Le rose fioriscono per morire

di Delirious Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di rose e pratoline ***
Capitolo 2: *** Di baci notturni e velluto verde ***
Capitolo 3: *** Di desideri e pozioni oscure ***
Capitolo 4: *** Di rose nere e occhi verde veleno ***
Capitolo 5: *** Di Frutta e Piume ***
Capitolo 6: *** Di Sensi di Colpa ***
Capitolo 7: *** Di Confessioni e Ipotesi ***
Capitolo 8: *** Di Punizioni Piacevoli ***
Capitolo 9: *** Di Situazioni Imbarazzanti ***



Capitolo 1
*** Di rose e pratoline ***


Le rose fioriscono per morire

 

 

Le rose si sono svegliate di buon mattino per fiorire
e sono fiorite per morire:
in un bocciolo hanno trovato la Vita e la Morte.

Pedro Calderón de la Barca

 

b Di rose e pratoline a

 

La bambina sbatté la porta con forza e si buttò sul letto.

«Ginevra Molly Weasley, è questa l’educazione che ti ho dato?!» urlò sua madre dal piano inferiore ma Ginny non rispose, si limitò ad affondare di più il viso nel cuscino e a piangere.

E Ginny pianse, pianse così tanto che si addormentò nonostante il petto fosse ancora scosso dai singulti, e quando si svegliò una calda luce dorata entrava dalla finestra della sua stanza, segno che era ormai pomeriggio inoltrato. Tirando su col naso, si stropicciò gli occhi con il dorso della mano e sedette alla turca sul letto, fissando un punto imprecisato della sua stanza. Rimase così per un po’, poi con uno scatto improvviso si svolse verso la testiera e frugò fra il materasso e la rete: estrasse una vecchia piuma sfilacciata, una boccetta d’inchiostro e un vecchio diario tutto logoro, dalla copertina di pelle nera e il nome del precedente proprietario scritto sopra. Con una solennità quasi religiosa, sedette alla scrivania e aprì la boccetta: respirò profondamente il leggero profumo di fragola dell’inchiostro rosa acceso – glielo aveva regalato Bill per l’ultimo Natale e lei lo aveva tenuto in serbo per un uso speciale – quindi lisciò con le dita le pagine ingiallite del diario e intinse lentamente la penna nell’inchiostro.

Tom

La parola fu come risucchiata nell’istante preciso in cui era stata scritta, e al suo posto sbocciarono rose e rami d’edera: il disegno era in bianco e nero, ma così realista da sembrare un dagherrotipo.

Buon compleanno Ginevra!

Ginny si coprì la bocca con le mani, stupita.

Sei l’unico che se n’è ricordato!
E poi non sapevo che disegnavi così bene!

A dire il vero si tratta di un incantesimo: avrei preferito che il bouquet fosse vero, ma a quanto pare sono troppo debole affinché la mia magia abbia effetto oltre le pagine del diario.
Ma che cosa intendevi dire con “Sei l’unico che se n’è ricordato”?

Leggendo quelle parole, Ginny sentì di nuovo gli occhi riempirsi di lacrime: intingendo freneticamente la piuma nell’inchiostro rosa, gli raccontò di come nessuno dei suoi fratelli le avesse fatto anche solo gli auguri di compleanno, di come suo padre si fosse limitato a darle un bacio frettoloso sulla testa prima di andare a lavoro e sua madre le avesse preparato un crumble di mele invece della torta al cioccolato che le aveva promesso. Perfino Bill e Charlie sembravano essersene dimenticati, loro che sei anni prima avevano risparmiato per quattro mesi per regalarle la bambola che tanto desiderava.

Non essere triste, Ginevra: è ancora pomeriggio, giusto?
La giornata non è ancora finita e vedrai che entro stasera i gufi di Bill e Charlie arriveranno.
Su, non piangere che rendi triste anche me…

Scusa tanto Tom, non volevo bagnare le pagine…
Forse hai proprio ragione, in fondo i gufi vengono dall’Egitto e dalla Romania, ci deve per forza volere molto tempo per arrivare.
E quell’incantesimo dei fiori, è difficile?
No, perché quel mazzo di fiori è bellissimo ed è un peccato che resta in una pagina, no?

Non è difficile, anzi, è uno dei primi incantesimi che insegnato a Hogwarts.
Non è pericoloso se lo provi: è lecito che una figlia amorevole desideri offrire dei fiori alla propria madre.
La formula è “Orchideus”.

Ginny fissò le parole che pian piano svanivano, quindi con foga improvvisa aprì il cassetto della propria scrivania e prese la vecchia bacchetta di Charlie: la agitò imitando il movimento di polso che aveva visto fare da sua madre innumerevoli volte, ripetendo l’incantesimo. Margherite e piselli odorosi, fiori di lino azzurri e papaveri rossi, ma quel bouquet di rose e tralci d’edera non aveva alcuna intenzione di materializzarsi.

Uffa, perché non ci riesco?

È normale che le prime volte non si riesca a far comparire neanche una pratolina: ricordo che riuscii solo a fine lezione.

Veramente mi vengono fuori solo fiori di campo, ma io voglio tanto il mazzo che mi hai “regalato”.

Davvero? Allora devi essere molto più abile di molte altre streghe della tua età!
In ogni caso, devi solo visualizzare in ogni minimo dettaglio il bouquet che vuoi ottenere e il gioco è fatto.

E Ginny si esercitò per giorni e giorni, ma tutto quello che riuscì ad ottenere, furono pratoline e rose selvatiche.

 

b { a

 

Note dell’autore

Come annunciato nell’introduzione, questa fanfiction partecipa al contest “E così, con un bacio, io muoio” di Ielma e, per non smentirmi, questa storia è un po’ la gemella di “Inchiostro rosa dall’odore artificiale di fragola”: gli eventi raccontati sono più o meno gli stessi, solo visti dal punto di Ginny e un po' più in dettaglio e non vi nascondo che mi ha rattristato tagliare un dettaglio rispetto alla sua sorella. Inoltre questa volta ho curato particolarmente la parte visiva del racconto, soprattutto per rendere al meglio l'effetto "chattata" del diario e, al tempo stesso, caratterizzare i personaggi non solo attraverso lo stile di scrittura (per Ginny ho cercato di imitare quello di un'undicenne, ma non sono certa d'esserci riuscita) ma anche attraverso i font e i colori utilizzati da ciascuno (anche se per Tom avrei preferito usare lo storico Herman Decanus, ma è un font che non ho installato sul nuovo pc - veramente sono molti i font che devo reinstallare ù.u ...)

Non nascondo che, molto probabilmente, questa storia sarà un po' borderline, dati i personaggi, e forse a prima vista potrebbero anche risultare un po' OOC: per Tom il discorso è semplice, sta solo cercando di accaparrarsi la fiducia di Ginny ed io l'ho sempre immaginato come un ottimo attore; quanto a Ginny... beh, lei è un po' autobiografica, dato che quando avevo la sua età mi presi una cotta per un sedicenne - stendiamo un velo pietoso su quest'elemento, please - per cui nell'ultimo capitolo ho cercato di ricalcare il suo atteggiamento nei controndi di lui sul mio dell'epoca. Gasp! Mi sono appena resa conto che è successo vent'anni fa O.o

 

Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.

 

Cordialmente,

 

D. Rose

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Capitolo 2
*** Di baci notturni e velluto verde ***


Le rose fioriscono per morire

 

b Di baci notturni e velluto verde a

 

Tom era di grande sostegno e conforto per Ginny: lui c’era sempre per lei, a casa come a Hogwarts, durante le lezioni per chiedergli una spiegazione come nel cuore della notte quando non riusciva ad addormentarsi. E Ginny gli raccontava tutto: di come si vergognava quando Fred e George le facevano uno scherzo davanti a tutta la scuola, di come Percy la ignorasse nonostante i loro genitori gli avessero raccomandato di vegliare su di lei, di come invidiava Ron e Hermione che trascorrevano tutto il loro tempo con il famoso Harry Potter, di quanto Draco Malfoy fosse semplicemente odioso o il professore di Pozioni parziale. Delle compagne di dormitorio che, ai suoi occhi, non erano altro che un branco di oche che pensavano solo ai bei vestiti – non che lei non ci pensasse, ma sapeva benissimo che certe cose lei non avrebbe mai potuto averle e che si doveva accontentare di abiti di seconda mano – e di quanto fossero petulanti i maschi del suo anno.

Ginny gli scriveva soprattutto di Harry Potter: di quanto fosse bellissimo, fighissimo, fantastico, magnifico, intelligente, bravo a giocare a Quidditch e con il manico di scopa – quella volta Tom le aveva fatto notare che la frase era un po’ ambigua, ma si era rifiutato di spiegarle perché. Quelle lodi, poi, continuavano con il resoconto preciso di quanti cosciotti di pollo avesse mangiato a pranzo oppure di quello che aveva fatto e detto, raccontando ogni singola emozione che la bambina avesse provato – il desiderio di farsi notare da lui, la timidezza che la assaliva ogni volta che voleva rivolgergli la parola, la paura che un’altra ragazza glielo rubasse. E Tom la ascoltava, spronandola a non tenersi certe cose dentro, perché sfogarsi le faceva bene e l’avrebbe aiutata non solo a vederci chiaro nel proprio cuore, ma anche a trovare il coraggio di realizzare ogni singola fantasticheria che animava la sua immaginazione: perché Ginny gli raccontava anche quello che avrebbe dovuto tenere solo per sé, in fondo non era Tom il suo miglior amico, il suo amico segreto e speciale?

Buonanotte Tom!

Che cos’era quello?
Era forse…
… un bacio?

Beh, sì.
Scusami, ma mi è venuto naturale, ecco. 

Non devi scusarti, sono solo stupito.
In fondo sono trascorsi cinquant’anni dall’ultima volta che ho ricevuto un bacio.

È che mi mancano i baci della buonanotte di mamma e nessuno dei miei fratelli me ne vuole dare uno: Perfect Prefect Percy è sempre impegnato, Ron dice che sono smancerie da bambini e Fred e George è meglio non parlarne, ne approfitterebbero solo per farmi l’ennesimo scherzo.

Tom non rispose a quella spiegazione, tanto che Ginny aspettò un paio di minuti prima di scrivere. Colta da un’improvvisa timidezza che non aveva mai provato nei confronti del ragazzo rinchiuso nel diario, intinse piano la penna nel calamaio e scrisse, quasi tremando:

Se vuoi, ogni sera ti darò un bacio della buonanotte

Sigillò quella proposta premendo di nuovo le labbra contro le pagine ingiallite, chiedendosi che cosa fosse quel leggero brivido che sentiva salire lungo la schiena.

 

b { a

 

La bacchetta, incastrata nel letto, emanava una luce appena sufficiente per illuminare il velluto verde senza che Ginny sforzasse troppo la vista: mordicchiando il labbro inferiore per la concentrazione, cuciva a piccoli punti il vecchio bottone dorato che aveva trovato dai suoi nonni.

«Ahia!» esclamò quando sentì la punta dell’ago infilarsi in un polpastrello e subito allontanò il suo lavoro per evitare di macchiarlo.

Succhiando il dito, aprì appena le tende del suo baldacchino e lanciò un’occhiata al dormitorio: doveva essere almeno mezzanotte e tutti dormivano. Sbadigliò, quindi ripose con cura la sua scatola da cucito e la stoffa, e prese il diario da sotto il cuscino – non poteva non andare a dormire senza aver augurato la buonanotte a Tom. Mentre apriva il diario, lasciò una striscia di sangue sulla pagina ingiallita, che parve berla avidamente: Ginny non ci fece caso, anche se la prima volta che era successo si era spaventata. 

Il vestito per la festa di Halloween non è ancora finito? 

Ginny sorrise orgogliosa mentre scriveva: 

Quasi: mi restano ancora i bottoni alle maniche e applicare il pizzo sulla gonna.
Se tutto va bene sarà pronto la prossima settimana.
Però è un peccato che non insegnano più Magia Domestica: sai, mi piacerebbe saper fare l’incantesimo del cucito o dell’uncinetto come mamma, così potrei farmi tutti i vestiti che vorrei! 

E come faresti con la stoffa? 

Ginny lesse corrucciata la domanda. 

Non esiste un incantesimo per crearla? Un po’ come quello per la farina che usa mamma quando cucina.

La magia non può creare nulla dal nulla: tua madre, semplicemente, evoca la farina direttamente dal pacchetto.
Tuttavia ci sono alcuni incantesimi che possono essere usati per ingrandire uno scampolo o cambiarne il colore: se non ricordo male, fanno parte del programma del secondo anno ma forse in cinquant’anni le cose sono cambiate.
E sei davvero ammirabile, Ginevra: non solo riesci a studiare e a cucire il tuo vestito, ma riesci anche a trovare un po’ di tempo per fare due chiacchiere con me!
Che ore sono? 

Ehm… tardi. 

Tardi o tardi tardi? 

Per Merlino, non ti arrabbiare!
Penso che sia almeno mezzanotte…

Ah, la pendola della Sala Comune ha appena suonato una volta! 

È l’una, oppure qualcosa e mezzo.
Ginevra, sono toccato dalla tua dedizione, ma adesso dovresti andare a dormire: domani avrai Pozioni e non vogliamo che il Professor Snape ti tolga dei punti perché sei troppo stanca per seguire le lezioni, giusto?

Ginny scosse la testa vigorosamente, mentre scriveva un “NO!” a caratteri cubitali.

 

b { a

 

Note dell’autore

Su questo capitolo non ho granchè da dire, perché credo che la situazione e le dinamiche fra Ginny e Tom sono chiare come la luce del sole, soprattutto da parte di lui.
Mi è parso evidente che Ginny sia capace di cucirsi indumenti di una certa complessità - magari partendo da vecchi indumenti di parenti vari ed eventuali - per cui ho giocato un po' su questo: capita, cucendo, che ci si punga e che, quindi, Ginny abbia toccato il diario con le dita ferite, e se consideriamo che il sangue è generalmente associato alla forza vitale di una persona, potete ben immaginare in che modo Tom lo possa accogliere. Idem con patate per il bacio che Ginny dà al diario!Tom, ma l'analisi più dettagliata e approfondita ve la riservo per uno dei prossimi capitoli.

Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.

 

Cordialmente,

 

D. Rose

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Capitolo 3
*** Di desideri e pozioni oscure ***


Le rose fioriscono per morire

 

b Di desideri e pozioni oscure a

 

Vorrei incontrarti Tom.
Di persona, non in un tuo ricordo.

