Dark Lake di _SamanthadettaSam_ (/viewuser.php?uid=184578)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Dark LA
ATTENZIONE! SEGUIRE LE SEGUENTI ISTRUZIONI PRIMA DI LEGGERE IL CAPITOLO:
PUNTO 1: cliccare su codesto link ---> https://www.youtube.com/watch?v=-3D5FwwtNVM e ascoltare la canzone mentre leggerete
PUNTO 2: Ripetere il punto uno ogni volte che si aggiornerà questa storia.
BUON DIVERTIMENTO! :)
Dark Lake era la tipica e pacifica cittadina dove tutti si
conoscevano e sembrava più una grande famiglia felice che una comunità. Il nome
poteva incutere paura, ma esso era dato dal grande lago dove la città si
affacciava. Era chiamato così per il semplice fatto che gli indiani, i quali un
tempo vivevano lì, credevano fosse la dimora di una terribile creatura degli
inferi. Oltre quella stupida leggenda, la città era solare e adorabile con le
sue piccole casette. Essa era divisa in due zone:
Il centro con tutti i negozi, i luoghi pubblici e le case
costruite una accanto all’altra, come se si stessero abbracciando.
Poi c’era la zona residenziale dove si trovavano le ville di
ricchi milionari che d’estate si godevano il clima tranquillo del posto,
staccando dallo smog delle metropoli e i sei castelli. In realtà non erano dei
castelli, ma la gente li chiamava così per la loro grandezza e il lusso al loro
interno. Un tempo, furono costruite da sei nobili famiglie, le stesse che
fondarono Dark Lake. Al loro interno, tra meravigliosi dipinti e ambienti
lussuosi, vivono ancora i discendenti di queste famiglie. Hanno perso il loro
titolo nobiliare, ma la gente del posto li rispetta come se niente fosse
cambiato.
Duncan era nato nell’ospedale di Dark Lake la mezzanotte tra
il 22 e il 23 luglio. Era il figlio del titolare della banca, un certo Benjamin
Brown, un uomo ligio al dovere e al
lavoro. Aveva ricci capelli neri sempre ordinati e severi occhi neri, nascosti
da un paio di occhiali da lettura.
Di sua madre non si
sapeva molto, solo che era stata abbandonata nella foresta quando era ancora
una neonata. L’unica cosa che aveva con se era un biglietto con su scritto un
nome, il suo.
Evelyne.
Nome molto insolito che però la vecchia donna che la prese
con sé decise di darle. Ella era molto alta (sfiorava i due metri), aveva
lunghi capelli biondi e grandi occhi acqua marina di cui la sclera era quasi
assente, eccezion fatta per una sottile striscia bianca attorno alla pupilla.
Il piccolo Duncan aveva lo stesso colore d’occhi della
madre, ma i tratti erano quelli del padre. Egli era un bambino molto
dispettoso, amante degli scherzi soprattutto verso suo padre.
Gwen era nata la mezzanotte tra il 22 e il 23 settembre. Suo
padre, Joshua Roy, era morto prima che
lei nascesse. Non sapeva molto di lui, anche perché tutte le sue foto erano
state nascoste dalla madre. Ella si chiamava Madison Fisher. Era una dei tanti
discendenti dei fondatori, l’unica della sua famiglia. Aveva lunghi capelli
neri e occhi dello stesso colore. La piccola assomigliava molto alla madre,
anche se dentro di lei ardeva la determinazione e il carattere del padre.
Queste due anime,
insieme ad altre quattro, scopriranno il segreto che giace nelle viscere del
lago.
E niente sarà più
come prima.
Duncan e Gwen, 8
anni
Doveva correre se
voleva arrivare in orario.
Ancora pochi metri e
le spettrali cime degli alberi sarebbero comparse ai suoi occhi. Le sue gambe
correvano senza sentire la fatica, guidandolo verso un sentiero nascosto che
s’inoltrava nella foresta. Il bambino percorse quel sentiero con tranquillità,
ignorando le demoniache mani legnose che sembrava volessero prenderlo. Dopo
aver superato un grosso masso e aver aggirato un ramo particolarmente basso, il
moro si ritrovò a salire una piccola collinetta. Lì, un albero di mele guardava
le cime dei suoi simili dall’alto, come un dio greco. Ai suoi piedi, una
bambina della stessa età di Duncan, lo attendeva con una forbice in una mano e
uno specchio nell’altra.
- Devi farmi un
favore. – Disse la bambina, senza neanche salutare l’amico e porgendogli in
malo modo le forbici.
Egli capì subito le
sue intenzioni.
Si frequentavano da
appena un anno, ma da come leggevano l’uno i pensieri dell’altra, sembravano
amici di vecchia data.
La mora si sedette
ai piedi del melo, facendo posto dietro di lei a Duncan. Il bambino prese una
ciocca nera della bambina e cominciò il suo lavoro. L’unico rumore che si
sentiva erano le lame delle forbici che tagliavano mano a mano sempre più
capelli. Passarono vari minuti, dopo che anche l’ultima ciocca superflua cadde
sul prato assieme alle sue gemelle.
Il moro prese lo
specchio e mostrò all’amica il suo lavoro.
Della lunga cascata
di capelli che prima circondava e nascondeva quasi completamente il viso bianco
di Gwen non rimaneva più niente. Al suo posto ora c’era un taglio corto e che
lasciava completamente scoperto il suo viso. Ella si guardò per un po’, girando
la testa da destra a sinistra, per osservare meglio quella nuova lei. Si girò e
sorrise al bambino.
- Saresti bravo come
parrucchiere. – Sussurrò, in una chiara presa in giro.
Il bambino la guardò
anch’egli, rispondendo al suo attacco:
- E tu hai un futuro
come spaventapasseri con quelle occhiaie. –
I due risero di
gusto, prima di stendersi sul prato.
- Perché li hai
voluti tagliare? – La domanda ingenua di Duncan arrivò improvvisamente, così
come il vento dal lago.
- Assomigliavo
troppo a mia madre, dovevo fare qualcosa. Dovresti farlo anche tu sai? –
- In che senso? –
Domandò il bambino.
- Assomigli troppo a
tuo padre. Sembrate due sosia! – Esclamò ella.
Il bambino prese lo
specchio da terra e cominciò a osservare il suo gemello riflesso su quella
superficie liscia. Fece una smorfia di disgusto nel costatare quello che aveva
detto l’amica.
Se non fosse stato
per il colore degli occhi, sarebbe stato la versione bambina di suo padre. Si
guardò per un altro po’ allo specchio, finché una folle idea attraversò il suo
cervello.
- Secondo te come
starei con i capelli verdi? –
- Da schifo. –
Furono le lapidarie parole di Gwen.
Il silenzio regnò
sovrano, finché un’altra pazza idea attraversò, questa volta, il cervello della
mora.
- E se ti facessi i
capelli alla moicana? –
- Spiegati. –
Lei si sedette a
gambe incrociate e invitò il bambino ad imitarla.
- I moicani sono una
tribù d’indiani del Nord America, caratterizzati da un particolare taglio di
capelli. Ti dico solo che tuo padre avrebbe un infarto vedendoti conciato come
loro. – Spiegò Gwen mentre i suoi occhi si illuminavano.
- Si ma io non
rinuncio ai capelli verdi! - Esclamò deciso lui, come a chiudere l’argomento.
- Va bene, facciamo
così: se tu ti tingi i capelli di verde, devi per forza tagliarteli come i
moicani. Promesso? – Disse lei, sputando sul palmo della sua mano destra e
porgendola a Duncan. Il bambino sputò anch’egli sulla sua mano e strinse quella
dell’amica in una forte stretta.
- Promesso. – Disse,
con la luna e le poche stelle del cielo a fare da testimoni.
Duncan e Gwen, 16
anni
Il vento soffiava
furioso, la chioma del melo si muoveva secondo il volere di Eolo. La pioggia
aumentò, fino a diventare un potente acquazzone.
Gwen si nascose nel
giubbino, alla ricerca di calore. La sua mano destra, quella che reggeva
l’ombrello nero, era congelata. Ma lei avrebbe aspettato anche tutta la notte.
La sua mente viaggiò
agli avvenimenti di quei giorni, all’incidente. Il pullman della scuola era
sbandato ed era precipitato giù per il Burrone dei lamenti, un grosso buco nel
terreno dove si sentivano come dei lamenti ogni volta che lo attraversava il
vento. Era stato l’incidente più sconvolgente di tutti. La maggior parte dei
bambini, di età compresa tra i sei e sette anni, feriti e traumatizzati a vita.
Il conducente del veicolo scomparso nel nulla. Cinque feriti gravi, due morti.
Suo fratello e la
maestra che li aveva accompagnati.
Evelyne.
Il rumore di uno
scontro e una bestemmia urlata senza vergogna alcuna, le fecero capire che era
arrivato.
Si asciugò veloce
una lacrima e si girò, appena in tempo per incrociare gli occhi con quelli
acquamarina di Duncan. Il ragazzo era bagnato fradicio e lo dimostrava la sua
cresta verde collassata su se stessa. Il ragazzo aveva il fiatone e si tastava
una parte della fronte, dove probabilmente aveva sbattuto contro il ramo basso
alla fine del sentiero.
- Stavi piangendo? –
Le chiese.
- Mi era entrata una
cosa nell’occhio… - Si giustificò lei. Il punk si avvicinò furtivo e
l’abbracciò lentamente, come a non farla spaventare per quell’improvvisa
dimostrazione d’affetto.
- Mi dispiace per
tuo fratello. – Mormorò, affondando il viso tra i suoi capelli.
- Mi dispiace per
tua madre. – Biascicò lei, nascondendo il viso sul petto dell’amico, per non
fargli vedere i suoi occhi pronti per piangere un’altra volta.
Quando entrambi si
furono calmati, si sciolsero dall’abbraccio e Gwen gli offrì un posto vicino a
lei, sotto l’ombrello.
Guardarono per
un’infinità di tempo le cime spoglie degli alberi sotto di loro finché, come un
fulmine a ciel sereno, Duncan disse:
- Ho deciso di
andarmene. –
La ragazza lo guardò
attentamente, nella speranza di trovare un sorriso che significasse che quello
che aveva sentito era solo uno dei suoi tanti scherzi.
Niente.
Osservò i tratti del
suo viso, il suo piercing all’sopraciglio e l’improbabile pizzetto che si era
fatto crescere. Osservò il taglio alla moicana e la cresta verde, simbolo della
promessa che si erano fatti da bambini, e infine osservò i suoi occhi
acquamarina, persi a guardare il vuoto.
- Perché? – Chiese
solamente.
- Non ho niente che
mi tenga ancora intrappolato qui. – Ed era vero. Duncan odiava quella città e
la vita che aveva quasi quanto lei.
Entrambi non sopportavano
i loro rispettivi genitori. Odiavano la vita che erano costretti a fare lì, si
sentivano con le mani legate, non potevano fare niente. Evelyne e David erano
le uniche due persone che erano riuscite a crearsi un posto speciale nei loro
cuori e a tenerli a Dark Lake. Ma ora che erano morti, l’unica cosa da fare era
andarsene.
La ragazza appoggiò
la mano libera sulla sua spalla, in un tacito consenso a quella sua volontà. Egli
le sorrise, poco prima che un’ennesima idea si accendesse nel suo cervello.
- Perché non vieni
con me? Anche tu non hai più niente di importante qui… -
- Non posso. –
Duncan alzò il sopracciglio, non capendo ma Gwen arrivò subito in suo aiuto.
- Trent. –
Trent, il suo
ragazzo.
Forse l’unico essere
umano di sesso maschile, eccezion fatta per lui e David, che era stato capace
di ritagliarsi un posto nel cuore della ragazza.
Duncan la guardò
intensamente. I capelli corti, cui Gwen aveva provveduto a tingere alcune ciocche
verde petrolio. Gli occhi, due pozzi d’ossidiana che s’illuminavano ogni volta
che la sentiva parlare del suo gruppo preferito e la sua pelle bianca che
risaltava incredibilmente con il suo modo di vestirsi da dark.
Le mostrò un sorriso
sghembo, il suo marchio.
Lei lo imitò per poi
sputare sul palmo della sua mano sinistra e porgendogliela.
- Promettimi che ti
farai sentire. –
Egli sputò sul palmo
della sua mano e strinse quella dell’amica in una forte stretta.
- Promesso. – Disse.
La luna e le poche
stelle del cielo gli furono da testimoni.
Angolo dell'Autrice:
Eccomi
ritornata! Questa volta con una nuova fantastica storia! Anche se non
si vede dalla lunghezza, questo è un prologo.
La canzone che accompagnerà questa storia è Wide Awake di
Katy Perry, qui trovate la traduzione (il ritornello in corsivo):
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia
Sì, ero al buio
Stavo cadendo giù
Con il cuore aperto
Sono sveglia
Come ho fatto a leggere le stelle così male
Sono sveglia
Ed ora è chiaro
Che tutto ciò che vedi
Non sempre è ciò che sembra
Sono sveglia
Sì, ho sognato per così tanto tempo
Vorrei aver saputo allora
Quello che so adesso
Non mi sarei immersa
Non mi sarei inchinata
La gravità fa male
L'hai resa così facile
Fino a quando mi sono svegliata
Sul cemento
Sono caduta dal settimo cielo
Sto precipitando dall'alto
Mi sto lasciando andare stasera
Si, sto cadendo dal settimo cielo
Sono sveglia
Non perdo il sonno
Ho raccolto ogni pezzo
E sono atterrata in piedi
Sono sveglia
Non ho bisogno di niente per completare me stessa
Sono sveglia
Si, sono nata di nuovo
Fuori dalla fossa dei leoni
Non devo far finta
Ed è troppo tardi
La storia è finita adesso, è la fine
Vorrei aver saputo allora
Quello che so adesso
Non mi sarei immersa
Non mi sarei inchinata
La gravità fa male
L'hai resa così facile
Fino a quando mi sono svegliata
Sul cemento
Sono caduta dal settimo cielo
Sto precipitando dall'alto
Mi sto lasciando andare stasera
Si sto cadendo dal settimo cielo
Rombo di tuono
Castelli in rovina
Sto cercando di resistere
Dio sa che ho provato
A vedere il lato positivo
Ma non sono più cieca...
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono caduta dal settimo cielo
Sto precipitando dall'alto
Mi sto lasciando andare stasera
Si, sto cadendo dal settimo cielo
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia
Vi consiglio di leggerla ogni volta prima di leggere un capitolo di Dark Lake.
Sarò anche assillante, ma questa canzone ha dentro di sè proprio il significato nascosto di questa long.
Lasciate tante recensioncine piccine piccò!
Un bacione:^.^:
Sammy
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Dark Lake - Capitolo 1
14 anni dopo…
Stava albeggiando su Dark Lake. Dormivano ancora tutti e la
città era circondata dal silenzio totale.
Le strade erano sommerse dalla nebbia che passeggiava
tranquilla, sentendosi la padrona della città.
Una figura apparve alle porte di Dark Lake. Indossava dei
pesanti jeans neri, stracciati sulle ginocchia, delle converse molto rovinate e
una felpa nera. Il volto di tale figura era al sicuro da occhi indiscreti
dentro il cappuccio con sopra disegnato un teschio. Essa guardava i tetti delle
case con minuziosa attenzione. Sembrava volesse imprimersi nella mente ogni
tegola che il suo sguardo scorgeva. Si sistemò il borsone sulla spalla e
camminò a passo sicuro tra le vie piene di nebbia. Malgrado la scarsa
visibilità, passeggiava tranquilla, finché non si fermò davanti a un portone
anonimo come tutti gli altri. Tirò fuori dalla tasca un foglietto stracciato,
dal cappuccio uscì un naso appuntito, dove spiccava un piccolo piercing. La
figura bussò forte alla porta, senza preoccuparsi di aver svegliato coloro che
dormivano all’interno. Si sentì chiaramente un paio di borbottii e un attimo
dopo, la porta si aprì, rivelando un giovane uomo. Egli era più alto della
figura, aveva lunghi capelli biondi e due occhi azzurri. Egli osservò la
persona davanti a lui per un attimo perplesso, ma poi la sua espressione mutò
regalando un sorriso alla figura.
- Allora non scherzavi l’altro giorno a telefono. – Disse il
biondo, facendo accomodare la persona in casa.
- Dovresti sapere che se mi metto in testa qualcosa, la
faccio. – Disse la figura appena entrata, gettando il borsone a terra e
togliendosi il cappuccio dalla testa. In quella casa comparve un altro giovane
uomo, dai capelli neri eccezion fatta per una ciocca verde, due occhi
acquamarina, un piercing al naso e al sopracciglio e un improbabile pizzetto.
Duncan.
***
- Cosa ti ha riportato qui, fratello? – Chiese il biondo,
offrendogli una tazza fumante di caffè e sedendosi di fronte a lui.
Il moro non gli rispose, era concentrato ad osservarsi
intorno. L’amico si era sistemato bene:
La casa aveva due piani, il primo ospitava una cucina
ordinata e un salotto con un comodo divano, sopra dovevano esserci le camere da
letto e i bagni.
- Evelyne. – Rispose dopo un po’ lui, facendo scomparire il
sorriso sulle labbra del ragazzo.
Gli raccontò del sogno che aveva avuto qualche settimana
prima, di aver sognato sua madre, di averla sentita dire di tornare da lei, a
Dark Lake perché aveva bisogno di lui. Era stato un sogno strano, ma
terribilmente reale al tempo stesso. Quel piccolo avvenimento lo aveva spinto a
fare le valigie e ritornare nella sua città natale.
- Geoff, dimmi che sta succedendo qui. – Sapeva che se la
madre le era comparsa in sonno, scomodandosi dalla tomba, un buon motivo c’era
eccome.
Egli aprì bocca, ma non disse niente, poiché la sua compagna
e suo figlio stavano facendo capolino.
Geoff si alzò e salutò la donna con un bacio a stampo sulle
labbra. Duncan si perse a guardarla.
Non era cambiata molto.
Si era fatta crescere i capelli, che le scivolavano liberi
sulla schiena, gli occhi color ambra erano sempre quelli della dolce
surfista che si era trasferita lì coi genitori, appena sedici anni fa.
- Bentornato a casa Duncan. – Sussurrò la donna, porgendo il
pargolo nelle braccia del padre e abbracciando il punk.
Lui ricambiò l’abbraccio un po’ impacciato. Non era abituato
più a dimostrazioni d’affetto.
- Sei riuscita a mettergli la testa a posto eh, Brigette? –
A quella domanda la coppia rise di gusto.
- Vieni Duncan, ti presento una persona. – Disse lei,
mostrandogli il neonato che adesso guardava tutti incuriosito, soprattutto
Duncan.
- Forza fratello, prendilo in braccio! – Esclamò Geoff,
circondando le spalle della bionda con un braccio.
Il moro guardò entrambi, per poi passare lo sguardo sul
bambino. Molto lentamente lo prese in braccio. Il neonato piagnucolò
leggermente per il distacco dalla madre, ma subito dopo cominciò a osservare
incuriosito il ragazzo che lo teneva.
Duncan aveva paura di fargli del male. Quelle mani erano sporche
anche se le aveva lavate così tante volte. I crimini che aveva commesso gli
erano entrati sotto pelle, percorrendo le vene fino ad arrivare al cuore,
rendendolo anno dopo anno sempre più arido.
Quelle mani avevano rubato, picchiato, sparato, quasi ucciso.
Aveva pagato col carcere, anche se dopo l’esperienza dietro le sbarre non aveva
combinato niente, davanti a quell’anima bianca, si sentiva incredibilmente e
orrendamente colpevole.
Senza alcun motivo.
- Hai un posto dove stare? – Chiese gentilmente Brigette.
Duncan scosse il capo, senza guardarla.
- Non preoccuparti. Qui sei il benvenuto fratello. A meno
che tu non voglia andare da tuo padre… -
Il moro alzò lo sguardo di scatto guardando in modo severo
l’amico.
- Preferisco morire piuttosto che chiedere aiuto a mio
padre. – Sospirò, tentando di calmarsi.
- Grazie per la vostra ospitalità. – Rivolse un mezzo
sorriso ai due, porgendo alla bionda il neonato.
- Farò un giro per la città, credo di tornare domani
mattina. – Disse il punk, alzandosi il cappuccio sulla testa e aprendo la porta
d’ingresso.
- Domani mattina? Dove passerai la notte? – Chiese
preoccupata Brigette.
- Nella tana del lupo. – E con quella piccola frase,
Brigette e Geoff capirono tutto.
***
Camminò a lungo, fino ad arrivare alla zona residenziale.
Cercò con lo sguardo un posto adatto a lasciare il suo messaggio. Scelse un
muro mezzo abbattuto, posto proprio davanti villa Fisher.
Prese dalla busta di plastica la bomboletta spray verde, che
aveva comprato in un negozio di ferramenta. Si alzò il colletto della felpa a
coprirgli la bocca con una mano, mentre l’altra agitava la bomboletta e
spruzzava il suo contenuto sul muro. Scrisse in fretta il suo messaggio,
ghignando sotto il tessuto pesante dell’indumento nero. Dopo che il suo capolavoro
fu ultimato, gettò la bomboletta ormai vuota a terra, si mise le mani in tasca
e ritornò sui suoi passi, verso un bar lì vicino.
***
Il vento di Ottobre le stava congelando la faccia. Le borse
della spesa erano particolarmente pesanti. Gwen camminava a fatica sulla salita
che portava alla zona residenziale. Appena arrivò davanti casa sua si fermò di
colpo, gli occhi sgranati verso un punto ben preciso. Il muro quasi del tutto
demolito davanti a lei era stato imbrattato con un messaggio.
Nella tana del lupo, ci sono dieci lupacchiotti e venti
agnellini.
Cosa fai lì Cappuccetto Nero? Vieni, Papà Lupo ti aspetta.
Agli occhi di una persona nomale, sarebbe sembrata senza
senso, ma non per Gwen. Lei sapeva perfettamente cosa volesse dire e chi
l’aveva scritto. I lupacchiotti simboleggiavano le ore, gli agnellini i minuti.
La tana del lupo era il melo al centro della foresta. Cappuccetto Nero era il
suo nome in codice, Papà Lupo quello di… Duncan.
Quanti anni erano passati? Ben quattordici.
Di sicuro era successo qualcosa di eclatante per farlo
tornare. La mora rimase ferma con gli occhi sgranati davanti quel messaggio per
qualche minuto. All’improvviso, come colpita da un fulmine, corse dentro casa,
posò le buste della spesa in cucina e uscì. Cominciò a correre con tutta la
forza che aveva in corpo verso la foresta.
Non ci mise molto ad arrivare al melo. Controllò l’ora
sull’orologio.
