I won't let you go

di Martolinsss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO V ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO Vl ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO Vll ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO I ***



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CAPITOLO I



Chi dice che se ami davvero qualcuno devi lasciarlo andare, non ha mai amato sul serio.

Louis ne era del tutto convinto, mentre la scena del giorno precedente continuava a ripetersi nella sua mente, ancora e ancora, venendo ad infestare i suoi pensieri, ad appannare i suoi occhi e a sporcare il suo sorriso.



 -Non mi toccare!- aveva urlato Harry con tutta la voce che aveva nel suo debole corpo, un misto di paura e incomprensione, e disgusto, dipinto sul volto.
 
-Harry sono io, sono qui ora, va tutto bene!- Louis sussurrò, avvicinandosi per dargli un bacio.

I suoi baci l’avevano sempre calmato, sempre. Ma questa volta Harry si scansò, inorridito alla prospettiva dell’imminente contatto e quasi cadde dal letto, nel disperato tentativo di mettere quanto più spazio possibile tra se stesso e le braccia protese di Louis.

Pochi secondi dopo la porta della stanza si spalancò e un’infermiera si precipitò al capezzale di Harry, controllandogli il battito cardiaco e aiutandolo a rimettersi disteso.

-Ma dico, è diventato matto?- disse poi infuriata a Louis. Lui continuava a cercare di parlare con Harry, incurante dei rimproveri dell’infermiera.

-Harry, sono io, Louis.. il tuo fidanzato..- e quella parola gli bruciò come non mai sulla lingua, perché si era ritrovato a dover raccontare nove anni passati insieme con una sola parola, così superficiale, così limitante.

Harry non era solo il suo fidanzato, Harry era il suo migliore amico, il suo amante e il suo confidente. Harry era il suo porto sicuro, la sua anima, la sua ancora di salvezza, la sua ombra.

Eppure in quel momento, in quella stanza dalle pareti verde acqua, in fondo al terzo piano dell’ospedale di Londra, in prognosi riservata, sul volto di Harry non c’era nessun segno di riconoscimento per lui.

-Fidanzato?- Harry ripeté sgranando gli occhi, quegli occhi, verdi, nei quali mille volte Louis aveva nuotato con agilità e in cui invece ora stava andando a fondo.

-Io.. non so chi sei- rispose con voce debole, quasi come se si vergognasse di quell’ammissione, quasi come se fosse stata colpa sua.

A quelle parole Louis perse quel minimo di autocontrollo che gli era rimasto, scagliandosi verso il letto di Harry, perché no, non poteva essersi dimenticato di lui. Un urlo di dolore gli uscì dalla gola, come quello di un animale in agonia, e altre infermiere irruppero nella stanza, attirati dal frastuono.

-Per l’amor del cielo, se ne vada!- gridò una di loro a Louis, mentre Harry lo fissava spaventato da dietro le spalle protettive dell’infermiera. -Non lo vede che ha paura di lei? Vada via!-

-Non posso lasciarlo qui, io.. io lo amo!- tentò di difendersi Louis.

-Se lo ama, allora deve lasciarlo andare- e sentendo quelle parole, così chiare, così logiche, tutte le altre proteste gli morirono in bocca. Senza osare guardare un’altra volta Harry, Louis afferrò la sua giacca, dimenticata in qualche angolo in ombra della stanza, e uscì senza fare altro rumore.

Quando richiuse la porta dietro di lui, Louis giurò di aver sentito l’uomo che amava sospirare di sollievo.


 
Mentre Louis era solo nella sua macchina, ripensando alla scenata di ieri nella stanza d’ospedale di Harry, fuori aveva cominciato a piovere. Benché fossero soltanto le tre di pomeriggio, il cielo era così tetro e coperto di nuvole che sembrava fosse già sera.

Sospirò ancora, pensando agli occhi inespressivi di Harry quando si erano posati sui suoi e si disse, per la milionesima volta, che non doveva ascoltare le parole dell’infermiera. Lei non sapeva niente. Di Harry, di loro due, del loro amore, di quell’amore per cui avrebbe combattuto fino a quando non gli fosse più rimasta neanche una briciola di energia in corpo.

Quasi rise di se stesso mentre controllava il suo riflesso nello specchietto retrovisore, vedendo come si era pettinato i capelli quella mattina. Non tanto perché la pioggia avrebbe disfatto il suo ciuffo in un instante, ma perché quel ciuffo era il preferito di Harry e quella sarebbe stata la prima volta che, vedendolo, Harry non gli avrebbe rivolto un piccolo sorrisino soddisfatto.


 
Erano passati poco più di due mesi dall’incidente.

Quella maledetta sera Harry e Louis erano usciti per recarsi ad un cinema poco distante dal loro vecchio appartamento a Londra. Nevicava. Era la prima volta che si vedevano dopo una settimana di dolorosa separazione e quasi il film non lo guardarono, perché l’unica cosa che contava era essere di nuovo insieme.

Non prestarono attenzione neanche quando uscirono dal cinema, non si curarono delle strade innevate, sulle quali le ruote della loro auto facevano fatica a scorrere. Non fecero caso all’espressione inorridita della ragazzina sul bordo della strada che urlava loro di rallentare. Non videro l’enorme camion che stava velocemente scivolando verso di loro, fuori dal controllo delle mani del suo autista.

Esso colpì in pieno il lato sinistro della loro auto, spingendola avanti di ancora qualche metro. Louis si tenne forte al volante e riuscì a resistere all’urto, ma Harry non si era nemmeno messo la cintura, per stargli più vicino. Il suo corpo schizzò fuori dal sedile e la testa sbatté contro il parabrezza, rompendolo in mille pezzi, che caddero in una pioggia argentata, andando a mischiarsi ai fiocchi di neve caduti a terra.

Louis era lì a qualche centimetro di distanza, pietrificato, mentre osservava il corpo dell’amore della sua vita disteso a pancia in giù sul cofano dell’auto, lo spettro dell’ultima risata condivisa ancora impresso sul volto.

Louis se la cavò con un paio di costole rotte, e nel giro di qualche settimana tornò come nuovo, almeno fisicamente.

Harry invece aveva continuato a dormire. Per due lunghi mesi i suoi occhi si erano ostinati a rimanere chiusi, rifiutandosi di vedere la luce. I medici avevano detto che era stato anche troppo fortunato, considerando l’urto una persona normale sarebbe sicuramente morta sul colpo.

Ma Harry non era una persona normale, era la persona più buona e gentile del mondo, per questo era sopravvissuto.

Non aveva perso neanche una goccia di sangue e Louis l’aveva considerato un fattore positivo, come prova che dentro di lui non si era rotto niente di irreparabile. Ora che però Harry si era svegliato dal coma e non si ricordava più di lui, Louis avrebbe preferito che avesse perso litri e litri di sangue, perché a quello si sarebbe potuto facilmente riparare. Louis gli avrebbe dato il suo, gli avrebbe donato fino all’ultima goccia di sangue di cui avrebbe avuto bisogno per tornare a stare bene, per tornare da lui.

Contro un trauma cranico, o una perdita di memoria, Louis non sapeva nemmeno come chiamarla, non c’era niente che lui, o nessun’altro, potesse davvero fare per salvarlo.


 
Aveva smesso di piovere. Louis si fece coraggio, uscì dalla sua auto e si incamminò verso l’ospedale. Era ancora presto, sapeva che l’orario di visita sarebbe cominciato più tardi. Ecco perché fu sorpreso di trovare una piccola folla di persone nel corridoio, fuori dalla stanza di Harry.

C’erano i genitori, e sua sorella Gemma. Li aveva visti appena due giorni fa, ma qualcosa nel loro sguardo, quando videro Louis salire le scale, era cambiato. Sembrava una specie di compassione, che Louis non riuscì a spiegarsi.

Accanto a loro c’erano Niall, Zayn e Liam, i tre ragazzi con cui due mesi prima aveva preso la decisione che gli One Direction non si sarebbero più esibiti fino a che Harry non fosse tornato tra di loro.


 
Prima dell’incidente le cose per loro avevano finalmente preso a girare per il verso giusto. Era il 2016, ed era già passato un anno dalla rottura del contratto con la Modest.Si erano presi parecchi mesi per riposarsi e in quel tempo alcuni di loro si erano anche dedicati alla scrittura. Non erano più una band per ragazzine, Louis aveva venticinque anni suonati, ed era arrivato il momento che componessero loro stessi le loro canzoni.

Rompere il contratto non aveva significato però solo riposo e maggiore indipendenza. Per Harry e Louis aveva voluto dire smettere di nascondersi e raccontare al mondo del loro amore.

Benché ormai sempre più persone lo avessero capito, quando era arrivato il momento avevano avuto paura dei giudizi, delle occhiate maligne e di tutto ciò che la gente avrebbe detto e pensato, incurante dei loro sentimenti.

Ovviamente i commenti negativi non mancarono, ma essi non furono che una minima parte, un niente in confronto ai milioni di messaggi di supporto che ricevettero dopo che ebbero dato la notizia in diretta mondiale. I loro nomi, Harry e Louis, o i loro nomi mischiati, Larry, perché ormai non c’era più differenza, non lasciarono le tendenze di Twitter per oltre due settimane di fila.

Louis non avrebbe mai dimenticato la prima volta che uscì di casa tenendo Harry per mano e come gliela strinse ancora più forte, orgoglioso, quando incrociarono i primi passanti per strada.

Erano tornati a vivere insieme nel loro vecchio appartamento a Londra. Esso era il loro nido, il posto che li aveva protetti dalla cattiveria del mondo, ma per quanto amassero starci, ora che tutti sapevano la verità, passavano molto più tempo fuori, alla luce del sole. Si ubriacavano di ogni sorriso e di ogni parola di supporto che ricevevano, si commuovevano quando altri ragazzi si avvicinavano timidamente a loro e li ringraziavano per aver dato loro il coraggio di esseri sinceri, con se stessi, i loro genitori e amici.

Stava andando tutto per il meglio e Louis aveva appena cominciato a lasciar credere a se stesso che i tempi bui fossero finiti, che ora che aveva Harry al sicuro tra le sue braccia, nessun ostacolo sarebbe stato troppo difficile da superare.

Poi erano arrivati il camion e quella strada innevata, e si erano presi tutti colori e la felicità di Louis.Non gli avevano lasciato nulla, si erano portati via tutto.

Perfino l’amore di Harry, delicato e puro, per lui.


 
-Ciao ragazzi, avete saputo anche voi? Harry si è svegliato!- disse avvicinandosi.

-Sì, l’abbiamo saputo- disse Niall e Louis ritrovò nei suoi occhi la stessa compassione che aveva visto nello sguardo di Anne, che ora se ne stava lì immobile, senza dire una parola.

-Non siete già entrati, vero? Perché ha perso la memoria, non si ricorda più niente e non vorrei che ci rimaneste male come è successo a me ieri quando non mi ha riconosciuto!-

-Louis, noi.. siamo già entrati- si intromise Zayn.

-E.. Harry si ricorda di noi- concluse Liam in tono mortificato, poggiando una mano sulla spalla di Louis, che lo fissò senza capire. Un’ondata di sollievo lo travolse subito poco e sorrise.

-Menomale! Vuol dire che è stata solo una perdita di memoria momentanea, Dio che sollievo, mi sono spaventato per nulla!- e quasi si sarebbe messo a ridere per quanto si sentiva leggero e rincuorato, se non fosse stato per lo sguardo desolato di Anne lì a fianco. Non staccava gli occhi dal muro, in preda a ricordi che nessuno di loro poteva vedere.

-No Louis.. Gli abbiamo parlato e..- tentò ancora Zayn. Zayn che sapeva sempre come prenderlo. Zayn che sapeva quanto Louis fosse fragile. Zayn a cui ora tremava la voce per il peso di ciò che stava per dire. -Gli abbiamo parlato e Harry.. non si ricorda di te, soltanto di te.-

-Per forza non mi ha ancora rivisto. Sono sicuro che appena mi avrà visto si ricorderà all’istante!- e fece per aprire la porta della stanza di Harry.

-No Louis, è meglio se non entri..- lo fermò Liam, mettendosi davanti a lui per impedirgli di passare.

-Ma che cazzo stai dicendo, Liam? È il mio ragazzo, o te ne sei forse dimenticato?- gli rispose furioso, senza quasi preoccuparsi di abbassare il tono di voce.

-Louis..- intervenne Gemma, e Louis non si ricordava di averla mai vista più scossa e sciupata di così. La sua voce era poco più che un sussurro, una supplica. -Harry non si ricorderà di te. Dopo quello che ci ha detto l’infermiera, la reazione che ha avuto ieri con te, pensavamo che non avrebbe riconosciuto nessuno. Invece stamattina siamo entrati e ha salutato me e mia madre per nome. A questo punto pensavamo riconoscesse solo la famiglia, ma poi sono arrivati i ragazzi e li ha salutati uno ad uno, chiedendo loro come stavano.- Louis la stava a sentire attonito, rifiutandosi di credere che fosse tutto vero. -A quel punto allora gli abbiamo fatto vedere una tua foto, pensando che avrebbe detto subito il tuo nome, eravamo quasi sorpresi che non avesse ancora notato la tua assenza..-

-E invece?- chiese Louis impaziente, aggrappandosi al muro dietro di lui, per trovare la forza di ascoltare, e reggere, la risposta che Gemma stava per dargli.

-E invece ha detto solo “È lo stesso ragazzo che è venuto qui ieri, finché gli infermieri non l’hanno dovuto mandare via. Non ho idea di chi sia”. Mi dispiace, Louis..- mormorò Gemma, allungando una mano per confortarlo.

Ma Louis non la vedeva più. Si era accasciato a terra, sotto il peso di quella rivelazione così assurda, quasi ridicola, senza senso.

-Gli avete detto altro? Gli avete parlato di noi?- chiese, non riuscendo quasi a riconoscere la sua stessa voce.

-No, pensavamo che avresti voluto farlo tu.. Gli abbiamo mostrato solo qualche modo della band per fargli vedere che ne fai parte anche tu- rispose Niall.

-Continuava a dire che eravamo solo in quattro e pensava che lo stessimo prendendo in giro..- finì per lui Zayn.

-Fatemelo vedere- disse poi Louis, riaprendo lentamente gli occhi e accumulando in una parte del suo cervello tutte le informazioni che gli erano appena stata date, perché sapeva che se si fosse messo a riflettere ora, non si sarebbe più rialzato da quelle fredde piastrelle a quadretti bianchi e blu.

-Non credo che sia il caso. Si è appena svegliato dopotutto, lasciamogli ancora qualche giorno..- protestò Liam.

-Come puoi dire questo, Liam? Proprio tu che dovresti capire!- e Liam arrossì sotto il peso di quelle accuse. Era Liam quello da cui Louis era sempre andato a cercare aiuto all’inizio della loro storia, quando le cose tra Louis e Harry ancora erano perennemente incerte e in bilico.

-Lascialo passare Li, ha il diritto di vederlo, più di tutti noi..- lo aiutò Zayn.

-Va bene, ma promettimi che non farai altre scenate!- rispose Liam, e dopo un cenno d’assenso di Louis, si scostò per lasciarlo passare.

-Vuoi che entri qualcuno con te, Lou?- gli chiese Niall.

-Anne, per favore- e in un attimo lei si riscosse dallo stato di trance in cui era caduta e fu al suo fianco. Gli prese la mano per fargli coraggio e aprì la porta per entrambi.

Harry era seduto a letto, con il computer portatile aperto sulle gambe. Nonostante la camicia da notte a pallini blu e i capelli disordinati, a Louis mancò il fiato per quanto era bello. Era ancora un po’ pallido e le labbra erano decisamente meno rosee del solito, ma era sempre Harry. Vivo. Sano. C’era aria nei suoi polmoni e il sangue stava scorrendo nelle sue vene. Al resto si sarebbe trovato rimedio.

Non tutto, forse, era perduto.

-Ciao mamma!- esclamò Harry quando la vide entrare -Non puoi capire il putiferio che è scoppiato su Twitter quando ho scritto che mi sono svegliato! Non avevo mai ricevuto così tanti messaggi di affetto in vita mia!-

Si che li hai ricevuti, pensò Louis. Quando hai detto a tutti che mi amavi.

-È bellissimo tesoro- gli disse Anne facendogli una carezza -te lo dicevo che non si sarebbero dimenticati di te!-

-Appena torno a casa e mi tolgo questo sacco di patate che mi hanno costretto a mettere, voglio fare una twitcam per ringraziare tutti!-

-Certo tesoro, sono sicura che lo apprezzeranno molto. Ora però, se ne hai voglia, c’è una persona che è venuta a salutarti..- e un lieve tremolio della voce rischiò di tradire il calore del suo sorriso.

-Va bene- rispose Harry curioso, e in quel momento Louis rivide in lui un flash dell’uomo gentile e disponibile di cui era innamorato. Il sorriso cordiale però si spense sulle labbra di Harry appena capì di chi si trattava.

-Oh, sei tu..- disse piano. Sembrava deluso, o forse infastidito e Louis non ebbe la forza di fermarsi a soppesare i due aggettivi per decider quali dei due sarebbe stato il peggiore.

-Sono io- rispose Louis, senza però azzardarsi a fare un solo passo verso di lui. Dopo la scenata di ieri, aveva paura che Harry temesse la sua vicinanza tanto quanto Louis temeva un suo rifiuto.

-Perché non ti siedi?- gli chiese senza guardarlo, indicando con gli occhi la sedia vuota di fianco al suo letto.

Louis ringraziò Dio per quel primo accenno di disponibilità e si sedette vicino a lui, tenendo le mani strette intorno alle sue ginocchia così che non gli venisse la tentazione di toccare quelle di Harry.

Gettò un’ultima occhiata ad Anne, che si era spostata vicino alla finestra per lasciare loro un po’ di privacy. Lei gli sorrise incoraggiante e Louis tornò a guardare Harry.

Chiuse per un istante gli occhi, per decidere cosa dire. Harry faceva parte della sua vita da così tanto tempo, che era difficile pensare alla parola inizio. Non riusciva a ricordarsi quei giorni in cui la parola Harry non suonava familiare sulle sue labbra e non era altro che il nome del ragazzino che stava giocando nel giardino della casa in fondo alla strada.

Quando Louis riaprì gli occhi, Harry stava giocherellando con il bordo del copriletto, deciso a non guardarlo in faccia. Louis allora inspirò profondamente e cominciò a parlare, per spiegargli quello che pensava non si sarebbe mai dovuto trovare a mettere in discussione.

Il loro amore.

 

Spazio autrice:

Ciao a tutti! Il trasferimento in Inghilterra è andato a buon fine, e ora che mi sono finalmente sistemata, ho tirato fuori questo primo capitolo che avevo scritto già da un po', e dopo avergli dato una bella spolverata, eccolo qui per voi, pronto da leggere.
Dopo qualche one shot, ho iniziato a sentire la mancanza di scrivere una storia più lunga. Mi mancava dipingere un profilo di Harry e Louis e portarlo avanti con continuità, facendolo crescere, e maturare, ad ogni capitolo.
L'idea per questa storia mi è venuta guardando il film "The Vow", con la splendida Rachel McAdams. La situazione all'inizio è la stessa, ma col proseguire della storia la mia prenderà un corso tutto suo, prendendo le distanze da quella che è concretamente la trama del film. Personalmente sono sempre stata attratta dalle tematiche legate alla memoria, alla perdita dei ricordi, al tornare indietro nel tempo, eccetera e questa storia è il risultato di questo interesse, un po' contorta, ma (spero) che vale la pena leggere.
Come sempre spero nei vostri commenti e la mia inbox è aperta a qualsiasi tipo di critica, giudizio o suggerimento.
Non so dire con esattezza quando metterò il secondo capitolo, perchè dipende in gran parte dal riscontro che avrà il primo, quindi se vi piacerebbe continuare a leggere questa storia, vi prego di farmelo sapere e non esiterò a pubblicare con regolarità!
Che altro dire se non grazie per essere arrivati fin qui?? A presto, un bacio!

Marta

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Capitolo 2
*** CAPITOLO II ***




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CAPITOLO II


Louis spense il motore della macchina nel parcheggio sotto casa. Tolse le chiavi dal cruscotto, appoggiò la testa contro il volante e pianse.

Pianse perché era tutto il giorno che non vedeva l’ora di farlo, ma era riuscito a trattenersi davanti agli altri all’ospedale.

Pianse perché era solo nella sua auto, al buio, mentre la pioggia cadeva colpendo ripetutamente il parabrezza, senza pietà.

E soprattutto pianse perché aveva parlato con Harry, quel pomeriggio, e rispondere alle più innocue domande da parte sua era stata la cosa più dolorosa che Louis si fosse mai trovato a dover affrontare. Forse ancora di più del coming out, perché quella volta aveva avuto il mondo contro ma c’era Harry al suo fianco.

Questa volta invece Louis era solo, non riusciva a levarsi l’odore del disinfettante dalle narici e la pioggia non la smetteva di rovesciarsi su di lui e sul suo dolore.

“Da quanto stavamo insieme? Avevamo intenzione di sposarci? In che città vivevamo?” e soprattutto “Chi sapeva di noi?”.

Louis aveva risposto a tutto ciò che gli veniva chiesto, dicendosi che era normale che Harry volesse sapere. E fece anche del suo meglio per ignorare come ogni domanda venisse formulata al passato.

Gli disse che poteva guardare il video della Twitcam in cui avevano detto la verità, ma non si offrì di restare a guardarlo con lui e Harry non glielo chiese. In effetti Louis era rimasto sorpreso che Harry non avesse cercato informazioni su di loro dopo che gli altri ragazzi gli avevano detto della loro relazione. Forse aveva voluto prima parlarne con lui, forse l’aveva fatto ma non gliel’aveva detto, o forse aveva rimandato quanto più possibile il momento di affrontare lo stato delle cose.



Dopo quella che gli parve un’eternità, Louis rialzò la testa e gli non riuscì di preoccuparsi del dolore al collo, per essere stato in quella posizione per troppo tempo. Il dolore fisico, ormai, era quasi diventato un sollievo in confronto a come si sentiva dentro. Si stropicciò gli occhi, un’ultima volta, e senza nemmeno allacciarsi la giacca o aprire l’ombrello, uscì dalla macchina e si avviò verso il portone del condominio.

Entrò nel suo, nel loro appartamento, senza fare rumore, perché dopo il peso di tutte quelle parole che aveva rovesciato su Harry, aveva bisogno di silenzio.

Si cucinò un piatto di pasta, che finì per gettare intatto nella spazzatura, dopo le prime due forchettate. Si spogliò dei suoi vestiti per infilarsi un maglione di Harry, color nocciola e che gli arrivava quasi alle ginocchia. Si infilò a letto, cercando di ignorare l’altra parte fredda e vuota del materasso.Il suo telefono vibrò distrattamente sul comodino e Louis lo afferrò controvoglia, mettendo a tacere la speranza che fosse Harry.

