, sbattere contro la porta o cose del genere. Mi guardo intorno: tutti hanno un gruppo in cui stare, tutti hanno il posto giusto, dove strare, poche persone mi guardano, ma poi distolgono subito lo sguardo. Salgo gli scalini, spingo la porta e seguo l’indicazione con scritto segreteria e dopo pochi attimi arrivo davanti ad una porta di legno con affissa una targa dove è incisa la parola “SEGRETERIA” in stampatello. Busso alla porta e una voce mi risponde avanti; afferro la maniglia e faccio scattare la serratura. La mia vista si apre su una stanza abbastanza grande, nella quale ci sono cinque scrivanie occupate da computer e scartoffie varie. Quattro signore anziane e piuttosto grasse sono sedute su altrettante sedie, dietro altrettante scrivanie, invece dietro l’ultima c’è nascosto un’esile corpo di una donna piuttosto giovane, forse non raggiunge neanche la cinquantina. Una delle quattro più anziane mi chiama e mi dice di avvicinarmi: “Avvicinati pure. Cosa ci fai qui?”

“Sono nuova, oggi è il mio primo giorno”

“Oh allora benvenuta, tesoro! Mi avevano detto che saresti venuta! Tu sei.. Gary? Gerry? Grasy?”

“Gray, Jane Gray”

“Ah si, giusto! E i tuoi genitori dove sono?”

“Non sono potuti venire, lo avevano detto”

“Ah mi avevano riferito anche questo

“Mh.. già” dico mentre lei inizia a cercare qualcosa tra una grande pila di fogli.

“Tieni tesoro, questo è il tuo orario, resterai sempre nella stessa classe”

“Fantastico!”

“Si, qui le cose sono un po’ diverse”

"Grazie di tutto, arrivederci"

"Ciao tesoro, buon primo giorno!" mi risponde lei

Deglutisco, le parole quasi non riescono più ad uscirmi dalla bocca tanta è l'ansia, solo un grazie sussurrato riesce a farsi strada e a uscire.
Mi avvio verso l'aula 4C del secondo piano. Per i corridoi non c'è nessuno, si vede che sono iniziate le lezioni e non mi sono accorta del suono della campanella. Qui è tutto diverso, le scuole sono organizzate in maniera completamente differente e io dovrò frequentare altri quattro anni questa, dato che sono "già" al quarto anno.

Sono davanti alla porta, il ritmo poco regolare dei battiti del mio cuore non mi aiuta affatto, busso, abbasso la maniglia e tiro la porta verso si me. L'insegnante, una donna piuttosto anziana, tutta pelle e ossa con gli occhi in fuori e delle sottilissime labbra, si gira per vedere chi ha aperto la porta e mi chiede "Cosa ci fai qui?"

Divento tutta rossa, sento le mie guance diventare più calde sotto gli sguardi di tutti i ragazzi seduti dietro ai banchi.

"S-sono quella nuova. S-sono Jane Gray" dico con un filo di voce.

"Si, ho saputo che saresti arrivata oggi, ma dovresti essere più puntuale, signorina, che non succeda mai più"

"Si, mi scusi" dico abbassando lo sguardo. Fare tardi il primo giorno di scuola, un cliché, evviva l'originalità, mi sento così stupida.

"Vai a sederti lì, al secondo banco, vicino a Sarah c'è un posto libero" riprende a dire con tono severo. Mi avvio verso il posto indicatomi qualche istante prima e, mentre mi siedo, lei dice "Io sarò la tua insegnante di tedesco, storia e filosofia e il mio nome è Krause" poi si rivolge alla classe "Ragazzi, da voi mi aspetto grande rispetto e solidarietà nei confronti della vostra nuova compagna, soprattutto da lei -ora parla direttamente con la mia compagna di banco- signorina Schwarz"

"Naturalmente" risponde Sarah, come se fosse stata colta di sorpresa.

"Bene, sono lieta di vederla così attenta oggi, signorina Schwarz -si sentono delle piccole risate sparse in tutta la classe- in quanto a lei, signorina... Gray? -annuisco per darle conferma- mi auguro che sia in pari con il programma, altrimenti dovrà farlo, si faccia dire da qualcuno dei suoi compagni il punto preciso dove siamo arrivati. Ah un'ultima cosa, non si faccia consigliare dalla sua compagna di banco, è un po', come dire, assorta nei suoi pensieri, non è vero Schwarz?"

