365 days without you di Harryette (/viewuser.php?uid=237756)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** Chapter 1. ***
Capitolo 3: *** Chapter 2- photograph ***
Capitolo 4: *** Chapter 3. ***
Capitolo 5: *** Chapter 4. ***
Capitolo 6: *** Chapter 5. ***
Capitolo 7: *** Chapter 6- Nel tuo dolore. ***
Capitolo 1 *** Prologue. ***
365 days without you.
Prologue
‘’ Veggio senz'occhi, e non ho lingua, e grido;
e bramo di perire, e chieggio aita;
e ho in odio me stesso, e amo altrui’’.
‘’Devi andare direttamente a fanculo!’’ urlai dalla camera da letto, correndo in cucina con un boxer stretto in mano. Di Spongebob! No, la mia domanda era: perché? Perché dovevo aver a che fare con un essere così stupido? Perché a me? E poi, domanda da un milione di dollari, perché cazzo aveva delle mutande di Spongebob? Ero pronta a passare sopra a tutto, anche a delle mutande di Dumbo con la proboscide davanti, ma Spongebob? Aveva o no venticinque anni?
‘’Che altro vuoi, adesso? Su che cosa stai per lamentarti?’’ mi derise, non appena entrai in cucina. E, come avevo intelligentemente previsto, era dietro l’isolotto in sole mutande- nere, almeno!- mentre si scolava tutto il latte. Direttamente dal cartone!
‘’Tralasciando il fatto che la tua mutanda fa cagare, mi spieghi perché devi lasciarla in giro? Ci vivo anche io, qui, e sei pregato di non fracassare i maroni e di riordinare. Conosci il significato di questa parola, o devo prendere il dizionario?’’ sbraitai, sventolandola a destra e a manca. Josh, di tutta risposta, continuò a bere come un vichingo- fregandosene altamente della sottoscritta.
‘’Josh! Sto parlando, porca puttana!’’ urlai, spaccando i timpani anche a me stessa. Lui saltò teatralmente dalla sedia su sui era comodamente seduto, quasi come se io gli stessi chiedendo l’ora, e portò le braccia in alto per stendersi. ‘’Non hai nulla da dirmi?’’ continuai, irritata a morte.
‘’Si, in verità’’ sorrise, grattandosi il didietro molto poco finemente. ‘’Due cose. La prima è che una ragazza come te, zuccherino, non dovrebbe dire queste parolacce. La seconda…’’.
‘’La seconda?’’ lo incitai, sperando che dicesse qualcosa che c’entrasse almeno un pochino con la predica che gli stavo facendo. Josh Cooper era l’uomo più egocentrico, borioso, sfaticato, con pessima ironia, e muscoloso ma senza cervello che avessi mai conosciuto in vita mia.
‘’La seconda è…cosa si mangia?’’.
Mi portai disperatamente le mani nei capelli, resistendo all’impulso di saltargli addosso e strappargli tutti quei muscoli inutili a suon di morsi. Resistendo anche all’impulso di sbatterlo fuori di casa mia con un calcio in culo, e trovare un altro coinquilino.
‘’Sono le undici di mattina’’ sospirai, sconfitta. Josh Cooper era un animale, ed era capace di dire solo tre cose: ‘’hey zuccherino, ti va di farti scopare?’’, ‘’Che cosa si mangia?’’ e ‘’A 50 anni diventerò imperatore del mondo’’.
‘’Non mi importa’’ sbadigliò, grattandosi…lasciamo stare. ‘’Ho fame. Tu sei la donna di casa, invece di pensare solo al lavoro potresti prepararmi delle lasagne’’ biascicò. Ma si era svegliato tre secondi prima?
‘’Solo perché sono una donna dovrei prepararti le lasagne?’’ ringhiai. ‘’Ma preparatele da solo! E, comunque, io lavoro perché voglio costruirmi un futuro, razza di uno Josh di merda’’.
‘’Stare chiusa venti ore su ventiquattro in ufficio, non è costruirsi un futuro’’ sorrise. Sapevo che lo stava dicendo solo per farmi arrabbiare, come suo solito. ‘’Dovresti uscire almeno tre volte la settimana, e trovare qualcuno’’ mi richiamò. Sapevo che, infondo, quelle cose le pensava davvero. Ma sapevo anche che le diceva unicamente per irritarmi, ma non gliela avrei data vinta. Non quella volta. Avevo studiato a fatica per cinque lunghi anni per riuscire a prendere la laurea in giurisprudenza. Avevo sudato sangue per trovare qualche studio legale che mi assumesse per il tirocinio, e- da sola, scorciandomi le maniche- ero riuscita a diventare un avvocato abbastanza discreto. Non mi sarei fatta buttare giù dai pensieri senza senso di Josh. Lui, tanto, un senso stesso non ce lo aveva.
‘’Io sto bene da sola’’ interruppi il suo monologo, mentre prendevo dalla credenza dei biscotti al cioccolato ed iniziavo a mangiucchiarli. ‘’Non mi serve nessuno’’.
‘’A venticinque anni non si può stare bene da soli! Guarda me’’ iniziò a vantarsi, come suo solito. ‘’Ho ventitrè anni ed ho una vita sessuale che fa invidia ai ragazzini in preda agli ormoni!’’.
‘’Josh…’’ cercai di non essere troppo cattiva. ‘’Tu sei grezzo. E sfaticato. E ignorante. E non hai uno schifo di lavoro. La tua più alta aspirazione è quella di fare il cameriere ma ti fai licenziare il giorno dopo, perché arrivi in ritardo! Senza offesa’’.
‘’Perché dici sempre ‘senza offesa’ prima di offendermi?’’ scoppiò a ridere, salendo le scale per raggiungere il piano superiore. ‘’Offendimi e basta, pupa’’.
‘’Sei un coglione!’’ urlai, lanciandogli dietro la sua mutanda. Lui, abilmente, la schivò e continuò a salire le scale velocemente. Era solo buono ad andare in palestra e rassodare i suoi pettorali del cristo.
Quando guardai l’orologio, mi resi conto che ero tremendamente in ritardo. Presi la borsa e il cappotto in fretta e furia e corsi- a piedi!- all’asilo di fronte casa. Io e Josh condividevamo un appartamento relativamente grande a sud di Londra, dove il clima era un po’ più clemente. Era una zona abbastanza periferica, meno caotica del centro e non troppo esposta ai turisti. Era più che altro un agglomerato di condomini, di palazzi e di scuole.
Quando vidi che i bambini dell’asilo erano già usciti da scuola, e mi resi conto che Penelope era una delle poche bimbe rimaste, velocizzai il passo. La maestra accanto a lei mi sorrise e mi salutò con un cordiale bacio sulla guancia.
‘’Allora Georgia, come si è comportata Penelope oggi?’’ domandai alla maestra, con tono scherzoso. Vidi chiaramente la faccia di Penelope sbiancare. Era una bambina molto vivace ma, sostanzialmente, non mi aveva mai dato enormi problemi. Solo una volta esagerò. Georgia mi mandò a chiamare perché Penelope aveva accidentalmente impiastricciato i capelli di un amichetto con la plastilina, solo perché lui le aveva dato della stupida. Lì davanti alla maestra l’avevo sgridata, e a lei era uscita anche qualche lacrima, ma- a casa- le avevo fatto i complimenti. ‘’Non devi farlo più’’ avevo iniziato. ‘’La prossima volta vieni a casa e dillo a me, ci penso io’’ le avevo scompigliato i capelli nerissimi.
‘’Bene, Cara. Non preoccuparti’’ sorrise Georgia. ‘’Andate pure. Buona giornata’’.
‘’Dov’è zio Josh?’’ domandò Penny, non appena entrammo in casa.
‘’Come suo solito, di sopra’’ risposi, mentre toglievo il cappotto sia a me che a lei, e lo appendevo sull’appendiabiti. La accompagnai in salone e accesi la tv, sempre sintonizzata su due canali: il canale dei cartoni, e quello delle partite. Scossi la testa, stanca, e dissi: ‘’Penny, la mamma va a preparare il pranzo. Rimani qui e guarda Peppa Pig, va bene?’’.
‘’Si, mamma’’ annuì lei, saltellando sul divano.
‘’Brava’’ sorrisi, dandole un bacio sulle labbra, come mio solito.
‘’Perché con me non sei mai così dolce, come con tua figlia?’’ sentii una voce alle mie spalle. Chi poteva essere? Ovviamente il re del nulla, Josh Cooper, con quel suo sorriso odioso stampato sul volto magro, e senza nemmeno una maglia. L’indecenza aveva il suo nome.
‘’Perché sei una palla al piede’’ risposi, ma le mie parole furono coperti dagli urletti di Penelope, che gli saltò letteralmente addosso esclamando ‘’zio Josh, zio Josh, zio Josh’’. Penelope lo adorava, ma speravo vivamente che non lo prendesse come esempio.
‘’Luce della mia anima, hai sentito qual è il nuovo incarico della tua piccola mammina idiota?’’ le domandò quella sottospecie di tricheco. Poi, luce della mia anima? Che schifo di soprannome era mai quello? Penelope rise nella sua innocenza, non sapendo che lo ‘zio’ facesse sul serio. ‘’No, quale?’’ domandò la bambina.
‘’Deve sbrogliare una causa di una grande band del momento’’ mi lodò con cattiveria Josh. ‘’Cos’hanno combinato quei cinque mocciosi, adesso? Li hanno denunciati perché hanno detto una parolaccina sul palco, davanti alle loro fans bimbom…’’.
‘’Basta cosi!’’ lo interruppi, prima che potesse pronunciare quella parolaccia. Non davanti mia figlia. ‘’E, comunque sia, non è nessuna causa importante. Hanno avuto solo dei problemi con la loro vecchia casa discografica, visto che ora l’hanno cambiata, e vogliono fagli causa. Tutto qui!’’ alzai le mani al cielo. Non c’era amico, amica, o persona che entrasse in quella maledetta casa senza che Josh iniziasse a parlottare del mio lavoro.
‘’Oddio, mamma!’’ urlò Penelope. Mi faceva male la testa. ‘’Mi fai fare un autografo da Zeine?’’.
‘’Credo di chiami Zayn’’ sospirai. ‘’E comunque ho un appuntamento con loro domani, ma credo ci saranno solo i manager. Per me sarebbe un vero passo avanti, avrei una promozione e…’’ scossi la testa. L’ultima cosa che volevo era promettere una cosa a Penelope senza avere certezza di nulla, e sorbirmela mentre piangeva.
‘’A noi non interessa’’ mi interruppe Josh.
‘’Mamma, lo sai che penso di te?’’ domandò.
‘’Che è una menomata mentale?’’ intervenne Josh, beccandosi una gomitata nelle costole.
‘’Penso che da grande voglio essere proprio come te’’ sorrise Penny, mostrando quell’adorabile finestrella senza dentino sul lato destro. ‘’Sei grande!’’.
‘’Povera bambina! Che razza di sogni suicidi!’’ sospirò Josh, mentre sorridevo e correvo ad abbracciarla.
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Hallo everyone!
Anzitutto, grazie a Laura ((walls)) per il banner BELLISSIMO.
Ora penserete, ma questa non ha un cazzo da fare dalla mattina alla sera?
Ebbene si, ho un cofano di cose da fare…BUT sono masochista e
ho deciso di postare questa nuova fanfic! Diciamo che è più una ‘prova’, perché non ho mai scritto un sequel. E, come è scritto della descrizione, questa storia è una specie di seguito di ‘’angels among us’’, nato da varie idee malate della sottoscritta.
E anche perché amo troppo Niall per vederlo soffrire così c.c e non serve
aver letto la prima per leggere questa c: Ah, i protagonisti della storia sono anche
Lydia ed Harry!
Ovviamente, dipende da cosa ne pensate voi. Se a voi interessa il seguito, continuerò a postare altrimenti elimino lol
Poi, un po’ di chiarimenti leciti: Josh non è il fidanzato di Cara e non è il padre di Penelope. E’ solo un coinquilino, poi Cara stessa spiegherà perché convivono ahaha
Poi, si, Cara è mamma. Non è vecchia, eh lol ha solo 25 anni! Anche
le dinamiche del suo essere madre così presto le chiarirà lei stessa xx
Infine…che ne pensate di Josh? Io lo adoro hahaha ah e infine, i commenti di Josh
sulle directioners sono alla cazzo, io non li penso affatto.
Detto ciò, a presto- spero.
Harryette
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Capitolo 2 *** Chapter 1. ***
Chapter 1
‘’ Fate pure ciò che volete, ma siate prima di tutto di quelli che sanno volere.''
‘’Sono in clamoroso ritardo, e solo per colpa tua!’’ urlai contro Josh, steso a pancia all’aria sul divano mentre io- che volevo ancora fare qualcosa di utile nella mia vita- mi trascinavo per la casa con una camicia indossata in fretta e furia e una scarpa sì e una no.
‘’Io non ho fatto nulla’’ biascicò lui.
‘’Nulla?’’ ringhia. ‘’NULLA?’’ gli lanciai un cuscino in faccia, colpendolo in pieno anche se non si mosse di un millimetro. ‘’Ti avevo chiesto per piacere di impostare la sveglia sul tuo cellulare, visto che il mio si è rotto. Avevi detto di averlo fatto, razza di stronzo!’’ sbraitai, prima di abbassare notevolmente il tono di voce. Non volevo svegliare Penelope.
‘’Me ne sono semplicemente dimenticato. Ed hai messo la giacca al contrario’’.
Io scossi la testa, esasperata, e la risistemai. Avevo indossato il mio tallieur migliore- anche se indossavo solo vestiti o giacche- perché ci tenevo davvero a fare bella figura. Se fossi riuscita a vincere quella semplice e piccola causa, avrei avuto una tanto agognata promozione. A venticinque anni era quello che mi ci voleva.
Indossai le mie scarpe tacco 12, e pregai tutti i santi del paradiso che l’incontro andasse bene. E che crollasse un fulmine sulla testa di Josh Cooper.
°°°
Attraversai l’enorme piano terra dello studio legale in cui lavoravo, scivolando sul pavimento lucido e nero e producendo uno strano rumore con i tacchi. Stringendo la cartellina fra le mani, come se fosse stata la cosa più importante al mondo, corsi verso l’ascensore sperando non fosse occupato.
Ovviamente, era occupato.
Fremendo e saltellando da una parte all’altra, nel mio professionale completo marroncino, mi sistemai alla meglio i capelli nerissimi. Sospirai nel momento in cui le porte dell’ascensore si aprirono, facendomi sbattere sul petto di qualcosa. Di qualcuno.
‘’Ma stia attento!’’ replicai piccata, cercando di ricompormi e raccogliendo la cartellina che mi era appena caduta a terra. Quando alzai lo sguardo sulla persona che si stava accingendo ad uscire dall’ascensore, notai che aveva un volto conosciuto. Molto e troppo conosciuto.
‘’Mi scusi, ma anche lei dovrebbe far attenzione a dove mette i piedi’’ sospirò, atono. Sembrava quasi… cosa? Stanco? Triste? Con il vuoto negli occhi? Forse tutte e tre le cose messe assieme, o forse nessuna. Ero sempre stata brava a leggere le persone, ma quella volta fallii miseramente.
‘’Ma io e lei non ci siamo già visti?’’ domandai, quasi di impulso. No, di sicuro non avrei dovuto chiederlo. Avrei dovuto scusarmi, entrare in ascensore e iniziare il mio colloquio. Mandare avanti la mia carriera. Ma quegli occhi azzurri- così maledettamente azzurri- non mi lasciavano scampo. Mi inchiodavano lì, esattamente dov’ero, e non avevo intenzione di muovermi.
‘’No’’ ringhiò lui. ‘’E ora, permesso, devo andarmene. Arrivederci’’.
E io rimasi lì, immobile, mentre lui mi superava- dandomi anche una spallata, per giunta!- e raggiungendo l’uscita dello studio. Ma chi diavolo si credeva di essere quel ragazzino biondo ed egocentrico? Avrebbe dovuto averla passata la fase dell’odio infinito verso il mondo e il genere umano.
Mi risvegliai dai miei sogni, ed entrai nell’ascensore premendo il numero ‘’3’’. Quando arrivai fuori la porta del mio studio, mi ci fiondai dentro come se fosse una questione di vita o di morte. Ero sempre stata impeccabile, in vita mia. Niente ritardi, niente richiami. E quella volta, l’unica volta davvero importante, ero in ritardo di quindici minuti. Come avevo supposto precedentemente, un uomo era già seduto davanti alla mia scrivania. Evidentemente Caroline, la segretaria, li aveva fatti accomodare. Accanto a lui c’era un ragazzo, che pensai appartenesse agli One Direction. Anche se erano delle specie di divinità a Londra, non ricordavo bene i loro volti e non mi ero mai soffermata più di tanto a guardarli.
L’uomo più adulto, e visibilmente più grosso, si alzò non appena feci la mia entrata trionfale- si fa per dire- nella stanza che dava sullo skyline di Londra, con pareti di vetro.
‘’Buongiorno e scusate il ritardo’’ sorrisi, avvicinandomi a loro.
‘’Di nulla, avvocato. Sono Paul Higgins, il manager degli One Direction’’ mi tese la mano, ed io la presi senza la minima esitazione. Non ero comunque la tipa da esitazioni.
‘’La prego mi chiami pure Cara. Sono Cara Archibald’’ risposi, di tutto punto, ricevendo un suo sorriso di rimando.
‘’Archibald? Dove altro ho sentito questo cognome?’’ domandò, grattandosi il capo con fare buffo. Oh no, sempre la stessa schifosissima e maledetta storia. Mi affrettai a rispondere: ‘’E’ un cognome non molto comune, forse lo associa a qualcun altro’’.
Poi notai che il ragazzo seduto accanto a Paul si era alzato, così gli tesi la mano. ‘’Avvocato Cara Archibald’’ sorrisi.
Lui ricambiò quasi a fatica il mio sorriso ma- almeno, e cosa che non mi aspettavo- mi strinse la mano. ‘’Harry Styles’’.
