You'll Always Be the First One

di Eynis96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


"I've tried to go on like I never knew you
I'm awake but my world is half asleep
I pray for this heart to be unbroken
But without you all I'm going to be is Incomplete"
-Incomplete, Backstreet Boys

Distretto 13.

Peeta sentiva dolori in tutto il corpo, le ferite sulle gambe bruciavano tanto che persino le leggere lenzuola di lino gli risultavano fastidiose se non addirittura dolorose.

Ogni giorno cercava di riemergere dalla nebbia della sua testa, ma tutte le volte che tentava di ispezionare i suoi ricordi tutto quello che otteneva erano dolorose fitte alle tempie e talmente tanti sentimenti contrastanti lo riempivano che non sapeva da che parte rigirarsi.

Desiderava vedere solo una persona, che però disgraziatamente intenzione di avvicinarglisi.

Le cose erano incasinate.

E non poco.

Però anche se non c'era, Peeta sentiva Katniss accanto a lui ogni momento, tuttavia comprendeva perfettamente lo stato di confusione della ragazza dato che lo condivideva in pieno.

La giovane era venuta una sola volta a trovarlo, ma il colloquio non era stato dei migliori, dato che si erano praticamente insultati.

Con uno sbuffo esasperato Peeta cercò di distrarsi guardandosi attorno.

Erano all'incirca tre giorni che si trovava nell'infermeria sotterranea del distretto 13 e sentiva sinceramente la mancanza del sole.

Si guardò attorno, non era solo, c'erano molti feriti ed ammalati nelle barelle adiacenti alla sua, ed alcune donne si affaccendavano accanto a loro.

Una di queste si avvicinò a lui con un piccolo carrello di metallo a due piani, quello più basso conteneva un grosso catino pieno di acqua profumata, mentre quello superiore era pieno di scatole bianche, cotone e strumenti medici.

Peeta capì immediatamente cosa sarebbe successo di lì a poco e trattenne il fiato.

Un uomo raggiunse la ragazza e le bisbigliò qualcosa all'orecchio e questa apprestò tutti gli strumenti necessari al lavoro del chirurgo, sacca di morfina compresa.

-Allora come ci sentiamo questa mattina Signor Mellark?- chiese cordiale il medico.

Peeta si gelò improvvisamente: l'atteggiamento di falsa cortesia di quell'uomo lo metteva automaticamente all'erta.

Gli ricordava troppo i dottori di Capitol City quando gli somministravano quei potenti medicinali in grado di farlo smettere di sanguinare in breve tempo cosicché potessero subito ricominciare a torturarlo.

-Bene...credo- disse senza muovere le labbra.

Il medico gli tastò l'addome e svolse la fasciatura per cambiare la medicazione sul fianco del ragazzo.

Peeta strinse i pugni per resistere al dolore e per reprimere l'impulso di scagliarsi contro l'uomo che gli stava accanto, doveva cercare una distrazione al più presto.

Fissò il suo sguardo tormentato sulla ragazza che aveva accompagnato il dottore.

Ella stava osservando attentamente il lavoro del medico senza nessun apparente ribrezzo, e Peeta nel disperato tentativo di reprimere i suoi istinti omicidi si concentrò sul giovane volto della donna.

Come accadeva per molti altri in quell'Inferno sebbene i tratti del viso fossero giovani e freschi erano segnati dalle indelebili piaghe della sofferenza e della perdita che si manifestavano sopratutto dentro gli occhi, come un'ombra profonda e scura, proprio in fondo alle pupille.

La fanciulla, sovrappensiero, si scostò una ciocca di capelli castano chiaro dalla fronte e si accorse dell'insistente sguardo del ragazzo.

Come intuendo il suo stato d'animo piantò gli occhi verdi in quelli azzurri del sofferente e cominciò ad intrecciarsi lentamente i capelli per distrarlo.

Quando il dottore finì e si congedò Peeta tirò un sospiro di sollievo e la donna si avvicinò trascinandosi dietro il carrello metallico.

Prese una grossa spugna gialla, la intinse nel liquido profumato e cominciò a tamponare le spalle di Peeta cercando di fare più attenzione possibile a non fare troppo male al malato.

-Ah!- si lasciò sfuggire il ragazzo.

Le ferite sulla schiena erano le peggiori, persino il ricordo faceva male, pensò Peeta.

-Mi scusi- disse gentilmente la ragazza senza smettere però di strofinare.

Peeta quasi sorrise:- Mi dai del lei? Avrai all'incirca la mia età. Usa così nel Distretto 13?-

La ragazza alzò gli occhi al cielo:-No, certo che no. Ma di solito usa così con le persone che non si conoscono-.

-Vuoi davvero farmi credere che tu non mi conosci?- rise Peeta alzando un sopracciglio.

La giovane sorrise come per scusarsi continuando a strofinare.

-Ma, a differenza tua, io non ti conosco-

-Cèline- disse solo la ragazza strizzando la spugna e asciugando Peeta con un panno di cotone per evitare ce l'acqua gli gelasse addosso.

Poi, sempre in silenzio lo aiutò ad infilarsi una camicia che era stata preparata per lui.

Il ragazzo sentiva che Cèline stava per andarsene, ed improvvisamente il panico lo afferrò.