19:20
Mancavano ancora tre ore. Si sedette sul prato, appoggiando
la schiena sul tronco dell’albero. Si tolse le scarpe e immerse i piedi tra i
fili d’erba.
Chiuse gli occhi, ripensando all’ultima volta che lo aveva
visto.
Si erano sentiti in quegli anni, fino a quando Duncan non
finì in prigione. Non si ricordava neanche più il perché era finito al fresco,
ma non le importava ricordarlo. Qualsiasi cosa avesse fatto, lui rimaneva
sempre il suo migliore amico, il bambino che le tagliò i capelli sotto quel
melo.
E con questi pensieri, Gwen si addormentò.
***
Il buio.
Il suo elemento. Ormai vedeva benissimo anche nelle notti
più buie, quasi tutto quello che faceva lo svolgeva dopo il tramonto. Percorse
il sentiero che portava al melo lentamente, gustandosi tutte le sensazioni che
sentiva passo dopo passo. Aggirò senza problemi il grosso masso e per poco non
si scontrò col maledetto ramo basso che si dimenticava sempre di schivare.
Quattordici anni e niente lì era cambiato. Arrivato al melo,
trovò lei, addormentata.
Lei si che era cambiata.
Il suo cuore per un attimo si fermò, osservando il volto
rilassato dell’amica.
Si, era cambiata molto.
I capelli era cresciuti e li teneva ben legati in una
morbida coda di cavallo. Il loro colore però era sempre lo stesso.
Nero e petrolio.
Indossava un lungo giubbotto nero, stretto in vita da una
cintura blu notte.
Era a piedi nudi, di fianco a lei, le sue scarpe abbandonate
sul prato. Si avvicinò cauto al suo viso, mentre le narici del moro furono invase
dal suo famigliare profumo di giacinto e rosa. Si avvicinò ancora di più,
finché le sue labbra non furono vicine al suo orecchio.
- Sveglia Cappuccetto Nero. – Sussurrò lui, facendo
svegliare immediatamente la ragazza. Si sedette di fronte a lei a gambe
incrociate, osservando divertito l’espressione stupita e assonnata della mora.
Gwen si guardò in giro spaesata prima di ridere e agitare sconsolata la testa.
- Non sei cambiato affatto Papà Lupo. – Disse lei,
guardandolo dritto negli occhi.
Duncan costatò che gli stessi pozzi d’ossidiana che aveva
lasciato tanti anni fa, non erano cambiati.
E ne fu felice.
Gwen osservò per la prima volta dopo quattordici anni il suo
migliore amico. La prigione lo aveva rafforzato. Aveva sviluppato un po’ di
muscoli. Aveva abbandonato la cresta alla moicana, lasciando una massa
disordinata di capelli neri, dove spiccava una ciocca verde. Il piercing al
sopraciglio era sempre là, adesso accompagnato da un altro posto sul naso. Per
il resto non era cambiato affatto. Osservò più attentamente i suoi occhi
acquamarina e li trovò profondamente cambiati.
E ne fu spiacevolmente sorpresa.
- Cosa ha spinto il tuo brutto faccione a presentarsi si
nuovo qui? – Chiese “gentilmente” la mora.
Duncan le raccontò del sogno e di Evelyne.
Gwen senza dire una parola, s’infilò le scarpe, si alzò e
volse lo sguardo alle cime degli alberi.
- Che cosa sta succedendo Gwen? – Chiese sotto voce il moro,
come per paura che qualcuno li potesse sentire.
La ragazza fece cenno di seguirla, mentre scendeva verso un
altro sentiero, fin ora mai percorso dal ragazzo.
Camminarono in silenzio, finché non giunsero sulle sponde
del lago.
Duncan sgranò gli occhi incredulo. – Ma che cazzo..? –
Angolo dell'Autrice:
Questo capitolo è semplicemente sensazionale, si comincia già a entrare nell'atmosfera misteriosa di Dark Lake eh?
Vi avviso che già dal prossimo capitolo accadranno cose molto strane...
Se volete seguire anchei miei scleri da scrittrice e varie
anticipazioni sulle storie... vi consiglio di visitare la mia pagina
facebook.
Qui sotto il link:
https://www.facebook.com/SamanthadettasamEfp
Ricordatevi di lasciare tante piccole grandi recensioni ;)
Un bacione:^.^:
Sammy
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Dark Lake - Capitolo 2
Duncan sgranò gli occhi incredulo. – Ma che cazzo..? –
Davanti a lui, un
fiume di anime si dirigeva verso il lago. I loro occhi vacui erano puntati nel
nulla, come falene attratte dalla luce. Camminavano lentamente, come in una
processione, per poi sprofondare nelle profondità dello specchio d’acqua
davanti a loro. Quando il sole fece capolino all’orizzonte, le anime riemersero
dai flutti, una di loro era molto più lenta delle altre e sanguinava
copiosamente da un braccio, che si teneva con l’altro.
- Cosa hai visto
Duncan? – Il tono di voce con cui Gwen aveva posto quella domanda era piatto e
atono.
- Cosa ho visto? Un
gruppo di anime o fantasmi che sono entrati e usciti dal lago! Cosa diavolo sta
succedendo qui? – La donna si girò, guardando l’amico incredula.
- L’unica cosa che
so e che riusciamo a vederli solo noi. –
L’uomo alzò il
sopracciglio, non capendo. Lei lo invitò a ritornare in città. Sulla via del
ritorno, la mora gli raccontò che il fenomeno era cominciato tre anni fa. Aveva
portato gli altri del loro gruppo, per mostrargli ciò che aveva scoperto. Per
sua grande sfortuna però, gli amici non riuscivano a vedere niente, lì capì di
essere l’unica a vederli.
- Allora era questo
che intendeva mia madre. – Disse Duncan, davanti alla porta di casa di lei.
- Cosa intendi fare
a riguardo? –
- Farò le mie
indagini, ti farò sapere stasera. –
- Al Moonlight? –
Chiese lei, infilando la chiave nella serratura.
- Ci vediamo lì alle
nove. Avvisa anche gli altri. – E detto questo, Duncan si alzò il cappuccio
sulla testa.
- Sono felice che
sei tornato. – Urlò lei, quando ormai l’amico era già a due case di distanza da
lei.
- Ed io di averti
trovata ancora qui con le tue occhiaie. – Urlò lui, ricevendo da lontano un
dito medio ornato di smalto nero.
***
Il cimitero di Dark
Lake aveva appena aperto, quando Duncan vi entrò. Non c’era ancora nessuno e
lui si muoveva sinuoso tra le varie lapidi. Dopo aver svoltato all’ennesima
tomba, trovò quella che stava cercando.
La tomba di Evelyne.
Posò davanti alla
lapide un mazzo di fiori rubati ad un’aiuola all’ingresso del cimitero. Si
perse a guardare il marmo bianco della tomba, sospirò e disse:
- Eccomi qua mamma.
Sono tornato come avevi detto tu. Anche da morta riesci a farmi fare tutto
quello che vuoi vero? – Si grattò nervoso la testa, lo sguardo triste verso la
lapide.
Erano passati tanti
anni, ma il suo cuore ancora sanguinava per la morte della madre. Lei era
l’unica che lo capiva, l’unica persona che rispettava e l’unica a cui concedeva
il lusso di sgridarlo.
Se ne era andato
anche per questo: ogni singolo centimetro di quella città gli ricordava gli
occhi quasi privi di sclera della madre.
Il vento freddo di Ottobre
serpeggio tra le lapidi, per arrivare silenzioso a colpire il viso del moro.
- Duncan Brown? – Una
voce melodiosa come le onde del mare solleticò l’orecchio di Duncan. Egli si
girò lentamente, per scoprire chi era il proprietario di quella voce. Davanti a
lui una donna di all’incirca ventisei anni, ma con un viso angelico che le
toglieva molti anni. I suoi capelli erano di colore biondo cenere ed erano
legati in uno chignon, di quelli con cui si acconciavano i capelli le ballerine
classiche. Indossava un soffice giubbino color caramello, il che faceva
risaltare incredibilmente la sua pelle bianca. La donna lo guardava sorridente
con i suoi grandi occhioni blu cobalto.
- Chi mi cerca? –
Chiese lui incrociando le braccia.
- Sono Dawn White. –
E quel nome gli parve così familiare.
- Ci siamo già visti
da qualche parte… -
- Ci siamo già
visti, ma è meglio che tu non sappia per adesso. – La bionda lo invitò a
sedersi su una panchina lì vicino. Duncan accettò la sua richiesta e si sedette
accanto a lei.
Ella nascose le
proprie mani nelle maniche del giubbino, lasciando scoperte solo le dita.
- Ho le informazioni
che cerchi, posso dirti solo quello che devi sapere adesso. Il resto ti verrà
detto in futuro. – La donna era seduta a gambe incrociate, gli occhi chiusi
come se stesse meditando.
Duncan era
completamente sorpreso dalla strana situazione in cui si trovava e ringraziò il
cielo che in quel cimitero c’erano solo loro.
- C’è una creatura
che attira tutte quelle anime al lago. Sta cercando qualcosa appartenuto alla
sua padrona, l’unica che può liberarla. È inevitabile che questo accada ma c’è
una speranza. Dobbiamo trovare i sei guardiani, solo loro possono imprigionarla
di nuovo. –
Il moro si premurò
di assimilare tutte le informazioni, ignorando il cervello che gli urlava che
quel discorso non aveva alcun senso.
Ma dopo gli
avvenimenti della scorsa notte, Duncan ormai si era rassegnato a credere ad
assurdità del genere.
- Suppongo che tu
sappia anche il perché solo io e Gwen riusciamo a vedere quelle anime? – Chiese
lui.
La donna si sistemò
sulla panchina, guardando il moro con un pizzico di meraviglia, poi i suoi
occhi si accesero di una scintilla di soddisfazione.
- Questo lo
scoprirai presto. Adesso però devi promettermi una cosa… -
“E ti pareva!” Pensò
l’uomo, alzando gli occhi al cielo.
Per un attimo si era
dimenticato che in quel mondo nessuno faceva qualcosa per niente.
- …Non devi dire a
nessuno chi sono. Voglio essere invisibile per chi abita qui, un po’ come te. –
Disse lei, e Duncan non poteva che trovarsi d’accordo.
La bionda si alzò,
porgendogli un foglio dello stesso colore dei suoi occhi.
- Quando la terra
tremerà, tu e Gwen venitemi a cercare. – E appena il punk afferrò il biglietto,
la donna si mise le mani in tasca e si diresse a passo svelto verso l’uscita.
***
Il Moonlight era un
piccolo locale posto in fondo ad uno stretto vicolo. Appena entrati si poteva
sentire il suo caratteristico odore.
Birra e umidità.
Non era di certo
fantastico come locale ma in quanto a discrezione, era il primo da scegliere.
Duncan entrò nel
locale e si guardò in giro per un po’. C’erano solo due ubriaconi, che
cercavano di non far sbattere la loro testa ciondoloni sulla superficie legnosa
del bancone.
Sorrise sotto i
baffi e scoprì il suo viso dal cappuccio.
Appena fece tale
gesto il proprietario del locale, che intanto stava ripulendo un tavolo lì vicino,
gli venne incontro.
Era un grosso omone,
dagli occhi neri e i capelli biondi. Il sorriso sempre sul viso e una fame da
paura.
In poche parole,
Owen.
In pochi attimi, il
moro si ritrovò stretto nella letale morsa, chiamata “abbraccio alla Owen”
- Duncan! Sei
proprio tu? Oh, pazzesco! Sono proprio felice di vederti amico. –
- Si anch’io
puzzOwen. – Disse lui, dando un energica pacca sulla spalla all’omone. Egli in
risposta lo accompagnò fino ad un tavolo molto più grande degli altri, posto proprio
vicino al bancone.
Lì seduti c’erano
tutti i suoi amici.
Inizialmente nel suo
gruppo facevano parte solo Geoff, un dolce ragazzo dalla pelle nera di nome DJ
e Owen. Con l’arrivo di Gwen si sono aggiunti altre persone come Leshawna, una
ragazzona pronta a far tutto per la sua “mozzarellina” Gwen, un gracile ragazzo
di nome Cody e Brigette.
Erano diventati una
grande famiglia, dove ognuno si spalleggiava a vicenda e il Moonlight, che era
stato fondato dal nonno di Owen, era il loro punto di ritrovo.
Dopo aver salutato
tutti, Duncan si sedette su l’unica sedia libera che rimaneva. Prima di
sedersi, notò con piacere che sullo schienale era intagliato un piccolo
teschio.
Guardò tutti negli
occhi, studiando e leggendo i loro pensieri e i loro sguardo. Aspettavano
impazientemente che lui raccontasse quello che aveva trovato sull’argomento di
quella riunione. Si leccò le labbra, assaporando il dolce sapore dell’aspettativa,
dell’impazienza e della suspense di cui quel momento era saturo.
Prolungò quelle
sensazioni per qualche minuto, prima di parlare. Raccontò tutto quello che Dawn
le aveva riferito, omettendo di riferire agli amici l’identità del suo
informatore.
- Come fai a sapere
che questo informatore non ti abbia raccontato un sacco di stupidaggini? –
Domandò ad un certo punto Leshawna, rompendo in frantumi il silenzio che si era
creato subito dopo che Duncan finì il suo discorso.
Il moro si accese
distrattamente una sigaretta, che portò al lato sinistro delle sue labbra.
Inspirò profondamente, per poi rilasciare lentamente una nuvoletta di fumo.
- Perché è l’unico
informatore che abbiamo. – Mormorò, ritornando ad aspirare la sua amata
sigaretta.
La serata passò
veloce, mentre i suoi amici cercavano inutilmente di fargli uscire dalle labbra
il nome del suo informatore. Quando quel che rimaneva della sigaretta finì nel
posacenere, accadde l’imprevedibile.
La terra cominciò a
tremare.
***
Scott stava
passeggiando per la foresta. Le mani in tasca e gli occhi grigio cenere ad
osservare la strada davanti a lui. Stava camminando da un bel po’ ormai, ma non
aveva alcuna intenzione di tornare a casa. Trovarsi in quella casa da solo lo
faceva impazzire. Qualche anno fa avrebbe fatto a patti col demonio, pur di non
avere il fiato del suo vecchio sul collo. Ma adesso che era morto per un
infarto, si sentiva stupidamente solo.
Si diede uno
schiaffo, non poteva pensare cose del genere. Il suo vecchio gli aveva
insegnato che essere debole era da bambini, e lui ormai era un uomo.
I suoi piedi lo
portarono in un prato fiorito, che costeggiava il Burrone dei lamenti. C’era
solo un tipo di fiore in quel prato.
Aveva grossi petali
bianchi come la neve, colorati di un singolare blu cobalto alla base di essi. Venivano
chiamati Raggi di luna, poiché si aprivano soltanto con la luce lunare.
I suoi fiori.
L’uomo si passò una
mano tra i capelli rossicci, alzando lo sguardo dal fiore al burrone.
Sul ciglio di esso,
una donna dai lunghi capelli biondo cenere, la pelle bianca e occhi blu cobalto
l’osservava.
Il rosso sgranò gli
occhi meravigliato.
Non poteva essere lei.
La donna indossava
un leggero vestito bianco, perfettamente i tinta con la sua pelle e che
risaltava incredibilmente le sue labbra viola.
Era un fantasma.
La bionda lo stava
chiamando a bassa voce, ma quel richiamo arrivò forte come un urlo nelle
orecchie dell’uomo. Egli avanzò meccanicamente verso di lei, mentre la sua
mente era affollata di pensieri.
“Di sicuro è un
altro dei miei stupidi incubi” pensò “lei non può essere qui, è morta”
- Ciao Scott. –
Disse lei, con la sua voce melodiosa.
- Raggio di luna. –
Riuscì a esalare l’uomo, allungando una mano verso di lei per verificare se
fosse un fantasma. La donna però non si fece sfiorare. Aprì le braccia a croce,
e si tuffò all’indietro, risucchiata dal burrone.
Scott non ebbe la
prontezza di afferrarla, perché una forte scossa sismica lo fece cadere
rovinosamente a terra. Quando il terremoto cessò, l’uomo si sporse dal burrone,
per vedere dove era atterrato il corpo della bionda.
Di lei non c’era
traccia. Dove si trovava prima di buttarsi, ora c’era un biglietto color
cobalto. C’era segnato un indirizzo e un piccolo messaggio che recitava:
Quando la terra tremerà, vienimi a
cercare.
Dawn
- Non può essere… - Sibilò
lui, guardando un Raggio di luna che era lì affianco.
Angolo dell'Autrice:
Eccomi qua, sempre verso le dieci ad aggiornare, e con un capitolo nuovo di Dark Lake.
L'atmosfera è piena di misteri, di cui il più grande è la nostra cara Dawn...
Chissà cosa nasconde...
E' un fantasma o qualcos'altro?
Questa domanda avrà risposta solo nel prossimo capitolo. Quindi dovrete aspettare.
Vi invito nuovamente a visitare e a mettere un bel mi piace alla mia
pagina facebook, a lasciare tante belle recensioncine e a continuare a
seguire Dark Lake.
Un bacione:^.^:
Sammy
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Dark Lake - Capitolo 4
Scott si svegliò con ancora il ricordo della notte scorsa
marchiato a fuoco nella sua mente. Si alzò lentamente dal letto e si diresse
con passo barcollante nel bagno. Si tolse i pantaloni di una tuta bucata e
vecchia che era diventata il suo pigiama e i boxer. Rapido s’infilò nel box
doccia, infischiandosene del getto d’acqua ancora freddo. Non voleva aspettare
che si riscaldasse. Chiuse gli occhi, lasciando che il getto della doccia
picchiasse dolcemente e energicamente sulle sue palpebre chiuse. Nella sua
mente riaffiorava un ricordo sbiadito, quasi cancellato dal suo subconscio, ma
ancora presente.
*Inizio flashback*
- Ciao io sono Dawn. – La bambina gli porse una mano in
segno di saluto. Lui non l’accettò e grugnì solo il suo nome.
- Scott. – Il bambino tirò dalla tasca una lente
d’ingrandimento, cominciando a carbonizzare un formicaio e le sue abitanti. Una
manina candida lo fermò e gli fece cadere l’oggetto che aveva in mano sul
prato.
- Non prendertela con queste piccole formichine. Loro non ti
hanno fatto niente. –
- E invece si! Hanno invaso la mia proprietà. – Parlava
proprio come un adulto, anche se aveva appena sei anni. Lei lo guardò con i
suoi grandi occhioni blu cobalto, per poi posizionarsi tra il formicaio e il
rosso, allargando le braccia
- Dovrai carbonizzare prima me, se vuoi uccidere le mie
amiche formichine. –
*Fine flashback*
Anche adesso che erano passati tanti anni, quella frase gli
faceva nascere un sorriso divertito. Fino ad allora non aveva conosciuto una
persona più testarda e determinata di lei.
Prese la bottiglia di bagnoschiuma e cominciò ad
applicarselo su tutto il corpo, partendo dal petto, per poi scendere, mentre un
altro ricordo prendeva possesso della sua mente.
Forse il più doloroso che aveva.
*Inizio flashback*
Stava assistendo ad uno stupido e noioso saggio di danza.
Ancora non riusciva a crederci che quella marmocchia l’avesse convinto ad
andarci. La musica diventò presto più delicata, mentre Scott riconobbe nella
melodia l’inconfondibile suono del flauto. Il palco si svuotò lasciando su di
esso una piccola figura.
Raggio di luna.
Indossava un tutù bianco, ornato di lustrini luccicanti
all’altezza del petto. La ragazza cominciò a volteggiare, come se non avesse
peso. Eseguiva tutti i passi di danza di quel balletto con tanta leggerezza,
che il ragazzo pensò seriamente che la ballerina che stava guardando stesse
volando. Dopo lo spettacolo, il rosso aspettò l’amica fuori dal teatro. Dopo
mezz’ora la vide arrivare trafelata, stringendo un mazzo di fuori tra le
braccia.
- Scusa il ritardo, volevano farmi tutti i complimenti. –
Disse lei, cercando di riprendere fiato.
Scott osservò attentamente il suo viso. Era pesantemente
truccato, soprattutto sugli occhi e le labbra. Sembrava una ragazza di
diciassette anni, non di quattordici.
- Sei venuto a vederlo lo spettacolo? Non ti ho visto… -
Chiese lei
- Si. Eri leggera come l’aria mentre ballavi. – Il rosso si
pentì immediatamente di aver pronunciato quella frase.
Raggio di luna gli sorrise. In un attimo, la ragazza si
avvicinò a lui, donandole un piccolo bacio sulle labbra. Il ragazzo non se
l’aspettava proprio. I due rimasero per qualche secondo così, prima che Scott
la spinse via. Si pulì le labbra con un braccio, togliendo il segno del
rossetto della ragazza.
Lei lo guardò per un po’, poi gli sorrise. Ma il suo sguardo
era triste.
- Vado a meditare, puoi avvisare i miei? – Disse lei,
dirigendosi verso la foresta.
Scott sussurrò un si, mentre vedeva quella ballerina
inoltrarsi nella foresta, con ancora il mazzo di fiori con sé.
*Fine flashback*
Quella era l’ultima volta che aveva visto Dawn viva. Ancora
oggi il rosso si chiedeva perché l’avesse respinta quel giorno. Il motivo lo
sapeva benissimo. L’aveva respinta perché non voleva legarsi con nessuno, non
dopo aver visto come era diventato suo padre dopo il divorzio. Egli era diventato
l’ombra di se stesso, che andava avanti per inerzia. Lui non voleva fare la sua
stessa fine. Ed era per questo che aveva preso quella decisione. Si avvolse un
asciugamano in vita, entrando in camera, gocciolando per terra. Si vestì
ascoltando il silenzio che regnava nella sua casa. Scese in cucina e si preparò
un caffè. Nella sua mente apparve l’orribile visione del corpo senza vita di
Dawn, che galleggiava sul lago. L’aveva trovata lui, dopo cinque mesi dalla sua
sparizione. Era stato lui ad ucciderla, lo sapeva. Se non l’avesse respinta
quel giorno…
Scosse energicamente la testa, scacciando tutti i ricordi,
gli stupidi pensieri e i sensi di colpa in fondo.
Prese il suo portafogli e il suo portafortuna. Era un Raggio
di luna, che aveva provveduto a plastificare. La sua attenzione fu catturata
dal biglietto blu cobalto, abbandonato sul mobile dell’ingresso. Quello che
aveva visto la notte scorsa non era un fantasma della sua mente, non era uno
dei suoi incubi ricorrenti che ormai lo perseguitavano dalla sua morte. Stava
succedendo qualcosa di grosso, ed era intenzionato a scoprire cosa.
