Our Pride and Prejudice

di Rain Princess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - La legge di Lewis ***
Capitolo 2: *** Non è mai troppo poco ***
Capitolo 3: *** Saturday Night Live ***
Capitolo 4: *** Ogni scarrafone è bbell' 'a mamma soja ***
Capitolo 5: *** Lacrime e incontri ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - La legge di Lewis ***


Benvenuti! :) E' un piacere avervi qua, per qualunque motivo abbiate deciso di iniziare a leggere.
Sono emozionata all'idea di iniziare a pubblicare questa storia basata su quello che, senza dubbi, definirei il mio libro preferito. L'idea mi è venuta una mattina all'alba, non riuscivo a dormire e la testa ha cominciato a frullarmi, ho afferrato un quaderno e.. dopo tre ore avevo buttato giù trama e personaggi. Ne varrà la pena? Spero di sì!
Avevo intenzione di pubblicare questo primo capitolo ieri, duecentesimo anniversario dalla pubblicazione dell'originale, ma non ci sono riuscita. Pazienza, mi consolo facendolo oggi, data in cui la cara zia Jane ricevette tra le sue mani la prima copia del suo celeberrimo romanzo.

Siamo a Londra, ai nostri giorni. Noterete qua e là qualche nome proveniente da qualche altro romanzo dell'amata Jane, ma non ho inserito il cross-over perché saranno presenze davvero marginali.
Che dire, se siete sopravvissuti alle note, buona lettura!! :)




Capitolo 1
La legge di Lewis
 
È una verità universalmente riconosciuta che, se qualcosa ha la possibilità di andare male e rovinarti la giornata fidati, lo farà.
 
Certo, questa era una versione molto più semplicistica della spaventosa legge di Lewis, ma Lizzie avrebbe dovuto stamparla, incorniciarla e appenderla alla parete del suo ufficio come memorandum per i momenti troppo belli per essere veri.
Quella mattina però, si era svegliata bene, riposata e positiva e mai, mai avrebbe immaginato che sarebbe stata vittima della legge della sfiga.
Si era preparata una colazione veloce, godendosi la silenziosa compagnia di Jane, poi insieme erano uscite di casa per andare al lavoro. Lizzie adorava letteralmente sua sorella e, nonostante non fossero più ragazzine, continuavano a condividere stanza e tempo libero.
Si erano salutate con un bacio a una fermata della metro, poi Jane era uscita dal treno lasciandola appoggiata al corrimano accanto alla porta. Dopo un paio di fermate era scesa anche lei, ad Angel, ed era arrivata puntuale al lavoro. Aveva appeso sciarpa e cappotto all’appendiabiti e si era diretta nella saletta relax per prepararsi un tè caldo che la svegliasse definitivamente dal torpore del sonno. Mentre l’acqua bollente attraversava il filtro della bustina per poi uscirne di un invitante colore ambrato, nella saletta era entrata una stranamente preoccupata Marianne.
“Buongiorno Mary!” – la salutò Lizzie con un gran sorriso.
“’Giorno Liz.” – rispose laconica Marianne abbreviando, come sempre, il suo già abbreviato nome.
“Vuoi del tè?”
“No grazie, sono già abbastanza carica così.”
Lizzie la guardò perplessa, non era da Marianne rispondere così.
“Mary, è successo qualcosa?”
La ragazza la guardò curiosa, come se all’improvviso le fosse spuntato qualcosa sulla fronte.
“Non hai controllato la posta aziendale ieri?”
Lizzie era ancora più persa di prima.
“Ehm… no.” titubò, “Avrei dovuto? C’è una riunione straordinaria col boss oggi?”
“Peggio, peggio!” esclamò Marianne assumendo un’espressione afflitta.
‘Peggio?’ pensò Lizzie ‘Non c’è niente peggio di una riunione improvvisa col boss!’
“Oggi arriverà un nuovo manager per rimettere in sesto i bilanci della nostra struttura, pare che siano paurosamente vicini al rosso.”
“E allora? Non è una cosa buona?” chiese Lizzie tirando un sospiro di sollievo e pentendosi di essersi fatta contagiare per un attimo dalle evidenti tendenze melodrammatiche di Marianne.
“Assolutamente no, Liz! Pare che questo nuovo manager sia estremamente rigido e poco incline ai compromessi e, cosa ancora peggiore, che abbia una passione per i tagli netti.”
‘Ma che diavolo stava dicendo? Tagli netti?’
L’espressione di Lizzie doveva essere abbastanza eloquente, perché Marianne, con un’espressione seccata, la fissò e le disse:
“Tagli netti. Tagli. Tagli del personale e dei fondi “teoricamente” – e mimò le virgolette con le dita per farle capire che la pensava diversamente – gestiti male. Salterà qualche testa, di sicuro, e ci andrà bene se sarà solo quello!”
Lizzie allontanò la tazza dalle labbra troppo spalancate per bere e si sentì improvvisamente completamente sveglia.
Tagli del personale. Ma erano impazziti? Non riusciva nemmeno a pensare alla possibilità di perdere qualcuno del suo gruppo di colleghi, erano davvero ben affiatati e le sarebbe sembrato di perdere qualcuno di famiglia. E poi, già così coprivano gli orari al secondo, se avessero mandato a casa qualcuno i turni sarebbero diventati massacranti. Ma chi era questo che veniva a stravolgere il loro equilibrio?
“Pare che sia uno molto bravo e conosciuto nel suo campo, ha salvato un certo numero di aziende da una bancarotta che sembrava certa.”
Ma aveva parlato a voce alta? E intanto, nella sua mente, questo “salvatore di aziende” prendeva le sembianze di un uomo sulla cinquantina, sovrappeso e con la giacca chiusa a malapena sulla pancia prominente, capelli sulla via del diradamento e baffi da tricheco, viscido e calcolatore. Magari anche un po’ maniaco. Sicuramente munito di ventiquattrore in cuoio marrone.
Sì, eccolo lì, lo poteva quasi vedere muoversi per la stanza.
“A che ora arriva il nostro salvatore?” chiese Lizzie calcando con acredine l’ultima parola.
“Dovrebbe essere qui per le dieci, almeno così mi ha detto Edmund dall’ufficio amministrativo.”
“Fa con comodo l’amico, eh? Bene, vedremo come togliergli strane idee dalla testa!” disse Lizzie posando la sua tazza praticamente intatta nel lavandino. Adesso capiva Marianne, decisamente il tè, nervosa com’era, non sarebbe stata una buona idea.
Guardò l’orologio: erano le 9:20. Decise di andare nel suo ufficio per calmarsi con un po’ di musica, ma aveva chiuso la porta da nemmeno un minuto che un tocco leggero la distolse dal suo tentativo di tornare zen.
“Avanti” disse con una vena di irritazione nella voce, proprio non c’era verso di calmarsi quella mattina.
Ma la porta si aprì piano, con timore, rivelando una ragazzina di sedici, massimo diciassette anni, com quello sguardo spaventato e smarrito così tipico delle sue pazienti.
Lizzie si pentì all’istante del tono duro usato per invitarla ad entrare e sentì il viso e la voce addolcirsi mentre di nuovo la invitava a varcare la soglia.
“Ciao, prego entra.” Le tese la mano che la ragazzina guardò quasi come se fosse una minaccia.
“Io sono Lizzie, come posso aiutarti?”
 
                               

 
“Non preoccuparti Tess, ti seguirò io, puoi contare su di me e, per qualunque evenienza, hai il mio numero” disse Lizzie con una mano sulla maniglia della porta e l’altra sulla schiena della ragazzina che, ora, la guardava con uno sguardo un po’ meno spaventato. Forse aveva trovato un salvagente in mezzo a una tempesta.
“Grazie mille Lizzie. Ci vediamo domani” le rispose accennando appena un sorriso. Lizzie le accarezzò un’ultima volta la schiena poi, lasciandola, le disse:
“A domani e mi raccomando, a digiuno!” le strizzò l’occhio e Tess fece un cenno affermativo prima di allontanarsi nel corridoio.
Lizzie la guardò andarsene un po’ curva, come se un peso enorme la schiacciasse, e sperò di vederla davvero l’indomani. Poteva aiutarla, se lei glielo avesse permesso.
Richiuse la porta del suo studio e tirò un sospiro ad occhi chiusi, come per fare tabula rasa. Non era facile distaccarsi dal dolore e dalle paure delle sue pazienti, ma era necessario essere più imparziali di loro proprio per fare il loro bene, e Lizzie ci metteva tutto il cuore e la passione. Amava il suo lavoro al consultorio e, per quanto la madre insistesse, non avrebbe fatto a cambio con nessuno studio di qualsivoglia psicologo rinomato: aiutare le ragazze che bussavano alla sua porta, come aveva fatto Tess, la faceva sentire più ricca di quanto avrebbe potuto uno stipendio con uno zero in più.
“C’è speranza.” si disse andando di nuovo verso la sua scrivania. Ma non ebbe neanche il tempo di sedersi che il telefono dello studio squillò. Prese la cornetta e rispose con tono professionale.
“Dottoressa Bennet, salve.”
“Salve dottoressa, ufficio amministrativo. Sono il nuovo manager. Ha da fare in questo momento?”
Lizzie rimase un secondo colpita dal timbro di voce profondo del suo interlocutore, ma subito la sorpresa fu rimpiazzata dalla consapevolezza di chi ci fosse dall’altro capo del telefono e dal conseguente fastidio.
“Ho appena terminato una visita.” disse senza far trapelare il fastidio, quell’uomo si era a malapena presentato, dando per scontato che tutti sapessero del suo arrivo.
“Bene, allora la aspetto tra cinque minuti nel mio ufficio.” disse in tono sbrigativo e riattaccò, senza nemmeno aspettare una conferma da parte sua.
Lizzie guardò la cornetta shockata dai modi poco urbani del tricheco e la riattaccò sulla base con un moto di stizza. Ma chi si credeva d’essere?
Si alzò dalla sedia  con uno scatto e, con tre rapide falcate, coprì la distanza tra la scrivania e la porta ed uscì. Nel corridoio regnava un innaturale silenzio che la incuriosì, normalmente i suoi colleghi erano sempre allegri e giovialo e, a meno che non avessero molto lavoro da fare, non era assolutamente raro incrociare qualcuno nei corridoi e scambiarci due chiacchiere. Quel giorno invece il consultorio sembrava deserto.
Fu la mancanza di rumori esterni a farle percepire un bisbiglio fitto nella saletta relax, così si affacciò per controllare. Marianne e altri tre colleghi stavano parlando a voce bassa ma, nel sentire la porta aprirsi, girarono tutti le teste verso l’ingresso della stanza, sul volto l’espressione colpevole di chi è stato beccato con le mani nella marmellata.
“Ah, sei tu Liz! Che spavento!” disse Marianne e contemporaneamente gli altri tre si rilassarono.
“Certo che sono io! Ma che succede? Cos’è questo silenzio e come mai nei corridoi non c’è un’anima viva?”
“Sono tutti rintanati nei loro studi a lavorare, il nuovo manager sta chiamando tutto il personale per dei colloqui individuali.”
“E voi che ci fate qua?”
“Noi siamo stati già convocati, Liz.” rispose Emma, la dolce ginecologa di turno quella mattina. Sul suo viso c’era una smorfia che non prometteva niente di buono.
“Io sto andando ora, cosa devo aspettarmi?” chiese Lizzie leggermente preoccupata.
Fu Marianne a rispondere, con un’espressione seria e il suo solito tono un po’ teatrale.
“Un osso duro, Liz. Un osso duro.”
Lizzie strinse le labbra in un’espressione neutra ed uscì dalla saletta. Ancora doveva incontrarlo e già il tricheco le stava antipatico. Capiva la necessità di ottenere da subito il rispetto e il riconoscimento della sua autorità da parte dello staff per fare bene il suo lavoro, ma incutere timore in quel modo? Era decisamente fuori luogo!
Mentre pensava queste cose arrivò fuori la porta dell’ufficio del tricheco e, aspettandosi il famoso osso duro, decise di evitare scontri aperti che avrebbero potuto compromettere da subito l’esito del colloquio. Fece un profondo respiro e, mentre si preparava a bussare alla porta, lesse il nome già cambiato sulla targhetta di cartoncino e si ripeté, per l’ennesima volta in quella mattinata, di essere zen.
“Avanti.” rispose la voce profonda dal tono sbrigativo oltre il pannello di legno.
‘A noi due, tricheco!’ si disse mentalmente Lizzie, ed aprì la porta.
L’ufficio non era molto grande ed era sempre stato pieno zeppo di scartoffie, soprattutto la scrivania, per cui si aspettava di vedere il tricheco muoversi impacciato, con la pancia prominente, in quel mare di carta.
Invece, seduta dietro la molto più ordinata scrivania, c’era una folta chioma scura, poggiata su un viso privo di baffi. Al suono della porta che si chiudeva il viso si sollevò e con lui il corpo a cui era attaccato
Ma perché lo stava considerando a pezzi?
rivelando nel complesso un giovane uomo sulla trentina, il viso serio e regolare, leggermente squadrato, e nessuna pancia a sfidare la resistenza di poveri bottoni sfortunati. Anzi, sembrava che il tricheco ci tenesse a curare un minimo il suo fisico.
‘Porca miseria!’ si ritrovò a pensare Lizzie, obbligata ad ammettere di averlo immaginato in maniera completamente sbagliata.
Una mano si tese, civile, verso di lei mentre la voce profonda le diceva
“Miss Bennett”, ancora una volta con un tono che tradiva una certa noia.
“Mr Darcy” rispose Lizzie al saluto in modo altrettanto piatto.
Strinse la mano all’uomo che aveva di fronte e la forza della stretta che lui le diede la fece quasi sobbalzare, ma la costrinse a concedergli un punto: decisamente non sopportava le persone che davano strette di mano molli e senza personalità. Questo le ricordò ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, che si trovava di fronte un osso duro.
“Prego, si sieda.” disse Mr Darcy indicando la sedia di fronte alla sua scrivania.
Lizzie si sedette mentre Darcy chinava lo sguardo su una cartellina beige aperta e piena di fogli. Il suo fascicolo.
“Dunque, miss Bennett, da quanto tempo lavora per questa struttura?” chiese guardandola dritto negli occhi.
“Quasi tre anni.” rispose pacatamente Lizzie sostenendo il suo sguardo. Stava cercando di intimidirla, di metterla in soggezione.
“E di cosa si occupa?”
‘C’è scritto sul mio fascicolo che di sicuro hai già letto, cretino!’
“Sono una psicologa del consultorio, il mio lavoro consiste nel seguire e supportare i pazienti che si rivolgono alla nostra struttura. Diciamo che, se si tratta di malattie, espongo loro il problema e li seguo dal punto di vista psicologico mentre sono in cura, se si tratta di gravidanze li aiuto a capire quale sia la strada giusta da intraprendere per ognuna e poi li accompagno nel percorso che scelgono.”
“E come giudicherebbe il suo lavoro? Lo ritiene svolto in maniera corretta?”
‘Ma cosa mi sta chiedendo?’ pensò perplessa Lizzie. Si ritrovò un attimo spiazzata dal tipo di domanda e vide l’espressione del suo interlocutore farsi più attenta, come se volesse coglierla in fallo. Lizzie si riscosse, stizzita dalla domanda.
Stava forse mettendo in dubbio la sua professionalità?
“Ho sempre fatto il mio lavoro al meglio delle mie capacità e credo che nel mio fascicolo ce ne sia la prova. Lascio che siano i miei pazienti a dare il feedback sulla qualità del mio impegno.”
Gli lanciò uno sguardo di sfida. Sapeva di non potersi rimproverare nulla e l’affetto che alcune sue pazienti ancora le dimostravano era la riprova del fatto che, sul lavoro, era sempre stata responsabile e seria.
Lo sguardo dell’uomo cadde di nuovo su una serie di fogli che aveva sotto le mani. Ne controllò un paio e disse:
“Sì, dai documenti nel suo fascicolo emerge un profilo… passabile.”
‘Passabile? Passabile?! Tre anni di fatica, tirocini, passione, dedizione, di nottate a scervellarmi per fare il più possibile la cosa giusta nell’aggettivo passabile?!’
Lizzie sentì dentro un moto di ribellione inaspettato.
“Ma ora chiedo a lei di dare una valutazione onesta sul suo operato.” chiese Darcy in tono piatto.
Di nuovo l’uomo guardò Lizzie negli occhi, come alla ricerca di un’esitazione, di una falla. Ma lei non gli diede modo di trovarne alcuna. Affilò lo sguardo e il tono e, sostenendo quella guerra d’occhi, rispose.
“Ho lavorato sempre in modo serio e responsabile, mettendo la salute fisica e psicologica dei miei pazienti al centro della mia attenzione, occupandomi di loro al meglio possibile. Nessuno ha mai giudicato passabili i miei risultati.”
Darcy la guardò ancora un paio di secondi come per controllare le sue espressioni, poi rispose:
“Già…” e tornò a guardare un foglio con una seire di appunti.
“E dei suoi colleghi che mi dice?”
Lizzie si irrigidì a quella domanda imprevista.
“Come, scusi?” chiese con voce per la prima volta incerta.
“Le ho chiesto cosa ne pensa dei suoi colleghi, come ne giudicherebbe il comportamento e la professionalità. D’altronde, lei dovrebbe poter avere un punto di vista obiettivo.”
Lizzie non sapeva se essere più arrabbiata o mortificata per quella domanda insinuante e fuori luogo.
Cosa le stava chiedendo? Di dare un voto ai suoi colleghi così da poter decidere con più leggerezza chi silurare?
Decisamente stava prevalendo la rabbia. Chiuse gli occhi e per l’ultima volta si disse di stare buona. Poi li riaprì e lo guardò dritto negli occhi mentre rispondeva.
“I miei colleghi sono tutti degli ottimi collaboratori, estremamente responsabili, e la loro professionalità è fuori discussione. Ci sono persone che lavorano in questo campo da quasi vent’anni. Il livello della nostra squadra – e calcò volutamente le ultime due parole – è molto alto.”
Darcy la guardò inarcando leggermente il sopracciglio.
“Non crede che il suo senso di appartenenza alla squadra – e anche lui rimarcò la parola – renda le sue valutazioni poco obiettive?”
Lizzie incassò il colpo, mettendoci un paio di secondi a comprendere la profondità della domanda e… al diavolo i suoi sforzi di essere zen. L’umiliazione gratuita le bruciò dentro e non si sforzò più di non mostrarla al suo interlocutore che, peccando di buone maniere, si stava dimostrando un tricheco negli atteggiamenti.
Parlò con calma, senza urlare.
“Le mie valutazioni sono obiettive, che lei ci creda o no non mi riguarda. Tra l’altro trovo estremamente scorretto che lei mi chieda di giudicare i miei colleghi, buona parte dei quali con molta più esperienza sul campo di me. Per queste valutazioni c’è l’addetto alle Risorse Umane. Lei non mi conosce, Mr Darcy, eppure non ha avuto alcun problema ad offendere la mia competenza e la mia professionalità, il tutto in un colloquio di appena cinque minuti; credo che sia un record da Guinness.” Si alzò dalla sedia continuando a fissarlo.
“Ora, se non ha altro da dirmi, me ne torno dalle mie pazienti che hanno davvero bisogno di me e non mi reputano parziale o passabile.”
Darcy, ancora seduto la sua scrivania, rimase in silenzio, sorpreso dalla filippica di Elizabeth.
Lei lo guardò soddisfatta, girò i tacchi e si diresse fiera alla porta, che aprì. Poi, per dimostrargli che le buone maniere erano ancora cosa gradita e comune nel ventunesimo secolo, sull’uscio si voltò e, guardandolo di nuovo, gli disse:
“Buona giornata.” E si richiuse la porta alle spalle.
Un sorrisetto trionfante le si disegnò sulle labbra ripensando all’espressione accigliata che aveva il tricheco quando l’aveva salutato e, altrettanto trionfalmente, si incamminò per i corridoi diretta al suo studio. Ma, mentre  si allontanava dall’ufficio di Darcy, ripercorse lo scambio di battute tra loro e la rabbia le si risvegliò forte dentro, aizzata dal suo orgoglio ferito e dall’affetto e la stima che provava per i suoi colleghi. Passò davanti alla saletta relax senza fermarsi, il passo non più trionfante ma irritato, e puntò direttamente al suo studio.
Afferrando la maniglia si rese conto di avere le mani tremanti e, una volta chiusasi dentro, si lasciò andare a un grido nervoso appena trattenuto. Appoggiata con la schiena alla porta, si posò pollice e indice alla radice del naso, chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Quell’arrogante manager tricheco la irritava sul serio! Aveva avuto la faccia tosta di provare ad usarla contro i suoi colleghi per fare dei tagli al personale, come aveva potuto essere così meschino, così…
Poi realizzò e nello stesso momento spalancò gli occhi, la bocca e si diede della stupida. Mr Darcy era alla ricerca di qualcuno che fosse di troppo e lei, con la scenata appena fatta, gli aveva fornito su un piatto d’argento il primo nome da prendere in considerazione: il suo.