Il punto era che Louis aveva creduto che quel pomeriggio si sarebbe potuto risolvere tutto. La persona seduta su quel letto, dopotutto, era Harry, lo stesso Harry che si era innamorato di lui sette anni prima, quando ancora non sapevano nulla dell’altro. Louis aveva sperato che quel giorno fra di loro potesse scattare qualcosa, come quella volta, una scintilla per cui Harry tornasse a sentire qualcosa per lui, anche se non era capace di riconoscerlo.

Ma le cose non erano andate così, perché Harry non si era re innamorato all’istante di lui e Louis, rabbrividendo, solo in quel letto enorme, si chiese se, dopotutto, sarebbe mai stato in grado di farlo.

Il messaggio era di Liam, che gli augurava la buona notte e gli diceva di non disperarsi.

Louis non rispose e spense la luce.



I giorni successivi passarono in un turbinio di attese in corridoio, esami e controlli.I medici dicevano che Harry si stava riprendendo in fretta e Louis non poteva dare loro torto. La sua pelle aveva ripreso il suo colorito normale e ormai riusciva a mangiare da solo.

Stava bene, a parte il fatto che Louis per lui era ancora un estraneo.

Lo salutava con un sorriso quando andava a trovarlo e un paio di volte gli rivolse lui per primo la parola, come quando gli chiese se poteva portargli un po’ di vestiti da casa o quando gli domandò se poteva scendere al bar a comprargli delle patatine. Si dimenticò di dirgli che ci voleva sopra la maionese, ma Louis lo sapeva già e Harry lo ringraziò sorpreso quando gliele porse.

La maggior parte del tempo però Louis la passava in un angolo della stanza dell’ospedale, ad ascoltare le chiacchiere e le risate di Harry e delle mille persone che ogni giorno lo passavano a trovare. Non era esattamente il massimo e un paio di volte se ne andò perfino senza salutare, tanto nessuno si era accorto in ogni caso della sua presenza. In generale però era contento che ci fossero altre persone, perché tremava all’idea del silenzio che si sarebbe creato se mai si fossero ritrovati in quella stanza da soli.

Tutto cambiò un mercoledì mattina, circa una settimana dopo il risveglio di Harry. Dopo l’ennesimo controllo della pressione, la dottoressa si dichiarò soddisfatta dei suoi progressi e annunciò che non c’era più motivo che lui rimanesse lì.

Harry sorrise felice, ma Louis e Anne si scambiarono uno sguardo preoccupato. Che cosa sarebbe successo ora? Harry sarebbe dovuto tornare con lei a Holmes Chapel o continuare a vivere con Louis? Chiesero a tutti di uscire e rimasero solo loro due con Harry.

-Tesoro lo so che non è facile e capisco benissimo se senti che è ancora presto e vuoi venire a casa con noi, ma penso che andare, voglio dire tornare a vivere con Louis sarebbe la scelta migliore per te. La dottoressa dice che per il recupero totale della memoria è importante che torni a vivere quanto più possibile nella maniera in cui vivevi prima dell’incidente.-

Harry non rispose e Louis non trovò la forza per aprire bocca.

Come avrebbe fatto a convincerlo a tornare a casa con lui quando non era neanche sicuro che fosse la cosa giusta per Harry? Era ovvio che Louis lo rivolesse tutto per sé, ma sempre più spesso in quei giorni mentre se ne stava da parte, appoggiato alla finestra, si era ritrovato a chiedersi se tutto quello non fosse un segno che il loro amore era sbagliato. Era vero, si erano messi contro gli interessi di una casa discografica, e avevano vinto, ma Louis non era sicuro che ce l’avrebbero fatta anche contro il loro destino, ormai palesemente avverso.

-Va bene- rispose lentamente Harry, strappando Louis dai suoi pensieri e parlando direttamente a lui -però andiamoci piano, okay?- ed era tutto così dannatamente inaspettato e assurdo che Louis quasi non ci credeva.

Per una qualche ragione, qualunque essa fosse, Harry aveva accettato di tornare a vivere con lui, con un estraneo, e più niente ora agli occhi di Louis sembrava irrecuperabile.



Un’ora dopo erano sotto casa loro. Louis nel posto di guida, Harry di fianco a lui e le sue valigie nel baule della macchina.

Si erano scambiati solo un paio di parole durante il viaggio, per sapere se il riscaldamento era sufficientemente alto o se la canzone che stavano passando in quel momento alla radio piaceva a entrambi.

-Vuoi sapere perché ho accettato di tornare a casa tua nonostante io sappia a malapena chi sei?- gli chiese Harry, giocherellando con il polsino della sua giacca. Louis si limitò ad annuire, la voce persa da qualche parte nella gola, tra un singhiozzo strozzato e un respiro di sollievo.

-Perché ho guardato il video che mi hai detto tu, quello del coming out, e sembravo davvero felice con te- gli disse sincero.

-Credimi, lo eri- Louis rispose e senza un’altra parola aprì la portiera e uscì, per non far vedere a Harry le lacrime che minacciavano di cadergli sulle guance.

Prese la valigia per lui e fece strada quando si accorse che Harry non aveva idea di dove andare. Gli si strinse il cuore nel vedere che aveva dimenticato anche casa loro, ma non poteva fargliene una colpa, così si stampò in faccia un sorriso e gli aprì la porta.

Il fatto che mentre lo fece pensò alla prima volta che Harry l’aveva portato lì anni prima, per fargli vedere l’appartamento che di nascosto aveva comprato per loro, era completamente un altro discorso.

Mentre Louis si fiondò in cucina alla ricerca di qualcosa da preparare per cena (maledicendosi per non essersi nemmeno preoccupato di andare a fare la spesa) Harry si fermò nervosamente nell’ingresso, non del tutto sicuro di dove appendere il cappotto. Alla fine decise di appoggiarlo sul divano e raggiunse Louis in cucina, con occhi che sembravano vedere tutto per la prima volta.

-Che bello il frigorifero a due ante!- disse mentre passava la mano sul marmo delle mensole e il legno delle sedie, assaporandone la sensazione delicata sotto i polpastrelli delle dita. Si offrì di mettere la tavola, mentre Louis tagliava la pancetta a cubetti e faceva bollire le uova.

Harry ci mise un sacco di tempo, ogni volta aprendo mille cassetti sbagliati prima di capire dov’era la tovaglia, le posate e infine i bicchieri. Louis non si lamentò per il ritardo, commosso di rivederlo aggirarsi tra quelle pareti. Un paio di volte si scontrarono per sbaglio e seguirono sguardi imbarazzati e sorrisi a mezza voce.

Dopo cena Louis accese quasi senza pensarci la televisione in salotto, perché era l’ora del telefilm preferito di Harry e si sedettero entrambi sul divano a guardarlo, mormorando ogni tanto un timido “Scusa” quando le loro ginocchia o le loro mani si sfioravano per sbaglio. Quando la puntata finì erano da poco passate le nove, ma Harry già sbadigliava, probabilmente ancora sotto l’effetto dei farmaci presi quella mattina.

Louis si alzò e lo accompagnò nella loro camera da letto, facendogli vedere dove teneva il pigiama pulito e afferrando il suo, prima di tornare in salotto.

-Dove stai andando?- gli chiese Harry quando lo vide in cerca di altre coperte nell’armadio.

-Penso che sia meglio che io dorma sul divano, almeno per un po’. Sono già fortunato che tu sia qui e non voglio affrettare troppo le cose.-

Harry annuì educatamente, ma Louis poteva vedere che, sotto sotto, ne era sollevato.

-Buonanotte allora..- gli disse con voce esitante.

-Buonanotte Harry..- rispose Louis prima di lasciarlo solo nella stanza dove, anche se lui non se lo ricordava, avevano condiviso tutto.



Louis non dormì per niente bene quella notte.

Non riusciva a prendere sonno sapendo che per la prima volta dopo mesi Harry era soltanto a qualche metro da lui, immerso in chissà quali sogni. C’è da dire poi che non era abituato a dormire sul divano, perché ogni volta che avevano litigato, Harry gli aveva sempre lasciato il letto, sapendo che altrimenti il giorno dopo Louis si sarebbe svegliato con il mal di schiena.

Verso le sette si arrese e si alzò, barcollando fino in cucina, dove si versò un bicchiere di latte freddo. Decise poi di andare a correre, perché non voleva rischiare di svegliare Harry facendo le pulizie, di cui l’appartamento aveva un disperato bisogno.

Non aveva ancora smesso di piovere e Louis corse sotto l’acqua gelata, facendo per due volte il giro dell’isolato e senza mai averne abbastanza del bruciore ai polpacci o della sensazione tagliente dell’ossigeno che gli entrava a forza nei polmoni.

Sulla via del ritorno si fermò a comprare due caffè, sapendo che in casa non ce n’era più da un bel pezzo. Rientrò piano, nel caso Harry dormisse. Era ancora in camera sua, ma era già sveglio e stava parlando al telefono. La porta era socchiusa e Louis riuscì a catturare qualche brandello della conversazione.

-No, non è qui ora, penso sia uscito. È stato gentilissimo con me ieri sera, no non mi è saltato addosso, figurati. Non lo so, mi è ancora difficile stargli vicino, ma credo che questo sia l’unico modo per tornare alla normalità.-

Louis si allontanò e tornò in cucina, un po’ perché voleva dare ad Harry la sua privacy e un po’ perché aveva paura di quello che avrebbe potuto sentirgli dire. Venti minuti dopo Harry si presentò in cucina, completamente vestito e in ordine.

Louis dopo averlo salutato finse di cercare qualcosa nel frigo vuoto, per non ripensare a come invece Harry era solito scendere in cucina quando ancora non erano due estranei forzati a vivere insieme e non si vergognava di mostrare il suo corpo. Riusciva ancora a vedere i capelli arruffati, la maglietta infilata al contrario, i pantaloni del pigiama raggrinziti e gli occhi gonfi di sonno, rimpiazzati ora da un volto sveglio e riposato.

-Mi sento in gran forma! Pensavo che mi sarei svegliato col mal di schiena e invece ho dormito benissimo!- disse Harry, afferrando uno dei due caffè sul tavolo.

È perché sei già abituato a dormire in quel letto, anche se non te lo ricordi.

Gli sorrise prendendo l’altro caffè e poi sorseggiandolo piano, scaldandosi le mani avvolgendole strette intorno al contenitore ancora bollente.

-Quindi, cosa facciamo noi di solito tutto il giorno?- gli chiese Harry poco dopo e la domanda colse Louis completamente di sorpresa, perché loro ultimamente non avevano mai programmi o orari da rispettare. Dopo tre anni sempre in tour, ora si limitavano a fare ciò che avevano voglia quando si svegliavano.

-Beh diciamo che dall’anno scorso ce la stiamo prendendo un po’ comoda. Non siamo più sempre in giro, con gli altri ragazzi, uno stato diverso al giorno, quindi di solito ci alziamo abbastanza tardi, poi io pulisco un po’ mentre tu cucini. Il pomeriggio o usciamo per andare a trovare qualcuno oppure stiamo a casa. Non so, ultimamente dicevi che volevi imparare a suonare la chitarra e ne hai anche comprata una con un asta su Ebay, è nell’armadio in camera.-

-Capisco, chitarra dunque. E tu che fai di solito? Quando non usciamo intendo..- gli chiese Harry.

Sto tutto il giorno attaccato a te fino a che non riesci più a concentrarti in quello che stavi facendo e mi baci fino a quando entrambi non respiriamo più.

-Di solito scrivo, canzoni per la maggior parte..-

-Oh capisco, tu scrivi e io imparo a suonare quindi- rispose Harry in tono pratico, e Louis odiò come quella frase sembrasse ridurre, quasi semplificare, la loro vita insieme.

Allo stesso tempo però come poteva dirgli che la loro relazione era giudicata quasi come noiosa dagli altri, vista e considerata la quantità di tempo che passavano in compagnia dell’altro, senza fare nulla di rilevante, beandosi solo della reciproca presenza e vicinanza, dopo così tanti anni di forzato distacco.

-Questa mattina però c’è assolutamente bisogno di andare a fare la spesa o moriremo di fame nel giro di due giorni!- disse Louis con voce divertita ma sincera.

-Va bene!- rispose Harry entusiasta -Mi metto le scarpe e sono pronto!-

-Davvero lo faresti?- Louis chiese commosso.

-Certo, perché di solito non vengo?- chiese Harry aggrottando le sopracciglia e con la tazza di caffè a qualche centimetro dalle labbra.

-Sì, andiamo sempre insieme! Solo.. pensavo volessi stare un po’ da solo dopo che hai dovuto stare ininterrottamente con me da ieri sera!-

-No, va bene! Voglio dire, devo starti vicino se voglio capire perché mi sono innamorato di te, no?- e forse lo stava solo prendendo in giro, ma a Louis si formò un groppo in gola e seguì Harry nell’ingresso, infilandosi il cappotto.

Impiegarono tutta la mattina a fare la spesa, perché andarono in un supermercato lontano dal centro di Londra, dove erano sicuri che nessuno li avrebbe riconosciuti.

Harry afferrava con sicurezza dei prodotti dagli scaffali e Louis ne aggiungeva altri di nascosto nel carrello che era sicuro a Harry piacessero, anche se ora sembrava essersene dimenticato.

Tornando a Londra decisero di andare a trovare Niall che abitava non molto lontano da lì. Louis sapeva che era importante che Harry continuasse a vedere anche gli altri ragazzi regolarmente, perché erano gli unici punti di riferimento che aveva al di fuori di lui. Niall li invitò a fermarsi a cena, chiamando anche Zayn e Liam.

Quando si sedettero tutti e cinque intorno al tavolo, per un attimo a Louis sembrò che fosse tornato tutto come prima, poi però realizzò che non c’era il piede di Harry a sfiorarsi continuamente contro il suo e non c’era la sua mano ad accarezzargli il ginocchio di nascosto, sotto la tovaglia. Ma soprattutto mancavano gli occhi di Harry, che non cercavano continuamente i suoi dall’altro lato del tavolo, mentre gli altri ridevano di qualcosa che loro due non avevano nemmeno ascoltato.



Un paio d’ore dopo erano tornati a casa loro e, mentre si levava le scarpe, Louis si chiese se anche quella sera Harry avrebbe voluto andare a letto presto. Era fermo in salotto, guardandosi in giro in cerca di qualcosa da dire, ed era così palesemente a disagio che a Louis ricordò un grosso soprammobile fuori posto.

-Ti va di guardare un film?- Louis gli chiese rompendo quel silenzio soffocante.

Harry sospirò, raddrizzando un cuscino sul divano.

Ora mi dice che si è stancato e che se ne vuole andare. Ha capito che non si potrà mai ricordare di me e che è meglio che torni a casa sua immediatamente.

-Se non ti dispiace preferirei parlare un po’.-

-Va bene..- rispose Louis, cercando di tenere a freno il terrore di trovarsi a rispondere ad altre innocenti, ma dolorose, domande. -Cosa vuoi sapere?-

-Niente di rilevante. Voglio dire, nei giorni dopo il mio risveglio ho avuto parecchio tempo libero e dopo che ci siamo parlati la prima volta, sono andato a cercare un po’ di cose su di noi. Sai.. foto, video, racconti.. Non che non mi fidassi di quello che mi avevi detto tu, ma avevo bisogno di sentire altri punti di vista, per farmi una mia idea e capire perché stavo così bene con te come tutti continuano a ripetermi- e dicendo queste ultime parole Harry arrossì lievemente, ma Louis non trovò la forza di riderne, impegnato com’era a cercare di non mettersi a singhiozzare davanti a lui, pregandolo di stringerlo tra le sue braccia.

Voleva più di ogni altra cosa al mondo che Harry annullasse la distanza tra di loro e lo tenesse vicino, sul suo petto, e che lasciasse che i capelli di Louis gli solleticassero il mento. Anche se sapeva che per lui non avrebbe avuto nessun significato, anche se sapeva che non avrebbe riconosciuto il profumo del suo shampoo, Louis voleva solo essere cullato da quella voce, e da quegli occhi, per iniziare a credere che sarebbe andato tutto bene.

-Ho trovato dei blog fatti benissimo, che mi hanno detto davvero tutto quello che c’era da sapere su di noi- continuò Harry -ed è stato bello leggerli, dico davvero, anche se sembrava la vita di qualcun altro. Ho parlato anche un po’ con mia mamma, Gemma e gli altri ragazzi e ognuno di loro mi ha raccontato qualcosa che mi ha fatto capire quanto era unico il nostro rapporto.-

Era.

Concluso. Archiviato. Da buttare.

-Che cosa ti hanno raccontato?- chiese Louis, quasi in imbarazzo.

-Liam per esempio mi ha detto che ci sono stati dei periodi in cui facevano giorni e giorni senza uscire di casa e senza vedere nessuno perché volevano stare per contro nostro. Niall invece mi ha raccontato che a volte non riusciva a starci dietro, perché eravamo come in una bolla di sapone, sempre a ridere di qualcosa solo nostro, che lui e gli altri non potevano capire.-

-È vero!- rispose Louis sorridendogli -Per quanto volessimo loro bene, abbiamo sempre avuto bisogno di stare da soli, avere momenti in cui potevamo essere solo io e te.-

-Ed è per questo che volevo parlarti stasera. Se davvero voglio capire perché stavo con te, perché ho accettato il rischio di distruggere la band pur di non rinunciare a noi, l’unica persona con cui devo parlare sei tu. Gli altri possono raccontarmi tutto ciò che vogliono, ma solo tu sai com’era vivere insieme ogni giorno ed è importante che tu me lo dica, concretamente, non quelle cavolate della chitarra e dello scrivere canzoni!-

-Non volevo prenderti in giro, Harry. È solo che è così difficile per me trovare le parole per farti capire davvero cosa significava stare insieme. Siamo stati insieme, giorno dopo giorno, per otto anni, e non me lo ricordo nemmeno più com’è stare senza di te. Sei diventato piano piano una parte così importante della mia vita che a volte mi sembra che tu ci sia stato da sempre, fin dall’inizio. Facevamo tutto insieme, Harry, da quando ci svegliavamo al mattino a quando andavamo a letto la sera. Andare a fare la spesa, fare la doccia, lavare i piatti, cambiare i vestiti nell’armadio, comprare le lenzuola e gli asciugamani, mettere la carta nei cassetti della cucina, semplicemente tutto. E anche quando non facevamo niente, eravamo sempre vicini, attaccati, incapaci di separarci da quel calore che solo il corpo dell’altro sapeva darci. So che a dirlo così sembra sdolcinato, forse anche morboso, ma era così per noi, Harry, io ero il tuo tutto e tu eri il mio, ci veniva naturale fare qualsiasi cosa insieme. Litigavamo però spesso per questo, una volta me ne sono pure andato di casa per una settimana, pur di dimostrare che potevamo stare lontani. E ce l’abbiamo fatta, voglio dire siamo sopravvissuti alla lontananza, ma eravamo vuoti, soli, spenti. Fu lì che capimmo che avremmo potuto condurre vite più separate, se avessimo voluto, ma perché farlo se ogni volta che eravamo lontani finivamo per imbruttirci e diventare delle personepeggiori? Le cose poi sono un po’ migliorate durante l’ultimo anno, non dovevamo più nasconderci e quindi era bello passare più tempo anche con gli altri, sentire sulla nostra pelle il loro affetto e supporto. Non siamo mai stati asociali, Harry,è solo che quello che avevamo era unico, e l’avevano accettato tutti quelli che ci volevano bene. Era diventato la normalità: se uno dei due veniva invitato a una festa era scontato che l’invito valesse anche per l’altro, se tu decidevi di andare a trovare i tuoi genitori automaticamente venivo anche io e lo stesso per la mia famiglia. Era assurdo, ma normale per noi, ecco perché è così imbarazzante per me ora spiegartelo.-

-Non devi essere in imbarazzo. Se sono rimasto per otto anni con te immagino che vivere in quel modo non dovesse dispiacermi molto!- Harry rispose, guardandolo negli occhi.

Louis lo guardava a sua volta ma non c’era contatto, una connessione, perché gli occhi di Louis erano schiacciati sotto il peso di ricordi che quelli di Harry, anche se spalancati, non potevano vedere.

-Raccontami qualcos’altro, qualcosa che nessun’altro sa, mi piace starti a sentire- e Harry si accoccolò sul divano, pronto ad ascoltare.

Louis lo guardò ancora, colpito da quelle parole, e per un attimo gli passò per la mente l’idea folle di tirarlo verso di lui e stringerlo, senza più paure, senza più domande.

Poi prese un respiro profondo, cercando tra i mille ricordi che portavano il nome di Harry quelli più belli da condividere, così che forse, sentendoli, Harry avrebbe potuto rendersi conto di quanto rara, e delicata, la loro storia fosse.

Chiuse gli occhi un istante per calmarsi, lì riaprì, vide Harry che gli sorrideva incoraggiante, e iniziò a raccontare.


 

Spazio autrice:

Buon pomeriggio a tutti!!
Dopo una decina di giorni, eccomi qui con il secondo capitolo. Il primo ha avuto un riscontro sufficientemente positivo, perciò ho deciso di mettere il continuo. A tal proposito, ci tengo come sempre a ringraziare tutti coloro che hanno già messo la storia nelle preferite, seguite e da ricordare o anche chi solo legge in silenzio. Un grazie particolare però va alle mie fedelissime Maleficent, Cherryblossomgirl9, GiulsEchelon, Boo_Haz, simply_alice_, gloria horan, Gingerhair_, Wamphy Blackstorm, In_love_with_you e sheisyle!
Personalmente sono contenta di come sia venuto fuori questo capitolo, perchè aveva il compito di sciogliere, almeno in parte, i tanti nodi e dubbi presentati nel primo. Ovviamente siamo ancora lontani dalla soluzione ma, alle tante persone che mi hanno chiesto perchè Harry non ricorda solo lui, dico di non preoccuparvi perchè a tempo debito avrete tutte le risposte di cui avete bisogno!
Sto già lavorando alla scrittura del terzo capitolo perchè, data la tipologia che poi scoprirete, ci sono molto affezionata e mi piacerebbe molto che leggendolo poteste sentire le stesse emozioni che sto sentendo io scrivendo. Feels, feels, everywhere. Qui in Inghilterra è ancora peggio, perchè tra libro, cd, film e profumo, ci sono immagini di Harry e Louis praticamente in un negozio su due e tutto questo non mi fa bene, perchè mi vengono troppe idee che poi non ho tempo di approfondire e provare a scrivere.
Come sempre ricordo che la mia inbox è aperta per qualsiasi dubbio, commento o critica e mi trovate anche su twitter! @martolinsss
Spero la storia continui a piacervi e a interessarvi, se così fosse ci ritroviamo la settimana prossima con la terza parte!!
Un bacione a tutti!

Marta

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Capitolo 3
*** CAPITOLO III ***



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CAPITOLO III



-Sei sicuro che non vuoi che rimanga?-

-No Louis, vai pure. Finisco di vedere questo film e poi cercherò di dormire un po’ o l’esibizione di domani sarà uno schifo per colpa mia.-

Era la quinta settimana di X Factor ed Harry aveva avutola brillante idea di farsi venire la febbre proprio il giorno prima della diretta. Louis era andato completamente fuori di testa fin da quella mattina quando, svegliando Harry, quest’ultimo non l’aveva salutato con il sorriso brillante di sempre, ma con una voce rauca e gli occhi gonfi. Harry provò ad alzarsi, ma Louis lo costrinse a stare a letto, aggiungendo una coperta, giusto per essere sicuro che non prendesse freddo.