***
Duncan era steso sul letto della sua camera. Era pomeriggio
inoltrato, ma lì dentro sembrava essere notte fonda per il buio che c’era. Se
si concentrava, riusciva a sentire i sussurri blasfemi dell’oscurità. Esso
aveva uno strano effetto su di lui. Nel buio lui pensava, agiva, si calmava.
Come se fosse il suo ambiente naturale. Aveva lo sguardo perso verso il
soffitto, ricordando gli avvenimenti della notte scorsa. Dopo la scossa di
terremoto, nessuno degli abitanti è voluto tornare nelle proprie case. Hanno
dormito tutti per strada, i più fortunati in macchina. Verso l’alba il sindaco
ha calmato tutti, affermando che non si sarebbe mai più ripetuta una cosa del
genere.
“Come se uno stupito sindaco potesse fermare un terremoto”
pensò, maledicendo quel piccolo omino stempiato e, in alcuni momenti,
balbuziente.
La gente però parve rassicurata da quelle parole e infatti,
dopo qualche ora, tutto era tornato alla normalità. Era incredibile con quanta
facilità quell’omino aveva tranquillizzato la gente di Dark Lake, scossa da un
evento eclatante e pericoloso come un terremoto. Uscì dalla sua camera e, preso
dai morsi della fame, si diresse in cucina per mettere qualcosa sotto i denti.
Seduto al tavolo della cucina c’era Geoff, intento a sgranocchiare un sacchetto
di frutta secca. Il moro si sedette di fronte a lui, dopo averne preso un altro
pacchetto dalla credenza. Per i cinque minuti che seguirono, l’unico rumore che
si sentiva era lo sgranocchiare dei due, fino a quando non fu Geoff a prendere
la parola.
- Non dovresti andarci a quell’incontro. – Duncan alzò gli
occhi al cielo. L’indirizzo scritto sul biglietto che gli aveva dato Dawn
corrispondeva alla famosissima “casa della Strega”. Una casa che, secondo
alcune leggende locali, era stata la dimora di una potente strega, il cui
spirito vagava tra le stanze, maledicendo chiunque avesse il coraggio di
andarci a vivere. Di tutte le leggende e superstizioni che quella città aveva,
la maledizione della strega era la più assurda.
- Non fare quella faccia fratello, ti sei dimenticato che lì
sono morte delle persone? – Disse il biondo, prendendo una manciata generosa
dal suo sacchetto.
- Si sono suicidati, è diverso. – Gli ultimi proprietari
della casa avevano vissuto lì per ben quindici anni, prima di suicidarsi
insieme.
- Si ma tu ti ricordi perché? – Incalzò l’amico, ricevendo
uno sguardo confuso dall’altro. Il motivo del loro gesto gli sfuggiva. Geoff
sospirò esasperato, premendo il pollice e l’indice sulle palpebre chiuse.
- Si sono tolti la vita subito dopo il ritrovamento del
corpo della loro unica figlia, Dawn. – Nel preciso instante in cui Duncan sentì
quel nome, tutto gli tornò alla mente. Dawn era un’amica di Gwen, di quattro
anni più piccola di loro. Aveva frequentato il loro gruppo per qualche anno,
poi era sparita. Nessuno riusciva a trovarla e i genitori erano disperati. Dopo
cinque mesi, il suo corpo è stato ritrovato mentre galleggiava nel lago. La sua
gola divenne incredibilmente secca e un’orribile stretta attanagliò le sue
budella, mentre impallidiva di fronte alla terribile realtà che aveva appena
scoperto.
- Ehi stai bene, sembra che tu abbia visto un fantasma. -
“Oh, si che l’ho visto e ci ho anche parlato.”
- Vado ad aspettare Gwen fuori. – Fu l’unica frase di senso
compiuto che riuscì a dire, prima di correre fuori.
Tirò dalla tasca l’accendino e si accese velocemente una
sigaretta, consumandola fino a metà, già alla prima tirata.
Pensò velocemente com’era possibile che una persona morta
più di dodici anni fa, gironzolasse per la città. Perché era certo al cento per
cento che la donna con cui aveva parlato nel cimitero fosse reale. La sua mente
era un turbinio di pensieri e dubbi, mentre finiva anche la terza sigaretta.
Stava per aspirare la quarta, quando una mano bianca con le dita smaltate di
nero gliela rubò.
- Cosa ti rende così nervoso da fumarti l’intero pacchetto?
– Chiese Gwen, assaporando la sigaretta appena rubata all’amico.
- Dawn White. E’ lei il mio informatore. – Sapeva che così
facendo aveva tradito la promessa fatta alla donna, ma Gwen non poteva rimanere
all’oscuro di tutto. Non quando era così coinvolta nella faccenda. Duncan si
stupì del fatto che una persona con la pelle bianca come Gwen potesse sbiancare
ulteriormente.
- Dimmi che stai scherzando. – Sibilò la mora, ricevendo un
secco no come risposta.
I due s’incamminarono verso il luogo dell’incontro. Duncan
raccontò del suo strano incontro con la bionda, mentre la donna cercava di
capire come era possibile una cosa del genere.
Quando ormai il tetto della casa della Strega si mostrò agli
occhi dei due, il moro si fermò.
- Qualcuno sta venendo qui. – Disse, rintanando il viso
ancora di più nel cappuccio. Dopo una manciata di secondi, i due amici si
trovarono davanti Scott. Il ragazzo si fermò di colpo, appena si accorse della
loro presenza.
- Sapevo che un giorno di questi avrei rincontrato la tua
faccia. – Ghignò il rosso, rivolto verso l’uomo.
- Ti mancavo per caso? – Lo schermì prontamente, scoprendo
il suo viso alle luci del tramonto.
I due si scrutarono per molto, studiandosi a vicenda. Scott
era stato il suo compagno di scherzi a scuola. Se ne stava sempre da solo, in
rari casi si univa a lui per tormentare qualche sfigato. L’aveva invitato un
sacco di volte a unirsi al suo gruppo, ma lui aveva sempre rifiutato con la
scusa che non voleva legarsi con nessuno. Dagli sguardi che si lanciavano,
sembravano nemici dalla nascita, ma non era così. Se fosse stato il caso,
Duncan gli avrebbe affidato la sua stessa vita.
- Che ci fai qui? – Sputò la Iena, spazientito dal
fastidioso contrattempo. Il punk mostrò il biglietto blu cobalto. Poteva
sembrare una mossa azzardata, ma non lo era. Scott e Dawn, anche se il ragazzo
non lo avrebbe ammesso mai, erano molto legati. A quella vista il rosso sgranò
gli occhi meravigliato. Lentamente tirò dalla tasca anche il suo biglietto.
“Come immaginavo” pensò.
I due uomini si squadrarono a lungo, prima di decidere
tacitamente di percorrere la strada che rimaneva insieme. Il silenzio avvolse i
tre fino all’arrivo alla casa della Strega.
Era la casa più antica della città, in cui le stanze erano
situate tutte su un piano. La porta d’ingresso si aprì cigolando rumorosamente,
appena Duncan ne forzò la serratura. Una scia di candele si spandeva
dall’ingresso fino a proseguire in una stanza alla destra. La fioca luce che
emanavano quelle fiammelle, illuminava pochissimo l’ambiente circostante che invece
era immerso nell’oscurità.
La stanza sulla destra era adibita a biblioteca. Aveva una
forma pentagonale, dove tutte le pareti ospitavano scaffali stracolmi di libri.
Il moro, alzando lo sguardo, notò due pezzi di corde legati a una trave del
soffitto. Ingoio a vuoto, nel costatare che erano nel luogo dove i signori
White si erano tolti la vita. Al centro della stanza le candele creavano un
cerchio luminoso, al centro di esso, Dawn. La donna stava leggendo un libro,
che chiuse immediatamente appena vide i tre comparire sulla soglia. Guardò i
nuovo arrivati attentamente, cogliendo ogni sfaccettatura delle loro anime,
esaminandoli molto in fondo.
- Dawn… - Esalò Gwen, avvicinandosi lentamente a lei, come
per paura che scomparisse da un momento all’altro. La bionda la strinse in un
forte abbraccio, appena furono abbastanza vicine. Una lacrima scappò al
controllo della mora, mentre Raggio di luna lasciava che il suo viso fosse
tranquillamente rigato di lacrime. Dopo anni, si erano rincontrate.
- Dawn… tu… eri morta? – Sussurrò la donna, come se non si
volesse far sentire dai due uomini fuori da quel cerchio di candele. Dawn si
allontanò leggermente da lei, sospirò e guardò attentamente tutti i presenti.
- Non aspetto che mi crediate, solo non interrompetemi… -
Tutti annuirono, lasciando intendere che erano curiosi di sapere la storia, qualunque
essa sia.
La bionda donò un leggero sorriso al gruppo.
- Dopo il saggio di danza, sono andata a meditare nella
foresta. Sono rimasta lì fino a tarda sera. Sulla via del ritorno ho sentito
una voce che mi chiamava… -
- Una voce? – Chiese Scott, togliendo quella domanda dalle
bocche degli altri due.
Raggio di luna annuì energicamente.
- Proveniva dal lago. Mi sono avvicinata all’acqua ma sono
scivolata sul fango, cadendo all’interno. Una forza mi trascinava più giù, fino
al fondo. Poi sono svenuta. – Sospirò un’altra volta, volgendo lo sguardo verso
il vuoto.
Anche solo ricordarlo le faceva male.
- Quando ho aperto gli occhi, ero intrappolata, come se la
mia prigione fosse proprio l’acqua del lago. L’unica cosa che i miei occhi
riuscivano a vedere era un’immensa ombra davanti a me. – La donna continuò a
descrivere nei minimi dettagli quella prigione fatta di acqua, dove si
sentivano solo lamenti e urla strazianti. Duncan capì immediatamente che quei
ricordi erano come pugnali per Dawn. La capiva. Anche lui era stato
prigioniero, senza aver fatto niente. Ma anche a lui, ricordare quegli
avvenimenti, era doloroso.
- Sono rimasta lì sotto per anni. Finché non sono stata
liberata e portata in un posto più sicuro. –
Ci fu un istante di silenzio, in cui si sentiva chiaramente
il fischiare sinistro del vento.
- Questa storia non ha senso. – La bionda alzò lo sguardo,
incontrando gli occhi grigi di Scott.
- Sono stato io a trovare il tuo corpo, so quello che ho
visto. Ti ho vista morta. Com’è possibile che tu sia qui davanti a noi? –
Raggio di luna fece per rispondere, ma una voce dalla stanza accanto la fermò.
- Non farlo Dawn. Sanno già troppo per il momento. – Nella
stanza irruppe una donna di circa cinquant’anni. Era molto alta, per poco non
toccava il soffitto. Aveva lunghi capelli rossi e due grandi occhi di un verde
quasi trasparente, del tutto privi di sclera.
Occhi da insetto.
- E lei chi sarebbe?! – Chiese allarmato Duncan. Ella lo
guardò dritto negli occhi e un brivido percorse la schiena dell’uomo.
- Sono Dana e sono la vostra unica speranza in questo covo
di pazzi, Guardiani. – Disse, ridendo divertita delle espressioni stupide dei
tre.
Angolo dell'Autrice:
Che
ne pensate? Un altro capitolo super misterioso, mi piace tenervi sulle
spine.... Diciamo che la trama non si è ancora rivelata del
tutto, ma nel prossimo capitolo verrà svelata ogni cosa (non del
tutto, altrimenti Dark Lake finirebbe qui -.-)
Sta per ritornare la tanto temuta scuola, e quindi devo organizzarmi
per le storie. Ci ho pensato molto... e ho deciso di fare così:
Una volta a settimana pubblicherò un capitolo di Dark Lake o di
Together forever e queste saranno le mie storie fisse, cioè che
non mancheranno mai senò in casi MOLTO straordinari. Mi
impegnerò ad aggiornare sempre in orario e di non lasciarvi
senza storie come è successo l'anno scorso. :(
Dopo queste storie, ho in mente di fare il tanto famigerato "balzo nel
vuoto" cioè... Scrivere una storia tutta mia COMPLETAMENTE
originale! Ma non preoccupatevi... Pubblicherò sempre qualcosina
nel fandom di a tutto reality, ho in mente tante altre storie qui.
Per tutti quelli che seguono le mie storie anche con la mia pagina Facebook, ci sono delle novità anche lì:
A partire da domani, pubblicherò sempre tre stati al giorno uno
la mattina (che per adesso arriverà intorno alle dieci
perchè io mi sveglio a tale ora), uno alle tre del pomeriggio
(massimo le quattro) e una prima di addormentarmi (verso le dieci
massimo le undici). Ho intenzione di trasformare la pagina in una spece
di blog, dove farvi sapere un po' della mia scalmanata vita... anche
con qualche fotina :3
Per adesso ho finito gli avvisi, quindi a voi resta solo il compito di
seguirmi e di lasciare a questa storia tante belle recenzioni.
Un bacioe:^.^:
Sammy
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Dark Lake - Capitolo 4
Il suono fastidioso della risata di Dana ronzava nella testa
di Duncan, producendo un orribile eco che aveva come unico effetto quello di
procurargli un mal di testa terribile.
Se avesse continuato ancora per un minuto, le sue mani si sarebbero macchiate
dell'ennesimo reato.
Quello di omicidio.
- Guardiani?!? Che cos'è questa storia? - La domanda di Scott salvò la vita di
quella povera donna.
Ella smise di sghignazzare e guardò seriamente i tre.
- Vi siete mai chiesti il perché della vostra data di nascita? -
Il gruppo guardò molto stranito e allarmato la rossa che represse l'impulso di
ridergli in faccia.
Ella prese dalle mani di Dawn il libro che prima stava consultando e lo porse a
Gwen.
La mora osservò la scritta dorata posta sulla copertina blu notte di quel tomo.
"Storia e leggende del regno di Fara"
- Questo vi servirà per capire meglio la vostra "natura" e questi a
non ritenermi una pazza. - Dana tirò fuori dalla tasca un sacco svuotando il
contenuto nella sua mano.
I tre ragazzi guardarono increduli le pietre preziose che riflettevano la luce
fioca delle candele.
A Duncan brillarono gli occhi a quella visione:
se le avesse vendute ci avrebbe fatto un bel gruzzolo.
- Smettila di fissarle Duncan, non voglio che tu sbavi sul tappeto. - Lo
schermì la donna, facendolo innervosire.
Ella diede ai tre due pietre ciascuno, sotto gli occhi increduli del gruppo.
L'uomo guardò le due pietre che aveva nel palmo della sua mano, mentre una
strana sensazione di calore si spandeva dal palmo della mano a tutto il corpo.
- Vi do due giorni per decidere se crederci o meno, accettando la vostra
missione di guardiani. Per il momento ci possiamo anche salutare. Si è fatto
tardi. -
- Aspetta! Cosa stavi dicevo sulle nostre date di nascita? -
La rossa puntò i suoi occhi in quelli grigi di Scott, che resse il suo sguardo
con un sorriso beffardo.
- Non è un caso che voi abbiate due segni zodiacali, invece che uno... - Disse,
mentre li scaraventava letteralmente fuori da quella casa.
L'ultima frase che aveva pronunciato Dana aveva lasciato un altro grande punto
interrogativo nella mente di Duncan e degli altri due.
"Cosa voleva dire che avevamo due segni zodiacali?"
***
Appena la donna chiuse la porta d'ingresso, al centro del cerchio di candele si
aprì un piccolo portale che brillava di una luce blu - perlacea.
Una voce femminile uscì da quella specie di specchio gommoso.
- Novità sui guardiani? -
Dana e Dawn fecero una grande riverenza, prima di parlare.
- Si mia signora. Abbiamo avvicinato tre dei cinque guardiani, e confido
fermamente di riuscire a trovare anche gli altri due rimanenti. -
- Molto bene Lady Dana, hai seguito le mie istruzioni? -
La donna annuì come un cane ammaestrato.
- Gli ho dato il libro e le loro Pietre Guida. È solo questione di tempo, entro
stasera uno di loro conoscerà i suoi poteri. -
- Molto bene, molto bene. Adesso lasciami parlare con mia nuora in privato, per
cortesia. -
La rossa s’inchinò un'altra volta e se ne andò, lasciando Dawn sola con quel
portale.
Esso vibrò e fischiò, assumendo la forma della donna che lo aveva aperto.
La bionda guardò la figura perlacea con un leggero sorriso, ma con una grande
preoccupazione nel cuore.
- Mia regina. - Disse, inchinandosi un'altra volta. La donna la invitò a
rialzarsi con un gesto annoiato della mano.
- So quello che vuoi chiedermi, e tu sai già la mia risposta: mio figlio è
nella regione della terra per fermare una piccola rivolta e vuole che nessuno
lo disturbi... specialmente sua moglie. -
Raggio di luna abbassò lo sguardo triste, cominciando a torturarsi le mani.
- Sai che non m’impiccio della vita privata del mio unico figlio, ma vorrei
sapere perché egli nutre adesso tanto astio nei tuoi confronti. -
La donna alzò lo sguardo e aprì la bocca per dire qualcosa, ma la voce gli morì
in gola.
Come poteva dire alla donna che l'aveva accolta dopo la morte dei suoi genitori
una cosa del genere?
La regina si avvicinò a lei e le accarezzò una guancia.
- L'unica cosa che voglio è che appianate le vostre divergenze. È il vostro
primo litigio da sposati e stai sicura che non sarà l'ultimo. Col tempo
imparerete a preferire la non curanza allo scontro, a meno che la cosa non sia
davvero grave. - La donna donò uno dei suoi rari sorrisi a Dawn, che lo
ricambiò con piacere.
- Ora non pensare a lui, occupati invece dei Guardiani. Prima salva il regno di
Fara, poi farai pace con mio figlio. -
Disse, prima di scomparire in una bolla di sapone color perla.
***
Le stelle osservavano curiose la figura di Gwen imboccare la
salita verso le ville dei Fondatori. La donna era completamente immersa nei
suoi pensieri, il libro datogli da Dana stretto al petto.
Il suo cervello catalogò tutte le poche informazioni che la rossa aveva detto,
senza però trovarne il senso.
L'unica cosa che poteva mettere luce anche su un quarto della faccenda, era il
contenuto che quella copertina blu notte custodiva gelosamente.
Alzo gli occhi al cielo esasperata, reprimendo l'impulso di urlare.
Odiava essere all'oscuro di tutto, non lo sopportava minimamente. Percorse a
grandi passi i pochi metri che la separavano dalla sua casa ma, appena i suoi
piedi toccarono il portico, le gambe s’immobilizzarono. Non aveva più
sensibilità dalla vita in giù e uno strano terrore cominciò a scorgliergli
nelle vene.
cercò in tutti i modi di liberare le gambe da quel tremendo torpore, senza però
riuscirci.
All'improvviso, quattro note furono suonate da un flauto. La mora si girò per
capire da dove provenisse il suono, fallendo.
Quella piccola melodia fu ripetuta tre volte, prima che il silenzio si
riappropriasse della notte.
Quello che però accadde dopo, ebbe dell'incredibile. Gwen si girò verso il lato
ovest del quartiere, quasi casualmente, trovandosi davanti ad una robusta ombra
informe. Non era umana e sembrava che avesse servito chissà quale essere
demoniaco, in passato. Esso le ghignò strafottente e cominciò ad avanzare verso
di lei. La donna cerco ancora una volta di scappare da lì, ma le sue gambe non
rispondevano. Quando ormai sembrava tutto perduto, una voce familiare le arrivò
alle orecchie, una voce che non sentiva da anni.
"Lascia che il tuo potere scorra, fidati di me." Gwen era molto
scioccata: come poteva Evelyne averle suggerito una cosa del genere se lei era
morta?
"Fidati di me." Ripeté la voce. Gwen sospirò e chiuse gli occhi,
concentrandosi. Stranamente le venne in mente l'immagine di un fulmine che
squarcia il cielo durante un temporale, la sua luce accecante, la sua velocità,
la sua incredibile potenza letale.
Le sembrò quasi di avere tra le mani proprio tale forza...
Aprì gli occhi di scatto, non appena quella sensazione divenne incredibilmente
reale.
Guardò incredula le sue mani circondate da un nuvolo di lampi. Essi saettavano
frenetici tra le dita, in un’attesa quasi febbricitante di eseguire degli
ordini. Ella guardò l'ombra che intanto era vicinissima a lei e, senza pensarci
un secondo di più, lanciò quelle saette verso il suo aggressore. La creatura
ringhiò furiosa dimenandosi nel vano tentativo di liberarsi dai fulmini ma,
dopo un minuto di agonia, si disintegrò in un cumulo di polvere nera nel vento.
Solo dopo che risentì quelle quattro note, Gwen riuscì di nuovo a muovere le
gambe. Fece però un solo passo in avanti prima di sentirsi malissimo. Gli
girava terribilmente la testa e sembrava che tutte le sue energie vitali
fossero svanite del tutto. Fece pochi e incerti passi verso la casa di fianco
alla sua, nella disperata ricerca d'aiuto. Tremante e sempre più debole, la
donna si accasciò sul portico, appena dopo aver suonato il campanello. Prima di
chiudere gli occhi e perdere i sensi la mora vide una figura sfocata, immobile
davanti a sé.
***
- Come sta? – Chiese Duncan, prendendo la tazza di caffè
offertagli da Scott.
- Ha solo un forte mal di testa, ma domani starà meglio. –
Si limitò a dire, osservando attentamente la macchina del caffè.
Il moro bevve in silenzio, cercando di capire quel poco che
Gwen era riuscito a dirle, prima di accusare una fitta di mal di testa.
Non pensava che l’amica avesse immaginato tutto, perché
anche il rosso aveva visto parte della scena.
Si chiedeva invece cosa fare in quel momento, se andare da
Dana e Dawn o no.
L’unica cosa che sapeva per certo, era che doveva saperne di
più su quella storia. Gwen entrò barcollante nella cucina, richiedendo un po’
di caffè. Duncan gli offrì la sua tazza e la fece sedere al tavolo.
- Non guardatemi come una malata in punto di morte, sto
sempre meglio di voi ricordatevelo. – Disse lei, sorseggiando il caffè.
- E adesso che si fa? – La domanda di Scott spezzò il
silenzio che si era andato a creare tra di loro.
Duncan si accese una sigaretta e aspirò lentamente, dandosi
il tempo di pensare alla risposta da dare a quella domanda.
- Per il momento aspettiamo che Gwen si senta meglio. Nel
frattempo tu Scott, fai delle ricerche sui segni zodiacali e sulle pietre che
ci ha dato Dana. –
- E tu che farai? Starai qui a fumare? – Mormorò la donna,
addentando una mela presa dal cesto di frutta davanti a lei.
