Bakers'Chronicles: Le esilaranti avventure di Devon e Zachary Baker.

di Devon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Before the story begins... ***
Capitolo 2: *** Save me ***



Capitolo 1
*** Before the story begins... ***


Zacky.
 

Posso dire di aver vissuto i tre anni e mezzo migliori della mia vita prima che Devon arrivasse in casa Baker. Prima conducevo una vita fantastica, se non meravigliosa: tutte le attenzioni, i regali e le coccole andavano a ME, non dovevo dividere NIENTE con NESSUNO e non dovevo passare notti in bianco a sentire lei che piangeva o a sorbirmi le moine che le facevano i miei genitori.
Ancor prima di vedere quella bestia con gli occhi di ghiaccio tra le braccia della mamma, realizzai che la mia vita, con l'arrivo di una sorella, non sarebbe stata mai più la stessa. Sorellina uguale cambiamento.
I miei genitori me la mostravano quasi con prepotenza, come a voler dire "Adesso che siete in due te le scordi tutte le attenzioni che ti abbiamo dato fino ad oggi".
Anche se devo riconoscere che Devon era una neonata molto tranquilla. Frignava raramente, per essere una femmina. Ma quando lo faceva, diventava insostenibile.
Ma oltre questo, nessuno si sarebbe accorto che ci fosse una neonata in casa, se non fosse stato per le continue moine di mamma e papà.
Avevo la nausea solo a guardarli. Erano ridicoli. Penso che da questo si possa facilmente dedurre il perché della stupidità di molte persone. Insomma, con tutti quei "gnegné" si aspettano che i loro figli crescano intelligenti? Ebbene sì, signori miei, i figli sono lo specchio dei genitori. Poi ci sono casi in cui i genitori danno la giusta educazione ma il figlio fa comunque di testa sua. Comunque, atteggiamenti simili a quelli dei miei genitori, non aiutano certo un bambino a crescere nel modo giusto. Però, i miei genitori tutto sommato sono delle persone apposto. Mia sorella è un po' nevrotica, d'accordo, ma quale ragazza non lo è?
Inutile dire che poi, dopo l'infanzia, o ancor prima, con un quarto arrivo in casa, sparisce tutto. I genitori non hanno più tempo per te, c'è qualcuno o qualcosa di più importante a cui dedicare attenzioni adesso; tu non servi più a niente, pussa via, sciò!
Questo ti stanno dicendo implicitamente. E tu lo capisci, perché non sei stupido.
Ecco, io mi sentivo esattamente così.
Ma questa faccenda non poteva durare in eterno. Sapevo che le cose di lì a poco sarebbero cambiate.
Restava comunque il fatto che Devon fosse più piccola di me, e che di conseguenza venisse privilegiata. Secondo mamma e papà c'erano molte cose di cui io avrei potuto fare a meno e che per mia sorella erano assolutamente indispensabili.
Abbi pazienza Zack, tu sei più grande!
Questa è la frase che ripetono più spesso gli adulti quando ti lamenti di questo tipo di ingiustizie. Feci giustamente notare loro che la differenza di età si fermava ai tre anni e che quindi non aveva nessun senso privilegiarla in questo modo, e se anche avessero voluto privilegiarla avrebbero potuto evitare di sminuire me.
Ma niente, gli adulti capiscono solo ciò che gli conviene.
Ma tanto le cose sarebbero cambiate, oh sì. Io me ne sarei andato da quella casa e loro sarebbero venuti in ginocchio a chiedermi scusa e a implorarmi di tornare a casa. Ma io non ci sarei tornato ugualmente.
Sarebbero stati tutti più felici senza di me. Avevano Devon ormai, non avevano più bisogno di me.
Il resto dei parenti non aveva occhi che per lei. La idolatravano continuamente, ripetendo ininterrottamente quanto fosse bella, dolce, adorabile e, in qualche modo, migliore di me.
Già che c'erano, avrebbero potuto metterla su un altare e adorarla in ginocchio. Adulti idioti.
