You're my dream come true

di Dalhia_Gwen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** -Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** -Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** -Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** -Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** -Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** -Chapter 7 ***
Capitolo 8: *** -Chapter 8 ***
Capitolo 9: *** -Chapter 9 ***
Capitolo 10: *** -Chapter 1O ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


You're my dream come true
Chapter 1



 


Del fumo usciva dalla finestra di una putrida osteria, dissolvendosi nell'aria contaminata della "Grande Mela". Nemmeno la calma regnante in quel locale a quell'orario l'avrebbe fatto stare meglio. Un ragazzo, decisamente punk dall'aspetto e con due occhi ipnotizzanti azzurro-oceano, era poggiato sul davanzale di una delle tante camere da letto, intento a fumarsi l'ennesima sigaretta e tentando invano di placare la rabbia che stava provando. Mai si sarebbe immaginato di poter essere preso in giro in quel modo. Mai si sarebbe aspettato che lei, la ragazza a cui promettette amore eterno ancor prima di chiederle la mano, sarebbe stata la stessa che gli avrebbe fatto provare tale dolore: mai pensò di poter essere vittima di un tradimento.

-Che deficiente.- si disse nel bel mezzo del silenzio, per poi emettere nell'aria una nuvola di nicotina. Gettò il mozzicone fuori, incurante del gesto poco educato appena fatto, per poi avvicinarsi verso il letto su cui giaceva una fotografia. La prese in mano e la guardò privo di emozioni, ricordando il tempo passato in cui fu veramente cieco di fronte ad un'amore apparentemente corrisposto. Quello stupido pezzo della sua stupida vita lo ritraeva insieme a lei, con quel suo sorriso furbo e tenace che gli fece perdere completamente la ragione.

-Ehi topina, lo so che ti piaccio! Inutile che tenti di negarlo!- un ragazzo appena maggiorenne era davanti ad una sua coetanea dalla carnagione olivastra e dallo sguardo fin troppo vispo. Era la sua più ambita preda dall'inizio del terzo anno delle superiori, ed era disposto a fare qualsiasi cosa pur di mettersi con una ragazza così perfetta. Lei cercava sempre di ignorarlo, ma doveva ammettere che le sue attenzioni la facevano sentire una vera principessa, il suo amato soprannome. Ma in quel momento il suono di un ceffone in pieno volto fece risvegliare il ragazzo da pensieri perversi che nascevano quando guardava intensamente i leggins verde-mimetico che lei era solita indossare. -Quante volte ti devo dire di non chiamarmi in quel modo? E scordati che la ragazza più brava della scuola, ossia io, potrebbe accettare di uscire con un ragazzo scorbutico e troglodita come te!- sputò acida. Stava per andarsene quando lui la fermò prendendola per un polso.

-Vedi di cambiare atteggiamento con me Courtney. Ricordati che quando voglio qualcosa io la ottengo. Sempre.- disse lui con un tono serio e allo stesso tempo sensuale. La ragazza lo guardò rabbiosa, non nascondendo però l' imbarazzo, mordendosi il labbro inferiore.
-Stai attento Duncan, con me non si scherza.- disse, per poi avvicinarsi pericolosamente al volto di lui, facendolo entrare completamente nel pallone, ma fermarsi ad un soffio dalle sue labbra, tornandolo a guardare negli occhi. -Ci si rivede, Evans.- cinguettò, non prima di salutarlo con un occhiolino per poi allontanarsi accentuando di proposito l'andamento sinuoso del suo fondoschiena. D'altra parte il punk non poté non assistere allo spettacolo e, come se fosse stato drogato di qualche sostanza pesante, tornò dai suoi inseparabili amici con cui formava un trio nato da quando erano piccoli.
-Visto? Sarà mia, me lo sento. È stracotta!- si vantava felice come un bambino.

-Ma se non ti ha mai preso in considerazione..- sbuffava indifferente un ragazzo dai capelli rossi, con le braccia conserte.
-Duncan, quella ragazza è furba, non mi piace.- disse invece l'altro, un ragazzo biondo che stava fumando una sigaretta. Il punk gli diede una gomitata esausto.
-Suvvia Geoff quanto la fai tragica! Nessuna ragazza può fregarmi! Semmai può accadere il contrario!- disse scatenando la sua risata accompagnata da quella del rosso.
-Vedrai, cadrà ai miei piedi come tutte le altre.- detto questo si diresse verso la sua classe per contemplare la fanciulla ancor di più, mentre il resto del gruppo lo guardava allontanarsi.
-Non è come sembra, e non lo vuole capire.- continuò il biondo consumando la sigaretta.
-Amico lascialo provare, sappiamo entrambi cosa vuole da quella bella secchiona.- affermò il rosso fermandosi a guardare una ragazza dalla minigonna fin troppo corta. A quelle parole Geoff gettò il mozzicone da una delle finestre dell'istituto.
-No Scott, ti sbagli! Stavolta Duncan ha davvero perso la testa per questa ispanica! Quella lo userà e lo abbindolerà a suo piacimento. Ha trovato il più pollo tra i polli e sta solo aspettando il momento giusto per illuderlo. Spero vivamente che Duncan lo capisca subito, in modo da non soffrire o peggio combinare qualcosa di più grosso di lui...-

Il ricordo emerse nella mente del punk in maniera spontanea. Sorrise a quelle parole così premurose rivolte a lui, troppo invaghito e ingenuo per poterne capire il vero significato. Geoff aveva ragione, perfettamente. E lui come un cretino l'aveva ignorato, dandogli anche dello spossato o del geloso, a lui che in realtà aveva capito tutto di quella donna con la quale, fino a qualche ora fa, viveva da due anni nella loro casa che in quel momento abbandonò. Si passò una mano tra i capelli, avvertì gli occhi inumidirsi pensando alle parole che lei gli disse prima di andare alla sua ennesima riunione tra "avvocati", dalla quale però, puntualmente e stranamente, tornava a casa troppo tardi.

-Oh zuccherino perdonami, ma i miei colleghi sono così logorroici! Trovano sempre una virgola fuori posto nelle leggi..è normale che non ci vuole neanche una notte per poter accordarci per le difese dei nostri assistiti! Stai tranquillo..cercherò di tornare presto..-

Ma non accadeva mai: la trovava accoccolata accanto a lui nel letto matrimoniale con ancora i vestiti fin troppo attillati addosso, e con una scusa sempre pronta. Ma una notte, proprio quella, decise di agire a modo suo. Si recò sul luogo stabilito notando con piacere la decappottabile di Courtney parcheggiata di fronte all'edificio, e rimase lì davanti fino a quando lei non sarebbe uscita. Erano quasi le 2 di notte quando all'improvviso, tra un pisolino e un altro, la vide, ovviamente non sola. A quanto pare il belloccio Justin, uno dei tanti cugini acquisiti, aveva fatto breccia nel suo cuore ma soprattutto nei suoi interessi, dato che era titolare di immense distese di terreni su cui aveva intenzione di costruire le sue villette. Come lo incontrò? Il destino ha voluto che era cliente di un collega dell'ispanica a stretto contatto con il caso che lei stessa stava seguendo, e quale scusa per incontrarlo sarebbe stata migliore di una comune, quasi normale, riunione di lavoro? Nessuno avrebbe sospettato, nemmeno Duncan, pensava, che stravedeva per lei. Ma una persona non si smette mai di conoscere, e fu proprio lì che il ragazzo aprì gli occhi. Quella notte, quando li vide, in atteggiamenti alquanto equivoci e fin troppo intimi, dovette focalizzare meglio per rendersi conto che era tutto dannatamente reale. Avvertì letteralmente il mondo cadergli addosso, tutte le certezze frantumarsi in milioni di pezzetti, così come il suo cuore. Era stato cieco, incosciente, forse innamorato, ma l'unica certezza in quel momento era la consapevolezza di non volerla mai più. Lui era così: nessun'altra possibilità a colui o colei che lo faceva soffrire. Sarebbe stato troppo facile riconquistare la sua fiducia, lui che, da quando era nato, ha dovuto pagarla a caro prezzo di fronte ad una vita sempre avversa nei suoi confronti. Anche quella volta lo "punì", facendogli conoscere una donna che amava solo i suoi soldi, o meglio, i soldi del suo conto in banca assegnatogli dai suoi genitori quando decise di intraprendere la sua autonomia.

Istintivamente prese una decisione: fare i bagagli e sparire dalla sua vita, dato che il posto che lei gli aveva attribuito era poco più che nulla. Al diavolo i progetti futuri, al diavolo la casa che acquistarono insieme per la convivenza, al diavolo tutto. Odiava fare scenate in pubblico, per cui decise di tornare a casa senza farsi vedere dai due, ed eliminare ogni traccia di sé. Lui era forte, si sarebbe creato una nuova vita, o almeno così sperava. Quella notte avrebbe affittato una camera in quell'osteria, dato che non sapeva dove andare né poteva ancora dare la "lieta" novità ai due migliori amici. Così ecco che si trovava solo in quella camera, tormentato dai suoi pensieri e dalle colpe che si attribuiva. Ad un tratto la rabbia riemerse indomabile nel suo cuore, scatenandogli la reazione di spaccare la lampada sul comodino sudicio. Non ci poteva credere, possibile che fosse stato così infantile? Non credeva nell'amore, ma quella ragazza l'aveva illuso talmente bene che arrivò a credere anche nell'esistenza di una donna che avrebbe voluto passare la vita con un ragazzo strano come lui, macchiato di piccoli precedenti penali e con un misero stipendio da meccanico.
-Stupido, sono stato uno stupido.- continuò a dirsi con la testa tra le mani, mentre si sedeva sul letto. Fu in quel momento che lo squillo del suo cellulare lo fece distogliere dai suoi pensieri. Sorrise quando lesse sul display "Geoff" .
-A quanto pare ha letto il messaggio..- disse tra sé prima di rispondere.
-Amico..ho letto il messaggio..meglio se non parlo altrimenti faccio altri danni. Piuttosto, dove cavolo stai?!?- chiese il biondo preoccupato. Nel sentire quelle parole, il punk rise.
-Stai tranquillo fratello. Adesso mi trovo in un'osteria, almeno per stasera. Comunque puoi tornare dalla tua Bridgette e continuare a fare quello che stavi facendo, altrimenti non saresti stato sveglio a quest'ora...- rispose Duncan con tono abbattuto ma con quel pizzico di ironia che era presente sempre in qualunque situazione, anche la più critica, delineando quei "pochi" pregi che, secondo lui, possedeva. Dall'altra parte della cornetta il biondo non poté non sorridere.
-Sei sempre il solito Duncan..lo sai che io e Bridgette non stiamo insieme, ancora per poco. Però avevo intenzione di andarla a trovare. Facciamo una cosa: perché non vieni con me? Nel locale dove lavora? Così mi racconti per bene cosa è successo...- continuò lui.
-Cos'altro vuoi che ti dica Geoff?! Mi sembra essere stato chiaro: sono stato tradito, mi ha preso in giro, preferisce passare la notte con qualcun'altro..devo essere più esplicito?!- urlò il punk adirato.
-No no, avevo capito, ma sfogarti può solo farti bene. Non mi dire che non desideri farti un paio di birre? Dai che ci divertiremo, ma soprattutto ci rifaremo gli occhi! Chiamerò anche Scott, figurati se non accetterebbe di venire, visto che nutre una certa simpatia per un'altra cameriera che lavora lì. Ah, fatti trovare davanti l'osteria con i bagagli, verrai a vivere da me. A tra poco allora.- concluse netto il biondo, facendo rimanere il punk senza parole e alquanto perplesso. Si grattò la nuca sospirando, rendendosi conto che effettivamente il festaiolo lo conosceva meglio di chiunque altro.


Nello stesso momento, una ragazza dark dalla pelle molto chiara, dalla grande bontà d'animo e molto diligente negli studi, si preparava per affrontare il suo turno notturno nel "Charlie's Pub*", come ogni sera, al fine di riuscire a pagarsi le spese dell'ultimo anno scolastico e soprattutto per contribuire al pagamento delle cure mediche per il proprio fratellino. Sì, perché Gwen, così si chiamava, aveva un fratello di sette anni di nome Christian affetto di una rara malattia e costretto a costanti controlli per potergli garantire una vita decente. Dunque sembrava che non ci sarebbero state speranze di sopravvivenza, fino a quando recenti scoperte dimostrarono l'esistenza di una soluzione in grado di salvarlo e di farlo vivere serenamente. Ovviamente l'intervento era in via sperimentale, ed essendo il primo da venir eseguito al mondo, ammontava a 500.000 dollari, una spesa insostenibile per una donna che da sola doveva accudire due figli. Quindi, non appena la giovane ebbe compiuto il diciottesimo anno di età, si mise a lavorare anche lei, cercando di guadagnare il più possibile per affrettare i tempi e per garantire uno stato di salute efficiente al fine di poter affrontare il delicatissimo intervento. Era rischioso sì, ma era l'unico barlume di luce che alimentava le speranze delle due donne. Inizialmente Gwen fece una lunga ed approfondita ricerca sui possibili lavori che, una ragazza alle sue prime esperienze lavorative, era in grado di affrontare, arrivando alla conclusione che lavorare come una cameriera le retribuiva la stessa somma di denaro dappertutto. Così iniziò a prestare servizio per un ristorante per ottenere quei miseri 400 dollari la cui gran parte veniva inviata al conto bancario della madre a Londra, l'unica città in grado di offrire un'assistenza medica all'avanguardia per un problema così sconosciuto. Un giorno però, mentre tornava al suo monolocale nell'affollatissima New York, si fermò a leggere un volantino datole per pura casualità su cui veniva richiesto del personale da impiegare in un certo "Charlie's Pub*" e che le avrebbe dato ben 800 dollari, il doppio di quanto in quel momento riusciva ad ottenere. Non ci pensò due volte e il giorno stesso si diresse al luogo per svolgere il colloquio. Il proprietario del pub, vedendo come si presentava e capendo la grande esigenza di quella somma, la ingaggiò senza indugi, e fu così che Gwen iniziò quel lavoro, troppo ingenua ed ignara di altri problemi che ne sarebbero conseguiti, e che avrebbero messo a repentaglio addirittura la sua stessa vita. Cominciò col turno mattutino, contenta più che mai di inviare alla madre più del doppio di prima, per tutto il periodo estivo. Le cose cominciarono a complicarsi ad inizio del quinto anno delle superiori, precisamente quando passò al turno notturno inoltrato e soprattutto quando fu costretta ad indossare un completino decisamente troppo corto e scollato che fungeva come divisa da cameriera.
Gwen era buona, ma non stupida, così decise di andare a parlare col proprietario al fine di poter trovare un accordo sulla situazione diventata alquanto imbarazzante. L'uomo, dall'aspetto rozzo e sporco, le rispose in maniera molto chiara.

-Senti signorina, forse non mi sono spiegato bene: qui chi comanda sono io, e decido io cosa cavolo dovete mettervi voi poverelle! Altrimenti puoi anche dire addio al tuo caro fratellino spacciato! Qui nessuno ti dà questi soldi così facilmente! Ci siamo capiti?!- sputò lui con tutto il veleno che aveva.
-Ma...- provò a dire la giovane alquanto spaventata dalla strana reazione del suo capo, fino a poco tempo prima così buono e generoso. L'uomo si alterò ancora di più, prendendola per gli esili polsi e scuotendola.
-Non devi obiettare! Hai firmato un contratto cara, accettando tutte le clausole e le mie volontà! Sei mia ormai e posso farti ciò che voglio! Vedi di starmi a sentire, o ti farò fare una brutta fine..adesso sparisci sgualdrinella!- urlò catapultandola letteralmente fuori dal suo studio, facendola tornare a casa piangente.


Da quel momento e per amore del proprio fratellino, lavorò senza obiettare con quel quasi invisibile completo, e facendo amicizia con le sue nuove colleghe: Bridgette, una ragazza bionda di 20 anni e molto dolce, cadde anche lei nel giro per contribuire a pagare il centro di recupero verso cui il padre alcolizzato venne iscritto con molta fatica; Dawn, anch'essa di un biondo chiaro e poco più grande della dark, fu costretta ad accettare quel lavoro per aiutare la famiglia a riacquistare la casa che persero a causa del pignoramento; ed infine Heather, ragazza dai lunghi capelli neri e ventitreenne, che accettò il lavoro sotto costrizione del suo ormai ex fidanzato, che non era altro che il figlio del proprietario del pub.

-Ma questo è stupro!- esclamò sconvolta la dark di fronte alla cruda visione di una Dawn in lacrime e costretta a seguire un uomo completamente ubriaco nei tanti bagni di quel luogo per soddisfare chissà quale suo desiderio. A quella esclamazione Bridgette fece spallucce.
-È una cosa normale Gwen, se vuoi continuare a vivere.- disse la bionda in una maniera così ovvia da far rabbrividire la gotica.
-Questo non è niente, se si considera che è solo un uomo, cara la mia bella addormentata.- la squadrò truce l'asiatica col suo fare acido, per poi portare l'ordinazione al tavolo.
-Siamo fregate, tutte..- sussurrò quasi a sé stessa Bridgette, tra un singhiozzo e un altro. Non ci poteva credere. Davvero la vita le era così avversa? Davvero le continuava a mandarle altri guai? Perché non poteva essere felice, almeno un po'? Ogni tanto, come tutte le ragazze infondo, sognava di incontrare il suo principe azzurro che l'avrebbe fatta iniziare a sorridere e a darle la forza di continuare. Ma come avrebbe potuto se la sua vita si consumava maggiormente in quel pub frequentato solo da gente malfamata? Di fronte a tale pensiero Gwen si rattristava ogni volta e perdeva qualsiasi speranza. Ma chi era lei, per dirlo con certezza? E se la vita la facesse ricredere?

 

*nome puramente inventato dall'autrice




 

Angolino autrice

Buon anno ragazzuoli (anche se in ritardo..)! A gran richiesta Dalhia-Gwen è tornata: anno nuovo, storia nuova! :'D Quindi eccovi qui una nuova storia DxG tutta per voi!
Stavolta ho voluto rappresentare tematiche più delicate, perché la voglia di scrivere questa storia era inopprimibile *-* Come avete ben notato, è una Long: ho provato a scrivere One-shot, ma alla fine mi vengono idee lunghe che si tramutano poi in storie a più capitoli Spero che l'idea vi piaccia, ma soprattutto spero che vi abbia incuriositi !
Ci risentiamo al prossimo capitolo!
Baci,


Mia pagina Facebook --> https://www.facebook.com/pages/Dalhia-Creazioni/243291869107251?ref=hl


Storia in collaborazione con Clif:
A TUTTO REALITY: EFP
Siete pronti per un nuovo reality? Ancora di più se questa volta si svolgerà su una nave? Alcuni dei nostri concorrenti + altri 4 nuovi concorrenti si affronteranno in un reality mai visto prima d'ora! Da una nazione all'altra, pronti sempre a fare le peggiori sfide! Divisi in "Squali" e "Delfini" i nostri amici saranno pronti a passare sconvolgenti settimane nell'Oceano, costretti a stare con i loro peggior nemici! Poi, per chi si è perso qualcosa, non preoccupatevi: Ci sarà il dopo show di Dalhia_Gwen, condotto da Bleinley e Josh a tenervi informati su tutto e sempre pronti alla risata! In questo fantastico reality voi e ripeto voi potrete scegliere infine il vincitore!
Cosa manca per renderlo perfetto? Ah, è vero! Mancate voi! Cosa aspettate?
"Clif's story" vi augura: Buona lettura

Storia DxG di Clif:
Strawberry black - La profezia del libro stregato - Ultimo capitolo
Svegliarmi ogni volta, sapendo che tutto quello non fosse stato un sogno era abbastanza difficile. Insomma chi di noi ragazze viveva in una città infestata da creature soprannaturali? Ah è vero: Solo io, l’unica stupida,ero ancora in quella città, ovunque andavo portavo distruzione, ma non potevo andarmene, non sarei riuscita a vivere senza di loro, senza di Lui!

Dalhia-Gwen

 

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Capitolo 2
*** -Chapter 2 ***


You're my dream come true

Chapter 2

 
 
Dopo una mezz’oretta, Geoff arrivò insieme al rosso, prendendo così il punk e dirigendosi poi verso il pub. Entrarono con disinvoltura, tutti e tre con una sigaretta pendente dalle labbra. A quell’ora il pub era sovraffollato, ma soprattutto popolato dalle persone più pericolose che potessero esistere.
Era così, per un qualsiasi altro locale aperto di notte, in particolar modo quello, situato in una zona altamente malfamata di quella immensa città.
 
Si sedettero intorno ad un tavolo vuoto di persone ma pieno di bibite consumate fino alla fine, per non parlare dei mozziconi di sigarette sparsi qua e là per la superficie del tavolo.
-Ci è andata bene, potevamo trovare vomito..- disse Scott, per poi sedersi. Il punk era quasi assente dalla conversazione, ma prese ugualmente posto, mentre Geoff adocchiò subito la sua Bridgette. Prese i resti di un posacenere che si trovava su quel tavolo e cominciò ad assumere un’aria superiore per poter attirare la sua dolce bionda. Quella sottospecie di locale cadeva a pezzi, ma lì i ragazzi si trovavano bene, avendo una bella compagnia ed alcolici disponibili a tutte le ore della giornata. Lo scoprirono per caso, girovagando, come ogni sabato sera, tra le strade della “bassa” New York, divertendosi a prendere di mira le ragazze ed ad importunare i cosiddetti “sfigati” di turno. All’epoca, freschi ventenni guardavano la loro vita come un gioco: puro divertimento e godimento fino all’ultimo minuto, per poi ripartire il giorno seguente. Si divertivano così, con poco, ma bastavano solo loro tre per scatenare l’inferno ovunque mettessero piede. Così come, per puro caso o meglio, grazie all’invito di alcuni dei tanti amici di cui erano circondati, scoprirono quel luogo dall’insegna mal funzionante e pendente dal muro. Quella notte vi entrarono con l’intento di prendersi gioco del proprietario e per creare un po’ di scompiglio che solo loro riuscivano a creare, e fu lì che Geoff e Scott si invaghirono, sempre più pesantemente, delle giovani e sensuali cameriere che vi ci lavoravano, iniziando a frequentare il posto prima simultaneamente, poi sempre più frequentemente, fino ad arrivare a quasi tutte le sere. In compenso però, anche le ragazze, in un certo senso, gradivano la presenza di quei clienti così “fedeli”, ma contemporaneamente avevano paura di confessarlo, anche solo con degli sguardi, troppo terrorizzate dalla possibilità di potersi sbagliare sul loro conto.
Erano uomini, abbastanza maturi, e coscienziosi delle loro responsabilità, ma nonostante ciò non sarebbero mai riusciti a rifiutare l’invito di un compagno di venture-sventure per una birra, come ai vecchi tempi così, quando potevano, si davano appuntamento per una chiacchierata, nello stesso e medesimo pub.
 
-Ehi pupa!!- esclamò euforico Geoff, sfoggiando un sorriso radioso non appena Bridgette lo notò da lontano seduto a uno dei tavoli, puntuale come sempre. Gli sorrise di rimando, e tutta pimpante si avvicinò velocemente verso di loro, come se non aspettasse altro che la presenza di quel ragazzo.
-Geoff!! Sei tornato, di nuovo!- disse quasi piangendo di gioia la fanciulla, che gli saltò addosso aggrappandosi fortemente a lui, avvertendo solo con lui quella sensazione di protezione di cui aveva tanto bisogno ogni sera lì, in quel locale. Il biondo rise stringendola più che poteva a sé ed avvertendo il cuore accelerare i battiti.
-Certo che sarei tornato, zuccherino. Come potrei riuscire a dormire se non vedessi, anche per un solo istante, il mio angelo?- la guardò malizioso, per poi soffermarsi sul decolté decisamente troppo scollato, non riuscendo più a trattenersi. A quelle parole, Bridgette avvampò improvvisamente, per poi nascondere il viso tra il giubbotto in pelle del giovane, per poi essere coccolata dai suoi baci.
-Rivoltante…- Scott, malgrado fosse occupato a cercare la sua fatina, non potè fare a meno di udire le smancerie dei due accanto a lui, avvertendo una morsa allo stomaco quando si rese conto che al posto della sua Dawn c’era una nuova ragazza, pallida quanto lei ma più piccola e molto inesperta per quel lavoro.
-Allora, possiamo avere sì o no queste birre?!Dobbiamo aspettare i vostri comodi?!- si rivolse a loro adirato il rosso sbattendo un pugno sul tavolo, più che altro cercando di nascondere la sua preoccupazione riguardo l’assenza dell’altra biondina. I due piccioncini sobbalzarono dal posto guardando poi Scott con aria scocciata. Bridgette elevò la mano in alto, richiamando così velocemente l’attenzione della ragazza al bancone, che stava goffamente cercando di prendere in uno dei tanti davanzali alti l’ennesima brocca che le sarebbe servita a versare altri alcolici.
- Gwen! Porta tre birre a questo tavolo!!- urlò con tutto il fiato che aveva la bionda, per poi rivolgere al rosso uno sguardo soddisfatto.
-Bastava chiedere, Scott..- continuò invece Geoff, come se avesse inteso quello scambio di occhiate infuocate, riprendendo poi a coccolare la sua ormai fidanzata.
In tutto questo, Duncan aveva la mente completamente occupata dai suoi pensieri, intento a pensare alle conseguenze di quella sera, non appena la sua ex fidanzata si sarebbe resa conto che il suo ragazzo aveva fatto le valige per andarsene senza neanche avvisarla. Si accese l’ennesima sigaretta, inalando una lunga ed intensa boccata di fumo, espirandola con tutto il fiato che avesse accumulato, con l’intento di liberarsi anche di quella frustrazione che lo stava divorando pian piano. Una mano lo scosse violentemente per una spalla, provocandogli un leggero spossamento.
-Ehi fratello, ma la vuoi smettere di pensare? Eravamo venuti qui per distrarci, non di certo per rimuginare ancor di più! Piuttosto, guarda un po’ chi altra tosta cameriera sta arrivando..- disse con voce maliziosa Scott, che non perse tempo a fissare le esili e slanciate gambe di Gwen, diretta a passo indeciso verso il loro tavolo. Finalmente Duncan decise di guardare in direzione dell’amico, che nel frattempo stava elaborando pensieri sempre più perversi, e fu lì che la sigaretta gli cadde dalle labbra, rimanendo per qualche istante immobile, rendendosi conto di avere quella bella fanciulla proprio davanti a sé. Nel frattempo Gwen, che doveva ancora abituarsi ai ritmi frenetici che la sbattevano da una parte all’altra del locale, seppur piccolo ma pieno di gente ogni sera, mantenne lo sguardo sempre basso, onde evitare frecciatine o commenti a lei per nulla graditi, sapendo tuttavia il fine comune di tutte quelle menti pervertite. Tirò fuori da una delle tasche del suo grembiule uno stappa-bottiglie, posizionandolo sulle bottiglie e tentando di aprirle, ma invano. Fece diversi tentativi, diventando sempre più rossa in viso davanti all’ennesimo errore. Il punk, intanto, osservava tutta la scena con un sorriso genuino e sempre più largo alla vista della ragazza alquanto buffa, notando l’ignoranza e quindi il non uso da parte sua di tali liquidi. Ad un tratto, mentre Scott rideva spudoratamente di fronte alle difficoltà della gotica, Duncan si sentì in dovere di aiutarla.
-Aspetta, faccio io, tranquilla…- disse lui con molta gentilezza, mantenendo comunque quel ghigno che non riusciva a trattenere in quanto contagiato dall’amico. Senza neanche attendere la risposta della fanciulla, il punk posizionò una mano sopra a quella della ragazza, mentre con l’altra afferrò la birra, e quel tocco lo fece sussultare. Avvertendo il calore sulla sua mano, Gwen si girò di scatto, incrociando finalmente quegli occhi di quel colore mozzafiato e a lei sconosciuto fino ad ora. Rimase completamente ipnotizzata da quelle due iridi dalle sfumature uniche, dentro le quali poteva intravedere la libertà e quel senso di spensieratezza che caratterizzavano quello sguardo vispo e furbo del ragazzo. Inspiegabilmente avvertì le gote diventare rosee, mentre una sensazione di serenità l’avvolse, mostrando la ragazza che era realmente. Non seppe esattamente per quanto tempo rimase impalata ed avvolta nei suoi pensieri, ma nel momento in cui la voce profonda del punk le arrivò alle orecchie, rinvenne immediatamente, rivolgendogli di nuovo l’attenzione.
-Ecco, con i cava-tappi difettosi bisogna fare più forza.- disse con molta semplicità il ragazzo, restituendole l’aggeggio, non smettendo però di sorridere. D’altro canto Gwen venne contagiata da quel sorriso e, non scomponendosi troppo, e ne abbozzò uno più timido accompagnandolo poi con un grazie, scomparendo tra la folla del pub.
-Pff, ma mi spieghi come fa a lavorare qui se non riesce ad usare un cava-tappi? Sarà anche bella, ma è una grande imbranata!- esclamò Scott ancora con le lacrime agli occhi, per poi afferrare una bottiglia e cominciare a bere, finalmente esaudito.
 Anche Duncan prese una bottiglia, ma la sua attenzione era focalizzata sempre su quella stramba ragazza, che da momento in cui l’adocchiò tra la folla non smise neanche per un momento di contemplarla, attirato dalla grazia con la quale lei faceva muovere il suo corpo nonostante i tacchi vertiginosi.
“Bella? Bellissima..da urlo…” pensò fra sé il ragazzo sorseggiando un po’ di birra, mentre sul suo volto nasceva un sorriso ebete che si allargava sempre più, rendendosi conto dell’effettiva bellezza della fanciulla, scatenando così in lui la voglia di conoscerla.
                                                  
      ***                                           
 
Era oramai quasi l’alba, ma il locale era comunque movimentato da un via vai di persone con un’alta percentuale di alcool nel sangue, chi più e chi meno. Anche al tavolo dei ragazzi si avvertiva un’allegria, forse troppo spinta ed anormale, che echeggiava intorno a loro, facendoli scoppiare a ridere per ogni cosa che pronunciavano. Duncan fu spinto da quella voglia di esternare tutto l’odio e la rabbia che aveva accumulato quel giorno, aiutato anche dal rosso che contribuiva al suo sfogo, evocando ricordi piacevoli o felici, col fine di punzecchiarlo e quindi liberarlo davvero di tutto il rancore. Geoff, invece, preferì ritagliarsi un angolino buio ed appartato nel locale per chiedere finalmente a Bridgette di diventare la sua fidanzata, ovviamente approfittando della situazione per stare solo con lei, lasciando così il resto del gruppo “da solo” ed “incustodito”.  I due fecero quindi ciò che più sembrasse loro opportuno: dapprima il punk iniziò a discutere con voce tranquilla ed apparentemente serena, per poi passare ad una sempre più infastidita e troncata dai singhiozzi, il tutto mentre ad accompagnarli vi era l’alcool.
 