Rimasi per un secondo imbambolata nei suoi occhi. Erano…verdissimi e quasi profondi quanto l’oceano. Non riuscii a leggere dentro neanche a lui, così cominciai a pensare che fossi io ad essermi svegliata con la luna storta quel giorno.
Intanto, non mollavo la presa alla sua mano. Lui tossì per ricordarmi, abbastanza educatamente, che dovevo lasciargli la mano a meno che non volevo che diventassimo direttamente dei fossili.
‘’Allora’’ cercai di sviare io, sedendomi dietro la scrivania e facendogli segno di accomodarsi. ‘’qual è il problema?’’.
‘’La Modest- la loro vecchia casa discografica- ha messo in giro la voce che non abbiamo rispettato tutti i loro accordi. Dicono che i ragazzi abbiano firmato un contratto in cui si affermava che sarebbero stati loro fino al 2017, ma non è affatto vero. Gli ha solo dato fastidio che delle promettenti star abbiano cambiato casa discografica. E noi gli abbiamo fatto causa’’ concluse Paul.
‘’Bene’’ sospirai. ‘’Se quello che lei afferma è vero, allora non avremo problemi a vincere la causa. Voi lasciate fare a me’’ sorrisi. Non avevo mai perso nessuna causa fino a quel momento. Ero sempre stata, sin da quando avevo sedici anni, una ragazza sicurissima del suo futuro e molto- forse troppo- ambiziosa. Non mi ero mai voltata, avevo sempre puntato al meglio, guardato avanti senza pensare a nessuno. Senza rimuginare troppo sulle cose. E pensavo che sarei diventata un importantissimo avvocato, e poi avrei pensato a mettere su famiglia. Ancora una volta, però, la vita mi aveva dimostrato quanto fosse inutile fare piani: alla fine niente va come ti aspetti. Quando scoprii di essere incinta di Penelope, il 30 dicembre del 2010, mi crollò il mondo addosso. I miei genitori, una delle famiglie più ricche e importanti di Londra, mi avevano sempre insegnato ad essere perfetta. La migliore. La prima indiscussa. Ma anche loro mi avevano dimostrato di non amarmi tanto quanto dicevano: quando avevano scoperto che aspettavo un bambino, mi avevano cordialmente sbattuta fuori casa senza un soldo- dopo una vita di lusso e sfarzi-, a meno che non avessi abortito. Ovviamente non lo avevo fatto, e al diavolo il buon nome della famiglia alla quale loro tenevano tanto.
‘’Dov’è andato Niall?’’ chiese di getto quello che si era presentato come Harry, mentre avevamo quasi terminato l’incontro e lui non aveva detto una sola parola. ‘’E’ uscito un’ora fa’’.
‘’Non lo so’’ sospirò avvilito Paul. Che dovesse anche fargli da balia? ‘’Con quel ragazzo ho perso le speranze da quasi un anno’’.
Improvvisamente mi sentii il terzo incomodo, e la cosa non mi piaceva per niente. ‘’Lei non è troppo giovane per fare l’avvocato?’’ sentii una voce che non apparteneva né ad Harry né al suo manager. Sull’uscio della porta del mio studio c’era un ragazzo biondo e dagli occhi di ghiaccio. Lo stesso identico ragazzo che avevo incontrato tempo prima in ascensore. O meglio, contro cui ero sbattuta.
Mi alzai quasi in automatico, anche se non avevo intenzione di avvicinarmi e fare la cortese- presentandomi. Non dopo il modo burbero e scorbutico con cui mi aveva trattata. Se era in preda a sbalzi d’umore adolescenziali ed era nervoso per qualche cazzata da ragazzino, non era certo giustificato. Nulla giustificava la maleducazione.
‘’Non sapevo ci fosse un’età per diventare avvocati’’ ribattei piccata, incrociando le braccia al petto com’ero solita fare, quando mi cimentavo nelle mie arringhe. ‘’E, comunque, ho venticinque anni e sono laureata. Vuole vedere?’’ indicai un quadro appeso alla mia parete, che incorniciava la mia laurea. Avevo preso il massimo dei voti, nonostante avessi una figlia di due anni- a quei tempi- sulle spalle, e solo la mia migliore amica che la accudiva.
‘’No, grazie, ci credo sulla parola’’ sogghignò, avvicinandosi ad Harry e guardandolo negli occhi. Non volevo sbagliarmi, ma mi parve di vedere chiaramente Harry fargli segno di smetterla e stare zitto. ‘’Andiamo?’’ domandò il biondo. Ma che cazzo di problemi aveva?
‘’Sì’’ sospirò sconfitto il riccio, alzandosi di botto- seguito da Paul. Solo il manager- evidentemente il più maturo- si degnò di stringermi di nuovo la mano e sorridermi. ‘’Ci vediamo oggi pomeriggio, allora, avvocato Cara. E grazie’’.
‘’Grazie a voi’’ generalizzai io, anche se avrei voluto volentieri utilizzare il singolare. Paul era l’unico che si era dimostrato amichevole e che mi aveva messo a mio agio, pur essendo loro gli ospiti e quello il mio studio.
In un battito di ciglia, furono tutti e tre fuori. Io mi lasciai cadere sfinita sulla sedia girevole dietro la mia scrivania di vetro, piena di appunti, agende e documenti sparsi in ogni dove. Un computer sulla destra che avevo anche dimenticato di spegnere il giorno prima, e la foto mia e di mia figlia accanto- incorniciata nella migliore cornice d’argento che avevo. Ero sfinita e la mia giornata lavorativa era appena incominciata. Avevo altri tre clienti da incontrare, e milioni di causa da cercare di sbrogliare. Che poi, ogni causa era una questione di puro orgoglio: non potevo semplicemente fallire. Un giorno, non importava quanto lontano, quando sarei diventata un avvocato di fama internazionale e i miei genitori mi avrebbero vista sulla prima pagina di uno dei loro solito giornali che comprava la domestica la mattina, avrebbero capito che non avevo ‘’sprecato la mia vita e il mio cervello’’. Che ero molto di più di una Archibald. Che ero Cara Archibald, ma non la Cara figlia del grande industriale Lee. Cara l’avvocato. Cara la venticinquenne che si era fatta da sola. E allora si sarebbero pentiti di aver messo il buon nome della famiglia davanti alla loro figlia, si sarebbero pentiti di avermi permesso di andarmene via per sempre, si sarebbero pentiti di avermi persa.
E avrebbero smesso di considerarmi una fallita ragazza-madre.
In quel momento, mentre rimuginavo e formulavo mentalmente frasi sconnesse fra di loro, squillò il mio cellulare. Con la paura che Josh avesse combinato qualche guaio, o- peggio- avesse attentato alla salute di mia figlia (che il sabato non andava a scuola) risposi di colpo.
‘’Pronto?’’.
Nessuna risposta. Il panico.
‘’Pronto?’’ ritentai. Silenzio.
Caduta libera. Il panico cominciò ad impossessarsi di me. Non era la prima volta che succedeva, ultimamente. Chiamate improvvise, lasciate così- senza una risposta. Solo qualcuno dall’altro lato che si divertiva a sentire il mio tono frenetico e spaventato, e che mi metteva una paura incredibile.
‘’Chi sei? Si può sapere che cosa vuoi?’’ ringhiai, cercando si sembrare il più temibile possibile, ma è davvero molto difficile quando sei spaventata. ‘’Sono un avvocato. Io ti denuncio’’.
Ma, di nuovo e come succedeva sempre, quel ‘qualcuno’ attaccò. Lasciandomi con la cornetta del telefono ancora attaccata all’orecchio, a fissare il soffitto in silenzio e giurando che se fosse ricapitato avrei fatto qualcosa. Qualsiasi cosa. Tutto purchè quel calvario finisse, perché non ne potevo davvero più. E se avessi scoperto che l’artefice era Josh, l’avrei ucciso con le mie stesse mani. Un avvocato in prigione, cosa c’era di meglio?
_________________
Talvolta ognuno di noi è predestinato. Predestinato a diventare qualcuno in particolare, predestinato a conoscere qualcuno in particolare, predestinato a morire in qualche modo particolare oppure a capire di non aver mai vissuto veramente. Talvolta ognuno di noi è destinato, perché quel qualcosa è già stato deciso tanto tempo prima. Perché è stato scritto nelle stelle all’alba dei tempi, quando ancora non si sapeva se si sarebbe formato questo famosissimo ‘’genere umano’’. Talvolta ognuno di noi ha già una strada da prendere, e magari non se ne accorge nemmeno, non ci pensa, non ci fa minimamente caso. Talvolta ognuno di noi ha già i respiri contati, le lacrime contate, i sospiri contati. E non importa come, ma succede. Succede sempre quello che deve succedere, quasi per inerzia. Talvolta qualcuno di noi si rende conto di avere una missione da portare a termine molto più grande di quella di crescere una bambina, o di convivere con un pazzo, oppure di lavorare giorno e notte. Molto più importante di indossare abiti Armani per far bella figura, di girare con soli tacchi 12. Talvolta qualcuno di noi si rende conto pienamente del significato del verbo salvare. Salvarsi da qualcosa, salvarsi dal dolore, salvarsi dai pensieri, salvarsi dagli altri. Salvarsi da se stessi. Talvolta qualcuno incontra il fato, anche se probabilmente non ci crede neanche. Talvolta qualcuno si scontra con il destino, e capisce che è completamente diverso da quel che si era immaginato. Scopre che, magari, il destino è una persona. Che magari è un ragazzo. Che magari ha i capelli biondi e gli occhi chiari più bui dell’universo.
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Chiedo umilmente venia!
So che sono in ritardo colossale, nonostante avessi già anche pronto il capitolo,
ma per un motivo o per un altro non ho mai postato lol
Quanto sono pessima da uno a dieci? Centomila hahaha.
Okay, ora chiariamo qualcosina sul capitolo: finalmente, se così si può dire, entra in scena
il nostro carissimo Niall. Ci terrei particolarmente a precisare che è, e sarà,
molto diverso dal Niall di 'angels among us' (se l'avete letta lol), come potete immaginare
e come si capirà dopo meglio. Poi...ci sono dei chiarimenti sulla storia di Cara e
di Penelope! e Cara inizia a ricevere strane telefonate...chi potrà mai essere?
Grazie mille per tutto l'affetto che mi dimostrate! Anche se non rispondo spesso,
ovvi motivi di mancanza di tempo, le leggo tutte e vi ringrazio di cuore.
Anche su Facebook e Twitter e Ask mi fate capire quanto siete meravigliose!
Anyway, grazie ancora. A prestissimo, giuro<3
Harryette.
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Capitolo 3 *** Chapter 2- photograph ***
Chapter 2.
‘’ E così egli non saprà mai quanto io lo ami
e ciò non perché sia bello ma perché lui è più me di quanto non lo sia io.
Di qualunque cosa siano fatte le anime, certo la sua e la mia sono simili’’.
‘’Che cazzo stai blaterando?’’ mi domandò di soppiattò Josh, mentre io- ovviamente- ero intenta in una delle mie lavate di capo al sottoscritto e lui non se ne fregava minimamente!
‘’Josh mi urti!’’ urlai all’improvviso, e poi arrossendo perché l’ultima cosa che volevo era che la nostra vicina di casa pettegola- Mrs Crudge- si mettesse a fangirlare su di noi, e espandesse voci non vere. Secondo lei eravamo marito e moglie in segreto, e Penny era sua figlia. Una donna molto creativa e fantasiosa, insomma.
‘’Anche tu mi urti’’ sospirò lui, senza interesse. ‘’Ma di certo non te lo urlo. E di certo, mentre lo faccio, non ti sputo in un occhio’’ sbuffò, strofinandoselo forsennatamente. Se non fosse stato per tutti i favori che gli dovevo, l’avrei sbattuto fuori di casa a calci in culo.
‘’Basta così’’ ammisi, stanca, mentre sprofondavo sul divano accanto a lui. Ci mancava solo che ci piantasse una tenda da campeggio lì sopra. ‘’Sono stanca, oggi ho lavorato tantissimo’’.
‘’E ti pareva’’.
‘’Zitto, perché non ho ancora finito. Fra un’ora devo andare a casa del manager degli One Direction per quella stupida causa. Devo vincerla assolutamente’’.
‘’La vincerai. Vinci sempre’’ sorrise. Quella era, forse, la frase più bella e sensata che avesse mai detto nell’arco di tutta la sua vita.
‘’Lo spero’’ sospirai. ‘’Penelope torna fra un’ora e mezza dall’asilo. Sei capace di badare a lei finchè non torno, giusto? O ti dimentichi di andare a prenderla?’’.
‘’Non mi dimentico di Penelope’’ ringhiò, quasi come se gliene importasse davvero. Cosa impossibile. Josh poteva essere gentile quanto voleva, se ci si metteva di impegno, ma era così maledettamente sbadato che nulla doveva essere dato per scontato.
‘’Va bene, ma io ti chiamo per ricordartelo. Voglio mia figlia ancora per qualche anno. Quando deciderò di sbarazzarmene, sarai il primo che contatterò’’.
______________
La prima cosa che pensai quando arrivai fuori quella casa fu che quella non era una casa. E neanche una villa, perché sarebbe stato davvero riduttivo. Era così grande che neanche io, che povera non ero, avevo mai immaginato che esistesse una cosa del genere. Era di color giallo tenue, sviluppata su circa quattro piani sia in altezza che in larghezza, attorniata da un giardino enorme curato sin nei minimi dettagli. Sul lato destro c’era un piccolo sentiero costruito con dei sassolini artificiali, che conducevano ad un gazebo di spesso legno di mogano, con al centro una piccola fontana di roccia intagliata. Sul lato sinistro solamente una distesa di verde, che dava una splendida vista al cielo- essendo spoglia di alberi.
Il cancello che mi divideva da quella reggia era di un verde spento, con al lato il numero ‘’24’’ e un radio citofono. Non c’era nessuna scritta su di esso, solamente lo stesso numero civico affisso accanto. Ed era l’unico citofono, quindi ipotizzai che dovesse essere anche quello che cercavo.
Bussai, sistemandomi il tailleur rosa e cercando di non pensare a quanto quelle maledettissime scarpe gialle mi facessero male, angosciata da qualcosa.
La casa era bellissima, assolata e veramente invidiabile ma era quasi tristi, e mi sorpresi a pensare una cosa del genere.
Per me era soltanto un lavoro, un trampolino di lancio, niente altro. Non dovevo pensare a quanto quella villa mi mettesse soggezione e malinconia, ma solo ad entrare ed uscire con qualche informazione in più e tanta voglia di vincere.
Dopo un tempo che mi parve interminabile, sentii uno scatto e il portone si spalancò. Una voce metallica mi rimbombò nelle orecchie, amplificata dal suono del microfono del citofono. ‘’Si sbrighi ad entrare, potrebbe vederla qualcuno ed intrufolarsi dentro’’.
Io obbedii, senza neanche preoccuparmi di identificare quella voce.
Attraversai di fretta il giardino, chiudendomi il portoncino alle spalle, e salendo le scale che conducevano all’entrata. La porta era aperta.
L’interno era ancora più incredibile dell’esterno, probabilmente. Era arredato in stile moderno e, anche se era solamente il salone, rimasi sbigottita e particolarmente affascinata dalla bellezza e la finezza del lampadario. C’era un buon profumo, forse pino.
Il problema principale era che era vuoto. Non c’era nessuno ad accogliermi.
Forse avrei seriamente dovuto farmi gli affari miei e stare seduta sul divano, in attesa che arrivasse qualcuno. Chiunque. Ma non era mio costume, e non sarei mai riuscita a stare ferma. Mi avvicinai al camino di mattoni bianchi, che mi sembrava quasi etereo, e osservai tutte le foto poste sopra di esso.
La prima rappresentava cinque ragazzini di appena 17 anni- gli One Direction sicuramente- che si abbracciavano e sorridevano contenti.
La seconda era un ragazzo riccio con un numero infinito stampato sulla maglietta, probabilmente quello di X-Factor, e accanto a lui un’altra foto identica ma con un altro soggetto: Zayn.
La terza foto rappresentava un paesaggio invernale, probabilmente dalle parti di Aspen, e la neve fioccava dal cielo quasi come danzasse.
La quarta era un ragazzo dagli occhi chiari, evidentemente Louis, abbracciato ad una ragazza altissima e mora. Sorridevano fino alla paralisi facciale, e si vedeva che stavano bene in quel momento. Louis la guardava quasi intenerito, mentre lei guardava l’obbiettivo. Nell’angolo della foto c’era una dedica fatta con un pennarello nero: ‘’Sei la mia stella polare. Mia’’
La quinta foto rappresentava un uomo che aveva uno volto conosciuto- era il loro manager, Paul Higgins- che era immerso in un dialogo con quello che doveva essere Liam, mentre un ragazzo riccio e divertito faceva dietro al compagno strane smorfie. Era simpatica, come fotografia, sorrisi quasi automaticamente.
La penultima foto, invece, catturò maggiormente la mia attenzione: raffigurava un ragazzo biondo e dagli occhi trasparenti accanto ad una ragazza dai capelli rossi. La cosa che mi sorprese, però, fu lo sguardo di Niall: quando l’avevo conosciuto giorni prima, mi era sembrato così spento da mettermi quasi paura. In quella foto, invece, era l’esatto opposto. Le sue iridi trasmettevano addirittura un senso di tranquillità mista a gioia. I capelli erano un po’ più corti e il volto un po’ più vivo. Stava ridendo, altro che sorridere, e la ragazza accanto a lui faceva lo stesso. Non stavano neanche guardando l’obbiettivo, erano stati immortalati alla sprovvista, di sorpresa. Il braccio di lui era saldamente ancorato alle minute spalle della ragazza, e le loro mani erano intrecciate. E la rossa di fianco a lui doveva essere un po’ più piccola, ma aveva degli occhi castani profondissimi e un volto incredibilmente sereno. Ed era bella. Ma bella davvero.