Ci siete ancora?? Se sì, ne sono felice! Il prossimo aggiornamento credo arriverà tra un paio di settimane, gli esami incalzano - ah, la faticosa vita di un'universitaria! XD
Spero abbiate gradito! A presto!

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Capitolo 2
*** Non è mai troppo poco ***


E bentornati!!
Innanzitutto torno col capo cosparso di cenere per l'immenso ritardo, avevo detto un paio di settimane e ho sforato abbondantemente le 3.. scusatemi davvero, ho avuto una sessione d'esami allucinante ma ho praticamente concluso, manca solo un piccolo passo ancora e poi.. tesi!

Altra cosa: un grazie ENORME a tutte le ragazze che mi hanno lasciato una recensione, ben 10 per il primo capitolo è anni luce oltre le mie più rosee
aspettative!! Grazie, grazie, davvero di cuore!
Grazie anche a chi ha solo letto, i numeri parlano da soli e vederli salire è comunque una grande soddisfazione!

Che dire, ho adorato scrivere parecchie parti di questo capitolo, ci sono più rimandi all'originale e.. ok basta, ne parliamo magari nelle note giù!

Buona lettura!


Ps: grazie ad Ale e Kate per il continuo supporto e feedback :)


Capitolo 2

Non è mai troppo poco



È una verità universalmente riconosciuta che un po’ di alcol in circolo liberi per qualche ora la testa dai pensieri spiacevoli. Il problema è che tanto poi ritornano.
 

Come diamine aveva potuto farsi prendere tanto la mano durante il colloquio? Non le era mai successo di perdere il controllo in quel modo, men che meno con un perfetto estraneo. L’indignazione per le domande del tricheco ancora pulsava forte ed era convinta di essere nel giusto, ma di certo non si era dimostrata distaccata e professionale come ci si aspettava e aveva detto che fosse.
“Ah, maledizione!” inveì Lizzie tra i denti portandosi istintivamente la testa tra le mani. Adesso si vergognava fin nel midollo per la sua reazione.
Si trovò a ripensare al breve colloquio e ad esaminarlo da varie angolazioni, analizzando le sue parole e chiedendosi se, usandone di diverse, il suo discorso sarebbe apparso meno aggressivo, ma il risultato non cambiava poi di tanto. Continuava ad essere ferma nella sua convinzione, ma amava il suo lavoro e non voleva perderlo. Se avesse potuto, avrebbe riavvolto il tempo per condurre la conversazione in modo meno viscerale, ma non era ovviamente possibile, per cui afferrò il telecomando dello stereo e fece finalmente partire la musica che usava per rilassarsi e che desiderava ascoltare dall’inizio di quella giornata. Chiuse gli occhi, poggiò la testa sulle braccia incrociate e, con un profondo sospiro, cominciò a lasciarsi cullare dai suoni di un prato di montagna.
 

Quando spense la musica effettivamente si sentiva meglio. Continuava a pensare di aver messo troppa enfasi nel suo discorso, sapeva anche che questo non avrebbe bendisposto Mr Darcy nei suoi confronti, ma aveva un fascicolo di tutto rispetto e contava di poter fare affidamento su quello per mantenere il posto.
Fece un profondo respiro e decise di provare a non torturarsi più. Prese il telefono e compose il numero dell’analista a cui la struttura  faceva riferimento. Al terzo squillo la linea si aprì.
“Laboratorio Spencer, salve, in cosa posso esserle utile?”
Lizzie riconobbe la voce dall’altro lato della cornetta e si sorprese ad avere voglia di scherzare.
“Ah bene, vedo che si batte la fiacca lì!”
“Prego, scusi?” rispose la voce sorpresa dall’altro lato e Lizzie proruppe in una sana risata liberatoria.
“Ah! Accidenti Lizzie, sei tu! Ma come ti viene di rispondere così al telefono?”
Lei immaginò l’espressione del suo interlocutore e non poté frenare una nuova risata che continuò ancora per qualche secondo, poi riuscì a rispondere.
“Ah Mark, sei sempre uno spasso!”
“Dottoressa Bennett,” disse Mark fingendo un tono arrabbiato “si sta per caso prendendo gioco di me?”
“Non mi permetterei mai, dottor Spencer!” scherzò Lizzie. “Ah, dottore, lei sì che sa come migliorare la giornata ad una povera psicologa”
“Lieto di saperlo, dottoressa!”
Lizzie sentì il sorriso nella voce all’altro capo del telefono e sorrise a sua volta.
“Bene allora, visto che sei talmente libero da poter fare addirittura da centralinista, prendi l’agenda e segna un appuntamento con una mia paziente per domani mattina alle 9.”
“Che esami deve fare?”
“I primi esami di routine: emocromo completo, sideremia e in più ci metti anche la beta HCG.”
“La gravidanza non è ancora accertata?”
“No, la ragazza ha fatto solo un test e abbiamo bisogno di una conferma, anche se ho pochi dubbi al riguardo, i sintomi ci sono.”
“Va bene, allora ti segno tutto. Nome della paziente?”
“Tess Johnson. Verrai tu a fare il prelievo?”
“Dottoressa Bennett, lo so che non resisti al mio fascino e ogni scusa è buona per vedermi, ma si dà il caso che, checché  tu ne pensi, io sia uno specializzando molto impegnato.”
“Quanto la fai lunga! Sei solo dannatamente bravo, che io sappia ho incontrato il tuo fantomatico fascino solo per telefono!”
“Su su, mi lusinghi e lo so che in questo momento ci stai male per il mio rifiuto, ma sarà per un’altra volta e con molto piacere!”
“Quanto sei scemo, Mark!” rispose Lizzie sorridendo, decisa a smorzare il discorso. Non aveva mai capito fino a che punto Mark volesse fare il gentile con lei e non le piaceva essere troppo ambigua nelle sue chiacchierate con lui.
Qualcuno si schiarì la voce, costringendo Lizzie ad alzare gli occhi dal foglio che stava scarabocchiando mentre parlava. Mr Darcy era fermo sulla soglia, scuro in volto. Chissà da quanto era lì e cosa aveva ascoltato. A giudicare dall’espressione del suo viso, troppo era la risposta ad entrambe le domande.
In un attimo Lizzie si riscosse.
“Bene, dottor Spencer,” disse per far capire che la sua non era una telefonata di piacere “la ringrazio. Aspetterò il risultato delle analisi.”
“Ma Lizzie, che…” chiese sorpreso Mark dall’altro lato, ma Lizzie lo interruppe. Non aveva proprio tempo né modo di spiegargli.
“Buon lavoro e a presto.” Salutò sbrigativamente ed attaccò quasi lanciando la cornetta sulla base, neanche fosse incandescente o veicolo di una malattia contagiosa.
Lo sguardo di Mr Darcy divenne ancora più cupo mentre la scrutava dalla porta. Lizzie si sentì incredibilmente piccola.
“Mr Darcy, non è…”
“Non reputo corretto usare le utenze della struttura per scopi personali.” la interruppe lui.
Ecco, ovviamente aveva frainteso.
“Non era una telefonata personale, stavo prenotando un prelievo per una mia paziente.” cercò di giustificarsi Lizzie.
“Non sembrava proprio una telefonata professionale, dottoressa Bennett” ribatté seccamente lui calcando il “professionale”. La guardava con uno sguardo tagliente, in quel momento più che mai la stava soppesando. Lizzie decise di puntare sulla sincerità.
“Lo so, ma solo perché conosco il dottor Spencer da anni, ma le assicuro che…”
“Allora la prego di tenere le conversazioni personali al di fuori del consultorio.” la interruppe di nuovo lui.
Il suo tono non ammetteva repliche. Lizzie si rese conto di sentirsi come una bambina beccata a fare una marachella e la cosa la infastidì, lei non era così. Tuttavia sapeva che la situazione poteva essere facilmente fraintendibile e mitigò la voglia di rispondergli a tono.
“Certo, Mr Darcy. Non è mai successo e non succederà.”
Non era il caso di andare oltre. D’altronde, se Mr Darcy avesse ascoltato un po’ di più della telefonata, avrebbe capito che, in fondo, la sua era davvero una telefonata di lavoro.
Lizzie continuò a guardare Darcy sulla porta. Dopo qualche secondo, con un movimento piuttosto aggraziato che faceva uno strano contrasto con la sua espressione accigliata, si riscosse dalla sua immobilità e si avvicinò alla scrivania. Lizzie non fece neanche in tempo a chiedersi cosa altro volesse che lui le rispose.
“Ad ogni modo, ero venuto per questo.” Ed allungò la mano destra verso di lei.
Lizzie non capì il gesto fino a quando, col pollice e l’indice, Darcy non le fece pendere davanti agli occhi un oggetto che riconobbe subito.
“Il mio braccialetto!” esclamò stupita mentre il suo sguardo saltava al suo polso destro, normalmente occupato dal gioiello che ora dondolava appena di fronte a lei, per poi tornare al suo interlocutore.
“Non ne dubitavo” rispose piatto Mr Darcy.
“Perché lo ha lei? Come…?” Davvero non capiva.
“L’ho trovato nel mio ufficio una decina di minuti dopo la sua teatrale uscita dal mio ufficio.”
Lizzie sentì le guance scaldarsi a quel commento, sapeva di aver dato spettacolo ma sentirselo dire era oltremodo imbarazzante.
“L’avevo notato durante il nostro, seppur breve, colloquio. Deve averlo perso mentre gesticolava. Ecco a lei.”
Mr Darcy avvicinò di più la mano e lei accolse nel palmo della sua il bracciale.
“Grazie” riuscì solo a bisbigliare.
“Prego. E ora ritorni al suo lavoro dottoressa, senza ulteriori distrazioni.” La ammonì, ma il tono non era più severo come all’inizio di quel loro secondo round. Lizzie annuì leggermente col capo e la figura di Mr Darcy scomparve dal vano della porta, che si richiuse dietro di lui.
Lizzie rimase imbambolata a fissare il vuoto per qualche minuto, nascondendo di tanto in tanto il viso tra e mani per il crescente imbarazzo. Ora a quello per il loro primo colloquio si aggiungeva non solo quello derivante dalla consapevolezza che anche a Mr Darcy il suo tono era sembrato teatrale – proprio come Marianne! -, ma anche quello per essere stata beccata a fare un’apparentemente ammiccante telefonata dal posto di lavoro – tra l’altro conclusa in fretta e furia, come se avesse avuto davvero qualcosa da nascondere – e infine quello dovuto al suo immaginarsi gesticolare come una tarantola davanti a lui.
Avrebbe potuto sentirsi e rendersi più ridicola? Si sarebbe volentieri sepolta sotto tanta, tanta terra per la vergogna.
Fu il suono del suo cellulare a riscuoterla da quel momento di autocommiserazione. Sul display lampeggiava un nome amico: Charlotte.
“Ehi, Char.”
“Lizzie, cos’è questo tono afflitto?” chiese subito l’amica, preoccupata. Accidenti, era così evidente?
“Lascia stare Char, ho avuto una giornata pessima. Dimmi.”
“Beh, a questo punto puoi solo dirmi di sì! Volevo proporre a te e Jane una serata tra di noi, andiamo a prenderci qualcosa da bere, chiacchieriamo e ti tiriamo su. Che ne dici? Avviso io Jane?”
Lizzie non dovette nemmeno pensarci su.
“Sì Char, ti prego! Ho bisogno di affogare il mio imbarazzo in tanto, tanto alcol!”
 

Il suo turno al consultorio finiva alle 17 e, come da abitudine, Jane e Lizzie si ritrovarono all’uscita del consultorio.
Jane accolse la sorella con uno dei suoi migliori sorrisi e Lizzie si trovò a pensare, per l’ennesima volta, a quanto fosse straordinaria nel ventunesimo secolo l’esistenza di una creatura delicata e pura, d’altri tempi, come sua sorella. Mise la tracolla della borsa in spalla e la raggiunse cercando di restituirle quel sorriso così spontaneo ma, evidentemente, il risultato non doveva essere stato un granché perché subito Jane le chiese
“Lizzie, che hai? Cos’è quella faccia?”
‘Ok, devo imparare a controllare la mimica facciale!’ pensò Lizzie.
“Tranquilla, ho solo avuto una brutta giornata al lavoro.”
“Che è successo? Ne vuoi parlare?”
“Non ora, per carità!” la fermò Lizzie. “La cosa è già troppo penosa per doverla ripetere anche a Charlotte, preferisco farlo direttamente quando ci sarà anche lei, e solo quando avrò almeno due Martini in circolo!”
Jane rise e le strinse delicatamente un braccio intorno alle spalle, poi si incamminarono verso casa e intanto le raccontò, con gli occhi che le brillavano, com’era andata la sua giornata coi suoi bimbi.
 

 
Il brusio di sottofondo era una costante al Longbourne.
Quella sera il pub era discretamente pieno, la musica in filodiffusione batteva al ritmo di un rock british e non molto arrabbiato, i bicchieri tintinnavano scontrandosi tra di loro in brindisi vari o con le superfici lucide dei tavoli e del bancone del bar.
Lizzie si sentiva un po’ stordita da quel rumore continuo, ma non avrebbe saputo dire se a causarle quello strano senso di straniamento fosse la mancanza di silenzio o la dose interessante di alcol che le girava nelle vene. Alla fine aveva davvero seppellito l’umiliazione, ma al Martini aveva preferito un’ottima birra tedesca, di cui ormai solo un dito era rimasto a decorare il fondo del boccale con qualche bollicina.
Si era astratta dalla conversazione in cui erano coinvolte Jane e Charlotte e stava meditando sul perché la birra facesse la schiuma quando la sorella la strappò a quei pensieri improbabili.
“Andiamo, Lizzie, smettila di pensarci!”
“Non ci stavo affatto pensando!” rispose lei con la migliore espressione indifferente che la birra le permettesse di fare. “Meditavo sulle meraviglie della birra!” e afferrò il boccale per buttare giù l’ultimo sorso.
Charlotte, intenta a guardare altrove, non aveva notato il movimento dell’amica e scelse proprio quel momento per richiamarne l’attenzione con una sonora sgomitata. E fu così che il tanto agognato ultimo sorso andò a finire in parte sul tavolo, in parte sul viso di Lizzie.
Ci fu un momento, una sola frazione di secondo in cui si sarebbe voluta arrabbiare con l’amica. Ma la ridicolaggine della situazione, unita al fatto che davvero sembrava che quel giorno non ne andasse dritta una, la portarono a scaricare tutta la frustrazione accumulata con una fragorosa risata.
Charlotte e Jane la seguirono a ruota, era una scena troppo comica per non riderne e la risata di Lizzie, ormai con le lacrime agli occhi e incapace di fermarsi, sapeva essere contagiosa come poche. Finalmente, dopo un paio di minuti, riuscirono a ricomporsi e ad evitare di finire a ridere di nuovo.
Lizzie si asciugò gli occhi con un fazzoletto e constatò che il mascara non si era dimostrato waterproof come prometteva la pubblicità, ma fece spallucce. Si sentì finalmente leggera per la prima volta dall’inizio di quella giornata, e pronta a godersi quel che restava della serata.
Non appena intravide un cameriere appressarsi a loro alzò la mano. Il ragazzo si avvicinò sorridendo, saltellando un po’ trafelato tra le sedie.
“Cosa vi porto?” chiese a tutte ma guardando Lizzie in particolare.
Lei guardò le due ragazze e ordinò per tutte.
“Tre Martini Bianchi. È ora di dare una svolta frizzante a questa serata!”
 

Un Martini e quasi due ore dopo, ridendo ancora di cuore anche per il proprio equilibrio un po’ precario, Lizzie seguì le altre verso l’uscita del locale. Salutarono i ragazzi che ci lavoravano e, uscendo, si infilò sotto il braccio di Jane che la guardò rilassata: Lizzie non era assolutamente il tipo da angosciarsi per nulla, quindi l’espressione che le aveva visto sul viso quel pomeriggio l’aveva preoccupata abbastanza. Certo, si era resa conto che il colloquio non fosse andato proprio nel migliore dei modi, ma era ferma nell’idea che Mr Darcy avesse avuto un buon motivo per farle quelle domande. Ovviamente Lizzie non era stata dello stesso avviso ma ora, stretta al suo braccio, sorrideva tranquilla. Certo dipendeva anche da quello che avevano preso al Longbourne, ma poco importava. La sola cosa fondamentale era aver visto la tensione lasciarla, per fare di nuovo posto al solito carattere forte e vitale che la contraddistingueva.
Jane strinse un po’ di più la presa sulla mano della sorella e, con Charlotte dal’altro lato, si incamminarono verso il bordo della strada per fermare un taxi, a quell’ora la metro aveva già chiuso.
Non notarono un paio di occhi che le accompagnò fino a quando la notte divenne troppo buia per essere osservata dalle vetrine del Longbourne.
 

