As Ink On Paper

di ImAFeather
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue - Alec e Beth ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 - Last Nights ***
Capitolo 3: *** Chapter 2 - New Beginnings ***
Capitolo 4: *** Chapter 3 - Eyes ***
Capitolo 5: *** Chapter 4 - Unforgettable ***
Capitolo 6: *** Chapter 5 - Alive ***
Capitolo 7: *** Chapter 6 - Homecoming ***
Capitolo 8: *** Chapter 7 - Coincidence or Fate? ***
Capitolo 9: *** Chapter 8 - Who Are You? ***
Capitolo 10: *** Chapter 9 - Mad World ***
Capitolo 11: *** Chapter 10 - Very... too ***
Capitolo 12: *** Chapter 11 - Everything... quiet ***
Capitolo 13: *** Chapter 12 - One life, Two roads ***
Capitolo 14: *** Chapter 13 - You? ... You? ... ***
Capitolo 15: *** Chapter 14 - Word... Just Word ***
Capitolo 16: *** Chapter 15 - The Night Of The Wishes ***
Capitolo 17: *** Chapter 16 - Nothing more ***
Capitolo 18: *** Chapter 17 - Only to divide us... a shy smile ***
Capitolo 19: *** chapter 18 - Dad John ***
Capitolo 20: *** Chapter 19 - A song for two ***
Capitolo 21: *** Avviso ***



Capitolo 1
*** Prologue - Alec e Beth ***



 

»Prologue



Alec e Beth - As Ink On Paper

 




Alec non sapeva se fosse un buon segno o l'inizio di una catastrofe, ma di sicuro sapeva che ci doveva provare, perchè quando hai un sogno devi fare di tutto per realizzarlo. Ma quel sogno Alec lo voleva realizzare a dispetto di tutti: dei suoi genitori assenti, dei suoi amici un po' pazzi, dei suoi professori. Lo voleva realizzare lontano, tra la gente, tra nuove lingue, tra suoni e rumori. Voleva realizzare quel sogno a tutti i costi, perchè un Grande Sogno è Futuro, è Speranza, è Libertà!
Lui quella libertà la cercava da molto tempo, anche troppo; voleva essere libero e sognare... ma soprattutto suonare.
Perchè solo sfiorando con le dita quelle sottili e leggere corde della chitarra sognava, liberamente.
Alec non vive per fare musica, lui fa musica per vivere.
Potrebbe smettere di dormire, lavarsi, mangiare e perfino respirare e sopravviverebbe, ma senza musica ogni minuto, attimo, secondo sarebbe una lenta agonia che lo distruggerebbe.
E Alec non può permetterlo. Semplicemente non può.

Alec Cooper non è un ragazzo come gli altri.
Alec Cooper è solo se stesso, solo con se stesso.
E' un amico leale e sincero. Per lui l'amicizia è essenziale. Gli amici sono la sua famiglia, quella vera.
Alec ha solo 18 anni, un passato difficile alle spalle e tanta voglia di andare avanti.
Alec è un ragazzo ambito. Conteso per i suoi occhi neri, le labbra sottili ma carnose, i capelli castano scuro che gli contornano il viso, l'accenno di barba, e le fossette ai lati della bocca che gli donano un'aria da bambino.
Con uno schiocco di dita potrebbe avere tutte le ragazze che desidera. Ma semplicemente non le desidera.
Per Alec le donne, tutte, senza nessuna esclusa, sono affascinanti. Un mondo a parte. Impossibile da capire. Ma lui ci prova lo stesso. Le osserva, tutte. Le vuole scartare, tutte. Come fogli di cipolla, e forse spera, forse, di trovare quella per cui piangere.
Ma Alec semplicemente si nasconde, non per paura. Non per vigliaccheria. Lo fa per non mostrare agli altri il vero se.
Alec Cooper indossa una maschera, come tutti. Ma solo quando vuole. E' se stesso con le persone di cui si fida. Poche. Sono poche.
Alec ha solo 18 anni, e una vita fatta di spartiti, note svolazzanti, melodie scolpite nella mente, idee nate in ogni momento, notti insonne per finire una canzone, cieli osservati in ogni forma possibile in cerca dell'ispirazione.
Alec ha solo 18 anni e una chitarra sulle spalle. Da una vita.
Le mani grandi e con calli per il troppo pizzicare di corde lo distinguono. Rappresentano chi è veramente.
Ed anche se, quasi nessuno l'ha mai sentito suonare, tutti sanno che è bravo.
Si capisce dagli occhi che brillano, dalla gioia che sprigiona, dall'entusiasmo con cui ne parla, dalle mani.

Alec è un musicista. E potrebbe essere nient'altro. Ma non è così.


Alec 18 anni, spavaldo, audace, rompiscatole, festaiolo, avvolte imbranato e impacciato, cacciatore di problemi, riservato e misterioso, affascinante, sensuale, sexy... musicista, in cerca della Libertà, quella Vera!



Non è un giorno come gli altri... Beth è lì, nel suo posto preferito al mondo, il Palladian Bridges, con lo sguardo incantato nel riflesso del tramonto sullo specchio d'acqua disteso sotto di lei. Ad aspettare qualcuno, che forse non sarebbe mai arrivato.
Ciò che Beth aspetta non è una persona, aspetta l'amore.
Lo cerca in ogni luogo, affannosamente e disperatamente.
Lo cerca nei bar, nei parchi, nelle piazze, nei libri, nella musica.
Beth quell'amore lo cerca e non ci vuole rinunciare.
Perchè Beth lo sogna, ogni notte, ad occhi chiusi o aperti, mentre si fa la doccia o studia, a scuola o in autobus.
Mentre disegna, soprattutto mentre disegna.
Ma Beth semplicemente non lo sa. Non sa di vivere di un amore, cercato e non ancora trovato. Non sa di desiderarlo più di ogn'altra cosa. Non lo sa.
Beth dice di non credere nell'amore, e col passare del tempo si è convinta di non crederci.
Ma semplicemente non è così.
Beth crede nei sogni. O se ci crede.
Beth crede nella musica. O se l'ascolta.
Beth crede nell' amicizia. Nonostante tutto.
Beth non si arrende. Non lo fa mai.

Beth Smith non è una ragazza come le altre.
Beth Smith è solo se stessa, solo con se stessa.
Beth è un'amica pronta ad ascoltare, a conservare segreti, ad aiutare. Ma non a fidarsi.
Beth ha solo 16 anni, il peso del mondo sulle spalle e tanta voglia di gettarlo da un ponte.
Beth è una ragazza bella, molto bella. Ma non lo sa.
Perchè, quella di Beth, è una bellezza che non sta ferma.
E' una bellezza non visibile a prima vista.
E' una bellezza nascosta dietro due grandi occhioni blu, delle guance rosse, un sorriso timido e delle mani nervose.
E' una bellezza nascosta dietro lunghi capelli neri, lisci come seta, che le coprono il viso.
Una bellezza visibile solo a chi, la bellezza, sa apprezzarla.
Beth Smith indossa una maschera. Come tutti. Anche con se stessa.

Beth ha solo 16 anni e una vita fatta di disegni, pennelli rovinati, colori finiti, vernice ovunque, schizzi sparsi in ogni angolo della sua camera, idee nate nei momenti meno opportuni, notti insonni in cerca d'ispirazione e musica a farle compagnia.
Beth ha solo 16 anni e un album da disegno nella borsa. Da una vita.
Le mani piccole e decise nel impugnare una matita sono la sua sicurezza. Rappresentano chi è veramente. Ed anche se, nessuno ha mai visto i suoi disegni, quelli fatti in camera con il cuore aperto, tutti sanno che è brava. Si capisce dal modo in cui muove ogni attrezzo, dagli occhi che ardono, dal sorriso che spunta, dalle mani.

Beth è un'artista. E potrebbe essere nient'altro. Ma non è così.


Beth 16 anni, sensibile, ingenua, imbranata, timida, avvolte coraggiosa e un'altra se, calamita per problemi, riservata e misteriosa, testarda, leale, bella, inconsapevolmente sexy... artista, in cerca dell'Amore, quello Vero!

                        

Palladian Bridges

 


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Capitolo 2
*** Chapter 1 - Last Nights ***



»Chapter 1


Last Nights - As Ink On Paper




"Settembre, come tutti i mesi di transizione, cullava gli incerti. Fuggiva in avanti con il vento fresco che sarebbe diventato presto autunnale, si rifugiava indietro nella luce ancora estiva del cielo. E ciascuno poteva assaporare quello che preferiva: foglie più pallide che cominciavano ad abbandonarsi, nuvole veloci e senza pioggia, pezzi di blu tra i palazzi grigi come cerniere dell'infinito."

 

E Beth non sapeva scegliere cosa preferisse di più.

Si cullava nell'incertezza, stretta nel suo maglione bordeaux, diventato ormai leggero per il tempo che abbracciava Bath.

Il cielo, come lei e forse, poche altre persone, aspettava con ansia il tramonto.

Beth, era lì, su di una panchina. Sola. In compagnia, di ciò che c'è di più bello al mondo: la natura.

Intorno a lei, quello che una volta era un prato felice, ora, sembrava essere una coperta in patchwork. Il verde era coperto a tratti da foglie gialle, arancioni, rosse e qualcuna, invece, si mimetizzava. Gli alberi sembravano invecchiati senza la folta chioma di foglie a colorarli. Altri, erano come congelati dal tempo, sempreverdi. E Beth, voleva essere come quegli alberi, semprefelice. Ma semplicemente non era possibile.

Beth, era lì, su di una panchina. Con un romanzo sulle gambe e una cioccolata calda in mano. Ed era in pace.

Il liquido scuro scendeva lungo la sua gola riscaldandola. Accanto la panchina, dalla borsa, Beth prese il suo album e la scatola di colori. Era il momento.

Il cielo si dipinse di colori adatti a quella stagione. Rosso e arancione lottavano per avere il dominio della tela, sfumandosi poi nel giallo dopo aver trovato accordo. Il sole calava sempre di più fino a fondersi con la linea dell'orizzonte, diventandovi un'unica cosa. Un'unica fascia che prendeva fuoco. Beth ne era certa: il cielo stava bruciando. E non aveva mai visto incendio più bello.

Dopo che il cielo fu interamente bruciato, le ceneri lo dipinsero di nero.

Piccole fiamme vi galleggiavano. Illuminandolo.

Ed ora non era più nero. Era trasparente. Rendeva visibile ciò che il giorno nascondeva. Rivelava ciò che per millenni aveva affascinato l'uomo: un manto stellato.

Sul foglio che aveva in mano, erano impresse tutte le sfumature e sfaccettature che quella sera avevano attraversato il cielo. Prese una penna e sul retro, in fondo a destra scrisse:

cielo di Bath - tramonto - 10 settembre 2013_Beth Smith

E lo ripose nella cartella con altri centinaia di schizzi. I suoi schizzi.

Dopo una cioccolata calda finita, un romanzo a metà e un nuovo schizzo, Beth lasciò quello che fino a pochi secondi prima era stato testimone della vera se. Quella che diventava con un foglio da disegno e una matita. La vera Beth.

Con il freddo che le percorreva la pelle, rendendola d'oca, s'incamminò verso casa.

Quella, ora ne era consapevole, sarebbe stata una delle sue ultime notti lì. E voleva viverle, tutte, prima dell'imminente ritorno a scuola.

 

 

Il tramonto aveva attraversato il cielo da poco e Alec, si ritrovò a pensare come sempre, che forse, quello sarebbe stato l'inizio di qualcosa di bello.
Che forse, quello sarebbe stato l'inizio di qualcosa di nuovo.
Ma dopo, il cielo tornò come ogni sera nero e la speranza che per qualche secondo aveva invaso la sua mente sparì, così come i colori in cielo.
E ciò che rimase fu solo nero. Stupido ed insulso vuoto. Nero.

Alec, era scappato per l'ennesima volta di casa. E come sempre, lo aveva fatto di nascosto.

Con la chitarra sulle spalle si era diretto verso il Palladian Bridges.

Il Prior Park, a circa a 1,5 km a sud del centro di Bath, era il luogo che Alec preferiva di più. Addentrandosi nel parco si scoprivano laghi con cascate, un tempietto gotico e un famoso ponte palladiano oltre alla suggestiva vista che spaziava sul profilo di Bath.

Ma ciò che Alec preferiva di più in assoluto, era la vista che si aveva dal ponte.

Il tempo impiegato ad arrivarci a piedi non poteva essere speso meglio. Quel suggestivo luogo era sede delle migliori notti di Alec. Vi si recava quando il tramonto era alle porte e lo osservava per tutto il tragitto.
Poi, in compagnia del buio suonava.

Quel parco era testimone delle sue canzoni, delle sue gioie e dei suoi dolori. Della sua vita.

Ma quella sera qualcosa galleggiava nell'aria. Sarà che l'estate era finita. Che l'autunno era alle calcagna. O che l'ultimo anno di liceo si avvicinava. Quel maledettissimo e tanto atteso ultimo anno.
E Alec non ne era per niente felice.
Ricominciare la scuola significava non poter passare le intere sere e aspettare l'alba, lì, con la sua chitarra. Vivere di notte, quando intorno ci sono le stelle e la luna ad illuminarti, i pensieri a specchiarsi nel fiume, e note una dopo l'altra a far da vento in serate dove il caldo sembrava non darti scampo, o semplicemente un bagno nella natura e dormire, in quel luogo, dove tutto tace e acconsente.
Sentirsi, anche se per poco, anche se in minima parte: liberi.
E di certo la scuola non era sinonimo di liberà. Più che altro un contrario.

Alec era lì. Le corde della chitarra tra le dita e la testa vuota. Ma mai così piena.

Pronto per una delle ultime notti dell'estate. Che per lui sarebbe ufficialmente finita il primo giorno di scuola.



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Ink Droplets

Care lettrici,
In primis mi presento sono Fil alias IamAFeather.
Questo nome è nato così, senza un motivo preciso, o forse inconsciamente mi sento proprio come una piuma, leggera e libera di volare. Ma ho bisogno di una folata di vento per farlo... la scrittura.
Per essere leggera, però, ho bisogno di leggere. E non è un caso che le due parole siano simili, o quasi del tutto uguali. Perchè leggere ci rende la testa leggera e libera di volare. Lì dove, le storie lo permettono, e superare i confini di chi si limita a vedere il mondo in superficie e così come appare.
E spero che la mia storia ve lo permetta.
Questi primi due capitoli sono un po' corti, nei prossimi, entrando nel vivo della storia, il racconto sarà più lungo.

La citazione a inizio capitolo è tratta dal romanzo di Alessandro D'Avenia Cose che nessuno sa. E non avrei potuto trovare o scrivere inizio migliore, per questo l'ho scelto. Spero vi piaccia.

Cosa ne pensate di questi primi due capitoli?? Recensite e se vi va seguite la mia storia. Non ve ne pentirete.
Parola di IamAFeather.
Xoxo

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Capitolo 3
*** Chapter 2 - New Beginnings ***


 

 

»Chapter 2



New Beginnings - As Ink On Paper

 



Alec è sfacciato.
E' sfacciato nella sua camminata. Audace.
E' sfacciato nel sorriso sghembo che rivolge alle ragazze.
E' sfacciato negli occhiolini seducenti.
Lo è nel suo sguardo freddo e assente.
Lo è nelle sue battutine maliziose.
Nel modo in cui impugna la chitarra.
Quando si aggiusta i capelli ricci. E allora, non è solo sfacciato, è anche sexy.
E' sexy nel suono della sua voce roca. E lo è ancora di più quando canta.
E' sexy nel modo in cui guarda una ragazza che gli interessa. Lo sguardo per le sue ragazze da una notte.
E' sexy nel suo abbigliamento, non curato.
E' sexy nei suoi occhi neri. Profondi come un pozzo senza fine.
Nell' accenno di barba che lo fa sembrare più uomo.
E nelle fossette che, invece, gli donano un'aria da bambino.
Alec Cooper è sfacciato e sexy nel suo sembrare un angelo.
Alec Cooper è sfacciato e sexy nel suo essere musicista.
Alec è dannatamente sexy nel suo essere misterioso.
Alec è dannatamente sfacciato nel provocare.

Alec Cooper è tutto questo. E molto di più.

Beth è timida.
E' timida nella sua camminata. Impacciata.
E' timida nell'incrociare il suo sguardo con quello di un estraneo.
E' timida nel parlare, anche con chi conosce.
Lo è nel modo in cui abbassa lo sguardo per il disagio.
Lo è quando non è in camera sua. Tra le sue cose.
Quando si sposta i capelli, troppo lunghi, che le coprono il viso. E allora, non è solo timida, è anche imbranata.
E' imbranata quando inciampa nei suoi stessi passi.
E' imbranata quando pensa una cosa ma ne dice un'altra.
E' imbranata quando fa qualcosa e finisce col fare, il più delle volte, brutte figure.
Nei suoi occhiali troppo grandi, che indossa solo quando legge o disegna.
Lo è quando indossa quelle felpe di due o tre taglie più grandi di lei e non riesce mai a trovare i fori per le braccia.
E nei lacci degli anfibi, troppo rovinati, che un giorno si annoderanno.
Beth Smith è timida e impacciata nel suo sembrare un angelo.
Beth Smith è timida e impacciata nel suo essere un'artista.
Beth è dannatamente timida nel suo essere misteriosa.
Beth è dannatamente imbranata nel provocare.

Beth Smith è tutto questo. E molto di più.


Nei suoi jeans neri a bassa vita e t-shirt grigia aderente. Alec Cooper è sfacciatamente sexy.
Con una borsa a tracolla in pelle nera, completamente vuota se non per l'ipod e vari CD, Alec si dirige verso quello che sarà, spera, il suo ultimo primo giorno di scuola.
Il Bath High School, si presentava in tutta la sua grandezza davanti ai suoi occhi neri. Le voci acute delle ragazze in piena crisi "primo giorno" riempivano l'aria. Agli angoli dei cancelli ragazzi si complimentavano tra di loro per le conquiste estive. I giocatori delle varie squadre sportive e le cheerleader, sostavano occupando ogni millimetro possibile delle povere auto costrette a tanta stupidaggine. E poi c'erano quelli che Alec preferiva, " le anime solitarie", quelli che semplicemente stavano in silenzio.
I novellini, invece, sostavano davanti al cancello, paurosi di entrare in un nuovo mondo e di lasciare il nido sicuro, che li aveva protetti, alle spalle. Nei loro occhi Alec vide la speranza di un qualcosa di migliore e nuovo, ma ben presto, questa, sarebbe stata sostituita dalla voglia di evadere. Di essere liberi.
Ogni anno la stessa storia, pensò.
E, già, la poca voglia che alle 7.00 aveva fatto aprire i suoi occhi per recarsi in quella fottuta scuola, l'aveva abbandonato.
Ora voleva solo dormire nel suo letto. Suonare la sua chitarra. E tornare nel suo posto. Voleva stare solo. Girare i tacchi e andarsene. Ma semplicemente non poteva.
Jake, nei suoi jeans skinny e t-shirt nera, con un sorriso a trentadue denti, felice come una pasqua di rivedere il suo migliore amico dopo tre mesi passati in vacanza, gli si avvicinò.
Si salutarono con una pacca sulla spalla e insieme diedero inizio a quel maledettissimo ultimo anno con una sigaretta. Rito di inaugurazione per tutti i nuovi inizi.



Era in ritardo, in un fottuto ritardo.
Il primo giorno di scuola in ritardo, un maledettissimo ritardo. Fantastico, pensò.
Prese la borsa e corse frettolosamente verso la scuola.
Chiunque la guardasse correre pensava che avesse una grande voglia di andare a scuola, ma era maledettamente sbagliato.
Quel giorno, pur se in ritardo, si era svegliata, e con l'umore sotto i piedi si era preparata a quel ultimo primo giorno del terzo anno.
I jeans skinny scambiati aderivano alle sue gambe snelle coperte da un maglioncino, di qualche taglia più grande, bordeaux. Gli anfibi slacciati rendevano la corsa un po' difficile.
Ma dopo quindici minuti di corsa sfrenata, si ritrovò di fronte, in tutto il suo splendore, Il Bath High School. In anticipo di cinque minuti al suono della campanella.
Beth non era un'amante della scuola, ma si rassegnava a doverla frequentare.
Come ogni primo giorno che si rispetti, il cortile era gremito di alunni, con nessuna voglia di essere rinchiusi in quell'edificio e con la mente che ritorna all'estate appena trascorsa.
E Beth non faceva eccezione.
In quel momento voleva solo dormire nel suo letto. Disegnare sul suo album. E tornare al Palladian Bridges. Voleva stare sola. Girare i tacchi e andarsene. Ma semplicemente non poteva.
Poi, si sentì stritolare da due paia di braccia, si girò e trovò Hannah e Ed che le sorridevano come due bambini.
I suoi migliori amici, erano lì, davanti ai suoi occhi dopo tre mesi. Hannah con i suoi capelli biondi e gli occhi cielo era fasciata in un vestitino tutto fiori, mentre, Ed aveva la sua solita maglia nera con dei jeans larghi e gli occhi terra bruciata.
Ed ora, forse, tanta voglia di tornare a casa non l'aveva più. Ed ora, forse, era pronta per un nuovo inizio.




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Ink Droplets


Care lettrici,
eccoci ad un nuovo capitolo.
Lo so, non è niente di che. Perdonatemi se potete.
Prometto che il prossimo sarà migliore.

Comunque cosa ne pensate?
I nostri protagonisti si incontreranno?
E come?

Ditemi ciò che pensate con una recensione e se avete idee o suggerimenti per un loro incontro fatevi avanti.
Ringrazio ufficialmente ChiaraColfer95 per seguire e aver recensito la mia storia.

Xoxo Fil

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Capitolo 4
*** Chapter 3 - Eyes ***


 

»Chapter 3



Eyes - As Ink On Paper



Dopo un benvenuto per il nuovo anno da parte della preside Phillips, tutti gli alunni del Bath High School si dileguarono. Ragazzi sostavano davanti alle aule intenti a salutarsi e augurarsi di resistere a quella condanna chiamata scuola. Coppiette si donavano l'ultimo bacio per salutarsi e accettare di non vedersi per ore spese, secondo loro, nel più stupido dei modi. Professori pregavano per quell'anno, che speravano, sarebbe stato diverso per poi, accettare che la scuola e gli alunni non cambieranno mai. Cheerleader, invece, si mettevano in mostra appoggiate ai loro armadietti, come se fosse una sfilata, in cerca di attenzioni maschili. I ragazzi più ambiti, sportivi senza cervello, per la maggior parte, mangiavano con gli occhi e commentavano con apprezzamenti poco casti le belle ragazze.

Alec, era già in classe, seduto sul banco, gamba piegata sulla sedia del banco avanti, note nelle orecchie, sguardo perso nel cielo.
E tremendamente sexy.

Beth, era già in classe, seduta sul davanzale della finestra, gambe piegate al petto e circondate dalle braccia, note nelle orecchie, sguardo perso nel cielo.
E tremendamente strana.

Passate solo due ore, Beth stava soffocando. Le mancava l'aria.
Chiese al prof. di uscire e si diresse nell'unico luogo di libertà in quel carcere.
I bagni del terzo piano erano i più belli. Grandi e luminosi. Pieni di storie. Storie, forse, come la sua.
La rampa di scale, era un sacrifico accettabile, per quella libertà.
Beth, era intenzionata a restarci tutta l'ora. Perchè ad essere sinceri di biologia, quel giorno, non le fregava proprio.


Alec, dopo solo due ore, era già evaso. Scappato dalle grinfie della prof. di fisica e latitante nei bagni.
I bagni del suo piano, il terzo, erano i più ambiti. Dove quasi nessuno, delle classi inferiori, osava recarsi.
Tra le labbra una sigaretta e la mente galleggiante tra i pensieri.
La campana della terza ora aveva appena suonato il suo ultimo avviso. Due mozziconi di sigarette nel cestino. Alec non era per niente pronto per un'altra ora.
Aprì la porta e con la testa china uscì. Ma un qualcosa gli finì addosso.