Iniziavo a sentirmi inutile, così provai un paio di volte a togliere il disturbo, ma dentro di me sapevo che non sarei potuto andare troppo lontano.
Accadde qualche giorno dopo il mio compleanno. Quell'undici dicembre realizzai che la situazione mi era sfuggita di mano.
Mesi prima della nascita di Devon i miei genitori avevano promesso di portarmi al Luna Park, ma alla fine non ce n'era stata la possibilità, quindi pensarono ad un party in giardino con i miei amici dell'asilo. E a me sarebbe andato benissimo ugualmente.
NO, invece. Perché gli adulti quando vogliono sanno essere dei fottuti imbecilli. E da imbecilli mi organizzarono una festicciola tra PARENTI nel cortile, con un sole che spaccava le pietre (io ODIO il sole), un'insulsa torta alle fragole (io ODIO le fragole), qualche festone e, ciliegina sulla torta, i CLOWN. Evidentemente pensavano di farsi perdonare con questo gesto.
NO, INVECE. Io odiavo i clown. DETESTAVO i clown. Molti anni dopo ne bruciai uno, ma è un'altra storia.
Che senso aveva l'esistenza dei clown? Di pagliacci ne vedevo ogni giorno, primi tra tutti i miei genitori quando cercavano di fare i fighi.
Erano brutti, troppo colorati e tutt'altro che divertenti. Non mi facevano ridere, proprio per niente. E non mi facevano neanche pena le loro espressioni deluse quando se ne accorgevano.
Comunque anche a Devon non piacevano i clown, solo che lei lo manifestò piangendo, frignando e sbavando sul vestitino nuovo, perché ancora non sapeva parlare, e solo allora i miei genitori pensarono di mandare via quei tre bambocci. Aspettavano che si lamentasse la loro figlia prediletta prima di prendere in mano la situazione?
Insomma, in quel momento decisi che avrei dovuto fare qualcosa. Così provai a scappare di casa.
Tre volte.
La prima volta restai incastrato sotto la saracinesca e ci vollero le braccia di papà (e venti minuti) per tirarmi fuori.
La seconda fui fermato dalla vicina impicciona e mi beccai due bei ceffoni da mia madre.
La terza non riuscii ad andare oltre il benzinaio perché mi addormentai sul marciapiede (e anche qui mi presi i due ceffoni).
In quella decisi di rinunciare e iniziai a pensare di non essere io, il problema. Era mia sorella, il problema. Mi illudevo del fatto che, se mi fossi sbarazzato di lei, tutto sarebbe tornato come prima.
Questa la dedico a tutti quelli che dicono "ah, ma i bambini sono innocenti, non sono stronzi e cattivi come gli adulti!".
Mi dispiace dover sfatare un mito, ma dovrete iniziare ad abituarvi ai bambini che all'età di tre/quattro anni progettano di far fuori la propria sorellina.
Insomma, quel mattino Devon stava giocando in bagno con la MIA macchinina. Mia madre era andata a prendere la biancheria da lavare e aveva lasciato l'oblò della lavatrice aperto.
Lì ebbi un'illuminazione. Le faccio un bel bagnetto, con ammorbidente e tutto, e non se ne parla più, pensai.
Così mi avvicinai a lei, la presi in braccio e la sistemai per bene dentro la lavatrice ancora vuota.
Adesso dovevo solo chiudere l'oblò e azionarla. Non c'era voluto tanto.
-ZACKY, SEI IMPAZZITO?
Come volevasi dimostrare. Dovevo immaginarlo, che c'era la fregatura.
-Volevo solo lavarla - mi giustificai più tardi, ma ovviamente non servì a nulla.
Probabilmente mamma e papà iniziarono a dubitare della mia salute mentale, perché andarono a parlare con la mia pediatra e perfino con uno strizzacervelli, ma nessuno dei due mi diagnosticò disturbi mentali di nessun genere. Si trattava di una fase di ribellione, ero solo geloso della mia sorellina, tutto qui. I miei genitori dovevano solo fare in modo di farmi sentire meno solo e più ben voluto possibile, dovevano dimostrarmi di volermi bene quanto ne volevano a Devon. Peccato che non ci siano mai riusciti.