Nel giro di un paio d’ore si scolarono ben due bottiglie ciascuno, ed ora necessitavano della terza, malgrado in quel momento fossero arrivati al limite delle forze e ad ogni forma di volontà.
-M.ma…ma dove cavolo si è..cacciato Geoff?!- chiese ad un tratto sobbalzando dal proprio posto Scott, con le gote colorate di un rosso così acceso da coprire le lentiggini. Duncan, che stava cercando di scolarsi fino all’ultimo quella bottiglia di birra, scoppiò a ridere allungandosi sul tavolo con l’intento di dare una gomitata all’amico.
-Non..non lo sai?! E’ con quella..come si c-chiama? Bridgette?! Ahahah…oddio la testa…quanto mi gira!- cercò di dire tra una risata e l’altra il punk, mentre prese il capo fra le mani poggiandosi poi con i gomiti sul tavolo.
-…Sciocchezze! La notte è ancora lunga, f-fratello! Ordiniamo un’altra birra!- disse felice come una pasqua il rosso. Duncan rise e, senza indugi, annuì entusiasta.
  -Ehiii! T-Tu! Bella pollastra dai capelli blu!- urlò a squarciagola Duncan, alzandosi dalla sedia per farsi vedere e muovendo in alto le braccia. Erano davvero arrivati ad un limite indecente.
-Gwen, ti stanno chiamando.-  Heather informò del richiamo la gotica, che nel frattempo  assistette a tutto lo spettacolo, non potendo fare a meno di preoccuparsi di quel ragazzo che le parse così diverso dagli altri. Più volte le passò per la mente di farlo ritornare in sé, fermandolo per non eccedere a tutto quell’abuso, per lei ingiustificato. Ma la paura, sua più grande nemica, le bloccava ogni azione, facendola sentire di troppo e facendole credere che probabilmente si fosse sbagliata sul conto di quel ragazzo.
Alzò lo sguardo verso l’asiatica fingendo di non aver udito nulla prima della sua parola, e deglutendo vedendo lo stato in cui quei due caddero.
-Non mi va di andarci..sono ubriachi fradici…-disse con una velatura di tristezza la gotica, continuando ad asciugare i bicchieri appena lavati. L’altra le rise in faccia.
-Tzk..quanto siamo deboli, eh Gwen? Cos’è..hai paura che ti possano fare qualcosa? Lo devi fare purtroppo, prima o poi doveva capitare anche a te.- disse secca e acida Heather, per poi dirigersi verso un tavolo a cui doveva portare l’ordinazione. Quelle parole lacerarono il cuore della gotica, mentre una voglia di strangolarla cominciò a farsi sempre più viva dentro di lei.
Sospirò, rendendosi conto di non poterne essere capace, e nel frattempo si volse verso i due ragazzi, armandosi così del coraggio tale da permetterle di affrontare quelle paure.
“Quel ragazzo non può farmi del male…lui no…” si ripeteva mentre in maniera incerta si avvicinava al tavolo.
Vedendo la ragazza arrivare, Duncan alzò le braccia al cielo, accavallando le gambe ed assumendo un’aria strafottente. Con una calma mai vista, Gwen cominciò a raccogliere i resti delle varie consumazioni, per poi rivolgersi proprio a lui con fare indifferente.
-Desiderate qualcos’altro?- chiese gentilmente, cercando di non sembrare debole e continuando a pulire il tavolo.
A quelle parole Duncan fece un ghigno, uno dei migliori, e lentamente appoggiò i gomiti sul tavolo in direzione di lei, guardandola con aria sognante.
-..Te.- disse seccamente, guardandola con una strana luce negli occhi. All’improvviso Gwen smise di fare qualsiasi cosa, e piano girò il capo verso di lui, mentre nella sua mente sperava con tutta se stessa che quelle parole fossero solo un semplice scherzo delle sue orecchie.
-Non ho capito..può ripetere?- chiese nuovamente, stavolta non riuscendo a frenare il timore di sentire una risposta affermativa. Allora Duncan rise nuovamente e, con molta fatica, cercò di stare in piedi, per poi afferrare la ragazza per la vita strofinando il suo naso con quello di lei.
-Hai capito bene dolcezza…voglio te.-  pronunciò quelle parole scandendole, sfoggiando un sorriso per nulla rassicurante, prendendole le mani per poi intrecciarle al suo corpo.
Purtroppo Gwen ebbe la certezza di quello che temeva di udire e, delusa più che mai, mollò violentemente la presa, seppur delicata del punk, e tirandogli uno schiaffo in pieno volto, lasciandogli un colpo non indifferente.
-Scordatelo idiota, non sono in vendita. In mezzo alla strada ce ne sono tantissime a quest’ora, vai s sfottere qualcun’altra.- disse arrabbiata la ragazza. Stranamente aveva reputato quel ragazzo diverso dagli altri, apparentemente privo di una mente malata. Voleva fidarsi di lui, ma anche la minima voglia di approfondire un pochino di più la loro conoscenza sbiadì davanti a quella richiesta così comune  quanto disgustosa. Stava quasi cadendo nella trappola, attirata da quella presenza così genuina e, perché no, attraente di quel giovane, ma venne nuovamente delusa.
 
Perché era così sbagliato sognare?
 
Improvvisamente avvertì gli occhi inumidirsi, così decise di congedarlo prima che fosse troppo tardi, ma prima che potesse fare qualcosa, Scott la prese per un braccio avvicinandola senza grazia verso di lui, guardandola male.
-Ehi bambola…non..non permetterti più di fare una cosa…cosa del genere al mio amico…Intesi?!-  sputò tentando a malapena di mantenersi in piedi il rosso.
Ma prima che la discussione sarebbe sfociata in qualcosa di più violento, Geoff arrivò correndo verso gli amici, visibilmente preoccupato.
-Scott ma che cazzo stai facendo!? Lasciala!!- urlò il biondo scrollandola dalla sua presa, facendola poi spostare dietro di sé.
-Ha..ha iniziato prima l-lei!- disse Scott cadendo a peso morto su di lui, che lo prese in tempo. Sgranò gli occhi rendendosi conto di aver perso la situazione tra le mani, e di aver combinato un bel guaio. Diede uno sguardo a Duncan, vedendolo seduto sulla sedia di fronte a lui massaggiandosi la testa di continuo.
-Maledizione…MA SIETE COMPLETAMENTE UBRIACHI! Non posso allontanarmi per un minuto che voi vi mettete nei guai?!?- urlò disperato Geoff, portandosi una mano tra i capelli.
-E cosa dovevamo fare? Assistere alle tue smancerie con.. quella lì?! Duncan doveva s-sfogarsi..e..ed io da buon amico ho ascoltato..ahah…M-ma dove mi trovo?!- disse Scott scoppiando a ridere.
Geoff roteò gli occhi, dandosi una manata in faccia.
-Okay, questi stanno fuori..-disse esasperato-Meglio tornare a casa, eh?- Con uno scatto afferrò il rosso facendogli poggiare il capo su una delle sue spalle, portando poi un braccio intorno alla schiena, per poi fare la stessa cosa con Duncan.
Guardò poi la sua fresca fidanzata, sul cui volto leggeva un’espressione mischiata il preoccupato e il divertito. La ragazza capì al volo quello sguardo dispiaciuto, e fu così che lo congedò dandogli un ultimo bacio, ma era un arrivederci.
-Tranquillo..vai pure. Buonanotte.- sussurrò la bionda sorridendo timidamente.
Geoff fece per andarsene, ma prima rivolse uno sguardo verso la gotica, che per tutto il tempo rimase in silenzio ad osservare la scena, ancora impaurita.
-Scusali Gwen, non sapevano quello che facevano. Te lo assicuro.- le sorrise, poi con un cenno del capo le salutò, uscendo dal locale con i due amici malconci.
Mentre Bridgette tornò al bancone, Gwen seguì con lo sguardo quei ragazzi, sorridendo poi a quella buffa situazione. Era un sorriso sì, ma era amaro, e celava tristezza e delusione. Spostò una ciocca di capelli dietro un orecchio, impacciata e allo stesso tempo confusa.
Sospirò, convincendosi che fu tutto uno stupido sogno.
 
Infondo, quale cambiamento ci sarebbe potuto essere in una vita così statica e segnata come la sua?




Angolino dell'autrice

Buongiorno cari! :D
Ditemi la verità, vi sono mancata, eh? ♥
*passa una palla di fieno di fronte a sè*
Ah...capisco..... :'(
Che vi piaccia o no, ecco pronto il nuovo capitolo! *-*
Ahahah, mi sono divertita un mondo a raccontare di Duncan e Scott ubrachi....li adoro!!! (?) :'D
Non so quando aggiornerò, ma vi assicuro che la storia proseguirà.
Forse lentamente, ma proseguirà! ;)
Quindi, vi chiedo di continuare a seguirmi come avete sempre fatto, perchè ne vedremo delle belle! :3
Ringrazio TUTTI, lettori-recensori e soli lettori, sono contentissima che mi seguiate in così tanti numerosi! ♥
Un ringraziamento speciale va ai miei veterani recensori, nonchè a tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo!
Vi adoro amici,  grazie di tutto! ;'3
Se ci sono errori non esitate a segnalarmeli, mi raccomando ;)

Bene, ho detto tutto, non mi resta altro che aspettare i vostri commenti, sono davvero curiosa di sapere cosa ne pensate!
Un abbraccione immenso! ♥



Mia pagina Facebook --> https://www.facebook.com/pages/Dalhia-Creazioni/243291869107251?ref=hl


1)"Storia in collaborazione con Clif:
A TUTTO REALITY: EFP

Siete pronti per un nuovo reality? Ancora di più se questa volta si svolgerà su una nave? Alcuni dei nostri concorrenti + altri 4 nuovi concorrenti si affronteranno in un reality mai visto prima d'ora! Da una nazione all'altra, pronti sempre a fare le peggiori sfide! Divisi in "Squali" e "Delfini" i nostri amici saranno pronti a passare sconvolgenti settimane nell'Oceano, costretti a stare con i loro peggior nemici! Poi, per chi si è perso qualcosa, non preoccupatevi: Ci sarà il dopo show di Dalhia_Gwen, condotto da Bleinley e Josh a tenervi informati su tutto e sempre pronti alla risata! In questo fantastico reality voi e ripeto voi potrete scegliere infine il vincitore! "
Cosa manca per renderlo perfetto? Ah, è vero! Mancate voi! Cosa aspettate?
"Clif's story" vi augura: Buona lettura

2)Storia DxG di Clif:
Strawberry black - La profezia del libro stregato - Ultimo capitolo
Svegliarmi ogni volta, sapendo che tutto quello non fosse stato un sogno era abbastanza difficile. Insomma chi di noi ragazze viveva in una città infestata da creature soprannaturali? Ah è vero: Solo io, l’unica stupida,ero ancora in quella città, ovunque andavo portavo distruzione, ma non potevo andarmene, non sarei riuscita a vivere senza di loro, senza di Lui!"

Dalhia_Gwen ♥

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Capitolo 3
*** -Chapter 3 ***


You're my dream come true
Chapter 3





Il mattino arrivò, accompagnato dal canto degli uccellini poco distanti da quella tranquilla stradina alberata.
Un tonfo si diffuse in quel silenzioso ma accogliente appartamento di periferia, lontano dal quasi normale caos a cui gli newyorchesi erano oramai abituati ad udire e che sicuramente accompagnava la routine di quella città.
 
-Ahi! M-ma che caz..- un gridolino ruppe la pace che fino a quel momento regnava maestosa, mentre il delicato suono delle lenzuola contornava la voce maschile.
Il ragazzo in questione si massaggiò lentamente le tempie, cercando di aprire quegli occhi fin troppo stanchi per la serata appena trascorsa.
La testa ancora girava, sintomo che la sbornia non era stata ancora smaltita, mentre un senso di spaesamento lo avvolse.
Era sempre così, nonostante non fosse la prima volta che azzardasse ad aggiungere una birretta in più alle sue serate tra fratelli. Si passò una mano tra la cresta verde appariscente, che prese una forma tutt’altro che decente durante quelle poche ore di sonno, per poi sbadigliare rumorosamente.
Privo ancora della forza di alzarsi, rimase sul suo posto e strabuzzò gli occhi, per poi cercare di infittire lo sguardo per capire dove fosse.
Sicuramente l’ambiente che si presentò davanti i suoi occhi non era quello in cui viveva fino al giorno prima, e ne fu felice, ma nel momento in cui volse lo sguardo poco più distante da sé, ebbe la certezza: sdraiato in malo modo su una poltrona e dormiente come un ghiro vi era Scott, il cui sonno si mostrava talmente pesante che nemmeno un uragano sarebbe riuscito a svegliare.
Ambiente pacifico.
Locale ordinato.
Era palese, dunque: era a casa di Geoff.
 
Sbuffò, rendendosi conto finalmente che era appena caduto dal divano su cui comodamente dormiva, e lentamente cercò di alzarsi. Goffamente riuscì a reggersi in piedi per qualche secondo, ma immediatamente cadde a peso morto sul divano, per sua fortuna.
-Merda, sono messo proprio male…- si disse fra sé Duncan, raccogliendo poi le coperte da terra.
Nel momento in cui acquistò un po’ di lucidità, provò ad attivare momentaneamente il cervello, tentando di ricordarsi per quale assurda ragione si ridusse in quello stato, ma stranamente a quanto si sarebbe aspettato, il primo pensiero che gli balenò in mente lo fece sorridere come non mai.
-La cameriera dai capelli blu!- disse sobbalzando il punk, mostrando un ghigno malizioso ricordando piacevolmente l’aspetto molto attraente della giovane. Poggiò un gomito su una gamba, per poi poggiarvi sopra una guancia, il tutto mentre assumeva un’aria sognante.
Che fosse carina non vi erano dubbi, ma ciò che lo colpì immediatamente era la serietà con la quale quella ragazza facesse qualsiasi cosa.
Nessuna malizia, nessuna presunzione.
Pura semplicità, e questo gli piaceva.
Ma era anche sicuro che dietro quella semplicità che la faceva contraddistinguere dalle altre cameriere, vi era qualcosa di più intricato e misterioso, che lo faceva riflettere e che allo stesso tempo lo attraeva inevitabilmente.
Ad un tratto avvertì una porta aprirsi, e il suono ovattato di una camminata a piedi nudi si fece sempre più vicina.
-Dolorante il risveglio, eh?- Geoff fece capolinea nel suo appartamento, arrivando dietro le spalle dell’amico, con lo spazzolino tra i denti e un’asciugamani attorno alla vita. Il punk si girò lentamente verso di lui, guardandolo in malo modo.
-Molto divertente Geoff..volevo vedere te al posto mio.- fece Duncan privo di espressione portando poi un braccio sullo schienale del divano, in modo da guardare il suo interlocutore.
Il biondo scoppiò a ridere.
-So cosa si prova fratello, ma di certo non sono più un ragazzino immaturo che si permette di eccedere alle tentazioni, e meno male! Chi vi avrebbe portati a casa a smaltire, ah?- si vantò dal bagno non appena rigettò il dentifricio con cui stava lavando accuratamente i denti. Duncan roteò gli occhi infastidito dalla finta preoccupazione che il biondo gli rivolgeva, anche se in cuor suo lo ringraziò.
-E tu invece? Cosa hai fatto con Bridgette? Sarò pure immaturo ma tu probabilmente sarai assai precoce!- lo stuzzicò il punk, assumendo un’aria strafottente. Ma il biondo non mollava, così si sedette accanto all’amico.
-Pff dovevo creare l’atmosfera giusta e…ehi! E’ da un bel po’ che la sto corteggiando!- scherzò lui dandogli una gomitata –Ma sicuramente tu mi batti nel far perdere la pazienza alle persone, e quello schiaffo ne è la conferma.- concluse, indicandogli con lo sguardo la guancia, sorridendo. Istintivamente Duncan si toccò la parte interessata, guardando poi confuso l’amico, che prontamente gli tolse i dubbi.
-Gwen,  la cameriera nuova. Quella dietro cui sbavavi, nonostante fossi ubriaco! Devo dire che non sei stato molto carino nei suoi confronti…- osservò Geoff accompagnando la frase con un movimento di disapprovazione del capo. Duncan impallidì immediatamente.
-Merda..Non mi dire che…-  disse poggiandosi sul gomiti, ma l’amico lo zittì subito.
-Ehi ehi frena con le fantasie! L’hai semplicemente importunata, detto da lei, ma se è arrivata a darti uno schiaffo probabilmente le avrai dato fastidio più del dovuto.-  gesticolò poi Geoff. A quelle parole il moro storse un po’ la bocca, per poi sospirare.
-Peccato…- si fece sfuggire poi, provocando la risata di entrambi.
 
In realtà era profondamente sollevato: se veramente avesse fatto quel che temette pochi istanti prima, si sarebbe sicuramente bruciato l’unica ed irripetibile possibilità di conoscerla meglio, ma si maledisse quando si rese conto che la sua mente rimosse quello spezzone di conversazione con lei, nonostante poi il finale non proprio positivo.
Ci pensò su: infondo, date le circostanze, il colloquio con quella bella fanciulla era come se non fosse mai esistito, e tra l’altro non poteva di certo lasciarle una reputazione di sé stesso così poco rassicurante.
E se rimediasse?
 
Ma un colpo secco e forte alla porta d’ingresso fece spaventare tutti, persino lui.
 
-Geoff!! Apri questa porta, immediatamente! So che sei in casa!-  quella voce femminile così squillante e dannatamente fastidiosa fece rabbrividire i tre ragazzi che, non appena la riconobbero, si lanciarono uno sguardo scioccato.
Chi fosse quella ragazza?
Beh, era ovvio: Courtney.
 
-Ma tu guarda..per un oscuro motivo si è resa conto della mia assenza..- osservò infastidito il punk, avvertendo la rabbia ribollire nel suo animo non appena sentì la sua ex così vicina.
-Sei fottuto fratello...-  Scott, che fino a quel momento non fiatò, azzardò a dire qualcosa, ma fu subito zittito dal biondino che successivamente si posizionò davanti al povero malcapitato, scuotendolo leggermente.
-Amico, nasconditi nella mia camera..sbrigati..ci penso io!- disse a bassa voce, per poi vedere Duncan obbedire, non prima di qualche attimo di esitazione. A quel punto il biondo fece un lungo respiro, e col passo pesante arrivò alla porta, aprendola lentamente.
Non appena l’ispanica vide la porta spostarsi, alzò il passo entrando nell’appartamento superando Geoff che la guardava con disprezzo.
-Dov’è? Dov’è Duncan?!- Urlò lei istericamente, fermandosi a pochi centimetri dal rosso, che per poco non cadde all’indietro per lo spavento.  In tutta risposta Geoff prese la ragazza per un polso e, cercando di trattenere la rabbia che lei gli innescava ogni volta, l’avvicinò bruscamente a sé, facendola tornare dunque di nuovo davanti alla porta.
-M-Ma che fai?!- domandò acida lei staccandosi dalla presa di lui, che nel frattempo la guardava con non curanza.
-Prima di tutto, vedi di calmarti, dato che non sei in casa tua. Seconda cosa, mi chiedi dove sia Duncan? Proprio a me? Non abitava con te?- chiese con una calma sovrannaturale, incrociando le braccia all’altezza del torace.
-Certo che abita con me, fai poco lo spiritoso. Il mio fidanzato è sparito, ma sono sicura che sia qui!- sputò lei piena di veleno. A quelle parole il biondo sorrise maleficamente.
-Ma davvero?  E quando sarebbe sparito? Una buona e fedele fidanzata non dovrebbe passare la notte insieme al suo uomo?- la stuzzicò lui, facendola adirare ancora di più.
- Senti carino, della mia vita privata con Duncan a te non deve interessare minimamente! Ti ho fatto una domanda ed esigo una risposta: DOV’E’ DUNCAN?!- Courtney oramai era sull’orlo della pazienza, rossa in viso più che mai per le frecciatine che lui le lanciava, come sempre.
Era dai tempi del liceo che l’uno non riusciva a digerire l’altra, e la cosa non migliorò neanche col passare degli anni, anzi, in qualche modo sembrava che l’astio venisse alimentato sempre più.
-Non è qui.- rispose secco lui, fulminandola con lo sguardo - E sicuramente non sarebbe venuto, visto che sapeva che tu l’avresti cercato innanzitutto da me. Non è colpa mia se le tue nottate di lavoro ti hanno fatto scappare il fesso del tuo fidanzato. Ma dimmi un po’..è così che va nella magistratura? Bisogna avere più uomini per poter progredire nella carriera?- il tono di lui era serio e tagliente, cosicché da stamparle in faccia la cruda verità, talmente tanto che a quel punto l’ispanica perse le staffe, pronta a lasciargli un segno indelebile sul volto.
-Tu…Come cavolo ti permet..!- si stava fiondando letteralmente addosso al ragazzo, quando lui prontamente la bloccò in tempo. I loro visi si sfioravano a malapena.
-Come cavolo ti permetti tu, cara avvocatessa dei miei stivali. Volevi che io mi mettessi da parte nella vostra relazione, ed io l’ho fatto, solo per volere di Duncan..ora con quale presunzione ti presenti in casa mia urlandomi contro accuse di complicità con lui?- a quelle parole Courtney boccheggiò, non trovando alcuna parola da usare in sua difesa, permettendogli così di continuare.   –Ti avverto: prega che a Duncan non gli sia accaduto nulla, o stai sicura che potrei attraversare l’intero pianeta pur di raggiungerti e farti fuori con le mie stesse mani. Io ci tengo a Duncan, a differenza tua. E’ la mia famiglia, e contro chi gli fa del  male io non ho pietà. E adesso sparisci, le sgualdrinelle in casa mia non sono gradite!-  e così dicendo l’allontanò bruscamente da sé chiudendole velocemente la porta in faccia. Si sentirono una serie di imprecazioni accompagnate dal rumore dei tacchi che si facevano sempre più lontani, poi il silenzio.
Scott, che assistette a tutta la scena, rimase con la bocca aperta per la sfacciataggine dell’amico, mentre quest’ultimo si strofinava le mani soddisfatto. A quel punto gli diede una pacca su una spalla, congratulandosi con lui del caratterino che cacciò pochi istanti prima. Nel frattempo arrivò anche Duncan, che ascoltò l’intera conversazione, e dopo aver sorriso malignamente a Geoff lo abbracciò come non mai.
-Grazie amico, ti devo un favore.- spiegò il punk sinceramente, facendo sorridere l’altro. Mentre lo abbracciava, il suo sguardo cadde sull’orologio analogico poggiato vicino a delle fotografie, e a quel punto sgranò gli occhi.
-C.cosa?!? Maledizione devo andare al lavoro!!- urlò disperato il punk, lasciando improvvisamente la presa dall’amico e catapultandosi nella camera da letto. I due rimasti, invece, dopo essersi scambiati un’occhiata complice, scoppiarono a ridere.
 
                                                                                           ***
 
Arrivò al lavoro un’ora e mezza dopo il suo orario.
Come pegno per il suo ritardo, Duncan dovette fare ore aggiuntive di straordinario, toccandogli pure le pulizie in officina. Odiava pulire, ma quello era il prezzo da pagare per non essere licenziato.
 
Finì verso sera inoltrata, e dopo essersi cambiato la divisa da meccanico che indossava, pensò di recarsi verso la sua nuova casa.
Si accese una sigaretta, troppo dipendente per evitare, ma fu lì che gli venne in mente un’idea geniale.
-E se l’andassi a trovare? Potrei provare a parlarle, magari chiedendole scusa..oppure semplicemente potrei riprovarci d’accapo..-osservò lui entusiasta, mentre emetteva una nuvola di nicotina nell’aria.
 
Cosa aveva da perdere?
 
 
Arrivò velocemente a destinazione, ansioso più che mai di vederla, mantenendo il più possibile la lucidità. Entrò nel locale, e subito fu travolto da un persistente odore di alcolici, arricciando istintivamente il naso.
Scrutò bene il luogo, e la vide immediatamente, Gwen, sempre al suo solito posto. Un sorriso a trentadue denti si fece largo sul suo volto, convincendosi poi che effettivamente avrebbe dovuto correggere il giudizio che aveva formulato sul conto della giovane.
 
Non era carina, era bellissima.
 
Senza staccarle gli occhi di dosso, provò ad avanzare lentamente verso il bancone, ma prima di fare ciò pensò di alzarsi il cappuccio della felpa, coprendo così la cresta verde che possedeva, per passare inosservato.
Arrivò in un angolino angusto e buio, ma perfetto per averla sott’occhio e contemplarla in ogni angolazione, aspettando il momento giusto per parlarle.
 
Persino più bella di Courtney…
 
Era intenta a posizionare su un vassoio circolare le varie ordinazione che di lì a poco avrebbe portato al suddetto tavolo, mentre contemporaneamente spuntava quelle che aveva già servito.
Il tutto era fatto con una delicatezza disumana, che disarmava chiunque, come lui, si sarebbe azzardato ad osservarla con più costanza.  Una ciocca di capelli colorata cadde  morbidamente sulla guancia destra, ma prontamente lei la portò dietro l’orecchio, un gesto che agli occhi azzurri del ragazzo parve così perfetto.
Esatto, pendeva letteralmente dalle labbra di quella dolce fanciulla, dai lineamenti gentili e così angelici.
Ad un tratto la vide sollevare il vassoio e dirigersi velocemente verso un tavolo, ignaro però di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto alla sua piccola dea.
 
