Alternative People

di michaelgosling
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Terminal ***
Capitolo 2: *** I Primi Guai ***
Capitolo 3: *** Phelps ***
Capitolo 4: *** Amalric ***
Capitolo 5: *** Il Locale ***
Capitolo 6: *** Coabitazione Forzata ***
Capitolo 7: *** L'inizio di un'Amicizia ***
Capitolo 8: *** Psycho ***
Capitolo 9: *** Promozioni ***
Capitolo 10: *** Cerimonia Parte 1 ***
Capitolo 11: *** Cerimonia Parte 2 ***
Capitolo 12: *** Amare Sorprese ***
Capitolo 13: *** In Ospedale ***
Capitolo 14: *** Senso di Colpa ***
Capitolo 15: *** Una Notte Movimentata ***
Capitolo 16: *** Preparativi ***
Capitolo 17: *** Al Ristorante ***
Capitolo 18: *** La Cena ***
Capitolo 19: *** Paure ***
Capitolo 20: *** Notte.. Movimentata? ***
Capitolo 21: *** Gli Altri? ***
Capitolo 22: *** Bruschi Risvegli ***
Capitolo 23: *** Il Matrimonio ***
Capitolo 24: *** Mettere le Carte in Tavola ***
Capitolo 25: *** Incontro in Ospedale ***
Capitolo 26: *** Pentimento ***
Capitolo 27: *** Dubbi ***
Capitolo 28: *** Divorzi ***
Capitolo 29: *** Illuminazioni ***
Capitolo 30: *** Crollo ***



Capitolo 1
*** Il Terminal ***


aaaaaa CAPITOLO 1. IL TERMINAL

Il Terminal di Milwaukee era un continuo via vai di gente che frettolosamente si dirigeva verso l'imbarco o che cercava l'uscita più vicina. Nelle estremità e negli angoli sorgevano dei negozi, piccoli e graziosi, ma evidentemente non lo erano al punto di indurre i passeggeri a rischiare di far tardi per darci anche solo un'occhiata: la maggior parte di loro non li notava proprio e invece c'era chi li aveva visti per un istante, giusto il tempo per capire il prodotto che si impegnavano a vendere.
Era un movimento continuo, destra e sinistra, tanto che le panchine, che non erano poche, raramente erano occupate.
Tranne una, sulla quale si trovava una giovane ragazza che non poteva avere più di vent'anni, sebbene sembrasse una bambina: i lunghi capelli color marrone scuro erano spettinati e arruffati e la presenza e la presenza dei baffetti e di qualche peletto di troppo sulle sopracciglia a gabbiano portavano a pensare che non fosse il massimo della pulizia e della femminilità e i vestiti che indossava non aiutavano.
Si trattava di una felpa che poteva benissimo essere nata con lo scopo di vestire gli uomini, dei comunissimi jeans e le scarpe da ginnastica erano simili a quelle che si utilizza per fare jogging. Il tutto doveva essere sommato ai dolci tratti del viso e i grandi occhi dello stesso colore dei capelli, che contribuivano a darle un aspetto infantile.
Era evidentemente straniera, lo si capiva da come si guardava intorno e da come si mangiasse nervosamente le unghie.
La pelle era chiara e liscia, il che portava a pensare che provenisse da uno di quei paesi freddi e nordici dell'Europa dove probabilmente si parlava il tedesco.
Ma non lo era.
Non era tedesca e non era austriaca.
E nemmeno inglese.
La ragazza aprì lo zaino che portava sulle spalle e tirò fuori una mappa.
La guardò, la girò, così, senza un apparente motivo.
La rimise al suo posto e notò un telefono pubblico a una decina di metri da lei.
Passò dieci minuti a guardare prima il telefono e poi le valigie.
Subito dopo, si alzò e si portò dietro le valigie.
Sollevò la cornetta del telefono e digitò un numero di telefono con una velocità tale da indurre a pensare che conosceva molto bene chi stava chiamando.
Il prefisso che compose non lasciò ulteriori dubbi: era italiana, del Nord Italia probabilemente.
"Pronto?"
"Aiutami!" sbottò la ragazza in tono agitato.
"Sei arrivata? Dove sei?"
"Al Terminal di Milwaukee."
"E qual'è il problema?"
"Cosa devo fare?"
La donna con la quale era al telefono sospirò.
Sapeva che sarebbe finita così.
Una madre le sa certe cose, e sapeva benissimo che la figlia, sebbene fosse appena ventenne, si sarebbe trovata in difficoltà in un paese straniero. Come aveva potuto pensare di farcela da sola? Ricominciare da capo in un paese del tutto nuovo nel quale non era mai stata, dove per di più la lingua, la cultura e la legge erano così dannatamente diverse da quelle della sua patria? Era una scelta coraggiosa, ma solo certe persone possono permetterselo. Persone sicure di sé, indipendenti e autonome. Non era il caso di Giovanna, che completamente autosufficiente non lo era mai stata. Non era stupida né tantomeno viziata, ma durante l'adolescenza si era isolata sempre di più : era così particolare e originale, e si sa, che nel mondo quelli "diversi" vengono visti di cattivo occhio dagli altri. Se solo qualcuno fosse stato interessato a conoscerla davvero, avrebbe visto in lei una ragazza buona e altruista come poche al mondo, ma non fu così e lei arrivò ai vent'anni senza aver mai baciato un ragazzo e senza amici perchè i poche che aveva erano diventati esattamente come gli altri pur di inserirsi nella società, e avevano cancellato quella punta di originalità che Giovanna apprezzava.
Lei no.
Lei non l'aveva fatto.
Se ne fregava dell'inserirsi nella società.
Se per farlo bisognava seguire la massa e diventare esattamente come tutti gli altri, al diavolo!
Non sarebbe mai cambiata.
Per niente e per nessuno.
Non voleva.
Si piaceva così com'era.
Cercò rifugio nel cinema, e i suoi migliori amici divennero Robert De Niro e Jack Nicholson.
La sua timidezza inoltre non l'aveva mai aiutata, e fino ad un paio di anni prima si vergognava anche a chiedere qualcosa ad un commesso di un negozio, anche se il più delle volte si trattava solo di un' informazione.
Sua madre le voleva sinceramente bene, ma doveva essere obiettiva: una ragazza come lei non è fatta per un paese straniero.
Ma lei l'aveva comunque fatto.
Aveva fatto le valigie e se n'era andata... ma ora?
Cosa avrebbe fatto?
Non aveva un lavoro, una casa né aveva una grande conoscenza della lingua inglese, e soprattutto era sola.
Completamente sola.
Così chiamò sua madre, la quale, ovviamente, non poteva fare molto.
"Non lo so, tesoro. Organizzarti prima no?"
"Lo sai che non sono il tipo che organizza."
"Hai vent'anni! Io alla tua età stavo già con tuo padre e avevo un lavoro!"
"Sì mamma, lo so. Me lo dici tutte le volte."
"Evidentemente non abbastanza."
Passarono vari secondi di silenzio.
"Ho paura."
"Torna a casa."
"No! Ho aspettato tanto per arrivare qui! Non posso andarmene. Non tornerò in quel paese di merda!"
"Eccoci al solito discorso. L'Italia è un paese di merda."
"Lo è! Non tornerò in quel buco! E' un paese del cazzo e non intendo tornarci! Non mi farò più rovinare la vita!"
"Ok. Ok."
"Che vita di stenti. Mai una gioia."
La donna roteò gli occhi divertita.
Sua figlia diceva spesso quelle frasi, e risentirle, anche se solo al telefono, era piacevole perchè così aveva davvero la certezza che quella era davvero la sua bambina.
"Io non posso aiutarti, tesoro. O esci o prendi un biglietto per tornare a casa. Non ci sono molte alternative." mormorò la madre, buttando giù il telefono.
Ho paura ad andare fuori da sola! D'altra parte ho aspettato questo momento per troppo tempo e tornare a casa sarebbe davvero umiliante.
Oppure posso fare come Tom Hanks, e vivere qui.

ALLORAAAAA :D QUESTA E' UNA STORIA CHE MI RONZA IN TESTA DA UN PO' E ALLA FINE HO DECISO DI INIZIARLA :D SPERO VI SIA PIACIUTO QUESTO INIZIO E SPERO CHE CONTINUERETE A SEGUIRLA (SE RIUSCITE A LEGGERE QUESTO MESSAGGIO GRAZIE, SIGNIFICA CHE SIETE ARRIVATI IN FONDO!)... RECENSITE PURE SE VOLETE, LE RECENSIONI SONO SEMPRE BEN ACCETTE! ALLA PROSSIMA :)))))

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Capitolo 2
*** I Primi Guai ***


<<<<< CAPITOLO 2. I PRIMI GUAI

Non appena uscì dal Terminal, la ragazza posò una mano sulla fronte: aveva un leggero mal di testa, il che non aiutava affatto quella situazione già di per sé strana.
Non essere mai uscita prima d'ora la portava a non essere abituata a viaggi simili: avrebbe dovuto prevedere che si sarebbe stancata più velocemente di un bambino, soprattutto sul piano fisico.
Ma non poteva mollare.
Non l'avrebbe fatto.
Prendere un taxi era allettante, ma questo avrebbe portato immediatamente al parlare americano.
No.
Meglio evitare finchè poteva.
Allora si mise lo zaino sulle spalle mentre con la mano destra teneva la valigia.
E partì.
Camminò per un'oretta scarsa (durante la quale fece innumerevoli pause, forse anche troppe), ma proprio mentre stava per cedere e buttarsi ancora una volta nello sconforto più totale, sentì una gran confusione e vide davanti a sé una folla di persone in piedi che urlava tendendo tra le mani dei cartelli : doveva essere una manifestazione.
Con grande fatica, la ragazza riuscì a farsi strada e a passare in mezzo, tenendo ben stretta la valigia per paura di perderla.
D'altra parte non poteva fare altro: non c'erano altre stradine in cui passare.
Mentre era lì in mezzo, cercando disperatamente di trovare uno spiraglio di libertà, le venne in mente quando, durante le superiori, per andare e tornare da scuola, era costretta a prendere un piccolo e affollatissimo autobus pieno di gente che puzzava (tra cui, probabilmente, c'era lei).
Senza neanche rendersene conto, riuscì ad uscire: continuava ad essere in una piazza piena di gente, ma ad ogni modo riuscì a respirare regolarmente.
Si guardò intorno, cercando un qualcosa, qualsiasi cosa, da una scritta ad un'immagine, che potesse aiutarla a capire di che tipo di manifestazione si trattasse.
E la trovò.
Un uomo alla sua destra teneva in mano un grande cartello con scritto "We support gay rights".
Gay! Omosessuali! Ma certo!
Giovanna recuperò in fretta e furia tutta l'energia persa: era sempre stata a favore degli omosessuali e aveva sempre desiderato partecipare ad una manifestazione sull'argomento e ora aveva l'occasione di farlo.
Aveva molto a cuore la questione, talmente tanto a cuore che molti pensavano fosse lesbica.
Lei se lo era chiesto e si era risposta di no, ma si sa, nella vita tutto è possibile e non bisognava escludere niente a priori.
In effetti, era un po' strano avere tanto a cuore qualcosa che non la riguardava principalmente.
Anche lei lo sapeva.
Comunque, vide vicino a sé un tavolo con dei secchi di colore diverso, ma non doveva essere vernice. Si avvicinò e facendo attenzione perchè nessuno si accorgesse di nulla (l'ultima cosa che voleva era farsi notare), ne prese una piccola parte e si dipinse le guance facendo delle piccole striscie usando i colori internazionali della libertà.
Una volta fatto, si unì al resto della folla sbracciandosi e urlando "DIRITTI AI GAY!" in italiano, pur sapendo che nessuno l'avrebbe capita.
Poco importava.
Lei era lì, a mostrarsi pubblicamente a loro favore.
Solo questo contava veramente.
A volte si zittiva per cercare di capire cosa dicessero gli altri, ma ... diamine!
Riusciva a capire sì e no una parola su dieci, e inoltre il fatto che parlassero velocemente e in modo poco scandito non aiutava.
Quando quella marcia si interruppe improvvisamente, la ragazza si sporse per vedere cosa stesse succedendo.
"Keep calm, guys! Let them pass!" urlò un uomo con una voce calda e tonante.
Cosa cazzo ha detto?
La frase era obiettivamente facile da capire, anche per uno straniero, ma Giovanna non capì una sola parola, un po' per l'emozione e un po' per la confusione, anche se non era così elevata.
Si sporse, e vide in lontananza un'altra folla con altri manifesti tagliare loro la strada. L'italiana prese dallo zaino dei grandi occhiali da vista e se li mise riuscendo a leggerli.
Si trattava di un'altra manifestazione, ma questa volta si trattava di animalisti e ambientalisti, guidati da un'eccentrica ragazza dai capelli e occhi azzurri (già, proprio azzurri) piena di piercing che urlava e urlava altre cose, che ovviamente Giovanna non fu in grado di capire.
Salutò con un gesto l'uomo che aveva detto di fermarsi per ringraziarlo, e poi proseguì con il suo gruppo, ma non prima di aver aggiunto un'altra cosa.
Un avvertimento.
"Do attention! There are the cops!"
Questa volta Giovanna, stranamente, capì.
La polizia? Oh cazzo.
Cosa vogliono?
E' una manifestazione pacifica!
Da una parte era offesa dal fatto che la polizia perdesse così il suo tempo quando chissà quanti assassini e stupratori giravano tranquilli per le strade di Milwaukee senza nessun tipo di problema, mentre dall'altra parte era intimorita da loro: sempre stata paranoica su certe cose, Giovanna sapeva benissimo che bastava un passo falso e loro avrebbero potuto arrestarla.
Pensò di aver già dato il suo contributo in quella manifestazione, ed era giunto il momento di levare le tende: ormai si era fatta sera e lei doveva ancora trovare un posto in cui stare o sarebbe finita a dormire con i barboni per strada, ma era troppo tardi.
Una decina di agenti si avvicinarono alla folla, tenendo saldamente in mano un maganello, pur non intendendo usarlo se non per neccessità.
La ragazza tentò di allontanarsi, ma non appena lo fece sentì qualcosa che avrebbe preferito ignorare.
"Stay away from me, horrible faggot!" urlò con cattiveria un agente, colpendo un ragazzo con il suo maganello.
Giovanna non ci vide più.
Se c'era una cosa che non sopportava era la discriminazione e l'abuso di potere.
E quello era andato decisamente oltre.
Abbandonò ogni razionalità e ogni paranoia, e si diresse verso quell'agente.
Lo guardò con odio e disprezzo.
Era davvero disgustoso vedere un uomo di così strette vedute con l'uniforme da poliziotto, che dalla notte dei tempi vestiva chi aveva il compito di difendere i cittadini onesti fermando i criminali.
E invece eccolo lì.
Ad attaccare senza motivo un povero ragazzo, la cui unica colpa era stata quella di aver avuto il coraggio di manifestare per qualcosa in cui credeva davvero.
Quando se lo ritrovò davanti, la ragazza disse l'unico insulto che conosceva in inglese.
"Asshole."
Com'era da prevedere, l'agente andò su tutte le furie.
La atterrò e le mise le manette.
La ragazza era sbiancata.
Oh cazzo.
Non era un gran inizio.
Era in America solo da qualche ora ed era già stata arrestata.
Magnifico.
Di bene in meglio proprio.

GRAZIE GRAZIE GRAZIE! UN SOLO CAPITOLO E GIA' 2 RECENSIONI E 2 CHE HANNO MESSO LA STORIA TRA LE SEGUITE? SONO COMMOSSA :') NON MI ASPETTAVO UN SUCCESSO SIMILE. DAVVERO GRAZIE. SPERO DI NON DELUDERVI CON I PROSSIMI I CAPITOLI, E SPERO CHE ANCHE QUESTO VI PIACCIA E VI PORTI A LASCIARE UNA RECENSIONE! ALLA SETTIMANA PROSSIMA! :D

