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Autore: Rain Princess    29/01/2013    18 recensioni
Tempi moderni, ma la storia è sempre la stessa: l'orgoglio e il pregiudizio offuscano, oggi come 200 anni fa, la mente di Lizzie Bennett, psicologa in un consultorio, e di William Darcy, manager "scomodo". Il tutto condito con una strana commistione di personaggi e situazioni sospese tra l'antico e il moderno, tra le buone maniere e i social network.
Dal primo capitolo:
"... intanto, nella sua mente, questo “salvatore di aziende” prendeva le sembianze di un uomo sulla cinquantina, sovrappeso e con la giacca chiusa a malapena sulla pancia prominente, capelli sulla via del diradamento e baffi da tricheco, viscido e calcolatore. Magari anche un po’ maniaco. Sicuramente munito di ventiquattrore in cuoio marrone.
Sì, eccolo lì, lo poteva quasi vedere muoversi per la stanza."
Buona lettura!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Bennet, Fitzwilliam Darcy, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Benvenuti! :) E' un piacere avervi qua, per qualunque motivo abbiate deciso di iniziare a leggere.
Sono emozionata all'idea di iniziare a pubblicare questa storia basata su quello che, senza dubbi, definirei il mio libro preferito. L'idea mi è venuta una mattina all'alba, non riuscivo a dormire e la testa ha cominciato a frullarmi, ho afferrato un quaderno e.. dopo tre ore avevo buttato giù trama e personaggi. Ne varrà la pena? Spero di sì!
Avevo intenzione di pubblicare questo primo capitolo ieri, duecentesimo anniversario dalla pubblicazione dell'originale, ma non ci sono riuscita. Pazienza, mi consolo facendolo oggi, data in cui la cara zia Jane ricevette tra le sue mani la prima copia del suo celeberrimo romanzo.

Siamo a Londra, ai nostri giorni. Noterete qua e là qualche nome proveniente da qualche altro romanzo dell'amata Jane, ma non ho inserito il cross-over perché saranno presenze davvero marginali.
Che dire, se siete sopravvissuti alle note, buona lettura!! :)




Capitolo 1
La legge di Lewis
 
È una verità universalmente riconosciuta che, se qualcosa ha la possibilità di andare male e rovinarti la giornata fidati, lo farà.
 
Certo, questa era una versione molto più semplicistica della spaventosa legge di Lewis, ma Lizzie avrebbe dovuto stamparla, incorniciarla e appenderla alla parete del suo ufficio come memorandum per i momenti troppo belli per essere veri.
Quella mattina però, si era svegliata bene, riposata e positiva e mai, mai avrebbe immaginato che sarebbe stata vittima della legge della sfiga.
Si era preparata una colazione veloce, godendosi la silenziosa compagnia di Jane, poi insieme erano uscite di casa per andare al lavoro. Lizzie adorava letteralmente sua sorella e, nonostante non fossero più ragazzine, continuavano a condividere stanza e tempo libero.
Si erano salutate con un bacio a una fermata della metro, poi Jane era uscita dal treno lasciandola appoggiata al corrimano accanto alla porta. Dopo un paio di fermate era scesa anche lei, ad Angel, ed era arrivata puntuale al lavoro. Aveva appeso sciarpa e cappotto all’appendiabiti e si era diretta nella saletta relax per prepararsi un tè caldo che la svegliasse definitivamente dal torpore del sonno. Mentre l’acqua bollente attraversava il filtro della bustina per poi uscirne di un invitante colore ambrato, nella saletta era entrata una stranamente preoccupata Marianne.
“Buongiorno Mary!” – la salutò Lizzie con un gran sorriso.
“’Giorno Liz.” – rispose laconica Marianne abbreviando, come sempre, il suo già abbreviato nome.
“Vuoi del tè?”
“No grazie, sono già abbastanza carica così.”
Lizzie la guardò perplessa, non era da Marianne rispondere così.
“Mary, è successo qualcosa?”
La ragazza la guardò curiosa, come se all’improvviso le fosse spuntato qualcosa sulla fronte.
“Non hai controllato la posta aziendale ieri?”
Lizzie era ancora più persa di prima.
“Ehm… no.” titubò, “Avrei dovuto? C’è una riunione straordinaria col boss oggi?”
“Peggio, peggio!” esclamò Marianne assumendo un’espressione afflitta.
‘Peggio?’ pensò Lizzie ‘Non c’è niente peggio di una riunione improvvisa col boss!’