Ecco, lo aveva scritto infine il desiderio che da qualche settimana monopolizzava la sua mente, perfino più del primo bacio con Harry Potter. Lo aveva voluto incontrare fin dalla prima volta che Tom l’aveva fatta entrare nel diario e le aveva mostrato i suoi ricordi – gli aveva chiesto una spiegazione di Trasfigurazione e lui aveva evocato quella medesima lezione, solo insegnata da un Professor Dumbledore più giovane, e le aveva permesso di rivedere quell’episodio del suo primo anno fino a quando Ginny non avesse perfettamente capito la spiegazione.

Ginevra, hai un’idea di quello che stai chiedendo?

Quelle parole le fecero paura, e si domandò se non avesse chiesto troppo al suo amico speciale: che cosa sarebbe accaduto se anche Tom avesse iniziato a prenderla per una bambinetta come Percy e Fred e George e Ron? Sentendosi il cuore in gola e le prime lacrime bagnarle le ciglia, scrisse cercando di non tremare:

È… impossibile?

No, non è impossibile ma difficile… pericoloso.
Per raggiungermi dove mi trovo, abbisogni di una pozione oscura.

Sospirò sollevata, perché sapeva che non lo aveva perso, il suo amico speciale. Si sentì pungolare da un orgoglio inaspettato, da una piccola vanità che poteva concedersi senza remore, poiché sostenuta da un dato di fatto.

Non ho paura delle pozioni oscure: ho sempre aiutato mamma a preparare quella per le lumache carnivore e l’ultima volta l’ho fatta tutta da sola!
Non ho dei buoni voti solo perché il Pipistrello Untuoso è oscenamente parziale!

La difficoltà non è il procedimento (anzi, lo definirei banale: non bisogna neanche aspettare chissà quale congiunzione astrale per farla), bensì gli ingredienti.
Tu sei al primo anno e alcune delle piante necessarie si trovano nella serra sette, quella in cui solo gli studenti del corso di Erbologia Avanzata hanno il permesso di accedervi.
Inoltre è necessario avere un’autorizzazione del Ministero della Magia per utilizzare gli ingredienti che troveresti in uno dei ripostigli dell’aula di Pozioni.

Beh, tu mi puoi spiegare lo stesso come farla, no?
E poi non sottovalutarmi, Tom: sono o non sono la sorella dei gemelli Weasley?

b { a

 

Ho finito il vestito!
E, se la pozione per venire a trovarti dev’essere blu opalescente, allora ho finito anche quella!

Ginny si sentì fiera di se stessa, mentre scriveva quelle parole, come non lo era mai stata in vita sua, neanche quando era stata smistata in Casa Griffyndor.

Sì, il colore è quello.
Ma non mi avevi detto che eri riuscita a trovare tutti gli ingredienti!

Eh eh… volevo farti una sorpresa!
Però ho dovuto tralasciare il vestito per una settimana.

Ginevra Molly Weasley, sono… senza parole: non era una pozione anodina, quella! Come ti senti? Ti gira la testa? Intontita? Hai vomitato o ti è uscito del sangue dal naso? Te ne prego, dimmi di no o mi sentirei davvero in colpa perché ti ho permesso di fare qualcosa di molto, molto pericoloso!

Lei ridacchiò appena, sentendosi avvampare dall’orgoglio e dalla preoccupazione che sentiva trasparire dalle parole di Tom: la faceva sentire felice, importante e fiera di se stessa. Una parte di lei avrebbe voluto che quelle parole gliele dicessero i suoi genitori oppure i suoi fratelli, anche se era certa che, se avessero saputo della sua impresa, le avrebbero fatto una ramanzina e messa in punizione per un mese.

“Sono piccola, mica scema!” si disse, ripensando a com’era riuscita a intrufolarsi nella serra sette o a forzare il ripostiglio dell’aula di Pozioni senza farsi scoprire. Solo Hermione l’aveva guardata un po’ sospettosa, quando le aveva chiesto di insegnarle l’incantesimo Testabolla: Tom aveva riempito più di mezza pagina, dicendole che non doveva assolutamente respirare i vapori della pozione fino a quando non fosse stata pronta, e lei aveva riempito l’altra metà, giurando e promettendo che sarebbe stata attenta e che avrebbe buttato tutto se il colore o la consistenza non fossero state quelle giuste.

Sto bene, non preoccuparti
E poi avevo chiesto a Hermione di insegnarmi l’incantesimo Testabolla per non respirare i vapori.

Uff, mi hai fatto perdere 10 anni di vita, sai?
In ogni caso, dove hai nascosto la pozione? Perché se qualcuno la trova, saresti in guai seri.

L’ho fatta in un bagno del secondo piano, quello di Moaning Myrtle: nessuno ci va perché è infestato.

Myrtle? Myrtle Lafontaine?
Non dirmi che il suo fantasma è ancora a Hogwarts!

La… conosci?

Chi non la conosceva quella povera ragazza?
Una storia tanto triste quanto brutta: i suoi genitori pensavano che sarebbe stata al sicuro dalla guerra Muggle, e invece…
Ma perché ti racconto certe cose? Non ho alcuna voglia di farti venire gli incubi stanotte.

Ehi, guarda che le storie di fantasmi non mi fanno paura!

Ginevra, questa non è una storiella gotica da raccontarsi durante un campeggio estivo, ma un fatto di cronaca che ha rischiato di far chiudere la scuola se il colpevole fosse stato trovato e punito.

Non sono una bambina! Ho già undici anni, io!

Sì che lo sei.
Hai solo undici anni, hai ancora il profumo di un’infanzia felice addosso: lo so dal modo in cui mi racconti le tue giornate, dalle parole che usi.
Perfino quest’inchiostro rosa dall’odore artificiale di fragola mi parla d’infanzia e innocenza: non credi che sia lecito, da parte mia, fare il possibile per proteggere tutto questo dalla bruttura del mondo?
Non credi che sia lecito il mio desiderio di salvaguardare qualcosa che non ho potuto conoscere?
Non credi che sia lecito il voler vederti crescere in modo armonioso, senza metterti fretta e sostenendoti nelle prove che ti aspettano?
Io non ho mai conosciuto i miei veri genitori, i responsabili e gli altri bambini dell’orfanotrofio erano orrendi con me perché ero “diverso”, sono stato costretto a crescere troppo in fretta, in tempi di guerra per giunta, per cui vorrei evitare di sbatterti in faccia la bruttura della vita.
Come se fosti la sorellina che non ho mai avuto.
Perché adesso è questo che sei per me: un membro di quella famiglia che non ho mai avuto.

Ginny trattenne un singulto: erano parole che facevano un po’ male, quelle, ma allo stesso tempo le dimostravano quanto Tom tenesse a lei, molto più di Percy e Fred e George e Ron. Perché quella era la prima volta che Tom le raccontava qualcosa di quando era piccolo senza che lo pregasse, e il tono delle sue parole era così acceso che le era parso di percepire una sorta di disperazione nella testa mentre le leggeva. Sentì qualcosa pungerle in petto, mentre quelle parole sbiadivano lentamente.

Ti sei offesa?

La calligrafia di Tom, solitamente precisa ed elegante, sembrava esser stata scritta con esitazione.

No, non mi sono offesa.
Anzi, sono io che ti devo chiedere scusa.

«Scusa tanto, non volevo farti arrabbiare,» mormorò piano, mentre premeva le labbra contro le pagine ingiallite del diario con tutte le sue forze.

 

b { a

 

Note dell’autore

Due parole sulla famigerata serra sette.
Questa è la serra in cui, dalla prima metà dell'Ottocento, sono coltivate tutte le piante non solo necessarie per delle pozioni oscure, ma che soprattutto sono utilizzate a scopi divinatori e che, quindi, necessitano di particolari autorizzazioni da parte del Ministero: durante gli anni '60 e '70, causa alcuni scandali, gli incantesimi di protezione su questa serra sono stati rinforzati - ma non è da escludere che alcuni alcuni allievi dell'ultimo anno compiacenti continuino tali pratiche. Idem con patate per quanto riguarda il ripostiglio in questione.
Per questa parte mi sono semplicemente ricollegata all'uso che, storicamente, avevano le sostanze psicotropiche nello sciamanesimo e nella divinazione e, di contrappeso, a quello delle foglie di coca da parte delle popolazioni dell'America del Sud: in quest'ultimo caso, l'uso è concesso a queri rarissimi Veggenti i pui poteri sono talmente forti da rendere loro impossibile una vita normale e l'autorizzazione viene concessa dopo previa ispezione congiunta del Dipartimento dei Misteri e di alcuni specialisti del San Mungo, che rilasciano le prescrizioni con le dosi concesse - aggiornabili ogni due o tre mesi nei "casi" più gravi. L'uso a scopo divinatorio di whisky di Sybil Trelawney non è, ovviamente, contemplato XXDDD
Tralasciando la viscidità di Tom nel non-proporre un tale intruglio a una bambina di undici anni, voglio precisare che questa non è necessaria per il suo fine ultimo: è, semplicemente, un catalizzatore della sua possessione di Ginny. Inoltre, nonostante tutto il suo bla bla sul fatto che vuole proteggerla è una sceneggiata magistralmente interpretata, tengo a precisare che la sua "fierezza" è sincera: come ha precisato, non era affatto semplice procurarsi quegli ingredienti. Basterà questo a cambiare la sua opinione su Ginny? No, ovvio che no.
Bene, e con il prossimo capitolo raggiungeremo il climax della storia e, soprattutto, la consegna prima del contest per il quale ho scritto questa storia.

Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.

 

Cordialmente,

 

D. Rose

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Capitolo 4
*** Di rose nere e occhi verde veleno ***


Le rose fioriscono per morire

 

Un baiser, mais à tout prendre, qu'est-ce?
Une façon d'un peu se goûter, au bord des lèvres, l'âme!

"Cyrano de Bergerac", Edmond Rostand

 

b Di rose nere e occhi verde veleno a

 

Tom…

Non dovresti essere in Sala Grande per la festa di Halloween?

È stata tutta fatica sprecata: i soldi risparmiati per comprare quel bel velluto, le ore di sonno perse per cucirlo… tutto buttato alle ortiche!

Ginny non si premurò neanche di asciugarsi le lacrime, che caddero sulle pagine ingiallite del diario.

Harry… Harry non verrà alla festa…

Gli raccontò di come aveva trascorso buona parte del pomeriggio per prepararsi, a stirare il vestito con cura affinché non avesse neanche una piegolina fuori posto e a incerarsi le scarpe affinché fossero talmente lucide da sembrare nuove; oppure di come avesse lasciato Audrey, una sua compagna di dormitorio, acconciarle i capelli e metterle un’idea di lucidalabbra. Quando era arrivato il momento di andare in Sala Grande, ecco la scoperta: Ron, Hermione e soprattutto Harry non avrebbero partecipato alla festa. Aveva usato la prima scusa che le era venuta in mente per tornare in dormitorio e rifugiarsi nel proprio letto.

Sono davvero costernato, Ginevra, dopo tutto l’impegno che hai messo in quel vestito che, ne sono certo, ti starà d’incanto.
E sono costernato di non poterti offrire altro che un po’ d’inchiostro su un foglio di carta ingiallita per consolarti e cercare di tirarti su di morale.

Ginny sorrise amaramente, tirando su con il naso.

Potrei usare la pozione per venire da te, no?
Lo so, lo so, mi avevi detto di non usarla con leggerezza, però…
Solo per questa volta, Tom…

Tom non rispose, non subito.

Va bene, ma bevine solo un sorso piccolo piccolo: te l’ho detto, che può dare dipendenza.
E non dimenticare che, una volta finito l’effetto, potresti sentirti stordita o addirittura perdere i sensi per un’ora o due.
Ma prima di berla promettimi che, se domani non ti sentissi bene, andrai in Infermeria.

Promesso.

Con una certa trepidazione, Ginny frugò fra il materasso e la rete del suo letto ed estrasse una bocchetta in cui nuotava un liquido blu pavone dai riflessi opalescenti – era solo una piccola parte della pozione, il calderone lo aveva ben nascosto in uno dei cubicoli del bagno al secondo piano. La pozione aveva un sapore amaro ma non sgradevole, un po’ come il liquore alle erbe che una volta Fred e George le avevano spacciato per una bevanda Muggle e, per i primi minuti, non accadde nulla: Ginny intinse la penna nel calamaio per scrivere che la pozione non funzionava ma, non appena le sue dita sfiorarono le pagine ingiallite del diario, fu colta da un’improvvisa vertigine. Si sentiva come una foglia in balia del vento e che volteggiava in spirali sempre più alte, tanto che chiuse gli occhi per non avere l’impressione che la stanza girasse intorno a lei. E infine, ebbe l’impressione di cadere da una considerevole altezza.

“Farà male? Morirò?” pensò mentre cadeva e l’aria attorno a lei assumeva un odore di chiuso, di pagine umide e d’inchiostro vecchio.

Due mani la afferrarono fra le ascelle e la vita, accompagnando la sua discesa fin quando non sentì qualcosa di solido sotto i piedi: fu solo allora che Ginny ebbe il coraggio di aprire gli occhi. Sapeva che il ragazzo davanti a lei era Tom, lo aveva visto nei suoi ricordi, eppure ebbe l’impressione d’incontrarlo per la prima volta: era alto, quasi quanto Bill, con i capelli neri come l’ala di un corvo e ben pettinati come quelli di Percy, l’uniforme e la tunica erano palesemente di seconda mano ma raccomodati per calzare a pennello e perfettamente stirati. Fu soprattutto il suo volto a privarla della parola, un volto dai lineamenti alteri, simili a quelli che avrebbe dovuto avere il Principe Azzurro di Biancaneve, belli come quelli di certi giovanotti sulle riviste o gli attori sulle locandine dei film Muggle. E gli occhi verdi: non un verde chiaro e limpido come gli occhi di Harry Potter, ma un colore più scuro e incerto, come alcuni muschi e licheni del sottobosco, come le alghe abbandonate dalla marea sulla riva, come lo stagno delle carpe nel giardino della zia Muriel, come la pozione per le lumache carnivore che preparava con la mamma. Ginny non sapeva dire se quel colore le piaceva, ma si sentiva attratta da quegli occhi come se fossero la stanza proibita di Barbablù.

«Ti ho chiesto se ti senti bene, Ginevra.»

La voce di Tom la riscosse da quella fascinazione – non era proprio come se l’era immaginata – e lei annuì appena, abbassando lo sguardo colta da un’improvvisa timidezza: fissò i propri piedi senza dire una parola e sentì, più che vedere, Tom inginocchiarsi davanti a lei.

«Ne sei sicura?»