Lui, Peeta Mellark, sopravvissuto a due Hunger Games, ad innumerevoli torture e ad un depistaggio mentale aveva paura.

Sì, una paura terribile che i suoi fantasmi riaffiorassero per distruggerlo.

-Ti...prego...potresti rimanere ancora...fino a che i sedativi non fanno effetto?- sussurrò alla giovane trattenendola per il polso.

Cèline sembrava sorpresa, ma colse il tormento negli occhi dell'uomo e non se la sentì di abbandonarlo, lo aveva già fatto per altri malati con lui non sarebbe stato diverso.

Chiamò una collega per comunicarle le volontà del malato e si sedette accanto a lui.

-Allora...Peeta...cosa vuoi fare?- chiese lei impassibile.

-Non saprei, hai, per caso, qualcosa da leggere?- buttò lì Peeta mentre si tranquillizzava.

-In realtà si- e gli porse un consunto volume che tirò fuori dalla tasca del grembiule tipico della divisa da infermiera.

Il ragazzo lo prese ma le parole cominciarono a vorticare appena lo aprì, quindi infastidito lo richiuse di scatto e chiese:-Potresti, per favore, leggere tu qualche pagina? Io non...-

Céline non attese che finisse la frase, ma cominciò subito a narrare la storia fino a che le palpebre calarono sugli azzurri occhi di Peeta.

 

Per altri tre giorni Peeta e Celine continuarono la loro bizzarra routine e gradualmente tra medicazioni, sedativi e libri Celine raccontava di come era fuggita dal distretto 4 dopo che la sua famiglia era stata massacrata portandosi dietro il piccolo fratellino Ben che lavorava nella mensa di sopra.

A volte ridevano per le battute di Peeta, si scambiavano ricordi di vite che non esistevano più e di esperienze indelebili che non sarebbero mai potute ritornare, e volenti o nolenti stavano creando un rapporto che in guerra non era permesso: l'amicizia.

Perchè in situazioni come quelle un giorno ci sei, poi il giorno dopo non ci sei più, e che motivo c'era di aggiungere altro dolore alle tormentate vite dei sopravvissuti imprimendo eterni ricordi di momenti passati e dolorosamente felici?

Ma gli uomini sono fatti così, non riescono a non uccidersi tra di loro, ma non riescono nemmeno a smettere di volersi bene, per fortuna.

E se da una parte Peeta riusciva per poche ore ad allontanare le ombre della sua mente, anche Celine si prendeva una pausa dal suo estenuante lavoro di infermiera, perchè è così che funziona l'amicizia: ci si porta reciprocamente sollievo per le proprie sofferenze.

Ma quello che nessuno di loro sapeva, è che dall'alto qualcuno li osservava.




Angolo autrice:
Eccomi, allora questa storia è ambientata tra il secondo ed il terzo libro della Saga, quando Peeta si trova nel Distretto 13 ed i rapporti con Katniss sono tesi.
I primi capitoli saranno introduttivi, se avete la azienza di leggerne qualcuno entrerete presto nel vivo della storia.
Grazie un bacio a tutti :)
Eynis96

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


“Life goes on,
It gets so heavy,
The wheel breaks the butterfly.
Every tear, a waterfall.
In the night, the stormy night,
She closed her eyes.
In the night, the stormy night,
Away she flied.”

-Paradise, Coldplay

A sua discolpa Katniss poteva solo dire che non lo aveva fatto deliberatamente, voleva solo un po di pace e disgraziatamente era andata ad infilarsi proprio in quel piccolo pertugio che aveva una finestra sulla parte del distretto 13 che era stata adibita ad ospedale.

Il che voleva dire solo una cosa: Peeta.

Katniss cercava di pensarci il meno possibile perché il solo ricordo del suo ragazzo del pane gli scatenava tutta una serie di domande alle quali non sapeva e non voleva dare risposta.

E si sentiva soffocare ogni volta che Gale la torturava con domande sul loro futuro, su Peeta e tutto il resto, non capiva che nella sua testa c'era spazio solo per il dolore e per la confusione.

Poi c'era la storia della Ghiandaia Imitatrice, così la chiamavano, ma Katniss odiava quel nome, e allo stesso tempo sapeva che poteva rendersi utile solo attraverso quello stupido ed insulso appellativo.

L'unica cosa che aveva in comune con quell'animale era probabilmente il suo desiderio di volare via, di lanciarsi nella foresta per non tornare mai più e fuggire da tutti i problemi della sua esistenza che non le davano pace né giorno né notte.

Lo aveva proposto a Gale, ma forse lui non credeva abbastanza in lei da provarci.

Peeta sì, credeva in lei, e anche la piccola Prim, e anche Cinna.

Cinna.

A quel nome gli occhi di Katniss si riempirono di lacrime, avrebbe avuto proprio bisogno di lui in quel momento, tuttavia si rifiutò di piangere e cercò di distrarsi guardandosi attorno nella piccola intercapedine in cui si era infilata.

Fu allora che li vide: lei seduta leggeva, lui sdraiato a pancia in giù con la schiena scoperta dalle lenzuola, piena di cicatrici attendeva che l'unguento miracoloso applicatogli dal dottore facesse effetto.

Però, persino Katniss si accorse dalla distanza a cui si trovava che il giovane aveva i pugni serrati attorno al cuscino tentando di reprimere il forte dolore.