Le prove quel giorno furono un disastro e il coreografo dovette richiamare Louis almeno una decina di volte, talmente era distratto dal pensiero di Harry. Quella sera era l’unica uscita che era stata loro concessa nelle ultime due settimane, e a Louis mancavano da morire sua mamma e le sue sorelle, ma avrebbe rinunciato a tornare a casa perché Harry stava male e, quando si parlava di Harry, per Louis era tutta un’altra faccenda.


Dopo essersi preparato per uscire, Louis tornò nella camera di Harry, incapace di stargli lontano troppo a lungo. Non voleva chiedergli direttamente se poteva restare, perché sapeva che sarebbe stato un gesto troppo grande e impegnativo anche per la loro amicizia, per quanto profonda e insolita fosse. Dopo che Harry gli ebbe detto di andare a casa e non preoccuparsi per lui, Louis raggiunse gli altri di sotto, non riuscendo a nascondere un velo di delusione. Non importava quanto patetico fosse, lui non aveva mai smesso di sperare che Harry, vedendolo sul ciglio della porta, gli avesse chiesto di rimanere lì con lui. Sapeva che quello che c’era tra di loro era strano, incomprensibile per gli altri e a volte anche per egli stesso. Harry gli aveva detto di andare, ma lo aveva voluto davvero?

Qualunque fosse stata la cosa giusta da fare, lasciarlo lì da solo non era possibile. Non gli era possibile. Louis sapeva che avrebbe passato in ogni caso tutta la sera in ansia per lui, riempiendolo di messaggi, così si inventò una scusa che rifilò prontamente agli altri, e due minuti dopo nuovamente nella stanza di Harry.


-Che ci fai tu qui- gli chiese quando lo vide entrare. Era sorpreso, notò Louis, ma non infastidito. Sembrava quasi.. sollevato.

-Sto qui con te, cosa vuoi che stia facendo?- gli rispose con voce esasperata, togliendosi le scarpe. Non importava quanto fingessero l’uno con l’altro, ce l’avevano scritto in faccia quanto felici fossero di essere, ancora una volta, insieme.

-Avanti, spostati un po’..- disse Louis, ma non ce n’era bisogno perché Harry gli aveva già fatto spazio e lo aspettava con le coperte alzate per farlo entrare.

-Il mio piccolino è ammalato!” esclamò, più sincero e meno canzonatorio di quanto pensasse.

Harry per tutta risposta si avvinghiò al suo braccio e sospirò di sollievo appoggiando la testa sul suo petto. Dopo qualche minuto di silenzio, con il ronzio della tv, accesa e dimenticata, come sottosfondo, Louis abbassò il mento e sfiorò le sue labbra contro quelle pallide, e un po’ secche, di Harry, che si immobilizzò sotto al suo tocco.

Non era la prima volta che succedeva tra di loro, ma ora era diverso, perché erano abbracciati in un letto, soli in quella stanza, con tutto il mondo fuori.


-Louis no, fermati..” la bocca di Harry parlò, ma le sue mani, ancora strette alla maglia di Louis, dicevano tutt’altro. –Sono malato, andrà a finire che ti ammali anche tu!-

-Magari! Così non dovrei inventarmi altre scuse per stare con te!- gli rispose Louis, prima di chinarsi per baciarlo ancora. Quella seconda volta, Harry non si tirò indietro, né aveva intenzione di mai più farlo.


 
♦♦♦
 

Con la fine di X factor per Harry Louis arrivò anche la paura di un possibile allontanamento tra di loro. C’erano stati mille desideri, mille parole riguardo all’andare a vivere insieme, ma ora che quel momento era giunto nessuno dei due sapeva come affrontare il discorso. Ognuno tornò dalla propria famiglia per un po’ e fu proprio quel distacco, seppur momentaneo, a far capire a Harry che doveva fare qualcosa.

Così aveva cercato un appartamento a Londra senza dire niente e poi l’aveva comprato, investendo per la prima volta del denaro per lui e Louis, per il loro futuro, per la loro vita insieme. Louis ne era rimasto sorpreso, ma quella sera stessa aveva fatto i bagagli e ci si era trasferito, senza troppi giri di parole. Erano loro due Harry e Louis, qualunque cosa fossero, e andava bene così. Avevano ognuno la propria stanza, benché quasi sempre finivano per addormentarsi insieme sul divano o in una delle due camere, anche qui senza chiedersi troppo perché o cosa quell’estrema vicinanza significasse.


Quella sera in particolare però, Louis era nervoso. Nel pomeriggio avevano avuto una riunione coi produttori del loro nuovo cd e un paio avevano suggerito di “aiutare”, come avevano detto loro, Louis con qualche correzione acustica, per aggiungere spessore alla sua voce. Harry aveva notato subito quanto quelle parole lo avevano ferito e avrebbe voluto trovare qualcosa da dirgli per consolarlo durante il viaggio di ritorno, ma Louis non lo aveva guardato in faccia nemmeno una volta.

Dopo una misera cena, consumata nel quasi più totale silenzio, Louis disse che andava a letto, e dopo un leggero bacio sulla fronte di Harry, si avviò verso la sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.


Harry non riusciva a dormire. Non era la prima volta che c’erano stati problemi nella band, ma ogni volta che era successo lui e Louis avevano sempre formato un fronte compatto, parlandone fra di loro e aiutandosi a vicenda. Non era abituato a essere escluso dai pensieri di Louis e in preda al senso di colpa per non averlo difeso, si alzò e sgattolaiò nella sua camera.

Louis lo sentì entrare ma era ancora troppo arrabbiato con se stesso, per avere una voce così stridula e acuta, per parlare con chiunque. Così, quando Harry lo chiamò piano per due volte, fece finta di non sentire.


-Okay, lo so che stai dormendo..- iniziò Harry dopo un sospiro profondo –ma ho bisogno di parlarti, altrimenti non riuscirò a chiudere occhio stanotte. Probabilmente domani non avrò nemmeno il coraggio di accennare a tutto questo, ma tu per favore se puoi ascoltami.-

Louis continuò a fingere di dormire, cercando di non respirare troppo velocemente per l’agitazione.

-So quanto ci sei rimasto male per quello che ti hanno detto oggi alla riunione, davvero lo capisco, ma non devi lasciare che quelle parole ti feriscano. Sei perfetto così come sei, Louis. La tua voce non ha bisogno di nessun aiuto e io mi sento così stupido per non aver detto nulla per difenderti. Tu da sempre fai, e continui a fare, così tanto per me, ma io non sono riuscito a dire neanche una parola in tuo favore. Magari avrai pensato che sono un fidanzato che non vale niente, anzi non sono nemmeno sicuro se mi consideri il tuo fidanzato, quello che so è che tu oggi meritavi di più, e io non ho saputo dartelo. Non riesco mai a dirti quanto io ti apprezzi, eppure credimi so quanto sono fortunato ad averti. Avresti potuto andare a vivere con Liam dopo X Factor, che come te cercava casa a Londra. Cucina meglio di me ed è più grande, se fossi andato con lui non avresti dovuto fargli da balia come invece devi fare con me ogni giorno. Ma avresti potuto anche andare a vivere con Niall, o Zayn. Se l’avessi fatto, avresti avuto sempre qualcuno con cui parlare di calcio, mentre io non ne capisco quasi niente. Non riesco ancora a capire perché tu abbia scelto me, ma non sai quanto te ne sono grato. Oggi non l’ho fatto, ma ti prometto che da domani mi impegnerò per farti capire che cantante, e persona, eccezionale sei. Sarò buono per te, Louis. Cucinerò meglio e farò il tuo letto ogni volta che te ne dimenticherai. Rifiuterò di cantare se mai dicessero di voler modificare ancora la tua voce. Io credo di essermi innamorato di te, Louis, e lo so che per te non è lo stesso, ma farò di tutto perché un giorno possa succedere. Buonanotte, Lou.-

Dopo un breve bacio sulla spalla, Harry uscì dalla stanza in punta di piedi. Louis si asciugò una lacrima che correva lungo la sua guancia e strinse più forte a sé il cuscino.

 –Ti amo da sempre- sussurrò e chiudendo gli occhi sognò che Harry fosse stato lì per sentirglielo finalmente dire.

 
♦♦♦
 

Harry stava tornando al loro tavolo quando vide il volto di Louis pericolosamente vicino e inclinato nella direzione di quello di Eleanor e gli si gelò il sangue nelle vene. Certamente gliel’avrebbero fatta baciare. Metà della gente nella sala era composta da fotografi, quale occasione migliore per un po’ di pubblicità.

Quella consapevolezza però non lo tranquillizzò per niente. Appoggiò il bicchiere di champagne che aveva preso per Louis sul vassoio di un cameriere di passaggio e tornò nell’angolo bar, sperando di trovare la risata sonora Niall o gli occhi comprensivi di Liam a farlo sentire meglio.

Si sedette su uno degli sgabelli ancora liberi e chiese dell’alcool più forte al barista. La serata era ancora lunga e sapeva che non sarebbe mai riuscito ad arrivarne alla fine sobrio. Harry amava le cerimonie delle premiazioni e, essendo gli One Direction nominati in ben cinque categorie, aveva pensato che si sarebbe divertito un mondo ai Brit Awards di quell’anno, ma quello era stato prima di scoprire che i manager avevano richiesto la presenza di Eleanor per tutta la durata dell’evento.


Così quel pomeriggio, seduto sul letto in camera loro, aveva dovuto guardare Louis vestirsi e prepararsi con cura per qualcuno che non era lui.

Si era messo il suo completo migliore, quello nero lucido, e aveva indugiato a lungo nella scelta del profumo, per poi alla fine scegliere quello che lui stesso aveva regalato a Harry l’anno prima per Natale. Harry quando se ne accorse sorrise e si sedette un po’ più in avanti, deciso a non perdersi nemmeno un istante perché a breve l’autista sarebbe arrivato e, una volta aperta la porta di quel Suv nero, Harry e Louis non avrebbero più potuto esistere. Ci sarebbe stato solo Louis avvinghiato a Eleanor, in mezzo ai flash delle macchine fotografiche e ai sorrisi di circostanza, e Harry in un angolo, cercando di fare il suo meglio per ignorarli.

Un altro fotografo si fece avanti, ma questa volta doveva trattarsi anche di una breve intervista, pensò Harry, perché la mano di Louis non lasciò mai la schiena di Eleanor e lei continuava a sghignazzare come se si fosse dimenticata che quella non era roba sua. Come se non fosse consapevole dello sguardo inceneritore di Harry dall’altro lato della sala. Forse era solo una sua impressione, ma gli sembrava che a volte lei ci trovasse uno strano piacere nel ricevere le attenzioni di lui al posto suo, anche quando sapeva che gli erano dovute.

Quella sera era una di quelle volte, ma invece di esserne solo irritato come al solito, Harry si sentiva vuoto, sbagliato, quasi di troppo. Si ripeté, più e più volt, che Eleanor per Louis non contava niente.

Cercò di dirsi che era lui la persona a cui Louis portava fiori senza motivo, o a cui faceva trovare i pancakes a forma di cuore il mattino. Era lui la persona per cui Louis soffiava sullo specchio per appannarlo e scrivergli “Ti amo” prima che Harry entrasse a fare la doccia. Ma quella sera non sembrava funzionare. E Harry si sarebbe voluto prendere a schiaffi da solo, perché si sentiva più distante da Louis che mai.

Se solo quel mattino lo avesse tenuto stretto qualche secondo in più. Se solo lo avesse sfiorato un paio di volte quando quel pomeriggio Louis si stava aggirando per la cucina, preparando il tè. Se lo avesse fatto forse avrebbe capito e ora starebbe cercando lo sguardo di Harry, tra uno scatto e l’altro. Invece no, perché Harry dava sempre tutto così per scontato. Si era abituato così tanto ad avere Louis nella sua vita che quasi si dimenticava di quanto fragile il loro rapporto fosse, di quanto sottile fosse il filo su cui ogni giorno erano costretti a tenersi in equilibrio.

Staccò gli occhi da Louis e per un istante si perse a guardare Eleanor. Era proprio bella, non c’era storia. Forse una volta, in un mondo in cui Louis non esisteva,  si sarebbe potuto perfino interessare a lei. Ma quello che vedeva ora non erano le sue gambe affusolate o le caviglie sottili.

Tutto ciò che Harry vedeva in lei era il suo grembo e il dono per Louis che vi ci avrebbe potuto portare. Un figlio, un legame di sangue che Harry non sarebbe mai stato in grado offrirgli. Sarebbe stato così dannatamente facile, se solo Louis se ne fosse reso conto. Sarebbe stato così semplice per lui essere felice con lei ed avere una famiglia normale, al riparo dalle occhiate indiscrete e la cattiveria della gente.

L’aveva detto una volta a Louis, gli aveva detto che se alla fine si fosse innamorato di lei, lui l’avrebbe lasciato andare. Non gliene avrebbe fatto una colpa, non ce l’avrebbe avuta con lui per aver desiderato una vita diversa, una vita vera, una vita senza di lui. Louis si era arrabbiato e gettando a terra il cesto della biancheria che aveva appena steso, gli aveva detto di non ripetere mai più una cosa del genere. Harry si era sentito in colpa per averlo fatto urlare in quel modo ma, in fondo in fondo, si era sentito anche sollevato, perché sapeva che Louis non stava mentendo.

Non ne avevano più parlato, ma Harry le aveva viste le occhiaie di Louis e l’aveva assaggiata la sua bocca che sapeva troppo di alcool quando tornava a casa dagli appuntamenti con lei. Louis era stanco ma Harry era troppo egoista per lasciarlo andare e così erano andati avanti fino ad allora, fino a quella sera, quando tutto, in apparenza così silenzioso e mellifluo, sembrava sbriciolarsi davanti agli occhi di Harry.

Era così perso nei suoi pensieri, nelle sue paure, che non notò il bodyguard che si sbracciava per attirare la sua attenzione fino a che il barista cortesemente glielo indicò. Si alzò di malavoglia, trascinandosi dietro il bicchiere di vodka,e lo raggiunse. Questi, senza parlare, ma controllando che nessuno nella stanza li stesse guardando, lo condusse attraverso una porta laterale su un pianerottolo.

E lì, seduto ad aspettarlo sul terzo gradino delle scale, c’era Louis. Si era allentato il nodo della cravatta e aveva tirato fuori i talloni dai mocassini, probabilmente perché non li aveva mai messi prima di quella sera e gli facevano male. Harry non vedeva l’ora di arrivare a casa, portarlo in camera in braccio, per poi adagiarlo sul letto, sfilarglieli e sistemargli due piccoli cerotti sulla pelle delicata, così da curarne le vesciche, i dubbi, le preoccupazioni
.

-Harry, che profumo mi sono messo stasera prima di venire qui?- gli chiese, facendogli segno di venire a sedersi sullo scalino vicino a lui.

-Quello che mi hai regalato per Natale l’anno scorso.-

-E ti ricordi chi c’era con me quando te l’ho comprato?-

-Eleanor, perché ti avevano costretto a uscire con lei durante il tuo giorno libero e quello era l’unico momento che ti era rimasto per comprarmi il regalo.-

-E perché credi che lo abbia fatto? Perché ho scelto proprio quello tra tutti quelli che ho a casa?-

-Perché il mio ti piace di più?- rispose Harry senza capire.

-Perché sapevo che lei l’avrebbe riconosciuto subito, non appena l’avessi stretta a me per scattare le foto sul red carpet, e avrebbe fatto del suo meglio per non esagerare stasera. Speravo che l’avessi capito anche tu, ma ho perso il conto dei bicchieri di champagne che ti ho visto bere, quindi ho paura che l’idea del profumo non sia stata abbastanza.-

Harry si sentì schiacciato dal peso di quelle parole e cercò il suo riflesso nella superficie trasparente della vodka che galleggiava nel bicchiere che ancora teneva tra le mani.

-Harry, lei non è niente, niente, per me. Quante volte hai bisogno che ancora io te lo dica?-

Harry ancora si rifiutò di parlare, muovendosi piano avanti e indietro per impedire alle parole che lo stavano uccidendo di uscire e fare del male anche a Louis.

-L’ho visto il modo in cui la guardi. L’ho visto il modo in cui le guardi la pancia. Io non lo voglio un figlio da lei, Harry, non lo voglio da nessuno che non sei tu. E non mi interessa se dovremo adottarlo, se avrà solo il mio sangue o soltanto il tuo. Lo cresceremo insieme quel bambino e gli daremo tutto l’amore che non abbiamo potuto mostrare in questi anni. Te lo giuro, Harry.-

Harry questa volta non riuscì a fermare le lacrime e crollò sulla spalla di Louis, chiedendosi come faceva a sapere sempre quali erano le parole che lui aveva più bisogno di sentirsi dire. Louis gli passò un braccio dietro alle spalle e lo lasciò piangere, scrivendogli distrattamente sulla schiena “Sei mio” con le dita.

Qualche minuto dopo Harry alzò la testa, sospirò e si spostò i ricci cadutigli sulla fronte. Trovò gli occhi di Louis nei suoi, sorrise rincuorato e si rialzò.

E non è vero che l’amore non può avere dubbi, che non può cadere e sbucciarsi le ginocchia. L’amore può anche graffiarsi la pelle, ma sa rialzarsi e ricominciare più forte di prima. Harry prese la mano di Louis tra le sua e a malincuore lo ricondusse fuori da quel pianerottolo, tra un milione di facce che non contavano niente.

Lo prese per mano e insieme tornarono in quel mondo crudele, con cui non volevano avere niente a che fare, ma senza il quale non si sarebbero mai trovati.


 
 ♦♦♦
 

Dopo l’ultimo concerto in Australia, il tour era finalmente finito ed Harry e Louis erano potuti tornare nel loro appartamento a Londra. Arrivarono all’una di notte e si buttarono sul letto completamente vestiti, troppo stanchi perfino per guardarsi negli occhi un’ultima volta prima di augurarsi la buona notte.

Il giorno dopo il primo a svegliarsi fu Harry e nonostante morisse dalla voglia di parlare con Louis, come tutte le mattine, scese dal letto cercando di non far rumore e in punta di piedi uscì dalla loro camera da letto ( o per meglio dire la sua camera che era diventata ufficialmente loro dopo che avevano ammesso a loro stessi di non voler più dormire senza l’altro e quella di Louis era diventata la stanza per gli ospiti).


Harry andò in cucina e accese la televisione, tenendo il volume al minimo, perché gli piaceva ascoltare qualcosa mentre si aggirava per la cucina preparando la colazione. Mezzora dopo era tutto pronto, ma di Louis neanche l’ombra, così copri i piatti affinché non si raffreddassero e si sedette, aprendo il giornale dimenticato sul tavolo qualche mese prima e provando invano a risolvere il sudoku.

Poco prima di mezzogiorno sentì dei movimenti dal piano di sopra e sorrise, deducendo che Louis si era svegliato, impaziente di vederlo. Louis non era mai stato un tipo molto delicato, soprattutto appena sveglio, e non gli importava di sbattere le porte o andare addosso a qualcosa mentre camminava distrattamente. Quella mattina però Harry lo sentì solamente scendere le scale e poi più nulla.

Dopo qualche minuto Louis lo chiamò dal fondo delle scale, con la voce ancora piena di sonno. Harry abbandonò il giornale e corse subito da lui, ormai non provando nemmeno più a negare a se stesso il bisogno che aveva di lui.


-Louis che fai lì impalato? Vieni in cucina, è pronto da quasi un’ora!- gli disse, non riuscendo a non sorridere quando lo vide.

Se ne stava lì, rifugiato sulla moquette dell’ultimo scalino, a piedi scalzi, una maglietta bianca tutta stropicciata e un paio di pantaloni enormi che era quasi del tutto sicuro fossero suoi. Sulla guancia sinistra aveva ancora i segni del cuscino e gli occhi erano minuscoli, socchiusi, nel tentativo di proteggersi dalla luce accecante del soggiorno. Le labbra rivolte verso il basso e un’espressione corrucciata fecero però capire a Harry che non era solo ancora addormentato.


-Non posso, il pavimento è freddo- Louis spiegò indicando i suoi piedi nudi.

-E perché non ti sei messo le ciabatte prima di scendere?- gli chiese Harry, sapendo già come sarebbe andato a finire quel discorso.

-Non le trovavo.. Non guardarmi così, Haz! Lo sai che le metto sempre vicino al letto, sono loro che spariscono!- si lamentò Louis.

-Si certo, beh immagino che stamattina dovrai farne a meno! Avanti vieni di là, sto morendo di fame!-

-Harry portami in braccio ti prego!- lo supplicò, spostando il peso del suo corpo da un piede all’altro, impaziente di toccarlo, di essergli vicino ancora.

-Louis, hai vent’anni passati e io ho sonno quanto te! Quindi vieni in cucina senza fare storie!- gli rispose Harry, cercando di suonare autoritario, ma sapeva che Louis non gli avrebbe mai creduto.

-Vorrà dire che tornerò di sopra a dormire. Goditi le tue uova strapazzate, perfettamente cotte e neanche leggermente bruciate come sarebbero invece le mie!-

-Avanti vieni qua, principino!- scoppiò a ridere Harry, attraversando in due falcate il soggiorno e andando ai piedi delle scale. Si abbassò un poco per arrivare all’altezza di Louis e quest’ultimo gli salì sulla schiena, stringendo immediatamente le gambe intorno alla sua vita e avvolgendo le braccia intorno al collo.

-La mia scimmietta!- esclamò Harry, portandolo in cucina. Louis durante il breve tragitto appoggiò la testa sulla sua schiena e gli sfuggì un sospiro di sollievo quando ne inalò il profumo familiare.

-Puoi scendere adesso!- gli disse, fingendo di scrollarselo di dosso e facendolo strillare di paura. Ridendo Harry lo strinse più forte un’ultima volta, per poi metterlo a sedere sullo sgabello di fronte a lui. Grattandosi la guancia, andò scaldare le uova strapazzate e a tostare due fette di pane integrale.

Qualche minuto dopo appoggiò i due piatti fumanti sul tavolo e, affamati com’erano, si misero a mangiare in silenzio. Ogni tanto incrociavano lo sguardo e si sorridevano senza motivo, le pareti della stanza inondate di sole, i loro piedi intrecciati sotto il tavolo e nessuna preoccupazione per la testa.

 
 ♦♦♦
 

Quel grigio mercoledì di metà ottobre stava piovendo.

Louis odiava la pioggia e la osservava imbronciato, con i gomiti appoggiati sul davanzale della sua camera. La odiava perché era lì, sfacciata e disinvolta, a ricordargli quanto invece Harry l’amasse.