 
-Ecco qui le vostre ordinazioni.- il tono diffidente e professionale della gotica arrivò alle orecchie di cinque uomini seduti intorno ad un tavolo, intenti a consumare già l’ennesimo alcolico che ordinarono poco prima. Uno di loro, decisamente in sovrappeso e tra l’altro dall’aspetto rozzo e sporco, si fermò a contemplare la figura esile e snella della ragazza, che liberava il vassoio il più velocemente possibile, attirata da una strana voglia di allontanarsi immediatamente di lì.
-Oh ma che onore! Ci ha serviti l’inviolata!- disse costui, non smettendo di guardarla, sorridendo come un ebete. Istintivamente sul volto di Gwen nacque una smorfia, accompagnata dall’irrigidimento del suo intero corpo. Fece per andarsene, quando l’uomo la fermò afferrandola per un polso, per poi stringerlo.
-Ma lo sai che sei la più ambita in questo locale?- chiese, mostrando un sorriso sdentato e dall’odore rivoltante –Che ne dici di, come dire, dare la nomina a qualcun altro? Infondo è da un bel po’ che sei qui..io sarei lieto di..- ma non fece in tempo a terminare che la giovane lo sputò in un occhio, rivoltata da quell’assurdo invito. Provò a liberarsi, ma venne accerchiata dal resto del gruppo, che non gradì il suo gesto, e minacciosi la strinsero ancor di più nella cerchia.
-Ma come cavolo di sei permessa, lo sai chi sono io?! Nessuno può dirmi di no, né tantomeno una come te, che dovrebbe fare la stessa fine delle altre qui dentro! – la prese per i fianchi, costringendola a pressare il suo corpicino contro quello ovale di lui. La ragazza si divincolò, ma venne zittita con uno schiaffo, mentre lui cominciò a far navigare le sue mani prepotenti lungo tutto il corpo di lei, che cominciò a singhiozzare. Sorrise malignamente.
-Bene bene, sei proprio un bel giocattolino! Ragazzi, seguitemi, stasera ci divertiremo come non mai!- urlò eccitato il rozzo, e con una stretta dolorante le impedì di scappare, conducendola verso uno dei tanti bagni del luogo.
-N-No..vi p-prego..non fatelo..- implorò tremante Gwen in preda ad una crisi di pianto, mentre veniva trascinata contro la sua volontà dall’uomo. Egli sbuffò infastidito dalle lamentele di lei.
-Su, non fare la lagna…sarà divertente! Siamo esperti noi, sopratut..-  era in procinto di attraversare l’ingresso di uno dei bagni bui del locale, quando sbattè violentemente contro qualcosa, o meglio qualcuno, indietreggiando.
Davanti a sé apparve una figura alta e robusta, con spalle larghe e possenti, ma soprattutto avente due occhi di un acquamarina ipnotizzanti, quasi da far paura. Il volto era carico d’odio, e a braccia conserte se ne stava lì, impedendo il passaggio al gruppo.
-Lasciala stare.- disse con una freddezza degna del suo guardo, lacerando quello dell’uomo di fronte a sé. A quelle parole egli scoppiò a ridere, senza motivo.
-Che? Oh ragazzino mi spiace ma lei è già prenotata! Cercatene un’altra..- disse dandogli una pacca su una spalla, ma il gesto irritò ancor di più ragazzo che prontamente allontanò la mano sudicia dai suoi indumenti, per poi raggirarla facendo emettere un gridolino al suo interlocutore.
-Forse non ci siamo capiti. Le devi stare lontano. Sparisci.- si avvicinò pericolosamente al volto dell’uomo, facendolo deglutire rumorosamente.
-Ma chi sei, eh? Il suo ragazzo? Levati di mezzo brutto id..- troppo tardi, il ragazzo perse la pazienza sfoderando un pugno in pieno volto all’uomo che, ubriaco fradicio, cadde all’indietro e a peso morto. Nel frattempo Gwen  si liberò da quella presa stritolante, e sempre più sorpresa guardava quel ragazzo che, senza motivo, si intromise per difenderla. Aveva la bocca socchiusa, colpita da quelle iridi chiare che la destabilizzarono non poco. Fu quando lui incrociò per qualche istante lo sguardo di lei che il ricordo della sera precedente le fece ricordare di aver già visto quegli occhi, e di esservi persa nuovamente.
Ma lo sguardo indifeso e puro della fanciulla lo destabilizzò, giusto quando il resto del gruppo gli sferrò un calcio all’altezza dello stomaco, intervenendo in difesa dell’amico. Il punk fece qualche passo indietro, ritrovandosi due di loro che lo stavano aspettando, per poi bloccargli entrambe le braccia, inchiodandolo a loro. Duncan provò a liberarsi, ma malgrado fosse forte, da solo non avrebbe mai avuto possibilità di sconfiggerli. Alzò lo sguardo cristallino su uno che gli si posizionò davanti, intento a schioccare le dita  ghignando, immaginando la lezione che di lì a poco avrebbe lasciato a quel giovanotto. Gwen, che capì immediatamente le intenzioni dell’uomo, provò a fermarlo ma venne subito bloccata da uno di loro che la teneva stretta, rendendosi conto della ribellione che stava esercitando.
Fu lì che cominciarono a picchiarlo, prima lentamente, poi sempre più velocemente, presi oramai dal divertimento.
-Laciatelo!!! Basta, vi prego!!!- stroncata dalle lacrime, Gwen urlava a squarciagola di lasciarlo in pace, chiudendo gli occhi ad ogni lamentela del giovane, che piano piano cominciava a perdere i sensi. Nonostante il trambusto nel locale, le amiche avvertirono le urla della loro compagna, e velocemente la raggiunsero, rimanendo scioccate dalla situazione che si rivelò ai propri occhi.
-Ma che sta succedendo?!- urlò Heather impietrita dalla scena. Bridgette, invece, si portò una mano sulla bocca, trattenendo il fiato per la paura.
Non appena la gotica si rese conto della presenza delle sue colleghe, si rivolse a loro implorante.
-Bridgette, Heather..vi prego andate a chiamare il direttore!!!- e senza neanche pensarci due volte, l’asiatica corse sopra, verso l’ufficio.
Fu solo una questione di minuti, perché l’uomo arrivò di corsa sul posto, furioso e allarmato più che mai, ma nel momento in cui vide cosa stesse succedendo, perse del tutto le staffe.
-Ma che diavolo…Fermi tutti!!- urlò a più non posso il proprietario, talmente tanto da far smettere finalmente la rissa. Tutti si spaventarono, persino il resto del locale, dopodiché si fiondò su di loro strattonando quello che era intento a picchiare il punk.
-Sei impazzito?! Ti sei bevuto il cervello?! Non azzardatevi mai più a mettere piede nel mio locale, o vi ammazzo!!Ci siamo intesi? Andatevene, ora!!!- i quattro tremarono di fronte alla minaccia dell’uomo e, posizionando sulle spalle l’altro, si catapultarono fuori, non facendo più ritorno.
Non appena Duncan venne liberato dalla presa dei due assalitori, sbatté la schiena contro la parete, privo di sensi, e strisciando era in procinto di cadere per terra, ma Gwen si catapultò immediatamente su di lui, prendendolo in tempo. Aveva gli occhi colmi di lacrime, ma nonostante tutto riuscì a intravedere le sue condizioni: del sangue usciva dal setto nasale, così come dalla bocca, mentre un grosso livido si stava formando all’altezza della guancia destra. Di fronte a quello spettacolo, una morsa allo stomaco la colpì in pieno, facendola tornare a piangere. L’accarezzò dolcemente, mentre lo portava vicino al suo seno, cullandolo.
-Guarda come ti hanno combinato…perché l’hai fatto?- sussurrò impercettibile a lui, mentre più rumorosamente versava altre lacrime.
Il proprietario, dopo aver fatto svuotare l’intero locale, si avvicinò alla gotica, guardandola con disprezzo.
-Liberati immediatamente di questo essere, non voglio sangue nel mio pub.- le ordinò freddo.
-S-sì..lo porto subito in ospedale..- disse tremando la giovane, non smettendo però di stringerlo a sé.
Udendo la parola ospedale, l’uomo divenne viola in viso, maledicendola.
-In ospedale? Vedendolo in questo stato ti chiederebbero sicuramente cosa gli sia successo! Vuoi fami mettere nei guai?! Ci mancano solo gli sbirri!- la rimproverò, prendendola per il colletto della divisa. –Provaci e vedrai che fine farai, Gwendolyne! Non farmi arrabbiare, o saranno guai, sia per te che per la tua famiglia … Pensaci bene.- continuò lui minacciandola, per poi spingerla facendola sbattere contro il muro, lasciando poi il luogo.
Assalita da una profonda paura, Gwen strinse istintivamente il ragazzo ancor di più a sé, sporcandosi dunque la divisa. Le ragazze la guardavano pietose.
-Gwen, devi sbarazzarti di lui..portalo lontano da qui..- Bridgette provò a dire qualcosa per aiutarla, ma venne fermata dalla gotica che, guardandola severa, si pronunciò, emanando una strana scintilla dagli occhi.
Era la cosa più giusta da fare, secondo lei.
-Bridg, portami a casa. Ci penso io.- affermò decisa Gwen, per poi dare un’ultima occhiata al punk, che giaceva immobile tra le sue braccia.




Angolino autrice

Oh ma salve! Vi ricordate di me, vero?
Lo so lo so...sembrava fossi sparita, ma non è così!
Finalmente riesco ad aggiornare..perdonate l'attesa! >.<
Allooora...cosa ve ne pare?
Eheheh i nostri poveri piccioncini ne passano di tutti i colori, me ne rendo conto! :'D
Perdipiù, ecco Courtney!
Sapevo che c'era qualcuno che avrebbe voluto sapere quale sarebbe stata la sua reazione, e per questo vi ho voluti accontentare ;)
Il capitolo è un pochettino più lungo del solito, ma è fondamentale, perchè di qui in poi la vita di Duncan e Gwen cambierà.
Accadranno avvenimenti negativi e positivi, ma non vi anticipo nulla ;)

Non mi resta altro che conoscere il vostro responso, mi diverto tantissimo a leggere i vostri pareri, di qualsiasi tipo!
Grazie di cuore per seguirmi, i primi due capitoli hanno fatto un successone! *-*
Spero che anche questo sia all'altezza! :'3
Baci e alla prossima!


Mia pagina Facebook --> https://www.facebook.com/pages/Dalhia-Creazioni/243291869107251?ref=hl


Storia in collaborazione con Clif:
A TUTTO REALITY: EFP
Siete pronti per un nuovo reality? Ancora di più se questa volta si svolgerà su una nave? Alcuni dei nostri concorrenti + altri 4 nuovi concorrenti si affronteranno in un reality mai visto prima d'ora! Da una nazione all'altra, pronti sempre a fare le peggiori sfide! Divisi in "Squali" e "Delfini" i nostri amici saranno pronti a passare sconvolgenti settimane nell'Oceano, costretti a stare con i loro peggior nemici! Poi, per chi si è perso qualcosa, non preoccupatevi: Ci sarà il dopo show di Dalhia_Gwen, condotto da Bleinley e Josh a tenervi informati su tutto e sempre pronti alla risata! In questo fantastico reality voi e ripeto voi potrete scegliere infine il vincitore!
Cosa manca per renderlo perfetto? Ah, è vero! Mancate voi! Cosa aspettate?
"Clif's story" vi augura: Buona lettura

Storia DxG di Clif:
Strawberry black - La profezia del libro stregato - Ultimo capitolo
Svegliarmi ogni volta, sapendo che tutto quello non fosse stato un sogno era abbastanza difficile. Insomma chi di noi ragazze viveva in una città infestata da creature soprannaturali? Ah è vero: Solo io, l’unica stupida,ero ancora in quella città, ovunque andavo portavo distruzione, ma non potevo andarmene, non sarei riuscita a vivere senza di loro, senza di Lui!





Dalhia_Gwen

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Capitolo 4
*** -Chapter 4 ***


You're my dream come true

Chapter 4


 
I ricordi percorrevano imperterriti e prepotenti nella mente della gotica, sconvolta da ciò che poche ore prima accadde, coinvolgendola in prima persona. Tremava come una foglia all’interno di quell’auto bordeaux dell’amica, che altrettanto agitata la conduceva a casa, così come le fu chiesto.
Il trucco colato, gli occhi arrossati, il respiro strozzato: tra le sue braccia Gwen stringeva Duncan, ancora privo di sensi, accarezzandogli delicatamente il capo poggiato sulle sue candide gambe, non smettendo mai di guardarlo. Sì, si sentiva in colpa, se non si sarebbe rifiutata a quell’uomo, probabilmente a quest’ora  il ragazzo sarebbe stato in salvo, magari a sorseggiare una birra mentre fumava una sigaretta. Strinse istintivamente gli occhi mandando via le lacrime, avvertendo l’ennesima fitta al cuore, mentre si chinava verso il viso oramai sfigurato del ragazzo.
-Resisti ti prego..resisti..- si ritrovò a sussurrare la gotica, poggiando poi la propria fronte su quella del punk, esausta anche di parlare.
 
Arrivarono rapidissime nell’appartamento di Gwen, e dopo aver aiutato l’amica a portare dentro casa l’ospite, Bridgette varcò la soglia della porta, in procinto di andarsene.
-Gwen, è una grande responsabilità quella che ti stai prendendo..sei sicura che..?- provò a domandare perplessa la bionda, fermandosi proprio davanti l’uscio.
-Bridg è l’unica cosa che posso fare per lui. Non posso abbandonarlo, non dopo quello che ha fatto per me.  So quello che faccio,  e confido nel silenzio di una mia amica..- disse la gotica decisa, con gli occhi che le splendevano di speranza. D’altra parte Bridgette, nell’udire quelle parole, sorrise, tornando qualche passo più vicino alla gotica.
-Di me puoi fidarti Gwen, sempre. Lo sai.- le fece l’occhiolino, per poi abbandonare il pianerottolo, lasciando così l’amica più sollevata.
Dopo essersi chiusa la porta d’ingresso dietro le spalle, Gwen raggiunse veloce la propria camera da letto, là dove appoggiò il ragazzo, gli si avvicinò lentamente, e con cautela iniziò a scoprirgli i pettorali, trovando una scena straziante: il busto era pieno di lividi soprattutto all’altezza dello stomaco, quello che più di tutti subì le violenze. Notò degli aloni anche lateralmente, e immediatamente la paura che il punk possa ritrovarsi le costole rotte l’avvolse, facendola cadere nuovamente nel panico.
-No Gwen, calmati..non è il momento di agitarsi..- si ripeteva ansimando. Raggiunse velocemente il piccolo bagno adiacente alla stanza, e da lì cominciò ad estrarre garze, disinfettante e tutto l’occorrente necessario per praticare finalmente ciò che imparò nei vari tirocini che volontariamente seguiva quando poteva.
Ebbene sì, Gwen amava frequentare corsi di pronto soccorso da quando ne conobbe l’esistenza, spinta più che mai dalla necessità di poter fare qualcosa per una persona che necessitasse di aiuto. Non se lo spiegava neanche lei, ma non riusciva proprio ad accettarsi di essere impotente di fronte ad una persona ferita, più o meno grave. Certo, non pensava mai di potersi sostituire ad un medico, altro suo più grande sogno nel cassetto, ma certamente aiutare una persona ad attendere l’ambulanza in condizioni migliori la faceva sentire più utile e soprattutto appagata. Tra l’altro, la medicina era una facoltà che l’affascinava sin da piccola, ma rendendosi conto di non essere forte abbastanza da poter prendersi le responsabilità di un medico, decise si seguire l’altra sua passione, probabilmente la più grande, il disegno. Nulla però le impediva di recare anche un minimo aiuto, in quanto reputava utile, se non vitale, anche un banalissimo massaggio cardiaco.
Dunque, Gwen pensò di curare, nei limiti in cui rientrava, il punk di fronte a lei, sentendosi in dovere di farlo. Si adoperò di disinfettante e cotone, e facendo molta cautela cominciò a tamponare sulle varie ferite, presenti in quasi tutto il corpo. Partì dal viso, pieno di graffi, e passò il pezzo di cotone delicatamente, sperando che il dolore delle ferite potesse in qualche modo far rinvenire il ragazzo. Ciò non avvenne, ma la gotica non si perse d’animo, e continuò piano a disinfettare. Dovette percorrere tutto il viso, per poi premere con più forza sul labbro spaccato, che continuava ancora a sanguinare. Fece leva su esso, mentre la mano le tremava, avvertendo di nuovo i sensi di colpa. Lo guardò: era ridotto malissimo, graffi e lividi dappertutto, e non se li meritava.
Dopo aver accuratamente curato le ferite del viso, passò poi al busto, prestando ancora più attenzione. Poteva occuparsi dei graffi e dei lividi, ma di certo non avrebbe mai saputo le sue condizioni interne.
 
E se si fosse rotta qualche costola? E se qualche organo avesse subito danni?
 
Di fronte a queste domande la ragazza cominciò ad agitarsi, ed una grande paura la investì in pieno.
Non era in grado di poterlo sapere.
Forse aveva sbagliato, forse avrebbe davvero dovuto accompagnarlo in ospedale.
Sfiorò delicatamente le zone con i lividi, coprendosi poi il viso con le mani, non sapendo cosa fare.
Ad un tratto avvertì il rumore della porta dell’ascensore aprirsi sul pianerottolo dove era presente il suo appartamento, udendo successivamente dei tacchi che percorrevano il corridoio,facendosi sempre più insistenti.
Si bloccò immediatamente, sgranando gli occhi: solo una persona sarebbe potuta ritirarsi a casa a quell’orario inoltrato, solo una donna che abitava di fronte al suo appartamento.

E quella signora era la dottoressa Cooper*.

Senza pensarci due volte si catapultò fuori, incurante dei vestiti sporchi di sangue che ancora indossava, arrivandole proprio dietro le spalle.
 
-D-Dottoressa! Dottoressa Cooper!- la chiamò con la voce spezzata dal pianto. La donna, che stava infilando la chiave nella serratura del proprio appartamento, sobbalzò udendo il suo nome, girandosi poi verso la sua interlocutrice.
-Gwen! M-Ma cos..- la dottoressa guardò bene la fanciulla, spaventandosi non poco delle condizioni con cui si presentava dinnanzi a lei, ma d’altro canto la ragazza prese le mani della donna e, senza neanche farle finire di parlare, accavallò la sua voce, probabilmente per via della presa di potere della paura sul suo subconscio.
-La prego dottoressa, mi deve aiutare! S-Solo le può … la supplico..- disse Gwen perdendo il controllo del pianto, mentre le sue guance venivano bagnate di nuovo. A quel punto la Cooper, capendo la gravità della situazione, non proferì parola, facendosi quindi condurre dalla ragazza che tremava come una foglia.
 
Arrivarono in camera da letto, e Gwen mostrò alla donna il ragazzo giacente sul materasso, inerme.
Vedendo lo stupore sul volto della dottoressa, la gotica preferì parlare chiaramente dall’inizio.
-Lui mi ha salvato la vita al lavoro..le ha prese per colpa mia ed io..io ho paura che possa aver subito qualcosa di grave..l’ho portato qui medicandolo ma..ma i lividi..dottoressa io non so cos..- Gwen pronunciò una serie di frasi a cascata, gesticolando in maniera confusionaria e spaesata.
Nel frattempo la Cooper ascoltò attentamente la ragazza, alternando lo sguardo posizionandolo prima su di lei e poi sul ragazzo, alquanto confusa.
Malgrado tutto, la donna capì, le si avvicinò e con dolcezza le prese le mani, sorridendole come una madre, con l’intento di rassicurarla.
-Mia cara, adesso calmati. Ho capito tutto, ma purché tu possa aiutare il tuo amico devi tranquillizzarti. Lo controllo immediatamente.- disse calma, per poi invitare la ragazza a sedersi.
La dottoressa Cooper, ginecologa e medico generico presso l’ospedale della città, era una donna con un grande cuore e che svolgeva il suo lavoro con tanta devozione. All’epoca fu il medico che aiutò la madre di Gwen a portarla alla luce, nonché sua grande amica. Dopo il parto si persero di vista, ma il caso volle che la fanciulla acquistasse un monolocale proprio nell’edificio dove la Cooper abitava,  facendole incontrare nuovamente. Tra la donna e la ragazza nacque subito una buona sintonia, probabilmente l’unica in tutto il condominio, ed immediatamente si affezionarono l’una all’altra. Tra l’altro la Cooper sapeva di quel che Gwen chiamava “lavoro”, ma non approfondì mai la questione più di tanto, dato che la maggior parte della giornata la passava dentro l’ospedale, tra visite e parti.
 
Con grande agilità estrasse uno fonendoscopio dalla sua borsa, per poi indossarlo e con fare esperto fece scorrere lentamente e in maniera scandita il cilindro acustico sul torace di Duncan, cercando di capire se ci fosse qualche malfunzionamento grave. Dopo vari minuti, cominciò a toccare le parti del corpo macchiate di lividi, pressando su esse, analizzando per bene.
Ripose l’attrezzo nella borsa, per poi guardare la gotica, che osservava affascinata i movimenti sicuri e precisi di chi sa svolgere il suo lavoro.
-Il respiro è regolare, il cuore altrettanto e non ci sono mal funzionamenti, mi sembra quindi abbastanza tranquillo. Ho visionato anche quei lividi, ma per quanto io mi sia sforzata ad andare a fondo, non posso darti la certezza che non si sia rotto nulla visitandolo senza lo strumento adatto. Per quanto mi possa sembrare che questo ragazzo non abbia subìto fratture, non ho l’esperienza di un medico specializzato in tale campo. Perché non l’hai portato in ospedale?- chiese premurosa la donna, guardandola con tenerezza. Di fronte a quella domanda la gotica deglutì a vuoto, prendendosi qualche istante prima di rispondere.
-N-Non credevo che avesse quei lividi..pensavo che..che non fosse così messo male..- provò a inventare una scusa il più possibile comprensibile, ma subito constatò di aver dato una risposta alquanto infantile, mostrandosi così agli occhi della donna precipitosa e superficiale. Strinse le mani sulle gambe, abbassando il capo vergognandosi come non mai, ma una mano calda avvolse i due pugni contratti, e immediatamente la ragazza alzò lo sguardo, incontrando quello verde smeraldo della dottoressa.
-Ma non è grave, affatto. Sta bene, e fasciandolo in quel modo gli hai impedito la perdita di molto sangue. Hai fatto un ottimo lavoro Gwen.- la confortò la donna, sorridendole.
Sentendo quelle parole Gwen sorrise di rimando, per poi asciugarsi con un palmo quelle che sarebbero state le ultime lacrime, almeno di quella sera.
-Tuttavia, per poter essere certa che le sue costole siano sane, dovrei visitarlo internamente, dovrei fargli almeno una radiografia. Non appena si sveglia potresti accompagnarlo da me, o preferiresti che venga io per una radiografia?- domandò nuovamente la Cooper, avvertendo la tensione che avvolse in quel momento la gotica.
-Sìsì..meglio se venga lei..grazie..- disse frettolosamente Gwen, per poi dare un ultimo sguardo al punk.
 
- Vengo domani allora,  sono sicura che rinverrà nelle prossime 24 ore. - l’informò la dottoressa, ma prima che Gwen potesse salutarla, la donna si accorse del rossore che contornava i polsi della ragazza, per poi afferrarli con una certa preoccupazione.
-E questi chi te li ha fatti?- chiese duramente, guardandola negli occhi. D’altro canto Gwen cercò di sfuggire da quella presa, ma non ci riuscì, facendo innervosire ancor di più la dottoressa.
- Gwen, dovresti cambiare lavoro. Questo non mi piace … - confessò lei mantenendo lo sguardo sulla ragazza, che ne frattempo assunse un’espressione contrariata.
-Si sbaglia signora Cooper, ho solamente acchiappato il cliente sbagliato. Può capitare quando si ha a che fare con tanta gente, così come può scappare il morto in sala operatoria. Sono cose che succedono. – si difese immediatamente la gotica. Il suo tono non era arrabbiato o quantomeno maleducato,  ogni tanto avvertiva la signora troppo invadente, e questo le dava fastidio, non sapendo che probabilmente la donna avrebbe voluto solo il suo bene.
D’altra parte la dottoressa la guardò in quegli occhi neri così stanchi di piangere, e capì che la discussione non sarebbe potuta durare a lungo, dopo quella riposta.
-E’ vero, ma non sarebbe tanto giusto coinvolgere degli innocenti, ti pare? Comunque, ci vediamo domani, buonanotte.- disse infine la donna, per poi uscire da quella casa e tornare nella propria, mentre la gotica rimase senza parole.
Dopo aver chiuso la porta, tirò un lungo sospiro, portandosi le mani sul viso oramai stremato. Nel frattempo arrivò in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, quando il suo sguardo si posò sul ticchettio dell’orologio, che segnavano le cinque del mattino. Era l’alba e l’indomani sarebbe dovuta passare a scuola per concordare con i professori delle prossime interrogazioni, ma in quel momento l’unica cosa che avrebbe voluto era quella di chiudere anche per una sola ora gli occhi, esausta da quella giornata che l’ha completamente messa al tappeto. Per cui si diresse in camera da letto, e dopo essersi cambiata, indossando un abitino da notte blu scuro, si adagiò sull’altra parte del letto, non prima di avere qualche esitazione pensando di dover dormire con un perfetto sconosciuto. Ma quel ragazzo, poveretto, non aveva colpe, così decise di sdraiarsi accanto a lui, anche per essere sicura che avrebbe trovato qualcuno che l’ascoltasse se avrebbe avuto bisogno d’aiuto.
In un primo momento gli diede le spalle, abbastanza imbarazzata, ma poi si rese conto di non aver spento la luce del comodino che trovava dall’altra parte del letto, così alzò il busto allungandosi verso di lui. Arrivò alla lampada, e stava per spegnerla, quando scasualmente i suoi occhi caddero di nuovo sul ragazzo: aveva il volto girato verso la luce, ma la sua espressione non era più contratta come prima, era decisamente più serena, e la gotica non potè fare a meno di contemplarla, incantata. Istintivamente passò una mano su una  guancia del ragazzo, accarezzandolo dolcemente, e fu lì che avvertì un strano calore invaderla. Nonostante le torture subite, aveva un viso bellissimo, per non parlare del corpo fine e ben scolpito, che lasciava pensare ad anni di allenamento. Solo in quel momento si accorse di avere davanti un gran bel ragazzo, che fino a qualche ora fa si era sacrificato per lei, rischiando anche la vita.
 
Sembrava un angelo…
 
No, lui era proprio un angelo, il suo, perché l’aveva salvata.
Sorrise dolcemente, e d’impulso avvicinò le labbra ad una sua guancia, per poi lasciarvi un leggero e morbido bacio, come segno di ringraziamento. Finalmente spense la luce, e si accoccolò sotto le lenzuola, addormentandosi.
* Nome puramente inventato dall'autrice





Angolino dell'autrice:

Salve a tutti miei carissimi lettori! :D

Come va?
Sì, sono sempre io, Dalhia, in carne ed ossa! ^-^"
Come promesso nella mia Song - Fic, eccomi qui col nuovo capitolo di "You're my dream come true"!

Bene bene, a quanto pare Duncan si ritrova, inconsapevolmente, nel letto di Gwen....peccato che sia ancora privo di sensi (?)!!! x'D

Cosa succederà adesso? Duncan si sveglierà?
Ma soprattutto...siete curiosi?
Allora non vi resta altro che attendere il prossimo capitolo!

Lasciate una recensione, anche piccina, sapete quanto io sia curiosa di sapere le vostre opinioni! *-*
Allora vi aspetto!

Ho una pagina Facebook dove faccio anche disegni, se siete curiosi diventate fans!

Storia in collaborazione con Clif:
A TUTTO REALITY: EFP

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In questo fantastico reality voi e ripeto voi potrete scegliere infine il vincitore! "
Cosa manca per renderlo perfetto? Ah, è vero! Mancate voi! Cosa aspettate?
"Clif's story" vi augura: Buona lettura



Un abbraccione dalla vostra

Dalhia_Gwen

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Capitolo 5
*** -Chapter 5 ***


You're my dream come true

Chapter 5





In quella giornata illuminata da un sole alquanto pallido, tiepidi raggi penetravano nella camera da letto,  infilandosi tra le tapparelle che la sera precedente Gwen abbassò accuratamente, al fine di evitare un brusco e fastidioso risveglio.
Non si poteva negare che la camera fosse decisamente sottosopra, colpevoli gli avvenimenti che scombussolarono non poco la vita di entrambi i ragazzi, in un modo o nell’altro.
Quella che passò fu a tutti gli effetti una giornata davvero indimenticabile sotto ogni punto di vista, e Gwen prima di addormentarsi non poté fare a meno di pregare affinchè situazioni come quella appena vissuta non le sarebbero mai più capitate.
 
O almeno così si augurava.
 
In quel momento la quiete regnava sovrana in quel piccolo appartamento, tanto quanto bastava per regalare un attimo di tranquillità a quella che, da parte di occhi estranei, sembrava a tutti gli effetti una coppia innamorata.
I loro visi erano finalmente sereni, ed era difficile decifrare se anche mentre dormivano i loro cuori tornarono a battere normalmente. Lo spavento fu enorme, ma si meritavano quell’attimo di pace.
 
Allora la domanda nasceva spontanea:
fino a quando sarebbe durato?
 