“Oggi arriverà un nuovo manager per rimettere in sesto i bilanci della nostra struttura, pare che siano paurosamente vicini al rosso.”
“E allora? Non è una cosa buona?” chiese Lizzie tirando un sospiro di sollievo e pentendosi di essersi fatta contagiare per un attimo dalle evidenti tendenze melodrammatiche di Marianne.
“Assolutamente no, Liz! Pare che questo nuovo manager sia estremamente rigido e poco incline ai compromessi e, cosa ancora peggiore, che abbia una passione per i tagli netti.”
‘Ma che diavolo stava dicendo? Tagli netti?’
L’espressione di Lizzie doveva essere abbastanza eloquente, perché Marianne, con un’espressione seccata, la fissò e le disse:
“Tagli netti. Tagli. Tagli del personale e dei fondi “teoricamente” – e mimò le virgolette con le dita per farle capire che la pensava diversamente – gestiti male. Salterà qualche testa, di sicuro, e ci andrà bene se sarà solo quello!”
Lizzie allontanò la tazza dalle labbra troppo spalancate per bere e si sentì improvvisamente completamente sveglia.
Tagli del personale. Ma erano impazziti? Non riusciva nemmeno a pensare alla possibilità di perdere qualcuno del suo gruppo di colleghi, erano davvero ben affiatati e le sarebbe sembrato di perdere qualcuno di famiglia. E poi, già così coprivano gli orari al secondo, se avessero mandato a casa qualcuno i turni sarebbero diventati massacranti. Ma chi era questo che veniva a stravolgere il loro equilibrio?
“Pare che sia uno molto bravo e conosciuto nel suo campo, ha salvato un certo numero di aziende da una bancarotta che sembrava certa.”
Ma aveva parlato a voce alta? E intanto, nella sua mente, questo “salvatore di aziende” prendeva le sembianze di un uomo sulla cinquantina, sovrappeso e con la giacca chiusa a malapena sulla pancia prominente, capelli sulla via del diradamento e baffi da tricheco, viscido e calcolatore. Magari anche un po’ maniaco. Sicuramente munito di ventiquattrore in cuoio marrone.
Sì, eccolo lì, lo poteva quasi vedere muoversi per la stanza.
“A che ora arriva il nostro salvatore?” chiese Lizzie calcando con acredine l’ultima parola.
“Dovrebbe essere qui per le dieci, almeno così mi ha detto Edmund dall’ufficio amministrativo.”
“Fa con comodo l’amico, eh? Bene, vedremo come togliergli strane idee dalla testa!” disse Lizzie posando la sua tazza praticamente intatta nel lavandino. Adesso capiva Marianne, decisamente il tè, nervosa com’era, non sarebbe stata una buona idea.
Guardò l’orologio: erano le 9:20. Decise di andare nel suo ufficio per calmarsi con un po’ di musica, ma aveva chiuso la porta da nemmeno un minuto che un tocco leggero la distolse dal suo tentativo di tornare zen.
“Avanti” disse con una vena di irritazione nella voce, proprio non c’era verso di calmarsi quella mattina.
Ma la porta si aprì piano, con timore, rivelando una ragazzina di sedici, massimo diciassette anni, com quello sguardo spaventato e smarrito così tipico delle sue pazienti.
Lizzie si pentì all’istante del tono duro usato per invitarla ad entrare e sentì il viso e la voce addolcirsi mentre di nuovo la invitava a varcare la soglia.
“Ciao, prego entra.” Le tese la mano che la ragazzina guardò quasi come se fosse una minaccia.
“Io sono Lizzie, come posso aiutarti?”
 
                               

 
“Non preoccuparti Tess, ti seguirò io, puoi contare su di me e, per qualunque evenienza, hai il mio numero” disse Lizzie con una mano sulla maniglia della porta e l’altra sulla schiena della ragazzina che, ora, la guardava con uno sguardo un po’ meno spaventato. Forse aveva trovato un salvagente in mezzo a una tempesta.
“Grazie mille Lizzie. Ci vediamo domani” le rispose accennando appena un sorriso. Lizzie le accarezzò un’ultima volta la schiena poi, lasciandola, le disse:
“A domani e mi raccomando, a digiuno!” le strizzò l’occhio e Tess fece un cenno affermativo prima di allontanarsi nel corridoio.
Lizzie la guardò andarsene un po’ curva, come se un peso enorme la schiacciasse, e sperò di vederla davvero l’indomani. Poteva aiutarla, se lei glielo avesse permesso.