Ginny non rispose, si limitò a gettarsi al suo collo e a piangere tutta la sua rabbia, la sua delusione per quella festa di Halloween rovinata: sentì Tom trattenere il respiro e irrigidirsi, e si disse che l’esitazione con cui aveva ricambiato il suo abbraccio era frutto del fatto che non incontrava qualcuno da cinquant’anni. Tom la lasciò sfogare, cullandola leggermente e accarezzandole i capelli, poi la allontanò da sé e, evocato un fazzoletto, le asciugò gli occhi.

«Basta adesso, con le lacrime non risolvi nulla e, soprattutto, ti stancano: devo forse rammentarti che sei sotto l’effetto di una pozione oscura e che non puoi permetterti di sprecare energie in questo modo?»

«Sei… arrabbiato con me?»

«No, non con te, ma con quello stupido di Harry Potter che ti ha fatto piangere.» Il suo tono era bonario, certo, ma un po’ seccato. Le prese la mano e la guidò verso il fainting couch in noce e cuoio verde, l’unico oggetto presente in quel non-luogo, e aggiunse: «Stenditi un po’ e riposati. E scusa se non ho molto da offrirti: diciamo che sono parecchi anni che non ho avuto… ospiti.»

Così dicendo, spostò le pile di libri che ingombravano il divano e la aiutò a stendersi: Tom rimase in piedi e la guardò come se stesse studiando ogni singolo dettaglio del suo volto e della sua persona, con un’intensità tale che Ginny si sentì denudata.

«Da come ti eri descritta, t’immaginavo diversa.»

Ginny si sentì avvampare per l’imbarazzo e abbassò gli occhi sul pizzo che ornava il bordo della gonna.

«Sei… deluso?»

«Sei bella come un bocciolo di rosa che aspetta solo di fiorire.» Le parole di Tom erano inattese e cariche di una sincerità straziante. Il ragazzo si chinò su di lei, appoggiandosi allo schienale e fissando gli occhi verde incerto in quelli castagna di lei. «Anzi, sei bellissima Ginevra, mio bocciolo di rosa,» aggiunse sfiorandole la fronte con le labbra tumide.

Non era la prima volta che Ginny riceveva un bacio sulla fronte, né sarebbe stata l’ultima, eppure quel semplice contatto la fece sentire strana, come se avesse nel ventre un calderone in cui sobbolliva una pozione e che il suo cuore perdesse un battito o due.  Tom si allontanò un po’ e rimase chino su di lei, sovrastandola con la propria presenza.

«Non hai ancora cenato, giusto?» Un brontolio dal ventre della bambina riuscì a far sfuggire una risatina dalle sue labbra. «A quanto pare abbiamo fame, eh? Posso rimediare.»

Detto questo, il ragazzo si rizzò e l’aria intorno a loro vorticò, fino a diventare una stanza in cui degli studenti vestiti a maschera ridevano e chiacchieravano e ballavano: Tom raggiunse un tavolo e tornò con dell’arrosto, un paio di yorkshire pudding, dei sandwich al cetriolo e una fetta di torta al cioccolato. Ginny lo ringraziò con insolita timidezza e masticò un boccone di carne, storcendo appena le labbra.

«Devi mangiare, mio bocciolo di rosa, anche se non è granché: non è prudente assumere certe pozioni a stomaco vuoto,» insisté lui, forzando un sandwich nella bocca di Ginny, come faceva sua madre quando era piccola e non voleva mangiare.

«Sa un po’ di carta…» si giustificò lei, dopo aver ingoiato il boccone e aiutando il tutto a scendere con il succo di zucca che lui le aveva portato.

«Lo so e me ne spiace, ma dopo cinquant’anni non ricordo molto bene che sapore avesse il cibo.»

«Allora la prossima volta porto io da mangiare, così potrai ricordare meglio! Dimmi Tom, quali sono i tuoi piatti preferiti?»

«Io non… all’orfanotrofio mi hanno abituato a mangiare di tutto, per cui potresti portare quello che vuoi.»

Un silenzio imbarazzato calò fra loro, interrotto solo dal ricordo della musica e delle risate: Ginny strinse la gonna con i pugni, mordicchiandosi il labbro, quindi si alzò dal divano con un saltello e fece una piroetta.

«Non mi hai ancora detto se il vestito ti piace,» disse nel tentativo di cambiare argomento, mentre il velluto ricadeva attorno alle sue gambe.

Tom la osservò con occhio critico, quindi rispose: «È molto carino e quel punto di verde ti dona molto, fa risaltare il colore dei tuoi capelli, però… la gonna non è un po’ corta?»

«Corta?» Ginny la osservò corrucciata. «No, l’ho fatta sopra il ginocchio, mi sono regolata sulla lunghezza di quella dell’uniforme.»

«Perdonami, è che ai miei tempi sarebbe stata considerata sconveniente: quando ero a Hogwarts, la lunghezza regolamentare era sotto il ginocchio. I tempi devono essere proprio cambiati. Voglio comunque fare onore al tuo vestito ma non qui: vorrei offrirti un ricordo davvero speciale.»

L’aria intorno a loro tremò come se fosse un’afosa giornata d’agosto, e la stanza lasciò il posto a un gazebo di marmo e ferro battuto, circondato da null’altro che il cielo stellato e il mare. Tom la prese per mano e la condusse al centro del gazebo, quindi estrasse la bacchetta e, puntatala contro la cupola e disegnando un arco immaginario, mormorò: «Orchideus

Tralci di rose rampicanti si avvilupparono intorno ai pilastri e alle volute di ferro nero, riempiendosi di foglie e boccioli scuri.

Ginny ammirò quello spettacolo estasiata, il naso in su e la bocca spalancata. «Wow…» mormorò, «È bellissimo, Tom.»

«Ed è solo per te che ho creato questo luogo, Ginevra. Sai quel bouquet che ti volevo regalare per il tuo compleanno? La varietà di rose cui pensavo era proprio questa… attenta!» L’avvertimento era arrivato un istante troppo tardi perché Ginny, nel voler cogliere un bocciolo, si era punta: Tom le prese la mano delicatamente e osservò la ferita prima di pulirla con un fazzoletto. «Le rose Cherna sono splendide quando sono in fiore, ma hanno anche le spine pericolose come un rasoio: ai miei tempi, rubarne una dal roseto della scuola senza ferirsi era un modo con cui i ragazzi dichiaravano i propri sentimenti all’amata.» Poi alzò la testa e osservò la cupola. «La mia magia non è abbastanza forte da farle fiorire, a questo ci devi pensare tu, mio bocciolo di rosa.»

«Io? E come?»

«Continua a scrivermi di te, delle tue giornate, dei tuoi sentimenti e dei tuoi sogni: la magia del diario trasformerà le tue parole in nutrimento per queste rose e, piano piano, le vedremo fiorire.»

«Allora ti scriverò ancora di più, anche a pranzo e a cena, anche durante le lezioni! Immagino già come sarà splendido quando tutte queste rose saranno sbocciate!» Ginny lo guardò entusiasta, afferrandogli entrambe le mani e coinvolgendolo in un girotondo che le diede la vertigine, quindi lo tirò a sé leggermente e si protese sulla punta dei piedi. «Ti voglio bene Tom!»

Ginny aveva voluto semplicemente dargli un bacio sulla guancia, come aveva sempre fatto con Bill e Charlie, e forse Tom aveva voluto semplicemente ricambiare quella dichiarazione d’affetto: la cosa certa era che entrambi furono stupiti e sorpresi di sentire le labbra dell’uno su quelle dell’altra. Si fissarono con gli occhi sgranati e poi, lentamente, Ginny chiuse gli occhi.

In un attimo che parve distendersi nell’infinito, Ginny si chiese se fosse giusto baciare qualcuno che non fosse il suo adorato Harry Potter, se quel gesto venuto quasi per caso equivalesse a un tradimento della peggior specie. Un dubbio, un sospetto s’insinuò nella sua mente: e se in quelle ultime settimane si fosse innamorata di Tom, senza che se ne rendesse conto? Sì, doveva essere così, perché Tom era sempre premuroso nei suoi confronti, sempre disposto ad aiutarla e a sollevarle il morale, proprio come il Principe Azzurro delle fiabe: doveva essere per quel motivo che si era sentita imbarazzata quando lo aveva visto, molto più imbarazzata di quando Harry le diceva buongiorno.

Sentì lo strano brivido che provava ogni volta che baciava le pagine ingiallite del diario, solo più intenso, più travolgente, come se tutto il suo corpo fosse percorso da un’onda di marea viva. Il fremito saliva lungo la schiena e i fianchi, si annodava nel basso ventre e nella bocca dello stomaco, si accumulava nel petto facendo battere ancora più forte il suo cuore, mentre una parte di lei si chiese se anche Tom avesse lo stesso sapore di carta dei sandwich che le aveva offerto. Lo sentì irrigidirsi e trattenere il respiro, esitare su cosa fare: Ginny fu pervasa dalla paura di un rifiuto e poi si sentì sciogliere di gioia quando Tom ricambiò il gesto, inspirando un po’ più forte come se volesse inghiottire tutto l’affetto che lei gli aveva offerto da quando avevano iniziato a conoscersi, tutto l’affetto che gli stava offrendo in quel momento. Tom fece scivolare le proprie mani dalle sue per cingerle la vita e affondare le dita sottili fra i suoi capelli, stringendola a sé con la stessa forza disperata con cui un naufrago si aggrappa a un relitto.  

Ginny non poté fare a meno di chiedersi che cosa avesse provato quella ragazza che sorpreso baciarsi con Percy, poco meno di due settimane prima: anche lei aveva sentito quel calore che saliva dal basso ventre alle guance? Anche lei si era sentita la testa leggera e il cuore in subbuglio? Anche lei si era ubriacata del profumo di suo fratello, proprio come l’odore di acqua di colonia e inchiostro vecchio di Tom, che la avvolgeva quasi soffocandola? Anche lei si era sentita come una rosa che, non ancora completamente sbocciata, offriva nettare e polline a un insetto meraviglioso? Anche lei aveva cercato di fondersi in lui e con lui, come se tutta la sua esistenza fosse in funzione dell’attimo che stava vivendo? Anche lei aveva anelato di più, molto di più e ancora di più da quel contatto febbricitante, necessario, indispensabile? Anche lei aveva desiderato che quell’istante si prolungasse nell’eternità, infinito?

La sua testa iniziò a turbinare come se fosse una foglia in balia del vento, la sua coscienza iniziò a scivolare in un dolce oblio mentre l’abbraccio e le labbra di Tom si perdevano nell’eco di un sogno: eppure, proprio il quel momento Ginny ebbe la certezza che alcuni boccioli, quelli più vicino a loro, avessero iniziato a schiudersi, spandendo nell’aria il loro profumo di miele e pepe che, come quello dei gigli bianchi, faceva girare la testa.

 

 

 

 

Ginny ignorava che la via d’uscita passava per le sue labbra.

 

b { a

Note dell’autore

Biancaneve: non ho scelto questa fiaba a caso, perché, per citare Morohoshi Daijirou, “Biancaneve è la storia di una ragazza che muore e torna in vita tre volte, di un principe necrofilo che cerca di comprare il suo corpo, e una scena di tortura finale in cui la regina cattiva è uccisa con delle scarpe di ferro arroventate”.
Barbablù: anche in questo caso, non è un caso, anche se più che il tema della curiosità punita, bisogna considerare quello della tentazione e dell’attrazione per il proibito.
Rosa Cherna: varietà di mia invenzione – cherna significa “nero” in bulgaro – e caratterizzata da petali neri, profumo simile a quello del giglio bianco e rami crivellati di spine. La storiella sugli innamorati, Tom se l’è inventata di sana pianta.
La citazione iniziale è tratta dalla tirade de "Il bacio di Rossana" tratta dal "Cyrano" di Rostand, e che può essere tradotta con: Un bacio, in fondo, che cos'è? Un modo per un po' assaporare, a fior di labbra, l'anima!
Per quanto riguarda il colore degli occhi di Tom: io li ho sempre immaginanti verdi, per essere precisi di quella tonalità che il mio maestro di acquerello definiva glauque – inteso non come glauco, ma quella tinta borderline fra il verde e il marrone, tant'è che trovo sia uno dei colori più difficili da miscelare – e che nelle mie storie definisco verde veleno. Evito di snocciolarvi tutta la simbologia ambigua legata a questo colore.

Un’altra cosa che tengo a precisare, nonostante parlarne mi farà andare fuori traccia e che serve a dissezionare perché Ginny si mostra intraprendente, nonostante quello fosse il suo primo bacio. Non ho voluto sviluppare il tema del bacio in quanto espressione romantica dei sentimenti fra due persone di sesso opposto, piuttosto mi sono rifatta alla sua funzione arcaica di nutrimento legata alla pratica della premasticazione, che poi ha dato origine all’uso del bacio così come lo conosciamo e pratichiamo oggigiorno. Nella storia, il cibo è sostituito dalla forza vitale e dalla magia con cui Ginny, seppur inconsciamente, nutre Tom e quindi rendendo il bacio molto più efficace del semplice scrivere nel diario. Inoltre, tale contatto agevola Tom nel suo prendere possesso della volontà e del corpo di Ginny, fungendo da catalizzatore e dando il via a un effetto domino che culminerà nella Camera dei Segreti – come Tom esplicita ne “Inchiostro rosa dall’odore artificiale di fragola”, Ginny lo ha ingozzato di vita e forse sarebbe stato meglio se le cose fra loro fossero andate con più calma.

Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.

 

Cordialmente,

 

D. Rose

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Capitolo 5
*** Di Frutta e Piume ***


Le rose fioriscono per morire

 

 

b Di Frutta e Piume a

 

La bambina aprì lentamente gli occhi, fissando il baldacchino del letto come se lo vedesse per la prima volta. Sollevò a fatica una mano e flesse le dita, per sincerarsi d’essere capace di usarle. sedette con difficoltà, inghiottendo aria più che respirare. Era fredda, polverosa quanto bastava a pizzicare il naso, e aveva un odore di legno bruciato e profumo di scarsa qualità. Entrava attraverso la bocca, le accarezzava la gola per dissolversi nei polmoni—usciva calda, carica di umidità.

Le cuciture del vestito le davano un certo prurito in alcuni punti, e la lana delle calze era ruvida contro la pelle. Il velluto verde, invece, era morbido e soffice, piacevole sotto i palmi delle mani.

Pose i piedi per terra, ebbe una vertigine tale che dovette appoggiarsi a una colonnina di legno scolpito. Un vuoto le attanagliò lo stomaco con un brontolio crudele.

Fame.

Quando era stata l’ultima volta che aveva provato la fame?

Si guardò intorno, cercando qualcosa—qualsiasi cosa—che avrebbe potuto assopire quella sgradevole sensazione quasi dolorosa. C’era della frutta su una toletta, vicino la grande psiche al lato opposto della stanza.