Sentì salire un conato di vomito, ma non per le orribili ferite che poteva vedere: era il suo subconscio che le faceva provare fisicamente gli effetti del suo egoismo: sapeva perfettamente quello che doveva fare, non conosceva la ragazza, ma al suo capezzale doveva esserci lei, Katniss, non quella lì.

Il pensiero che fosse qualcun altro a prendersi cura del suo ragazzo del pane dopo tutto ciò che lui aveva fatto per lei la tormentava; strinse la perla che portava sempre nella tasca destra dei pantaloni.

Eppure non riusciva a muoversi, il peso delle sue azioni le gravava addosso, sapeva che aveva già commesso molti errori dato che era una frana quanto a rapporti umani ed aveva paura di fare soffrire ancora il suo ragazzo del pane, e Gale.

Sbuffò sonoramente, tappandosi subito dopo la bocca con una mano, accorgendosi del rumore che aveva prodotto.

La ragazza accanto a Peeta smise di leggere per un secondo, poi però riprese fino a che il giovane si addormentò.

Lo sguardo di Katniss non lo abbandonò un solo istante.

 

 

Due giorni dopo era mattino presto, nel distretto 13 dormivano quasi tutti, solo un malato si agitava convulsamente nel suo letto, piegato su se stesso.

Ad un osservatore esterno sarebbe sembrato indemoniato, ma in realtà era solo un povero ragazzo che cercava di distinguere la verità dall'illusione dentro il suo cervello.

Iniziò ad urlare quando il dolore divenne troppo forte, e desiderò seriamente di porre fine al suo tormento, quindi cercò di afferrare sul comodino il piccolo coltellino che il dottore utilizzava per medicarlo.

Ma fortunatamente il personale medico, tempestivamente avvisato da Céline, che, dormendo in una stanza poco lontano, aveva sentito le urla, non glielo permise e tentò di bloccarlo in tutti i modi.

Peeta però era forte anche se ferito, ed i medici avevano paura di strappare i punti di sutura delle ferite bloccandolo troppo violentemente, allora Celine piantò le sue piccole mani sulle spalle del giovane e lo fissò intensamente negli occhi iniziando a tranquillizzarlo con la voce, e cercando di placarlo come succedeva ogni volta che veniva medicato.

Peeta aveva capito l'intento della ragazza e si sforzò il più possibile di controllare le convulsioni che agitavano il suo corpo, poi fissò la giovane nei suoi grandi occhi verdi, ma più li guardava più gli sembravano di un altro colore, troppo simili a quelli di....no...dolore...troppo dolore.

Con molta fatica la crisi venne sedata dai medici con l'aiuto di potenti anestetici, e prima di scivolare nell'oblio del sonno Peeta sussurrò un -Grazie- non specificatamente diretto a nessuno.

 

 

Passò una settimana, e Céline ogni giorno lo medicava e lo distraeva leggendo o chiacchierando, tuttavia poco tempo dopo i capi del Distretto 13 decisero di spostarlo in un'ala a parte dell'edificio, dato che lo ritenevano troppo instabile per poter coabitare con gli altri malati di quell'ospedale improvvisato, comunque la ragazza aveva libero accesso alla camera di Peeta, poiché anche se non voleva ammetterlo lui aveva bisogno di lei.

Però il ragazzo si sentiva profondamente scorretto: non voleva che Céline pensasse che lui nutrisse dei sentimenti per lei, avrebbe sinceramente voluto, ma ogni volta sempre lo stesso volto gli piombava nel cervello come un uragano suscitandogli sentimenti di amore ed odio così profondi da fargli venire la nausea.

D'altro canto Cèline non aveva alcuna intenzione di innamorarsi di Peeta, dato che era perfettamente consapevole dei sentimenti del ragazzo, ma talvolta non poteva fare a meno di indugiare sul profilo del suo viso, sull'ombra che le sue lunghe ciglia proiettavano sugli zigomi alti, o sulle sue labbra sottili.

Una sera come le altre, mentre la giovane stava per spalmare a Peeta l'unguento miracoloso realizzato sulla base di quelli che si creavano anche a Capitol City, troppo assorta nei suoi pensieri Cèline non notò la sacca dei lenzuoli puliti che giaceva ai piedi del letto, ed in una maniera molto poco aggraziata ci inciampò sopra rovinando esattamente tra le braccia di un Peeta senza maglietta seduto sul bordo del letto che attendeva la somministrazione della medicina.

Quando la giovane si accorse della posizione in cui si trovava arrossì fino alla punta dei capelli, ma suo malgrado non poté fare a meno di sentire il calore irradiato dal petto di Peeta, e per un solo secondo si fermò a contemplare il suo sguardo cristallino.

Però si riscosse subito quasi annegando nella propria vergogna e non poté impedirsi di provare un sottile filo di invidia per l'unica ragazza che poteva averlo...e paradossalmente non lo voleva!

-S-scusa...n-non avevo visto il sacco...-balbettò girandosi per riprendere il contenitore del medicinale che era caduto.