Il taxi andò spedito per le strade del quartiere di Kensington e si fermò all’indirizzo dato. La casa di Charlotte distava neanche cento metri da quella dei Bennett per cui, come sempre, le ragazze scesero tutte all’indirizzo di Charlotte e poi le due Bennett avrebbero fatto il breve tratto di strada a piedi.
Pagarono la corsa e scesero sul marciapiede. Con una mano sul ferro battuto del cancelletto e le spalle alla sua casa con le mura color corallo, Charlotte si batté l’altra mano sulla fronte.
“Lizzie, mi hai fatta bere troppo, stavo per dimenticarmene!”
“Ah, io ti ho fatta bere?! Ma se ogni scusa era buona per guardare il cameriere!”
“Ehi,” disse con finto sdegno Charlotte “ho una certa età io, devo pur trovare un partito da accalappiare!”
“E allora ringraziami per averti fatto bere!” ribatté Lizzie.
“Ah, lasciamo perdere và, hai sempre ragione tu!” la punzecchiò l’amica. “Tornando a noi, stamattina una collega mi ha detto che sabato sera c’è una bella serata al Netherfield. Che ne dite, ci andiamo?”
Lizzie ci pensò un secondo. Il Netherfield era un locale nuovo e abbastanza in voga al momento, ma non troppo posh da farla sentire a disagio. Guardò Jane per capire che ne pensava, lei era la più riservata delle due. Ma la sorella sorrideva entusiasta all’idea, evidentemente aveva bisogno anche lei di una serata diversa.
“Ci stiamo!” esclamò allora a voce un po’ troppo alta. Charlotte esultò.
“Bene, allora farò in modo di farci inserire in lista.”
Lizzie sorrideva a trentadue denti ma si vedeva che era stanca, chiaro segno che fosse arrivato il momento di portarla a casa. Charlotte fece un cenno a Jane che però non le sfuggì.
“Oh, andiamo ragazze, non sono ubriaca!” esclamò piccata. Poteva reggere molto di più.
“No, ubriaca no, ma brilla eccome. E poi è tardi e domani hai il turno presto in consultorio, quindi fila a nanna! Jane, mettila a letto, già così domani sarà un’impresa farla alzare!”
Jane le fece l’occhiolino.
“Tranquilla Char, ci penso io a questa furfante!”, strinse un braccio intorno alla vita della sorella, di poco più alta di lei, e le mandò un bacio con la mano libera. Anche Lizzie salutò allo stesso modo e si allontanarono dal cancelletto, buttando però ogni 2-3 secondi uno sguardo fino a quando Charlotte non sparì dietro al portone bianco di casa sua.
Quando fu tranquilla per l’amica, Jane allungò il passo. Era pur sempre tardi e non le piaceva camminare per strada a quell’ora, quella sera avevano fatto un bello strappo alla regola per essere un’uscita infrasettimanale.
In giusto cinque minuti arrivarono al portone di casa loro e rientrarono. Solo allora Jane si sentì tranquilla e tirò un sospiro. Come d’abitudine, prese il cellulare dalla borsa e fece uno squillo a Charlotte per rassicurarla poi, il più silenziosamente possibile, salirono nella loro camera al primo piano.
Lizzie si sedette sul bordo del suo letto e chiuse gli occhi. Era talmente stanca che non oppose resistenza quando Jane le sfilò la giacca.
“Non penserai mica che io sia tanto ubriaca da non riuscire a spogliarmi?”
“No Lizzie, so che non arriveresti mai a tanto. Ma stai letteralmente dormendo in piedi, ti do solo una mano a fare prima.”
Jane era così. Buona, dolce, spontanea ed amorevole con tutti, ma Lizzie era davvero il suo punto debole. Era la persona a cui teneva di più in assoluto. L’unica in grado di capire quel profondo affetto era Lizzie, perché lo corrispondeva in pieno. E, mentre Jane le sfilava le scarpe, si chinò in avanti per darle un bacio sulla chioma bionda.
“Grazie Jane, non so che farei senza di te” ebbe la forza di dire mentre si sfilava maglia e pantaloni.
Afferrò il pigiama e si trascinò in bagno sbadigliando sonoramente. Si lavò e struccò in fretta, infilò il pigiama e lasciò il bagno a Jane. Ebbe appena il tempo di mettersi sotto le coperte che crollò.
Quando Jane rientrò nella stanza, Lizzie dormiva già profondamente. Scosse la testa sorridendo, si infilò nel suo letto e spense la luce.
 


Un rumore martellante raggiunse Lizzie nelle profondità del sonno in cui si trovava, risvegliandola. Alla cieca, provò ad allungare la mano per spegnerla ma non la trovò, così decise di aprire gli occhi e alzare la testa dal cuscino.
Non l’avesse mai fatto! Una fitta fortissima le perforò la tempia destra e la portò a tuffare di nuovo la testa sul cuscino e a trattenere un lamento tra le labbra proprio mentre Jane entrava nella stanza.
“Buongiorno Lizzie” le disse a voce bassa sedendosi sul bordo del letto della sorella. Un mugugno fu tutto ciò che ottenne in risposta.
“Mi sa che hai sottovalutato il mal di testa di stamattina, eh? Eri molto stanca ieri.”
Un altro mugugno. A volte soffriva di mal di testa e la sera prima, tra la fredda aria invernale e le ore piccole aveva giocato una scommessa a perdere contro sé stessa.
Jane le scostò i capelli dal viso e si rialzò ridacchiando.
“Ok, ho capito, donna mugugnante. Vado a prenderti un paio di aspirine”.
Lizzie festeggiò all’idea di avere altri due minuti di tregua prima di doversi alzare davvero, ma Jane tornò comunque troppo presto.
“Ecco qua le tue belle amichette. Tirati su, Lizzie!”
Fu una specie di impresa, ma alla fine Lizzie si sedette in mezzo al letto e prese le pastiglie che Jane le porgeva, poi prese la mano che la sorella le porgeva e si alzò mentre Jane iniziava a scendere.
Col mal di testa che le faceva ad ogni passo, scese le scale pregando di non incontrare nessuno. Neanche il tempo di pensarlo che, mentre varcava la soglia,
“Lydiaaaaaaaa! Alzati o farai tardi anche oggi!”
Il suono soave della voce di Mrs Bennett trapanò la tempia dolorante di Lizzie spingendola a fare un passo indietro, come se avesse urtato contro qualcosa.
“Ah, Jane, tua sorella mi farà diventare matta di questo passo! E mai una volta che tuo padre intervenisse! Devo fare sempre io la parte della cattiva!” sbottò a voce alta poi, dirigendosi verso la porta urlò di nuovo nel vano scale “Lydiaaaaa!”
Intanto Kitty era scesa in cucina, ridendo già troppo rumorosamente.
La povera Lizzie si portò le mani sulle orecchie per difendersi da quell’attacco su tutti i fronti e guardò Jane in cerca di aiuto o, almeno, di un po’ di comprensione.
“Scendo, scendo!” gridò a sua volta Lydia dal piano di sopra e facendo le scale a saltelli, con un’irruenza innaturale per quell’ora del mattino. O forse era Lizzie a non avere la forza di sostenere l’abituale fracasso di casa Bennett.
Lydia la superò come un tornado e andò a sedersi vicino a Kitty, per poi cominciare subito a ciarlare. Lizzie mormorò un “buongiorno” molto poco cordiale e si diresse al bancone della cucina per farsi un caffè nero e forte.
Mentre si sedeva fece l’ingresso in cucina suo padre che, passando alle sue spalle, le fece una leggera carezza sul capo ed andò a prendere posto a capotavola.
Mary emerse dallo studiolo con gli occhiali già inforcati e si sedette. Il caffè uscì e Lizzie si alzò per versarselo in una tazza; intanto gli altri parlavano e si passavano pane tostato, burro e marmellata in un tintinnio continuo di bicchieri, coltelli e cucchiai.
Mentre si sedeva e preparava a sorseggiare il caffè, la madre richiamò la sua attenzione.
“Cielo Liz, che brutta cera hai stamattina!” la rimproverò, neanche fosse colpa sua.
“Ho mal di testa, mamma”
“Beh, che c’entra?” si indispettì, “Non è che perché hai mal di testa puoi essere sciatta e disordinata! Dovresti curarti di più, te l’ho sempre detto! Ma tu e le tue sorelle non mi volete ascoltare! Poi non c’è da meravigliarsi se, all’età che avete, vi ritrovate senza uno straccio di fidanzato! Io alla tua età avevo già avuto Jane, te ed aspettavo Mary!” predicò Mrs Bennett mettendo molta enfasi in ogni frase che pronunciava.
“Mamma, è primo mattino, per favore…” cercò di interromperla Lizzie, ma invano. Mrs Bennett era partita con una delle sue tirate.
“Ah, menomale che almeno Kitty e Lydia mi ascoltano e seguono i consigli della loro mamma. Loro si che si curano! Di questo passo troveranno un marito prima di voi due!”
Jane, con il viso seminascosto dalla tazza, lanciò uno sguardo di soppiatto alla sorella. Lizzie, dal canto suo, aveva lo sguardo rivolto al cielo ed aveva, snza ombra di dubbio, smesso di ascoltare la madre da un pezzo.
Caduta nel vuoto l’invettiva materna, dopo un paio di minuti Liz, Jane e Mary si alzarono per finire di prepararsi ed evitare di dare alla madre una chance per riprendere da dove si era fermata. Mrs Bennett era famosa per la sua capacità dialettica, per così dire.
‘Certo,’ pensò Lizzie guardandosi allo specchio nel bagno “tra le occhiaie da mal di testa, il colorito spento e il malumore latente, questa mattina c’è ben poco da recuperare e curare…”
 

Quando arrivò al consultorio, Lizzie ringraziò mentalmente il silenzio che c’era per i corridoi. Poi ne ricordò la causa e si sentì avvampare.
Entrò nel suo ufficio per posare giacca, borsa e sciarpa e si diresse nella saletta relax per prepararsi un altro caffè nero per il mal di testa, aspettando ad occhi chiusi che la miscela filtrasse. L’aroma forte del caffè le entrò nelle narici, dandole un minimo di sollievo. Quando il bip della macchinetta la avvisò che il caffè era pronto afferrò la tazza, bevve un sorso e, vincendo il fastidio provocatole dai neon dell’ambiente, aprì gli occhi e si decise a tornare nel suo ufficio.
Nel corridoio i neon erano più forti e Lizzie si riparò gli occhi dalla luce con una mano. Fece una decina di passi verso il suo ufficio poi, all’improvviso, urtò contro qualcuno spuntato inaspettatamente da dietro l’angolo.
Un paio di gocce di caffè caldo le finirono sulla mano, ma per fortuna non si sporcò ulteriormente. Lei.
“Ahi, accidenti!”
La persona contro cui era sbattuta, ancora non meglio identificata, aveva una bella macchia di caffè che si allargava sulla camicia bianca.
“Oh, scusami, ero distratta dal mal di testa!” disse Lizzie per giustificarsi, senza nemmeno alzare la testa, tutta presa a cercare di pulire la macchia col fazzoletto preso nella saletta.
“Non… non si preoccupi, signorina!” furono la voce che non conosceva e il tono formale ma gentile, per niente arrabbiato per l’accaduto, a convincere Lizzie ad alzare la testa.
Si trovò davanti un ragazzo di qualche anno più grande di lei, carino e, nonostante il disastro sulla sua camicia, con un’espressione piuttosto divertita sul viso. Dopo essere rimasta imbambolata un paio di secondi, si riscosse.
“Mi dispiace, sono mortificata!”
Il ragazzo abbassò un po’ la testa imbarazzato, ma che faceva, arrossiva?
“Non deve signorina, anche io ero distratto e non l’ho vista arrivare. Se fossi stato più attento avrei potuto evitare lei e… la sua tazza di caffè!” disse sorridendo. “Lei è sicura di non aver riportato danni?”
‘Oddio, ma da dove è sbucato fuori?’ pensò Lizzie sorpresa.
“No, no, credo di stare bene, grazie!”
‘Insomma!’ pensò poi.
“Bene, mi fa piacere. Allora, concluso l’incidente, lasci che mi presenti: sono Charles Bingley” disse, ed accompagnò la presentazione con un altro sorriso pulito e una mano tesa verso di lei.
Lizzie lo osservò stupita dalla sua gentilezza, gli strinse la mano e si presentò.
“Bene, e io sono Elizabeth Bennett”
Una specie di lampo passò nello sguardo del ragazzo di fronte a lei ma subito scomparve. Un attimo dopo una voce troppo particolare per essere dimenticata li interruppe.
“Ah bene Charles, vedo che sei arrivato”
“Si, scusa il leggero ritardo Will, abbiamo avuto un piccolo contrattempo” spiegò con un ghigno divertito Bingley, indicando prima sé stesso e poi Lizzie. Lo sguardo di Mr Darcy si spostò dal ragazzo alla sua camicia a Lizzie e si indurì.
‘Perché mi guarda così?’
Con ancora una mano stretta intorno alla tazza e l’altra sospesa a mezz’aria, dove aveva incontrato quella di Bingley, Lizzie pensò che le stava già meno simpatico. ‘Non poteva evitare di sottolineare questo disastro, accidenti?’
“Buongiorno, Mr Darcy”
“Dottoressa Bennett” ribatté subito gelido, e poi si rivolse all’altro. “Charles, ho bisogno che tu mi raggiunga nel mio ufficio”
“Certo” si riscosse Bingley, poi si rivolse a Lizzie. “Dottoressa, è stato un piacere fare la sua conoscenza!” la salutò cortese e raggiunse immediatamente Darcy il quale, dopo averla tenuta inchiodata con uno sguardo gelido, girò i tacchi e se ne andò senza dire una parola.
“Anche per me” disse al vuoto Lizzie, poi si riscosse e tornò nel suo ufficio, il mal di testa semmai ancora più feroce.
Posò la tazza sulla scrivania e ripensò all’accaduto. Si nascose la testa tra le mani quando realizzò che, oltre alle voci di ‘pazza schizzata, approfittatrice del telefono del so ufficio e maldestra maliarda’, ora doveva aggiungere alla lista dei motivi per essere licenziata anche ‘sbadata’ e ‘potenziale omicida con tazze di caffè bollente’.
Inoltre, e  questo davvero non se lo spiegava, perché Mr Darcy l’aveva guardata in quel modo così freddo? Possibile che ce l’avesse ancora per il giorno precedente? O magari era per la camicia una volta immacolata dell’amico?
Non lo credeva possibile, ma si sentì ancora più in imbarazzo del giorno precedente. Se non avesse avuto mal di testa avrebbe preso volentieri a testate la scrivania ma, data la situazione, si disse che non era il caso.
Si sedette sbuffando, afferrò la tazza e ne bevve un sorso abbondante.
“Alla faccia della tua tanto decantata professionalità” si disse, ritrovandosi a ridere di sé stessa e a voler quasi piangere contemporaneamente. Ma ormai quel che era fatto era fatto, doveva solo pensare a fare bene il suo lavoro e ad evitare di fare ulteriori danni.
Prese una cartellina e cercò di mettersi al lavoro.
 

Altrove, qualcuno scuoteva la testa.


Eccoci.. Spero che l'attesa sia stata degnamente ricompensata.
Nel momento della lettura chi vi aspettavate che fosse il povero sfortunato che impatta con Lizzie? Ho avuto la tentazione di interrompere il capitolo in quel punto, ma non sarebbe stato completo e non era giusto lasciarlo così monco, ma mi sarebbe piaciuto leggere vostre ipotesi.. Che ve ne pare dei nuovi Longbourne e Netherfield? Vi gustano? Personalmente il momento più divertente da scrivere è stato il risveglio, mrs Bennett sa dare tante soddisfazioni! Ma sono soddisfatta anche di Mark, diamo il benvenuto al mio unico personaggio originale della storia! :)


Vi ringrazio ancora per essere passate e chiedo pietà per le note pietose e se ci dovessero essere dei refusi, sono davvero reduce da una settimana pesantissima..
Spero di essere più veloce col prossimo aggiornamento, un pezzo del capitolo è già scritto, spero di finirlo in poco!
A presto!

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Capitolo 3
*** Saturday Night Live ***


Eccomi di nuovo qua! Lo so, sono pessima di nuovo, ci ho messo una vita.. è che ho capito che, per farmelo piacere davvero, un capitolo mi deve stare sotto le mani una decina di giorni. A questo aggiungete che sono una bacucca che non riesce a scrivere se non ha un quaderno sotto le mani (proprio non ce la faccio direttamente su Word T_T) e che quindi mi ci vogliono due serate per ricopiare i capitoli, l'ultimo esame, le prove per il musical (sì, canticchio XD) e chi più ne ha più ne metta, e questo è il risultato!
Vi ringrazio per la pazienza!
Detto questo, vi informo che, da brava consumatrice di penne, ho dovuto fare un incontro col sindacato dei miei personaggi e.. mi hanno cambiato un po' le carte in tavola. Quindi la trama originaria sta subendo delle modifiche e dovrò starci dietro (spero di riuscirci in modo decente!), ma d'altronde hanno ragione, si tratta delle loro vite! Quindi è probabile che Mark non sia l'unico personaggio completamente originale che incontreremo, sto contrattando con le new entry XD



Capitolo 3
Saturday Night Live


È una verità universalmente riconosciuta che, quanto più cerchi di non pensare a un problema, tanto più ti ritroverai davanti cose che te lo ricorderanno.