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Capitolo 3
*** Phelps ***


CAPITOLO 3. PHELPS

A Giovanna tornò in mente una commedia con Adam Sandler nella quale la sua vita peggiorava sempre di più fino alla sua morte, ma poi si svegliò e si scoprì che era stato tutto un sogno.
Era Cambia la tua vita con un Click.
Cavolo, quanto avrebbe voluto trovarsi nella sua stessa situazione.
Magari quella era solo un sogno... molto realistico.
Ma non lo era.
Era pura realtà.
E per di più fuori pioveva anche.
Bene.
Aveva una forte rabbia dentro di sé, sia per sé stessa sia per quell'omofobo del cazzo.
Lei aveva sbagliato a mettersi al suo livello, ma.. in gattabuia doveva esserci lui, non lei!
Vide l'agente che la controllava uscire e ne vide entrare un altro: doveva essere l'ora del cambio di turni.
Al suo posto entrò un altro maschio, la cui uniforme era talmente ordinata da sembrare nuova.
Era un tipo molto rigido ( e se non lo era lo sembrava parecchio ), composto, e da come si muoveva si capiva che prendeva il suo lavoro molto seriamente e che non era entrato in polizia per giocare a fare l'eroe o usare le manette per giochini erotici con la fidanzata.
Nonostante il cappello che faceva parte della divisa che non aveva intenzione di togliere, la ragazza riuscì ad intravedere dei capelli biondi molto corti, e due occhi chiari incastrati in un viso a lei familiare.
Quel tipo era parecchio somigliante, anzi praticamente uguale, a qualcuno che la ragazza aveva visto, ma non riusciva a ricordare di chi si trattasse.
Mentre ci pensava, non fece a meno di notare che l'uomo non le staccava gli occhi di dosso per un solo momento: era uno sguardo severo, lo stesso modo in cui un edicolante guarda un cliente per controllare che non rubi niente.
"Stai calmo, eh! Sono in prigione! Pensi che potrei scavare una buca a mani nude e uscire?!?" sbottò la ragazza, irritata da quegli occhi severi puntati su di lei.
"What?" mormorò in tono confuso l'agente, senza smettere di squadrarla come se avesse commesso il peggiore dei crimini.
Giovanna sorrise.
E' vero, se ne scordava sempre!
Qualunque cosa avesse detto in italiano, nessuno avrebbe potuto capirla.
Poteva dire tutto quello che voleva senza preoccuparsi delle conseguenze.
Se solo ci avesse pensato prima, non si sarebbe trovata in quel buco!
"Che palle."
Il poliziotto fece una smorfia, continuando a non capire.
E ora?
Anche se poteva dire quello che voleva senza farsi capire?
Se aveva seriamente bisogno di qualcosa?
Come avrebbe comunicato?
"Can I have... ehm...oh cazzo... come diavolo si dice coperta?"
Aveva freddo e una coperta avrebbe giovato.
Il poliziotto continuò a guardarla in modo confuso, quasi disgustato dalla ragazza che aveva davanti, probabilmente per la scarsa femminilità e igiene.
Giovanna di farsi capire a gesti, ma senza successo.
"Are you a tourist, aren't you?" mormorò severamente l'agente, come se fosse un insulto.
"Eh?"
Ancora una volta non aveva capito.
Se solo parlasse più chiaramente!
"Yes, you are a tourist. From... Italy." continuò in tono saccente il poliziotto guardando i documenti della ragazza, che si trovavano sulla scrivania.
"Yes! Italy!" esultò Giovanna, contenta di aver capito qualcosa.
"Why are you laughing? I can't stand too happy people."
Attimo finito.
L'attimo in cui aveva capito qualcosa era finito.
"Why to go abroad if you don't speak american? Back to your State! Perhaps in Italy the women look like men escaped from Auschwitz but here it's.... horrible."
Non aveva capito una sola... dannata... parola.
Quello lì aveva capito benissimo che lei era straniera e che aveva difficoltà con la lingua, ma nonostante questo aveva pensato bene di parlare in fretta e furia e a bassa voce.
Che stronzo.
E poi lei non era stupida, sebbene lo sembrasse.
Aveva sicuramente detto qualcosa di poco carino sul suo conto.
"It wasn't my fault. He attacked a boy."
Il poliziottò roteò gli occhi con uno sguardo disgustato.
"You have a terrible terrible pronunciation."
"I wanna see you alone in a foreign country where there is a foreign language!" borbottò lei, cercando di fare meno errori possibili.
"But I'M NOT in a foreign country! I'm in the country where I grow up!" sbottò il poliziotto.
Cavolo.
Devo smetterla di far arrabbiare i poliziotti.
Non è un granché come tattica.
"You're right." mormorò in tono pentito la ragazza, cercando così di moderare i toni.
Era sempre una seccatura scusarsi anche se lei non era poi così orgogliosa, ma capì che era stata la scelta più saggia.
"I know I'm right." rispose l'agente in tono superbo, sollevando la testa e guardando l'italiana dall'alto in basso.
E la peppa oh!
Va bene che è un tutore della legge, ma cavolo!
Potrebbe anche atteggiarsi di meno!
Non è mica Dio!
Giovanna non riuscì a trattenersi e sbuffò.
"I'm sorry, did you say something?" mormorò il poliziotto, al quale non era sfuggita quella smorfia.
"No."
"Great." continuò al poliziotto, tornando alla sua scrivania.
La giovane si sporse e cercò di guardarlo meglio: focalizzò nella sua testa il viso di quell'agente quando le si era avvicinato.
A chi somigliava?
Non riusciva proprio a ricordare.
Iniziò a girare avanti e indietro per la cella e il poliziotto la guardava con uno sguardo sempre più perplesso.
Stanco di guardarla, osservò i documenti della ragazza e ricopiò i dati principali su un foglio. Quella ragazza non gli piaceva affatto, sembrava sospetta.
Ogni volta che conosceva qualcuno, era cinico.
Era sempre stato così di carattere, come sua madre, che ci aveva messo anni per fidarsi ciecamente del marito.
Aveva dei sospetti su chiunque incontrasse e squadrava sempre tutti.
Questo suo modo di fare lo portò ad essere considerato dagli altri il classico tipo con la puzza sotto il naso: passava molto del suo tempo da solo, ma non tutto.
Da un paio di mesi, si frequentava con Helen, un'incantevole ragazza che veniva dalla California e che lavorava in un negozio di vestiti come commessa. L'aveva conosciuta sul lavoro: era stata derubata e fu lui ad occuparsi del caso. Gli piacque subito. Non proveniva da una famiglia benestante come lui (avrebbe potuto benissimo vivere di rendita, ma scelse comunque di servire lo Stato diventando poliziotto), ma era una donna molto femminile, raffinata e di classe. Era sempre curata e truccata. Inoltre aveva i capelli biondi e gli occhi chiari come lui. In poche parole, incarnava la concezione che aveva di donna perfetta.
Giovanna era esattamente il suo opposto: scura di capelli e occhi e parecchio trasandata e goffa. Un maschiaccio.
Quel genere di donna che per lui.... non era una donna.
Forse è per questo che era un po' che non la guardava e finì di compilare quel modulo, che infilò in un cassetto.
Nel frattempo Giovanna si fermò di colpo, come se fosse stata pietrificata.
Finalmente si ricordava di chi era la copia quello snob: si diede mentalmente della stupida per non esserci arrivata prima.
"Ci sono!" esclamò la ragazza, indicando l'agente con la mano destra.
Il biondo riprese prontamente a fissarla.
Ma qual'è il problema di questa qui?
Non sarà meglio chiamare un criminologo?
Questa è una psicopatica.
Mi ci gioco la carriera.
"Cole Phelps, LAPD!" continuò lei.
"What?"
"You look like Cole Phelps by L.A. Noire! the videogame!"
"I don't play videogames. I don't spend my time and my money with that stuff!"
Mentiva.
Non ci aveva mai giocato, ma sapeva benissimo chi era Cole Phelps.
Da quando era uscito quel dannatissimo videogioco tutti, familiari e colleghi, lo prendevano in giro: lui stesso non poteva fare altro che pensare che si fossero ispirati a lui per realizzare quel personaggio.




ODDIO! MI DISPIACE, E' VENUTO TROPPO LUNGO! >.< MA SE STATE LEGGENDO QUESTO MESSAGGIO, SIGNIFICA CHE AVETE AVUTO LA FORZA DI LEGGERLO TUTTO! I MIEI COMPLIMENTI!
FATEMI SAPERE SE VI E' PIACIUTO!
PS: QUANTI DI VOI CONOSCONO L.A.NOIRE?

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Capitolo 4
*** Amalric ***


zzzzzzz CAPITOLO 4. AMALRIC

Quando la mattina seguente venne rilasciata con tutte le sue cose, si sentì estremamente sollevata.
Era stato quasi divertente passare la notte in gattabuia, principalmente per due ragioni: la prima era che aveva dormito gratis per una notte e la seconda era che aveva conosciuto Cole Phelps in pelle e ossa.
Non era niente male, considerando che era successo tutto nel giro di 12 ore.
"Bye bye Phelps!" disse al freddo agente di polizia quando uscì.
"I'm watching you!" ribattè lui, irritato dalla confidenza che la ragazza gli stava mostrando.
Lei lo ignorò proseguendo per la sua strada e poco dopo lui fece altrettanto, rientrando nel commissariato: entrambi erano convinti che il loro era stato un incontro assolutamente casuale, e che non si sarebbero mai più rivisti nella vita.
Sbagliavano.
Nel frattempo, Giovanna rivide nella sua testa i momenti appena passati, e pensò a cosa fare. Prima di tutto bisognava visitare la città per bene, per conoscerla e iniziare a muoversi al proprio interno con maggiore tranquillità e serenità.
Attraversò una zona residenziale, ma poi, inevitabilmente, la stanchezza si fece sentire.
Dannata prigione. Non ho chiuso occhio.
Dormivo meglio in strada.
Si sedette su una panchina alla fermata del bus, e riprese fiato, come se avesse fatto una lunga corsa.
Passò una mezzora abbondante, e la giovane vide un paio di bus fermarsi e proseguire e altrettante persone salire e scendere.
Sapeva che il tempo stava passando e che la sera sarebbe nuovamente arrivata anche quel giorno, ma non sapeva cosa fare e dove andare.
Cercare un lavoro? Nessuno l'avrebbe mai presa. Non parlava un buon inglese, non aveva esperienza professionale e disponeva di un semplice diploma, che non si sa come fosse riuscita a prendere.
Cercare un albergo in cui passare la notte? E per quanto tempo? Pagando con quali soldi? Dei dollari li aveva, ma prima o poi si sarebbero esauriti.
Forse sua madre e tutti quelli che conosceva aveva ragione.
Forse non avrebbe mai dovuto lasciare l'Italia.
Forse davvero non avrebbe mai combinato niente nella sua vita e forse davvero sarebbe rimasta zitella a vita.
Mentre nella sua testa ronzavano questi pensieri, si alzò e l'autista che stava arrivando con il suo bus interpretò quel gesto come una volontà di salire, così si fermò e aprì la portiera per farla salire.
"Do you want to take the bus?" mormorò l'uomo, notando che la ragazza non si muoveva.
La ragazza alzò lo sguardo e vide l'autista fissarla. Sebbene fosse seduto, si capiva che era piuttosto basso, alto più o meno come lei, contrariamente a Phelps che era almeno 1 metro e 88.
Aveva la pelle molto chiara e i capelli e occhi color marrone scuro: se lo vedeva Tim Burton lo prendeva subito per il suo prossimo film.
Quell'uomo aveva qualcosa nel suo viso di inquietante: la forma degli occhi così particolare (e il fatto stesso che li teneva spalancati come se fosse costantemente allucinato), i lineamenti del viso e la bocca ne erano la causa.
Anche lui somigliava in modo sorprendente a qualcuno, ma stavolta la ragazza non ebbe alcun dubbio su chi si trattasse: Mathieu Amalric.
Amalric era un attore francese di cui la ragazza era sempre stata fan, e incontrare il suo clone (ma quanti cloni ci sono in America?!?) che doveva avere una ventina d'anni di meno dell'originale era... strano.
Forse, anzi quasi sicuramente, lo riteneva inquietante perchè l'aveva visto ne Lo Scafandro e la Farfalla, dove visto che interpretava un uomo con la sindrome del Chiavistello* aveva la bocca storta, l'occhio destro cucito e l'altro aperto che si muoveva continuamente.
Non era tanto la sua condizione del film ad essere traumatico, ma quel dannato occhio sempre spalancato.
Tuttavia, l'autista aveva uno sguardo amichevole, e Giovanna si sentì immediatamente sollevata.
"Where... where the bus goes?" chiese in tono incerto.
"You are a tourist."
Caspiterina!
Ancora?
Ma si vedeva così tanto?
Evidentemente sì.
A differenza del poliziotto però, il tono dell'autista era meno.. scontroso.
Da come l'aveva detto non sembrava un insulto, ma un semplice fatto.
"We go to the Milwaukee Centre." continuò l'uomo, posando le mani sulle gambe.
"May we move? I'm in late!"" urlò qualcuno dentro il bus.
"Just a second!" urlò l'uomo e poi, tornando a guardare la ragazza, continuò: "So?"
Giovanna entrò con riluttanza portandosi dietro tutte le sue cose.
Non c'era un cazzo di posto.
Fantastico.
Riconobbe la ragazza dai capelli azzurri, quella della manifestazione, indaffarata ad esaminare dei cartelli, che probabilmente aveva preparato precedentemente. Fu confortante incontrare qualcuno che aveva già visto, anche se non la conosceva e non ci aveva mai parlato.
Tuttavia, non essendoci posto, si sedette sugli scalini dell'entrata e mise la valigia lì vicino.
Notò che l'autista ogni tanto la guardava, ma non in modo sospetto. Era uno sguardo tranquillo, quasi sereno, il primo che aveva ricevuto da quando era lì.
"How long are you here?" chiese alla ragazza, sempre in tono amichevole.
"Yesterday."
"Not soo long."
"I know that.. I haven't a good pronunciation."
"The most important thing is that you know it."
La ragazza sorrise timidamente e l'autista fece altrettanto.
Allora c'è della gente umana in sto posto!
Proprio l'unico uomo che inizialmente la inquietava (tutta colpa del vero Amalric), era stato l'unico finora che era stato gentile con lei.
L'ironia della vita!
Osservò l'uomo con più attenzione anche se non in modo eccessivo (non voleva sembrava una psicopatica o una maniaca), e notò che ogni volta che il bus si fermava, per il traffico o per far salire e scendere dei passeggeri, muoveva in modo agitato le braccia, e con le mani toccava tutto quello che riusciva, dal volante alla radio, come se avesse una specie di tic nervoso.
Ad ogni modo, la ragazza passò il resto del viaggio pensando ai fatti suoi, predendo la cognizione del tempo: si svegliò da quella sorta di dormita con gli occhi aperti solo nel momento in cui arrivarono al capolinea, quando il clone di Amalric la scosse delicatamente.    
"Are tou okay?" le chiese, non appena vide Giovanna alzarsi.
"Dove... where.." balbettò lei, mezza intontita.
"Always Milwaukee."
La ragazza mise una mano sulla fronte e si sedette su un'altra panchina lì vicino per riprendersi.
Appoggiato al bus che aveva appena guidato, l'autista la guardò con un mezzo sorriso. Teneva le braccia distese lungo i fianchi anche se stavano per muoversi visto che le mani non stavano ferme un minuto.
Incrociò le braccia, sperando così di tenere quelle dannate mani sotto controllo.
Giovanna se ne stava a testa bassa, nascondendo il viso con le mani.
Singhiozzò.
Stava andando tutto male.
Non ce l'avrebbe fatta.
Non era indipendente, non era in grado di fare nulla.
Sprofondò nello sconforto più totale.
Di nuovo.
Non aveva scelta: doveva tornare a casa, che non avrebbe mai dovuto lasciare.
Già immaginava l'umiliazione che l'avrebbe accompagnata fino alla vecchiaia, dato che tutti sapevano che se ne voleva andare dall'Italia.
"Non combinerò mai niente. Starò sulle croste dei miei genitori e morirò triste e sola, derisa dal resto del mondo." mormorò Giovanna, talmente piano che nessuno riuscì a sentire la sua voce.
L'uomo si avvicinò alla ragazza e le porse un fazzoletto, che lei non tardò a prendere.
"Thank you."
"Would you like to take a couple of coffee?"
Giovanna lo guardò sorpresa.
Stavolta fu lei a sgranare gli occhi.
"With... with you?"
Non riusciva a crederci.
Qualcuno si stava interessando a lei... o più semplicemente voleva solo essere gentile.
Già, la seconda ipotesi era più probabile.
"Yes.. I mean... if you don't want to stay alone.." balbettò timidamente lui, voltando lo sguardo.
Che dolce.
Massì!
"Ok."

* : Condizione nella quale una persona, in seguito ad un ictus, è completamente paralizzata (in stato vegetativo) tranne solitamente per gli occhi. Comprende cosa gli viene detto e cosa succede, ma non può comunicare.

EEEEEEEEECCCCOMI :D SCUSATE IL RITARDO ;D
SPERO CHE QUESTO CAPITOLO VI PIACCIA!
E RECENSITE, MI RACCOMANDO :D

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Capitolo 5
*** Il Locale ***


the driving bell and the butterfly CAPITOLO 5. IL LOCALE

Dermot Hopgood, così si chiamava il particolare autista, aveva portato Giovanna in un bar lì vicino molto alla mano, talmente vicino che dovettero semplicemente attraversare la strada per raggiungerlo.
A Giovanna piacque subito quel posto: era molto moderno e servivano di tutto e di più. C'erano anche dei comodi tavoli, ma i due scelsero iil bancone, sedendosi su degli sgabelli.
Giovanna guardava Hopgood.
Hopgood guardava Giovanna.
Nessuno parlava.
Nessuno sapeva cosa dire.
Entrambi timidi.
Entrambi insicuri.
Passarono così i primi dieci minuti: lui che non faceva altro che guardare il piatto che aveva ordinato e lei, mentre lo fissava, faceva di tutto per memorizzarlo come "Dermot Hopgood" e non come "Mathieu Amalric", ma era più difficile di quanto pensasse.
"How... how old are you?" chiese con un filo di voce l'autista.
"Twenty. You?"
"Twentyseven."
Ancora silenzio.
"What you like?" continuò Hopgood, dandosi mentalmente dell'idiota: sembravano due bambini alla prima cotta, e lo sembravano ancora di più ora, che parlavano di gusti reciproci.
"I like movies, videogames.."
"Videogames? Few girls like videogames. Which one you like?"
"Rockstar Games. I like the videogames where you are a cop. You?"
Sì non andiamo oltre.
Non voleva parlare di L.A. Noire anche se era il suo preferito.
Temeva che sarebbe spuntato fuori da un momento all'altro quella sottospecie di clone.
No, meglio evitare.
"Every type. I haven't a genre."
"And also. I like serial killers and.."
What?!? You like movies, videogames and what?" fece in tono allarmato l'autista, sgranando ulteriormente gli occhi.
Oh cazzo.
Devo pensare prima di parlare, non posso dire tutto quello che mi passa per la testa!
E adesso come faccio a spiegarglielo?
Contriaramente a quello che la maggior parte della gente pensa, primo fra tutti il Phelps del Wisconsin, io non sono psicopatica!
Mi interesso dei serial killer nel senso che mi interessa studiare la loro mente malata, ma non sono mica una loro fan!
Il problema è dirlo in inglese.
Merda.
Ma perchè quando dovrei starmi zitta parlo e quando dovrei parlare mi sto zitta?
Intanto il caro Amalr.. ehm... voglio dire... Dermot, continua a guardarmi sconvolto.
Sempre al solito.
Trovo uno a cui interesso e lo faccio scappare via subito. Non lo biasimerei se adesso si alzasse e lasciasse il locale.
"Ehm.. I mean.. I'm interested on their mind.." balbettò la giovane italiana, indicando con le dita la testa.
"I understand. You mean, their brain. It's OK." mormorò in tono sollevato Hopgood, facendo un mezzo sorriso.
"Yes!" esultò lei.
Hopgood rise.
Era davvero strana quella ragazza. Però le piaceva, e tra tutte le ragazze che aveva conosciuto le sembrava essere la più gentile.
L'esultazione della ragazza si trasformò e il suo volto divenne improvvisamente pallido quando vide qualcuno che conosceva entrare nel locale.
"Non... è... vero..." mormorò allibita.
"What?" chiese Hopgood, non capendo.
"Ancora quello? Che due palle." continuava ad imprecare Giovanna, non riuscendo a credere ai propri occhi.
Dermot si voltò e vide un agente di polizia particolarmente somigliante a Cole Phelps di L.A. Noire sedersi ad un tavolo dentro il locale, poco distante da loro.
"That guy looks like that cop by L.A. Noire." mormorò.
La ragazza annuì pesantemente con la testa, cercando di marcare il più possibile quel gesto.
"Do you know him?" chiese Hopgood.
"Yes.." fece in tono disgustato l'italiana, guardando l'agente, che non si era ancora accorto di lei, con evidente antipatia.
"Are you okay?"
"Yes. Don't worry Amal.. I mean.. Dermot."
Hopgood sbiancò.
"How you called me?"
"Dermot."
"No no! Before you said an another name. Amalric."
"... maybe.."
"You saw that damn movie."
"What are you talking about the Driving Bell and the Butterfly!"
Dunque... butterfly è farfalla.
Driving bell.... scafandro... credo.
"That damn movie and that damn actor ruined my life!"
"What you mean?"
"Every person that I met looks me with mercy. Yesterday a woman saw me and started to cry, and I spent an hour to comfort her."
Giovanna iniziò a ridere, divertita.
Hopgood rise a sua volta, contento che le sue sventure provocassero in lei quella reazione.
Mentre lui continuava a raccontare altri episodi simili, l'unico barista presente nel locale uscì e contemporaneamente entrò la ragazza dai capelli blu.
Improvvisamente il locale si svuotò.
Era successo qualcosa che aveva attirato la gente fuori, ma quelli rimasti dentro erano troppo immersi nei loro pensieri.
Hopgood e Giovanna erano totalmente presi l'uno dall'altra, la ragazza dai capelli blu era entrata in tutta fretta e aveva iniziato a cercare qualcosa, Phelps stava mangiando e pensando ai fatti suoi e un altro uomo, anche lui rimasto dentro, sembrava stesse correggendo delle verifiche: probabilmente era un insegnante.
Rimasero solo loro 5 dentro.
E quello che sarebbe successo da lì a poco avrebbe cambiato per sempre le loro vite.