-Tranquilla non c'è nessun problema- la rassicurò Peeta con un sorriso, ma poi si rabbuiò per un momento:-Cèline, io vorrei che tu capissi che per quanto io stia bene con te, devo risolvere parecchie questioni con Katniss, e non sono ancora pronto a dimenticarla...io...-il ragazzo era in difficoltà su quell'argomento, e la giovane se ne accorse, quindi lo interruppe subito:-Non preoccuparti, tu non devi spiegarmi nulla, davvero, io non ho alcun diritto di intromettermi tra di voi, ma voglio solo che tu sappia una cosa:tu sei una persona speciale e rara Peeta, ne esistono pochi come te, quindi, ti prego, trova qualcuno che ti meriti davvero- concluse la ragazza con un sorriso che celava ben nascoste delle lacrime.

A quelle parole Peeta tacque pensieroso, attese che ella terminasse la medicazione dopodiché si salutarono con uno sguardo ed il giovane si sdraiò tirandosi le coperte fin sotto il mento certo che quella notte non sarebbe riuscito a dormire.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


“If you could read my thoughts,

You would see I never meant to lose you

and if you could feel my heart.

Then you would know just how it beats for you.”

 

“All of the words i wass dying to say,

never came out the right way,

I'm looking for something that I'll never replace

You are the reason

the reason that I

pick up the pieces of my heart...”

-Broken, Blue

 

 

Aveva bisogno di vedere la luce del sole, era un bisogno fisico e soprattutto psicologico, era sempre stato una persona ottimista, e nulla lo faceva sentire bene tanto quanto il calore del sole che scorreva lieve sulla sua pelle.

Erano passati tre giorni dalla sua crisi e tutto sommato si sentiva abbastanza in forze da poter uscire qualche momento, e così lo chiese alla sua infermiera preferita con la quale, nonostante l'imbarazzo dei giorni precedenti, l'atmosfera era tornata piacevole.

- Cèline ti andrebbe di accompagnarmi fuori per alcuni minuti, te ne sarei davvero grato-

Era ora di pranzo e tutti si trovavano nella parte del Distretto 13 adibita a mensa, quindi la ragazza calcolò che avevano all'incirca un'ora e un quarto prima che qualcuno si accorgesse della loro scomparsa.

Il sorriso tirato e sofferente di Peeta la convinse definitivamente.

-Forza- lo incitò mettendogli un braccio attorno alle spalle per aiutarlo a sollevarsi.

Il giovane pur camminando in maniera instabile per via della protesi alla gamba si muoveva svelto, anche se Cèline poteva sentirlo imprecare a mezza voce per il dolore.

Ella era praticamente certa che quello che stavano per fare non era ammesso nel Distretto, quindi per precauzione si sporse dalla porta della camera di isolamento per controllare che non ci fosse nessuno, dopodiché cominciarono a salire lentamente tutti gradini fino ad un'uscita secondaria nell'ala Est dell'edificio, e fu allora che per la prima volta da quando era stato portato nel Distretto 13 Peeta respirò veramente.

-Beh come potevi immaginare non è un granché- commentò amareggiata Cèline contemplando lo spettacolo di devastazione che gli si presentava davanti.

Quello scenario le ricordava la sua fuga con Ben, la sua famiglia, la sua vita precedente, ed anche Peeta era immerso nei suoi annebbiati ricordi, egli col volto madido di sudore per lo sforzo si appoggiò al muro dell'edificio e contemplò il bosco, verso dove, sapeva, si trovava casa sua.

E percorse con gli occhi della mente i suoi ricordi: il calore del forno la mattina presto, le mani ruvide di suo padre sulla guancia, il grande tavolo di legno scuro a casa dove disegnava, e poi un volto.

Il suo cervello si bloccò su quell'immagine.

Una bambina, piccola, gli occhi già penetranti e maturi alla veneranda età di otto anni, le guance rosse per lo sforzo di trascinare un sacco di iuta pieno di selvaggina da vendere, lo sguardo dritto di fronte a se, il padre al fianco che sorrideva sotto i baffi.

Una lacrima gli sfuggì dagli occhi.

Non piangeva da un sacco di tempo, nemmeno quando lo avevano torturato a Capitol City lo aveva fatto: urla sì, tante, le stesse che lo tormentavano ogni notte, ma nemmeno una lacrima.

Poi, incalzato dall'ibrido che si annidava dentro di lui, subentrò la rabbia: perché doveva continuamente rincorrere qualcuno che non lo avrebbe mai amato?

Quanto dolore fisico e psicologico sarebbe riuscito a sopportare?

-Peeta tutto bene?- gli domandò Cèline preoccupata notando la smorfia di dolore che attraversava il volto del ragazzo.

Erano pericolosamente vicini, il braccio di lei era ancora attorno alla sua vita, si fissavano respirando piano cercando di comprendere come diamine erano finiti in quella posizione.

Cèline sapeva che probabilmente avrebbe nuovamente sofferto se si fosse lasciata andare, ma forse in quel momento non le importava, anche Peeta sapeva che non era giusto nei confronti di quella ragazza: mentre stringeva lei desiderava abbracciare qualcun'altra, ma le si era affezionato, e voleva per un momento smettere di soffrire, e forse in quell'attimo nemmeno a lui importava.

Delicatamente la ragazza appoggiò le labbra sulle sue, beandosi del calore della sua pelle, ma mentre si baciavano un rumore li interruppe e i due si staccarono profondamente imbarazzati.

Stavano per darsi inutili e dolorose spiegazioni reciproche quando Peeta intravide controluce un baluginio ramato che non poteva confondere.