Aprì la porta e con la testa china uscì. Ma si scontrò con qualcosa.

Due grandi occhi blu. Meravigliosi, pensò.

Due profondi occhi neri. Stupendi, pensò.

Beth e Alec, stavano affondando entrambi negli occhi dell'altro. Blu nel nero. Nero nel blu.

Alec, non aveva mai visto degli occhi così blu. Blu.

Beth, non aveva mai visto degli occhi così neri. Neri.

Il misterioso ragazzo sussurrò un leggero scusa. E sparì, velocemente, come era arrivato. Privandola dei suoi magnetici occhi neri.

Alec, disse uno scusa sussurrato e se ne andò. Lasciandosi la ragazza dai magnetici occhi blu alle spalle.


Il prof. Murphy era appena entrato nella classe di Beth.
Si presentò come insegnante di arte.
E la giornata di Beth sembrò iniziare a girare nel verso giusto.
<< Non farò l'appello per conoscervi. I vostri nomi non rappresentano chi siate, che persone siate. Sono solo nomi. Superflui, per artisti, che si conoscono per la loro arte. >> il giovane uomo dagli occhi verde speranza, ottenne l'attenzione dagli alunni, poi, continuò:
<< Voglio conoscervi attraverso ciò che pensate dell'arte. Attraverso ciò che l'arte è per voi. Attraverso il vostro essere artisti. >> le fronti degli alunni erano aggrottate e il prof. sorrise.
< Questi sono fogli bianchi. Completamente bianchi... >>
<< Queste sono penne. Di diversi colori... >> continuò.
<< Alzatevi e prendete foglio e penna. Scegliete il colore in base al colore di occhi che avete impressi nella mente. >>
Beth alzò lo sguardo.
<< A questi occhi dedicate un tema. Scrivete cos'è l'arte. Scrivetelo come volete. Scrivete ciò che volete. Una sola regola: liberà. Siate liberi di essere voi stessi. >> annunciò con occhi sognanti e i gli alunni non poterono non pensare che quell'insegnante fosse strano, tutti tranne Beth.
<< Buon lavoro! >> concluse.


In classe, la prof.ssa Taylor, era intenta a spiegare ai ragazzi un'idea che lei e il suo fidanzato, insegnate d'arte, avevano avuto.
La giovane donna dai capelli ramati e gli occhi cioccolato disse che non voleva che i suoi alunni si presentassero con il loro nome, ma con la loro musica.
Enunciò che voleva conoscerli per ciò che pensavano della musica e per ciò che questa significava per loro. Per il loro essere musicisti.
E la mattina di Alec, sembrò finalmente iniziare con il piede giusto: la musica.
<< Questi sono fogli bianchi. Completamente bianchi... >>
<< Queste sono penne. Di diversi colori... >> continuò.
<< Alzatevi e prendete foglio e penna. Scegliete il colore in base al colore di occhi che avete impressi nella mente. >>
Alec alzò lo sguardo.
<< A questi occhi dedicate un tema. Scrivete cos'è la musica. Scrivetelo come volete. Scrivete ciò che volete. Una sola regola: liberà. Siate liberi di essere voi stessi. >> disse con occhi entusiasti e i gli alunni non poterono non pensare che quell'insegnante fosse strana, tutti tranne Alec.
<< Buon lavoro! >> concluse.

Beth si alzò, prese un paio di fogli e tra le penne una sembrava chiamarla. Era nera.
Nera, come gli occhi di quel ragazzo.

Alec si alzò, prese un paio di fogli e tra le penne una sembrava chiamarlo. Era blu.
Blu, come gli occhi di quella ragazza.


Cos'è l'Arte?
Per la maggior parte dei ragazzi è solo qualcosa di passato. Vecchio.
Per la maggior parte dei ragazzi è solo qualcosa di "palloso". Inutile.
Disegni. Schizzi. Macchie di colore. Quadri appesi.
L'Arte è un disegno nel quale l'anima è messa grafite su foglio.
L'Arte è uno schizzo, un ritaglio del tempo.
L'Arte è delle macchie di colore che colorano la vita.
L'Arte è quadri appesi. Quadri nei quali l'artista ha messo un pezzo della propria anima, i propri sentimenti, la propria vita.
L'Arte è musica, danza, scrittura, disegno, fotografia, parole, baci, carezze, lacrime... L'arte è tutto questo, ma molto di più.



Musica...arte di combinare insieme i suoni.
La Musica non è quella che si sente in discoteca.
La Musica non è quella fatta di parole in fila indiana senza senso.
E' poesia, arte, sentimenti, emozioni... vita.
La Musica è brividi che percorrono la schiena.
E' pelle d'oca.
E' lacrime di gioia o di tristezza.
E' cuore palpitante.
E' corpo che freme.
E' occhi che si scontrano.
E' un po' come l'amore.
La Musica è tutto questo, ma molto di più.

Arte è magia.

Musica è magia.

L'Arte è nero.

La Musica è blu.

L'Arte è tutto ciò di cui posso vivere, respirare.

La Musica è tutto ciò di cui posso vivere, respirare.

Sono io.

Sono io.

L'Arte non è solo fermare un momento.
E' rubare un pezzo di vita.
Ingannare il tempo.
E non è semplicemente Arte...
E' ciò che si nasconde dietro occhi di chi non vuol vedere...

La Musica non è solo fermare un momento.
E' rubare un pezzo di vita.
Ingannare il tempo.
E non è semplicemente Musica...
E' ciò che si nasconde dietro occhi di chi non vuol vedere...

Beth Smith

Alec Cooper


Il tempo che il prof. aveva dato agli alunni era scaduto. Dice che non importa se non hanno finito perchè non è un tema che si può finire. E' infinito.

La prof. ritira i temi senza lascarli finire. Dice che non si possono finire. Ci vorrebbe troppo tempo. E quel tema è infinito. Il tempo no.

Andrea, la ragazza al primo banco, treccine, occhiali e occhi cenere alza la mano e fa una domanda:
<< perchè ci ha chiesto di dedicarla a degli occhi? >> il giovane insegnante sorride
<< non sono semplici occhi, sono quelli che non riuscite a togliervi dalla mente. Sono occhi che non si confondono tra la folla... >>

La prof. parla con tono entusiasta: << sono occhi che ispirano. E qualsiasi artista, anche se inconsciamente, dedica le sue opere a degli occhi. Avvolte hanno un nome, altre volte solo il colore, perchè forse non li si è più rivisti. >>

Gli occhi verde speranza brillano:
<< sono occhi che incantano, che fulminano, che vivono e nei quali vivi...>>

Gli occhi cioccolato si sciolgono:
<< sono occhi che amano e che si amano!>>

Occhi.
E Beth Smith riuscì solo a pensare agli occhi neri, di uno sconosciuto, che forse non vedrà mai più. Ai quali ha dedicato un tema.
I suoi Occhi.

Occhi.
E Alec Cooper riuscì solo a pensare agli occhi blu, di una sconosciuta, che forse non vedrà mai più. Ai quali ha dedicato un tema.
I suoi Occhi.






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Ink Droplets


Care lettrici,
ecco un nuovo capitolo, Eyes, spero vi piaccia.
Qui, finalmente, Beth e Alec si incontrano, Che ne pensate?
Inoltre scopriamo cosa per loro significhi rispettivamente l'Arte e la Musica. Il tema vi piace?
E i due prof?

Ringrazzio per seguire la mia storia:
anna_s89
FamousLastWords , anche per la recensione XD
Misakixox per averla messa tra i preferiti.
ChiaraColfer95 per essere stata la prima a credere nella mia storia e a commentarla. ^-^

Commentate in tante e ditemi cosa ne pensate.
Xoxo Fil

 

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Capitolo 5
*** Chapter 4 - Unforgettable ***


 


»Chapter 4

 

Unforgettable - As Ink On Paper

 

 

Erano le due del pomeriggio, e Beth sdraiata sul suo letto, con lo sguardo rivolto al soffitto e le braccia dietro la testa, non poteva far a meno di pensare che il nero fosse un colore speciale.
Non sapeva spiegarsi il perchè, ma sapeva, per intuito femminile o qualsiasi altra cosa, a lei per il momento sconosciuta, che li avrebbe rivisti. Quando meno se lo sarebbe aspettata.

***

 

Il sonno aveva preso il sopravvento sul piccolo corpo della ragazza. La sua mente era una centrifuga di emozioni, ricordi, e tanta, tanta confusione.
Il telefono squillò. Il sottofondo della calda e melodica voce di Ed Sheeran che cantava sulle note di Lego House, la svegliò.
Hannah, e chi poteva essere se non quella rompiscatole, pensò.
L'orologio segnava le 17.00 p.m. e Beth voleva solo rimettere la testa sotto il cuscino e dormire. In pace.
Ma, ovviamente, non era possibile. Il telefono continuò a squillare, e nonostante la voce del cantante fosse meravigliosa, la ragazza avrebbe solo voluto prendere quell'aggeggio e sbatterlo contro la parete.
Dopo un'altro squillo, si decise a vedere cosa volesse quella biondina.
Cinque chiamate e due messaggi. Merda, pensò.
Aprì i messaggi:
" Brutta dormigliona che non sei altro, ti ho chiamato 5 volte, ed io e Ed ti diamo per dispersa. Svegliati. Xx "
"Alza il culo e raggiungi da Joe's. Ora. Con amore Hannah Xx "
Non poté fare a meno di sorridere.
Si alzò, indossò dei leggings neri e una maglia oversize dei Guns N' Roses.
Legò i capelli in un crocchia disordinata e prese il giubbino di pelle, scappando fuori casa.
Una volta che fu sulla veranda si rese conto di essere scalza. Si diede mentalmente della stupida e afferrò di corsa gli anfibi, dirigendosi verso il luogo di incontro con i suoi amici.

Il pub distava un quarto d'ora a piedi dalla sua casa, così si incamminò a passo spedito. Una volta arrivata non vedendo gli amici fuori, entrò.
Erano seduti al solito posto. E Beth non poté non sorridere quando al suo posto c'era ad aspettarla una cioccolata calda. Li salutò con un bacio volante e si catapultò nel bere la sua bevanda.

***

 

Passare il pomeriggio con quei due pazzi, che si ritrovava come amici, era stato divertente. Le erano mancati.
Erano le 20.30 p.m. ed era in ritardo per la cena. Sua madre l'aveva chiamata già due volte e così la ragazza si ritrovò a correre per le strade della sua città, con lo stomaco sottosopra, la testa dispersa e i lacci sciolti.
Quando entrò, dopo dieci minuti impiegati a scusarsi, finalmente poté accontentare il suo stomaco, che non smetteva di brontolare.

***


Di certo vedere Le pagine della nostra vita, non era la scelta migliore, se consideriamo che l'aveva visto con sua madre. I suoi occhi castagna erano rossi e in pieno acquazzone. Un pacco di fazzoletti era finito, e il contenuto appallottolato, era sparso, per il pavimento. Beth aveva versato qualche lacrima, ma di sicuro per la madre non per il film.
Le 22.00 p.m. erano segnate vicino al muro. La sua stanza dalle pareti neutre e verdi militari, erano ora nere. Regnava il buio e il silenzio.
Senza accendere la luce, si spogliò. Il suo corpo nudo era avvolto dalle tenebre.
Dopo una doccia, indossò l'intimo e il pigiama. Una maglia oversize di un blu scuro, quasi come i suoi occhi.
L'ipod suonava Every teardrop is a waterfall dei ColdPlay. E coccolata da una delle sue canzoni preferite si addormentò.


Il suo orologio da polso segnava le 23.00 p.m.
Alec prese la sua felpa e uscì di casa.
Il vento autunnale gli provocava leggeri brividi, prese l'accendino e si fumò la decima sigaretta di quel giorno.
Non aveva mai fumato così tanto, ma non riusciva a non smettere di pensare che il blu fosse un colore speciale.
Non sapeva spiegarsi il perchè, ma sapeva, per qualcosa, a lui per il momento sconosciuto, che li avrebbe rivisti. Quando meno se lo sarebbe aspettato.

***

 

Jake, vestito come quella mattina, l'aspettava d'avanti il Pulteney Bridge.
Si salutarono con la loro consueta pacca sulla spalle e saliti in macchina, si avviarono verso quella che sarebbe stata la loro meta per quella sera.
La casa di Jordan, era gremita di gente. Corpi sudati si strusciavano a ritmo di una musica psichedelica. Ragazzi ubriachi cercavano rissa. Ragazze mezze nude ballavano come se non ci fosse un domani. Negli angoli giacevano mozziconi di sigarette e spinelli.
Prese una Heineken e con Jake andò alla ricerca dell'amico.
Jordan era beatamente seduto tra tre ragazze. Una bionda, una bruna e una rossa.
Imbarazzo della scelta, insomma, pensò.
Jordan li salutò e presentò le ragazze come Jennifer, Conny e Anne.

Dopo tre birre e una serie di cicchetti, era ubriaco. Intento a baciare una rossa, di cui non ricordava il nome, su un divano.
E non potè, anche in quello stato, non osservare i suoi occhi e non trovarvi quelli che lo tormentavano.
E Alec, quella sera, voleva solo dimenticare quella sconosciuta che non riusciva a togliersi dalla mente.

***

 

Erano le 3.00 a.m. e Alec si rivestì e andò via. Lasciando in quel letto la sua ragazza da una notte.
Tornò a casa e senza spogliarsi si gettò sul letto. Addormentandosi con la consapevolezza che non era riuscito a dimenticarsi di quegli occhi. Nemmeno per un secondo.




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Ink Droplets

Care lettrici,
scusatemi per questo capitolo, non degno di essere pubblicato.
E' solo un capitolo di passaggio.
Con il prossimo mi farò perdonare. Prometto.

Comunque cosa ne pensate?
In questo capitolo troviamo un Alec Don Giovanni. Qualche parere a riguardo?
Suggerimenti?


P.s. ringrazio Misakixox per la recensione e tutte le lettrici misteriose. Fatevi avanti, non mordo. Haha.
Xoxo Fil

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Capitolo 6
*** Chapter 5 - Alive ***


»Chapter 5


Alive - As Ink On Paper

 

 

 

Mi sento come l'aereo, che è precipitato. Distrutta.

Mi sento come il deserto, che è monotono. Noiosa.

Mi sento come il pilota, che è lì da solo. Disperata.

Mi sento come l'elefante, che è stato mangiato dal serpente. Inghiottita.

Mi sento come il bambino, che non viene preso sul serio dagli adulti. Incompresa.

Mi sento come la pecora, che è stata disegnata nella scatola. Imprigionata.

Mi sento come il pianeta, che è lontano. Piccola.

Mi sento come il tramonto del sole, che è diventato abitudine. Senza valore.

Mi sento come il baobab, che è in pericolo. Indesiderata.

Mi sento come il vulcano, che sta per esplodere. Impaziente.

Mi sento come il re, che si aspetta troppo. Delusa.

Mi sento come il vanitoso, che vorrebbe essere ammirato. Insoddisfatta.

Mi sento come l'ubriacone, che beve per dimenticare. Dipendente.

Mi sento come l'uomo che accende i lampioni, oppresso dalla consegna. Schiacciata.

Mi sento come il geografo, che vuol capire tutto ciò che esiste. Ignara.

Ma sono anche il fiore, che ama il Piccolo Principe. Sono anche il Piccolo Principe, che vuole addomesticare la volpe. Sono la volpe, che riesce a fidarsi di qualcuno, costi quel che costi.

E di me si deve prendere tutto, quello che sono e quello che non sono.

Ma ho una paura dannata del morso del serpente.

E Beth si sentiva proprio così.
Distrutta. Noiosa. Disperata. Inghiottita. Incompresa. Imprigionata. Piccola. Senza valore. Indesiderata. Impaziente. Delusa. Insoddisfatta. Dipendente. Schiacciata. Ignara. Paurosa.
E queste erano le parole che cercava da una vita per rispondere alla domanda "Parlami di te, descriviti" , alla quale aveva sempre risposto con un mezzo sorriso e silenzio.
Perchè l'unica risposta che sapeva dare, era quella: silenzio.
Beth Smith, non amava parlare di se. Preferiva che le persone scoprissero chi fosse conoscendola. Perchè forse, inconsciamente, sapeva di non sapere chi fosse. E tutt'oggi non l'aveva ancora scoperto.
Beth amava ascoltare. Stare ore in silenzio ascoltando musica. Ascoltando le pagine dei libri. Ascoltando vite immaginare, ma così maledettamente vere, nei film. Ascoltando i problemi degli altri, e cercando di risolverli. Perchè i problemi degli altri appaiono facili da risolvere ma i propri sembrano, invece, impossibili.
E quell'impossibile cercava di renderlo possibile. Per non lasciare niente dietro. Non avere pentimenti e non lasciare niente incompiuto.
Beth, era così, un libro con pagine ancora bianche, impazienti di essere scritte e di avere un lieto fine, ma al contempo desiderose di essere lasciate così, con un continuo ancora da scrivere. Una vita davanti da vivere. E un tempo, ancora indefinito, per essere scritte.

***


La prima settimana di scuola, era passata nel più noioso dei modi. Ora dopo ora, per sette giorni, si erano alternate lezioni, interrogazioni, mensa, compiti, e quel poco tempo libero che rimaneva, lo impiegava a dormire.
Il lunedì era alle porte. E rimanevano poche ore, per aggiustare la settimana che stava scadendo.
Indossò il suo Parka verde militare e uscì di casa.
Ed e Hannah erano in macchina, la salutarono con un sorriso. Lei ricambiò.
Il ragazzo mise in moto, e si diressero verso quella che sarebbe stata la prima festa dell'anno.
Samantah, una delle chearleader, organizzava quella festa ogni anno, e tutti erano invitati.
Beth, solitamente restava a casa, con un libro da leggere e una tazza fumante di cioccolata.
Ma quella sera, non aveva trovato nessuna scusa. E, sinceramente, non voleva trovarla.
Aveva solo voglia di divertirsi. Smettere di pensare e sentirsi libera.

La villa della biondina, si era trasformata in una discoteca. La musica arrivava al fondo della strada, dove giacevano file di macchine. Parcheggiarono e s'incamminarono.
Il giardino gremito di persone, sembrava essere lo scenario di un concerto. Dentro casa, una fitta macchia di corpi ballava a ritmo di musiche, le cui parole erano incomprensibili. Fiumi di bottiglie vuote scendevano dalle scale e sgorgavano sul pavimento. Birra e altri alcolici sostavano momentaneamente sui ripiani in cerca di qualcuno che li bevesse. Le stanze non occupate dai prodigiosi ballerini erano scenario di notti o sveltine di passione, per chi voleva privacy, altri, più sfacciati, usavano i bagni o le scale per i loro amplessi.
Beth afferrò una Corona, e insieme ai suoi amici diede un'occhiata in giro.
Dopo due ore, la situazione era solo peggiorata.
Beth, si ritrovò in pista con Hannah a ballare sulle note di Numb dei Linkin Park, una delle sue preferite. Aveva bevuto più di quattro birre, e l'alcool incominciava a fare effetto.
Nessuno dei suoi amici l'aveva mai vista così su di giri, di solito non ballava mai, neanche sotto tortura.
Ed sorrise, consapevole che quella ragazza fosse piena di sorprese e certo, che nessuno la conoscesse veramente.


Alec, era appena uscito da una delle camere da letto. La ragazza, di cui non sapeva il nome, dormiva.
Scese le scale, afferrò una birra e si diresse alla ricerca di Jake.
Quella sera, aveva bevuto più del solito, e non aveva intenzione di smettere.
Diede qualche gomitata per passare tra la folla e si guardò in giro.
I suoi occhi si fermarono sulla figura di una ragazza, indossava un semplice abitino nero stretto in vita. Si muoveva sinuosamente ondeggiando i fianchi, le mani accarezzavano il tempo e i lunghi capelli neri risplendevano.
Alec, non sapeva per quel motivo non riuscisse a non smettere di guardarla, forse era la canzone dei Linkin Park, una delle sue preferite, o un altro motivo a lui sconosciuto. Ma sapeva, solo che non aveva mai visto una ragazza muoversi in quel modo, così...così dannatamente sexy.
Il corpo della ragazza seguiva la musica, ma ad un ritmo estraneo, come se desse lei il tempo.
Sembrava seguire il battito del cuore di quel ragazzo che la mangiava con gli occhi, desideroso di scoprire chi fosse.
Staccò per un attimo gli occhi da quella visione e si guardò intorno. Altri ragazzi la guardavano in preda all'eccitazione.
Strinse le mani in due pugni, facendo diventare le nocche bianche preso da uno strano sentimento mai provato.
Distolse lo sguardo e lo riportò sul quel corpo che sembrava modellato dal migliore scultore al modo.

La ragazza, si fermò, lì in mezzo alla pista e lentamente si voltò.
Il cuore del riccio, incominciò a battere ad un ritmo mai scandito, irregolare e veloce.
Fu un attimo, un solo attimo e si immerse in quei pozzi blu, che tanto desiderava rincontrare. Rivedere.

Brillavano.

Alec, ne era sicuro, non aveva mai visto degli occhi così..., di un colore così..., di una luminosità così...
Semplicemente non aveva mai visto degli occhi come quelli di quella ragazza, che ora era scomparsa.

E Alec, non era sicuro di averla incontrata davvero. Forse, era stato solo uno scherzo giocatogli dall'alcool o dalla sua testa, che non smetteva di pensare a lei. Ma, ciò che aveva provato era così vero.
E Alec Cooper non si era mia sentito, in vita sua, così vivo.

Beth era in macchina, Ed la stava riportando a casa, la testa era appoggiata al finestrino.
Il suo corpo era lì, rannicchiato, ma la sua mente era scomparsa, in un mare di confusione.
Beth stava annegando.
Mentre ballava, si era fermata e presa non sapeva da quale istinto, si era girata e per un attimo, un solo attimo, e le sembrò di immergersi nuovamente in quei due pozzi neri, che aveva tanto desiderato rincontrare. Rivedere.

Brillavano.

Poi, Hannah, l'aveva trascinata via. E ora era in macchina.

E, non era sicura di averlo incontrato davvero. Forse, era stato solo uno scherzo giocatole dall'alcool o dalla sua testa, che non smetteva di pensare a lui. Ma, ciò che aveva provato era così vero.
E Beth Smith non si era mia sentita, in vita sua, così viva.



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Ink Droplets

Care lettrici,
ecco un nuovo capitolo Alive, spero vi piaccia. Non è molto lungo, ma doveva finire così, nel modo in cui è finito. Non ci sarebbe potuta essere un'altra fine per questo capitolo, o forse si, ma io non l'ho trovata.

Cosa ne pensate dell'evoluzione della storia?
Di Alec? Di Beth?
Avete idee per un continuo?


Anche questa citazione, che trovata all'inizio del capitola, è tratta dal romanzo Cose che nessuno sa di Alessandro D'Avenia.
E' un passo del libro che amo. E' uno specchio e io mi ci rifletto, senza maschere, senza segreti, senza bugie.

Bando alle ciance, spero vi piaccia.
Pubblicherò il prossimo capitolo dopo aver ricevuto, minimo, due recensioni. Questo perchè voglio sapere se vale la pena continuare a scrivere questa storia.

Xoxo Fil







 

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Capitolo 7
*** Chapter 6 - Homecoming ***



 

»Chapter 6


Homecoming - As Ink On Paper


30 settembre.

Ottobre era alle porte. E con il suo arrivo anche l' Homecoming.
Gli studenti del Bath High School erano in trepidante attesa.
Le ragazze, indecise su quale vestito comprare, che scarpe indossare e quale accessorio abbinare, erano ansiose di scoprire chi le avrebbe invitate al ballo.
I ragazzi, invece, anche i più coraggiosi, diventavano timidi difronte alla proposta da porre alle ragazze.
Negli studenti, del Bath High School, si alternavano le domande Mi inviterà? Accetterà? Chi mi chiederà di accompagnarlo al ballo? A chi chiederò di venire al ballo? Quando me lo dirà? E' il momento giusto?...
Ma nella mente di Beth e Alec, le domande erano solo due, le stesse.

Chi sei?

Dove sei?