"Cosa?" risponde lei interrogata.

"Appunto" conclude con il tono saccente di chi crede di sapere tutto. Dopo che si sono conclusi i risolini provenienti da ogni angolo della classe, la Krause continua a spiegare quello che aveva iniziato prima che io interrompessi il discorso con il mio arrivo.

"Mi auguro che lei non sia troppo indietro con letteratura" ironizza, ma non credo sia una buona idea dirle che le cose di cui sta parlando le ho fatte l'anno scorso al corso di tedesco, non voglio mettermela contro sin dall'inizio; immagino che non sarà una passeggiata.

Continua a spiegare fino a che non suona la campanella e poi ci assegna i compiti da svolgere a casa. Ora abbiamo un momento di svago, una specie di intervallo, per dieci minuti.

Sarah si gira verso di me. "Ciao! Io sono Sarah!" Ha un viso molto dolce dei lunghi capelli neri che svolazzano ovunque ogni volta che muove minimamente la testa, gli occhi grigi e un grande sorriso. E' piuttosto alta, più alta di me, ma non ci vuole molto, lo ammetto.

"Piacere" le porgo la mano.

Lei la stringe "Hai avuto il piacere di conoscere la terribile Krause"

"Non vedi quanto ne sono entusiasta?" ironizzo.

Lei si mette a ridere, è un buon segno.

"Come mai hai un nome inglese e un cognome tedesco?" le chiedo

"Perché mia madre viene dalla Scozia, mentre mio padre è di Francoforte, forte no?"

"Fortissimo" sorrido "Non ti ha molto in simpatia la Krause, ho visto"

"Che occhio, ragazza! Ebbene no, non sto mai attenta. Mi annoia terribilmente quella donna. E poi mi odia proprio, qualunque cosa io faccia è sbagliata, di principio"

"Ma come è simpatica"

"Già, ma, cambiando discorso, vuoi che ti faccia fare un giro per la scuola?"

"Si, mi piacerebbe molto!"

Così mi prende per mano e mi accompagna a visitare i locali scolastici, che sono pieni di studenti di ogni genere. E' simpatica, Sarah, è divertente, spiritosa e molto disponibile, mi piace. Non credo però che abbia molti amici; durante il tragitto non ha salutato nessuno. Poi, mentre risaliamo le scale, lei inizia a salutare un sacco di persone, ma alla fine si ferma a parlare soltanto con una. E' un ragazzo, ha i capelli scuri e gli occhi castani, non appena vede Sarah il suo viso si illumina in un grande sorriso, poi mi guarda e dice "Chi è lei? Non l'avevo mai vista!"

"E' Jane, la mia nuova compagna di banco, si è appena trasferita" risponde lei.

"Piacere, io sono Robert" si rivolge a me porgendomi la mano.

"Ciao, piacere mio" gli rispondo stringendogliela.

"Belle ragazze -riprende- io devo lasciarvi, gli insegnanti non aspettano! Ci vediamo in giro" dice prima di lasciare un bacio sulla guancia di Sarah e poi se a va di corsa.

"Sarah, non mi avevi detto di avere un ragazzo! Capisco che non siamo proprio migliori amiche, ma almeno volevo sapere quali ragazzi erano off limits."

Lei ride "Jane, mia cara Jane, lui non è il mio fidanzato, è il mio ragazzo!"

"Ah -rido- non sembra, davvero, vi somigliate davvero poco!"

"Lo so, ma che ci puoi fare?"

Ridiamo ancora "Senti Jane, so che ci conosciamo da poco, ma in fondo me l'hai quasi chiesto, che ne dici se ti faccio vedere il ragazzo che mi piace? Ti va?"

"Certo che mi va, andiamo"

Mi prende per mano e mi porta su per le scale di corsa. Saliamo fino al secondo piano e poi rallenta, come se non dovessimo farci notare. Su questo piano, mi dice, ci sono i laboratori di chimica, fisica e scienze umane. Ancora non mi aveva portata all'ultimo piano, ora aveva avuto la scusa. In fondo al corridoio di destra, dal lato opposto a quello dei laboratori, c'erano dei ragazzi, un gruppo piuttosto grande. Non riesco a vedere bene, non distinguo perfettamente i volti, perché molte persone camminano confusamente per il corridoio. Quando riusciamo finalmente a vedere qualcosa, distinguo cinque ragazzi e qualche ragazza che sta facendo il filo a qualcuno di loro.