Richiuse la porta del suo studio e tirò un sospiro ad occhi chiusi, come per fare tabula rasa. Non era facile distaccarsi dal dolore e dalle paure delle sue pazienti, ma era necessario essere più imparziali di loro proprio per fare il loro bene, e Lizzie ci metteva tutto il cuore e la passione. Amava il suo lavoro al consultorio e, per quanto la madre insistesse, non avrebbe fatto a cambio con nessuno studio di qualsivoglia psicologo rinomato: aiutare le ragazze che bussavano alla sua porta, come aveva fatto Tess, la faceva sentire più ricca di quanto avrebbe potuto uno stipendio con uno zero in più.
“C’è speranza.” si disse andando di nuovo verso la sua scrivania. Ma non ebbe neanche il tempo di sedersi che il telefono dello studio squillò. Prese la cornetta e rispose con tono professionale.
“Dottoressa Bennet, salve.”
“Salve dottoressa, ufficio amministrativo. Sono il nuovo manager. Ha da fare in questo momento?”
Lizzie rimase un secondo colpita dal timbro di voce profondo del suo interlocutore, ma subito la sorpresa fu rimpiazzata dalla consapevolezza di chi ci fosse dall’altro capo del telefono e dal conseguente fastidio.
“Ho appena terminato una visita.” disse senza far trapelare il fastidio, quell’uomo si era a malapena presentato, dando per scontato che tutti sapessero del suo arrivo.
“Bene, allora la aspetto tra cinque minuti nel mio ufficio.” disse in tono sbrigativo e riattaccò, senza nemmeno aspettare una conferma da parte sua.
Lizzie guardò la cornetta shockata dai modi poco urbani del tricheco e la riattaccò sulla base con un moto di stizza. Ma chi si credeva d’essere?
Si alzò dalla sedia  con uno scatto e, con tre rapide falcate, coprì la distanza tra la scrivania e la porta ed uscì. Nel corridoio regnava un innaturale silenzio che la incuriosì, normalmente i suoi colleghi erano sempre allegri e giovialo e, a meno che non avessero molto lavoro da fare, non era assolutamente raro incrociare qualcuno nei corridoi e scambiarci due chiacchiere. Quel giorno invece il consultorio sembrava deserto.
Fu la mancanza di rumori esterni a farle percepire un bisbiglio fitto nella saletta relax, così si affacciò per controllare. Marianne e altri tre colleghi stavano parlando a voce bassa ma, nel sentire la porta aprirsi, girarono tutti le teste verso l’ingresso della stanza, sul volto l’espressione colpevole di chi è stato beccato con le mani nella marmellata.
“Ah, sei tu Liz! Che spavento!” disse Marianne e contemporaneamente gli altri tre si rilassarono.
“Certo che sono io! Ma che succede? Cos’è questo silenzio e come mai nei corridoi non c’è un’anima viva?”
“Sono tutti rintanati nei loro studi a lavorare, il nuovo manager sta chiamando tutto il personale per dei colloqui individuali.”
“E voi che ci fate qua?”
“Noi siamo stati già convocati, Liz.” rispose Emma, la dolce ginecologa di turno quella mattina. Sul suo viso c’era una smorfia che non prometteva niente di buono.
“Io sto andando ora, cosa devo aspettarmi?” chiese Lizzie leggermente preoccupata.
Fu Marianne a rispondere, con un’espressione seria e il suo solito tono un po’ teatrale.
“Un osso duro, Liz. Un osso duro.”
Lizzie strinse le labbra in un’espressione neutra ed uscì dalla saletta. Ancora doveva incontrarlo e già il tricheco le stava antipatico. Capiva la necessità di ottenere da subito il rispetto e il riconoscimento della sua autorità da parte dello staff per fare bene il suo lavoro, ma incutere timore in quel modo? Era decisamente fuori luogo!
Mentre pensava queste cose arrivò fuori la porta dell’ufficio del tricheco e, aspettandosi il famoso osso duro, decise di evitare scontri aperti che avrebbero potuto compromettere da subito l’esito del colloquio. Fece un profondo respiro e, mentre si preparava a bussare alla porta, lesse il nome già cambiato sulla targhetta di cartoncino e si ripeté, per l’ennesima volta in quella mattinata, di essere zen.
“Avanti.” rispose la voce profonda dal tono sbrigativo oltre il pannello di legno.
‘A noi due, tricheco!’ si disse mentalmente Lizzie, ed aprì la porta.
L’ufficio non era molto grande ed era sempre stato pieno zeppo di scartoffie, soprattutto la scrivania, per cui si aspettava di vedere il tricheco muoversi impacciato, con la pancia prominente, in quel mare di carta.