Da quella sera, l'ultima in cui i loro occhi si erano scontrati, non avevano fatto altro che cercarsi, senza trovarsi. Cercare di sapere chi fossero, senza scoprirlo. Pensarsi, senza vedersi. Domandarsi. Domandarsi, senza ricevere nessuna risposta.
E allora Beth aveva deciso di smettere. Smetterla con quella cosa. Qualunque cosa fosse.
Aveva cercato di dimenticare quegli occhi. E credeva di esserci riuscita.
Ma ben presto avrebbe capito che non era affatto così.


E allora Alec, aveva cambiato ragazza ogni notte. Aveva deciso di chiudere quella cosa. Qualunque cosa fosse.
Aveva cercato di dimenticare quegli occhi. E credeva di esserci riuscito.
Ma ben presto avrebbe capito di essersi sbagliato.

***



L'aria di ottobre si faceva sentire nella città di Bath.
Il vento soffiava freddo e forte.
Beth, abbracciata nel suo Parka, forse un po' grande, voleva solo tornare sotto il suo piumone e dormire.
Non c'è niente di più bello di dormire, al calduccio, in una giornata fredda, pensò.
Ed invece, stava andando a scuola.
Aveva perso l'autobus.
Stava camminando a piedi.
Aveva freddo.
E alla prima ora l'aspettava il compito di matematica.
<< Bella merda! >> pensò ad alta voce.
A differenza, di quasi tutti gli esseri viventi, a Beth piaceva la matematica.
Era fatta di numeri e regole. Di precisione. Era perfetta: giusta o sbagliata. Non c'era una via di mezzo. Cosa che, invece, regnava nella sua vita. L'indecisione. Il grigio. La via di mezzo. Non una partenza, non un arrivo.
Ma, ultimamente, era stata troppo impegnata a cercare di dimenticarsi di qualcosa, o meglio qualcuno, e la sua mente aveva cacciato via numeri e lettere, equazioni e problemi, e soprattutto compiti in classe.
Con la voglia di entrare a scuola, spedita nei posti più remoti dell'universo, Beth entrò in classe.


Alec, dopo un'altra serata passata con chissà quale ragazza, era in ritardo per la scuola.
L'orologio segnava le 9.30 a.m.
Avrebbe fatto in tempo per la seconda ora, se solo avesse voluto.
Era stanco. Gli occhi, due persiane, erano indecisi se alzarsi o chiudersi del tutto. Il corpo sembrava aver superato una prova di resistenza. La testa era in balia di una centrifuga.
Provò ad alzarsi, ma troppo assonato, si accasciò nuovamente sul letto. Chiuse gli occhi, e dormì così. Con un paio di boxer neri. Un letto disfatto. Senza coperte. Panni sparsi sul pavimento. E una chitarra ansiosa di essere suonata.

La giornata andava di male in peggio.
Il compito di matematica era divenuto una tragedia drammatica.
Hannah, era andata a casa prima che iniziasse il compito per un improvviso malore, mimandole uno scusa patetico.
Così, Beth, aveva svolto il compito da sola, risolvendo quattro esercizi su sei. E non era sicura di averli svolti bene.
Ed, aveva la febbre.
Le ore successive passarono con una lentezza angosciante. Le mura delle stanze sembravano inghiottirla.
Voleva scappare. Evadere da quel carcere.
Ma non poteva. Almeno, non per il momento.
Tutti non facevano altro che parlare dell'imminente ballo. Ma a Beth, non importava. Probabilmente, anche quest'anno l'avrebbe passato a casa.
Di solito, nessuno l'invitava, e la ragazza da un lato ne era felice, ma dall'altro voleva solo essere come le altre ragazze. E per una volta non essere quella strana.

***

Quest'anno era toccato al Bath High School organizzare l'Homecoming per tutti i licei della città. Il Parade Gardens, aperto solo nel periodo estivo, sarebbe stato sede, eccezionalmente, del ballo in maschera.

Ottobre era ben inoltrato.
Era sera, quando, a casa di Beth arrivò Hannah.
Qualche giorno prima, si era presentata con un vestito e l'aveva costretta ad andare al ballo.
Beth, sfinita, dopo ore di scuse inventate per non presentarsi, dovette accettare.
E così, ora, si ritrovava con un vestito, un'amica squilibrata, senza un cavaliere e un ballo, ad attenderla.


Alec, lottava contro i mocassini che non ne volevano sapere di ospitare i suoi piedi. Dannate scarpe. Dannato ballo.
Ovviamente, lui, del ballo non ne voleva sapere, ma Jake l'aveva costretto.
E così, ora, si ritrovava con un odioso vestito, dei dannati mocassini, Loren come accompagnatrice e un dannato ballo, ad attenderlo.
Loren, dopo aver fatto di tutto, per farsi notare da Alec, era riuscita a farsi invitare al ballo con un secco vieni al ballo con me?,ed ora, non vedeva l'ora che il ragazzo venisse a prenderla a casa.
Ed anche per questa sera, non sarò solo, pensò.
Alec Cooper, aveva sempre avuto la fama di donnaiolo, e per lui, più che un'offesa, era un complimento.
Alec ha passato molte notti con molte ragazze.
Tutte le sue ragazze da una notte, non erano studentesse della sua scuola, ma Loren, lo era, e per questo, si reputava fortunata.


Hannah, non faceva altro che correre per la camera dell'amica. Beth, invece, era sdraiata sul suo letto, le braccia piegate dietro la testa, e le cuffie nelle orecchie. Tranquilla, come se non dovesse andare ad un ballo. In realtà, lo era, perchè doveva indossare una maschera e nessuno l'avrebbe riconosciuta.
<< Alza quel culo e muoviti! >> le urlò Hannah.

20.30 p.m.

Alec nei suoi jeans neri, strappati sulle ginocchia, t-shirt aderente bianca, giacca e papillon neri, era appoggiato sul fianco della sua macchina aspettando Loren. Le sue converse sfregavano sull'asfalto. L'aria era fredda. E voleva solo andarsene.
Quando la ragazza, in un mini abito rosso, arrivò, le regalò un sorriso sghembo. Da vero gentiluomo, le aprì la porta dell'auto e partirono verso il Parade Gardens.

21.00 p.m.

Il Parade Gardens era divenuto la scenografia di un film adatto a Nicholas Sparks, candele e petali erano sparsi ovunque, rendendo l'atmosfera romantica. Enormi tavoli rotondi erano presentati da un lungo tappeto rosso che dava il benvenuto. L'intero parco sembrava un cielo stellato.

I ragazzi nei loro smoking e le ragazze nei loro sfavillanti vestiti rendevano il tutto tremendamente elegante.

E Beth, si sentiva, così insignificante nel suo abito corto. Così fuori luogo nei suoi anfibi rovinati. E tremendamente a disagio nell'essere sola.

Alec, era veramente stufo di questa situazione, Loren non faceva altro che vantarsi di essere riuscita a farsi invitare da lui, e le sue amiche non facevano altre che ridere. I loro cavalieri parlavano di cose inutili, e lui era tremendamente a disagio nel sentirsi solo.
Finì la birra e si allontanò.
Tutte le ragazze, quella sera, gli sembrarono uguali. Tutte fasciati da abiti strettissimi, tacchi vertiginosi e trucco abbondante. Erano tutte uguali.
Quando, però, giro la testa, e vide una bellissima ragazza cambiò idea.

Il corpo esile e formoso era fasciato da un'abito corto panna, con inserti in pizzo nero. I capelli neri e lunghi, erano lasciati lisci e sciolti. Una bellissima maschera argento e nera, le copriva il viso, mettendo in risalto le labbra carnose. Con sua sorpresa, non calzava tacchi vertiginosi, ma anfibi neri e rovinati.
Sorrise, era bellissima.
La vide sola e si avvicinò.
Le prese la mano e la trascinò in pista
<< Guarda, che non sono la tua dama! >>
<< Sei la mia dama! >> le sorrise
<< Ti conosco? >>
<< Sono il tuo Romeo e tu la mia Giulietta!! >> rispose il ragazzo in modo sfacciato.
La ragazza dai lunghi capelli neri sorrise
<< si, nei tuoi sogni!! >> disse e fece per andarsene, ma Alec la prese per il polso e fece scontrare il proprio petto con la sua schiena
<< Io sogno sveglio! >> disse con voce seducente al suo orecchio
<< E' una frase di Shakespeare >> sorrise.
Lui, lentamente la girò, poi, i loro occhi s'incontrarono e il suo cuore perse un battito o forse, prima, era fermo ed in quel momento aveva ricominciato a battere.

Non poteva credere ai propri occhi. La riconobbe, così, come un marinaio riconosce sempre la stella polare. L'aveva cercata così a lungo. L'aveva sognata tante volte, ed ora era tra le sue braccia.

Beth, non ci poteva credere. Lo riconobbe.
L'aveva cercato così a lungo. L'aveva sognato tante volte, ed ora le sue braccia l'avvolgevano.

Non seppe che dire. Forse lui non l'aveva riconosciuta. Forse, in realtà, non l'aveva mai vista, e quando i loro occhi si erano incontrati non aveva provato le stesse cose.
Fece finta di non averlo mai visto.

Non seppe che dire. Forse lei non l'aveva riconosciuto. Forse, in realtà, non l'aveva mai visto, e quando i loro occhi si erano incontrati non aveva provato le stesse cose.
Fece finta di non averla mai vista.

La ragazza allungò le braccia e gli cinse il collo. Brividi.

Il ragazzo fece scorrere lentamente le proprie mani fino a raggiungere i suoi fianchi. Brividi.

Alec e Beth, ballarono così, sulle note di Kiss Me di Ed Sheeran, uno dei loro cantanti preferiti, facendo finta di non essersi mai incontrati. Di non avere i brividi. Che il cuore, non volesse uscire dal petto. Abbracciati, con la paura di guardarsi negli occhi. E con una tremenda voglia di baciarsi.




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Ink Droplets

Care lettrici,
come promesso ecco il nuovo capitolo.
Non è lungo come credevo, ma su Word sembra che non finiva più, perciò scusatemi.
Spero vi piaccia.
E, scusate eventuali errori, ma ci tenevo a postarlo entro stasera.

Cosa ne pensate del capitolo?
Il vestito di Beth vi piace?


P.s. ringrazio tutte le persone che hanno recensito, messo la mia storia tra le preferite, ricordate e seguite.
Grazieeeeeeeeeeeeeeeeee! A 6 recensioni pubblicherò il nuovo capitolo!
Xoxo Fil

 


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Capitolo 8
*** Chapter 7 - Coincidence or Fate? ***


 

 

»Chapter 7



Coincidence or fate?
- As Ink On Paper


Il letto era caldo.                                                  
Le coperte avvolte attorno al suo corpo.
La testa coperta da un cuscino.
I deboli raggi del sole di Ottobre, attraversarono la persiana della finestra, disegnando strisce di luce sul pavimento.
L'orologio segnava le 10.00 a.m. e Alec dormiva. Cullato da sogni, che forse non sarebbero mai divenuti realtà.
Catturato da occhi che non riusciva a dimenticare perchè semplicemente, non voleva dimenticare.
E Alec Cooper, infondo, si chiedeva se fosse quello il motivo per cui, non si dimentica qualcosa o qualcuno. Perchè, non lo si vuole.
E Alec Cooper, sapeva anche che, infondo, quelle sarebbero rimaste solo domande. E che, forse, la risposta la troverà in futuro, o semplicemente, non la saprà mai.


***

Lunedì era arrivato, e con esso, un altro noioso giorno di scuola.
Il Bath High School, dopo aver dato il più grande e magico Homecoming che la città di Bath avesse mai visto, era divenuto un cimitero.
Alcuni ragazzi, ancora ubriachi per la sera precedente, non si erano presentati, e la scuola contava solo 100 alunni presenti quel giorno. E Beth era una di quelli.
Beth Smith, non sapeva perchè quel giorno fosse lì, invece di restare a dormire nel suo letto.
Forse sperava di rivedere quegli occhi.
Di poter parlare con lui.
Di sapere il suo nome.
Sperava, e basta.
Ma ben presto la speranza, fece spazio alla delusione quando, di lui non vide nessuna traccia.
E con le mani in tasca, il capo chino, e l'umore sotto le suole delle scarpe, andò via, dirigendosi nell'unico luogo in cui voleva essere: Il Palladian Bridges.
Tra le dolci colline verdi e gli alberi gialli e arancioni, il ponte si rispecchiava nel fiume che lo attraversava.
Beth non potè non sorridere. Le era mancato quel posto.
Prese l'album da disegno e iniziò a disegnare.
Tutti i colori si alternarono in quello schizzo, e senza rendersene conto, Beth disegnò i suoi occhi.
Sospirò.
Una piccola pietra le arrivò sul braccio.
Un'altra.
<< Ahi! >>
Si girò e vide un ragazzo con il cappuccio che gli copriva il viso. S'innervosì.
<< Tu maleducato che non sei altro. >> il ragazzo rise.
Beth si alzò e puntandogli il dito contro disse:
<< cosa ridi! sei uno stupido! >> il ragazzo rise ancora di più
<< tu! sei... >> non terminò la frase, due occhi neri la distrassero.

Non è possibile, pensò.

Alec, non smetteva di ridere, quella ragazzina che cercava di sembrare autoritaria lo divertiva troppo. Abbassò il capo e smise di ridere.

Non è possibile. E' lei. Cazzo è lei, pensò.

Beth si ricompose e cercò di parlare
<< sei...sei...>> balbettò
<< sono...? >> disse con voce calda e roca.
Beth sentì un tremolio percorrerla
<< maleducato e... stupido, giusto? >>
<< si, cioè no... >> rispose la ragazza
<< si o no?? >> chiese ridendo.
Beth sbuffò e fece per andarsene, ma la sua voce la fermò
<< cosa ci fai qui? >>
<< potrei farti la stessa domanda >> sospirò e lui rise
<< testarda >>
<< già, è quello che pensa la gente! >>
<< mhmh... e tu cosa pensi? >> mugolò
<< i-io… penso di andarmene >> Alec sorrise
<< beh, in effetti, dovresti. Questo è il mio posto >>
<< per la cronaca è il mio >> rispose Beth
<< potremmo condividerlo >> disse con un sorriso malizioso
<< fammi pensare... >> disse la ragazza.
<< fatto!>> continuò.

Alec sorrise vincitore.

<< NO! >> e sul viso del giovane comparì un’espressione confusa.

Beth prese le sue cose e fece per andarsene, quando una mano le bloccò il braccio
<< qual'è il tuo nome? >> le chiese.
Beth s'immerse nuovamente in quei pozzi di petrolio
<< qual'è il tuo nome? >> richiese.
Beth si avvicinò al suo orecchio e disse << scoprilo >> e lo lasciò lì. Con un’espressione confusa e un sorriso divertito.
Ma prima che Beth scomparisse dalla sua vista le urlò << io sono Alec! >>
Beth sorrise.
E nel suo stomaco sentì un qualcosa muoversi.

Coincidenza o destino?, pensò




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Ink Droplets

S
cusate il ritardo.
Ecco il nuovo capitolo, è abbastanza corto. Scusatemi.
Comunque spero vi piaccia.

Cosa ne pensate?

Il prossimo capitolo, prometto sarà più lungo, lo pubblicherò dopo aver ricevuto 6 recensioni a questo.
Quindi se volete un continuo recensite please!

Come è stato il vostro rientro a scuola?


Xoxo Fil

 

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Capitolo 9
*** Chapter 8 - Who Are You? ***


»Chapter 8

 

Who are you? - As Ink On Paper

 

Era passato, ormai, un mese dall' incontro con Alex, e Beth, da quel giorno, non lo vide più.
Lo cercò tra i banchi di scuola, nei bagni del terzo piano e in quelli degli altri, nei bar agli angoli della città, al Palladian Bridge.
Di Alex nessuna traccia.
E così come era apparso, sparì.


***

4 dicembre, 2013

Il freddo di dicembre si faceva ormai sentire nella cittadina di Bath, e Beth, stretta nel suo parka verde militare di qualche taglia in più, batteva i denti per il freddo. La fila davanti al Colonna and Small's Speciality Coffee era interminabile e Beth e Hannah desideravano solo un maledettissimo caffè.
Dopo circa un quarto d'ora finalmente quel liquido caldo le riscaldò, dando sollievo e torpore ai loro corpi.
Quel pomeriggio sarebbe stato una lunga avventura all'insegna dello shopping, e anche se Beth non ne aveva nessuna voglia, l’entusiasmo di Hannah era troppo coinvolgente per dirle di no. Di lì a poche settimane ci sarebbe stata la festa di Natale organizzata, ogni anno, dai genitori di Ed, e tutta Bath era invitata.

***

Drin drin

Maledetta sveglia, pensò.
L’orologio segnava solo le sei del mattino e Beth era già in ritardo.
Dieci minuti dopo correva per la fredda cittadina, la sciarpa che le stringeva il collo, i capelli che svolazzavano, il freddo pungente e i lacci degli anfibi che rischiavano di farla inciampare.
Non importava.
A Beth Smith, quel giorno, non importava di nulla.
Non le importava dello stomaco che brontolava, del telefonino dimenticato a casa, di non presentarsi a scuola quel giorno, della madre che non l’avrebbe trovata e del bigliettino lasciato sul frigo per avvisarla, che non avrebbe risolto nulla.
Non le importava.
Voleva solo correre più forte, più veloce.
Non fare tardi.

La stazione di Bath era quasi vuota.
Un cartone della pizza accanto ai suoi piedi, un’ansiano signore con un giornale vecchio di tre giorni, una birra a qualche metro, il freddo e le mani che sudano.

Non c’è.

Cazzo non c’è.

La delusione, il freddo e le mani che sudano.
E Beth che si sentiva più stupida che mai.

L’aveva promesso.

E lei stupida c’era cascata come sempre.

L’aveva promesso.

E lei l’aveva creduto.
E come sempre non le rimaneva altro che una nuova cicatrice da aggiungere alle altre. Alla vasta collezione.
Una nuova cicatrice, il cuore che fatica a battere, il corpo più pesante che mai.
Beth se ne và.

Le strade erano più affollate, i bar gremiti di gente e aroma di caffè, gli alberi innevati, i marciapiedi scivolosi, e i lacci degli anfibi ancora sciolti.


***

Bath di sera sembrava così magica, decorata da neve e lampioni accessi. Il vento che soffiava leggero ma freddo. I cappotti, le sciarpe, i guanti.
Casa di Ed sembrava un presepe.
Luci.
Tante luci.
In una serata senza stelle.
Tutta Bath era lì fasciata nei suoi abiti più eleganti, nei gioielli, nello champagne, nello sfarzo.
E, a d’un tratto, Beth si sentiva fuori posto. Come sempre.
Il suo vestitino nero, uno dei suoi preferiti, sembrava sciatto e i suoi anfibi facevano a pugno con i tacchi delle altre ragazze.
Ma a Beth non importava.
Era abituata a sentirsi così.
Ad essere quella strana.
Hannah, invece, era bella come sempre, il suo vestito verde bosco, le infondeva sicurezza e Beth non si sentiva più così sola.
Le due amiche andarono in cerca di Ed e lo salvarono dalle grinfie della vecchia Mrs. Jordan, proprietaria di un edicola in centro, che aveva un debole per lui.
Il loro amico non era mai stato così elegante.
Smoking nero, cravatta, e camicia bianca.
Sembrava uscito da Le Iene di Tarantino, ed era proprio bello.
E Hannah non gli staccava gli occhi di dosso.
E Ed non le staccava gli occhi di dosso.
E Beth si sentì di troppo.
Prese il cappotto e uscì fuori.
Le scalinate erano scivolose e fredde, le ossa come ghiaccioli, le guance rosse e i denti che lottavano tra di loro.

Beth Smith era sola. In una sera fredda, senza stelle.

Poi ad un tratto qualcosa o qualcuno le cadde a dosso.
Un ragazzo.
<< scusa… >>

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Ink Droplets

Care lettrici,
eccomi di ritorno dopo una lunga, lunghissima assenza.
Mi scuso, ma come sapete avevo il pc rotto.
Ma adesso sono nuovamente qui.
Questo nuovo capitolo spero vi piaccia, anche se non è un gran che, sicuramente vi aspettavate un evolversi della storia tra Beth e Alex, ma colpo di scena: è sparito.
E’ già passato un mese e Beth sembra averlo dimenticato.
Ma chi sarà mai il misterioso ragazzo che le cade addosso??
Lo scoprirete nel prossimo capitolo.
Recensite in tanti!!!

Xx Fil

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Capitolo 10
*** Chapter 9 - Mad World ***


 

»Chapter 9

 

Mad world - As Ink On Paper

 

 

All around me are familiar faces

Worn out places

Worn out faces

Bright and early for their daily races

Going nowhere

Going nowhere

Their tears are filling up their glasses

No expression

No expression

Hide my head I want to drown my sorrow

No tomorrow

No tomorrow

And I find it kind of funny

I find it kind of sad

The dreams in which I’m dying

Are the best I’ve ever had

I find it hard to tell you

I find it hard to take

When people run in circles

It’s a very very

Mad world

Mad world

Children waiting for the day they feel good

Happy birthday

Happy birthday

Made to feel the way that every child should

Sit down and listen

Sit down and listen

Went to school and I was very nervous

No one knew me

No one knew me

Hello teacher tell me what’s my lesson

Look right through me

Look right through me

E per quanto possa sembrare strano Alec si sentiva proprio così...
E per quanto possa sembrare buffo Alec si sentiva un pazzo perso in un mondo folle.
E nonostante tutte le cose starne e buffe a questo mondo lui si sentiva di più.
Si sentiva doppiamente pazzo e folle in un mondo dove quelli come lui erano troppo, persino per i canoni della follia.
E allora quel folle mondo di cui parlava la canzone di Gary Jules suonata con le corde della sua chitarra, gli sembrava imballata di parole vere, ma troppo piccole per un qualcosa troppo grande.
E, così, anche il concetto di piccolo e grande perdeva significato e importanza.


Alec Cooper si ritrovava in un letto non suo, con un cielo che non gli apparteneva, in una città che lo trattava da straniero.
Si sentiva un viaggiatore.
Un viaggiatore in un folle mondo.
La testa contro il vetro, una bottiglia di birra rovesciata sul pavimento, le dita indolenzite, la luce fuori la finestra fulminata, gusci di noci sparsi sul pavimento, una fiamma traballante.

Alec solo.

Come si era sempre sentito.
E, quando, neanche più una nota a tenergli compagnia, più solo che mai.
E neanche una luce.
In una serata senza stelle.

Il cielo nero.
Assenza di luce.

Mad world.
Folle mondo.

Un quaderno stropicciato con parole senza senso.
Una penna con troppo inchiostro.
Una mente vuota.

I passi nudi si alternavano sul pavimento.
Avanti, indietro.
Avanti, indietro.
In una continua danza.
In una continua lotta.
Perso nella confusione.
Prigioniero di una gabbia costruita con le sue mani.
Pentito.
Alec Cooper non si era mai sentito così stupido.
Così... così... non sapeva neanche lui come.

La testa sul cuscino.
La mente vuota, ma mai così piena.
I boxer sul pavimento.
Occhi chiusi.

6.30 a.m.

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Ink Droplets


Care lettrici,
eccoci qui con un nuovo capitolo.
Scusate la brevità, ma mi serviva questo piccolo pezzo di carta per scrivere di Alec.
E' un capitolo un po' vago, ma più avanti capirete il perché.
Non vi spiego nulla, fatelo voi. Scrivetemi di cosa vi ha trasmesso e cosa siete riuscite a captare da questo capitolo.
Questo pezzo di storia l'ho scritto sentendo la canzone Mad World di Gary Jules, una canzone stupenda, che cito, per l'appunto, nel brano e della quale riporto il testo.
Per chi non conosce l'inglese, vi consiglio di leggere la traduzione in modo da capire di più il capitolo e di leggerlo ascoltandola.
Questo è il tutto.
Recensite.