ALLORAAAAA... VI AVVISO CHE PROBABILMENTE CI TROVERETE ERRORI DATO CHE HO LA FEBBRE >.<
VI CHIEDO SCUSA PER QUESTO, E SPERO CHE APPREZZERETE COMUNQUE.
LASCIATEMI UNA RECENSIONE SE VOLETE, LO SAPETE CHE MI FA PIACERE!
CIAO :D

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Capitolo 6
*** Coabitazione Forzata ***


12345677890 CAPITOLO 6. COABITAZIONE FORZATA

Quando il proprietario del locale era uscito, come avevano fatto metà dei suoi clienti, per controllare cosa fosse successo, si aspettava sicuramente qualcosa di più entusiasmante di un tentato scippio ad un'anziana signora.
Quasi deluso, scrollò le spalle e spinse sulla maniglia del suo bar per rientrare, ma non vi riuscì.
Ci riprovò ancora ma niente.
Le cinque persone rimaste dentro, una ragazza dai capelli blu, un uomo chino su dei fogli, un agente di polizia e un uomo e una donna che parlavano, non si erano ancora accorti di niente.
Ritentò una terza volta, ma niente.
Prima che ritentasse una quarta volta, ricordò che qualche giorno prima un operaio che aveva fatto colazione nel suo locale gli aveva detto che la porta principale aveva qualche problema e che andava riparata immediatamente, altrimenti si sarebbe bloccata e l'unico modo per entrare ed uscire dal bar sarebbe stato quello di toglierla del tutto, e comprarne una nuova: a quel tempo non gli aveva dato ascolto e aveva sottovalutato il problema.
Sarebbe stato meglio se lo avesse ascoltato.
Ora doveva chiamare chissà quanta gente per toglierla, e chissà quanto ci avrebbero messo. E nel frattempo quelli dentro potevano mettergli a soqquadro il locale.
Fantastico.

----------------------------------------------------------------------------------

Giovanna stava ancora parlando con Dermot, quando un rumore improvviso, che sembrava una tromba, risuonò da fuori.
Tutti e cinque, d'istinto, si coprirono le orecche con le mani, cercando di protteggersi da quell'orribile rumore, che era peggio di una persona stonata che cantava a voce altissima.
Ne seguì un messaggio, che l'italiana, guardacaso, non riuscì a capire.
"WHAT?" urlò a Dermot, temendo che altrimenti non avrebbe capito.
"They said that we can't move. The door is blocked. We have to attend that they remove it." rispose l'autista, non urlando ma parlando a voce molto alta.
Giovanna annuì, anche se capì la metà delle parole.
La situazione non prometteva bene.
"Can you stop to screaming?!?" urlò in tono furioso il "professore", dirigendosi verso Giovanna e Amalric.
Era alto quanto il poliziotto, i capelli castani e corti erano lisci, pettinati e con la riga di lato mentre due furtivi occhi verdi si nascondevano dietro due grossi occhiali di metallo, un paio che ormai non portava più nessuno. Era vestito molto elegantemente, con la giacca, la camicia e il resto.
Sembrava veramente un professore e Giovanna fu davvero lieta di aver ottenuto il diploma, e quindi di non dover più avere a che fare con gente come lui.
Phelps, che si stava avvicinando con lo scopo di placare gli animi, si bloccò di colpo quando riconobbe Giovanna.
"YOU! AGAIN?!?"
"Didn't you hear me?!? STOP SCREAMING! I have to finish my students' works! That idiots! They should know that the place for the sheeps and for the goats is the zoo, not the school!" continuò a sbraitare l'insegnante.
Giovanna, a quel punto, non riusciva a trattenersi.
Ricapitoliamo.
Si trovava con la versione reale del protagonista di un videogioco della Rockstar, la versione più giovane di un attore francese specializzato nei ruoli drammatici e per concludere, perchè evidentemente non era abbastanza, con la versione americana di niente di meno di Sgarbi.
Fantastico.
Davvero davvero fantastico.
Scoppiò a ridere.
Davanti a quella risata, Dermot sorrise quasi contagiato, mentre il poliziotto e il professore la guardarono nel peggiore dei modi.
"You have a problem. A big problem. You are a sick person." mormorò in tono freddo Phelps, incrociando le braccia e guardandola dall'alto al basso.
A quel punto intervenì la ragazza dai capelli blu, vedendo che gli altri quattro erano tutti vicini.
"Ehy guys, what is going on?" chiese in tono amichevole, posando le braccia sulle spalle di Phelps e Sgarbi.
I due la fulminarono con lo sguardo.
Non si capiva se la disprezzavano di più per i tatuaggi, per i piercing, per i capelli blu o più semplicemente se per la troppa vicinanza.
"Keep calm, mates! I'm not the devil!"
"Leave...
Your....
Fucking...
Hand....
From...
My...
Shoulder...
NOW!" sbottò Phelps.
"Do the same with the other hand Bluehead, if you don't want problems." continuò Sgarbi.
Pazzi.
La ragazza non era particolarmente preoccupata dalle loro minacce, ma tolse comunque le mani per avvicinarsi a Giovanna.
La raggiunse, non prima di aver visto Dermot e aver fatto uno sguardo di disgusto, e le sorrise.
"I saw you! But... I don't remember where."
"Manifestation.. I mean I don't know how is in american... ehm... you were with the animals and the earth... I was with the gays."
"Oh yes yes... Now I remember... How are you?"
"Actually.... I don't know. You?"
"Not fine. It's a week that I searching a tenant.."
"A tenant?"
"Yes.. you need a place?"
"... Yes..."
"Perfect!"
"But... I don't have a job."
"Don't worry, I know a lot of people." mormorò lei, posando un braccio sulla spalla di Giovanna e allontanandosi con lei da quei tre uomini, che le guardavano sorpresi.

ECCCCCCOMI XD UN NUOVO CAPITOLO XD
SPERO VI PIACCIA!
FATEMI SAPERE CON UNA RECENSIONE! CIAO!

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Capitolo 7
*** L'inizio di un'Amicizia ***


CAPITOLO 7. L'INIZIO DI UN'AMICIZIA

Giovanna si mangiava nervosamente le unghie da una mezzora abbondante ormai.
Aveva quel vizio dall'adolescenza, e si vergognava a mostrare le mani dato lo stato pietoso in cui erano le sue unghie... o almeno quello che ne restava delle sue unghie.
Non poteva farci niente: era più forte di lei.
Lo faceva spesso: quando era nervosa, quando aveva paura, quando era agitata.
Ora era tutte e tre le cose.
Si trovava all'interno di un locale e chissà quando sarebbe potuta uscire.
Nessuno delle persone al proprio interno parlava sulla sua lingua.
Si sentiva completamente isolata.
Phelps e Sgarbi non aiutavano affatto: quando passavano vicino a lei o la guardavano, le lanciavano degli sguardi di ghiaccio a dir poco spaventosi.
Continuavano a guardarla dall'alto al basso, come se fosse la peggiore delle persone.
A preoccuparla era soprattutto il professore: quel tale sembrava tanto tranquillo e pacifico con quei grossi occhiali dietro ai quali si nascondevano due piccoli occhi chiari e quei capelli corti ma pettinati e curati, ma, come appena sottolineato, era solo apparenza.
Alla minima cosa che gli si diceva, iniziava ad urlare e urlare.
Urlava insulti, minacce.
Di tutto e di più.
Sembrava veramente Sgarbi.
La ragazza era fermamente convinta che tra le varie cose che aveva detto doveva anche esserci "capra".
Sarebbe stato davvero il colmo.
Phelps gli lanciava qualche occhiata, e poi tirava fuori un quadernino e una penna dalla tasca della divisa e iniziava a scrivere qualcosa.
Ma non c'erano solo psicopatici là dentro.
Amalric e la ragazza dai capelli blu, Arienne si chiamava, erano stati davvero gentili con lei, e continuavano ad esserlo.
Lui ogni tanto andava da lei e le chiedeva molto educatamente se aveva bisogno di qualcosa mentre l'ambientalista cercava di rompere il ghiaccio facendo qualche battuta e mostrandosi estroversa e amichevole.
Non potevano essere più diversi, eppure il destino ha voluto che fossero proprio loro cinque ad essere rinchiusi là dentro.
Per cosa?
Per parlare?
E di che cosa?
Cosa avrebbero potuto dirsi?
Qualcosa sicuramente.
Sempre meglio che passarsi il tempo incrociando le braccia e camminando avanti e indietro.
"I think..." mormorò Giovanna.
Tutti si voltarono a fissarla, visto che era da un po' che nessuno parlava.
Sgarbi e Phelps la guardavano severamente, come se volessero dire "E adesso questa che cazzata spara?".
Amalric e la Testa Blu, invece, la guardarono serenamente, ascoltandola.
Testa Blu le sorrideva anche.
Giovanna si fece forza e continuò.
"I think we should talk. Maybe we discover that we have things... ehm... oh come diavolo si dice."
Tutti e quattro capirono cosa volesse dire, ma Phelps e Sgarbi fecero finta di non farlo, irritati dall'orribile americano di quella ragazza.
Il poliziotto digrignò addirittura i denti.
Testa Blu capì cosa avevano in mente quei due, e si arrabbiò.
"You understood what she means, so don't be idiots and start to talk."
"I'm sorry what you said?!?" fece in tono irritato il poliziotto.
"How you called me? Idiot? IDIOT? I D I O T ?" borbottò il professore, iniziando un'altra delle sue sclerate.
La ragazza sbuffò.
Il professore iniziò a dirne di tutti i colori, ma lei lo ignorò completamente e, come Amalric, si sedette accanto all'italiana e iniziarono a parlare sul divano.
All'inizio Sgarbi e Phelps continuarono con il loro silenzio, ma poi si resero conto che non era un'idea così assurda. Il primo a cedere fu l'insegnante, che dopo tre quarti d'ora di urli che nessuno aveva sentito, si sedette in una poltrona a sinistra del divano limitandosi inizialmente ad ascoltare, e poi a parlare. Un'ora dopo li raggiunse il poliziotto, che si sedette nell'altra poltrona, quella a destra del divano, e a poco a poco si sciolse anche lui, senza però lasciare la sua postura distaccata.
Quando il giorno dopo riuscirono ad aprire il locale e a portarli fuori, li trovarono addormentati in quei posti: dopo aver passato tutto il tempo a parlare, erano crollati, addormentandosi dove si erano seduti.
Era l'inizio di una stramba, assurda, irrazionale, pazza amicizia.

ECCCCCCCCCOMI :D SPERO QUESTO CAPITOLO VI PIACCIA XD DA QUI IN POI NON CI SARANNO PIU' SCENE IN INGLESE, GRAZIE AL CIELO! QUESTO E' IL MODO IN CUI SI SONO CONOSCIUTI! ORA INIZIA LA STORIA VERA E PROPRIA. FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE! CIAOOO

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Capitolo 8
*** Psycho ***


CAPITOLO 8. PSYCHO

Psycho.
Psycho è il diminutivo di psicopatico.
Psycho è il titolo del famoso film targato Alfred Hitchcock con protagonista Anthony Perkins.
Ma Psycho era anche lei.
Giovanna.
Esattamente.
Nel gruppo era lei quella più strana.
Nel gruppo era lei quella appassionata di cinema e quella interessata alla mentalità dei serial killer.
Non c'era soprannome più adeguato per lei.
A Giovanna, d'altro canto, piaceva.
Amava il film di Hitchcock ed essere chiamata così non le dispiaceva affatto.
Poteva andarle peggio.
Psycho.
Sì, suonava bene.
Non molto rassicurante, ma suonava bene.
Tra loro si chiamavano tutti per soprannome, quindi era giusto che ne avesse uno anche lei.
Phelps, Amalric, Sgarbi, Testa Blu e Psycho.
Un gran bell'assortimento, non c'è che dire.
Erano così abituati a chiamarsi in quel modo che, nonostante fossero passati ben sei mesi dal giorno in cui si trovarono rinchiusi in quel locale che ora era diventato il loro principale luogo d'incontro, ignoravano totalmente il vero nome degli altri.
Era davvero assurdo e perchè no, anche surreale, ma così era.
La giovane italiana aveva abbandonato da tempo quei pensieri pessimisti che l'avevano accompagnata per diversi mesi, e non si sentiva più sola.
Si sentiva finalmente indipendente, con una vita propria.
Aveva persino un lavoro.
E non un lavoro qualunque: il lavoro dei suoi sogni.
Commessa in un negozio di DVD.
Cosa poteva desiderare di meglio?
Era un negozio modesto gestito unicamente da lei e da Philippe Connors: era stato quest'ultimo ad assumerla.
Era di all'incirca trent'anni, sposato e con due figli.
Biondo, occhi chiari, bassino ma con un viso che lasciava intendere gran parte del suo carattere: era buono, tranquillo.
Non si arrabbiava mai.
E indovinate un po'?
Anche lui era la fotocopia sputata di qualcuno che Psycho aveva visto in TV.
Tobias Beecher di OZ.
Ricordò che quando lo vide la prima volta si domandò immediatamente..
Un altro sosia?
Ancora?
Ma qual'è il problema di questi americani?
Hanno tutti la stessa faccia?
Tuttavia si trovava molto bene e lui era soddisfatto: da quando c'era lei in negozio si faceva prima: non poteva essere altrimenti, con la cultura cinematografica di quella ragazza.
Lei continuava ad avere una pessima pronuncia, ma ormai l'americano lo capiva bene, anche le frasi più complicate: forse non riusciva a tradurre parola per parola, ma il succo del discorso sì.
Insomma, tutto era perfetto.
Aveva un lavoro, un appartamento (era andata a convivere con Testa Blu), e degli amici...
Sì... amici.
Lei li riteneva tali, ma il loro era un rapporto particolare.
Si tiravano frecciatine di continuo e litigavano spesso, anche per la più piccola stupidaggine.
Però in fondo voleva bene a tutti, e sapeva che la cosa era reciproca anche se gli altri non l'avrebbero mai ammesso, soprattutto Phelps e Sgarbi che orgogliosi come sono sarebbero morti piuttosto che dire una cosa del genere.
Però continuavano a vedersi tre spesso, e questo doveva pur significare qualcosa.
Perchè nonostante le litigate e tutto il resto, erano un gruppo saldo, e tutti a fine giornata tornavano a casa con la consapevolezza che si erano divertiti.
Era proprio l'inizio di una nuova vita.

EEEEECCCCOMI :D NUOVO CAPITOLO :D FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE! A PRESTO! CIAOO


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Capitolo 9
*** Promozioni ***


CAPITOLO 9. PROMOZIONI

"Idioti! Idioti! Idioti! Non sono altro che delle pecore! Degli asini!"
Amalric, Testa Blu e Psycho, che stavano parlando tranquillamente, fecero quasi un sobbalzo.
Ma come faceva Sgarbi ad urlare sempre così spesso?
Non gli mancava la voce dopo un po'?
Forse era l'abitudine.
Si era portato le verifiche dei suoi studenti al locale, e visto che i tre amici parlavano di cose che non gli interessavano minimamente, aveva iniziato a correggerle.
Sarebbe stato meglio se non l'avesse fatto.
Tutti i presenti del locale si zittirono e guardarono verso l'insegnante.
Il barista era furioso: si avvicinò al gruppo, mettendo le mani sui fianchi.
"Allora? Ci diamo una calmata?"
"Adesso gli passa." fece Testa Blu.
"Fate in modo che gli passi permanentemente o lo bandisco dal locale."
"Bandisco, addirittura! Dove siamo, nel Far West?"
"Magari. In tal caso avrei già risolto il problema con un bel duello." sbottò il proprietario, ritornando dietro al bancone.
"Cristo che vergogna... ci guardavano tutti." mormorò Amalric, mettendo le mani davanti al viso.
"Avevo un professore alle superiori che era sempre esaurito. Ci insultava sempre dicendo che non sapevamo parlare, che non sapevamo nulla e che per lui era impossibile insegnare se ci trovavamo in quelle condizioni."
"Direi che nel tuo caso era vero." fece Sgarbi.
"Mi fai finire?"
"E finisci. Però sbrigati. Non vedo l'ora di scrivere un bel 2 con la mia penna rossa in quei compiti atroci."
"Quando ero interrogata con lui, non riuscivo a parlare. Sbagliavo anche le frasi più semplici, e andavo male. Solo più tardi capii che il problema non era mio, ma suo. Se non ci avesse inquietato così tanto, con quelle minacce continue, io sarei stata più rilassata e non sarei andata meglio."
"Stai dicendo che sono io che li inquieto?"
"Sì!" risposero contemporaneamente Amalric, Testa Blu e Psycho.
"Oh, ma per piacere. Avete una minimia idea degli analfabeti con cui ho a che fare tutti i giorni?!? Io alla loro età avevo letto Dickens, Wilde, Orwell. Questi invece leggono schifezze romantiche e libri fantascientifici senza un senso."
"Ma sono gusti."
"Gusti un cazzo. Se avessero un minimo di buon senso leggerebbero altro. Per non parlare di quelli che usano il cellulare 24 ore su 24. Poi hanno anche il coraggio di frignare quando glielo ritiro. Hanno proprio una bella faccia tosta."
"Attento alla voce. Il proprietario ti sta lanciando sguardi di fuoco..."
"Che vadano tutti quanti a fanculo. Non so cosa è più triste. Loro o te?" fece Sgarbi, riferendosi a Psycho.
"Che ho fatto stavolta?"
"Sei originaria di un paese in cui è nata la cultura... e invece... la tua di cultura è... è.... così insignificante."
"Grazie Sgarbi, come sei caro."
"... così effimera...."
"Cosa vuol dire effimera?"
"Non sai cosa vuol dire effimera? Oh santa pace. Me ne vado che è meglio. Ci si vede." mormorò il professore, prendendo i compiti e uscendo.
Poco tempo dopo li raggiunse l'ultimo componente di quel contorto gruppo: Phelps.
Indossava la sua solita divisa da agente di polizia, ma contrariamente al solito, era tutta disordinata: la camicia mezza sbottonata, il cappello al rovescio, le manette che pendevano dalla tasca dei pantaloni.
Phelps stesso aveva lo sguardo stravolto e confuso, come se fosse intontito e i capelli erano spettinati.
I ragazzi sorrisero.
C'era solo un motivo se era in quello stato.
Sesso.
Phelps è sempre impeccabile nel vestire e nella cura di sé, tranne quando fa sesso.
E' una sua particolare caratteristica, che ormai nel gruppo si sapeva.
Il sesso aveva quell'effetto su di lui.
Indipendentemente da come usciva di casa, si riduceva in quello stato.
Lui lo sapeva, ma non poteva evitarlo.
"Guarda guarda.."
"Ho.... ho avuto una promozione... mi hanno promosso a Detective."
"E' fantastico!"
"Complimenti."
"Dopodomani ci sarà il passaggio ufficiale da agente a Detective. Se volete venire. E ditelo anche allo sclerato."
"Certo che veniamo. Così finalmente conosciamo la tua ragazza." fece Psycho.
"Voi da una parte... lei da un'altra."
"Ma come..."
"Ve la presenterò, ma più avanti."
"Vedo che con lei hai già festeggiato."
Phelps si guardò.
"Oh cavolo! Eppure mi sembrava di essere uscito in modo composto!"

