Speranza: ultima a morire

di Sherlock Holmes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di teorie, fazzoletti e sguardi al cielo ***
Capitolo 2: *** Un grido nella notte ***
Capitolo 3: *** Argini ***
Capitolo 4: *** Amore e pazzia ***
Capitolo 5: *** Attesa ***
Capitolo 6: *** Errori da Boswell ***
Capitolo 7: *** Follia? Realtà? ***



Capitolo 1
*** Di teorie, fazzoletti e sguardi al cielo ***


No.
Non poteva essere morta.
Doveva essere uno dei suoi trucchetti.
L’ennesimo ben riuscito.
 
Strinsi tra le mie dita la seta del suo fazzoletto, chiazzato di sangue ormai rappreso.
 
Insomma: Irene era scaltra. Più di me. E, quindi, più del professore.
L’aveva di certo ingannato,  fingendo di spirare davanti ai suoi occhi…
E il sangue? Un tocco di classe.
 
Oh, sì. Nel mio cuore sapevo che Irene Adler l’aveva scampata. Come sempre, d’altronde.
 
Lei era viva. E stava attendendo che io risolvessi il caso Moriarty per mostrarsi a me, sorridermi, corrermi incontro, abbracciarmi e baciarmi, dicendomi che altro non ero se non uno stupido se, anche solo per un secondo, avevo creduto alla sua morte.
Sorrisi, a questi miei pensieri.
 
Intascai quel per me prezioso pezzo di stoffa, alzando lo sguardo verso la luna e le stelle, cosciente del fatto che anche lei le stava fissando, in quel momento…
 
Irene Adler le stava fissando, sì.
Ma non potevo sapere che lo stava facendo con occhi vacui…

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Capitolo 2
*** Un grido nella notte ***


Il Tamigi scorreva placido; lento, al mio fianco.
Pareva quasi accompagnasse i miei passi.
 
Niente da fare.
Non riuscivo a non pensare ad Irene, ed a come avrebbe apprezzato camminare accanto a me, in quella apparentemente tranquilla serata londinese, raccontandomi della Siria, dell’India, delle Cicladi… di tutti i posti in cui si era rifugiata e che aveva visitato…
E, magari, mi avrebbe chiesto di nuovo di… fuggire con lei.
Se me l’avesse richiesto in quel momento… come mi sarei comportato?
Forse, l’avrei seguita.
Già.
Perché io, come lei, avevo capito qual era il mio posto.
Vicino a colei che amavo.
 
Mi accesi la pipa, lasciando che il cerino rischiarasse, con la sua debole fiamma, la notte che mi avvolgeva.
Esalai una nuvoletta scura, fissando la sponda del fiume.
“Operaio al lavoro. Solo.
 Falla non grave nelle fognature…” dedussi, vedendo un uomo in pettorina armeggiare sugli argini del Tamigi.
Questi si voltò verso il baluginio del mio tabacco acceso.
- Aiuto!- gridò, agitando le braccia – Qui!-
Aggrottai le sopracciglia.
“Che è successo?” mi chiesi, correndo verso di lui; senza indugio.
Avevo il revolver a portata di mano; per ogni evenienza…
Ma non servì.
- Signore!- mi chiamò.
L’operaio era ancora immerso nell’acqua melmosa del Tamigi, e tentava di trascinare a riva un grosso fagotto scuro di forma indefinita…
Mi sporsi, aiutandolo a tornare a riva.
Ansante, l’uomo posò a terra quello strano fagotto appesantito dall’acqua…
Fagotto che si rivelò essere una persona.
- L’ho visto… quando sono uscito dalla tubatura est…- esalò – Galleggiava nell’acqua.-
Afferrai di slancio la lanterna cieca dell’operaio, togliendole la lamina che oscurava la fiammella.
Un debole fascio di luce colpì il viso del corpo, a terra…
E fu in quel momento che… ogni mia speranza venne tacitata.
Fu in quel momento che mi cadde il mondo addosso.
Fu in quel momento che capii quanto inutile sarebbe stata la mia vita, da quell’istante in poi…
Irene Adler giaceva sulla nuda terra; davanti a me. Le vesti zuppe d’acqua, i capelli infangati, il viso di un biancore spettrale, le labbra esangui, gli occhi spenti.
Rimasi immobile, a fissarla.
Incapace di parlare.
Incapace di pensare.