Nell’ultima foto c’era solamente una persona: la stessa ragazza della foto precedente. Era seduta su un letto probabilmente, ma la foto era un primo piano del suo volto. I capelli chiari le ricadevano morbidi sulle spalle esili, e gli occhi erano sempre profondi ma molto- molto- stanchi. Erano solcati da profonde occhiaie, anche se erano sviate dalla bellezza del suo sorriso pulito. La pelle era molto più chiara della foto precedente, quasi trasparente, e- anche se il suo corpo non si vedeva- dalla sporgenza delle sue clavicole si capiva che doveva essere anche molto più magra. Il suo collo era decorato da una semplicissima collana, la metà dello yin e dello yang. La parte nera con la goccia bianca, appesa ad un leggero laccetto di caucciù. In basso a destra della foto, anche qui, c’era una scritta: ‘’per sempre’’.
Non potei evitare di sfiorare la magnifica cornice d’argento nella quale era riposta e custodita quella fotografia, addirittura la presi fra le mani per ammirarla meglio. Dava quasi…cosa? Speranza?
‘’Cosa sta facendo?’’ una voce ruppe i miei pensieri, e posai di soppiatto la foto al suo posto. Mi sistemai la giacca, come facevo sempre quando ero terribilmente agitata.
‘’Niente’’ balbettai quasi. ‘’Stavo aspettando che arrivasse qualcuno’’
Quando mi voltai fui sopraffatta dagli stessi occhi azzurri del ragazzo della penultima fotografia: Niall Horan.
Se ne stava lì, immobile, a quasi cinque metri di distanza da me e con le braccia incrociate. Aveva un maglione di filo azzurro chiaro e largo, che intonava con i suoi occhi, e un jeans color ghiaccio a cavallo basso. Al collo, la stessa collana della ragazza rossa solamente che era la parte bianca.
Mi si avvicinò quasi a passo felpato, fermandosi a qualche metro scarso da me, e mi osservò a lungo. Poi rivolse il suo sguardo verso la cornice con la fotografia che avevo preso, e potei avvertire perfino io- che non lo conoscevo affatto- la differenza delle due occhiate: quella che aveva rivolto a me era stata quasi furiosa e rabbiosa, quella che aveva rivolto al ripiano del camino quasi malinconica. Potei giurare che il suo sguardo si addolcì e che i suoi occhi si bagnarono leggermente.
‘’Mi dispiace’’ dissi quasi di impulso. ‘’Io non volevo essere invadente, è solo che…’’
‘’Non fa niente’’ mi interruppe bruscamente, tornando a guardarmi. ‘’Non importa. Paul mi ha mandato a dirti che sta arrivando, è sotto la doccia’’
E riconobbi la voce: era stato Niall a rispondere al citofono, probabilmente era l’unico presente in casa a parte il manager, visto che non sentivo altre voci.
‘’Ah’’ risposi, imbarazzata. ‘’Va bene, allora…aspetto’’
Non sapendo che cosa fare, ed essendo divorata dalla vergogna mai come quella volta, mi recai verso il divano in pelle e mi sedei.
‘’Complimenti’’ gli dissi, mentre lui era ancora alzato e perso nei suoi pensieri. ‘’Casa vostra è magnifica’’
‘’Grazie’’
Calò il silenzio, e cercai disperatamente qualcosa di sensato da dire per non cadere nell’imbarazzo nuovamente. Alla fine, dissi la prima cosa che mi venne in mente: ‘’La ragazza nella foto è davvero bellissima’’
Non lo vidi, ma lo sentii irrigidirsi. Si avvicinò al camino e prese ad osservare la sua fotografia quasi come se la tipa potesse apparire da un momento all’altro, poi sospirò. ‘’Già’’ concordò. ‘’Era davvero bellissima’’
E lo pronunciò senza nessuna emozione nelle corde vocali, solo una leggerissima amarezza nel timbro della sua voce che non mi tradì- essendo molto abile ad analizzare le persone.
E quel verbo utilizzato al passato non mi fece presagire nulla di buono, assolutamente, era inquietante quasi quanto il suo tono vocale.
Fortunatamente non ebbi il tempo di dire nient’altro perché l’enorme Paul piombò nella stanza, scusandosi per il ritardo, e iniziando a parlare. Sentii solamente un flebile ‘’ciao’’ del biondo, e poi scomparve.
_______________________
Casa mia, al contrario di quella che avevo appena lasciato, era una strage.
I vestiti di Penelope e- ovviamente- di Josh erano sparsi sul pavimento, ed il mio bellissimo e costosissimo tavolinetto giapponese nel salone era invaso da scatoli di pizza, patatine e bicchieri di carta ancora impregnati di colacola.
Urlai quasi immediatamente, e i due colpevoli corsero in salone con l’aria di chi sta andando al patibolo. Josh, palesemente, ci andava a petto nudo.
‘’Ma vi sembra corretto?’’ urlai. ‘’Io pulisco e vi lascio la casa per mezza giornata, e voi cosa combinate? Sistemate SUBITO!’’
Sarebbe stata una lunga serata.
_____________________
ciao ragazze!
Dopo un'eternità, finalmente ho deciso di continuare questa ff!
Sono stata molto impegnata con la scuola, e non me la sentivo di continuare ben due storie ma,
fortunatamente, l'altra mia ff è quasi al termine e la scuola è finita!
CHE BELLO AHAHAHAHHA
Quindi, la continuerò se- ovviamente- interessa a qualcuno! Non vorrei che abbiate...diciamo perso interesse ahahahahha ditemelo, se è cosi!
Spero che continuiate a seguirla, ora che aggiornerò più spesso!
Bene, ora devo correre a cenare ma fatemi sapere!
Ah, siccome mi costa molta fatica scrivere due storie insieme, vorrei che per questa
ne valesse la pena: continuerò non appena verranno raggiunte le 10 recensioni!
Spero presto<3
Un bacio ENORME.
Harryette
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ASK: http://ask.fm/crediciidai
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Capitolo 4 *** Chapter 3. ***
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Capitolo 3.
‘’Là
dove c’è pericolo,
cresce anche ciò che salva’’
Harry’s pov
La modella
accanto a me aveva i capelli rossi, o forse erano
alterati dalle luci a led del magnifico locale in cui mi trovavo.
Scosse il
volto, maliziosa, e continò a baciarmi senza motivo. Io
avevo la camicia
sbottonata, forse, sinceramente neanche me lo ricordavo. Sentivo le sue
labbra
soffici sfiorarmi dappertutto, e pensai che non dovesse essere poi
tanto male
ricambiare quei baci focosi.
Ma rimanevo fermo, non muovevo un singolo muscolo e di certo non avevo
intenzione di farlo in quel momento. La musica di Hardwell era sparata
a tutto
volume nel locale, e le luci soffuse servivono solo per tamponare tutti
i suoni
che avevo intorno.
Avrei voluto tanto ritornare a respirare.
Fingevo di non sapere che fuori quella porta che separa i
‘’pochi
privilegiati’’ nel locale dal resto del mondo
c’erano una marea di fotografi e
giornalisti, pronti ad assalirmi con domande stronze e supposizioni
stupide il
doppio.
Fingevo di non sapere che lì fuori, da qualche parte e
magari in un’altra
nazione, c’era Lydia con quei suoi maledetti capelli rossi
che sorrideva a
qualcuno che non ero io.
Fingevo di non sapere che fra poco sarà stato un anno che
Ria è morta, e porca puttana ma
perché?
Perché doveva essere così bastarda, la vita,
davvero non riuscivo a
spiegarmelo. Perché un secondo prima c’eri, e
quello dopo eri cenere.
Fingevo di non sentire la mancanza di mia madre-
la mia mamma- che mi premeva da tutte le parti e mi eclissava
tutto il cuore. Fingevo di credere che fosse ancora a casa ad
aspettarmi,
mentre metteva il vaso di fiori a tavola e mi chiedeva come sia andato
il
concerto. Fingevo di sentire ancora la sua voce, che superava anche la
musica
stratosferica della discoteca e mi riecheggiava nelle orecchie. Fingevo
che, a
casa, ci fosse ancora qualcuno che mi aspettava. Qualcuno che mi
mandasse un
messaggio. ‘’Harry sono
le due, dove
sei?’’, ma forse ero grande abbastanza
per queste cose. Forse mia madre era
troppo apprensiva.
‘’Harry, che cosa
c’è?’’ mi chiese la modella,
che ricordai chiamarsi Billie.
‘’Niente’’ scossi la testa.
‘’Vieni qui’’
______________________
Era il quarto
drink, o qualcosa del genere, quando sentii
qualcuno premermi ripetutamente sulla spalla. Mi voltai e
lì, davanti a me,
c’era Liam. Mi sorrise teneramente, come fosse un padre che
cerca di non
richiamare il figlio, e mi fece un cenno col capo.
Sinceramente non sapevo neanche che fossimo nello stesso locale prima
di quel
momento.
‘’Dovresti fare attenzione con quelli,
Styles’’ disse, indicando il mio
cocktail. ‘’Sono micidiali. E i fotografi qui fuori
scatenerebbero uno
scandalo, domani. Lo sai’’
Come potevo rispondergli senza risultare un acido del cazzo?
‘’Liam’’ sospirai, bevendo il
drink verdastro tutto d’un sorso. Fu come se la
mia gola si restringesse, diventando di colpo più stretta.
La vista mi si
appannò per un secondo, prima di ritornare normale. Avrei
voluto che
quell’effetto durasse per sempre. ‘’Non
me ne frega un emerito cazzo di quello
che dicono i fotografi. Che facciano quel che minchia gli
pare’’
Liam Payne, l’uomo più paziente del mondo per
antonomasia, sospirò quasi
avvilito. ‘’Cosa posso fare per aiutarti, Harry?
Sinceramente’’
Se fossi stato sobrio, o almeno in parte lucido, gli avrei dato una
risposta
plausibile. Ma dal momento che non lo ero, e che volevo solamente
abbordare
un’altra modella da portarmi a letto, ci persi le speranze.
‘’Puoi riportarmi mia mamma?’’
domandai, sorridente. ‘’Oppure Lydia, oppure
Ria. Tutte e tre, ma mi accontento anche di una sola. A tua
scelta’’
‘’Ti stai distruggendo’’ disse
serio, in tutta risposta. Io scoppiai a ridere,
sbandando ubriaco, quando sentii le sue mani salde e sobrie posarsi
sulle mie
spalle. ‘’Harry, smettila’’
Lo scansai con una parolaccia, e tornai in pista.
___________________
Cara’s pov
Avevo
perso il taxi, porca miseria.
Se non fosse stato per Josh, quel benedettissimo uomo, avrei potuto
prendere la
mia Volvo e andare a lavoro da sola. Purtroppo però, visto
che con quell’essere
ogni giorno era una novità, non era stato possibile.
Mi aveva detto che doveva andare urgentemente in ospedale a fare una
visita, e
che gli serviva la mia macchina. Che fosse andato realmente in ospedale
o meno
non lo sapevo, ma sarebbe stato meglio per lui se fosse stato
così.
Ma che ci comprasse una macchina!
Sulle mie zeppe Louis Vuitton quasi rischiai di inciampare, sul
marciapiedi, e
mi sistemai il tubino color pesca. Controllai l’ora: in
ritardo di dieci
minuti, ed ero ancora a tre passi da casa. Se avessi continuato di quel
passo,
mi avrebbero licenziata il giorno seguente.
Sperai vivamente che passasse presto un altro taxi, mentre mi fermavo
per
riprendere fiato e chiamavo la mia assistente, per dirle di avvertire
per il
mio ritardo. Caroline rispose al secondo squillo:
‘’Certo signorina Archibald,
non si preoccupi’’
Fortuna che una persona normale, a questo mondo, esisteva ancora. E
fortuna che
Penny andava ancora all’asilo, e vi restava fino alle quattro
del pomeriggio.
E, per giunta, quella merda di giornata era reduce da una notte di
pioggia
incessante: le sue tracce si potevano vedere dalle enorme pozzanghere
che si
trovavano sparse un poco dappertutto, e che mi rendevano la vita ancora
più
impossibile. Scavalcarle e saltare, su dei trampoli tra
l’altro, non era mai
stato il mio forte.
Mi fermai sulla soglia del marciapiedi, immobile, e riposi il cellulare
nella
pochette.
Tempo due minuti, quando alzai lo sguardo una macchina enorme e nera
sfrecciò
forsennatamente al mio fianco, schizzandomi addosso tutta
l’acqua che si
trovava in una pozzanghera melmosa e sporca che non avevo neanche
visto.
Repressi l’istinto e la voglia di urlare.
Maledizione.
Sospirai e contai fino a dieci, ripentendo lo stesso mantra nella mia
testa:
‘’stai calma, Cara. Stai calma’’
E fu quando la macchina che mi aveva bagnata tornò indietro,
probabilmente per
scusarsi, che persi la calma. Ma che stronzo, che si spostasse dai
confini dei
marciapiedi! Avrei dovuto davvero fargli causa.
Avrei potuto.
Il finestrino- rigorosamente oscurato- si abbassò,
rivelandomi il volto del
conducente. Quasi non svenni quando collegai, e capii chi fosse.
Niall Horan era seduto comodamente sul sedile in pelle ciliegia, le
mani
tranquillamente appoggiate sul volante. I capelli incredibilmente
biondi, forse
per la luce del sole, erano lasciati al naturale eppure sempre definiti
e
dritti. Non riuscii a vedere i suoi occhi, perché portava un
paio di occhiali
da sole che costavano più della sua macchina probabilmente.
E la macchina era
una Jaguar, per intenderci.
‘’Ci rincontriamo’’ riuscii a
dire, solamente. ‘’Buongiorno’’
Non potevo assolutamente permettermi di essere scortese con un cliente,
soprattutto
non con quello che mi avrebbe fatto vincere la causa più
importante della mia
vita. E anche perché ero in ritardo, quindi non ero
giustificabile.
‘’Mi dispiace per il vestito’’
rispose, con una voce monocorde. In effetti,
giusto sul bordo del vestito c’era una macchia scura che
difficilmente sarebbe
andata via. ‘’Non ti ho vista’’
wow, mi aveva dato del tu. Facevamo progressi.
‘’Ah’’ caddi dalle nuvole, come
un’ebete. ‘’Ah bhè, non
preoccuparti. In
ufficio ho dei vestiti di ricambio, posso comodamente togliermelo. E
poi tutti
i miei vestiti sono uguali’’
Sorrise.
In modo tirato, forse anche un poco finto, ma sorrise. E non sapevo
nemmeno
perché, ma mi sembrava una vittoria non solo per lui ma
anche- e soprattutto-
per me. Niall Horan mi sembrava semplicemente irraggiungibile. E
anti-risata,
anche.
‘’Era carino, però’’
aggiunse, e sgranai gli occhi. ‘’Mi dispiace, te lo
ricompro’’
L’aveva detto senza un sorriso, senza una voce gentile e
senza un tono
caritatevole. Ma mi aveva fatto comunque piacere, se non che
perché avevo
scoperto che perlomeno era educato. E anche se sembrava completamente
assente e
completamente apatico, era pur sempre qualcosa.
‘’Assolutamente’’ rifiutai
categorica. ‘’Non preoccuparti, dico sul
serio’’
‘’Dove devi andare?’’ chiese.
Ci misi un po’ a rispondere, più che altro per
analizzare bene il tutto. Me lo stava davvero chiedendo? Allora il
buongiorno
non si vede dal mattino, evidentemente.
‘’In ufficio, ho degli
appuntamenti’’ mi risvegliai dal mio stato di
trance.
Lui si guardò intorno, come se avesse paura di essere spiato
o che saltasse
improvvisamente fuori un fotografo. Ma con gli occhiali da sole e i
vetri neri,
era un poco difficile riconoscerlo. Senza sorridere disse:
‘’Sali, ti do un
passaggio’’
Non ero nella condizione di rifiutare, così obbedii.
‘’Grazie’’ sorrisi, cercando di
essere cordiale. ‘’Sono in clamoroso ritardo,
mi hai salvata’’
Sorrise anche questa volta, molto lievemente, e si concentrò
sulla strada.
Ricordava molto bene dove si trovasse lo studio legale, forse
perché c’era già
stato, tanto che fu anche capace di prendere una scorciatoia che
credevo essere
una delle poche a conoscere.
‘’Dici che si toglie la
macchia?’’ domandò, quando eravamo quasi
arrivati e
sempre stati in silenzio.
Io guardai il mio vestito: non so quanti anni dimostravo, ma a parer
mio ero
davvero troppo giovane per sapere addirittura quello. E poi la maggior
parte
dei miei vestiti li portavo in lavanderia, quindi non ne avevo la
minima idea.
Per esclusione, supponevo di si se si toglievano anche le macchie di
cioccolato.
‘’Mia figlia fa di peggio’’
dissi, cercando di sembrare convincente. ‘’E si
è
sempre tolto tutto’’
Lui sembrò freddarsi per un attimo, prima di tornare
normale. ‘’Hai una
figlia?’’ domandò.
Non mi sopresi perché era la domanda che mi facevano tutti,
da cinque anni a
questa parte, e lui non poteva fare eccezione. Ormai lo prendevo come
un
complimento, forse sembravo una ragazzina del liceo.
‘’Si’’ sorrisi,
involontariamente.
‘’Come si chiama?’’
‘’Penelope, ma la chiamano tutti
Penny’’
Lui annuì, come a dire ‘’va bene, tutto
chiaro’’, e tornò a guardare la strada.
‘’Mi piace il nome Penelope’’
finì di stupirmi. ‘’Se mai dovessi avere
una
figlia, sarebbe uno dei nomi tra cui sarei
indeciso’’
Mi sembrò strana quella confessione, così come il
minuti di ‘’amicizia’’ che
stavamo avendo. Certo, non potevo dire che mi dispiacesse: Niall era un
ragazzo
bellissimo, solo che credevo avesse un carattere un poco diverso. Forse
mi ero
fermata all’apparenza, come sempre, e non avevo scavato
più a fondo. Dopotutto
anche io sembravo un acido avvocato, visto dall’esterno, ma
sapevo farla
qualche battuta.
‘’Io ero indecisa fra Penelope e
Roberta’’ ammisi. ‘’Mia nonna
aveva origini
italiane, mi piacciono tantissimo i nomi
dell’Italia’’
‘’E come mai non hai scelto
Roberta?’’ mancavano pochi minuti e saremo
arrivati, sarei scesa da quell’auto stupenda e
chissà quando l’avrei rivisto.