Ad un tratto piccolo spiraglio di luce colpì il candido viso della ragazza, che aveva sul volto un sereno ed inspiegabile sorriso, a lungo sofferto.
Dopo un paio di minuti cominciò ad aprire gli occhi, seppur svogliatamente, elevando istintivamente poi la mano per portarsela davanti gli occhi, ma subito venne attraversata da uno strano presentimento, che diventò realtà quando fece tornare la mano poggiata su ciò che quella notte divenne un comodo cuscino.
Evidentemente in quelle poche ore che precedevano l’alba, la gotica fece terribili incubi che la costrinsero inconsciamente a stringersi allo sconosciuto che giaceva ancora inerme accanto a lei, ritrovandosi così al mattino successivo col capo sul suo petto ed un braccio intorno al suo busto.
Ad un tratto capì tutto, e si immobilizzò avvertendo il suo respiro che le scompigliava i capelli, ma che allo stesso tempo le provocava una piacevole sensazione.
Non se lo spiegava neanche lei, ma essere in compagnia di quel ragazzo la faceva sentire incredibilmente al sicuro.
Quella testimonianza di preoccupazione nei suoi confronti la scosse non poco, e pensare che in quel momento non era più sola le riempiva di gioia l’animo. Da quando la madre la lasciò sola per seguire il fratellino all’ospedale, Gwen visse, almeno all’inizio, la mancanza di quello che le rimaneva della sua famiglia con profondo dolore, ma il suo carattere forte e combattivo le permise un poco alla volta di superare quel momento, motivata più che mai dalla speranza di sopravvivenza di Christian, che dipendeva anche da lei. Tuttavia però, molto spesso, la giovane cadeva nelle proprie debolezze, e improvvisamente quella solitudine che pensava avesse imparato a domare, prendeva prepotente il sopravvento sul suo animo, e lì cominciava ad avere paura di non potercela fare con tutto quelle preoccupazioni, familiari e scolastiche.
Ma quel tentato stupro, indubbiamente avvenimento da dimenticare, infondo ebbe un risvolto positivo, che le si trovava proprio accanto. L’arrivo di quel giovane nella sua vita le risvegliò la forza che stava man mano perdendo, ma soprattutto le fece provare la bella sensazione di avere qualcuno vicino.
Sì, perché Gwen non ebbe mai avuto il piacere di instaurare una qualsiasi forma di relazione con nessuno.
Nessun amico, nessun fidanzato, nessun conoscente.
Niente di niente.
Ma non perché la colpa fosse sua, affatto, semplicemente era considerata una ragazza da evitare, in tutti i sensi.
Considerata strana, dunque, sia per il suo “strambo” modo di vestire, non compreso dalle persone e indice di qualche forma di chissà quale ribellione, e sia per la brutta situazione familiare che inevitabilmente si portava dietro e che costantemente emergeva.
Non accettava mai di uscire, di andare a farsi una pizza fuori o anche di prendersi un gelato, solo perché si sentiva in colpa a spendere quei pochi soldi che, se sommati poi ai costi successivi simili ed inutili come quello, avrebbero contribuito alla grande spesa dell’intervento del fratellino.
Inutili le parole della madre che, preoccupata, la incitava ad allentare la presa e a lasciarsi andare qualche volta, facendo in modo di vivere meglio la propria vita, essendo una ragazza così bella e giovanissima. Provata e addolorata per i sacrifici non indifferenti della sua insostituibile figlia, la donna a volte tentava pure di arrabbiarsi, sperando che Gwen si decidesse una buona volta ad ascoltarla, ma puntualmente la ragazza non ce la faceva, ed era costretta a rifiutare i vari inviti che le si presentavano davanti.
Crebbe così sempre sola, senza amici, arrivando all’età di diciotto anni ancora non sapendo cosa significasse avere un amico.
O meglio, cominciò ad averne un assaggio proprio in quella delicata fascia d’età.
Infatti, proprio grazie a quel maledetto lavoro, conobbe le sue colleghe di bancone, con cui instaurò un legame forte, accomunate probabilmente da quei problemi più grandi di loro, che le rendevano vulnerabili e terribilmente desiderose l’una dell’altra.
Nonostante tutto, la gotica si legò particolarmente a Bridgette, considerata da tutte come il “sole” del quadretto di cameriere. Dotata di una forza davvero enorme, capace di farle affrontare i problemi della sua vita con costante e invidioso sorriso, era una ragazza dolce e socievole a cui Gwen si affezionò immediatamente: andavano molto d’accordo, e la gotica constatò presto di potersi fidare e di essere sicura di lei, considerandola così sua “prima e vera” amica.
E la conosceva da un bel po’.
Ma allora perché provava le stesse sensazioni con quell’ignoto ragazzo, capultatosi nella sua vita senza nessuna presunzione?
Non lo poteva certamente considerare un amico subito, ovvio, ma avvertiva una certa attrazione verso di lui che la confondeva ogni volta che ci pensava.
La sicurezza che le trasmetteva, era in realtà ben diversa da quella che l’amica le avrebbe potuto dare.
 
Era strana.
Era coinvolgente.
Era paradisiaca.
Era…speciale.
 
E non l’aveva mai provata prima.
 
Percorse con una mano mezzo busto del ragazzo, per poi osservare piacevolmente il suo torace muoversi al ritmo del suo respiro, divenuto leggero e regolare, così come sperava.
Continuò a regalargli sorrisi, come se si fosse ipnotizzata nel guardarlo, ma non appena si rese conto di essersi persa di nuovo nei suoi pensieri, gli rimboccò velocemente le coperte, per poi alzarsi dal letto e dirigersi in cucina, vogliosa di prepararsi una tazza di latte caldo con una punta di caffè, la sua colazione preferita.
 
Guardò l’orologio, che segnava le 10.43, ma non le importò più di tanto, in quanto quella sarebbe dovuta essere la sua giornata libera che avrebbe piacevolmente passato a casa, lontana da quel mondo che non le piacque mai.
Diede un’occhiata nel piccolo frigorifero, per constatare di avere abbastanza ingredienti per preparare un’eventuale pranzo per due persone, qualora fosse stato necessario.
Poi la sua attenzione venne distolta dall’allarme del microonde, ed immediatamente si avvicinò ad esso prendendo la tazza, riscaldandosi e cominciando a bere, il tutto mentre lasciava poggiare il suo corpo su un mobile, perdendosi infine a pensare a ciò che avrebbe dovuto fare quel giorno.
 
 
La luce solare oramai era divenuta forte e accecante, arrivando ad illuminare buona parte della stanza e ad accendere quei colori di cui era coperta.
Lievi movimenti interruppero la silenziosa atmosfera all’interno della camera, mentre bisbigli lamentosi echeggiarono nell’aria.
Colpito in pieno volto da un raggio fin troppo luminoso, Duncan provò ad aprire gli occhi, trovandoli all’inizio pesanti e offuscati. Provò ad aguzzare la vista, ma fece una smorfia non appena girò il viso verso la luce, che mai come in quel momento trovò dannatamente fastidiosa.  La testa gli pulsava, ma si meravigliò nel rendersi conto di essere in un luogo a lui sconosciuto: steso su un letto matrimoniale, aveva di fronte pareti colorate di un viola scuro, coperte in parte da una scrivania piena di libri accostata poi ad un armadio di legno, con molta probabilità di ciliegio. Alla sua destra vi era un’ampia finestra semi-aperta, giusto quel poco per far passare un pochino di luce necessaria.
-E adesso dove cavolo mi trovo?- si chiese sempre più perplesso il punk, grattandosi la nuca per poi trovarla sorprendentemente avvolta in una garza, che gli copriva così l’intera fronte. Istintivamente deglutì a vuoto, non appena constatò anche lo stato del resto del corpo, anch’esso in parte fasciato. A quel punto non ce la fece più, e spinto da troppi dubbi che si stavano sommando sempre più, poggiò entrambe le mani sul morbido materasso provando a sollevarsi.
-Ahi!Oh merda!- imprecò Duncan non appena si rese conto di essere sprovvisto di forza necessaria per reggersi da solo. Cadde così, a peso morto, sul letto, poggiando la schiena sulla ringhiera del letto.
Ad un tratto udì dei piccoli passi veloci, farsi sempre più insistenti, ed una figura che mai si sarebbe immaginato di vedere si presentò ai suoi occhi.
 
Sulla soglia della porta della stanza vi era Gwen che, non appena avvertì dei suoni anomali provenienti dalla sua camera da letto, si fiondò immediatamente in essa, per poi paralizzarsi di fronte la sua vista.
Spaventata e con un respiro fattosi più accentuato, aveva lo sguardo incatenato a quello del ragazzo, che la guardava sorpreso quanto lei. Finalmente lo vide sveglio, ma cosa ancor più importante lo vide vivo di fronte a lei.
I suoi occhi, di un colore chiaro ed incredibilmente cristallino, spossarono la gotica, ritrovandosi disarmata da quel vortice di emozioni che le fece perdere il controllo.
D’altra parte Duncan rimase senza parole, o meglio estasiato, incapace di formulare un pensiero o una parola sensata, non potendo credere di avere a pochi metri distante la ragazza che da giorni era diventata la protagonista dei suoi pensieri.
 
Stava sognando o cosa?
 
Passarono un paio di minuti, al cui scadere Gwen prese a parlare, trovandosi imbarazzata per l’espressione sempre più da ebete che si era ormai dipinta sul volto del punk.
-C-Ciao…ben svegliato...- soffiò lei sorridendogli, per poi avvicinarsi lentamente.
Duncan l’osservava farsi sempre più vicina, ma soprattutto con indosso una corta camicia perla da notte che le arrivava sulle ginocchia, avente dei ricami in pizzo neri. Deglutì sforzandosi di non farsi prendere troppo dalla meravigliosa vista che aveva davanti a sé.
-Dormito bene?- gli domandò lei premurosa, che nel frattempo si era seduta accanto a lui, vedendo che il ragazzo continuava a non parlare.
-S-sì..credo. Ma sto sognando?- Duncan riuscì a parlare, e le fece quella domanda con una certa malizia innocente. A quelle parole la ragazza rise scuotendo lievemente il capo, per poi accavallare le gambe senza accorgersene, gesto che però non sfuggì al punk.
-N-no, perché me lo chiedi?- continuò lei curiosa. Il ragazzo fece spallucce, mostrando i suoi splendidi denti bianchi.
-Beh allora è chiaro: sono morto.- disse con molta naturalezza, non smettendo però di sorridere.
Nel frattempo che lo ascoltava Gwen si faceva sempre più seria, cominciando a preoccuparsi dello stato mentale del suo interlocutore.
-C-cosa? No, ma che dici! Sei vivo, per fortuna! Perché sostieni questo?- oramai lei perse il sorriso che le illuminava il volto, e quasi adirata si rivolse a lui, che non smetteva di sorriderle.
-Non può essere! Una ragazza di così tanta bellezza può essere solo un angelo, e gli angeli si trovano solo in Cielo!- confessò lui come se avesse detto una cosa normalissima.
A quelle parole la ragazza si sentì improvvisamente travolta da uno strano calore, il tutto mentre sbarrò gli occhioni neri che il punk notò brillare ancor di più, subito dopo la sua affermazione.
In quel momento di sentì impacciata più che mai, e non sapendo se trattenere o sfoggiare quel sorriso che stava nascendo su quelle labbra carnose, si alzò di scatto dal letto in procinto di andarsene.
-Oh ci rinuncio! Pensala come vuoi.- gli disse esasperata, per poi avvicinarsi alla porta.
Duncan la seguì con lo sguardo, ma non appena udì la sua risposta, scoppiò a ridere, guadagnando uno sguardo perplesso della fanciulla. Si guardarono negli occhi tanto quanto bastava per far diventare serio il punk.
-Cosa..cosa mi è successo? Intendo..dopo che ho tentato di allontanare da te quei maiali? Non ricordo nulla…- disse il ragazzo con una sincerità disarmante, passandosi a toccare il capo e il torace sulle zone fasciate, per poi guardarla intensamente.
La domanda arrivò dritta e rumorosa alle orecchie della gotica, consapevole che prima o poi avrebbe dovuto rievocare in qualche modo quei spiacevoli ricordi. Abbassò lo sguardo, per poi cominciare a torturare un lembo della vestaglia.
- Hai subito una violenza. S-Sei stato picchiato, con forza, da quel branco di idioti. Eri in fin di vita, ma io mi sentivo troppo in colpa per lasciarti in quello stato, così ti portai qui, a casa mia, promettendo a me stessa che mi sarei presa cura di te. Era il minimo che avrei potuto fare..- spiegò ingenuamente la ragazza, avvertendo gli occhi pizzicarle sempre più. Mentre raccontava, si avvicinò di nuovo al letto, per poi sedersi accanto al punk, bisognosa più che mai di sentirlo ancora vicino. Duncan udì il racconto non lasciandosi sfuggire nessun particolare, rimanendone alquanto sorpreso sia dalla dinamicità con cui gli eventi presero piega la sera precedente, sia per il gesto così gentile da parte della fanciulla. Le sorrise dolcemente, avvertendo una piacevolissima felicità riscaldargli il cuore che riprese a battere più velocemente.
- Oltre ad essere un bellissimo angelo, sei anche un bellissimo medico? - gli domandò lui con un ghigno malizioso, con l’intento di strapparle un sorriso.
- Oh no, non sono un bellissimo medico, sono solo una semplice ragazza. Mi piace aiutare gli altri nel momento del bisogno, tutto qui.- ammise lei sorridendo, non potendo fare a meno di arrossire.
-Ti pare poco? Chissà quale brutta fine avrei potuto fare se non ci fossi stata tu. Grazie, davvero.  -  confessò lui stavolta serio, ipnotizzando nelle sue iridi quelle di Gwen, che portò le proprie mani sul grembo, facendole giocherellare tra loro per l’imbarazzo.
-Non sei tu che devi ringraziarmi, piuttosto io. Ti sei sacrificato per salvarmi, evitando così che quell’uomo..quell’uomo..- la gotica non riusciva a terminare la frase, presa improvvisamente da quel sentimento di paura che la dominò durante le ore di terrore. Una fitta al petto colpì in pieno il punk, vedendo le prime lacrime scorrere sulle guance candide e delicate della fanciulla, ed istintivamente allungò un braccio in direzione delle mani raccolte di lei, stringendole ed invadendole del suo calore. Erano fredde e tremanti, così cominciò ad accarezzarle dolcemente, per poi riprendere a parlare.
- Stai tranquilla, adesso è tutto passato, non devi preoccuparti. – la cullò con un tono di voce caldo e rassicurante, che Gwen non poté fare a meno di adorare.
Quel ragazzo aveva un non so ché di speciale, capace di farla sentire meglio e al sicuro, sensazioni che non provò mai con uno sconosciuto. Gwen posò lo sguardo sulle loro mani intrecciate, notando che il ragazzo non aveva smesso di accarezzare le sue, e sorrise dolcemente.
-Grazie, sul serio.- sussurrò lei guardandolo negli occhi, piena di gratitudine.
-Oh di nulla dolcezza, questo e molto altro! Comunque, io sono Duncan, piacere!- disse tornando a sorridere radioso il punk, facendole l’occhiolino.
-Piacere, Gwen...- disse lei, ma venne improvvisamente fermata dal suono del campanello, al quale la gotica non fece attendere la sua risposta, sapendo in realtà chi la stesse aspettando al di là della porta.

-Signora Cooper! Entri pure..la ringrazio di essere venuta..- Gwen vide infatti la dottoressa sulla soglia, e felice più che mai nel vederla aver mantenuto la promessa le fece strada fino alla camera da letto, là dove si trovava il paziente.
-Figurati mia cara, dovere di un medico..e preoccupazione di un’ansiosa ragazza.- rispose la donna, lasciandole interpretare la frase a suo piacimento, sorridente, mentre di fronte a sé trovò il malcapitato vivo e per fortuna sveglio.
-Bene bene, vedo che si è svegliato. Buongiorno caro.- salutò cordialmente la dottoressa, facendosi largo nella stanza mentre il suo camice bianco ondeggiava a ritmo dell’andamento sinuoso dovuto ai tacchi.
Duncan, che fino a quel momento aveva un’espressione curiosa ed interessata, assunse improvvisamente un colore pallido non appena vide la donna appoggiare una macchina dotata di display e fionde sul letto, proprio accanto a lui, preparando da subito tutto l’occorrente.
Il ragazzo, infatti, aveva da sempre una certa “avversione” verso i medici, soprattutto verso quelli dalle poche parole e dalle azioni dirette, come quella dottoressa di fronte a lui.
-E quello….?- domandò quasi spaventato il giovane, mentre con lo sguardo slittava posandosi prima sul volto della Cooper e poi su quello di Gwen, la cui espressione corrugata di certo non aiutava la stato d’animo di Duncan.
Incurante della voce tremante del ragazzo, la Cooper indossò dei guanti bianchi sterilizzati, e con fare professionale fece per strappare le garze che coprivano le ferite di Duncan, ma quest’ultimo la fermò bruscamente.
-Ehi si fermi! Non sono una cavia! Voglio spiegazioni!- si rivolse alla donna con tono abbastanza alterato ma tremante, probabilmente dovuto alla paura che lo stava divorando pian piano. A quelle parole la dottoressa lo guardò negli occhi, per poi alzare un sopraciglio divertita.
-Per caso ho di fronte a me un fifone? Sta tranquillo, voglio solo sollevare dalla paura quella ragazza lì. Ha il timore che tu possa avere qualche ossa rotta, quindi smettila di piagnucolare come un bambino e fammi fare il mio lavoro. Grazie.- disse schietta la donna, non smettendo però di sorridere, considerando troppo buffa l’espressione del punk, per poi procedere.
Sentendosi chiamare in causa, Gwen alzò lo sguardo, prima concentrato sul pavimento, incontrando gli occhi limpidi di Duncan, trovandoli tremanti e decisamente più luminosi.
A quel contatto, seppur non tattile, Gwen sentì un leggero calore pervaderle il corpo, e non poté fare a meno di sorridergli timidamente, gesto che lui ricambiò ben volentieri.
 Nel frattempo la dottoressa Cooper aveva eliminato le garze dal corpo del ragazzo, passandoci poi uno strano gel, evitando le zone ancora fresche per poi prendere un laser e muovendolo sopra, molto lentamente.
Buon medico qual’era, analizzò la lastra che le si presentò sul display, controllando la presenza di qualche possibile anomalia. Stava per parlare, quando reputò meglio dare prima un’occhiatina veloce ai due ragazzi, che per tutta la durata del controllo non fiatarono, constatando la strana affinità di quella che, da parte di Gwen, veniva chiamata solo pura “conoscenza”. Osservò lo sguardo incantato del punk, che non perse tempo a deliziarsi della vista di quella ragazza così bella e ingenua. Poi si concentrò su Gwen, che stranamente aveva le gote color porpora, il tutto mentre anche lei regalava sorrisi ad un Duncan che oramai aveva attivato la sua frenetica fantasia istintiva, deducendone chissà quali oscuri risultati.
-Qui gatta ci cova..- pensò la donna sorridendo maliziosamente.
-Ehi piccioncini..- li esortò guardando il display di fronte a sé, ottenendo finalmente la loro attenzione.
-Il ragazzo qui presente è sano come un pesce. L’unica cosa che ti raccomando però, mio caro, è di rimanere al riposo per un bel po’, almeno fino a quando tu non riesca a provvedere da solo autonomamente.- continuò poi la donna, volgendo uno sguardo prima su Duncan e poi sulla ragazza, che si tranquillizzarono udendo quelle parole.
 
***
 
-La ringrazio tanto, signora Cooper. E’ stata gentilissima a passare di qui per visitarlo.- Gwen era sulla soglia della porta d’ingresso, e con un sincero sorriso stava congedando la dottoressa che ricevette una chiamata d’emergenza dall’ospedale.
-Non ti preoccupare, l’importante è che stia bene. T’ho vista abbastanza scioccata,avevi un gran timore, eh?- guardò negli occhi la ragazza, e per un attimo le parve di vedere il suo sguardo cedere per l’imbarazzo.
-N-No..è solo che mi sentivo continuamente colpevole. Lui è solo una vittima di tutto ciò che accadde..- sussurrò addolorata Gwen, abbassando lo sguardo.
-Poi mi racconterai, okay? Fammi scappare, hanno urgentemente bisogno di me.-  e dopo aver ottenuto un sorriso di approvazione, la Cooper lasciò l’appartamento.
 
La gotica tornò da Duncan, trovandolo intento ad aggiustarsi sotto le coperte.
Si poggiò allo stipite della porta, per poi guardarlo divertita.
-Visto? Non è stato poi così terribile essere una cavia della Cooper.- lo prese in giro lei, ricordando di aver letto il terrore sul volto del punk.
-Non eri tu quella preoccupata per me?- Duncan non si perse d’animo, e con un colpo solo la incastrò in una scomoda verità. Gwen si trovò così impacciata, e per evitare il suo sguardo fin troppo furbo cercò di non guardarlo.
-Volevo semplicemente essere sicura..Comunque non devi sforzarti, hai bisogno di riposo.- la ragazzo tentò di sembrargli indifferente, per poi cambiare discorso. A quelle parole Duncan tornò serio.
-Già, hai ragione. Oggi pomeriggio torno a casa, non voglio recarti altri problemi.- le confessò lui regalandole un dolce sorriso, seppur malinconico.
Gwen sgranò gli occhi, mentre il suo respiro le si strozzò in gola.
Andarsene? Così presto?
Mai come in quel momento avvertì quella sensazione di smarrimento che attanaglia il petto, stordendo la persona colpita.
 
Perché? Perché doveva andarsene?
 
Doveva essere sincera con sé stessa: trovò la compagnia di quel ragazzo molto piacevole, nonostante le taglienti battute e il poco tempo trascorso insieme. Si sentiva stranamente bene con lui; anche se non lo conosceva ancora bene aveva capito che poteva approfondire la loro conoscenza e far nascere una grande amicizia. Certo, prima o poi sarebbe dovuto tornare a casa sua, ma allora perché non voleva?
Perché non voleva lasciarlo andare via, da lei?
 
-C-Cosa? Oh…se devi proprio andare vai, l’importante è che tu ti senta meglio… ma a me non dai fastidio se rimani qui…- sussurrò l’ultima parte della frase con tono sempre più basso, mentre le gote diventarono calde e rosee, per poi specchiarsi di nuovo nelle iridi chiare del ragazzo.
D’altra parte lui, udendo quelle parole, si sorprese non poco, rimanendone spiazzato.
Ebbe una strana sensazione, pensando che dietro quelle parole vi era un significato ben diverso dall’apparenza, e sicuramente più profondo.
Provò ad alzarsi dal letto, giusto per testare il suo stato di salute attuale, deducendone solo una cosa.
Un’osservazione che gli fece nascere un sorriso furbo e radioso.
-Credo che ancora non posso dire di sentirmi già meglio…posso continuare a disturbarti con la mia presenza in casa tua? Prometto di fare il bravo.- pronunciò quelle parole con fare sensuale, dopo essere caduto goffamente di nuovo sul materasso, rendendosi conto di non essere del tutto in perfetta forma.
Gwen scoppiò a ridere come non mai, pensando che della lontananza di quello strambo ragazzo ne avrebbe subito risentito. Ricambiò lo sguardo vispo e, avvicinandosi a lui con le braccia conserte, gli rispose dolcemente.
-Certo, se proprio ne hai ancora bisogno…-
 






Angolino autrice:

Macciaooo carissimi lettori!!

Mi siete mancati tantissimo, sapete? :3
Ed io? Vi sono mancata? :'D
*passa una palla di fieno mentre un canto delle cicale trionfa nella sua stanza*
Ma da quando in qua ci sono cicale e palle di fieno a casa mia?!?!?
Cooomunque: ecco a voi il nuovo capitolo! ❤
Come al solito mi scuso per l'enorme ritardo, sperando che abbiate apprezzato lo stesso l'aggiornamento *-*
Stavolta è molto più lungo del precedente, ve ne siete accorti? Dovevo assolutamente tornare alla normalità! ❤ ^-^
Che ne pensate di questa prima dose DxG? ❤
Ho bisogno che voi vi esprimiate con sincerità: è molto importante per me :'3
Ringrazio TUTTI, ma proprio TUTTI i lettori-recensori e i lettori-silenziosi: siete fantastici!!!! :'3 ❤
Ma prima di concludere, non potevo non citare le persone alle quali ho dedicato il capitolo, ovvero:


ூ gwuncan99
ூ TeenSpiritWho_
ூ Lillykawaii
ூ Gwen del duo zoey_gwen
ூ _stella_2000
ூ clif
ூ Nadynana
ூ Gwuncan_love
ூ GwellaTDNews
ூ TheCodyFan
ூ SaraRocker
ூ Lexy Angels

I miei recensori number-one, anche loro autori di storie meravigliose, consiglio vivamente di farci un salto, non ve ne pentirete!!! ❤
Amici miei, vi adoro tutti!! ❤❤

Se qualcuno non lo sapesse, mi diletto pure a disegnare i personaggi di TD: se sei curioso/a clicca qui!
Grazie mille per tutto, aspetto con ansia le vostre recensioni!
Bacioni! ❤

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Storia in collaborazione con Clif:
A TUTTO REALITY: EFP

Siete pronti per un nuovo reality? Ancora di più se questa volta si svolgerà su una nave? Alcuni dei nostri concorrenti + altri 4 nuovi concorrenti si affronteranno in un reality mai visto prima d'ora! Da una nazione all'altra, pronti sempre a fare le peggiori sfide! Divisi in "Squali" e "Delfini" i nostri amici saranno pronti a passare sconvolgenti settimane nell'Oceano, costretti a stare con i loro peggior nemici! Poi, per chi si è perso qualcosa, non preoccupatevi: Ci sarà il dopo show di Dalhia_Gwen, condotto da Bleinley e Josh a tenervi informati su tutto e sempre pronti alla risata!
In questo fantastico reality voi e ripeto voi potrete scegliere infine il vincitore! "
Cosa manca per renderlo perfetto? Ah, è vero! Mancate voi! Cosa aspettate?
"Clif's story" vi augura: Buona lettura


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Dalhia_Gwen

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Capitolo 6
*** -Chapter 6 ***


You're my dream come true

Chapter 6



 




 
E’ strano come da un giorno all’altro la vita possa prendere una piega diversa.
Quando sembra che tutto sia diventato cupo e buio, ecco che qualcosa accade e stravolge tutto, come un temporale in una tipica giornata estiva.
E’ incredibile come poi, consecutivamente e irrimediabilmente, lo stato d’animo muta a sua volta, e all’improvviso la vita viene vista con occhi diversi.
Era questo ciò che stava accadendo a Duncan e Gwen: il ragazzo, da quando si era stanziato in casa della gotica, aveva portato un po’ di luce nell’esistenza della giovane, passando così la sua convalescenza a conoscerla sempre meglio.
Non gli fu facile, all’inizio, dato il carattere decisamente chiuso e diffidente di lei, ma stranamente Gwen si aprì a lui, spinta più che mai dalla consapevolezza che ne avrebbe trovato solo giovamento: non era solita infatti fidarsi delle persone, ma lui le dimostrò di esserne all’altezza, e di conquistare così la sua completa fiducia. Tra l’altro, doveva ammettere a sé stessa che la sua compagnia era un vero toccasana, e pian piano sentiva di essersi affezionata, in qualche modo.
Si resero conto di avere tanto in comune, se non troppo: adoravano lo stesso genere musicale, amavano gli stessi hobby e avevano gli stessi interessi, in linea di massima.
Nessuno dei due credeva nell’esistenza di un’anima gemella, eppure ben presto scoprirono di avercela proprio davanti, ogni qualvolta che si ritrovavano a parlare.
Sì, perché le sensazioni di pace e serenità provate con la presenza dell’altro erano reciproche e non ne potevano fare a meno, eppure , purtroppo, c’era qualcosa che frenava la ragazza nel momento in cui Duncan provava a scavare nella sua vita privata.
 
-Ma..dimmi un po’..i genitori ce li hai?- stavano conversando, come loro solito, quando il punk provò ad domandare qualcosa di più toccante per Gwen, guardandola dritto negli occhi. Erano seduti  a letto, lei portò come al solito i piatti in camera da letto, e tutto ciò di cui discussero fino a poco tempo prima riguardavano le ultime novità udite la mattina stessa in TV.
-Sì…perché?- all’inizio la giovane rimase abbastanza turbata da quella domanda così improvvisa da parte di lui, ma decise tuttavia di rispondergli, palesemente perplessa, cosa che non sfuggì al punk.
-Oh no, nulla di personale. Ero solamente curioso di saperlo. Sai, vivi da sola e..sì, insomma, mi chiedevo il motivo.- disse sinceramente lui, posando il cucchiaio nel piatto. Stavolta fu lei a inchiodare i suoi due occhioni color della pece in quelli di lui, limpidi e cristallini, e notò una pura e disarmante sincerità, ma la paura di essere presa in giro e per l’ennesima volta fece tacere la vocina dentro il suo cuore che ogni tanto l’assillava, spingendola a confidarsi maggiormente con il giovane. Si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo palesemente in difficoltà, sentendosi abbastanza in colpa.
-Mia madre è fuori con  mio fratello per delle questioni, mio padre invece non l’ho mai visto, anzi, non è mai esistito per me.- si trovò a dire lei, deglutendo il sapore amaro di quelle parole, celanti una verità ancora non ben definita.
Il ragazzo, che fino a quel momento le sorrideva radioso, si incupì non appena udì il racconto.
-M-Mi spiace, davvero.- disse infine, imbarazzatissimo per la sua curiosità probabilmente troppo invasiva.
 
Dopo quel tentativo, Duncan non provò più ad approfondire, reputando che quelli non fossero ancora i tempi maturi per affrontare certi argomenti.
 