Harry che si era stancato. Harry che era più coraggioso di lui. Harry che lunedì notte non era a casa quando Louis era tornato dalla solita uscita con Eleanor. Harry che, il mattino dopo, gli aveva detto che Louis non era l’unico autorizzato ad uscire. Harry che aveva discusso ed alzato la voce. Harry che, in quella cucina, aveva detto basta.


Al ricordo Louis sospirò e guardò il vetro davanti a sé appannarsi, rispecchiando il peso dei suoi pensieri. Strizzò gli occhi, per continuare a vedere attraverso quell’alone e allo stesso modo cercò di comprendere, di districare, di capire che cosa era loro successo, che cosa erano diventati e perché.

Perché dopo tre anni insieme Harry voleva lasciare casa loro e andare a vivere, per qualche tempo, per conto suo. Perché Harry aveva improvvisamente bisogno di stare solo e di dimostrare a se stesso che poteva ancora stare bene, essere felice, senza Louis. E soprattutto perché aveva pensato di poter scegliere lui per entrambi, alzando la voce, e chiudendo fuori quella di Louis.


Louis era rimasto a lungo in cucina quel giorno, con le parole di Harry che ancora galleggiavano nella stanza, rimbalzando da una parete all’altra. La cucina era la parte del loro appartamento che Louis preferiva anche se, essendo un pessimo cuoco, quello era più il regno di Harry che il suo.

Louis però sapeva pulire, non che ci volesse una laura, ma Harry gli diceva sempre che dove passava lui rimaneva poi il profumo di pulito. Sapeva quale spugna usare per lavare il piano in legno vicino ai fornelli e quale detersivo usare per far risplendere il lavandino in acciaio. Louis amava la sua cucina ed era fiero di quanto pulita e brillante fosse.

Quel mercoledì però, quando finalmente si alzò dal tavolo per tornare a letto e poter così ritrovare tra le lenzuola il profumo di Harry, il profumo che ora lui stesso aveva deciso di negargli, Louis la vide.

Una crepa sotto la credenza blu, quella in cui tenevano le tazze per il tè e un pacchetto extra di biscotti al cioccolato. Era una crepa leggera, appena accennata, ma lunga, almeno dieci centimetri ed era così visibile che Louis si chiese come mai non l’aveva mai notata prima. Forse si era formata quel giorno, quando Harry era uscito sbattendo la porta, o forse era sempre stata lì e lui era stato solo troppo distratto per notarla.


La pioggia continuava a cadere sprezzante e Louis si domandò che cosa se ne sarebbe fatto, a partire da quel pomeriggio, di quella casa così grande. Harry aveva chiamato per dire che alle quattro sarebbe passato per prendere la sua roba e Louis non aveva fatto commenti perché sentire la sua voce, anche se per pronunciare parole piene di veleno e rancore, dopo un giorno di completo silenzio era abbastanza. Avrebbe voluto ribattere e fargli notare che in quell’appartamento c’era così tanta roba sua che neanche in tir intero sarebbe bastato per portarla via, ma non lo fece.

Louis, mentre si allontanava dal davanzale continuava a vedere le gocce di pioggia davanti ai suoi occhi e l’unica cosa che lo teneva in piedi era la certezza che quello non poteva essere un vero addio. Sapeva che per quanto Harry potesse avercela con lui, non sarebbe mai arrivato a tanto. Se tra loro fosse davvero finita, Harry glielo avrebbe detto.

Forse però lui la crepa in cucina l’aveva notata. Forse l’aveva vista e non gli aveva detto niente pensando che non fosse nulla di che. O forse l’aveva vista ma non gliel’aveva detto perché voleva che Louis se ne accorgesse da solo. Ora Louis sapeva, ora l’aveva vista quella crepa nel muro, in loro, e si chiese se mai Harry gli avrebbe mostrato come aggiustarla.


I suoi pensieri furono interrotti da un tintinnio di chiavi nell’ingresso. Era il suono che aveva aspettato di sentire ogni sera da quando erano andati a vivere insieme, perché significava che Harry era a casa, che anche per quel giorno il loro compito era finito e potevano appoggiare le loro maschere sul comodino, a riposare.

Quella volta però il rumore lo fece trasalire e quando qualche secondo dopo Harry entrò nella loro camera da letto, Louis si sentì annegare. Più si guardava intorno e più sprofondava, allarmato dal fatto che non riuscisse a trovare un appiglio, un singolo dettaglio di quella stanza che non parlasse di Harry e a cui potersi aggrappare. Niente che lo avrebbe portato sano e salvo a riva. Se avesse teso la mano, Harry lo avrebbe aiutato? O lo avrebbe lasciato lì, in balia delle onde del mare salvifico che gli regalava quella soluzione definitiva che lui non aveva avuto la crudeltà di prendersi da solo?


Louis aveva disperatamente bisogno di quel contatto, ma sapeva che non poteva, che non spettava più a lui allungare la mano e riprenderselo. Allora lasciò Harry alle sue valigie e si infilò sotto la doccia, bisognoso di qualcosa che cancellasse le sue colpe e lo rendesse una persona nuova, così che forse avrebbe potuto meritare ancora l’amore di Harry.

Aveva iniziato a togliersi i vestiti, ma poi l’urgenza di cancellare se stesso, i suoi errori, le sue convinzioni sbagliate, divenne troppo forte e si tuffò sotto al getto dell’acqua ancora con la maglietta addosso. Acqua gelida, poi bollente, ma per la sua pelle non c’era nessuna differenza.

C’era solo una cosa che avrebbe potuto ferirla, lasciare delle cicatrici, ed era l’abbandono di Harry, il rifiuto di quelle mani una volta così delicate e indulgenti su di lui. Quelle stesse mani che ora afferravano con furia maglioni, jeans e calzini sparpagliati per la stanza.

Chissà quanta di quella roba gettata con così tanta fretta sarà stata di Louis e soprattutto che cosa ne farà Harry una volta che se ne sarà accorto. Continuerà a indossarla o la metterà da parte, come ricordi di un futuro sfumato, di scelte amare e possibilità ingiallite?


La porta della doccia si aprì di colpo e il getto dell’acqua era così forte che le gocce cominciarono a cadere sul pavimento, formando una piccola pozzanghera.

-Avremmo dovuto comprare un tappetto- disse Louis.

-Che cosa? Louis chiudi l’acqua. Dio, è bollente.- rispose Harry, ma Louis non l’ascoltava.

-Te l’avevo detto quel giorno, ma a te il tappeto viola non piaceva e alla fine non l’abbiamo comprato.-

-Ma chi se ne importa ora del tappeto, vieni via o rischi di ustionarti!-

-Brucia Harry, ma ci vuole, ne ho bisogno. Deve lavarmi la pelle, buttare via quella vecchia, o non ce la farò mai quando tu te ne sarai andato.-

Harry lo guardava allibito, cercando di farsi spazio tra le parole sussurrate di Louis e l’acqua che continuava a scorrere incurante. Prese un asciugamano bianco e lo avvolse attorno a Louis, spingendolo fuori dalla doccia. Sussultò di dolore quando dovette allungarsi sotto il getto dell’acqua bollente per chiudere il rubinetto.

-Tu sei matto, saranno stati almeno 45 gradi!-

-Mi serve, te l’ho già detto. La pelle non la freghi, Harry, è lì che sta la memoria. Devo provare a sopravviverti o per me non ci sarà più niente, capisci?-

-Louis ma si può sapere di che diavolo stai parlando? Io non ti sto lasciando, non sto andando via da questa casa per sempre. Ho solo bisogno di stare un po’ da solo, senza..-

-C’è una crepa in cucina, sopra al lavandino. Lo sapevi?-

-Che cosa c’entra ora la crepa..-

-Dimmelo, Harry, ho bisogno di saperlo. Lo sapevi che c’era la crepa e non mi hai detto niente? Volevi che lo scoprissi da solo? Mi dispiace di non averla vista, mi dispiace di non aver capito.-

-Ma capire che cosa?-

-Scusami, avrei dovuto ascoltare, prestare più attenzione. Così ora non te ne staresti andando.-

Harry faceva perfino fatica a capire che cosa stesse dicendo, talmente forti erano i brividi di freddo che stavano scuotendo il corpo di Louis.

-Mi dispiace Lou, mi dispiace così tanto- lo supplicò Harry, stringendolo tra le sue braccia, sperando di infondergli un po’ di calore –pensavo che sarebbe stata la cosa migliore per noi, la cosa migliore per te. Pensavo che se mi fossi fatto da parte avresti potuto capire quanto meglio di me ti meriti. Pensavo che poi, col passare del tempo, ti saresti accorto che non hai bisogno di me per essere felice.-

Louis aveva smesso di tremare ora, ma ancora non aveva aperto bocca.

-Scommetto che metà della roba in quella borsa è mia. Che cosa ne avresti fatto, Harry? Cosa avresti fatto se domani mattina, infilandoti un paio di calzini, ti fossi reso conto che erano miei?-

-Li avrei usati come scusa per tornare indietro e vedere come stavi senza di me.-

-Mi avresti trovato sul divano, con la tv spenta e i piedi congelati.-

-Non me lo sarei mai perdonato.-

-Neanche io. Ora so cosa regalarti a Natale.-

-Che cosa?-

-Una confezione da dodici di calzini-

-Sinceramente preferisco i tuoi.

-Non provare mai più ad andartene o niente più calzini per te.

-Te lo giuro.-

-Non ti avevo chiesto di giurare.-

-Ma so che avevi bisogno di sentirtelo dire.-

-Dillo ancora.-

-Te lo giuro.-

-Ti amo-

Harry smise di sfregare le mani sulla schiena ancora umida di Louise lo guardò negli occhi. Di colpo gli prese il mento tra le mani e lo baciò. L’asciugamano cascò a terra ma non era importante perché Louis ora, tra le sue braccia, non tremava più.


 
♦♦♦


Louis finì di raccontare e quando posò di nuovo gli occhi su Harry, gli sembrò di vedere un bambino a cui la madre aveva negato la lettura dell’ennesima storia prima di andare a letto. Louis suo malgrado sorrise, ma non poté fare a meno di chiedersi se tutto quello, per Harry, dopotutto non fosse che una bella storia.

Un incredibile favola di due persone che si sono amate senza precedenti. Un qualcosa che è bello ascoltare, come il racconto del legame indissolubile dei nostri bisnonni, che sono stati insieme per più di cinquant’anni, ma che sappiamo non succederà mai a noi.

Alle 3.05 quella notte Louis rinunciò all’idea di dormire e, andando in cucina per bere un bicchiere d’acqua, passò dalla camera in cui dormiva Harry e lo vide addormentato sul fianco sinistro, i ricci sparpagliati sul cuscino e un’espressione serena dipinta sul volto.

Louis richiuse la porta in silenzio e vi si appoggiò contro, senza nessuna forza di andare oltre. La cucina era troppo lontana e il corridoio troppo buio per non restare lì. Si prese la testa tra le mani e, chiudendo gli occhi, per la prima volta dopo anni si sentì solo.

Fu in quel momento che capì che la vera solitudine non è la vergogna di andare al cinema da solo o vedere che nessuno sul pullman si siede nel posto libero di fianco al tuo.

La vera solitudine è ritrovarsi a guardare un film il mercoledì sera e accorgersi di non avere nessuno con cui sparlare delle pessime battute del protagonista.

È starsene in casa la domenica pomeriggio anche se non piove perché sai che se vai al parco a leggere sarai costretto a startene seduto da solo, mentre intorno a te ci saranno solo coppie e gruppi di amici sdraiati su delle coperte a prendere il sole.

È camminare per strada, avere un’idea brillante per la cena di quella sera, e realizzare che non c’è nessuno a casa che ti aspetta, nessuno a cui farla assaggiare.

Ma soprattutto Louis capì che la vera solitudine è essersi svuotato di se stesso, essersi tolto tutto per riempire qualcun altro e vederlo ora dormire sereno, forse solo con un lieve peso sullo stomaco che domani sarà sparito con le prime luci del mattino.


 

Buonasera!
Innanzitutto mi scuso per il ritardo, questo capitolo si è rivelato più lungo e complicato da scrivere di quanto pensassi! Mi ci è voluto così tanto perchè personalmente ci sono molto affezionata e volevo che venisse nel modo migliore possibile, anche se purtroppo le cose che scrivo non riescono mai a riflettere completamente le scenee e le idee che ho nella testa!
In parole povere questo capitolo è un grande flashback. Essendo questa storia ambientata diciamo nel futuro, ho sfruttato questa occasione per ricostruire un po' la loro storia passata e ho cercato di raccontare un paio di momenti, più o meno felici, così che spero sia ora più semplice comprendere le dinamiche del loro rapporto!!
Come sempre aspetto i vostri pareri che mi fanno sempre tanto piacere! Se volete mi trovate anche su twitter, @martolinsss!
Grazie a tutte le persone che hanno messo la storia tra le preferite, seguite e da ricordare! In particolare grazie a Maleficent, GiulsEchelon, kidrauhlismyheroe, simply_alice_, gloria horan, GingerHair_, In_love_with_you, Cherryblossomgirl9 per le recensioni!!!
A presto con il quarto capitolo! Un bacio a tutti!
Marta

 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO IV ***



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CAPITOLO IV




“La pelle non la freghi, è lì che sta la memoria” aveva detto Louis e poco meno di dodici ore dopo Harry si rese conto, a sue spese, di quanta verità fosse contenuta in quella manciata di parole.

Erano da poco passate le nove quando il clacson di qualche automobilista in ritardo risuonò fuori dalla finestra della sua camera, strappandolo dal dolce sonno in cui la sera prima era sprofondato. Harry non aveva ancora aperto gli occhi ma sorrise felice, abbracciando un po’ più stretto il cuscino, quando inspirò l’aria della stanza in cui si trovava, riconoscendone il profumo, la morbidezza delle lenzuola sotto il suo corpo seminudo e il lieve rumore delle molle del materasso.

Fu soltanto dopo qualche secondo di quella beatitudine, di quell’intervallo sospeso, di quella terza dimensione in cui non stai più dormendo ma non sei ancora del tutto sveglio, che gli occhi di Harry si spalancarono. Le sue mani scattarono istintivamente alla ricerca del lenzuolo, spaventato e bisognoso di coprirsi. Sospirò di sollievo quando si accorse di essere solo e rimase ancora un po’ sul letto in quella posizione, metà sdraiato e metà seduto, chiedendosi come fosse possibile che il suo corpo ricordasse una vita che la sua testa aveva invece deciso di dimenticare.

Non conosceva quella stanza, quel cuscino, quelle lenzuola, il tappeto ai piedi del letto, eppure le sue narici, e le sue mani, non mentivano.

Poteva aver perso i suoi ricordi, ma non poteva più ignorarli. Non dopo ciò che Louis gli aveva raccontato la sera prima. Non dopo quanto vicino era stato dal chiedergli di restare a dormire con lui invece di andare sul divano. Non dopo che tutti i suoi cinque sensi, quella mattina, si erano messi al lavoro ed erano all’erta per ricordargli un’altra vita. Una vita diversa, irreale, ma che gli era appartenuta. Una vita che ora gli appariva inspiegabile, forse troppo impegnativa, ma soprattutto una vita che lui stesso si era scelto. Una vita in cui, dopotutto, era stato felice.

Harry aveva bevuto con avidità ogni parola che era uscita dalla bocca di Louis, ogni particolare, ogni piccolo dettaglio che aveva voluto condividere con lui, ma ciò che Harry aveva soprattutto notato era il modo in cui il suo tono di voce cambiava a seconda di ciò che stava dicendo. E i suoi occhi, come mutava l’espressione in essi e come ciò sembrava coinvolgere tutta la sua persona.

Harry non era stupido, poteva chiaramente vedere perché si era innamorato di lui. Non era il suo tipo ideale, non era il ragazzo che Harry avrebbe puntato il sabato sera dopo aver messo piede in un locale. Era troppo minuto, un po’ troppo sarcastico e a volte persino sfacciato. Tutto così diverso dalla gentilezza innata di Harry, dal suo essere pacato e cordiale con tutti.

Nonostante questo contrasto, c’era qualcos’altro in lui, qualcosa di più, e anche se in quel momento Harry non riusciva a comprendere che cosa fosse, era sicuro di averlo già fatto una volta. Forse ci aveva messo anni e anni, o forse ci era voluto solo un istante, ma Harry era sicuro che ci fosse qualcosa riguardo a Louis che andava ben oltre le parole.

Louis era bello in un modo che non c’entrava niente con il suo aspetto fisico, anche se perfino sotto questo punto di vista non c’era niente che non potesse essere ammirato o desiderato. Louis era bello perché era spontaneo. Una persona vera, energetica, rumorosa e che non aveva intenzione di chiedere scusa per essere viva.

Quando ascoltava la musica teneva sempre il volume al massimo, incurante di ciò che avrebbero pensato i vicini. Quando si spogliava buttava tutti i vestiti per terra, non importa se poi il giorno dopo avrebbe dovuto raccoglierli.

Harry non era così. Quando Harry guardava un film si assicurava sempre che non stesse dando fastidio a sua sorella, che studiava nella stanza accanto al salotto. Quando beveva una tazza di tè, la metteva poi sempre nel lavandino, pronta per essere sciacquata e messa a posto. Quando mangiava un panino sul divano, portava sempre uno strofinaccio per raccogliere poi le briciole.

Gli era facile capire perché stava con Louis. Era sicuro di sé e pieno di voglia di fare, di essere visto. Possedeva un’energia, una luce che Harry, gambe da cerbiatto e voce troppo rauca, non avrebbe mai potuto avere.

Quello che piuttosto non capiva era che cosa Louis ci trovasse in lui. Come aveva fatto a conquistarsi l’affetto e la fiducia di Louis. Come aveva fatto a tenerselo tutto per lui per così tanti anni. Harry non sapeva che cosa gli era successo. Non sapeva perché Louis doveva essere l’unica persona, l’unica tra tante, di cui si era dimenticato.

Possibile che non fosse solo una coincidenza? Possibile che la sua con Louis fosse stata solo fortuna, fin dall’inizio, e che quella ora era la vita che gli presentava il conto? Qualunque fosse la risposta, Harry non era più lo stesso, non si sentiva più lo stesso.

Se lo sentiva nelle ossa, nella pelle che sembrava non essere abbastanza elastica per contenere i suoi nuovi dubbi. Non sapeva perché, ma era cambiato ed era consapevole che prima o poi anche gli altri se ne sarebbero accorti.

Louis poteva ancora vivere nella scia del loro passato, trattenendo il respiro per stare ancora un po’ a galla, sospeso tra i mille ricordi che aveva con Harry, ma prima o poi anche lui avrebbe dovuto tornare in superficie, riaprire gli occhi e inspirare ossigeno nuovo.

E una volta che l’avrebbe fatto, chi sa se i suoi polmoni lo avrebbero accolto a braccia aperte o se quell’aria fresca gli avrebbe fatto bruciare la gola. Chi sa se una volta che Louis avrebbe capito chi era il nuovo Harry, avrebbe saputo trovare in sé il coraggio, e la voglia, di provare ad amarlo di nuovo.


Un altro automobilista in ritardo. Un altro clacson fuori dalla sua finestra e Harry si rigirò nel letto, infilando una mano sotto il cuscino.

Non voleva alzarsi, non ancora. Non voleva andare in cucina e trovare Louis seduto al tavolo, il ciuffo spettinato e una tazza di tè in mano, sfogliando distrattamente il giornale in cerca di qualche notizia interessante. Non voleva vederlo sollevare lo sguardo e i suoi occhi correre ad ispezionare il viso di Harry, in cerca dell’effetto che i racconti della sera prima avevano avuto su di lui.

Onestamente, che cosa si aspettava? Harry non sapeva darsi una risposta. Doveva fare come se nulla fosse o cercare di dimostrare in qualche modo che apprezzava ciò che gli aveva raccontato e che, davvero, era disposto a fare uno sforzo per far tornare tutto come prima? Aveva forse bisogno di un po’ di conforto o era meglio non forzare la situazione? Doveva appoggiare distrattamente una mano sulla sua spalla, mentre si sedeva al tavolo con lui, o avrebbe pensato che lo stesse facendo solo per mostrare compassione?

Harry non voleva affrontare tutto quello. Non sapeva come affrontarlo.

La verità è che gli dispiaceva sul serio. Per la vita che aveva perso. Ma soprattutto gli dispiaceva per Louis, che non avrebbe mai più avuto indietro la persona di cui si era innamorato. La persona con cui quella vita l’aveva costruita insieme.

Per lui ora Louis era un completo sconosciuto, ma erano bastati poco più di tre giorni insieme in quell’appartamento per capire che uomo meraviglioso fosse, ed Harry si odiava per non avere ricordi che giustificassero questa sensazione che si sentiva nel petto ogni volta che Louis entrava nella stanza o si sedeva vicino a lui sul divano offrendogli qualsiasi schifezza che in quel momento stesse mangiando.

Nonostante quello però, nonostante la certezza dei sentimenti di Louis per lui, nonostante fosse convinto della bontà delle sue intenzioni, Harry non riusciva a trovare in sé la forza di fidarsi del tutto di Louis. Sarebbe stato semplice farlo, Harry ne era sicuro, perché era così bello credere alle sue parole, così affettuose, così vellutate, ma non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione che gli diceva che non doveva lasciarsi andare del tutto, che doveva tenere gli occhi ben aperti.

Harry si sentiva come se stesse brancolando nel buio, perché come era possibile che due persone avessero un rapporto tanto perfetto? Gli era molto più semplice credere che di problemi tra loro ce ne fossero stati, ma che Louis ora stesse volontariamente evitando di parlargliene. Come poteva allora Harry fidarsi di lui?


Erano le dieci passate quando finalmente Harry si arrese e decise di alzarsi.

Andò in bagno per sciacquarsi il viso e gli mancò il fiato quando vide la doccia della porta semiaperta. In meno di un secondo gli tornò in mente ciò che Louis gli aveva raccontato e benché non riuscisse a trovare in lui immagini di quello stesso ricordo, non gli risultava difficile immaginare Louis sotto il getto bollente dell’acqua e lui lì fuori, una mano alzata a tenere aperta quella stessa porta, pregandolo di chiudere l’acqua e di uscire da lì.

Era possibile soffocare per un ricordo che non si aveva più? Difficile, forse troppo, ma ogni cellula del corpo di Harry in quel momento sembrava urlare il contrario. Quasi scappò da quel bagno e prese un bel respiro prima di entrare in cucina, solo per trovarla poi completamente deserta.

Soltanto un piatto coperto da un tovagliolo e un bigliettino appoggiato a un bicchiere pieno fino all’orlo di succo d’arancia erano lì a dirgli che in quell’appartamento Harry non viveva da solo. Una parte di lui voleva essere arrabbiato con Louis per averlo lasciato solo, ma in fondo come biasimarlo? Se per Harry era stato difficile sentirlo parlare, assorbire tutte quelle storie, poteva solo immaginare cosa avesse significato per Louis tirarle fuori, quale sforzo gli fosse costato.