Xx Fil

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Capitolo 11
*** Chapter 10 - Very... too ***


 

»Chapter 10

 

Very… too - As Ink On Paper

 

 

Beth Smith era sola. In una sera fredda, senza stelle.
Poi ad un tratto qualcosa o qualcuno le cadde addosso.
Un ragazzo.
<<  scusa ... >>


E Beth non ci poteva credere. Non poteva credere che un ragazzo come lui, le avesse rivolto la parola.
I suoi occhi azzurro mare erano così profondi che Beth credette di potervici affogare.
E Beth Smith, ad un tratto, si sentì non più sola.
Il suo sorriso sostituiva le stelle, che quella sera, non volevano saperne di decorare il cielo.
E ridevano.
Ridevano. Di tutte le cose, per cui, in una sera senza stella si può ridere.
E si sentivano liberi e felici. Nel miglior modo, in cui in una sera che ti senti solo, puoi sentirti.
E poi dispiaciuti, perché la sera era finita e con essa le risate, il sentirsi liberi e felici.
Ed erano tristi, perché dovevano salutarsi.
E poi un barlume di speranza.
I numeri scambiati. I sorrisi pure. E le parole sulla punta delle lingue.

Beth Smith quella sera, anche se non sapeva ancora il perché, si sentì leggera come mesi prima.
E, anche se non lo avrebbe mai immaginato, non sarebbe stato un addio, ma solo un arrivederci.


***

Era decisamente Natale, anche se non ancora, nella città di Bath.
Conosciuta come Christmas City, Bath era decorata da oltre 120 bancarelle che riempivano le vie del centro storico tra l’antica Abazia e le Terme Romane e le angeliche voci, che svolazzavano nell’aria gelida.
E a Beth Smith, quel tipico aroma natalizio, piaceva da morire.
A Beth piacevano le luci sparse per la città.
La neve sui marciapiedi, e tra i rami degli alberi.
Le piacevano i sorrisi dei bambini davanti le vetrine dei negozi di giocattoli. I cappelli di lana. Le caldarroste. Le palline di natale. Le foto ricordo. Gli abeti. Le canzoni tradizionali. I cappotti.
Beth Smith amava il Natale, più di qualsiasi altra cosa.
Amava la cioccolata calda alla nocciola con tanta panna che prendeva sempre al suo bar preferito, in uno dei tanti angoli della città.
Amava i fiocchi di neve che svolazzavano per aria e che trovavano rifugio nei tanti abiti o capelli dei passanti, per poi sciogliersi.
Amava l’aria dolce e felice che alloggiava nei volti delle persone.
Beth Smith amava il Natale, ma non vi si sentiva mai partecipe.
Per lei, il Natale, era uno dei tanti spettacoli a cui si sentiva, come sempre, una semplice spettatrice.
Uno dei giorni in cui si sentiva più sola che mai.

***

Da quella sera, non aveva più rivisto quel ragazzo.
Invano aveva sperato in una sua chiamata o messaggio, e più di una volta si era data, mentalmente, una sciocca per non aver accettato di prendere il suo numero declinandolo con un “lo avrò quando mi chiamerai”.
Aveva raccontato ogni minimo particolare di quella serata ad Hannah, ma la sua amica sembrava non averlo visto.
E Beth, si sentì più sciocca che mai.
Malgrado Hannah fosse la sua migliore amica, non le aveva mai confidato dei sui interessi verso un ragazzo in particolare, e questo creò non poco interesse nell’amica.
Le due si confidarono per tutta la sera, per poi addormentarsi vestite, con una cioccolata calda finita, la luce accesa, e le braccia intrecciate.


Il giorno dopo, un aria a dir poco gelida si abbatté sulla città.
Beth e Hannah dormivano ancora, strette una nelle braccia dell’altra e in strati di coperte.
Jane, la madre di Beth, si era da poco svegliata e, dopo aver preparato la colazione, la portò in camera della figlia.
Hannah, da sempre miglior amica di Beth, era come una seconda figlia per lei, e ritrovarsela in casa non faceva altro che rallegrarla.
La stanza era buia, così, si affrettò ad aprire le finestre, dalle quali entrò una cascata di luce fioca, che invase la camera.
Diede un bacio sulla fronte alle due ragazze, posò il vassoio sulla scrivania e andò via.


La sveglia segnava le 10.30 a.m. ed era domenica.
Beth si svegliò con non poca grazia e fece cadere dal letto Hannah, che come se nulla fosse continuò a dormire sul pavimento.
Beth non poté resistere e scoppiò in una rumorosa risata.
La bionda si svegliò e scoppiò anch’essa a ridere.
Dopo un cappuccino, una spremuta d’arancia, un cornetto alla crema e due muffin Beth poté dire di aver terminato la colazione.
<< certo che non avevi per nulla fame! >> disse Hannah
<< senti chi parla! Tu non hai toccato cibo, vero?? >>
Entrambe scoppiarono in una risata, e dopo tanto tempo si sentirono spensierate come non mai.
<< cos’hai da fare oggi Hann? >>
<< nulla… mi vedo con Ed >> disse ridendo
<< ohoh nulla… mi vedo con Ed >> le fece l’eco ridendo << dai, me lo chiami niente uscire con Ed? >>
<< uff, siamo solo amici! >>
<< certo, come no! >>
Le due amiche continuarono a prendersi in giro a vicenda, finché Hannah non andò via.


In realtà Hannah non aveva mai confessato un attrazione verso Ed, ma Beth non era stupida, e soprattutto era la sua migliore amica.
Da tempo aveva notato il modo in cui lo guardava.
Il modo in cui si guardavano.
E avrebbe potuto mettere le mani sul fuoco, quei due si piacevano, e non poco. Erano solo troppo timidi per confessarsi il reciproco interessamento.
Voleva fare qualcosa per aiutare i suoi amici, ma si convinse di non intromettersi.

Mancava, ormai, poco al Natale, e Beth non aveva ancora comprato i regali per sua madre e il suo fratellino.
Indossò il suo parka e uscì di casa.
Ne era ormai certa, l’aria di Bath si faceva di giorno in giorno più fredda, e si pentì di non aver indossato la sciarpa, come le aveva consigliato la madre.
La strada per arrivare al negozio di giocattoli era lunga e il freddo di certo non aiutava.
Beth si fermò al bar e ordinò la sua cioccolata calda alla nocciola con tanta panna.
La bevanda calda era qualcosa di paradisiaco per la ragazza, sul viso della quale si stampò un sorriso di piacere.
Si incamminò nuovamente verso il negozio, ma non poté fare a meno di fermarsi a dare un occhiata alle vetrine dei negozi, tra le tante la colpì quella del negozio di Belle Arti, dove vide esposto un bellissimo album da disegno in pelle.
E solo in quel momento, Beth Smith, si accorse di quanto tempo fosse passato dall’ ultima volta che aveva impugnato una matita, molto. Troppo.
Del molto tempo che non aveva più trascorso al Palladian Bridge. Troppo.
E non poté, allora, non pensare a quegli occhi neri, che non aveva più rivisto, e che in molti modi aveva cercato di dimenticare. Troppi.
E capì che le parole molto e troppo insieme non portano a nulla di buono.
E che, quel nulla di buono, non portava altro che confusione.
E in quella confusione si sentì persa.


Ormai persa nei pensieri, Beth non si accorse della persona che le era davanti, ed inciampando le cadde addosso.
<< m-mi dispiace!! >> disse la ragazza
<< non preoccuparti non è nulla! >> le rispose
<< James? >> chiesa Beth sorpresa
<< Beth? >> disse lui
I due ragazzi scoppiarono in una rumorosa risata.
E Beth non poteva credere di averlo rincontrato, era felice, ma arrabbiata perché lui non l’aveva richiamata.
<< Oh… Beth scusa se non ti ho richiamata, ma ho perso il telefono e con esso il tuo numero.
Come sono felice di vederti! >>
E Beth, lo era anche lei.
Non l’aveva richiamata perché aveva perso il telefonino e no perché non volesse.


I due ragazzi parlarono per un po’ e poi James accompagnò Beth nella sua giornata di compere.
Era così bello passare del tempo con lui, pensò Beth.
La faceva ridere, molto. Troppo.
Ed era felice, molto. Troppo.
E Beth, si ritrovò a pensare, che le parole molto e troppo, infondo non erano così malvagie insieme.
E che forse solo con la persona giusta erano davvero belle.

Era ormai sera quando James propose di riaccompagnare Beth a casa, ma lei rifiutò.
I due si salutarono con un bacio sulla guancia e poi Beth si incamminò per far ritorno a casa.
James prima che questa sparisse dalla sua vista la chiamò e la raggiunse correndo.
<< Ecco, io… pensavo, c-che magari domani ci potremmo vedere… >> disse imbarazzato
<< si, mi farebbe piacere >> rispose sorridendo
Si scambiarono i numeri, e questa volta Beth accettò anche il suo.
Si salutarono e si incamminarono entrambi verso casa, e senza esserne consapevoli, sorridendo.


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Ink Droplets

Care lettrici,
ecco un nuovo capitolo.
Ho cercato di farlo più lungo in modo da accontentarvi, spero di esserci riuscita.
Questo chapter è il continuo del n° 9, e riprende dall’incontro con lo sconosciuto che scopriamo chiamarsi James.
Tra i due vediamo che c’è un certo filing, cosa succederà?
Scopriamo inoltre che Hannah e Ed non sono semplici amici, cosa accadrà tra i due?
Inoltre veniamo a conoscenza che Beth non ha dimenticato quegli occhi neri, e che forse cerca ancora di scovarli tra la gente.
Questo capitolo è un po’ misto, ma spero vi piaccia.
Ditemi cosa ne pensate e se vi va recensite.

! Per tutte le lettrici misteriose, fatevi avanti, voglio sapere anche il vostro parere.
Xx Fil

 

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Capitolo 12
*** Chapter 11 - Everything... quiet ***


»Chapter 11

 

Everything... quietAs Ink On Paper

 

 

Il messaggio di James le dava appuntamento al Pulteney Bridge per le 18.00 p.m.
Erano solo le quattro del pomeriggio quando Beth Smith si svegliò con uno sbadiglio, non poco rumoroso, da un lungo sonno durato più di tre ore.
Nella sera che era trascorsa non aveva chiuso occhio poiché la sua mente, come spesso le accadeva, fu invasa da molti pensieri.
Una volta alzata, gli occhi gonfi per il sonno non le resero facile scendere la rampa di scale che collegava la sua stanza, che era in soffitta, al piano terra e più e più volte rischiò di inciampare e tra queste, alcune volte lo fece.
La casa era vuota, la madre Jane era a lavoro e suo fratello Patrick da un amico.
Mai tanta tranquillità le fu così di piacere.


Di certo arrivare in ritardo all'appuntamento non era né nei piani di Beth, né tantomeno nel suo uso abituale.
Certo, avvolte vuoi la fatalità, il destino o in qualsiasi altro modo lo si chiami, accadeva, ma quel giorno no, non doveva accadere.
Dopo lo spuntino obbligatorio per un post-sonno, Beth salì in quella camera, che di camera non aveva nulla, ma di mercato molto.
Panni sparsi sul pavimento, letto disfatto, schizzi su carta un po' ovunque, pennelli dispersi sulla scrivania, CD in qualunque posto disponibile.
Quella era la camera di Beth. La sua camera.
Andò in bagno e aprì il rubinetto della doccia.
Si spogliò e vi entrò.
L'acqua calda e seducente le scese lungo il corpo, si insinuò nei lunghi capelli neri, tra le dita e nella pelle.
Beth Smith adorava quella sensazione, che in un modo abbastanza folle la faceva sentire libera.
Quella sensazione di essere qualcosa, di essere qualcuno. Di esserci.
Amava il modo in cui l'acqua si modellava sul suo corpo.
Il modo in cui vi scorreva come un torrente e poi si trasformava in fiumiciattoli più piccoli per poi cadere sul freddo marmo.
Le goccioline d'acqua che le imperlavano le lunghe ciglia.
Ascoltare i Beatles e rilassarsi.
Essere in un modo abbastanza folle... libera.

Quando Beth uscì di casa aveva tutto il tempo del mondo per arrivare all’appuntamento.
Gli anfibi affogavano nella poca acqua ai margini dei marciapiedi, le gambe avvolte da un paio di calze di lana tremavano un po’, la camicia di jeans con sopra il maglione bordeaux, forse non era stata la scelta migliore, ma d’altronde, Beth, come sempre aveva indossato le prime cose che aveva trovato.
Un cappello e una sciarpa la riscaldavano, e il parka la coccolava con il suo calore.
Le strade di Bath erano vuote, solo il venditore di caldarroste all’angolo della strada, e qualche passante.
Quando Beth arrivò al Pulteney Bridge era puntuale come non mai, e con grande sorpresa vide James ad aspettarla vicino il muretto che dava sul fiume.
Gli andò incontro e si salutarono, James aveva sul volto uno strano sorriso che Beth non seppe decifrare e si sentì un po’ a disagio.
I due ragazzi si incamminarono verso un bar, dove rimasero a parlare del più e del meno per un bel po’ di tempo.
Poi a James squillò il telefono.
<< scusa è mia madre, vuole che le compri delle cose per la cena… >>
<< oh, capisco >> sorrise Beth
<< beh, non so potresti venire con me, se non ti dispiace… >> disse speranzoso, la compagnia di Beth gli piaceva, molto.
<< si, dai… >> rispose la ragazza
Dopo aver comprato tutto ciò che la madre gli aveva chiesto James invitò Beth a casa, la ragazza un po’ titubante accettò l’invito.
Di certo non si sarebbe aspettata una casa così… grande.
Arthur’s Villa si ergeva su un magnifico prato all’inglese ricco di fiori, l’edificio tipicamente vittoriano era in mattoni marroni e bordeaux e l’aria che la circondava odorava di biscotti.
I due ragazzi vennero accolti dalla madre di James:
<< mamma, questa è Beth...una mia amica >>
<< ciao cara >> disse con un enorme sorriso
<< salve signora >>
<< oh, per favore chiamami Julia non signora, mi fai sembrare più vecchia di quella che sono >>
<< certo mi scusi >>
<< e dammi del tu >> e tutti e tre risero
James fece fare un giro della casa a Beth e le raccontò della sua famiglia, lui era il maggiore di tre fratelli, uno di sei e uno di diciotto, che adesso era partito. Le mostrò le foto della famiglia, e tra queste non ne vide neanche una del fratello di età media
<< non ama farsi fotografare, di solito è lui che fa le foto >> Beth sorrise
Finito il giro dell’enorme casa Beth fece per andarsene ma Julia, la pregò di rimanere a cena.
Dopo una piacevole cena all’insegna delle risa, Beth e James chiacchierano un altro po’, poi quest’ultimo la riaccompagnò a casa.


***

I giorni successivi passarono nel più tranquillo dei modi, così come Natale.
Mancava ormai meno di un mese al rientro a scuola e una settimana al suo viaggio a Londra.
Era così emozionata ed agitata che per l’intero lasso di tempo non dormì nemmeno una notte.

 

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Ink Droplets


Care lettrici,
eccoci con un’ altro capitolo, è corto, ma è di passaggio per i prossimi capitoli che saranno più belli e lunghi.
Spero che vi piaccia comunque e ditemi cosa ne pensate.
Vi prego di recensire, queste sono davvero poche e voglio sapere se vale la pena continuare.
Scusate se è da un po’ che non aggiorno ma sono stata a Venezia per la Biennale, se volte vi posto qualche foto, fatemi sapere.

Xx Fil

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Capitolo 13
*** Chapter 12 - One life, Two roads ***


 

 

»Chapter 12

 

One life, two roads As Ink On Paper

 

 

Il tanto desiderato giorno era arrivato.
Ormai le valigie erano pronte da un po’ e contenevano il minimo indispensabile.
Qualche vestito. Matite. Pastelli. Pennelli. Pittura. Schizzi. Fogli. Obiettivi. CD.
Tutto ciò senza cui Beth Smith non avrebbe potuto vivere.
Beth era agitata ed emozionata.
Avrebbe fatto questo viaggio, e lo avrebbe fatto da sola.
Beth era nervosa e spaventata.

Hannah ed Ed avevano dormito da lei quella sera, non si sarebbero visti per due settimane e già sentivano la mancanza uno dell'altro.
James l'aveva salutata la sera prima davanti ad un caffè.
Patrick dormiva ancora, d'altronde erano solo le 6.00 di una fredda mattina di lunedì.
Jane era ansiosa, non aveva mai passato tanto tempo senza la sua piccina.


Qualche ora più tardi Beth era in stazione.
Una valigia in mano. Un sogno nell’altra. Note nelle orecchie. Il futuro davanti a se.
Il treno per Londra sarebbe partito tra pochi minuti e Beth era pronta. O almeno era quello che credeva.
Andare a Londra era sempre stato il suo sogno.
Anche se la grande città distava a poche ore da Bath, Beth ci era andata solo da piccina e le uniche cose che ricorda sono il sorriso di suo padre e la neve, fredda e bianca.

Il treno era gremito di persone e Beth, seduta nella sua cabina, era felice.
Non solo perché stava ritornando a Londra, ma perché avrebbe incontrato Jessy, un’artista conosciuta in chat, che le avrebbe mostrato la scuola dove Beth sognava di entrare da una vita.


Ciò che si dice di Londra, è sostanzialmente vero… fredda, nuvolosa, caotica, bellissima… ma questi sono gli aggettivi che un qualunque turista dà, perché la guarda con occhi di estraneo e con occhi di tutti, ma Beth no, perché infondo, lei, non ha mai visto le cose così come le vedono gli altri, le ha sempre osservate e ammirate con occhi diversi, con occhi di sognatrice, con occhi di chi il mondo lo vede dietro le sue crepe e non sulla superficie.
E forse, è proprio questo che fa di Beth Smith un’artista.
Il suo essere e non essere, contemporaneamente.
Semplicemente essere se stessa: Beth.
E forse, è proprio questo che rende le opere di Beth opere di un’artista.
Ma Beth non ci crede, perché è quel tipo di persone che se le chiedi ‘ sai disegnare? ’ ti risponde che se la cava, ma non ti dice che ogni volta che impugna anche una semplice matita e la poggia su un foglio, un qualsiasi foglio, il mondo intorno a lei scompare. Non ti dice che quando è immersa in quelle ore di pura arte svanisce, e che la sua testa non c’è più; i suoi occhi non vedono più; le gambe non sono lì, ma in qualsiasi altro luogo; ci sono solo le mani che da sole, spinte da chissà cosa, disegnano. E come inchiostro su carta restano lì impressi tutti i sentimenti, le emozioni, i brividi, i sorrisi, le lacrime che Beth non riesce ad esprimere, che tiene dentro, chiusi con un catenaccio, e che vengono fuori così, non sa neanche lei come ci riescono, ma accade, accade e basta… perché per lei l’arte è questo: attimi che non sono mai stati presenti, ma solo passato o futuro; come quando batti le mani, nel momento in cui pensi di farlo è futuro, nel momento in cui le batti è già accaduto, passato.
E Beth si ritrova a vivere nel presente già passato e quasi futuro.
E si ritrova in un mondo suo dove ci sono Beth, l’arte e la magia: il suo mondo.

Il treno era arrivato: fermata Picadilly Circus.
Beth non ci poteva credere, era arrivata… a Londra.
Cazzo, Londra!
Erano quasi le 12 a.m. e Beth aveva fame, molta fame.
Mancavano pochi minuti all’incontro con Jessy, e Beth si incamminò verso il pub dove avrebbero pranzato.
Da lontano vide una folta capigliatura rossa, e la riconobbe grazie alla foto del profilo in chat. Le andò in contro e sorrisero, così spontaneamente, come quando si incontra un amico di una vita che non si vede da tempo, sorridi, sorridi e basta.
<< oddio, che bello! Non vedevo l’ora di incontrarti! >> le disse euforica Jessy
<< già… anche io >> rispose
<< dai sediamoci, sto morendo di fame! >>
<< ahah a chi lo dici! >>
Le due ragazze si sedettero e ordinarono, nel frattempo parlarono di tutto ciò che non si erano dette in chat; in realtà era proprio come se si conoscessero da una vita, ed era bello. Non facevano altro che ridere e parlare, parlare e ridere, e nel tempo che avanzava, ogni tanto, mangiare.

Quando si incamminarono per le strade della fredda Londra era pomeriggio inoltrato, avevano parlato davvero tanto, ed ora strette nei loro cappotti e con una cioccolata dello Starbucks si dirigevano verso l’appartamento di Jessy, che non era lontano da Picadilly Circus.
Beth avrebbe passato il capodanno lì, a Londra, e non vedeva l’ora.
Jessy era un’artista fantastica e frequentava la ‘Royal accademy of arts’, una delle più prestigiose scuole d’arte di Londra, dove entravano solo 46 pittori l’anno, e Beth vorrebbe tanto essere tra quelli.

Erano passati pochi giorni dal suo arrivo a Londra, e ogni giorno per Beth era una scoperta, una continua scoperta di luoghi da visitare, di foto da scattare, di schizzi, di cibo, di aria e neve… di Londra.

***

 

Era ormai passato molto tempo da quando Alec era andato via da Bath, non ricordava neanche tanto bene il motivo, o forse uno vero non c’era, era solo scappato come gli capita spesso di fare, così per staccare la spina.
Perché nonostante sia un ragazzo forte e combattivo, ogni tanto scappa, come fanno tutti, così senza neanche un motivo, o forse un motivo vero c’è, solo non si ha il coraggio di ammetterlo.
Girare nudo tra quelle quattro mura, che era il suo appartamento, gli era ormai abitudine, eppure in tutto quel circolo vizioso che vi è nell’abitudine non trovava riposo. Le sue giornate scorrevano nella noia, nell’indecisione e in qualsiasi altra cosa, che ora non ricordava; ma c’erano altri momenti in cui era vivo, completamente vivo, come quando suonava, guardava il cielo, o camminava con il freddo fin dentro le ossa, e anche quando aveva una ragazza diversa ogni sera. Ma quest’ultima divenuta abitudine incominciava ad annoiarlo.
Era confuso, e non poco.
Eppure nonostante la sua vita stesse andando avanti a scrivere altre pagine, seppure insulse, c’era qualcosa che lo riportava indietro, e sapeva benissimo cosa, ma in tutti i modi cercava di non pensarci.
Era ormai passato molto tempo, ma quel qualcosa, non riusciva ad abbandonarlo.
Era frustrato, e non poco.
Maledizione, pensò.
Era passato molto tempo, e durante questo tempo aveva scritto molto, il suo diario in pelle, fedele amico, era riempito di parole, melodie, colori che, però, non riuscivano a trasformarsi in musica… mancava qualcosa, e Alec non sapeva cosa.
Ci pensava, giorno e notte, notte e giorno, e in tutte le ore, minuti e secondi che li attraversano, ma nulla; il vuoto.
<< Dannazione >> urlò gettando il diario chissà dove, prendendo il giubbotto in pelle e sbattendo la porta.
L’aria era così gelida, che sembrava rispecchiare ciò che aveva dentro; non sapeva il perché si sentisse così, come se la fiamma dentro di lui si fosse spenta, vuoto.
Una mano tra i capelli e l’altra a mantenere la Malboro tra le labbra.
Cosa mi sta succedendo?
E Alec lo sapeva, lo sapeva benissimo, che era colpa di quel qualcosa, di quel dannatissimo qualcosa, che anche non volendo ammetterlo gli mancava.
Che anche non volendo ammetterlo cercava, ovunque, tra i volti dei passanti, nelle caffetterie, sui ponti, nell’acqua, nella musica.
Ma nonostante quel vuoto, in chissà quale parte dentro se, nel suonare riusciva quasi a riempirlo, perché in quegli istanti era vivo, ma non abbastanza, non così come desiderava esserlo.