Neanche Gwen ritornò sull’argomento, troppo orgogliosa per farlo e, nel frattempo, si dedicò con dedizione allo studio, pronta più che mai a prendersi quel maledetto diploma, ambendo così a fare qualcosa di più dignitoso di quello che stava facendo col suo attuale lavoro.
A proposito di ciò, la ragazza decise tuttavia di prendersi qualche giorno libero, provata e troppo occupata con lo studio per occuparsi anche di quei clienti pervertiti e disonesti.
Ma quelle ferie forzate, che il capo dovette darle solo per formalità, in quanto ne aveva il diritto, si prolungarono a vista d’occhio, suscitando così il sospetto sempre più alimentato dell’uomo che, seppur in torto, non aveva mai digerito quell’improvvisa richiesta da parte della ragazza e voleva fare chiarezza.
 
 
Ovviamente in quelle prime settimane che trascorsero, non potè mancare la preoccupazione del migliore amico del punk, Geoff, che dopo vari tentativi andati a vuoto di rintracciarlo col suo telefonino, scoprì con suo grande sollievo che l’amico si trovava felicemente in casa della ragazza che gli rubò il cuore.
 
-Cazzo Duncan potevi pure avvertirmi!!! Stavo per chiamare persino la polizia, poi “stranamente” ho pensato che t’avrei incasinato ancora di più con l’arrivo degli sbirri..mi sbaglio? Sono stato fin troppo calmo, ma la prossima volta non esiterò se proverai di nuovo a farmi un tale scherzo!- Duncan fu costretto ad allontanare il cellulare di Gwen dal suo orecchio, per via del tono più che alterato del festaiolo che ricevette notizie sull’amico solo dopo che la sua ormai fidanzata, Bridgette, lo informò dell’eventuale presenza di lui in casa della sua collega.  D’altra parte Duncan, che aveva dimenticato completamente di non essere solo un’ospite in casa di Geoff, dovette ammettere che non ci pensò minimamente a dire a lui o a Scott della sua convalescenza da Gwen, e si sentiva abbastanza in colpa per l’accaduto.
-Su Geoff, non ne fare una tragedia adesso! Sembri mia madre! Non ho il cellulare, probabilmente l’avrò perso durante la rissa...- rispose Duncan con una punta di ironia, la solita che più di ogni altra cosa lo caratterizzava, la stessa che colpì soprattutto Gwen, la quale era accanto a lui e sghignazzava per la scena troppo buffa appena creatasi.
-Come no, certo. Comunque spero che tu non stia importunando la povera Gwen,  conosco troppo bene te e le tue voglie...- continuò il biondino con una punta di malizia.
-Ovvio, non posso mica lasciarmi perdere un’occasione simile..-  Rispose Duncan ammiccando, per poi guardare la gotica e farle un occhiolino, il tutto mentre la ragazza arrossì regalandogli un sorriso radioso e puro.
 
Il punk si incantava ogni volta a guardare la sua gotica preferita mentre studiava, così immersa nella lettura e con una volontà enorme, degna di una ragazza che ambiva al massimo del voto finale.
 
Un pomeriggio però, il punk decise di smuovere un po’ la situazione sentimentale tra loro, e pensò bene di giocare d’astuzia. Dopo essersi assicurato che la ragazza fosse convinta di lasciarlo dormiente nella sua camera da letto, come ogni pomeriggio, provò ad alzarsi dal materasso su cui lei lo posizionò amorevolmente e, con non poca difficoltà, si diresse in punta di piedi verso la cucina, laddove la ragazza era intenta a studiare in prossimità di una sempre più imminente interrogazione. Come prevedette, Gwen era seduta intorno al tavolo, con il capo chinato e terribilmente concentrata su un pesante “mattone” intitolato “Storia dell’arte”. All’inizio preferì osservarla di nascosto, dietro lo stipite della porta, lodando ogni minimo particolare del suo corpo: quella mattina indossava un completino blu scuro attillato e stranamente più corto del solito, che lasciava quasi interamente scoperte quelle belle e snelle gambe, in quel momento accavallate, della ragazza. La scollatura, dalla forma a cuore, era più accentuata per via della posizione in cui lei si trovava, mentre i capelli le ricadevano sul volto come un sipario, che ogni tanto veniva aperto con un delicato tocco della mano destra, accompagnato da un leggero sospiro.
Era sicuro che prima o poi le sarebbe saltato addosso, incurante dei dolori, seppur in quel momento minimi, di quelle famose ferite, constatando di avere sempre meno pazienza da mantenere di fronte a così tanta perfezione e bellezza.
Poteva rimanere anche tutto il pomeriggio in quella posizione ad ammirarla, se non fosse stato per il tavolino su cui “intelligentemente” appoggiò un gomito e, per non cadere, fece un movimento brusco che provocò un tonfo. Di fronte al rumore, la ragazza si destò per un attimo dallo studio, presa da una paura improvvisa, così elevò lo sguardo di fronte a lei, non nascondendo la sorpresa.
Lo trovò lì, barcollante, appoggiato a malapena alla porta, mentre con una mano si grattava la nuca imbarazzato più che mai.
Lo sguardo interrogativo di lei lo fece arrossire ancora di più, tuttavia la ragazza non fu neanche in grado di formulare la domanda che lui la precedette.
-Ehm..scusami se ti ho disturbato..ero solamente venuto per..per prendere un bicchiere d’acqua..- Duncan provò a darle una ragione più che valida, tentando di avvicinarsi al frigorifero, ma al primo movimento fatto senza il sostegno della porta perse l’equilibrio, che lo avrebbe portato poi a cadere a peso morto. Stava per avvertire nuovamente dolore, ma i riflessi pronti di Gwen le permisero di soccorrerlo in tempo e di evitargli altre fratture.
-S-Stai bene?!- gli domandò lei allarmata, una volta averlo afferrato bene per le braccia.
Il punk provò a dire qualcosa, ma la situazione appena creatasi impedì ogni suono di uscirgli dalla bocca.
Erano l’uno tra le braccia dell’altra: lei, che lo reggeva a malapena, si ritrovò incastrata tra il muro e il corpo del ragazzo, che le impediva ogni passaggio; lui invece, dopo aver rischiato di rompersi qualcos’altro, si aggrappò immediatamente alla presa debole della gotica, facendola finire involontariamente con le spalle al muro, provando tuttavia a non pressarla di più. Si ritrovarono così vicinissimi, con i corpi che si sfioravano a malapena: i visi, distanti tra loro di pochissimi centimetri, venivano invasi dal respiro accelerato della persona che avevano di fronte, destabilizzandoli totalmente.
In quel momento, ogni minima forza venne assorbita da una strana ma piacevole sensazione, che stava invadendo del tutto la loro mente. Si guardarono intensamente, restando più lucidi possibili, ma più ci provavano e più cadevano nella tentazione, finchè ad un certo punto Duncan soffermò il suo sguardo sulle labbra carnose di Gwen, che ingenuamente umidificò con la lingua per mancanza di aria.  Di fronte a quel gesto il punk non ragionò più, e lentamente avvicinò il viso a quello di lei, diventato rosso come non mai. In quegli attimi, la vide agitarsi, avvertendo il suo fiato farsi sempre più corto, ma gli bastarono quelli per disarmarlo di tutta la sicurezza che poco prima era in possesso.
Vederla lì, tremante probabilmente a causa sua, lo uccideva, inconsapevole però di non aver ben capito la natura del suo comportamento.
Gwen, nel frattempo, chiuse gli occhi, vittima di tutte quelle sensazioni che si stavano accavallando contemporaneamente, pronta a qualsiasi gesto che lui le avrebbe offerto.
Ma il ragazzo, rimasto alquanto deluso e turbato, non fece nulla di tutto ciò: infatti, dopo essersi avvicinato al suo viso, deviò il suo obiettivo, ricercando il suo orecchio per poi risponderla.
-Adesso sì, tranquilla. Grazie per avermi sorretto.- sussurrò quelle parole con fatica, assaporando l’amaro che trapelavano, dopodiché le depositò un lungo bacio sulla guancia per poi incamminarsi da solo verso la camera da letto.
Non appena avvertì il calore del suo corpo abbandonarla, Gwen sentì una sensazione di smarrimento prendere il controllo della sua incolumità, facendola sussultare. Mentre il punk lasciava la stanza, lei rimase immobile con le spalle ancora attaccate al muro, spiazzata da quella reazione così strana ai suoi occhi. Era confusa, troppo: nel momento in cui lo vide così vicino, entrò nel pallone, e insieme a lei anche le sue emozioni, che imperterrite cercavano di sovrastare le altre. Non aveva mai provato la sensazione di essere desiderata, né tantomeno di desiderare le attenzioni di qualcuno, e questo la portò a perdere il controllo di sé stessa, lasciandosi così andare e abbandonarsi alle stramberie del suo cuore. Ma la reazione di Duncan, la sorprese ancora di più, facendo nascere dei dubbi su ciò che fino a quel momento credeva di aver capito.
 
Mi sono illusa? Dimmelo Duncan, abbi il coraggio di dirmi che mi stai solo usando.
 
Era questa la domanda che cominciò a rimbombarle nel cervello cosicché in punta di piedi raggiunse la camera da letto e si accostò alla porta, per non farsi vedere. Lo osservava mentre era accoccolato sotto le coperte e le dava le spalle, e improvvisamente una miriade di domande invasero la sua mente.  Scosse la testa, non poteva pensare a quell’assurdità, non sul suo conto.
 
Eppure non capisco perché tu ti sia fermato. Sapevi di quanto avevo bisogno di quel tuo contatto.
E lo volevi anche tu.
 
 
****
 
 
Da quel giorno, Duncan non provò più ad avvicinarla così intimamente, ma continuò tuttavia a comportarsi in maniera normale, cosa che Gwen apprezzò tantissimo e che l’aiutò anche a superare l’imbarazzo creatosi per il piccolo avvenimento.
 
Erano ormai in prossimità del giorno in cui la gotica si sarebbe liberata di quella interrogazione, l’ultima per concludere l’anno e dedicarsi poi allo studio per affrontare gli esami, sua finale tappa scolastica. Era agitata e voleva solo un po’ di comprensione, ma ciò che accadde la sera prima non l’aiutò di certo nel suo intento.
Stava ripassando per l’ennesima volta gli argomenti che avrebbe dovuto portare l’indomani, ma non si rese affatto conto della tarda ora appena scoccata. Erano le 22 oramai, e Duncan era seriamente preoccupato per Gwen, vedendola sempre più stanca e confusa per l’intenso studio che affrontò in quei giorni non facili, soprattutto per lei.
Erano entrambi in camera da letto, quando il punk si prestò a farle qualche domanda, affinché lei potesse andare più sicura all’interrogazione.
Ovviamente, come ben potette prevedere, la ragazza rispondeva in modo esauriente e preciso ad ogni domanda da lui posta, trasmettendogli l’amore che lei provava per la materia.
-Cavolo Gwen, con tutto quello che sai potresti direttamente passare a fare l’insegnante d’arte! Sei bravissima! Domai spaccherai, sono sicuro!- esclamò Duncan chiudendo soddisfatto il libro e ammiccando verso di lei, la quale non trattenne la gioia che quelle parole le trasmisero.
-Magari Duncan..sarebbe il mio sogno! Ma almeno, tolta questa interrogazione, posso tornare a lavorare al locale..tornando a guadagnare qualcosa.- pronunciò quelle parole come se fosse più che normale, ma l’espressione nata sul volto del punk la fece ricredere.
-Come scusa? Davvero vorresti tornare in quello schifoso posto? Sei pazza?- Duncan era spiazzato se non scioccato di fronte alla confessione della ragazza, e la guardò severo, attendendo chissà quale assurda giustificazione.
 
Come poteva tornare lì, dopo tutto quello che dovette passare?
 
 -Non sono pazza, sul serio non capisci? Ho bisogno di quel lavoro.- Gwen rispose con estrema normalità, sorprendendosi dello strano scetticismo del punk. Il ragazzo, rimasto attento nell’udire la risposta, incrociò le braccia al petto, mentre una rabbia cominciò a salire lungo tutto il corpo.
-Gwen, ti ricordo che con quel ‘lavoro’ hai rischiato di venire stuprata da dei maniaci. Mi spieghi con quale coraggio vuoi tornare lì?! Cosa t’aspetti, che ti venga a salvare di nuovo?!- il punk rispose molto adirato, talmente tanto che quasi non pensava alle parole che pronunciava.
 
Cosa vuole intendere? Che io sia una sciocca?!
 
Di fronte a ciò anche Gwen cominciò ad alterarsi, così si alzò bruscamente dal letto, ferita più che mai da quelle parole pronunciate proprio da colui che l’ispirava completa fiducia.
-Non ho mai detto questo! Cosa vuoi dire, che mi piace cacciarmi in tali guai?! Allora non hai proprio capito nulla di me, Duncan! NULLA!! Io mi fidavo di te, pensavo che mi avessi capita, invece non sei altro che una persona come tante, capace solo di giudicare senza sapere un bel niente!! Non sai niente di me, né tantomeno dei motivi che mi spingono a dover accettare quel maledetto lavoro!! NEANCHE IMMAGINI!!!- Gwen urlò quelle parole con tutto il fiato che aveva in gola.
La voce le tremava, mentre le guance venivano solcate dalle lacrime, amare e dolorose quanto le sue parole. Senza neanche aspettare una sua risposta, lo lasciò biascicare frasi insensate, dirigendosi verso il divano del salottino con l’intenzione di dormirci quella notte, diversamente dalle altre. Solo in quel momento il punk si rese conto delle sue parole, decisamente troppo pesanti e dette senza neanche pensarci su, ma proprio non riusciva a capacitarsi di quelle così taglienti della ragazza, che in quel momento era intenta a cacciare altre lacrime mentre si rannicchiava sotto le coperte che avvolgevano lei e il divano. Fu colpito dalla grande sincerità con cui Gwen le pronunciò, dettata sicuramente dalla voglia di sfogarsi e di gridare al mondo la sua sofferenza, dalla natura purtroppo ancora oscura, per lui. Voleva sapere, voleva aiutarla in qualche modo, e se l’avrebbe importunata nuovamente quella sera avrebbe solo peggiorato le cose, così pensò di lasciarla stare, per quella volta, e di far trascorrere quella serata nel migliore dei modi, addormentandosi anche lui.
 
****
 
L’indomani, alle 06:10 la gotica era già sveglia.
Le ore in cui riuscì a prendere sonno furono davvero poche e non aveva neanche voglia, ma era sicura che, se non avrebbe riposato almeno un po’, non avrebbe mai affrontato per bene quella giornata così impegnativa. Si vestì velocemente, facendo attenzione a non svegliare Duncan, e velocemente lasciò la casa, non prima però di passare per un istante nella camera da letto.
Si soffermò a guardarlo, notando il viso da angelo che aveva assunto mentre era addormentato, e non poté evitare di sorridergli, nonostante il nervosismo presosi la sera precedente.
Infondo, se si permise di dire quelle parole, era solo perché voleva proteggerla, ma lei lo capì solo in quel momento. Non poteva pensare di avere di fronte una persona diversa da quella che si mostrò essere dopo tutto quel tempo. Duncan era il suo angelo, e la sua fu solo una semplice impulsività, dettata dall’ignoranza delle ragioni che solo lei sapeva. Ad un tratto si sentì profondamente in colpa per tutto ciò che gli versò addosso, senza pudore e in maniera troppo veloce. Avvertì gli occhi inumidirsi, per poi portare una mano sul petto, sentendo l’accelerazione dei battiti cardiaci del suo cuore nel momento in cui rimembrò quegli istanti di puro terrore che le fecero credere di poterlo perdere per sempre, senza neanche avuto modo di ringraziarlo. In punta di piedi, dunque, si avvicinò al letto, e si chinò piano sul suo candido viso, per poi stampargli un bacio sulla fronte talmente leggero da renderlo quasi impercettibile. Sorrise, osservando l’espressione buffa che in quel momento era presente sul suo volto, dai lineamenti accentuati ma incredibilmente affascinanti e, dopo avergli lasciato un bigliettino attaccato al frigorifero, uscì finalmente di casa.
Una volta fuori, avvertì il vento scompigliarle i capelli, ma a lei non importava: il suo unico obiettivo in quel momento era farsi valere e far vincere lo spirito ribelle che possedeva da sempre, rendendola più forte e combattiva.
Così andava incontro al suo destino, auspicando in una mattina dalle mille sorprese, ma ignara del fatto che proprio esse potessero nascondere un lato totalmente diverso da ciò che ella sperava.
Quella mattina doveva essere una di quelle da ricordare.
Sì, era così, ma mai si sarebbe immaginata che quella fosse proprio una di quelle i cui ricordi procuravano solo dolore, angoscia: da cancellare dalla propria esistenza, in quanto fonte di sofferenza.
 
Fonte di terrore, inizio di un nuovo incubo.











Angolo dell'autrice ricomparsa:

Ehm...
*passa una palla di fieno*
C'è qualcuno?
Nessuna riposta.
Bene..me lo sarei dovuto aspettare... T.T

Lo so, è da quasi un mese che non aggiorno, ma in questo periodo mi sono accaduti una serie di problemi che non mi hanno permesso di continuare serenamente la storia.
Tra l'altro, devo ammettere di aver avuto una "piccola crisi da scrittrice", che non mi ha facilitato le cose.
Ad ogni modo, SONO DI NUOVO QUI! *-*
Contenti? :3
*assume sguardo speranzoso*
Spero tanto che l'attesa sia stata ricompensata da questo nuovo capitolo :D
Probabilmente per voi questo è un capitolo non molto avvincente, ma mi serviva per delineare il quadro della situazione in cui i nostri due piccioncini si trovavano a vivere.
Come avete ben capito, il prossimo sarà più coinvolgente e pieno di colpi di scena!
Ne accadranno di cose...purtroppo..ma non vi anticipo nulla! ^-^
Spero solo di aver destato un po' di curiosità e di aver attivato un po' la vostra fantasia! ;)
Non vedo l'ora di leggere i vostri pareri, sperando che me ne arrivino *--*
Mi raccomando, ci tengo molto a sapere cosa ne pensate
Ad ogni modo, ringrazio a priori TUTTI, recensori e soli lettori, ma il mio ringraziamento SPECIALE va ai miei number-one, autori anche loro di storie MERAVIGLIOSE!
Vi consiglio vivamente di dare un'occhiata, non ve ne pentirete u.u :

ூ gwuncan99 ❤
ூ TeenSpiritWho_ ❤
ூ Lillykawaii ❤
ூ  Kairi_Wolf  ❤
ூ  Rocker_wolf_love ❤
ூ Gwen del duo zoey_gwen ❤
ூ _stella_2000 ❤
ூ clif ❤
ூ Nadynana ❤
ூ Gwuncan_love ❤
ூ GwellaTDNews ❤
ூ TheCodyFan ❤
ூ Lexy Angels ❤


Ancora perdonatemi per l'immenso ritardo, farò in modo che il prossimo non arrivi così tardi..non temete, parola mia! :D

Se qualcuno non lo sapesse, mi diletto pure a disegnare i personaggi di TD: se sei curioso/a clicca qui!

Grazie mille per tutto!
Bacioni, VI ADORO! ❤

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Pubblicità ->Storia in collaborazione con Clif:
A TUTTO REALITY: EFP

Siete pronti per un nuovo reality? Ancora di più se questa volta si svolgerà su una nave? Alcuni dei nostri concorrenti + altri 4 nuovi concorrenti si affronteranno in un reality mai visto prima d'ora! Da una nazione all'altra, pronti sempre a fare le peggiori sfide! Divisi in "Squali" e "Delfini" i nostri amici saranno pronti a passare sconvolgenti settimane nell'Oceano, costretti a stare con i loro peggior nemici! Poi, per chi si è perso qualcosa, non preoccupatevi: Ci sarà il dopo show di Dalhia_Gwen, condotto da Bleinley e Josh a tenervi informati su tutto e sempre pronti alla risata!
In questo fantastico reality voi e ripeto voi potrete scegliere infine il vincitore! "
Cosa manca per renderlo perfetto? Ah, è vero! Mancate voi! Cosa aspettate?
"Clif's story" vi augura: Buona lettura


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Dalhia_Gwen

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Capitolo 7
*** -Chapter 7 ***


You're my dream come true
 
Chapter 7

 


Da troppo tempo un cellulare posto sul comodino adiacente al letto squillava insistentemente, mentre  Duncan era ancora avvolto tra le lenzuola, caduto in un profondo sonno. Ma la caduta per terra, brusca e inaspettata, del dispositivo elettronico lo fece svegliare di soprassalto, accompagnando il tutto con una serie di imprecazioni.
-“Cazzo..! L’ho appena comprato…”- disse tra sé il giovane, mentre un grosso sbadiglio si fece largo tra i suoi istinti e  stiracchiava le braccia verso l’alto. Raccolse scocciato il cellulare da terra e, dopo aver acceso il display, notò con grande meraviglia che quella era solamente la sveglia che venne impostata di default nel nuovo apparecchio, cosa che lo fece ancor più alterare.
Stava per poggiarlo di nuovo sul comodino, quando ad un tratto la sua attenzione cadde sull’orario che lo schermo proiettava davanti i suoi occhi, rimanendo palesemente sorpreso: erano le 10.26, orario più inoltrato del solito, che lo spinse a catapultarsi letteralmente giù dal letto e raggiungere la cucina, convinto di trovare Gwen intenta a preparare la colazione.
 
Assumendo un andamento stordito e trasandato, Duncan arrivò in cucina per poi guardarsi intorno curioso: indubbiamente l’ambiente era pulito ed ordinato, e sul tavolo vi era un vassoio sul quale giacevano una tazza riempita di latte, un succo di frutta all’arancia e una ciotola piena di cereali. A quella vista il suo sguardo si addolcì immediatamente, immaginando chi avesse avuto così tanta cura di fargli trovare la sua amata colazione già ben servita, ma mutò completamente espressione nel momento in cui realizzò che Gwen non era presente in casa. Si guardò più volte attorno, grattandosi goffamente la nuca, non trovandola, per poi avanzare verso il tavolo, quando notò un post-it attaccato sul frigorifero, che svolazzava sotto i suoi occhi.
Lo prese per poi leggerne il contenuto:
 
“Potrò sembrare puerile e goffa, ma in questo momento sto rischiando di arrivare tardi a scuola.
 
Scusami, per tutto.
 
P.S.: sì, sarà colpa tua se rimanderò l’interrogazione.
 
-Gwen”

 
Un sorriso dolce e sincero nacque sul volto del punk, notando l’ironia che c’era dietro quelle poche e semplici righe.
Scosse divertito il capo: era davvero pazzesco come quella ragazza, con appena un paio di parole, riuscisse a fargli dimenticare il motivo che causò il loro litigio, cancellando così l’astio che probabilmente ancora avrebbe provato per la sera precedente. Agli occhi degli altri quel gesto poteva sembrare insignificante e scontato, ma per lui fu davvero importante, facendolo dunque arrivare alla piena convinzione di essere facilmente manovrabile da parte della ragazza, che ne potrebbe sempre approfittare, qualora ne fosse stata davvero capace.
 
Era così, purtroppo, se di mezzo c’era l’amore, quello vero.
 
Non potendo far altro che accettare la realtà, Duncan sospirò, a conclusione dell’osservazione appena fatta, per poi sedersi e cominciare a fare colazione, con acceso ancora il sorriso sulle labbra.
 
Non appena finì, si catapultò in bagno per vestirsi, desideroso di fare finalmente un giro fuori da quell’appartamento, in cui si ritrovava oramai segregato da un bel po’ di mesi per via della convalescenza, seppur gradevole e ben accetta. Dopo aver chiuso la porta alle proprie spalle con la copia delle chiavi che Gwen gli fece, il ragazzo si ritrovò fuori. Istintivamente si preparò a fare un lungo respiro, ispirando ed espirando profondamente, ma ad un tratto un’idea chiara e cristallina passò nella sua mente: possibile che ancora non c’avesse pensato?
 
-“La macchina!”- esclamò stupendosi di sé stesso Duncan, facendo spaventare un povero passante che gli era davanti in quel preciso momento.
Era sorprendente come un oggetto così palese e allo stesso tempo indispensabile potesse essere dimenticato per via di una delusione amorosa: quella sera, in cui abbandonò l’appartamento che condivideva con la sua ex, aveva pensato di svuotare del tutto la casa della sua presenza, ma l’unica cosa a cui non aveva pensato fu la sua adorata Mercedes nera che era parcheggiata gelosamente nel garage.
 
-“Maledizione, ma come ho fatto a dimenticarla?! Devo andare assolutamente a prenderla!”- disse poco dopo, avvertendo ribrezzo verso sé stesso per essere stato così stupidamente deluso dal tradimento, per poi sfrecciare veloce al fine di raggiungere il suo prossimo traguardo: casa di Courtney.
 
 
**** 
 
 
 
 
Nel frattempo all’interno delle quattro mura di uno dei tanti studi di un rinomato e imponente edificio avente ben dieci piani, un uomo e una donna erano soliti a trasgredire il lavoro da fin troppo tempo oramai, sicuri di sé e della loro posizione lavorativa intoccabile.
 