Quando sentì le proprie gambe abbastanza forti da reggerla, accennò qualche passo. I primi furono incerti, traballanti, come quelli di un infante che impara a camminare, ma lentamente assunsero sicurezza e divennero decisi, lenti, come quelli di un lupo in imboscata.

Sul piatto c’era una mela sbucciata e imbrunita, due arance, e dei fichi dalla buccia violetta liscia e intatta e dal picciolo sodo. Ne prese uno, assaporando la morbidezza del frutto turgido come un sesso pronto all’amplesso. Premé con le dita, delicatamente; la fessura creatasi rivelò una polpa di un rosso intenso e carnoso, cosparsa di piccoli acheni e lucida di nettare.

Avvicinò il frutto alle labbra, fremendo le narici al suo profumo sciropposo e rassicurante. Scorse la lingua sulla polpa, lambendo l’icore zuccherino, mentre gli acheni la solleticavano. Morse il frutto socchiudendo gli occhi, godendo dell’aroma fruttato e cremoso che gli invadeva la bocca e il naso—la succosità della polpa—la croccantezza degli acheni. Masticò con languore; deglutì con un leggero mugolio di piacere. Si terse il mento e l’angolo delle labbra con il pollice—suggette il nettare dalle dita.

La bambina colse il proprio riflesso nello specchio.

Osservò la propria figura con la solennità di un giudice sul punto di pronunciare una condanna a morte.

Fece scorrere le dita umide sul viso, sulle labbra appiccicose di fico e lucidalabbra, lungo il collo, sulle clavicole esposte dallo scollo a barchetta, con la leggerezza delle foglie morte e con una sensualità che non le poteva appartenere, indugiando sui seni in boccio che a malapena riempivano i suoi piccoli palmi. Fissò lo sguardo nei propri occhi. Occhi che non erano color delle castagne, occhi che non potevano essere di Ginny, perché erano di un verde putrido, marcio, con la qualità liquida di un veleno mortifero e una luce maligna e malevola.

«Una bambina», sibilò con disprezzo e con una voce che era e non era la sua.

Non poteva indugiare oltre. Non aveva idea di quanto tempo avesse a disposizione e di certo era stato stupido ad indulgere nei propri piaceri.

Ma come avrebbe potuto fare altrimenti? Era la prima volta in cinquant’anni che era circondato da altri odori che non fossero carta e inchiostro—che sentiva il caldo e il freddo, uno spiffero che drizzava i peli sulla pelle esposta—che assaporava del cibo vero.

No, non doveva lasciarsi distrarre. Era sempre stato fiero del proprio autocontrollo, non era il momento di lasciarsi andare. Era solo stato colto di sorpresa da quelle sensazioni.

«Una bacchetta.»

Trovò subito quella della bambina, vicino al diario. La strinse, percependone la magia lambirgli la mano, riconoscendo il tocco con esitazione, come se la bacchetta avesse percepito qualcosa di alieno nella sua padrona.

«Ostentempora

Sulla punta della bacchetta apparve un quadrante, con le lancette che segnavano le sette e trentadue. Sbuffò, avvolgendo un mantello attorno alle spalle e nascondendo il diario nella tasca interna. Si bloccò non appena strinse la maniglia; tornò indietro e individuò la boccetta di pozione fra le pieghe della coperta. Vi puntò la bacchetta contro, focalizzando la sua attenzione sul liquido blu pavone.

«Evanesco

Gli infastidiva dover sprecare dell’ottima pozione, ma aveva dovuto imparare a essere prudente. Tanto che, quando il rumore delle scarpe non fu attutito più dai tappeti del dormitorio, eseguì un incantesimo di occultamento sulla propria persona. Non lo avrebbe nascosto completamente, ma fintanto che si fosse spostato d’ombra in ombra, nessuno di sarebbe accorto di lui. Scivolò fuori la Sala Comune, lo sguardo fisso sul gruppo di studenti che si passava una bottiglia davanti al camino; poi seguì un vecchio percorso di ronda che gli avrebbe evitato di perdere tempo con le scale mobili.

Per prima cosa, doveva verificare che il guardiacaccia non possedesse galli e, in caso contrario, provvedere ad eliminarli. Poi avrebbe dovuto occuparsi di Ophion: probabilmente non aveva avuto un pasto decente da quando l’altro sé stesso si era diplomato—i galli avrebbero fatto l’affare. Poi avrebbe dovuto farlo uscire dalla Camera dei Segreti, più per riabituarlo e ispezionare le tubature che per epurare la scuola.

Cinquant’anni prima non aveva avuto un piano preciso. Era stato troppo entusiasta, troppo impaziente, e solo un colpo di fortuna gli aveva permesso di gettare la colpa su Rubeus Hagrid e la sua acromantula. Questa volta, invece, sarebbe dovuto andare con calma; riflettere con attenzione prima di fare un passo e prepararsi a ogni evenienza.

Un certo fastidio gli pizzicò il naso.

Era stato un idiota a sottovalutare la Bambina. Quando le aveva parlato della pozione, non aveva pensato che ci avrebbe messo così poco per prepararla. Diamine, lui era riuscito ad aggirare gli incantesimi protettivi della Serra Sette solo al quarto anno! Forse era perché prima di quella scommessa non aveva avuto alcun interesse nella serra proibita; e probabilmente la bambina era stata più motivata di lui.

Avrebbe dovuto aspettare che lei fosse stata almeno al quarto anno per parlarle della pozione. Avrebbe dovuto sopportare le sue paturnie per qualche altro anno, accontentarsi del po’ di Magia e Vita di cui quel disgustoso inchiostro rosa acceso. No, se Tom avesse fatto le cose come voleva lui, il diario sarebbe dovuto finire nelle mani di uno studente del quarto o quinto anno.

Che diamine era venuto in mente all’altro sé stesso di affidare il diario ad una undicenne? Che fosse già senile all’età di sessantasei anni?! No, lui era troppo astuto per fare una stupidaggine del genere. La colpa era di chiunque fosse stato incaricato di custodire il diario.

Non importava, almeno per il momento.

Gli era stata offerta la possibilità di uscire dal diario e sarebbe stato stupido non sfruttarla. Per cominciare, doveva verificare che l’architettura del castello non fosse stata modificata in quegli anni; quali tra i passaggi segreti che conducevano fuori dalla scuola fossero ancora funzionali, e ce ne fossero di nuovi. Per tutto quello che non sarebbe riuscito a scoprire quella sera, avrebbe manipolato la bambina.

Le finestre della capanna del guardiacaccia emettevano un barlume dorato. Un improvviso abbagliare lo sorprese a pochi passi dal pollaio.

«Cosa c’è, Fluffy? Torna qui!»

Scoppiò quasi a ridere, nel riconoscere la sagoma e l’accento di Rubeus Hagrid. Non sapeva chi avesse avuto la geniale idea di assumerlo, né gli interessava scoprirlo. La cosa certa era che, in caso di “incidenti”, Rubeus Hagrid sarebbe stato il sospetto numero uno.

«Lumos Minimum

La bacchetta emise un fioco bagliore, appena sufficiente a illuminare il pollaio. Il puzzo di escrementi e paglia era disgustoso, ma sopportabile. Trovò un gallo appollaiato su un posatoio.

«Silencio

Lo afferrò per il collo con un movimento predatorio, forzando il becco ad aprirsi—la bambina doveva aver già acchiappato dei polli, se riusciva a trattenerlo così saldamente. Prese dalla tasca interna del mantello le forbici e, così come aveva visto fare dalla cuoca dell’orfanotrofio, le infilò nel gozzo e tranciò deciso. Un fiotto di sangue sgorgò dal becco del gallo, che si contorse sbattendo le ali, spargendo piume tutto attorno a loro. Dovette aspettare qualche minuto prima che l’animale smettesse di dibattersi. Uccise altre tre galline nello stesso modo, spennandole e raccogliendo il sangue con un incantesimo.

Controllò l’ora. Erano le otto e dodici minuti.

Tornò al castello, stizzito che i passi della bambina non fossero la sua falcata di lupo. Passò per le serre e la porta che accedeva al cortile nord, entrando dentro l’edificio attraverso una finestra piuttosto che una porta per evitare una coppietta. Dovette aspettare che Peeves si fosse allontanato prima di dirigersi verso le scale di servizio. Queste sembravano più large e più ripide di quanto ricordasse—la bambina era almeno un buon piede più bassa di lui.

Finalmente, giunse al corridoio al secondo piano.

Finalmente, era dinanzi alla porta del bagno fuori servizio.

Esitò prima di girare la maniglia. Di sicuro Moaning Myrtle era alla festa di complemorte cui la bambina s’era lamentata; eppure…non si confaceva a un ragazzo entrare nei bagni delle ragazze.

Tom dovette ricordare a sé stesso che quello non era il suo corpo; che agli occhi di un altro lui era sono una bambina di undici anni—quel corpo aveva il diritto di accedere quella porta.

Il bagno non era cambiato dall’ultima volta in cui vi era stato, solo più trascurato di quanto ricordasse. Evitò la pozzanghera davanti ai cubicoli centrali e cercò più con le dita che gli occhi lo stemma di Salazar Slytherin impresso sul rubinetto, lì dove nessuno avrebbe potuto vederlo.

«Apriti…»

L’ingresso della Camera dei Segreti lo accolse con la sua oscura umidità. Solo quando sentì lo strisciare della pietra sulla pietra e l’oscurità più totale avvolgerlo, Tom abbandonò ogni precauzione.

Facendosi luce con la bacchetta della bambina, corse attraverso i cunicoli, attento a non mancare i punti di riferimento che aveva lasciato cinquant’anni prima. La seconda porta della Camera dei Segreti apparve in fondo a un rettilineo, patinata di verderame. E dietro di essa, l’Anticamera, con le sue colonne di serpentino e la statua di Salazar Slytherin che la dominava dal fondo. Nascosta alle spalle della statua, ritrovò la porta che conduceva alla Camera vera e propria.

Ophion dormiva acciambellata su sé stessa; le scaglie di un verde intenso e brillante rilucevano alla luce delle torce. Aveva tre corni in più di quanto ricordasse. Pose i polli vicino alla testa, e prese un respiro profondo.

«Sssvegliati…» sibilò con tono deciso.

Per un attimo non successe nulla. Poi, la lingua biforcuta fece capolino fra la fenditura della bocca. Ophion tastò l’aria, sfiorando il viso della bambina, esitante.

“Sssh… Missssss…”

Tom serrò le labbra. Il basilisco aveva usato il femminile solo perché stava possedendo il corpo della bambina.

«È “padrone”, Ophion», ribatté lui.

“Sssì… Missssss…”

«Ho detto che è “padrone”!»

“Come desssideri, Missssss…” Il sibilo di Ophion suonava quasi come una risata irriguardosa, mentre il basilisco lambì i polli.

«Il corpo sssarà di una bambina, ma sssono io, l’Erede di Sssalazar Ssslytherin! Devi chiamarmi “padrone”!»

Le ossa dei polli scricchiolarono sotto le fauci di Ophion, che rispose solo dopo aver inghiottito il volatile.

“Sssicuro, Missssss.”

Se non sapesse che Ophion era molto più intelligente di quanto sembrava, le avrebbe dato dell’imbecille. Forse lo stava prendendo in giro perché era costretto a possedere il corpo di una bambina; o forse per vendicarsi di qualcosa che l’altro sé stesso le aveva detto o fatto. Oppure perché, anche lei, non aveva incontrato nessun altro per cinquant'anni. Tom alzò le braccia in un gesto stizzito.

«Ah! Non ho tempo da perdere con queste sciocchezze!» sbottò infine.

Il basilisco ridacchiò, dedicandosi al suo pasto. Tom, nel frattempo, controllò l’ora —le otto e quarantasette—e la Camera.

A giudicare dallo stato della scrivania e dalle pile di libri vicino al fainting couch di noce e cuoio, l’altro sé stesso doveva aver continuato ad usare la Camera dei Segreti fino a quando non si era diplomato. La cosa più fuori luogo era un pacco, ancora sigillato, dimenticato sulpavimento con una lettera appallottolata accanto. Un fiotto di bile amara gli invase la bocca, riconoscendo la calligrafia di Mrs. Cole che informava l’altro sé stesso che, per il compimento del suo diciottesimo anno, aveva ricevuto gli effetti personali che sua madre possedeva all'arrivo in orfanotrofio.

Perché l’altro sé stesso non aveva aperto il pacco? Per quanto potesse odiare Mrs. Cole e l’orfanotrofio, il suo contenuto era probabilmente l’unica cosa che lo legava alla sua famiglia materna.

Una leggera vertigine lo colse, obbligandolo ad appoggiarsi alla scrivania. Che l’effetto della pozione avesse già iniziato a scemare? Doveva essere la dose, in fondo aveva detto alla bambina di non berne più di un piccolo sorso. Era buono saperlo per la volta successiva. Inoltre, avrebbe dovuto insegnarle un incantesimo di conservazione: la pozione sarebbe rimasta stabile per tredici lune, se ben imbottigliata, ma era meglio fare le cose con calma e aspettare il quarto anno della bambina.

“Missssss?”

«Vieni», disse con tono di comando. Usato con la vocetta della bambina aveva un effetto ridicolo—Ophion emise un sibilo che sembrava una risatina.

Uscirono dalla Camera e raggiunsero la prima ramificazione. Quello a destra riconduceva al bagno delle ragazze, mentre gli altri due conducevano all’ala Ovest e i sotterranei. 

«Quesssta volta faremo un po’ di terrore, giusssto per alimentare le paure della bambina; e non attaccheremo ssse non necessssssario. I mocciosssi dell’orfanotrofio erano cosssì terrorizzati quando sssuonava l’allarme antiaereo…», Tom istruì, con un sorriso ferino sulle labbra infantili. «E più la bambina avrà paura, più vorrà confidarsssi come me, e più facilmente io potrò possssssederla—»

“Perché sssolo possssssederla, ssse può procurarti un corpo tutto tuo?” Ophion suggerì, seria. 

Sapeva a quali incantesimi Ophion si riferisse, ne aveva letto durante le sue ricerche sugli Horcrux. Per quello più semplice da eseguire, la bambina avrebbe potuto fornirgli la “carne di servo”, una volta che fosse riuscito a manipolarla per bene; quanto al sangue di nemico, era normale per un giocatore di Quidditch come Harry Potter di ferirsi durante gli allenamenti o una partita. Ma le “ossa del genitore” …

Forse tra gli effetti personali di sua madre ci poteva essere qualcosa che gli indicasse dove vivesse quello sporco Muggle—dove potesse essere sepolto. Forse, se avesse avuto quell’informazione, avrebbe potuto manipolare la bambina per recuperare l’ingrediente mancante durante le vacanze.