L’uomo mostrò alla mora il tomo che lei aveva con sé la
notte scorsa.
- Comincerò col leggere questo. – Concluse lui, regalandole
un sorriso sghembo.
La mattinata passò abbastanza tranquilla. Duncan lasciò Gwen
da Scott, nonostante la donna continuasse a lamentarsi del fatto che non aveva
bisogno di una balia.
I due però non l’ascoltarono, come d’altronde facevano
sempre da bambini. Il moro aspettò che l’amica si calmasse, prima di andarsene.
Camminò per le strade della città, le mani nelle tasche che
giocherellavano con le due pietre preziose. Dopo aver svoltato a destra, entrò
nel piccolo parco che si trovava al centro di Dark Lake, proprio davanti al
municipio.
Si sedette su una panchina isolata, lontano dagli schiamazzi
dei bambini. Tirò fuori dalla borsa il libro e cominciò a sfogliarlo.
All’interno c’erano solo noiosi avvenimenti storici di un regno a lui
sconosciuto, che però non erano collegati a quello che stava accadendo in
città. Dopo aver sfogliato quasi mezzo libro, un titolo particolare attirò
l’attenzione di Duncan.
"La dea-regina Edea,
la nascita dei Guardiani e il regno del principe sopravvissuto."
- Bingo. – Sussurrò l’uomo, ghignando soddisfatto.
Angolo dell'Autrice:
Mi scuso!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Lo so che avete aspettato tanto (anche troppo) per leggere questo
capitolo, ma la scuola mi uccide. Non oso pensare come sarà a
Gennaio T.T
Comunque sia, è apparso un nuovo personaggio, un misterioso regno e Gwen che lancia fulmini.
Tanti misteri, ma sembra che presto si scoprirà la storia di questi Guardiani.
Sapete sono impiaziente anch'io di scrivere il prossimo capitolo (non vi farò aspettare molto come questo, promesso).
Per quanto riguarda la fanfiction che dovrà sostituire Toghether
Forever, be' arriverà. Non so se presto o tardi ma
arriverà.
Vi do un solo indizio "Erpess"
Molti di voi l'avranno già capito xD
Come sempre vi ricordo di mettere un bel mi piace alla pagina facebbok
della vostra autrice preferita :D (un mi piace e mi renderete felice)
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Dark Lake - Capitolo 5
"Edea
era la principessa del regno di Fara e insieme alla sua gemella giocavano
spensierate per i giardini del castello, portando una gioia immensa a chiunque
le guardasse.
Al
compimento dei loro 25 anni, il re dovette decidere chi tra le sue amate
figlie, sarebbe salita al trono. Tutti i nobili erano convinti che sarebbe
salita Irina, ritenuta più adatta al potere della gemella. Con la sorpresa di
tutti però, il re scelse Edea. Dopo la sorpresa iniziale e qualche protesta da
parte di tutti, Edea fu incoronata regina. Irina era furiosa: non accettava la
scelta del padre e, piena di rancore e odio verso la sorella, lasciò il regno
di Fara e si rifugiò sulla Terra. Passarono anni, in cui il regno prosperò
senza fine. La regina Edea regnava saggiamente, sorretta da suo marito e dai
suoi figli. Un giorno però Irina ritornò nel regno, fingendo di voler riavvicinarsi
alla gemella. Ma ben altre erano le sue intenzioni. Negli anni che aveva
passato sulla Terra, aveva imparato a confluire tutte le sue energie nella
magia nera e aveva in mente un piano a dir poco demoniaco. Lanciò una
maledizione sulla famiglia reale e, dopo un paio di giorni dal suo arrivo, il
re morì per una strana e mortale malattia. Uno dopo l'altro, Edea vide la morte
di suo marito e dei suoi figli. Solo quando rimasero lei e il suo ultimogenito,
la strega Irina uscì allo scoperto. Essa attaccò il regno con una creatura
mostruosa, forgiata dai corpi della famiglia reale. La battaglia contro la
creatura fu cruenta e breve. Edea fu spodestata e Irina s’incoronò unica e
legittima sovrana del regno di Fara. La regina caduta e suo figlio si nascosero
sulla Terra, decisi a trovare un modo per sconfiggere la creatura. Yllissa, dea
della vita, corse in suo aiuto. Le diede il compito di riunire sei mortali,
nati avendo la protezione di due custodi zodiacali, invece che uno. Edea riuscì
a trovarli e li allenò per combattere contro la creatura. Yllissa donò
l'opportunità di scegliere il loro potere per sconfiggere Irina e la creatura.
Perceval scelse il fuoco, Elisabeth scelse l'aria, Oleg scelse la terra, e
Belle scelse l'acqua. Anabel scelse di rappresentare la luce del fulmine, in
modo da distruggere il buio e il male che aveva conquistato Fara. Greg ci pensò
su e prese la sua decisione. Scelse il buio e l'assordante rumore del tuono che
prende il posto del fulmine, ritenendo che senza il buio la luce non può
prevalere sul male. Dopo un iniziale smarrimento per le parole di Greg, Yllissa
gli aprì un portale per il regno di Fara e gli augurò buona fortuna. Sentendo
l'odore di Edea e di suo figlio la creatura e Irina attraversarono il portale,
sicuri di avere la vittoria in pugno. Dopo una lunga lotta i Guardiani
sconfissero la creatura. Essa fu imprigionata in una prigione nata da un
cratere spento, colmo d'acqua, circondato dalla foresta e colpito dal vento. Fu
incatenata con catene di luce e buio e costretta a divorare il cadavere della
sua signora. L'anima di Irina fu spezzata in migliaia di frammenti dispersi
sulla Terra, in modo da non ricongiungersi mai. Edea incastonò nella sua
collana un pezzo dell'anima della gemella e, assieme ai Guardiani, ritornò a
Fara. La regina incoronò suo figlio alla giovane età di diciassette anni, per
poi chiudersi nelle sue stanze, affranta dal dolore per aver perso quasi tutta
la sua famiglia e la sua amata gemella. Dopo una settimana di solitudine, la
dama che le portava da mangiare trovò il suo cadavere con viso rigato di
lacrime. La dea Yllissa volle al suo fianco la saggezza di Edea, elevandola a
dea-regina. I Guardiani furono incaricati di addestrare i loro futuri
successori, nell'evenienza di un ritorno della creatura. Il regno di Fara
risorse dalle sue ceneri, ricostruendo quello che era andato distrutto e
riportandolo al suo originale splendore grazie al lungo regno di Alucard, il
principe sopravvissuto."
Duncan chiuse
immediatamente il libro, boccheggiando in cerca d'aria.
Quella storia la
conosceva.
Gliela raccontava
sempre sua madre come favola della buonanotte. Che sua madre conoscesse quel
fantomatico "regno di Fara"?
Quella era una
teoria impossibile, ma il suo istinto gli diceva che sua madre era molto più
coinvolta di quanto pensasse.
Se quella storia era
vera, lui era uno dei Guardiani nati con due segni zodiacali invece che uno.
Non credeva a delle stupidaggini quali lo zodiaco e l'oroscopo, ma una cosa
doveva ammetterla:
la favola di sua
madre,
la ricomparsa di
Dawn,
Gwen che spara
fulmini,
le loro strane date
di nascita...
Quelle erano tutte
delle coincidenze legate a quella leggenda.
Abbastanza da fare
una bella visitina alla casa della Strega.
- Non ti facevo un
tipo colto... - L'uomo alzò lo sguardo, incrociando i suoi pozzi acquamarina
con due smeraldini.
- Non eri in giro
per il paese a fare la rock star? Che ci fai qui Trent? - L'uomo dalla folta
chioma nera e i luminosi occhi verdi era Trent, l'Elvis dei poveri come lo
sbeffeggiata lui.
Egli si sedette
accanto a lui. Duncan ripose svelto il libro dentro la borsa.
- Ho tre mesi di
vacanza e quindi sono corso qui. Tu invece, non avevi giurato di non mettere
più piede in questa città o sbaglio? - Disse il chitarrista, come se stesse
parlando con un caro amico.
Loro due invece non
erano "cari amici".
- Hanno chiesto il
mio aiuto... - Fu la vaga risposta del moro, già infastidito dalla strana
cordialità nei suoi confronti.
I due non erano mai
stati amici. Quando Trent si fidanzò con Gwen, poiché sembrava essere molto
preso dalla ragazza, Duncan lo accettò proprio come un padre farebbe col
fidanzato della figlia. Dopo però circa dieci anni di fidanzamento, i due si
lasciarono e Trent cominciò a girare per il paese con la sua musica, diventando
rapidamente molto famoso. La notte in cui Duncan fu arrestato, i due s’incrociarono
per strada e per poco non si evitò la rissa. L'uomo non accettava che egli
avesse abbandonato così Gwen, quando per colpa sua lei non era fuggita con lui
quattordici anni fa.
Il moro scosse la
testa, scacciando quel ricordo e rinchiudendolo di nuovo in fondo alla sua
mente.
- Puoi anche
smetterla di fare l'amico con me, fingere non serve a niente. - Sibilò il moro,
senza neanche guardare negli occhi l'altro.
- Ti ho già spiegato
che è stata lei a lasciarmi. Non sono stata io a "abbandonarla" -
Mormorò Trent, sospirando pesantemente di fronte alla freddezza di quell'uomo.
- Ti ricordavo più
simpatico... -
Duncan si alzò,
prese velocemente una sigaretta dal suo pacchetto e tanto velocemente se
l'accese.
- Il carcere cambia
le persone, in bene e in male. - Concluse lapidario, avviandosi verso l'uscita
del parco.
- Duncan. -
L'uomo si girò
lievemente, guardando di sottecchi l'altro.
- Grazie per averla
difesa, quella notte. -
Egli sgranò gli
occhi incredulo.
- La conosci? -
- È la mia
batterista. È come una sorella per me... -
Una domanda nacque
spontanea nella mente di Duncan che, stranamente, non trovò tante difficoltà a
uscire.
- Lei è qui? -
Gli attimi che
precedettero la risposta di Trent furono carichi di tensione e il moro si stupì
della velocità con cui la sua mente ripercorse gli avvenimenti di quella notte,
fino a quando la risposta non arrivò al suo orecchio.
- Si. - Sussurrò il
chitarrista, come se avesse paura di essere sentito. Duncan stette una manciata
di secondi immobile, la sigaretta abbandonata all'angolo della bocca che
disperdeva cenere sul prato. Poi si riscosse e, senza neanche salutare, corse
via.
Aspirò velocemente
la sigaretta e affrettò il passo.
Aveva molte cose da
fare.
***
- E tu credi a tutte
le cretinate scritte qui dentro? È ovvio che è un tranello! -
La risata di Scott
riecheggiò nel Moonlight.
Gwen era intenta a
sfogliare il libro e Duncan si stava fumando l'ennesima sigaretta di quel giorno.
- Quella storia me
la raccontava mia madre quando ero piccolo per farmi addormentare. Non può
essere una semplice coincidenza. - Disse il moro, spegnendo il mozzicone nel
posacenere al suo fianco.
- Be' vuol dire che
tua madre era pazza quanto loro... -
Scott era famoso nel
dire la cosa sbagliata al momento sbagliato, e quella era una di queste.
Duncan si alzò di
scatto, con la mano destra prese il collo dell'altro e con l'altra accese il
suo accendino e lo avvicinò pericolosamente alla pelle del rosso.
- Prova a dirlo
un'altra volta e ti carbonizzo. - Minacciò lui, avvicinando ancora di più la
fiamma alla sua pelle. La Iena ghignò, si liberò facilmente e appoggiò senza
esitazioni la pelle della sua mano sulla fiamma. Rimase in quella posizione per
due minuti, impassibile e senza accusare il minimo dolore del fuoco che stava
sicuramente bruciando la sua pelle. Ghignò un'altra volta e alzò la mano,
mostrando il palmo ai due che rimasero sconvolti da quello che videro.
Nessuna bruciatura,
come se il fuoco non l'avesse minimamente toccato.
- Io non mi brucio,
ricordatelo. - Fu l'unica cosa che disse, prima di prendere il suo boccale di
birra e berne un generoso sorso.
- Da quando sei
totalmente ignifugo? - Domandò Gwen, nascondendo in un tono neutro la sua espressione
incredula di fronte a quell'uomo.
- Da piccolo mi
divertivo a dormire nel camino. Credo di aver fatto prendere più di un infarto
a mio padre... - Vagheggiò lui, sorridendo maligno nel ricordare la faccia
spaventata dei suoi genitori nel vederlo tra le fiamme e la cenere ardente.
Dopo un iniziale
silenzio, fu Duncan a parlare.
- Ti rendi conto che
questo vuol dire che la storia dei Guardiani non è tutta una palla? -
Il moro come
risposta ricevette uno sbuffo da parte del rosso. Egli sospirò pesantemente e
si accese un'altra sigaretta, rassegnandosi al fatto che quel ragazzo era
testardo più di un mulo.
- Hai fatto la
ricerca che ti ho chiesto? - Chiese a un certo punto, espirando una colonnina
di fumo.
Al posto di Scott
rispose Gwen.
- Scott si è arreso
dopo il terzo sito di veggenti e cartomanti, quindi sono intervenuta io. Ho
dovuto scartare un sacco di siti inutili, prima di trovare questo. - Disse,
sbattendo sul tavolo un foglio dove faceva bella mostra di sé la pagina di un
sito web.
- In pratica ogni
segno zodiacale è legato a una pietra precisa, e tra queste ci sono quelle che
ci ha dato Dana. C'è anche dell'altro... - La donna alzò gli occhi verso i due,
controllando di avere la loro completa attenzione.
- Essi sono divisi
in segni di acqua, d'aria, di fuoco e di terra; il che spiega il collegamento
con i poteri dei Guardiani. Per quanto riguarda le nostre date di nascita, Dana
ha regione. - Sospirò e girò il foglio, dove erano trascritte delle date ben
precise.
- Ci sono due giorni
ogni mese in cui i segni zodiacali "si danno il cambio" in parole
povere. Noi, per nostra fortuna o sfortuna, siamo nati proprio la mezzanotte di
questi due giorni... -
- E quindi? -
Mormorò il rosso, incitandola ad andare avanti.
- Quindi, secondo
questa teoria, abbiamo due segni zodiacali, a differenza di uno. -
- Il che ci fa
diventare i Guardiani di cui si parla in quel libro. - Terminò Duncan indicando
con il capo il tomo abbandonato sul tavolo.
Gwen accavallò
elegantemente le gambe.
- Pare proprio di sì.
-
Il silenzio
abbracciò i tre, mentre la gente agli altri tavoli chiacchierava allegramente.
Duncan prese dalla
tasca le due pietre e si perse a osservarle.
Erano entrambe di
forma quadrata. La prima era evidentemente un rubino, data la sua brillantezza
e il forte colore rosso; la seconda non era brillante come la prima, ma in
compenso aveva un bel color verde. Stranamente, guardando quelle pietre,
sentiva come se avesse ritrovato qualcosa perso molti anni fa, ma non sapeva
spiegarsi il perché provasse tale sensazione.
- Quella è la giada.
- Il moro alzò lo sguardo verso la donna, che intanto stava indicando la pietra
color verde.
- A casa ho una
statuetta asiatica di quella pietra. - Spiegò lei.
- Allora che si fa
domani? - Chiese Scott poco dopo, mentre chiamava Owen per pagare il conto.
- Andremo a chiedere
spiegazioni, fatevi trovare pronti per l'alba. Nessuno deve vederci. - Disse
l'uomo, coprendosi il viso col cappuccio e, dopo aver pagato la sua
ordinazione, uscì dal locale.
***
Seduto su una
panchina della piazza, il cappuccio a nascondergli il volto e la sigaretta in
bocca, Duncan pensava.
Per la precisione la
sua mente viaggiava tra i ricordi, mentre lui la lasciava fare, apatico.
Davanti agli occhi,
all'improvviso, apparve un ricordo che, anche a molti anni di distanza,
lasciava l'amaro in bocca.
*Inizio Flashback*
Camminava per i
vicoli di quel quartiere. L'avevano cacciato da un pub per aver ingaggiato una
rissa. Si asciugò il sangue che gli colava dall'angolo della bocca e svoltò
velocemente a sinistra, verso un vicolo stretto.
All'improvviso sentì
delle voci e una ragazza si scontrò con lui.
- Guarda dove vai! -
Sbottò irritato lui, ma la ragazza si aggrappò forsennatamente al suo giubbino.
- Ti prego,
aiutami... - Biascicò la ragazza, guardandolo dritto negli occhi.
Solo in quel momento
Duncan si accorse del suo sguardo impaurito, del suo tremare in modo convulso e
del gruppo di ragazzi ubriachi dietro di lei.
Erano in quattro e
anche a molta distanza il suo naso captò l'inconfondibile odore di alcool e
canne.
- Ehi bello, vuoi
divertirti anche tu con lei? - Cominciò uno del gruppo, forse il capo.
- Mi dispiace ma
siamo arrivati prima noi. Tranquillo, te ne lasceremo un pezzetto. - Quella
frase bastò a far ribollire il sangue al moro. Guardò un'altra volta la
ragazza: aveva lunghi capelli castani e due occhi color nocciola, ora liquidi
dalla paura e dalle lacrime. Essi urlavano ininterrottamente aiuto. Di solito
era il tipo che faceva l'eroe aiutando chiunque glielo chiedesse. Si faceva i
fatti suoi e basta. Ma davanti a quegli occhi che lo imploravano, davanti a
quelle richieste d'aiuto sussurrate con un fil di voce, Duncan decise di
intervenire.
- Sono arrivati a...
Insomma... - Le sussurrò lui all'orecchio. In risposta ella scosse il capo,
ancora tremando. Egli si parò davanti a lei, come a proteggerla col suo colpo.
- Qui vicino c'è un
pub. Gira l'angolo e vai sempre dritta e lo trovi. Corri e chiama la polizia. -
Disse il moro e, appena finì la frase, la ragazza si calmò e scattò nella
direzione indicatagli. Egli si lanciò immediatamente verso il più piccolo del
gruppo e, con una forte testata, lo mandò facilmente a tappeto. Si girò verso
gli altri, in tempo per ricevere un gancio destro da uno dei tre. Duncan
vacillò e si accasciò su due bidoni della spazzatura. Tutti e tre si
avventarono su di lui ma il moro li riuscì a schivare, afferrando il coperchio
di uno dei bidoni. Facilmente riuscì a stordire due di loro con il coperchio,
rimanendo solo di fronte al capo del gruppo. L'altro ghignò, tirando fuori
dalla tasca un piccolo pugnale. Se lo passò da una mano all'altra, sorridendo
sadico mentre Duncan si preparava al colpo con il suo "scudo". Il
ragazzo lo colpì al braccio, graffiandolo di striscio, ma abbastanza da farlo
distrarre e abbassargli lo scudo.
Il moro, con una
velocità impressionante, riuscì a schivare con lo scudo un colpo diretto al suo
stomaco. Colpendo il ragazzo con lo scudo, riuscì ad atterrarlo. Subito gli
saltò addosso, nel tentativo di sottrargli l'arma. Nella lotta però, accadde
l'impensabile. Il pugnale colpì il suo proprietario al fianco, creando una
grossa chiazza color vermiglio. L'uomo ebbe appena il tempo di gettare via il
pugnale e cercare di fermare l'emorragia, prima di sentire le sirene della
polizia.
*Fine Flashback*
Prima di
quell'episodio era già stato in carcere, ma per un reato mediocre come quello
di rapina a mano armata. Dopo quella sera però, anche se aveva ingaggiato
quella rissa per proteggere una ragazza dall'essere violentata, fu accusato di
tentato omicidio.
Rimase in prigione,
in attesa della sentenza e nella vaga speranza che il ragazzo accoltellato si
risvegliasse dal coma in cui si trovava.
Alla vigilia del
processo, il ragazzo si svegliò miracolosamente, e Duncan scampò per un pelo
alla sedia elettrica.
Durante tutta la sua
"permanenza" in carcere, l'unica persona che gli faceva visita tutti
i giorni era quella ragazza. Lo paragonava sempre a un eroe, la persona che
l'aveva salvata e non la smetteva mai di ringraziarlo.
Lui non si sentiva
un eroe, piuttosto un criminale che si ficcava sempre nei guai, che sia in buona
fede o meno. Nonostante tutti quegli elogi, cominciò a cambiare.
Forse in bene o forse in male, chi lo sa.
L'urlo che squarciò
il silenzio di quella notte risvegliò Duncan dai suoi pensieri.
Egli senza pensarci corso
verso quell'urlo. Più si avvicinava al luogo da cui proveniva il suono, sentiva
anche dei ringhi. Come se ci fosse una belva nascosta.
Dopo aver brancolato
nel buio per qualche metro, il moro trovò qui aveva urlato.
Vicino al suo corpo
c'era un cane dall'aspetto orribile.
Era completamente
scheletrico, la sua pelle color marrone aderiva in modo perfetto alle sue ossa.
Il suo muso mancava di pelle ed era completamente circondato dalle fiamme.
La creatura puntò le
sue pupille vuote su Duncan, prima di scappare per i tetti con un potente
balzo.
Dopo lo stupore
iniziale, il moro si avvicinò lentamente, volendo riconoscere il cadavere.
Il corpo era
traviato da profondi graffi e morsi, da cui fuoriusciva senza sosta sangue.
L'uomo incrociò i
suoi occhi con quelli spalancati della vittima, riconoscendo due occhi color
smeraldo.
- Trent? Merda! -
Sibilò sconvolto, sentendo in lontananza la sirena dello sceriffo.
Angolo dell'Autrice:
Dopo un mese e anche più di assenza, sono riuscita ad aggiornare.
Chi mi segue fin dall'inizio, sa che se mi assento per molto è per colpa di una sola cosa:
la scuola -.-
Credo
che quest'anno sarà sempre così, ma credo che per voi non
ci saranno molti problemi se aspettate un po' di più no? ;)
Piccole precisazioni sul capitolo:
1)Ovviamente
la ragazza di cui parlano Trent e Duncan all'inizio è la stessa
che il nostro punk ha salvato da quei malintenzionati e per cui si
è scontato una condanna per tentato omicidio.
2)Ignifugo, per chi non lo sapesse, significa resistente al fuoco.
3)Non
ho scritto quanto di preciso Duncan è stato in carcere
perché non ho avuto tempo di aggiornarmi adeguatamente su questo
argomento, ma nei prossimi capitoli inserirò questo piccolo
dettaglio.
Per il resto credo di avervi chiarito un po' le idee su questa storia dei Guardiani.