Capì immediatamente chi fosse e pensò che fosse giunto il momento di mettere in chiaro le cose dato che ne aveva l'occasione.

Cèline comprese subito cosa stava pensando Peeta e a malincuore lo lasciò andare, dopodiché si inginocchiò a terra e si diede sinceramente della stupida per aver pensato che lui fosse minimamente interessato a lei.

Andiamo!Si era già dimenticata la storia di Katniss e Peeta gli sfortunati amanti del Distretto 12?

Ebbe sinceramente un moto di disgusto per il modo in cui quella ragazza trattava quel povero giovane che moriva per lei e che non pensava ad altro che ai momenti passati assieme.

“Di nuovo!” pensò.

E le tornò in mente di come nella sua vita passata aveva già creduto di poter essere speciale per qualcuno mentre invece per lei la felicità non esisteva e non sarebbe mai esistita.

 

 

 

Peeta rincorse Katniss per quanto la gamba gli permetteva, ma lei era agile e sfuggiva come un'anguilla fino a che non inciampò e il giovane riuscì ad afferrarla per un polso.

-Lasciami- urlò lei.

-Katniss ma perchè diavolo ti comporti così?- rispose Peeta sbalordito.

-Tu hai intenzione di rifarti una vita con Gale dopo la fine di questo inferno, perché io non posso?-

sbraitò lui, sentiva che stava per perdere il controllo, l'ibrido creato da Capitol City stava lentamente avanzando dentro di lui.

Aveva bisogno di dolore fisico: si piantò le unghie delle mani nei palmi. Non era da lui reagire così.

-Ma cosa cavolo stai dicendo Peeta?- ribatté Katniss alzando la voce di un'ottava come se si fosse scottata.

-Sul serio, credi che perché io sono confinato in culo a questo diavolo di tana per le talpe, non senta le voci oppure non veda con i miei occhi?- sbottò Peeta:-Dammi un solo motivo per cui io non dovrei crederlo!-.

Katniss sapeva che lui le stava dando nuovamente un'altra possibilità, ma il panico la inchiodava, e continuava a fissarlo con gli occhi sbarrati come un cerbiatto di fronte ai fanali di un'automobile.

Peeta stava lentamente tornando in sè e si accorse di quello che aveva detto, non era da lui, certamente era vero, ma non era stato giusto dirlo, o meglio urlarlo, a quel modo.

L'espressione dei suoi occhi si addolcì:-Katniss io...-

Fu brutalmente interrotto dall'arrivo di un Gale affannato e preoccupato che nel giro di tre secondi divenne arrabbiato dopo aver visto l'espressione sconvolta della ragazza e il giovane in piedi di fronte a lei con i pugni serrati.

-Cosa cazzo ci fai qui tu!?- urlò rivolto a Peeta.

Ma lui non lo guardava, fissava ancora la ragazza, amareggiato e disperato, lei era inchiodata a terra, il cuore schiacciato sotto le piante dei piedi e la mente sulle nuvole.

Capiva che Peeta aveva bisogno di aiuto, lo conosceva meglio di chiunque altro, e oltretutto aveva ragione, era una persona schifosamente egoista e doveva decidere.

-Nulla me ne sto andando- disse il biondo, avviandosi verso le scale.

-Dove credi di andare piccolo traditore?- lo provocò Gale.

-Il più lontano possibile da voi...-mormorò Peeta a bassa voce, poi mentre saliva, la figura di Cèline si stagliò nell'ombra del sole di mezzogiorno ed aiutò il suo “amico” a salire le scale dato che era molto provato dallo sforzo fisico appena fatto, ma appena oltrepassò la porta di ingresso si voltò indietro per gettare un'occhiata traboccante di fiamme alla ghiandaia.

Tuttavia Katniss stava effettivamente andando a fuoco: ogni volta che la giovane toccava Peeta sentiva come delle falde incandescenti posarsi sul suo costato, il senso di colpa e la vergogna che provava erano indicibili.

-Come ha fatto ad uscire dalla sua cella?- chiese Gale alterato -Chiederò che venga raddoppiata la sorveglianza-

-Sole- sussurrò semplicemente Katniss: lei sapeva perché il suo ragazzo del pane era uscito, e con un sorriso pensò che in fondo nemmeno il depistaggio lo aveva cambiato.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

 


 

 

I’m sorry if I say, I need you
But I don’t care, I’m not scared of love
‘Cause when I’m not with you I’m weaker
Is that so wrong? Is it so wrong?
That you make me strong

Think of how much love that’s been wasted
People always trying to escape it
Move on to stop their heart breaking
But there’s nothing I’m running from
You make me strong

-Strong, One Direction

 

 

-Vuoi parlarne?- Prim era entrata nella loro stanza di soppiatto.

Katniss era sdraiata sul suo letto con le braccia dietro la nuca e lo sguardo rivolto al soffitto.

-Cosa c'è da dire?-mormorò la giovane senza voltarsi:-Non c'è soluzione-.

Prim era stupita:-A cosa?-

-Non riesco a smettere di pensare a Peeta anche se passo tutto il mio tempo con Gale e quando sono con lui...desidero solo essere vicina al mio ragazzo del pane, io lo so che ha bisogno di me, ma...-

l'espressione di Katniss divenne tormentata.