Ma perché pensavo a quello? Dovevo lavorare, ed ero in
ritardo.
Scrollai le spalle. ‘’Alla mia migliore amica, il
nome Roberta non piaceva’’
confessai. ‘’Siccome non mi sarei mai decisa, la
presi come una spinta e la
chiamai nell’altro modo’’ sorrisi.
‘’Mi sembra giusto’’ espresse
un suo parere. Si fermò davanti alla porta
scorrevole dello studio legale, che si ergeva imponente davanti ai miei
occhi
con le pareti di vetro. Io sospirai e presi la borsa.
‘’Ti ringrazio tantissimo,
Niall’’ dissi, sorridendo. ‘’Mi
hai salvata
letteralmente’’
‘’Figurati’’ disse, sterile.
Io aprii la portiera e feci per scendere, quando qualcosa-
probabilmente la mia
curiosità- mi bloccò. Tornai a guardarlo, e
cercai di non imbarazzarmi. ‘’Hai
detto che Penelope è uno dei nomi che ti piacerebbe dare a
tua figlia. Quali
sono gli altri?’’
Lui non rispose subito, e temei non volesse farlo.
D’altronde, conoscendolo
anche se non bene, me lo sarei potuta tranquillamente aspettare. Non mi
guardò
in faccia, quando aprì la bocca.
‘’Miriam’’ disse,
semplicemente. ‘’Miriam mi
piacerebbe’’
‘’E’ bello’’ annuii.
‘’Già’’ rimise in
moto. ‘’E’ bello’’
Credo
che più in ritardo di così non potrei essere, ma
capitemi
il concerto del 28 mi ha UCCISA!
Dovete credermi, Niall è così perfetto da vicino
che mi sono resa conto di non
rendergli per niente giustizia nelle ff. diciamo che ero in crisi lol
Fortunatamente, sono riuscita a scrivere qualcosa.
Allora: ZAZANNN ecco a voi Harry! chi ha letto
‘’angels among us’’
saprà che è
una specie di protagonista della storia, insieme a Lydia. Per chi non
lo sa, ma
si scoprirà comunque, Lydia è la sorella di
Ria\Miriam ahahahah <3
Spero che vi sia piaciuto anche l’incontro fra Niall e Cara,
in cui il biondino
si comporta un pochino meglio perché, alla fine, non sarebbe
capace di essere
TROPPO scortese c:
E niente, fatemi sapere vi prego. Ultimamente ho bisogno di voi!
Harryette
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Capitolo 5 *** Chapter 4. ***
356 4
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Capitolo 4.
''Non contare sul tuo cuore
quando il mio sia spento
tu me lo
donasti per non averlo mai più indietro''
Harry's pov
Mi
alzai dal letto con un terribile mal di testa, post-sbornia, che non si
sarebbe tolto nè tanto presto e nemmeno tanto facilmente.
Non mi sarei alzato molto presto probabilmente, dopo
l'uscita del nostro terzo album e il nostro tour estenuante potevamo
permetterci una vacanza. Me ne sarei andato volentieri alle Bahamas, o
anche in Congo pur di non ritornare a Londra, ma mia sorella e mio
padre mi avevano supplicato. Non ero mai stato capace di dirgli di no,
sfortunatamente.
E qualcuno aveva preso a suonare in modo ossessivo fuori la porta del
mio attico nel centro di Londra, tanto bello quanto grande e costoso.
Mi alzai e per poco non rischiai di sbattere a terra per un terribile
giramento di testa. Maledetta Gemma che ogni mattina veniva a trovarmi
e vedere come stessi, ma perchè non usciva con il suo
fidanzato secolare?
Quando riuscii ad avvicinarmi alla porta erano già passati
cinque minuti buoni, ma non ci avrebbe fatto caso. Mi sarei sorbito la
sua sgridata stile ''sono-la-sostituta-di-tua-mamma'' senza fiatare, e
poi se ne sarebbe andata da papà per aiutarlo a cucinare.
Non sarebbe stato poi tanto traumatico, anche se sentivo i miei neuroni
esplodere uno dopo l'altro.
Aprii la porta, borbottando un ''per lo meno vieni alle undici
anzicchè alle nove, Gemma'' ma mi bloccai prima di
insultarla come mio solito. Non era Gemma quella che mi ritrovavo
davanti.
I suoi capelli erano ancora rossicci proprio come li ricordavo, e i
suoi occhi verdi tanto quanto i miei mi scrutavano curiosi. Aveva
coperto le ossa di pelle, finalmente, ed il suo volto era
più rilassato di come l'avevo lasciato un anno prima.
Lydia si grattò il capo imbarazzata, ed accennò
uno dei suoi sorrisi di circostanza. Avrei voluto perlomeno farmi
trovare in uno stato più decente, chissà a cosa
stava pensando. Avevo un semplice pantalone della tuta grigio, e il
petto nudo. I capelli non li avevo neanche visti, ed era stato meglio
così. ''Ehm'' balbettò. ''Avrei dovuto chiamarti
prima di venire qui, ma hai cambiato numero. Se sei...impegnato, torno
un altro giorno'' ed indietreggiò.
Indossava un semplice jeans chiaro ed un pò sfilacciato, ed
una camicia rosa che non le avevo mai visto prima. I capelli sciolti e
mossi le ricadevano morbidi sulle spalle, ed in quel momento avrei solo
voluto baciarla perchè mi era mancata come l'aria.
Più dell'aria.
''No'' la fermai con la mia voce roca. ''No, Lydia. Ti prego, entra''
Lei mi guardò attentamente negli occhi, come non aveva avuto
il coraggio di fare prima, e sorrise lievemente mentre le aprivo
completamente la porta. Quando entrò in casa mia per la
prima volta, mi venne quasi da urlare.
Per 365 lunghi giorni avevo desiderato vederla, toccarla, sorriderle,
ma non era stato possibile. Mi ero ripromesso di non cercarla,
perchè lei aveva scelto di stare con quel Federico in
Germania e io non glielo avrei impedito. Avevo cambiato numero,
cambiato casa, e cercato di cambiare vita ed andare avanti.
Ma Lydia Martin era tornata, e non sapevo neanche perchè.
''Vuoi qualcosa?'' le domandai, facendole spazio nel grande salone
arredato in stile moderno. ''Puoi sederti'' le indicai il divano di
pelle bianca, ma lei tornò a guardarmi insistentemente.
''No, grazie'' disse, torturandosi una ciocca di capelli. ''Non voglio
niente''
''Allora...?'' introdussi l'argomento, cercando di capire
perchè mi avesse cercato dopo un anno e come avesse fatto a
scoprire dove abitassi. Non che mi dispiacesse averla lì, ma
mi sembrava troppo irreale e avevo bisogno di una semplice certezza.
''Mi ha chiamata Liam'' disse, come se mi avesse letto nel pensiero.
''Ieri sera mi ha mandato un messaggio chiedendomi di richiamarlo
appena possibile e l'ho fatto subito, anche se erano le tre di notte''
Io mi passai le mani sul volto con fare disperato. Non era possibile,
anche se era da Liam. Come si era permesso di chiamarla? Di
intromettersi in quel modo nella mia vita? Per di più,
ricordavo di averlo incontrato la sera precedente ma ero troppo ubriaco
per ricordare altro.
''Lo sapevo'' sbuffai. ''Cosa ti ha detto?''
Non negavo a me stesso che un pò ero deluso: se non fosse
stato per la pietosa chiamata di Liam, probabilmente Lydia non sarebbe
mai tornata e avrebbe continuato a fare la tedesca felice per
chissà quanto altro tempo. Provai un moto di rabbia.
''La verità'' replicò, con voce quasi piccata.
Stava per farmi una morale? ''E poi leggo i giornali anche a Dublino,
eh. Solo che non volevo crederci, pensavo fossero le solite stronzate
giornalistiche''
''Indovina un pò?'' ironizzai, apatico e sadonico. ''E' la
verità. Ma che cosa interessa a te, scusa?''
''A me interessa come stai'' replicò, offesa. ''E se davvero
non stai bene allora...''
''Ma davvero me lo stai dicendo?'' ringhiai. ''Dopo che te ne sei
andata, pur sapendo che stavo male?''
''Stavo male anche io!'' urlò, camminando avanti ed indietro
sul parquet. ''Stavo male anche io'' ripetè più
lentamente. ''Non avrei mai potuto aiutarti, e tu non avresti mai
potuto aiutare me. Io avevo bisogno di aiuto, e anche tu. Questo lo
capisci?''
Mi avvicinai a lei e le presi le spalle, avvicinandola di
più a me. Il suo profumo era sempre lo stesso, di viole e di
pulito, e la sua pelle era morbita proprio come la ricordavo. ''Io
avevo bisogno di te'' dissi, a denti stretti. ''Ho sempre avuto bisogno
di te''
Lydia sgranò gli occhi, silenziosa ed immobile, ma non si
scansò. ''Harry...'' sussurrò. ''Anche io,
credimi. Ma se fossi rimasta ci saremo distrutti a vicenda. Io ho perso
mia sorella, tu tua madre. Non ce l'avremmo mai fatta, e questo lo sai''
La lasciai e mi separai da lei, anche se fu più doloroso del
previsto e del lecito.
''E quindi'' iniziai. ''Che cosa sei venuta a fare?'' e suonai anche
acido, probabilmente.
''Io volevo solo parlarti'' disse, allibita. ''Se per un attimo
smettessi di comportarti come se fossi l'unico ad aver sofferto in
questa storia, potremmo farlo senza urlare''
Quello fu davvero troppo. Mi voltai furioso. ''Se c'è
qualcuno che fa la vittima, di sicuro non sono io'' sputai. ''Io non
sono scappato, e non ho lasciato i miei genitori ad aver a che fare con
una perdita immensa. Io non me ne sono andato con qualcuno che non amo
solo per codardia''
E che avevo esagerato lo capii dal suo sguardo, che si fece sempre
più vispo e tenebroso. Lydia non perdeva molto spesso la
pazienza, cercava sempre di essere calma e caritatevole, ma adesso era
un uragano.
''Non ti permettere mai più'' replicò, monocorde.
''Non permetterti mai più di tirare in ballo i miei genitori
e di rinfacciarmi la mia partenza, nè di coinvolgere
Federico, okay?''
Prese la borsa giallo pastello che aveva lasciato sul mio divano, e si
diresse verso l'uscita.
''Stai scappando di nuovo'' urlai.
''Vaffanculo Harry''
Cara's pov
''Josh'' urlai, in
preda alla disperazione. ''Hai visto la mia camicia di Louis Vuitton?''
''Perchè dovrei aver preso quella camicia orribile?''
piombò nella mia stanza, mentre si grattava da tutte le
parti manco fosse invaso da pulci. ''E poi il nome Louis manco mi
piace''
''Ma che problemi hai?'' domandai, sbuffando.
La mia sfilza di insulti sarebbe andata avanti per molto, se Penelope
non fosse piombata nella mia camera con Teddy- il suo peluche
preferito- fra le braccia e anche abbastanza imbronciata.
''Penny'' esclamai, andandole incontro. ''Che succede? Non riesci a
dormire?''
Lei scosse la testa e vidi il suo labbro inferiore tremare, segno che
stava per piangere. ''Oggi Lucie mi ha presa in giro''
tremolò.
''Chi è 'sta stronza?'' ringhiò Josh. Gli tirai
dietro una mia maglia.
''Non ascoltare lo zio'' dissi. ''Che cosa ti ha detto la tua amica?''
''Che io non ho un papà'' abbassò lo sguardo,
disperata e piangente. ''Perchè non ho un papà?''
mi domandò, con due occhioni neri e lucidi che mi fecero
aggrovigliare l'intestino.
''Ma questra tro...'' interruppi Josh appena in tempo, cacciandolo
fuori. ''Conversazioni fra donne'' mi giustificai e, a malincuore, lui
lasciò la stanza. Mi sedei sul letto e feci segno a Penelope
di avvicinarsi, facendola sedere accanto a me e passandole una mano
delicata sui capelli scuri come i miei.
''Penny, è vero'' dissi. ''Non hai un papà.
Quando sarai un pò più grande ti
spiegherò il perchè, te lo prometto.
Però ti dico una cosa: io sono cresciuta con tutti e due i
genitori ma sai come mi sentivo?'' le chiesi.
''Come?''
''Sola. Ho passato i primi quindici anni della mia vita a sentirmi
sola, perchè i tuoi nonni non erano esattamente delle
persone...semplici. Quando ho scoperto di aspettare te, mi sono sentita
meno persa'' sorrisi. ''E mi dispiace che tu non abbia un padre,
tesoro, ma ti prometto che farò il possibile per cercare di
essere entrambi e per non farti sentire mai sola. Va bene?''
Penelope aveva smesso di piangere e adesso stava sorridendo. Mi
ricordava tanto la quiete dopo la tempesta, e non avrei potuto mai
chiedere niente di meglio. Mi saltò addosso poco finemente e
mi abbracciò fortissimo.
''Hai ragione'' mi disse. ''Grazie mamma''
Penelope aveva cinque anni, ma era sempre stata una bambina
estremamente intelligente. Ringraziai il Cielo che avesse capito, e
sperai che non si sentisse più così male e che a
quella Lucie le si mozzasse la lingua. Anche io, spesso, mi facevo
prendere dallo sconforto e dal fatto che stavo crescendo una bambina da
sola, e sarebbe stato sempre così. Mi avrebbe fatto piacere
avere qualcuno che mi aspettasse nel letto la sera e alla quale avrei
potuto raccontare tutta la mia giornata senza che sbuffasse. Mi avrebbe
fatto piacere avere qualcuno da amare e con cui fare l'amore, nel modo
più totalizzante possibile. Mi sarebbe piaciuto poter
contare su qualcuno quando c'era da fare il pieno all'auto, o da
cambiare la bombola, oppure quando c'era bisogno di scendere nel
seminterrato per attaccare la corrente.
Ma la vita non va mai come la si programma, e quello era un dato di
fatto.
Mi misi in quel letto tanto grande quanto freddo, ripetendomi di
prendere sonno anche se non avevo trovato la camicetta che avrei voltuo
indossare il giorno seguente a lavoro.
E Penelope mi faceva sentire meno sola, l'aveva sempre fatto, ma ero
sola lo stesso e la sera era impossibile non sentirlo.
°°°
Niall era nel mio studio insieme a quello che doveva essere Zayn Malik,
dalle foto che mi faceva vedere mia figlia in continuazione, ed io
rimasi abbastanza sopresa.
Per la prima volta da quando avevo a che fare con la loro causa ero
arrivata in orario, addirittura in anticipo, e rischiavo di avereun
infarto mattutino. Zayn era molto più bello dal vivo che in
foto, questo era da ammettere, e anche molto più magro.
Indossava una polo bianca con un logo e i jeans neri a cavallo basso, e
mentre si passava una mano fra i capelli mi salutò.
''Buongiorno Cara'' disse, evidentemente conosceva il mio nome.
''Buongiorno'' gli sorrisi, stringendogli la mano.
E poi guardai Niall. I capelli ancora più biondi del solito,
forse per il sole, e gli occhi finalmente scoperti. Un azzurro
così...azzurro, che mi lasciò interdetta per un
nanosecondo. Indossava una canotta bianca ed una camicia blu sopra, i
jeans neri e strappati ed aveva un iphone in mano. Quando mi vide non
sorrise, ma in compenso mi tese la mano, che strinsi volentieri e con
forza.
''Ciao Niall'' gli dissi, in tono palesemente più
confidenziale.
''Ciao'' rispose lui.
A fatica mi allontanai e mi sedei dietro la mia scrivania, facendogli
segno di accomodarsi come fecero poco dopo. ''Come mai non è
venuto Paul?'' domandai, curiosa, mentre rovistavo fra le mie carte
alla ricerca di quella che mi serviva.
''Ha avuto un imprevisto familiare'' sorrise Zayn. ''Siamo venuti noi,
dopo averlo convinto''
''Immagino'' sogghignai. Paul Higgins mi sembrava un tipo abbastanza
autoritario.
''In verità siamo stati due ore a convincerlo, ma sono
dettagli'' continuò il moro.
''Dipende dalla sua definizione della parola 'dettaglio', Zayn'' gli
sorrisi sinceramente, mentre tiravo fuori dalla mia cartellina i
documenti che mi servivano. Lui ricambiò il mio sorriso, e
lo trovai ancora più affascinante.
''Chi è?'' mi domandò, indicando la mia foto
incorniciata. Mi sorpresi del suo essere così estroverso e
diretto, ma non mi dispiacque per niente. Non sembrava così,
visto dall'esterno, ma era il primo che mi stava trattando come una sua
pari. Senza credersi uno scalino più avanti degli altri, e
senza desiderare corone di allori sul capo.
''Mia figlia'' risposi. ''E io, ovviamente''
''Identiche'' disse, ed io ne fui lusingata. Mi faceva sempre un certo
effetto sentirlo, perchè rendeva più reale il
fatto che Penelope fosse realmente mia figlia. ''Quanti anni ha?''
''Cinque fra pochissimo''
''Possiamo iniziare?'' era stato Niall a parlare, che era rimasto zitto
per tutto il tempo. Io annuii ed iniziai a parlare senza sosta della
legge e di regole che credevo neanche capissero, ma era sempre meglio
non rischiare.
''In conclusione?'' chiese di nuovo il biondo, guardandomi confuso. Mi
venne quasi da ridere.
''In conclusione abbiamo ottime probabilità di vincere, ma
non dovete dire niente di sbagliato ai giornalisti'' risposi. ''A
qualsiasi intervista vi invitino, fatevi dare prima le domande e dite
quello che vi dico io''
Sbuffarono entrambi. Evidentemente sparare cose a caso durante
interviste mondiali li divertiva parecchio.
Fine dei giochi.
°°°
Si alzarono all'unisono quando scattarono le undici e mezza e
finì il mio colloquio con loro.
Era stato più semplice di quanto avessi pensato, con Zayn
che pensava a smorzare la tensione che Niall creava di tanto in tanto.
C'era qualcosa nel biondo che non mi era chiaro, e probabilmente non lo
sarebbe stato mai.