Invece, seduta dietro la molto più ordinata scrivania, c’era una folta chioma scura, poggiata su un viso privo di baffi. Al suono della porta che si chiudeva il viso si sollevò e con lui il corpo a cui era attaccato
Ma perché lo stava considerando a pezzi?
rivelando nel complesso un giovane uomo sulla trentina, il viso serio e regolare, leggermente squadrato, e nessuna pancia a sfidare la resistenza di poveri bottoni sfortunati. Anzi, sembrava che il tricheco ci tenesse a curare un minimo il suo fisico.
‘Porca miseria!’ si ritrovò a pensare Lizzie, obbligata ad ammettere di averlo immaginato in maniera completamente sbagliata.
Una mano si tese, civile, verso di lei mentre la voce profonda le diceva
“Miss Bennett”, ancora una volta con un tono che tradiva una certa noia.
“Mr Darcy” rispose Lizzie al saluto in modo altrettanto piatto.
Strinse la mano all’uomo che aveva di fronte e la forza della stretta che lui le diede la fece quasi sobbalzare, ma la costrinse a concedergli un punto: decisamente non sopportava le persone che davano strette di mano molli e senza personalità. Questo le ricordò ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, che si trovava di fronte un osso duro.
“Prego, si sieda.” disse Mr Darcy indicando la sedia di fronte alla sua scrivania.
Lizzie si sedette mentre Darcy chinava lo sguardo su una cartellina beige aperta e piena di fogli. Il suo fascicolo.
“Dunque, miss Bennett, da quanto tempo lavora per questa struttura?” chiese guardandola dritto negli occhi.
“Quasi tre anni.” rispose pacatamente Lizzie sostenendo il suo sguardo. Stava cercando di intimidirla, di metterla in soggezione.
“E di cosa si occupa?”
‘C’è scritto sul mio fascicolo che di sicuro hai già letto, cretino!’
“Sono una psicologa del consultorio, il mio lavoro consiste nel seguire e supportare i pazienti che si rivolgono alla nostra struttura. Diciamo che, se si tratta di malattie, espongo loro il problema e li seguo dal punto di vista psicologico mentre sono in cura, se si tratta di gravidanze li aiuto a capire quale sia la strada giusta da intraprendere per ognuna e poi li accompagno nel percorso che scelgono.”
“E come giudicherebbe il suo lavoro? Lo ritiene svolto in maniera corretta?”
‘Ma cosa mi sta chiedendo?’ pensò perplessa Lizzie. Si ritrovò un attimo spiazzata dal tipo di domanda e vide l’espressione del suo interlocutore farsi più attenta, come se volesse coglierla in fallo. Lizzie si riscosse, stizzita dalla domanda.
Stava forse mettendo in dubbio la sua professionalità?
“Ho sempre fatto il mio lavoro al meglio delle mie capacità e credo che nel mio fascicolo ce ne sia la prova. Lascio che siano i miei pazienti a dare il feedback sulla qualità del mio impegno.”
Gli lanciò uno sguardo di sfida. Sapeva di non potersi rimproverare nulla e l’affetto che alcune sue pazienti ancora le dimostravano era la riprova del fatto che, sul lavoro, era sempre stata responsabile e seria.
Lo sguardo dell’uomo cadde di nuovo su una serie di fogli che aveva sotto le mani. Ne controllò un paio e disse:
“Sì, dai documenti nel suo fascicolo emerge un profilo… passabile.”
‘Passabile? Passabile?! Tre anni di fatica, tirocini, passione, dedizione, di nottate a scervellarmi per fare il più possibile la cosa giusta nell’aggettivo passabile?!’
Lizzie sentì dentro un moto di ribellione inaspettato.
“Ma ora chiedo a lei di dare una valutazione onesta sul suo operato.” chiese Darcy in tono piatto.
Di nuovo l’uomo guardò Lizzie negli occhi, come alla ricerca di un’esitazione, di una falla. Ma lei non gli diede modo di trovarne alcuna. Affilò lo sguardo e il tono e, sostenendo quella guerra d’occhi, rispose.
“Ho lavorato sempre in modo serio e responsabile, mettendo la salute fisica e psicologica dei miei pazienti al centro della mia attenzione, occupandomi di loro al meglio possibile. Nessuno ha mai giudicato passabili i miei risultati.”
Darcy la guardò ancora un paio di secondi come per controllare le sue espressioni, poi rispose:
“Già…” e tornò a guardare un foglio con una seire di appunti.