L'idea dei due segni zodiacali mi è venuta quando ho fatto una
piccola ricerca sul mio conto: molti siti web dicevano che il segno
dell'Acquario iniziasse il 21 Gennaio (giorno della mia nascita) ma
altri affermavano che quella stessa data era sotto il segno del
Capricorno. Non sapendo a chi dare, ho fatto di testa mia! Quindi
adesso ho due segni zodiacali. Subito dopo questa scoperta, la mia
mente ha partorito Dark Lake. Ovviamente all'inizio solo un abbozzo.
Adesso vi lascio con queste immagini delle pietre di Duncan e del "cane mostro" incontrato alla fine.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Dark Lake - Capitolo 6
Nero come il buio
che abbracciava quel vicolo.
Rosso come il sangue
di quel corpo dilaniato dai morsi.
Verde come gli occhi
vitrei di Trent, sbarrati a fissare Duncan. L'uomo reggeva quel gelido sguardo,
mentre la paura cominciò a serpeggiargli dentro. La sentiva entrare con il suo
respiro, spingersi prepotente nella sua gola e arrivare al cuore per poi
artigliarlo con le sue affilate unghie.
Egli si avvicinò
tremando al corpo, sperando di sentire ancora il battito cardiaco.
Niente.
Trent era morto.
Egli si passò una
mano tra i capelli, sentendo l'aria nei polmoni farsi tossica. Era come
ritrovarsi in un orrendo Deja-vù e il moro già sentiva l'odore delle sbarre e
della sedia elettrica. Si alzò tremante e si appoggiò al freddo muro del vicolo,
boccheggiando alla ricerca d'aria. All'improvviso sentì la famigliare sirena
dello sceriffo e questo bastò a farlo tremare da capo a piedi. C'era un motivo
per cui era così terrorizzato da quella situazione: non avrebbero mai creduto
alla sua versione dei fatti e l'avrebbero sbattuto in carcere per i suoi
precedenti con Trent e con l'accusa di omicidio. Con quel’accusa la pena di
morte era assicurata. Si tirò il cappuccio sulla testa e corse via per i vicoli
tra le case. Per fortuna nessuno sapeva che era arrivato in città, e quindi
nessuno poteva accusarlo del delitto. Adesso doveva soltanto allontanarsi il
più possibile da lì e ritornare a casa di Geoff e Brigette. Dopo aver evitato
per un pelo uno scontro con un secchio della spazzatura, alle orecchie
dell'uomo giunsero un urlo e un terribile ringhio. Non aspettò di sentire altri
rumori e corse velocemente dove sembrava provenissero quei suoni. Si ritrovò
sulla strada che portava alla foresta e ai sei Castelli. Davanti a lui, una
coppia di giovani aveva avuto la sfortuna d'imbattersi nel cane-demone. Il
ragazzo era davanti alla ragazza, nel tentativo di proteggerla. Egli era
immobile, lo sguardo fisso su quella creatura che sbavava e ringhiava a pochi
metri da lui. Duncan non ebbe neanche il tempo di fare un passo che accadde
qualcosa d’incredibile. All'improvviso, dall'asfalto, delle grosse ma
flessibili radici spuntarono e attaccarono il cane. La creatura resistette
soltanto pochi minuti, poi le grosse radici lo avvolsero in un abbraccio
mortale. Lo stritolarono tanto forte da soffocarlo e ucciderlo nel giro di un
minuto. Duncan guardò quella scena incredulo, poi il suo sguardo si soffermò
sul ragazzo. Egli aveva ancora lo sguardo fisso sulla creatura, non batteva
ciglio su quello che stava succedendo. Sembrava che quelle radici, le stava
controllando lui. A quel pensiero, l'uomo sgranò gli occhi ai limiti
dell’impossibile.
Quel ragazzo era uno
dei Guardiani!
Appena le radici se
ne andarono lasciando sull'asfalto il corpo senza vita di quella creatura, il
ragazzo cadde a terra svenuto.
Il moro corse verso
i due e lo prese in spalla.
- Il tuo fidanzato
ti ha difeso molto bene. Ora dobbiamo solo portarlo a casa... - Disse l'uomo
alla ragazza, che tremava ancora di paura. Dopo dei minuti d'esitazione, lei
accompagnò Duncan verso uno dei sei Castelli, quello della famiglia Douglas.
Entrarono e l’uomo
adagiò il ragazzo sul divano. Osservandolo bene, dei vaghi ricordi dei tempi
della scuola riaffiorarono. Era Mike Douglas, il ragazzo strano che aveva un
certo problema di personalità multiple. Non era cambiato molto dall’ultima
volta che lo aveva visto: aveva gli stessi capelli neri sparati in alto, in una
chiara sfida contro la forza di gravità. Sul volto però si intravedeva il
contorno di un po’ di barba che stava crescendo, probabilmente rasata un paio
di giorni prima. Il fisico del ragazzo era leggermente cambiato, poiché il
moretto negli anni si era pompato un po’ i muscoli delle braccia e delle
spalle, rendendo così la sua figura non più simile ad uno stuzzicadenti, ma a
quella di un giovane uomo.
Ancora non riusciva
a credere di avere davanti un altro Guardiano probabilmente legato alla terra,
dato che era riuscito a comandare quelle radici. E con lui erano a cinque
Guardiani, ne mancava ancora uno.
- Vuoi una tazza di
thé? – La vocina della ragazza risvegliò il moro dai suoi pensieri. Egli si
girò e prese volentieri una delle due tazze poggiate sul vassoio che lei aveva
portato dalla cucina. La ragazza si sedette su una delle sedie che circondavano
il tavolo di quel salone. Duncan la raggiunse e si sedette accanto a lei,
mentre anche il nome di quel volto leggermente famigliare compariva dalla
nebbia di pensieri e memorie che era il suo cervello.
Quella ragazza dai
corti capelli di colore rosso accesso era Zoey Campbell, la persona più gentile
e disponibile che Duncan avesse mai incontrato. Non era cambiata affatto da
come se la ricordava, era sparita però l’acconciatura bambinesca che aveva
sempre ed era stata sostituita da un’altra meno appariscente. Immerso nei suoi
pensieri, bevve un grande sorso della bevanda marroncina, cercando di trovare
le parole giuste per spiegare quello che era successo quella notte.
- Hai idea di quello
che è successo a Mike? – Fu Zoey a parlare, distruggendo il silenzio che si era
materializzato intorno a loro. Il moro prese un profondo respiro e raccontò
tutto. Facendo così, correva il rischio di essere preso per pazzo da lei. Ma
dopo tutto l’inferno che aveva visto quella sera, essere preso per pazzo era il
male minore. Raccontò tutta la storia dei Guardiani e della creatura mentre la
ragazza lo ascoltava in silenzio. Quando Duncan finì, il silenzio ritornò
sovrano. La rossa rimase in silenzio per qualche minuto, poi finalmente parlò.
- Credi davvero che
Mike sia coinvolto in questa storia dei Guardiani? –
- Una conferma di
questo ce la può dare solo Dana. – Sussurrò l’uomo. Vedendo lo sguardo confuso
di Zoey, Duncan prese un foglio e una penna appoggiati sul tavolo. Scrisse in
fretta l’indirizzo della casa della Strega e glielo porse.
- Domani al tramonto
a questo indirizzo. Vieni, se vuoi sapere la verità. – E detto questo, si
congedò velocemente.
***
- Trent è stato
attaccato da un sottoposto della Creatura. Sono corso ad aiutarlo ma ormai era
troppo tardi. Gwen, mi dispiace… -
Duncan si trovava
nel salotto di villa Fisher, a dare il triste annuncio della morte di Trent a
Gwen.
Gwen per lui era
l’unica persona che doveva saperlo, prima ancora che in paese si spargesse la
voce.
Trent era morto.
Gli sembrava strano
dire una cosa del genere. Sperava tanto che il chitarrista uscisse il giorno
dopo per strada, annunciando a tutti l’incredibile scherzo che aveva
architettato.
Ma era tutto vero,
invece.
L’uomo si riscosse
dai suoi pensieri e alzò lo sguardo per osservare la mora. Quello che vide gli
spezzò il cuore.
L’unica volta che
aveva visto la donna piangere era stato al funerale di suo fratello, e già
allora a vederla era stato uno strazio per il suo cuore di ferro. Senza
pensarci un attimo di più, si alzò e la strinse tra le sue braccia. Gwen
immerse il viso sulla sua maglia, nel tentativo di fermare i singhiozzi, senza
riuscirci. Duncan la tenne stretta al suo petto, fino a quando la donna non si
addormentò tra le sue braccia. Gwen era ancora molto debole per la
manifestazione dei suoi poteri e il moro sapeva che si sarebbe addormentata.
Egli la prese in braccio e lentamente salì le scale che portavano alla sua
camera da letto. Aprì la porta con il piede e l’adagiò sul letto. Duncan si
perse un attimo a guardarla, mentre la sua mano andava a liberarle il viso da
una ciocca di capelli. La guardò dormire per un altro po’, poi si alzò e si
avviò verso la porta. Fu però fermato da una mano che gli aveva preso la
manica. Si girò e il suo sguardo incrociò quello arrossato della donna. I due
si guardarono negli occhi per un tempo indeterminato. In quei pozzi
d’ossidiana, l’uomo lesse una chiara richiesta. Senza dire una parola, si stese
affianco a lei, stringendola tra le braccia. Al moro sembrava essere ritornato
indietro nel tempo, quando da bambini lui entrava nella sua stanza dalla
finestra e dormivano insieme. Adesso però non era un capriccio fanciullesco,
Gwen aveva perso una persona importante e non voleva restare da sola. E lui non
l’avrebbe lasciata più sola, non più.
- Quella Creatura
dovrà pagarla… - Disse all’improvviso lei, con un tono di voce molto
determinato.
L’uomo la guardò
negli occhi, sicuro che quello che stava per dirgli Gwen non gli sarebbe
piaciuto affatto.
- Combatterò la
Creatura, anche da sola se dovesse succedere. – Quella frase suonò come una
palla di cannone tra loro due. Duncan sospirò, indeciso su cosa dire.
- Io non ti lascio
sola Gwen, non più. – Sussurrò lui dopo un paio di minuti, ricevendo in
risposta un sorriso da parte di lei.
I due si
accoccolarono in quel piccolo letto e, subito dopo, si addormentarono.
***
Eccoli lì, davanti
alla porta della casa della Strega. Il gruppo aveva parlato degli eventi della
notte scorsa e avevano preso la loro decisione: avrebbero affrontato il loro
destino di Guardiani. Duncan e Gwen erano convinti di questa decisione, solo
Scott la riteneva una follia ma ormai era stato già tutto deciso. Se uno di
loro accettava, tutti gli altri dovevano seguirlo.
Entrarono nella casa
e si ritrovarono davanti la stessa scena del loro ultimo incontro con le due
donne. Nella stessa stanza dove i proprietari si suicidarono, al centro di quel
cerchio di candele, Dana e Dawn li aspettavano impazienti. I tre si fermarono
appena fuori dal cerchio, si guardarono negli occhi e in quel momento fu Gwen a
parlare.
- Abbiamo deciso di
combattere la Creatura. Dana, hai i tuoi Guardiani! –
- Molto bene,
ragazzi. Sapevo che avreste fatto la scelta giusta. – Ma proprio mentre Dana
stava uscendo dal cerchio di candele, qualcuno bussò alla porta.
Angolo dell'Autrice:
Sembra
proprio che la sfortuna ci provi gusto a tormentarmi! Non solo la
scuola che mi opprime e la mia inspirazione che mi abbandona sempre, ci
si mette adesso anche la febbre che mi ha fatto stare come un morto dal
31 a ieri.
Oggi per fortuna sto un poco meglio e cosa faccio?
Aggiorno così potete sgridarmi e insultarmi del tremendo ritardo e soprattutto del capitolo iper corto. :D
Questo però è solo un capitolo di passaggio, dato che non
volevo tagliare una scena molto importante che vedrete nel prossimo
capitolo.
Adesso però MESSAGGIO IMPORTANTE:
*Le trombe suonano e Samantha compare in vestaglia color pistacchio e pantofole rose, un completo molto sexy insomma*
Udite, udite miei lettori. Dopo lungo rimuginare nella mia testa ho finalmente deciso di pubblicare sella sezione originali.
La prima storia che pubblicherò (di cui il primo capitolo
è già pronto) è stata scritta a quattro mani con
il mio grande amore (che poi scoprirete anche chi è...).
Le altre storie sono ancora in fase di elaborazione mentale ma presto
le pubblicherò tutte, ovviamente appena ne finirò una ne
comncerò un'altra.
Quello che vi chiedo amici miei è di non perdervi il mio debutto
nelle originali perchè vi voglio con me in questo diciamo "passo
importante"
Ora me ne vado, ho un capitolo nuovo di Dark Lake da iniziare e un sacco di storie da progettare!
Un bacione:^.^:
Sammy
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
Dark Lake - Capitolo 7
- Chi mai può essere? - Chiese Dawn stranita, per poi
sfoggiare un espressione di stupore appena riuscì a leggere l'aura dei tre
Guardiani presenti e sparendo in cucina con la scusa di prendere chissà cosa.
Dana andò borbottando ad aprire la porta e subito dopo
ritornò, con al seguito una ragazza che sorreggeva un ragazzo quasi svenuto.
Con l'aiuto di Gwen, Zoey appoggiò il povero Mike ancora debole su una
poltrona.
- Perché loro sono qui?!? Non vi avevo raccomandato che
questi erano incontri segreti? - Sbraitò Dana, visibilmente furiosa di quella
strana comparsa.
Duncan sghignazzò e questo bastò a catturare l'attenzione
della donna.
- Che hai da ridere? -
- Li ho invitati io qui. - Duncan indicò il ragazzo svenuto
sulla poltrona - Lui è uno dei Guardiani, legato alla terra da quello che ho
visto... - Spiegò lui, osservando i due.
- E lei che c'entra allora?!? - Constatò la rossa, indicando
la povera Zoey.
- Be' qualcuno doveva portarlo qui no? Lo vedi che non
si regge in piedi. - La donna si limitò a guardarlo male e a bestemmiare tra i
denti, mentre Dawn ritornava dalla cucina con una grossa pila di ciotole e di
bottigliette colorate.
Zoey sospirò, si sistemò il fiore tra i capelli e si girò
verso il cerchio di candele, rimanendo pietrificata.
"Non può essere lei, è impossibile!" Pensò la
rossa, guardando Dawn negli occhi.
- Dawn... S-sei tu? - Balbettò leggermente, vedendo la
figura venire verso di lei. Quando furono a poca distanza l'una dall'altra, le
due ragazze si abbracciarono forte, come a non lasciarsi più.
- La mia unica amica... Credevo fossi morta! - Sussurrò la
rossa staccandosi dall'altra.
- E' una lunga storia. - Si limitò a dire la bionda.
- Mike guarda! Dawn è viva, è qui davanti a noi! Non è un
miracolo? - Esclamò entusiasta lei verso il ragazzo. Il moro però non ebbe
neanche il tempo di parlare, che Dana catturò l'attenzione su di sé.
- Mi dispiace interrompere questo bel momento, ma abbiamo
cose più importanti da fare. - La donna entrò nel cerchio di candele, sospirò e
si aggiustò una ciocca dietro l'orecchio, tutto in modo molto nervoso.
"C'è di sicuro qualcosa che non va" Pensò Duncan,
osservando incuriosito la rossa.
- Sapete tutti quello che è successo la scorsa sera. - Il
suo sguardo si posò su Duncan, che trasformò quel ghigno in un'espressione
seria.
- La Creatura ha colpito e, per nostra grande sfortuna, ha
ucciso uno di noi. - A quelle parole, tutti sobbalzarono e fissarono la donna
sbalorditi.
- Vuoi dire che...? -
- Si. Trent era l'ultimo Guardiano mancante. - Mormorò lei,
abbassando sconsolata lo sguardo.
- Senza tutti e sei i Guardiani, la Creatura non può essere
imprigionata nella sua leggendaria prigione. Quindi questo significa solo una
cosa... - La bionda sospirò e guardò negli occhi tutti i presenti, uno per uno,
leggendo in loro i suoi stessi sentimenti.
- Dark Lake e il regno di Fara sono spacciati. - A quelle
parole, Duncan si sentì uno schifo. Lasciare la sua città, seppure la odiasse,
al suo infame destino non era da lui, non era proprio da lui.
- Non c'è un modo per rimediare a questo? - Chiese Scott,
facendo un passo avanti.
- Alla morte non si può rimediare... - Disse lei, voltandosi
verso Dana. All'improvviso, l'illuminazione, la soluzione che stavano cercando.
Sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi e si volse verso i Guardiani.
- Forse una speranza c'è. Se un Guardiano muore prima della
cerimonia, è possibile che i suoi poteri volteggino per la città, alla ricerca
di un erede. -
- Un erede in che senso? - Chiese Gwen, sempre più
incuriosita.
- Qualcuno nato nello stesso giorno e alla stessa ora del
Guardiano deceduto. C'è solo una condizione: l'erede dei poteri deve essere
nato a Dark Lake. - Spiegò Dana, camminando avanti e indietro nel cerchio di
candele.
- Avete già una pista da seguire? - Chiese Mike, sorretto
dalla fidanzata poiché nel pronunciare tale domanda si era alzato in piedi.
Rimase in piedi per poco poi si accasciò pesantemente sulla
poltrona, sentendo le gambe non reggere più il suo peso.
- Questa sera Dawn andrà al municipio e controllerà i
registri delle nascite. Sono sicura che entro domani avremo i nostri candidati,
o perché no, il nostro nuovo Guardiano. - Disse ottimista la donna, cominciando
ad armeggiare con le boccette e le ciotole, ottenendo 12 composti di colori
differenti.
- Passiamo adesso al secondo punto dell'incontro: voi avete
deciso di accettare il vostro destino di Guardiani. Ora, per rendere la vostra
scelta ufficiale e per potenziare voi e i vostri poteri, dovete eseguire la
Cerimonia. Al termine di essa non avrete più problemi con i poteri, come li
hanno avuti Gwen e Mike e potrete attraversare il portale verso il regno di
Fara. Subirete però una trasformazione fisica... Dawn fagli vedere. - La bionda
si avvicinò ai Guardiani e lentamente si alzò le maniche del vestito, scoprendo
solo i polsi.
Quello che videro fu qualcosa di incredibile. Dalle carni
della ragazza, proprio dove di solito si scorgono le ramificazioni bluastre
delle vene, spuntavano due pietre, incastonate come in un gioiello. Sul polso
sinistro si trovava una pietra a forma di goccia di un brillante color lilla,
sul polso dentro Duncan riconobbe la pietra del corallo.
Quella visione era sconcertante per lui. Non voleva neanche
sapere come quelle pietre erano arrivate a incastonarsi nella pelle della ragazza.
Il gruppo protestò apertamente sul non voler prendere parte
ad una simile attività. Queste lamentele però, finirono con infuriare Dana la
quale, dopo aver cercato con tutte le sue forze di mantenere la pazienza,
scoppiò.
- State tutti zitti! Avete deciso di essere Guardiani e non
potete tornare indietro. Quindi smettetela di protestare e affrontare le vostre
responsabilità! - Urlò lei, agitando minacciosa un pugnale dalla lama sottile
ed incredibilmente affilata. Dawn si apprestò a tranquillizzare tutti, evitando
così che quel pugnale fosse usato in una rissa.
- So cosa pensate, ma ascoltatemi per favore. Questa
cerimonia è necessaria altrimenti non sarete in grado di sopravvivere nello
scontro contro la Creatura. Io ho fatto la Cerimonia tanti anni fa e vi
assicuro che è assolutamente indolore, fidatevi di me vi prego. - Dopo le sue
parole il silenzio ritornò a regnare in quella casa. Poi Gwen fece un passo
avanti, ponendosi appena fuori dal cerchio di candele.
- Va bene, facciamolo. -
- Vado io per primo! - Esclamò Duncan, entrando velocemente
nel cerchio di candele, prendendo il posto della ragazza. Dopo aver visto Gwen
così debole e distrutta la notte scorsa il moro, prima di addormentarsi, aveva
giurato a se stesso di proteggerla. In passato se l'era cavata da sola in sua
assenza, doveva ammetterlo, ma lì aveva Trent al suo fianco ad aiutarla a
superare la morte del fratello. Adesso era da sola e lui non poteva più
scappare dalle sue responsabilità. Era un ragionamento stupido e insensato, se
ne rendeva conto, ma non gli importava.
Dana squadrò l'uomo da capo a piedi, poi prese un piccolo
libretto dalla tasca e disse, con voce solenne:
- Dimmi il tuo nome Guardiano. -
- Duncan Brown. - Fu la risposta del moro.
- Dimmi i tuoi custodi zodiacali. - Disse ancora lei.
Duncan ci pensò su, cercando di ricordarsi il suo doppio
segno zodiacale.
- Cancro e Leone. - La donna prese due delle dodici ciotole
e dipinse sui suoi polsi i simboli di tali segni. Poi prese il pugnale e poggiò
la punta sul suo polso sinistro.
- Con questo pugnale e con questi
tagli, accetti il tuo destino... - Ella velocemente premette la punta della lama e percorse lentamente
qualche centimetro della pelle del moro. Egli si divincolò e cercò di
ribellarsi, mentre il cerchio di candele cominciava a fluttuare a mezz'aria. La
donna però fu molto abile e veloce e così Duncan si ritrovò con sue tagli
profondi nei suoi polsi. Da essi però non fuoriusciva neanche una goccia di
sangue e questo insospettì non poco l'uomo.
"Di sicuro quel pugnale e magico o cose del
genere." Pensò lui, mentre Dawn gli fasciava le ferite, non molto strette
però.
- Durante la notte ti cresceranno le pietre e se stringo
rischio che stasera ti facciano molto male. - Spiegò brevemente lei, mentre gli
donava una piccola bocchetta con all'interno un liquido vischioso di color
verde menta.
- Ti servirà per attenuare il dolore questa notte. Usalo
solo quando non riesci più a sopportare il dolore. È un medicinale molto forte
e spesso è usato come droga. - Concluse lei, uscendo definitivamente dal
cerchio.
Dana recitò una formula dal linguaggio incomprensibile, poi
chiuse il libretto e alzò le mani al cielo, facendo così alzare fino al
soffitto le fiamme delle candele.
- Per la grande Yllissa e la grandiosa regina delle regine
Edea, io ti nomino ufficialmente Guardiano del regno di Fara. - La rossa
abbassò le braccia di scatto e le fiamme si spensero all'improvviso, mentre le
candele ritornarono sul pavimento. Duncan si alzò e uscì dal cerchio di
candele, mentre Gwen vi entrava prendendo il suo posto. Egli guardò la
fasciatura ai polsi e si chiese come avrebbe fatto a nascondere quei segni, una
volta comparse le pietre. Assistette in silenzio alla Cerimonia di Gwen e Mike,
mentre la luna si levava alta in cielo.