Presi la mano ad entrambi, accompagnandoli alla porta.
''C'è la mia assistente, Caroline, fuori'' spiegai. ''Nel
caso vi perdeste nell'edificio''
''Abbiamo il tuo numero'' disse Zayn, sottolineando l'ovvio. Glielo
avevo dato quello stesso giorno per tenerci in contatto, pregandoli di
darlo anche a tutti gli altri. Non sempre ero in studio, e le cose
urgenti non potevano di certo aspettare. ''Ti chiamiamo e ci fai da
Cicerone''
Era incredibile come fosse già passato al tu, mi sentii
fuori luogo.
''Meglio Caroline, credetemi'' ironizzai.
E mentre stavano per andarsene, Niall leggermente più
ricurvo, Zayn si voltò verso di me una seconda volta.
''Cara'' disse. ''Stasera vieni a casa nostra alle sette e mezza''
''Come?'' domandai allibita, nello stesso momento in cui lo
domandò anche Niall.
''Così spieghi tutto a Paul e ai ragazzi. Noi siamo negati''
Ed uscirono veloci come erano entrati, ma non prima che Niall mi
scambiasse una fugace occhiata.
Sembrava distrutto.
_______________________________________________________________________
No vabbè so benissimo di essere in super ritardo e, tra
l'altro, me ne esco con
questo
capitolo di merda e assolutamente di passaggio :c mi dispiace.
Vi
prometto che il prossimo arriverà prestissimo, e
sarà l'inizio ufficiale di questa storia.
Tenetevi
pronte ahahhahahaha
Non
c'è molto da chiarire, a parte il fatto che Cara si sente
sola ed è anche comprensibile a 25 anni credo.
Non
date nulla per scontato, per favore, soprattutto riguardo a Zayn.
Niente
è come sembra c:
Ora
taglio corto perchè DEVO aggiornare ahahahhahaha
Grazie
delle belle recensioni precedenti, non ho risposto ma le ho lette TUTTE
e VI AMO.
harryette
|
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Capitolo 6 *** Chapter 5. ***
Capitolo
5
''Pensate che quello che accade
è quanto di meglio può accadere
perchè
diretto da una mano invisibile''
In quella villa
immensa, avevo parlato di tutto fuorchè di lavoro.
Probabilmente mi stavo terribilmente sbagliando, stavo commettendo un
errore madornale. Avrei dovuto essere professionale, composta, e di
sicuro non lo sarei stata se avessi continuato a ridere e scherzare con
Zayn e quello che doveva essere Louis e a bere birra- senza dubbio di
ottima qualità- mentre mi scompisciavo dalle risate. No, non
era per niente un atteggiamento opportuno.
Eppure non riuscivo a fermarmi, come se la me venticinquenne- quella
che non si era divertita granchè nel corso della sua vita-
avesse preso il sopravvento sulla mamma-avvocato impegnata con la sua
vita frenetica e confusionaria. E sapevo anche perchè.
Perchè certe volte, soprattutto quando avevo la visuale
sulla vita di persone della mia stessa età, mi rendevo conto
che ero troppo
giovane. Per quanto mi facesse sentire schifosamente in colpa quel
pensiero, sapevo che non ero troppo giovane solo per avere una figlia
di cinque anni, ma anche troppo giovane per sentirmi sola e per sentire
il peso di una famiglia sulle spalle. Troppo giovane per avere il
pensiero delle bollette, dell'acqua reflue, dell'immondizia, delle rate
della macchina e della retta dell'asilo e della danza. Troppo giovane
per avere un lavoro come unica priorità dopo una figlia, e
troppo giovane per sentirsi vecchia.
Per sentirsi donna vissuta.
Non avevo vissuto proprio un bel niente, e ne ero inconsciamente
consapevole.
Per la prima volta dopo tanto tempo mi ero sentita una semplice ragazza
di venticinque anni, con un lavoro e una figlia di certo, ma libera e
serena. E la risata di Louis era contagiosa nello stesso modo
in cui il cipiglio di Zayn era tremendamente adorabile. Accanto a Louis
c'era una ragazza alta e mora, pareva quasi una fotomodella, che si era
presentata come Mia, la sua ragazza. Eravamo nella loro
enorme cucina, di Paul nemmeno l'ombra, mentre ridavamo per le battute
squallide di Louis e per gli scappellotti che di tanto in tanto gli
rifilava Mia. Niall era restato con noi per la prima oretta, avevo
l'impressione che fosse solo per educazione, e poi aveva detto che
doveva andare in bagno e non si era più fatto vedere.
Quando si fecero ormai le otto e mezza di sera, di malavoglia, decretai
che forse era arrivato il momento di andare via. Josh e Penny mi
stavano sicuramente aspettando, e l'ultima cosa che avrei voluto era
farli preoccupare e scatenare la loro curiosità.
E stavo per alzarmi e salutare tutti, quando Zayn mi sorrise e mi disse
''Ti vedi con qualcuno, tu?'' ricollegandosi ai pettegolezzi che
stavamo facendo poco prima su alcune star a me sconosciute.
Mi sentii avvampare.
''No'' annunciai, con più calma possibile. ''Non ne avrei
neanche il tempo materiale'' cercai di buttarla sul ridere. Zayn
sogghignò.
''Niall mi aveva detto che avevi una figlia'' aggiunse, confuso. Mi
sentii leggermente in imbarazzo, perchè quello non era di
certo uno dei miei argomenti preferiti. Per niente, in
verità. Avevo preferito non parlarne per cinque anni, e le
cose non sarebbero cambiate solo perchè me lo stava
chiedendo Zayn Malik.
''Non sto insieme al padre di Penelope'' dissi.
E quando gli sguardi dei tre diventarono improvvisamente curiosi, senza
malizia alcuna ma pieni di curiosità, mi alzai e corsi in
bagno. Non sapevo neanche dove fosse, in realtà, ed imboccai
il primo corridoio solo per allontanarmi dai loro occhi. Non che
fossero stati maleducati o altro, semplicemente l'argomento ''padre di
Penny'' era ancora un tabù per me.
Mi ritrovai in un corridoio identico a quello da cui ero entrata, con
le pareti giallo ocra e vari quadri appesi su di esso. L'aria profumava
di viole, ed infondo c'era una grande finestra che lasciava filtrare
gli ultimi raggi di sole. Sistemai meglio la mia camicetta rosa e
cercai il bagno, osservando tutte le porte di legno che sorgevano ai
miei lati come funghi. Quando mi decisi ad aprire una porta a caso,
giusto per sperare fosse il bagno ed affidarmi al destino, una voce
alle mie spalle mi bloccò.
''Cara'' mi chiamò, come se fossimo stati amici da una vita.
Mi voltai e lo vidi: Niall Horan, con una camicia bianca e dei semplici
jeans neri e sfilacciati, mentre mi guardava con uno sguardo che era un
misto fra curioso e scosso. Aveva gli occhi lucidi, potevo giurarlo,
forse aveva appena pianto. Nelle mani stringeva il suo iphone, come se
fosse la sua ancora e la sua ultima speranza, e si limitava ad
osservarmi torvo. Io, che mi sentivo a disagio nei miei pantaloni di
jeans e nella mia camicia così casual per qualche strano
motivo, presi a torturarmi una ciocca di capelli neri. Per qualche
assurdo motivo mi sentivo in soggezione. Di nuovo.
Il modo in cui mi aveva chiamata, in cui aveva pronunciato il mio nome,
non mi faceva sentire meglio perchè mi sembrava- per la
prima volta- il nome più bello del mondo. E la voce di Niall
aveva tremato leggermente, questo avevo potuto notarlo ed appurarlo, e
mi chiedevo perchè stesse soffrendo così tanto.
Se fosse per la ragazza della foto, per quella collana a
metà, e per quell' era
che continuava a ronzarmi nella testa. E mi chiesi perchè mi
sentissi tradita.
''Niall'' trovai la forza di dire, mentre lasciavo il pomello della
porta e mi rendevo conto che non l'avrei mai aperta davanti a lui.
''Cercavo il bagno'' mi sentivo in continuazione in dovere di
giustificarmi, con quel ragazzo, e la cosa non era rassicurante.
''Non è quello'' indicò la porta che avevo
intenzione di aprire. ''E' in fondo al corridoio, a destra''
''Va bene'' annuii, cercando di sembrare sicura di me come sempre.
''Allora...vado. Grazie''
Voltai le spalle, decisa a tacere e a non aggiungere più
niente anche se avevo ancora voglia di parlare con lui per qualche
strano motivo, e feci per andarmene.
Mi bloccò di nuovo.
''Come stai?'' chiese. Ed una domanda così semplice,
così immediata, riuscì a colpirmi in pieno.
Perchè mi sentivo come se Niall mi avesse aperto almeno una
delle porte che conducevano al suo mondo, e non potei far altro che
sorridere e tornare a guardarlo.
''Abbastanza bene'' sorrisi ancora. ''Me la cavo. Tu?''
Non rispose, e questa probabilmente sarebbe stata la cosa che
più mi avrebbe stupito se non fosse per il fatto che si
fosse avvicinato a me. Di molto, anche. Adesso riuscivo a sentire il
suo profumo, delicato e speziato come avevo immaginato fosse, e potevo
sentire tutti i miei muscoli contrarsi per quella vicinanza
inaspettata. Non credevo di essergli tanto simpatica, ma evidentemente
mi sbagliavo.
Aspettai pazientemente una risposta alla mia domanda. Risposta che non
arrivò e, ad un certo punto, neanche mi importò
più di tanto. Niall aveva annullato i centimetri che ci
dividevano e mi aveva stretta fra il muro freddo e il suo corpo- che
sembrava ancora più gelido. Sentivo il suo fiato sul mio
collo e fra i miei capelli, e non ero capace di muovermi. E proprio
quando stavo per parlare, per dire qualunque cosa, lui mi
baciò.
Così, senza un valido motivo e senza una spiegazione, si
avvicinò alle mie labbra e le strinse fra le sue.
Inizialmente non ero sicura se lasciar entrare nella mia bocca la sua
lingua, che tanto spingeva, ma dopo pochi secondi mi arresi. Era come
se non avessi più il controllo del mio corpo, come se lui mi
avesse come creta fra le mani e come se la mia testa fosse offuscata e
incapace di pensare da sola.
Lasciai, quindi, libero accesso alla sua lingua morbida fra le mie
labbra e mi lasciai cullare da quel bacio che di dolce aveva ben poco.
Era quasi rabbioso, quasi piangente, anche mentre Niall portava le sue
mani sui miei fianchi e li stringeva violentemente. Non riuscivo
neanche più a respirare, tanto eravamo vicini e tanto lui
fosse famelico. Mi domandai perchè, non che mi dispiacesse.
Poi, improvvisamente, mi lasciò e si allontanò di
qualche centimetro. Si ripulì le labbra con il dorso della
mano, e cercai di non pensare al fatto che quel gesto mi aveva dato un
pò fastidio e fatto anche un pò di male.
Spalancò gli occhi, quasi come se si fosse reso conto troppo
tardi di ciò che aveva fatto.
''Niall...'' sussurrai. ''Perchè?''
E volevo davvero saperlo. Perchè?
Lui si passò le mani nei capelli, quasi con fare disperato e
solenne, e mi diede le spalle prendendo ad osservare il pavimento.
Sospirò, e quei secondi mi parvero quasi infiniti. Perchè non parli?
'' Niente''
disse, con autocommiserazione. ''Come diavolo è possibile
che non senta più niente?''
Mi sentii quasi male, ma non per le parole di Niall. Lo conoscevo
appena, nonostante mi avessero fatta un pò dispiacere, non
potevo di certo strapparmi i capelli dalla radice perchè il
nostro bacio non l'aveva scosso come avrebbe dovuto. Io non dovevo
niente a lui e lui, ovviamente, non doveva niente a me. Mi sentii male
più che altro per il tono monocorde della sua voce, per
l'apatia che traboccava dalle sue vocali e per il dolore che era
palpabile anche attraverso una singola sillaba. Non avevo seguito i
loro concerti, non avevo letto notizie su di loro e avevo visto a
stento due interviste- giusto per documentarmi, dovendo lavorare con
loro-. Non mi era parso mai così addolorato, eppure doveva
essere un sentimento abbastanza antico per poter essere così
forte e così visibile. Improvvisamente mi domandai come
avessi fatto, e come facessero le fans in generale, a non notare gli
occhi tristi di Niall Horan.
''C-come?'' balbettai, imbarazzata. Già mi sentivo un
incomodo quando parlavamo normalmente, figurarsi quando mi aveva appena
baciato. Sminuendo il tutto, tra l'altro, per quanto la parola
''tutto'' potesse significare. Io, dal canto mio, non potevo
di certo dire di essere stata indifferente di fronte quel bacio: era
palese che mi fosse piaciuto, per quanto fosse immaturo e ridicolo. Era
da un sacco di tempo che non mi concedevo la libertà di
baciare qualcuno, o perlomeno qualcuno a cui fossi interessata. Era
inutile continuare a circumnavigare il problema e far finta
che Niall Horan fosse solamente un trampolino di lancio per il lavoro.
Era ancora più immaturo e stupido che dare importanza ad un
bacio che, evidentemente, non era contato nulla. Niall non mi era
indifferente, punto. Tante cose non mi erano indifferenti, non era
certo un dramma. Giusto? E poi, più lo guardavo negli occhi
vitrei e più mi convincevo che, con quello stupido
sentimento, non sarei andata da nessuna parte. Forse direttamente in
faccia ad un muro, o ad un palo, e avevo la netta sensazione che non
sarebbe statò nè divertente nè
tantomeno piacevole. Era meglio abbandonare subito tutte le speranze e
tutte le aspettative.
Smettila di comportarti
come una bambina, Cara.
Lui mi osservò a lungo, quasi consumandomi e io iniziai ad
irritarmi. Prima faceva il loquace, poi mi baciava, poi mi respingeva
dicendo che non aveva sentito niente- quasi come fosse stata colpa mia,
poi-, ed infine piombava nel silenzio e non diceva niente? Ma per chi
mi aveva presa?
''Mi parli, per favore?'' lo incitai, cercando di regolare il mio
tassametro di stizza, che non voleva saperne di smettere di crescere.
''Non puoi...comportarti così, e poi non parlare''
Lui, invece, non sembrò affatto scosso dalle mie parole. Se
ne stava ancora lì, immobile davanti a me, e mi osservava
sconvolto o quasi. Qualcosa di molto vicino, comunque. I capelli biondi
scompigliati iniziarono ad assumere una tonalità
più aranciata, per via della luce del tramonto che faceva
capolino attraverso il vetro della finestra del corridoio. Io sospirai,
stanca, e decisi di girare i tacchi ed andarmene.
Ero rimasta in quella casa fin troppo tempo.
Lo superai, dandogli per sbaglio una spallata (casualmente, giuro),
quando mi sentii bloccare per un polso. Niall me lo aveva afferrato
convulsamente, mentre eravamo spalla a spalla e mentre stavo per
lasciarlo solo. Anche se avevo come l'impressione che lui, in quella
stanza, non ci fosse mai stato. Anche mentre mi baciava avevo sentito
qualcosa di sbagliato, come se stesse quasi per scoppiare a piangere.
Ma perchè?
Perchè cazzo stai così?
''Aspetta'' disse, e quasi ringraziai Dio perchè-
finalmente- aveva parlato.
Io mi divincolai, più per orgoglio che per altro, e tornai a
guardarlo in faccia- fronteggiandolo. La sua espressione era
leggermente cambiata, questo potevo notarlo anche io che non le
conoscevo tutte (e avevo l'impressione fossero molte), adesso era meno
insensibile e più...malinconica? Era possibile?
''Che cosa c'è?'' domandai, a fatica, consumata dal suo
sguardo ambiguo e scavatore.
Lui si passò due mani sul volto e poi attraverso i capelli
sottili, con fare disperato, e prese a camminare a piccoli passi avanti
ed indietro per il corridoio. Potevo sentire la sua agitazione, l'ansia
era palpabile e si tagliava con un coltello. Io decisi che fosse stato
meglio stare in silenzio ed aspettare fosse lui il primo a parlare, dal
momento che mi aveva bloccata dall'andarmene e che, quindi, si
presupponeva volesse farlo. Non lo conoscevo ancora bene, ma avevo
capito che quando aveva intenzione di dire una cosa la diceva, e
viceversa taceva. Speravo per la prima, in muto silenzio stampa.
Il mio avvocato interiore scalciava per un'arringa con i fiocchi, ma lo
tenni incatenato con le catene affidandomi alla parte ragazza di me. La
parte della Cara Archibald che preferivo di meno, ma che agli altri
faceva più bene.
''Avete lo stesso profumo'' disse, quasi in sussurro, tanto che temei
non avessi sentito bene.
''Io e chi?'' chiesi, cauta.
''Mi manca''
Lo sapevo benissimo che quella non era la risposta alla domanda che
avevo fatto, ma poco mi importava. Si stava aprendo. Niall Horan si
stava aprendo con me,
al diavolo tutto il resto. Tutto quello che volevo era capire
perchè stesse così male, e se avessi potuto fare
qualcosa per aiutarlo. Per questi motivi, tacqui ed aspettai fossie lui
a parlare. Ancora.
''Ogni cristo di giorno'' ringhiò quasi. ''Mi sveglio e mi
manca. Mangio e mi manca. Canto e mi manca. Riposo e mi manca. Esco e
mi manca. Vado a dormire e mi manca. Mi sveglio la mattina dopo, dopo
averla sognata, e mi manca
ancora di più. E' possibile?''
Avevo l'impressione che fosse una domanda retorica, così mi
trattenni dal rispondere. Rimettendo insieme i pezzi e i cocci di quel
che sapevo della sua storia, ero arrivata alla conclusione che- molto
probabilmente, quasi sicuramente- si stesse riferendo alla sua
fidanzata. Quell' era
tornò a rimbombarmi nella mente.
''A volte'' sospirò, senza smettere di consumare il
pavimento e di torturarsi i capelli. ''A volte ho paura che arrivi il
giorno in cui la sua mancanza sarà così forte da
uccidermi'' sputò quasi con rabbia. Sembrava quasi si fosse
arreso al fatto che non potesse non sentire un pezzo di lui mancante,
che non potesse vivere una vita dove lei non gli bruciava la pelle, e
che - quindi - avesse perso ogni forma di speranza e fiducia nel
futuro.