ECCCCCOMI :D
CI HO MESSO UN BEL PO' A FARE QUESTO CAPITOLO, QUINDI SPERO LO APPREZZIATE!
CIAOOO

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Capitolo 10
*** Cerimonia Parte 1 ***


CAPITOLO 10. CERIMONIA PARTE 1

Il commissariato in cui Phelps lavorava era uno dei più grandi e più stimati di Milwaukee.
Quando gli amici del poliziotto giunsero sul posto, c'era abbastanza caos.
C'era un via vai continuo di poliziotti e civili, ma Psycho non ci fece caso: si limitava a seguire il gruppo, mentre una parte della sua mente aveva abbandonato quel luogo e quel momento, e aveva iniziato a vagare lontano, avviandosi verso l'ennesimo trip.
Vide davanti a sé i frammenti della sua vita passata, incorniciata dalle scene dei film per lei più significativi..
Alcuni ricordi erano piacevoli, altri molto dolorosi.
Si sentiva stordita, come confusa da tutte quelle immagini che la riguardavano messe insieme in quel modo così disordinato, così come era sempre stata lei.
Proprio quando stava per uscirne e stava per tornare nel mondo intorno a lei abitato da altri comuni mortali, un uomo tra i 30 e i 40 anni che le passò davanti le fece uno sgambetto e la fece cadere: fortunatamente la ragazza, contrariamente a quanto si potesse pensare, aveva i riflessi pronti e riuscì a proteggersi dalla caduta con le mani.
L'uomo, con capelli e occhi scuri, si mise a ridere.
Oh sì!
Davvero divertente.
Si trattava probabilmente di un civile che per un motivo o per un altro si trovava in commissariato, e che ora stava uscendo.
"Mio nipote è più maturo. E ha 3 anni." disse severamente Sgarbi, che aveva assistito alla scena.
Amalric non aggiunse altro, ma nei suoi occhi (sempre inquietanti) si percepiva chiaramente la rabbia, ma si limitò ad aiutare Psycho ad alzarsi.
"Oh ma si può sapere dove eravate finiti? Vi ho cercato ovunque! E quella che ci fa per terra? Per la miseria Psycho, alzati! Non voglio fare brutte figure, proprio oggi! Se passasse il mio capo.." fece in tono agitato Phelps, indossando per l'ultima volta l'uniforme da agente.
Gli altri stavano per rispondere, ma persero di vita lo stronzo, ma poi Testa Blu riuscì a localizzarlo.
Era fuori dall'edificio, e si stava fumando una sigaretta.
"Quell'imbecille ha fatto lo sgambetto a Psycho facendola cadere!" esclamò l'ambientalista, indicandolo.
Phelps seguì con lo sguardo il dito della ragazza e fece una piccola smorfia quando vide a chi si riferiva.
"Lo conosci?!?" chiese Amalric.
"Lo arrestiamo spesso per guida in stato di ebbrezza e disturbo della quiete pubblica. Se la cava sempre perchè i suoi genitori sono proprietari di una catena di alberghi. E' un figlio di papà viziato che si crede il padrone del mondo e pensa di poter fare tutto quello che vuole. Una volta l'abbiamo arrestato perchè derideva e maltrattava pesantemente dei disabili sulla sedia a rotelle." spiegò il poliziotto, usando un tono sprezzante che mostrava chiaramente il disprezzo che nutriva nei suoi confronti.
"E tu non puoi fare niente?" chiese Psycho, arrabbiata con l'uomo in questione non tanto per lo sgambetto, ma per i disabili.
Prendersela con i disabili è la cosa più disgustosa, più subdola, più ignobile, più meschina e più scorretta che una persona possa fare.
E lui stava tranquillamente fumando una sigaretta.
Tutto ciò era inacettabile.
"Cosa pensi che possa fare? Sono reati minori, reati per i quali passa al massimo una notte o due in cella perchè dopo entra in scena il suo paparino con l'avvocato, il denaro e tutto il resto. Finchè non farà cose più gravi come uno stupro o un omicidio, nessuno di noi potrà fare nulla." rispose Phelps.
"Che schifo."
"State tranquilli. Sono sicuro che prima o poi farà la fine che merita. Ora possiamo muoverci, di grazia?" sbottò Phelps, camminando a passo svelto verso la stanza dove sarebbe stato premiato pubblicamente.
Quando arrivarono, Phelps si fiondò da alcuni suoi colleghi, mentre il resto del gruppo si sedette.
Non appena fatto, si guardarono intorno cercando di identificare chi, tra le donne presenti, potesse essere la famosa fidanzata dell'amico poliziotto.
"Quella?"
"No, è bruna! A lui piacciono le bionde!"
"E quella?"
"Ma chi? La strafiga della seconda fila che sembra una modella? Su, siamo seri. Stiamo parlando di Phelps. Lui una così se la sogna." fece Psycho.
Testa Blu, voltando lo sguardo, incrociò quello di Amalric.
Sobbalzò.
"Ahahah. Sìsì sei divertente. Sei divertente a fingerti di spaventarti ogni volta che mi vedi." mormorò l'autista.
"Cosa ti fa credere che finga?"
"Ehi..." mormorò in tono gentile Psycho all'amica, come se volesse dirle "dai poverino.. lascialo stare".
"Ehi che? Ma l'hai visto? L'hai visto bene? Ha una faccia viscida come un serpente. E gli occhi poi. Perchè deve sempre tenerli spalancati? Qual'è il suo problema?"
"Parla quella che sembra un cartone animato." si difese Amalric.
"Non è così brutto.." mormorò Psycho alla ragazza, facendo in modo che l'interessato non sentisse.
"Scherzi, vero?"
"La volete piantare?!? Guardate che inizia, quindi chiudete il becco!" sbottò Sgarbi.
Le luci calarono e il gruppo vide un uomo di una certa età salire sopra una specie di palco. Doveva essere il capo di Phelps.
"Signori e signore, agenti e civili, benvenuti. Siamo qui oggi per premiare un uomo che fin dal suo ingresso in questo commissariato ha mostrato grandi capacità investigative e rigorosamente ha con.."
"Cazzo ma quanto parla? Quante chiacchiere per una promozione." si lamentò Psycho.
"... ed è per questo che il Comissariato di Milwaukee ha deciso di premiare il suo coraggio e il suo lavoro promuovendolo. Signori e signore, il Detective Collen Wellston."
Chi?!?!?!?!?
"E chi cazzo è Collen Wellston?" chiese immediatamente Psycho.
"Ma siete scemi? E' Phelps. Il nostro Phelps. Pensavate davvero che il suo nome reale all'anagrafe fosse Cole Phelps?!?"
"Ma lui non ha la faccia da Collen!"
"La cosa non ci riguarda minimamente."
"Gente, Phelps, o Wellston, sta salendo per prendere il distintivo. Se non la smettiamo di parlare ci ucciderà e nasconderà i nostri cadaveri sotto le assi del pavimento di casa sua!" disse Amalric.
"Come Nilsen!" esclamò Psycho, contenta di fare sfoggio delle sue conoscenze sui serial killer realmente esistiti.
"Non mi sembra il momento di parlare di queste cose dato che siamo sempre in un distretto di polizia e se qualcuno ci sente finiremo tutti in prigione a vita!"

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Capitolo 11
*** Cerimonia Parte 2 ***


capitolo 11. cerimonia parte 2

"Oh insomma! Dov'è Phelps! Quella cazzo di cerimonia è finita mezzora fa e io voglio andarmi a casa. La mia parte l'ho fatta." sbottò Psycho.
"E vattene. Chi te lo impedisce?"
"Beh.. prima volevo salutarlo... se si desse una mossa!"
"Starà facendo il leccaculo con il suo capo così un'altra promozione si avvicina e quindi un'altra cerimonia. Che bello." mormorò Testa Blu, priva di entusiasmo.
"Per me invece sarà con la sua fidanzata che ha pensato bene di nascondere perchè noi non la incontrassimo in un camerino e quando tornerà qualcosa mi dice che avrà i capelli spettinati, i vestiti messi male e l'aspetto trasandato. Scommessina?" ipotizzò Sgarbi.
"Non farebbe mai sesso sul posto di lavoro. E' troppo stakanovista per farlo."
"Ma che fine ha fatto? Io dovrei andare al lavoro, diamine."
"Oh eccolo. Finalmente." mormorò Amalric, vedendo l'amico avvicinarsi a loro.
"Che fate ancora qui? Io credevo foste già andati via da un pezzo."
"No. Perchè la signorina voleva salutarti." fece in tono sarcastico Sgarbi, indicando con la mano l'amica italiana.
"Perchè?" chiese Phelps.
"Perchè lei è Psycho. E se noi la chiamiamo così ci sarà pur una ragione."
"Bene Psycho. Mi hai visto. Mi hai salutato.Adesso ciao."
"Hai fretta di liberarti di noi?"
"Non fate i bambini. Ci vediamo stasera al solito posto, ok? Ora scusatemi ma ho da fare. Ciao ciao."
"Una volta vederlo era facile. Adesso è come chiedere udienza al Papa." sbottò Sgarbi, mentre con gli altri si diresse verso l'uscita.
Psycho iniziò a guardarlo con un grande sorriso, quel genere di sorriso che ha chi ha un piano.
"Cosa c'è Psycho... cosa c'è? Che avrei fatto stavolta?"
"Quello che hai detto prima.. sul Papa e Phelps.."
"E allora?"
"Se al posto di vederlo avessi detto vederti.... avresti indirettamente citato una battuta di un film."
"E capirai... tu hai visto più di 400 film! E' un po' difficile non dire mai qualcosa che si avvicina ad una battuta di un film."
"Il film è Brokeback Mountain, Sgarbi. Vale a dire uno dei tuoi film preferiti."
Sgarbi rabbrividì immediatamente, come se fosse stato colpito da una potente scossa elettrica.
"Non nominarlo neanche quel coso! Mi devo ancora riprendere! Mannaggia a te che mi hai obbligato a vederlo!"
"Sgarbi, tu non sai quello che dici. Stai offendendo una pietra miliare della storia del cinema."
"Ma fammi il favore! Due pervertiti che peccano sarebbe una pietra miliare del cinema?!?"
Psycho cambiò immediatamente espressione.
"Ritira subito quello che hai detto!"
"No!"
"RITIRA TUTTO!"
"NO! Lo sai che non lo farò."
"Oh Sgarbi... Ormai dovresti saperlo... tu e Psycho non dovete mai, e sottolineo MAI, parlare di gay. Avete pensieri così opposti sull'argomento che ogni volta che lo affrontate finite per litigare, urlare ed insultarvi."
"Cosa te la prendi con me? E' lei che ha cominciato! Con quel cazzo di film!"
"Non l'avrei fatto se tu non avessi detto quella frase!"
"Certo, come no! Perchè secondo te io sono masochista al punto di aver detto apposta quella frase per arrivare a questo?!?"
"Esatto!"
"Te sei fuori. Più fuori di qualunque psicopatico mai esistito sulla faccia della Terra!"
"Il film l'hai pur visto! Grazie a me, tra l'altro. Forse quella scena ti è rimasta impressa."
"Cara mia, le uniche scene di quel film che mi sono rimaste impresse contro la mia volontà sono loro due che si inculano come bestie
! Mi ci vorrà un anno per rimuoverle!"
Psycho stava per ribattere, ma Amalric e Testa Blu li bloccarono appena in tempo.
"Ok adesso basta. Fine. Ci stanno guardando tutti."
"Parliamo d'altro... Ad esempio... ehm... avete novità?"
Sgarbi rispose, ma Psycho non ascoltò una sola parola.
Spostò lo sguardo e vide ancora quell'idiota che le aveva fatto lo sgambetto.
Vicino a lui c'era un paralitico che passava sul marciapiede con la sua sedia a rotelle, e quell'egocentrico viziato, senza pensarci due volte, afferrò la sedia e la chinò con forza su un lato, facendo cadere il disabile.
Poi mise la sedia lontana in modo che lui non potesse riprenderla con le braccia, e poi se ne andò, ridendo.
Psycho aveva visto tutto, ma non era riuscita a impedire il gesto.
Quando arrivò, la vittima era già per terra e l'aggressiore era già sparito.
"Grazie signorina." mormorò l'uomo, quando lei l'aiutò a risalire sulla sedia.
"Meriterebbe la prigione quello stronzo."
"Madre natura gli ha dato un pessimo carattere con il quale finirà solo. Non servono altre punizioni. Questa è più che sufficiente." fece l'uomo un sorriso, muovendo le ruote e procedendo.

ECCOMIII CON UN NUOVO CAPITOLO :D FATEMI SAPERE SE VI E' PIACIUTO.
PS: NON DIMENTICATEVI DEL "VIZIATO".... RITORNERA' ...


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Capitolo 12
*** Amare Sorprese ***


568078 CAPITOLO 12. AMARE SORPRESE

"Fortunato bastardo." sbottò con invidia Amalric.
"Troppo fortunato. Fa schifo da quanto è fortunato." continuò Phelps.
"Deve pur esserci una spiegazione. Magari è una squillo o una prostituta." ipotizzò Testa Blu.
"Ma sei scema? Ti pare che una prostituta si faccia la manicure?" ribattè Phelps.
"Magari ha dei problemi mentali." provò Amalric.
Psycho, che era stata zitta e imbronciata fino a quel momento, intervenì.
"La volete finire? Un vostro amico sta con una ragazza troppo bella e perfetta per lui come per qualsiasi altro uomo sulla faccia della terra e allora? Siate contenti per lui invece di trovare delle scuse insensate perchè ritenete impossibile che Sgarbi non possa avere una donna come lei."
"Zitti! Sta arrivando."
Sgarbi salutò la ragazza, e quando questa uscì dal locale, il professore ritornò dal suo gruppo di amici.
"Come diavolo hai fatto?" gli chiese subito Amalric.
"Non so di cosa parlate."
"Finiscila. Sai benissimo di cosa parliamo. Ora sputa il rospo."
"L'hia drogata? L'hai pagata?"
"Niente di tutto ciò."
"Oh ma per favore!"
"Sarà stato il mio fascino."
Il gruppo scoppiò a ridere.
Sgarbi li fulminò con lo sguardo all'istante.
"Quale fascino scusa?" chiese Psycho.
"Già! Quale delle tue tante qualità l'ha fatta innamorare? I tuoi scleri o quei tuoi occhiali stile anni 50?"
"Ridete ridete! Intanto però io stanotte farò sesso con lei e voi mi penserete."
"Quindi stasera uscite?"
"Già. Un bel ristorante a lume di candela. Per poi concludere in bellezza a casa sua. E nel suo letto. A fare sesso."
"Sì, Sgarbi. Abbiamo capito."
Phelps si alzò di colpo.
"Devo andare. C'è una rapina qui vicino e io devo andare ad aiutare. Ci si vede." spiegò, correndo verso l'uscita.
"Ma non era entrato agli omicidi? Che c'entrano le rapine con gli omicidi?"

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L'appuntamento era andato alla grande e Sgarbi era così fiero di sé.
Aveva trovato una donna bella e per di più colta: non era ignorante come tutte le altre.
Conosceva la storia, la letteratura, l'arte.
Stava seriamente pensando che fosse quella giusta.
Ma dovette ricredersi presto.
Arrivati nell'appartamento, il professore non vedeva l'ora di dirigersi nel letto: erano sei mesi che non faceva sesso, e l'idea di farlo con lei quella sera era... reale.
Aveva anche un bell'appartamento: grande, moderno, ordinato.
Guadagnava anche bene, quindi.
Sempre più qualità.
E Sgarbi da quando la conosceva non aveva ancora sclerato.
Tutto ciò era di buon auspicio.
La baciò con passione, ma poi le si ritirò.
Sgarbi la guardò sorpreso.
"Qualcosa non va?!?"
"Niente. Vado un momento in bagno a rifarmi il trucco. Tu aspettami in camera da letto. E preparati alla notte di sesso più selvaggio di tutta la tua vita."
Beeeeeeene.
Sono in Paradisoooooooo.
Non ci pensò due volte e obbedì ma fu proprio nella camera da letto he l'idillio si interruppe.
Fu proprio lì che Sgarbi perse tutto l'interesse che nutriva nei confronti di quella donna.
E fu lì che si sentì un idiota colossale.
Ovunque.
Nella camera c'erano ovunque segni dell'ideologia della donna che si stava per portare a letto.
"Non è vero..." pensò fra sé il professore, ringraziando il cielo di essersene accorto per tempo.
Doveva andarsene, e subito.
"Allora??? Sei pronto?" mormorò lei, entrando nella camera.
Sgarbi era ancora sconvolto.
Avrebbe preferito scoprire che era schizofrenica.
Avrebbe preferito scoprire che era una psicopatica assassina e che in camera nascondeva teste umane.
Avrebbe preferito scoprire che una volta era un uomo e che aveva fatto l'operazione per cambiare sesso, nonostante la sua omofobia.
Tutto sarebbe stato meglio di questo.
Poster di svastiche e di Hitler per tutta la stanza.
"Ci diamo alle letture leggere, eh?" mormorò l'uomo, indicando un libro sul comodino dal titolo "Come gli ebrei hano inventato la Shoah.".
Avrebbe preferito prenderlo per sbatterglielo in faccia, ma quello schifo non lo voleva neanche toccare.
"Avevi detto di essere di mentalità aperta."
"Questo non ha nulla a che fare con la mentalità aperta."
"Dovresti imparare a rispettare le idee altrui."
"Dio mio, non ci posso credere! Stavo per fare sesso con una nazista!"
"Ognuno è libero di pensarla come vuole."
"Questo è vero. Ed è esattamente per questo che io ora penso di andarmene." sbottò Sgarbi, mettendosi il giubbotto e uscendo da quella stanza infernale.
"Tu non capisci."
"No cara, sei tu che non capisci! Non starò mai con una donna che considera un eroe un mostro che ha ammazzato tutta quella gente. Dovresti vergognarti."
"Ma non mi lasci spiegare."
"Questo perchè non mi interessa ascoltare ciò che hai da dirmi."
Amalric era ebreo.
Il nonno di Psycho era ebreo.
E loro sono due dei suoi migliori amici.
Non poteva stare in quel luogo un secondo di più.
Stava per uscire, ma poi squillò il telefono.
"Pronto?!?" rispose Sgarbi, con un tono furioso.
"Sgarbi, sono Psycho. Hanno sparato a Phelps durante la rapina e ora siamo tutti qui all'ospedale. Sbrigati."