"Lo vedi Jane? Quello al centro, maglietta bianca e jeans scuri" Mi indica il ragazzo che mi ha descritto, mi avvicino un po', tanto per dargli un volto.

"Si lo so, è il ragazzo più carino della scuola, ma ci sarà un motivo per cui piace a tutti, no?" continua lei.

"Ovviamente" le rispondo. Mi sporgo e lo vedo.

"Si chiama.."

"Liam" concludo io seccamente.

"Cosa? Capisco che è molto popolare, ma come fai a conoscerlo?" Sei qui da poco più di due ore"

Non so cosa risponderle, così mi giro e scendo le scale. "Jane, Jane! Dove stai andando?" mi rincorre.

Mi raggiunte e mi ferma. Mi inizia a fare delle domande, ma io non so cosa dovrei risponderle, potrei dire qualcosa di sbagliato, ma poi la campanella ci interrompe e tiro un sospiro di sollievo. Grazie al mio ottimo senso d'orientamento, riesco a trovare subito la classe. Mi siedo, e mi metto a guardare l'orario. Ora dovrebbe esserci un'ora di inglese, finalmente qualcosa in cui sarò più avanti degli altri. Quando entra in classe la professoressa, ancora non sono tornati tutti i miei compagni di classe ed in questo gruppo è compresa anche Sarah. 

L'insegnante si siede, prende con calma le sue cose e le sistema in modo molto -forse troppo- ordinato sulla cattedra. La porta di apre ed entrano gli alunni mancanti che si scusano con il fiatone. Non appena tutti si sono accomodati, una voce inizia a pronunciare in modo quasi solenne, con una cadenza regolare, quasi noiosa, i nomi dei miei compagni di classe in ordine alfabetico. Alla fine trova il mio nome e lo legge imitando un malriuscito accento inglese, che finisce per urtarmi. "Jane Gray. Bene, sei nuova? Hai origini anglosassoni, bene. Speriamo di andare d'accordo." Poi inizia a parlare nella mia lingua madre, la sua pronuncia non è ottima come crede, ma ammetto che ho sentito di peggio. Mi fa qualche domanda e io le rispondo senza problemi, mi sento più a mio agio ora. All'improvviso, però, riprende a parlare tedesco, mi ero dimenticata che dovevamo fare lezione e probabilmente anche lei lo aveva messo da parte.

"Ho trovato qualcuno con cui competere -scherzò Sarah- Con la mamma parliamo in inglese, ma la mia pronuncia ogni  giorno diventa sempre meno precisa, magari con te posso fare esercizio!"

Rido "Certo, ovviamente, così evitiamo che anche la mia diventi inudibile"

Durante la lezione, la professoressa dice che da oggi le lezioni si terranno solo in lingua inglese, per facilitare me e migliorare tutti. Non ci voleva, quando l'ha detto, tutti si sono girati verso di me, guardandomi storto, mi ha esposto troppo, più di quanto non lo fossi già; non voglio espormi così tanto.

La giornata continua a procedere abbastanza tranquillamente, nessun evento particolarmente rilevante da farmi risvegliare da quello stato di dormiveglia in cui mi ritrovo. E' come se fossi perennemente in pilota automatico. Quando suona la campanella, tutti iniziano velocemente a rimettere negli zaini e nelle borse tutto quello che si erano portati dalla mattina, poi si salutano e a piccoli gruppi si avviano verso la porta come una massa informe ed escono faticosamente.

Rimango sola in classe a finire di preparare la mia borsa. Non so bene il perché ma pensavo che Sarah mi avrebbe aspettato, invece se n'è andata senza neanche salutarmi. Mentre mi infilo la giacca, in previsione di un repentino cambio di temperatura, Sarah si affaccia alla porta "Allora? Ti vuoi muovere?" sorrido senza neanche pensarci e mi affretto per raggiungerla.

"Che fai ora?" mi chiede

"Niente, credo che andrò a casa e mangerò, finirò di sistemare le ultime cose rimaste negli scatoloni e poi credo che studierò un po' -rispondo piuttosto vaga- tu invece?"