''A volte vorrei solo morire'' aggiunse, dopo una pausa. Io rabbividii
per la freddezza delle sue parole, che mi colpirono come lame. Avrei
davvero voluto dire qualcosa, ma le parole mi morirono in gola e
rimasero bloccate nella mia trachea, piene di brina. Non c'era niente
di opportuno o confortante che avessi potuto dirgli, purtroppo. E il
non sapere perchè diavolo lo stesse dicendo proprio a me,
con due dei suoi migliori amici e una sua cara amica di là,
non faceva altro che rendermi le cose ancora più complicate
di quanto già non fossero.
Avrei tanto voluto aiutarlo.
Mi avvicinai a lui, ma Niall indietreggiò quasi avesse paura
di quel che avessi potuto fare. Mi immobilizzai, di nuovo, in silenzio.
''Lei non vorrebbe che tu morissi'' non mi trattenni più dal
dire. Nessuna persona che ne ama un'altra vorrebbe che quest'ultima
morisse, soprattutto non per lei.
Lui mi guardò stralunato, negli occhi il nulla e le braccia
bloccate lungo i fianchi magri. Era come se non si fosse aspettato una
mia risposta, o perlomeno non una risposta così, e
pronunciata con così tanta sicurezza. La verità
era che ''sicura'' era l'ultimo aggettivo con la quale avrei potuto
descrivermi, ma ero abituata ad esternare sicurezza e spavalderia in
tribunale e con i miei clienti ed era ovvio, ormai, che non riuscissi
più a separare la vita privata da quella lavorativa.
Riuscivo a risultare certa anche quando non lo ero, a volte era un bene
altre volte no.
Spesso la gente sicura viene reputata strana o, peggio, egocentrica.
''Che ne sai tu di cosa avrebbe voluto Ria?''
Quindi era quello, il suo nome. Non ero neanche sicura di non averlo
sentito prima, forse me l'aveva anche già detto, ma la mia
testa era un turbine di informazioni e alcune sfuggivano via come piume
nel vento. Mi avvicinai di nuovo a lui, osando, e stavolta Niall non si
allontanò.
''Non lo so, infatti'' scrollai le spalle. ''Ma nessuno vorrebbe che
qualcun altro morisse a causa sua, non trovi?''
Lui non rispose e continuò a parlare. ''Ci sono momenti in
cui mi sento meglio, quasi bene. Durano così poco che
neanche ricordo che si prova a respirare, ma ci sono e sono l'unico
motivo che mi spinge ad andare avanti. Quei minuti in cui, per qualche
arcana ragione, mi scordo di lei e mi sembra di essere ritornato il
Niall Horan di due anni fa. Mi manca anche quel ragazzo, sembra sia
morto con lei e fa male sentirsi incompleti''
''Lo so'' annuii, sicura, avvicinandomi un altro poco. Riuscivo a
sentire di nuovo il suo profumo. ''Lo so che fa male. Ma il dolore ci
fa sentire vivi, Niall. E tu sei vivo, va bene? Sei vivo''
Mi guardò come se avessi detto qualcosa di sacro, e
sgranò gli occhi chiari. Ancora una volta, mi avvicinai di
più a lui e non si mosse di un millimetro. Mi sarebbe
bastato allungare un braccio per toccare la sua spalla ossuta, ma
rimasi immobile. ''Lei non è morta perchè
continua a vivere nel tuo cuore. So che te l'avranno detto tantissime
persone, ma è effettivamente così''
''Non ce la faccio neanche a dire il suo nome, Cara. E' passato un anno
e non riesco a chiamarla per nome'' il suo uscì quasi come
un lamento, e mi immobilizzai ancor di più.
''Quando pensi a lei, qual è l'immagine che ti viene in
mente?'' domandai, di soppiatto. Lui, infatti, mi guardò
accigliato e interrogativo. Io aspettai in silenzio una sua risposta,
che comunque non tardò ad arrivare.
''Lei che mi dice di vivere e io che la deludo. Lei che muore e io che
desidero solamente seguirla'' soffiò, come se se ne
vergognasse.
''Non riesci a pronunciare il suo nome perchè non riesci a
vederla come qualcosa che c'è ma non si vede'' affermai,
cercando di dare senso alle mie parole. ''Tu non l'hai delusa, Niall, e
non sei morto perchè non dovevi morire. So
che non è facile accettare una perdita e fronteggiarla,
oppure andare avanti e fingere di stare bene, ma non parlare di lei e
non pronunciare il suo nome non ti cicatrizzerà proprio
niente. Aggirare il problema non ti aiuterà a risolverlo.
Baciare me, o qualsiasi altra persona, non ti aiuterà a
provare qualcosa magicamente. Stai parlando dei tuoi sentimenti, delle
tue emozioni. Guarda in faccia la realtà, Niall'' sospirai,
poggiandogli una mano sulla spalla e sententolo irrigidirsi. ''Ria
è morta ma c'è.
E ci sarebbe ancora di più se tu smettessi di desiderare di
morire ed iniziassi a vivere. Non bene ma perlomeno alla meno peggio.
Lo merita lei'' annuii. ''Ma lo meriti anche tu''
Ancora una volta, Niall si limitò a fissarmi senza dire una
parola e senza lasciar trapelare niente. E mentre speravo di non aver
detto un cofano di stronzate, mi resi conto che non lo conoscevo per
niente e che l'avevo giudicato troppo in fretta. L'avevo bollato come
ragazzo antipatico, presuntuoso e arrabbiato con il mondo quando era
l'esatto contrario.
Lasciai la sua spalla, con il palmo della mia mano che aveva ancora la
sensazione di sfiorare il suo sottile strato di pelle e le sue ossa, e
mi allontanai da lui. ''Nessuno muore'' sussurrai, ancora. ''Hai tanti
ricordi belli su di lei, no? Ti ha lasciato qualcosa, perlomeno un
segno indelebile- altrimenti non staresti così. Forse i suoi
sorrisi meriterebbero di essere ricordati di più delle sue
lacrime e delle sue promesse''
''Come...come faccio?'' domandò, e mi diede l'impressione di
essere come un cagnolino indifeso ed impaurito davanti a qualcuno di
più grande. ''Come faccio a dimenticare le sue lacrime, se
mi perseguitano anche di notte?''
Io sorrisi, o perlomeno di provai. ''Pensa alle cose belle'' dissi.
''Quando ti saltano alla mente i suoi pianti e la sua sofferenza, pensa
a quando rideva''
Lui annuì impercettibilmente e velocemente, ma lo notai. E
il suo silenzio lo interpretai come una cosa positiva, stavolta. Mi
avvicinai di nuovo a lui, stavolta per andarmene, e ''Se hai bisogno di
qualcosa'' esclamai. ''Anche solo di parlare, puoi chiamarmi. A me
farebbe piacere conoscere la Ria dei tuoi ricordi''
Gli lasciai un leggero bacio sulla guancia ispida e me ne andai.
_________________________________________________________________
Avevo messo Penny a letto,
ed era stata una vera impresa.
Quando lei e Josh iniziavano a vedere un film, Penelope non aveva
intenzione di andare a dormire fino a che non avesse scoperto il
finale. Sempre colpa di Josh Cooper, c'era davvero pochissimo da fare.
Alla fine il film era finito, era una commedia amerciana davvero
discutibile, e avevo fatto addormentare mia figlia dopo svariati
tentativi falliti. In cucina avevo litigato con Josh, al solito, e
avevo spedito a letto anche lui con un ''vaffanculo, Coop''
Finalmente ero nel mio letto, intenta a guardare il soffitto e a
pensare. Il bacio di Niall mi ronzava ancora nella mente, la sensazione
delle sue labbra fredde sulle mie e la consapevolezza che l'aveva fatto
solo come una specie di test.
Avrei dovuto arrabbiarmi, effettivamente, ma dopo che era sbottato non
me l'ero sentita di infierire. Dopotutto, era stato solo un bacio. No?
Il fatto che si fosse aperto proprio con me mi lusingava, ne ero
onorata in un certo senso, ma adesso mi sentivo anche terribilmente
impacciata. Come avrei dovuto comportarmi quando l'avrei rincontrato?
Dopo che mi aveva prima baciata con forza, e poi raccontato della sua
ragazza morta? Il punto era che tutto l'amore che aveva ancora nelle
iridi mentre parlava di lei mi stava torturando. Non perchè
fossi gelosa, anzi. Ero semplicemente e palesemente invidiosa di quel
sentimento. Non per lui in per se, ma perchè io non avevo
mai amato così. Nè tantomeno avevo avuto qualcuno
che mi avesse amata a quel modo. Non avevo mai sperimentato quel tipo
di legame, che va addirittura oltre la morte.
Era triste.
Messaggio inviato: 01:00 a.m.
Da: Niall Horan
Grazie infinite.
Messaggio inviato: 01:01 a.m.
Da: Cara Archibald
Prego infinite xx
Messaggio inviato: 01:02
a.m.
Da: Niall Horan
E comunque mi farebbe piacere parlarti della Ria dei miei
ricordi.
Messaggio inviato: 01:05
a.m.
Da: Cara Archibald
Domani alle tre a casa mia?
Messaggio inviato: 01:07
a.m.
Da: Niall Horan
Stai flirtando con me? Perchè non verrò a letto
con te :)
Messaggio inviato: 01: 08
a.m.
Da: Cara Archibald
Lo prendo come un si. Buonanotte Horan!
Messaggio inviato: 01:10
a.m.
Da: Niall Horan
Buonanotte a te.
_____________________________________________________________
Ciao ragazze!
Non mi scuso neanche per il ritardo perchè sarebbe davvero
ridicolo, dal momento che è passata una vita.
E' davvero difficile per me scrivere questa storia, primo
perchè non mi sento ispirata e secondo perchè mi
manca Ria hahahaha
Però questo capitolo è andato, anche
perchè era già stato scritto per metà,
quindi spero vi piaccia!
Volevo solo mettere in chiaro alcune cosette:
Niall non ha baciato Cara perchè è stato amore a
prima vita e bla bla bla ma solamente perchè aveva lo stesso
profumo di Ria e perchè voleva vedere se riusciva a provare
qualcosa. Cara sembra stronza ma non lo è, anzi,
mi rispecchia molto e spero riuscirete ad apprezzarla!
Poi, Niall e Cara avevano già memorizzati i numeri di
entrambi perchè- capitan ovvio- lavorano ''insieme''. Questo
diciamo che volevo chiarirlo aahhaha
E Niall non ha ASSOLUTAMENTE dimenticato Miriam, anzi!
Lui vuole vedere Cara appunto perchè con lei si sente libero
di parlare, e nel prossimo capitolo si capirà meglio
perchè.
I messaggi...diciamo che non erano in programma, ma ho preferito
inserirli per farl meglio luce su di loro.
Non stanno flirtando, neanche Cara che è più
''sciolta'' per così dire. Niall non può fare la
mummia, è pur sempre un ragazzo di venti anni e penso sia
giusto che scherzi anche un pochino, ecco perchè fa la
battuta sull'andare a letto e bla bla hahaha
Spero non vi abbia fatto tanto schifo, e vi prego di farmi sapere cosa
ne pensate.
I vostri commenti contano!!
Harryette
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Capitolo 7 *** Chapter 6- Nel tuo dolore. ***
|
Trailer |
''Dove sei
tu, quella è casa''
Capitolo 6- Nel tuo
dolore.
Harry's pov
Louis era andato via da circa dieci minuti, quando mi resi conto che
dovevo fare qualcosa.
Per quattro, lunghissimi, anni ero stato inetto ed inerme: immobile
quando mia madre aveva scoperto di essere una malata terminale,
immobile quando avevo appurato che sarebbe morta comunque, immobile
quando effettivamente se n'era andata, immobile quando avevo avuto
l'onore immenso di conoscere Ria, ed immobile quando era morta anche
lei.
Non avevo mai fatto niente per cambiare le cose, o almeno per provare a
farlo. Mi ero lasciato trasportare dall'inerzia delle situazioni,
affidandomi completamente ad un destino che odiavo e pregando un Dio in
cui non credevo neanche.
Non avevo mai agito con un piano in mente, non avevo mai avuto la
forza- e neanche il coraggio, sinceramente- di provare a vedere le cose
da una prospettiva diversa- anche se creata da me. Ero stato sempre in
balia degli eventi, e non avevo mai deciso io cosa fare della
mia vita.
Quella mattina Louis mi aveva chiesto come stessi, ed io avevo risposto
''bene''. Avevo la vaga impressione che quando la gente ti chiedeva
come stavi, non era minimamente preparata ad una disposta negativa.
E io non gliela avrei data, non al mio migliore amico e non sapendo
che- anche lui- doveva fare i conti con la morte di Ria. E che la
ragazza che amava era stata la migliore amica di qualcuno che adesso,
per sfortuna, non c'era più.
Io ci avevo messo due anni per riuscire a pronunciare il nome di mia
madre. Due anni dalla sua morte per riuscire a pensarla senza
nascondermi e piangere, due anni per accettare il fatto che non l'avrei
rivista mai più e due anni per rendermi conto che nulla
avrebbe potuto cambiare quella situazione- per quanto facesse
schifosamente schifo.
Il nome di Ria riuscivo a pronunciarlo, fortunatamente, ma avevo
impedito alla mia mente contorta di pensarla. Avevo isolato ogni suo
ricordo ed ogni pensiero che si collegava- direttamente o meno- a lei.
Fingevo che non fosse mai esistita. Forse non mi faceva nemmeno sentire
meglio, ma mi faceva sentire meno peggio e mi andava bene
così.
Pensarla avrebbe significato ammettere che non c'era più, e
non ero pronto a farlo. Probabilmente non lo sarei stato mai.
Ma quella mattina, decisi che per una volta avrei deciso io cosa sarebbe
successo. Per una volta non mi sarei affidato al fato e avrei agito
accettando tutte le conseguenze che sarebbero scaturite dalle mie
azioni.
Chiamai Paul e gli chiesi, abbastanza poco gentilmente, di scoprire
dove alloggiasse Lydia Louise Martin.
_______________________________________________
La porta di mogano marroncina
produsse un rumore quasi sordo, a contatto con le nocche della mia mano.
Sperai che fosse in camera e che non fosse in giro per Londra,
probabilmente dai suoi genitori o da qualche amica che non vedeva da
quando era ritornata in Germania. Un anno prima.
Probabilmente la ramanzina che le avevo fatto la settimana prima,
quando era venuta a bussare alla mia porta per chiedermi come stessi
interessandosi di una risposta quasi sicuramente negativa, era stata
incoerente. Me ne ero reso conto nell'esatto momento in cui era uscita
sbattendo la porta, ma il mio orgoglio di merda mi aveva impedito di
fare qualcosa. Se anche fosse rimasta, seppur non fosse ritornata a
Berlino, io sarei comunque andato in tour e ci saremo comunque visti
pochissimo. Avrei potuto sempre portarla con me, ma dubitavo che
avrebbe accettato. Era troppo per lei, e probabilmente era troppo per
chiunque non ci fosse abituato.
Quando avevo urlato avevo semplicemente pensato che sarebbe ritornata
da me, perchè glielo avevo letto negli occhi che non le ero
indifferente. Se così fosse stato, non sarebbe ritornata per
stare con me.
Paul aveva scoperto facilmente in quale hotel alloggiasse, siccome
aveva sicuramente preferito non dar disturbo ai suoi che avevano
comunque cambiato casa e preso un appartamento molto più
piccolo, e che sarebbe rimasta per una decina di giorni.
Mi chiedevo cosa le avesse detto Federico, quando gli aveva detto che
sarebbe ritornata per un pò. Sperai egoisticamente che
avessero litigato.
Sperai egoisticamente che decidesse di non andarsene di nuovo.
La porta si aprì proprio quando ero sul punto di perdere
ogni speranza e ritornarmene a casa.
Lydia era davanti a me, indossava un pigiama di flanella rosa chiaro e
aveva legato i capelli rossi in una coda disordinata. Non era truccata,
i suoi occhi verdi rimbalzarono dinanzi ai miei come un fresbee. Era troppo bella.
Il cipiglio che le si formò sulla fronte mi fece capire che
non si aspettava quella mia visita. Che, anzi, non si aspettava di
rivedermi affatto.
Mi diedi dello stupido da solo, perchè erano le undici e
mezza di sera ed era ovvio che stesse per andare a letto. Era ovvio che
ci aveva messo un poco a rispondere, ed era ovvio che fosse sopresa- a
tratti sconvolta.
''Harry?'' domandò, sgranando gli occhi. ''Che cosa ci fai
qui?''
''Mi fai entrare?'' domandai a mia volta, notando solo dopo il tono
pretenzioso con la quale avevo parlato. ''Per favore''
Lei si staccò dalla porta e la aprì di
più, in modo da farmi passare. L'hotel che aveva scelto era
a tre stelle, per cui la sua stanza era ben arredata anche se spoglia.
La sua valigia viola era gettata ai piedi del letto, aperta e mezza
piena. Non riuscii a capire se era per un'imminenze partenza, oppure se
era stata svogliata e non l'aveva svuotata.
''Come hai scoperto dov'ero?'' sembrava confusa. ''Chi ti ha fatto
salire?''
''Mi dispiace ma non ho avuto altra scelta che chiedere a Paul di
indagare'' ammisi. ''Non volevo essere invadente, ma avevo bisogno di
parlarti. E mi è bastato dire chi fossi per salire,
sinceramente''
Lei annuì, ben consapevole della mia fama e di tutto quello
che dovevo sopportare- ma che aveva grandi vantaggi. Tipo quello.
''Che devi dirmi?'' chiese, ed il suo tono era gelido. Lo era stato
dall'inizio, ma quella ne fu la conferma. Non potevo di certo
biasimarla, avevo detto delle cose orribili e che, ovviamente, non
avevo nemmeno mai pensato.
Mi passai le mani fra i capelli, perchè non sapevo che
dirle. Che avevo solo bisogno di vederla di nuovo? Di sentire la sua
voce acuta, anche se distante? Che era meravigliosa anche in pigiama e
senza trucco?