Tess bussò alla porta cinque minuti prima delle nove. Lizzie la invitò ad entrare e tirò un sospiro di sollievo quando la vide nella cornice della porta. Si era fidata, voleva farsi aiutare. Una piccola parte di sé penso di essere stata brava con lei e ne gongolò. Varcando la soglia, Tess la cercò subito con lo sguardo, buon segno. La fissò e le fece un piccolo sorriso nervoso. Altro buon segno. Lizzie cominciò finalmente a sentirsi meglio. Si alzò e le andò incontro.
“Ciao Tess. Sono contenta di vederti” le disse sorridendole a sua volta. Tess le fece un cenno col capo e le sorrise un po’ in più ma era evidentemente tesa, lo sguardo si posava tutt’intorno senza sosta e si tormentava le mani.
“Andiamo, Lizzie?” le chiese, ormai impaziente.
Lizzie apprezzò il coraggio che stava dimostrando. Non si stava facendo intimidire dalla situazione, non voleva restare nel limbo dell’incertezza, voleva sapere. Era una ragazza forte.
“Certo. Vieni, ti accompagno nello studio medico”. Le mise un braccio intorno alle spalle e la accompagnò. La sentì rilassarsi appena a quel contatto, ma non si fermò né la guardò. Bussò alla porta e la voce da dentro le invitò ad entrare.
Lizzie esultò: quel giorno era di nuovo di turno Emma ed era proprio quello che ci voleva. Sapeva essere molto rassicurante con le sue pazienti, Tess sarebbe stata in ottime mani.
“Buongiorno Emma!”
“Buongiorno…” mormorò appena Tess.
“Ciao Lizzie, e buongiorno a te!” sorrise luminosa Emma.
Tess si rese conto di non essersi presentata e tese subito la mano alla giovane donna dietro alla scrivania.
“Io sono Tess”
“Emma, Tess è qui per fare un prelievo. Sai se l’analista è già arrivato?”
“Qua non si è fatto vedere ancora nessuno. Che esami deve fare?”
“La solita routine di partenza: emocromo completo, sideremia, facciamo anche la beta”.
Emma la guardò un attimo sorpresa.
“Allora la gravidanza non è ancora sicura?”
“No” disse Lizzie mettendo una mano sulla spalla della ragazza che intanto si era seduta. “Tess ha preferito chiedere direttamente aiuto a noi. Ah, accidenti! Ho dimenticato la sua cartella nel mio ufficio. Scusatemi, vado a prenderla” disse Lizzie, scuotendo la testa per la sbadataggine che la accompagnava quel giorno. Si richiuse la porta alle spalle e si diresse velocemente al suo ufficio, facendo attenzione a non urtare contro nessuno agli angoli dei corridoi.
Intanto Emma, per spezzare il silenzio che si era creato nello studio, guardò di nuovo Tess e le sorrise dolcemente.
“Hai fatto benissimo a rivolgerti a noi, piccola. Vedrai, la nostra Lizzie ti seguirà in tutto e per tutto”.
“E per tutto il resto” disse Lizzie rientrando nella stanza “ci sono un sacco di bravi medici qua”.
“Lo so” rispose più decisa Tess e si voltò di nuovo verso Lizzie, che però era scomparsa nel retro dello studio e stava recuperando dei moduli da uno scaffale.
In quel momento bussarono alla porta.
“Avanti!” disse Emma e la porta si aprì rivelando un infreddolito dottore.
“Buongiorno Emma!” le sorrise.
“Ciao dottore! Prego, entra!” rispose amichevole. “Lei è la tua paziente, Tess”.
L’uomo varcò la soglia, si richiuse la porta alle spalle e tese la mano alla ragazza. “Ciao Tess, io sono…”
“Mark! Che ci fai qui?” esclamò Lizzie sorpresa mentre rientrava nella stanza.
“Come che ci faccio! Sono venuto per il prelievo!” rispose, poi si voltò verso Tess. “Sì, sono Mark, il dottore che ti farà il prelievo più indolore della storia, promesso!”
Emma osservò l’espressione di Lizzie, decisamente sorpresa di vederlo.
“Ma non eri impegnato stamattina?” insisté Lizzie.
“Ho trovato un po’ di tempo. Ora la smetti di fare l’antipatica? Sembri felicissima di vedermi!” rispose Mark fingendosi offeso.
“Certo che lo sono!” si spiegò Lizzie. “Sono solo sorpresa di vederti, tutto qua” disse porgendo i moduli ad Emma che cominciò a riempirli. Mark le fece un occhiolino e Lizzie arrossì per l’imbarazzo.
“Bene, sono felice di vederti anch’io, ma ora non essere egoista e lascia che mi dedichi alla nostra paziente!” disse con un tono da sbruffone e si rivolse a Tess, lasciando Lizzie a bocca aperta per come stava approfittando della situazione per metterla in imbarazzo.
“Allora, Tess, sarò rapido e indolore, quindi tranquilla, sei in ottime mani!”
Tess aveva seguito lo scambio di battute con curiosità e ora guardava il giovane medico che le stava di fronte con simpatia, quel siparietto aveva contribuito a farla rilassare. Sollevò la manica destra della maglia, strinse la mano a pugno e Mark le tastò l’incavo del gomito alla ricerca della vena in cui infilare l’ago. La trovò dopo qualche secondo, disinfettò il punto e la vide trattenere il respiro.
“Dimmi Tess, quanti anni hai?” le chiese per distrarla e, mentre lei lo guardava in viso, concentrato a fare il suo lavoro causandole il minor dolore possibile, Mark infilò con una mossa decisa ma delicata l’ago nella pelle chiara della ragazza.
Tess sussultò appena, non aveva sentito quasi nulla ma cercò comunque di distrarsi rispondendogli.
“Diciotto tra qualche mese”.
“Sembri un po’ più grande, sai?” le rispose Mark che, all’espressione leggermente perplessa della ragazza, pensò bene di precisare. “In senso buono! Non intendevo darti della vecchia, Lizzie è vecchia, mica tu!”
Tess ridacchiò e lui le fece l’occhiolino.
“Ehi, che c’entro io?” ribatté Lizzie appena piccata.
“Dicevo” continuò Mark senza risponderle ma lanciandole un sorriso “che mi sembri molto matura per la tua età”.
“Grazie” mormorò Tess abbassando lo sguardo. Mark l’aveva guardata dritto negli occhi mentre glielo diceva e non aveva potuto reggere il confronto. Era arrossita.
Lizzie lo notò e trovò la cosa piuttosto buffa, stava assistendo al famoso fascino di Mark all’opera.
‘Chissà come mai su di me non fa effetto!” si chiese osservandoli.
Mark aveva riempito l’ultima provetta e si era alzato un po’ sulla sedia per applicarle una piccola medicazione e Tess si era appena irrigidita. Assicuratosi che tenesse, le diede un buffetto e le disse:
“Bene, allora speriamo che vada tutto bene!”
Il colorito di Tess aumentò di un paio di sfumature verso il rosso e Lizzie provò una gran tenerezza nei suoi confronti.
“Dottoressa, va bene se ti faccio avere i risultati in quattro, cinque giorni? Abbiamo un bel po’ di lavoro al laboratorio”.
“Ma guardatelo! Ieri eri talmente libero da fare il centralinista e oggi fai l’uomo impegnato?” lo stuzzicò Lizzie. Non c’era niente da fare, doveva prenderlo in giro ogni volta che poteva.
“Dottoressa Bennett, sei tu che hai dedotto che non ci fosse da fare al laboratorio. Non significa per forza che sia così! Anzi, magari lo fosse!” sospirò Mark riponendo le provette nella valigetta che aveva portato con sé.
“Tra quattro, cinque giorni andrà benissimo Mark, grazie!” intervenne Emma, a cui Mark regalò un bel sorriso luminoso.
“Grazie, tu si che sei un’amica!
“Prego, ma non tardare. Tess aspetterà quei risultati e penso che voglia conoscerli il prima possibile”.
Tess fece un cenno affermativo ad Emma e Mark le si rivolse in tono rassicurante, guardandola di nuovo negli occhi.
“Farò quanto prima, te lo prometto”.
“Grazie, dottore” riuscì a dire Tess sorridendogli di rimando.
“Bene, allora io vado. Buona giornata a tutte, splendide donne!” disse Mark platealmente e, recuperata la valigetta, sparì oltre la porta.
Emma e Lizzie si ritrovarono a scuotere il capo con ilarità di fronte all’esuberanza di Mark. Tess invece ne era rimasta incantata.


Lizzie accompagnò Tess alla porta.
“Allora mi raccomando, stai tranquilla, non agitarti. Per l’inizio della prossima settimana avremo i risultati delle analisi e ci comporteremo di conseguenza. Fino ad allora non fasciamoci la testa, ok?”
Stava cercando di rassicurarla senza però darle troppe false speranze. Aveva usato la prima persona plurale per farle capire che, comunque, non si sarebbe ritrovata sola in quella situazione.
Tess fece un profondo respiro per calmarsi, come le aveva insegnato Lizzie.
“Va bene, cercherò di stare tranquilla. Tanto, ormai, quel che è fatto è fatto, giusto?” cercò di sdrammatizzare.
“Beh, direi!” disse Lizzie e la abbracciò. “Sei sempre sicura di non voler dire niente a Simon?”
La ragazza si rabbuiò all’istante.
“No, preferisco di no. So com’è fatto e non la prenderebbe bene sapendo che, ora come ora, non può fare nulla per saperne di più. Se le analisi saranno positive glielo dirò, altrimenti gli avrò risparmiato l’ansia che sto provando io ora”.
“Te l’ho detto Tess, condividere con qualcuno le cose belle o brutte che viviamo fa bene, sempre. Ci fa crescere insieme. Ma il mio è solo un consiglio, lo sai.”
“Sì, lo so e ti ringrazio”.
“Ti chiamo io quando mi arrivano i risultati, così li leggiamo insieme, ok?”
“Va bene. Allora a presto”.
“A presto, Tess. Intanto, buon weekend”
Quando la ragazza sparì oltre l’angolo del corridoio, Lizzie si richiuse la porta dietro e si augurò che quella piccolina non dovesse portarsi da sola un peso enorme sulle spalle. Come spesso le capitava sul lavoro, sperò che il suo intuito fine si sbagliasse.


Il resto della giornata Lizzie lo passò il più possibile nel suo studio, col mal di testa ancora latente e la paura di andar a sbattere ancora contro uno sconosciuto dal sorriso facile e disarmante.
Finalmente, dopo un turno che le era sembrato eterno, arrivò il momento di lasciare il consultorio. Certo, tornare nel caos di casa Bennett non era il massimo, ma almeno avrebbe potuto stendersi sul suo letto e guardare qualche programma stupido che l’avrebbe fatta ridere o, meglio ancora, avrebbe potuto stare nella penombra a rilassarsi. E se il cielo fosse stato libero, avrebbe potuto guardare le stelle dalla sua finestra.
Ma intanto, varcando la soglia del consultorio, poté pregustare una parte del suo riposo: Jane la aspettava, poggiata al muretto di mattoncini rossi di fronte al cancello della struttura.
Sorrise e la raggiunse.


“Finalmente anche questa settimana è andata!” sospirò leggera Marianne arrotolandosi la sciarpa al collo prima di uscire nell’aria fredda e umida di quella primavera londinese.
“Già, è stata davvero … piena! Non vedevo l’ora di staccare un po’ anch’io” rispose Lizzie, effettivamente stanca, chiudendo gli ultimi bottoni del cappotto e infilandosi un cappellino di lana. Non l’avrebbe mai ammesso, ma la nuova situazione al consultorio, sommata alle sue grandi esibizioni e al bisogno di contenere le frustrazioni derivatene, l’avevano stressata molto. E chi era la causa di tutto? Lui, il maledetto tricheco che pareva aver reso in un batter d’occhio di piombo l’aria lì dentro. Lizzie sentì l’irritazione salirle di nuovo.
“Hai bei programmi per il weekend?” domandò a Marianne per distrarsi.
“Ho la festa di compleanno di nostra madre, non possiamo mancare. E tu?” le chiese Marianne infilando le mani in tasca per il freddo.
“Una mia amica mi ha invitata ad una festa, dovrebbe essere una cosa carina. Ci vuole una serata diversa ogni tanto”.
“A chi lo dici! Beh, magari un’altra volta mi aggrego volentieri, se ti va”.
“Certo Mary, figurati! Alla prossima occasione te lo farò sapere di certo!”
“Grazie!” esultò Marianne. “Allora divertiti anche per me domani!”
“Anche tu! A lunedì!” si salutarono per poi separarsi.
Quel giorno Jane non poteva raggiungerla, per cui Lizzie si avviò verso la fermata della metro da sola. Mentre camminava, stretta nel suo cappotto e coi capelli scompigliati dal vento, si sentì chiamare da una voce familiare e si voltò nella direzione da cui l’aveva sentita venire.
“Ciao, Char!”
“Ciao bellezza!” la salutò con un bacio sulla guancia. “Come stai? Che ci fai per strada da sola?”
“Sto uscendo dal lavoro adesso, mi stavo avviando alla metro per tornare a casa. E tu come stai?”
“Bene, grazie. È stata una settimana piuttosto impegnativa, ho voglia di distrarmi un po’”.
“A chi lo dici!” sbottò Lizzie.
“Torni direttamente a casa o vuoi fare un giro?”
“Non ho nessun impegno, se vuoi facciamo due passi”.
“Vorrei andare a Oxford Street per cercare qualcosa di carino, tu hai già deciso cosa mettere?”
Lizzie non capiva e il suo smarrimento doveva essere evidente, poiché Charlotte le chiese con una punta di incredulità
“Senti, non ti sarai mica dimenticata di domani sera?!”
“No, certo che no!” rispose Lizzie, sorpresa dall’enfasi e dalle aspettative che Charlotte stava riponendo in quella serata.
“Come mai sei così eccitata all’idea di domani?”
“Mah, non lo so, ho una strana sensazione! Sento che sarà una gran serata, hai visto mai che incontriamo l’uomo dei nostri sogni?” disse con uno sguardo speranzoso e un’ombra di malinconia sul fondo.
“Oh, andiamo Charlotte! Lo sai che con me questo discorso non attacca, non riesco a perdere la testa dietro al primo bel faccino”.
“Certo che lo so, Liz” disse cambiando tono e guardando altrove. “Tu non sei una che si accontenta, non lo sei mai stata”.
“Solo il vero amore può indurmi al matrimonio, ragion per cui morirò zitella”citò con convinzione Lizzie.
“Non so come fai ad avere la forza di crederci davvero… Io mi sento così sola, e la solitudine mi fa paura. Pensare di non avere nessuno che riempia i miei giorni mi fa male”.
“Char… Te l’ho detto cosa ne penso. Credi che staresti meglio con una persona che non può renderti felice come meriti?”
“Non fare così, Liz, mi fai sentire come se mi accontentassi. Non sono una bellezza e sarei la donna più felice del mondo se solo qualcuno mi degnasse della sua attenzione, e tu invece fai addirittura la schizzinosa!”
“Char, ti sottovaluti!” disse con forza Lizzie per trasmetterle la sua convinzione sull’argomento.
“Lasciamo stare, Liz”.
Lizzie percepì chiaramente il tono amaro dell’amica, come un sapore spiacevole sulla lingua, e se ne sentì responsabile.
“Mi dispiace, Char…”
“Ah, non fa niente!” cercò di sdrammatizzare lei. “Sono solo le mie stupide paure da sindrome premestruale… Niente che una bella serata con le mie amiche non possa cancellare! E, per domani sera,” disse lanciandole uno sguardo quasi di sfida, “lasciami sognare di vederti incontrare l’uomo che manderà all’aria i tuoi schemi!”


Lizzie entrò nella stanza zoppicando su due scarpe diverse.
“Che ne pensi?” chiese alla sorella.
Jane si girò sulla sedia e si soffermò a guardarle i piedi: quello destro era in una comoda ballerina nera, il sinistro invece in un decolleté, sempre nero, che non aveva l’aria altrettanto comoda ma era molto bello.
“Dipende se vuoi dare più importanza al look o alla comodità, ti stanno molto bene entrambe”.
“Jane, ti prego, non cercare di difendere le mie scarpe! Dammi un parere, non le sto mica accusando di avermi fatto incarnire un’unghia!”
“Non le sto difendendo,” replicò Jane con convinzione, “è che riesco a vedere gli aspetti positivi di entrambe!”
“Ah, ci rinuncio, sei incredibile!” sbottò Lizzie buttando gli occhi al cielo. Sfilò entrambe le scarpe e tornò nel bagno a piedi scalzi mentre Jane si voltava di nuovo verso lo specchio per continuare a truccarsi.
Lizzie tornò con una spazzola, la posò sul tavolino a cui sedeva Jane e le riinfilò di nuovo, poi se ne andò davanti allo specchio e si guardò da varie prospettive. Voleva sentirsi bene e bella quella sera, e sapeva che solleticare la sua vanità l’avrebbe fatta stare meglio, come per una chissà quale sorta di rivincita contro la vita e, indirettamente, il tricheco che gliela stava rendendo pesante.
“Bene!” esclamò soddisfatta quando ebbe deciso.
“Quale ha vinto?” chiese curiosa Jane e per niente indispettita dalla divergenza di poco prima.
“Voglio sentirmi chic stasera, quindi metterò i decolleté. Ma tanto lo so che la mia resistenza sui trampoli è limitata, per cui infilo le ballerine nella borsa e, quando mi faranno troppo male i piedi, farò a cambio”.
“Sei sicura che le ballerine ci entrino in borsa?” chiese Jane perplessa.
“Mi inventerò qualcosa per farcele entrare! Tu hai deciso cosa mettere?”
“Sì, un vestitino. E tu?”
“Jeans, top nero e gilet nero con paillettes”.
“Mi piace! E se dopo vieni qui ti sistemo anche i capelli”.
“Grazie sorellina!” disse Lizzie affacciandosi nello specchio alle sue spalle per farle un gran sorriso.
Jane ricambiò, poi tornò a passarsi un filo di mascara sulle ciglia. Lizzie si vestì, giusto nel tempo necessario a Jane per completare la sua opera e andare a recuperare il suo vestito, lasciando la toletta libera per Lizzie che cominciò a truccarsi a sua volta.
Mentre si passava sulle palpebre un velo di grigio, Jane comparve alle sue spalle con già indosso un vestitino blu a maniche lunghe con dei fiorellini e i capelli raccolti, morbidi sulla nuca, con qualche ciocca che le sfuggiva qua e là. Lizzie la ammirò muoversi per la stanza per qualche secondo, poi tornò a concentrarsi sul suo make-up.
Un paio di minuti dopo, mentre si dava l’ultimo leggerissimo tocco di colore sulle guance, sentì le mani della sorella sulle sue spalle.
“Sei pronta?” le chiese Jane prendendo la spazzola.
“Sì, ho appena finito.”
“Bene” rispose solo Jane, deliziandosi di potersi prendere cura della sorella, e cominciò a spazzolarle i lunghi capelli castani mentre l’altra, sotto la carezza leggera e costante della spazzola, si rilassò.
Quando i capelli furono morbidi e districati dai mille nodi che Lizzie ci faceva con le dita, Jane li alzò in una bella coda ferma che lasciava libero il ciuffo e ne studiò l’espressione soddisfatta. Le fermò qualche ciocca più corta con delle fermagline, poi fece un passo indietro.
“Siamo pronte”.
“No” disse Lizzie cercando qualcosa in un scatolo. Ne estrasse un fiore di stoffa che appuntò tra i capelli della sorella. “Ora siamo pronte!”

Charlotte, Lizzie e Jane varcarono la soglia del Netherfield e subito la musica le avvolse, benché fosse certamente più ovattata che in pista.
C’era qualche ragazzo in fila davanti al guardaroba, per cui dovettero aspettare qualche minuto per poter lasciare cappotti e borse. Tennero solo i documenti e dei soldi per poter prendere qualcosa da bere, poi andarono incontro alla musica.
Nella sala faceva caldo, nonostante l’ambiente fosse enorme. Almeno un paio di centinaia di ragazzi si agitavano forsennati sulle note trascinanti di un rock’n’roll anni ’60, e le luci li rendevano allegre macchie a intermittenza di colori in movimento.
Avevano varcato la soglia della sala da pochi secondi, quando dalle casse sparse un po’ ovunque partì un travolgente
Crocodile Rock

Charlotte, che le guidava verso il centro della pista, si girò immediatamente verso le altre due e, 
incurante della folla che si spostava e spintonava, cominciò a ballare. Lizzie la seguì a ruota e anche Jane non si fece pregare. 
Si ritrovarono in cerchio a ballare imitando le movenze di quegli anni, agitando le braccia su e giù, passandosi le mani con le dita a V 
davanti agli occhi, a far finta di andare sott’acqua col naso chiuso, e in un attimo erano entrate nel mood di quella serata a tema.
Ballavano e ridevano a guardarsi a vicenda, sentendosi per niente ridicole e con l’unico obiettivo di godersi appieno la serata. Non c’era da contenersi, solo da lasciarsi andare alla musica. Via tutta la stanchezza, le ansie, le preoccupazioni, i brutti pensieri, le pressioni e le figuracce di un’intera settimana, Lizzie alzò le braccia, chiuse gli occhi e dimenticò tutto. Niente più discorsi assurdi di prima mattina, niente più preoccupazioni per le sue pazienti e in particolare per Tess, niente più tentati omicidi con tazze di caffè bollente, niente più Mr Tricheco a farla sentire un’inetta principiante.
Più si liberava di tutta quella negatività, più si sentiva più leggera e bella e il dj sembrava che fosse in sintonia coi suoi pensieri, perché fece partire
Pretty Woman

Lizzie aprì gli occhi come se si fosse appena svegliata da un sogno lungo e bello. Si ritrovò Jane e Charlotte di fronte che si stavano divertendo 
quanto lei e sentì le labbra stendersi in un ampio sorriso.
Trascinata dalla musica, cominciò a battere il piede a terra a ritmo col tom della batteria e ad ammiccare in direzione di Charlotte, che le si avvicinò con un’espressione che voleva essere ammiccante a sua volta ma che, per le risate che le venivano, proprio non riusciva a mantenere. Invece Lizzie, con un piglio appena più serio, cominciò a ballarle intorno insieme a Jane. Gli si fece un po’ di vuoto attorno e qualcuno si mise a guardarle, divertito e accattivato da ciò che facevano.