Non era il momento, quello. Avrebbe avuto modo di rifletterci con comodo, una volta l’effetto della pozione svanito e lui tornato dentro il diario.

Esattamente come cinquant’anni prima, le tubazioni erano sufficientemente larghe solo fino al secondo piano, poi Tom sarebbe stato costretto a usare un incantesimo di restringimento o passare per i corridoi. Tornarono verso il bagno fuori servizio con una certa fretta per separarsi. Tom sentiva il proprio controllo sui muscoli e sulle articolazioni della bambina farsi più deboli e doveva rientrare in dormitorio prima che svanisse completamente.

Stringendo la bottiglia con il sangue di pollo, Tom controllò che il corridoio fosse deserto. Quindi con un movimento meno preciso ed elegante del solito, schizzò il sangue sul muro formando una scritta.

 

LA CAMERA DEI SEGRETI È STATA APERTA 
TEMETE, NEMICI DELL'EREDE

 

Sarebbe bastato a diffondere terrore e incertezza nel castello? Forse, o forse no.

Un soffio felino lo colse di sorpresa. Un gatto grigio e arruffato lo fissava con occhi gialli e cattivi. Doveva essere Mrs. Norris, la gatta del custode. Se doveva dar fede ai racconti della bambina, la gatta avrebbe chiamato il suo padrone—anche se fosse riuscito a sfuggirli in quel momento, il dannato felino avrebbe potuto riconoscere la bambina come l’autrice della scritta. Chiuse gli occhi.

«Ophion, uccidila! —NO!»

La gatta rimase rigida, come pietrificata, lo sguardo fisso su Tom—sul riflesso della finestra alle sue spalle. Pietrificata, come le prime vittime di cinquant’anni prima.

Non era il momento di chiedersi che cosa gli fosse preso, del perché aveva dato quel contrordine. Con un movimento goffo e impreciso, fece levitare la gatta pietrificata fino a una torcia ed evocò delle corde per legarla.

Corse il più velocemente verso la Torre Gryffindor, cercando di non inciampare. Biascicò col fiatone la parola d’ordine—la bambina gliel’aveva rivelata, nel caso in cui lei l’avesse scordata. Gli studenti con la bottiglia erano ancora davanti al camino, ma le loro risate erano brille e non o notarono. Arrancò su per le scale, aggrappandosi con tutta la sua forza di volontà al corpo della bambina.

Tutto attorno a lui vorticò; le membra si fecero sempre più insensibili.

Stramazzò sulla soglia. Il colpo alla fronte lo stordì ancora di più—il dolore non era più che un’eco lontana. Digrignò i denti, strisciando verso il letto—aggrappandosi alle tende del baldacchino.

 

 

E poi il buio, odorante di carta e inchiostro vecchio.

 { 

 

Note dell’autore

E siamo finalmente giunti alla fine: avrei preferito andare più avanti nel tempo, descrivere il resto dell'anno scolastico, ma sarei andata decisamente fuori traccia, quindi ho preferito fermarmi alla prima volta che Tom prende possesso di Ginny per aprire la Camera dei Segreti. Tuttavia, non escludo la possibilità di continuare la storia una volta che i giudizi del contest siano pubblicati, ma è da vedersi: ho anche fin troppe long/serie per le mani in questo momento - io e la mia fissa di allungare e riscrivere XXDDD - E onestamente trovo più interessante come progetto da sviluppare "Verde Veleno", in cui parto dal What if "E se Harry fosse arrivato nella Camera dei Segreti 5 o 10 minuti più tardi?". Sì, la prospettiva di un Tom Riddle, giovine dalla mentalità da anni '40, che si trova confrontato con la società odierna mi stuzzica parecchio e mi permette di crogiolarmi nel mio OTP e di dare spazio anche ad altri crack pairing.


15 Dicembre 2021

Per procrastinare le correzioni del mio romanzo originale Mi mancava il mio Tom e di scrivere di lui, per cui ho deciso di riprendere in mano questa fanfiction e portarla avanti almeno fino alla fine canonica de La Camera dei Segreti. Chissà, forse la colpa è dell'anno di emme che ho passato che mi spinge a sfogare il mio Lato Oscuro (con biscotti senza glutine e senza zucchero). La cosa buffa è che mi sono venute in mente delle idee niente male, cose che Diary!Tom scoprirà ma che resteranno ignote a Zio Voldie e che riguardano la loro famiglia: dico solo che ho già buttato un occhio alla Rivolta Olandese, che ho fatto dei calcoli, e che la linea maschile di Salazar Slytherin non è proprio estinta estinta. tutta robetta che incrocerò con "House of Riddles", la What If in cui Mary Riddle non caccia a calci in culo Merope per ragioni che non spoilero, ma che non sono la sua magnanima mansuetudine (non ho neanche deciso se, alla fin della fiera, Merope crepa o meno).
Cercherò di attenermi al romanzo il più possibile, ma non nego che delle licenze letterarie possano rivelarsi necessarie. E chissà, forse è la volta buona che poi metto mano a "Renaissance", altro What If che ho nel cassetto da anni ormai.

Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.

 

Cordialmente,

 

D. Rose

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Capitolo 6
*** Di Sensi di Colpa ***


b Di Sensi di Colpa a

 

Un dolore pulsante attanagliò la testa di Ginny; e il dormitorio le girava intorno fino a darle la nausea. I conati la colsero, spremendo il contenuto dallo stomaco—bile, succhi gastrici, e i rimasugli parzialmente digeriti di un fico. Cercò di ricordare quando lo avesse mangiato, ma una nuova fitta di emicrania la assalì, accompagnata dal panico alla vista del vestito sporco di sangue e piume.

Aggrappandosi alle tende del baldacchino, Ginny si issò sul letto e avvicinò penna e diario con dita troppo deboli. Non riuscì a scrivere nulla, solo a lasciare una macchia di inchiostro rosa, tanto acceso da ferirle gli occhi anche alla tenue luce che avvolgeva il dormitorio.

Che cos’è successo?! Perché sei sparita all’improvviso?! Perché ti fai viva solo adesso?! Saranno due ore che aspetto che tu mi risponda! Hai idea di quanto mi sia preoccupato?!

Scusa

Non so

Che

Cosa

È

Successo

L’odore artificiale di fragola dell’inchiostro la faceva stare peggio, ma non sapeva se aveva la forza di prendere una boccetta di inchiostro normale.

 

Stai bene?

La tua calligrafia è strana…

Mi gira

forte

La testa

 

E

 

Ho

vomitato

 

C’è

Sangue

Si sfiorò la fronte, e trasalì tastando un bernoccolo.

 

Forse

Sono

Caduta

Dal

Letto

 

 

 

Forse hai bevuto più pozione del dovuto

La frase di Tom suonava stranamente accusatoria.

Ginny aggrottò la fronte, ma anche quel semplice gesto le diede delle fitte. Era certa di aver bevuto solo un piccolo sorso, proprio come Tom si era raccomandato; la fiala doveva essere quasi piena…

La cercò con le mani—non voleva farsi luce con la bacchetta, non voleva che il mal di testa peggiorasse. La trovò fra le pieghe della coperta e, con suo grande orrore, vuota.

“Forse l’ho chiusa male e si è versata…”

Ma la coperta era asciutta, e il tessuto bordeaux non aveva macchie; così come non ne avevano le lenzuola sotto.

Merlino!

L’ho bevuta tutta!

Eppure

Ricordavo di

Aver bevuto

Solo un sorso

C’è sorso e sorso, Ginevra.

Era un sorso piccolo!

Lo giuro!!!

Come hai potuto berla tutta d’un fiato?!

Non volevo

Davvero!

Ti avevo avvertito che quella è una pozione che può dare dipendenza!

Come hai potuto essere così

 

SBADATA?!

 

Ti credevo molto più intelligente e accorta!

Santissimi numi, c’è del laudano lì dentro!

Dell’ovolo malefico! Dell’ergot!

Devo elencarti di nuovo TUTTI gli ingredienti?!

Le parole di Tom furono sostituite da un testo stampato—il nome dell’ingrediente o della pianta, con il grado di pericolosità, gli usi e gli effetti collaterali, quali fossero le dosi sicure e quali fossero mortali—quali sostanze ne avrebbero aumentato l’effetto. Tom fece pure apparire una miniatura medievale di un uomo che si contorceva, mentre delle fiammelle gli bruciavano braccia e gambe, che regolarmente cadevano come monconi carbonizzati.

Perdonami

Scrisse Ginny fra i singhiozzi, lasciando le lacrime cadere sulle pagine ingiallite.

Perdonami

Tom non rispose subito

 

Smettila di piagnucolare e vattene a dormire.

 

Sono troppo arrabbiato per parlare con te.

* * *

Fu una notte strana, quella, popolata da incubi pieni di sangue, piume, e occhi gialli e cattivi velati da palpebre traslucide; di cunicoli stretti umidi e bui; di stanze alte come cattedrali le cui mura parevano sul punto di crollare su di lei. E una voce femminile, sibilante e inumana che rideva di lei. In quegli incubi, delle fiamme crudeli le bruciavano le dita delle mani e dei piedi, piano piano consumando la carne mentre salivano lungo le braccia e le gambe.

A un certo momento si sentì leggera, come se fluttuasse, anche se ancora calda. Qualcosa di delicato e confortevole la avvolse—aveva un odore familiare e piacevole, eppure non la fece stare meglio.

Quando finalmente riaprì gli occhi, non era nel suo letto e aveva una pezzuola bagnata e dal leggero odore di aceto sulla fronte. Le ci volle un po’ per riconoscere l’infermeria, e Percy che studiava seduto accanto a lei. Suo fratello si aggiustò gli occhiali sul naso, lasciando uno sbaffo di inchiostro bruno sullo zigomo.

“Ehi,” le disse con voce sommessa.

Percy mise la pergamena da parte e aiutò Ginny a sedersi, porgendole un bicchiere d’acqua.

Ginny scoppiò in singhiozzi.

Era stata scoperta e presto avrebbe ricevuto una strillettera di Mamma. Aveva fatto una stupidaggine dieci volte più grave di qualunque scherzo Fred e George avessero mai fatti in vita loro. E quel che era peggio, Tom, il suo unico amico, era arrabbiato con lei.

“È solo una brutta influenza. Ci saranno altre feste…” disse Percy, fraintendendo le sue lacrime.

Ginny boccheggiò. Parte di lei era sollevata che Percy non sapesse della pozione, ma non cambiava il fatto che Tom fosse arrabbiato.

Una Ravenclaw lo chiamò, picchiettando il dito contro il polso. Percy arruffò i capelli di Ginny, raccolse le sue cose e si alzò.

“Adesso ho una riunione con i Prefetti, ma torno appena posso. Ah, e quelle cioccorane sono dei gemelli.” Fece un cenno al comodino. “Pensaci due volte prima di mangiarle.”

Ginny ebbe appena la forza di fare un cenno col capo e tirare su col naso. Ma appena rimase sola, affondò il viso nel cuscino e riprese a piangere.

Tom aveva ragione ad essere arrabbiato con lei. Aveva bevuto troppa pozione e non aveva mantenuto la promessa di fare molta, molta attenzione! Non si era fatta sentire per due ore, lo aveva fatto preoccupare tantissimo. La testa le girò ancora più forte quando cercò di ricordare quello che era successo, ma non sapeva cosa fosse vero e cosa fosse un sogno.

Già, doveva essere stato un brutto sogno, quello in cui appendeva Mrs.khu Norris per la cosa. Doveva essere stato un brutto sogno, quello in cui scriveva qualcosa di brutto sul muro. Doveva essere stato un brutto sogno, quello in cui si intrufolava in dei cunicoli bui e umidi, con una voce che le sibilava nelle orecchie. Doveva essere stato un sogno, quello in cui qualcosa scricchiolava e masticava. Doveva essere un sogno, quello in cui ficcava delle forbici appuntite nel gozzo di un pollo, con il sangue caldo che schizzava dappertutto. Doveva essere stato un sogno, quello in cui baciava Tom—

No, quello non era stato un sogno. Ginny ne era sicura.

Aveva davvero baciato Tom.

Tom doveva essersi arrabbiato anche per quello! Il bacio doveva averlo offeso! Per la barba di Merlino, Ginny non voleva che lui pensasse male di lei! Mamma le diceva sempre di tenersi lontana dai ragazzi, se non voleva diventare come Mrs. Zabini! Ma non lo aveva fatto apposta, davvero! Aveva voluto solo dargli un bacio sulla guancia!

Affondò il viso nel cuscino, singhiozzando.

Tom doveva pensare che lei era come Mrs. Zabini, era anche per questo che era tanto arrabbiato.

Ginny non avrebbe potuto dargli torto, in fondo.

Fin dal primo giorno, lei gli aveva raccontato di quanto fosse innamorata di Harry Potter, che un giorno si sarebbero sposati e sarebbero vissuti felici e contenti. Gli aveva raccontato di come si immaginava la prima volta che si sarebbero tenuti la mano, o volato su una scopa insieme—del loro primo bacio.

Davvero, Ginny doveva essere come, se non peggio, di Mrs. Zabini per aver dato il suo primo bacio a un altro ragazzo, anche se non lo aveva fatto apposta!

“Ehi, hai male da qualche parte?”

Tirando su col naso, Ginny girò un po’ la testa, incrociando lo sguardo preoccupato di Madam Pomfrey. Scosse la testa.

“Il-il-il mio amico mi odia…” piagnuccolò.

L’infermiera sospirò, puntando i pugni sulle anche.

“Lo pensi perché non sei andata con lei alla festa di Halloween? Un’amica capisce che non lo hai fatto apposta ad ammalarti.” Le porse un bicchiere colmo di una pozione profumata di zenzero. “Bevi questo e, una volta che la febbre è passata, va’ dalla tua amica: se le parli con il cuore in mano, sono certa che farete pace.”

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Capitolo 7
*** Di Confessioni e Ipotesi ***


Le cioccorane di Fred e George non avevano niente di strano. A parte l’essere riempite di api frizzole. Solitamente Ginny si divertiva a fluttuare, ma dopo averne mangiate un paio le tornò la vertigine. Per quel motivo, Madama Pomfrey non la lasciò andare che dopo l’ora della merenda, e solo dopo averle promesso di riposarsi fino all’ora di cena—aveva perfino chiesto a una Prefetto di tenerla d’occhio.

Non che Ginny avesse intenzione di fare chissà cosa, a parte rintanarsi sotto le coperte e cercare di fare pace con Tom. La promessa era conveniente, dandole l’opportunità di restare sola in dormitorio per tutto il resto del pomeriggio.