Lydia, a sua volta, non parlò nè
sospirò o altro. Conoscendomi bene, aspettò
pazientemente che fossi io a prendere la parola.
''Parti?'' domandai, ansioso. Era stata l'unica cosa che ero stato in
grado di chiedere. Lei passò lo sguardo da me alla valigia
poggiata per terra, e poi di nuovo su di me come avesse paura di
parlare.
Si avvolse nelle sue braccia e fece un piccolissimo passo avanti.
''Domani sera'' diede conferma ai miei pensieri.
Mi pietrificai, probabilmente perchè una parte di me ne era
pienamente consapevole ma avevo dato retta all'altra. Mi ero illuso che
sarebbe rimasta ancora per qualche giorno, in modo che potessi farle
capire i miei sentimenti e farla restare. Ma un giorno era troppo poco.
E quando la guardavo rivedevo Ria, nello stesso colore di capelli e
nello stesso sguardo vispo e timido, nello stesso modo di parlare e
nella stessa tonalità della voce. Rivedevo sua sorella
minore il lei, e mi faceva male.
''In questo momento'' sussurrai. ''Sei identica a lei''
Lydia capì subito a chi mi stessi riferendo, non c'era stato
bisogno di spiegare meglio. Si erano sempre somigliate, lei e Miriam,
ma quando Lydia era senza trucco, con i capelli lunghi legati ed in
pigiama le somigliava ancora di più.
Si strinse nelle spalle.
''Davvero?'' domandò, con una strana luce negli occhi
così simili ai miei. Sembrava quasi che volesse
distruggerla, quella domanda. Non mi parve mai fragile quanto allora.
''Si, davvero'' risposi, avvicinandomi a lei. Non si mosse.
''Posso...'' alzai una mano, sussurrando e confondendomi da solo.
''Posso abbracciarti?''
Lei mi guardò come se non sapesse nè cosa dire e
nemmeno cosa fare, immobile nella sua postazione troppo lontana dalla
mia. Avvenne tutto in un secondo: Lydia scosse la testa, come
esasperata, si avvicinò a me e avvolse le sue braccia
attorno ai miei fianchi- poggiando la sua testa sul mio petto. Io, per
la prima volta con lei in imbarazzo, portai le mani sulle sue spalle e
la strinsi forte a me.
Sembrava di star abbracciando Miriam, non solamente lei.
Mi sembrava di essere tornato ad un anno prima, quando stringerla a me
mi sembrava quasi una cosa scontata. Forse, dopotutto, era
proprio questo quello che Ria mi aveva insegnato. Che noi essere umani
dovremmo seriamente smetterla di dar le persone per scontate, e di
iniziare a godercele davvero e sempre. Perchè non si sa mai,
sfortunatamente o per inerzia, le si potrebbe perdere. E sarebbe troppo
tardi.
Il profumo di Lydia era diverso da quello che aveva la sorella, ma era
altrettanto dolce.
Dopo un lunghissimo anno, sentii il bisogno di piangere.
Mentre eravamo ancora abbracciati, avvinghiati più che
altro, ''Ho perso tante persone importanti nella mia vita'' sussurrai.
''Non ti voglio perdere, Lydia. Non di nuovo, ti prego''
Non so con che coraggio e che faccia tosta le dissi una cosa del
genere, perchè sapevo che l'avevo trattata malissimo e che
lei avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per odiarmi e
allontanarmi. Ma non fece nessuna delle due cose, e ne ebbi la conferma
quando parlò.
''Non mi hai mai persa'' disse, in un sussurro.
Non fui io a sciogliere quell'abbraccio, anche perchè non ne
avrei mai avuto la forza, ma lei. Si allontanò dopo
pochissimo tempo, a parer mio, e prese a stringersi la coda di capelli
fra le dita.
''Non posso restare'' soffiò. ''Mi dispiace tanto Harry, ma
non posso restare''
Mi innervosii per un motivo che non mi fu neanche tanto chiaro, tanto
che fui tentato di urlarle che doveva smetterla di scappare. Ma tutto
quello che dissi fu un leggero ''Perchè?''
''I miei genitori...'' sospirò. ''Tu non sai in che
situazioni siamo, per questo non potresti mai capire''
''Prova a spiegarmi''
Prese a camminare convulsamente attraverso la stanza, sciogliendo una
volta e per tutte i capelli rossi. ''Dopo la morte di Ria sono
cambiati. Non abbiamo mai avuto un buon rapporto neanche quando lei era
in vita, siccome avevo deciso di abbandonare Yale e tutto il resto, ma
dopo la sua morte la situazione è precipitata. Non tanto con
mio padre, quanto con mia madre che è particolamente
orgogliosa e rancorosa. Non mi parla quasi più, quando la
chiamo sembra irritata'' sembrò quasi che stesse per
piangere. ''Vorrei tanto che Ria fosse qui, lei saprebbe cosa dirmi.
Forse non avrei dovuto lasciare Yale e magari, adesso, la situazione
sarebbe diversa''
''Tu non hai fatto niente di male'' esclamai. ''Non avrebbe avuto senso
continuare qualcosa che non ti piaceva. E' del tuo futuro che stiamo
parlando, Lydia, non del loro''
Lei sospirò ancora. ''Dico solamente che, in questo momento
delle nostre vite, dovremmo essere uniti no? Sostenerci a vicenda. Loro
hanno perso una figlia, ma io ho perso una sorella. Ho perso la mia
sorellina'' la sua voce era rotta da un pianto imminente. ''Dovrebbero
starmi vicini, e io potrei star vicina a loro. Invece sembra si stiano
allontanando. Li ho delusi così tanto?''
Mi avvicinai a lei nel momento in cui una lacrima
capitombolò per la sua guancia paffuta. ''No'' esclamai.
''Non hai deluso nessuno. Loro...stanno male, hanno solo preso questa
perdita duramente. Sono medici, salvano vite ogni giorno ma non hanno
potuto salvare la loro figlia minore. Non è facile per loro.
Vorrebbero starti vicino, ne sono sicuro, ma...non ce la fanno''
Aveva senso?
In realtà ero il primo a condannarli, il loro comportamento
non era nè maturo nè giusto. Lydia aveva ventitre
anni ma aveva ancora, e soprattutto, bisogno del loro appoggio e di
qualche loro parola di conforto. Anche lei era una loro figlia. Li
avrei volentieri presi a pugni, ma non dissi niente di tutto questo.
Non ne aveva bisogno e non lo meritava.
''Io...'' passò una mano disperata sul volto. ''Loro non
sanno neanche che sono tornata. Non glielo ho detto''
''Come?'' mi sorpresi. ''E perchè?''
''Perchè non ce la farei a sostenere i loro sguardi''
trattenne a stento le lacrime, guardando la punta delle sue pantofole
verdi. ''Non ce la farei a dirgli che devo ritornare a casa, a Berlino''
Proprio quando stavo per parlare, per dire qualsiasi cosa, lei mi
precedette. Lydia sembrava quasi un vaso pieno d'acqua, che aveva
sostenuto in silenzio il suo peso per tanto tempo ma che - alla fine -
era esplosa.
''Sai, Harry, quando dici che sono una codarda e che non faccio altro
che scappare hai ragione'' un'altra lacrima rigò il suo
volto. Avrei voluto prendermi a pugni da solo, per le parole che le
avevo detto.
''Io non le pensavo'' mi affrettai a dire. ''Non pensavo niente di
quello che...''
''Fammi finire'' alzò una mano, bloccandomi. ''Hai ragione
perchè, alla fine, è sempre stato quello che ho
fatto. Ma la verità è che non ce la farei a
guardarli mentre si domandano che cosa farò del mio futuro,
perchè abbia deciso di non laurearmi e di seguire i loro
passi, perchè abbia incontrato Federico'' a quel nome
tremai. ''E hanno ragione. Anche io mi odio per aver lasciato tutto e
per aver scelto Federico, ma non mi pento di essere andata in Germania.
E non perchè Berlino mi piaccia, o perchè mi
piaccia il tedesco o i tedeschi. Semplicemente perchè sono
lontana dai miei genitori, da Londra, e dalla mia vita quì
che era troppo
piena di Ria'' scosse la testa. ''Sono una codarda'' scrollò
le spalle. ''Ma non posso farci niente, perchè non sono
masochista. Non ce la faccio a restare quì, Harry. Mi viene
solo da piangere''
A quel punto, lo fece. Si coprì il volto con le mani e
pianse. Io non mi mossi nè feci qualcosa perchè
ero paralizzato. Avrei voluto baciare tutte le sue lacrime e dirle che
non era codarda ma che teneva solamente a stare bene.
Provai ad avvicinarmi ma ci rinunciai.
''No'' dissi, calmo. ''Non è vero. Tu vuoi solo tornare a
respirare, e non c'è niente di sbagliato in questo.
Dopotutto, considerato il rapporto che hai con i tuoi genitori, non
avresti neanche un motivo per restare''
Lei mi guardò, con gli occhi umidi e bagnati, e stette in
silenzio per qualche minuto. ''Io ti amo, Harry'' disse con
naturalezza. ''Ti amo, e questo è un motivo''
Mi immobilizzai, di nuovo. Avevo sentito bene? Me lo aveva davvero
detto? Se fossimo stati in un'altra circostanza l'avrei baciata e le
avrei detto che, sì, anche io la amavo. Ma non era
così, e non eravamo in un'altra situazione.
Eravamo sempre noi.
Se le avessi detto che ricambiavo i suoi sentimenti, cosa che era vera,
avevo paura che non sarebbe più partita. Riuscivo a leggere
l'indecisione nei suoi occhi, il dubbio che le si era insinuato.
Aspettava solamente un motivo per annullare quel volo che l'avrebbe
portata ad una vita che non le piaceva, e dalla quale era evasa. Io non
sarei stato quel motivo.
Non perchè non volessi che restasse, anzi, ma
perchè avrebbe sofferto come avevo sofferto io. E non lo
volevo. Avrei fatto di tutto per evitarlo.
''Buon viaggio'' dissi, velocemente e cercando di non far trapelare
nessuna emozione.
''Cosa?'' sgranò gli occhi lei, non preparata a quella
risposta inopportuna.
''Buon viaggio, Lydia'' mi avvicinai e le lasciai un bacio sulla
guancia. Non potevo andarmene senza aver fatto nemmeno quello,
perchè non sapevo quando l'avrei rivista. Se sarebbe
successo.
Uscii dalla sua stanza in silenzio tombale.
Ti amo anche io.
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Cara's pov
''Ti
prego'' lo implorai. ''Non farmi fare brutta figura''
Josh mi
guardò con una finta espressione offesa, prima di sbuffare e
mettersi la maglietta nera. Ero piombata nella sua camera come una
furia, alle due e mezza del pomeriggio, dicendogli che alle tre sarebbe
venuto- niente poco di meno che- Niall Horan. Aveva reagito piuttosto
male, considerato che non aveva detto una parola.
E, solitamente, Josh
parlava anche quando doveva stare zitto.
''Mi parli,
perlomeno?'' sbottai, con le mani sui fianchi, dal momento che non
accennava a prender parola. ''Il gatto ti ha mangiato la lingua?''
''Non abbiamo nessun
gatto'' rispose prontamente, facendo una sottospecie di risata. Solo
lui poteva ridere alle sue battute deficienti.
''Josh'' sospirai.
''Te lo chiedo per piacere. Nessun girare per la casa in mutande''
elencai con le dita. ''Nessun grattarti il culo pubblicamente, nessun
insulto velato, nessuna battutina deficiente, e non parlare
assolutamente di me come se non ci fossi e come, solitamente, fai''
Lui si
grattò il capo, con fare confuso. Nonostante si ostinasse a
comportarsi da stupido, sapevo benissimo che capiva fin troppo bene
quello che dicevo e tutte le parole che nascondevo dietro altre. Mi
conosceva fin troppo bene, condividendo l'appartamento con me da
quattro anni.
''Sono davvero un
sacco di cose'' esclamò, fintamente sconvolto.
''Per favore'' unii
le mani a mò di preghiera. ''Ti prego, farò tutto
quello che vuoi''
''Tutto tutto?''
sguazzò.
''Non tutto tutto'' assottigliai lo sguardo.
Conoscevo bene anche io lui. ''Diciamo che dipende''
''Da cosa?''
sogghignò.
''Smettila''
ringhiai. ''Non deve essere poi tanto difficile per un ventitreenne
comportarsi civilmente, no?''
''Forse''
scrollò le spalle. ''Comunque va bene, proverò a comportarmi
civilmente''
imitò la mia voce sottile.
''Grazie'' gli saltai
praticamente al collo, abbracciandolo un secondo prima che lui si
discostaste. ''Niente smancerie, Archibald'' mi prese in giro,
sistemando un paio di t-shirt sul letto.
Io sbuffai e mi sedei
sul materasso della sua camera, prendendo a giocare con una ciocca di
capelli neri e aspettanndo impaziente l'arrivo delle tre. Speravo
vivamente che Niall fosse un tipo puntuale.
''Dimmi un
pò'' iniziò Josh, dando vita a tutta la sua
solita curiosità irritante. ''Come mai il biondino viene a
casa nostra oggi?''
Glielo avevo letto
nelle iridi dall'inizio, che voleva sapere il motivo di quella visita
insolita. Dopotutto, gli avevo parlato abbastanza male di Niall
all'inizio e non avevo avuto modo di rimangiarmi le parole.
Scrollai le spalle.
''Suppongo per fare due chiacchiere'' evasi.
''Due chiacchiere?''
scosse il capo e i suoi capelli bruni e gelatinati ondeggiarono. ''E da
quando fai due chiacchiere con una popstar miliardaria?''
''Da oggi'' sbuffai.
''Non c'è niente di male. E' così strano?''
''Sei Catherine
Archibald'' sistemò una maglia nell'armadio. ''Tu non dai
confidenza, nè tantomeno inviti qualcuno a fare due
chiacchiere.
Neanche se è Niall Horan''
''Bhè''
cercai di appigliarmi a qualcosa. Aveva ragione, dopotutto, non
invitavo mai nessuno a casa nostra. ''Diciamo che mi sono sentita in
dovere di fare un'eccezione''
''Perchè
è famoso?'' mi punzecchiò.
''Non penso solamente
a diventare un avvocato di fama mondiale, lo sai?'' mi irritai. ''Non
lo sto usando, se è questo quello che pensi. Ho sempre fatto
tutto senza alcuna spinta''
''Lo so'' e mi parve
proprio sincero. ''Solo che mi sembra strano, davvero''
Non ebbi tempo di
ribattere, perchè il citofono squillò. La mattina
stessa, mentre ero in pausa pranzo, avevo mandato a Niall un messaggio
con l'indirizzo di casa sperando indovinasse la strada. Considerato che
erano le tre meno dieci, e che era in anticipo, supposi non ci avesse
messo molto.
''Mi raccomando''
dissi a Josh, prima di alzarmi e sistemarmi la camicia. ''Ricorda che
hai promesso''
''Io non ho promesso
niente'' mi lasciò un pizzico sulla guancia, spingendomi
verso la scala che conduceva al piano inferiore. ''Salutamelo''
ironizzò, e ''certo'' scossi la testa.
Scesi le scale di
corsa, come non avevo mai fatto, e presi il citofono. Non potevo
nascondere un pochino di ansia, non perchè fosse un ragazzo
ma perchè era Niall Horan. E Josh non mi aveva aiutata
affatto, come al solito.
Gli aprii il cancello
principale, quando al mio ''chi è?'' rispose con un secco e
semplicissimo ''io''. Iniziai a domandarmi come avrei dovuto reagire, a
cosa avrei dovuto dire, come avrei dovuto comportarmi. Non ero la tipa
da complessi e dubbi, ma Niall faceva andare in crisi la Catherine
Archibald che avevo sempre creduto di essere. E che perfino Josh
credeva che fossi.
Quando
bussò leggermente alla porta, sospirai e presi un grande
respiro, scrollando le spalle. Era solo un ragazzo, come tanti altri
che avevo frequentato e che avrei frequentato ancora.
Aprii la porta di
legno laccato di bianco, e mi trovai davanti i suoi occhi
incredibilmente azzurri.
Probabilmente, in
un'altra situazione, avrei potuto vederli magnifici e trasparenti. Ma
non in quella. Gli occhi di Niall erano sempre e continuamente, da
quando l'avevo conosciuto, velati di qualcosa che non riuscivo ad
indentificare. Come una cappa di tristezza mista a malinconia, che a
volte finiva anche per terrorizzarmi e mettermi in soggezione.
Avrei tanto voluto
aiutarlo, e mentre lo guardai- quel pomeriggio- mi convinsi che forse
avrei potuto farlo.
Aiutare le persone
era sempre stato il mio lavoro, ma mi sarebbe piaciuto aiutare qualcuno
senza alcun fine. Mi avrebbe gratificata ancora di più.
Niall indossava una semplice canotta bianca, che accentuava i leggeri
muscoli sulle braccia, e un pantalone color ghiaccio. Un paio di Rayban
e un beanie coprivano il suo volto, altrimenti troppo esposto alla
gente.
''Non mi fai
entrare?'' iroinizzò, e solo allora realizzai quanto mi
fossi effettivamente incantata.
Scossi la testa,
sorridendo nervosa, e aprendo di più la porta. ''Prego'' gli
dissi, sempre sorridendo.
Lui entrò,
con una calma che invidiai e una padronanza del posto che non sapevo
neanche da dove venisse. Io chiusi la porta e lo raggiunsi, con le mani
nascoste nelle tasche posteriori dei miei jeans scuri.
Come potevo sentirmi
fuori posto a casa mia?
''Allora'' inizia,
raggiungendolo. ''Come stai?''
Lui si
voltò, dal momento che fino ad un secondo prima mi stava
dando le spalle, e prese ad osservarmi a lungo e troppo. ''Tu?''
chiese, dopo aver scrollato le spalle.