-“…Ehi, datti una calmata..i tuoi ormoni si stanno scatenando troppo velocemente..”-
-“Come posso fare, se di fronte a me ho così tanta perfezione e sensualità, mio bel bocconcino caramellato?”-
 
Seduti sulla scrivania di un fin troppo impeccabile ufficio legale, vi erano Courtney e Justin intenti a fare tutt’altro che i loro rispettivi ruoli, che sarebbero dovuti coincidere con le vesti di avvocato e il suo cliente, in quel momento. Presi da una profonda passione a quanto pare inarrestabile, si scambiavano lussuriosamente baci e carezze senza sosta, non contenti della focosa notte appena passata e trascorsa insieme.
La bella avvocatessa si ritrovò poggiata sulla sua lucente scrivania illuminata dai tiepidi raggi del sole, trasportata dalle voglie del suo amante che la teneva a sé in una morsa stretta e possessiva, stringendola per i fianchi sinuosi e ormai scoperti.
-“Scemo, stai corrompendo un grande avvocato, potrei querelarti..lo sai questo?” sussurrò lei accattivante ad un suo orecchio, dopo averlo importunato a piccoli morsi.
Il bel cugino smise di torturarle il collo profumato, anche se controvoglia, per poi scoppiare a ridere malizioso.
-“Pff, figurati..non riusciresti a starmi lontana neanche mezzo minuto. Mi desideri troppo..”- la canzonò lui sfacciato, elevando lo sguardo per poi posarlo su quello di lei, lucente e furbo.
-“Ma come siamo sicuri. Cos’è? Devo allentare le mie concessioni?”- lo guardò con occhi grandi e apparentemente innocenti, sapendo che era una grande esperta nel persuadere le persone e farle diventare sue vittime, dote che ebbe da quando era piccola e che non fece altro che perfezionare con l’avanzamento dell’età.
Udendo quelle parole il belloccio abbozzò un sorriso per nulla rassicurante, posando poi la sua attenzione sul decolté provocante dell’ispanica, che in quel momento, con fare teatrale, era intenta a mostrarlo meglio spostando le ciocche di capelli lunghi e castani che le ricadevano imperterriti su esso.
-“Non credo che correrai pericolo, mia bella. Sono completamente succube di te..”- disse ipnotizzato dalle maniere delicate e allo stesso tempo provocatorie della ragazza, per poi catturare con violenza e labbra rosse e carnose di lei, riprendendola a baciare con avidità.
Courtney sapeva di averlo in pugno, e soddisfatta più che mai lo lasciava scoprirla senza alcun pudore, vogliosa anche lei delle sue carezze, ma soprattutto dei suoi soldi.
Emise una risatina altezzosa e graziata, quando si rese conto che il suo compagno insinuò le mani sotto la gonna, smorzando di piacere ancor di più il suo respiro già irregolare. Poi passò a sbottonarle bramoso la camicia, posando gli occhi sul suo decolté, voglioso più che mai di assaporarla. A quel punto Courtney, anche lei accecata dal fisico bello e perfetto del suo Justin, lo attirò a sé con forza, ed entrambi si ritrovarono stesi sulla superficie di legno, riprendendosi a baciare appassionatamente.
I loro animi in quel momento ardevano come due fuochi che, a contatto con la fresca legna, si ingrossavano e si univano per diventare un’unica ed inarrestabile fiamma brillante.
Erano intenzionati ad andare fino in fondo, accecati dal desiderio, ma proprio quando si decisero ad approfondire, ecco che nella stanza irrompe una figura esile e mingherlina, ignara di ciò che stava accadendo in uno di quei immensi uffici.
-“Courtney! Non hai idea di cos…oh..” – il fanciullo, che entrò istintivamente senza neanche pensare di bussare, dettato da una gran soddisfazione che provava verso sé stesso,  si bloccò non appena vide di aver interrotto qualcosa di molto importante e fin troppo intimo.
Era ancora davanti la soglia della porta, e immediatamente si nascose dietro a essa, imbarazzatissimo per ciò che aveva appena visto.
-“Ehm..s-scusate, m-ma io non pensavo…”- provò a giustificarsi lui, con il viso colorato di un rosso acceso, che si accentuava ancor di più sulla sua pelle leggermente bronzea.
-“MIKE! Nessuno t’ha insegnato che devi bussare prima di entrare?!?”- urlò adirata l’avvocatessa, che per lo spavento si rizzò in piedi dalla scrivania su cui era comodamente sdraiata, coprendosi poi velocemente il suo bel reggiseno bianco di pizzo.
-“Lurido deficiente!! Adesso te la faccio pagare cara!”- lo minacciò invece Justin avvicinandosi, incurante della sola biancheria che aveva addosso. Udendo quelle parole, il povero Mike indietreggiò di qualche passo, in procinto di scappare da morte certa, ma la voce suadente di Courtney intervenne in suo soccorso, costretta dalle circostanze che voleva tuttavia evitare.
-“Justin fermati, ci penso io a lui dopo.”- iniziò a dire, con una improvvisa calma che metteva i brividi, per poi sedersi con le gambe accavallate sulla scrivania, invitando la scampata vittima a farsi avanti.
-“Cosa diavolo sei venuto a fare? Spero per te che sia una cosa importante.”- continuò con la medesima voce,  posando il suo sguardo fulminante su quello ingenuo e pauroso di Mike, facendolo deglutire. Fu a quel punto che il ragazzo si fece avanti, avanzando un po’ tremante ma allo stesso tempo grato all’ispanica.
Era così, Mike Anderson, semplicemente un ragazzo tranquillo e educato, ma dalla grande voglia di diventare qualcuno nel suo futuro, con l’unica pecca però che non fosse ancora pienamente convinto di cosa avrebbe voluto effettivamente fare, così da cambiare continuamente ambizione. Questo suo modo di fare, infatti, lo induceva ad essere considerato piuttosto strano, o peggio svitato, in quanto i suoi possenti castelli che costruiva in aria senza neanche pensarci un minuto, si frantumavano con la stessa velocità con cui prendevano forma, per poi iniziare di nuovo a crearne altri, dalla natura e ambizioni completamente diverse. La lista delle possibili figure professionali era lunga e variabile: ci fu un periodo in desiderava essere prima il ballerino, per poi cambiare idea per lo scalatore ed infine il detective, suo attuale ambizione. Davanti a tanta fragilità e insicurezza, tuttavia, Courtney ne approfittò immediatamente per ingaggiarlo, promettendogli fama e successo, data la sua importante e indiscussa posizione nella politica. 
Così, armato di tanta volontà e spinto da quei sogni che erano destinati purtroppo a rimanere tali, Mike cominciò a lavorare per l’avvocatessa, e in quel momento aveva portato a termine il compito che la donna gli assegnò poco tempo addietro.
All’idea di poterle riferire le sue informazioni, Mike si sentiva elettrizzato e pieno di sé, così non attese neanche un minuto di più per esternarle.
-“Ho una notizia buona e una cattiva!”- le disse, tentennando nel considerare se quello sarebbe stato il modo migliore per spiegarglielo nella maniera più innocua possibile. Udendo quelle parole, l’ispanica fece una smorfia di disgusto, non nascondendo però la curiosità di sapere che scoppiettava nel suo animo.
-“Inizia con quella cattiva.”- gli disse con tono superiore, tendendo la mano verso di lui con estrema e falsa delicatezza, per poi ritrarla e utilizzarla per torturare una ciocca castana dei suoi capelli, mentre Justin provvedeva ad affiancarla come se fosse il suo bodyguard.
Allora Mike si avvicinò ai due, fece un lungo respiro e, quando si sentì pronto, cominciò a parlare.
-“La notizia cattiva è che il tuo ex-fidanzato non è tornato per niente dal suo amico Geoff, né tantomeno quest’ultimo ha frequentato luoghi diversi dai suoi abituali. La stessa cosa vale per il rosso, mi sembra si chiami Scott. Sembra totalmente sparito nel nulla.”- disse con voce lievemente tremante il moro, temendo in quel momento una reazione per  nulla buona da parte dell’avvocato che si irrigidì non appena ascoltò il discorso. Strinse i pugni che in quel momento erano conserti sul ventre, mentre una rabbia sempre più vivace si ampliava nel suo cuore, che avrebbe tanto voluto riavere quel punk, strapazzo ma inconsapevolmente ricco.
-“Su amore, non prendertela. Meglio così, no? Almeno non avrai più tra i piedi quel troglodita rozzo e trasandato.”- disse Justin con l’intento di farla calmare, rivelando la sua spiccata stupidità e goffaggine, trapelanti da quelle parole tanto fuori luogo.
-Che peccato, sul serio. Un corpo così bello sprecato per una mente tanto primitiva e ignorante.- si ritrovò a pensare l’ispanica, alzando gli occhi al cielo e scostandosi lievemente dal suo compagno.
Vedendo l’avvocatessa spazientita, Mike pensò di rivelarle subito la parte positiva per suo racconto.
-“ La notizia positiva, invece, è che ho scoperto l’ultimo luogo visitato da Duncan. E’ un pub abbastanza popolare, un certo Charlie's Pub, frequentato per lo più da persone”-fece una piccola pausa per elaborare meglio il vocabolo giusto-“poco raccomandabili, ecco.”- Mike era molto entusiasta di ciò che stava raccontando: si sentiva appagato e importante, in qualche modo, perché qualcuno concentrava la sua attenzione su di lui, desideroso di saperne di più. Ma tale sensazione durò pressoché poco in quanto Courtney si rivolse a lui con fare adirato e spazientito, rizzandosi in piedi e con passo veloce si avvicinava minacciosa a lui.
“Ma cosa diavolo me ne importi a me dell’ultima tappa fatta da quel maledetto punk prima di sparire?!? Sarebbe potuto andare anche ad un night-club, cosa credi? Che a me interessi?!”- la ragazza scoppiò in un impeto di rabbia, sovrana la delusione che prese il sopravvento sulla sua ragione, e con il dito indicava adirata il povero Mike che sussultò per lo spavento dalla sua posizione, guardandola sconvolto. Ma prima che lei potesse infierirgli anche il minimo dei mali, riprese a parlare, riferendole proprio la parte più interessante del racconto.
“Non è sparito solo lui!”-disse prima di coprirsi il viso con le braccia, impaurito dalla figura vicinissima che era ormai in procinto di fargli dolore, ma questa si fermò di colpo, e un suo sguardo interrogativo gli permise di salvarsi e di continuare il discorso -“Da un paio di settimane è sparita anche una delle cameriere di quel locale, una certa Gwen. Da quel giorno né lei e né lui vennero più avvistati nel locale, soprattutto da quando, secondo alcune discrezioni, Duncan fece a botte con alcuni clienti del locale. Il motivo però non sono riuscito a capirlo.”- concluse veloce il discorso, spinto dalla paura che la ragazza di fronte a lui potesse perdere la pazienza di fronte a troppi giri di parole, così pensò di arrivare immediatamente al nocciolo della questione, tralasciando alcuni particolari, come la difficoltà di riuscire a ottenere il nome della cameriera, che però lui non diede peso. Alzò lievemente lo sguardo, tenuto abbassato per paura di essere colpito, per poi mostrare il volto impallidito dal terrore che quella donna gli incuteva, e si sorprese non poco quando la vide sorridere raggiante.
Ma il suo non fu un semplice ed innocente sorriso: esso era inquietante e spietato, tipico di una persona che aspetta con ansia la vendetta che prima o poi riuscirà ad attuare, in qualche modo.
Un sorriso velenoso che si espandeva sempre più su un volto dalla fronte corrugata e dalle sopracciglia inarcate verso il basso,che le davano un aspetto ancor più spaventoso.
Mike fece qualche passo indietro, spossato più che mai da quella reazione, che venne accompagnata da una risata acuta e fastidiosa. A quel punto l’ispanica si girò verso il suo amante, che come lei ascoltò attentamente il racconto del pivello, per poi ricambiarle il sorriso, facendole capire di aver ben afferrato il concetto.
 
In campo di cattiveria,  loro due avrebbero formato una coppia perfetta insieme.
 
-“Che questa Gwen sappia più di quanto dovrebbe sapere?”- le domandò Justin di rimando, con un ghigno per nulla rassicurante, tralasciando la nota interrogativa per lasciare posto all’immaginazione, nella buona e nella cattiva sorte. La ragazza gli lanciò un’occhiatina d’intesa, tornando a guardare Mike che, di fronte a quei gesti decifrati, era sempre più confuso e attonito. Poi tornò improvvisamente seria, incrociando le braccia al petto.
-“Non mi basta quello che mi hai detto, lo sai vero?”- cominciò a domandargli in tono minaccioso –“Devi trovarmi maggiori informazioni su questa cara cameriera. Vediamo se riesco ad estrapolarle qualcosa che quel deficiente di Duncan potrebbe essersi fatto scappare, probabilmente dopo che quella sgualdrinella lo avrebbe fatto ubriacare per poi andarci a letto…”- proferì quelle parole avvertendo uno strano amaro in bocca, incurante del fatto che non fosse sola in quella stanza e con un accento di malata gelosia, non  avendo ancora metabolizzato il fatto che lui l’abbia lasciata in maniera così cruda, malgrado avesse la piena ragione dalla sua parte.
Non era abituata a perdere, né tantomeno a sentirsi umiliata come in quel  momento.
Tutto ciò che voleva era sempre riuscita ad ottenerlo, ma non provò mai la sensazione di non averlo più in pugno.
Quella era una sensazione terribilmente fastidiosa e opprimente che lei non riusciva a sopportare.
 
Sapeva di aver sbagliato, ma non si doveva permettere di lasciarla.
 Lui era suo e doveva pagare.
 
Lo rivoleva, rivoleva Duncan, le sue ricchezze, e il solo pensiero che in quel preciso istante potesse essere probabilmente con un’altra ragazza la uccideva.
 
Quel pensiero la fece alterare ancora di più, facendola scattare come un’isterica.
-“Beh?! Non ti è chiaro?! Avanti, va’ a fare il tuo lavoro scansa-fatiche! SPARISCI!”- gli ordinò l’ispanica facendo sussultare entrambi i ragazzi, soprattutto Mike che, notandola così adirata, non se lo fece ripetere due volte e sparì da dietro la porta con una velocità incredibile, senza neanche chiuderla. Courtney rimase a guardare un punto imprecisato della stanza, elaborando ciò che aveva appena saputo.
Doveva scoprire cosa quella ragazza centrasse col suo Duncan.
E soprattutto, se veramente sapesse di lui.
Mi massaggiò la fronte insistentemente, facendo dei cerchi lenti e concentrici a livello delle tempie, per poi girarsi verso Justin che, da quando notò l’ambigua reazione della sua amata di fronte alle notizie del suo scagnozzo, rimase turbato e abbastanza deluso. Era poggiato sulla pregiata carta da parati color avorio, mentre il suo sguardo era rivolto verso il basso, non potendo nascondere in nessun altro modo il suo fastidio.
L’ispanica si soffermò a guardarlo, e intercettò immediatamente il motivo di quel suo ammutinamento così, conoscendo il punto debole del ragazzo, provò a distrarlo, malgrado in realtà non avesse poi tanto torto.
-“Ehi, cosa c’è?”- gli chiese lei in un sussurro, mentre in maniera molto sensuale si avvicinò a lui, ondeggiando le sue curve con l’intento di catturare la sua attenzione.
-“Tu non l’hai dimenticato. Tu lo pensi. Lo ami.”- pronunciò quelle parole deciso e stranamente freddo, alzando di scatto gli occhi azzurri e puntandoli su quelli neri di lei, che per un attimo vennero attraversati da una inaspettata sorpresa.
Venne colpita da una consapevolezza che poteva essere considerata in parte vera: lo pensava, è vero, sentiva il bisogno di volerlo di nuovo tutto per sé, ma quello non era amore.
Perlomeno non verso di lui.
-“Amarlo? Pff, ma scherzi Justin? Lo sai il motivo per cui lo faccio, e sai benissimo chi voglio..”- continuò a sussurrargli nell’orecchio quelle parole che dovette inventarsi al momento, per poi passare a plagiarlo con baci sempre più magnetici, consapevole che la sua preda avrebbe ceduto prima o poi.
Iniziò a riempire di baci prima le guance, poi il naso, per poi fargli perdere totalmente il controllo giocando con le sue labbra, mentre con le mani catturava quelle di Justin guidandole sui suoi sinuosi fianchi che scoprì leggermente.
Come prevedette, infatti, quel contatto lo fece impazzire, e trasportato da una profonda passione la intrappolò tra le sue braccia, non potendole resistere, mentre lei sorrideva mentalmente.
-Gli uomini, tutti uguali. Ed io, sempre vincitrice.- estese quel pensiero nella sua mente, che le fece nascere un largo ghigno sulle labbra, mentre vogliosa si preparava a continuare ciò che Mike aveva malauguratamente interrotto.
 
****
 
 
 
-“Oh eccola qui, finalmente!”-
Dopo aver percorso svariate strade, accompagnato da tre o quattro taxi, Duncan arrivò davanti la sua ormai vecchia casa: era una villetta di due piani, perfettamente curata e immersa in un abbondante verde. Dai toni non troppo accesi, la villetta era situata in una zona molto prestigiosa della Washington per bene, appartenente ad un viale altamente signorile e fin troppo monotono per i gusti del punk.
Tuttavia, a Courtney piacque talmente tanto che Duncan non poté ignorare le suppliche dei suoi occhioni scuri, consapevole che avrebbe potuto pentirsene per tutto il resto della sua vita, qualora ancora gliene sarebbe rimasta. All’epoca fu troppo cieco, superficiale, innamorato di quella donna che lo portò a intestare la casa ad entrambi senza neanche contratto prima il matrimonio, non pensando minimamente all’eventualità di potersi ritrovare a non condividere più con lei lo stesso tetto.
Ma adesso che l’imprevedibile era accaduto e dopo che lei fosse diventata una brava e spietata avvocatessa, doveva cancellare l’idea sempre più insistente di aprire una causa contro l’ex per l’intestazione definitiva della casa, anche avendo tutte le ragioni e le più giustificate motivazioni dalla sua parte. La posta in gioco era troppo alta, e sicuramente avrebbe perso a priori, guadagnando solo un inutile e doloroso spreco di denaro che in quel momento non poteva neanche permettersi.
 
Un profondo senso si angoscia lo pervase, non appena iniziò ad avanzare verso l’ingresso della sontuosa villa che acquistò facendo sacrifici economici non indifferenti.
Salì i quattro scalini che lo dividevano dalla porta principale, per poi ritrovarsi davanti ad essa, spiazzato dai ricordi che impertinenti cominciarono a occupare la sua mente.
Ricordi piacevoli, seppur sfocati, inondarono il cervello, facendolo concentrare su essi. Per un attimo avvertì una strana malinconia nascere nel suo cuore, ma venne immediatamente estirpata dalla rabbia provocata da ricordi dolorosi e non graditi, che ultimamente stavano aumentando a dismisura per via del comportamento sempre più strana e staccato di lei.
Strinse i pugni lungo i fianchi, colpevolizzandosi d’essere stato tanto incosciente e presuntuoso, nonostante i genitori gli chiesero più volte di rivalutare la scelta di andare a convivere con una ragazza con cui non aveva neanche iniziato una relazione stabile, per via dei costanti litigi considerati però da lui insignificanti e sciocchi.
Il suono di un clacson lo risvegliò bruscamente da quello stato di trans in cui era caduto, e solo in quel momento si rese conto di essere immobile davanti ad una porta, incuriosendo i numerosi passanti che lo guardavano attoniti.
A quel punto, malgrado la figuraccia, decise di entrare in azione.
-Ah cara Courtney, puoi essere intelligente quanto vuoi, ma io ti batto sicuro su queste cose.- si ritrovò a pensare soddisfatto, non appena estrasse la duplica della propria chiave di casa, fatta da lui stesso, da sotto il vaso di una pianta: l’ispanica era solita, ogni qualvolta litigavano, sbatterlo fuori di casa con l’intento di farlo dormire fuori, inconsapevole però del fatto che l’ormai ex delinquente nascondeva in maniera impeccabile una seconda chiave a sua insaputa, che gli permetteva di infiltrarsi in casa a notte inoltrata senza che lei se ne accorgesse, per poi uscirsene alle prime luci del mattino successivo e far finta di aver dormito per strada. E la cosa gli riusciva sempre.
Infilò tutto contento la chiave nella serratura, e con un veloce scatto l’aprì, entrando finalmente in casa.
Si chiuse la porta alle spalle, scioccato del repentino cambiamento che quella casa assunse non appena lui non ci mise più piede: ad iniziare dalla nuova disposizione dei mobili, il salone per accogliere gli ospiti era stato rimodernato con oggetti nuovi e soprattutto troppo eccentrici. La prima cosa che notò fu il grosso e suntuoso lampadario che si trovava appeso sulla sua testa, rischiando tuttavia di andarci a sbattere per via della sua altezza non adeguata a persone della sua statura; o ancora la nuova e alta libreria che si presentava dinnanzi a lui, stracolma di libri.
Lentamente vagava per la casa alquanto sorpreso, avendo l’impressione di essere in una abitazione che non ebbe mai visto.
 
-Vedo che soffre tanto la mia assenza. Povera la mia Court.- si ritrovò a pensare Duncan che, incuriosito, arrivò nella loro camera da letto per vedere se vi erano sorprese anche lì, notando con quanta frustrazione la sua ex abbia occupato l’intera parte dell’armadio precedentemente occupata da lui, facendo nascere sul suo volto un espressione di puro disprezzo.
Per il resto della casa, poteva tranquillamente affermare di averla lasciata così come l’aveva vista l’ultima volta. Sospirò tuttavia sollevato, mentre una implacabile voglia di bere si fece largo tra i suoi sensi. Ne approfittò dunque per passare un attimo in cucina e prendere una birra nel frigorifero, per poi stapparla e cominciare a berla, inebriandosi della piacevolissima sensazione di freschezza che lasciava nel suo corpo.
Si sedette su una delle tante sedie intorno a tavolo, incapace di opprimere però un pensiero che furtivamente invase la sua mente che si permise di rilassarsi per un momento. Inevitabilmente gli venne da sorridere, quando provò a fantasticare su come sarebbe stato vivere lì insieme a Gwen, unica donna verso la quale avrebbe giurato di perdere anche la vita.
Di sicuro avrebbe potuto leggere in chiaro la contentezza nei suoi occhi così neri e affascinanti, non appena sarebbe entrata per la prima volta in quell’abitazione in cui si sarebbe persa, almeno le prime volte. Sapeva che lei non avrebbe fatto altro che ringraziarlo di averle dato la possibilità di vivere un’esistenza più decente; era sicuro che con lei avrebbe potuto vivere una vita completamente diversa da quella che dovette condividere con l’ispanica, ma sotto una prospettiva decisamente migliore e più salutare.
 
Se solo avesse saputo che dopo di Courtney avrebbe incontrato la sua anima gemella, non avrebbe commesso tutti quei sbagli che in quel momento non potevano essere più riparati.
 
Diede un ultimo sorso a quella mini-lattina di birra, quando si rese conto di essersi fatto tardi, col rischio tuttavia di poter incontrare Courtney che sarebbe tornata di lì a poco, conoscendo i suoi orari.
 
E magari non sola.
 
Avvertendo che il stomaco avrebbe rigettato di lì a poco qualcosa, con un veloce scatto si diresse verso la porta che conduceva alla sua reale meta. Non appena l’aprì, sentì una felicità invadere il suo animo, e svelto scese le scale che lo avrebbero portato al suo angolo di paradiso: il garage.
Quello era il suo rifugio, il suo piccolo e insostituibile mondo, dove poteva davvero sentirsi realizzato. Lo chiamava “la sua officina”, semplicemente perché lì erano custodite tutte le sue geniali invenzioni, ma soprattutto perché c’era lei, la sua Mercedes Benz nera luccicante di cui sentì una grande mancanza.
Non appena la vide corse immediatamente verso di lei, sprizzanti di gioia da tutti i pori, depositando sulla carrozzeria un lungo bacio che non poté evitare. Quello era l’unico oggetto di cui la sua vecchia fiamma non poteva sbarazzarsene, pur ammettendo che lei si ricordasse di quel gioiellino, dato che non azzardava mai di mettere piede in quello che lei considerava invece “discarica”.
-“Tu sì che non mi tradirai mai, vero tesoro?”- domandò poi con un sorriso a trentadue denti all’auto, come se si aspettasse chissà quale risposta.
Senza pensarci neanche un secondo si piombò all’interno di quest’ultima e, sentendo il rombo del motore echeggiare nell’aria prepotente, uno spirito di adrenalina lo percorse lungo tutto il corpo.
Caspita se adorava i motori, erano la sua più grande passione sin da piccolo, quando per divertimento smontava i modellini dei suoi amichetti di classe, mettendoli in condizione di non riuscire più a riassemblarne i pezzi.
Accarezzò soddisfatto il manubrio, mentre sul suo volto si delineava uno dei suoi meravigliosi ghigni malefici e, indossando gli occhiali da sole, premette sull’acceleratore, sentendo la sua inseparabile compagna obbedire al suo comando.
Ad un tratto un’idea brillante gli attraversò la mente, non appena i suoi occhi si soffermarono sul display digitale che mostrava l’ora in quel momento: erano quasi le 13.00 e solitamente una comune scuola avrebbe dovuto lasciar tornare i propri studenti nelle loro rispettive case di lì a poco.
 
E se le avesse fatto una sorpresa? Andandola a prendere a scuola con la sua bella auto?
 
Gli bastò un attimo per ricordarsi l’istituto verso cui voleva dirigersi, mentre nella sua mente non aveva dubbi su ciò che voleva fare.
-Prossima destinazione: liceo artistico!- si disse fra sé e raggiante il punk, immaginando già la sorpresa che avrebbe fatto insorgere tra i frequentanti, ma soprattutto ad una in particolare: la sua Gwen.
Così lasciò finalmente quel viale, tuttavia con la mente troppo occupata a pensare alla sua  amata per poter notare una figura che lo osservava sospettosa da un paio di minuti, anche lei in un auto.
-“Allora non eri sparito nel nulla, brutto delinquente.”- disse la figura con tono adirato e severo, mentre con le unghie ticchettava nervosamente sul volante della macchina, seguendo con lo sguardo la Mercedes che man mano si allontanava.
 
Duncan sarebbe anche riuscito ad evitare di incontrare Courtney quella volta, ma  non avrebbe mai immaginato ciò che sarebbe potuto accadere in quel preciso momento e soprattutto davanti a quel maledetto liceo.











Angolino autrice sempre più imperdonabile

Lo so, anche stavolta ho aggiornato MOLTO tardi e...mi spiace, sul serio.
Oramai siamo arrivati agli sgoccioli a scuola, e vi assicuro che non appena mi sono liberata di questo macigno sarò molto più veloce e puntuale nei miei appuntamenti!
Please, perdonatemi... T.T
Tornando al nuovo capitolo, avete ben potuto notare la presenza di un nuovo personaggio: Mike! :D
Che ne dite della sua apparizione? Vi è piaciuto il mio modo di interpretare le sue personalità?
Ci tengo davvero a saperlo, anche perchè questo è stato un capitolo che mi è piaciuto particolarmente scrivere.
A questo punto non  mi resta altro che ringraziare TUTTI, ma proprio TUTTI!!
Un grazie speciale va ai miei "number-one", di cui oramai sapete bene l'identità, ma ci tengo a precisare che ringrazio infinitamente anche tutti coloro che leggono senza recensire: grazie di cuore per il tempo che perdete per seguirmi, VI ADORO!
Spero posso ricevere delle recensioni da tutti, nuovi e non, augurandomi che il capitolo sia stato di vostro gradimento :3
GRAZIE PER SEGUIRMI, MI RENDETE ORGOGLIOSA DEL MIO LAVORO!
Baci

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Grazie mille!

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Pubblicità ->Storia in collaborazione con Clif:
A TUTTO REALITY: EFP

Siete pronti per un nuovo reality? Ancora di più se questa volta si svolgerà su una nave? Alcuni dei nostri concorrenti + altri 4 nuovi concorrenti si affronteranno in un reality mai visto prima d'ora! Da una nazione all'altra, pronti sempre a fare le peggiori sfide! Divisi in "Squali" e "Delfini" i nostri amici saranno pronti a passare sconvolgenti settimane nell'Oceano, costretti a stare con i loro peggior nemici! Poi, per chi si è perso qualcosa, non preoccupatevi: Ci sarà il dopo show di Dalhia_Gwen, condotto da Bleinley e Josh a tenervi informati su tutto e sempre pronti alla risata!
In questo fantastico reality voi e ripeto voi potrete scegliere infine il vincitore! "
Cosa manca per renderlo perfetto? Ah, è vero! Mancate voi! Cosa aspettate?
"Clif's story" vi augura: Buona lettura


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Dalhia_Gwen

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Capitolo 8
*** -Chapter 8 ***


Attenzione:

Questo capitolo contiene una parte del suo contenuto non adatta a minorenni. So che esiste il cossiddetto "rating rosso" ma a mio parere non sono dell'opinione di essere andata così in profondità con le descrizioni. Mi conoscete, insomma, è fastidioso anche per me.
Ma decidete come volete, a vostro rischio e pericolo. Io vi ho avvertiti.
Tuttavia, se ritenete che io mi sia sbagliata, siete pregati di avvertirmi. Ve lo chiedo per favore, così provvedo ad aggiustare, perchè NON considero assolutamente la mia storia tra quelle a rating rosso. Grazie.
Ah, vi invito ad accompagnare la lettura del capitolo con il sottofondo di "Dance with me" di Olly Murs. Credetemi, è tutt'altra storia ;). Ecco il link!

Grazie e buona lettura!
 







You're my dream come true


 
  Chapter 8
 
 
 
 
“..yeah, I was wondering if you and me could spend a minute
On the floor up and close getting lost in it
I won’t give up without a fight..”


In quel momento, nessun ragazzo come il punk al volante di quella Mercedes era più felice di lui.

“..I just wanna, oh baby
I just want you to dance with me tonight
So come on, oh baby
I just want you to dance with me tonight..”


Con la musica a tutto volume proveniente dalla radio dell’auto, Duncan si esibiva in un’inedita performance musicale, cantando “Dance with me tonight” di Olly Murs e muovendosi a ritmo. Non lo sapeva neanche lui ma, non appena accese lo stereo, il canale su cui si soffermò mandava in onda il brano che più di qualsiasi altro esprimeva il suo stato d’animo.

“…We’re getting sweaty, hot and heavy in the crowd now
Loosen up and let you hands go down, down
Go with it girl, yeah just close your eyes, yeah…”


Abbassò i due finestrini davanti, e una boccata di fumo fuoriuscì dalla sua bocca, mentre quest’ultima recitava impeccabile le parole di quella canzone. Mentre la sigaretta era tra le dita di una mano, con l’altra manovrava agile il volante, cercando di evitare i semafori rossi che gli avrebbero rubato tempo prezioso.

“…I feel the music moving through your body
Looking at you I can tell you want me
Don’t stop keep going till the morning light, yeah…”


Recitando quei righi, un grosso ghigno si delineò radioso sul volto, facendogli assumere un espressione per nulla rassicurante non appena la sua mente cominciò a fantasticare, elaborando pensieri che avevano un unico centro di nome Gwen. Era palese dunque che la ragazza a cui era rivolta la canzone fosse lei, così come scontata era la sua voglia di vederla ballare per lui, esibendo il meglio di lei.
 
“..So come on girl just close your eyes
We can dance all through the night
I just want you to dance with me tonight.”