Così si limitò a mangiare le sue uova strapazzate, che non erano neanche lievemente bruciate, il che gli fece pensare che nei tre mesi in cui era stato in coma, Louis aveva dovuto imparare a cavarsela del tutto da solo. Per un attimo sorrise, mentre se lo immaginava in cucina, le maniche della felpa tirate su fino ai gomiti, un libro di ricette aperto davanti a lui, la fronte corrucciata e un mestolo in mano, non del tutto sicuro di ciò che dovesse farci.

Forse c’erano stati giorni in cui aveva provato ad insegnare a Louis a cucinare. Forse aveva visto Louis con un grembiule addosso e i capelli tutti pieni di farina. Era un’idea divertente in fondo, ma il sorriso gli morì sulle labbra non appena Harry si accorse che tutto ciò che poteva fare con Louis era immaginare.

Nessuna ricordo. Nessun’immagine nitida a cui aggrapparsi. L’unica certezza che aveva era che Louis era stato la sua roccia, la roccia a cui si era aggrappato ogni volta che aveva rischiato di cadere.

Harry si alzò e appoggiò il piatto nel lavandino, aprendo il getto dell’acqua al massimo per cercare di mettere a tacere la voce nella sua testa che gli domandava se valesse davvero la pena di continuare a provare ad arrampicarcisi sopra, non importa quanto scivolosa, non importa quanto tagliente.


Tornò in camera sua e si sedette sul letto. Passò distrattamente le dita tra il tessuto morbido delle lenzuola e mentre osservava il lato del materasso ancora completamente intatto, si chiese se la sera prima era andato a letto dalla parte giusta, se, quando ancora dormivano insieme, Harry aveva sempre occupato quel lato del materasso o se l’incidente si era portato via anche quel particolare della loro vita insieme.

Qualche minuto dopo si mise a cambiare il letto, solo per avere qualche cosa da fare, ma se ne pentì quasi subito quando, aprendo l’armadio alla ricerca di lenzuola pulite, trovò altri cassetti che non aveva mai notato prima d’ora.

La prima sera che aveva dormito in quella stanza, dopo che Louis era andato sul divano, Harry l’aveva ispezionata con cura, guardando in ogni angolo, alla ricerca di foto dimenticate, di pezzi di lettere accartocciati, di ogni singola cosa che potesse aiutarlo a ricostruire un passato che la sua mente non voleva più, per qualsiasi motivo, ricordare.

Quel piccolo cassetto però gli era sfuggito e il fatto che fosse così nascosto fece correre un brivido lunga la spina dorsale di Harry, emozionato ma allo stesso tempo impaurito per le cose che vi ci avrebbe potuto trovare.

Dopo averci frugato dentro per qualche minuto, Harry si sedette per terra, onestamente un po’ deluso. Non che si aspettasse chissà che, ma perché tenere lì nascosta quella roba se non era niente di speciale? Forse dopotutto un significato quelle cose ce l’avevano e il fatto che fossero oggetti di tutti i giorni non voleva dire che fossero inutili. Forse erano tutte cose legate a giornate particolari che avevano vissuto insieme, piccoli oggetti conservati con cura, come testimoni di momenti che non dovevano essere dimenticati, di momenti che si meritavano di essere ricordati.

Harry chinò il capo, come scusandosi per non aver mantenuto la promessa di portarli sempre con sé, e cominciò a rimettere tutto dentro al cassetto, afferrando manciate di oggetti e senza nemmeno chiedersi una seconda volta che cosa potessero essere. Aveva fretta di finire e uscire dalla camera, ma quel maledetto cassetto sembrava non volersi chiudere per la troppa roba che c’era dentro.

Harry lo spinse e lo rispinse, sentendosi ogni secondo che passava sempre più frustato, fino a che con uno strattone tirò fuori un menù sgualcito che non riusciva a infilare dentro. Se lo rigirò tra le mani, cercando di capire di dove fosse. Lesse e rilesse il nome del ristorante, ma ovviamente nulla, nessun ricordo, nessuna sensazione familiare lo invase.

Stava per metterlo via, sentendosi ancora una volta uno stupido senza speranza, quando gli venne la strana idea di aprirlo e così lo fece. A quanto pare era un locale che si specializzava in piatti a base di pesce, ma Harry nemmeno se ne accorse, perché ogni singolo bordo di quel menù era occupato dalla sua scrittura. Una miriade di lettere sottili e accartocciate su se stesse, probabilmente scritte sulla carta di getto, forse perfino di nascosto.

Quando Harry iniziò a leggere tutte le parole che non aveva nemmeno in programma di dire gli morirono sulle labbra. In quel momento non si fermò nemmeno a chiedersi perché a poco più di ventun’anni avesse già scritto le sue promesse di matrimonio, né tantomeno se Louis ne fosse a conoscenza.

Si limitò a leggere, cercando tra quelle righe la parte di lui che le aveva scritte, sperando disperatamente di poter tornare ad essere quella persona, non importava a quale prezzo.

"Io ti prometto di amarti ardentemente, in ogni tuo momento ora e per sempre. Prometto di aiutarti ad amare la vita, di trattarti sempre con tenerezza ed avere la pazienza che l’amore richiede. Di parlare quando le parole sono necessarie e di restare in silenzio quando non lo sono, di vivere nel calore del tuo cuore e considerarlo casa mia. Prometto di non dimenticare mai che questo è un amore che capita una sola volta nella vita e di sapere sempre nel profondo della mia anima che qualunque difficoltà possa riuscire a dividerci troveremo sempre la strada per ritrovarci.”

Quando finì di leggere Harry si portò il cartoncino verso il viso e ne annusò il profumo, avidamente, come se in esso fosse contenuto il segreto per tornare indietro. Quasi non si accorse quando iniziò a piangere e non appena una lacrima si staccò dalle sue ciglia, atterrando con grazia su quelle parole disordinate, Harry la scacciò via veloce, attento a non sbavare l’inchiostro.

Si sentiva una persona orribile per essersi commosso leggendo quelle due o tre frasi, mentre invece la sera prima, quando Louis aveva parlato per ore, era rimasto praticamente impassibile, solo ridacchiando qua e là o inserendo qualche commento che francamente avrebbe potuto risparmiarsi.

Sapeva però che gli faceva più effetto perché quelle erano le sue parole, non che dubitasse di Louis o di ciò che gli aveva raccontato, ma osservare la propria calligrafia, immaginare la sua mano calda che si era mossa su quel pezzo di carta per scrivere quelle promesse era semplicemente troppo.

Harry quasi poteva immaginare se stesso, incurvato su qualche tavolino in ombra di quel ristorante, mentre scriveva quelle parole, mentre Louis era probabilmente andato in bagno o a pagare il conto. Forse quella sera era stato uno dei loro anniversari.

O forse Louis non aveva bisogno di un’occasione speciale per portarlo fuori a cena. Essere con Harry, vivere con lui era la sua occasione speciale e Harry ancora una volta si sentì mancare il respiro sotto il peso di quella supposizione.

Fu quasi tentato di leggere quelle parole ad alta voce, ma alla fine decise che per quella mattina ne aveva avuto abbastanza, quindi mise via il menù, prestando molta più attenzione di quanto avesse fatto prima, e senza fare rumore chiuse il cassetto e uscì dalla stanza.

Passando dalla cucina rivide il biglietto di Louis e pensò che ormai sarebbe tornato a casa da un minuto all’altro e lui non era assolutamente pronto. Se Louis lo avesse visto in quelle condizioni avrebbe sicuramente capito che c’era qualcosa che non andava.

E Harry davvero non voleva vederlo abbassare lo sguardo, non voleva vedere la luce lasciare i suoi occhi mentre lottava con se stesso per non scuotere il capo. Non voleva vederlo mentre si dava la colpa per il comportamento di Harry, mentre si diceva che la sera prima aveva detto troppo o che, al contrario, non stava facendo abbastanza per sistemare la situazione.

Così, senza nemmeno preoccuparsi di afferrare le chiavi di casa o il suo cellulare, Harry si infilò il cappotto e un cappellino di lana, che molto probabilmente era di Louis, e uscì da quell’appartamento che ancora non riusciva a chiamare casa.

Fece le scale di corsa, come se ci fosse qualcuno che lo stesse seguendo, e sospirò di sollievo quando aprì il portone e l’aria gelata lo colpì in pieno viso. Si guardò velocemente intorno, in cerca di una direzione da seguire, e poi si mise a camminare, le mani in tasca e lo sguardo fisso davanti a sé.

Non era nemmeno sicuro di che cosa stesse cercando.

♦♦♦
 

Louis stava andando fuori di testa.

Quando era arrivato a casa l’appartamento era completamente vuoto. All’inizio non ci fece particolarmente caso, Harry aveva diritto tanto quanto lui di uscire e andare a schiarirsi le idee, ma quando fuori cominciò a fare buio e non c’era ancora nessuna traccia di lui, Louis cominciò a preoccuparsi sul serio.

Alla fine si era anche deciso a chiamarlo e dopo aver composto il numero aveva portato il telefono all’orecchio con ansia, mordendosi l’unghia del pollice mentre aspettava che facesse il primo squillo.

Quando poi aveva sentito un lieve ronzio in lontananza si era avvicinato con orrore al mobiletto nell’ingresso, osservando il telefono di Harry vibrare indisturbato accanto alle chiavi che aveva dimenticato, o forse non aveva voluto portare con sé.

Col passare delle ore aveva contemplato anche l’idea di uscire a cercarlo, ma poi aveva realizzato che non conosceva affatto quel nuovo Harry e che probabilmente non lo avrebbe trovato in nessuno dei posti in cui erano soliti andare insieme, semplicemente perché Harry non era nemmeno a conoscenza della loro esistenza.

Gli si strinse il cuore a pensare che non sapesse della piccola panetteria all’angolo che vendeva i cornetti metà alla crema e metà al cioccolato, o del fiorista, due quartieri più avanti, a cui Harry si fermava sempre per comprare una rosa rossa dal gambo lungo quando sapeva che Louis aveva avuto una giornata difficile.

Continuava a sedersi sul divano e a rialzarsi dieci secondi dopo, non del tutto sicuro di ciò che era giusto fare e di dove i confini di questo nuovo rapporto con Harry fossero.

Stava per arrendersi alla disperazione e lasciar uscire quel singhiozzo che tratteneva da ore quando il suo cellulare si mise a suonare e nella fretta di rispondere Louis quasi lo fece cadere. Rimase perplesso quando vide il nome di Niall sullo schermo e quando prese fiato appena un secondo prima di rispondere, pregò con ogni fibra del suo corpo che non fosse successo nulla di grave.

-Pronto?-

-Louis? Sono Harry-

Come se ci fosse bisogno di specificarlo. Come se Louis non fosse stato in grado di riconoscere la sua voce tra mille.

-Harry? Va tutto bene? Dove sei?- chiese, senza nemmeno preoccuparsi di cercare di nascondere la preoccupazione nella sua voce.

-Sto bene. È solo che sono uscito di casa senza prendere il cellulare e dopo un po’ che camminavo mi sono accorto di non avere idea di dove fossi o di come tornare indietro. E la casa di Niall era l’unica che mi ricordavo nei paraggi.-

Louis non riusciva nemmeno a parlare, perché il sollievo che provò in quel momento travolse tutto il resto.

-Mi dispiace- Harry aggiunse qualche secondo dopo, avendo chiaramente male interpretato il suo silenzio.

-Non preoccuparti. Non.. Non è colpa tua se non ti ricordi la strada- mormorò Louis e il fatto di averlo detto ad alta voce improvvisamente rese tutto così vero che sentì qualcosa rompersi, ancora una volta, dentro di lui.

-Puoi.. Puoi venire a prendermi? Niall si è offerto di darmi un passaggio ma non volevo disturbarlo. Non volevo disturbare nemmeno te, ma pensavo che..-

Pensavo che essere fidanzato con te da più di sei anni fosse un motivo abbastanza valido per chiederti di venirmi a prendere alle dieci passate di sera dopo essere sparito per tutto il pomeriggio.

Avrebbe voluto finire la frase per lui Louis, ma invece si limitò a dirgli che non lo stava disturbando per niente e che sarebbe arrivato tra una ventina di minuti.

Dopo che Harry ebbe terminato la chiamata, mormorando un grazie a bassa voce, Louis si concesse un momento per strofinarsi gli occhi con il palmo della mani. Se gli scappò qualche lacrima, in quell’istante, nessuno avrebbe mai avuto bisogno di saperlo.

Un minuto dopo era tutto finito.

Louis si alzò e tirò su con il naso, una sola volta. Si infilò il cappotto e gettò un’ultima occhiata all’appartamento deserto prima di spegnere la luce e andare a prendere Harry.

Per Louis era arrivato, ancora una volta, il momento di dover essere abbastanza coraggioso per entrambi.

 

Spazio autrice:

Buonasera a tutti!
Innanzitutto mi scuso per il ritardo, sono passate ben più di due settimane dall'ultimo aggiornamento e mi dispiace davvero tanto ma questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere per me. Ho fissato lo schermo del computer per ore e ore, ho cambiato idea decine di volte prima di mettere insieme ciò che avete appena letto.
é stato più complicato perchè come avete notato questo capitolo si focalizza maggiormente su Harry, mentre fino a questo punto la gran parte della storia e tutti gli eventi più importanti vi erano stati presentati attraverso il punto di vista di Louis. Ora vediamo le sue prime reazioni dopo l'incidente, che cosa ne pensa della "nuova" vita con Louis. Da una parte è certo dell'amore di Louis per lui, dall'altra non sa se fidarsi. Si è reso conto che è cambiato, ma non riesce ancora bene a capire da cosa si è staccato, come era prima, dove ora è diverso.
Lo considero un capitolo abbastanza importante, benchè non ci siano eventi di particolare rilievo, perchè senza di esso non sarebbe stato poi possibile affrontare i primi veri scontri che ci saranno nei prossimi capitoli. Li avreste letti tenendo presente solo il punto di vista di Louis, quindi questa diciamo immersione nella testa di Harry mi sembrava più che dovuta.
Come sempre ringrazio tutti coloro che hanno messo la storia nelle preferite, seguite e ricordate, tutti coloro che leggono in silenzio ma soprattutto ancora una volta un grazie a coloro che spendono qualche minuto del loro tempo per farmi sapere che cosa ne pensano della storia: WithoutyouJ, xhisdimples, gloria horan, kidraulhlismyheroe, Wamphy Blackstorm, Maleficent, Cherryblossomgirl9, GingerHair_, simply_alice_, GiulsEchelon e sheisyle!!
Grazie davvero di cuore a tutti e spero davvero di non metterci altre due settimane ad aggiornare. Se così fosse indirizzate gli accidenti in Inghilterra e state sicure che li riceverò :) a presto! Un bacio!

Marta

Twitter: @martolinsss

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Capitolo 5
*** CAPITOLO V ***




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CAPITOLO V
 


Louis tirò il freno a mano, tolse la chiave dal cruscotto, spense i fari ma non accennò ad uscire dalla macchina. Harry era nel sedile accanto al suo e quando, dopo qualche secondo, l’oscurità piombò intorno a loro, si guardava ostinatamente la punta delle scarpe, in cerca di qualche cosa da dire.

Louis era venuto a prenderlo a casa di Niall e, quando i loro occhi si erano incrociati oltre lo stipite della porta, non c’erano stati né scintille né abbracci. Louis non era arrabbiato con Harry. Non ce l’aveva con lui per essersene andato di casa senza aver lasciato nemmeno lo straccio di un biglietto. Non gli portava rancore per l’inferno che gli aveva fatto passare quel pomeriggio, per l’ansia e la paura di averlo, ancora una volta, perso.

No. Louis era solo stanco. Ogni millimetro del suo corpo stava urlando quanto stanco Louis fosse e Harry, ringraziando ancora una volta Niall e chiudendosi la porta del suo appartamento alle spalle, si sentì più in colpa che mai.

Dopotutto stava bene, non gli era successo nulla di irreparabile, ma vedendo l’espressione esausta di Louis, si sentì morire al pensiero di aver contribuito a disfare quel capolavoro di persona con cui si era ritrovato a vivere. Al pensiero di aver aggiunto, con la sua fuga, anche solo una briciola al già enorme peso che quelle spalle, così gracili, così delicate, dovevano sopportare.

-Grazie davvero per essermi subito venuto a prendere, Louis. Mi dispiace per..-

-Harry no, per favore. Non stasera.-

Harry non voleva uscire dalla macchina. Voleva stare lì con Louis. Voleva stare lì e parlare, se necessario anche tutta la notte, con quell’estraneo che era riuscito ancora una volta a ferire. Voleva stare lì e parlargli fino a che fosse certo che stesse meglio.

Louis invece non vedeva l’ora di allontanarsi da Harry, per rabbia o disperazione, e quest’ultimo non riuscì a trovare in sé la forza di negargli anche questo piccolo desiderio.



Louis si era già infilato il pigiama e stava per sdraiarsi sul divano, mentre Harry era ancora impalato in cucina. Aveva preso un po’ di tempo facendosi una tazza di tè, ma sapeva che non sarebbe riuscito a chiudere occhio se non avesse almeno provato a chiarire ancora una volta le cose con lui.

Così andò in salotto e lo trovò che stendeva le pieghe della coperta con le dita, come se fossero i capelli sottili e lucidi di una bambina che aspettava il bacio sulla fronte del suo papà per addormentarsi. Lo faceva con tenerezza, quasi con devozione.

Quale fosse il motivo Harry non lo sapeva, visto che tra qualche secondo ci si sarebbe infilato sotto e altre pieghe si sarebbero inevitabilmente formate.

-Mi dispiace Louis, sul serio. Non avrei dovuto sparire così.-

-Harry ti prego, lascia stare. Voglio solo andare a letto.-

-Va bene, scusa ancora.-

-Buonanotte Harry.

-Puoi venire a dormire in camera, se vuoi.-

Forse era stato un po’ avventato, ma Harry sapeva che quella era la sua ultima speranza. L’unico e ultimo modo per cancellare quel velo di dolore dal viso di Louis.

-Buonanotte Harry.-

Non aveva funzionato, non che si fosse aspettato chissà che. Un ultimo cenno di saluto e in punta di piedi, sentendosi un estraneo in casa sua, Harry raggiunse la sua stanza, la loro, e vi si chiuse dentro.

Louis non sarebbe andato da lui quella notte, e una porta lasciata socchiusa di certo non gli avrebbero fatto cambiare idea.



Daniel lo aveva chiamato quel pomeriggio e, quando Harry aveva visto il suo nome sullo schermo, quasi non ci aveva potuto credere.

Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che si erano sentiti. Si fermò solo un istante a chiedersi perché. Perché aveva perso tutti i contatti con quello che una volta era stato il suo migliore amico, il suo vicino di banco e compagno di tutte le sue disavventure a scuola. Daniel era stata anche la prima persona, oltre a sua madre, a cui Harry avesse confidato di essere gay.

Certo, il fatto di essere diventato un cantante famoso faceva la sua parte, ma non poteva essere tutto, perché c’erano altre vecchie conoscenze che Harry aveva mantenuto nel tempo, nonostante il successo, nonostante la fama. Incuriosito, e in cerca di risposte, sfiorò con il pollice la cornetta verde sul display e si avvicinò il cellulare all’orecchio.

Neanche due minuti dopo e la telefonata era già conclusa. Dal tono di voce di Daniel, alquanto imbarazzato e quasi frettoloso, Harry aveva potuto capire che quella di chiamarlo era stata una scelta molto difficile per lui, come se ci avesse rinunciato, ma all’ultimo minuto avesse cambiato idea e preso in mano il telefono per chiamarlo. Harry, al contrario, era stato molto sereno e rilassato, perché sinceramente felice di averlo risentito.

Quando però Daniel era venuto al dunque, tutto l’entusiasmo di Harry era sparito e l’ombra si era impossessata dei suoi occhi, della sua voce, perfino della cadenza con la quale respirava. Lo aveva invitato a una cena, una specie di rimpatriata coi loro vecchi compagni di scuola. Molti di loro ormai erano sposati, alcuni avevano già persino dei bambini, e a qualcuno era venuta voglia di ritrovarsi, almeno per una sera, e sentirsi ancora uniti, inseparabili, come quando erano poco più che dei ragazzini.

Harry aveva ringraziato mille volte Daniel per l’invito, davvero felice che avessero deciso di includere anche lui, ma gli aveva fatto capire che le probabilità che ci andasse erano davvero scarse. La situazione con Louis era ancora tesa e non aveva idea di come avrebbe potuto reagire ad una tale richiesta. Harry non sapeva nemmeno se gli avesse mai parlato di Daniel, dei suoi vecchi compagni di scuola, e l’ultima cosa che voleva era creare nuovi dissidi e incomprensioni tra di loro.

Si era quasi deciso a inviare un messaggio a Daniel per declinare l’invito senza nemmeno sollevare la questione, ma la domanda gli scappò dalle labbra la sera dopo, quando Louis sembrava essere particolarmente a suo agio con Harry che si aggirava intorno a lui in cucina, finendo di preparare la cena.

-Non siamo obbligati ad andarci, se non ti va.-

-No no. Voglio dire, mi va. Andiamoci.-

-Sei sicuro che non ti dispiace?-

-No, mi fa piacere accompagnarti. Sul serio.-

-Okay. Grazie, allora.-

Harry gli sorrise pieno di gratitudine e poi gli diede le spalle per scolare la pasta, azzardandosi, ora che Louis non lo poteva vedere, a tirare un sospiro di sollievo. Non sapeva se a Louis importasse veramente andare con lui a quella cena e conoscere i suoi vecchi amici o se lo stesse facendo solo perché era disposto a fare tutto ciò che Harry gli chiedeva per fare in modo che le cose tornassero, anche solo in minima parte, ad essere come prima dell’incidente.

Dopo la breve discussione in seguito alla quasi fuga a casa di Niall, lui e Louis erano stati estremamente attenti l’uno con l’altro. Attenti a non toccarsi, attenti a non stare troppo tempo insieme nella stessa stanza, attenti a non esprimere ad alta voce le loro rispettive preoccupazioni per non turbare l’altro.

Era tutta una finzione, una messa in scena, quasi un mondo parallelo, perché le parole non dette galleggiavano nell’aria di quelle stanze vuote eccetto per i loro corpi e rischiavano, ad ogni secondo, di farli precipitare, di portarli a fondo insieme a loro.

Non era vero, però funzionava. Non discutevano più, non alzavano più la voce e Louis riusciva a ritrovare in quella convivenza persino uno spiraglio, uno spicchio della vita passata insieme a Harry.

Era stato così semplice, vivere con lui. Era come respirare, dentro e fuori. Semplicemente. Inspirare amore, espirare amore. Come se fossero scivolati nelle fessure l’uno dell’altro, negli spazi tra le dita, nei pori della pelle, livellando e sigillando il tutto con uno strato di completa adorazione. Quando vivevano insieme, quando vivevano insieme per davvero, il cuore di Louis sembrava non poter battere senza sentire l’eco di quello di Harry.

Vivere con lui era stato facile. Certo, non sempre. Non tutte le volte.