Chiuse le tende del baldacchino, Ginny illuminò la punta della bacchetta e prese piuma e inchiostro.

 

Tom?

 

Il rosa acceso e il suo odore di fragola le ferirono gli occhi e le diedero la nausea, così prese una boccetta di inchiostro normale, quello bruno che usava per fare i compiti e scrivere alla Mamma e al Papà.

Per la prima volta da quando aveva trovato il diario, l’inchiostro non scomparve.

 

Tom, lo so che sei tanto arrabbiato con me. Mi dispiace tanto di averti fatto preoccupare così tanto: non volevo! Ho pensato davvero di aver bevuto solo un sorso piccolo di pozione come mi avevi chiesto!
E hai ragione: sono una stupida che pensava di essere più intelligente solo perché ho fatto quella pozione tanto pericolosa.
Sono una stupida bambina che non sa niente, ma che si crede grande solo perché… non lo so neanche io.
Ma Mamma dice sempre che bisogna essere umili e che chi pecca di orgoglio come i Malfoy prima o poi sarà punito. Ecco, sono stata punita perché mi sono comportata un po’ come quegli snob dei Malfoy.
Ho sbagliato, ho pensato di essere più brava di quello che sono, e sono stata punita. È colpa mia se sono svenuta per tanto tempo. È colpa mia se mi è venuta la febbre e sono stata fino a adesso in Infermeria.
Ho sbagliato e sono stata punita.
Ma ti prego, ti supplico Tom, perdonami!
Sei il mio unico amico qui a Hogwarts.
No, che dico, anche a casa sei stato il mio unico amico!
Perdonami! Perdonami! Perdonami! Perdonami!

 

Ma per quante volte scrivesse la stessa parola, l’inchiostro non spariva né Tom rispondeva.

“Ti prego, Tom, perdonami…” mormorò Ginny con gli occhi pieni di lacrime e stringendo forte a sé il diario.

 

* * *

 

Quando Ginny si svegliò, circa un’ora dopo, le sue parole erano ancora lì—dei tratti d’inchiostro nero su una pagina ingiallita e sbaffata dalle lacrime.

 

Per favore Tom, rispondimi!

 

Una nuova ondata di lacrime e singulti le attanagliò la gola.

 

Sei offeso per il bacio?
Non vuoi parlarmi perché pensi che sia una svergognata come Mrs. Zabini?

 

Era l’unico motivo che le veniva in mente.

 

Ti giuro che non l’ho fatto apposta!
No, voglio dire, il bacio te lo volevo dare, ma sulla guancia non sulla bocca!
Lo so che forse ti sembrano delle scuse e che tu forse hai avuto l’impressione sbagliata perché sai quanto mi piace Harry Potter
Ma è anche vero che ti voglio bene!

 

Uno squittio le sfuggì dalle labbra quando, finalmente, le sue parole scomparvero.

 

Sei tu ad aver frainteso, Ginevra

 

Ginny non sapeva se quella era una cosa buona o brutta.

Era una cosa buona. Doveva esserlo! Perché Tom finalmente aveva smesso di ignorarla e le stava rispondendo!

 

Ho frainteso?

 

Sono arrabbiato, sì, ma con me stesso
Dopotutto, sono stato io a dirti come fare quella pozione
E il bacio…
Quello è anche un po’ colpa mia
Non avrei dovuto

 

Assecondarti

 

Voglio dire, tu hai undici anni ed io sedici
Non

 

 

Non si fa

 

Ginny non sapeva perché quell’affermazione la indispettisse un poco.

 

Abbiano solo 5 anni di differenza
Come mia cugina Chris e il suo fidanzato

 

E quanti anni hanno tua cugina e il suo fidanzato?

 

Ginny sporse le labbra, cercando di ricordare quanti anni avesse sua cugina e calcolando l’età del suo ragazzo sulla punta delle dita.

 

23 e 28

 

Ginevra, cinque anni di differenza è socialmente accettabile alla loro età, non alla tua
Senza contare che sono intrappolato nel diario da cinquant’anni
A conti fatti, ho ben sessantasei anni, il che è ancor più

 

 

 

Inaccettabile

 

Ginny corrugò la fronte. Tom aveva scritto quell’ultima parola in un modo diverso, come se avesse voluto dire altro.

Sessantasei anni, come il macellaio del villaggio vicino a casa sua.

Per un attimo, Ginny si immaginò mentre baciava il macellaio, col suo panzone, la testa pelata e i braccioni pelosi.

“Bleah!”

 

Sì, penso di capire quello che vuoi dire

 

E capisci anche perché sono arrabbiato con me stesso, giusto?

 

Anche se a conti fatti Tom era vecchio come il macellaio, il suo aspetto era quello di un ragazzo di sedici anni. Chiuse gli occhi, immaginando il suo viso altero e di una bellezza un po’ fredda, i capelli corvini disposti in onde ordinate leggermente impomatate—le labbra che sembravano più vivide contro l’incarnato eburneo e privo di lentiggini.

Ginny si sentì avvampare a quel pensiero.

 

Non lo dico per giustificarmi, perché non mi sono comportato in modo convenevole e mi sento come se avessi approfittato di te, Ginevra
Tuttavia, non possiamo negare che sono cinquant’anni che sono rinchiuso in questo diario, solo con i miei ricordi
Non ho avuto un minimo contatto fisico per così tanto tempo

E poi sei arrivata tu

E non mi ero reso conto di quanto mi mancasse avere un’altra persona davanti a me

Di parlarci

Di toccarla

E

 

 

Beh, devo ammettere che sono stato ingordo!

 

Ginny ridacchiò. Sollevata da quella spiegazione. Eppure…

Eppure parte di sé aveva ancora paura che Tom pensasse male di lei.

Masticò l’interno delle guance, cercando di mettere a parole quei pensieri.

 

Tom, sono una svergognata?

 

Cercò di cancellare quell’ultima parola, ma il diario la risucchiò prima che potesse farlo.

 

Perché mi fai una domanda tanto ovvia?

 

Perché

 

Perché ti ho baciato anche se mi piace Harry Potter

 

 

 

Perché non mi dispiace che sei tu ad aver avuto il mio primo bacio
Anche se non l’ho fatto apposta, eh!

 

Ginny si coprì il viso con le mani. La faccia era bollente per la vergogna, ma Madama Pomfrey le aveva detto di parlare con Tom col cuore in mano.

 

Sono una svergognata perché mi piace Harry Potter e mi piaci anche tu?

 

Dimmi la verità, ti supplico!

 

Tom non rispose subito. Però Ginny sapeva che stava riflettendo sulla risposta, o la sua domanda sarebbe rimasta sulla pagina invece di sparire.

 

Ginevra, non puoi paragonare quello che provi per Harry Potter con i tuoi sentimenti per me
Sono due cose completamente diverse
Uno è un sentimento sincero
L’altro è un semplice costrutto della tua mente, un’illusione
Eppure, entrambi nascono dalla tua

 

Innocenza

 

Quale è l’uno e quale è l’altro?

 

Questo, Ginevra, mio bocciolo di rosa, devi scoprirlo da sola
Perché quello che potrei sperare io non potrebbe essere quello che tu provi davvero

 

 

Ma ti assicuro che non sei una svergognata

 

Come fai ad esserne sicuro?
Voglio dire, ho baciato un altro ragazzo
E me ne piacciono due

 

Ne ho conosciute di ragazze svergognate, quando ero a scuola
E ti assicuro che facevano di molto peggio che dare baci a dritta e a manca

 

Ginny pose la piuma sulla pagina per rispondere, ma non scrisse nulla.

 

Cosa c’è, mio bocciolo di rosa?

 

Nell’articolo che Ginny aveva letto su Mrs. Zabini c’era scritto che si era sposata ben sei volte: la prima quando era ancora a Hogwarts con uno studente, che era morto pochi mesi dopo in un “sospettoso incidente di Quidditch”. La seconda, neanche un anno dopo con un vecchio mago straricco che poteva essere suo nonno e che anche lui era morto dopo pochi mesi. L’articolo diceva che Mrs. Zabini aveva sedotto tutti quei maghi, per ucciderli e avere tutti i loro soldi.

Quando Ginny aveva chiesto spiegazioni, la Mamma le aveva spiegato che Mrs. Zabini aveva fatto finta di essere una persona a modo per far innamorare di lei quegli uomini, ma che lei non era mai stata innamorata di loro e aveva solo voluto diventare ricca senza lavorare. Certo, capitava che una persona era sfortunata e il marito o la moglie morivano, e non c’era niente di male se una vedova o un vedovo si innamorasse di nuovo; ma quando la terra sulla tomba era ancora morbida o le ceneri ancora calde? Quello no, non era bene e forse il nuovo marito o moglie era in realtà l’amante.

La Mamma le aveva ripetuto fino allo sfinimento che una ragazza per bene non si comportava in quel modo svergognato.

 

Niente e grazie

Allora

 

Esitò un attimo, spaventata dalla risposta che avrebbe potuto ricevere. Prese un respiro profondo, si disse che era una Gryffindor e aggiunse:

 

Siamo di nuovo amici?

 

Non abbiamo mai smesso di esserlo, Ginevra mio bocciolo di rosa

 

* * *

 

Era impossibile restare in Sala Grande, anche se Ginny sapeva che era guarita e che non aveva nessuna scusa per saltare la cena.

Ma le fiammelle delle candele erano tanto abbaglianti quanto un Lumus Maximus; i colori delle uniformi e delle pietanze troppo vividi, come se qualcuno avesse fatto un incantesimo di glamour malriuscito. Gli odori di cibo, di sapone per le mani, di deodorante e sudore, di inchiostro, pozioni, grasso, spezie, legno, cera d’api e tant’altro le stringevano la gola. Le voci e i suoni—perfino il rumore delle posate che picchiettavano e strisciavano su un piatto—il masticare un pezzo di carne, di pane, o di verdura—erano talmente forti che Ginny avrebbe voluto tapparsi le orecchie e raggomitolarsi sotto uno spesso strato di coperte. Percy dovette quasi imboccarla per farle mangiare almeno un piatto di zuppa e un poco di pollo—perfino i sapori e la sensazione del cibo in bocca erano insopportabili.

Doveva essere la pozione che stava facendo ancora un po’ effetto anche se erano passati tre giorni da quando l’aveva bevuta.

La gola di Ginny si strinse di nuovo. Era quella la punizione per averne bevuta troppa in una volta?

La prossima volta non sarebbe stata tanto stupida, e l’avrebbe misurata per non berne troppa. Ma come poteva fare?

“Vuoi bere un succo di zucca?” chiese Percy, con un tono di voce che assomigliava un po’ a quello della Mamma quando lei stava poco bene e non aveva molta fame.

Ginny fece spallucce. “Solo un pochino.”

Fissò il succo nel calice, nonostante l’arancione le ferisce gli occhi e l’odore di pepe garofanato e zucca le faceva venire la nausea.

Il succo era non troppo denso e vellutato sulla lingua e nella gola—un po’ come la pozione per andare a trovare Tom.

Un’idea le balenò in testa e si forzò a prenderne un altro sorso piccolo piccolo, che poi risputò nel cucchiaio.

“Ginny!”

Ma lei ignorò Percy e cercò di concentrarsi sul liquido arancione nel cucchiaio argentato. Quanto ce n’era? Di certo meno della metà—se solo avesse il bicchiere misuratore che usava per le lezioni di Pozioni…

Già, era un’idea, quella. Poteva misurare un sorso piccolo di succo di zucca, così da sapere quanta pozione mettere nella fiala. Di certo Tom non si sarebbe arrabbiato se avesse fatto così, giusto?

C’è sorso e sorso.

Ginny deglutì.

Tom aveva ragione, non tutti i sorsi erano uguali. Ma forse poteva cercare in un libro di Pozioni come fare per trovare la giusta misura. Non il suo, ma forse in quello di Percy sì.

Forse era perché aveva cercato di concentrarsi su una cosa sola, ma Ginny iniziò a sentirsi meno sopraffatta dalla Sala Grande. Cercò di concentrarsi sul cibo, perché la Mamma le diceva sempre che doveva mangiare se voleva riprendersi da una brutta influenza. Eppure, dopo un po’, qualcosa nelle chiacchiere dei suoi compagni di Casa le fece venire i brividi.

“Che cosa è successo?”

I gemelli si scambiarono un’occhiata, poi George sventolò una mano come per dire che era una cavolata.

“Un Merdaverde ha fatto uno scherzo di pessimo gusto.”

“E che ha cercato di far ricadere la colpa su di noi,” continuò Fred.

I gemelli ridacchiarono.

“Hai visto che faccia ha fatto quando Minnie ha usato il Prior Incanto sulle nostre bacchette?”

“Come se fossimo così stupidi!”

“Ma di che scherzo state parlando?” insistette Ginny.

“Dopo il banchetto di Halloween, qualcuno ha pietrificato Mrs., Norris, e ha taggato il muro vicino al bagno fuori servizio—ahia!” Percy fulminò i gemelli con lo sguardo. “Chi mi ha dato un calcio?!”

“Ma non ti potevi stare zitto?” sibilò uno dei gemelli.

Ginny strinse forte le mani, fissando senza vedere il calice.

Non poteva essere vero! Lo scherzo di cui stavano parlando non poteva essere paro paro al brutto sogno che Ginny aveva fatto dopo aver bevuto la pozione.

Con un nodo in gola, scattò in piedi e corse verso le scale—verso il bagno delle ragazze fuori servizio al secondo piano, quello in cui aveva nascosto il calderone con la pozione.

Si bloccò davanti al muro, il respiro reso affannoso più dal panico che dalla corsa.

Fece un passo indietro, scuotendo la testa.

 

LA CAMERA DEI SEGRETI È STATA APERTA
TEMETE, NEMICI DELL'EREDE!

 

“No… no…”

Ginny si nascose il viso tra le mani e scoppiò a piangere.

 

* * *

 

Tom, successo una cosa terribile! Mrs. Norris è stata pietrificata! È vero che a nessuno piace quella gatta, e che ero arrabbiata con lei perché mi aveva graffiato! Non le farei mai e poi mai una cosa del genere! Non so neanche quale sia l’incantesimo pietrificante! Eppure ho l’impressione che sono stata io! Anche quella scritta cattiva cattiva sul muro! Tom ti giuro che non volevo farlo! Non sono una ragazza cattiva!

 

Ginevra, per favore

Calmati e raccontami cosa ti angustia.

 

Ginny prese dei respiri profondi fino a quando il suo cuore batté meno forte. Con mano tremante, raccontò a Tom quello che era successo alla gatta del custode e della scritta sul muro.