Pretty woman don't walk on by
Pretty woman don't make me cry
Pretty woman don't walk away, hey, OK


Si cantarono e mimarono a vicenda quel che restava della canzone. Charlotte non avrebbe saputo dire chi, tra Lizzie e Jane, riuscì a fare l’espressione più addolorata cantando

If that's the way it must be, OK
I guess I'll go on home, it's late
There'll be tomorrow night,


ma l’espressione di Lizzie sul
but wait
What do I see?
Is she walkin' back to me?
vinse decisamente su quella di Jane.

Yeah, she's walkin' back to me


Charlotte prese per mano le due amiche e le tirò a sé

Oh, oh, pretty woman.

E finirono la canzone in un abbraccio affettuoso che nessuna sciolse per prima.
Il dj mixò il finale della canzone con l’inizio di
Misirlou che, essendo stata la colonna sonora di Pulp Fiction 
ed essendo stata ripresa pochi anni prima dai Black Eyed Peas, era molto nota e mandò in visibilio i ragazzi in pista. 
Qualcuno le urtò, costringendole a separarsi.
Avvicinandosi di nuovo alle amiche e, nonostante tutto, urlando per farsi sentire, Charlotte propose:
“Andiamo a cercare la mia collega? Dovrebbe essere con amici e, a quest’ora, sarà già arrivata!”
Jane fece solo di sì con la testa, col volume che c’era aveva capito solo la parola collega e tanto le bastava. Si presero per mano per non perdersi e si incamminarono nella calca che si agitava frenetica.
Dopo poco Lizzie vide una mano afferrare Charlotte per una spalla e l’amica girarsi di scatto e sorridere: a quanto pare erano state fortunate ed avevano trovato in fretta chi stavano cercando. Vide Charlotte salutare affettuosamente una ragazza bionda, piccolina e con un viso simpatico, e poi additarle. La biondina si aprì in un bel sorriso e si sporse a salutarle con un bacio per ciascuna sulla guancia, come se le conoscesse da tempo, e le due Bennett ricambiarono con pari calore.
Charlotte e la collega si scambiarono un paio di battute urlandosi nelle orecchie, dopodiché fecero segno di andare a bere qualcosa. Lizzie si rese conto di essere assetata e fece segno di sì con la testa e anche Jane si accodò velocemente, si erano scatenate da subito e la temperatura nel locale era davvero alta.
Si avviarono verso il bar camminando al ritmo di
Hit the road, Jack!
e quando riuscirono ad arrivare al bancone la biondina si girò e, complice il volume più basso, disse:
“Scusate ragazze, Charlotte mi ha anche detto i vostri nomi ma, con tutto quel casino, non li ho capiti. Ad ogni modo, io sono Harriet!” ed accompagnò l’ammissione con una bella risata spontanea. Lizzie l’apprezzò per la schiettezza e si sentì ancora meglio predisposta nei suoi confronti.
“Io sono Jane, è un piacere conoscerti!” disse cordiale la sorella.
“Io sono Lizzie e, tranquilla, nemmeno io avevo capito il tuo nome!”
Harriet sembrò sollevata e divertita e richiamò l’attenzione di uno dei ragazzi dietro al bancone, che si avvicinò loro per sentire cosa volevano.
“Una birra!” dissero in coro Charlotte e Jane.
“Tre, belle fredde!” si accodò Lizzie.
“Facciamo quattro e ci passa la paura!” concluse Harriet, e il ragazzo sparì sotto il bancone per prendere le bottiglie. Riemerse qualche secondo dopo, le posò sul piano del bar e gliele aprì rapido, con la manualità di chi lo fa da tempo, e poi scoccò un sorriso malandrino a Jane, la quale arrossì e si nascose dietro una mano per l’imbarazzo, ottenendo di incantarlo solo di più.
Le ragazze pagarono e fecero tintinnare i vetri in un tacito brindisi di sguardi alla loro serata, poi sorseggiarono con avidità il liquido fresco. Dopo, fu un’altra storia.
“Allora Harriet, con chi sei venuta alla fine?” chiese Charlotte.
“Mi sono aggregata ad alcuni amici che erano sicuri di venire, e che a loro volta hanno portato altri amici. Sono quasi tutti lì in mezzo alla mischia, credo”.
“Lavorate nello stesso ufficio?” chiese Jane.
“Sì, ci siamo conosciute lì. Io sono la segretaria del responsabile amministrativo e ho fatto da tutor a Charlotte quando è stata assunta nel nostro reparto”.
“Mi è stata di grande aiuto” disse Charlotte buttando un braccio intorno alle spalle della collega, “mi avrebbero già sbattuta fuori se non mi avesse insegnato alcuni trucchi del mestiere!”. La gratitudine di Charlotte fece arrossire Harriet.
“Non si parla di lavoro stasera, siamo qua solo per divertirci!” disse Lizzie e Harriet alzò la bottiglia nella sua direzione.
“Ben detto!”
“Torniamo dai tuoi amici?” propose Charlotte. “Possiamo benissimo stare tutti insieme!”
“Certo! Sono lì, ne vedo alcuni!” disse Harriet indicando un punto indistinto della pista. Le ragazze afferrarono bene le bottiglie e scesero di nuovo tra la folla, seguendo Harriet che le guidava in fila indiana, con Lizzie a chiudere il gruppo.
Quando finalmente li raggiunsero, Lizzie notò che si erano avvicinate al fondo del locale. Erano nella zona dei divanetti, evidentemente anche gli altri dovevano essersi diretti lì per fermarsi un po’.
I ragazzi erano per lo più di spalle, alcuni seduti e altri in piedi, e chiacchieravano, meno disturbati dalla musica. Harriet si allontanò da Charlotte e richiamò l’attenzione di un ragazzo che si girò e vide le ragazze dietro l’amica. Allungò una mano amichevole e si presentò come Jeremy. Charlotte, Jane e Lizzie gli tesero a loro volta la mano e si presentarono. Sentendo più voci, altri due ragazzi che stavano abbracciati si voltarono, aprendo il cerchio in cui si erano chiusi, e si presentarono come Candice e Julian, e anche a loro Charlotte, Jane e Lizzie strinsero la mano.
Fu nel momento in cui posò lo sguardo oltre la spalla di Candice che il sorriso sul volto di Lizzie si contorse in una piccola smorfia.
Cos’era, uno scherzo? Non era possibile!
Anche dall’altro lato del tavolino uno sguardo cambiò in modo repentino.
“Dottoressa Bennett…”
“Mr Darcy…”






E rieccoci! Ok, stavolta forse sono stata un po' cattivella a lasciarvi così ma credetemi, andava fatto uno stacco! (anche per le mie dita XD)
Beh, che ne dite? Non uccidetemi!
Mi scuso se il layout fa schifo, ho dovuto mandare un sacco di volte accapo per evitare di far venire le frasi talmente lunghe da uscire dallo schermo. Credo che dipenda dai link che ho inserito, scusate, è la prima volta che lo faccio, spero di migliorare!

A presto (si fa per dire XD), baci a tutte!

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Capitolo 4
*** Ogni scarrafone è bbell' 'a mamma soja ***


Ciao a tutti. So che starete pensando “era ora, ma che fine aveva fatto questa??”, lo so. So anche che sono mesi che non mi faccio sentire, credo di dover rispondere ancora ad alcune recensioni, prometto che lo faccio subito, e soprattutto grazie di essere ancora qui. Non c’è una scusa valida per la mia assenza, se non.. la vita. Ero nel pieno della scrittura, nel mese di marzo, quando ho saputo che una delle mie più care amiche stava molto male. E quando dico “molto” voi leggeteci “tumore”, e aggiungeteci “ha la mia età”. Non vi sto a dire quello che è successo, ma ovviamente la voglia di scrivere è sparita, andata chissà dove. Poi, piano piano, lei è tornata alla vita, ora sta bene, e con la sua salute si è ripresentata anche la voglia di continuare questa storia. Ma ci è voluto tempo e comunque, anche dopo la conferma che stava bene, non sono riuscita subito a tornare a scrivere. Mi dispiace perché voi, comunque, non potevate saperlo, ma non mi andava di mettere un avviso qua.
Ma ora pare che io sia di nuovo in pista. La storia, intanto, nella mia testa si è sviluppata in maniera diversa, ci sono dei cambiamenti che ho dovuto mettere su carta, per non perdermeli. So dove voglio andare a parare, abbiate fede, è il percorso che è in via di definizione XD
Cambiamenti grafici: ho pensato che non scriverò più Lizzie ma Liz, è più attuale e forse anche più piacevole da leggere, poi ditemi voi, sono aperta ai suggerimenti. Qualcuno poi mi aveva suggerito di rendere più evidente la differenza grafica tra i pensieri e i dialoghi veri e propri, ho pensato di usare queste virgolette ‘’ e di metterli in corsivo, ditemi se è più chiaro così 
Errori: in più di una recensione mi è stato fatto notare che ci sono degli errori di battitura qua e là. Vi prego, me li fate presenti (magari non nelle recensioni, che mi fa bruttino)? Perché, una volta che ho finito di ricopiare il capitolo, è come se non riuscissi a vedere più niente. Mea culpa.

Bene, allora dov’eravamo rimasti? Ah sì, a Liz e Mr Darcy che si salutano il sabato sera in discoteca.

“Fu nel momento in cui posò lo sguardo oltre la spalla di Candice che il sorriso sul volto di Lizzie si contorse in una piccola smorfia.
Cos’era, uno scherzo? Non era possibile!
Anche dall’altro lato del tavolino uno sguardo cambiò in modo repentino.
“Dottoressa Bennett…”
“Mr Darcy…”



Questo capitolo lo dedico a te, piccola K., anche se non lo leggerai.
Bentornata. Ti voglio bene.

Buona lettura a tutti, ci troviamo giù!



Capitolo 4

È una verità universalmente riconosciuta che “ogni scarrafone è bell’ a mamma soja”