Quando fu il turno di Scott, Dana chiuse il libro e fermò il
rosso dall'avanzare anche di un solo passo.
- Ehi! Che ti prende?!? -
La donna non rispose subito, probabilmente era occupata a
cercare un motivo per non uccidere l'uomo davanti a lei.
- I tuoi compagni che hanno fatto la Cerimonia non possono
usare i loro poteri, almeno per stanotte. Ho bisogno di minimo due Guardiani
nel caso la Creatura ritorni a sguinzagliare qualche suo schiavetto. Per oggi
abbiamo finito, ci incontreremo quando avremo trovato l'erede. Fino a quel
momento, occhi aperti. - Detto questo la rossa accompagnò il gruppo
all'ingresso.
***
Scott bestemmiò ad alta voce, mentre scendeva velocemente le
scale per andare ad aprire. Chi era il cretino che aveva avuto la geniale idea
di bussare alla sua porta alle tre di notte?
Aprì di scatto la porta, trovandosi davanti l'esile figura
di Dawn.
- Che ci fai tu qui? - Le chiese scortese, nascondendo la
sua sorpresa nel vedersela davanti.
- Mi aiuteresti ad entrare nel municipio? Devo prendere i
registri delle nascite che ci servono. - Disse lei in tono calmo, mostrando le
due torce che aveva nella borsa.
- E perché non lo chiedi a Duncan? Se non ricordo male è più
esperto di me in queste cose... - Sbottò lui per poi chiudere la porta, ma le
sue intenzioni furono fermate dalla bionda, che bloccò la porta con il piede.
- Duncan, come gli altri due Guardiani, ha bisogno del più
completo riposo per stanotte e non possiamo più aspettare. Dobbiamo trovare
velocemente l'erede di Trent o la Creatura lo scoverà prima di noi. - Il silenzio
aleggiò su di loro, finché Scott non sbuffò e disse, alzando gli occhi al
cielo:
- Fammi prendere il giubbino e andiamo. - Dawn gli donò un
piccolo sorriso e, appena l'uomo tornò, si chiuse la porta alle spalle e seguì
la bionda per le vie della città. Arrivarono in fretta nella piazza principale,
trovandosi davanti il municipio. Esso era un edificio dalle pareti
perfettamente bianche e il tetto dalle tegole scure. Era di sicuro la
costruzione più imponente della città che simboleggiava quasi il potere
politico. I due presero un vicolo vicino alla parete destra del municipio
trovando la porta sul retro, riservata al personale.
- Lascia fare a me adesso, fatina. - Mormorò Scott mentre
osservava attentamente la serratura che aveva davanti.
- Hai bisogno di qualcosa? - Gli chiese lei.
- Passami una forcina e siamo apposto. - La donna
provvedette immediatamente a dargli una delle forcine che reggevano la sua
capigliatura alta.
Dopo pochi minuti, la porta si aprì e i due poterono così
continuare. Attraversarono un buio corridoio, per poi sbucare nelle grandi sale
del municipio. Scott riusciva addirittura a specchiarsi su quei pavimenti.
- Allora dove sono questi registri? - Chiese lui,
concentrato ad osservare la lucentezza di un pomello della porta.
- È la porta in fondo, dai muoviamoci sento che la guardia
sta per arrivare. - Percorsero in fretta la distanza che li separava da quella
porta, e altrettanto velocemente, vi entrarono e trovarono centinaia di pile di
registri, moduli e altri documenti vari. Il rosso si guardò in giro come un
bimbo che ha perso la mamma, chiedendosi come avrebbero fatto a trovare il nome
dell'erede tra tutti quei fascicoli.
- Stai tranquillo. C'è un calcolo preciso per trovare i
Guardiani. - La ragazza si avvicinò ad uno scaffale. - L'ultima volta che sono
comparsi erano gli anni 40'. - Ella poggiò l'indice su un fascicolo targato
"1940-1949" - Bisogna contare 40 anni per avere dei nuovi Guardiani.
Quindi dobbiamo cercare qui. - Disse lei, mentre prendeva un fascicolo targato
"1980-1989".
Scott si avvicinò a lei, mentre la bionda apriva il
fascicolo.
- Me ne ero quasi dimenticato che tu sai leggere nel
pensiero... - Mormorò lui, puntandole poi il fascio di luce della torcia sul
viso.
- Non farlo più con me, intesi?-
- Promesso. - Pigolò Dawn, coprendosi gli occhi per
proteggerli dalla luce della torcia. Scott abbassò il fascio di luce e ritornò
a guardarsi intorno. Dawn cominciò a trascrivere sul suo taccuino tutti i
possibili eredi, mentre il rosso faceva la guardia nel caso arrivasse qualcuno.
All'improvviso la bionda si fermò e cominciò frettolosamente
a raccogliere il fascicolo e il taccuino per poi buttarli nella borsa.
- Ma che c..- Scott fu bruscamente interrotto dalla ragazza
che lo spinse con lei sotto uno scaffale, facendogli poi chiudere la torcia.
Subito dopo dei passi affrettati precedettero due custodi,
che entrarono nella stanza lentamente.
- Ti dico che sono entrati qui, giovanotto. Ho visto un uomo
e una donna dirigersi in questa stanza. Saranno di sicuro dei ladri! - Esclamò
il più vecchio dei due, probabilmente prossimo alla pensione.
- Secondo me ti stai sbagliando Elbert. Qui non c'è nessuno.
-
- Ti dico che li ho visti entrare qui! Non mi sono
rimbambito, non ancora! - L'uomo guardò in modo truce il più giovane, che
sospirò pesantemente.
- Va bene, adesso sai che facciamo? Chiudiamo la porta a
chiave così quei due ladri non potranno scappare che te ne pare come idea? - Il
vecchio parve pensarci un po' su ma poi accettò la proposta dell'uomo.
- Io chiudo la porta e tu vai a chiamare la polizia… - E
detto questo i due chiusero a chiave la porta della stanza e corsero via per i
corridoi.
Scott tirò un sospiro di sollievo e corse verso la porta,
per constatare che i custodi fossero abbastanza lontani.
Poi si girò, sentendo qualcosa cadere a terra. Dawn era
davanti a lui che faticava a respirare, i suoi occhi terrorizzati saettavano da
una parte all’altra alla ricerca di chissà che cosa. Egli si avvicinò a lei e
le poggiò una mano sulla spalla, ma lei si ritrasse e cominciò a urlare.
- NO! LASCIAMI! NON VOGLIO RESTARE IN QUESTO LAGO, LIBERAMI!
FATEMI USCIRE, FATEMI USCIRE! – Senza pensarci più di una volta, Scott la prese
per le spalle e cominciò a scuoterla.
- Non sei più in quel lago Dawn, svegliati! – Esclamò lui,
continuando a scuoterla. La bionda allora cominciò a piangere, si liberò dalla
presa del rosso e lo abbracciò. Egli la lasciò fare mentre i suoi sensi di
colpa gli infilzavano l’anima. Passarono dei minuti prima che la ragazza si
calmasse. All’improvviso la torcia di Scott si spense e i due rimasero nel buio
più totale.
- Questa non ci voleva… anche la mia non funziona. – Disse
lei, cercando di far accendere la sua torcia, che probabilmente si era rotta
per colpa della caduta.
All'improvviso,
comparve una piccola fonte di luce. La bionda si voltò verso di essa e vide con
grande stupore che la luce proveniva dalla mano di Scott e più precisamente da
una fiammella che fluttuava placidamente sul suo palmo. Con un gesto della mano
del rosso, la fiammella fluttuò obbediente fino alla porta, mentre il suo
padrone si avvicinava alla bionda e prendeva un'altra forcina dai suoi capelli.
- Dalle da mangiare,
altrimenti morirà. - Disse lui, dirigendosi verso la porta.
La ragazza sbatté le
palpebre più volte, non capendo cosa le avesse detto, poi si mise affiancò alla
fiammella e cominciò a farle bruciare dei fogli di carta presi dal suo
taccuino. Velocemente il ragazzo riuscì ad aprire la porta, spense la
fiammella e sempre velocemente i due uscirono dal municipio e corsero
verso i sei Castelli.
- Da quando riesci a
farlo? - Chiese all'improvviso Dawn.
- Abbastanza da
riuscire a non svenire dopo. - Disse semplicemente lui, mentre apriva la porta
di casa.
- Tra un paio di
giorni avremo il nome dell'erede, quindi tenetevi pronti tutti quanti... e
Scott? - Egli si fermò sulla soglia, voltandosi leggermente verso la ragazza.
- Grazie per prima,
al municipio. -
Scott non rispose,
entrò in casa e le chiuse la porta in faccia. Il rosso si appoggiò alla porta
pesantemente, mentre nelle sue orecchie risuonava l'eco delle urla strazianti
di Dawn.*
Angolo dell'Autrice:
Salve a tutti!
Prima di iniziare il mio solito sclero, voglio spiegarvi un momento
l'ultima frase di questo capitolo che è stata segnalata con un *
Come vi ho detto in qualche capitolo fa, Scott si sente orrendamente in
colpa per quello che è successo a Dawn, quindi è ovvio
che l'attacco di panico che ha avuto la ragazza lo turbi così
tanto...
Spero di essermi spiegata bene :P
Come vedete ho aggiornato abbastanza in fretta, volevo riuscirci per
ieri ma il mio compleanno non me l'ha permesso (tanti auguri a me! :D)
comunque passiamo alla questione S.O. (Sezione Originali):
Il secondo capitolo della storia è quasi pronto e quindi a breve
riuscirò a pubblicarlo e a fare questo famosissimo "Grande
Passo".
In questi giorni una mia amica che ho conosciuto in questo sito mi ha fatto un bellissimo regalo di compleanno...
Il Trailer di Otherkin!
Vi giuro quando l'ho visto sono rimasta senza parole, è fantastico.
Vorrei farvelo vedere ma purtroppo:
1. Non riesco a pubblicarlo sulla pagina Facebook per problemi di Copyright (FuCk .-.)
2. Non ho la minima idea di come pubblicarlo in questo sito :D
Se sapete qualcosa, fatemi sapere perchè ci tengo tantissimo che voi lo vediate...
Per adesso godetevi le immagini delle pietre di Dawn...
E con questo mi dileguo, prima che il mio pc si spenga da solo (lo odio >o<")
Un bacione:^.^:
Sammy
::
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
Dark Lake - Capitolo 8
La chiesa di Dark Lake non era
grandissima ma incredibilmente riusciva a contenere l'intera cittadina,
accogliendola sulle panche di legno chiaro. Non era una chiesa molto decorata
ma le sue numerose statue in pietra dei santi compensavano la mancanza di
dipinti ai lati della navata. La bara di Trent era davanti all'altare, cosparsa
di fiori. In prima fila, i genitori del ragazzo, sorretti psicologicamente
dalla band del chitarrista. Il silenzio regnava sovrano, mentre il reverendo recitava
il suo sermone. Le porte della chiesa si aprirono di colpo, rivelando una
figura dietro di esse. Era un uomo di quasi trent'anni, alto, vestito con
un abito scuro su cui risaltava una cravatta verde. I suoi capelli erano neri
come la pece ma alcune ciocche erano dello stesso colore della cravatta. Il suo
viso era coperto di piercing e il lobo destro era adornato da ben due
orecchini. I suoi occhi però erano il particolare che colpiva di più: erano di
color acquamarina, con la sclera quasi assente, capaci di gelarti e di
scioglierti, a seconda del volere del loro proprietario. Un solo nome saltò
nella mente della gente presente, un nome che era scomparso per ben quattordici
anni.
Duncan
Il punk avanzò lentamente,
stringendo tra le mani una chitarra quasi nuova su cui era stato inciso un nome
sulla superficie lignea: Trent.
Percorse a passi sostenuti
l'intera lunghezza del corridoio, lo sguardo fisso davanti a sé. Intorno a lui
si elevava una cappa di brusii velenosi e occhiate assassine. Persino il reverendo
aveva interrotto il suo sermone e ora guardava minaccioso l'uomo davanti a sé.
- Il figliol prodigo è tornato
alla casa paterna. - Esclamò a gran voce l'uomo, appena Duncan fermò la sua
processione davanti alla bara. I due si fissarono a lungo e sembrava che gli
occhi azzurro-nebbiosi del reverendo stessero analizzando l'anima di quel
fedele, assistendo a tutti i peccati che aveva commesso.
Gravi e meno gravi.
Duncan rimase in silenzio, si
limitò solamente ad appoggiare la chitarra alla bara, posizionandola tra i
fiori.
- Voleva accompagnarti anche in
quest'ultimo viaggio. Sono sicuro che anche tu lo desideravi... - Sussurrò lui,
carezzando la sua superficie in mogano. Il moro si voltò, diede le sue
condoglianze alla famiglia e andò ad assistere la cerimonia in un angolo della
chiesa, in disparte da tutti. Rimase lontano dalla gente durante tutta la
cerimonia e anche durante la sepoltura, ma egli era sempre presente e
partecipe, come l'ombra che silenziosa e obbediente ti segue ovunque tu vada.
A fine cerimonia, quando anche
la famiglia se ne era andata avvistando le nuvole di un grosso temporale,
Duncan era sempre là, come un'ombra con il suo padrone.
Si guardò in giro e poi prese
una rosa da un mazzo portato dalla band.
- Me la presti? Non posso presentarmi
a mani vuote da lei. - Disse lui, per poi incamminarsi per le strade del
cimitero.
- Ecco qua mamma, come promesso
ti ho portato una rosa. - Mormorò lui, poggiando il fiore a terra la lapide di
Evelyne.
- Sapevo di trovarti qui. - La
voce famigliare di Gwen precedette la sua figura affianco all'uomo.
I due rimasero in silenzio per
un po', prima che la mora pronunciasse la domanda che aleggiava nell'area
carica di pioggia di quella mattina.
- Perché sei uscito allo
scoperto proprio adesso? Cosa ti ha fatto cambiare idea? -
- Lo sceriffo. -
*Inizio flashback*
I polsi gli facevano un male
cane. Si sentiva le braccia come invase dalle fiamme. Per il dolore si erano
anche addormentate le mani e quel formicolio era insopportabile. Era steso sul
letto a fissare il soffitto e, a volte, la bottiglia che gli aveva dato Dawn
che era sul comodino. Non l'aveva ancora usata e non ne aveva neanche
l'intenzione. Quel dolore, anche se fastidioso, riusciva a sopportarlo e non
voleva rischiare di drogarsi per sbaglio perché gli formicolavano le mani.
Doveva rimanere lucido. All'improvviso, la porta si aprì mostrando la figura di
Geoff. - Scendi, hai visite. - Il tono e l'espressione seria del biondo, fecero
nascere in lui un terribile presentimento.
- Chi mi cerca amico, dimmelo.
- Ordinò il moro, alzandosi velocemente dal letto. L’amico esitò per qualche
istante, evitando addirittura quello sguardo di ghiaccio, poi rispose: - Lo
sceriffo, a quanto pare qualcuno gli ha detto che eri in città... - A quelle
parole, il mondo gli cadde addosso. La terribile paura che potessero accusarlo
della morte di Trent ricominciò a serpeggiargli dentro. - Arrivo subito, devo
fare prima una cosa. - Disse e l'altro lo lasciò solo. Duncan si passò una mano
tra i capelli mentre sentiva il dolore ai polsi aumentare moltissimo.
Esasperato dal dolore e dal formicolio alle mani, dalla situazione che presto
si sarebbe andata a creare con lo sceriffo e del fatto che, entro il giorno
dopo, tutta la città sarebbe venuta a conoscenza del suo ritorno prese adirato
la bottiglia. Si tolse le bende e osservò attentamente le ferite. Da esse erano
comparse le pietre del suo segno, ma intorno al taglio si era creato un sottile
alone rosso. Stappò il tappo e ne prese una piccola quantità. Il liquido era di
consistenza vischiosa e, appena l'uomo lo spalmò sui polsi, sentì un
piacevolissimo sollievo. Sospirò sollevato, mentre sentiva le mani riprendersi
dal loro formicolio. Chiuse la bottiglia e si fasciò i polsi. Poi si alzò dal
letto e si diresse verso l'armadio. Si tolse la maglia a maniche corte e prese
una felpa, nascondendo per bene i polsi fasciati con le maniche. Prese un
respiro profondo e uscì dalla sua stanza. Era pronto ad affrontarlo. Arrivò in
salotto e non trovò la rotonda e famigliare figura dello sceriffo, ma quella di
un uomo della sua età, dalla pelle ambrata e dalle iridi color smeraldo.
- Tu devi essere Duncan
Brown... - Disse lui, venendogli incontro e stringendogli la mano. - Io sono
Alejandro Burromuerto, lo sceriffo. - L'uomo guardava sorridente Duncan, che
continuava ad osservarlo con sguardo serio.
- Possiamo parlare... In
privato? - Propose all'improvviso, spostando il suo sguardo su Geoff e
Brigette.
I due, capendo di essere di
troppo, salutarono lo sceriffo e andarono al piano di sopra, nella stanza del
bimbo.
- Siediti per favore. - Disse
Alejandro con un forte accento spagnolo e indicando la poltrona dietro il punk,
come se lui fosse il padrone di casa che sta accogliendo un ospite.
I due si sedettero uno di
fronte all'altro, faccia a faccia.
- Stamattina ci è arrivata una
lettera anonima. Diceva che dovevamo tenerti molto d'occhio. - Cominciò il
latino con tono lento e pacato. - Potevo anche non tener conto di quello che
diceva, ma il cadavere del povero Trent e questa mi hanno incuriosito molto...
- Lo sceriffo tirò fuori dalla tasca una fotografia e a quella vista il moro
sbiancò all'improvviso.
La foto mostrava lui in quel
maledetto vicolo, con il corpo ormai senza vita di Trent ai suoi piedi.
Chi mai l'aveva scattata?!?
- Era all'interno della
lettera. Questa foto e le tue impronte trovate sulla vittima mi fanno nascere
due domande nella mente... - Egli si alzò e si avvicinò all'uomo, guardandolo
dritto negli occhi. - Perché eri lì quella notte è perché hai tenuto nascosto a
tutti il tuo ritorno? - Tra i due si formò un silenzio assordante, che pulsava
nelle orecchie del moro. Egli deglutì più volte, cercando di calmare il battito
accelerato del suo cuore. Alla fine prese un bel respiro, si alzò e disse:
- Ero in piazza quella notte,
fumando una sigaretta. All'improvviso ho sentito delle urla e sono corso dove
provenivano quei suoni. Quando sono arrivato lì ho trovato il corpo di Trent e
ho controllato inutilmente se fosse ancora vivo. - Duncan lanciò uno sguardo
deciso e sicuro di sé allo sceriffo. - Mi sono solo trovato nel posto sbagliato
al momento sbagliato... - Il latino l'osservò per chissà quanto tempo, cercando
ogni piccolo dettaglio che potesse fargli capire che stava mentendo. Dopo un
tempo che a Duncan era sembrato eterno, lo sceriffo gli sorrise e si posizionò
il cappello in testa, che prima era sul tavolo.
- Be' a me sembra che non stai
mentendo, ma devo comunque inserirti nella lista degli indagati... Sai come
funzionano queste cose... -
- Ne so molto più di lei che fa
questo lavoro da poco. - Rispose di rimando lui, ghignando leggermente.
Il moro accompagnò il latino,
con un immenso dubbio nella mente.
- Questo vuol dire che presto
tutti sapranno che sono qui, vero? - Domandò all'improvviso e Alejandro rispose
immediatamente a tale domanda.
- Ovviamente si. Capisco che
non vuoi, quasi tutta la città ti odia e ti ritiene un pericoloso
criminale, come mi ha sempre ripetuto il mio predecessore… ma stai tranquillo,
se sei innocente nessuno può accusarti di niente. -
"No sceriffo, su questo ti
sbagli... " pensò, mentre la porta d'ingresso si chiudeva davanti ai suoi
occhi.
*Fine flashback*
- Se proprio doveva uscire
fuori la notizia del mio ritorno, questa doveva essere un entrata ad effetto. -
Concluse lui, mentre osservava Gwen perdersi ad ammirare pensierosa
l'orizzonte.
- Non sono d'accordo con la tua
idea... Potrebbero rivolgertela contro questa tua "entrata ad
effetto" -
Non aveva tutti i torti, ma
Duncan non aveva voglia di pensarci, non in quel momento.
Si avvicinò a lei e lentamente
le asciugò una lacrima che solcava la sua guancia.
- Come ti senti? -
- Distrutta. È stato come
rivivere la morte di mio fratello... - mormorò la mora, gettando un occhiata
alla lapide dietro di loro. L'uomo abbassò lo sguardo, notando che la donna si
stava massaggiando i polsi.
- Ti hanno fatto tanto male? -
Chiese all'improvviso lui. Gwen lo guardò con un'espressione confusa, ma poi
capì cosa intendesse.
- Non molto, ma non sono
riuscita a dormire comunque. Adesso non mi fanno niente però non sono abituata
ad avere due pietre nei polsi... - Rise lei, mentre Duncan le alzava le maniche
del suo vestito lungo e con le dita percorreva il perimetro di quei tagli,
riempiti da due luminose pietre.
La prima era un diamante e la
sua inconfondibile brillantezza ne era una prova. L'altra non la conosceva ma
era molto curiosa per la sua colorazione rossiccia.
I due rimasero immobili per un
tempo interminabile, mentre il vento li accarezzava costantemente e con
dolcezza.
- Hai visto Scott? - Chiese
all'improvviso Duncan, interrompendo quel silenzio tra di loro.
- In chiesa l'ho visto, ma
quando sono uscita sembrava sparito. - Il moro sospirò rassegnato, guardandosi
intorno.
E adesso, dove era andato a
finire?
***
Un grosso temporale si stava avvicinando, ma Scott non gli
dava tanta importanza. Rimaneva lì, sulle sponde del lago, lanciando sassi. La
sua mente ripercorreva gli avvenimenti della notte scorsa e in particolare
l’attacco di panico che aveva avuto Dawn.
Com’era possibile che un misero, piccolo ricordo potesse
fargli così male?
Avere sotto gli occhi quella ragazza era come un veleno per
lui. I sensi di colpa gli attanagliavano il cuore ogni volta che i suoi occhi
incontravano quei pozzi blu cobalto.
Un ramoscello spezzato lo fece voltare, rivelandogli
l’arrivo di Raggio di luna.
- Da piccola eri più silenziosa. – Constatò il rosso,
dandole le spalle e continuando a lanciare sassi.
- Lo sono ancora, ma oggi ho deciso di farmi notare… - La
ragazza avanzò verso di lui, sedendosi sull’erba verde.