Prim le si avvicinò turbata, aveva compreso solo in quel momento l'entità della divisione interiore della sorella maggiore.

Non l'aveva mai vista in quello stato perché la ragazza celava sempre i suoi sentimenti agli altri, ma in quel momento non ne aveva la forza, perciò Prim decise per una volta soltanto che sarebbe stata lei a salvare Katniss da se stessa come poteva, prendendo esempio dalla migliore.

Le strinse la mano e sorrise:-Io so che vuoi bene a Gale, sei cresciuta con lui e si è preso cura di noi quando tu non c'eri- a queste parole il corpo di Katniss si irrigidì- ma ricordati che non devi niente a nessuno, tu sei tormentata dal pensiero di ridare indietro quello che ti è stato donato, perché non sopporti di essere in debito con qualcuno, ma le cose stanno diversamente- l'intensità dello sguardo di Prim colpì la sorella maggiore:- Per favore Katniss smetti di fare quello che devi e comincia a vivere per te stessa, non per me, non per la mamma e non per Gale, solo per te-.

La giovane era rimasta sbalordita dalle parole uscite dalla bocca della sua sorellina: la guerra l'aveva cambiata, era cresciuta, ma per lei sarebbe rimasta per sempre la sua piccola paperella da proteggere, non poteva farci nulla.

Katniss le sorrise dolcemente:- Forse hai ragione Prim, ma io ho combinato un gran pasticcio ed ora devo capire come risolverlo, accidenti, è tardi devo scappare, Gale voleva vedermi-.

Le diede un bacio sulla fronte per ringraziarla ed uscì dalla stanza pensierosa.

 

 

Gale la aspettava appena fuori dalla sala dove si era appena tenuta una riunione dei capi del distretto 13.

-Perchè ci hai messo tanto?- chiese visibilmente indispettito e sospettoso.

-Prim voleva parlarmi di una cosa...-rispose Katniss evasiva.

-Oh ti prego non dirmi che sei tornata di sotto dal dolce e psicolabile Peeta!-

-Ma cosa cavolo stai dicendo Gale?- domandò la ragazza punta sul vivo.

-Esattamente quello che hai sentito, lui è cambiato, non è più capace di provare dei sentimenti, è pericoloso-. Lo sguardo di Gale era implacabile.

-No, non è vero, lui ha solo bisogno di aiuto e tornerà normale, potrà avere un futuro dopo questo delirio!-il tono di Katniss salì di alcune ottave.

-Ah certo, e fammi capire, il suo futuro comprenderà anche te per caso?-il ragazzo ormai urlava frustrato.

-Gale stai esagerando ora!Non so nemmeno se arriverò alla fine di questa dannatissima Rivolta!-non era pronta a rompere con lui, non in quel momento, non così.

Aveva bisogno di conforto, chi le rimaneva se avesse allontanato anche Gale?

Non resisteva più, ovunque andava c'erano solo urla, lacrime e rimorsi, smise di cercare di convincere il giovane, il quale aveva stretto i pugni lungo i fianchi e scuoteva la testa guardandola negli occhi.

Katniss sapeva che lui voleva qualcosa che lei non poteva darle: il suo amore.

Per la seconda volta nel giro di pochi mesi ella comprese di chi veramente non poteva fare a meno.

Questo pensiero la spaventò, e poiché il silenzio tra lei e Gale stava diventando insostenibile, gli rivolse un'ultima occhiata addolorata e si voltò per andarsene.

 

 

 

Peeta e Cèline nel frattempo erano tornati indisturbati nella camera riservata al ragazzo, ella lo aiutò ad adagiarsi sul letto ed in silenzio lo lavò come era solita fare ogni giorno passandogli addosso una spugna intrisa di infuso di rose e margherite, dopodiché gli applicò l'unguento, ma quando stava per andarsene Peeta la chiamo:-Céline...mi dispiace, io non avevo assolutamente intenzione di ferire i tuoi sentimenti, mi sono comportato da perfetto stronzo e ti prego di perdonarmi- lo sguardo di Peeta bruciava per il rimorso.

Non era da lui comportarsi così, non era mai stato un ragazzo a cui piaceva spezzare il cuore delle donne, ed onestamente non aveva mai desiderato esserlo, era qualcosa di troppo lontano dalla sua natura.

Però Cèline non parlava, era pericolosamente sul punto di piangere e non aveva intenzione di farlo davanti a lui, quindi scosse la testa lasciando che alcune ciocche di capelli sfuggite dallo chignon morbido le ricadessero sul volto così da coprirlo, dopodiché si avviò velocemente fuori dalla stanza sotto lo sguardo mortificato del giovane.

Cèline una volta fuori cominciò a correre fino a che non si fermò in un angolo poco distante dalla mensa, avrebbe atteso lì per una mezzora il fratellino che, così come altri, dava una mano nella cucina del Distretto.

Scivolò lentamente a terra e fece cadere lacrime silenziose: gocce che sapevano di frustrazione e di fastidio per se stessa, ma anche di un vuoto che non riusciva a colmare.

Poi persino il suo pianto la infastidì e decise di smettere e farsi forza mentre attendeva il suo fratellino dodicenne Ben.