La musica sembrava essersi ridotta a un ronzio ovattato, il tempo pareva scorrere più lento. Si dice che alcuni sguardi uccidano. Per fortuna, come poté constatare Liz, non era vero, altrimenti si sarebbe trovata il cadavere del tricheco ai suoi piedi.
Ma anche Mr Darcy la guardava in modo scostante, come se non desiderasse quell’incontro. E su questo Liz non poteva non essere d’accordo: già non era consigliabile mischiare l’ambiente lavorativo con quello personale quando si riusciva ad andare d’accordo, figuriamoci quando si faceva di tutto per evitarsi.
-Dottoressa Bennett, che piacere rivederla! – la salutò Mr Bingley. Si alzò dal divanetto su cui era seduto e le andò incontro, sorridendole come sempre e tendendole la mano. Questo richiamò la sua attenzione e interruppe il contatto visivo tra lei e il tricheco. Come conseguenza immediata la musica tornò al volume normale e il tempo riprese il suo solito ritmo.
-Salve Mr Bingley, è un piacere anche per me. – rispose Liz cortese e, mentre gli stringeva la mano, si rese conto che non le costava poi tanta fatica essere gentile con lui. Non quando sorrideva di quel sorriso così genuino e giovanile.
-È davvero una sorpresa incontrarla qua! Noi ci siamo aggregati ad un gruppo di amici che si erano già organizzati, non avevamo… ah, accidenti! – si interruppe e gettò brevemente uno sguardo alle sue spalle. Liz lo guardò confusa e l’espressione imbarazzata che si era disegnata sul suo volto non la aiutò a capire.
-Sono davvero distratto! Posso presentarle mia sorella Caroline? – e nel dirlo si spostò di lato dandole modo di vederla, indicandola appena con la mano. Una ragazza all’incirca della sua età, bionda e davvero bella, sentendosi chiamare si voltò appena, distogliendo lo sguardo dal profilo di Mr Darcy, invece attento a seguire la loro conversazione. La bionda fece un cenno col capo, ma troppo tardi. Liz le aveva già teso la mano per presentarsi e aveva colto con un millesimo di ritardo l’espressione annoiata sul volto dell’altra, troppo tardi per poter camuffare il suo gesto cortese con qualcos’altro.
L’altra, seduta sul divanetto, inarcò un sopracciglio infastidita, guardò la mano tesa quasi all’altezza del suo viso e la strinse senza convinzione, con una stretta… molle. Che contrastò letteralmente con quella sicura di Liz. Dalla smorfia che comparve sui bei tratti della bionda, Liz temette di averle fatto quasi male.
-Io sono Elizabeth, ciao. – disse Liz presentandosi, ritenendo inutile ripetere il suo cognome appena detto da Mr Bingley. D’altronde, quella che aveva di fronte era una sua coetanea, quindi che senso aveva essere formale?
Sorrise, ma forse un po’ per circostanza. Avrebbe preferito essere sull’Himalaya a morire di freddo, piuttosto che lì.
-Caroline Bingley – rispose solamente l’altra ricambiando con uno sguardo affilato. La guardò ancora con superiorità e fastidio, come se… come se l’avesse distolta dal fare qualcosa di molto più interessante che rivolgerle la parola.
Liz notò solo allora che tra la bionda e Mr Darcy c’era appena un paio di centimetri: lei gli si era messa vicino in una posa languida, mentre lui sedeva rigido sul divanetto.
-Caroline, la dottoressa Bennett è un’ottima psicologa del consultorio per cui stiamo lavorando, ed ha una gran passione per il caffè! – disse Bingley ammiccando verso di lei e Liz arrossì per l’imbarazzo. Mr Bingley stava evidentemente cercando di far nascere una conversazione che nessuna delle due cercava ma, al ricordo di come si erano scontrati non poté fare a meno di farsi scappare un sorriso, stavolta sincero. Mr Bingley non se l’era affatto presa per quell’incidente.
-Ah, dunque devo dedurre che il disastro sulla tua camicia di alta sartoria sia stato causato da lei. – rispose Caroline con una certa soddisfazione nel sottolinearlo.
Liz la fissò prima di risponderle. Che voleva fare, metterla in difficoltà? Le rispose con onestà, ma senza farsi minimamente intimidire.
-Sì, sono stata io a versargli il caffè sulla camicia.
Caroline inclinò appena la testa di lato e ghignò, soddisfatta e bellissima, come se avesse vinto qualcosa. Ma Liz continuò a sostenere il suo sguardo. Fu l’altra che, dopo aver cantato vittoria per un paio di secondi e per chissà cosa, si voltò verso Mr Darcy, il quale però aveva assistito allo scambio di battute quasi senza battere ciglio. In effetti lui la storia la sapeva già.
Resasi conto che non era più coinvolta in quello strano scambio di sguardi, Liz si voltò verso Mr Bingley per scusarsi. Anche a costo di rimetterci l’intero stipendio – non che la cosa la facesse felice – doveva rimediare.
-Mi dispiace per la sua camicia, da quando ho capito si trattava di un capo di valore. Pos…
-Non lo dica neanche per scherzo, Elizabeth. – la interruppe subito lui. – Non faccia caso a quello che ha detto mia sorella, lei lavora in un negozio di alta moda, è come se avesse parlato di lavoro.
-Ma io… - provò ad insistere Liz, a cui non era sfuggito che lui l’avesse chiamata per nome, pur mantenendo il “lei”.
-Davvero, non si preoccupi. – le sorrise sincero Bingley. – Io ne farei anche a meno, ma in famiglia ci tengono all’etichetta, praticamente tutte le mie camicie sono come quella. Una in meno non farà la differenza.
Ora Liz era davvero stupita. Quanto facoltosa doveva essere la sua famiglia se il ragazzo davanti a lei, che al massimo poteva avere poco più di trent’anni, poteva permettersi un guardaroba così lussuoso? Gli sorrise appena, stordita da quella nuova consapevolezza e dalla semplicità dei suoi modi, così in contrasto con la ricchezza in cui doveva vivere.
-È sola qui stasera, Elizabeth? – chiese Bingley cortese e chiamandola di nuovo per nome, e la cosa le fece piacere.
-È strano, vero? – rispose Liz dando voce ai suoi pensieri. – Cioè, probabilmente siamo quasi coetanei, eppure continuiamo a doverci dare del “lei”.
Bingley la disarmò con l’ennesimo sorriso genuino.
‘Santo cielo, - pensò Liz – ma questo ragazzo sorride sempre in questo modo?’
-Sono pienamente d’accordo, è … innaturale! – concordò.
-Già… ma credo che, se ci comportassimo in maniera diversa, al consultorio la cosa non sarebbe vista di buon occhio. – rifletté Liz.
-Magari potremmo lasciare le formalità tra le mura del consultorio. Che ne dici, Elizabeth? Si può fare? – chiese lui quasi raggiante.
Liz lo studiò un attimo. No, non c’era traccia di malizia né nella sua voce né nella sua espressione, non ci stava provando, né voleva metterla alla prova.
-Si può fare… Charles. – gli disse sorridendogli e illuminandosi.
-Bene! – esclamò lui soddisfatto. – Allora, sei sola stasera, Elizabeth?
-Liz andrà benissimo e no, non sono sola. Sono venuta con mia sorella e una mia cara amica, dovrebbero essere qua in giro.
Liz si girò a cercarle e le individuò qualche metro più dietro. Parlavano fitto e Charlotte le rivolse uno sguardo strano.
-Eccole là! Vieni, te le presento. – disse Liz e le raggiunse.
Mentre metteva una mano sulla spalla della sorella per farla girare, Charlotte probabilmente fece una battuta delle sue perché Jane proruppe in una risata cristallina. Si voltò verso la sorella senza smettere di ridere, ma arrossì quando si rese conto che non era sola.
-Mr Bi… ah, cielo! Charles – disse Liz con uno sbuffo, ma poi sorridendogli – mi ci devo abituare! Ad ogni modo, loro sono mia sorella Jane e la mia amica Charlotte. Ragazze, lui è… è… - lo guardò perplessa, non riuscendo a spiegare quella situazione un po’ strana. Charles tese di slancio la mano ad entrambe.
-Tra le mura del consultorio do una mano al nuovo manager che si occupa dell’amministrazione, al di fuori sono solo un nuovo amico. – rispose per lei lanciandole un’occhiata amichevole che Liz accolse con piacere. Poi Charles si girò di nuovo verso le due ragazze appena conosciute e Liz non si stupì di notare con quanta assiduità guardasse Jane, benché si rivolgesse spesso anche a Charlotte.
Chiacchierarono per qualche minuto. Charles e Jane erano piuttosto vicini e Liz si astrasse un attimo dal discorso per osservarli. Qualcosa le pizzicò sotto pelle e riconobbe quella sensazione: era il suo intuito che le stava mandando un segnale. Possibile che…?
Nascose con una mano il sorriso intrigato che le salì alle labbra e tornò a partecipare alla conversazione.
-Hai fatto nuove amicizie, Charles? – irruppe di nuovo Caroline interrompendo con noncuranza Charlotte. Nel tono e sul suo viso lo scherno e la noia erano palesi. Ma chi si credeva di essere?
-Sì, Care. Loro sono Jane, la sorella della dottoressa Bennett – disse scambiando un’occhiata complice con Liz – e Charlotte, una loro cara amica. Ah, Will – disse poi buttando lo sguardo oltre la sorella – vedo che ci hai raggiunti anche tu!
Caroline si girò, smorfiosa, verso Mr Darcy che si era fermato un paio di passi dietro di lei, Liz invece si irrigidì all’istante. Davvero non voleva averci a che fare più del necessario e la cosa le era sembrata reciproca, come diavolo gli era venuto in mente di unirsi a loro?
-Signorine, lui è il mio amico William. Dottoressa lei già lo conosce, non credo che servano altre presentazioni.
-No, infatti. – mormorò a voce bassa, poi incrociò lo sguardo scuro di Mr Darcy. Forse aveva usato un tono più duro di quanto avrebbe voluto in sua presenza?
Mr Darcy strinse la mano alle due ragazze senza dire una parola, poi fece un passo indietro allontanandosi appena dal gruppo.
Liz non capì il senso di quello spostamento, ma l’espressione di trionfo sul viso di Caroline la infastidì: anche lui non trovava opportune quelle nuove conoscenze e Caroline brillava di soddisfazione.
‘Dio li fa e poi li accoppia!’ – pensò Liz con un moto di fastidio. Erano due boriosi palloni gonfiati e si meritavano a vicenda.
In pista partì Let's twist again. Charlotte e Jane si guardarono con allegria, morivano dalla voglia di tornare in pista e Charles lo notò.
-Julian, andiamo? – chiese ad alta voce, richiamando l’attenzione del ragazzo e del gruppetto che gli stava vicino. Il ragazzo fece cenno di sì con la testa e Harriet tornò ad unirsi a loro per chiedere a Charlotte se tornasse a ballare.
Mentre cominciava a muoversi verso la pista, Liz temette che non ci fosse via di fuga da quella situazione imbarazzante, ma poi notò che Mr Darcy rimaneva impalato lì a pochi passi da lei, e con lui anche Miss Snob. Ci sperò, forse c’era un modo per non rovinarsi del tutto la serata.
Fece un altro paio di passi, ma nessuno dei due la seguì. Si sentì sollevata e provò il forte bisogno di rifarsi del trattamento che quei due avevano riservato loro, fino a pochi minuti prima quasi tutte perfette sconosciute, e quindi ancora meno giustificabile. Si fermò, si voltò verso di loro e chiese:
-Voi non venite?
-Ma non ci penso neanche! – sbottò indignata Caroline, come se le avesse appena proposto di rotolarsi nel fango con un tubino di Chanel.
Mr Darcy si voltò di scatto verso la ragazza, il tono scandalizzato doveva aver sorpreso anche lui. L’espressione altera di Caroline si trasformò in altro, Liz non avrebbe saputo dire se fosse disappunto o rimorso per non aver saputo tenere a freno la lingua, ma dopo un paio di secondi Mr Darcy si voltò di nuovo verso Liz.
-Se posso, preferisco evitare. – disse guardandola dritto negli occhi.
Liz, che aveva seguito quella che le era sembrata la loro conversazione silenziosa, si riscosse al sentire la voce dell’altro rivolgersi a lei.
-Beh, non sapete cosa vi perdete! – disse facendo spallucce. Si voltò e raggiunse le altre, già qualche metro più avanti.
‘Ma sì, che se ne stessero lì come due stoccafissi immobili, noiosi e antipatici nella loro perfezione solo apparente!’
Liz mise tutta la sua energia in quel twist, come a voler dimostrare che, ogni tanto, scomporsi, sudare e divertirsi fa bene.
I due gruppi si amalgamarono bene, aiutati dalla musica coinvolgente e dall’assenza di coloro che rendevano tesa l’atmosfera, che li guardavano dal bancone del bar, rigidi e contrariati dalla situazione. Charles e Liz furono i veri collanti: sulle note di Rock around the clock Charles, pronto a scatenarsi in un irresistibile rock’n’roll, offrì la mano a Liz. Lei lo guardò chiedendosi quanto questo fosse eticamente corretto visto che, in un certo senso, Charles era comunque un suo superiore e, data la situazione attuale al consultorio, avrebbe potuto decidere del suo futuro. Charles indovinò i suoi pensieri, le si avvicinò all’orecchio e le disse:
-Non sono Mr Bingley stasera, solo Charles, ricordi? E ci stiamo conoscendo, tutto il resto è chiuso tra le mura del consultorio. Si allontanò da lei quel tanto da poter vedere la sua reazione e la trovò sorridente, di nuovo pronta a divertirsi.
-Mi concedi questo rock’n’roll, Liz? – le chiese tendendole di nuovo la mano. Liz la afferrò con decisione e gli regalò un sorriso, per poi lasciarsi trascinare dalla musica e dalla spontaneità di Charles che la faceva volteggiare e dondolare, ma arrossiva e rideva con lei quando sbagliava un passo o perdeva la presa sulla sua mano.
Quando la musica finì Liz e Charles si guardarono e scoppiarono a ridere come due ragazzini. Non c’era più la psicologa e nemmeno il manager, solo due ragazzi che si stavano divertendo. Charles si posò la mano destra sul cuore e le fece un inchino, Liz chinò il capo a sua volta piegandosi sulle gambe in un inchino molto elegante, e di nuovo risero quando si rialzarono.
-Niente male dottoressa! Mi prenoto anche per il prossimo rock’n’roll!
-Beh, se proprio non puoi fare a meno di farti pestare i piedi! – rispose Liz affannando un po’.
Charles sorrise e poi si voltò velocemente verso la sua sinistra. Liz seguì il suo sguardo e lo vide posarsi su Jane e rimanerci qualche secondo. Jane parlava con Charlotte, apparentemente inconsapevole dell’attenzione rivoltale. Eppure Liz la vide mordersi l’angolo del labbro inferiore e notò un colorito più acceso sulle sue guance. Conoscendo sua sorella, doveva aver notato lo sguardo di Charles e stava cercando di nascondere l’imbarazzo. Ad un occhio estraneo ci stava riuscendo perfettamente, ma Liz la conosceva troppo bene, non la fregava. Osservò Charles, ancora incantato, e sentì un brivido positivo correrle sotto pelle. Si avvicinò a Jane e Charlotte ed intrecciò il braccio con quello dell’amica.
-Ti sei scatenata, eh Liz? – chiese Charlotte appena la sentì vicina.
-Beh, è stato divertente! E soprattutto facile, Charles guida davvero bene! – rispose mentre aveva notato il diretto interessato avvicinarsi. E infatti l’aveva sentita.
-Vuoi mettermi in imbarazzo davanti a tutti?
-Penso che ci sia poco da metterti in imbarazzo, vi hanno visti tutti prima! – intervenne Charlotte.
-Sul serio? – chiese Charles sorpreso e, oh cielo!, arrossendo.
-Ci mancava solo che la facessi volteggiare per aria! – lo prese ancora in giro Charlotte. Jane rise e Charles si illuminò di riflesso.
La musica cambiò in un allegro You can never tell e, in men che non si dica, Liz tirò a sé Charlotte per il braccio che aveva intrecciato al suo, lasciando Charles e Jane troppi vicini per ignorarsi.
-Ma che cavolo, Liz…! – esclamò Charlotte presa alla sprovvista ma Liz la ignorò. Si voltò indietro, vide e ghignò di piacere.
-Sei diabolica! – le sussurrò prendendo il ritmo.
Charles, rimasto per un momento rigido per la sorpresa, aveva riconquistato in breve la sua compostezza e, con l’ennesimo sorriso della serata, aveva teso la mano a Jane.
-Che dici, andiamo? – le chiese speranzoso. Jane, guardandolo da sotto in su, sorrise a sua volta e gli prese la mano.
-Certo! – disse, e si fece condurre in pista poco distante da Liz e Charlotte. Tra qualche risata imbarazzata e degli sguardi vaghi, i due presero il ritmo e ballarono fino alla fine della canzone e oltre. Liz non avrebbe saputo dire se fosse una sua impressione o no, ma le sembrava che sia Charles che Jane avrebbero potuto illuminare la stanza in quel momento.
Sempre tenendo d’occhio i due, Charlotte e Liz si lanciarono nelle loro danze, a volte sbagliando il tempo, a volte no, e in breve furono raggiunte da Julian che, come se le conoscesse da una vita, si infilò tra di loro e si mise a ballare in modo ridicolo fino a farle ridere. Charles aveva preso Jane per mano per condurla in un altro rock’n’roll e Jane guardava più altrove che verso di lui, fingendosi concentrata sulla musica o sui passi per non far trasparire l’interesse che provava. Charles, dal canto suo, era già più che felice di starle così vicino e ammirarne la bellezza naturale e scomposta dal movimento.
Quando il rock sfumò in She loves you la pista quasi tremò, tutti urlarono e cominciarono a cantare, Jane si ritrovò Charlotte che le cantava nell’orecchio, Charles si sentì una pacca forte sulla spalla e riconobbe Julian, tutti si misero spontaneamente in cerchio e ballarono al ritmo dei Fab Four. E quando anche questa canzone finì Liz, assetata e accaldata, propose di andare a prendere qualcosa da bere. Una buona parte del gruppo si dimostrò d’accordo e si mosse verso il bancone.
Quando Liz si voltò in quella direzione, quasi si pentì di averlo proposto: come due accigliate statue di cera, Mr Darcy e Caroline Bingley li guardavano, poggiati al bancone, con uno sguardo che era un misto di disapprovazione e noia. Ma ormai si erano quasi tutti avviati e Liz non poté fare a meno di seguirli. Si augurò solo che la sosta fosse breve e indolore.

-Liz, che prendi? – le chiese, distraendola, una Jane quasi euforica.
-Penso che prenderò un’altra birra fredda, mentre per te ci vorrebbe una camomilla! – la prese in giro tenendole un braccio intorno alle spalle.
-Ma che dici! – provò a smentirla Jane, ma senza guardarla.
Liz decise di non infierire oltre e si sporse ad ordinare due birre. Quando anche Charlotte ebbe la sua ordinazione, le tre ragazze si guardarono complici e fecero un brindisi.
-A questa serata! – trillò Jane.
-E agli incontri imprevisti! – aggiunse Charlotte a voce alta, attirandosi le occhiatacce delle due sorelle.
Un metro più in là, Caroline parlava gesticolando con Charles e non sembrava una conversazione serena.
‘Peccato che sorrida poco quella ragazza, le verranno presto le rughe’ – pensò Liz senza dispiacersi poi tanto, e fece un altro sorso dalla bottiglia.
A poca distanza da Caroline Mr Darcy, poggiato con un gomito al ripiano del bancone e dando le spalle ai baristi, beveva una birra, lo sguardo fisso sulla folla, ma senza guardarla davvero. Liz ne studiò i tratti per qualche secondo e non poté fare a meno di notare che, nonostante tutto, fosse un bell’uomo. Ma era così freddo e scostante da risultare comunque sgradevole, nel complesso.
-Occhio a dove guardi! – la richiamò Charlotte con tono canzonatorio.
Liz si riscosse e la guardò innocente, ma Charlotte inarcò un sopracciglio, per niente convinta. Harriet tornò vicino a loro e si mise a chiacchierare con Jane, lasciando Liz e Charlotte a punzecchiarsi.
-Tieni, và! – disse quest’ultima porgendo all’amica un fazzoletto.
-Che me ne faccio? – chiese Liz perplessa.
-Ti asciughi la bava! – ribatté Charlotte, decisamente su di giri.
Liz sbarrò gli occhi dalla sorpresa e la guardò in malo modo, se qualcuno l’avesse sentita…
Dopo un paio di secondi un uragano biondo, in cui non era difficile riconoscere Caroline, quasi la investì accidentalmente mentre si faceva strada verso i bagni.
-Prega che non ti abbia sentita, Char. – disse Liz guardando l’amica con sguardo truce. Charlotte sembrò valutare l’ipotesi, poi fece spallucce.
-Impossibile, con questa musica. Stai tranquilla, il tuo segreto è al sicuro! – concluse facendole un occhiolino.
-Ma quale segreto? – rispose stizzita Liz – Non hai capito niente! Stavo solo osservando, ma non ho nessun interesse nascosto, anzi, mi infastidisce come poche persone al mondo! E, da un certo punto di vista, è il mio capo, per di più!
Il tono duro e l’espressione seria di Liz convinsero Charlotte, capiva il fastidio che provava l’amica.
-Hai ragione Liz, scusami. Non volevo.
-Non fa niente, tranquilla – smorzò Liz, in realtà ancora nervosa. Si avvicinò la bottiglia alla bocca e si astrasse.
-Ma dai, perché non vieni? Ci stiamo divertendo! – disse Charles alle sue spalle.
-Lo vedo che ti diverti, che credi! – rispose l’amico.
-E allora dai, vieni anche tu! Sono tutti simpatici!
-No grazie, davvero. E poi non lo trovo per niente opportuno. Sto bene qua, a guardare te che ti dimeni tra tanta bellezza – concluse canzonatorio Mr Darcy.
-Sei troppo severo! Potrebbe essere più semplice di quanto pensi e le ragazze…
-Lascia stare le ragazze. Hai adocchiato l’unica degna di nota, sulle altre non mi esprimo, ma lo sai come la penso sull’argomento. E poi non mi hanno colpito.
‘Stai calma, non reagire male, fai finta di nulla’. Liz se ne disse di ogni tipo, ma non ci fu niente da fare, accusò il colpo. Non ce l’aveva con Jane per il suo essere così bella, né per la sua capacità, del tutto involontaria, di attirare le attenzioni maschili. Ma che accidenti aveva lei da non essere mai presa in considerazione per prima? Ma poi, cosa poteva mai aver da ridire Mr Darcy? Davvero la stava giudicando anche al di fuori del posto di lavoro? E, soprattutto, davvero lei glielo stava permettendo, di nuovo?
Svuotò la bottiglia con un ultimo sorso e si sporse verso Jane, che cercava di parlare con Harriet e Julian.
-Torniamo in pista? – chiese, ma sarebbe andata anche da sola se non avessero avuto voglia.
-Certo! – rispose entusiasta Julian – Il prossimo rock’n’roll è mio!
-Sei un amante del pericolo? – chiese Liz divertita.
-L’unica che rischia davvero di essere in pericolo sei tu, Liz. Non sono un ballerino all’altezza di Charles, dovrai metterti i paracolpi! – disse Julian con un sorriso genuino.
Liz ne apprezzò l’autoironia e rise con lui, ma fu presa alla sprovvista quando, alle prime note di un rock’n’roll, Julian le afferrò una mano e, trascinandola verso la pista, forse un po’ brillo, disse ad alta voce:
-Andiamo! Non posso accettare di vedere fuori dalla pista tanta bellezza!
Liz arrossì per il complimento inaspettato e, mentre Julian continuava a camminare, non poté fare a meno di girarsi verso il bancone e lanciare uno sguardo di soddisfazione all’uomo che, pochi minuti prima, aveva dedicato a lei e alla sua amica le stesse parole, ma con un tono sinceramente derisorio. E, a quanto pareva, anche lui aveva sentito le parole di Julian: sul volto di Mr Darcy c’era, incredibilmente, un evidente imbarazzo.
Accanto a lui, Charles gli dava le spalle e parlava con Charlotte e Jane.
Liz arrivò in pista tronfia, soddisfatta e traboccante di una nuova energia che riversò, sorridente e grata, nel ballo con Julian e quelli che seguirono, fino a notte fonda.