 
La canzone finì, e lui arrivò esattamente davanti l’istituto, trovandolo pieno di studenti.
Frenò impulsivamente l’auto, rimanendo spiazzato da tutta quella confusione.
Evidentemente era arrivato proprio quando tutti gli studenti avevano lasciato la propria classe.
-“Cazzo, la prossima volta dovrò essere meno puntuale..”- disse mentre gli occhi si sgranarono al pensiero di dover cercare e farsi vedere da una piccola e graziosa ragazza gotica. Decise di aguzzare meglio la vista, accostandosi in doppia fila con l’intento di essere meglio visibile e sperando di trovare Gwen in quella marea di studenti.
Passarono una decina di minuti, impiegati a guardare ogni singola ragazza uscire dal liceo con l’intento di intravedere la sua gotica preferita, ma di ella neanche l’ombra.
L’atrio scolastico oramai era quasi vuoto, e a Duncan salì piano il terrore di esserle sfuggita e di ritrovarla già a casa, a preparare la tavola per pranzare. Così, non appena ogni minima presenza studentesca fosse scomparsa, il ragazzo fece ripartire la sua scheggia, senza però nascondere una strana delusione nell’animo.
Fece retromarcia, e con cautela fece rientrare l’auto sulla corsia opposta a quella da cui provenne, facendo attenzione al traffico tipico dell’ora che lo rallentava molto. Dopo alcune imprecazioni, Duncan decise di far calmare i suoi spiriti bollenti, rispettando il codice della strada e mettendosi dunque in coda alle altre auto, i cui autisti erano nervosi quanto lui.
E fu proprio quando passò davanti un viottolo buio e stretto che una strana sensazione attraversò l’intera schiena del ragazzo, facendolo rabbrividire. Infatti a pochi metri più lontano dalla scuola gli parve di sentire, seppur in maniera fioca e otturata, una vocina strillante dalla natura sconosciuta, che però lo portò a drizzare l’udito e ad essere scettico. Mentre avanzava con il traffico lentamente, diede un veloce sguardo al viottolo, riducendo gli occhi ad un’unica fessura, sperando di poter approvare l’ipotesi di essersi sbagliato, ma purtroppo la vocina ritornò a strillare nelle orecchie del punk, spingendolo ad indagare meglio.
Incurante del caos stradale, accostò l’auto in modo trasgressivo e, senza pensarci due volte, imboccò la stradina buia, non prima d’essersi guardato intorno.
Avanzò a passo felino verso la voce che si faceva sempre più vicina, ma che ancora non riusciva a riconoscere. Questa, tra l’altro, aveva cominciato a singhiozzare, rendendo sempre più difficile il riconoscimento, ma il punk non si scoraggiò, e con una strana calma continuava ad avanzare.
Si ritrovò davanti la svolta della stradina verso sinistra, e successivamente si ritrovò un grosso cassettone dell’immondizia come intralcio al suo cammino.
-“Ma che cazzo..”- si ritrovò a soffiare Duncan, ma non fece neanche in tempo a finire che la vocina aumentò il tono e con grande sorpresa il punk poté distinguere nitidamente la persona.
 



-“L-Lasciatemi vi ho detto! Non ho alcuna intenzione di ritornare in quello schifo di locale! Come ve lo devo dire?!”- la voce, dal timbro femminile e tremolante, cercava di porre fine alle botte di due uomini di fronte alla ragazza, che venne accuratamente immobilizzata al muro spigoloso e sporco di muffa.
-“Allora sei cocciuta!”- urlò uno di loro, il più grosso, che teneva ferma la ragazza, dandole l’ennesimo calcio allo stomaco e facendole cacciare sangue mischiato a saliva.
-“Sembra proprio che non ci siamo capiti, eh Gwen?”- a parlare in quel momento fu quello più bassino ma anche il più in carne del duo, che piano piano si avvicinava al viso della giovane rigato di lacrime nere. –“Non hai la facoltà di scegliere, perché sai che senza di te la tua famiglia è persa. Devo ricordarti del motivo per cui stai lavorando, stronzetta?!”- uno schiaffo echeggiò nell’aria, mentre i singhiozzi otturavano le voci dei due uomini che sghignazzavano. Con le braccia appesa e il corpo dolorante, la ragazza chiedeva umilmente di smetterla, ma i due sembravano interpretare il contrario. Successivamente lo stesso uomo di prima immobilizzò la giovane per il collo, per poi minacciare di strangolarla.
-“Se ti ostini di nuovo a disobbedirmi, io..”-
-“Muovi un altro muscolo e t’ammazzo, brutto bastardo.”-
Il suono di un pugno arrivato in pieno volto regalò a quel luogo angusto un po’ di serenità.
Accadde tutto velocemente: non gli fu dato neanche il tempo di obiettare che una mano grande e forte gli fece fare un giro completo su sé stesso, mentre l’altra assestò al viso rugoso quanto spietato dell’uomo goffo un sinistro che andò dritto al setto nasale, mettendolo letteralmente a K.O. Cadde a peso morto per terra, alzando un grande polverone che permise all’altro di darsela a gambe, non prima però d’aver raccolto il padre da terra e di scappare da una via secondaria.

 
Provvisto di una grande forza, alimentata poi dalla situazione venutasi a creare, Duncan raccolse appena in tempo tra le sue braccia la gotica, che esausta strisciò lungo il muro a cui era poggiata.
-“G-Gwen stai bene? Ti prego rispondi!”- allarmato più che mai il punk cercava di rianimare la ragazza che teneva stretta a sé, accarezzandole continuamente il capo.
-“S-Sì. Credo…”- provò a dire lei tossendo leggermente ma per fortuna coscienziosa, stringendosi forte al corpo del ragazzo. A quel punto lui le fece alzare il busto e delicatamente le diede un bacio sulla fronte.
-“Ma chi diavolo erano quei due uomini? Perché volevano che tu tornassi al locale?!”- chiese Duncan nervoso, non smettendo però di coccolandola. Di fronte a quelle parole Gwen si irrigidì, continuando a tenere tuttavia lo sguardo basso.
-“E-Erano il proprietario e il figlio..D-Duncan ti prego aiutami! Mi rivogliono per forza al locale, ma io non voglio! N-Non voglio più prestarmi ai loro ordini..N-Non sono una sgualdrina! H-Ho paura..Duncan..”- la ragazza, scioccata ancora per l’episodio, cominciò ad esternare il proprio terrore, facendosi prendere dal panico più totale. Tremava come una foglia, e non faceva altro che stringersi sempre più al punk, che ne frattempo le coprì le spalle col suo giubbino. In tutta risposta il ragazzo la strinse ancora più forte, e tra i capelli le sussurrò parole confortanti, cullandola lentamente.
-“Tranquilla. Ci sono io adesso, non tornerai in quella merda. Non lo permetterò mai.”- e così dicendo la sollevò da terra raccogliendola tra le braccia, per poi tornare all’auto e prestarle soccorso.
 
 
 
 
****
 
 
-"...Ahi! "-
-"Ferma, ho quasi finito.."- Non appena arrivati all’abitazione, Duncan provvedette a disinfettare la ferita al volto della giovane, che più volte insistette di lasciar perdere, invano. Erano seduti sul divano, e il ragazzo dovette arrendersi all'ostilità della ragazza che non voleva andare in ospedale. Lo guardava attentamente, mentre si prendeva cura di lei in maniera così insistente e premurosa che si rese conto di non poterne più fare a meno. Il ricordo della litigata della sera precedente arrivò imperterrito a rovinarle quella pace che quel ragazzo riuscì a donarle, e si sentì improvvisamente in colpa.
-"Scusami, davvero. Per tutto."- sussurrò lei a fior di labbra, cercando i suoi occhi che tanto adorava. A quelle parole lo sguardo di lui si incatenò a quello di lei, colmo di ripensamenti e colpe. Poteva sentire quanto mortificata fosse stata lei in quel momento, sentiva il suo cuore batterle forte nel petto come nel tentativo di fuoriuscirle, per questo sorrise in maniera dolce e rassicurante, assolutamente convinto della sincerità della fanciulla. -"Tranquilla, la colpa è mia, a volte mi dovrei fare di più i fatti miei."- rispose semplice lui tornando a disinfettarle la ferita, ma venne nuovamente bloccato dalla ragazza, che stavolta gli fermò il braccio in una stretta forte. -"Non è vero. Tu volevi solo proteggermi, ed io sono sempre la solita scorbutica che non capisce nulla.."- pronunciò quelle parole con una nota di tristezza che non passò inosservata al punk, il quale si sorprese di quanto fossero lucidi i suoi occhi neri.
-"Ehi, guardami.."- la incitò allora lui, notando lo sguardo abbassato, posando una mano sulla sua guancia sinistra -"non devi darti colpe che non hai. Avrai ragioni assolutamente valide che ti hanno portato a comportarti in quel modo ed io non ho alcun diritto di saperle, se tu non te la senti di dirmele. Quando vuoi, io sono qui, o meglio, hai il mio numero per potermi cercare."- commentò lui correggendosi non appena notò che la sua fantasia stava prendendo il sopravvento su di lui, cercando di strapparle un sorriso, che non tardò ad arrivare.
La ragazza infatti rise scuotendo lievemente il capo, capendo quanto la sua presenza fosse diventata ormai indispensabile per ridere un po'. Da quanto non lo faceva? Mesi, anni? Non lo sapeva, e sinceramente non le importava un granché oramai.
-"È buffo, sai? Si è ribaltata completamente la situazione."- commentò ad un certo punto Gwen sorridente.
-"In che senso?"- le domandò confuso lui. Lei rise di gusto, rischiando tuttavia di allargare i muscoli della ferita fresca.
-"Nel senso che adesso ti stai prendendo tu cura di me. Fino a qualche mese fa era il contrario."- nel dire quelle parole estremamente sincere Gwen arrossì, mentre si appoggiava col gomito su una spalliera del divano e girava il volto per guardarlo. Duncan riprese a tamponarle la guancia, sorridendole beffardo.
-"Beh, credo che sia giusto così, infondo."-
 -"Cosa vuoi dire?"- Gwen si allontanò un po' per poi guardarlo di sottecchi.
-"Sono io che devo prendermi cura di te, era il mio desiderio, da sempre."- la guardò insistentemente,mentre lei distoglieva lo sguardo, imbarazzata da quella confessione improvvisa.
-"I-Io vorrei sapere..perché, perché stai facendo tutto questo per me, che tra l'altro ti tratto anche male?"- non seppe neanche lei dove avesse preso il coraggio necessario per chiederglielo, ma in quel momento la ragazza puntò i suoi occhi neri in quelli azzurri di Duncan, decisa più che mai a sapere la verità. La domanda della giovane arrivò come un fulmine a ciel sereno nelle orecchie di Duncan, che per un istante si ritrovò destabilizzato, non sapendo bene come reagire. Ad un tratto però l'idea bizzarra quanto reale di doverle confessare tutta la verità prevalse su ogni possibile scusa e decise così di seguire, per una volta, il suo istinto. Appoggiò dunque la mano sull'altra guancia, costringendola a perdersi in quei due zaffiri azzurri glaciali, per prendere un grande respiro, inebriandosi del rossore che lei non riusciva a nascondere.
-"È.. Difficile,sì, dirlo a parole, soprattutto per un tipo come me che non è affatto bravo a fare discorsi decenti e degni per le occasioni. Ma, come sai, sono molto impulsivo e..molto spesso non ragiono come dovrei. Diciamo che..seguo il cuore, ecco, perché so che essere razionali è dannatamente monotono e stupido..così come è folle nascondere ancora i miei sentimenti verso te.."- la sua voce era incredibilmente seria e rauca, mentre i suoi occhi splendevano di una luce diversa. D'altra parte Gwen rimase spiazzata, e udendo quelle parole avvertì un piacevole brivido percorrerle tutta la schiena, mentre il cuore saltellava nel suo petto perdendo qualche battito. Era completamente ipnotizzata a guardarlo, che non si rese conto di avere il viso a pochi centimetri da quello del ragazzo, di nuovo. Chiuse gli occhi, facendosi trasportare dalle sue carezze che la rendevano dipendente e che ricercò da sempre. I loro nasi potevano quasi sfiorarsi, e bastava davvero poco per farsì che il punk coronasse il suo desiderio. La ragazza riaprì gli occhi, notando con quanta bramosità lui volesse congiungere le loro labbra, continuando tuttavia a non muoversi, assolutamente in preda al panico.
-"Beh? Ti muovi a baciarmi, o hai ancora dubbi?"- Gwen lo guardò con fare sensuale, strofinando i loro nasi con l'intento di destarlo da quello stato di ipnosi in cui era caduto. Rendendosi conto della palese figura che stava facendo, Duncan tornò con i piedi per terra, e dopo averle regalato un bellissimo sorriso non aspettò altro minuto, rispondendola con quel bacio che desideravano entrambi. Fu delicato, ma intenso allo stesso tempo, e trapelava tutto l'amore nascosto fino a quel momento. Rimasero immobili, incapaci di muovere anche un singolo muscolo, mentre il desiderio di approfondire il contatto si faceva sempre più forte. Duncan si staccò lievemente da lei solo dopo un paio di minuti, curioso più che mai di vedere la sua reazione. Gwen, che non aveva mai provato emozioni simili,trovò il distacco spiacevole e doloroso, ma venne rapita dalle iridi splendenti del punk, che non avevano intenzione di lasciarla in pace. Avvertiva una strana felicità invaderle l'anima, a tal punto di piangere di gioia, la prima volta nella sua vita. Si sentiva amata, desiderata e soprattutto al sicuro, accanto a quell'uomo di cui, ormai sicurissima, era innamorata persa.
Allora lo baciò nuovamente, guidata anche lei dal cuore, stavolta con più passione e trasporto, e successivamente ce ne furono altri, sempre più spinti. La raccolse tra le sue braccia forti, mentre lei allacciò le sue esili intorno al collo, per poi decidere di intensificare i baci. Imbarazzata ed impacciata più che mai, Gwen decise di rispondere a quella sua pressione dischiudendo le labbra, permettendo così alle loro lingue di incontrarsi. Fu una sensazione bellissima per entrambi, che non vedevano l'ora di nutrirsi delle loro carezze. Affamati l'uno dell'altra, si staccarono solo quando avvertirono il fiato completamente assente nei loro polmoni. Si guardarono dolcemente e ansimanti: lui le accarezzava tutta la schiena, stringendola a sé fino a sentire il suo corpo aderirgli perfetto; lei invece, allacciò le gambe intorno al bacino del ragazzo, sedendosi sulle sue gambe, mentre con le mani percorreva ardentemente il torace del suo compagno.
-"Io..io non sono esperta nel baciare..scusami se trovi buffo il mio modo..ma..sei il primo e..io non so.."- era talmente rossa in viso che Duncan avrebbe giurato che fosse scottante quanto il fuoco. Dettata da un profondo senso di inferiorità, pronunciò quelle parole con una velocità incredibile: lui era così perfetto in qualsiasi cosa facesse, lei così incapace e ingenua in ogni suo gesto, non sapendo invece che erano proprio quelle piccole imperfezioni a colpire il cuore del punk. Non lo meritava, pensava: una ragazza come lei non poteva essere così fortunata. D'altro canto lui, che la osservava con un'avidità mai avuta prima, rise dolcemente non appena udì le preoccupazioni a parer suo infondate.
-"Ma cosa dici? Ti rendi conto che stai farneticando? Non ho mai incontrato una donna che si fa tanti problemi, che non esistono neanche, giuro! "- disse quelle parole tra una risata ed un'altra mentre raccolse il suo viso tra le mani, depositandovi piccoli baci. Anche Gwen rise, arrossendo terribilmente.
-"Sono onorato di essere il primo ad assaggiare le tue labbra, ma darei qualsiasi cosa per essere anche l'ultimo.."- detto questo, in maniera estremamente dolce e seria, congiunse di nuovo le loro bocche, tornando a provare le sensazioni che solo lei riusciva a fargli sentire. Portò poi lentamente le mani sotto la gonna, delineando il profilo delle sue gambe così fini e provocanti. A quel contatto Gwen gemette, mentre lui, soddisfatto, cominciò a torturarle il collo.
-"Sei così irresistibile, piccola.. Mi fai impazzire. "- diceva Duncan tra una carezza e un'altra, completamente rapito dalla sensualità della ragazza, che si faceva trasportare dalla sua voglia di scoprirla. Gwen adorava il suo modo così delicato di coccolarla, con cui le faceva capire il suo amore, da lei corrisposto: era certa oramai, lo amava più di sé stessa, a tal punto di affidargli la sua intera esistenza, convinta di avere di fronte l'uomo che aveva da sempre sognato. Fu così che, aggrappata al suo collo, gli diede una leggera spinta che lo fece allungare sul divano, continuando a riempirlo di baci, per poi passare velocemente a sbottonargli la camicia nera che quel giorno indossava. Istintivamente Duncan sgranò gli occhi, colpito da quella spigliata frenesia che la fanciulla dimostrò con quel gesto, tanto da farlo rimanere impacciato e confuso.
 
Che avesse capito il suo desiderio di possederla completamente?
 
Certo, lo voleva più di ogni altra cosa, ma conoscendola avrebbe giurato che la ragazza si sarebbe ostinata di fronte a un passo così importante e soprattutto così nuovo, per lei. Sapeva quanto ancora fosse troppo casta e pura per quelle determinate cose, per questo motivo la paura di averle inviato un messaggio sbagliato, seppur del tutto errato non fosse, lo assalì facendolo sentire in colpa. Era ovvio, desiderava con tutto sé stesso fare l'amore con lei, ma non voleva costringerla, così cercò di fermarla poggiando una mano sulle sue conserte, posate che accarezzavano il suo torace ormai scoperto. Gwen così aprì gli occhi, tuffandosi in quelli limpidi di Duncan.
-"G-Gwen, ascolta..io non voglio che tu lo faccia per forza, cioè..voglio farlo con te, più di ogni altra cosa però..insomma, non voglio costringerti se non vuoi..io..io posso capirti.."- ostacolato anche dal fiatone, il punk non riusciva ad articolare la frase, cominciando a balbettare e a diventare buffo agli occhi di Gwen, che non appena udì quelle frasi insensate gli sorrise di rimando, capendo quanto innamorato fosse il ragazzo sotto di lei. Era la prima volta che avvertiva una protezione così forte e si sentì quasi spaventata nell'avvertire i loro cuori battere con un ritmo che avrebbe portato di sicuro alla rottura della gabbia toracica. Poteva benissimo avvertire il fiatone smorzato dalla saliva che continuamente mandava giù Duncan, che invano cercava di distogliere lo sguardo dal seno prosperoso della fanciulla. Non lo aveva mai visto così impacciato, ma lei sapeva esattamente cosa fare, a questo punto.
Si avvicinò sensualmente al suo volto, rosso quanto quello di lei, e procedette a mordergli il labbro inferiore con dolcezza, per poi far aderire cauta le labbra con quelle di lui.
-"Nella mia vita ho sofferto tanto, per essere una ragazzina di appena 18 anni, ma ciò mi ha fatto capire che, quando arriva il momento, è giusto seguire il proprio cuore e lasciarsi trasportare da ciò che si vuole veramente. In questo momento io desidero fare l'amore con te, perché sei l'uomo che amo più della mia stessa vita. Sei il mio angelo, arrivato qui da me senza pretendere nulla, ed io non posso aver paura di colui che mi ha salvato la vita per ben due volte. È vero, al locale io mi ostinavo a non concedermi a certe prestazioni con i clienti, ma stavolta è tutto diverso. Io mi fido di te Duncan, cazzo, ti amo, e credo che questo basti per entrambi. Facciamolo adesso, ti prego, tu sei mio.."-.
 Gwen aveva le lacrime agli occhi e tremava come una foglia per l'emozione. Aveva pronunciato quelle parole con una semplicità disarmante che celava una precisa richiesta: restare con lei, e ciò era tutto quello che Duncan desiderava sentire. Senza pensarci due volte, la strinse forte al petto e iniziò a baciarle le guance bagnate dalle lacrime, raccogliendo così la sua richiesta. Poi passò a baciarle il collo, arrivando alla clavicola e abbassandosi sino al seno. Nel frattempo Gwen liberò il ragazzo dalla camicia, gemendo poi quando lui le tolse il vestitino. Successivamente, senza però smetterla di baciarla, invertì le loro posizioni, non lasciandole così alcuna via di scampo. Ma Gwen era felice, desiderosa più che mai di averlo tutto per sé. Poteva sentire la sua eccitazione crescere, quando il suo seno s'alzava e si abbassava a ritmo del suo fiato che diveniva sempre meno.
 
Era ancora troppo giovane, era vero, ma non le importava nulla se accanto avrebbe avuto l’uomo della sua vita.
Ed era così.
 
Le sue coccole la facevano impazzire, rendendola vittima delle sue carezze delicate, ma poi lui,non prima di guardarla intensamente negli occhi, le sfilò anche l'intimo, e lì entrambi poterono giurare di essere giunti in paradiso.
 




 

Angolo dell'autrice "risorta":

Okay. Okay.
Lo so, sono sicura che mi starete odiando per il TROPPO tempo che è intercorso tra il settimo e l'ottavo capitolo.
Prima di tutto mi scuso per il ritardo dell'aggiornamento e per aver sbagliato i conti.
Sì, perchè dissi che avreste avuto il nuovo capitolo a Luglio, programmando di scriverlo per gli inizi, ma non ci sono riuscita.
Come ben sapete, realizzo anche disegni, ed è per questo motivo che ho ritardato così tanto.
Se potessi sdoppiarmi riuscirei ad accontentare chiunque, ma purtroppo questo potere non ce l'ho e l'unica cosa che posso fare è mantenere la parola, nonostante i ritardi.

Dunqueee, a parte questo lieve ritardo, che ve ne pare del capitolo?
Finalmente sapete cosa è accaduto all'uscita del liceo, e soprattutto cosa è successo dopo... <3
Ce ne è voluto per farli dichiarare, eh? Ahah mi piace ritardare questo bel momento :D

Spero davvero che sia rimasto qualcuno che mi segua, perchè se così non fosse posso anche mettermi in un angolino a piangermi addosso...
Ve lo dico perchè col mio ultimo aggiornamento, che coincide con la mia One-Shot "Niente di più incondizionato", ho ricevuto recensione al di sotto della media, e questo mi spiace tanto.

Mi auguro che sia stato solo un episodio, perchè io HO INTENZIONE di continuare la storia.
Attendo i vostri pareri, positivi e negativi, sperando che con questo capitolo mi abbiate perdonata :'3
Vi ricordo di avvertirmi se il capitolo è da considerarsi a rating rosso. E' importante.


Al prossimo capitolo(che non vedrà tutto questo ritardo)! ^-^

P.S: Se volete vedere i miei disegni, questo è il link


Dalhia_Gwen

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Capitolo 9
*** -Chapter 9 ***


You're my dream come true
 
 
Chapter 9
 

 
 
Nessuno di loro sarebbe riuscito a dire come fosse accaduto, ma per entrambi fu una serata unica, indimenticabile, la più bella della loro vita.
Si erano addormentati là dove consumarono la loro passione, sul divano, accoccolati l'uno tra le braccia dell'altra.
Duncan fu il primo a svegliarsi: era mattina presto, nonostante il tardo orario della sera precedente, ma la sensazione che in quel momento prevalse era un'altra, assolutamente piacevole.
Sorrideva, Duncan, stringendo a sé la ragazza che, poteva giurarci, avrebbe desiderato per tutto il resto della sua schifosa vita, a parer suo, diventata improvvisamente più bella non appena lei ne fece parte, fino a diventarne indispensabile. Sentiva chiaramente il respiro caldo di lei solleticargli il collo, resosi tranquillo e rilassato come non mai. Gwen dormiva serenamente tra le sue braccia, stringendosi talvolta ancor di più a lui senza neanche accorgersene. A quelle richieste d'affetto istintive lui sorrideva beffardo, depositandole tra i capelli lunghi e dolci baci. Ogni tanto si ritrovava a giocare con le sue ciocche di capelli colorate in maniera adorabile, scompigliate in quel momento dalla posizione supina in cui si ritrovavano. Era perfetta, si ritrovò a pensare lui, che poteva sentire il suo cuore battere più velocemente nel momento in cui ripercorse i ricordi della notte appena trascorsa. In più, avvertire il suo seno, rimasto scoperto, alzarsi ed abbassarsi in un movimento lento sul suo torace, faceva inevitabilmente riaccendere nel suo animo gli istinti sempre più perversi che da poco tempo a questa parte abitavano più insistenti nel cuore del punk innamorato. Non faceva altro che guardarla, osservando i particolari del suo corpo così sinuoso che lo faceva impazzire. Era così piccola ma allo stesso così donna, con la sua grande forza di volontà maturata precocemente per le responsabilità a cui fu sottoposta. Ma lei non sarebbe più rimasta sola: lui avrebbe colmato nel suo cuore quel vuoto che tutte le fanciulle di quell'età avrebbero sognato di riempire al meglio. Dal suo punto di vista pareva surreale, ma accadde comunque, dandogli finalmente prova dell'inizio di una nuova vita.
 
Quella vera, quella che lui aveva sempre cercato di condividere con la donna sbagliata.
 
Sì, Duncan aveva finalmente voltato pagina, e tutto per merito di un'unica ragione, quella per cui avrebbe dato lui stesso, per la quale valeva la pena vivere e che adesso aveva un nome: Gwen.
-Hey, ti sei svegliata...- le disse sorridendo con voce fioca e morbida, che nemmeno lui seppe fino a quel momento di possedere, non appena vide la fanciulla accentuare movimenti, e guardandola estasiato allo stesso tempo.  Lei, udendo la voce che tanto adorava ascoltare e di cui non ne poteva più fare a meno, aprì lentamente gli occhi scuri e contornati da quel trucco oramai sfumato dalle lacrime versate la sera precedente, ma pur sempre bellissimi e mai come in quel momento risplendenti di gioia: una luce capace di far splendere solo lui, e che in quel momento lo ipnotizzò. E come se non bastasse, portare un ciuffo di capelli neri ribelli dietro la nuca mentre cercava di sollevarsi sui gomiti coprendosi con le coperte, non lo aiutava di certo a riprendere il controllo di sé stesso.
-Buongiorno a te, caro...- gli soffiò Gwen a pochissimi centimetri dalla sua bocca, rimasta semichiusa, e con lo sguardo chinato là dove la fanciulla lasciava la sua candida pelle scoperta. Vedendo che Duncan non accennava a segni di ripresa, lei premette con forza le proprie labbra contro quelle di lui, destabilizzando il loro equilibrio precario, da cui lei dipendeva. Sorridendo poi furba, Gwen mollò lentamente la presa, costringendolo a guardarla negli occhi.
-Dormito bene, dolcezza mia?- le chiese lui sfiorandole la guancia destra col dorso della mano, mentre le sorrideva beffardo. Notando però che il ragazzo continuava imperterrito a farle una radiografia con gli occhi, Gwen prese il suo naso tra le dita e con esso cominciò a scuoterlo divertita.
-Sì, ma tu vuoi smetterla di mangiarmi con quegli occhioni e tenti di connettere un po’ il cervello?- chiese lei ridendo di gusto.
-La colpa è solo tua, se sei così dannatamente bella in qualsiasi cosa tu faccia.- e senza neanche darle il tempo di farla ribattere, Duncan la trascinò sotto di sé e ricominciò a deliziarla con quelle carezze e di quelle attenzioni di cui lei non era ancora sazia, e mai lo sarebbe stata. Ma proprio mentre l’aria di quella stanza si stava facendo sempre più frizzante, colorata dalle sonore risate di due ragazzi innamorati, ecco che un altro tipo di suono echeggiò in quell’atmosfera di serenità, facendoli tornare nel mondo reale.
-Ti prego, non rispondere, mi offenderei…- provò a dire Duncan, in quel momento intento a riempirla di baci lungo il collo e con le mani a delineare il corpo della sua oramai fidanzata.
Lei, ancora ridente, stava quasi per assecondarlo, ma nel momento in cui lesse sul display il nome di colei che la stava chiamando, cambiò immediatamente espressione, e senza dire nulla scostò in maniera poco delicata il punk, che rischiò quasi di cadere dal divano.
-Ma che cazzo…- gli uscì, ma la ragazza corse subito in piedi a rispondere.
-Pronto? Mamma?- rispose lei, con ancora il fiatone addosso.
-Tesoro mio, ma dove sei finita? E’ da un po’ che non riesco a rintracciarti, e non mi hai fatto neanche più sapere l’esito dell’esame. Mica l’hai spostato?- la mamma di Gwen aveva un tono premuroso ma allo stesso tempo preoccupato, ma di certo non poteva immaginarsi ciò che la figlia dovette sopportare in quei giorni.
-No mamma, tranquilla, l’esame l’ho svolto ed è andato benissimo, mi hanno assegnato il massimo dei voti ma non ti ho potuta chiamare per mancanza di tempo…- raccontò la gotica con una punta di rimorso per aver fatto preoccupare anche di un poco la madre, che a parere delle figlia non si meritava ulteriori preoccupazioni.
-Oh come sono contenta Gwen! Bravissima! Ma sicura di stare bene? Hai un fiatone…- le chiese la madre, dubbiosa. In quel momento la gotica, che era in piedi davanti lo specchio e con lo sguardo basso, alzò di colpo il capo sgranando gli occhi e incrociando così quelli di Duncan che, seduto sul letto a braccia conserte ad ascoltare con aria curiosa, osservò il mutamento radicale dell’espressione della fanciulla, che divenne ancora più paonazza di quanto già non lo fosse.
-Certo che sto bene mamma! E’ solo che ho fatto una corsa per rispondere, sai com’è…ero sotto la doccia…- inventò la ragazza trovandosi impacciata in una situazione alquanto imbarazzante, mentre il ragazzo, capendo cosa fosse successo, scoppiò a ridere come non mai, facendo vergognare ancor di più Gwen. Ma la domanda della madre le fece dimenticare immediatamente tutto.
-E il lavoro? Come va? Non mi hai mandato più il pagamento del mese scorso. Per caso ci sono problemi?- A quella domanda Gwen cominciò ad agitarsi, percorrendo scalza il perimetro della stanza.
-No no, tutto bene al lavoro, te li manderò al più presto. Ero solo molto occupata per via dei turni inoltrati e per lo studio intenso. Non ti preoccupare mamma.- Spiegò la fanciulla non nascondendo il nervosismo per aver raccontato l’ennesima bugia alla donna che amava più di ogni altra cosa al mondo.
-Ah ok meno male, perché tesoro…ecco vedi, non so come dirtelo…- la madre a quel punto si fece scappare un sospiro strozzato da singhiozzi dovuti probabilmente ad un pianto cessato pochi minuti prima.
-Cosa devi dirmi, mamma?- Gwen a quel punto si irrigidì e con lei anche la sua voce si fece tremante, e tutto ciò non sfuggì a Duncan che, come se captò lo stato d’animo della ragazza, si preoccupò sentendola in quel modo.
-Christian si è aggravato, Gwen. E i medici hanno accelerato i tempi entro cui dobbiamo fargli fare l’intervento...abbiamo 3 mesi di tempo.- sentendo quelle parole la ragazza, che stava camminando a passo svelto su e giù per la stanza, si immobilizzò, e le prime lacrime cominciarono a scenderle su quel volto di porcellana.
-C-Cosa?! M-Ma…come possiamo fare? Non riusciremo mai ad avere tutti quei soldi entro così poco tempo!!!- Gwen non se ne accorse, ma Duncan potette giurare di aver avvertito le pareti di quella stanza vibrare all’urlo emesso dalla sua ragazza, che si accasciò per terra non riuscendo più a trattenere le lacrime e il dolore di quella notizia. Istintivamente il punk si alzò di scatto vedendola in quelle condizioni, ma aspettò in piedi, bloccatosi al suo rifiuto.
-Va bene, non ti preoccupare, riusciremo ad averli, te lo prometto. Ti voglio bene, dai un bacio enorme a Chris.- E così dicendo Gwen riattaccò, per nulla convinta di ciò che avesse appena detto. Rimase inerme per terra, col capo chinato e il volto rigato dalle ennesime lacrime, non avendo alcuna forza di reagire. La testa le pulsava tanto, e tutte le belle sensazioni che Duncan le regalò con tanta fatica da quando mise piede in quella casa svanirono. Era persino arrivata a pensare di poter riuscire a continuare quell' ardua lotta contro il tempo a testa alta, e di vincerla, solamente sentendo il ragazzo accanto a lei, che le faceva sembrare tutto più semplice.
Ma quel giorno, in quel preciso istante, bastò una chiamata a far crollare tutte le speranze che lei aveva riposto solo grazie a lui, cadendo così nel più completo terrore.
 