 

Comunque non mi persi d'animo. Feci passare un po' di tempo prima di passare nuovamente all'attacco. Avevo bisogno di prendermi un periodo di riflessione per decidere bene come agire. Tutto andava progettato alla perfezione, in quanto si trattava del mio ultimo tentativo. CE LA POTEVO FARE.
Un pomeriggio dei tanti, nostra madre ci portò al parco a fare due passi, spingendo Devon col passeggino e tenendo me per mano.
Poco dopo incontrò un'amica e le due iniziarono a ciarlare, come d'abitudine. Donne. Mia madre era così presa dalla conversazione da non accorgersi di me, che mi avvicinavo al passeggino, a pochi metri del quale c'era un pendio. Lì ebbi un'illuminazione: perché non far divertire un po' la mia sorellina?
Senza indugiare oltre, mi misi alla guida del passeggino, presi la rincorsa e lo rilasciai lungo la discesa. Prese subito velocità.
Un sorriso vittorioso comparve sulle mie labbra. Ora che il lavoro era stato fatto potevo anche....
-OH CRISTO SANTO, DEVON!
...andarmene.
Mia madre iniziò a perdere colore.
Si precipitò immediatamente laggiù, seguita da me.
A quanto pare Devon non aveva ancora terminato il suo percorso: durante la sua corsa travolse due vecchietti e un cane, rovesciò un cestino da picnic e una bottiglia di aranciata e investì un bambino (che poi scoprii essere Brian).
Ovviamente la maggior parte degli adulti là fuori non attribuirebbe mai la colpa a un bambino di quattro anni. Mia madre sì.
Lei lo sapeva. Lei sapeva tutto.
Riuscì a fermare il passeggino poco prima che finisse il suo percorso in strada.
-Dio santo - sospirò, esausta -stai bene, tesoro? Eh? Stai bene?
Come se potesse ricevere risposta. Quanto a Devon, era fin troppo tranquilla. Non aveva neanche un graffio, ma mia madre insistette per farla controllare.
Io intanto, per concludere in bellezza la giornata, ricevetti una ramanzina di un'ora e due belle sberle. Mio padre non disse nulla, si limitò a sospirare.
Secondo tentativo di sbarazzarmi di mia sorella: fallito.
A questo punto decisi di arrendermi.
Me ne feci una ragione, sì. E poi in fin dei conti non era così male convivere con Devon, era un po' rompicoglioni ma tutto sommato sopportabile.
Iniziai a volerle bene. Era ed è ancora oggi la versione femminile di Zacky Vengeance. Uguale precisa identica a me. Non si può non voler bene a una creaturina del genere. Quando mi ci mettevo ero veramente cattivo con lei, ma guai a chi me la toccava.
Ricordo ancora quando, sempre al parco, Jimmy e un suo amico avevano provato a toglierla dal passeggino e mi ero incazzato come una bestia. Vi dirò solo che non li vidi più per ANNI. Ancora oggi mi stupisco dell'autorità con la quale mi imposi nei loro confronti, soprattutto considerando che Jimmy era più grande di quasi un anno e mi aveva sempre fatto un po' paura.
A Devon tenevo sul serio, e ci tengo molto ancora oggi.
A lei devo la scoperta della vagina e della chitarra acustica.
Verso gli otto anni, però, iniziai a non volerla più tanto in mezzo ai coglioni. Ora avevo i miei amici, a che mi serviva una sorella?
Soprattutto, come potevo pretendere di fare nuove amicizie se mi portavo lei sempre dietro?
Le sorelle (soprattutto quelle più piccole) rompono, e fanno sempre la spia.
Quando a dodici anni provai la mia prima sigaretta fui costretto, dico COSTRETTO, a darle più della metà dei miei risparmi perché non lo dicesse a mamma e papà.
Ripresi a fumare seriamente due anni dopo, e da lì non smisi più.
Decisi però di tenere mia sorella lontana dal fumo, almeno per qualche anno. Non volevo che mandasse affanculo la sua salute solo per imitare i più grandi.
Dovevo sempre fare attenzione che non trovasse il pacchetto da qualche parte e provasse a fumare, o lo nascondesse, o lo portasse a mamma e papà.
Non volevo guai.