"Niente di particolare, dalle tre alle cinque mi alleno, ma non mi va per niente."
Non faccio in tempo a risponderle che Robert ci raggiunge.

"Ciao sorella! -poi si rivolge a me- Ciao amica della sorella di cui non ricordo il nome"

"Io il tuo me lo ricordo" gli dico leggermente altezzosa, per scherzare.

"Non è una buona scusa per non ripetermelo"

"Oh Signore -interviene Sarah- Rob non iniziare, si chiama Jane"

"Non ti scaldare sorellina, stavamo parlando amabilmente" dice mentre la avvolge con un braccio.

"Lasciami e non essere appiccicoso -sospira- passi sempre da un estremo all'altro"

"La tua amica qui -dice Robert rivolgendosi a me- è leggermente nervosetta. Sai per caso se le sono arrivate?"

Sorrido, sia per dargli un po' di soddisfazione, sia perché è un tipo sfacciato e mi piace, ma, forse fortunatamente o forse no, è arrivato il momento di girare per prendere la strada che mi porterà a casa "Mi spiace dirvelo così, ma devo lasciarvi, io devo girare qui"

"Vorrà dire che faremo a meno della tua presenza, J" mi risponde Robert

"Rob, smettila -Sarah si gira verso di me e alza gli occhi al cielo- devi scusarlo, è un po' stupido, forse un po' troppo. Ci vediamo domani mattina, allora. Possiamo incontrarci qui alle otto meno dieci, se vuoi."

"Volentieri, a domani, buon pranzo!"

"A domani" mi risponde Sarah

"Ciao, J!"

Mi avvio verso casa e quando arrivo mi preparo il pranzo, faccio i compiti e si sono fatte le cinque. Solitamente ci metto molto meno tempo, ma dover tradurre tutto è impegnativo. Ho voglia di uscire, stare chiusa in casa, in questa casa, mi lascia un po' l'amaro in bocca, la malinconia negli occhi e le lacrime sulle guance. Così prendo il motorino, accendo il motore e parto; ho voglia di tè e so già dove andarlo a prendere. Durante il tragitto, però, mi viene in mente che forse non dovrei andare da Liam, frequentarlo, voglio dire, sono qui da un solo giorno e si è dimostrato così disponibile, ma non mi sembra giusto nei confronti di Sarah, proprio per niente. Lei è innamorata di Liam e con me è stata molto gentile ed è l'unica che mi parla a scuola. Ripensandoci, non vado lì per rubarle il ragazzo, voglio solo del tè e poi mi piace quel posto, mi da tranquillità, è come se fosse nato un feeling tra me e quel locale. Non mi va di stare da sola in casa, voglio parlare con qualcuno e sentire la vita intorno a me. Perciò vado, senza pensarci più di tanto, in fondo avevo promesso a Liam che sarei tornata.

Quando arrivo, mi siedo allo stesso tavolo a cui ero seduta ieri e apro il libro che mi ero portata: "Cercando Alaska" di John Green. E' il mio libro preferito, non appena ho un po' di tempo lo rileggo spesso e tutte le volte è come se fosse la prima.

"Vedo che hai sempre qualcosa di meglio da fare che guardarmi" mi dice una voce.

"Ciao anche a te, Liam" dico alzando lo sguardo.

"Ciao, fiorellino. Posso portarti qualcosa o ti lascio da sola?"

"Se mi portassi del tè, mi faresti un grande favore"

"Benissimo, allora avrai del tè"

Così se ne va insieme al suo sorriso disarmante e i suoi profondi occhi dolci e io ritorno a leggere il mio libro. Dopo qualche minuto ritorna con una teiera, una di quelle bianche e classiche, personalizzata grazie al nome del locale impresso su essa, una tazza, che fa parte dello stesso servizio della teiera, e un piccolo vassoio di biscotti.

"Eccomi qui, fiorellino. Questi sono per te, offre la casa o meglio, offro io"

"Ma come sei premuroso, grazie"

"Figurati, posso?" mi chiede indicando la sedia vuota di fronte a me.

"Certo, fai pure" dico versando l'acqua calda nella tazza.

"Che fai, non lo bevi?" mi chiede.

"Solitamente ci metto l'infuso, ma per oggi mi adatterò e berrò solo l'acqua calda, però aspetterò che si raffreddi un poco" scherzo.

Ride "Aspetta, fiorellino, te lo vado a prendere, come lo preferisci?"

