Di rabbia e cicatrici

di Valerie Clark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove facciamo la conoscenza di Quinn ***
Capitolo 2: *** Dove facciamo la conoscenza di Santana ***
Capitolo 3: *** Dove Quinn fa un enorme sbaglio e le restano le cicatrici – prima parte ***
Capitolo 4: *** Dove Quinn fa un enorme sbaglio e le restano le cicatrici – seconda parte ***



Capitolo 1
*** Dove facciamo la conoscenza di Quinn ***


Dove facciamo la conoscenza di Quinn
 
Pioveva forte quella notte di novembre in cui è nata Quinn. La stanza d’ospedale aveva una bella vista sulla campagna, e sua madre, guardando fuori dalla finestra nella speranza di trovare la forza nei raggi del sole, si ritrovava a sospirare perché sua figlia sarebbe nata durante un temporale. Lei, poveretta, non sapeva che quella bambina, i temporali, ce li avrebbe avuti dentro, per tutta la vita. Quando è venuta al mondo, Quinn non immaginava di andare incontro a tristezza e cattiveria, non immaginava di andare in pasto ad una realtà così crudele. Oh, ma ci si sarebbe scontrata presto, con quella realtà, fin troppo presto.
Quinn era sempre stata una bambina indecisa, paurosa e timida. S’imbarazzava per ogni cosa, persino scrivere le faceva paura. E allora prendeva una matita e scriveva, ma non di getto, quello mai; lei creava una lettera alla volta, piano, con indecisione e incertezza. La metà delle volte poi prendeva la gomma e cancellava tutto, per paura che qualcuno potesse trovare i suoi scritti un giorno. A scuola consegnava i test risolti a matita, e nessuno dei suoi insegnanti si era mai preoccupato del perché. A nessuno era mai venuto in mente che quella bimba, che quella ragazza, poteva essere anche la più brava della classe, ma la paura la paralizzava, e, quando questo accadeva, non vedeva più niente.
Quinn era incerta soprattutto per il suo aspetto, e chi non lo è. Aveva paura di cosa avrebbe potuto pensare la gente nel vederla passare. E allora non passava. Aveva deciso di barricarsi in sé stessa, erigendo muri alti e invisibili, attraverso i quali quelle persone che la spaventavano tanto non avrebbero potuto vederla né toccarla.
Era convinta che scrivere con la matita e poi cancellare l’avrebbe portata da qualche parte, al sicuro finalmente.
Si sbagliava. 

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Capitolo 2
*** Dove facciamo la conoscenza di Santana ***


Dove facciamo la conoscenza di Santana
 
Santana è nata in una baracca di un quartiere malfamato, lontano dalla vera città, lontano dalla vera vita. È venuta al mondo senza piangere, senza versare nemmeno una lacrima; chi lo sa, forse a quei piccoli polmoni non voleva dare aria, forse avrebbe preferito non nascere affatto. Ma lei era nata, controvoglia ma era nata.
Da bambina Santana non parlava mai; o urlava o stava zitta. Non piangeva nemmeno, troppo fiera e orgogliosa anche a quattro anni. Ma quando imparò a scrivere fu la svolta. Scriveva senza mai cancellare e quando le facevano notare un errore si arrabbiava e urlava. Ma non cancellava. Mai. Pensava che cancellare una cosa fosse segno di debolezza, e forse, in un certo senso, questa è una convinzione che le è rimasta per tutta la vita. Faceva errori? Andava avanti, voltava pagina, ma non cancellava. Allora cominciò a scrivere solo con la penna, così che anche se avesse voluto, non avrebbe mai potuto cancellare il suo passato.
Ma anche la piccola Santana non era forte come voleva apparire; dietro una corazza dura e alta, ben nascoste, aveva anche lei le sue paure. Solo che non si vedevano, non si potevano mai vedere, perché sarebbe stato segno di debolezza.
Era convinta che scrivere con la penna senza mai cancellare l’avrebbe portata da qualche parte, al sicuro finalmente.
Si sbagliava.