 

I tuoi fratelli hanno ragione
È solo lo scherzo di pessimo gusto di uno studente

 

L’infermiera non è ancora riuscita a rompere l’incanto, giusto?

 

Sì, dicono che deve aspettare che le mandragore sono mature per poter fare la pozione

 

Ordunque, come puoi essere tu la colpevole, quando si tratta di un incantesimo avanzato?
Il colpevole dev’essere uno studente del quinto anno, a meno che il programma di Difesa non sia cambiato dai miei tempi

E poi ti ricordo che all’ora della burla, eri in dormitorio priva di conoscenza

 

Tom aveva ragione, eppure… eppure dentro di sé Ginny sentiva che non era così. Il brutto sogno era così vivido nella sua testa… come se era stata proprio lei a fare quelle brutte cose—e allo stesso tempo era stato come leggere un libro illustrato.

Ginny raccontò anche del sogno. Tom era più grande di lei e conosceva più cose di lei—da quello che poteva capire, alcune cose che cinquant’anni prima erano insegnate al quinto anno, adesso erano insegnate al sesto o perfino al settimo.

Sì, Tom sarebbe riuscito ad aiutarla a capire che cosa fosse successo davvero.

Aspettò una sua risposta per almeno dieci minuti che le sembrarono dieci anni. Ginny ricordava i libri che aveva visto dentro il diario, e Tom le aveva detto che aveva la copia di ogni libro della Biblioteca della scuola—anche della sezione proibita.

Se non le stava rispondendo, era perché stava cercando nei suoi libri.

 

Per caso, una delle tue antenate era una Veggente?

 

Ginny rilesse più volte la domanda accigliata.

 

No

Non mi sembra

 

Perché?

 

La Vista è ereditaria, anche se molto spesso salta almeno quattro o cinque generazioni
Se nella tua famiglia ci sono state delle Veggenti, probabilmente tu hai ereditato questo dono
Anche se undici anni è un po’ presto per manifestarlo

 

 

 

Forse la pozione ha funto da catalizzatore
E ti ha permesso di avere una visione del Presente

 

Ginny deglutì.

 

Devo dirlo alla Professoressa McGonagall?
Della visione, voglio dire
Anche se non ho visto la faccia di chi ha fatto quelle cose cattive

 

No, non penso sia necessario

Ti darebbe più grattacapi che altro

 

Prima perché non cerchiamo di capire se la mia ipotesi è corretta?

 

Ginny si mordicchiò il labbro inferiore. Poi intinse la piuma nell’inchiostro.

 

Forse posso chiedere alla Mamma di chiedere alla Zia Muriel

 

Questo è lo spirito!

 

Ginny non poté fare a meno di sorridere, immaginando che anche Tom sorridesse.

“Grazie tante, Tom. E buonanotte,” mormorò sollevata, premendo le labbra sulle pagine ingiallite del diario.  

 

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Merdaverde: ho avuto un'illuminazione che i gemelli abbiano un insulto speciale per gli Slytherin/Serpeverde, ovvero "Shitherin" che ho cercato di rendere in italiano XD

Ho anche deciso di invertire i font di Tom e Ginny perché mi sembra che, visivamente, così sia meglio

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Capitolo 8
*** Di Punizioni Piacevoli ***


Percy si era arrabbiato tantissimo quando Ginny era stata messa in punizione. Ma, davvero quando aveva sentito quella Serpeverde insultare il suo Harry Potter non ci aveva visto più dalla rabbia!

Ma Percy non aveva voluto sentire ragioni: era rimasto dietro di lei per tutto il tempo necessario a scrivere una lettera di scuse per la mamma—non voleva ricevere un’altra Strillettera davanti a tutti in Sala Grande. Fred e George, invece, non solo le avevano fatto i complimenti, ma le avevano dato delle api frizzole e due cioccorane e le avevano suggerito un paio di maledizioni da usare la prossima volta. 

All’inizio Ginny era stata indispettita dalla punizione; non voleva passare la serata a lucidare vecchi trofei con Ron! Ma quando aveva sentito Harry Potter e Ron fare scambio di punizione, si era subito rintanata nel suo baldacchino per raccontarlo a Tom. 

Tom si era un po’ arrabbiato, ma non per aver lanciato una maledizione, ma perché si era fatta beccare! 

In ogni caso, non concordo con i suggerimenti di Fred e George

Lo schiantesimo è tanto brutto?

Santi numi, no! Ma ai miei tempi era insegnato al quarto anno.
Se adesso è insegnato già al primo anno, è un altro conto, ma sarebbe un po’

 

Problematico se una studentessa del primo anno usasse un incantesimo che non fa parte del suo programma scolastico.
I tuoi fratelli potrebbero subire delle gravissime conseguenze!
Inoltre, personalmente preferisco altri metodi

Che metodi?

Per prima cosa, farei in modo che fosse il mio avversario a ricevere la punizione.
Secondo, userei un incantesimo oggetto di una lezione recente, poiché sarebbe normale che mi esercitassi per riuscirlo alla perfezione.

Ginny scoppiò a ridere nel leggere quelle parole. Ma poi si ricordò dell’incantesimo del fuoco. Effettivamente, non era male l’idea di bruciare un pochino le chiappe di chi insultava Harry Potter.

L’incantesimo del fuoco non è un po’ troppo pericoloso?

A meno che tu non sia bravo bravo a farlo, i professori possono sempre beccarti

Un incantesimo semplice e “innocuo” come il Floreo va più che bene

Ginny roteò gli occhi

E che ci devo fare?
Una coroncina da mettere in testa al rompipluffle?

Ginevra, una strega dabbene non usa termini volgari!

Non è solo la formula che conta, ma soprattutto l’intenzione con cui eseguiamo l’incantesimo.
Per esempio, sì, potresti far comparire una ghirlanda di fiori sul tuo avversario. Se alle roselline, le margherite e i fiori di lino aggiungi dell’edera velenosa, potrai procurargli una dermatite, per esempio.

Un’immagine fluttuò sotto la scritta. Era un disegno di una pianta come quelli del libro di Erbologia, con accanto la foto di un braccio con tre brutte e grosse bolle.

In questo modo, anche se controllano la tua bacchetta, troveranno un incantesimo innocente invece di quello delle pustole.
Agli occhi dei professori, saresti una povera studentessa accusata ingiustamente, e l’accusatore, da vittima diventerebbe il carnefice da punire.

Da un lato, a Ginny quell’idea non piaceva molto, ma dall’altro… beh, alla fine era un modo per far punire chi la prendeva in giro per i vestiti e i libri di seconda mano, oppure perché le piaceva Harry Potter.

Sei proprio un Serpeverde, sai?
Ma ti voglio bene lo stesso

Per un po’, Tom non scrisse nulla. Era forse imbarazzato per quello che gli aveva scritto e il bacetto? Anche Ginny si sentì la faccia diventare tutta calda.

Scosse la testa e intinse di nuovo la penna nel calamaio.

Comunque, non mi dispiace essere stata messa in punizione

Perché non ti dispiace?

Ginny ridacchiò e non rispose subito.

Indovina!

Se fossimo ai miei tempi, direi che avresti la punizione con il Professor Gildenlead, il docente di Alchimia, che era noto per dare dei compiti leggeri.
Se fossi stato nelle sue grazie, anche una detenzione con il Professor Slughorn, il docente di Pozioni, avrebbe potuta essere piacevole.

Si tratta di

 

Come hai detto che si chiama il docente di Difesa Contro le Arti Oscure?
Quello scrittore famoso che piace molto a tua madre

Ginny ridacchiò ancora più forte e scosse la testa, anche se Tom non poteva vederla.

Ho punizione con Mr. Filch, e la passerò con HARRY POTTER!!!
Ma ci pensi, Tom?
PASSERÒ UN’INTERA SERATA DA SOLA CON HARRY POTTER!!!
SONO TROPPO CONTENTA!!!

Squittì di gioia, rotolando sulla schiena e stringendo il cuscino forte al petto.

Ehi, calma!

Ginny poteva quasi sentire la risata leggera di Tom.<

Mi piacerebbe mettere il vestito che mi sono fatta per Halloween invece dell’uniforme ma non posso, uffa ;_;

Sai se esiste un incantesimo che fa sembrare i vestiti nuovi? Giusto un pochino perché ho solo una gonna ed è tutta scolorita, con un alone che neanche Mamma è riuscita a fare andare via.
E secondo te di cosa posso parlare con Harry Potter? Non voglio fare come quando eravamo alla Tana e non riuscivo a dirgli neanche ciao!

Picchiettò la penna sul calamaio mentre aspettava la risposta di Tom.

Per cominciare, potreste parlare di un interesse in comune.

Per caso hai un’idea di cosa gli piaccia?

L’entusiasmo di Ginny si sgonfiò come un palloncino bucato.

A parte il Quidditch, non lo so :-(

Beh, è pur sempre un inizio

Per il resto del pomeriggio, invece di fare i compiti, Ginny fantasticò con Tom su quello che avrebbe fatto con Harry Potter per tutta la serata. O almeno fino a quando Tom non si impuntò, ricordandole che aveva un tema di Pozioni da finire.

Ma l’eccitazione non lasciò Ginny un solo minuto, e perfino a cena era talmente impaziente che quasi si versò il succo di zucca addosso—per fortuna Tom le aveva insegnato un incantesimo per pulire i vestiti, così che sembrassero sempre perfettamente lavati e stirati. Incantesimo che usò sull’unica gonna che aveva per essere certa che fosse perfetta. Le sue compagne di stanza la sfotterono un po’ perché si stava preparando con tanta cura per una punizione, spazzolando i capelli fino a farli lucidare e mettendo il fermaglio che Charlie le aveva regalato per il suo compleanno.

All’ora convenuta, Ginny si ritrovò a camminare fianco a fianco con Harry Potter. Avrebbe voluto attaccar bottone, ma si sentiva ancora un po’ in soggezione e le occhiatacce torve che Mr. Filch le mandava non aiutavano. Di certo sarebbe andata meglio una volta raggiunta la Sala dei Trofei e che il bidello se ne fosse andato a dar la caccia a Fred e George.

«Tu occupati di queste vetrine a sinistra, ragazzina, e tu di quelle lì a destra, Eroe», abbaiò Mr. Filch, lanciandole contro uno straccio e la pozione Lucidor, che puzzava proprio come quella della Zia Muriel.

Ginny si mise subito al lavoro, sperando che lucidare uno scudetto le avrebbe permesso di calmare i nervi. Ne pulì uno; ne pulì due, e quando stava lucidando il terzo, lanciò un’occhiata a Harry Potter, tutto concentrato a lucidare una coppa argentata. Aprì la bocca per chiedere a Harry Potter quale fosse la sua squadra e il suo giocatore di Quidditch preferiti come le aveva suggerito Tom, ma era come se i gemelli le avessero messo un rospo pietrificato in gola. Ginny prese dei respiri profondi, e ci provò di nuovo più tardi.

«Qu-qual è la—»

«Non battere la fiacca, ragazzina! Mi ci voglio specchiare in quel trofeo!» disse Mr. Filch dandole uno scappellotto.

Ginny si morse la lingua per non dire una parolaccia. Il trofeo era già bell’e pulito: si sarebbe consumato tutto se lo avesse strofinato per tutta la sera! Con un grosso sospiro, allungò la mano verso la bottiglia di pozione lucidante.

Si irrigidì tutta, come se l'avessero pietrificata.

Le dita di Harry Potter avevano sfiorate le sue. Erano calde e un po' ruvide, macchiate di pozione.

«Fai tu per prima,» Harry le disse con un sorriso gentile, porgendole la bottiglia.

Ginny aprì la bocca, ma a malapena riuscì a balbettare un ‘grazie'. Si sentiva la pancia tutta strana, come se Fred e George le avessero fatto ingoiare dei Folletti della Cornovaglia vivi. Era così emozionata che quasi fece cadere la bottiglia.

«E-ecco», riuscì a balbettare senza alzare la testa, ma lanciando una timida occhiata a Harry.

«Grazie mille!» rispose lui, tornando a concentrarsi sul trofeo.

Ginny voleva piangere. Come poteva lasciarsi sfuggire un’occasione come quella per far colpo sul Ragazzo Sopravvissuto? Colin Creevy e le sue compagne di dormitorio erano stati così invidiosi quando Ginny aveva annunciato in pompa magna che avrebbe condiviso la detenzione con il famoso Harry Potter!

Strinse gli occhi forte e deglutì le lacrime. Non doveva e non poteva rovinare la sua serata speciale facendo la piagnona! Non voleva che Harry Potter pensasse male di lei! La mamma lo diceva sempre che ai ragazzi non piacevano le ragazzine che si lamentavano!

«Allergia alla polvere?» chiese Harry con un tono così cortese che Ginny si sentì accampare tutta.

Non era allergica, ma annuì per salvare la faccia. Tirò su col naso di nuovo, ma questa non riuscì a trattenersi. Un moccolone precipitò dalla narice sul trofeo che Ginny stava lucidando, colpendo il pieno la prima O del nome “Tom”.

Ginny sgranò gli occhi. Li strofinò pure per essere certa di aver letto bene. Ma non poteva essersi sbagliata. Il trofeo era stato assegnato per “Servigi resi alla Scuola” a nientemenopopodiche Tom Marvolo Riddle.

Sapeva che Tom era stato non solo Prefetto, ma anche il miglior studente del suo anno. Doveva essere stato un ragazzo davvero straordinario se aveva addirittura ricevuto un trofeo! Perché non glielo aveva mai detto? Si vergognava?

Ginny lucidò il trofeo fino a farlo lucidare, aggiungendoci pure un bello sputo come gli aveva insegnato Papà per le scarpe. Quasi non le dispiaceva dover finire la punizione prima di Harry Potter e di tornare subito in dormitorio invece che aspettare il suo idolo—anche perché non voleva assolutamente che lui si facesse un’idea sbagliata di lei.

Ginny voleva rinchiudersi nel suo baldacchino il prima possibile e farsi raccontare tutto su quel trofeo è su quello che Tom aveva fatto per riceverlo.

Mr. Filch studiò per bene tutte le coppe e gli stemmi che Ginny aveva dovuto pulire. La sua faccia si fece ancora più artigianale, ma anche volendo, non avrebbe trovato un solo alone. Pfff! Con tutte le volte che Ginny aveva aiutato la Mamma a pulire il servizio buono quando la Zia Muriel veniva a prendere il tè!

«Tu te ne puoi andare», il custode borbottò, strappandole lo straccio dalle mani. «Tu, invece, non hai finito, eroe.»