"Sorprendimi" gli dico

"Come sempre"

"Significa che mi fido di te" gli rispondo. Lui sorride e si avvia.

Dopo poco ritorna con una bustina decidere te di cosa

"Ecco a te, il mio preferito"

"Non ci credo, dici davvero?"

"Si, perché?"

"E' anche il mio preferito"

Ridiamo "Dimmi un po', fiorellino, che stai leggendo?"

"Il mio libro preferito, Cercando Alaska"

"Mai sentito"

"Avresti dovuto, è molto bello"

"Allora lo leggerò, promesso"

"E, dimmi, qual è il tuo, invece?"

"Il giovane Holden, immagino"

"Mi piace, si. Però, non ti facevo un tipo che leggeva"

"Perché, allora, mi hai chiesto quale fosse il mio libro preferito?"

"Perché avevo una speranza"

Rise "Sei in gamba"

"E tu sei buffo"

"Io sono popolare" ribatte altezzoso.

"Giusto, il grande e potente Liam"

"Non esageriamo, dai"

"Io non esagero mai. Non avrei mai pensato che proprio Liam volesse dedicare alcuni minuti del suo prezioso tempo a me, la nuova arrivata che non sa parlare la lingua. Non credi che sia un orrendo cliché? Odio i cliché"

"Mi ritengo terribilmente offeso, io volevo solo esserti amico" ammicca

"Penso che un giorno inizierò ad odiare anche te, ma ora sono troppo sola e stanca per farlo"

"Meno male, rimandiamo il più possibile. Non sopporterei di essere odiato da qualcuno, insomma, sono Liam-il-più-bello-del-mondo. Ma stiamo focalizzando il discorso su di me, ti ricordi che mi devi un'uscita?"

"Si, mi ricordo, qualcosa in modo molto vago" svago un po'

"Perfetto, quando vogliamo fare?"

"Domani, puoi?"

"Come corriamo, fiorellino! Non credevo che fossi così impaziente, ma cercherò comunque di liberarmi dai miei impegni, solo per te."

"Dove ci vediamo?"

"Sotto casa tua, alle tre e mezza, okay?"

"Non sapevo che sapessi dove abito! Bene, allora ci vediamo domani, se sai già tutto, faccio per alzarmi

"Dai, non credo tu voglia lasciarmi così. Se non me lo dici, ti prometto che ti seguo fino a casa. E poi devi rimanere qui, perché ancora non hai finito il tuo tè"

Rido sentendo questa "minaccia", poi prendo un tovagliolino, la penna che mi stava porgendo e gli scrivo il mio indirizzo, appena imparato, e anche il mio
numero di telefono, infine glielo porgo.

Guarda il pezzo di carta e sorride "Vedo che non mi fai mancare niente"

"Ho solo previsto quale fosse la tua prossima mossa"

"Sei sveglia, io te l'ho detto"

"E tu sei nei guai" rido

"Cosa?"

"Girati" dico indicandogli l'uomo che lo sta guardando minaccioso dall'altra parte del locale, lui si alza facendomi una smorfia preoccupata e si avvia verso la cucina, nascondendosi dietro un libro, il mio libro. Finisco in fretta il mio tè, pago il dovuto e me ne torno a casa, senza salutare Liam e senza riprendermi il libro.

Quando sono a casa e apro la porta dell'appartamento, noto che ci sono ancora parecchie cose da sistemare e da risistemare, così accendo la musica e mi rimbocco le maniche.
 
 
Ciao Jane! Mi manchi, lo sai?Spero di mancarti anche io, almeno un pochino. Come va laggiù in Germania? E' bella, fa freddo? Scommetto che mi hai già rimpiazzata, me ne farò una ragione. Ti devo raccontare un sacco di cose, ci sentiamo presto, magari su Skype. Ti voglio bene, vorrei che tu fossi qui.
 
Era un messaggio di Sam, della mia migliore amica, che mi aveva scritto. Sono passate due ore da quando me l'ha mandato, avrei potuto risponderle, se solo non fossi stata impegnata. Mi siedo sul divano e fisso la televisione, che è spenta, poiché deve essere ancora sintonizzata.