Ma il semplice atto di amarlo, di amare il modo in cui le sue ciglia creavano delle ombre sulle sue guance quando parlava, di amare quelle soffici fossette dove comincia, o finisce, la schiena, di amare il modo con cui apriva gli occhi al mattino, assonnato e con i capelli arruffati, era abbastanza.

Era stato così facile amare tutto quelle piccole cose di Harry. Louis lo faceva ancora, andava avanti, continuava imperterrito. Amare Harry era vitale per lui, anche se ormai da un po’ aveva smesso di essere semplice.

A volte, quando si svegliava presto al mattino e la luce non riusciva ancora a filtrare attraverso le tende blu scuro del salotto, Louis restava ancora un po’ sdraiato sul divano e, tenendo gli occhi ben chiusi, si concedeva di sognare. Metteva a tacere la parte razionale della sua testa che gli diceva che non stava succedendo davvero, che Harry non si era ancora ricordato di lui, e sognava.

Sognava che Harry non era lì, accanto a lui, non perché fosse addormentato da solo in un’altra stanza, ma perché era uscito in punta di piedi per andare al bar all’angolo della strada, per prendere la colazione e fargli una sorpresa.

Poi apriva gli occhi, si rendeva conto di dov’era Harry in realtà, e un freddo che non c’entrava niente con la temperatura della stanza gli entrava nelle ossa.



Louis iniziò a pentirsi di aver accettato di accompagnare Harry non appena spense il motore della macchina e si accorse che l’indirizzo che Harry gli aveva fornito non era quello di un ristorante, ma di una tranquilla villetta in un anonimo quartiere residenziale di Londra. Gli sembrava troppo privato, intimo, e sapeva che molto probabilmente avrebbe finito per sentirsi fuori posto per gran parte della serata.

Chi l’aveva mai visto poi questo Daniel? Certo, Harry gliene aveva parlato a lungo, appena si erano conosciuti. Dopotutto, all’epoca, Harry aveva solo sedici anni ed andava ancora a scuola. Era normale che i suoi compagni fossero anche i suoi migliori amici e che qualunque avvenimento della sua vita Harry avesse voluto condividere con Louis, avesse avuto nello sfondo anche Daniel.

Poi però il turbinio di X Factor li aveva travolti, le luci dei riflettori erano sempre puntate su di loro, le interviste si erano moltiplicate e mantenersi in contatto era diventato sempre più difficile.

La parola fine della loro amicizia, per quanto egoista potesse suonare, ce l’aveva messa poi la loro relazione, perché quando Harry e Louis si innamorarono, persero la voglia di continuare a sentire gli altri. Non che si fossero dimenticati dei loro amici, ma più persone sapevano la verità su di loro, più alto era il rischio che venissero scoperti. Le chiamate erano diventate sempre più scarse, i biglietti di auguri per Natale avevano lentamente smesso di arrivare e Daniel, come il resto dei suoi vecchi compagni di scuola, uscì dalla vita di Harry.

In un certo senso quindi, anche se non si erano mai visti, Louis lo conosceva, sapeva quante ne avevano passate lui e Harry insieme. Sapeva anche che Daniel era il primo a cui Harry avesse mai confidato di essere gay e forse anche colui che, in fondo, lo aveva aiutato a capirlo.

Come lo avesse fatto era un fattore che Louis non voleva nemmeno prendere in considerazione. Era geloso da morire di Harry, lo era sempre stato. Era geloso di chiunque gli si avvicinasse troppo o provasse a destare la sua attenzione.

Ma soprattutto, Louis era geloso del suo passato. Sapeva che era un pensiero stupido, ma era geloso delle persone che avevano avuto la possibilità di stare accanto a Harry durante la sua infanzia.

Avrebbe voluto esserci la prima volta che Harry aveva imparato ad andare in bicicletta da solo o la prima volta che aveva preso una a in matematica. Avrebbe voluto esserci poi nella sua adolescenza, per rassicurarlo quella prima volta che si era accorto che il seno della sua professoressa, che tutti i suoi compagni stavano fissando attraverso il tessuto semitrasparente della camicetta, gli era del tutto indifferente.

Louis si rese improvvisamente conto che probabilmente, quel giorno, c’era stato Daniel, seduto nel banco accanto a lui. Daniel che per un attimo aveva distolto lo sguardo da quella vista paradisiaca per osservare con attenzione il volto di Harry, trovandoci vergogna, confusione e la paura di essere diverso. E forse poi Harry si era girato verso il suo migliore amico e, quando aveva trovato i suoi occhi già fissi su di lui, non aveva distolto lo sguardo imbarazzato, ma aveva sorriso, lievemente, come per dire ora lo sai.

Il pensiero di entrare in quella casa, e stringere amabilmente la mano di quell’uomo che aveva tutto ciò che Louis poteva solo ricreare nella sua mente grazie ai racconti di Harry, gli apparve improvvisamente insopportabile.

Harry però lo stava aspettando sul marciapiede, avvolto nel suo cappotto nero da sera e una bottiglia di vino rosso da cinquecento sterline stretta tra le mani. Non vede l’ora di entrare, si disse Louis, e con un ultimo sospiro aprì la portiera e lasciò che il freddo della notte gli colpisse il viso con violenza.

In fondo, dopo tutti quei pensieri velenosi, se lo era meritato.



Appena la porta della villetta venne loro aperta, Harry fu inghiottito dalla piccola folla di persone radunatasi nel salotto. Louis istintivamente gli mise una mano sulla spalla, per proteggerlo, come era abituato a fare ogni volta che erano usciti insieme, magari semplicemente per andare a comprare un nuovo paio di jeans, ed erano stati assaliti dalle fan.

L’unica differenza era che quelle persone non erano fan. Non erano ragazzine innamorate del bel faccino di Harry e dei suoi riccioli. No, quelle erano persone che con Harry ci avevano trascorso l’infanzia e gran parte dell’adolescenza.Louis non aveva nessun diritto di trattenerlo e l’occhiata che Harry gli lanciò quando si accorse del braccio protettivamente avvolto intorno alla sua vita sembrava dire proprio quello.

Louis lasciò andare la presa e, maledicendo per la centesima volta il suo corpo che sembrava non accettare l’idea che il vecchio Harry non esistesse più, si fece largo tra gli altri invitati, cercando di seguirlo. Lo trovò qualche secondo dopo, seduto su un divano bordeaux, una ragazza bionda con una gonna troppo corta seduta alla sua destra e un uomo dai capelli leggermente brizzolati alla sua sinistra.

Louis avrebbe voluto piantare tutto e scappare da quella casa quando si rese conto che non c’era posto per lui, sul divano, nella vita di Harry, ma le persone intorno a loro avevano notato la sua presenza e andarsene senza dire nemmeno una parola sarebbe stato scortese, per non dire infantile.Che diavolo stava aspettando Harry a presentarlo? Gli aveva chiesto lui di accompagnarlo, dopotutto.

Non poté fare a meno di pensare come quella fosse la prima volta che Harry non era stato orgoglioso di lui in pubblico. Prima, dovunque andassero, Harry lo teneva per mano, lo aiutava a camminare se c’era troppa confusione nella stanza. Lo guidava, lo teneva accanto a sé e lo presentava senza esitazione alla prima persona che incontravano.

Lui è Louis, la persona che amo, il mio fidanzato, il mio migliore amico, il mio amante.


Okay, magari non diceva tutte quelle cosenon se quelli che avevano davanti erano estranei, ma i suoi occhi parlavano per lui, e dicevano tutto quello, se non di più. E Louis stava lì, fingendosi imbarazzato, ma segretamente amando tutta l’attenzione che Harry ogni volta gli riservava.

Era semplicemente così fiero di essere da qualche parte, da qualsiasi parte, con Louis, il suo Louis, che non poteva fare a meno di condividere quell’euforia con tutti gli altri. Quella sera ovviamente non sarebbe andata così.

Harry sollevò lo sguardo mentre si sistemava il ciuffo, cadutogli sugli occhi per aver riso troppo forte a una battuta della ragazza bionda, e i suoi occhi incontrarono quelli di Louis. Sembrò ricordarsi solo in quel momento che non era lì da solo e così, mettendosi a sedere un po’ più dritto, si schiarì la voce.

-Ragazzi, questo è Louis. Il mio.. Il mio ragazzo.-

La voce di Harry tentennò solo un istante, ma tutto sommato era stato credibile. Louis si era accorto della sua piccola indecisione solo perché estremamente all’erta , bisognoso com’era di sentirgli pronunciare quelle parole, anche se non vere fino in fondo.

Ne avevano parlato il giorno prima, quando Harry aveva insistito che non aveva un paio di scarpe adatte per l’occasione e quindi erano usciti a comprarle. Che cosa avrebbero detto agli altri? Tutti sapevano dell’incidente di Harry, ma nessuno, a parte le loro famiglie e Niall, Zayn e Liam, era a conoscenza della tragedia personale di Louis.

Avevano quindi deciso di comportarsi come in qualsiasi altra apparizione pubblica. Non importava cosa succedeva quando tornavano a casa la sera e si chiudevano la porta alle spalle, non importavano i silenzi e le notti passate distesi su superfici diverse, quando c’era altra gente intorno, loro due tornavano ad essere Harry&Louis.

Gli Harry e Louis che vivevano insieme da ormai quasi sette anni, che si amavano e che non avrebbero potuto essere più felici perché Harry si era svegliato e tutto era tornato ad essere come prima. Un sorriso amaro si allargò sul viso di Louis quando si rese conto di quanto ironicamente drammatica la situazione fosse.

Avevano passato due terzi della loro storia a nascondersi, ad amarsi solo dietro porte chiuse a chiave e a promesse che le cose un giorno sarebbero cambiate. Ora invece che erano liberi, che non dovevano più nascondersi, erano nuovamente costretti a fingere.

Fingere di avere bisogno l’uno dell’altro, di stare bene insieme, di appartenersi. Non che fosse chissà quale fatica per Louis, il quale dopotutto non doveva neanche far finta più di tanto.

Lo sforzo vero per lui, ciò che lo distruggeva sul serio, era invece guardare Harry fingere e chiedersi come, e quando, fosse diventato un così bravo attore, e non capire perché nessuno non se ne accorgeva, alzandosi da uno di quei divanetti e venendo verso di loro, abbassando la cinepresa e dando loro il permesso di respirare ancora.

Era ormai passato quasi mezzo minuto da quando Harry lo aveva presentato e Louis ancora non aveva detto una parola, perso nei suoi pensieri, in quel posto lontano in cui lui e Harry avrebbero sempre risposto allo stesso nome.

Con un po’ di malinconia ne uscì, promettendogli che si sarebbero rivisti quella notte, e tornò in quella casa, sorridendo amabilmente agli amici di Harry. Il suo sguardo cadde inesorabilmente sulle sue ginocchia libere e Harry, prendendola come una richiesta di sedervicisi sopra, accavallò subito le gambe e distolse rapidamente lo sguardo.

-Piacere di conoscerti Louis! Era ora che ce lo facessi conoscere Harry, pensavamo che ce lo stessi quasi tenendo nascosto!- disse una voce alle sue spalle e quando Harry si girò per vedere chi fosse, Louis osservò la luce tornare nei suoi occhi e il calore trovare una nuova casa nelle sue guance arrossate.

-Daniel- fu tutto ciò che Harry riuscì a dire prima che si precipitasse tra le sue braccia.

Harry ora gli stava dando le spalle, ma Louis non aveva bisogno di vederlo in viso per sapere quale espressione avesse.

Sapeva che i suoi occhi erano chiusi o quanto grande il suo sorriso fosse. Lo sapeva perché quello una volta era il modo con cui Harry guardava lui e non un amico che non vedeva da sei anni o giù di lì.

-Non sai quanto sono felice che tu sia riuscito a venire- gli disse Daniel quando finalmente Harry lo lasciò andare –e questo deve essere Louis! Ti facevo più alto, amico mio! Sto scherzando ovviamente, è un piacere conoscerti!-

Louis fissò la mano tesa davanti a lui e esitò un attimo prima di stringerla. In quella frazione di secondo gli occhi di Harry, guardivi e un po’ scocciati, non lo lasciarono un istante.

Non rovinare tutto, ricordati che cosa abbiamo deciso prima di venire qui sembravano dire e così Louis si stampò un sorriso in faccia e si sedette, questa volta senza nemmeno chiedere, sulle sue ginocchia.

Se Harry voleva che Louis fingesse, se voleva giocare a fare i fidanzatini innamorati, lui l’avrebbe accontentato. Il fatto che tutto quel contatto, quella vicinanza forzata, avesse un significato vero per Louis, era tutta un’altra storia.

-Vado a prendere qualcosa da bere.- disse Daniel –Harry, la solita vodka al mirtillo?-

Louis avrebbe avuto mettersi a ridere e rispondere a Daniel che Harry detestava il mirtillo, che una volta avevano persino litigato perché Louis era tornato a casa con un barattolo di marmellata al mirtillo invece che uno alla fragola e Harry non aveva potuto preparare la crostata che da giorni aveva voglia di fare.

-Sì, ti ringrazio- invece rispose semplicemente Harry e Louis non trovò neanche in sé la forza di girarsi a guardarlo, di chiedergli spiegazioni. Se già non gli era stato abbastanza chiaro, quello non era più il suo uomo, e non c’era nessuna parola o commento di Harry in grado di riportarglielo indietro.



-Ci sei mai andato a letto?-

-Come scusa?-

-Con Daniel. Ci sei mai andato a letto?-

Erano tornati a casa da una manciata di minuti e non era importante che Harry fosse in bagno a lavarsi i denti mentre canticchiava la canzone durante la quale lui e Daniel avevano ballato in mezzo al salotto, tra le risate e gli sguardi divertiti dei loro amici.

-Perché me lo chiedi?- rispose Harry, sciacquando lo spazzolino e tamponandosi la bocca con un asciugamano color panna.

Perché altrimenti stanotte non dormo. Perché il pensiero che ti abbia in passato stretto tra le sue braccia come ha fatto stasera mi fa venire la nausea.

-Ero solo curioso, non me lo hai mai detto.-

-Non te l’ho mai detto perché non c’era niente da dire. Non ci sono andato a letto insieme, Louis.-

Louis avrebbe dovuto sentirsi rincuorato, ma l’ondata di sollievo tardò ad arrivare. Sarà stato il tono di Harry, impaziente e scocciato, come se stesse spiegando ad un bambino perché due più due fa quattro.

-Da come ti teneva le mani sui fianchi stasera sembrava di sì- disse acido prima che riuscisse a fermarsi.

-Beh, te lo sto dicendo ora. Non ci ho mai fatto l’amore.-

-Benissimo- rispose Louis con il cuore in gola. Chiuse velocemente la porta dietro di sé, sperando invano che il rumore secco della serratura avesse nascosto il tremolio della sua voce.



Poco meno di venti minuti dopo Louis era sdraiato sul divano, la coperta tirata fin sotto il mento e un libro in bilico sulle ginocchia.

Non gli era mai piaciuto tanto leggere, ma ultimamente aveva scoperto che lo aiutava a tenere la mente lontana da Harry e tutte le preoccupazioni che ne derivavano, quindi aveva cominciato ad andare in libreria sempre più spesso, e non che ora fosse diventato un esperto, ma aveva imparato a distinguere un libro scritto bene e uno dalla prosa imbarazzante.

Era così preso a leggere che quasi non si accorse di Harry che a piedi nudi era uscito dalla loro camera da letto.

-Louis?- sussurrò dallo stipite della porta, senza entrare in salotto. Louis si tolse velocemente gli occhiali e lo guardò, alquanto stupito di vederlo ancora sveglio.

-Cosa c’è, Harry?-

-Niente, volevo solo dirti che mi dispiace. Avrei dovuto rifiutare quando Daniel mi ha chiesto di ballare con lui. Tu hai fatto tanto stasera per far credere alle persone che stessimo bene insieme e io senza accorgermene ho quasi rovinato tutto. Mi dispiace, non succederà più.-

Una volta che Louis afferrò fino in fondo il significato delle parole di Harry, avrebbe quasi voluto ridere.

Ridere del suo cipiglio preoccupato, di se stesso e della situazione ridicola in cui si trovavano.

E la cosa peggiore era che, quando Harry si era scusato, Louis aveva per un secondo pensato che gli dispiacesse di aver ballato con Daniel di fronte a lui perché si era accorto di aver ferito i suoi sentimenti. Invece no, la sua unica preoccupazione era stata mantenere la facciata, fare in modo che gli altri continuassero a vedere qualcosa in cui da tempo lui stesso aveva smesso di credere.

La vista gli si appannò ma fu solo un istante, perché un secondo dopo Louis stava già sorridendo a Harry, rassicurandolo, perché non importava quanto male Harry gli stesse facendo, Louis lo amava ancora e voleva proteggerlo da ogni piccola cosa che sapeva lo avrebbe turbato o ferito, anche se si trattava dei suoi stessi sentimenti per lui.

Così ancora una volta Louis accettò di essere quello forte, di prendersi tutto il peso dei cocci di quel vaso rotto, di non piangere davanti a lui.

A volte però le lacrime colano all’interno dei volti. Non si vedono da fuori, ma ci sono. E scavano e scavano dentro di te, finché non ti rimane più nulla per coprirti.

Louis era nudo ormai, quasi trasparente da quanto aveva pianto, e si chiedeva come Harry non lo avesse notato, come potesse lasciarlo sbiadire così.



Più tardi quella stessa notte, quando il silenzio della casa avvolgeva tutto il resto, Louis si alzò dal divano e in punta di piedi andò in camera. Gli fece strano essere di nuovo lì, con Harry, dopo tutto quel tempo. Ci era entrato il pomeriggio precedente, per prendere un maglione pulito dal cassetto, ma Harry non era stato lì disteso, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta.

In un certo senso, il gesto di entrare in camera ed essere per la prima volta dopo settimane intere così vicino a Harry, per Louis significò tornare a casa più di quanto lo avesse fatto aprire la porta del loro appartamento un paio di ore prima.

Si sedette sul bordo del letto, attento a non svegliarlo, e finalmente lo guardò come ne aveva bisogno, come Harry si meritava di essere guardato.

Di giorno non poteva, perché sapeva che se lo guardava troppo a lungo, prima o poi Harry si sarebbe girato nella sua direzione e lo avrebbe sorpreso a fissarlo. Ora però dormiva, e a giudicare dal ritmo lento e profondo con cui il suo petto si sollevava e si abbassava, un ritornello che Louis conosceva molto bene, non si sarebbe svegliato per un bel pezzo.

Finalmente non c’era nessuno a dirgli che non poteva, che doveva distogliere lo sguardo e fingere di stare facendo qualcos’altro. Ora aveva Harry lì, tutto per lui, e non avrebbe potuto chiedere di meglio.

Stare lì e fissarlo per ore gli sarebbe bastato, se non fosse per un’improvvisa immagine che gli attraversò la mente. Harry che rideva, con il braccio di Daniel avvolto intorno alle sue spalle, e Louis dimenticato da qualche parte nello sfondo. Un dettaglio noioso, troppo insignificante perché qualcuno si curasse di lui.

Fu in quel momento che Louis si accorse di volerlo baciare. E quando se ne rese conto, il desiderio quasi prese il sopravvento.

Ne sentiva l’urgenza in ogni fibra del suo corpo.

L’urgenza di chinarsi in avanti e sfiorare le labbra di Harry con le sue. L’urgenza di aprirgliele piano con la sua lingua per poi leccargli i denti, le gengive e il palato.

Scoprire se, nel sonno, Harry avrebbe risposto al suo bacio oppure no.

Aveva già appoggiato una mano sulla sua guancia quando Louis scosse la testa, quasi svegliandosi da uno stato di trance, e si tirò indietro. Velocemente si rimise in piedi, e senza nemmeno osare guardarlo per un’ultima volta, uscì dalla stanza.

Una volta in corridoio, Louis riprese fiato e chiuse gli occhi.

Quando il battito del suo cuore si fu ristabilizzato, tornò in salotto e avvolse la coperta attorno al suo corpo esausto.  Aveva freddo e non aveva avuto il suo bacio, ma sapeva di aver fatto la cosa giusta e per ora quella piccola consapevolezza avrebbe dovuto farsela bastare.

Non si prendono le favole degli altri per lasciarle finire male, si disse.

Tanto vale non iniziare a leggerle del tutto.

 

Spazio autrice:

Buonasera a tutti! Come sempre mi scuso il ritardo, ormai mi sono accorta che non mi è più possibile andare avanti con il ritmo di un capitolo a settimana, quindi spero che l'attesa non vi abbia fatto passare la voglia di leggere e soprattutto che ne sia valsa la pena!
Questo quinto capitolo è stato un parto nel vero senso della parola. Dopo essermi focalizzata solo su Harry in quello precedente, qui i pensieri di Harry e Louis si mischiano ancora una volta, e c'è anche un nuovo personaggio la cui presenza da questo momento in poi complicherà significativamente le cose, anche se non sarà l'unico motivo.
Senza indugiare oltre, grazie a tutte le persone che hanno messo la storia nelle preferite, seguite e da ricordare! Grazie anche a tutti coloro che hanno recensito, prometto di passare al più presto a rispondere alle vostre recensioni che sono di estrema importanza per continuare a migliorare sempre il mio modo di scrivere!!
Per dubbi, domande, critiche, insomma per ogni cosa che vogliate dirmi mi trovate anche su Twitter: @martolinsss
A presto (spero)! Baci a tutti :)

Marta

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Capitolo 6
*** CAPITOLO Vl ***


 
 
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CAPITOLO VI



Louis amava dormire fino a tardi, ormai era risaputo, ma ogni tanto gli piaceva svegliarsi presto e andare da qualche parte, senza fretta,senza troppe aspettative, e camminare seguendo la linea del marciapiede, con la luce dei  lampioni ancora accesi a guidarlo e a fargli compagnia.

Il giorno in cui Louis scelse di dire basta era stato proprio una di quelle mattine. E c’è da dire che non fu un lungo processo, non fu un qualcosa che egli capì lentamente, passo dopo passo. Louis realizzò che doveva dire basta, che poteva dirlo, tutto di colpo, ma una volta che lo ebbe fatto, una volta che ebbe capito, si rese conto che in fondo lo sapeva da un bel pezzo. Forse perfino da sempre.

Lo sapeva dal momento in cui Harry lo aveva guardato con il terrore, e il disprezzo, dipinti negli occhi dall’altra parte di quell’ermetica stanza di ospedale. Dal momento in cui, seduti sul divano, gli aveva raccontato la loro storia, mettendoci tutto il carisma e la passione di cui era stato capace, ed Harry si era limitato ad ascoltare, come se fosse stato a teatro e i fatti che gli venivano presentati non lo riguardassero personalmente.

Ma soprattutto dal momento in cui Harry aveva sfiorato i fianchi, sussurrato nell’orecchio e riso spensieratamente aggrappandosi al braccio di un uomo che non era Louis.