La domenica mattina in casa Bennet succedevano cose strane. Mrs Bennet non faceva altro che lamentarsi, tutta la settimana, di quanto fosse stressante il suo lavoro al centro estetico e di quanto desiderasse l’arrivo della domenica per riposarsi e poi la fatidica domenica, alle 9, era già in piedi e armata di un qualunque elettrodomestico producesse un rumore oltre i cento decibel.
La sera prima Liz e Jane avevano fatto tardi, per cui varcarono la soglia della cucina che era quasi mezzogiorno, spettinate e non del tutto sveglie. Cercando di sedersi, Liz urtò col mignolo del piede contro una sedia, dando una nota ancora più piacevole al suo risveglio.
-Alla buon’ora, ce l’avete fatta ad alzarvi! – brontolò Mrs Bennet alle prese con salsicce e uova per il pranzo.
No, decisamente questo era il tocco finale per rendere perfetto il risveglio.
-Buongiorno, mamma. – disse Jane passandole alle spalle per lasciarle un bacio sulla guancia prima di portare caffè e spremuta d’arancia a tavola.
-‘giorno, mamma. – la imitò Liz, e vide la madre sorridere di nascosto.
-Fate presto con la colazione, tra non molto sarà pronto.
Liz afferrò il cartone di succo d’arancia e se ne riempì un bicchiere, preferendo aspettare il pranzo per mangiare; Jane rimase un attimo indecisa, poi scelse anche lei il succo.
Il sapore deciso dell’arancia svegliò definitivamente Liz, che cominciò a guardarsi intorno. La luce del sole filtrava dalla finestra che dava sul giardino fino ad illuminare la parete opposta della stanza e una parte del tavolo, rendendo più intenso il profilo di Jane. Le venne in mente il commento del tricheco della sera precedente. L’autostima pizzicò appena, ma passò in fretta.
Una risata un po’ troppo forte precedette l’ingresso in cucina di Lydia, che come un tornado andò a cercare qualcosa nella dispensa. Non trovandolo, si voltò verso la madre e, con tono lamentoso, chiese
-Mamma, dove sono le mie barrette energetiche? Non le trovo!
-Dovrebbero essere nella credenza, insieme alle altre cose per la colazione. – rispose paziente Mrs Bennet.
-Non ci sono! – strillò stizzita la ragazzina – Scommetto che hai dimenticato di comprarle! Sono a dieta, lo volete capire? Come faccio a trovare un fidanzato se nessuno di voi collabora? – sbottò con una movenza da prima donna e, dopo aver sbattuto l’anta del mobile, se ne andò dalla cucina a grandi passi.
Liz non tollerava quel suo atteggiamento, ma le sembrava ancora più strano che invece la madre lo accettasse, come se fosse normale. La vide scuotere appena la testa, ma l’espressione del suo viso era più dolce di quanto avrebbe voluto.
-Ah, l’adolescenza! Che periodo di grandi cambiamenti! – disse alzando gli occhi dai fornelli e guardando nel vuoto. -E d’altronde fa bene a curarsi e a fare ciò che può per essere il più bella possibile, così avrà sempre una fila di pretendenti!
-Mamma, ma che dici?! – esclamò indignata Liz, consapevole che quel discorso fosse anche una stoccata a loro due. -Lydia ha solo diciassette anni, non pensi che spingerla a cercare solo di apparire bella per i ragazzi sia sbagliato? Dio solo sa cosa fanno e pensano i suoi coetanei, ne vedo tanti al consultorio ogni giorno!
Mrs Bennet per un attimo parve colpita dal discorso di Liz, ma poi scosse le spalle.
-Ma che dici Liz, Lydia è una ragazza assennata per la sua età! Ha solo le classiche manie di tutte le adolescenti e le interessano i ragazzi, non ci vedo proprio niente di strano! – ribatté Mrs Bennet enfatizzando l’ultima frase, sempre a loro beneficio.
Liz guardò Jane che, apparentemente placida, sorseggiava il suo succo. Jane intercettò il suo sguardo e, con un mezzo sorriso, scosse la testa, come a dirle di non prendersela. Liz afferrò il suo bicchiere con un moto di stizza e ne bevve un altro sorso.
-Allora, com’è andata ieri? – chiese Mrs Bennet rompendo il silenzio che si era creato.
-Bene, - rispose Jane – ci siamo divertite molto!
-C’era anche Charlotte?
-Sì, e c’erano anche alcuni suoi amici – rispose Liz.
-C’era anche il nuovo capo di Liz – si fece sfuggire Jane, facendole andare di traverso un sorso di succo.
-Ah sì? – chiese subito Mrs Bennet incuriosita dalla singolarità della cosa. –Allora è giovane?
-Più o meno – rispose ancora monotona Liz sperando, inutilmente, che l’argomento morisse lì.
-Ah, davvero? E com’è? – chiese la madre sempre più curiosa e petulante.
-È un tricheco arrogante! – rispose istintivamente.
-Ma dai Liz, non è vero! È un bel… ragazzo! A proposito, ma quanti anni ha? – insistette Jane, ma Liz ignorò completamente la sua domanda.
-Un bel ragazzo? Ma se è scostante e antipatico!
-Oh, andiamo Liz, come sei difficile! È mai possibile che trovi sempre difetti in un uomo? Se è bello è bello! - sentenziò Mrs Bennet.
-È talmente presuntuoso e borioso da non aver voluto ballare con il nostro gruppo nemmeno una volta. – disse Liz alzando lo sguardo verso la madre che la guardava perplessa. Sapeva dove andare a colpire e lo fece, scandendo bene la frase successiva. –Nemmeno con Jane.
Lo stupore si disegnò sul viso di Mrs Bennet. Questa sì che era una novità! Chi si credeva di essere questo qua che osava ignorare la bellezza della sua bambina? L’espressione compiaciuta di poco prima sparì dal volto della donna che ora, indispettita, guardò Jane per chiedere conferma di questa cosa che le suonava quantomeno ridicola.
-È vero Jane?
Jane, imbarazzatissima, puntò lo sguardo nel suo bicchiere.
-Ehm… Sì, beh, ma… - cercò di tergiversare.
-Sì? – chiese Mrs Bennet alzando la voce di un’ottava e protendendosi verso di lei con in mano la spatola per girare il bacon nella padella, assumendo una posa decisamente buffa.
-Sì, - confermò Jane – ma non c’è niente di strano! Magari non sono il suo tipo, o semplicemente è una persona riservata! – cominciò a giustificarlo lei, come suo solito.
-Oppure è un tricheco, come dico io! – insistette Liz, ignorata da entrambe.
-Questa poi! Non preoccuparti, Jane cara, se non ti ha voluta vuol dire che non ti sei persa niente! Che il cielo mi fulmini, qualcuno che non ti trova bella! – esclamò sempre più scioccata Mrs Bennet, e a Liz venne da pensare che, in fondo, non era del tutto vero.
-Beh, ma tanto qualcun altro l’ha trovata bella per due… - si fece scappare inseguendo i suoi pensieri, e fu solo un sussurro. Ma Jane era troppo vicina e la madre troppo sensibile all’argomento per non sentirla per cui, come se questo fosse un balsamo per il proprio orgoglio ferito, Mrs Bennet si girò di nuovo verso la figlia maggiore con una scintilla inconfondibile nello sguardo.
-Ah ecco, lo dicevo io! Chi è? Qualcuno di interessante?
Jane guardava ora Liz – con uno sguardo che voleva essere minaccioso – ora la madre che continuava a subissarla di domande e si protendeva sempre di più verso di lei per convincerla a parlare.
-Ma no, io…
-Andiamo, bambina, dì tutto alla tua mamma! – continuava ad insistere Mrs Bennet, come se avesse otto anni.
-Ma davvero, mamma, non c’è niente da dire! – cercò di difendersi Jane. Mrs Bennet scosse la testa.
-Jane, sei una pessima bugiarda, lo sai? Perché non vuoi confidarti più con me?
‘Perché c’è il rischio che entro mezz’ora tutta Londra sappia quello che ti direbbe!’ – pensò Liz in tutta onestà.
Sua madre era una donna buona, ma, da brava parrucchiera, viveva di pettegolezzi, ci sguazzava dentro. Figuriamoci se questi riguardavano le sue figlie!
-Perché ha ragione, mamma. – intervenne Liz – Jane ha solo conosciuto uno dei nuovi manager del mio consultorio e abbiamo passato la serata insieme.
-Cielo, un manager! – esclamò Mrs Bennet quasi illuminandosi. – Dev’essere sicuramente benestante, col lavoro che fa! E poi, per averlo incontrato ieri sera, dev’essere anche giovane! – squittì felice, battendo le mani. Poi, nel giro di un secondo, si rabbuiò.
-Non sarà mica uno di quei vecchi babbioni che cercano di accalappiare le giovani ragazze ingenue? – chiese inorridita.
-Ma che dici, mamma! – esclamò Liz buttando gli occhi al cielo. –È un ragazzo, avrà quattro, cinque anni in più a noi.
Lo sguardo di Mrs Bennet tornò scintillante all’istante.
Se Liz non avesse conosciuto sua madre e le sue fissazioni matrimoniali, si avrebbe pensato che soffrisse di schizofrenia. Ma era solo sua madre e, quando non cercava di accasare le figlie, Mrs Bennet era una persona normalissima. Pettegola, ma normalissima. Ma adesso stava guardando la sua primogenita con un misto di orgoglio e ambizione che quasi spaventarono Jane e che invece, una volta tanto, fecero ringraziare Liz il cielo di non dover essere la più avvenente delle due.
-Beh, molto meglio, allora! Nessuno che abbia gli occhi che funzionano bene può esserti indifferente, bambina. So che mi darai grandi soddisfazioni! – disse fiera, e tornò ai fornelli canticchiando.



Soooooo.. che ne dite? Se vorrete farmi sapere che ne pensate, sono qui, e non ho intenzione di andarmene per un po’. Un abbraccio a tutti!!

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Capitolo 5
*** Lacrime e incontri ***


Eccomi di nuovo qua, dopo tanto anche stavolta.. Che sarà successo questa volta? Per fortuna niente di tragico, anzi, teoricamente dovrei essere quantomeno appagata, ma.. Beh, ho trovato un lavoro che mi sta portando via praticamente tutta la giornata, tutta la settimana. E allora? Festeggiamo! Ehm.. non del tutto visto che

       a) sono OVVIAMENTE sottopagata
       b) non è il lavoro dei miei sogni
       c) non ci si avvicina neanche lontanamente

Ma, nella fase storica in cui siamo, qualunque cosa permetta di mettere da parte una piccola somma va preso in considerazione, e allora piuttosto che la nullafacenza (che, credetemi, dopo i primi tempi non emoziona più come si può pensare) va bene tutto, anche il classico lavoro da neolaureato disoccupato. Esatto, proprio quello, avete capito bene. “Salve, sono X e la chiamo dalla Y, il Suo gestore telefonico”..
Mi sono ritrovata a fare questo lavoro e quindi, anche se non mi piace, me lo tengo, perché sto mettendo da parte soldini per dei progetti futuri :)
Questa è la storia di questo e dei prossimi ritardi biblici, anche se viaggio sempre col quaderno nella borsa e colgo ogni occasione per buttare giù due righe, abbiate fede in me.
Molte di voi mi hanno chiesto un altro incontro/scontro tra Liz e Mr Darcy.. Beh, mi dispiace dirvi che non lo troverete in questo capitolo, ma c’è un motivo e, secondo me, è più che valido! Leggete e fatemi sapere che ne pensate!

 
 




Capitolo 5

Lacrime e incontri
 


È una verità universalmente riconosciuta che ci sono degli incontri destinati a cambiarti la vita. Se in meglio o in peggio poi, è tutto da scoprire.
 

 
- Non ti credo Char, mi dispiace! – disse Liz alzando involontariamente la voce.
- Oh, ma andiamo Liz, fai sul serio?
- Sì Char! Non ho nessuna intenzione di fare il bis di sabato scorso! – sbottò Liz portandosi una mano sugli occhi.
- Ma ti ho detto che ci saranno solo i colleghi del mio ufficio!
- No, hai detto che tutti avrebbero portato qualcun altro e, con la fortuna che mi ritrovo ultimamente, mi becco di nuovo il tricheco tra i piedi! Una volta può capitare, due no! – mise il punto Liz. Davvero poteva fare a meno di incontrare di nuovo Mr Darcy, negli ultimi tre giorni aveva fatto in modo di uscire il meno possibile dal suo ufficio e solo quando era strettamente necessario, e così era riuscita ad evitare incontri spiacevoli. Andarsi a cercare un’occasione del genere sarebbe stato davvero stupido.
- Sì, è vero, l’ho detto, ma Julian porterà un’amica, nessun altro conosce il tuo capo, non ci sono possibilità che vi becchiate! – insistette Charlotte.
- Non fa niente Char, preferisco farne a meno, sul serio. E poi oggi ho un sacco di appuntamenti…
- Che poi, anche se lo incontrassi non è che dovresti stare lì a passare la serata con lui!
- Guarda Char, stavo pensando di prendere in considerazione la cosa, ma con questa affermazione ti sei bruciata anche l’ultima chance!
- Ma no, ma come?! Ah, accidenti a me!  - si maledisse Charlotte. – Vabbè Liz, fa’ come vuoi. Mi dispiace che ti perderai una bella serata, ci sarà tanta gente da conoscere, sarà divertente.
- Lo so Char, divertiti anche per me.
- Come vuoi, Liz. Buona serata allora. – chiuse Charlotte dispiaciuta.
- Anche a te, Char.
Liz ripose il cellulare nella borsa e tornò al suo lavoro. Aveva degli appunti su alcuni pazienti da riguardare, ma la telefonata con Charlotte continuava a risuonarle in testa. Aveva percepito il tono chiaramente deluso dell’amica, ma non se la sentiva di fare diversamente.
Guardò il calendario sulla sua scrivania: era già mercoledì, si chiese quando sarebbero arrivati i risultati delle analisi di Tess, Mark non le aveva fatto sapere ancora nulla.
Sospirò e tornò ai suoi appunti, ma invano. Dopo un paio di minuti si ritrovò a pensare di nuovo a Charlotte e alla situazione in generale: da quando in qua si lasciava condizionare dagli eventi? Da quando qualcuno aveva il potere di influire così sulla sua vita? Non c’erano riusciti i due ragazzi con cui aveva avuto una sottospecie di storia, come poteva consentire che un estraneo facesse la differenza? Lei era uno spirito libero, e l’uomo che l’avrebbe limitata non era ancora nato! Con un piglio fiero e combattivo, Liz afferrò di nuovo il cellulare e fece il numero di Charlotte. Mentre il telefono prendeva la linea e squillava, tamburellava con forza sul tavolo. Charlotte rispose al terzo squillo.
- Che cosa c’è, Liz? – rispose l’altra con un tono leggermente indispettito.
- A che ora è l’appuntamento? – chiese Liz fingendo uno sbuffo annoiato che camuffò la fitta per il senso di colpa.
- Che cosa? – quasi urlò l’amica dall’altro capo del telefono. –Hai cambiato idea?
La sua euforia era quasi tangibile anche attraverso il telefono.
- Sì che ho cambiato idea, scema! Allora, me lo vuoi dire a che ora dobbiamo uscire? O mi hai già rimpiazzata?
- Beh, – rispose Charlotte facendo un sospiro – ho una lista molto lunga di amiche che sarebbero più che felici di venire con me stasera, quindi…
Liz se la immaginò a ridere di lei mentre faceva la preziosa.
-Oh, andiamo Char! Ti compro un muffin al triplo cioccolato belga e un cappuccino da Café Nero per farmi perdonare, me lo dici l’orario di questo maledetto appuntamento?
- Due muffin, passo per il cappuccino.
- Sei impossibile! E va bene, due muffin, ma poi non lamentarti che ingrassi!
- E chi si lamenta se il mio portafogli non ne risente? Fatti trovare pronta alle 19.30, passo io da te! – urlò, e poi chiuse la telefonata.
Liz buttò gli occhi al cielo scuotendo la testa, con un sorriso. Charlotte era così, non c’era niente da fare. Più serena e positiva, prestò di nuovo attenzione ai fogli che aveva davanti e il pensiero tornò a Tess. Ma perché Mark non aveva ancora chiamato? Se era in ansia lei, figurarsi quella ragazzina.
Si ripeté, più per convincersi che altro, la regola numero uno degli psicologi, “uno psicologo non deve farsi coinvolgere emotivamente dal suo paziente”. In quel momento il telefono del suo ufficio squillò. Staccò il cordless dalla base e rispose.
- Dottoressa Bennet, salve.
- Ciao bella psicologa, come stai?
Liz riconobbe la voce dall’altro lato e, pur pensando a quanto fosse insopportabile, non poté fare a meno di arrossire per il complimento.
- Proprio a te stavo pensando, sbruffone di un analista!
- Ah, lo so che non puoi fare a meno di pensarmi, mia cara, e ne hai tutte le ragioni! – gongolò lui dall’altra parte.
- Mark, fai la persona seria! – lo richiamò Liz.
- Ma io sono serissimo! Giurin giurello! – scherzò ancora lui.
- Sì, come no! – Liz provò a fare il tono duro, ma niente, proprio non ce la faceva con Mark. Sospirò per non dargliela vinta e disse:
- Ti stavo pensando perché ancora non mi hai fatto avere i risultati delle analisi di Tess. È mercoledì!
- Lo so Liz, hai ragione, ma sono stati dei giorni infernali al laboratorio. Sembrava che tutta Londra volesse farsi controlli! Comunque oggi è mercoledì, tecnicamente siamo ancora a inizio settimana, no?
- No, Mark, siamo a metà settimana, ma per stavolta sono magnanima. Cos’hai per me? – chiese con un po’ di batticuore.
Com’era quella storia del non farsi coinvolgere?
- Per te ho tutto me stesso, all inclusive e a tua completa disposizione!
- Mark! – strillò Liz al telefono arrossendo di botto. Se qualcuno avesse ascoltato la loro conversazione avrebbe potuto pensare di tutto. Di nuovo, le passò avanti agli occhi la precedente conversazione telefonica con Mark e, con essa, lo sguardo di disapprovazione di Mr Darcy. Con un moto di stizza tornò alla telefonata.
- Mark, per una volta nella vita sii serio! Hai i risultati di Tess, sì o no? – chiese un po’ più dura di quanto avrebbe voluto.
- Ehi, dai, stavo scherzando Liz! Mi dispiace, non volevo esagerare. – si scusò Mark con un tono così mortificato che quasi quasi ora era Liz a sentirsi in colpa. Sospirò, frustrata. Cominciava a capire come facesse quel dongiovanni da strapazzo a cavarsela con tutte le ragazze che incontrava.
- Va bene, Mark, lascia stare. Per favore, dimmi di Tess.
- Ti avevo chiamata proprio per questo, ho appena avuto i risultati. L’HCG è a più di 68000, direi che la piccolina è decisamente incinta.
Liz si posò una mano sulla fronte. Aveva sperato fino all’ultimo che le analisi fossero negative anche se, dai primi sintomi che Tess le aveva descritto, sapeva che c’erano ben poche possibilità che si trattasse solo di stress.
- Lo immaginavo, Mark. Dai valori direi che siamo intorno alla quarta, quinta settimana al massimo.
- Sì, il periodo di gestazione è quello.
- Ok. Ah, Mark, ti dispiacerebbe le analisi complete appena puoi?
- Certo. Dopo pranzo devo fare dei prelievi dalle parti del consultorio, passo e ti lascio tutto.
- Bene. Grazie. – disse Liz piuttosto laconica e Mark se ne accorse.
- Liz, tutto bene? – chiese un po’ preoccupato.
- Sì Mark, non ti preoccupare. È solo che speravo in altre notizie per Tess, ma purtroppo è andata così. Quella ragazzina è così… così piccola e indifesa! Spero che i suoi genitori la prendano bene.
- Mi dispiace darti questa brutta notizia, Liz, davvero. Non penso che sarà facile all’inizio, ma sono sicuro che saprai starle accanto nel modo giusto.
Liz rimase sorpresa e interdetta. Mark le stava dando forza ed era stato gentile, ma soprattutto che fine aveva fatto il Mark idiota di un minuto prima?
- Spero di essere all’altezza del mio compito – sospirò Liz.
- Ma sì, stai tranquilla! E soprattutto stai su, che triste non ti si può proprio sentire, non quando sei al telefono con me! Ne va della mia reputazione!
Eccolo dov’era. Ma Liz capì che stava cercando di sdrammatizzare e non gli rispose male.
- Va bene, dirò a tutte che sei un oratore brillante, tranquillo. La tua reputazione è salva. – lo prese in giro Liz e si ritrovò a sorridere. Potere di Mark Spencer.
- Ottimo, così va meglio! Non rovinarmi la piazza, Liz, o al massimo fallo uscendo con me!
- Mark… ah, non sai guadagnare un punto che subito ne perdi altri dieci! – lo sgridò, mentre dall’altro lato lo sentiva ridere. Lo fece anche lei.
- Beh, almeno ho scoperto che con te i punti si possono anche guadagnare!
- Ci vediamo dopo. – decise di ignorarlo Liz.
- Ciao dottoressa, a più tardi!
Liz ripose il cordless e rimase a guardare nel vuoto per qualche secondo. Sebbene facesse quel lavoro da qualche anno e non fosse la prima volta che le toccava dare quel tipo di notizia, non riusciva a farlo con leggerezza, proprio non ce la faceva a sganciare una bomba del genere come se niente fosse.
Inspirò profondamente, trattenne l’aria per qualche secondo poi la buttò fuori, stese la mano e recuperò il cellulare. Il numero di Tess era lì, nella sua rubrica. Con un ultimo sospiro fece partire la telefonata e pregò che la ragazza dall’altro lato non le chiedesse subito il risultato, ma che si fidasse solo di lei.
 