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Capitolo 2
*** Save me ***


Devon.

Adolescenza. Un modo carino per definire l'Inferno. Non so voi, ma la mia adolescenza è stata un Inferno, se non peggio. I miei genitori erano presenti solo quando si trattava di rimproverarmi, di mettermi in punizione o di costringermi a partecipare a cene di famiglia e ad andare in Chiesa, mio fratello non c'era mai e io non riuscivo a relazionarmi con i miei coetanei. Parlavo sempre con persone più grandi di almeno due anni. Con gli altri era impossibile instaurare un qualche rapporto, perché mi consideravano una "strana" e scoraggiavano ogni mio tentativo di fare amicizia.
Mi sono sempre sentita un'emarginata, e non parlo solo della scuola. Gli altri bambini tendevano a escludermi dai tempi delle elementari. Non so perché.
Ai tempi del liceo non ero esattamente lo stereotipo della cheerleader bionda e popputa, ma neanche della sfigata col naso ficcato sempre sui libri. Facevo parte di quella categoria di persone a metà strada tra l'in e l'out che non piacciono a nessuno.
Non avevo una classe di appartenenza. Ero semplicemente me stessa. Forse è proprio per questo che non piacevo a nessuno.
Spesso e volentieri guardarmi allo specchio mi disgustava. Le altre ragazze sembravano così belle, così sicure di sé rispetto a me. Perché io non ero bella quanto loro?
Avevo poca autostima e, quel che è peggio, nessun amico.
Ero sola. ERAVAMO sole, io e la musica; noi due contro tutti gli altri.
Per questo mi capitò spesso di essere presa in giro.
Si raggruppavano, mi accerchiavano e iniziavano a sfottermi, a ridermi in faccia, a darmi spintoni, a umiliarmi. E se per caso cercavo di andarmene, loro mi seguivano. Ovunque andassi. Io non reagivo. Mi sentivo totalmente impotente. Facile prendersela in quattro o cinque contro una persona sola. Non sapevo come rispondere alle loro provocazioni e se anche ci fossi riuscita ero sicura che mi avrebbero picchiata, se non addirittura qualcosa di peggio. Per quanto mi sforzassi di ignorarli, le loro parole mi facevano male. Mi irritavano.
Mi diedero della sfigata, della troia, della lesbica, della racchia e chi più ne ha più ne metta. Mi prendevano in giro per il colore dei miei capelli, per il mio abbigliamento, per come mi truccavo e per la musica che ascoltavo.
Perché se la prendevano sempre e solo con me? Cos'avevo fatto?
Dopotutto ero solo una ragazzina. Con poca autostima, qualche brufolo di troppo, le unghie tutte mangiate e il trucco sempre sbavato. Tutti fattori che hanno contribuito a rendere parte della mia vita un Inferno. Non riuscivo a mettermi in testa il fatto che non fossi inferiore a nessuno e che sarei dovuta andare avanti senza curarmi di quei quattro o cinque gatti che si divertivano a vedermi a pezzi.
Non so quante volte avrò trattenuto le lacrime (loro facevano battute anche su questo) davanti alle loro cattiverie. Ridicolo. Io ero ridicola. O, più semplicemente, molto fragile.
Tuttavia, non abbastanza da essere distrutta. So benissimo di non essere stata la prima né l'ultima vittima di bullismo, e ho avuto modo di accorgermi che diversi adolescenti iniziano ad avere disturbi alimentari, diventano autolesionisti o, peggio, arrivano a suicidarsi. So quanto può essere terribile, capisco perfettamente la loro disperazione. Ma, stranamente, io non ho mai avuto di questi problemi. Mi volevo troppo bene per pensare anche solo lontanamente di farmi del male.
Ricordo ancora tutto distintamente, come se fosse successo solo ieri, e non sono ancora riuscita ad accettarlo. Se solo ci ripenso, mi viene la nausea. Che mi piaccia o no, devo convivere con questa cosa e portarmela dietro per sempre.
Non ne parlai mai con nessuno. Né con Zacky, né con i miei genitori. Mi vergognavo troppo. Loro non avrebbero capito; mi avrebbero considerato una debole, un bersaglio facile. Sotto molti aspetti lo ero.