 

 

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Ink Droplets

Care lettrici,
eccomi qui con un nuovo capitolo;
ho l’impressione, e spero di sbagliarmi, che nessuno di voi legga mai questo corner, che per me è importante, inoltre ho tardato nello scrivere il capitolo, non solo perché non avevo tempo, ma anche perché non vedo interesse da parte vostra.
Quindi in conclusione, per non allungarmi troppo, vorrei sapere se volete che continui questa storia. Lo volete?
A parte questo, spero che il capitolo vi piaccia.
Xx Fil

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Capitolo 14
*** Chapter 13 - You? ... You? ... ***


 

»Chapter 13

 

You? ... You? … - As Ink On Paper

 

Il capodanno si avvicinava sempre più, Beth e Jessy lo avrebbero trascorso al Tamigi dove, come ogni anno, si sarebbe tenuto uno dei più belli spettacoli pirotecnici del mondo, per poi andare in un locale.
Beth, purtroppo, non aveva con se un vestito adatto all'occasione, così quell'oggi sarebbe andata con la sua amica alla ricerca di un vestito, ricerca ardua visto i suoi gusti difficili.
Il negozio dove Jessy avrebbe portato la ragazza dagli occhi blu si trovava dalle parti del Tower Bridge e ci sarebbero arrivate in metro.

Quando le ragazze decisero di tornare a case era sera inoltrata, Londra era avvolta dal freddo, dalle luci delle decorazioni natalizie, e dal buoi tipico della notte.

Erano le sette e mezza, eppure, la metropolitana era gremita di persone in corsa per gli ultimi preparativi, regali da comprare, scarpe, accessori, vestiti; nell'aria c'era quel tipico odore che si respira solo in quel periodo e odorava di neve, felicità, calore e... musica; le dolci corde di una chitarra suonavano Here without you dei 3DoorsDown accompagnate da una voce roca e profonda, Beth si girò in cerca del cantante ma non riuscì a trovarlo, c'era troppa gente.
Beth Smith sentì nello stomaco una strana sensazione.
Quella voce... che voce!
Beth ne era sicura, non aveva mai sentito quella canzone, una delle sue preferite, cantate in quel modo, con quell'intensità e passione.
Si sentì strana, e non sapeva perchè.
Jessy, Charlotte e Eleonor avevano già superato i caselli, Beth era rimasta indietro, si affrettò a prendere l'abbonamento, fatto qualche giorno prima, ma nulla: sparito.
Beth si diresse verso la biglietteria, dove una folla di gente sostava, poi risentì quella voce e capì che il cantante si trova lì, cercò di avvicinarsi, ma nulla, troppa gente.
Fu un attimo, un uomo si spostò e Beth incontrò due occhi, neri, come quelli di lui.
Sentì un tremolio percorrerla.
Impossibile, pensò.
Poi nuovamente una calca di gente la separò dal musicista.
Prese la borsa in cerca di spiccioli, ma nulla aveva solo una banconota da venti sterline.
<< scusate avete da cambiare venti sterline? >> chiese a delle signore, che davano l’impressione di essere quelle tipette con la puzza sotto il naso, ferme vicino la biglietteria adiacente e queste risposero con un No secco, senza neanche controllare.
Beth scosse la testa, poi si girò nuovamente...

***

 

Come era solito fare Alec si trovava in stazione, dove anche quel giorno, aveva suonato.
Erano quasi le otto di sera, ma la stazione era zeppa di persone.
Stava suonando le note di una canzone quando una sensazione allo stomaco lo attraversò, si sentì bene, vivo...
Alec cantò quella canzone in un modo in cui non aveva mai cantato.
Sentì quelle parole sulla propria pelle, incise.
Ne sentì il dolore e l'intensità.
Cantò con passione, una passione che si distrugge con la sua stessa intensità, e che terminò con l'ultimo accordo della canzone.
Ma quella sensazione allo stomaco no, era ancora lì, e chissà come ci era arrivata.
Alec si prese una pausa e la folla di persone iniziò a diminuire, poi ad un tratto si girò e incontrò due occhi blu, come quelli di lei.
Impossibile, pensò.
Mentre era intento a sistemare la sua chitarra sentì una ragazza chiedere se qualcuno aveva da cambiare venti sterline, Alec si alzò e si diresse verso questa...


***


... e si ritrovò lui.
Così all'improvviso, come quando in una bella giornata all'improvviso piove.
Alec era davanti a lei, ed era ancora più bello di come lo ricordasse.
A Beth sembrò passata un'eternità dal loro incontro sul Palladian Bridge, lo aveva cercato così a lungo, senza trovarlo, e perdendo, poi, le speranze.
Qualche notte lo aveva sognato. Aveva rivissuto, nella sua mente, i loro incontri, dal primo all'ultimo. E si sentiva bene, terribilmente bene.
Ed ora era lì, con i suoi occhi inchiostro, i capelli più lunghi e spettinati, i jeans strappati, una maglia che gli fasciava il fisico asciutto e un sorriso... sorpreso.
E in Beth nacque la speranza che lui si ricordasse di lei, sperò che, come lei, lo avesse cercato per poi perdere le speranze, e che il colore dei suoi occhi lo avesse tormentato.
Ma Alec sorrideva, sorrideva e basta.
E Beth si senti, in qualche stranissimo modo, tradita…


… non era possibile, era lei.
Cazzo!
L’aveva cercata così a lungo; vedeva i suoi occhi ovunque, quel blu così intenso; aveva cercato in tutti i modi di dimenticare quegli strani, ma stupendi, incontri; aveva cercato, in qualsiasi modo, di non pensarla, di non cercarla, ma invano, qualsiasi cosa facesse, quella ragazza dal nome ancora sconosciuto non andava via.
I suoi occhioni blu erano leggermente spalancati, e Alec sperò con tutto se stesso che si ricordasse di lui, che lo avesse cercato, come lui cercava lei, e che ora fosse felice di averlo lì d’avanti.
Le sue labbra si aprirono leggermente ed uscì un tremolante ‘ ciao ’
Alec sorrise ancora di più
<< ciao >> le rispose con voce calda


Beth sentì una scossa percorrerla, che freddo che fa qui, si disse.

<< tieni… >>
<< scusa… cosa?? >>
<< ti servono i soldi per il biglietto no? Prendi >>
<< Io… n-non posso… >>
<< non ho da cambiare venti sterline, su prendi, canterò qualche altra canzone e li riguadagnerò… >>
<< Io…, tu… grazie >>

Sorrisi, di certo la prima volta che parlammo non era così impacciata…
Dio, è ancora più irresistibile…
E Alec lo pensava sul serio, che quella piccola ragazza fosse irresistibile, era così dannatamente diversa dalle altre, da tutte le altre ragazze con cui era stato, era così piccola e timida, ma nascondeva anche una guerriera e spavalda sè.
I suoi capelli neri le arrivavano in vita, ed erano come il cielo di notte, nero, ma luminoso, costellato di stelle.
I suoi occhi, quei maledetti occhi, non c’erano parole per descriverli, ma solo le sensazioni che gli causavano: brividi, scosse, sensazioni indefinite nello stomaco.
Era bassina, ma anche attraverso la felpa, dei Pink Floyd, di qualche taglia troppo grande per lei, riusciva a intravedere che di certo lì sotto nascondeva delle bellissime curve.
Era la ragazza più misteriosa e bella che avesse visto.
Il suo sorriso era come l’acqua in una torbida giornata nel deserto, indispensabile.

<< sei bravo… >>
<< c-cosa? >> Alec si risvegliò dai suoi pensieri.
<< dicevo, sei bravo, mi piaci come…, suoni bene >>

Dio, che imbarazzo! Che imbranata!

Alec sorrise, e Beth si sentì morire.
La sua risata era un suono così melodico, che sarebbe rimasta lì per sempre ad ascoltarlo.

<< grazie! >>

Ed anche Beth sorrise.

<< Ecco, io dovrei fare il biglietto, grazie ancora… >>
<< figurati! >>

Si sorrisero nuovamente poi Alec andò nuovamente verso la sua chitarra.
Beth fece il biglietto, si girò per andare ai caselli, e si scontrò ancora con quegli occhi.
Sorrise, si sorrisero, e il mondo introno a loro sparì, di nuovo.
Beth stava per andare via quando qualcuno le tirò il braccio.

<< devo ancora sapere il tuo nome… >> le disse Alec.
<< devi ancora scoprirlo! >> gli rispose.

Sul viso di Alec comparve un sorrisetto furbo.

<< mi piacciono le sfide >> disse passandosi una mano tra i capelli.

Beth si girò e andò via.

In treno incontrò le altre ragazze e disse loro di aver dovuto fare il biglietto.
Per tutto il tragitto di ritorno Beth non fece altro che ripensare a lui, e inevitabilmente, sulle sue labbra si dipinse un sorriso.
Ed era felice, tremendamente.
Lo aveva rivisto, e non avrebbe potuto sperare in un rincontro migliore…


Era andata via, così come era arrivata, troppo velocemente.
E ad Alec non rimaneva che il suo profumo incastrato tra le narici, il suo sorriso e i suoi occhi.
Continuò a cantare per un altro po’ e per la prima volta da quando era a Londra si sentì libero, veramente libero.

 

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Ink Droplets

 

Care lettrici,
eccoci con un nuovo capitolo,
in primis ringrazio chi in questi giorni ha recensito i miei capitoli, questo capitolo è dedicato a tutte voi, spero vi piaccia.
Come avete visto Beth e Alec si sono rincontrati, e come tutti i loro incontri, non è stato per nulla banale, o almeno lo spero.
Se Beth aveva dato l’impressione di averlo dimenticato, qui, capiamo che non l’ha fatto per nulla; magari ha provato ad andare avanti, ma Alec era sempre lì, in un piccolo posto della sua mente, in un piccolo posto del suo cuore.
Inoltre capiamo, o almeno spero si sia capito, che quel qualcosa che mancava ad Alec per sentirsi vivo, era lei, erano i suoi occhi, ed ora che li aveva rivisti lui si sente irrimediabilmente vivo.
Forse in questo capitolo è anche più comprensibile cosa provano l’uno per l’altro, anche se è ancora indefinito, ma di certo non è un semplice interesse; di Beth non si sa ancora con precisone, ma di Alec di, la trova irresistibile, interessante e diversa da tutte le ragazze con cui è stato, e non sono poche.
Cosa accadrà mai tra i due protagonisti?
Lo scoprirete continuando a seguire la mia storia.
Spero che vi piaccia, e si vi va recensite (non obbligo nessuno, però mi renderebbe molto felice vedere qualche recensione in più).
Un ringraziamento a:

Una canzone_ solo per te_

shadows_fantasy

elev

per aver recensito la mia storia, e soprattutto, per le bellissime recensioni.

Xx Fil

 

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Capitolo 15
*** Chapter 14 - Word... Just Word ***


 

»Chapter 14

 

Word… Just word As Ink On Paper

 

 

Perchè Beth lo sapeva... sapeva che le parole non esprimono i sentimenti, ma li racchiudono; li incastrano tra lettere che vengono pronunciate con così tanta facilità; diventando usate, sbiadite, urlate, strappate e gettate... parole che perdono di significato.
Parole pronunciate da solti, che ne ignorano l’importanza, facendole divenire cenere che vola in aria; sussurrate dai codardi, che le donano un significato maggiore di quello che hanno, divenendo ambrosia per comuni mortali; piante o urlate, da coloro che i sentimenti li vivono, li sentono freschi sulla propria pelle ... come ferite, diventando solo lettere, lettere che non bastano.
E poi c'è chi le parole non le usa, poichè viste come frivoli mezzi di comunicazione, perchè con le parole si mente, si ferisce, si ama, si muore... e allora ci sono i gesti.
Ma quando neanche i gesti bastano, perché anche quelli sbagliati; perché anche quelli, alla fine, quando c’è spazio solo per la verità sembrano fuori posto, insulsi e inutili, ci sono… gli occhi.
E gli occhi parlano più di mille parole dette, sussurrate o urlate; più di mille gesti fatti, gettati o pensati; perché sono occhi, fanno parte dell’uomo, ma non sono controllati da questo… sono come i diamanti scalfiti, solo, da loro simili.
E Beth sapeva che con gli occhi non si può mentire, non si può ferire; ma sapeva, anche, che con gli occhi si può amare, si può morie.
Eppure, doveva ammetterlo, sapeva che ciò che fa innamorare il mondo sono le parole, dolci suoni che compongono eterne melodie.
E sapeva anche che... quelle parole... pronunciate dalle sue labbra... erano state il colpo mortale.
E allora Beth disse addio a quell'ultima scheggia di cuore che le era rimasta; perchè adesso lo sapeva che era completamente, e irrimediabilmente, suo.

 

 

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Ink Droplets


C
are lettrici,
in primis ci tengo a dire che questo non è un nuovo capitolo, ma solo una parentesi per augurarvi un buon Natale.
In realtà, questa parentesi, vedetela come una carta svelata da un indovina, poiché è una piccola anticipazione, del continuo della storia.
Stavo cenando quando in tv ho sentito pronunciare ‘ parola ’ e… bamh!... ispirazione, sono corsa al pc e ho scritto questo breve testo annettendolo alla storia, così ho deciso di regalarvelo per
augurarvi delle felici feste, poiché manca poco ( XD)!
In questo periodo di vacanze scolastiche ( che bello ^_^) aggiornerò la storia più frequentemente, infatti, il capitolo 15 è work in progress.
Vi chiedo, essendo che a Natale si è tutti più buoni, di recensire la mia storia, questo appello ( e non minaccia) va soprattutto alle lettrici misteriose, fatevi avanti, non mordo!
Credo che questo sia tutto, nuovamente Buon Natale, a voi e alle vostre famiglie!
Ditemi cosa ne pensate di questo Word… Just word… a presto.
Xx Fil

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Capitolo 16
*** Chapter 15 - The Night Of The Wishes ***


»Chapter 15

 

The night of the wishes - As Ink On Paper

 

 

Beth Smith non è mai stata un di quelle ragazze per le quali l’unica cosa che conta è l'apparenza; una di quelle ‘Sono senza trucco, non posso uscire!’; o quelle che sembrano tornate da una giornata in un centro estetico, impeccabili.
No. Beth Smith è così come la si vede: Beth.
Solo che, dietro quel semplice Beth, nasconde molto più di quanto si immagini.
Solo che, dietro quel viso mai truccato, nasconde fiumi di lacrime mai condivisi con altri.
Solo che, dietro quelle felpe enormi, nasconde un insicurezza mai accettata; dietro quei capelli così lunghi un bellissimo viso e degli occhi dove, purtroppo, non può nascondere nulla.
E Beth non lo accetta, perchè avvolte, vorrebbe essere come tutte le altre ragazze; vorrebbe divertirsi, fare amicizia, risultare simpatica, e anche stupida; ma no, non lo è.
Beth è timida, e quando incontra nuove persone dice a stento il suo nome, per poi starsene lì, ferma ad ascoltare: spettatrice della sua vita.
Perchè Beth si sente sempre, e con chiunque, a disagio; prova la sensazione di essere nel luogo sbagliato, di non essere giusta, di essere di troppo. E lo odia, odia quella sensazione che le attanaglia lo stomaco, le offusca la mente e gli cuce la bocca.
Beth Smith non sopporta l’essere giudicata da persone che non compiono neanche il minimo sforzo per conoscerla, e sa, che la colpa è sua, perchè è lei a non lasciarsi andare, mai, e nonostante tutto l'impegno, non ci riesce.
Dannazione, molte volte ha esclamato.
Dannazione per tutte le volte che ha tentato, con pessimi risultati, di cambiare, di provare ad essere qualcun'altro, per poi capire che non ci sarebbe riuscita.
Dannazione per tutte la volte che ha rinchiuso le parole nella lingua nascondendole nello stomaco; per tutte le volte che ha preferito rimanere in silenzio piuttosto che difendere se stessa; per tutte quelle dannatissime volte, in cui, per non piangere, per non urlare il dolore che provava, semplicemente sorrideva e ci scherzava su; per tutte le volte che da sola si è data pugni nello stomaco, per fingere, per fingere che non le importasse.
Ma davvero non le importava?
No, a Beth importava e come; ma ha sempre cercato di essere una di quelle persone a cui non importa ciò che gli altri pensano di lei; una di quelle persone che vive la propria vita senza farsi condizionare dal pensiero altrui; una di quelle persone forti, che non piange al primo ostacolo; una di quelle persone che semplicemente, e dannatamente, non è.
Ma nonostante le cadute, le lacrime, gli addii, le parole non dette, i pugni, i sorrisi finti, Beth si è sempre rialzata, da sola, e a testa alta ha affrontato un altro ostacolo.
Perchè Beth non lo sa, ma è forte. Lo è davvero.
Lo è stata quando ha deciso di chiudere un capitolo della sua vita, di andare avanti; di non dimenticare, ma di superare.
E Beth, forse troppo presto per la sua età, ha capito e imparato a proprie spese che un legame, per quanto forte, non è indistruttibile, e in qualsiasi momento si può perderlo… in un attimo.
E, allora, si è resa conto che la vita, nel bene o nel male, non sarebbe stata più la stessa, e per quanto si sarebbe sforzata di fingere che tutto andasse bene, dentro di lei sapeva che il meglio era passato, e che il tempo a venire lo avrebbe impegnato a far credere agli altri che stesse bene, per non farli preoccupare troppo e rischiare che si sarebbero sentiti in obbligo di aiutarla, inutilmente.
Perchè l'unica cosa che avrebbe voluto era tornare indietro e far sì che tutto rimanesse come prima, perchè sapeva che la parola scusa, questa volta, non sarebbe bastata.
E allora dovette tentare di rimettere insieme i pezzi di una parte di lei che si era rotta, e cercare in tutti i modi di proseguire, andare avanti; lasciarsi quella parte di passato alle spalle, senza illudersi, perchè nonostante le ferite si rimarginano, restano le cicatrici. E se con il tempo il dolore diminuisce, questo, non significa che i ricordi vengano dimenticati, o che scompaiano. Anche se le cicatrici non si vedono, ci sono, non sono scomparse e in futuro possono tornare a sanguinare. Una ferita anche se guarita è pur sempre una ferita, un segno sulla propria anima del dolore che si è provato, del dolore che si è superato, e che è diventato una parte di se stessi.
Perchè, infondo, Beth lo sapeva; sapeva che il dolore è ciò che costituisce il nostro corpo, ciò che lo spinge a dare il massimo e poi lo fa crollare, ciò di cui l'uomo ha bisogno per crescere.
Perchè provare dolore significa aprire quelle finestre che si cerca di chiudere sul mondo; un mondo che non è così come sembra, ma pieno di trappole, e anch'esso di cicatrici.
E allora, entrambi, non saranno altro che guerrieri di una vita che si diverte a giocare sporco; non saranno altro che fantocci nelle abili mani di un burattinaio; costretti ad essere spettatori della propria vita, ad attutire i colpi, a chiudere le ferite, e a superare… per andare avanti.
Ma ciò che Beth non ha mai imparato, o semplicemente capito, è come andare avanti… come poter continuare la propria vita senza che, di notte, quando le barriere cadono e l’aria si nasconde nel buio, il passato torni, sotto forma di incubi, di vuoti nello stomaco, o ombre sulle pareti… come…
E a quella domanda, senza punto interrogativo, non c’è risposta… Beth non lo sa, e non ha nessuno che possa dirglielo.
Perché, infondo, chi la conosce veramente… chi? … se neanche lei si conosce…
Ci sono momenti, in cui, nel guardare la sua immagine riflessa nello specchio, Beth, non si riconosce… vede solo dei capelli neri, troppo lunghi; degli occhi blu, troppo scuri; una pelle chiara, troppo; … vede solo troppo, un troppo che le sembra nulla… perché lei si sente come il vuoto, invisibile e inutile; ma poi, quando, come il quel momento, il vento l’attraversa e le scorreva nelle vene, era viva; e si sentiva sostanza ... esisteva … era aria, terra, fuoco, acqua… era tutto ciò che voleva essere, era c’era.

***


Era lì, a Londra… era Capodanno, o almeno, tra poco, lo sarebbe stato…
Era lì, sul Tower Bridge… il vento l’attraversava e le scorreva nelle vene, i pensieri si mescolavano nella testa, le mani erano fredde, e il vestino rosso galleggiava nell’aria.
Il cielo era nero, e Beth non poteva non pensarci, non poteva non pensare di non sopportare più quella situazione, di essere tormentata, di non vedere altro che lui
Cosa diamine mi sta succedendo? – sussurrò, ma in realtà era un urlo, solo che dalle sue labbra ne uscì un eco lontano.
Tutto il mondo, introno a lei, correva, troppo veloce, affinché potesse raggiungerlo… affinché potesse fermarlo… e non le sembrava altro che un brusio di sottofondo, lontano … quasi silenzioso.
<< Beth… su muoviti! >> le urlò Jessy, e Beth corse verso l’amica, con i capelli che fendevano l’aria, il vestitino che svolazzava, e il naso divenuto d’un tratto rosso.
Beth era senza parole… l’aria londinese era impregnata di magia; il cielo era spento e le stelle a pochi metri dalla sua testa; non si poteva camminare, c’erano troppe persone, ma non importava, perché era lì…
Jessy aveva insistito affinché partissero da casa prima; Londra era affollata, ed erano solo le 8.00 p.m dell’ultima sera di quell’anno.
Erano tutti in coppia, e Beth: sola, ma non le importava, non quella sera… voleva, almeno per una notte, fregarsene del mondo; fregarsene di ciò che pensano gli altri, voleva essere libera, o perlomeno avere la mente vuota.
Tutti quei corpi aspettavano con ansia che l’atteso momento arrivasse; aspettavano il momento adatto, quell’attimo fuggente, per giurare e promettere amore alla persona che stringeva la propria mano.
Beth, invece, sperava solo che quell’anno che stava arrivando sarebbe stato migliore di quelli trascorsi, ma poi si disse che ciò che sperava, in realtà, lo sperava ogni anno, e che puntualmente sfumava nel lontano desiderio di quel sogno; quindi animata da uno spirito di rinnovamento e rivoluzione, si promise che quella sera ogni pensiero, o desiderio, che le avrebbe, anche solo fugacemente, attraversato la mente lo avrebbe realizzato… quella era la sua notte, la notte dei desideri.
Cercando di farsi largo tra la folla, Beth Smith, s’incammino, e si lanciò, alla ricerca dei pensieri che, sperava, ben presto l’avrebbero investita, ma tra tutti quei corpi intrisi di felicità e speranza, Beth, non trovava altro che, se proprio doveva ammetterlo, invidia…
Giunta, dopo un estrema lotta per la sopravvivenza, in una stradina meno affollata, Beth Smith, poté finalmente respirare un po’ di libertà; camminando si accorse che quell’ odore ancora un po’ natalizio galleggiava nell’aria e che, dalle case che affiancavano la strada, un aroma di cenone di fine anno si espandeva danzando, e nascondendosi, nel freddo clima.
Beth pensò che Londra, era sì una città fredda, e forse per chi non riesce a comprenderla, ostile, ma nascondeva dietro quell’ apparenza un calore, che nessun’altra città poteva offrire.
Le vie pullulanti di cuori caldi, di avventura, e giovinezza; i sorrisi; i baci scambiati in segno di promesse di un’amore, che se anche non duraturo, ricco di speranze e sogni; le etnie più svariate; l’arte, la musica, il cinema, la danza, espressioni dell’io interiore; ma soprattutto, Londra, era ricca dei più nobili e sinceri sentimenti, esistenti in qualsiasi città del mondo, ma che lì trovavano la libertà e il coraggio di essere espressi.
Il vento soffiava freddo e Beth, nel solito parka verde, rabbrividì, e si pentì e dannò per non aver preso la sciarpa prima di uscire di casa.
<< Perfetto! Ci manca solo il raffreddore! >> pensò ad alta voce.
Prese un fazzoletto dalla tasca destra del parka, prima che potesse starnutire.
Beth non sapeva dove fosse, e un lieve brivido, di freddo o paura, in quel momento non ne era sicura, l’attraversò.
Poi presa da una strana sensazione s’incamminò in quella strada alla ricerca, o scoperta, non sapeva neanche di cosa.
In sottofondo, ad accompagnare i suoi passi, destro sinistro, destro sinistro, c’era una dolce e lenta melodia. Beth ne fu catturata e incuriosita, così decise di seguire quelle note di una sconosciuta chitarra.
Dopo un po’, Beth Smith, si fermò e a pochi passi, o metri, non era sicura in quel momento, c’era un ragazzo che con la testa piegata indietro alla ricerca di una stella, che quella sera non ne voleva sapere di venire fuori, perché oscurata dalla moltitudine di luci artificiali, suonava.
Un movimento strano comparve nello stomaco di Beth, quando il ragazzo abbassò la testa, la guardò negli occhi e con un << hei! >> urlato, ma che a lei arrivò sussurrato, la salutò.