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Capitolo 3
*** Argini ***


Crollai in ginocchio, e solo dopo un lungo sospiro mi azzardai a tastare il polso di Irene, riversa in posizione innaturale sull’argine fangoso del Tamigi.
Nessun battito.
Deglutii.
“No, non è possibile…”
Premetti due dita sulla giugulare del mio amore.
Nessun battito.
Tremai leggermente, terrorizzato dall’idea di averla persa
Mi chinai, posando il mio orecchio sulla parte sinistra del suo petto.
Nessun battito.
Brividi freddi corsero sulla mia colonna vertebrale.
“E’… E’ morta, Sherlock…” mi dissi, incredulo del mio stesso pensiero…
L’operaio mi sfiorò la spalla, riportandomi, così, alla realtà.
- Vado… a chiamare la polizia. – mormorò l’uomo.
Mi limitai ad annuire.

A poco a poco, i passi dell’operaio si fecero sempre più lontani.
 
Deglutii nuovamente.
Una, due, tre volte. E mi costrinsi a ricacciare indietro le lacrime, che premevano di venir fuori.
Le carezzai il volto, amorevole, con mani tremanti.
E fu in quell’istante che l’argine crollò.
Piansi.
Già.
Io, il grande Sherlock Holmes, piansi.
 
Singhiozzai. Mi disperai.
E la chiamai. Inutilmente.
 
Delicatamente, feci scivolare il corpo della mia amata tra le mie braccia… e lo cullai, dolcemente.
Chiusi poi le palpebre, lasciando che l’ultima lacrima solcasse il mio viso.

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Capitolo 4
*** Amore e pazzia ***


In quel ferale, tremendo momento… un pensiero mi attraversò la mente, con la velocità di un fulmine.

Il primo pensiero folle di Sherlock Holmes?

Mi diedi dello stupido.
Ma certo!
Irene doveva aver assunto qualche sostanza che le aveva rallentato il battito e indotto una morte apparente! Come Blackwood aveva fatto per salvarsi la pelle!
Lei era troppo furba per farsi uccidere… Troppo!
Le sorrisi, dolcemente, carezzando il suo viso e baciandole la gota.
- Oh, volevi ingannare anche me, tesoro mio?-
Scesi a baciarle le sue labbra violacee.
Mi guardai poi attorno.
Silenzio.
Strada deserta.
“Bene…”
Agii, in un istante, coprendola con il mio pastrano e prendendola delicatamente tra le mie braccia.
D’altronde, la polizia sarebbe accorsa a momenti, allertata dall’operaio.
Di certo l’avrebbero dichiarata morta. Magari… sarebbe stata sottoposta ad un’autopsia. Ed in tal modo sì che l’avrebbero uccisa!
 
Dovevo salvarla.
Salvarla ed aspettare il suo risveglio.
 
Solo dopo averle dedicato un altro sorriso, la strinsi al mio petto… allontanandomi poi dal fiume, guardingo.

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Capitolo 5
*** Attesa ***


Rientrai a Baker Street, macinando i diciassette gradini che ci separavano dalla mia stanza.
Spalancai la porta della camera, posando poi, con estrema delicatezza, il mio amore su quel letto che, più di una volta, era stato la nostra alcova.
Lo spesso lenzuolo damascato si macchiò di terriccio e acqua sporca. Ma non vi badai.
Difatti, il mio sguardo non voleva staccarsi dal suo, vuoto.
Le scostai dal viso un ricciolo divenuto rigido a causa dell’argilla, e le chiusi le palpebre.
- Così… Così va meglio, mh? Niente freddo, niente sporcizia…- le sussurrai, amorevole.
Carezzai per l’ennesima volta il suo bel viso, cereo, prima di andare a preparare un bel bagno caldo.
La spogliai, gettando a terra i vestiti laceri. La ripresi in braccio e la immersi nella vasca.
La lavai, senza smettere di parlarle. Nemmeno per un secondo. Come se dovessi tenerla in vita, a contatto con la realtà…
L’asciugai attentamente, vestendola poi con miei abiti puliti; larghi, per lei.
Tolto il copriletto ormai lercio, la posai fra le lenzuola, coprendola come un padre fa con sua figlia.
 