- Sei andato al funerale? – Chiese all’improvviso lei,
osservando rapita le nuvole grigie in cielo.
- Si e Duncan ha organizzato a tutti una bella sorpresa. –
Vedendo lo sguardo confuso della bionda, egli le spiegò la geniale idea che
aveva avuto il punk. Alla fine del racconto, Dawn si limitò a scuotere il capo
sconsolata. – Questo a Dana non piacerà affatto… -
- Per me quella donna deve darsi una calmata… E’ isterica. –
Sibilò lui, ricevendo uno sguardo di rimprovero dalla ragazza.
- Se avessi anche la metà delle responsabilità che quella
donna ha sulle proprie spalle, la capiresti… - Sospirò. – Ma non posso
nasconderti che non mi fidi tanto di lei. –
- Come mai? –
Dawn aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito
dopo.
- Sesto senso. – Si limitò a dire, prima di alzarsi.
- Ero venuta qui per chiederti scusa… per l’incidente
dell’altra notte. – Disse lei, pulendosi la gonna.
Scott non la rispose, smise soltanto di lanciare sassi e si
girò verso di lei.
- Non devi sentirti in colpa per il mio attacco di panico… -
- Io non mi sento in colpa. – Sputò lui sulla difensiva,
dandole di nuovo le spalle.
Dawn si avvicinò a lui, lentamente. – E invece si Scott. Non
devi sentirti così, tu non hai fatto niente… - Appena la mano candida di Raggio
di luna sfiorò la spalla di Scott, egli si girò e furioso le diede uno schiaffo
in pieno viso.
La bionda rimase a guardarlo, mentre la sua mano era
poggiata sulla guancia lesa.
Ella abbassò lo sguardo e prima di andarsene disse: -
Domani, casa della Strega, stessa ora. Non mancate. -
Il rosso si pentì amaramente di quel gesto. Suo padre non
era stato molto presente nella sua educazione, ma fin da piccolo gli aveva
insegnato solo una cosa, che riteneva di vitale importanza.
Mai mettere la mani addosso ad una donna o a un bambino,
MAI.
Lui, in solo una manciata di secondi, era riuscito a dare
l’ennesimo dispiacere a suo padre.
Forse il più grave.
Fuori di sé, diede un forte pugno alla corteccia di un
albero, ferendosi così le nocche che cominciarono leggermente a sanguinare.
Ma la rabbia era tale che non se ne accorse e continuò a
prendere a pugni quell’albero, finché il dolore alle mani non lo costrinse a
fermarsi. Solo in quel momento si accorse della pioggia che da qualche minuto
il temporale aveva liberato. Furioso, dolorante e bagnato fradicio Scott girò i
tacchi e si diresse con sguardo basso verso casa.
Angolo dell'Autrice
Se Dana deve prendersi un tranquillante, Scott se ne deve prendere due -.-
Qui dentro sono tutti nervosi...
Salve a tutti! Si sono ancora qua e no, purtroppo non vi siete ancora liberati di me.
Quest'anno sembra che l'universo faccia di tutto per impedirmi di aggiornare con regolarità
Ma io resisto e continuo a scrivere.
Questo capitolo è venuto su abbastanza lunghetto, quasi non ci credo. :D
E invece è vero...
La storia originale è quasi pronta, ancora poche cose e la pubblicherò
Anzi! vi do una data:
Tenete gli occhi aperti sulla sezione originali il 1 Marzo, e troverete la mia prima storia originale.
Questo è un appuntamento che non dovete perdervi!
Per quanto riguarda le recensioni, stasera e domani provvederò a rispondere
Scusate ragazzi ma non riesco mai a trovare tempo per rispondervi, ma
ho letto le vostre recensioni e posso solo dirvi grazie per tutto
l'appoggio che mi date
anche se adesso su questo fandom siamo rimasti in pochi :
Adesso vi lascio con le immagini delle pietre di Gwen
Diamante (Pietra della Bilancia)
Corniola (Pietra della Vergine)
Un bacione:^.^:
Sammy
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
Dark Lake - Capitolo 9
Passeggiare nella foresta riusciva sempre a
calmarla e a far
ritornare la pace dentro di lei. Dawn si era svegliata prestissimo,
molto prima che il sole facesse la sua apparizione e aveva camminato
molto a lungo tanto che al suo ritorno il sole era alto nel cielo.
Scott era il motivo di quella lunga camminata. Ancora non si spiegava
il perché dello schiaffo del rosso. Non credeva che egli
fosse
arrivato a quel punto, ma forse la vicinanza del lago aveva
condizionato quegli avvenimenti. Con tutte quelle anime che entravano e
uscivano da lì, il lago ormai era diventato un calderone di
magia nera capace di condizionare le azioni di chiunque, soprattutto
quelle di un Guardiano senza Cerimonia. Doveva fare assolutamente
rapporto di ciò alla regina. La sua mano
andò
involontariamente dove il ragazzo l'aveva colpita e, sospirando,
entrò in casa. Nella biblioteca pentagonale Dana
stava
preparando i composti per le due Cerimonie ancora da fare.
-
Oh! Sei tornata. Stamattina ho
mandato un messaggio ai Guardiani rimanenti... Gli ho detto di venire
qui in fretta. Così sprecheremo meno tempo e torneremo a
palazzo
in men che non si dica. - Disse Dana, senza distogliere
gli
occhi dal suo lavoro. Al sentir pronunciare la parola palazzo, alla
bionda comparve nella mente la sua immagine.
Gli mancava così tanto, doveva
sentirlo. E se poi lui era ancora arrabbiato con lei?
Non le importava, la voglia di parlargli era
tanta.
-
Dana potresti lasciarmi sola? - Pigolò
lei. La donna la guardò per un attimo, poi raccolse le varie
bottigliette e se ne andò in cucina lasciando
così la
bionda sola in quella biblioteca. Prese un gessetto appoggiato sul
tavolino e nel cerchio di candele, disegnò un altro cerchio
più piccolo, dove al centro tracciò una stella.
Dopo aver
tracciato tale segno, ella congiunse le mani e recitò
un’antica preghiera, imparata negli anni di permanenza nel
Regno
di Fara. Il cerchio disegnato sul pavimento, come stregato da quella
preghiera, si alzò e mostrò il suo lucente e
perlaceo
aspetto alla donna davanti a lui.
-
Mostrami mio marito. –
Disse Dawn al portale e questi in risposta cominciò a
squittire,
contrarsi, dilatarsi e a emettere altri strani rumori.
Continuò
così per un po’, finché non comparve la
figura di
un uomo molto alto e dagli occhi privi di sclera come gli insetti.
Portava i capelli lunghi fino alle spalle, sul capo vi era una semplice
ed elegante corona e aveva un portamento reale.
Quell'uomo dall'aspetto solenne e reale era
Alucard II. Egli era
il principe ereditario del Regno di Fara e marito di Dawn da appena 5
anni. La bionda rimase un istante ad ammirarlo: era da molto tempo che
non lo vedeva, ma la cosa che la sorprese di più nella sua
figura era cicatrice che gli percorreva la guancia.
Scosse la testa, scacciando pensieri che di
sicuro non avrebbero avuto risposta.
-
Mi fa piacere che hai accettato di vedermi... -
Mormorò lei, regalandogli un timido sorriso.
L'uomo rimase per un po' impassibile, per poi
sospirare pesantemente.
- Mi dispiace
per le parole che ti ho
detto prima della tua partenza. Ho parlato senza pensare e ho seguito
solo la mia gelosia... -
-
Avevi paura che io potessi
lasciarti rivedendo lui. È stato comunque una mancanza di
fiducia nei miei confronti, ma so quanto tu possa essere geloso a
volte... - Sospirò lei, mentre un silenzio
tombale si frappose tra i due.
Alucard sapeva di Scott, sapeva quello che la
moglie aveva provato
per lui. Quel sentimento però era morto da tempo, ma il
principe
era famoso per la sua forte indole gelosa. La bionda lo
guardò
negli occhi, cercando il coraggio di pronunciare tale frase.
-
È uno dei Guardiani, del fuoco. - Pronunciandola
aveva un suono terribile. Era anche giusto che lo sapesse da lei, e non
che lo scoprisse.
Egli la guardò per un po' assente,
quasi distratto.
-
Questo vuol dire che avrò l'onore di conoscere colui con cui
condivido il tuo cuore. - Rise lui, scuro in volto.
-
Sai benissimo che nel mio cuore c'è solo mio marito,
cioè tu. - Precisò lei, quasi con
aria stufata.
Poi però cambiò discorso.
- Come
procede la situazione nelle regioni della terra? -
Egli rilassò le spalle e
abbandonò la sua postura
solenne, mostrando alla consorte tutta la stanchezza che aveva addosso.
-
Non si riesce a vederne la
fine. Il popolo della terra è furioso: dicono che le altre
regioni si stanno prendendo tutti i loro raccolti, riducendoli alla
fame. La carestia fa la maggior parte del lavoro. Nella capitale le
dispense sono ancora piene, ma non possiamo resistere a lungo. Mia
madre è ancora convinta che questa situazione si possa
risolvere
con la diplomazia, purtroppo gli altri non sono dello stesso parere.
Siamo stati attaccati tre volte e non posso non rispondere. Ne va del
futuro del regno. - Parlò così
velocemente che
Dawn fece fatica a stargli dietro, ma riuscì comunque a
comprendere il significato di quelle parole.
La regione della terra era l'unica regione
fertile della terra di
Fara. I suoi abitanti coltivavano i raccolti necessari a loro e al
sostentamento anche delle altre. Nell'ultimo anno c'era stata una
tremenda siccità che aveva portato a un'enorme riduzione dei
raccolti prodotti. I contadini protestavano che le altre regioni
pretendevano lo stesso numero di raccolti, senza tener conto della
siccità e condannandoli così alla fame.
Accusavano anche
la capitale di sfruttarli ingiustamente e da molti mesi la rivolta
imperversava senza sosta.
La bionda in quel momento capì come
il marito si era procurata quella cicatrice sul volto.
-
Cosa intendi fare adesso? - Chiese lei.
- A breve
dovrebbero arrivare i capi della rivolta. Spero solo che con la
diplomazia si possa risolvere tutto... -
-
Tua madre dice sempre che un buon re dimostra tutte le sue
capacità in tempi difficili, e non in tempi di pace. -
Disse Dawn, regalando un sorriso all'uomo.
-
Mi erano mancati il tuo supporto e soprattutto il tuo sorriso, moglie
mia. Non vedo l'ora di rivederti! - Esclamò il
moro, facendola leggermente arrossire. Aveva ancora questo potere dopo
tanti anni? Semplicemente incredibile.
-
Mancano solo due giorni. Quindi pazienta, è una questione di
tempo... - Lo informò, ricevendo un gran
sorriso dal principe. All'improvviso la porta si aprì .
-
Scusa adesso devo andare. Di alla Regina che al mio ritorno dobbiamo
parlare di una cosa molto urgente. A presto Alucard. - Lo
salutò lanciandogli un piccolo bacio.
-
A presto amore mio... - Rispose lui, mentre il portale
ritornava alla sua figura originale, per poi sparire.
Dawn corse ad aprire la porta, mentre Dana
rientrava nella biblioteca con tutti i composti pronti.
-
Ah! Siete arrivati insieme, bene. Accomodatevi. - Disse la
bionda, accogliendo Scott e il sesto Guardiano.
***
Zoey camminava a passo lento per la strada
verso casa. Il pallido
sole di ottobre illuminava Dark Lake, senza però dargli
calore e
lasciando così la città in preda al vento. La
rossa si
nascose meglio dietro la sciarpa, mentre la mano sinistra cercava le
chiavi di casa.
Ignorò le leggerissime fitte ai
polsi ed aprì la
porta. Appena entrò, un delizioso profumo invase le sue
narici.
Posò sull'appendiabiti all'ingresso il giubbino rosato e la
sciarpa bianca. Si alzò le maniche della maglia, prese un
respiro profondo e andò in cucina con passo deciso.
Mike era lì che preparava il pranzo
per entrambi.
-
Ehi Zoey! Puoi apparecchiare un attimo la tavola? Io intanto impiatto
la carne. - Disse lui tenendo lo sguardo fisso sulla
padella, dove due fette di carne sfrigolavano rumorose.
-
Mike? -
-
Si? - Disse lui impiattando le due bistecche e volgendo
finalmente il suo sguardo verso di lei.
Quello che vide lo sconcertò
tantissimo.
Due pietre erano incastonate nei polsi della
ragazza:
La prima era di un colore blu molto intenso e
brillante, il
secondo era come un mare in tempesta per le sue molteplici sfumature di
blu e
di bianco.
-
T-Tu sei...? - Chiese lui ancora a bocca aperta.
Zoey ancora non riusciva a spiegarselo come
fosse successo tutto
ciò. Sapeva solo che Dawn, dopo aver ricercato per molto
tempo,
aveva scoperto che l'unica persona che rispecchiava le caratteristiche
di prossimo Guardiano era lei.
Bella Gioia raccontò dell'immensa
sorpresa che aveva avuto,
della Cerimonia e tutti gli altri avvenimenti della giornata. Dopo di
che tra i due nacque un lungo silenzio, intervallato dal cozzare delle
posate sul piatto. Solo quando i due si ritrovarono a pulire i piatti,
la rossa finalmente parlò.
- Mike ho
paura. -
-
Stai tranquilla Zoey. Adesso
con queste pietre possiamo difenderci da quei mostri, senza svenire
come ho fatto io. Comunque io sono sempre con te ricordalo. -
Disse lui, cercando di tranquillizzarla, anche se un po' di paura ce
l'aveva anche lui.
-
Non ho paura di questo... - Sussurrò lei, con
le lacrime agli occhi.
-
Ho paura per lui. - Esalò infine, portando le
mani alla sua pancia.
Mike si era quasi completamente dimenticato di
quel piccolo ma immenso dettaglio.
Il loro figlio. Quella piccola creatura che
stava crescendo nel ventre della sua amata.
In quel momento capì la paura della
rossa.
Aveva paura di perderlo in qualche lotta.
E questo era molto peggio che aver paura per la
propria vita.
D'istinto il ragazzo l'abbracciò
forte e lei in quella
stretta liberò tutte le lacrime che stava trattenendo.
Quando
poi entrambi si furono calmati, Mike si abbassò e
poggiò
delicatamente la sua guancia sulla pancia di Zoey.
-
Piccolo mio... Ti chiedo scusa,
il tuo papà si era completamente dimenticato di te. Adesso
però sia lui che la mamma ti faranno una promessa: non
lasceremo
che nessuno ti faccia del male. Te lo promettono anche nonno Ceaster,
zia Svetlana, zio Vito e zio Manitoba. - Mormorò
lui,
facendo sorridere la rossa. Sentendo quella piccola risata egli si
alzò, la strinse a sé e la baciò
delicatamente.
Come a suggellare quella promessa che entrambi
avevano paura di non mantenere.
***
Gwen camminava per il lungo corridoio della sua
casa.
Arrivò alla fine di quest'ultimo, dove vi erano le scale che
conducevano al piano superiore. La donna salì le scale e
percorse sicura di sé il primo piano, ignorando lo sguardo
dei
dipinti appesi ai muri. Da piccola aveva paura di quegli occhi sempre
fissi verso di lei, ma con il passare degli anni la sua paura si era
trasformata in semplice indifferenza. Alla fine di quest'altro
corridoio vi era una piccola botola sul soffitto. Ella
abbassò
la botola, facendo scendere una piccola scaletta in legno.
Salì
la scaletta ritrovandosi così nella soffitta. Prima di
conoscere
Duncan quello era il suo rifugio. Ora la soffitta custodiva tutti gli
oggetti che un tempo popolavano la casa ai tempi dell'aristocrazia. In
mezzo ai candelabri d'argento, le ragnatele e la polvere vi era un
grosso baule verde scuro.
La mora si inginocchiò davanti a
quel baule e lo aprì.
Era sicura che la madre l'avesse buttato.
Al suo interno, tra vecchi vestiti, c'era un
album fotografico. Lo
prese e lo aprì. Dopo la morte di suo padre, sua madre aveva
rinchiuso tutto quello che apparteneva a lui in quel baule. Sua nonna
le aveva rivelato che quel gesto era dovuto al fatto che la sola vista
di quegli oggetti, provocavano in lei un così grande dolore
nel
suo cuore, da istigarle il suicidio.
" - Ognuno
affronta in modo molto diverso la morte di una persona amata.
C'è chi piange per giorni, chi si tiene tutto dentro e
dentro
muore... Tua madre ha pianto per giorni, poi si è tenuta
tutto
dentro e, dopo aver nascosto dai suoi occhi il suo amore passato,
è morta dentro. L'alcool ha fatto il resto. - "
Questo le
aveva detto la donna quel giorno quando, di nascosto, l'aveva portata
in soffitta e le aveva mostrato per la prima volta il volto di suo
padre.
Gwen guardò attentamente le foto in
quell'album. Mostravano
un bel uomo dagli occhi azzurri e i capelli castano chiaro. In ogni
foto suo padre era in compagnia di sua madre, in tempi più
felici.
Vedendo quelle immagini, il suo pensiero la
portò a lei.
Era sempre stata una madre assente, che pensava
ad affogare il
dolore nell'alcool e nell'amore di altri uomini. Da uno di questi
"amori" aveva avuto suo fratello, David. Lei era rimasta con la madre
solo per non finire in orfanotrofio, quindi si preoccupava di badare a
se stessa, alla madre quando era ubriaca e a David quando nacque. La
nonna l'aiutava in tutto. Dopo la morte del fratello, sua madre aveva
aspettato che lei compisse 18 anni, poi come il vento se ne
andò, senza più farsi sentire.
Per Gwen andava bene così. Non
sentiva quella donna sua madre, e credeva che anche per lei il
sentimento fosse lo stesso.
Fino a quando sua nonna non le disse:
"
- Lei ti vuole
bene. Solo che in te rivede mio figlio, e non può
sbarazzarsi di
una figlia come ha fatto con quelle foto. - "
Scollò la testa, scacciando via
tutti quei pensieri e in
fretta uscì dalla soffitta. Quella stanza riusciva a farla
pensare, anche troppo. Il rumore del campanello riuscì a
distrarla efficacemente. Corse verso l'ingresso e aprì la
porta,
ritrovando solo un biglietto blu cobalto a terra.
Lo prese e quello che lesse la
sconcertò.
"Prepara
i bagagli. Tra due giorni presentati al Burrone dei Lamenti all'alba.
È arrivato il momento di vedere. "
-
È arrivato il momento di vedere... Che cosa vuol dire? -
Angolo
dell'Autrice:
Salve
a tutti!!!
Questo capitolo è un po' piccolo e non succede quasi niente,
ma è solo un capitolo di passaggio.
Nel prossimo si passerà ad un'altra parte della storia, dove
entreranno in scena altri personaggi, molti poteri, paesaggi
incredibili e... Tanto tanto mistero :D.
Qui
di seguito ci sono le immagini delle pietre di Zoey:
Zaffiro (pietra dell'Acquario)
Agata (pietra del Capricorno)
Venerdì
prossimo parto in gita (cinque giorni in Liguria) questo vuol dire che
starò molto tempo a viaggiare nel pullman e quindi a
scrivere
per passare il tempo.
Questo c'è vuol dire?
Che credo che appena tornerò a casa vi darò un
capitolo molto lungo e, sopratutto, pubblicato in orario.
Adesso però vi saluto e vi invito a regalarmi tante belle
recensioni :)
Un bacione:^.^:
Sammy
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 ***
Dark Lake - Capitolo 10
Scott chiuse la zip dello zaino, dopo averci messo tutto il
necessario. Il suo sguardo si spostò verso il bigliettino vicino allo zaino,
sul letto.
"Prepara i bagagli. Tra due giorni presentati al
Burrone dei Lamenti all'alba. È arrivato il momento di vedere. "
È arrivato il momento di vedere...
Egli non aspettava altro. Sarebbero andati nel fantomatico
Regno di Fara, per prepararsi alla battaglia contro la Creatura. Almeno così
gli aveva detto Dawn quando, due giorni fa con Zoey, era andato lì per la sua
Cerimonia.
Al pensiero di quella giornata, si massaggiò i polsi.
Sulla sinistra vi era una pietra di color turchese, con
qualche macchietta nera. Dall'altro polso vi era una pietra molto brillante
celeste, di un colore simile all'altra. Le guardò per un altro po', storcendo
il naso.
Come le nascondeva?
Aprì il comodino e cercò qualcosa che potesse coprirgli i
polsi. Poteva semplicemente cambiarsi e indossare una maglietta a maniche
lunghe, ma non ne aveva voglia. All'improvviso trovò un paio di braccialetti
adatti.
Erano di pelle ed uno era molto semplice, l'altro aveva una
piccola incisione. Due lettere scritte con una calligrafia leggera e tutta
fronzoli:
DS
La S era stata scritta in modo da incrociarla con la D,
rendendo l'incisione armoniosa.
La vista di quel bracciale lo portò indietro con la mente,
molto indietro
*Inizio Flashback*
- Buon Natale Scott! - Esclamò la bambina, porgendo
all'altro una piccola scatolina. Egli l'aprì cauto, diffidente. Al suo interno
vi era un bracciale in pelle, molto semplice.
- L'ho preso uguale al mio ti piace? Stai tranquillo però, è
pelle sintetica. - Disse lei con un grande sorriso. Il bambino non disse niente
e in silenzio si mise il bracciale. Gli andava larghissimo.
- L'ho preso grande così potrai metterlo anche quando
crescerai. - La bionda piegò di lato la testa notando qualcosa nascosto dietro
Scott.
- Mi hai fatto anche tu un regalo? - A quelle parole, il
rosso sbuffò infastidito.
Se ne era accorta.
Prese il pacchettino e lo lanciò letteralmente contro la bambina.
Non era abituato a fare regali a qualcuno, a pensare agli altri insomma.
Si comportava male per mantenere la sua reputazione da
cattivo, e per difendere il suo enorme orgoglio.
Ella scartò in fretta e felice il pacchetto, sussurrando un
grande oh quando vide cosa c'era al suo interno:
Una piccola lepre completamente intagliata nel legno. La
bionda sorrise felice e si lanciò tra le braccia di Scott, abbracciandolo
stretto.
- Grazie Scott. È il più bel regalo che qualcuno mi abbia
mai fatto! Grazie grazie. -
Il rosso rimase impietrito per un attimo, ma poi abbandonò
il suo scudo e strinse a sua volta la piccoletta a sé.
*Fine Flashback*
Il bracciale con l'incisione l'aveva preso quando,
purtroppo, ritrovò il cadavere della ragazza galleggiare sulla superficie del
lago.