Cosa ci faceva qui?
<< ciao >> sussurrò Beth.
Alec, non sentendo alcun suono uscire da quelle labbra, prese il plettro e lo bloccò tra le corde, poi si mise la chitarra in spalla, e a passo lento e terribilmente attraente, a detta di Beth, la raggiunse.
<< hei! >> ripetè a pochi centimetri dalla ragazza.
<< ciao >> ridisse, nuovamente, ma con voce più alta.
Alec sorrise, non con malizia o altro, lo fece gettando la testa indietro e sferzando l’aria fredda che li avvolgeva trasformandola in uno
spartito ricco di note allegre.
Beth ne rimase incantata, ma una rughetta le si formò sulla fronte al suono di quella, inaspettata, risata.
<< Cosa c’è da ridere? >> si fece coraggio e chiese
<< Beh nulla… ma… >> si fermò e guardandola diritto negli occhi le si avvicinò, ma Beth, troppo sconvolta, parve non accorgersene << in tutto questo tempo ho desiderato così tanto incontrarti, ma non ti trovavo mai… >> il cuore di Beth, senza che lei ne comprendesse il vero motivo, cominciò a battere più veloce << ed ora invece, sembra, che il destino non voglia altro. >> le sussurrò così vicino, che Beth potè sentire, questa volta, la causa del brivido che l’attraversò.
<< I-io non credo nel d-destino… >> sussurrò lei tremolante.
Ed una altra sonora risata lo attraversò, spezzando quel contatto seppur invisibile ad altri, chiaro ad entrambi.

<< Cosa ci fai qui? >> le chiese Alec.
<< I-io… quello che fai tu… >> rispose poco sicura
Alec la guardò, nuovamente, e poi con un << suoni la chitarra? >> le sorrise, prendendola un po’ in giro.
Beth capì lo scherzo, e sorrise.
<< Cosa ci fai qui? >> ripetè, ma con un tono di voce più basso e profondo.
<< S-sto facendo un giro >> uscì quasi come un lamento dalle sue labbra.
<< Sola? >> chiese Alec con una nota di speranza, scappatagli dalle labbra.
<< sola… >> rispose Beth in un sussurro, ed entrambi, in qualche assurdo modo, ne furono sollevati.
Rimasero ancora lì, uno di fronte all’altro, con gli sguardi fissi, ma senza mai osare guardarsi.
Alec con le mani strette a pugno e affondate nelle tasche dei jeans, per nascondere e reprimere la voglia di toccarla.
Beth con le labbra tra i denti, per trattenere la voglia, che aveva, di baciarlo.
Poi, quel silenzio, per nulla imbarazzante, venne interrotto, e rotto, dalla suoneria del telefonino di Beth.
<< pronto? >>
Dall’altro lato era ben udibile una voce un po’ alterata, e sul viso di Alec si dipinse un sorriso vittorioso.
<< scusa, era la mia amica >> disse Beth dopo aver chiuso la chiamata con Jessy.
<< di nulla >> rispose semplicemente.

I due ragazzi si incamminarono nelle vie di una Londra viva, pronta per una fine dell’anno in grande stile, nessuno dei due aveva chiesto l’altro di allontanarsi, ma non c’era bisogno, lo avevano fatto gli occhi, che muti sì dissero molte più parole di quante avrebbero potuto dirsi parlando.
Un'altra folata di vento fece rabbrividire Beth, e Alec, toltosi la sua sciarpa nera, l’avvolse intorno al collo della ragazza; Beth sorrise: odorava di lui.

Era già passata una mezz’ora da quando avevano lasciato il centro pullulante della città, intorno a loro regnava il silenzio, spezzato solo dai loro respiri.


Alec non poteva crederci, che ora, in quella sera, si trovasse, in chissà quale parte di Londra (non che la cosa gli importasse) con lei… era bellissima: i lunghi capelli neri svolazzavano nell’aria, il naso era arrossato, e la sua sciarpa le avvolgeva il collo, e sperò, con tutto se stesso, che ne sarebbe rimasto intrappolato il profumo.

Beth non aveva mai creduto nel destino, o cose simili, ma si disse che era impossibile, che ora, lì accanto a lei ci fosse Alec; si disse che era impossibile che la sciarpa di lui le avvolgesse il collo; si disse che quel profumo che l’abbracciava non era il suo; e che probabilmente stava sognando.
Ma degli occhi, in un sogno, non avrebbero potuto brillare così tanto; e allora capì che ciò che desiderava era trascorre, quella sera, con lui… Beth Smith strinse la mano di Alec, e scacciando via il brivido che gli percorse la schiena, iniziò a correre.

Alec non si sarebbe mai aspettato un gesto così dalla ragazza che ora lo trascinava per Londra, sorrise, e le strinse più forte la mano.

I due ragazzi iniziarono a correre senza una meta, senza sapere dove e quando sarebbero arrivati; sui loro visi si imprigionarono i sorrisi di chi ha la propria vita nelle mani, e strette una nell’altra divenne unica e condivisa; dalle loro labbra sgorgarono sonore risate che riempirono l’aria.
Erano lì, uno nella mano dell’altro; respiravano la stessa aria; correvano con lo stesso passo; provano le stesse sensazioni…
Erano lì, e non avrebbero voluto essere in nessun altro posto al mondo.


Quando si fermarono, tutto in torno a loro tacque… le strade erano vuote, l’aria pungente, il cielo stellato faceva da sfondo, e in sottofondo un lieve brusio proveniente dai preparativi per il grande momento; Beth e Alec, non avevano la minima idea di dove fossero, sapevano soltanto che quella era la loro sera, e che per nulla al mondo l’avrebbero sprecata.
Lasciarono uno la mano dell’altra, poi per un secondo, che parve loro un’eternità, si guardarono negli occhi, e troppo imbarazzati abbassarono la testa: Beth per nascondere il rossore che aveva rivestito la sua pelle, e Alec perché non riusciva a reggere quegli occhi.
E allora, entrambi, si chiesero perché quell’imbarazzo non c’era stato nel momento in cui, strette una nell’’altra, le loro mani li avevano portati lì.
Alec alzò lo sguardo, si avvicinò a Beth, e in un modo così dolce, ma che a lei parve tremendamente sexy, le appoggiò le labbra all’orecchio e le disse << seguimi >>.
Beth Smith fu pervasa da una scossa di brividi, e non riusciva a capire perché, lui, uno sconosciuto, la facesse sentire così… così, neanche lei sapeva come; e lo seguì.

Alec non sapeva perché le aveva chiesto di seguirla, Dove poi?, ma sapeva, solo, di voler stare con lei più a lungo possibile.
Alec Cooper voleva solo scoprire cosa c’era in quella ragazza, che adesso lo seguiva, di così diverso dalle altre.
Alec Cooper voleva capire perché quella sera, quella del ballo, semplicemente non aveva accontentato quella matta voglia che aveva di baciarla, che ancora l’assaliva, invece di ballarci solamente.
Voleva capire perché quella ragazzina lo interessasse così tanto, perché non smetteva di pensarla, e tutti i perché ai quali non aveva risposta.
Voleva capire, solo questo, e poi, forse, tutte quelle cose strane che alloggiavano nello stomaco, nella testa e nel cuore, sarebbero andare vie.

Beth e Alec, quella sera, fecero tutto ciò di cui avevano voglia: mangiarono un kebab all’angolo di una strada; si abbuffarono con una scorpacciata di cupcake; urlarono a squarciagola una canzone che non conoscevano; corsero; risero; si tennero per mano, qualche volta; si guardarono negli occhi, quando ne erano abbastanza coraggiosi.
Visitarono Londra, non come i comuni turisti, no: la visitarono cogliendo ogni attimo, e vivendolo; la visitarono, e vissero, nel buio della notte, quando tutto tace, ma vive; la vissero negli occhi uno dell’altro; e, si dissero, che non avrebbero potuto vederla meglio.

Mancava ormai mezz’ora alla mezzanotte, e Beth convinse Alec a tornare indietro, voleva vedere i fuochi d’artificio, e glielo chiese con quel fare tipico da bambina, che Alec non potè non accettare.


Quando arrivarono nei pressi del Tower Bridge trovarono così tante persone che, anche volendo, non le avrebbero mai viste tutte, Alec si girò e vide sul volto della ragazza dai capelli neri un sorriso di delusione, e si disse che non avrebbe permesso a tutte quelle persone di rovinare quella sera, la loro sera.
Prese il polso di Beth e, ignorando le sue lamentele, la trascinò con se; sgomitando a destra e sinistra riuscirono ad uscire dalla folla, Beth era spaesata - << Dove stiamo andando? >> chiese – ma Alec continuò ad ignorarla e la portò in un vicoletto; poi quando si girò vide sul volto della ragazza uno sguardo confuso, fece finta di nulla, si rigirò ed abbassò una scala - << Sali >> le disse – e Beth, senza sapere il perché, salì.
Una volta finita la rampa di scale, si ritrovò sul tetto di un palazzo, era sorpresa, poi l’appoggiarsi di delle labbra sul suo orecchio catturò la sua attenzione - << Da qui, i fuochi, si vedono molto meglio >> - Beth sorrise, e Alec, seppur non lo vide, ricambiò.

 I due ragazzi si avvicinarono al cornicione e rimasero a bocca aperta, sotto di loro un tappeto di anime si estendeva rendendo Londra coloratissima - << wow! >> disse Beth - << già, bellissimo! >> rispose Alec – poi dal basso si alzarono grida di entusiasmo, mancavano pochi minuti.
I due ragazzi si girarono, e uno difronte all’altro, si guardarono, finalmente, negli occhi.

Dieci, nove, otto…

Non sapevano perché, ma tutta la paura che avevano provato fino a quel momento sparì, lasciando spazio al desiderio di sprofondare nero nel blu, blu nel nero; di guardarsi, e basta; perché, anche se non lo sapevano ancora, il loro posto, era lì, negli occhi dell’altro: blu nel nero, nero nel blu.

Sette, sei, cinque…

Beth, non se ne accorse, e forse neanche Alec, ma erano sempre più vicini, come due calamite che si attraggono.

Quattro…

Sempre di più.

Tre…

Respiravano l’aria dell’altro.

Due…

Chiusero gli occhi.

Uno…

Li aprirono.

 

<< Buon anno… Beth! >> le sussurrò Alec a pochi millimetri dalle labbra, per poi girarsi e andarsene, con ancora lì la matta voglia di baciarla, il prurito nello stomaco, il suo profumo nelle narici, e la sciarpa al collo di lei.

Alec Cooper andò via.


<< c-cos… >> uscì tremolante dalle labbra di Beth.

Non riusciva a capire.
Come fa a sapere il mio nome?
Perché è andato via?
Era andato via, lasciandola lì, sola, con una matta voglia di baciarlo, il prurito nello stomaco, il suo profumo nelle narici, e la sua sciarpa al collo.
Beth Smith rimase lì.

 

Poi, d’un tratto, sulle loro labbra apparve un sorriso.
Beth e Alec, non sapevano perché, ma erano felici. Liberi.

 

<< Buon anno.. Alec! >> sussurò, nell’aria gelida, e quel lieve suonò si nascose nell’incendiarsi del cielo, e nella melodia di voci felici.

 

 

 

_______________________________________________________________________________________________
Ink Droplets

 

Care lettrici,
ecco qui un nuovo capitolo.
Mi sono impegnata molto per donarvi un capitolo bello lungo, è il più lungo della storia, e spero vi piaccia.
In questo capitolo, ambientato la notte tra la fine dell’anno e Capodanno, scopriamo molte cose su Beth, ma c’è comunque un alone di mistero che la circonda.

Quale legame avrà perso? E perché l’ha segnata così profondamente?

Cosa sarà successo?

Inoltre, questa prima parte di capitolo, è un po’ come un diario, nel quale Beth ci racconta un po’ com’è veramente; devo, perciò, confessarvi che questo è uno dei capitoli a cui sono più legata, poiché è abbastanza personale, ma tengo a precisare che Beth non sono io, ma, come già detto (mi sembra), un po’ in tutta la storia c’è qualcosa di me.
Spero, inoltre, di avervi accontentato aggiungendo un po’ di dialoghi in più, ma devo fare più pratica (quindi scusatemi xD), e per chi sperava in un loro bacio, anche la situazione si era ricreata nuovamente, non uccidetemi.
Devo dire che la mia intenzione era di far finire questo capitolo con un bacio, ma mentre scrivevo la fine, non cosa mi sia presa ma non l’ho scritto, non so mi sembrava troppo scontato, e come sapete, le cose scontate non fanno per me.
Quindi perdonatemi.
Comunque se vi va ditemi come avreste voluto il finale, e chissà, forse, mi darete uno spunto…
Non voglio dilungarmi troppo, quindi concludo.
Come sempre sarei felice di ricevere vostre recensioni, quindi non deludetemi. Ci tengo davvero molto a questo chapter.
Ringrazio:

shadows_fantasy

elev

Una canzone_ solo per te_

Erica_Writer

per le bellissime recensioni, e per recensire, sempre in modo fantastico, la mia storia. Poi un ringraziamento a chi segue, a chi ha messo questa storia tra le preferite e ricordate.
E come sempre un appello a chi, invece, sta nell’anonimato: fatevi avanti! E comunque grazie anche a voi! ^_^
P.s. Grazie per gli auguri! <3 Come avete passato questi giorni di festa? Se vi va raccontatemi.
Un enorme bacio

P.p.s.s. Allora, avviso, per chi è la prima volta che legge questo capitolo, e chi invece no, che ho apportato delle modifiche. Il capitolo non mi convinceva, ora così lo trovo, decisamente, meglio. Spero, in entrambi i casi vi piaccia, e magari ditemi cosa ne pensate della modifica apportata.
Xx Fil

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Capitolo 17
*** Chapter 16 - Nothing more ***


 

»Chapter 16

 

Nothing more  As Ink On Paper

 

 

 

 

Una cosa era certa: le vacanze erano finite.
Beth era a casa già da qualche giorno, il suo viaggio a Londra era stato più che soddisfacente. Jessy le aveva mostrato l’accademia, e in Beth, crebbe ancora di più quella voglia che già covava di frequentarla.
Le settimane trascorse in quella città erano state per lei come un songo, dal quale, però, dovette risvegliarsi.
Tornare alla dura realtà, cioè, che pochi giorni mancavano alla ripresa delle lezioni, non ere piacevole; e a Beth mancavano l’aria gelida del mattino appena sveglia, la cioccolata di Jessy, le vie affollate e caotiche di Londra, e l’aria tutta sua che avvolgeva la città. Ma soprattutto a Beth mancava quella sorta di libertà che aveva lì: essere chi voleva.
A Beth mancavano, anche, le giornate passate a disegnare e dipingere, i consigli dell’amica, e le uscite a Soho.
Ma, soprattutto, le mancava quell’assenza, alla quale, un po’, ci si era abituata poiché, sperava e confidava, in un altro casuale incontro.

 

Bath era un po’ diversa da come la ricordava, sarà perché la vedeva con gli occhi di un nuovo anno, o semplicemente perché era, un po’, lei ad essere cambiata.
E Beth, si sentì, per la prima volta, in una città troppo piccola per lei; e nonostante avesse sempre saputo, e sognato, di andarsene da lì, dalla sua Bath, non potè non sentire una morsa allo stomaco a quella sensazione strana, che ora l’assaliva.
Insomma era la sua città, la sua casa, e andava bene sognare e aprire nuovi orizzonti, ma cavolo sentirsi prigioniera no.
Si colpì la testa come per scacciare quei pensieri e con un - << basta! >> - s’incamminò verso il bar dove avrebbe incontrato James.
Ed era lì, bello come lo ricordava, i capelli castani a coprire la fronte, e gli occhi azzurri schiariti dal sole e un sorriso ad abbellirlo non appena la vide.
A Beth era mancato, gli andò incontro e venne accolta da un - << è bello rivederti >> - sussurrato sulla guancia dopo un bacio. Beth arrossì, non per il gesto in se, ma per quella strana confidenza che non ricordava si fosse creata.
<< già… anche per me. >>
<< allora, raccontami, com’è Londra? >> chiese con fare curioso
E Beth gli raccontò tutto: delle sensazioni, dei luoghi visti, della neve, dell’aria, del caffè al mattino, di Jessy, ma non di Alec… non sapeva perché, ma un certo disagio la investiva al solo pensiero di parlare di lui con lui; insomma cosa avrebbe dovuto dirgli? perché la cosa era abbastanza assurda, non sapevano nulla uno dell’altro se non i nomi e le sensazioni strane che provano quando erano insieme; avrebbe dovuto raccontargli tutto, dal primo incontro fuori al bagno del terzo piano, ma non poteva e non voleva farlo, perché era una cosa loro, solo loro, e non le sembrava giusto condividerla con qualcun altro. E le sembrava stupido parlare di lui, perché, alla fine, tra loro cosa c’era? Qualcosa c’era, si… era ovvio: attrazione e interesse. Si, forse era quello, ma nulla di più. E allora, cosa avrebbe dovuto dirgli? Nulla, perché non poteva e non voleva farlo, perché era una cosa sua, solo sua.
Beth trascorse il pomeriggio con James, tra una chiacchiera e un’altra.
Dopo il suo racconto, aveva intrattenuto il tempo ad ascoltarlo, non che la cosa la infastidisse, visto che è sempre stata una buona ascoltatrice piuttosto che una che parla.
James - Beth scoprì quel pomeriggio - aveva la chiacchiera facile, avrebbe potuto dirgli qualsiasi parola e lui avrebbe, efficacemente, costruito un discorso che durasse ore.
Beth sorrise, amava veramente parlare, non solo di se, ma di qualsiasi cosa si potesse parlare.
Lei, invece, preferiva aprire bocca solo se le veniva chiesto, o se aveva qualcosa da dire, per il resto ascoltava.

 
***

 

Alec era tornato da Londra il giorno prima, ed ora stava in camera sua, sul letto, dopo essersi appena svegliato.
I capelli castani erano arruffati e, divenuti troppo lunghi, coprivano gli occhi neri.
Alec sbadigliò.
Si alzò, mise le gambe giù dal letto, stiracchiò le braccia e sbadigliò nuovamente.
Sul comodino alla sua destra giaceva il suo diario, quello rilegato in pelle nero, dove ci scriveva le canzoni.
Lo prese, e quando aprì la prima pagina, un sorriso spuntò sul suo volto, con le dita callose accarezzò quelle lettere, una ad una, e le
fissò, così intensamente quasi a non volerle cancellare, né dal diario, né dalla sua mente.
Lì, nero su bianco, c’era la frase che lo spingeva a scrivere.
Lì, nero su bianco, c’era scritto: Vivi la tua vita fino allo stremo delle forze, e alla fine strizzala più che puoi… e scrivi, e fai musica, e poi quando hai cantato tutto di quella vita, vivine un’altra, e un’altra ancora…
Ed è quello che faceva Alec, viveva, viveva più che poteva, lo faceva fino allo stremo delle sue forze, e poi scriveva, e poi suonava, e poi cantava.
Perché Alec era questo: parole, note, musica… vita.
Ripose quel quaderno, lì, sul comodino alla sua destra, quello fatto da una pila di libri.
E la stanza di Alec non era piena solo di libri, ma anche di CD, dischi in vinile, poster, film, rullini, macchine fotografiche, plettri, chitarre… panni, calzini e riviste, sparsi sul pavimento. Quella stanza era davvero un disastro e a detta della madre una giungla. Più volte la donna lo aveva ripreso con - << metti in ordine quella camera >> - e tutte le volte lui le rispondeva con - << la creatività sta nel disordine… >> - e la povera madre si rassegnava sorridendo.
Alec era una causa persa.
Prese la chitarra ai piedi del letto e la strimpellò un po’ cercando di dare un senso alle note che, quella notte, gli avevano reso impossibile dormire.
<< Beth… >> sussurrò, accarezzando quel nome con le labbra sottili, e assaggiandone ogni lettera. E non potè non risentire l’incredibile attrazione e interesse che provava per lei sulla propria pelle. Perché, alla fine, era questo ciò che provava, nulla di più. Perché, alla fine, era sì diversa dalle altre, ma nulla di più.
Beth, per Alec era solo un enigma da voler indovinare. Un labirinto dal quale uscire, vittorioso.
Nulla di più.
Scosse la testa, come a risvegliarsi da un sogno, posò la chitarra e si decise ad alzarsi.
Si passò una mano nei capelli, e con l’altra si tolse i boxer, l’unico indumento che lo copriva, e si tuffò sotto la doccia.
L’acqua fredda scivolava lungo il suo corpo, e con essa anche la frustrazione e i pensieri.
Appoggiò la testa contro la parete della doccia e rimase così, almeno per una ventina di minuti.
Poi, uscì dalla doccia, un asciugamano intorno alla vita e una mano a frizionare i capelli.
Si guardò allo specchio - quello che aveva difronte - dopo averci passato una mano, e sospirò.

 
Si incamminò per le strade di una Bath poco abitata. I jeans neri ricadevano sui fianchi; il maglione grigio lasciava intravedere la sua pelle, lì, all’altezza del collo; Alec si strinse nelle spalle, la giacca di pelle non lo riparava un granché dal freddo; gli anfibi neri scalciavano, di tanto in tanto, qualche sassolino; i capelli erano legati in un codino dietro la testa; Alec era avvolto da quell’aria misteriosa, che da sempre lo caratterizzava, camminava guardando i suoi piedi, con una mano a mantenere la sigaretta tra le labbra, e con l’altra la chitarra sulle spalle.
Non era certo strano vedere occhi, per lo più di ragazze, che non smettevano di guardarlo. Alec era bello: ed era un dato di fatto.
Sogghignò, poi alzò il viso e rivolse, a quelle ragazze, uno sguardo malizioso.
Jake lo aspettava al solito bar, quando Alec arrivò, l’amico lo accolse con una, consueta, pacca sulla spalla.
<< Cazzo, è bello rivederti! >> gli disse Jake offrendogli una birra, e Alec l’afferrò con un - << già, mi sei mancato amico! >> - e i due, poi, scoppiarono a ridere. Perché la loro amicizia era fatta così, di poche parole, ma di grandi sorrisi. La loro amicizia era vera, lo era davvero. Tra loro c’era l’essenziale, poche parole, pochi abbracci, pochi ti voglio bene, perché bastava un’occhiata per sapere di cosa aveva bisogno l’altro, e bastava la loro amicizia per essere felici. Perché erano Alec e Jake: gli inseparabili.
<< Stasera c’è una festa da Josh, ci sei? >> chiese Jake, non curante, già sapendo di una risposta affermativa da parte dell’amico, Alec sospirò e con un - << non lo so >> - rispose all’amico, che si girò di scatto verso questi e maliziosamente disse - << dai, amico, c’è anche Anne >> - Alec scosse la testa e prendendo un sorso dalla birra gli disse - << chi? >> - Jake sorrise, il solito Alec pensò - << come chi? La rossa che ti sei fatto alla festa di Jordan >> - Alec sospiro con un - << ah… >> - Jake sorrise vittorioso e con un - << ci vediamo stasera allora >> - salutò l’amico e andò via.