Ed aspettai. Aspettai che si destasse.
Sì.
Aspettai il suo risveglio, ingenuamente.
Perché non potevo credere di averla persa.
Perché non volevo credere di averla persa…

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Capitolo 6
*** Errori da Boswell ***


Watson giunse al 221B di Baker Street solo la mattina successiva, presentandosi senza tante cerimonie in camera mia, con un sorriso ebete sul volto.
-Deduco che ha trascorso una bella nottata con sua moglie, dottore…-
Mi sfuggì un lieve, mesto sorriso.
Watson divenne paonazzo.
- C-Come si permette di…-
La sua voce scemò, dopo aver visto l’occupante del mio letto.
- Miss Adler?- la chiamò, in un sussurro, sporgendosi appena verso il baldacchino.
- Precisamente.- mormorai io, in sua risposta.
- E’-E’ pallida, Holmes…- sussurrò il mio caro Boswell – Cadaverica…-
Watson annullò la distanza che lo separava dal letto, tastandole poi il polso.
Sbiancò.
- Holmes…- esalò.
- Sembra morta, mh?-
Sorrisi, alzandomi dalla poltrona che avevo occupato per tutta la notte.
- Non lo è, dottore.- conclusi.
Watson sbatté le palpebre, come stranito.
- Che… Che sta dicendo?-
- La Donna è troppo furba per farsi ammazzare…- mormorai, con leggerezza.
Il dottore mi fissò. E dal suo sguardo capii che… mi stava credendo ammattito.
- Ha già sbagliato con Blackwood, caro il mio Watson…!- gli ricordai, con tono da predica.
Lui scosse la nuca.
- N-Non ora, Holmes. Lei… è… è morta. D-Davvero.- mormorò.
- No, dottore. Erra.-
Watson serrò le palpebre.
E sospirò, sonoramente.
- La… La capisco, Holmes. – esalò, contrito – Vuole convincersi che miss Adler è ancora fra noi, ma…-
Mi posò una mano sulla spalla.
-…non è così.- concluse.
-Si sveglierà, le dico.- m’intestardii, scostandomi dal suo tocco fraterno.
Deglutì, visibilmente a disagio.
- No; no, Holmes. Non accadrà. Glielo posso… tristemente assicurare, come medico…-
- Stolto. – m’inacidii.
Il dottore s’indurì.
- Lo è lei, a credere alle sue… pazze teorie!- esclamò.
- Lei è viva!- ribadii.
- NO, HOLMES!-
Mi afferrò per le spalle, guardandomi dritto negli occhi.
- Irene Adler è morta!
C’è un cadavere nel suo letto!- esclamò, risoluto – E… prima lo capisce… meno soffrirà. – concluse, in un sussurro.
Le sue parole mi urtarono.
E le mie mani ripresero a tremare.
Mi trovai a deglutire.
- Holmes, mi guardi…- fece Watson, scrollandomi, appena.
Lo feci.
- Mi dispiace. Mi… dispiace enormemente, Sherlock…-
Mi stava chiamando per nome…
- Irene Adler… La Donna, la sua Donna… non c’è più.-
Il tremore alle mie mani non cessò.
Nemmeno quando, impacciatamente, Watson mi abbracciò.

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Capitolo 7
*** Follia? Realtà? ***


Era… davvero così?
 
Il mio unico amore era… morto, assassinato da James Moriarty. Ed il professore aveva poi gettato il suo corpo esanime nel Tamigi.
 
Sì. Così era andata.
Era questa la teoria che si adattava ai fatti.
Ed io avevo agito da folle.
Perché altro non ero se non un stupido innamorato. Un innamorato che, per orgoglio, non aveva mai detto alla sua musa quanto la amava.
 
Mi passai una mano sugli occhi, per cercare disperatamente di arginare quell’unica lacrima che spingeva per uscire.
Inspirai profondamente, per poi sciogliere l’abbraccio fraterno di Watson.
Serrai, per un istante, le mie mani sulle sue braccia, in un muto ringraziamento per il suo spontaneo gesto; da vero amico.
Il dottore annuì, capendo.
Spostai lo sguardo sul… cadavere di Irene, steso sul mio letto.
 
Dovevo dirglielo. Anche se, ormai, non poteva più sentirmi…
Mi accostai, così, a lei, chinandomi per raggiungere le sue livide labbra.
Mi fermai ad un nulla dalla sua bocca, per sussurrarle, a voce rotta, un timido ma sentito: - Ti amo.-
La baciai, lasciando scivolare libera sulla mia guancia quella stramaledetta lacrima, che cadde, bagnando il viso di Irene indurito dalla morte.
 
Fu proprio in quell’istante che… notai un lieve, appena accennato movimento alle dita della mia amata Irene; di colei che era stata dichiarata passata a miglior vita…
Il mio cuore balzò nel petto.
 
Primo passo verso la follia o… meravigliosa realtà?




Note dell'Autrice: Quest'ultimo capitolo è il mio augurio di buone feste a tutti coloro che leggono e seguono le mie fic.
Grazie a tutti!

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