Tess non aveva chiesto, ma probabilmente aveva capito. E da subito Liz si era stupita per la maturità che la ragazzina stava dimostrando. Ora la aspettava nel suo ufficio.
Mark era passato di corsa ma, in quei pochi minuti, era riuscito a creare un tale trambusto da distrarla. Ma poi era andato via, e adesso lei aspettava. Ora cominciava un percorso irto di pericoli e avrebbe dovuto dare il meglio di sé per assistere Tess, per fare il suo bene e, potendo anche quello del bambino.
Un leggero ticchettio alla porta annunciò l’arrivo di Tess. Liz guardò l’orologio: era in anticipo di dieci minuti, ma tanto meglio. La fece entrare e le andò incontro con un sorriso lieve ma rassicurante e la invitò a sedersi. Unì le punte delle dita come a raccogliere le parole giuste, ma sapeva che non ce n’erano.
- Allora Tess, come stai? – chiese per avere dettagli sulla sua salute a cui appigliarsi.
- Sempre un po’ scombussolata, la mattina non riesco a mangiare nulla.
Eccolo, l’appiglio.
- È normale, Tess. Ho qui i risultati delle tue analisi, sono positivi. – disse Liz cercando di usare il tono più rassicurante del mondo, ma Tess sbiancò lo stesso.
- Po- positivi nel senso che… che sono…
La guardava con occhi sbarrati, terrorizzata. Al di là di tutta la sua maturità, in quel momento dimostrava tutti i suoi diciassette anni. E faceva così male.
- Sì, Tess, sei incinta. – Liz pronunciò l’ultima parola con un tono sicuro ma materno, ma nel momento in cui la valanga investì in pieno Tess si rese conto che non era servito a nulla. La vide abbassare il capo, con gli occhi pieni di lacrime e le mani strette forte ai braccioli della sedia. Non la guardava.
- Tess… - ma non ottenne risposta. – Tess… tesoro…
La sentì tirare su col naso, ma non accennava ad alzare la testa. Allora si alzò lei, girò attorno alla scrivania ed andò ad accovacciarsi davanti a lei. Tess provò a girarsi ancora più di lato ma la posizione rannicchiata non glielo consentiva.
- Tess… - la chiamò ancora Liz e le mise una mano sulla guancia già bagnata. A quel contatto Tess si girò di scatto verso di lei e la guardò in modo strano, quasi mortificata, poi abbassò di nuovo lo sguardo. Ma Liz non interruppe il contatto tra di loro.
- Tess… - la chiamò di nuovo Liz e, a sentire il suo nome pronunciato con tanta dolcezza, la ragazza chiuse gli occhi, facendo scendere altri caldi goccioloni, poi tornò a guardarla.
- Cosa penseranno gli altri di me adesso? Non mi vedi come una poco di buono, Liz? E i miei genitori, cosa penseranno loro di me? – chiese con la voce rotta dal pianto e la guardò come a leggere sul suo viso una smorfia di disgusto, di giudizio per il disastro che aveva combinato. Ma non trovò niente del genere. Liz glieli poteva leggere in faccia il dolore, la sensazione di essere una delusione, e fu più forte di lei, la abbracciò.
Questo gesto scatenò una nuova ondata di pianto e Liz non fece nulla per fermarla, Tess aveva bisogno di sfogarsi. Continuò solo ad accarezzare quella testolina bionda fino a quando i singhiozzi rallentarono. Solo allora la allontanò appena per poterla guardare mentre le parlava. Tess si asciugò le ultime lacrime con la mano ormai fradicia e Liz le recuperò un fazzoletto dallo scatolo sulla scrivania.
- Non penso che tu sia una poco di buono, tesoro, assolutamente, non l’ho mai pensato. È una cosa che ti è capitata perché sei giovane e forse siete stati un po’ superficiali su questa cosa, ma… -
- Mi aveva… Simon mi aveva detto che sarebbe stato attento, che potevo stare tranquilla e… invece… - si morse il labbro inferiore per evitare di scoppiare di nuovo in lacrime.
- Tess, tesoro, succede. Non è un modo sicuro di avere rapporti, purtroppo. E pretendere di avere rapporti protetti non è mancanza d’amore.
La ragazza la guardò sorpresa, Liz sapeva di aver individuato uno dei motivi di quella scelta sconsiderata.
-Anzi, - continuò Liz – è proprio una dimostrazione d’amore, un modo per proteggersi da situazioni complicate come questa, che rendono più difficile lo stare insieme.
Tess sembrò rifletterci su e capire come la prospettiva potesse essere diversa, gli occhioni verdi lucidi e attenti a ciò che Liz le diceva.
-Ma adesso in questa situazione ci siamo e dobbiamo affrontarla insieme. Ricordati che puoi sempre, sempre contare su di me, Tess. – le disse stringendole la mano con forza.
Fu un attimo, e la valanga Tess le strinse di nuovo le braccia al collo, singhiozzante. Liz provò un’immensa tenerezza per lei, così piccola tra le sue braccia, così ingenua e innamorata, costretta ad affrontare una cosa molto più grande di lei, e si augurò che le cose le andassero bene, nel migliore dei modi possibili. Peccato che nel suo lavoro ne avesse viste di tutti i colori, che il lieto fine ci fosse solo nelle favole e che quella, purtroppo, fosse solo la vita reale.
Quando Tess si fu calmata, Liz si allontanò di nuovo da lei, appena lo spazio per guardarla. Era sconvolta, com’era normale che fosse. Allora Liz si alzò, andò a recuperare la sua sedia e le si sedette di fronte.
-Tess, lo so che può sembrarti una cosa inopportuna adesso, ma… credo che tu debba cominciare a pensare a cosa fare. Dalle analisi – e allungò la mano per recuperare i fogli dalla scrivania e mostrarle bene i valori – risulta che la gravidanza è già andata avanti per quattro, cinque settimane. Qualunque decisione tu decida di prendere, sappi che hai tempo fino alla decima, massimo dodicesima settimana.
Tess la guardava di nuovo ad occhi spalancati, spaventata dalla concretezza di quello che Liz le stava dicendo e dal fatto di avere così poco tempo per riflettere.
- Puoi sempre contare su di me. – ribadì Liz.
- Io… io penso che dovrei parlarne con Simon. – mormorò Tess con lo sguardo fisso nel vuoto, persa dietro a chissà quale pensiero.
- Lo trovo giusto, in fondo lui c’è dentro quanto te in questa cosa. Parlatene insieme, confrontatevi. Se vuole, può anche venire qui al consultorio per parlare con me, potreste venire insieme.
Tess fece un lieve cenno affermativo con la testa e parve riscuotersi. Mise le mani sui braccioli della sedia come per alzarsi, ma non si mosse. Sembrava quasi pietrificata.
-Tess, posso fare qualcosa per te? Ti porto un po’ d’acqua?
Lei fece di nuovo di sì con la testa e Liz andò al distributore nel corridoio per prenderle anche una merendina, doveva assumere un po’ di zuccheri.
Si attardò giusto qualche secondo accanto al distributore per darle il tempo di riprendersi, ma non appena sentì un paio di voci maschili provenire dal fondo del corridoio dietro l’angolo – quello che portava alla zona uffici – prese tutto e tornò alla sua porta. Ci mancava solo che qualcuno la accusasse di essere una lavativa.
 

Qualche minuto dopo Liz accompagnava Tess alla porta del suo ufficio.
- Tienimi informata e soprattutto parlane con Simon e con i tuoi il prima possibile. Per qualsiasi cosa, se hai o avete cose da chiedere, io sono qua, lo sai. Va bene?
- Va bene Liz, grazie. E scusami per la camicia. – rispose Tess con la voce un po’ arrochita dal pianto indicando la spalla dell’indumento chiazzata di lacrime.
- Non ci pensare, sono i rischi del mestiere. – le disse Liz con un ultimo sorriso e le aprì la porta.
Tess uscì e camminò piano lungo il corridoio, stringendosi addosso il cappotto come a proteggersi da un’improvvisa ventata di aria gelida. Liz non poté fare a meno di restare appoggiata allo stipite, una mano sulla porta, a guardarla andare incontro al suo destino desiderando di proteggerla.
La seguì fino a quando, varcando la soglia dell’ingresso del consultorio, Tess non si voltò e le fece un timido cenno di saluto e poi entrò in una pozza di sole che le fece splendere i capelli.
Liz buttò giù un groppo che le era rimasto in gola e fece un respiro profondo. Tess stava sparendo dal suo campo visivo quando qualcuno, pochi passi dietro di lei, si schiarì la voce facendola sobbalzare. Ma era troppo scossa per potersi irritare.
Accanto al distributore, con un caffè ancora fumante in mano, Mr Darcy la guardava con uno sguardo affilato, penetrante. Liz incrociò il suo sguardo poi, istintivamente, si girò di nuovo verso il punto in cui prima Tess brillava di un’altra luce, ma era già sparita. Tornò a guardare l’uomo che ancora la fissava.
- Mr Darcy. – lo salutò con la voce più bassa di quanto volesse.
- Dottoressa Bennet. – rispose lui con tono molto più fermo.
Liz fece un accenno di saluto col capo e si ritirò la porta dietro, andandosi a rintanare nel suo ufficio che, nei fazzolettini appallottolati qua e là, portava ancora i segni del passaggio di Tess. Si sedette sulla sua poltrona e si concesse di sentirsi emotivamente esausta.
 

Quella sera, uscendo dal consultorio, Liz cercò di vedere se Mr Darcy se ne fosse già andato via ma la finestra che, ad occhio, le sembrava quella del suo ufficio, era ancora illuminata. Provò una sensazione di sollievo e si diresse verso casa più positiva.
 

Alle 19.35 Charlotte le fece uno squillo sul cellulare. Liz infilò il secondo orecchino e gli stivaletti. Si sentiva un po’ stanca, non aveva potuto riposare per niente dopo il lavoro e si era preparata di corsa, senza nemmeno grande impegno. In fondo era solo una cena tra colleghi con qualche altro invitato, non c’era bisogno di mettersi in tiro.
Afferrò la borsetta al volo e scese al piano di sotto. Jane e sua madre guardavano un film comodamente sul divano, suo padre leggeva nel suo studiolo, le sue sorelle chissà che facevano al piano di sopra.  Quasi le dispiacque perdersi quella serata familiare, ma un altro squillo di Charlotte la costrinse a darsi una mossa. Si affacciò nel salotto, salutò tutti dalla porta e, infilando il cappotto, uscì. Charlotte la aspettava sul marciapiedi.
- Scusa Char, ho fatto tardissimo!
- Non c’è problema Liz, sono appena arrivata. – le sorrise l’amica prima di darle un bacio sulla guancia. Poi la scrutò un attimo.
- È stata una giornata pesante, vero?
- Già. – sospirò Liz mentre le tornava alla mente Tess.
- Allora ho fatto proprio bene a costringerti ad uscire, sono sicura che ti distrarrai! – disse Charlotte prendendola sottobraccio.
- Speriamo! – rispose Liz, e si incamminarono verso la metro.
 

Benché fossero a metà settimana, il locale dove i colleghi di Charlotte avevano deciso di incontrarsi era abbastanza pieno. Vero era anche che solo il loro gruppo contava una ventina di persone.
Liz rivide Harriet, che la salutò calorosamente, e tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che con lei non c'era nessun volto noto. Si fermarono a chiacchierare un po’, poi presero posto e Liz si ritrovò Charlotte da un lato, Harriet dall’altro e di fronte un altro collega di Charlotte, che le si era subito presentato ma che, stranamente, aveva la sedia accanto alla sua ancora vuota.
- Frank, sei venuto solo stasera? – chiese Harriet.
- No, sto aspettando un mio amico che, come al solito, si fa attendere!
- Allora andrà d’accordo con Liz, è sempre in ritardo! – intervenne Charlotte introducendo nella conversazione anche l’amica che, finora, non era stata loquace come suo solito.
- Ah, è vero! – rispose Liz prendendo la sua birra per distrarsi dal fatto che tutto il gruppetto, al momento, la stesse guardando. – Mi capita spesso di fare tardi, è più forte di me! Povera lei che mi aspetta!
In quel momento l’amico di Frank entrò nel locale. Liz se ne accorse perché Frank, di fronte a lei, si sbracciò per farsi vedere da qualcuno alle sue spalle, rivolte verso l’ingresso del locale.
- Va un po’ meglio? – le chiese in un orecchio Charlotte approfittando del momento di distrazione generale.
- Meglio. – le sorrise. – Grazie per avermi costretta ad uscire.
- Charlotte, Liz, - disse Frank richiamando la loro attenzione - lui è il mio amico ritardatario.
- Che bel modo di presentarmi, Frank! – protestò il ragazzo mentre girava intorno al tavolo e scansava qualche sedia per andare a sedersi.
- Te lo meriti, siamo qui da quasi mezz’ora! – lo prese ancora in giro l’amico.
- Mi dispiace, ho fatto prima che ho potuto. – si scusò George, e intanto aveva raggiunto Frank ed era entrato nel campo visivo delle ragazze.
Liz spostò lo sguardo sulla figura accanto a Frank e, in una frazione di secondo, percepì tre dettagli: bel sorriso, bella camicia e casco da motociclista appeso al gomito.
- Oh, andiamo Frank, non esagerare! Anche Liz non conosce la puntualità, alla fine ci si rassegna! – sghignazzò Charlotte mentre Liz la guardava storto.
- Beh, vedo che i nostri amici ci vogliono bene! Ciao Liz, io sono George.
Il braccio libero dal casco si tese verso di lei per stringerle la mano e lei fece altrettanto, apprezzandone il sorriso schietto e la stretta forte ma gentile. Ma perché continuava a considerare gli uomini un pezzo alla volta?!
George si presentò anche a Charlotte, Harriet e altre persone che erano sedute vicino a loro. Charlotte diede una sgomitata a Liz da sotto il tavolo e la beccò sul fianco, facendole male.
- Ahia, Charlotte! Ma sei scema? – disse tra i denti.
- Non ti lamentare, anzi, ringraziami di nuovo!
- Cosa? E perché? – chiese Liz massaggiandosi il punto in cui quella che, al momento, non credeva più tanto sua amica, l’aveva colpita.
- Come perché? Dico, ce li ho solo io gli occhi a questo tavolo? – disse con un ghigno soddisfatto.
- No, Char, non ce li hai solo tu! – rispose Liz cercando di mantenere un’espressione seria ma fallendo miseramente in un sorriso.
- Ecco, appunto! – sgomitò di nuovo Charlotte, ma stavolta Liz parò in tempo il colpo.
- Beh, ora che ci siamo tutti direi che possiamo ordinare! – decretò Harriet, e Frank e George presero porto rispettivamente di fronte a Liz e Charlotte.
- Allora, – disse George dopo aver incastrato il casco sotto la sua sedia ed essersi passato una mano nei capelli un po’ lunghi con un gesto rapido – chi di voi ha la sfortuna di essere collega di Frank?
Charlotte alzò la mano e fece una smorfia.
- Purtroppo tocca a me!
- Sappi che hai tutta la mia compassione! – ribatté George prontamente, facendo sorridere entrambe le ragazze.
- Bene, bene, sei appena arrivato e già ridono di me! – si lamentò Frank dando una manata sulla spalla dell’amico. E ovviamente risero tutti di nuovo, Frank compreso.
- E allora - chiese George rivolgendosi a Liz – se non ti tocca occuparti di Frank, tu cosa fai nella vita?
- Sono una psicologa – rispose con orgoglio Liz.
- Allora qua c’è il tuo prossimo cliente! – ribatté Frank indicando George.
- Che vorresti dire? – fece l’altro fingendosi offeso.
- Che una bella regolata non ti farebbe male!
- Beh, se hai bisogno di uno strizzacervelli vieni al consultorio e vediamo che si può fare! – disse Liz prendendo un altro sorso della sua birra.
- Già, magari non mi farebbe male una controllata… - rise George lanciandole per qualche secondo uno sguardo intenso, poi il discorso prese un’altra direzione.


Tra la parlantina di Frank e quella di George la serata passava rapida e piacevole, ma sempre più spesso George interloquiva con Liz , accavallandosi a Frank e Charlotte che, involontariamente, erano finiti a parlare di lavoro. Quando, a un certo punto, sentirsi era diventato complicato, George sbottò:
-Frank, facciamo cambio posto che con te in mezzo non sento bene Liz.
Frank, estraniandosi un attimo dalla conversazione con Charlotte e Harriet, lanciò uno sguardo d’intesa a George e fecero a cambio posto, per poi riprendere tutti a parlare, così e in gruppo.


La serata si concluse abbastanza presto visto che il giorno successivo tutti dovevano andare a lavoro. Liz salutò tutti quelli che aveva conosciuto e si stava avvicinando per salutare Frank e George, ma Frank la fermò.
- Noi ci salutiamo dopo!
- In che senso? – chiese Charlotte.
- Nel senso che non vi facciamo andare da sole fino alla metro, vi accompagniamo – sorrise gentile George guardando più Liz che Charlotte. Sotto quello sguardo interessato, Liz arrossì un po’.
- Beh, allora andiamo! – suggerì Charlotte prima che Liz potesse dire qualcosa, e i quattro si incamminarono.
Chiacchierarono ancora lungo la strada, stretti nei cappotti e attenti all’asfalto umido dei marciapiedi, ma la stazione della metro più vicina non era poi molto distante e in cinque minuti la raggiunsero.
- Grazie di averci scortate, ragazzi! – disse Liz, molto più sveglia di quanto avrebbe dovuto.
- È stato un piacere! – rispose George, di nuovo guardando più lei che Charlotte.
- Frank, noi ci vediamo domani! – disse Charlotte sporgendosi a salutarlo.
- Certo! – rispose lui, poi girandosi verso Liz – È stato un piacere conoscerti! – le disse, e la salutò con due amichevoli baci sulle guance.
- Anche per me – rispose Liz con un sorriso.
George la guardò di sottecchi e si sporse a salutare Charlotte, poi lei.
- Ciao strizzacervelli! È stato un piacere anche per me! – e anche lui le lasciò due baci. Liz non poté fare a meno di pensare che profumava di un ottimo dopobarba.
- Ciao ritardatario! – sorrise Liz. Si guardarono negli occhi per un secondo, poi Charlotte fece un passo verso la metro e Liz la seguì.
- Ci vediamo… - disse George a voce bassa mentre le ragazze si allontanavano.
Una volta al sicuro da orecchie indiscrete, Charlotte prese l’amica sottobraccio e la guardò in modo malizioso.
-Ringraziami per la terza volta stasera: mi sa che qualcuno, qui, ha fatto colpo!
 


 
Allora, dite un po’, ne è valsa la pena? E intanto stappo una immaginaria bottiglia di spumante con voi, tra 3 giorni questa storia compie un anno qui su Efp e, anche se non sono fiera dell'andamento, le voglio davvero bene! Spero anche voi! Alla prossima!

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