 
Seppur a malincuore Alec dovette ammettere che quel tanto agognato giorno – quello, nel quale sarebbe ricominciata la scuola – era arrivato.
Con una maglione nero e jeans dello stesso colore, si diresse verso la sua aula, dove ad attenderlo ci sarebbe stata un’ora di storia.
La giornata era passata nel più lento scorrere del tempo, accompagnato da una solitaria noia.
Arrivato a casa Alec potè finalmente gettarsi sul letto, dormire e non svegliarsi prima dell’indomani, ma qualcosa, o meglio qualcuno, poche ore dopo, glielo impedì. Jake era appoggiato sulla sua scrivania, quella sotto la finestra, e gli lanciava oggetti con l’intento – nel quale riuscì – di svegliarlo. Alec sospirò con un - << cazzo… smettila >> - ma l’amico imperterrito continuò e il moro rassegnato si alzò.
Una mezz’ora dopo, i due inseparabili, erano distesi sul divano, quello disotto in soggiorno, con una birra, due cartoni di pizza, intenti in una partita a Fifa che vinse Jake - << ehi, fai proprio schifo >> - Alec sorrise, consapevole che l’amico avesse ragione, ma solo perché quella sera, di giocare, non ne aveva proprio voglia.
Quella sera continuò in compagnia di amicizia, pizza, birra, e fumo, con un amico – con il quale – era impossibile annoiarsi. Quella sera passò così… all’insegna degli inseparabili Alec e Jake.

 

 

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Ink Droplets

 

Care lettrici,
questo capitolo – che so non essere un granchè – è solo di passaggio, e mi serve per iniziazione del prossimo capitolo, nel quale, troverete, spero, una bella sorpresa.
Detto questo, devo aggiungere che seppur insulso questo capitolo è importante perché chiarisce alcune idee.
Nelle scorse recensioni ho notato che il messaggio che avete ricevuto è quello che Beth e Alec siano innamorati uno dell’altro, e questo capitolo, ha proprio il compito di smentire ciò.
Infatti, entrambi, provano attrazione e interesse per l’altro, e nulla di più. Spero non rimaniate deluse, ma ho preferito precisare la cosa, perché non voglio che sia una di quelle banali storie in cui c’è il colpo di fulmine, si innamorano, e vivono per sempre felici e contenti… No!
Quello che volevo trasmettere era – non so come spiegare – la sensazione che si ha quando si vede una persona e c’è qualcosa nello sguardo, nel modo di fare, o altro, che ti colpisce; e non fai altro, da quel momento in poi, che pensare a quel qualcosa, a quello sguardo, o a quel modo di fare… e no, non ne sei innamorato, ma incuriosito, interessato.
Quindi Beth e Alec non sono innamorati, o almeno non ancora, o forse non lo saranno mai…
Questo episodio della storia, non racconta nulla di eclatante, ma normali attimi di vita quotidiana, questo perché voglio che la storia sia, per l’appunto non una favola, ma vita reale.
Ringrazio queste persone per aver recensito, preferito e seguito questa storia:

_miky_
DanceOfUnicorn
TheBlueGirl
Elamela
Tenera Avril
Martowl
Vanel
Nuna99
TinyDancer
elev
Marii95
Occhi di fuoco
shadows_fantasy
Una canzone_ solo per te_
Erica_Writer

 Grazieeeeeeeeee
P.s. ho scritto una One shot: Ho i tuoi residui tra le dita passate a dare un’occhiata. (
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2372776&i=1 )

 

Ho i tuoi residui tra le dita.
E mi odio, in un modo che non puoi neanche immaginare, perché nonostante tutto vorrei che tu fossi qui.
E mi odio perché non mi importa del dolore che mi hai procurato.
E mi odio perché, se ora, tu, entrassi da quella porta e mi dicessi un flebile scusa ti perdonerei.
Perché Ho i tuoi residui tra le dita.
E preferirei non avere più nulla, di te.

 

Xx Fil

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Capitolo 18
*** Chapter 17 - Only to divide us... a shy smile ***


 

 

»Chapter 17

 

Only to divide us… a shy smile  As Ink On Paper

 

 

Era ormai arrivato sabato - o meglio era arrivato quel sabato – quello in cui Beth sarebbe andata alla festa di James.

Era passata, ormai, una settimana dall’inizio della scuola, e tre giorni dal messaggio di James che con – ‘ ti aspetto sabato a casa mia 8.30 p.m.’ – l’invitava ad Arthur’s Villa per la sua festa di compleanno.

Erano passati, quindi, tre giorni durante i quali Beth cercò un regalo da potergli fare, ma con scarsi successi.

Se c’era una cosa che Beth Smith odiava era dover fare regali, non sapeva mai cosa scegliere poiché in lei nasceva, sempre, il dubbio del se sarebbe piaciuto.

Inoltre non conosceva così bene James da sapere quali fossero i suoi gusti; così, alla fine, optò l’ ‘High Voltage’ in vinile degli AC/DC; avendo sentito come suoneria del suo telefonino proprio una canzone di quell’album.

 

Sabato era arrivato con una lenta agonia, e Beth non voleva proprio andarci a quella festa. Il motivo non era preciso, ma dentro di se sentiva una sensazione strana. L’aveva promesso a James, però, e Beth Smith era una di quelle persone che mantiene la parola data.

Erano le 8.oo p.m. e Beth uscì di casa. Il vestitino blu scuro risaltava il colore dei suoi occhi, ma non gli rendeva grazia. Con i soliti anfibi – un po’ troppo rovinati – e il parka di sempre – quello verde militare che le regalarono lo scorso compleanno – Beth camminava per le strade vuote della città diretta, con una strana sensazione alla bocca dello stomaco, verso Arthur’s Villa.

Casa di James si presentò molto diversa dall’ultima volta in cui vi aveva messo piede, nel giardino inglese non vi si vedevano molti fiori, ma tante candele, la casa in mattoni era illuminata da luci.

Beth si sentì a disagio, non sapeva fosse una serata formale.

Bussò al campanello e, per sua fortuna, ad aprire la porta fu James.

Questi appena la vide sfoderò un grande sorriso, e l’accolse in casa.

Beth voleva scappare.

Il soggiorno di Arthur’s Villa era gremito di persone eleganti e raffinate, James - al suo fianco - era in smoking nero.

<< mi dispiace non sapevo fosse una serata formale… >> - cercò di scusarsi Beth, ma James con un - << sei bellissima >> - la interruppe, e quest’ultima arrossì.

Mentre Beth dava il suo cappotto al cameriere arrivò Julia – la madre di James – in un elegante abito nero che le ricopriva morbido le curve.

<< oh cara, è un piacere vederti! >> - disse a Beth che sorrise, poi rivolata a James - << James figliolo, presenta Beth a tuo fartello >> - poi si rivolse a Beth - << è tornato da poco da un viaggio >> - e James con un - << beh, non è un tipo da queste cose, sarà in camera sua, o nascosto da qualche parte >> - rispose alla madre.

E Beth avrebbe tanto voluto essere in camera sua, o nascosta da qualche parte.

Julia portò via con se James, scusandosi con un ci sono tante persone che vogliono vederlo e Beth rimase sola.

Si sentiva un pesce fuor d’acqua.

Si allontanò dalla sala e prese a gironzolare per la casa.

Rimase sorpresa dalla quantità di cibo e champagne che vi era quella sera, e dall’eleganza delle persone che discutevano con grazia.

Stava esplodendo.

E all’improvviso una strana voglia di urlare la sopraffece, tanto che l’affogo con un calice di champagne.

Si girò in cerca di un volto familiare, consapevole che non lo avrebbe trovato, eppure tra quella folle le era sembrato di scorgere due pozzi neri. Guardò di nuovo, ma nulla.

Non era la prima volta, da quella notte a Londra, che Beth lo vedesse negli occhi e nel volto di chiunque, di un passante, di un suo amici o di uno sconosciuto.

Scosse la testa. Eppure quella sensazione, strana, che provava solo in sua presenza, era lì, proprio sotto la pelle.

 

***

 

Cosa ci fa qui?

Alec non riusciva a capirlo. Perché era in quella casa?

Aveva incrociato gli occhi di Beth mentre scendeva le scale, ed era sicuro fosse lei. Se ne convinse.

Ma non riusciva a capire cosa ci facesse lì, in quella sala.

Scosse la testa.

Eppure la sua immagine in quel vestino blu, non riusciva proprio a togliersela dalla mente.

Sorrise, aveva quegli anfibi neri che le aveva visto più volte ai piedi. Come la sera del ballo.

Ed era bella, più di tutte le altre volte.

Sospirò.

Poi una mano gli si appoggiò sulla spalla, e una voce gli disse - << ehi! finalmente ti ho trovato >> - si girò e vide suo fratello, sorrise - << James, ti serve qualcosa? >> - James annuì e disse - << ti devo presentare una persona >> - sul volto di Alec comparve un’espressione confusa che il fratello cancellò con - << ti ricordi di quella mia amica di cui ti ho parlato? >> - il ragazzo dagli occhi neri annuì, e i due fratelli si incamminarono in cerca di quell’amica.

Quando James la trovò, Alec si girò e affondò – come tutte le altre volte – negli occhi blu di Beth. Lo sapeva che la ragazza di prima era lei.

Ma conosceva suo fratello? Cosa…?

Alec la guardò in modo intenso e con un’espressione confusa, la stessa che poteva leggere sul volto di Beth.

James lo presentò come Alec, e quando stava per dire il nome di Beth, Alec lo interruppe con un - << ci conosciamo >> - detto a denti stretti e con gli occhi fissi in quelli della ragazza, James rimase un po’ perplesso e guardò il fratello in cerca di spiegazioni che ricevette con un - << andiamo nella stessa scuola >> - e Alec potè scommetterci che in quegli occhi blu vi vide un lampo di delusione.

Non riusciva a capire il perché, ma il sapere che l’amica di cui James gli aveva parlato così tante, troppe volte e in un modo che, pensandoci, non era molto ‘amichevole’, lo infastidiva.

Cosa doveva fare… doveva combattere contro suo fratello?

Alec si riscosse da certi pensieri scuotendo la testa.

Insomma per cosa devo combattere? Si disse ripetendosi che per lui Beth non significava era nulla.

<< beh le presentazioni – se così possiamo chiamarle – sono state fatte, vi lascio… piccioncini >> disse Alec in tono aspro.

 

 

Cosa? Piccioncini…?

<< ma… >> stava per ribattere Beth, ma Alec le aveva già voltato le spalle ed era andato via, lasciandola lì… con quella parola a ronzarle in testa, e un vuoto dietro di lui che, Beth potè giurare, era più profondo dei suoi occhi.

Una strana sensazione a quelle parole, tutte quelle che le aveva rivolto – indirettamente – guardandola diritta negli occhi, l’attraversò. Lasciando in lei i residui di un sentimento che non capiva cosa fosse… Insomma era geloso?

Scosse la testa. E si disse che non c’era motivo per esserlo, ed era stata sciocca a far sì che quel pensiero le avesse, anche solo, sfiorato la mente.

<< lascia perdere, è fatto così… >> la risvegliò James, Beth fece un sorriso tirato.

<< dai vieni, ti presento alcune persone >> e senza neanche il tempo di farla rispondere la trascinò – letteralmente – via.

 

Quanto tempo è passato? Un’ora, o forse di più, o forse di meno?

Si chiese Beth stanca di tutto. Di quella sera, di James, delle persone che non smettevano di sorriderle in modo strano, di quegli occhi neri che si sentiva addosso, ma che – dannatamente – non vedeva da nessuna parte.

Scosse la testa.

Aveva bisogno d’aria.

 

Il giardino della casa di, non più solo, James, ma anche di Alec, a quanto pare, era enorme.

Sospirò. Alec è fratello di James. James è fratello di Alec.

Sospirò, nuovamente. Com’è possibile?

Insomma non avevano nulla in comune… si, erano entrambi bei ragazzi… James era alto e muscoloso, dai capelli castani – quasi miele - e gli occhi azzurri, era gentile e simpatico, un perfetto ragazzo insomma; ma Alec, Alec era…alto – quasi quanto il fratello – aveva il fisco asciutto, i capelli castano quasi neri, e gli occhi proprio neri, ed era strano, affascinante e misterioso, e dannatamente sexy; pensò, mordendosi il labbro per l’ultimo pensiero.

Sbuffò.

Dal modo in cui Alec l’aveva guardata e dal tono in cui aveva pronunciato quelle parole sembrava proprio che credesse che tra lei e James ci fosse qualcosa, ma no… non era così.

Per quanto James potesse essere un bel ragazzo, erano solo amici.

Poi, però, c’era Alec, e quello strano legame che li ‘univa’.

Erano amici? No. – Conoscenti? Forse. – Qualcosa in più? …no. – Non erano nulla, ecco!

Alec ed io non siamo nulla, si sussurrò.

 

Faceva freddo, e Beth in quel misero vestino blu, che tra l’altro le lasciva scoperta la schiena, sentiva freddo. Si strofinò le mani sulle braccia.

Fece per rientrare dentro, ma si pentì subito di quella scelta quando vide la quantità di gente che sostava dentro.

Si girò e vide un’altra porta, che non sapeva dove portava, ma in quel caso era la sua ancora di salvezza.

La stanza era buia nonostante l’enorme finestra – quella di fronte all’entrata – che illuminava solo la parete di destra.

Quella - di parete - era vuota, delle altre non avrebbe potuto dire lo stesso, poiché non riusciva a vederle.

Non sapeva perché, ma non si sentiva sicura in quel posto, era come se ci fosse qualcuno.

<< c’è qualcuno? >> sussurro.

Ma nulla, niente.

Sospirò.

Si avvicinò alla finestra e rimase a bocca aperta, la visuale era stupenda. Una scheggia dell’enorme giardino si estendeva dinanzi ai suoi occhi.

Sorrise. Ma quel riflesso – nel vetro – durò poco… qualcuno la spinse contro il muro – quello dietro di lei.

Dalle sue labbra uscì un gridolino che soffocò in gola quando vide di chi si trattava. Lui.

<< Alec >> sussurrò

<< ripetilo >> disse anche lui in un sussurro

<< c-cosa? >> gli chiese, ignorando il brivido che la percorse al suono di quella voce bassa e roca così vicina.

<< il mio nome >> Beth rimase in silenzio, indecisa sul da farsi, e senza avere il coraggio per farlo.

<< t-ti prego >> quasi la supplicò avvicinandosi così tanto da scambiarsi l’aria.

<< Alec >> disse, allora, assaggiandolo con le labbra.

Alec non potè non guardare quelle labbra che tanto aveva agognato.

I due ragazzi si guardarono negli occhi, e si dissero tutto ciò che, forse, non avevano il coraggio di dirsi a voce,

<< Beth…>> - iniziò allora lui, sussurrandolo quasi sulle labbra di lei – o era solo l’immaginazione di Beth? - << cosa ci fai qui? >>

La ragazza rimase un po’ stranita a quella domanda, poi rispose con quel fare insicuro - << il compleanno di tuo f-fratello >> - Alec con un - << già… >> rise sarcasticamente. E all’improvviso una strana sensazione mai provata prima colpì Beth. Sussultò. Si può svenire per una risata? Si chiese.

<< … il compleanno di mio fratello… da quando lo conosci? >> - le chiese duro, e Beth aggrottò le sopracciglia, ma con - << più o meno da dicembre, credo >> - gli rispose, Alec quasi come un eco lontano sussurrò - << dicembre >>.

Insomma cosa vuole da me? e perché cazzo non si allontana?

<< ti piace? >> - le chiese con un fare altezzoso e duro che lasciava intendere che una risposta già la sapeva, e che – secondo lui – era pure positiva, Beth si innervosì, chi si crede d’essere? così in modo aspro << non sono cose che ti riguardano >> gli rispose, Alec sorrise sornione e si allontanò leggermente.

È esattamente come tutte le altre, si disse Alec, e quel pensiero gli lasciò un amaro in bocca.

Cosa si aspettava? Nulla, Alec non si aspettava nulla, ma… c’era sempre quel ma che era capace di fronteggiare tutti i possibili pensieri che riguardassero lei.

E poi c’erano le sue labbra, così vicine, così… e la voglia di baciarla che aveva sempre, anche solo guardandola, lo investì.

<< già… >> le disse scuotendo la testa, e fece per andarsene, ma quella parola lo immobilizzò lì, sul posto; Beth sussurrò un flebile no, e bastò, basto per far tornare Alec sui suoi passi. Quelli che erano lì, a pochi centimetri da Beth.

Le sorrise, ed era un sorriso malizioso, di quelli che ti fanno ardere gli occhi di uno strano fuoco.

Alec e Beth erano a pochi sospiri di distanza.

Beth tremava impercettibilmente.

Alec le si avvicinò ancora di più, le mani ai lati della sua testa – contro il muro – le labbra vicino al suo orecchio.

Poi con la sua voce – roca e bassa – più sensuale del solito le disse sospirando nel punto dietro l’orecchio – vicino all’attaccatura dei capelli - << meglio così >>.

Beth fu percorsa da una scossa di brividi, mai provati prima. Sospirò, così piano che Alec non la sentì.

Poi il ragazzo dagli occhi neri le sposto con le dita callose una ciocca di capelli dal viso, e la guardò così intensamente negli occhi che Beth si sentì cedere.

Cosa mi succede? Si chiese, ma senza ottenere una risposta.

All’improvviso tutte le sue certezze – quelle su di lei, su Alec, sul loro non essere nulla – svanirono, lasciando solo Alec a pochi centimetri dai suoi occhi e a qualche millimetro dalle sue labbra. Le sue labbra che desideravano ardentemente assaggiare quelle di lui.

E l’aria, d’un tratto, divenne troppo calda, impregnata di sospiri silenziosi, parole morte in gola, e desiderio. Il desiderio di potersi sentire sotto le dita, dentro le ossa.

E poi una certezza, quella che quel nulla che insistevano così tanto a sostenere non era vero. Perché quel nulla avrebbe significato indifferenza, e tra loro l’unica aria che stentava a passare non era per nulla fredda.

<< Beth >> venne sussurrato silenziosamente dalle labbra di Alec, che la ragazza credette di averlo sognato.

Ed erano di nuovo uno negli occhi dell’altro.

Nero nel blu.

Blu nel nero.

E parvero non stancarsi mai, di affondare, sprofondare e sentirsi – in un modo, fino ad adesso, loro sconosciuto – vivi.

E poi le labbra di Alec sempre più vicine; il labbro di Beth fra i denti; gli occhi di Alec fissi sulle labbra di lei; quelli di lei ovunque, ma non sulle sulle labbra di lui; e l’aria sempre meno; il desiderio sempre di più. E le labbra di Alec che quasi sfiorano quelle di Beth, e lei che di scatto girò la testa.

Alec che rimase fermo, immobile.

Cosa è successo?

Nessuna ragazza prima di allora l’aveva mai rifiutato, e non sapeva se, ora, quella strana sensazione di vuoto nello stomaco era il risultato di un rifiuto o del suo rifiuto.

 

Cazzo!

Beth aveva rifiutato Alec, ed ora ancora a pochi centimetri da lui e con la testa girata verso la finestra cercava di trovare una spiegazione al suo gesto.

Si disse che non era solo una stupida, ma anche una bambina. Insomma cosa mi è preso? Sapeva, o meglio credeva, di aver fatto la cosa giusta. Alec era più grande di lei, ed era bello, e chissà quante ragazze aveva baciato, e con quante era stato.

Beth si sentì una bambina piccola che si avventurava in un sentiero troppo ripido per i suoi piccoli piedi.

Aveva baciato, sì o no, qualche ragazzo – e non recentemente – e non si sentiva all’altezza di poterlo baciare. Si sentiva ridicola, e sapeva che se lo avesse baciato, lui ne sarebbe rimasto deluso.

Beth non credeva di esserne in grado. Non credeva di saper baciare.

Non si era mai sentita così in imbarazzo. Non sarebbe riuscita a guardarlo nuovamente negli occhi.

Alec guardò la ragazza che gli era di fronte e anche se avesse voluto non ci sarebbe riuscito ad arrabbiarsi, per quel rifiuto.

E all’improvviso aveva vogli di abbracciarla.

Le appoggiò due dita sotto il mento e le girò il viso verso di lui. Il suo cuore perse un battito, o così gli sembrò. Quegli occhioni blu erano così luminosi e lucidi che credette di non averne mai visto di occhi così belli.

E si guardarono di nuovo, come alla fine si riducevano sempre a fare.

Beth chiuse gli occhi.

<< Beth >> sussurrò, quasi come se farlo gli costasse fatica.

<< guardami >> ma lei scosse la tesa, poi – quasi supplicante e dolorante – le disse << t-ti prego >>

Beth, con una strana paura che le scorreva nelle vene, aprì gli occhi ed incontrò i suoi. Tremò. I suoi occhi erano di quanto più bello ci potesse essere al mondo. Neri e scintillanti come tizzoni ardenti. Cercò di abbassare lo sguardo, ma Alec non glielo permise.

E chissà, forse, perché era pazzo – e credeva davvero di esserlo – o per quello strano desiderio che divampava dentro di lui, ci riprovò. Lentamente. Le labbra quasi, di nuovo, a sfiorarsi, i respiri carichi di desiderio.

Perché Alec lo sapeva. Sapeva che Beth lo desiderava, forse non quanto lui desiderava lei, ma non gli importava. Perché lo leggeva nei suoi occhi, nello scintillio che faceva capolino ogni qual volta erano così vicini.

Ed Alec voleva solo sapere – spinto da una curiosità spaventosa – di che sapore erano le sue labbra… così rosse.

Ed erano, di nuovo, così vicini da scambiarsi i respiri.

Il buoi introno a loro, il silenzio spezzato dai loro pensieri silenziosi, la luna ad illuminare – anche se di poco – i loro volti, e la voglia di assaggiarsi. Finalmente.

<< Alec >> e questa volta non era stata Beth a pronunciare il suo nome.

Alec si staccò velocemente da lei, sentendo di nuovo il freddo nelle ossa, riconoscendo quella voce.

Poi dalla porta fece capolino James che con - << dai sui vieni, ti stiamo aspettando per le foto >> - lo invitò a seguirlo, e Alec con un fare quasi imbarazzato gli rispose - << arrivo. >>

Beth che per tutto il tempo non aveva fatto altro che trattenere il respiro si lasciò andare in un sospiro. James non l’aveva vista.

Alec era lì, fermo sull’uscio della porta, una mano nella tasca dei jeans sgualciti, un’altra nei capelli. Sospirava.

Si girò e punto i suoi occhi neri in quelli blu di Beth.

 

Alec era lì, Beth qui,

a dividerli solo

un timido sorriso.

 

 

_________________________________________________________________
Ink Droplets

 
Care lettrici,
in primis mi scuso per la lunga attesa, ma scrivere questo capitolo è stato più difficile del previsto. Chiedo venia!
E si… lo so, se prima non volevate uccidermi, credo che ora abbiate cambiato idea. Insomma era tutto perfetto – o quasi – e vuoi Beth, e l’intervento – inopportuno – di James, nada de nada.
Mi sembrava tutto troppo facile, e bho… non ci sono riuscita a scrivere un loro bacio.
Spero che – nonostante tutto – questo capitolo vi piaccia.
Ditemi cosa ne pensate, mi fa sempre piacere – lo ammetto xD.
Ringrazio chi ha iniziato a seguire la mia storia e messa tra le preferite.
Inoltre ringrazio queste persone per le recensioni lasciate:

TinyDancer
shadows_fantasy
elev
_miky_
DanceOfUnicorn

Lovehope_
Evanne991
TheBlueGirl
Nuna99
Marii95
Occhi di fuoco

E tutte le altre persone che non ho citato, ma non le ricordo tutte! Scusate!

!Vi voglio segnalare una storia, date un’occhiata ne vale la pena: Tutta questa benedetta passione (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2223978&i=1)

''Un nuovo progetto, un insieme di sensazioni. Elly quel giorno un incontro del genere non se l'aspettava di certo. Come non si aspettava di dover aver a che fare con la sua reazione in quel momento. Elly odia le presentazioni formali e adora il caffè. Dave... ha gli occhi azzurri.''

Questa bellissima storia, che vale davvero la pena di leggere, è della bravissima scrittrice elev.