Una volta che fu in grado di vedere la situazione per quella che era davvero, una volta che si fu tolto la maschera nera della speranza, Louis quasi volle ridere di se stesso. Ridere per il suo sincero ottimismo. Per la sua reale convinzione che prima o poi Harry si sarebbe ricordato di lui e che ogni cosa sarebbe tornata ad essere come prima.

Ovviamente c’erano state delle volte in cui non era stato così, dei rari e fugaci momenti in cui Louis si era trovato a chiedersi che cosa avrebbe fatto se fosse davvero finita. Chi avrebbe lasciato l’appartamento e chi avrebbe continuato a viverci. Chi si sarebbe tenuto la poltrona che fa i massaggi in salotto e chi avrebbe dovuto comprarne una nuova, perché nessuno dei due sapeva farne a meno.

Ma la cosa buffa era che in tutti quei possibili scenari che Louis si creava nella sua mente, per essere pronto all’eventualità che una cosa simile accadesse davvero, era sempre lui quello ad essere lasciato. Harry era il cattivo, che entrava in cucina una mattina e gli diceva che gli doveva parlare.

Erano di Harry la voce atona e gli occhi vuoti che gli dicevano che non riuscivano a ricordarsi la loro vita insieme e che non ce la facevano nemmeno a immaginarne una futura. Erano di Louis le labbra e le mani che tremavano, strette insieme nel suo grembo, schiacciate sotto il peso di una cascata di acqua fredda, di una colata di lava bollente.

Una rivelazione inaspettata che lo squarciò a metà, che ridusse in brandelli tutte le lenzuola immacolate sulle quali lui con così tanta cura aveva dipinto sogni e immagini di giorni futuri, che li aspettavano all’orizzonte, tenuti insieme dalla volontà di esserci, la responsabilità di scegliersi e il coraggio di restare.

Mai Louis aveva pensato che quegli occhi spenti, che quelle parole vuote sarebbero state le sue, ma ormai non c’era nient’altro da fare. Non c’erano più scuse, impegni da rispettare, scadenze da tirare in ballo per rimandare ciò che andavo fatto. Erano arrivati al punto in cui Harry era diventato così trasparente, e la sua presenza così fluttuante, irregolare e sfumata in quella casa, come quella di uno spettro, che forse non averlo lì del tutto, impedirgli fisicamente di tornare, sarebbe stato quasi un sollievo.

Louis sapeva che forse un giorno, magari neanche tanto lontano, si sarebbe pentito di questa sua scelta. Forse il giorno in cui sarebbero uscite sul giornale foto di Harry con un altro uomo, o peggio ancora con una ragazza. O il giorno in cui, tornando a casa dal lavoro dopo una giornata orribile, Louis avrebbe cominciato a lamentarsene subito dopo essersi chiuso la porta alle spalle, per poi fermarsi di colpo, con le chiavi ancora in mano, perché si era ricordato che non c’era nessuno ad aspettarlo e nessuno a cui interessava starlo a sentire.

Sarebbe successo prima o poi, sicuramente, e Louis si sarebbe sentito uno schifo, non avendo nemmeno possibilità di incolpare Harry per l’accaduto, ma ora come ora non gli importava.

Voleva solo farla finita, non tanto per il suo bene, per quello ci sarebbe stato tempo. Tempo per guarire, per rimettersi in piedi e ricordarsi che poteva, se solo lo avesse voluto, tornare ad amare qualcun altro, in un modo meno malsano e meno autodistruggente.

No, ora doveva agire per il bene di Harry. Perché vederlo prigioniero, tenerlo rinchiuso in quella gabbia d’oro che una volta era stata il loro nido, stava uccidendo Louis più di quanto lasciarlo andare avrebbe mai fatto.

Così Louis prese una decisione. Louis scelse di essere ancora una volta quello che amava di più ma che sapeva che doveva smettere, e così disse basta. E lo fece a modo suo, nel modo più delicato e silenzioso che gli riuscisse. Perché troppe lacrime erano già state versate, troppo sangue aveva lasciato uscire dalle sue ferite stupide, troppe notti era stato sveglio a pensare ad una vita che non aveva più motivo di esistere.

E non c’era più un secondo da perdere.

Le parole gli bruciavano sulla lingua, minacciavano di uscire ogni volta che prendeva fiato e Louis dovette fare uno sforzo per tenerle dentro mentre si avviava verso la loro camera. Ma Harry non era lì a letto come Louis aveva sperato e così si portò la mano alla bocca, per tapparsela, per tenere a bada quella verità, per farla tacere ancora per qualche secondo. Non manca tanto, le promise, camminando in direzione del bagno, dove il rumore dell’acqua corrente annunciava la presenza di Harry.

-Voglio che tu te ne vada- disse, senza nemmeno bussare, senza nemmeno salutare, senza nemmeno dargli il tempo di afferrare un asciugamano e coprirsi.

E una volta che furono pronunciate, una volta che quelle parole furono libere di spiegare le loro ali e librarsi nel vapore di quel bagno, Louis crollò in avanti, rimanendo in ginocchio, con il suo corpo che si accartocciava su se stesso, insicuro di che farsene di tutto quello spazio vuoto, ora che si era liberato di un peso così grande.

Harry pensò che Louis si sentisse male, che fosse stato colto da un attacco di nausea e così lo tirò su, afferrandolo dalle spalle, con forza ma anche con sincera preoccupazione, e lo aiutò ad accucciarsi di fronte al wc, spostandogli i capelli che gli si erano sparpagliati sulla fronte durante la caduta.

-Avanti Lou, cerca di vomitare, vedrai che poi ti sentirai meglio.-

Louis per tutta risposta si mise a ridere, ma il suono che uscì dalle sue labbra era talmente amaro e vuoto, che perfino lui stesso avrebbe avuto difficoltà a riconoscerlo come suo.

-L’unica cosa che può farmi stare meglio è che tu te ne vada da questa casa- rispose e poi ripeté ciò che aveva detto all’inizio –voglio che tu te ne vada, Harry. Ne ho bisogno.-

Harry aveva ancora le braccia avvolte attorno suo corpo esile, nel precedente tentativo di sostenerlo e farlo arrivare il più velocemente possibile al wc.

-Puoi non credermi, ma ormai stavo contando i giorni- Harry rispose, senza lasciarlo andare, ma anche senza guardarlo negli occhi. –Sapevo che ormai era questione di giorni, al massimo settimane, prima che mi avresti chiesto di andarmene.

Louis non rispose. Se ne stava lì, godendosi la sensazione delle forti braccia di Harry strette intorno a lui, consapevole che quella probabilmente sarebbe stata l’ultima volta.

-Se è per Daniel, ti giuro che non è successo niente. Non l’ho più rivisto dalla sera della festa. E non sono uscito con nessun altro, ti prego di credermi, Louis- Harry gli disse e la sua voce era poco più che un sussurro.

-Proprio non capisci, Harry. Il punto non è se c’è qualcun’altro, il punto è che non ci siamo più noi. Devi andare via, Harry. È l’unico modo-

-Non possiamo lasciarci. Cosa diremo, sarà uno scandalo…-

-Ti prego Harry, non rendere le cose più difficili. È dura anche per me.-

-Se è dura anche per te allora non farlo. Non chiedermi di andare via.-

-Lo sai che non vorrei- rispose Louis e per la prima volta da quanto aveva iniziato a parlare, la sua voce si incrinò- ma non mi hai lasciato altra scelta. Non c’è altra scelta, non c’è altra soluzione se non questa.-

-Se mi allontano da te, ti perderò del tutto. Se me ne vado da questa casa, non recupererò più la memoria.-

-Tu non hai bisogno di recuperare la memoria, Harry. Tu non hai dimenticato chi sei, da dove vieni o chi sono i tuoi genitori. Non hai dimenticato il tuo primo bacio, il tuo gusto preferito del gelato o la marca del motorino che ti sei comprato quando hai compiuto sedici anni. Solo, non ti ricordi di me. E dobbiamo smettere di illuderci che un giorno lo farai. Vai a casa, Harry, non c’è più motivo che tu rimanga qui.-

Harry scuoteva la testa e sembrava un bambino spaventato, al quale la maestra aveva appena detto che la sua mamma non sarebbe venuta a prenderlo a scuola quel pomeriggio.

Louis dovette contenersi, perché era troppo forte la voglia di stringerlo a sé, di pregarlo di dimenticare ciò che era appena successo e tornare a vivere in quella terza dimensione, in quell’esistenza sospesa e parallela, che per gli ultimi tre mesi avevano chiamato vita. Louis avrebbe voluto consolarlo, mettere fine alla sua sofferenza, ma non poteva mollare, non ora che ce l’aveva quasi fatta.

-Harry guardami ti prego-

-Non ci riesco-

-Almeno dimmi che hai capito. Dimmi che hai capito perché lo sto facendo e che è la cosa giusta per entrambi.-

-L’ho capito, ma questo non significa che sarà semplice accettarlo.

-Mi dispiace, ma non so cos’altro fare. Ti giuro che ci ho provato Harry, ci ho provato davvero a farti vedere com’era vivere insieme. Ci ho provato a farti usare i miei occhi, affinché tu capissi, affinché tu ricordassi, ma non è bastato e io sono stanco di continuare a cercare una scusa per tenerti qui con me. Non si resta a forza nella vita delle persone Harry, mi dispiace solo di averla tirata avanti per così tanto tempo.-

Harry allentò la presa intorno alla vita di Louis per sollevare un braccio e sfiorargli piano il viso. Si prese qualche secondo per accarezzargli la linea della mascella, facendo poi scorrere il polpastrello del suo dito lungo gli zigomi e infine andò a ridisegnargli la curva delle guance.

-Tutto ciò che hai detto è giusto, su una cosa però ti sbagli. Quando prima ti ho detto che stavo contando i giorni perché sapevo che questo sarebbe successo, ero sincero. Non è vero che non me ne sono accorto, non è vero che non ho capito che mi stavo allontanando da te, non è vero che non sapevo quanto male ti stavo facendo. Solo, non sapevo cosa fare, come fermarlo, e in quella mia stupida incapacità, sono rimasto a guardare, nella speranza che le cose si sarebbero sistemate da sole, nella speranza che il tuo amore sarebbe bastato per tutti e due. Non ho saputo fermarti, non ho saputo allungare la mano e prenderti, non ho saputo tenerti fermo mentre ti buttavi giù dal burrone per salvare me. E non me lo perdonerò mai.-

-Non c’è nulla da perdonare, Harry. Non è colpa tua se non ti ricordi. Se non mi ricordi. Non lo è mai stata. Nessuno sa perché è successo, perché hai dovuto dimenticare proprio me tra tutti, ma ci deve essere un motivo e, qualsiasi esso sia, non possiamo più andare avanti ad ignorarlo. Non con tutto il male che ci siamo fatti e che stiamo continuando a farci-

-Sono così stanco di deluderti, Lou-

-Non dire così. Hai fatto del tuo meglio, ora ti puoi riposare.-

-Era iniziato tutto in un bagno- Harry disse, ormai rassegnato- e ora in un bagno tutto sta finendo-

Louis non sapeva chi aveva cominciato a piangere per primo. Non sapeva più se era lui a consolare Harry o se era Harry a consolare lui.

Rimasero lì, intrecciati sulle piastrelle a quadretti azzurri e bianchi del bagno, per un tempo che sembrava infinito, mormorando scuse e dando voce ai propri ricordi e rimpianti.

Infine Harry si alzò, dopo un ultimo sguardo, dopo un’ultima carezza e uscì da quella stanza. Louis si ritrovò solo e fu solo grazie al nuovo silenzio che si accorse che il getto dell’acqua aveva continuato a scorrere per tutto quel tempo. Senza pensarci due volte, si liberò dei vestiti e vi ci tuffò sotto.

Prima di conoscere Harry, Louis amava ballare sotto la doccia.

Quando Harry aveva fatto parte della sua vita, ogni volta che faceva la doccia, Louis desiderava che Harry fosse lì con lui.

Quando Harry era entrato in coma, Louis si sedeva sul fondo della doccia e piangeva.

Quando Harry era tornato a casa, Louis faceva la doccia così velocemente che non c’era tempo per ballare, per pensare o per piangere.

Chiudendo il rubinetto dell’acqua, quella mattina Louis pensò che le persone possono invadere ogni parte della tua vita, persino le più piccole, senza che tu te ne accorga e che capirai quanto ti sfiniva tenerle con te solamente quando ti troverai a ballare ancora sotto al getto rigenerante dell’acqua, chiedendoti perché mai tu abbia smesso di farlo.

Louis non era uno stupido. Sapeva che sarebbe passato molto tempo prima che avrebbe ricominciato a ballare, se mai avesse reimparato a farlo.

Per ora si accontentava di stare in equilibrio, di ricominciare a camminare a piccoli passi, ogni volta un po’ più sicuri, un po’ più decisi. Forse senza Harry non sarebbe mai più stato in grado di ballare, di correre, di amare, ma doveva provarci. Dopotutto, glielo doveva.

Lo doveva all’unica persona che sarebbe mai riuscito a chiamare amore.

Perché per ogni luce che Louis spegneva, per ogni fiore di cui non sapeva più riconoscere il profumo, per ogni secondo della sua vita che passava senza essere pienamente vissuto, per ogni alba che rifiutava di guardare, per ogni piccola parte di lui che ogni giorno moriva, Harry cresceva, diventando più libero, più forte.

E nient’altro, nel suo cuore scheggiato a vita da un amore che stava annegando nel suo stesso trionfo, aveva più importanza di quello.


 
♦♦♦♦♦
 

Il giorno che Harry se ne andò da quell’appartamento, Louis non era lì a guardarlo fare la valigie. Aveva detto che andava a stare a casa di Niall per un paio di giorni ed Harry ne era stato sollevato e deluso allo stesso tempo.

Sollevato perché non voleva che Louis lo vedesse piangere tirando fuori dai cassetti maglioni e calzini che condividevano da così tanti anni che gli sembrava di stare portando via una parte dell’arredamento. Deluso perché forse quella era stata la sua ultima occasione per fargli cambiare idea e, mentre si guardava per l’ultima volta intorno in cerca di pezzi di vita che avesse dimenticato, capì che era davvero finita.

Che quella era la parola fine, il punto di non ritorno. Che una volta varcata la soglia, con le valigie in mano, e chiudendo la porta, senza avere in tasca le chiavi per potenzialmente riaprirla, sarebbe stato eliminato del tutto. Come un file sul computer che non serve più e viene trascinato nel cestino, quello era il momento in cui lui cessava di esistere.

Il momento in cui lui cessava di essere parte del binomio Harry&Louis, per tornare ad essere solo Harry, okay pur sempre Harry Styles, cantante milionario e conosciuto in tutto il mondo, ma in fondo solo Harry, ventun’anni, un buco nella memoria e nessun posto, o persona, da chiamare casa.

Si era appena infilato il cappotto ed era pronto ad uscire, quando un dettaglio catturò la sua attenzione ed Harry non riuscì a trattenersi. Si incamminò verso il divano e poi vi ci si inginocchiò davanti ed estrasse il telecomando che era conficcato a fondo nella piega tra i due cuscini.

Se lo rigirò tra le mani, sorridendo come un idiota, perché Louis lo dimenticava sempre lì, ogni sera, e il giorno dopo impazziva perché non lo riusciva a trovare. Lo appoggiò sul tavolino di fronte alla tv e si chiese se, quando Louis lo avesse afferrato, avrebbe capito che ce lo aveva messo lì lui e se avesse trovato il suo gesto gentile o se stava invadendo una privacy, un’intimità, che ormai non gli apparteneva più.

Sospirò, dando un’ultima sistemata ai cuscini, quando un dolore allucinante gli fece ritrarre di scatto la mano, come se si fosse bruciato. Sì alzò in piedi e si avvicinò agli occhi il mignolo della mano sinistra, sul quale era apparso un piccolo taglietto. Succhiò velocemente il sangue che si era accumulato sul polpastrello e poi si mise alla ricerca di ciò che gli aveva provocato quella piccola ferita.

Era il libro che aveva visto Louis leggere durante le ultime due o tre settimane. Ogni volta che erano stati a casa, lo aveva avuto tra le mani, come se non si stancasse mai di rileggerlo o continuasse a cercare tra quelle pagine consunte un particolare che gli era sfuggito.

Harry ne accarezzò con l’indice il dorso, come per distendere le pieghe che vi si erano formate per tutte le volte che era stato letto. Dopo qualche secondo si accorse che l’angolo esterno di una delle pagine era ripiegato su sé stesso e così Harry lo aprì, incuriosito da cosa avesse spinto Louis a segnarla, a volerla distinguere da tutte le altre.

La pagina sarebbe stata completamente bianca se non fosse stato per una poesia, neanche tanto lunga, impressa sulla carta in un corsivo elegante e in un inchiostro nero e lucente, che sembrava farsi beffe del trascorrere del tempo.

Harry cominciò a leggere e ogni minima speranza di non crollare, di uscire da quella casa con dignità, gli morì in gola.


Dopo un po' impari la sottile differenza
fra tenere una mano ed incatenare un'anima


e impari che l'amore non é appoggiarsi a qualcuno
e che la compagnia non significa sicurezza


e inizi ad imparare che i baci non sono contratti
ed i doni non sono promesse


e cominci ad accettare le tue sconfitte a testa alta e con gli occhi aperti,
con la grazia di un adulto, non col dolore di un bambino


e impari a costruire le tue strade oggi
perché il terreno del domani é troppo incerto per fare piani.


Dopo un po’ impari che il sole scotta se ne prendi troppo.

Perciò pianti il tuo giardino e decori la tua anima,
invece di aspettare che qualcuno ti porti fiori.


E impari che puoi davvero sopportare,
che sei davvero forte
e che vali davvero.


E impari
e impari.


Ad ogni addio, impari...


Ogni singolo verso di quella poesia, ogni singola parola, fu una coltellata, ma ciò che ridusse Harry in granelli di polvere furono le sottolineature di Louis.

Il modo in cui aveva quasi bucato la carta con la punta della matita, come se evidenziare quelle parole potesse dare loro vita, rendere più vero e dare un senso, una spiegazione concreta, tangibile e accettabile al suo dolore.

Harry richiuse il piccolo volume e con cura, quasi timore, lo rimise nella piega tra i due cuscini, perché a differenza del telecomando, non voleva che Louis sapesse che lo aveva trovato.

-Non preoccuparti- disse ad alta voce, come se Louis potesse essere lì a sentirlo –non preoccuparti per avermi mandato via. Sono arrivato alla conclusione che, senza di me, starei meglio anch’io.-

Poi si alzò, uscì da quella casa e si mise a camminare sul marciapiede, con le mani strette a pugni affondate nelle tasche del cappotto, schivando l’allegria e la spensieratezza della gente che incrociava.

Dopo qualche minuto si fermò e una lacrima gli colò all’interno del maglione, andando ad inumidire il colletto della sua camicia.

Poi alzò gli occhi verso il cielo e, parlando con qualcuno della cui esistenza non era nemmeno del tutto certo, chiese perché.

Lo chiese e lo richiese, perché voleva una risposta.

Voleva che qualcuno lo ascoltasse e gli spiegasse come fosse possibile che un amore passato, che non gli apparteneva più e di cui non aveva nessun ricordo lo stesse toccando e facendo sgretolare così.

Ma nessuno rispose.


 

Spazio autrice:

Buonasera a tutti!
Innanzitutto mi scuso per il ritardo imbarazzante, ma tra il vivere in Inghilterra e il preparare la domanda di iscrizione per l'università davvero non ho avuto tempo da dedicare alla scrittura! Ora sono tornata in Italia per le vacanze di Natale e appena ho potuto mi sono messa a scrivere!
Devo dire che sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo, nonostante sia parecchio drammatico e io lo ritenga di fondamentale importanza per il proseguimento della storia. Visti i miei impegni, non penso che questa storia supererà i dieci capitoli, quindi avevo bisogno che la separazione avvenisse il prima possibile, per poi potermi dedicare a descrivere come i due affronteranno la separazione, eccetera eccetera :)
Ringrazio come sempre tutti quelli che leggono e invito questa volta più che mai a lasciarmi un commento, che fosse anche solo di una riga, perchè ora più che mai, visto che non aggiornavo da tanto, ho bisogno di sapere cosa ne pensate e che non ho perso la gran parte dei (già scarsi) lettori che avevo!
La poesia inserita in questo capitolo è di Veronica A. Shoffstall!
Spero davvero il capitolo vi sia piaciuto che non mi ci vorrà un altro mese per mettere il prossimo!
Per ogni cosa mi trovate su twitter: @martolinsss
Un bacione a tutti e buon Natale!!

Marta

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Capitolo 7
*** CAPITOLO Vll ***




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CAPITOLO VII



Quando Louis lo mandò via, Harry si rese conto per la prima volta di che cosa vivere da solo davvero significasse. Prima di X Factor aveva sempre vissuto con la sua famiglia. Durante X Factor aveva condiviso una casa con gli altri partecipanti. Dopo X factor era immediatamente andato a vivere con Louis.

Ora, aprendo la porta di un appartamento che sapeva di polvere e vedendo le lenzuola bianche che ancorava coprivano i mobili e il divano, Harry capì di essere solo. Ovviamente sua madre gli aveva offerto di tornare a vivere con lei per un po’, ma Harry non aveva voluto. Dirle di sì, tornare nella sua vecchia camera da letto, con le lenzuola da bambino, avrebbe significato cancellare Louis, ancora di più di quanto avesse già fatto.

Harry non aveva più sedici anni, ne aveva ventidue, e per quanto non si ricordasse l’amore che aveva dato nome agli ultimi cinque anni della sua vita, non poteva ignorarlo. Non poteva tornare indietro e guardarsi intorno, come a mettersi alla ricerca di qualcuno che avrebbe potuto essere il suo nuovo primo amore. Perché lui il primo vero amore l’aveva già avuto e un tempo aveva anche creduto che sarebbe stato l’ultimo.

L’aveva voluto, l’aveva vissuto e l’aveva perso. Non una, ma ben due volte. La prima quando la memoria fisica di Louis si era dissolta nel nulla e la seconda quando aveva permesso alla stessa persona di smettere di credere in lui.

C’era una differenza, però. La prima volta era stata involontaria. Una fatalità, un incidente, un destino che Harry non si era scelto. La seconda no.



Che se lo meritasse o no, Harry era cresciuto circondato d’amore e tutto l’affetto ricevuto lo aveva trasformato in un uomo dal cuore gentile. Un uomo a cui importava il benessere e l’opinione degli altri. Un uomo che non si tirava mai indietro e tendeva sempre la mano a quelli in difficoltà intorno a lui.

Per il suo naturale carisma, per l’aura di buono che emanava, Harry non aveva mai dovuto sforzarsi per farsi degli amici. Era come se le persone fossero magicamente attratte a lui, al suo sorriso timido e a quegli occhi così caldi, così veri.