“E dei suoi colleghi che mi dice?”
Lizzie si irrigidì a quella domanda imprevista.
“Come, scusi?” chiese con voce per la prima volta incerta.
“Le ho chiesto cosa ne pensa dei suoi colleghi, come ne giudicherebbe il comportamento e la professionalità. D’altronde, lei dovrebbe poter avere un punto di vista obiettivo.”
Lizzie non sapeva se essere più arrabbiata o mortificata per quella domanda insinuante e fuori luogo.
Cosa le stava chiedendo? Di dare un voto ai suoi colleghi così da poter decidere con più leggerezza chi silurare?
Decisamente stava prevalendo la rabbia. Chiuse gli occhi e per l’ultima volta si disse di stare buona. Poi li riaprì e lo guardò dritto negli occhi mentre rispondeva.
“I miei colleghi sono tutti degli ottimi collaboratori, estremamente responsabili, e la loro professionalità è fuori discussione. Ci sono persone che lavorano in questo campo da quasi vent’anni. Il livello della nostra squadra – e calcò volutamente le ultime due parole – è molto alto.”
Darcy la guardò inarcando leggermente il sopracciglio.
“Non crede che il suo senso di appartenenza alla squadra – e anche lui rimarcò la parola – renda le sue valutazioni poco obiettive?”
Lizzie incassò il colpo, mettendoci un paio di secondi a comprendere la profondità della domanda e… al diavolo i suoi sforzi di essere zen. L’umiliazione gratuita le bruciò dentro e non si sforzò più di non mostrarla al suo interlocutore che, peccando di buone maniere, si stava dimostrando un tricheco negli atteggiamenti.
Parlò con calma, senza urlare.
“Le mie valutazioni sono obiettive, che lei ci creda o no non mi riguarda. Tra l’altro trovo estremamente scorretto che lei mi chieda di giudicare i miei colleghi, buona parte dei quali con molta più esperienza sul campo di me. Per queste valutazioni c’è l’addetto alle Risorse Umane. Lei non mi conosce, Mr Darcy, eppure non ha avuto alcun problema ad offendere la mia competenza e la mia professionalità, il tutto in un colloquio di appena cinque minuti; credo che sia un record da Guinness.” Si alzò dalla sedia continuando a fissarlo.
“Ora, se non ha altro da dirmi, me ne torno dalle mie pazienti che hanno davvero bisogno di me e non mi reputano parziale o passabile.”
Darcy, ancora seduto la sua scrivania, rimase in silenzio, sorpreso dalla filippica di Elizabeth.
Lei lo guardò soddisfatta, girò i tacchi e si diresse fiera alla porta, che aprì. Poi, per dimostrargli che le buone maniere erano ancora cosa gradita e comune nel ventunesimo secolo, sull’uscio si voltò e, guardandolo di nuovo, gli disse:
“Buona giornata.” E si richiuse la porta alle spalle.
Un sorrisetto trionfante le si disegnò sulle labbra ripensando all’espressione accigliata che aveva il tricheco quando l’aveva salutato e, altrettanto trionfalmente, si incamminò per i corridoi diretta al suo studio. Ma, mentre  si allontanava dall’ufficio di Darcy, ripercorse lo scambio di battute tra loro e la rabbia le si risvegliò forte dentro, aizzata dal suo orgoglio ferito e dall’affetto e la stima che provava per i suoi colleghi. Passò davanti alla saletta relax senza fermarsi, il passo non più trionfante ma irritato, e puntò direttamente al suo studio.
Afferrando la maniglia si rese conto di avere le mani tremanti e, una volta chiusasi dentro, si lasciò andare a un grido nervoso appena trattenuto. Appoggiata con la schiena alla porta, si posò pollice e indice alla radice del naso, chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Quell’arrogante manager tricheco la irritava sul serio! Aveva avuto la faccia tosta di provare ad usarla contro i suoi colleghi per fare dei tagli al personale, come aveva potuto essere così meschino, così…
Poi realizzò e nello stesso momento spalancò gli occhi, la bocca e si diede della stupida. Mr Darcy era alla ricerca di qualcuno che fosse di troppo e lei, con la scenata appena fatta, gli aveva fornito su un piatto d’argento il primo nome da prendere in considerazione: il suo.


Ci siete ancora?? Se sì, ne sono felice! Il prossimo aggiornamento credo arriverà tra un paio di settimane, gli esami incalzano - ah, la faticosa vita di un'universitaria! XD
Spero abbiate gradito! A presto!
  
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