E adesso? Cosa ne sarebbe stato del fratellino?
 
Come avrebbe pagato quell’intervento in così poco tempo, lei, che aveva perso anche il lavoro?
 
Se avesse potuto, avrebbe donato la sua stessa vita a Christian, pur di farla finita e di non soffrire più, talmente la stanchezza e la disperazione presero il sopravvento su di lei in maniera così repentina.
Prima o poi anche la corazza dei più duri sarebbe ceduta, e la sua si era appena rotta.
Stava di nuovo cadendo nell’oblio: la testa le girava, il cuore sembrava volesse esploderle dalla cassa toracica e le nocche delle sue mani divennero ancora più bianche della sua stessa pelle, il tutto mentre il suo corpo tremava.
Vedendola in quello stato pietoso, non appena chiuse la chiamata, Duncan si accasciò accanto a lei e senza dire nulla l’accolse tra le sue braccia, abbracciandola forte più che mai. Lei non oppose resistenza, e come se avesse appena trovato un po’ di tranquillità, scoppiò ad urlare ed a piangere come mai non fece, facendo sprofondare il suo capo tra le braccia del ragazzo.
-Mi vuoi dire cosa sta succedendo, Gwen?- chiese allora lui trattenendo la rabbia che si stava celando dentro di lui vedendo di non essere in grado di calmarla. In tutta risposta la ragazza strizzò più forte gli occhi, adoperando più forza nella stretta al suo corpo, senza però accennare ad alcuna spiegazione. A quel punto Duncan l’allontanò da sé con delicatezza, e con sguardo serio la costrinse a guardarlo negli occhi, rimanendo tuttavia straziato dalla scena che si mostrava innanzi a lui: non appena Gwen alzò il capo, potette accorgersi di quanto lei abbia pianto, e di quanto si sia torturata le labbra, che poco tempo prima si inarcarono in sorrisi e risate durate troppo poco.
-Gwen, ti prego, dimmi perché piangi, non posso sopportare di vederti così.- Quella di Duncan si rivelò essere una supplica, che la ragazza però non captò come avrebbe dovuto.
-No, n-non posso, sono fatti miei.-
Probabilmente spinta dall’esasperazione o solo semplicemente dalla rabbia, dentro di lei si accese quel pizzico di orgoglio che l’aveva sempre caratterizzata, lo stesso che colpì anche Duncan dal primo istante e che però adesso lo uccise senza pietà. Gwen si liberò da quell’abbraccio e, senza aggiungere altro, si alzò intenta a cercare i suoi indumenti, con sguardo spento ed impassivo. Il punk pareva sbalordito e con un atteggiamento che non gli si addiceva per niente, almeno non di fronte ad una donna, si alzò anche lui raggiungendola, per poi prenderla per le braccia costringendola a guardarlo in faccia.
-Eh no, ora basta, mi sono stancato! E’ da quando ho messo piede in questa casa che ho avvertito un certo mistero, ma per tuo rispetto ho sempre cercato di farmi i fatti miei, reputando che forse stavo correndo troppo e che ti sarebbe servito un po’ di tempo per fidarti di me. Ma adesso che hai appena confessato di amarmi non puoi tenermi ancora lontano dalla tua vita! Insomma, abbiamo appena fatto l’amore! Penso di averti appena ricambiato, di essere stato da sempre sincero con te!!- quelle parole gli uscirono di getto senza neanche pensarci, spinto dal rancore e dalla paura di aver frainteso tutto, anche ciò che era appena accaduto tra loro. Prese un profondo respiro e, vedendola spiazzata dalle sue urla, provò a continuare soffocando rabbia e amarezza.
-Maledizione Gwen, ho anche rischiato la vita per te, te ne sei dimentica?!  E’ davvero questo che mi merito, di non essere ancora partecipe della tua vita? Pensavo di farne parte, dopo questa notte…-.
Manteneva la presa su di lei, guardandola con quegli occhi azzurri penetranti, in cui a lei piaceva sempre perdersi e avvertire protezione, ma che in quel momento parevano due pezzi di ghiaccio spigoloso pronto a perforare i propri, se avesse potuto.
Le parole del ragazzo arrivarono acute e fin troppo chiare nelle orecchie della fanciulla che, come se si fosse ripresa da uno stato di incoscienza, riprese di nuovo a piangere, deglutendo l’amaro che avvertì improvvisamente nella sua bocca, mentre il pilastro che reggeva il suo cuoricino, quello che lui aveva salvato, si frantumò in mille pezzi, facendola sentire dannatamente male, più di quanto già non lo fosse.
Duncan aveva ragione, perfettamente, non meritava di essere trattato in quel modo, ma non aveva minimamente idea di ciò che la ragazza stava sopportando.
 
La sua vita era un inferno, e continuava ad esserlo, malgrado l’arrivo di quell’angelo di fronte a lei.
 
Nessuno poteva aiutarla, nemmeno lui.

 
 -Ti amo troppo, lo sai bene. Ma non puoi immaginare come la mia vita sia di merda. Non ne hai idea.- Armandosi di tutta la forza che le era rimasta, decise di porre fine a tutti quei misteri e sviamenti che divennero pesanti da sopportare anche per lei, che doveva vivere il tutto da sola, senza mai raccontare nulla a nessuno.
-Quando pensi di averne abbastanza, ecco che arriva il colpo di grazia, ma basta ciance. Vuoi davvero farne parte? Va bene, accomodati allora, perché a questo punto è bene che tu conosca il resto della mia vita, e ti assicuro che non è una passeggiata.- E mentre pronunciava queste parole, Gwen decise di tendere finalmente la mano sperando che, quella di colui che l’aveva appena stretta, non l’avesse mai mollata.
 
 
 
 
 
 
Angolo dell'autrice mortificata
Salve a tutti,
vi ricordate di me, vero? VERO?! T.T
Probabilmente avrò perso tutti coloro che mi stavano seguendo, e probabilmente adesso mi starete prendendo per parolacce...e avete ragione, completamente.
Lo so, non è normale aggiornare una storia dopo circa un anno. Sicuramente molti di voi si saranno andati a spulciare nuovamente i capitoli precedenti, non ricordando giustamente nulla, e di questo sono amaramente dispiaciuta.
Per cui, vi voglio chiedere scusa, dal profondo del mio cuore, per essermi assentata per così tanto tempo, ma ho le mie ragioni.
Ma se adesso sono tornata, è perchè io non lascio mai le cose a metà.
Potete dirmi qualsiasi cosa, ma l'unica cosa che non potete dirmi è che sono una bugiarda: avevo detto che la storia sarebbe continuata, e così sarà, perchè non è giusto nei confronti di tutti coloro che ci hanno creduto e si sono appassionati e, perchè no, anche per coloro che l'hanno scoperta proprio adesso.
Beh, non mi resta altro che sperare di aver fatto un buon lavoro e di essere stata perdonata.
Credetemi, non era assolutamente mia intenzione abbandonare la storia, proprio adesso che si sta infittendo!
Ci saranno tanti colpi di scena, per cui continuate a seguirmi, non ve ne pentirete.
 
Malgrado ho i miei impegni tuttavia, continuerò ad aggiornarla, e no, non sarà di nuovo un anno il lasso di tempo da aspettare ;)
 
Spero di leggere qualche vostro parere, a presto!
 
P.S: Non so se ve lo ricordate, ma non temete, ve lo ricordo io :D
Se siete appassionati di disegni, visitate la mia pagina riguardante A Tutto Reality: ho una galleria di disegni fatti interamente da me, a questo LINK!
Date un occhiata se volete, sarei felice di sapere cosa ne pensate :3
 
Dalhia_Gwen
 

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Capitolo 10
*** -Chapter 1O ***


 
You're my dream come true
 
 
Chapter 10

 
 
 
Dolore.
Angoscia.
Sensi di colpa.
Tutto in un unico momento, e racchiusi nella stessa stanza.
 
Duncan ascoltò il triste racconto di Gwen col cuore in gola, impressionato dalle raccomandazioni che la ragazza fece poco prima, senza mai intervenire o farle perdere il filo, ma con un peso all’altezza del torace che si intensificava ad ogni parola da ella pronunciata.
Fuori pioveva in maniera insistente, e per questo motivo circolavano poche auto. Tutto intorno a loro sembrava tacere di fronte alla storia della ragazza, che aveva oramai perso ogni minima forza di combattere, vedendo tutto avverso nella sua vita.
E più cercava di andare avanti nel modo migliore, più sembrava che il destino volesse contrastarla, fino a quel colpo di grazia.
 
Il ticchettio della pioggia contro le vetrate di quella stanza, scandivano quegli attimi in cui lei prendeva fiato e coraggio per continuare, mescolandosi con le lacrime che man mano nascevano e ricadevano sul suo viso.
Il punk non riusciva a dire nulla, ogni volta che tentava le sue parole gli morivano dentro, reputando qualsiasi cosa potesse dire inappropriata per il momento.
 
- Ecco, questo era il tassello della mia vita che ti mancava, quello che io avrei preferito di gran lunga non farti sapere… -.
Finito il racconto, calò un silenzio tombale, a volte smorzato dai singhiozzi di Gwen, che nel frattempo aveva consumato la manica del felpone nero che era solita indossare, quando era a casa, con le lacrime che non cessavano di cadere. Anche la pioggia finì, ma del tempo nessun miglioramento, così come in quel appartamento.
Duncan continuava a guardare la sua dolce metà inerme di fronte a lui, con le gambe incrociate e il capo chinato, entrambi seduti sul letto, mentre cercava di far calmare rabbia e frustrazione che diventarono protagonisti nella sua mente durante il racconto raccapricciante. Stringeva i pugni, raccogliendo le lenzuola tra essi e rilasciandole quando avvertiva abbastanza dolore all’interno dei palmi delle sue mani.
 
Perché? Perché il destino doveva esserle tanto avverso?
 
Lei non meritava tutto quel dolore, e non meritava nemmeno la sua scenata.
Provava ammirazione, tuttavia, nei confronti di lei, così minuta e così tanto forte.
Era un paradosso, un contrasto che non reggeva.
Eppure esisteva, e ce lo aveva di fronte.
Sapeva che Gwen fosse speciale, in tutti i sensi, e adesso poteva giurarci di non averlo mai messo in dubbio.
Lì si rese conto di avere di fronte una roccia, una piccola ma grande roccia che stava vivendo tutte le intemperie possibili, e con la constatazione di essere rimasta sempre in piedi.
 
In piedi, ma non immune.
 
Infatti, poteva chiaramente avvertire il suono dello sgretolamento all’interno di lei, che avrebbe ceduto di lì a poco, se nessuno sarebbe arrivato in suo soccorso a sorreggerla.
Ed eccolo lì, il suo sostentamento, era proprio di fronte a lei.
Adesso che Duncan sapeva tutta la sua storia, che ha vissuto e che continua ancora a vivere, sentiva la responsabilità di proteggerla e di aiutarla.
 
Avrebbe fatto qualsiasi cosa, ma proprio qualsiasi...
 
- Scusami, scusami davvero per averti depresso in questo modo. Faccio a tutti lo stesso effetto, e li allontano senza accorgermene… - disse dopo qualche minuto di silenzio Gwen, non vedendo in lui alcuna reazione, tentando invano di abbozzare un sorriso ed ottenendo una smorfia.
Ma il ragazzo continuava a non proferire parola, mentre con lo sguardo vispo la squadrava e cercava di prendere quel coraggio necessario per smorzare quell’atmosfera diventata impossibile ancora da sopportare.
- Gwen, ascoltami… - iniziò allora lui, con voce seria, avvicinandosi a lei e prendendole delicatamente le mani, per poi baciarle.
- So che in questo momento nulla può farti stare meglio, neanche le parole, ma volevo dirti che mi spiace, per tutto. Ho sbagliato, ho peccato di presunzione, pensando di avere il diritto di sapere ogni cosa di te, non immaginando minimamente che dietro alla tua piccola e dolcissima figura si nascondeva un passato ed un presente orribili. Perdonami. – mentre parlava, il ragazzo l’aveva avvicinata sempre più a sé, coccolandola, depositando poi sul suo capo un piccolo bacio, che lei avvertì come necessità vitale. Ma dopo aver fatto ciò, la costrinse a guardarlo negli occhi, opprimendo la voglia di piangere anche lui.
- Ma non posso assolutamente permettere che tu continua a lavorare in quello schifo di locale, perché è lì che eri diretta, non è così? – lei, che aveva tanto bisogno di avvertire protezione, la trovò in quegli occhi dalle iridi di un colore azzurro tendente a quello dell’oceano. Ogni volta che li guardava, si sentiva travolta da una pace e da una tranquillità devastanti. E in quel momento, più che mai, sentiva di poter esserne al sicuro. Quando si rese conto di essersi persa nei suoi sogni, per l’ennesima volta e solo per colpa sua, sorrise imbarazzata e velocemente annuì, seppur debolmente.
Duncan avvertì perdere un battito, quando la vide finalmente sorridere, un sorriso rivolto esclusivamente a lui, e fu lì che trovò altra forza per continuare.
- Voglio che tu denunci quel bastardo, lui e tutta la sua razza. – quasi parve un ordine, il suo, talmente penetrante fu il suo sguardo. Gwen rimase con la bocca semichiusa, e sbattè più volte le lunghe ciglia.
- P-Perché…? –
- Perché quel figlio di puttana deve pagare per quello che ti ha fatto. – a quelle parole lei abbassò lo sguardo, divenuto cupo, ma il punk non si fece intimidire, e con altrettanta sicurezza la costrinse di nuovo a guardarlo.
- Non sei sola Gwen, non più. Devi capire che io ho preso una decisione, quella di stare con te. Con un passo alla volta si sistemerà tutto, insieme. Ti fidi di me? – le chiese poi baciandole la fronte. A quel contatto Gwen poté giurare di sentir librare la propria anima, e il proprio cuore trovare di nuovo un sostentamento.
- Mai avuto dubbi. – rispose, senza alcuna esitazione, con gli occhi umidi.
- Brava, piccola. Ti amo. – le disse, per poi avvertire il buon sapore delle labbra della gotica, tornata di nuovo a sorridere. Dopodiché si vestirono, ed insieme andarono verso la loro prossima destinazione: il commissariato.
 
Arrivati davanti l’edificio, il punk parcheggiò l’auto nell’area apposita, non nascondendo un certo fastidio.
Conosceva bene quel posto, Duncan, non era la prima volta che lo frequentava, ma ogni volta che lo faceva la sua mente veniva travolta da ricordi spiacevoli.
 
Quanti sbagli aveva fatto nella sua vita, quante volte si era legato a persone sbagliate che lo misero nei guai.
 
E malgrado la giustizia, si dicesse, fosse la miglior arma contro i torti subiti, lui non era affatto d’accordo.
Anche la giustizia aveva dei limiti, e lui lo sapeva bene: per questo dovette ricorrere a metodi “alternativi”, talvolta pericolosi, per salvare lui e anche altre persone.
 
Ed era per questo motivo che era lì, di nuovo, non certo per la denuncia.
 
Mentre era assorto nei suoi pensieri Gwen, che avanzava insieme a lui con una mano intrecciata a quella del punk, si guardava intorno spaesata.
Al contrario del suo ragazzo, la fanciulla non era mai entrata in un posto simile, né tantomeno ci teneva a frequentarlo.
 
Entrarono così in commissariato, squadrati da occhi curiosi di uomini in divisa: alcuni erano affaccendati nell’amministrazione, alcuni facevano semplicemente capolinea nei lunghi corridoi, probabilmente a causa di un’operazione in corso, altri ancora erano i soliti nulla facenti. Intanto Duncan non li degnò nemmeno di uno sguardo, li conosceva tutti oramai, e con fare esperto si muoveva in quel luogo che tanto odiava con una certa fretta, cosa che non sfuggì a Gwen.
- Amore, ma conosci già questo posto? – chiese lei con voce bassa, non prima di essersi stretta con maggior forza a lui.
- Lunga storia Dolcezza, devo solo trovare… - le rispose senza staccare gli occhi cristallini dai corridoi, mentre la sensazione di non trovarlo cominciò a balenargli in testa. Ma proprio quando stava per tornare indietro, ecco che lo vide.
- Alejandro! Ehi! -  lo chiamò, scostando alcune persone che gli si paravano davanti.
Dopo essere stato incitato anche da alcuni compagni, il ragazzo in questione, che in quel momento era in pausa caffè, volse lo sguardo là dove si sentì chiamato, per poi sgranarlo.
 
Non poteva crederci, non poteva essere lui…
 
- D-Duncan?! -  domandò sorpreso il ragazzo dalla carnagione scura, posando il suo caffè caldo sulla macchinetta. Nel frattempo i due fidanzati lo raggiunsero, parandosi davanti.
- Già, in carne ed ossa, amico! – esclamò il punk, sorridendo beffardo.
- Chi non muore si rivede, eh Duncan? -  chiese il poliziotto sogghignando.
Dopo uno sguardo d’intesa, del tutto ignaro alla fanciulla, i due scoppiarono a ridere, per poi scambiarsi un caloroso abbraccio, in nome della loro vecchia e profonda amicizia.
Il poliziotto, Alejandro Burromuerto, era un ragazzo di origini spagnole, trasferitosi a New York all’età di dieci anni, per seguire il padre a seguito di una separazione, ed era soprattutto grande amico di sventure del punk. Il loro incontro fu particolare, dettato più che altro da un destino comune che purtroppo, all’epoca, non era roseo per nessuno dei due. Si parla infatti di adolescenza, che spesso e volentieri porta ad azioni incoscienti e incoerenti, finendo poi in guai più grossi di loro.
- Cazzo, da quanto tempo che non ti vedo? Secoli? – chiese lo spagnolo in maniera scherzosa, dando una pacca sulla spalla al compagno, che sorrideva malinconico.
- Da troppo tempo, lo so. – annuì l’altro, passandosi una mano tra i capelli colorati, ma oramai Alejandro era intento a guardare qualcos’altro, o meglio qualcuno, che si trovava accanto al suo amico d’infanzia.
- E tu? Come ti chiami hermosa chica? – chiese, mostrando il suo sorriso mozzafiato, rapito dalla bellezza della compagna che Duncan teneva gelosamente avvinghiato a sè, con l’intento di fare breccia in lei col suo accento spagnolo che non l’aveva mai deluso. D’altro canto Gwen non sembrò avvertire proprio nulla, anzi, in un primo momento rimase impassiva, e proprio mentre stava per dire qualcosa, il punk rispose al suo posto.
- Non ci provare, mio caro dongiovanni dei miei stivali. Lei è proprietà privata del sottoscritto. -  chiarì velocemente Duncan, indicandosi, abbastanza infastidito da quel suo lato da predatore di donne che constatò non aver mai perso.
Nemmeno mettendo la testa a posto con un lavoro del genere.
Intanto Gwen sentì le gote prendere letteralmente fuoco, e per l’imbarazzo cominciò a giocherellare con una ciocca di capelli colorata, mentre Alejandro indietreggiò alzando le braccia in segno di finta innocenza.
- Comunque... – riprese il punk, non prima di volgere uno sguardo innamorato verso la fidanzata, che ricambiò timida.
- Sono venuto qui perchè Gwen deve sporgere una denuncia. A chi ci dobbiamo rivolgere? – chiese in tono serio Duncan.
- Dovete andare in quella stanza, e chiedere di Brick. – li informò allora lo spagnolo, tornando in sè.
A quel punto Duncan congedò l’amico e riprese a camminare, accompagnando così Gwen di fronte ad una scrivania, dietro la quale vi era un ragazzo dall’aria molto curiosa: egli infatti consultava e riconsultava documenti presi da pilastri di fogli innanzi a lui, dando l’aria di non capirci nulla, e non rendendosi conto di avere due presenze di fronte a lui che lo guardavano stranito.
Il punk roteò gli occhi spazientito, constatando di avere l’ennesimo imbranato a svolgere un lavoro che non gli si addiceva per niente. Si schiarì allora la voce, facendo sobbalzare il poliziotto.
- Oh buongiorno! Cosa posso fare per voi? – chiese in maniera cordiale e un po’ impacciata Brick, facendo spazio sulla scrivania.
- La ragazza deve fare una denuncia. – rispose Duncan, per poi guardare Gwen negli occhi sorridendola, ed incitarla a sedersi.
A quel punto il poliziotto stava per prendere un’altra sedia per fare posto anche al ragazzo, ma si fermò nel momento in cui lo vide accovacciarsi innanzi alla fanciulla seduta.
- Bambolina, racconta tutto quello che è successo per filo e per segno, senza paura. Io intanto ti aspetto fuori, ho bisogno di fumarmi una sigaretta. Mi raccomando, mh? – la rassicurò lui accarezzandole il viso, per poi congedarla con un dolce bacio sulle labbra, gesto che imbarazzò persino il poliziotto.
 
Una volta ritrovatosi fuori da quella stanza, cercò nuovamente il compagno e lo trascinò all’aperto, con la scusa di rimembrare i vecchi tempi.
- Allora, amigo, come vanno le cose? – chiese l’ispanico, guardando in direzione del punk e riducendo gli occhi ad un’unica fessura per via dei raggi luminosi del Sole.
In tutta risposta, Duncan estrasse un pacchetto di sigarette e ne prese una, invitando l’amico a fargli compagnia.
- No, non posso fumare in servizio, lo sai… - disse con rammarico Al, guardando con un tantino di invidia il compagno che con molta teatralità se la portò alla bocca e l’accese.
- Peggio per te, io ne ho bisogno. – confessò Duncan, aspirando e gettando una nuvola di fumo, guardando la strada di fronte a lui. Al lo guardò di sottecchi, ghignando.
- Sei di nuovo nei guai, eh? – gli domandò, quasi divertito.
- Non io, la mia ragazza. E tu devi aiutarmi. – incastrò i suoi occhi chiari in quelli verdi smeraldo del poliziotto, e subito un brivido lo percorse lungo tutto il corpo dello spagnolo.
- Duncan, lo sai che io non… - ma il punk scosse spazientito il capo, parandosi di fronte a quello che, tempo addietro, era considerato un delinquente agli occhi della polizia.
- Forse non ci siamo capiti Al: non era una domanda, era un ordine. – prese una nuova boccata, e stavolta se ne liberò investendo il compagno, che in tutta risposta tossì.
- Da ora in poi, devi osservare con attenzione un locale, un certo “Charlie's Pub”, e quel gran bastardo del proprietario. Lì Gwen ed altre ragazze lavorano come cameriere, e sono costrette ad indossare indumenti indecenti, con la scusa di fare anche altri tipi di servizi. Prima che io lo ammazzi con le mie stesse mani, ho bisogno che tu lo incastri. Deve chiudere il locale e rimanere con senza neanche un soldo, e deve scontare quello che si merita, e visto che io non posso farlo, chiedo l’aiuto alle “forze dell’ordine”. – spiegò lui determinato, non risparmiandosi però l’ironia nei confronti dell’arma. L’altro lo guardò, per poi sospirare.
Era ovvio che Duncan non aveva bisogno della Polizia per fare giustizia, ma era altrettanto normale che lui non aveva alcuna intenzione di passare un altro solo minuto in quelle schifose celle.
- La tua ragazza sta facendo una denuncia, aspetta almeno che la Polizia prenda in considerazione il verbale e… - non fece neanche in tempo a finire la frase che il punk scoppiò a ridere, piagandosi addirittura in due dalle risate.
- Mio caro Al, questa era proprio forte, sai?! Quanto tempo dobbiamo aspettare perché lo faccia? Sappiamo come va la burocrazia...Nel frattempo quello stronzo avrà già spostato il suo culo in un’altra nazione, scomparendo anche tra i radar dei militari dell’Area 51… Non mi prendere in giro Al, non me lo merito, o devo forse ricordarti che mi devi un favore, amigo?  - lo canzonò Duncan, mettendolo con le spalle al muro. A quel punto lo spagnolo venne spiazzato, sentendo il fiato smorzarsi ad ogni ricordo che piano si faceva largo nella sua mente.
Ebbene sì, Alejandro aveva un conto in sospeso con Duncan. Era solo grazie a lui se adesso era in quel posto, a lavorarci. Per come era destinato, all’epoca, doveva ritrovarsi in una putrida cella a scontare ben quindici anni, a causa di azioni non compiute da lui, almeno non direttamente. Sì, perché il ragazzo fu incastrato ed incolpato di rapina a mano armata, e se non fosse stato per il punk che, malgrado fosse anche lui all’interno della faccenda come complice, testimoniò a suo favore, lo spagnolo si sarebbe trovato ancora in carcere. Non fu una cosa semplice, poteva rimetterci anche lui, ma nonostante tutto Duncan preferì rischiare per l’amico, salvandogli così la vita. La questione si chiuse lì, infatti, per entrambi, non essendoci state abbastanza prove che potevano affermare il contrario.
 
Deglutì rumorosamente, mentre un sapore amaro si fece largo nella sua bocca.
Era il sapore della paura e della consapevolezza che, per il gesto fatto a quest’ora, in quella divisa da poliziotto, doveva esserci Duncan, non lui.
 
- No, ricordo benissimo del favore da ricambiarti. Mi hai salvato le chiappe, e di questo te ne sarò grato per sempre. – parlò dopo attimi di silenzio Al, tornando a guardare negli occhi il punk.
- Conta su di me. – terminò infine, facendogli l’occhiolino.
- Grazie, davvero. – il punk sorrise, per poi abbracciare fraternamente l’amico.
 
Nel frattempo, uno strano tizio incappucciato e dall’aria minacciosa, spiava ogni singolo movimento dei due piccioncini, ed ora era anche lui davanti la caserma, ad osservare dentro ad una vettura, strofinandosi le mani vittorioso.
- Bene bene, le cose cominciano ad andare nel verso sbagliato per il “Charlie's Pub”. Bravo Mal, vediamo cosa ne pensa la padrona Courtney… -.

 
 
 



Angolo dell'autrice
 
​Ehilà miei cari!
Come state? Spero elettrizzati, dopo questo nuovo capitolo! ;)
Cosaa vi avevo detto? Avrei aggiornato MOLTO prima, regalandovi un capitolo ancora più lungo :D
La storia va avanti, e le cose si complicano. Ho introdotto Alejandro e Brick, che ve ne pare?
E...Mal, con la sua padrona...ahah ne vedremo delle belle!
Beh spero che l'aggiornamento sia stato di vostro gradimento, e malgrado siate davvero pochi a seguirmi, mi auguro che possiate apprezzare lo sforzo che sto compiendo.
Bene, allora aspetto le vostre considerazione...a presto!
 
Dalhia_Gwen
 

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