"Jane, cosa stai facendo?" dice mia madre appena ritorna a casa

"No, niente, ero stanca e mi sono seduta. Ho sistemato casa"

"Ho visto, ho visto"

"Be' è difficile non notarlo"

"Brava, cucciola" mi si avvicina e mi lascia un bacio sulla fronte, ma riceve un lamento di biasimo proveniente dalla mia gola.

"Scusa, scusa" dice lei

"Ciao papà" dico quando lo vedo entrare in salone

"Ciao pesciolino, come è andata a scuola?"

"Oh piuttosto bene, non è successo niente di che"

"Hai conosciuto qualcuno?" mi chiede

"Si, una ragazza, la mia compagna di banco. Si chiama Sarah e sua madre è inglese"

"Ma è meraviglioso!" dice mia madre

"E poi ha un fratello, si chiama Robert, è... simpatico"

"Simpatico?" chiede mia madre con un sorriso sornione

"Si mamma, solo simpatico. Gli ho detto a malapena ciao" le dico spazientita

"Ma questa casa si è sistemata da sola?" cambia discorso mio padre, che è palesemente imbarazzato e piuttosto infastidito

"Colpa di tua figlia" mi indica mamma

"Merito di tua figlia sarebbe più corretto" rettifico

"Dunque... che si mangia?"

"Il frigo è completamente vuoto, quindi credo che o ci diamo al cannibalismo o andiamo a mangiare fuori" risponde mamma

"Dove andiamo?"

"Conosco un quartiere molto molto carino" intervengo io

"Hai capito la ragazza -papà mi da una gomitata- andiamo!"

"Vi precedo con il motorino, allora"

"Sarebbe meglio che tu non usassi il motorino quando è buio, signorinella" dice mamma

"Non iniziamo ad approfittarcene" conclude papà, sembrano quasi in combutta contro di me.

"Okay, allora vi guido io"

Li conduco nel mio quartiere preferito, anche se ne conosco ancora solo due, quello del Coffee Shop, nel quale lavora Liam, ci dovrà pur essere un ristorante. Possiamo davanti al locale, che è quasi vuoto -è strano vederlo così, solitamente è sempre pieno- e c'è solo una ragazza dietro al bancone, dietro la cassa. Qualche decina di metri più avanti c'è un ristorante piuttosto invitante, ci pensiamo un attimo e decidiamo di entrare e molto cordialmente ci fanno accomodare. Mentre consumiamo il nostro pasto, la mamma mi pone moltissime domande riguardo Sarah, Robert e Matthew, questo ragazzo è riuscito ad affascinare i miei genitori, non so in quale modo.
In qualunque caso non le dico molto, la persona di cui parlo di più, tra i tre, è Sarah, dato che è quella che conosco relativamente meglio.

"Jane, un giorno di questi dovresti invitarla a casa, ti può aiutare con lo studio, in fondo sa anche l'inglese"

"Si, infatti oggi ne parlavamo"

"Che bello, meno male. Sono contenta che tu abbia fatto amicizia con qualcuno"

"Amicizia" sottolinea mio padre guardando storto sia me che la mamma.

Io e lei ridiamo.

"Vorrà dire che dovremo fare la spesa" concludo alla fine.

Il resto della serata passa abbastanza velocemente, tra una risata e una frecciatina. Tornando a casa, in macchina, accendiamo la radio e passano tutte le canzoni del momento, che io e papà sappiamo a memoria e ci mettiamo a cantare, anche se la mamma disapprova.

Quando siamo a casa, mi dirigo verso la mia camera, prendo il telefono e scrivo a Sam.

Ciao Sam, scusa se ti rispondo solo ora, ma ho un sacco di impegni inutili a cui devo pensare. Mi manchi così tanto, non sai quanto mi piacerebbe essere insieme in questo momento. La vita non è la stessa senza di te. Ci sentiamo domani sera su Skype, okay?Perfetto, buona notte

Poso il telefono sulla scrivania, mi metto il pigiama, mi lavo e poi  mi infilo sotto il piumone. Il calore mi concilia il sonno, non ci metto molto ad addormentarmi, cullata dalla piacevole temperatura che c'è sotto le coperte
 
 
ANGOLO AUTRICE
Si, dopo quasi due mesi sono tornata!
Aggiornato, aggiornato.
Che bello, sono tornata alla carica, lol.
Allora, che ve ne pare?
Spero vi piaccia.
Ci sentiamo presto,
grazie a tutti,
Esse.

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