Quando arrivò si abbracciarono e per la prima volta in quella giornata Cèline si sentì bene e decise che quella sera l'avrebbe trascorsa con l'ultima parte della sua famiglia che le rimaneva.

E mentre se ne andava tenendolo per mano pensò che per loro era nuovamente ora di ricominciare daccapo.

 

 

 

Quando la porta si aprì Peeta pensava che fosse la sua amica che per qualche assurdo motivo aveva deciso di perdonarlo, tant'è vero che si protese sul letto già con il nome “Céline” sulle labbra, ma la delusione per non averla trovata venne immediatamente rimpiazzata dalla sorpresa.

Infatti dalla porta spuntarono due paia di occhi chiari incorniciati da due trecce bionde.

-Ciao Prim!?- esclamò Peeta non sapendo bene se fosse un saluto o una domanda.

Non si erano mai frequentati granché ma spesso la bambina passava davanti al suo negozio nel Distretto 12 e si incantava ammirando i piccoli dolcetti di zucchero esposti nella vetrina della panetteria, era allora che Peeta, stando attento a non farsi notare dalla madre, usciva e le regalava un piccolo muffin e dei biscotti da portare a casa per sua madre...e forse anche per qualcun altro.

-Ciao Peeta- rispose cordiale Prim.

Anche se si erano parlati poche volte era come se conoscessero tutto l'uno dell'altra, per via delle ore che avevano trascorso a chiacchierare con Katniss, e probabilmente lo sapevano entrambi dato che si sorrisero amichevolmente e Prim cominciò a parlargli come se fosse un suo amico da lungo tempo.

-Senti Peeta, io devo chiederti scusa per il comportamento di mia sorella, tu la conosci, lei cerca continuamente di salvare tutti mettendo sempre gli altri davanti a sé, però allo stesso tempo ha una sorta di istinto di autoconservazione che la fa chiudere in sé stessa e che la fa sembrare egoista e senza cuore- il volto corrucciato della piccola suggeriva che aveva riflettuto molto sull'argomento prima di parlare con lui.

Dalle sue parole traspariva un certo orgoglio per l'indagine psicologica appena compiuta e soprattutto il grande amore che provava per la sorella.

Ella continuò:-Ma io ti assicuro che lei ti vuole bene e ...- Peeta la interruppe:-Prim, Prim io non voglio assolutamente obbligare Katniss a stare con me, io lo so che questa situazione è complicata, ma vorrei che capisse che io senza di lei non sono niente, e che, nonostante tutto, rispetterò qualsiasi decisione vorrà prendere- fece una pausa:-Ma voglio anche che sappia che dovrò rifarmi una vita prima o poi-sorrise mesto infine.

Prim nella sua sensibilità da preadolescente, era quasi commossa dalle parole del ragazzo, poteva vedere nei suoi occhi la sincerità dei suoi sentimenti e si sentiva come se avesse appena conosciuto il Principe Azzurro: da grande avrebbe voluto che ci fosse qualcuno che la amasse così come Peeta amava sua sorella.

Cosa diavolo passava per la testa di Katniss?

-Posso abbracciarti?- la giovane era soddisfatta dopo questa conversazione anche perché in fondo...tifava per Peeta.

-Certo, vieni qui- Peeta sorrise, lei gli ricordava così tanto i suoi fratelli che aveva perso.

Però prima di andarsene Prim indugiò un momento accanto all'orecchio del giovane e gli sussurrò:-Sai una cosa? Io scommetto su di te-.

Dopodiché se ne andò di soppiatto così com'era venuta, lasciando nella stanza un Peeta sorridente e nuovamente pieno di speranza per il futuro.

 





Angolo Autrice:
Scusate il ritardo ma la scuola non mi dà tregua, ringrazio quelle povere anime che mi hanno lasciato recensioni (vi adoro!) e avverto che il prossimo sarà l'ultimo capitolo ma questo fandom riospiterà presto le mie storie assolutamente Everlark ;)
Baci ;)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


No there’s no one else’s eyes
That could see into me
No one else’s arms can lift
Lift me up so high
Your love lifts me out of time
And you know my heart by heart

When you’re one with the one you were meant to be find
Everything falls in place, all the stars align
When you’re touched by the cloud that has touched your soul
Don’t let go
Someone comes into your life
It’s like they’ve been in your life forever

-Heart By Heart, Demi Lovato


 

 

Quando entrò in camera la sua sorellina dormiva già sotto le coperte, infatti Katniss, prima di tornare al suo alloggio, si era concessa una piccola boccata d'aria fresca fuori dall'edificio che ospitava i disperati ribelli, ed era rimasta a contemplare il cielo stellato nel tentativo che la calma dell'universo la invadesse e spegnesse il fuoco che la bruciava nel profondo.

Si era rifiutata di mettere ordine nella sua vita in quelle due ore, aveva concentrato la sua attenzione solo sulle dita indolenzite che stringevano le sue spalle per proteggersi dal freddo, era come se avesse relegato tutti i suoi pensieri pesanti infondo ad un crepaccio, ed ora li guardava da lontano con le gambe allegramente a penzoloni su quel burrone.

Cercò di mantenersi in questo stato di equilibrio mentre rimboccava le coperte a sua Prim e si metteva il pigiama per poi coricarsi, ma il suo subconscio non aveva intenzione di essere così clemente come lo era stata la sua mente, e nell'oblio del sonno riemersero prepotentemente gli incubi che la tormentavano da due anni a quella parte.