Nonostante ciò, Harry amava passare del tempo da solo. Tempo che usava per capire, per riflettere sulle cose che succedevano intorno a lui e forse era stato proprio tutto quel pensare che gli aveva permesso di comprendere cos’era giusto e cos’era sbagliato e come comportarsi di conseguenza. Crescendo, quella era stata una solitudine volontaria, non sofferta.Gli era piaciuto bere il caffè da solo e leggere da solo. Guidare in macchina da solo e camminare verso casa da solo, senza nessuno con cui dover scambiare inutili parole. Non gli era mai dispiaciuto mangiare da solo o ascoltare musica da solo, perché gli liberava la mente e lo faceva sentire autonomo, sufficiente.

La solitudine in cui si trovava ora, invece, era completamente diversa. Era una solitudine indotta, in cui si era cacciato, ma che non aveva mai richiesto. Questa nuova solitudine era amara, non perdonava, e portava il nome di Louis. Perché ora che Louis non c’era più, ora che Louis l’aveva lasciato, Harry aveva molto più tempo.

Tempo di stare in silenzio e osservare le persone intorno a lui. E quando vedeva una mamma con il suo bambino, una ragazzina con il suo fidanzato, due amici che ridevano insieme alla fermata del bus, capiva che quello che così tanto in passato aveva bramato era la sensazione di essere solo, di poter pensare liberamente e fare le cose senza l’aiuto di nessuno. Non aveva mai rincorso la solitudine in sé, non aveva mai voluto prendere casa in un paese straniero ed avere se stesso come unico compagno.

Eppure ora era solo nel vero senso del temine. Completamente solo, ogni più piccolo pezzo di lui, anche quelli senza senso. Harry sapeva che il cielo era bellissimo, ma che le persone erano tristi e che aveva solo bisogno di qualcuno che non se ne andasse. Peccato che quel qualcuno ne aveva avuto abbastanza e, stremato, senza più lacrime, senza più speranze, aveva ripreso la sua strada.

Louis, però, non era corso via. Louis non stava scappando ed Harry, di conseguenza, non poteva rincorrerlo.



Due settimane dopo essere andato a vivere da solo, Harry tornò all’ospedale per il solito controllo di routine. Il dottore lo tenne nel suo studio per quasi più di un’ora, per accertarsi che tutto fosse al suo posto e che, per l’ennesima volte, non ci fosse una ragione scientifica al malfunzionamento della memoria di Harry.

Harry si era rimesso la giacca ed era pronto ad andarsene, quando il dottore gli mise una mano sul braccio per fermarlo.

-Signor Styles, lei vuole davvero riacquistare la memoria? Alcuni pazienti temono che quando torni la memoria tornino anche i ricordi del trauma, ma non accade quasi mai.-

-Non è di questo che ho paura, dottore- Harry rispose –che succede se vedo la vita che avevo prima e non mi piace più? Se non la sento più mia?-

-Le consiglio di provare a colmare le sue lacune, può sempre scegliere di cambiare vita. Ma se non cerca di aprire se stesso ai ricordi, vivrà per sempre nella paura del suo passato.-

Le parole del dottore rimasero con lui per molto tempo, ben oltre quel tiepido pomeriggio di inizio aprile. Dopo infiniti dibattiti interiori e dopo infinite lotte con la sua coscienza, Harry si arrese. Prima di dire no, doveva conoscere il suo passato, conoscerlo a 360 gradi.

E c’era solo un punto da cui partire: Daniel.

Alle sette della mattina del giorno dopo Harry era già completamente sveglio. Si era fatto la barba e pettinato i capelli. Aveva già infilato il cappotto, le scarpe e aveva in mano le chiavi della macchina. Gli uffici non aprono prima delle nove, si disse, e così si rassegnò ad aspettare, ripetendosi nella mente il nome dell’azienda che Daniel aveva menzionato durante la cena. Una volta arrivato, però, la segretaria all’ingresso non lo fece entrare.

-Il signor Smith è in riunione e non riceve clienti senza appuntamento- commentò atona.

-Ma io non sono un cliente! Sono Harry, solo Harry- rispose disperato.

Era sicuro che lei l’avesse riconosciuto, e forse in condizioni più normali si sarebbe preoccupato del fatto che il suo fascino non stesse più funzionando. Ora voleva solo trovare Daniel e parlare con lui.

-Gli dica solo che sono qui, la prego. E se non ha tempo, o non vuole vedermi, giuro che me ne andrò via e non la disturberò più.-

Con un sospiro rassegnato, la segretaria si portò la cornetta del telefono all’orecchio e spiegò la situazione. Venti minuti dopo Harry venne accompagnato nell’ufficio di Daniel. Questi lo abbracciò con calore e lo invitò a sedersi.

-Harry, che sorpresa rivederti!-

Harry sorrise imbarazzato, torturando la sciarpa che stringeva tra le mani.

-Te la ricordi quella sera al laghetto vicino a casa mia? Era il giorno in cui ti confessai di essere gay e tu mi promettesti..-

-Che mi sarei sempre preso cura di te, sì Harry me lo ricordo come fosse ieri.-

-Allora puoi aiutarmi a capire cos’è andato storto tra di noi? Ho sempre avuto una cotta immensa per te, sperando che prima o poi te ne saresti reso conto.-

-Lo sapevo che ce l’avevi quella cotta, Harry. Non sei mai stato tanto bravo a nascondere i tuoi sentimenti, sai?- Daniel rise divertito –Io più che altro ci misi troppo a capire i miei.-

-Perché dici troppo?-

-Perché il giorno che mi ero reso conto che non eri solo il mio migliore amico, tu corsi da me dopo la scuola con una lettera in mano e la notizia che avevi passato la tua audizione.

Harry si morse il labbro, ricordandosi bene quel momento, la sua gioia e il suo stupore.

-Ti feci promettere che ce l’avresti messa tutta e guardati oggi, Harry! Hai mantenuto la tua promessa alla grande- Daniel continuò.

-Ma ho perso te, ho perso tutti i nostri vecchi compagni e non riesco a capire cos’è successo.-

-C’è solo una parola per spiegare tutto. Louis, Harry. È successo, ti è successo, Louis. Fin dai primi giorni, lui era tutto ciò di cui mi parlavi al telefono. E spesso capitava che eri così concentrato a raccontarmi qualcosa su di lui, che ti dimenticavi di dirmi come avevi cantato quella settimana, se eri ancora in gara. Fu questo a farmi capire che era una cosa seria, che anche se gli One Direction non avessero vinto, lui sarebbe rimasto nella tua vita. Non mi ero sbagliato.-

Harry rimase in silenzio per diversi secondi. Vedeva il dolore della persona seduta davanti a lui e per la prima volta si rese conto che il suo migliore amico era andato avanti. Si era fatto una vita e l’aveva portata avanti senza di lui, senza aspettarlo. Non era più un ragazzino, ma un uomo che aveva dovuto fare i conti con un amore spezzato ancora prima di nascere.

Harry era venuto lì con l’intenzione di fargli mille domande ma, consapevole di quanto male gli stesse facendo, alla fine una sola prese il sopravvento.

-Dimmi la verità, ti prego. Tu mi conoscevi meglio di chiunque altro. Ero felice?-

-Che vuoi dire?-

-Con Louis. Ero davvero felice con lui?-

Daniel scoppiò a ridere e se non fosse stato per le nocche delle sue mani che erano diventate bianche da quanto forte stava stringendo la sua tazza di caffè, Harry avrebbe potuto credere che fosse davvero divertito.

-Harry, Louis era il tuo fottuto mondo. Perché credi che mi sia più fatto avanti? Perché credi che io non abbia mai provato a riprenderti? Ad allontanarti da lui? Te lo sei mai chiesto? Non l’ho mai fatto perché vedevo quanto felice ti rendeva. Lo vedevo io, più di chiunque altro, perché eri il mio migliore amico, e sapevo quante ne avevi passate, quanto ti meritavi di avere un amore come il suo. Non importa quanto forti i miei sentimenti per te fossero, perché una volta che capii questo, seppi non avrebbero mai potuto uguagliare quelli di Louis per te. Louis ti ha sempre amato, dal primo momento che ti ha visto. Ti ha amato quando la vostra macchina si è schiantata la sera dell’incidente. Ti ha amato quando ti sei svegliato in ospedale e hai urlato di orrore affinché non ti abbracciasse. E sono sicuro che ti ama anche ora, ovunque lui sia.-

Harry scosse il capo freneticamente, portandosi le mani davanti agli occhi e premendo i palmi così forte da veder apparire miriadi di stelle luminose dietro le sue palpebre chiuse.

-Se n’è andato, Daniel. Ho rovinato tutto.-

-Non essere ridicolo, Harry. Qui sei tu quello che ha perso la memoria, quello che non riesce a ricordare. I ricordi di Louis sono lì, nella sua testa, e non andranno da nessuna parte. Pensi davvero che Louis possa metterli da parte e iniziare una vita senza di te?-

-Mi ha detto che non ce la faceva più. Che dovevamo entrambi smettere di sperare in un futuro che evidentemente non avremmo mai avuto insieme.-

-Questo è quello che ti ha fatto credere. Questo è quello che ti ha detto, che si è detto, affinché tu lo lasciassi andare. Era l’unico modo, altrimenti non sarebbe mai riuscito a dirti addio-

Harry era senza parole. Beveva ogni singola che usciva dalla bocca di Daniel e, senza doverci stare troppo a pensare, gli credette. Non perché erano cresciuti insieme. Non perché una volta erano stati migliori amici. Perché Daniel era ancora innamorato di lui e invece di saltare all’opportunità di avere Harry tutto per sé, lo stava respingendo tra le braccia di Louis.

Con gli occhi lucidi, i due uomini si alzarono in piedi e si strinsero la mano. Un gesto con una finalità che sapeva di gratitudine, perdono, e forse un po’ di rimpianto.
Harry uscì dall’edificio qualche minuto dopo, respirando a pieni polmoni per quella che gli sembrò la prima volta nelle ultime settimane.

Soltanto all’inizio del suo viaggio, Harry si mise dietro al volante e girò le chiavi nel cruscotto. Si dice che la casa è il posto dove sta il cuore e, se così fosse, lui doveva ripartire da lì.



Gli ci vollero quasi quattro ore da Londra per raggiungere Holmes Chapel e il sorriso di sua madre quando parcheggiò l’auto in giardino ne valse ogni singolo minuto.
Cenò con la sua famiglia e chiacchierò con loro, facendo del suo meglio per riassicurarli che stava bene, anche se Louis non c’era più.

-Lo avete sentito di recente?- chiese poi, gli occhi puntati sulle briciole ammucchiate sulla tovaglia.

Anne e Robin si guardarono per un istante, poi lei sospirò.

-Certo che lo abbiamo sentito, Harry. Non ce l’ho minimante con lui per la decisione che ha preso. A dirti la verità, sono sorpresa che abbia retto così a lungo. Se la persona che amo si dimenticasse di me, non sarei stata capace di rimanere per più di una manciata di giorni.-

Harry annuì per farle capire che aveva sentito, incapace di rispondere altrimenti. Dopo la torta al limone e qualche partita a scrabble, i suoi genitori lo salutarono e andarono a letto.

Harry si avviò verso la sua camera e, accendendo la luce, afferrò ogni singola foto che gli capitò sottomano, ignorando il fatto che la stragrande maggioranza erano immagini di lui e Louis. Scendendo le scale il più silenziosamente possibile, le ammucchiò sul tavolo nel centro della stanza e cominciò ad aprire gli album che trovò in salotto.

Venti minuti dopo aveva tutte le foto sparpagliate davanti a sé e la schiena china, cercando di organizzarle in ordine cronologico. Provò a chiedersi quale fosse l’ultimo ricordo che aveva prima dell’incidente ma tutto gli appariva così vago, così sfocato. I minuti passavano e la luce nella stanza diventava sempre più lieve. Harry strizzava gli occhi nel tentativo di concentrarsi, di continuare a vedere, ma le foto si mischiavano su loro stesse, prendendo una la forma dell’altra.

In preda alla rabbia e alla disperazione, Harry rovesciò il tavolo e rimase poi a guadare le immagini cadere ai suoi piedi, i loro suoni quasi del tutto attutiti dal tappeto color nocciola.

Si stava chiedendo per la millesima volta perché non riuscisse a ricordare, quando sua madre gli poggiò una mano sulla spalla. Harry quasi urlò per la spavento e Anne avrebbe riso, se non fosse per le guance umide di suo figlio.

-Scusami, non ti volevo spaventare.-

-Non preoccuparti, ero solo concentrato sulle foto.-

-Louis te lo faceva sempre, sai?-

-Che cosa?-

-Il solletico da dietro, era uno dei vostri giochi. Ogni volta che entrava in una stanza senza tu che te ne accorgessi, ti si avvicinava in punta di piedi e ti saltava poi sulla schiena. Tu strillavi e tutti si mettevano a ridere.-

Anne parlava ma senza guardarlo in faccia, come se fosse persa nei ricordi di giorni lieti che Harry non aveva più il diritto di conoscere. Parecchi minuti passarono in silenzio prima che lei parlasse ancora.

-Hai deciso cosa fare, Harry? Sai che Gemma non lo farebbe mai senza il tuo consenso, ma il tempo stringe e gli inviti devono essere stampati.-

-Ci ho pensato e non ho idea di come farò se decidesse di accettare, ma lui ci deve essere. Che stia con me o meno, Louis è parte di questa famiglia e deve essere invitato.-

Anne lo guardò piena di orgoglio e lo abbracciò.

-Sono così fiera di te, piccolo mio.-

-Piccolo- protestò Harry, circondato dalle braccia di sua madre.

-Certo, tu per me sei e sarai sempre piccolo. E domani mattina c’è da tagliare il prato, quindi ti conviene andare a letto ora.-

Harry finse di protestare e si rialzò in piedi. Sapeva che era difficile anche per lei e che stava solo cercando di dargli una parvenza di normalità che non aveva più. Pochi istanti dopo era nel suo letto e tutto il calore dovuto alla chiacchierata con sua madre era svanito.

Si girò e rigirò, cercando una posizione che gli alleviasse il dolore che sentiva nel petto e il rumore nella sua testa dolente che assomigliava così tanto a quello del battito del cuore di Louis. Era un ritmo costante, onnipresente che non andava via neanche quando dormiva.

Se dormiva.


 
♦♦♦♦♦



La cosa che Louis odiava di più del dover andare a fare la spesa, a parte ovviamente il fatto di doversi mettere addosso dei vestiti puliti e uscire di casa, era quel momento alla cassa quando, non si sa come, tutti si aspettano che tu paghi, metta i tuoi acquisti nelle borse di plastica, prenda lo scontrino e il resto nel giro di cinque secondi, così che non si formi una fila dietro di te.

Quel giorno Louis aveva comprato solo un paio di cose, ma sentiva lo sguardo penetrante della cassiera su di lui in ogni caso. Stava per ringraziarla ed andarsene, con i centesimi di resto ancora in mano, quando lei timidamente gli rivolse la parola.

-È la prima volta che la vedo qui da solo.-

-Come prego?-

-No, nulla. Mi scusi, non sono affari miei.-

Louis la guardò sbigottito e la cassiera arrossì ancora di più.

-Può ripetere, per favore?-

-Ho solo notato che è la prima volta che viene a fare la spesa qui da solo, senza quell’altro ragazzo, alto e con i capelli ricci. Mi lasci perdere, non avrei dovuto dire nulla.-

Le parole della ragazza gli si rovesciarono addosso e Louis allentò la presa sulla borsa che teneva in mano. Aveva ragione. Inconsapevolmente, quella era la prima volta che aveva rotto la tradizione della spesa insieme del sabato mattina.

-È vero- disse –Noi non, noi non stiamo più insieme.-

La cassiera arrossì ancora di più e abbassò lo sguardo. –Mi dispiace- mormorò infine.

-Non deve, è andata così-

Louis avrebbe tanto voluto riuscire a sorridere, per alleviare i sensi di colpa di quella ragazza che in fin dei conti non aveva detto nulla di male, ma non ci riuscì. Dopo un arrivederci appena mormorato, si fiondò fuori dal supermercato e cercò di trattenere le lacrime. Quasi alla cieca trovò la sua macchina e, una volta aperto lo sportello, gettò senza riguardo i sacchetti nel sedile del passeggero, dove normalmente Harry sarebbe stato seduto.

Mentre guidava verso casa, pensò che la cosa peggiore dell’aver perso Harry era che non era successa soltanto una volta.

Louis perdeva Harry ogni giorno. Ogni giorno in cui non parlavano, ogni giorno in cui si svegliava la mattina e allungava il braccio per prendere il telefono e sperare in un messaggio che non ci sarebbe mai stato.

Louis perdeva Harry ogni notte che andava a dormire dopo aver realizzato che l’unica persona a cui avrebbe voluto parlare della sua brutta giornata non era lì con lui.

E non solo. Louis lo perdeva anche in tutte le ore di silenzio che passavano senza che lui facesse niente se non pensare ad Harry. Lo perdeva quando sentiva le loro canzoni, quando vedeva i loro film e quando andava in posti che in qualche modo erano tutti macchiati dalla presenza di Harry, dai loro ricordi insieme.

Ma la cosa peggiore era che Louis aveva pensato che avrebbe avvertito la sua mancanza solo quando era solo, di notte e al buio, ma non era stato così, perché Harry gli mancava anche quando era in mezzo a tutti gli altri. Perché tutti gli altri non erano Harry, ma lui era sempre lì, in qualche modo, ad ossessionarlo e a non lasciarlo vivere.

Semplicemente, Louis non poteva non pensare a lui. Smetteva solo quando dormiva, ma era un sonno che non gli dava nessun sollievo, nessun riposo. Perché quando poi si svegliava il giorno seguente, allungando il braccio per prendere il cellulare e vedendo che Harry non aveva chiamato, Louis sapeva che sarebbe andato avanti a sentire la sua mancanza e che forse non avrebbe mai davvero smesso del tutto.

Non c’era via d’uscita per lui. Gli mancava Harry. Gli mancavano le sue cose sparpagliate sul pavimento, le briciole dei biscotti tra le lenzuola e il suo calore quando tornava a casa e lui gli faceva spazio accanto a sé sul divano.

Se Harry fosse stato lì, in quel momento, Louis glielo avrebbe detto. Gli avrebbe detto che gli mancava il modo in cui Harry lo teneva stretto a sé e che il profumo dei suoi capelli, profumo di buono, di casa, stava sparendo, quasi come se neanche la pareti avessero più la forza di trattenerlo lì.

Se fosse stato lì davanti a lui, Louis gli avrebbe detto che amava la sicurezza con cui Harry si aggirava per la cucina, sapendo dove tutti gli utensili erano e, soprattutto, sapendo come usarli. E gli avrebbe detto anche che gli era sempre piaciuto come Harry veniva da lui, appoggiando da dietro la mano sulla sua pancia, mentre Louis cercava disperatamente di cucinare qualcosa per lui. O di come appariva sempre così delicato e caldo e soffice la domenica mattina, a piedi nudi e con la maglietta tutta stropicciata, i segni del cuscino ancora sulla guancia.

Ma Harry non era lì e Louis aveva dovuto in qualche modo imparare ad andare avanti.

Aveva imparato a non guardare più il suo riflesso nelle vetrine perché sapeva che quello di Harry non ci sarebbe stato accanto al suo. Aveva imparato a spingere in fondo alla credenza la sua tazza così che non la vedeva al mattino.

Louis era stato coraggioso e cercava di fare del suo meglio per andare avanti, ma ogni tanto ci ricascava e aveva bisogno di ore passate al buio e in silenzio, prima di poter tornare a respirare normalmente. Dettagli, era tutta colpa dei dettagli.

Usava sempre l’ammorbidente, di cui un tempo conosceva a malapena l’esistenza, ma il bucato non veniva bene come quando lo faceva Harry. Le lenzuola erano sì pulite, ma il loro profumo era diverso, non era lo stesso di quando sai che qualcuno le ha cambiate per te.

Purtroppo poi il rumore della macchina di Harry era uguale a quello di tutte le altre e ogni volta che Louis si girava era costretto a accorgersi che, ancora una volta, non era lui.



Il giorno in cui l’invito arrivò, a casa di Louis c’era sua madre. Era venuto a trovarlo con la scusa di dovergli portare dei libri che aveva dimenticato da lei a Natale, ma lui sapeva che in realtà era lì perché voleva controllare che stesse bene.

Quando il campanello suonò, Louis aprì la porta e fu sorpreso alla vista del postino, che di solito infilava tutto nella buca delle lettere.

-Era una raccomandata- spiegò poi a sua madre, rientrando in salotto.

-Beh aprila, potrebbe essere qualcosa di importante- rispose lei mentre sistemava qua e là. La stanza era molto più in disordine di quanto Louis si fosse reso conto prima del suo arrivo.

Un minuto passò senza che lui parlasse, il fruscio della carta l’unico rumore intorno a loro.

-Allora?- sua madre chiese, con un calzino in una mano e una lattina vuota nell’altra –Buone notizie?-

-Gemma si sposa- le rispose Louis –e io sono stato invitato.-

Sua madre lo guardò shockata e non provò nemmeno a fermarlo quando Louis si alzò per andare in cucina.

Louis era sicuro che fosse opera di Harry, perché Gemma non si sarebbe mai permessa di invitarlo senza aver prima chiesto il suo parere. A che gioco stava giocando? Pensava che sarebbe stato divertente rivedersi dopo quasi tre mesi in mezzo a tutti i loro parenti e amici?

Louis si versò un bicchiere di succo giusto per dare alle sue mani qualcosa da fare. La rabbia durò solo qualche istante e poi sfumò, perché per quanto sorpreso fosse, Louis sapeva che Harry non l’aveva fatto con crudeltà. Harry aveva acconsentito al suo invito perché era fatto così, perché aveva il cuore buono ed era sempre gentile, cercando di non fare mai un torto a nessuno.

Questa, tra mille altre, era stata la ragione per cui una volta si era innamorato di lui. Louis si portò il bicchiere alle labbra e ne prese un sorso.Nello stesso momento sua madre comparve in cucina, l’invito ancora stretto tra le mani.

Louis rovesciò il contenuto del bicchiere nel lavandino e, senza più difese, si accasciò davanti al frigo.


Il succo era scaduto.


 

Spazio autrice: Dopo quasi tre mesi, eccomi qui. Mi dispiace davvero molto di non aver aggiornato per così tanto, ma tra la domanda per l'università e gli esami di lingua, non ho avuto davvero tempo per scrivere. Non sarei per nulla sorpresa se nessuno passasse a leggere e recensire, ma mi sembrava corretto mettere il capitolo in ogni caso. Si apre con il punto di vista di Harry e si chiude con quello di Harry. Soffrono entrambi, anche se in maniera diversa, e il loro dolore è qualcosa che li accomuna e che, anche se non lo sanno, li legherà sempre. Prima che pensiate che sia diventata matta, fatemi spiegare che la frase conclusiva è una metafora, che sta a simboleggiare quanto scaduta, cioè finita, appassita, da buttare via, sia diventata la vita di Louis senza Harry. E la possibilità di andare lì e riprenderselo, ora che Harry ha fatto un passo nella sua direzione, lo terrorizza.
Grazie per aver letto e ci vediamo alla prossima (un paio di capitoli alla fine).

Marta

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