''Bene'' risposi,
prontamente. ''Siediti pure'' indicai il divano in pelle, e lui si
accomodò tranquillamente. ''Vuoi qualcosa?'' ero in ansia,
ed era palese. Presi a torturarmi i capelli come non avevo mai fatto in
vita mia, e li maledissi uno per uno. Inoltre, ero ad una distanza si
sicurezza da lui ed era chiaro anche quello.
''Si'' rispose alla
mia domanda di cortesia. ''Voglio che ti siedi e smetti di strapparti i
capelli'' fece qualcosa di molto simile ad un sorriso. L'aveva capito,
chiaramente. Io obbedii, avvicinandomi molto lentamente e sedendomi
molto distante da lui- dall'altra parte del divano enorme. Era come se
avessi avuto paura di disturbarlo con la mia vicinanza, o di metterlo
in imbarazzo, dopo quello che era successo e che mi aveva detto il
giorno prima.
''Non ti bacio di
nuovo'' diede voce ai miei pensieri. ''Tranquilla, puoi avvicinarti''
Io sorrisi a quella
che doveva essere una battuta, ma che mi aizzò ancora di
più. Possibile che fosse così pacato e calmo?
''Il motivo
principale per cui sono venuto'' iniziò, spezzando il
silenzio che si era venuto a creare. ''E' per chiederti scusa''
Io mi riscossi.
''Scusa?''
Lui annuì.
''Si'' confermò. ''Scusa per come mi sono comportato ieri.
Sono stato un vero stronzo e mi dispiace davvero. Non avrei dovuto''
sospirò, come se gli costasse fatica dirlo. ''Non avrei
dovuto baciarti, nè dirti tutte quelle cose. Non mi
sorprenderei se, adesso, anche tu iniziassi a vedermi come il povero
cantante che ha perso la ragazza che ama''
E quelle parole mi
tagliarono come lame. Improvvisamente mi resi conto del
perchè Niall avesse detto quelle cose a me, il giorno prima,
e non a nessuno dei suoi migliori amici. Evidentemente li avrebbe
solamente fatti preoccupare, loro non avrebbero capito e avrebbe
continuato a compiatirlo. Era chiaro che non volesse la compassione di
nessuno. Parlare con una mezza sconosciuta era stata quasi una
liberazione per lui, convinto che si sarebbe liberato almeno un
pò.
Sperai che fosse
stato così, ma avevo i miei saldi dubbi.
''Non ti vedo affatto
come il povero
cantante che ha perso la ragazza che ama'' ripetei le sue parole.
''Non è un reato stare male per la morte di qualcuno, Niall.
Non sei onnipotente, sei umano''
Lui mi
guardò di nuovo, dopo aver spostato il suo sguardo per tutta
la casa. ''Si'' annuì. ''Ma la gente, perfino i miei amici,
sono convinti che basti un anno per tornare come prima. Si sorprendono
che io stia ancora...così'' sospirò. ''Forse
hanno ragione. Forse davvero un anno basta, ma io non ce la faccio
capisci?''
Annuii, incapace di
dire qualsiasi altra cosa. ''Si, capisco'' sussurrai, avvicinandomi di
più. ''Ma un anno non basta, e non ne basterebbero nemmeno
cento. C'è un solo modo per andare avanti''
''E sarebbe?''
''Accettare la sua
assenza'' risposi, cautamente. ''Accettare che non c'è
più e che, in un modo o nell'altro, bisogna andare avanti.
Obbligatoriamente. Se non vuoi farlo per te, fallo per le persone che
ti vogliono bene''
Sogghignò,
ma era un sogghigno triste e tirato e mi pianse il cuore.
''La fai facile''
disse, amareggiato. ''Non riuscirò mai a rassegnarmi al
fatto che non ci sia più''
''Non devi
rassegnarti'' lo corressi. ''La rassegnazione non porta mai a nulla di
buono o genuino. Devi solo capirlo ed accettarlo'' cercai di spiegarmi
meglio, per quanto potessi. ''Io non ho mai avuto a che fare con una
perdita così grande, però ho conosciuto persone
che ci sono passate. Anche se erano clienti, riuscivo a vedere nei loro
occhi la stessa cosa che vedo adesso nei tuoi. Dolore. Ma nel tuo dolore, Niall, io
riesco a vedere anche qualcosa di buono e giusto'' sospirai.
''Tipo cosa?''
chiese, quasi tentennando.
''Tipo speranza. Io
lo so che speri ancora'' dissi. ''La speranza è radicata in
tutti gli esseri umani, nessuno escluso. Per quanto possa essere
difficile e controversa la vita, non la si perde mai del tutto.
Nonostante tutte le batoste che, in un modo o nell'altro, devi prendere
la speranza c'è sempre. Sempre. Io riesco a vederla nei tuoi
occhi, sotto al tuo dolore. Tu non la vedi?''
Notai quanto fosse
rimasto immobile, ed in silenzio, come se sentire quelle parole lo
facesse sentire più pesante. ''No'' ammise. ''Non la vedo''
''Io si'' risposi
prontamente e con sicurezza. ''Niente è impossibile,
credimi. Se vuoi fare qualcosa, puoi farla. L'unica cosa che devi
accettare è che lei sia morta''
Quella parola- morta-
lo riscosse. Si alzò di colpo dal divano, con una specie di
rabbia mista a pianto negli occhi, e prese a passeggiare convulsamente
nel salone. Avevo capito che quello era il suo modo personale per
scaricare la tensione.
''Tu non capisci''
urlò, in preda alla disperazione. ''Io la amo anche di
più di quando era viva, e non mi basterà mai
accettare che sia morta! Per me sarà impossibile, Cara''
''No'' urlai a mia
volta, manco stessi facendo un'arringa. ''Non è impossibile!
Lo è solo se te ne convinci, ed è esattamente
quello che stai facendo. Così non andrai mai da nessuna
parte!''
Lui rimase
interdetto, dopo le mie urla- che Josh aveva sicuramente sentito come
mezza Londra. Ma mi sentivo in dovere di sgridarlo, se era l'unico modo
per scuoterlo un pò.
''Ma che ne vuoi
sapere tu?'' urlò a sua volta, di nuovo. ''Che ne sai di
cosa significa stare male? Guardati, hai tutto quello che qualcuno
potrebbe volere!''
Quell'affermazione mi
irritò non poco. Chi si credeva di essere per giudicare la
mia vita, senza conoscerne proprio niente? Come osava, dopo che avevo
anche cercato di aiutarlo?
''Sei tu che non sai
niente di me!'' sbraitai. ''Non ti permetto di venire in casa mia e di
giudicarmi! Non sai quello che ho passato nella mia vita, per cui
taci!''
Lui rise falsamente.
''E, sentiamo, con questo cosa vorresti dire? Non puoi dirmi di accettare la morte della persona che
amo di più al mondo come fosse acqua fresca. Lo capisci?''
''Allora scusami se
ho cercato di aiutarti'' moderai il mio tono. ''Ma credi che tutto ti
sia dovuto, solamente perchè sei Niall Horan? Scendi con i
piedi per terra''
''Io non credo che mi
sia dovuto proprio niente'' riprese ad urlare. ''Solo che mi urta il
tuo modo di fare, tutto qui! Mi urta il fatto che stai parlando di una
morte come se fosse qualcosa da mangiare! La vita non è uno
studio legale, Cara, ed io non sono un tuo cliente. Non ti sto
chiedendo aiuto per un testamento, nè tantomeno per un
divorzio!''
''Bene!'' urlai di
nuovo anche io. ''Allora, dal momento che la vita non è uno
studio legale e che tu non sei un mio cliente, puoi anche andartene!''
Non ero mai stata un
tipo tollerante e paziente, nè tantomeno con persone che si
credevano il centro del mondo e che pensavano che fossero le uniche
sulla faccia della terra a soffrire. La prima impressione che avevo
avuto di lui era proprio giusta: Niall Horan era solo un pallone
gonfiato.
Lui rimase interdetto
per qualche minuto, come se non si aspettasse che dicessi proprio
quelle parole, e si fermò di colpo dalla sua frenetica
camminata.
Mi guardò
con così tanta rabbia che ebbi quasi paura, sembrava volermi
incenerire con lo sguardo.
''Perfetto'' disse, a
bassa voce. Prese il cellulare che aveva abbandonato sul tavolino
giapponese al centro del salotto e ritornò a fissarmi. ''E,
comunque, sei tu che dovresti scendere con i piedi per terra''
Ma proprio nel
momento in cui Niall si stava dirigendo verso la porta, qualcuno
suonò al campanello. Mi chiesi perchè non avesse
prima suonato al citofono, ma evidentemente il caro Niall Horan aveva
lasciato il portone aperto. Lo guardai truce, prima di correre quasi
verso la porta bianca, come fosse una via di fuga da lui e dal suo
sguardo indagatore e scavatore.
Ma quando l'aprii,
preferii non averlo mai fatto.
I suoi capelli erano
proprio come li ricordavo: ricci e leggermente crespi, molto
più lunghi dell'ultima volta. Gli occhi di quel nero cinereo
che somigliavano tanto a quelli di Penelope, e lo stesso- identico-
taglio di occhi. A mandorla, sfilati, aggraziati all'ennesima potenza.
Erano stati la cosa che più avevo amato di lui.
Indossava una
semplice camicia bianchissima e un classico pantalone di cachemire, ai
suoi piedi le scarpe di pelle italiane che gli avevo regalato cinque
anni prima. Era poco prima che lui partisse, e che ci perdessimo di
vista- credevo- per sempre.
Rimasi immobile,
capace solo di sussurrare un ''Ronan'' prima che lui prendesse a
fissarmi insistentemente.
Avevo sempre amato il
suo sguardo vispo, ma in quel momento desiderai solo sbattergli la
porta in faccia. Ronan Hyde era la persona più egoista e
spocchiosa sulla faccia del globo, e l'avevo capito troppo tardi. Ero
stata troppo accecata dall'amore che provavo per lui per guardare in
faccia la realtà e ammetterlo a me stessa. Era sempre stato
il mio punto debole, e avevo la vaga impressione che lo fosse ancora.
''Che ci fai qui?''
domandai.
Per di più
sentivo lo sguardo di Niall, che si era avvicinato, traforarmi la
schiena. La mia voce era tesa ed infastidita, me ne accorsi perfino io
ed evidentemente anche lui, perchè si avvicinò
ancora di più. Tuttavia, era ancora troppo distante
perchè Ronan potesse vederlo, nascosto dalla porta spessa.
''Catherine''
sorrise, maligno. Lo detestai ancora di più. ''Ciao anche a
te''
''Che vuoi?''
insistei. ''E' da cinque anni che non ti fai vedere''
''Dov'è
Penny?'' rispose con un'altra domanda. Odiavo quando faceva
così, quando si comportava come un bambino capriccioso. E
odiavo ancora di più quando pronunciava il nome di mia figlia.
Io feci per
chiudergli la porta in faccia, intenzionata a non dirgli nulla che la
riguardasse, ma lui previde le mie mosse. Come sempre.
Infilò un piede sotto la porta e la bloccò, con
la solita forza che gli davano tre ore di palestra a settimana.
''Cosa
c'è, Catherine? Stare lontana da Brighton e dai tuoi
genitori ti ha fatto perdere il senso dell'educazione?''
ironizzò. Io lasciai perdere l'idea di cacciarlo,
perchè ormai sarebbe stato impossibile. Lo conoscevo troppo
bene.
''Smettila''
ringhiai, improvvisamente. ''Non ti voglio quì, Ronan, e non
ti voglio vicino Penelope. E' chiaro? Vattene''
Lui
sogghignò e io gelai, cercando di mantenere la calma.
''Penelope è anche mia figlia, porta il mio cognome, non sei
nessuno per tenermi lontano da lei. Sei un avvocato, dovresti saperlo''
Per quanto avesse
ragione, non gli avrei mai permesso di entrare nella vita di mia figlia
e di rovinare anche la sua. Perchè Ronan era
così, non sarebbe stato un buon padre nè un buon
compagno nè un buon amico nè tantomeno una buona
persona. Mai.
''Te ne sei andato''
sputai. ''Quando ti ho detto che ero incinta, te ne sei andato con i
tuoi miliardi dimenticandoti di tua figlia. Che credibilità
credi di avere adesso, dopo cinque anni? Hai tre minuti per andartene''
Lui mi si
avvicinò e mi accarezzò la guancia, con fare
tutt'altro che affettuoso e protettivo. Era una serpe.
''Sono tornato
adesso'' sorrise. ''E non me ne vado, Catherine''
Io non ebbi la forza
di dire nient'altro. Per i primi due anni, in cui ero stata costretta a
crescere Penny senza un padre, ero stata malissimo. Le immagini tristi
e i ricordi di quel periodo buio della mia vita mi ritornarono in
mente, congelandomi al mio posto con la porta ancora mezza aperta fra
le mani. Ronan aveva tentato di distruggere tutto ciò che di
buono c'era in me, facendomi credere che fosse qualcuno di diverso da
quello che realmente era e illudendomi come una stupida. E io c'ero
cascata.
Se ne era andato da
un giorno all'altro, lasciandomi incinta di quattro mesi e convinta che
saremmo stati insieme, mentre attraversavo una crisi con i miei
genitori che non sarebbe finita mai.
Avevo solo venti
anni, e lui - che ne aveva venticinque- avrebbe dovuto starmi vicino.
Niente era andato
come avevo previsto, e se non fosse stato per l'aiuto della mia
migliore amica non avrei saputo che fare.
''Non hai sentito la
signorina?'' interruppe i miei pensieri una voce. ''Puoi anche
andartene''
Non sapevo se essere
più sorpresa perchè Niall Horan aveva appena
preso le mie difese, oppure per la faccia tramortita di Ronan quando lo
vide. ''Ma tu sei...?'' fece per chiedere.
''Sì'' si
avvicinò ancora di più il biondo. ''Niall Horan
in carne ed ossa''
Ronan era un manager,
aveva un'importantissima casa discografica ereditata dalla morte
prematura del padre. Non ignorava il nome di un singolo cantante, e
lì a Londra gli One Direction erano una specie di
divinità religiosa. Sgranò gli occhi scuri ed
indietreggiò, mentre io rimanevo in silenzio.
''O mio Dio''
balbettò. Poi tornò a fissarmi ed
indurì lo sguardo, di nuovo. ''Ci vediamo''
sputò. ''Ma non finisce quì. Mi conosci''
Io rabbrividii a
quelle parole perchè, purtroppo, lo conoscevo fin troppo
bene.
Lui, poi, si
voltò verso Niall e gli tese una mano. ''E' stato un piacere
conoscerti'' assunse la sua aria da grande datore di lavoro, e io
potevo immaginare perchè: potevo immaginare quanto lui, un
uomo assetato di potere, potesse godere nell'avere una delle band
più famose del momento nella sua agenzia.
Niall non
afferrò la sua mano, anzi, indietreggiò.
''Arrivederci'' disse, con il tono atono e monocorde che spesso aveva
utilizzato con me. Ronan parve irritato, mentre si chiuse la porta alle
spalle lanciandomi uno sguardo carico d'odio.
Era incredibile
quanto, ancora una volta, avesse improvvisamente messo sua figlia in
secondo piano per la sua carriera.
Io mi voltai verso il
biondo, ora che finalmente eravamo soli, e vidi che mi aveva dato le
spalle.
Sospirai e lo
sorpassai, recandomi in cucina. ''Se devi andare sai dov'è
la porta'' sputai, perchè non avevo per niente voglia di
mettermi a discutere anche con lui.
Ma proprio quando
Niall stava per seguire il mio consiglio, ancora una volta, qualcun ci
interruppe. Un tornado che scendeva come un pazzò dalle
scale, che sapevo essere Josh Cooper. Era stato in silenzio troppo a
lungo.
Aveva uno scatolo di
biscotti al cioccolato in mano, che probabilmente teneva in camera sua
per i suoi ''spuntini notturni'', e lo allungò a Niall
quando piombò nel salone con un tonfo e vide il suo sguardo
confuso.
''Biscotti?''
domandò sorridendo, inevitabilmente senza maglia.
Fanculo.
Ciao
ragazze c:
Per
la prima volta in vita mia non sono in ritardo, e mi sento
particolarmente soddisfatta ahahhaha
Questo
capitolo l'ho praticamente scritto di getto, esattamente l'attimo dopo
aver pubblicato quello precedente.
Visto?
L'ispirazione ogni tanto si ricorda che esisto ahahaha
E
niente, spero vi piaccia, con tutto il cuore perchè sono
INDECISA al massimo sulle sorti di questa storia.
Ho
una marea di domande che mi ronzano in testa, e TROPPE idee, che vorrei
solo scappare da me stessa lol
Comunque,
ritornando a noi, non credo ci sia molto da dire su questo capitolo: la
prima parte è incentrata su Harry
(che
chi ha letto angels among us conosce meglio come personaggio)
che
decide di lasciar andare Lydia, MA ATTENZIONE. Non lo fa
perchè non la ama, o perchè vuole andare
avanti
anche lui, anzi. Lo fa per lei, e spero di averlo fatto capire: non
vuole farla stare male chiedendole di restare,
perchè
sa che questa volta resterebbe ma starebbe male comunque. Ha un
rapporto di merda, attualmente, con i genitori lol
Comunque
farò meglio luce su questa parte più avanti,
promesso!
Riguardo
Cara e Niall....diciamo che - finalmente- si incontrano in modo
ufficiale (anche se non è un appuntamento, si intende)
e
litigano. Niall è sfrontato, soprattutto dopo la morte di
Ria, e apatico mentre Cara è una donna tosta e che
non
ammette di essere trattata male o con sufficienza. Diciamo che hanno
due caratteri incopatibili, e questo si è capito ahaha
Non
potrebbero mai non litigare, perchè sono gli opposti proprio.
Però....chi
lo sa ahahhaahha
Adesso
smetto di blaterare e vado a mangiare, siccome ho una fame di pazzi.
Spero vivamente, ancora, che
il
capitolo sia di vostro gradimento. Ringrazio le ragazze che hanno
aggiunto la storia nelle
preferite\seguite\ricordate
e per chi mi scrive un pò dappertutto.
GRAZIE
INFINITE.
Mi
farebbe piacere avere un vostro parere, magari in una piccola
recensione di 11 parole. Un bacio xx
Harryette
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