LO SO LO SO.
LA SETTIMANA SCORSA NON HO AGGIORNATO.
VI CHIEDO SCUSA, MA AVEVO L'ESAME DI MATURITA'.
SPERO CHE CON QUESTO CAPITOLO SIA TUTTO A POSTO xD ALLA PROSSIMA!





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Capitolo 13
*** In Ospedale ***


CAPITOLO 13. IN OSPEDALE

"Cosa diavolo siete venuti a fare?!?" sbottò in tono incredulo Phelps nel suo letto d'ospedale mentre un infermeria gli fasciava un braccio.
"Ci ha chiamati il tuo capitano per dirci che ti avevano sparato e che eri all'ospedale. Secondo te cosa avremmo dovuto fare?"
"Un braccio. Mi hanno sparato ad un braccio. E' solo una fasciatura. Vedete?"
"E noi come diavolo facevamo a saperlo? L'abbiamo letto nella sfera di cristallo?"
"Ora lo sapete. Quindi... ciao."
"Vuole che ci togliamo dai piedi." mormorò Amalric al resto del gruppo.
"Che perspicacia." fece in tono sarcastico Phelps.
Calò improvvisamente il silenzio quando videro entrare nella stanza Sgarbi.
Aveva la giacca sotto le braccia e un espressione non tanto felice.
"E tu che cazzo ci fai qui?"
"Mi ha chiamato Psycho. Ha detto che ti avevano sparato."
"Ma sei imbecille?!? Stasera Sgarbi aveva la cena con quella top model! Complimenti Psycho gli hai rovinato la serata per un fottuto braccio!" continuò Phelps.
L'italiana si diede dell'idiota.
Cavolo.
E' vero!
Sgarbi aveva quell'appuntamento!
Come ha potuto dimenticarsene?!?
E conoscendo Sgarbi...
....
Ora sarebbe partita una bella infamata.
E se la meritava tutta.
"Mi dispiace Sgarbi... Mi era completamente passato di mente..." mormorò in tono dispiaciuto la ragazza, nella vana speranza che questo avrebbe migliorato le cose.
L'insegnante non urlò.
Non lo fece.
Non ci andò neanche vicino.
Si limitò a scuotere le spalle.
"Non scusarti, anzi, la tua telefonata mi ha salvato la vita."
Tutti rimasero di pietra.
Sgarbi che... che... non urla?
Anche se era stato rovinato un suo appuntamento con praticamente la donna perfetta?
Che diavolo era successo?
"E' andata così male?" chiese la ragazza.
"Peggio."
"Ti rifarai con il prossimo appuntamento."
"No, voi non avete capito. Non ci sarà un altro appuntamento. Mai più in tutta la vita. Con lei ho chiuso."
"Cioè... sei tu che non la vuoi più vedere?"
"Esattamente."
"Perchè?"
Perchè stima Adolf Hitler.
Era tanto facile dirlo.
Davvero facile.
Quattro parole e loro avrebbero capito.
Ma non voleva.
Non voleva perhcè nonostante le sclerate e tutto il resto, Sgarbi era un vero amico, e non voleva far sentire a disagio Psycho e Amalric, dato che avrebbero fatto parte delle persone che Hitler voleva eliminare. Non voleva che si sentissero in colpa, perchè loro erano il tipo di persona che in quella situazione si sarebbe sentita in colpa.
No.
Preferì inventare una scusa.
"Non si depila."
Tutti guardarono Psycho, dato che neanche lei lo faceva.
"E che vuoi che sia... Neanche gli uomini lo fanno! Però per loro va bene, eh! Per noi donne no!"
"Nelle donne fa schifo. E tu Psycho sei un illusa se pensi di trovare un uomo disposto a fare sesso con te se tu non sei depilata. Rimarrai zitella a vita."
La ragazza uscì dalla stanza.
Tutti pensarono che l'avesse fatto perchè si era offesa, in effetti chiunque l'avrebbe pensato, ma in realtà voleva solo andare in bagno.
"Phelps!"
"Oh andiamo! Anche voi lo pensate che non troverà mai nessuno! Questa è la vita vera, e nessun uomo sarà disposto a passare la vita con lei se non la smette di sembrare un ragazzino di sedici anni e se non si decide a diventare una donna! Sarò schietto, forse anche duro, ma è la verità."
Amalric stava per uscire, ma Testa Blu lo bloccò.
"Lasciala... Vorrà stare sola."

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A dire il vero Psycho non era arrabbiata e non voleva neanche stare sola.
Perchè avrebbe dovuto esserlo?
Pensava anche lei quello che aveva detto Phelps.
Il vero problema era un altro...
Non solo non aveva trovato il bagno.
Si era anche persa.
Ma dai come si fa a perdersi in un ospedale?!?
Solo lei!
Vide un infermiera passarle vicino, così le chiese un informazione.
"Mi scusi... il bagno?"
"Piano terra."
"E questo è..."
"Quatro piano. Ictus."
Quarto piano?
QUARTO PIANO?
COME DIAVOLO CI ERA ARRIVATA AL QUARTO PIANO?
Si diresse verso l'ascensore in fretta, ma una delle stanze era aperta e lei, incuriosita, buttò un occhio.
Era la camera di un paziente.
Nel letto c'era un uomo affetto dalla Locked-In-Syndrome, quella del famoso film che la sconvolse.
Ma non era un uomo qualsiasi.
Questa volta, intrappolato in quel corpo, c'era proprio lui.
Quel ragazzo viziato che se la prendeva con i disabili e con chiunque si trovasse davanti.
Ora era completamente paralizzato e poteva comunicare solo con gli occhi.
Ora il disabile era lui.

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Capitolo 14
*** Senso di Colpa ***


CAPITOLO 14. SENSO DI COLPA

Lei lo guardava.
Non smetteva di guardarlo.
Non voleva infierire, non lo voleva davvero, ma si sentiva... strana... e non riusciva a fare altro.
Quel bastardo, perchè bastardo era, inutile negarlo solo per le condizioni in cui si trovava, aveva finito di essere un peso per la società.
Aveva finito di fare scherzi idioti ai disabili o a chi non si poteva ribellare.
Aveva finito di superare i limiti di velocità con il suo fuoristrada bevendo alcolici in continuazione.
In pratica, aveva finito di fare qualsiasi cosa.
Non poteva, ora era inchiodato ad un letto.
Non sarebbe stato in grado di muovere un solo muscolo.
Non poteva neanche muovere la testa per mandare via una mosca che magari si posava sulla sua testa.
Non poteva muovere le mani per grattarsi.
Con tutte le persone che gli avevano mandato accidenti di tutti i tipi....
Evidentemente qualcuno ha funzionato.
Psycho era una di quelle, e si sentì uno straccio.
Si sentì colpevole.
Il fatto che lui fosse quello che era, non c'entrava nulla.
Lei non aveva alcun diritto di augurargli del male, nonostante lui lo facesse agli altri.
Non sapeva se provava quel senso di colpevolezza perchè era troppo buona o perchè effettivamente avesse sbagliato, fatto sta che non riusciva a smettere di guardarlo.
Al contrario, lui guardava ovunque eccetto lei.
I suoi occhi si muovevano di continuo, ma mai, neanche per un secondo, si fermarono su di lei.
Evidentemente per lui erano notevolmente più interessanti il pavimento, il soffitto e le pareti.
"Psycho??? Psycho?? Terra chiama Psycho."
La voce tonante di Sgarbi fece riportare la ragazza alla realtà.
"Eh? Come?!?" balbettò lei in tono confuso.
"Sì ciao... Uno dei suoi soliti film mentali."
"Scusate... mi sono distratta."
"Ma va?!? Non l'avrei mai detto!" mormorò in tono sarcastico Phelps.
"Phelps chiederà alla sua ragazza di sposarlo stasera." spiegò rapidamente Amalric alla ragazza.
"Che bello! E come le farai la proposta?"
"Ma a te che te frega Psycho?" sbottò il poliziotto.
"Daiiii sono curiosa."
"Come vuoi che faccia? Nel modo più antico del mondo! La porterò in un ristorante chic e a fine serata le darò l'anello. Come immaginavi che le avrei chiesto di sposarmi? Ballando la danza della pioggia?!?"
"Ma il sistema più vecchio del mondo non è mettersi in ginocchio?"
"Ma siete fuori?!? Mettermi in ginocchio? Avete idea di quanto costino questi pantaloni?"
"C'è... fammi capire.... non vuoi metterti in ginocchio... per... per... non rovinare i pantaloni?"
"Anche perchè mi scoccia."
"Sei l'essere meno romantico che conosca."
"Non ci vedo niente di romantico in una proposta di matrimonio. E' una domanda alla quale tu puoi rispondere o sì o no. Cosa c'è di romantico?"
"Capita una sola volta nella vita! Sono quelle cose che si devono fare per il verso giusto!"
"Oh sentite è la mia fidanzata quindi sarò io a decidere come farle la proposta. Voi preoccupatevi delle proposte che farete ai vostri futuri compagni... se ne troverete." rispose cinicamente Phelps, alzandosi e uscendo.
"Secondo me questo matrimonio si concluderà con un divorzio." ipotizzò Testa Blu.
"Come fai a dirlo? Lei non la conosci neanche."
"Non occorre. C'è passare la vita insieme a Phelps? Non riesco ad immaginare niente di peggio!"
"Un matrimonio felice sarà il loro." mormorò Sgarbi, indicando con la testa Amalric e Psycho.
"Come scusa?"
"Oh andiamo.. Da quanto tempo è che flirtate? Saranno mesi ormai. Smettetela di fare gli adolscenti alla loro prima cotta e uscite tra di voi."
Amalric e Psycho divennero improvvisamente rossi in faccia dall'imbarazzo.
In effetti Sgarbi aveva ragione.
Era da tanto che si giravano intorno ed era arrivato il momento di fare qualcosa in proposito.
Psycho prese Amalric per la giacca per farlo avvicinare: nessuno doveva sentire cosa si dicevano.
"Puoi portarmi all'ospedale?"
"Quale ospedale?"
"Quello in cui hanno curato Phelps."
"Perchè? Stai male?"
"No.. io... devo vedere una persona. E non posso più aspettare."
"D'accordo."
La timida coppietta si alzò.
"Beh? Adesso dove andate? A scopare in bagno?" chiese Sgarbi, sorpreso dal fatto che si fossero alzati tutti e due nello stesso momento.
Psycho stava per rispondere, ma Amalric la anticipò.
"Dove andiamo sono solo affari nostri." fece in tono sicuro, uscendo dal locale con l'amica.

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Capitolo 15
*** Una Notte Movimentata ***


CAPITOLO 15. UNA NOTTE MOVIMENTATA

"Grazie mille." mormorò Psycho, quando Amalric accostà la macchina davanti all'ospedale.
"Vuoi che venga?"
"No.. non c'è né bisogno. Tranquillo."
"Mi devo preoccupare? Chi è questa persona che vuoi vedere?"
"Una conoscenza."
"Devo essere geloso?"
"Assolutamente no. Tu sei migliore."
"Mi fa piacere saperlo. Tu intanto vai, io ti aspetto in macchina. Non so come farò a trovare un posto libero, ma sono ottimista."
"Oh no.. non ce né bisogno, credimi."
"Ma com.."
"Vai a casa."
"E tu come torni? Non hai né la patente né la macchina. Davvero non è un problema, posso aspettarti. Lo faccio volentieri.."
"Lo so, credimi. Ma so anche di avere i soldi per il taxi e che hai già fatto abbastanza."
"Stai attenta, però."
"Sono in un ospedale non in un campo di battaglia."
"Però presto sarà buio. E di sera non c'è della gran bella gente in giro. Soprattutto se vedono una ragazza sola po.."
"Starò attenta. Te lo prometto."
Psycho sorrise.
Era così contenta che Amalric fosse così protettivo nei suoi confronti.
Non aveva mai incontrato una persona come lui, e ne era grata.
E pensò che Sgarbi aveva davvero ragione.
Era arrivato il momento di fare qualcosa.
Loro due si piacevano, era così evidentemente.
Ormai tutta Milwaukee lo sapeva.
Era da quando si erano conosciuti che erano attratti l'uno dall'altra.
E continuare a fingere che fossero soltanto amici era ridicolo.
Per loro e per gli altri.
Lei si sporse verso di lui, e gli diede un dolce bacio sulla guancia.
Lui sorrise imbarazzato diventando rosso.
Si accarezzò la guancia in cui l'aveva baciato.
La guardò e le loro labbra furono molto molto molto molto vicine.
Si avvicinavano sempre di più.
Fu Psycho a fermarsi.
Lo desiderava, ma non voleva che accadesse così.
Non voleva dare il suo primo bacio in un auto.
Lo avrebbe baciato, ma quello non era il momento.
"Buonanotte, Amalric."
"Buonanotte, Psycho."

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Questa volta Psycho non si perse.
Arrivò subito al piano degli ictus.
Non sapeva cosa stava facendo.
Non sapeva neanche cosa avrebbe detto una volta entrata.
Tutto quello che sapeva era che doveva vederlo.
Come per regolare i conti.
Si nascose quando vide una coppia abbastanza in là con l'età discutere con un medico proprio davanti alla stanza dell'ex bulletto di strada.
Si capiva che erano abbastanza anziani, ma si tenevano in forma.
Dovevano essere ricchi: vestivano abiti firmati molto costosi.
"Quando tornerà come prima?"
"Signore, suo figlio ha avuto un ictus. E' già un miracolo il fatto che si sia svegliato dal coma."
"Risponda alla domanda di mio marito, giovanotto."
"Potrebbe migliorare, ma ci vorrà molto tempo e solo se lui vorrà. E per migliorare intendo dire che magari riuscirebbe a muovere di nuovo la testa o a muovere di nuovo la lingua, così potrà mangiare da solo, ma se devo essere sincero, dubito tornerà quello di prima. Le possibilità che torni a camminare o a parlare o comunque ad essere in grado di vivere autonomamente sono molto remote. Senza contare che nello stato in cui si trova un banale raffreddore potrebbe ucciderlo."
"Sta dicendo che rimarrà in quello stato per tutta la vita?!? Scherza, vero?"
"Signore, le consiglio di abbassare la voce. Già per lui immagino sia umiliante e terribile. Se lei glielo farò pesare starà solo peggio.."
"Ma dico, l'ha visto? E' un cazzo di vegetale!"
"Signore, è suo figlio."
"Lei ha detto che non è in grado di vivere autonomamente. Questo vuol dire che vivrà sempre qui, in ospedale?"
"Beh sì."
"Bene. Tenetevelo. Fate di lui quello che volete. Per quanto mi riguarda potete anche procedere con l'Eutanasia."
Povero.
Non so davvero cosa deve essere peggio.
Essere paralizzato o avere dei genitori così.
Ma come potevano dire quelle cose?
E' il loro figlio.
Quando se ne andarono, Psycho uscì dal suo nascondiglio e entrò in camera del giovane in questione.
Si chiuse la porta alle spalle.
Ora c'erano solo loro due.
E avrebbero finalmente pareggiato i conti.

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Capitolo 16
*** Preparativi ***


CAPITOLO 16. PREPARATIVI

Restammo per un po' di tempo da soli senza che nessuno dei due aprisse bocca.
O meglio, senza che io aprissi bocca, dato che lui ad ogni modo non avrebbe mai potuto.
Dai suoi occhi, però, capii che avrebbe preferito sprofondare negli abissi più profondi dell'oscurità e incontrare Lucifero in persona piuttosto che passare un altro secondo con me.
Forse perchè io gli ricordavo la sua vita prima dell'incidente.
Una vita che non potrà mai più riavere indietro.
Quando finalmente trovai qualcosa da dire, entrò l'infermeria.
"Oh.. finalmente." esclamò sorpresa, guardandomi.
"Scusi?"
"Tu sei la sua ragazza, no?"
"Ehm.. veramente no."
"Una sua amica?"
"Conoscente."
"Sarai pur contento! Finalmente qualcuno ti è venuto a trovare!".
Cazzo.
Quella infermiera ha la sensibilità di un elefante.
Nessuno aggiunse più nulla.
Sistemò rapidamente il cuscino e poi se ne andò.
Ora erano di nuovo soli.
"Mi dispiace." mormorò Psycho.
Lo disse talmente a bassa voce che per un istante credette che lui non l'avesse sentita, ma poi lo guardò.
L'aveva sentita.
Lo si capiva dagli occhi, che erano spalancati e la fissavano, invece che guardare qualsiasi altra parte della stanza.
La stava ascoltando.
E anche con una notevole attenzione.
"Sì, mi dispiace. Anche se eri un gran figlio di puttana, mi dispiace. Perchè nessuno si merita quello che è successo."
Lui sbattè velocemente gli occhi una volta.
Che diavolo voleva dirle?
Era un sì o un no?
Quasi sicuramente era un sì.
Per un no avrebbe sbattuto due volte gli occhi, invece lui lo fece una sola volta.
Psycho si sentì libera da un grande peso sullo stomaco.
Non riusciva a spiegare perchè aveva avuto l'impulso così forte di vederlo e di dirgli quelle cose che erano sepolte nel suo cuore, ma ora che l'aveva fatto si sentiva decisamente meglio.