Ginny lanciò un’occhiata a Harry Potter, che borbottava. Avrebbe voluto dirgli una parola di conforto, trovare una scusa per restare ancora un po’. Ma era come ammutolita, e Mr. Filch la fissava torvo, come se volesse darle un calcio nel didietro se non se ne fosse andata. Per cui recuperò la bacchetta e il diario dal tavolo dove Mr. Filch li aveva tenuti per tutta la detenzione.

Le dispiaceva tanto di non poter restare più a lungo, ma Ginny si confortò al pensiero della chiacchierata che avrebbe avuto con Tom: era troppo curiosa di sapere che cosa avesse fatto per avere un trofeo tutto suo! Dei suoi fratelli, solo Charlie ne aveva ricevuto uno, ma con tutta la squadra di Quidditch per cui non valeva!

Per fare ancora più in fretta, Ginny decise di usare le scale dei prefetti, che non si muovevano, invece di quelle normali. Era stato Tom a dirle dove erano, un giorno che rischiava di fare ritardo per la lezione di Pozioni. Era un pochino pericoloso, perché avrebbe potuto mettere Percy nei pasticci se qualcuno l’avesse beccata; però lei aveva anche imparato da Fred e George come prendere le scope dalla rimessa senza che la mamma o il papà se ne accorgessero.

Ma arrivata al pianerottolo del secondo piano, Ginny si raggelò sentendo delle voci sommesse riecheggiare nella tromba della scala. Si sporse un po’, per vedere se i due prefetti stessero venendo verso di lei, ma le loro sagome rimasero sullo stesso pianerottolo un po’ più giù.

Ginny soffiò per il sollievo e ricominciò a scendere gli ultimi gradini che la separavano dalla porta del secondo piano. Doveva fare pianissimo, se non voleva essere scoperta; poi si fermò, a solo un metro e mezzo dalla porta. Era il momento più pericoloso, quello, perché sarebbe bastato che uno dei prefetti alzasse lo sguardo.

Masticò il labbro inferiore, stringendo forte il diario al petto. Poteva fare uno scatto e correre velocissima, ma avrebbe fatto un po’ troppo rumore. Poteva scivolare piano piano, ma era più rischioso.

Ginny si sporse un po’ di più. I due prefetti erano sempre lì e sembravano occupati a fare chissà che cosa.

Uno schiocco bagnaticcio. Un sospiro strano. E un nome che inchiodò Ginny lì dov’era.

«Oh, Percy…»

 

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Capitolo 9
*** Di Situazioni Imbarazzanti ***


«Sei sicuro?» sussurrò una voce di ragazza. «Se qualcuno ci scoprisse—»

«Oliver e Miranda non si faranno vivi fino al cambio di ronda, Penny…» rispose il ragazzo con un tono strano.

Ginny sgranò gli occhi. Non c’era ombra di dubbio, il ragazzo era Prefetto Perfetto Percy! Non avrebbe mai pensato di vederlo coinvolto in qualcosa di segreto! E poi Percy era troppo preso dai suoi doveri di prefetto per pensare alle ragazze, figuriamoci per le pomiciate. Strinse forte le labbra per non ridacchiare: Fred e George le avrebbero dato tutte le cioccorane e le api frizzole che voleva in cambio di un segreto così! E per renderlo ancora di più succoso, si sporse un po’ di più.

La torcia più vicina a loro era “curiosamente” spenta, ma le altre lasciavano abbastanza luce per vedere. Percy e la ragazza erano abbracciati stretti e (schifo!) si stavano baciando sulla bocca. Non un bacio a schiocco, ma come se si stessero mangiando la faccia!

Dopo un po’, Percy schiacciò la ragazza contro il muro e iniziarono a fare i versi, come quelli che certe notti Ginny aveva sentito venire dalla camera dei suoi genitori quando si svegliava perché aveva sete.

La ragazza piegò la testa all’indietro—non era una Griffyndor e la sua faccia era tutta corrucciata, la bocca aperta. Percy doveva farle molto male per avere un’espressione così dolorante! Al suo posto, Ginny avrebbe dato un pugno in faccia da un bel pezzo!

«C’è qualcuno!»

Ginny si irrigidì tutta, ma non appena incrociò lo sguardo della ragazza e di Percy, scattò verso il pianerottolo del secondo piano e corse più in fretta che poteva.

«Ginny! Ginny fermati!» la voce di Percy non era mai stata così arrabbiata, tanto che Ginny aveva paura di cosa sarebbe successo se l’avesse acciuffata.

Doveva nascondersi, in un posto in cui non l’avrebbe cercata…

Il bagno di Myrtle!

«Non… non dire a Percy che sono qui!» Ginny supplicò la fantasma, rintanandosi nel cubicolo in cui aveva nascosto il resto della pozione.

«E perché dovrei?» Myrtle rispose, con una punta di cattiveria.

Ginny si mordicchiò il labbro inferiore, sentendo la voce di Percy farsi più vicina. Strinse forte il diario, tappandosi la bocca per non far sentire i singhiozzi. L’odore della pozione le stava facendo girare un po’ la testa…

Il diario e la pozione!

Ginny pose il diario aperto sul pavimento e intinse un cucchiaino nel calderone.

«Ginny Molly Weasley, vieni fuori!» Il grido di Percy era stato così improvviso che la pozione cadde dal cucchiaino.

Ginny ne raccolse un altro po’ e trangugiò la pozione, grata che per lo meno Myrtle le stava facendo guadagnare tempo, ricordando a Percy che i ragazzi non avevano il permesso di entrare nel bagno delle ragazze.

Iniziò a sentire l’effetto della pozione quando Percy iniziò ad aprire le porte dei cubicoli. Ginny chiuse gli occhi, sperando di entrare nel diario prima che suo fratello la trovasse.

La vertigine e la sensazione di cadere la riconfortarono—sbattere di muso a terra un po’ meno.

«Gi-Ginevra?!» esclamò Tom sorpreso, nascondendo il libro che stava leggendo dietro la schiena. «Che cosa ci fai qui? Mi avevi promesso che non avresti mai più bevuto la pozione!»

Ginny si accovacciò, massaggiandosi la fronte. Poteva già sentire un bernoccolo gonfiarsi sotto le dita.

«Lo so e ti chiedo scusa, Tom! Ma questa volta ho preso la pozione col cucchiaino!» E gli raccontò come aveva fatto per determinare quanto fosse un sorso piccolo usando il succo di zucca e i cucchiai misuratori che usava per le lezioni di Pozioni.

«Hai avuto un’ottima idea per determinare una quantità meno empirica. Ma hai pur sempre fatto qualcosa di molto pericoloso! Inoltre, è alquanto ineducato piombare in casa d’altri senza permesso,» la rimproverò Tom.

Al contrario di Halloween, non portava né maglioncino né tunica, ma solo una camicia un po’ ingiallita come le pagine del diario, i pantaloni dell’uniforme, e delle bretelle come quelle di Nonno Oratius, solo che erano a strisce verdi e grigio chiaro.

«Scusa ancora, ma non sapevo dove nascondermi… Percy è così furioso…» disse Ginny, sentendo le lacrime salire. Si odiava per aver rotto la sua promessa così facilmente e Tom aveva tutto il diritto d’essere arrabbiato con lei.

Tom sospirò, inginocchiandosi davanti a lei ed evocando una pezzuola che aveva un vago odore di medicina e carta vecchia. «Ma guarda, domani avrai un bel bozzo viola in fronte… mi prometti che andrai in infermeria appena ti svegli? Non so quanto possa essere efficace il ricordo di questa pozione,» disse, tamponandole delicatamente la fronte. Sospirò. «Che cosa hai fatto per far arrabbiare tuo fratello al punto di doverti nascondere? Hai combinato qualcosa durante la punizione?»

Ginny scosse la testa e gli raccontò quello che aveva visto. «No, cioè, capisco che Percy non voglia che si sappia della sua fidanzata, i gemelli non smetterebbero di sfotterlo e fare scherzi, ma non così tanto! Mi ha fatto davvero paura Tom!»

Gli raccontò che aveva preso la scala dei prefetti per fare prima, ma aveva sorpreso Percy che si baciava con una prefetto. Tom era tanto disgustato dal racconto quanto Ginny nel vedere la scena, e più lei aggiungeva dettagli, più lui era orripilato.

«Sei sicura di aver visto… bene?» le chiese quando Ginny gli aveva detto dei versi.

Lei scosse la testa. «La torcia vicino a loro era spenta. Doveva fare freddo, se erano abbracciati così stretti e con i mantelli che li coprivano dal mento fino ai piedi.»

Tom si accasciò sul fainting couch con un gran sospiro di sollievo, coprendosi gli occhi con una mano. «Promettimi una cosa, bocciolo di rosa. Fa’ finta di non aver visto nulla, e se tuo fratello ti confronta, digli solo che hai visto un bacio. Ma non proferir una sola parola su tutto il resto, o le conseguenze per lui e quella ragazza potrebbero essere terribili!»

Ginny sgranò gli occhi, coprendosi la bocca con le mani. «È perché Percy le stava facendo male?! Cioè, capisco che in quel caso lui debba essere punito, ma lei che c’entra—»

«Mio bocciolo di rosa, sei così… ingenua!» Tom si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro. «Ebbene, se fossi stato io a scoprirli, indipendentemente che fossi di ronda o meno, secondo il regolamento scolastico dei miei tempi, avrei dovuto togliere loro cinquanta punti a testa, ovvero il massimo concesso a noi prefetti. Avrei dovuto denunziarli immediatamente ai rispettivi Capocasa, che avrebbero riportato al Preside, il quale avrebbe convocato i genitori di entrambi. Tuo fratello e la ragazza sarebbero stati retrocessi a semplici studenti, e considerato che sono venuti meno al loro dovere, sarebbero entrambi espulsi e ogni prospettiva di lavorare al Ministero o un’altra istituzione importante sarebbe distrutta. Senza contare la reputazione rovinata della ragazza!»

Se prima Ginny era sconvolta, adesso lo era mille volte di più! Prefetto Perfetto Percy aveva sempre blaterato della folgorante carriera che avrebbe avuto al Ministero della Magia, e che un giorno sarebbe diventato il primo Ministro Weasley della storia magica, Grande Mago, Stregone Capo del Wizengamot e addirittura Supremo Pezzo Grosso! Il Percy orgoglioso e perfettino che conosceva non avrebbe mai e poi mai rischiato l’espulsione da Hogwarts!

«Ma ha preso una pluffa in quel capoccione che si ritrova? Gli hanno fatto una fattura o cosa?! »

Tom scosse la testa, sospirando. «Purtroppo, a volte i ragazzi pensano con… un’altra parte del corpo invece che il cervello», disse storcendo la bocca disgustato. «Per favore, non chiedermi quale. È qualcosa di così… basso che mi viene il voltastomaco al solo pensarci. Non ne nego l’utilità, ma dovrebbe essere usata solo per una funzione fisiologica indispensabile.»

Ginny si accigliò, cercando di capire di che accidenti Tom stesse parlando. Le sembrava di aver sentito una volta Charlie sfottere Bill su qualcosa del genere…

«Vuoi dire il pisello?» chiese, grattandosi il mento. Non aveva senso, ma Tom. Non era uno scemo. Era anche più intelligente di Percy e forse pure di Bill! «Come fate voi maschi a pensare con il pisello? E serve davvero a fare qualcos’altro che la pipì?»

«Ginevra Molly Weasley, una strega per bene non dovrebbe parlare di certe cose!» La rimproverò Tom ancor più disgustato. Si passò le mani sulla faccia, prendendo dei respiri profondi. «Ginevra, capisco che le cose possono essere cambiate di molto negli ultimi cinquant’anni, ma mi imbarazza parlare di certe… cose. Spero che anche tu comprenda il mio punto di vista.»

Ginny annuì, sentendo la faccia tutta calda. Forse il problema era lei. Dopotutto, per tutta la sua vita era stata circondata da maschi; a parte dei brevi periodi con le sue cugine, non aveva mai passato tanto tempo con delle altre femmine. Spesso le sue compagne di dormitorio la guardavano in modo strano quando parlava o di comportava come quando era a casa sua—le aveva sorprese più di una volta a chiamarla “troll”.

Si strinse le ginocchia al petto, rimuginando su quello che le aveva detto Tom, su Percy, e su come non era riuscita a spiccicar parola con Harry Potter. Aveva sempre preso in giro sua cugina Mafalda, che passava tutto il tempo davanti allo specchio o a leggere Teen Witch, ed era più interessata a quanto fossero fighi i giocatori di Quidditch che a quanto fossero bravi. Ma forse a Harry Potter potevano piacere le ragazze tutte imbellettate come Mafalda, invece che i maschiacci come lei.

No! Harry Potter non poteva essere così superficiale! Ginny doveva solo dare il meglio di se stessa e prima o poi lui avrebbe visto che persona eccezionale era—proprio come Tom.

Fu più per togliersi quei pensieri dalla testa che altro, che Ginny chiese: «Allora, che cosa devo fare con Percy? Devo denunciarlo alla McGonagall o—»

«Santissimi numi, no!» la interruppe Tom. «Se tuo fratello Percy è davvero come me lo hai descritto, direi che sia uno Slytherin mancato! Tu non dire niente a nessuno. Anzi, se tuo fratello ti fa domande, fa finta di niente, e se proprio non puoi far altro che confessare, limitati a dire che hai visto che si baciava. Tutto il resto, come abbracciava quella ragazza, i versi, devi cancellarli dalla tua memoria, sono stato chiaro?»

Ginny si sentì un po’ offesa dall’opinione di Tom a proposito di Percy. Sì, Tripla P era ambizioso e orgoglioso, ma non tanto quanto uno Slytherin! E poi il Cappello Parlante non si sbagliava mai! Perfino con Tom, che forse era un Natobabbano, era ambizioso! Ma la sua era un’ambizione buona, perché era un orfano che non sapeva da dove veniva eppure si era impegnato tanto per dimostrare che quella storia del “sangue magico puro” era una gran bella babbanata! Come diceva la mamma, il troppo stroppia.

Ma forse Tom era solo preoccupato che Percy si arrabbiasse con lei e non le prestasse più il suo gufo per mandare le lettere a mamma e a papà.

«D’accordo Tom. Non lo dirò a nessuno. Neanche ai gemelli che, ne sono certa, saprebbero come rimetterlo in riga con un bello scherzo.»

La faccia di Tom si rilassò un po’. «Me lo prometti? Perché, credimi Ginevra: non c’è nulla di più pericoloso di una bestia senza via di fuga.»

«Te lo pro—»

Un’improvvisa vertigine si impossessò di Ginny. Tutto sembrava vorticare intorno a lei.

Tutto tranne le mani di Tom che la tenevano saldamente.

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