Katniss si trovava nella seconda arena, tutto vorticava, non trovava un appiglio, era trascinata via, non riusciva a bloccare l'inevitabile caduta, nulla poteva aiutarla, l'acqua vorticosa si chiuse sopra di lei, implacabile.

I polmoni le bruciavano, ma nonostante l'intontimento Katniss vide un ombra avanzare nell'oscurità dell'acqua brandendo un coltello lucente, si avvicinava sempre di più e lei non riusciva a muovere un muscolo, ma quella cosa continuava ad avvicinarsi...”

La giovane si svegliò di soprassalto madida di sudore soffocando le urla nel cuscino per non svegliare la sorellina che si agitò lievemente nel sonno.

Si sentiva soffocare in quella piccola stanza, sapeva che esisteva una sola cosa in grado di calmarla, e nel momento stesso in cui si decise i suoi piedi si mossero da soli.

Ancora in pigiama e con i capelli sciolti si mise le scarpe e si gettò fuori dalla stanza cercando di fare il minor rumore possibile.

Con la stessa accortezza che utilizzava a caccia si spostò attraverso il Distretto addormentato, scese due rampe di scale ed eluse le guardie assopite agli angoli delle porte, dopodiché entrò nella cella di isolamento, perché di questo si trattava, in cui stava Peeta.

Era sveglio, e appena lo vide Katniss ne comprese il motivo.

Il giovane era piegato in due e stringeva il lenzuolo con i pugni senza emettere alcun suono: stava avendo uno dei suoi episodi: un fantastico regalo di Capitol City.

A vederlo in quello stato la ragazza si sentì male e subito corse verso di lui accanto alla branda in cui era sistemato e cercò di calmarlo sussurrandogli parole di conforto:-Peeta, guardami, sono qui, sono io, calmati, non voglio ucciderti, non voglio farti del male-.

Udendola il giovane spalancò gli occhi scuri e tormentati, ma concentrandosi sugli occhi grigi di Katniss a poco a poco ritrovò la calma e si riadagiò sfinito sul letto con una mano sulla ferita al costato.

-Cosa ci fai qui Kat?- chiese sorpreso:-Non puoi starmi vicino sono pericoloso per te, avrei potuto ucciderti- mormorò affannato.

-So che non lo avresti mai fatto- rispose sicura Katniss.

-Perché sei venuta?-domandò perplesso il ragazzo del pane:-Credevo che non volessi più vedermi-

-Non riesco a dormire, i miei incubi non mi danno pace- disse semplicemente la ragazza, anche se quella frase sottintendeva molto di più:-Forse tu non riesci a ricordare, ma devi sapere che durante il Tour della Vittoria, noi...-

-...dormivamo abbracciati ogni notte. Vero o Falso?- terminò Peeta.

-Vero-

Katniss rimase in piedi, abbracciandosi le spalle con le mani per il freddo: nella fretta di uscire dalla camera aveva scordato la giacca.

Peeta se ne accorse e spostò la coperta per farle spazio sul piccolo letto in cui giaceva.

La giovane si accoccolò contro il suo petto, sentendosi finalmente a casa, e anche il ragazzo percepì nuovamente una parte del suo cuore che aveva disperato di poter sentire ancora.

-Peeta, tu devi perdonarmi perché io non avevo alcun diritto di interromperti mentre eri con...con...quella ragazza, e nemmeno ora potrei stare qui con te, dovrei darti la possibilità di rifarti una vita, come dici tu, libero da me e dai miei problemi, ma...-

Peeta la interruppe sollevandole il viso, anche nella penombra della stanza Katniss poteva scorgere l'azzurro vivo dei suoi occhi.

-Katniss, quando te lo metterai in testa che senza di te io non ho futuro?-sussurrò il ragazzo.

Con il cuore gonfio di gioia Katniss si avvicinò al suo ragazzo del pane ed appoggiò le labbra sulle sue assaporando il loro calore, e fu un bacio vero, come quello sulla spiaggia della seconda arena, quello in cui Katniss aveva realizzato di non poter vivere senza di lui, un bacio che esprimeva molte più parole di quante la ragazza avesse mai avuto il coraggio di esprimere.

Alla fine Peeta la strinse ancora di più a sé, avvolgendola con le sue braccia forti che portavano i segni indelebili delle sofferenze che aveva patito, e lei si lasciò cullare, ma prima di addormentarsi il giovane, sfiorandole la testa con la guancia lievemente in ansia, le sussurrò:-Tu mi ami. Vero o Falso?-

-Vero-rispose Katniss sapendo che era sempre stata la verità.

Angolo autrice: Finalmente ho portato a termine questa storia, devo dire che mi è piaciuto davvero molto scriverla e spero che sia lo stesso per voi popolo di EFP. Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito, inserito tra le preferite, ricordate o altro, un saluto speciale a Mak e _Robertina96_ che mi hanno consigliato e recensito. E grazie anche a voi, lettori silenziosi che magari siete passati di qui ed avete sorriso dei miei patetici tentativi di scrivere di gioia, dolore ed emozione. Se vi siete divertiti allora ho portato a termine la mia missione ;) Un abbraccio a tutti. P.S. tornerò presto ;D

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