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Psycho non disse nulla al suo gruppo di amici.
Non avrebbe avuto senso dirglielo, perchè poi loro le avrebbero chiesto "Perchè l'hai fatto?" e lei non sarebbe stata in grado di rispondere.
Raccontava davvero di tutto a quel gruppo assurdo, ma stavolta non lo fece, ma continuò ad essere pensierosa.
Si sentì crudele perchè gli aveva detto che era un gran figlio di puttana, il che d'altra parte era vero.
Forse quella parte avrebbe dovuto ometterla.
L'unica ragione per cui nessuno si accorse dei suoi pensieri, era Phelps.
Era il suo giorno.
La sua ragazza gli aveva detto di sì e presto si sarebbero sposati.
Sgarbi e Amalric erano già gasati per l'addio al celibato che avrebbero organizzato, iniziando già a pensare ogni cosa, dal giorno al numero di spogliarelliste che avrebbero ingaggiato per la serata.
Psycho non sentì una sola parola di quello che dissero perchè era ancora immersa "nel suo mondo" ma ritornò alla realtà quando sentì Phelps borbottare qualcosa con un tono così insicuro e così basso che era strano provenisse dalla sua bocca.
"Ehm..."
"Ehm?"
"Prima del matrimonio la mia famiglia vuole conoscere Helen."
"Beh, mi sembra abbastanza normale. Dove sta il problema?" chiese prontamente Psycho.
"E Helen vuole conoscere... voi.."
"Eh?"
"Avete sentito bene! Vi vuole conoscere!" esclamò Phelps, tornando al suo tono di voce abituale.
"Dici sul serio?"
"Purtroppo sì. Ha detto che vuole vedere con chi passo tanto del mio tempo e in più è curiosa."
"Fantastico. Già mi piace questa Helen." mormorò Psycho.
"E io non intendo spendere più di una serata con Helen e altra gente. Quindi... farò una sola serata."
"Una.. sola.. serata?"
"Famiglia e amici in una botta sola. Se arriverò vivo a fine giornata farò una preghiera."
"Perchè non fai due serate diverse?"
"Scherzi? No, assolutamente no! Mi scoccia."
"Santo cielo, Phelps!"

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Capitolo 17
*** Al Ristorante ***


CAPITOLO 17. AL RISTORANTE

Phelps andava continuamente avanti e indietro, agitando in modo compulsivo le mani.
Erano anni che non si trovava in un tale stato d'ansia.
Guardava l'orologio ogni minuto e più passava il tempo più era a disagio.
Iniziò persino a toccarsi il collo.
Non riusciva proprio a stare fermo.
Iniziò a calmarsi quando vide i quattro amici andargli incontro, ma la sua agitazione tornò a ritmo esponenziale man mano che si avvicinavano.
"Scusa il ritardo." disse Sgarbi con tranquillità.
"Ma come.. cosa... cosa diamine avete fatto?"
I quattro si guardarono stupiti.
"Niente." mormorò Amalric, ancora più confuso di prima.
"Non avete fatto niente di quello che vi avevo chiesto!"
"Pensavi davvero che l'avremmo fatto?!?"
"Era piuttosto ovvio!"
"Ma Phelps noi scherzavamo! Eri davvero convinto che avremmo finto di essere qualcun altro solo per farti stare più tranquillo? Santo Cielo! Voi uomini siete così ingenui!" biorbottò Testa Blu.
"Voi state sottovalutando la situazione!"
"Con tutto il rispetto, Phelps, non è la fine del mondo se non piaceremo alla tua futura moglie o alla tua famiglia! La vita va avanti."
"Ben detto, Psycho. Sapessi io quanti nemici ho. Uno più uno meno. Che differenza fa?" ribatté Sgarbi.
"Volevo solo che faceste qualche piccolo e insignificante cambiamento. Tutto qui!"
"Lo definisci piccolo e insignificante cambiamento portare degli occhiali da sole e far credere ai tuoi di essere cieco solo perchè i miei occhi sono inqueitanti?!?" sbottò Amalric, irritato.
"O farmi mettere una parrucca e un vestito lungo che mi copra ovunque così non si vedono i miei tatuaggi?" proseguì Testa Blu.
"O impormi di vestirmi con abiti eleganti che odio e depilarmi?" fece Psycho.
"O impormi di non sclerare. Ho bisogno di sclerare! Non posso tenermi tutto dentro!" concluse Sgarbi.
Phelps sbuffò.
Ok, forse aveva un tantino esagerato.
Però quella serata per lui era davvero importante.
Nè la sua ragazza né i genitori avevano mai conosciuto dei suoi amici e lui non sapeva che aspettarsi.
Dopo aver sospirato, guardò per un po' Psycho.
"E adesso che c'è?" sbottò lei.
"Almeno una pettinata potevi dartela eh." rispose lui.
"Se ti vergogni di noi caro Phelps, basta dirlo. E ce ne andiamo."
"No no! Per favore! E va bene. Scus.."
"Eh?"
"Scusate.." mormorò in fretta e furia il poliziotto.
"Non abbiamo capito."
"SCUSATE!"
"Me lo sono sognato io o Phelps si è scusato?" domandò Psycho.
"L'ha fatto."
"Chissà quanto ti è costato! Uno orgoglioso come te!"
"Tu neanche ti immagini quanto."
"Scusa Phelps ti dispiace ripeterlo? E' qualcosa di così unico che devo registrarlo!" mormorò in tono divertito Psycho, tirando fuori il telefono.
"Smettila o te lo butto in un tombino quel telefono!" esclamò Phelps, tornando in sé.
"Faremo faville stasera!"
"Possiamo andare adesso?"
"Loro sono già arrivati?"
"Sì... perchè LORO sono puntuali."
Mentre Amalric, Testa Blu e Sgarbi entrarono nel ristorante, Phelps prese Psycho per un braccio.
"Evita l'argomento serial killer, per favore. Per mia madre uno schiaffo ha già troppa violenza."
Psycho fece un sorriso rassicurante all'amico.
"Farò quello che posso."

ECCCCCCOMI :P
SCUSATEMI TANTO PER IL RITARDO MA ORA IL COMPUTER HA RIPRESO HA FUNZIONARE!
SO CHE IL CAPITOLO E' CORTINO, MA SE CI METTEVO ANCHE LA CENA VENIVA TROPPO LUNGO!
SPERO VI PIACCIA :D
ALLA PROSSIMA!





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Capitolo 18
*** La Cena ***


cap 18 CAPITOLO 18. LA CENA

Non ci posso credere.
Non ci posso credere.
Non ci posso credere.
Non ci posso credere.
ripeteva dentro di sé Sgarbi, senza smettere di guardare la splendida ragazza bionda di quasi trent'anni davanti a lui.
Aveva un viso angelico, quasi perfetto, le labbra carnose ma non eccessivamente e il vestito che portava le faceva risaltare il fisico.
E gli occhi...
Due splendidi occhi chiari.
Quella creatura idilliaca, quella sorta di fata scesa in Terra, era la stessa bellissima ragazza che aveva visto nel Distretto di Polizia dove lavorava Phelps, il giorno in cui era stato promosso Detective.
Perchè c'era? Perchè è sua sorella.
La sorella di Phelps.
Quella meravigliosa visione era la sorella del suo freddo e rigido amico poliziotto.
Come potevano anche solo essere parenti?
Davvero, non riusciva a crederci.
Il suo stupore era tale che lo disse chiaramente, fregandosene che a quella cena non c'erano solo loro, ma anche i genitori di lei, tutti i suoi amici e la futura moglie di uno dei suoi migliori amici.
Massì, al diavolo!
"Ma sei sicura di essere sua sorella? Voglio dire sei così... Wow... lui invece è così... ehm.."
Sgarbi era così incantato dal sorriso di quella meravigliosa ragazza che ignorò completamente lo sguardo agghiacciante e anche abbastanza inquietante di Phelps, che tra l'altro fu l'unico a non ridere.
"Grazie.." rispose gentilmente la ragazza.
Phelps si mise le mani davanti al viso, vergognandosi a morte.
Altre risate.
Era tentato, ma davvero tentato, di dirgli quello che avrebbe detto in quella situazione.
Qualcosa tipo "hai finito?" o "chiudi la bocca".
Ma non poteva.
C'erano la sua fidanzata, sua sorella e i suoi genitori.
Fece una fatica enorme a trattenersi, ma ci riuscì.
La sua ragazza capì, e gli prese dolcemente la mano per rassicurarlo e farlo rilassare.
Psycho li vide.
Sorrise.
Prese Amalric per un braccio, facendolo avvicinare.
"Sono così carini." gli mormorò.
"Pensi che funzionerà?"
"Sì, io penso di sì."
"Io sono cinico. Si conoscono da troppo poco tempo secondo me. Io gli dò due anni."
"Come sei cinico!"
"E tu sei una romanticona."
Vennero interrotti dalla ragazza del loro amico.
"E voi? Da quanto tempo state insieme?"
Amalric e Psycho si voltarono verso di lei.
"Noi non... cioè... è complicato." balbettò Amalric.
"Cioè?"
"Cioè si piacciono ma non sono una coppia." mimizzò il poliziotto.
"Non stanno esattamente così le cose." mormorò Psycho, anche se in cuor suo sapeva che le cose stavano esattamente così.
"No.. scusate. Sono affari vostri, non mi volevo intromettere."
"Non ti preoccupare. Non era un'intromissione."
Phelps era sempre di più a disagio.
Quella cortesia e gentilezza tra la sua ragazza e la sua assurda migliore amica lo inquietava.
Parecchio.
Il resto della cena fu abbastanza tranquilla, e quando fu l'ora di porre fine a quella goffa serata, Phelps fu sollevato come non mai.
In fondo, poteva anche andar peggio!
Salutò i suoi amici, ma prima di tornare a casa con la fidanzata, sua madre lo prese per un braccio e lo mise in disparte.
Gli voleva dire qualcosa che non doveva sentire nessun'altro.
Qualcosa che avrebbe fatto arrabbiare Phelps.
E soprattutto, qualcosa di assolutamente e inevitabilmente vero.


 

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Capitolo 19
*** Paure ***


CAPITOLO 19. PAURE

Aprì gli occhi e vide intorno a sé immagine sfuocate, ma che a poco a poco si fecero sempre più nitide.
Con la mano si sfiorò la causa dello svenimento: una piccola ferita sulla fronte.
Non sanguinava, altro non era che un livido. Però faceva un male..
Ma chi gliel'aveva fatto fare?
Poi, ricordò ogni cosa.
Ricordò com'era svenuto e riconobbe la ragazza sopra di lui.
Fece una smorfia.
"Potresti allontanarti? Mi fai paura così da vicino." mormorò l'uomo, ancora abbastanza disorientato.
"Ha parlato Brad Pitt." sbottò seccata lei, alzandosi, per poi voltarsi verso gli altri e dire "Tranquilli signori, non c'è bisogno dell'ambulanza. Sfortunatamente sta benissimo!".
La folla intorno a loro si allontanò, e nonostante i battibecchi, lei gli porse una mano che lui afferrò per alzarsi.
"Sei sempre un amore eh."
"Oh senti Amalric non iniziare. Già non ero entusiasta che tu venissi. Se poi tu sei così imbecille da sbattere con la fronte nell'angolo di un cartello io non posso farci niente."
"Io avrei sbattuto la fronte nell'angolo del cartello? Davvero? A me sembrava che fossi tu a sventolarlo come una palla! Era impossibile evitarlo. Sei un pericolo pubblico, Testa Blu."
"Cosa sei venuto a fare? Sono nel bel mezzo di una manifestazione contro lo sterminio delle balene in Giappone quindi sono abbastanza occupata. Non ho tempo di fare la babysitter."
"E' per stasera.."
"Stasera?"
"E' l'addio al celibato di Phelps e Sgarbi vuole portarlo in un locale abbastanza spinto.."
"Spinto? Andiamo, non ho otto anni. Chiama le cose con il suo nome, ossia un locale con super alcolici e spogliarelliste."
"Va beh, quello!"
"E il problema qual'è?"
"Che sarà pieno di alcolici."
"E allora?"
"Phelps non lo regge l'alcol. Due bicchieri ed è già ubriaco. E la cosa mi preoccupa."
"Continuo a non capire."
"Non voglio che succeda niente di grave. Se Phelps lo sarà, e se lo saremo anche io e Sgarbi, cosa potrebbe accadere?"
"Santo Cielo, sei peggio di mia madre. E ce ne vuole."
"Voglio solo avvisarti di tenere il cellulare acceso stasera. Tu e Psycho."
"Perchè?"
"Voi fatelo."
"E lei che ne pensa di sta tua trovata?"
"Non lo so. Non risponde al cellulare e non riesco a contattarla da un paio d'ore. Pensavo tu sapessi dove si trovasse. E' sempre la tua migliore amica."
"Beh io sono qui in piazza da quattro ore quindi non lo so. Al lavoro non c'è di sicuro perchè oggi è il suo giorno libero."
"Se la vedi, dirglielo per favore."
"Sì."
"Mi raccomando."
"Sì."
"Non ti scordare."
"Dio Santo! Ma non hai nient'altro da fare? Ciao, Amalric!"
"Va bene va bene me ne vado!"

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"Com'è andata la manifestazione?" chiese Psycho all'amica, non appena la sentì entrare nel loro appartamento.
"Abbastanza bene. Da quanto tempo sei a casa?"
"Un'oretta scarsa.. perchè?"
"Il tuo fidanzato è venuto da me a cercarti."
"Cos.. il mio che?"
"Hai capito."
"Non è il mio fidanzato."
"Ok.. allora mettimola così.. un nano con la faccia da rettile è venuto da me a cercarti."
"Non chiamarlo così!"
"L'hai detto tu che non andava bene fidanzato!"
"Che ti ha detto?"
"Che stasera vuole che teniamo d'occhio i nostri cellulari."
"Cosa? Perchè?"
"Me lo chiedo anch'io. Credo riguardi l'addio al celibato di Phelps. Voleva che te lo dicessi e io te l'ho detto."
"Strano."
"E' più che strano. E' pazzo."


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Capitolo 20
*** Notte.. Movimentata? ***


cap 20 CAPITOLO 20. NOTTE.. MOVIMENTATA?

La notte era in assoluto il momento della giornata migliore per Psycho.
Non era il tipo di ragazza che faceva baldoria, che andava in discoteca o che faceva le ore piccole: no, lei era il genere di ragazza che non appena torna a casa e ha la consapevolezza di non dover più uscire se non il giorno seguente, si mette il suo pigiama, si prepara qualcosa di caldo da bere e dopo aver infilato le pantofole nei piedi, si scaraventa sul divano per vedere un film fino al momento in cui la stanchezza si sarebbe fatta sentire.

Di tutt'altra pasta era fatta la sua coinquilina: erano già le undici passate, e mentre Psycho stava iniziando a sbadigliare, l'amica la salutò per uscire per vedersi con il suo ragazzo, un pimpante hippie che frequentava da qualche settimana.

Dopo una quindicina di minuti, Psycho decise che era arrivato il momento di andare a dormire: domani era un giorno lavorativo, e se avrebbe tardato non si sarebbe più svegliata.

Si alzò e si diresse verso il letto, ma prima di entrarvi sentii il suo cellulare suonare.

"Ma quale disgraziato mi chiama a quest'ora?" mormorò irritata, affrettandosi a rispondere.

"Pronto?"

"Conosce per caso un certo Dermot?"

Psycho era pronta per rispondere no, ma fortunatamente si ricordò in tempo che quello era il vero nome di Amalric.
Ok, quella cosa dei soprannomi stava diventando un problema: non poteva dimenticarsi il nome di uno dei suoi migliori amici! E non era neanche la prima volta.
Comunque, realizzò anche che non aveva idea di chi fosse a parlarle.
Non conosceva quella voce.
Oddio, era successo qualcosa di grave?
Era la polizia? L'ambulanza?
Era l'unica cosa sensata da pensare.

"Cosa gli è successo? Ha avuto un incidente?"

"Veramente... non ne ho idea."

Ok, la cosa si faceva sempre più sospetta.

"Mi scusi cosa?"

"Senta io non ne so niente! Sono solo un barista!"

"Chi le ha dato il mio numero?"

"Il suo amico e altri due tizi sono arrivati circa tre ore fa. Non appena entrato mi ha dato un biglietto con il suo numero e mi ha detto che se si fossero ubriacati pesantemente e se la cosa fosse sfuggita di mano, avrei dovuto chiamarla."

Oh, cazzo!
E' vero!
Sia lei sia Testa Blu si erano completamente dimenticate delle preoccupazioni di Amalric, che si era anche raccomandato di tenere il cellulare sotto controllo!
Come aveva potuto dimenticarsene?
E Testa Blu era fuori e sicuramente non avrebbe badato al telefono.
Doveva fare tutto lei.

"E sono ubriachi tutti e tre?"

Vedere Sgarbi e Phelps ubriachi doveva essere divertente vista la loro mania di essere sempre seri ed impeccabili, ma non era molto contenta di vestirsi, e uscire nel pieno della notte per raccogliere i loro pezzi. E quelli di Amalric.

"Farebbe meglio a venire."

"Di quale locale si tratta?"

"Market Pub. Vicino a Park Avenue."

"Arrivo."

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Capitolo 21
*** Gli Altri? ***


CAPITOLO 21. GLI ALTRI?

Prima di andare in America Psycho era spesso di pessimo umore, ma da quando viveva lì raramente si irritava o si arrabbiava, anche se delle volte lo avrebbe dovuto fare: il suo sogno si era realizzato e niente, assolutamente niente, l'avrebbe fatta arrabbiare al punto da dimenticarsene.

Almeno così pensava, perchè il spostarsi nel pieno della notte per cercare quei tre sciagurati le aveva provocato un fastidio non indifferente. Pensava e ripensava al suo letto e alle sue lenzuola: era troppo stanca per rendersi conto che oltretutto, per una ragazza giovane come lei, girare da sola per la città a quell'ora era tutto tranne sicuro. Fortunatamente trovò un taxi, che la portò davanti al locale.

Dopo aver pagato, entrò nel bar incazzata nera, pronta a riempire di botte quei tre idioti, ma con sua sorpresa ne vide solo uno: se ne stava al bancone, barcollando e balbettando frasi senza senso, scolandosi di tanto in tanto qualche alcolico.

Psycho gli andò incontro e si sedette vicino a lui.

"Phelps."

Lui si voltò.
Se non era ubriaco era imbarazzato, perchè il suo viso era più rosso di un pomodoro.

"Psycho.. che ci fai qui? Bevi! Non so cosa sia ma è buona questa roba.."

La ragazza indietreggiò, agitando le mani.
Non le era mai capitato di trovarsi faccia a faccia con uno più ubriaco.. e soprattutto con uno che avesse un alito così terribile.

"Meglio di no.." mormorò lei, combattendo con l'impulso di scattargli una foto per mostrargliela una volta che si fosse ripreso, giusto per prenderlo un po' in giro.. "Gli altri dove sono?" aggiunse poi.

"Gli altri... gli altri.."

"Sì Phelps.. gli altri."

"Gli altri chi?"

"Amalric e Sgarbi! Spero non siano ridotti come te perchè è la volta buona che impazzisco sul serio!"

A quel punto intervenne il barista, un bel ragazzo tra i venti e i trent'anni.

"E' lei quella che ho chiamato?"

"Sì, sono io. Gli altri due che sono entrati con lui?"

"Intende un tizio con gli occhiali e quel ragazzo che mi ha chiesto di chiamarla?"

"Esatto, proprio loro."

"Non ne ho idea."

"Come?"

"Li ho visti, c'erano anche loro. E credo che anche loro fossero ubriachi, ma penso siano usciti."

"Oh Santo Cielo."

"Mi dispiace ma c'era il pienone stasera e non sono riuscito a stare dietro a tutti 24 ore su 24."