P.s. date un occhiata al mio profilo troverete delle One shot, e se vi va ditemi cosa ne pensate.
Un bacio, la vostra

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Capitolo 19
*** chapter 18 - Dad John ***


 

 

»Chapter 18

 

Dad  John As Ink On Paper

 

 

Beth era sdraiata sul suo letto, le mani dietro la testa e lo sguardo fisso sul soffitto dove c’era l’enorme finestra. Pensava a ciò che era accaduto la sera prima – cosa che fece per tutta la note, visto che non chiuse occhio – ad Alec così vicino… Cazzo! Stava per baciarmi! Ci stavamo per baciare!
<< Bethhhhhhhhhhhhh >> urlò una voce e la ragazza presa alla sprovvista saltò per lo spavento con il risultato di sbattere contro il soffitto.
Dalla porta vide Hannah con in capelli arruffati e le mai sulle ginocchia per riprendere il respiro.
<< Cosa c’è? >> disse Beth in tono duro.
Hannah con nonchalance << volevo sapere se eri qui >> disse alzando le spalle. A Beth passò per la testa un piano per farla fuori << ah! Eccomi qui! >> le disse facendo la finta arrabbiata e Hannah capendo il suo gioco si buttò praticamente sul letto abbracciandola << mi sei mancata >> disse a Beth.
Beth ed Hannah erano amiche dall’età di tre anni, non ricordavano neanche loro come fosse successo, eppure era così. Insomma si conobbero e poi divennero amiche, così: inaspettatamente, come la pioggia in una giornata di sole.
Ed ora erano lì, sul letto di Beth, una accanto all’altra con lo sguardo rivolto verso il soffitto.
<< Ed? >> chiese Beth sovrappensiero, Hannah sussultò leggermente e con fare innocente le disse - << Ed? >> - Beth si girò e la scrutò, poi con un finto colpo di tosse catturò la sua attenzione e le fece capire che non poteva mentirle, Hannah sbuffò e disse - << nulla >> - Beth rise, Hannah non ci trovava nulla di divertente.
<< Mia dolce e cara Hannah sputa il rospo >> le disse puntandole il dito contro – dopo essersi alzata di scatto – la bionda con l’aria di chi ‘non so di cosa tu stia parlando’ le disse - << quale rospo? >> - Beth stizzita dal comportamento dell’amica decise di arrivare al sodo e con un tono troppo semplice per quella domanda le chiese - << ti piace Ed? >> - Hannah che, nel frattempo, stava bevendo un bicchiere d’acqua, quasi si strozzò, e balbettando le rispose - << c-cosa? >> - Beth rise, Hannah era rossa come un pomodoro.
La ragazza dagli occhi celo sbuffò, e perso coraggio disse - << cisiamobaciatisoloduevolte >> - tutto d’un fiato, Beth non capendo nulla le chiese - << cosa? >> - Hannah sospirò e le disse - << c-ci siamo baciati s-solo due v-volte >> - Beth strabuzzò gli occhi e quasi urlando disse - << c-cosa? >> - la bionda sbuffando - << ci siamo… >> - ma l’amica la interruppe - << quello l’ho capito, ma cioè… oddio!.. tu e Ed… fantastico! >> - le due amiche scoppiarono in una rumorosa risata, Hannah abbracciò di scatto Beth ed entrambe caddero sul letto dietro di loro. E risero, risero e risero. Perché erano Beth ed Hannah, da sempre.

 

Hannah era andata via da poco, ed era domenica. Era il 26, ed era domenica.
Beth aprì l’armadio, e da lì estrasse la scatola in cartone – quella rossa – e la portò sul letto. Sospirò. Era ogni anno la stessa storia, da ormai sei anni.
Beth un padre non l’aveva più, o meglio lui aveva deciso di non avere più una figlia. Eppure ogni anno, in quel fottuto giorno, si ostinava a scrivere una lettera che poi non gli avrebbe mai spedito. Una lettera che sarebbe rimasta contenitore di lacrime mai accettate. Una lettere per augurare un felice compleanno ad un padre che, ormai, gli auguri per il – suo – di compleanno non glieli faceva più.

Bath, 1 febbraio 2014

Caro papà John,
sono io, o meglio sono tua figlia, quella che ti ostini – per chissà quale assurdo motivo – a non vedere più.
Come ogni anno, anche in questo, ti ho aspettato… ero alla stazione, ma di te neanche un sospiro, se non ricordi lontani. Ricordi che svaniscono man mano, che scappano dalle mie dita, e si dissolvono nell’aria.
Sai probabilmente non ti ricordi neanche più di me, in fondo, sono sei anni che non ci vediamo. Papà John sono cresciuta, ormai non sono più una bambina, o almeno credo, e sono sola, nonostante Hannah ed Ed – li ricordi? – nonostante la mamma, e Patrick che ogni tanto mi chiede di te, di come tu sia… gli manchi. Ma a te non importa, non ti è mai importato.
C’è una domanda che mi ronza sempre in testa: perché?
Sai… vorrei odiarti, sarebbe tutto più semplice, ma non ci riesco, neanche un po’. Perché?
Perché sei andato via? Perché non mi vuoi nella tua vita? Perché, perché e perché? Ma rimarranno solo perché, seppelliti nel mio stomaco, perché non avrò mai il coraggio di dirteli, e perché – so – che non ti vedrò più.
John fermati un attimo, guardami… cosa pensi di vedere?
Me distrutta!? No, ho imparato a non mostrare più ciò che provo. Ho imparato a fare a meno dell’amore – del tuo amore – ora conto solo su di me.
Sai perché?
Perché mi hai fatto così tanto male che alla fine – quel dolore – è divenuto anestesia per la mia vita. Con quel dolore ho imparato a conviverci, a respirarlo e a sentirlo, come lame sulla pelle.
Mi hai – sempre – fatto credere in un mondo migliore, insieme, ed io – stupida – sognavo. Ma i songi sono solo illusioni, e tu come tali sei sparito, nel nulla. Lasciandomi lasciandoci qui, soli.
Sai… ho sempre finto un sorriso perché gli altri volevano così.
Ho sempre fatto finta di essere felice, perché nessuno capiva la mia tristezza.
Ho sempre finto di essere qualcuno che non sono, qualcuno che possa piacere agli altri.
Ho sempre mentito perché così non avrei sofferto, ma così non è stato.
Ho sempre finto di vivere la mia vita, quando in realtà non facevo altro che sopravvivere.
E alla fine… cosa ho ottenuto? Nulla.
Parlami, guardami, ascoltami, fa qualcosa… ma non far finta che io non esista. Sono qui, ci sono sempre stata, nonostante tutto. Nonostante te.
Perché?
E mi sento così stupida… non immagini quanto, perché queste non sono altro che gocce di inchiostro nero su un foglio bianco che, tu, non leggerai mai. Ed io mi sento esattamente al contrario: sono nera, come il buio, come il vuoto. Sai qual è l’unica differenza? manca il bianco, la luce… manchi tu.
Tu che non sei qui a dirmi andrà tutto bene, ci sono io. Tu che mi hai dimenticata. Tu che chissà dove sei. Tu… l’uomo che dovrebbe essere mio padre.
Buon compleanno John papà.

Quella che un tempo era la tua piccina.

Beth

 

Ed ora oltre che a gocce di inchiostro su un foglio bianco, c’erano anche gocce di lacrime che furtivamente e impetuosamente sgorgavano dai suoi occhi, occhi blu – come i suoi – che in quel momento racchiudevano una tempesta. Occhi che trattenevano e nascondevano lacrime da ormai troppo tempo. Che cercavano di essere forti, ma con scarsi risultati. Occhi spenti, ma mai così pieni… di dolore, delusione, illusioni, sogni, speranze, tristezza, e illusioni…
Occhi che fissavano quelle parole, che le vedevano scomparire dentro una busta, nascosta, e conservata, nella scatola di cartone – quella rossa – richiusa nell’armadio.

 

 

______________________________________________________________________________________________________
Ink Droplets

 
Care lettrici,
mi scuso per la lunga assenza, ma scrivere questo capitolo è risultato difficile e faticoso.
Non succede nulla di che in questo capitolo, ma mi sono resa conto di aver tralasciato alcuni dettagli come quelli dell’amicizia con Hannah, del rapporto tra Hannah e Ed, e quello di quel capitolo in cui Beth è alla stazione e aspetta una persona – che non si sa chi sia – e che non arriverà mai.
Come avete ben capito, e credo anche intuito visto che non ne ho mai parlato di un padre, Beth non vede suo padre da 6 anni, e gli manca. Ogni anno, il giorno del compleanno di John, gli scrive una lettera per parlargli di lei, e augurargli buon compleanno. Ma sono lettere che lui non riceverà mai, perché Beth non troverà mai il coraggio di spedirle, dove poi?
Sono pagine di diario che scrive più per se stessa, per liberarsi…
In questo capitolo scopriamo un po’ di più su Beth.
Scusate se è corto, ma ci tenevo a pubblicarlo oggi perché è il mio compleanno ( 4 febbraio ^^) e quindi spero che come regalo possiate lasciare un po’ di recensioni… mi farebbe davvero felice XD
Spero che il capitolo vi piaccia.
Ringrazio:
michiru93
Vanel
Miss Recensisco
Myrtus
MRS HORAN PAYNE
Vas Happening_Mary
Lovehope_
_miky_
TinyDancer
0_0martolla0_0
elev
Evanne991
shadows_fantasy
DanceOfUnicorn

E tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite, seguite, e chi ha recensito le mie OneShot.
Grazie mille.
Vi voglio bene.
Un abbraccio per tutti.

P.s. ho scritto un’altra One shot: Il tempo si è fermato… eppure tutto diventa polvere. http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2440195&i=1 )

La vita va avanti. Il mondo non ti aspetta, nessuno lo fa. Il tempo non si ferma, non abbiamo la magia. La felicità non esiste.
I ricordi si dimenticano. Il sole non c’è più.
E in quella foto… il tempo si è fermato… eppure tutto diventa polvere.

Datele un’occhiata. Grazie mille.

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Capitolo 20
*** Chapter 19 - A song for two ***


 

 

 

 

 

»Chapter 19

 

A song for two  As Ink On Paper

 


 

Quell’oggi sarebbe iniziato il corso di teatro per preparare lo spettacolo di fine anno, quello forse non tanto atteso. Beth avrebbe preparato la scenografia, e ne era entusiasta. Ma ben presto l’entusiasmo si sarebbe trasformato in gioia, Alec varcò la soglia dell’auditorium. Era la prima volta che lo vedeva a scuola – anche se la frequentavano entrambi - e il suo cuore sussultò.
Più volte aveva cercato i suoi occhi neri tra quelle mura, eppure sembrava che non ci fosse; sembrava che Alec fosse solo una sua invenzione, un illusione, un sogno.
E adesso era lì: jeans strappato, t-shirt verde, capelli lunghi e spettinati, e la sua Martin Black sulla spalla destra. Camminava in direzione di Mrs. Button.

 

Alec sbuffò, la preside, Mrs. Elliot, lo aveva punito costringendolo a partecipare allo spettacolo di fine anno, e adesso avrebbe dovuto passare molti pomeriggi in quello stupido auditorium. Quando entrò in quel luogo sorrise al vedere gli occhi di molte novelline non smettere di guardarlo.
Perché ad Alec piaceva. Gli piaceva essere guardato e desiderato. Voleva farsi desiderare. E tutte cadevano ai suoi piedi; fatta eccezione di qualcuno, ovviamente.
Mrs. Button, una donna di mezza età bella tonda e con l’odore dei biscotti appena sfornati, gli sorrise: adorava Alec.
Alec si diresse verso quest’ultima che gli disse - << ma quale onore signorino Cooper >> -  e con un - << colpa della Elliot >> - e un sorriso le rispose, la donna dai capelli grigi - << allora grazie per la vostra presenza signore ‘‘futuro grande musicista’’ >> - lo canzonò; Alec arrossì, lei era una delle poche persone ad averlo sentito suonare - << su forza, per il momento aiuta la signorina Smith >> - e gli indicò una ragazza dai capelli neri legati in modo disordinato.
Alec sorrise, non sarà affatto male stare qui, pensò.
Si diresse verso Beth, sarebbe stato impossibile non riconoscerla.
Indossava un jeans ad alta vita, largo e strappato sulle gambe, delle converse bianche e una t-shirt – di quelle corte – bianca. Stava dipingendo. Le si avvicinò e portò le labbra al suo orecchio e - << sei ancora più bella tutta sporca di pittura >> - disse con la sua voce bassa e roca; Beth sussultò ed emise un piccolo grido per lo spavento, si girò e vide Alec a pochi centimetri da lei. S’immobilizzò, cosa ci fa qui?, pensò.
<< Mrs. Button mi ha detto di darti una mano… >> - le disse guardandola intensamente; Beth annuì, gli diede un pennello e con il capo indicò la parte che doveva dipingere.
Era in estremo imbarazzo, e cercava – in tutti i modi – di non guardarlo, ma ogni tanto non resisteva e lo vedeva passarsi una mano tra i capelli.

Sospirò. Si sentiva osservata. Più volte aveva colto Alec mentre la guardava intensamente, e le sue guance – inevitabilmente - diventavano rosse.

Questo scambio di sguardi durò finché Mrs. Button non disse ai ragazzi di fare una pausa. Alec – finalmente a detta sua – posò il pennello e si diresse verso la porta, ma si accorse che Beth non c’era; era ancora lì intenta a dipingere. Le si avvicinò e a bassa voce le disse - << non fai una pausa? >> - la ragazza non rispose, e Alec si convinse che non avesse sentito, le si avvicinò – nuovamente – e all’orecchio le ridisse - << non fai una pausa? >> - Beth sussultò di nuovo, e quando si girò si ritrovò a pochi centimetri dal viso di Alec, il quale voleva soddisfare la voglia matta che aveva di baciarla.
Beth annuì e si avviò verso la porta seguita da Alec.
Alec le prese il polso e la portò con se nel retro della scuola e con - << c’è meno folla >> - ed un alzata di spalle si scusò. Prese una sigaretta e l’accese, poi senti una voce bassa dirgli - << noi sai che il fumo uccide? >> - Alec sorrise e con - << già c’è scritto anche sui pacchetti >> - le rispose. Beth sbuffò, Alec guardando in alto le disse - << cosa c’è i ragazzi che fumano non ti piacciono? >> - Beth lo guardò in modo strano - << allora per questo ti piace mio fratello? >> - la ragazza strabuzzò gli occhi e divenne rossa dalla rabbia - << cosa?? Tu!! Ma come ti salta in mente… ma cosa stai dicendo? Ancora con questa storia?... sei matto? No, no e no… >> - << sta zitta! >> - << cosa? >> - se possibile divenne ancora più rossa - << ti prego sta zitta… >> - continuò - << altrimenti? >> - gli disse spavalda - << se continui a parlare… non fai altro che aumentare la voglia che ho di baciarti >> - le disse guardandola negli occhi e con la sua calda voce; Beth, questa volta, divenne rossa per l’imbarazzo ed abbassò il capo.
Alec gettò la sigaretta a terra e le si avvicinò, con due dita le alzò il mento, e – nuovamente – la guardò negli occhi, poi abbassò anche lui lo sguardo e se ne andò.

 

***

 

Alec era in camera sua intento a scrivere una canzone – o meglio ci tentava. Lo spettacolo sarebbe stato sull’amore, e Alec non sapeva cosa scrivere. Non sapeva cosa fosse l’amore, e né tantomeno voleva saperlo.
Era nervoso, lo era dannatamente. E si sentiva stupido per aver confidato a Beth di volerla baciare. Ma proprio non ci riusciva, aveva una voglia matta di farlo, e lei continuava a parlare, e a muovere quelle labbra; e Alec avrebbe solo voluto sbatterla al muro e baciarla, ancora e ancora.
Sospirò. E la mano a muovergli i capelli non bastò. Posò la sua chitarra sul letto e scese giù.
E neanche il bicchiere d’acqua fresca bastò ad alleviare quella strana sensazione.
Una mano gli si poggiò sulla spalle, James gli sorrise. E Alec avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. Respirò a fondo e prima che il fratello uscisse dalla cucina gli chiese - << ti piace Beth? >> - James sorrise e con - << aspettavo che me lo chiedessi >> - gli rispose, e con il capo gli indicò il divano.
I fratelli Cooper erano seduti sul divano. Il grande salotto sembrò – per Alec – improvvisamente stretto. Gli mancava l’aria.
<< Alec >> - disse in tono fermo James.
Alec si girò e lo guardò, poi con il capo gli fece segno di continuare.
<< Si >> - Alec sbuffò e prima che potesse parlare James continuò - << Si, mi piace; è una bella ragazze, ed è anche simpatica, ma non è il mio tipo; siamo solo amici >> - Alec aggrottò le sopracciglia e - << perché volevi saperlo? >> - gli chiese il fratello maggiore, ma Alec si limitò ad alzare le spalle.
<< Piace a te? >> - gli chiese allora James, Alec cominciò a ridere e – finalmente – gli rispose con un - << no >> - secco.
James gli sorrise in un modo strano e andò via, lasciandolo solo e soddisfatto – anche se non voleva ammetterlo.
Ora aveva campo libero, forse?
Ma non ci avrebbe provato, Beth l’aveva rifiutato e non era mai successo che una ragazza lo facesse. Eppure ogni volta voleva riprovarci, ma un altro rifiuto non l’avrebbe accettato.
Poi un’idea lo colpì. Sorrise. Avrebbe fatto in modo che fosse stata Beth a provarci con lui. Sorrise, vincitore.

 

***

 

 

Erano le undici di sera quando squillò il telefono di Beth.
<< Pronto? >>
<< Beth? >>
<< Si… chi sei? >>
<< Non mi riconosci? >>
<< Alec… >>
<< Si! >>
<< Come fai ad avere il mio numero? >>
<< Ho i miei mezzi. >>
<< E scommetto che tu non abbia intenzione di dirmi quali siano. >>
<< Indovinato. >>
<< Cosa vuoi? >>
<< Parlare con te. >>
<< Lo stiamo già facendo. >>

Alec sbuffò, perché l’ho chiamata?, si chiese. Ma non lo sapeva. Ma aveva voglia di risentire la sua voce.

Beth sbuffò silenziosamente, cosa vuole?, si chiese, ma non sapeva la risposta. Eppure essere a conoscenza che adesso dall’altra parte del telefono ci fosse Alec le fece battere più forte il cuore.

<< stavo scrivendo una canzone… ma non riesco a continuarla… non trovo le parole adatte… >>
<< io me la cavo con le parole… >>
<< puoi aiutarmi? >>
<< perché dovrei? >>
<< per favore >> - sospirò - << è per lo spettacolo. >>
<< ok. >>
Alec sorrise.
<< possiamo vederci? >>
<< a quest’ora? >>
<< si! >>
<< dove? >>
<< al nostro posto? >>
Beth sorrise al ricordo del loro ultimo incontro lì.
<< arrivo >> disse e staccò il telefono.

Sorrise, ma un vuoto allo stomaco la riempiva. Avrebbe dovuto vedere Alec, e dopo ciò che era successo la mattina non ne aveva il coraggio.
Avrebbe voluto baciarlo. Avrebbe voluto che la baciasse. Avrebbe voluto tante cose, ed invece era rimasta lì, immobile, e rossa per l’imbarazzo.
Prese il suo parka e uscì di casa. I capelli legati ‘‘ alla bell e meglio’’, con due ciocche a coprirgli il viso. Il maglione verde – quello enorme – e il cielo stellato sulla testa.

 
Quando Beth mise piede nel Prior Park era passata da un po’ la mezza notte. L’aria era fredda, ma odorava di quel tipico aroma che c’era solo lì. Beth sorrise, le era mancato quel posto così tanto da non accorgersene.
Alec era appoggiato al ponte con lo sguardo rivolto verso il cielo. Quando sentì dei passi, abbassò il viso e vide Beth venirgli incontro.

<< ehi >> le disse con un sorriso stanco.
<< ciao >> gli rispose una volta che furono a qualche metro di distanza.
<< scusa ci ho messo un po’ di tempo, ma sono venuta a piedi…>> gli disse Beth per rompere il ghiaccio.
<< cosa?... ma sei pazza? A quest’ora… >> disse con fare preoccupato, ma fu interrotto da una risata di Beth - << da quando in qua ti interessa? >> - << non ce nulla da ridere >> - disse con tono duro, Beth annuì e sussurrò un flebile scusa.
<< grazie per essere venuta >> - allora le disse, e Beth gli sorrise.
<< su vieni con me >>

A pochi metri di distanza c’era una coperta sull’erba e la stessa chitarra che Beth aveva visto quella stessa mattina.

<< È davvero bella. >>
<< Ti piace? >> disse sorridendo Alec, Beth annuì.

Alec e Beth si sedettero, ma di cominciare a scrivere non ne avevano la minima intenzione. Alec guardava Beth e lei il cielo.

<< Parlami di te >> le disse.
Beth abbassò il viso e aggrottò le sopracciglia << cosa vuoi sapere? >> gli sussurò.
<< Qualcosa di te >> e lo disse con un sguardo così intenso che Beth non poté rifiutare.
<< mi piace guardare le stelle, l’odore del caffè e gli abbracci >> e i tuoi occhi avrebbe voluto aggiungere.
Alec sorrise, le si avvicinò e condivisero – nuovamente – gli stessi respiri. Alzò la mano e le sfiorò la guancia per arrivare ai capelli che sciolse.
<< mi piacciono i tuoi capelli, non portali sciolti >> le disse a pochi centimetri dalle sue labbra, Beth annuì impercettibilmente.

E stettero lì un bel po’; a guardarsi, scambiarsi qualche parole e a guardarsi.
Poi Alec si alzò, si sfilò la maglia e si avvicinò al fiume che scorreva sotto il ponte. Beth si alzò di scatto - << cosa hai intenzione di fare? >> - e Alec con un alzata di spalle - << un bagno >> - le rispose.
<< Tu sei pazzo, è gelida! Torna qui! >>
<< Ad una condizione >> sorrise divertito.
<< Quale? >> chiese Beth intimorita.
Alec la guardò intensamente, e a lungo, poi con voce bassa e decisa le disse - << baciami! >>
Beth sussultò.
<< perché dovrei farlo? >> disse con voce tremante.
<< perché ti piaccio. >>
<< cosa ti fa essere così sicuro? >>
<< vuoi questo bacio quanto me! >>
<< ti sbagli >> disse flebilmente.
Alec le si avvicinò lentamente ma troppo presto le fu vicina - << sul serio Beth? >> - le disse con le labbra tremendamente vicine al suo orecchio. Beth annuì.
<< sul serio? >> richiese con le labbra sul collo della ragazza.
Beth deglutì e annuì di nuovo.
<< ne sei convinta? >> chiese con le labbra a pochi millimetri da quelle di Beth.
Un flebile << si >> uscì dalle sue labbra.
<< puoi cercare di mentire a te stessa e convincerti di riuscirsi, ma il tuo corpo Beth… quello non mente >> le disse con gli occhi fissi nei suoi.

 

 

 

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Ink Droplets

 Care lettrici,
ho eliminato lo scorso capitolo perché non mi soddisfaceva, e non solo l’ho modificato, ma anche continuato. Spero che adesso vi piaccia.
Ringrazio tutte voi che mi sostenete sempre. Grazie mille!
P.s. scusate le brevi note, ma non voglio annoiarvi.

Nuova Flashfic: ‘‘Il tempo si è fermato… eppure tutto diventa polvere’’ ( http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2440964&i=1 )

‘‘La vita va avanti. Il mondo non ti aspetta, nessuno lo fa. Il tempo non si ferma, non abbiamo la magia. La felicità non esiste. I ricordi si dimenticano. 
Il sole non c’è più.E in quella foto… il tempo si è fermato… eppure tutto diventa polvere.’’

Se vi va date un’occhiata!!

Un bacio.

 

Fil

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Capitolo 21
*** Avviso ***


Ciao ragazze mi scuso per la lunga assenza e per ciò che leggerete tra poco.
È da un po' di tempo che riscontro difficoltà nel continuare questa storia, non mi ci rispecchio più... sono cambiate un po' di cose, o lo sono io, ma scriverla in queste condizioni non mi sembra giusto nei vostri confronti, nei miei, e in quelli di Alec e Beth.
Riprenderò a scrivere la loro storia non so quando, e se mai... scusatemi! Vi ringrazio per tutto, per il tempo trascorso insieme.
Grazie.
Un bacio, 
la vostra Fil

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