 

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Capitolo 3
*** Dove Quinn fa un enorme sbaglio e le restano le cicatrici – prima parte ***


Dove Quinn fa un enorme sbaglio e le restano le cicatrici – prima parte
 
‘Dimmelo di nuovo, di nuovo, ti prego’ ripeteva la ragazza con il fiato corto.
‘Sei bellessima’ ripeteva lui con le labbra sul suo orecchio.
Avevano solo sedici anni, Quinn e Puck. ‘Puck’, così si chiamava. Era il suo primo amore? No, ma pensava sarebbe stato l’ultimo. Era il migliore amico del suo ragazzo ed era probabilmente la prima persona che sembrava voler abbattere l’enorme muro che Quinn aveva costruito in quegli anni.
Si erano ritrovati entrambi soli, entrambi di notte, al buio, al riparo.
La mattina dopo credevano di essersi amati lì, in quel letto, in quel buio, in quel riparo.
Ma non si erano amati, avevano solo fatto sesso, fatto sesso come due sconosciuti, due sconosciuti di sedici anni, al secondo anno di liceo, avevano fatto sesso come solo due ragazzini potevano fare. Perché l’avevano fatto? Per paura forse, paura non di essere soli ma di essere invisibili; credevano che facendolo sarebbero potuti apparire diversi agli occhi degli altri, forti.
In effetti dopo quella notte non furono più gli stessi, ma a pagarne le conseguenze furono solo loro. 

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Capitolo 4
*** Dove Quinn fa un enorme sbaglio e le restano le cicatrici – seconda parte ***


Dove Quinn fa un enorme sbaglio e le restano le cicatrici – seconda parte
 
‘Ti prego, ti prego, ti prego’ si ripeteva la ragazza, seduta a gambe incrociate sul letto con la testa tra le mani.
Sessanta,      
cinquantanove …
‘Negativo, negativo, voglio che esca negativo’ piangeva.
Cinquantotto, cinquantasette, cinquantasei …
I secondi sembravano essere secoli, sembravano passare lenti come millenni, mentre il suo cuore le batteva veloce in gola.
Cinquantacinque, cinquantaquattro, cinquantatre …
Cosa avrebbe detto in giro, se fosse uscito positivo?
Cinquantadue, cinquantuno, cinquanta …
Cosa avrebbe detto ai suoi genitori, se fosse uscito positivo?
Quarantanove, quarantotto, quarantasette …
Cosa avrebbe detto a Puck, se fosse uscito positivo? E a Finn, il suo ragazzo? E ai suoi amici?
Quarantasei, quarantacinque, quarantaquattro …
‘Lo voglio negativo, lo voglio negativo, negativo’
Quarantatre, quarantadue, quarantuno …
‘Negativo!’ singhiozzava.
Quaranta, trentanove, trentotto …
Come avrebbe fatto con la scuola, se fosse uscito positivo?
Trentasette, trentasei, trentacinque …
Come avrebbe fatto con quel muro che aveva costruito in sedici lunghi anni?
Trentaquattro, trentatre, trentadue …
Come avrebbe fatto a passare inosservata?
Trentuno, trenta …
Avrebbero riso tutti di lei, pensava.
‘No, no, basta pensare’ si diceva chiudendosi le orecchie con le mani e scuotendo la testa; faceva sempre così quando voleva far uscire un pensiero dalla sua testa.
Ma stavolta non funzionava, no, non stavolta.
Stavolta solo un miracolo avrebbe funzionato.
‘Non voglio più pensare’ piangeva con una sigaretta in mano. Sigaretta? Lei non aveva mai fumato prima d’ora.
Ma no, oggi, quando era uscita per comprare quel maledetto test, aveva deciso di comprarsi anche le sigarette, non tante, un pacchetto piccolo; ne aveva bisogno, pensava, per calmarsi, così diceva.
Si portava la sigaretta alla bocca ed aspirava, per calmarsi, consapevole del fatto che lo stava facendo solo perché si odiava, si odiava tanto da volersi vedere morta, morta con quella sigaretta in mano.
Quattro, tre, due …
Ancora non era passato un minuto.
Uno.
Si sentiva alta, leggera, si sentiva volare, volare via da quella stanza, da quel corpo. Si vedeva mentre lasciava cadere la sigaretta per terra e si portava la mano sinistra alla bocca. Si vedeva mentre piano sussurrava, con gli occhi sgranati, ‘Sono incinta’. 

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