Huntington Beach, estate 1997.

-Suonano alla porta! Vai tu, Dev.
Sbuffai. Mio fratello sceglieva sempre i momenti meno opportuni per chiudersi in bagno. Iniziavo a pensare che lo facesse apposta per non andare ad aprire la porta o a rispondere al telefono.
-Arrivo - esclamai, andando ad aprire senza troppo entusiasmo.
Quella che mi ritrovai davanti fu una scena piuttosto buffa.
In piedi davanti a casa c'erano due ragazzini dell'età di mio fratello, ma di gran lunga più alti. Indossavano entrambi t-shirt extra large nere dei Pantera e dei Metallica e calzoni beige al ginocchio. Quello più alto era biondo ed era tutto preso a scaccolarsi mentre aspettava che qualcuno aprisse. Il moro guardava in aria e dondolava da una parte all'altra come un bambino di cinque anni annoiato.
Appena mi videro sgranarono gli occhi e cercarono di ricomporsi.
Il biondo schiodò l'indice dal naso e ridacchiò imbarazzato, scambiandosi un'occhiata con l'amico.
Roteai gli occhi. Ci mancavano solo questi due idioti.
-Desiderate? - domandai, in tono sarcastico.
-Ciao - mi salutò il bruno, accennando un sorriso e mostrandomi le fossette -io sono Matt e lui è Jimmy. Siamo amici di tuo fratello, è in casa?
Certo, dovevo immaginarlo. Chi altro avrebbero dovuto cercare, sennò?
-Sì, è in bagno, spero per voi che non ci metta il tempo che impiega di solito. Se volete entrare... - mi feci da parte.
-Oh, certo. Grazie - Matt entrò seguito da Jimmy, che sollevò le sopracciglia ed esordì con un "Salve!" prima di lanciarsi letteralmente sul divano.
-Cazzo, questa casa è uno sballo! - esclamò, mentre l'amico ridacchiava.
Ringraziai il cielo che non ci fossero i miei genitori. Col piffero che avrebbero lasciato entrare quei due teppistelli. Forse avrebbero fatto un eccezione con il moro.
-Scusalo - mi fece lui, con un sorriso imbarazzato -Sembra che non voglia imparare le buone maniere.
-Oh, figurati - replicai, ironica.
-Cercheremo di togliere il disturbo il prima possibile - mi fece l'occhiolino, e quasi mi sentii in colpa per la mia freddezza.
Quel Matt si stava dimostrando gentile, dopotutto.
Ed era anche molto carino.
-Tu sei sua sorella? - domandò Jimmy, appollaiato tra i cuscini -Caspita, sei la sua copia sputata!
-Non esageriamo - risposi, con un mezzo sorriso -Ci somigliamo, sì, ma non siamo identici!
-Non ci mancherebbe che quello! - esclamò la voce del diretto interessato, appena uscito dal bagno.
Mi voltai a incenerirlo con un'occhiata. Lui in risposta sfoderò un sorriso angelico e si avvicinò ai suoi amici.
-Ehi, come va? - proruppe, battendo il cinque a entrambi.
-Parlavamo con tua sorella - disse Matt -è simpatica, dovresti smettere di trattarla male.
-Ah, meno male che ci sei tu a dirmi come dovrei trattare mia sorella. - Zacky roteò gli occhi, facendo cenno verso la porta -Andiamo?
-Sì - i ragazzi si alzarono.
-Dì a mamma che sono uscito - mi urlò mio fratello, prima di uscire.
-Ci vediamo! - mi salutarono i suoi due amici, seguendolo.
Chiusi la porta alle loro spalle.
Non era una novità che rimanessi da sola, che Zacky mi escludesse dalla sua vita. A lui interessavano solo le sigarette e i suoi amici. Io non contavo un cazzo.
Io non li avevo, gli amici.
Il massimo che potevo fare, il sabato pomeriggio, era restare in casa con del gelato e un divano tutto disfatto.

 

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