"Fantastico. Che si arrangino, allora. Non intendo cercarli per tutta la città. Non a quest'ora visto che sono oh.. oh Buon Dio.. le quattro.. Io tra tre ore mi dovrei alzare!"

"Se può aiutare ho visto uno di loro... quello senza occhiali.. parlare con una ragazza.. forse se ne è andato con lei."

Con sua grande sorpresa, Psycho non provò irritazione.
Avrebbe dovuto, dato che aveva quella mezza cosa con Amalric, invece non provò un minimo di gelosia.
Non che lei sapesse molto dell'amore, ma era parecchio strano.
Ma non aveva tempo di pensarci.

Aiutò Phelps ad alzarsi, e lo portò verso l'uscita.

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Capitolo 22
*** Bruschi Risvegli ***


CAPITOLO 22. BRUSCHI RISVEGLI

Bolle. Linee. Rette.
Cerchi. Qaudrati. Rettangoli.
Tante forme geometriche si muovevano energicamente, tanto da sembrare un effetto ottico.
Erano di un verde acceso e poi.. poi..
"Phelps! Phelps!"
Il poliziotto si svegliò di soprassalto.
Niente più cerchi e linee: l'unica forma che vedeva era Psycho, che lo stava scuotendo con forza.
Si mise d'istinto una mano sulla testa: sentiva un dolore lancilante, come se qualcuno lo avesse colpito alla fronte con un oggetto appuntito.
"Ahhhh... mi fa male la testa.." borbottò.
"No.. ma davvero?" fece in tono palesentemente sarcastico la ragazza.
"Lasciami stare, Psycho."
"Se magari non avessi bevuto così tanto ieri sera e non ti fossi ubriacato io avrei dormito almeno un po' e forse, e dico forse, sarei stata più gentile. Ma dato che le cose sono andate diversamente stai zitto e alzati, prima che ti colpisca con un vaso. Dopo ben che avrai mal di testa, bello mio."
"Va bene va bene. Mi alzo e faccio quello che vuoi, ma ti prego, ti scongiuro, abbassa la voce."
La ragazza si allontanò dal letto, prese uno smoking e glielo lanciò.
"Vestiti." gli ordinò.
"Come volete, vostra maestà."
"Fai poco il sarcastico. Ho passato una notte in bianco perchè tu non eri neanche in grado di ricordare come ti chiamassi. Se fossi in te striscierei per terra dalla vergogna, altro che fare del sarcasmo."
"Amalric e Sgarbi?"
"Ah se non lo sai te. Vestiti."
"Diavolo, ti ho chiesto di abbassare la voce!"
"Lo farò non appena saremo arrivati in chiesa in orario. Cosa quasi impossibile ormai."
"In chiesa?"
"Sì, ciccio. Sai, tra un'ora ti dovresti sposare."
"Helen!"
"Esatto, Helen! Non lo voglio ripetere più. VESTITI."
"E allora ESCI! "
La ragazza sbottò e uscì dalla stanza.
Il poliziotto si vestì in fretta, e poi raggiunse la ragazza in salotto.
Stava mangiando cioccolata.
"Ma che diavolo combini?"
"Sto mangiando."
"Con tutta la cioccolata che mangi dovresti essere obesa!"
"Ma non lo sono!"
"Dio che schifo. Un maiale si cura di più. E poi non lamentarti se ti vengono i brufoli."
"Meglio i miei brufoli che il tuo vomito."
"Ho vomitato?"
"Più di una volta."
"Oddio. Fortuna che mi hai visto solo tu."
"Sei pronto? Possiamo andare?"
"Cosa? Vieni così?"
"Così come? Ho un vestito! Come volevi tu."
"Che passa totalmente inosservato visti i tuoi capelli alla Tarzan e la peluria da gorilla!"
"Te pensa a sposarti." mormorò Psycho, uscendo di casa con l'amico.

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Capitolo 23
*** Il Matrimonio ***


dit7 CAPITOLO 23. IL MATRIMONIO

"Non durerà mai." esclamò con convinzione Testa Blu, mentre guardava con Amalric e Sgarbi i due sposi, e ora marito e moglie, ballare al centro della sala con intorno molti degli invitati.
"Lei lo lascerà se incontrerà un tipo più bello e più interessante di Phelps. Il che significa che lo lascerà sicuramente, perché non ci vuole molto." continuò Sgarbi.
"Questo è il loro matrimonio accidenti. Non possiamo semplicemente essere contenti per loro e fingere di credere che staranno sempre insieme?" mormorò Amalric.
"Ma non lo pensiamo."
"Per questo ho detto fingere."
Le loro conversazioni si fermarono quando Psycho andò verso di loro.
Erano pronti a salutarla, ma lei fece qualcosa che li stupii del tutto.
E stupii anche lei.
Abbracciò amichevolmente Sgarbi, un abbraccio che durò un po'.
Amalric e Testa Blu si guardavano confusi.
"Ok.. ci siamo persi qualcosa?" domandò l'ambietalista alla coinquilina.
"Non dirò che approverò i gay perché mi hai abbracciato. Non lo farò mai, Psycho." puntualizzò Sgarbi, non riuscendo a capire il perché di quel gesto.
Una volta sciolto l'abbraccio, la ragazza colpì l'insegnante in un braccio.
"E questo per cos'era? Ti sei fatta una canna?"
"Dove diavolo eri finito ieri sera?"
"Ieri sera?"
"Ero dannatamente preoccupata!"
"E perché mammina?"
"Non so.. forse perché eri ubriaco?!?"
"E tu come accidentaccio fai a saperlo?"
Amalric iniziò a ricordare.
"Oh.. oh ora ricordo.. ho dato il vostro numero al barista e gli ho detto di chiamarvi se fossimo stati ubriachi."

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Nonostante le insistenze, Sgarbi non volle dire a nessuno cosa avesse fatto o dove fosse andato quella notte, il che rese gli altri ancora più sospettosi e ancora più curiosi.
Aveva sicuramente fatto qualcosa che non approvava, altrimenti non ci sarebbero stati tutti quei segreti e quei misteri.
Ma Psycho ora aveva altro a cui pensare.
Per esempio Amalric, che non era contentissimo che lei si fosse preoccupata solo per il professore dato che anche lui era ubriaco.
Insomma.. loro due flirtavano da un po' ormai, e quelle attenzioni per Sgarbi non gli avevano affatto fatto piacere.
Doveva assolutamente affrontare la questione con lei.
"Perché Sgarbi?" mormorò, sedendosi vicino a lei.
"Ma ciao anche a te."
"Anch'io ero ubriaco. Perchè eri preoccupata solo per Sgarbi?"
La ragazza sorrise dolcemente e divenne anche lievemente rossa.
"Sei geloso?"
"E se anche fosse?"
"Sei fuori strada, Amalric."
"Cosa dovrei pensare?"
"Dici sul serio? Io e Sgarbi? IO E SGARBI? Dai, sembra assurdo anche a te."
"Allora perché ti sei preoccupata solo per lui?"
"Perché Phelps l'avevo trovato ancora intatto, almeno fisicamente, mentre per quanto riguarda te il barista ha detto che eri andato via con una ragazza quindi ho fatto due più due."
Calò un silenzio imbarazzante.
In effetti quella mattina Amalric si era svegliato con una ragazza, una ragazza tra l'altro bellissima e al di fuori dalla sua portata.
Evidentemente l'alcol lo rendeva più affascinante agli occhi femminili.
Tuttavia, non poteva negare quanto Psycho avesse appena detto.
"Psycho io.. è stato solo sesso.. io non.."
"Non ti devi giustificare con me, Amalric. Sei un uomo libero, puoi fare quello che vuoi."
Cavolo, non erano mai stati così in imbarazzo.
"Vuoi.. vuoi ballare?" chiese poi lui, cercando di rompere quel ghiaccio.
"Non so ballare."
"Io nemmeno. Ci faremo notare, così faremo arrabbiare un po' Phelps."
La ragazza rise e andò verso la pista con l'autista.

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Capitolo 24
*** Mettere le Carte in Tavola ***


cap 24 CAPITOLO 24. METTERE LE CARTE IN TAVOLA

Amalric si grattava nervosamente le braccia e i capelli, guardandosi ovunque come se stesse cercando qualcosa di preciso.
Se ne stava seduto al tavolo da solo una decina di minuti, ma a lui sembrarono un'eternità.
Si sentiva come quando era un ragazzo, e doveva aspettare per qualcosa di importante, come l'esame della maturità e l'esame della patente.
L'ansia sembrava crescere, nonostante lui cercasse in tutti i modi di pensare ad altro.
"Ehi, ciao! Scusami per il ritardo." gli disse Psycho, sedendosi accanto a lui.
L'autista divenne ancora più nervoso.
"Amalric ma stai bene?"
Le mani non riuscivano a stare ferme.
"Noi.. noi dobbiamo parlare." mormorò.
Ora fu la ragazza ad agitarsi.
Dobbiamo parlare.
Quelle due parole associate ad una voce ferma e seria non prospettavano nulla di buono.
"Di.. di cosa dobbiamo parlare?"
"Penso tu lo sappia."
Ancora silenzio.
Amalric fece un grande sospiro e poi continuò.
"Ci conosciamo da un paio d'anni ormai.. e credo sia giunto il momento di affrontare un discorso."
"Ho fatto qualcosa di male?"
Psycho odiava quel genere di situazioni.
Si immaginava sempre il peggio, era più forte di lei.
"No! No, tu.. tu non hai fatto niente.."
"E allora cosa c'è?"
Amalric fece un altro sospiro.
Cavolo, era più difficile di quanto pensasse, ma ormai era sicuro.
Aveva già aspettato abbastanza.
Era giunto il momento di togliersi quel pesante fardello e di essere sincero, soprattutto con lei.
"Tumipiaci."
"Puoi ripetere? Non ho capito."
"Psycho.. tu... tu.. tu.."
"Io?"
"Mi piaci. Mi piaci molto, e da tempo."
La ragazza divenne improvvisamente rossa, e d'istinto si nascose dietro il vaso che li divideva.
"E penso.. penso di piacerti anch'io." continuò Amalric.
Psycho rimase dietro il vaso, facendosi sempre più rossa.
Amalric continuò.
"Vuoi uscire con me?"
La ragazza rialzò la testa, ma continuò a non guardarlo.
"Uscire..  noi due soli?"
"Sì, certo. Noi due da soli."
"Io.. io non lo so.."
Amalric fece un piccolo sorriso e le accarezzò dolcemente la mano.
"Lo so che hai paura."
"Ed è normale averne?"
"Assolutamente sì! Insomma, ne ho un po' anch'io, e la mia è del tutto ingiustificata, dato che ho avuto delle storie da ragazzo. Per te sarebbe la prima volta. Se non avessi paura, beh, allora sì che ci si dovrebbe preoccupare."
Psycho sorrise e recuperato il colore della sua pelle, tornò finalmente a guardarlo.
In effetti, l'aveva sempre saputo di provare qualcosa per lui, ma erano quasi sempre in gruppo e tra una cosa e l'altra il tempo era volato.
Era davvero giunto il momento di mettere le carte in tavola.
"Sì. Voglio uscire con te."

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Sgarbi se ne stava immobile steso nel suo letto, completamente nudo sotto le coperte.
Si voltò verso il comodino e prese gli occhiali.
Avrebbe preferito non metterli, per poter continuare a vedere tutto intorno a sé in modo sfuocato, per poi dare la colpa di quanto era successo all'alcol.
Ma non poteva, perché era perfettamente lucido, e per quanto si stesse vergognando per quello che aveva appena fatto, non poteva fare altro che riconoscere che quell'errore stava diventando una dipendenza.
Un errore può capitare una volta, due al massimo, ma quel "errore" era già capitato molte volte.
Decisamente troppe.

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Capitolo 25
*** Incontro in Ospedale ***


osp CAPITOLO 25. INCONTRO ALL'OSPEDALE

"Io vado a prendere un panino alla macchinetta. Ne vuoi uno?"
Phelps fece no con la testa e il collega si sedette vicino a lui, mangiando.
Una donna era stata pesantemente picchiata e stuprata e ora era in rianimazione. Avrebbero dovuto aspettare per parlare con lei per chissà quanto tempo, e il capitano del loro Distretto aveva dato l'ordine che entrambi rimanessero lì, e per Phelps era davvero frustrante.
Era lì da almeno un paio d'ore, e detestava passare il suo tempo così, che a parer suo era "sprecato". Non che le vittime di stupro non fossero importanti, ma obbligare lui e il collega a stare lì per aspettare lo irritava non poco.
"Vado a fare un giro." disse ad un certo punto.
"Ti chiamo se si sveglia." ribatté il collega.
Phelps visitò qualche piano, non perdendo di vista nessuno.
Tanto non aveva niente di meglio da fare.
Poi, ad un certo punto, vide l'ultima persona al mondo che si aspettava di vedere in un ospedale.
Una persona che conosceva bene.
Psycho.
Quando la notò era ancora abbastanza lontana, ma la riconobbe all'istante.
Rimase di sasso per una manciata di secondi, poi si decise ad andarle incontro.
Avvicinandosi, si rese conto che l'uomo sulla sedia a rotelle con cui era la ragazza aveva avuto un ictus e che fosse completamente paralizzato, ma una volta arrivato a questa conclusione non ci dedicò molto altro tempo: era Psycho che gli interessava, e soprattutto gli interessava sapere cosa diavolo ci facesse lì, con un uomo paralizzato poi, dato che stava bene fisicamente.
Quando Psycho riconobbe l'amico, sgranò gli occhi.
Che diavolo ci fa lui qui?
"Allora Psycho?"
"Cosa?"
"Posso sapere che ci fai qui?!?"
"Potrei farti la stessa identica domanda. E comunque ciao anche a te Phelps."
"Non divagare. Rispondi alla domanda."
"Non sono affari tuoi."
"Psycho, cosa caspita stai combinando?!? Che ci fai tra i paralitici?"
"Phelps!"
"Cosa?!?"
"Non si possono muovere, ma ci sentono! Un po' di rispetto!"
"Non ho insultato nessuno. Ho detto una cosa che sanno anche loro, non vedo quale sia il problema."
"Figurati. Tu non vedi mai il problema."
"Non hai risposto alla mia domanda. Che ci fai qui?"
"Me lo chiedi da amico o da poliziotto?"
"Da poliziotto."
"Offro loro un po' di compagnia."
Psycho sospirò.
Era una cosa che voleva tenersi per sé, ed essere stata costretta a dirlo a qualcuno non fu piacevole.
Non che se ne vergognasse: semplicemente voleva tenerselo per sé.
"In pratica, fai volontariato."
"Non la metterei in questi termini."
"Ah no? Allora come definiresti quello che fai?"
"Come qualcosa che voglio fare. E tu invece? Che ci fai qui?"
"Una vittima è ricoverata qui. Mi occupo del suo caso."
"Avrei dovuto immaginarlo."
Phelps voltò la testa, e tornò a guardare l'uomo sulla sedia a rotelle.
Aveva un viso familiare, così continuò a guardarlo.
E poi, lo riconobbe.
"Ma lui.. lui è.."
Psycho stava per rispondere, ma vennero interrotti dal collega di Phelps.
"Ah, sei qui. Si è svegliata, andiamo. Dobbiamo raccogliere la sua deposizione."
"Non è finita qui!" sbottò Phelps a Psycho, prima di tornare dal suo collega.

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Capitolo 26
*** Pentimento ***


gethtyj CAPITOLO 26. PENTIMENTO

"Finalmente sei a casa!" esclamò euforica Testa Blu, non appena vide l'amica entrare nell'appartamento.
Psycho la guardò confusa.
"Avevamo.. avevamo un appuntamento?"
Se fosse stato così, se ne era totalmente dimenticata.
"Noi no. Ma tu ne hai avuto uno ieri. E non mi hai ancora raccontato niente!"
Psycho sorrise, e si sedette vicino all'amica.
Aveva ragione.
Ieri era uscita con Amalric e non ne aveva ancora parlato con nessuno, solo Testa Blu sapeva dell'appuntamento. Phelps e Sgarbi non ne sapevano assolutamente nulla.
"E' stato molto bello."
"E poi?"
"Lui è stato così gentile. Abbiamo anche ballato. Poi mi ha accompagnato a casa. E' stato un perfetto gentleman."
"Quando uscirete di nuovo?"
Psycho divenne improvvisamente imbarazzata, e cercò di sviare il discorso.
Si guardava intorno e divenne subito rossa.
"Beh?" insistette l'amica.
"Non.. non ci sarà un secondo appuntamento."
"Come sarebbe a dire che non ci sarà un secondo appuntamento?"
"Secondo te?"
"Ma avevi detto che era stato bello!"
"E lo è stato!"
"E che era stato un gentleman!"
"Infatti!"
"Allora cosa è andato storto?"
"Nulla! Assolutamente nulla!"
"Cosa ha fatto? Lo sistemo per le feste!"
"Non ha fatto niente!"
Testa Blu stava per ribattere, ma entrambe sentirono la porta bussare, e così l'animalista si alzò e andò ad aprire.
Davanti a lei, Phelps.
Il nervoso di Testa Blu non fece altro che aumentare.
"E tu cosa vuoi?"
"Lo so che ci sei Psycho! Noi due dobbiamo concludere un discorso!" sbottò il poliziotto, sporgendo la testa dentro l'appartamento.
"Non è il momento!" ribatté Testa Blu.
"Questo lascialo decidere a me!" mormorò il poliziotto, entrando a forza in casa e avvicinandosi a Psycho.
"Non devi arrestare qualche cattivone?" sbuffò la ragazza, non avendo l'intenzione di affrontare ancora quel discorso che avevano già fatto in ospedale.
"Ti sei bevuta il cervello, Psycho? Perhè butti del tempo con quello stronzo?"
"Non sono affari tuoi."
"Ti massacrerebbe di insulti tutto il tempo se solo potesse parlare!"
"Una cosa che avete in comune direi!"
"Hai presente di chi stiamo parlando? Quello ha maltrattato decine di disabili! Ha passato tutta la sua vita a bere, a drogarsi, ad andare con qualsiasi ragazza e a fare danni e danni! Come puoi aiutarlo?"
"Perché nessun altro lo fa! Non lo viene a trovare nessuno!"
"Ma guarda! Chissà come mai!"
"Non vedo come la cosa ti riguardi. Io faccio quello che voglio, non ho bisogno del tuo permesso!"
"Se ti piacciono tanto i paralitici, aiutali! Quelli meritevoli però! Quelli che sono ridotti così perché hanno combattuto o perché hanno salvato delle vite! Oppure tutti quei bambini sulla sedia a rotelle perché non possono camminare o hanno delle malformazioni dalla nascita! Perché tra tutti, dovresti aiutare LUI!"
"Perché è quello che sta peggio."
"Ma davvero!"
"Io sono sicura che sta male perché ora capisce quanto male può aver causato, dato che non può far altro che pensare. Penso che vorrebbe tornare indietro."
"Cazzo, Psycho. Sei più ingenua di una Principessa Disney. Continua a raccontarti queste favolette, se ti fanno stare meglio."


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Capitolo 27
*** Dubbi ***


grthrthfgh CAPITOLO 27. DUBBI

I mesi passarono abbastanza tranquillamente.
Amalric e Psycho spiegarono al gruppo perché avevano deciso di non uscire più: quell'appuntamento fu grandioso per entrambi, ma più che un appuntamento sembrava un'uscita tra amici.
Erano a proprio agio e si erano divertiti, ma come amici.
Si erano resi conto che quella leggera infatuazione che avevano provato l'uno per l'altra era stata momentanea e appartenente al passato, ed era stupido rovinare una così bella amicizia per una relazione che ormai non volevano nessuno dei due.
Phelps era sempre stressato: il suo lavoro da poliziotto iniziava a logorarlo dentro, e come se non avesse già abbastanza problemi, iniziò a litigare spesso con Helen, una cosa che non si aspettava minimamente.
Non facevano sesso da talmente tanto tempo che il gruppo non si ricordava più quale fosse stata l'ultima volta in cui l'avevano visto spettinato.
Il poliziotto era sempre più convinto che lei lo tradisse, e la cosa peggiore era che non gli importava.
Ma c'era chi stava peggio.
Sgarbi non si faceva né sentire né vedere da parecchio ormai, e nessuno sapeva più come contattarlo: non lo trovarono neanche nella scuola in cui insegnava, perché a quanto pare si era preso una "vacanza".
Infischiandosene dei suggerimenti degli altri, Psycho andò nel suo appartamento e bussò fino a quando non ricevette un seccante "Chi cazzo è?" da Sgarbi.
"Ah ma allora sei vivo!"
"Vattene via, Psycho!" urlò a squarciagola lui, una volta riconosciuta la voce.
"Non me ne vado finché non mi dirai che ti sta succedendo!"
"Sto bene."
"Non mi sembra."
Sgarbi fece qualche passo e aprì la porta.
Psycho stentava a riconoscerlo.
Indossava il pigiama come se non uscisse di casa da settimane, gli occhiali eranno appannati e messi male, i capelli spettinati e le enormi borse sotto gli occhi erano fin troppo evidenti.
Sembrava quasi un cadavere vivente.
"Ma che.. che diavolo ti è successo?"
"Vattene via." disse, stavolta con un filo di voce.
"Siamo tutti preoccupati, Sgarbi. Hai idea da quanto tempo non abbiamo tue notizie?!?"
"Sto bene."
"Continui a dirlo, ma sappiamo entrambi che non è vero. Cioè.. guardati!"
"E tu allora? Anche tu vai sempre in giro spettinata e vestita come una barbona!"
"Hai detto bene. Sempre. Quindi non è insolito. Nel tuo caso lo è. Ora dimmi che sta succedendo."
"No."
"Qualunque problema tu abbia, possiamo risolverlo."
"Lo sto facendo già io, grazie."
"Non mi sembra tu stia facendo dei gran progressi, sinceramente."
"Ma che ne puoi sapere tu!"
"E' un problema sentimentale?"
Il silenzio di Sgarbi fu una risposta.
"Se hai litigato con qualcuna.. chiamala e chiedile scusa."
"Non è questo il punto."
"E qual'è?"
"Lascia perdere."
"Ti piace Testa Blu?"
Lui si voltò di scatto e mi guardò furente.
"COSA?!?"
"Tu stai continuando a non dirmi niente! Non sono mica una veggente."
"Psycho, sto bene, dico davvero. Vi chiamerò presto. Tanto ho quasi risolto.. questa.. cosa."
"Sgarbi.. non starai mica in questa situazione perché ti piace qualcuna che non rispecchia la tua tipa ideale, vero? Che ti stai facendo tutte queste pippe mentali perché non è acculturata quanto te?"
Altro silenzio.
Altra risposta.
"Cazzo, Sgarbi!"
"Cosa ho fatto stavolta?!?"
"Sei un deficiente!"
"Sei qui per aiutarmi o per insultarmi?"
"Stai davvero qui a crogiolarti perché la persona alla quale sei interessato non rispecchia i tuoi standard? Mi prendi in giro?!?"
"Lo sapevo che non avresti capito! Nessuno può! Ora puoi andartene?!?"

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Capitolo 28
*** Divorzi ***


CAPITOLO 28. DIVORZI

Di solito in polizia, anche nei casi più difficili, la fase più complessa era l'inizio, quella in cui dovevi guardare ovunque e interrogare chiunque, e a poco a poco il caso si sarebbe risolto da solo.
Questa volta fu diversa.
Phelps era sempre più esausto, e non capitava spesso che fosse il lavoro a renderlo così: di solito era molto svelto a risolverli, forse è anche per questo che è stato promosso Detective solo dopo pochi anni passati in Pattuglia, ma quel caso lo stava logorando dentro, gli stava distruggendo la vita.
Erano sei mesi che ci stava dietro, ed era ancora ad un punto morto, e il nervosismo che piano piano gli cresceva dentro non poteva certo sfogarlo con il suo capo, ma trovava comunque il modo di farlo uscire, sbattendolo in faccia agli amici, che lo trovavano sempre più irritabile e odioso, e la moglie, con la quale litigare era diventato quotidiano, ma lei non era più disposta a vivere così.
Era ancora giovane e c'era un mondo là fuori, e lei non aveva la minima intenzione di buttare via la sua vita dietro ad un uomo che ormai da tempo la usava solo come antistress.
Per questo, una sera, lo fece sedere, e si decise una volta per tutte di finirla.
Phelps era al limite, ma non era stupido.
Nell'istante in cui lei lo fece sedere e lo guardò seriamente, capì dove voleva arrivare.
"Io non posso più andare avanti così." esordì lei.
"Cosa ti aspetti da me? E' il mio lavoro."
"Già. Il tuo lavoro. E' per questo che ho sopportato la situazione fino a questo momento, ma ora basta. Se continuo così, rischio di esplodere."
"Oh, poverina." mormorò sarcasticamente l'uomo, iniziando a gettare il malumore di quella giornata contro di lei.
"Non starò qui a farmi insultare."
"Oh, andiamo! Cosa pretendi da me?"
"Sei benestante. Potremmo benissimo stare anche senza lavoro!"
"Cosa? Te lo puoi scordare! Non lascerò mai questo lavoro! Né per te né per nessun'altra!"
"A questo punto non abbiamo più niente da dirci suppongo."
"Dio, Helen!"
"Domani chiederò il divorzio."
Phelps scattò in piedi furioso, uscendo dalla casa.
In fondo un divorzio era una buona idea: lavoro o non lavoro, lui era ormai consapevole di non provare più nulla per lei, e quell'unione lo faceva soffocare, ma si arrabbiò lo stesso, non tanto per l'idea di non stare più con lei, ma per sentirsi offeso nell'orgoglio.
Voleva solo bere e bere, e si ricordò che nel locale in cui era andato per il suo addio al celibato con Amalric e Sgarbi servivano dell'ottima birra.

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Psycho era esausta. Di solito non si occupava del negozio sia la mattina sia al pomeriggio, ma il suo capo aveva avuto un impegno e l'unica a poter badare al negozio era lei.
Si fece l'orario di chiusura e lei, esausta, stava per chiudere e andarsene, quando lo vide entrare sibilando un grazie.
"Posso sapere cosa avevi di così importante da fare?"
"Oggi avevo i miei figli."
"Ti sei separato?!?"
"Da un paio di mesi ormai."
"E perché non me lo hai detto? Sarei stata più in negozio al posto tuo, bastava chiedere. Non è un problema, davvero."
Voleva anche chiedergli il perché del divorzio, ma non erano affari suoi, e magari a lui non faceva piacere parlarne.
"No. Riceveresti una paga minore rispetto a quella che meriteresti. Anzi, adesso con il divorzio, cercherò di trovare il modo di ripagarti."
"Non dire sciocchezze. Va bene così. Se ti può confortare non sei l'unico ad avere problemi."
"Che succede?"
"Ricordi quello psicotico di poliziotto? E' più psicotico del solito."
"Ma no dai!"
"E' sempre stato al limite dell'insopportabilità, ma qui si sta passando il segno. Una sera dovevano andare tutti insieme al ristorante, ma lui è arrivato in ritardo di mezzora e quando gli abbiamo chiesto il perché lui ha iniziato a sbraitare. Poi, la settimana dopo, eravamo noi ad essere in ritardo di una decina di minuti, e lui quando ci ha visti ha sbraitato. Insomma, ci siamo tutti leggermente stufati di vederlo sbraitare."
"Fantastico."
"E come se non bastasse un altro è depresso come non mai. Se ne sta sempre chiuso in casa a frignare e nessuno capisce perché."
"Chi è depresso?"
"Il professore. Ricordi? L'hai conosciuto alla mia festa un paio di anni fa."
L'uomo sgranò gli occhi quando capì di chi stavano parlando, ma la ragazza non se ne accorse.
"E così.. è depresso?"
"Non immagini quanto. E si ostina a non dirci niente! A me ha detto qualcosina quando sono andata da lui qualche tempo fa, ma niente di precis.."
"TE L'HA DETTO?!?"
La ragazza si voltò verso il suo capo, che la guardava con occhi allucinati.
"Detto cosa?"
Lui guardò verso il basso e si grattò nervosamente la testa.
"Ah, niente, niente. Perdonami, sono stanco, non capisco più quello che dico."
Psycho non ebbe il tempo di riflettere su quella stana reazione che le squillò il cellulare.
"Pronto?"
"Sono sempre io. Il barista di quella notte."
"Senta, se qualcuno è ubriaco chiami un taxi."
"Non qualcuno. Il suo amico poliziotto. Lo stesso di quella sera."
"E' uno scherzo?!?"
La ragazza era molto vicina a fregarsene visto il modo in cui Phelps la trattava in quel periodo, ma purtroppo in fondo lei voleva bene a quel poliziotto, ed era troppo buona per non agire.
"Venga lei stessa a controllare."
"Arrivo."
"Ah sì? Che succede?"

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Capitolo 29
*** Illuminazioni ***


hjh CAPITOLO 29. ILLUMINAZIONI

Phelps era più che convinto che non avrebbe mai potuto essere più furioso della sera prima, ma si dovette credere: svegliarsi con il mal di testa non era in programma e di certo non era piacevole, ma in fondo se l'era cercata.
Sapeva di non reggere l'alcol e aveva scelto comunque di andare in un pub a bere, per soffocare ciò che lo turbava.
Quando si svegliò era tutto intontito, e uscì dalla stanza da letto per poi arrivare in cucina e trovare una persona che non aveva molte sembianze umane, visti i capelli spettinati, gli occhi rossi e quegli stracci che aveva addosso.
Non poteva che essere Psycho.
"Mi sono rotta di dormire nel divano." sbottò improvvisamente lei, quando vide il poliziotto.
"Cosa diavolo stai dicendo?"
Ma che cazzo significava quella frase?
Ma qual'è il problema di questa ragazza?
Se ragazza la si può chiamare..
"Hai capito benissimo. Non intendo più farti da balia."
Phelps iniziò a collegare, ma invece che ringraziarla sbuffò.
"Nessuno te l'ha chiesto." si lamentò lui.
"Stai tranquillo, perché non ricapiterà. Ho stracciato il biglietto che aveva il barista con il mio numero quindi stai pur certo che questa sarà l'ultima volta."
"Lo spero."
La pazienza di Psycho si era ufficialmente esaurita.
Era stufa di farsi in quattro per uno che non apprezzava assolutamente nulla di quello che faceva, e che negli ultimi tempi la trattava come pezza per i piedi.
Se volevo lavorare con i casi disperati, prendevo una laurea in psicologia criminale e andavo a lavorare nei manicomi.
"Senti, bello, se non fosse stato per me a quest'ora saresti in un cunicolo a dividerti una panchina con un paio di barboni, quindi il minimo che tu possa fare è mostare un po' di riconoscenza."
"Se sono così odioso, perché non mi hai lasciato lì?!?"
"Sai, questa è proprio una bella domanda."
Phelps voleva ribattere, ma si limitò a posare la testa sulle mani.
Era troppo stanco e la testa faceva troppo male per iniziare l'ennesima discussione.
Non era pronto, e di certo non ne valeva la pena.
Psycho iniziò col calmarsi, e si diede mentalmente della stupida: non era possibile che si fosse già pentita di essere stata troppo dura con lui.
Era più forte di lei.
Non era fatta per conservare rancore a lungo.
"Tra un paio di mesi è il compleanno di Sgarbi, e visto che lui è un relitto umano, pensavamo di organizzare una festa a sorpresa. Tu ci stai?"
"Ho forse scelta?" continuò a sbottare Phelps, come se avesse tutti i diritti del mondo di fare l'arrogante.
La ragazza ingoiò il rospo, ma proseguì.
"Amalric e Testa Blu hanno ordinato dall'Italia un libro apposta per lui come regalo. Noi dovremo inventarci qualcosa."
"Stai dicendo che dobbiamo uscire per cercargli un regalo? Io e te?"
"No, lo Spirito Santo ci verrà in soccorso portandoci qualcosa. E' OVVIO CHE DOBBIAMO CERCARLO NOI DUE."
"Si si va bene, abbassa la voce però."
"Il primo martedì del prossimo mese? Possiamo incontrarci al solito posto sulle, ehm le quattro, e cercare qualcosa."
"E' proprio neccessario?"
"Sgarbi è anche amico tuo, eh."
"Che palle."
"Allora quel giorno va bene?"
"Sì sì!"
"Phelps, ti avviso, se mi dai buca ti mangio vivo."
"Ma sei sorda?!? Ti ho detto che va bene."
Poi restarono in silenzio per un po', entrambi impegnati a svegliarsi completamente e a terminare la rispettiva colazione.
Phelps pensò al divorzio, al lavoro, e a quanto volesse urlare e scappare via.
Psycho si ritrovò a ricordare la sua ultima conversazione con il suo capo, alla strana reazione che aveva avuto quando aveva nominato Sgarbi e poi pensò a questi, chiedendosi di quale donna si fosse mai innamorato per finire così.
Questi due pensieri erano costanti, e finì con il collegarli, finché non capii tutto.
Sgarbi era depresso perché si era innamorato di qualcuno con cui non voleva stare perché starci insieme avrebbe significato la fine di tutti i suoi principi. Odia le donne ignoranti e stupide, ma c'è chi odia di più. I gay. E guardacaso quando l'aveva nominato con il suo capo, lui si era agitato.
Non.. era.. che..
Era una congettura, un'ipotesi remota, una cosa del tutto improbabile, ma Psycho non ne voleva sapere di stare lì a riflettere ancora.
Si alzò e, ignorando del tutto lo sguardo perplesso del poliziotto che era seduto davanti a lei, uscì di casa.
Phelps guardò la porta ancora per qualche secondo, poi tornò alla sua colazione.
Quella è fuori come un balcone.

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Capitolo 30
*** Crollo ***


asdfghjkl CAPITOLO 30. CROLLO

Più passavano i giorni, più Sgarbi si sentiva distrutto, ma il suo incorreggibile orgoglio, che l'aveva sempre guidato, gli stava imponendo di smetterla. Non poteva passare il suo tempo a starsene rannicchiato in un angolo del suo appartamento per quanto fosse triste ed amareggiato.
Si era addirittura preso dei giorni di ferie, una cosa che non faceva mai. Ormai sarebbe dovuto tornare al lavoro, ma non poteva farsi vedere in quelle condizioni.
Non poteva permetterlo.
Si sentiva vuoto dentro, come se qualcosa a lui indispensabile per vivere gli fosse stata strappata dal corpo, e lui non sapeva più né come trovarla né come rimetterla dov'era.
Tutto quello che riuscì a fare fu radersi la barba che stava crescendo, e pulire gli occhiali. Non era molto, ma era sempre qualcosa.
Doveva uscire.
Vedere gente.
Erano settimane che non vedeva la luce del sole.
Doveva vestirsi e lasciare quell'appartamento, ma più ci provava più si sentiva inadeguato per il mondo là fuori.
Non era mai successa una cosa del genere.
Un tempo pensava che fossero gli altri ad essere inadeguati per il mondo, e non certo lui.
Si grattò la testa e, una volta alzato, sentì qualcuno bussare alla sua porta.
"Sgarbi! Sgarbi!"
Era Psycho.
Ancora.
L'ultima volta era andato molto vicino a raccontarle la verità, anche se a sfumature molto confuse.
Ora cosa poteva volere?
A fatica andò verso la porta, e aprì.
"Qualsiasi cosa tu voglia.. credimi.. non è il momento." mormorò in tono stanco.
Psycho era sinceramente dispiaciuta per come stava l'amico, ma era anche consapevole che se avesse dovuto aspettare lui, sarebbero passate settimane, e quella cosa non poteva più andare avanti.
Quel dubbio non la lasciava in pace un secondo, e lei doveva sapere.
"Lo sto facendo per te." mormorò lei, entrando dentro.
"Te l'ho detto. Sto bene. Ho solo bisogno di un po' di tempo."
"Un po' di tempo? Sai quanti giorni sei stato rintanato qua dentro? I vampiri sono usciti più spesso di te!"
"Non sono in vena di battute."
"Perché non ne parli con me? Non ti fidi?"
"Non sono affari tuoi! Sono cose che riesco a gestire!"
Psycho prese l'amico per un braccio, lo trascinò in bagno e lo mise davanti ad uno specchio, perché lui potesse guardarsi.
"Questo lo chiami gestire?"
"Non è una cosa che ti riguarda." mormorò lui, uscendo dal bagno.
Lei lo seguì.
"E' per Philippe, vero?"
Sgarbi si bloccò di colpo.
Sentì le vertigini in tutto il corpo e il sudore bagnargli il viso.
"C- cosa?"
"Sgarbi, tu e Philippe avete una storia?" insistette la ragazza.
"Che schifo! Come osi chiedermi una cosa del genere? Tu vedi froci ovunque. Sei malata!" urlò arrabbiato Sgarbi, ma non appena diede di nuovo le spalle alla ragazza, delle lacrime gli rigarono il viso.
"Non devi vederla come una colpa! Non si può scegliere chi amare!"
"Vattene via!"
"Sgarbi ti prego ascoltami. Se non vuoi che non si sappia, giuro che ogni cosa che dirai rimarrà tra te e me, ma credimi, parlerne ti farà bene."
"VATTENE VIA!"
"Pensi davvero che una volta uscita da quella porta, staresti meglio? E' qualcosa che non passa. Non è un'influenza. Lo sai come la penso al rigardo, non ti giudicherei mai."
Sgarbi stava per crollare.
Le gambe tremavano, e i singhiozzi erano sempre più difficili da controllare.
Ormai era fatta.
Psycho gli andò incontro e lo abbracciò forte, un abbraccio al quale lui si aggrappò con tutto sé stesso, perché altrimenti sarebbe caduto.

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