Quel giorno senza esitazioni si gettò in acqua per salvarla.
Ma era troppo tardi.
La portò a riva e cercò di rianimarla più volte senza
fermarsi o arrendersi.
Ma non si poteva più fare niente. Quel giorno, nel momento
in cui guardò il volto della bionda ormai morta, una parte di lui morì
anch'essa. Per tenerla ancora legata al resto di sé, prese il bracciale che lei
aveva al polso.
Ogni volta che pensava a quel giorno, una fitta al cuore lo
colpiva. Non l'avrebbe mai ammesso neanche a se stesso, ma quella ragazza gli
era entrata sotto pelle.
Si mise i bracciali che adesso gli calzavano a pennello,
prese lo zaino e uscì. Fuori faceva molto freddo ma Scott non lo sentiva,
neanche con la maglia a maniche corte. Era sempre stato così: non soffriva il
freddo, come se un fuoco dentro di lui lo tenesse costantemente caldo.
Non per niente era il Guardiano del fuoco. Camminò per la
città fischiettando, mentre di dirigeva da Duncan. All'improvviso delle voci
attirarono la sua attenzione. Si avvicinò al vicolo dove due poliziotti stavano
parlando di... Duncan!
Appena riuscì a capire di cosa stavano discutendo, sgranò
gli occhi e corse verso la casa di Geoff e Brigette.
"Merda! Ci mancava solo questo!"
***
- Hai preso tutto? -
- Tranquilla Brigette. È tutto qua dentro. - Disse Duncan,
indicando il borsone sul divano.
- Ci dispiace che te ne vada, ma sappiamo che in questo
momento Gwen ha bisogno a te... - Disse Geoff.
Duncan non gli aveva detto della storia dei Guardiani. Non
voleva coinvolgerli in pericoli inutili. Gli aveva detto che si sarebbe
trasferito da Gwen per starle vicino dopo la morte di Trent.
Indossò la felpa rossa e si mise il borsone in spalla, per
poi guardare i due.
- Be' ragazzi è stato un piacere essere ospitato da voi. -
Ghignò lui. Geoff gli strinse la mano in segno fraterno, mentre Brigette lo
abbracciò forte.
- Non sparire come al tuo solito va bene? - Scherzò lei,
scompigliandogli i capelli.
In quel preciso istante, qualcuno bussò alla porta con
insistenza.
Geoff aprì la porta e nel soggiorno entrò uno Scott
trafelato.
- Duncan ti hanno incastrato! La polizia sta venendo a
prenderti... - Esalò lui, col fiato corto per la corsa.
- Che stai dicendo Scott? -
- Stanno venendo ad arrestarti per l'omicidio di Trent. -
Bastò quella frase per far crollare tutto, e far tornare nel corpo del punk la
paura.
Sentiva già indistintamente il rumore della sedia elettrica.
- Devi scappare Duncan, ti devi nascondere! - Esclamò Geoff.
Scott e Duncan si guardarono negli occhi.
Sapevano dove andare.
Senza dire niente, in fretta uscirono e corsero per le vie
della città.
Verso il burrone.
Il moro si alzò in fretta il cappuccio in testa per non
essere visto, mentre le gambe correvano sempre più veloci.
Verso la salvezza.
***
- Non abbiamo tempo per spiegare, fai quello che devi fare
Dana. E fallo in fretta! - Urlò Duncan appena arrivò vicino al burrone.
- Cosa succede si può sapere? – Chiese lei, sorpresa
dal vedere i due arrivare ansimanti e il punk con lo sguardo terrorizzato. La
risposta alla sua domanda arrivò quasi subito con il rumore dei cani e le voci
dei poliziotti.
- Vogliono arrestarmi, ti spiegherò tutto dopo. Adesso devi
aprire quel portale però, subito! – Esclamò il moro, incitandola a fare presto.
Ella lo guardò per un attimo poi gli diede le spalle e,
allargando le braccia, recitò la formula magica. Dal burrone fuoriuscì
immediatamente un raggio di luce accecante, di un colore quasi indefinito. Il
fascio si contorse su se stesso per poi gettarsi di nuovo in fondo al burrone,
esplodendo in tanti piccoli brandelli che cominciarono a fluttuare sul prato di
Raggi di luna.
Dana e Dawn si guardarono negli occhi, complici.
- Adesso dovete fidarvi di noi. Il Portale per il Regno di
Fara si trova nel Burrone dei Lamenti e l’unico modo per attraversarlo è… gettarsi
da qui. – Quella frase ebbe il potere di spargere il panico tra i Guardiani.
Tutti protestarono per molto e solo l’abbaiare dei cani, ora più vicino, li
zittì.
Il gruppo si guardò negli occhi uno ad uno, per poi
rivolgere la loro attenzione verso la rossa.
Fu Scott a pronunciare ciò che tutti avevano concordato con
quel semplice scambio di sguardi.
- Facciamolo. –
Dana annuì e gli diede le ultime istruzioni prima del salto.
A compiere quel gesto per primo fu Dawn, già abituata ai viaggi con i portali,
poi fu il turno di Scott e degli altri.
Duncan rimase per ultimo, ancora diffidente se saltare o no.
Si sporse dall’orlo del burrone, osservando il mulinello di
luce viola-argentea che turbinava a mezz’aria.
Il portale.
- Fermo Duncan non costringermi a sparare! – La voce dello
sceriffo Alejandro fece raggelare il sangue del moro, mentre le sue orecchie
erano invase dal fastidioso rumore della sedia elettrica accesa e pronta ad
accoglierlo nel suo mortale ed elettrico abbraccio.
Egli si girò di poco in modo da poter vedere i poliziotti al
limitare del prato con la coda dell’occhio.
Fu quello il momento in cui si convinse a saltare.
E lo fece.
Si gettò nel vuoto, la mano che stringeva il borsone e
l’altra aperta che saggiava l’aria. Il portale si avvicinava sempre di più a
lui e, quando fu a poca distanza dal suo obbiettivo, chiuse gli occhi.
Sperando di non schiantarsi nel fiumiciattolo molto più in
basso.
***
La prima cosa che il moro vide fu un soffitto a forma di
guscio d’uovo, composto completamente da vetrate colorate disposte a motivi
geometrici.
Sentiva chiaramente il suono di una banda che recitava una
melodia strana e gioiosa. La mano di Gwen venne subito in suo soccorso,
aiutandolo a rialzarlo. Si trovava assieme agli altri Guardiani in una grande e
alta sala. Al centro di essa vi era un altare dove turbinava in un cerchio di
pietra il portale che probabilmente avevano attraversato. Quello che però colpì
di più il ragazzo fu l’incredibile folla che popolava quella sala. Erano tutti
molto alti e i loro occhi erano completamente privi di sclera, come quelli di
Dana d’altronde. Quei volti erano così
somiglianti a quello di Evelyne, che quasi si spaventò di ciò. Quel luogo però
fece nascere in lui una strana sensazione.
Si sentiva
stranamente come tornato a casa lì...
Il perché non lo
sapeva.
- Tutto bene? - La
voce di Gwen lo risvegliò dai suoi pensieri.
- Un po'
scombussolato ma tranquilla, ho la pellaccia dura. - La rassicurò lui. Solo in
quel momento si accorse che la sua mano stringeva ancora quella della mora, che
l'aveva aiutato ad alzarsi. Entrambi guardarono quelle mani intrecciate per
chissà quanto tempo, come ipnotizzati.
Ne l'uno ne l'altro
però sciolsero quella presa anzi la rafforzarono, come a darsi forza a vicenda.
Avrebbero parlato di
tutto dopo, da soli.
La musica
all'improvviso si fermò, mentre la folla si apriva in due e le trombe
annunciarono l'arrivo di due lussuose carrozze.
- Udite udite.
Inchinatevi tutti davanti a sua maestà la regina di Fara, Marylee la Saggia e
suo figlio il principe ereditario e futuro re, Alucard. - Disse una voce dalla
folla. Duncan non riuscì a vedere di chi fosse quella voce, ma vide chiaramente
chi essa aveva annunciato.
Dalla prima
carrozza, quella decorata con oro e pietre preziose, scese la figura di una
donna. Non si capiva molto bene quanti anni avesse, ma di una cosa Duncan fu
sicuro fin dal primo momento che la vide:
Che era molto bella,
bella come sua madre.
Il suo viso, la
forma dei suoi occhi, il suo portamento tutto rimandava alla mente del ragazzo
la figura della madre.
E questo lo
spaventava molto.
Ella portava i
capelli lunghi di color dell'argento, sciolti e adagiati sulle sue spalle, la
sua carnagione era molto chiara e anche i suoi occhi erano molto chiari, di un
grigio vicino al bianco. Dietro di lei, fermo vicino alla carrozza, un uomo dal
lunghi capelli castani e gli occhi verdi lo fissava insistentemente.
Quello sguardo non
gli piaceva per niente.
La donna si avvicinò
a loro, mentre la folla intorno a lei si inchinava al suo passaggio o le
lanciava fiori.
Quando arrivò di
fronte a loro il moro ebbe la certezza che quella donna era identica a Evelyne.
"Come è
possibile...?"
- Benvenuti nel
Regno di Fara Guardiani. Io sono la regina Marylee e per oggi, sarò la vostra
guida. Se volete seguirmi in carrozza. - Annunciò la regina, indicandogli i
veicoli fermi fuori.
Il gruppo si spostò
fuori, con gli occhi di tutti puntati addosso. Appena si avvicinarono
abbastanza, il principe gli andò incontro e, senza salutare nessuno, strinse a sé
Dawn, baciandola con sentimento. Duncan si voltò indietro verso Scott. Il
ragazzo si era irrigidito e digrignava i denti furioso, il suo sguardo era
fisso su quella romantica scenetta. Egli sapeva benissimo il legame che c'era
tra i due e, anche se nessuno gli aveva detto niente, era a conoscenza anche
dei sentimenti che popolavano il cuore del rosso verso quella ragazza. Quella
visione della Iena infuriata voleva dire solo una cosa:
guai in vista.
Il gruppo fu diviso
in due ed egli si ritrovò con Gwen, Dana e la regina.
Dopo che la sovrana
salutò la folla, salirono sulle carrozze e partirono. Lì Duncan vide qualcosa
di sconvolgente: all'interno della loro carrozza vi era una bambina vestita con
un abito raffinato quasi quanto la regina. La cosa che sconvolse di più il moro
fu il fatto che era identica alla madre Evelyne. Duncan rimase immobile a
fissarla per circa metà del viaggio, mentre la regina illustrava le terre che
percorrevano a gran velocità. - Questa è la mia figlia più piccola, Adeline.
Hai intenzione di fissarla ancora per molto? - Ghignò lei, vedendo l'imbarazzo
della figlia per colpa di quello sguardo. - Mi dispiace. È solo che vostra
figlia assomiglia molto a una persona speciale per me. - Si giustificò lui,
maledicendosi per la figuraccia. La donna guardò prima lui e poi la figlia, con
uno sguardo che sembrava fosse partita lontano. - Anche a me ricorda una
persona speciale... - Si limitò a dire la donna, mentre il suo sguardo si fece
più triste. La bambina a quella vista, abbracciò la madre e così il resto del
viaggio trascorse in silenzio.
***
Dawn stava con
quello?!? Non ci poteva credere. È la cosa peggiore era che il suo caro marito
continuava a fissare Scott. Come un cane che proclama allo sfidante il proprio
territorio. Non sapeva perché il principe continuasse a fissarlo in quel modo,
ma sapeva per certo che non avrebbe resistito ancora per molto. - Quindi tu sei
il marito di Dawn... - Disse vago lui, approfittando del fatto che la bionda si
era addormentata tra le braccia del moro.
E a quella visione,
la voglia di scaraventare fuori di lì quell'uomo aumentò ancora di più.
L'aveva sentito dire
da una donna nella folla quando i due si stavano baciando, che i due fossero
sposati.
E una parte di lui
sperava che fosse tutto falso.
- Siamo sposati da
cinque anni. - Mormorò il principe, senza distogliere lo sguardo dal suo
"nemico".
Il rosso girò il
capo verso il finestrino, guardando distrattamente l'immensa distesa di sabbia
che si presentava ai suoi occhi.
Il paesaggio lì era
strano: si passava molto bruscamente dalla neve alla sabbia al verde, dalla
pianura alle montagne al mare. Quasi perdevi il senso dell'orientamento.
- Non te l'ha detto?
- Chiese Alucard, dopo un lungo periodo di silenzio.
- Non ci aveva
accennato niente di tutto ciò... - Si limitò a dire Zoey che assieme a Mike
stavano assistendo a quella scena.
Il principe passò in
rassegna i volti di tutti i presenti nella carrozza, fino a incatenare di nuovo
il suo sguardo con quello di Scott.
- Allora non sapete
niente neanche del bambino... - Dichiarò l'uomo, accarezzando il ventre della
sua compagna. In quel preciso istante, mentre lo stupore dilagò tra i presenti,
mentre il cocchiere annunciava che il castello era in vista e mentre Dawn si
svegliò incrociando i loro sguardi quel poco che era rimasto integro dell'animo
di Scott fino a quel momento si distrusse del tutto.
Angolo dell'Autrice:
Cucù! Eccomi qua!
La vostra Sammy è tornata bella fresca dalla gitarella in Liguria/Costa Azzurra con...
QUESTO FANTASTICO CAPITOLO!!!!
Che, per colpa di quello che ho scritto, mi ucciderete di sicuro u.u
A me e a Alucard sicuramente xD
Comunque qui sotto ecco le pietre di Scott, che tutti volevano vedere :D
Turchese (pietra del Sagittario)
Topazio (pietra dello Scorpione)
Qui invece le immagini della regina Marylee e del principe Alucard...
Immaginateli con gli occhi senza sclera (purtroppo non ho trovato volti con occhi del genere -.-
Ecco a voi la regina (bella eh...?)
Ed ecco a voi Alucard (che tanto odiate xD)
E con questo mi congedo da voi e vi auguro una buonanotte.
A lunedì
Un bacione:^.^:
Sammy
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
Dark Lake - Capitolo 11
Il castello del Regno di Fara era una costruzione leggiadra
e proiettata verso l'alto. La pietra era dello stesso colore della sabbia
intorno, tanto da farlo sembrare di sabbia anch'esso. Egli si sviluppava verso
il cielo con alte e sottili torri un'affianco all'altra. La cosa però più
strana che attirò l'attenzione di tutti furono le mura che lo circondavano:
Esse non erano di pietra, ma erano fatte di sabbia che
turbinava nell'aria come mossa da un forte vento. Ai lati della porta, come a
proteggerla, vi erano due immense figure femminili. Esse erano parte integrante
della cinta muraria e guardavano sospette e minacciose le due carrozze.
- Chi va là? Amico o nemico? - Chiese solenne la figura a
sinistra, sfoderando una lancia dal nulla e puntandola verso il cocchiere della
prima carrozza che ospitava la regina.
- Amici. Porto la regina e i sei Guardiani. - Annunciò
l'uomo non intimorito dalla mole delle due creature.
Le due Donnedisabbia si guardarono negli occhi, per poi
aprire il cancello e far entrare i due convogli all'interno. Si ritrovarono in
un cortile deserto, dove vi erano sostate carri, carrozze e altri veicoli.
Un forte vento colpì i volti dei Guardiani appena scesi
dalle carrozze. Duncan alzò leggermente lo sguardo intorno a sé, trovando solo
sabbia e dune. Erano in mezzo ad un deserto, senza neanche una goccia d'acqua
nel giro di chilometri. Si chiese come un castello potesse sorgere in un posto
del genere...
Volse il suo sguardo verso le mura e in particolare verso le
due figure a guardia della porta che avevano lo sguardo fisso verso
l'orizzonte.
- Queste mura sono incantate. Le ha costruite un potente
stregoni secoli orsono. Non solo ci proteggono dai nemici ma anche dalle
tempeste di sabbia che qui sono numerose... - Spiegò la regina mentre con la
mano li invitava a seguirla all'interno del castello. Appena entrato, Duncan
potè ammirare i numerosi vasi fioriti posti ai lati di ogni corridoio. Per
tutto il tragitto che fecero tra corridoi e scale Marylee gli faceva da
Cicerone, illustrando tutti i segreti di quel luogo.
- Il castello è stato costruito in mezzo a questo deserto
per una questione strategica: da qui si possono osservare tutte le terre del
regno, nessuna esclusa. Questo ci da l'opportunità di tenere sottocontrollo e
di avvistare in largo anticipo l'arrivo di qualche invasore. Il castello si
sviluppa anche sottoterra; lì le sale sono adibite a mercato cittadino per
tutti gli abitanti della capitale, a magazzino per le scorte e abbiamo anche
molte serre da cui vengono ovviamente tutti i fiori che vedete in giro... - Il
moro smise di ascoltarla nel momento stesso in cui il suo sguardo incrociò due
occhi acquamarina che lui conosceva molto bene:
In un dipinto quasi nascosto vi era impressa l'immagine di
sua madre, vestita con un semplice e meraviglioso abito celeste. Ella portava
tra le braccia un fagottino, da cui spuntava il viso di un neonato che dormiva
placidamente tra le braccia della madre. Sulla cornice vi era una piccola targa
d'oro, impolverata. L'uomo tolse con la mano la polvere e lesse la piccola
scritta che vi era impressa:
"Un giorno, torneranno a regnare su Fara"
Egli sgranò gli occhi spaventato e indietreggiò, fino a
poggiare la schiena sul muro di pietra.
Quella visione gli provocava un forte capogiro.
- Duncan dove sei? Stiamo perdendo il gruppo... - Gwen lo
raggiunse poco dopo, non vedendolo più. Appena arrivò lì anche lei fu attratta
da quel dipinto. Si avvicinò ad esso con cautela e con ancora più cautela lesse
la targhetta.
- Che significa tutto ciò? - Chiese lei, guardando
sconsolata prima lui poi il quadro.
Duncan prima respirò a fondo, mentre cercava la voce che
aveva perso, poi guardò negli occhi la donna e disse: - Qualcuno qui ci sta
nascondendo qualcosa... - Non finì però di pronunciare la frase, dato che Dana
li stava chiamando a raggiungerli.
I due si riunirono al gruppo e insieme imboccarono uno
stretto corridoio che li portò in un altro corridoio centrale e molto luminoso.
Su una parete sei porte si affacciavano su di esso.
- Queste miei cari sono le vostre stanze, tutte sono
collegare tra di loro. All'interno di esse troverete una piccola sorpresa:
d'ora in poi avrete con voi un piccolo angelo custode, rappresentato da un
animale tipico delle terre dei vostri elementi. Esso vi proteggerà da eventuali
attacchi della Creatura a Dark Lake. Per oggi è tutto, riposate bene poiché
domani dovrete presentarvi ai vostri addestratori. Buona notte. - Concluse
Marylee, mentre il gruppo si inoltrava nelle proprie stanze.
Appena Duncan aprì la porta, fu accolto da una creaturina
molto strana, per non dire bizzarra.
Una grossa e cicciotta falena corse svolazzando a mezz'aria
verso di lui. Appena lo raggiunse, l'animaletto si aggrappò con le zampette
alla felpa del moro, osservando il suo nuovo padrone con i suoi grandi occhi
neri. Duncan rimase per un po' interdetto. Non era cosa di tutti i giorni
incontrare una falena grande quanto un cucciolo di cane.
- Tu saresti il mio "Angelo custode" insettone? -
Disse lui, staccandolo dolcemente dalla sua maglia. La stanza era molto grande
e decorata leggermente negli angoli delle pareti. Il letto a baldacchino era in
legno scuro e le lenzuola erano di colore celestino. Un grande camino
riscaldava e illuminava la stanza assieme alle candele. L'uomo si sedette sul
morbido letto e lì appoggiò la falena. Ella svolazzò tutta felice per un po',
poi si accoccolò sulle sue gambe. Solo in quel momento si accorse che indossava
un piccolo collarino celeste con una targhetta dorata.
Su di essa non vi era inciso ancora niente.
- Stai aspettando un nome allora... - Sussurrò lui,
accarezzando leggermente le antenne pelose della creaturina, che intanto si era
addormentata placidamente. Dal colore del collare capì che l'esserino sulle sue
gambe era un maschietto.
- Sei maschio, quindi ti chiamerò... Scraffy! - Annunciò,
dandogli il nome della sua amata tarantola domestica defunta.
Scraffy emise un piccolo verso che il moro tradusse come un
verso d'approvazione, come se lo avesse sentito.
Adagiò il suo nuovo animaletto sul cuscino, stendendosi poi
anch'egli di fianco.
Quella situazione era puramente assurda.
Come poteva esserci
un dipinto di sua madre, se lei
aveva sempre vissuto a Dark Lake?
L'avevano spiata per anni?
Cosa voleva dire la scritta sotto al quadro?
Tutte quelle domande frullavano frenetiche nella sua testa,
tanto da provocargli un leggero mal di testa. Più cercava una risposta a questi
quesiti, più si sentiva confuso. Di una cosa era certo però: avrebbe risolto
quel mistero, a tutti i costi.
***
- Questo sarebbe il famoso figlio di Evelyne? Non le
somiglia molto. - Disse Oleg, Guardiano elementale della Terra mentre osservava
nella sfera di cristallo l'immagine del moro.
- Oleg guarda bene, ha i suoi stessi occhi... - Gli fece
notare Elisabeth, Guardiana elementale dell'aria. La regina aveva riunito tutti
i Guardiani elementali per una riunione straordinaria. Ordine del giorno:
l'arrivo dei Guardiani e soprattutto di Duncan.
- Chi sarà il fortunato che lo addestrerà? Qui tutti siamo
impazienti di sapere questo... - Domandò Perceval, Guardiano elementale del
fuoco. La regina osservò negli occhi tutti i presenti nella sala del trono,
leggendovi un'evidente trepidazione nel sapere tale notizia.
- Le sue pietre parlano chiaro. Greg, sarai tu ad addestrarlo.
Duncan è il Guardiano del tuono. - Annunciò Marylee, facendo nascere un leggero
sorriso sul volto imperscrutabile del Guardiano elementale del tuono. Ci fu un
attimo di silenzio finché la Guardiana elementale dell'acqua, Belle, pose la
domanda che tutti volevano dire ma nessuno aveva il coraggio di farlo:
- Cosa succederà adesso mia regina. Le regole di successione
parlano chiaro... -
La regina si alzò e a passo lento si diresse verso il grande
finestrone a destra della stanza. Osservò per molto tempo la tempesta di sabbia
che infuriava fuori e le mura che servili proteggevano il castello dalla
tempesta.
- Questo cambia tutto. Lascerò che però sia lui a scegliere.
- Disse lei, senza distogliere lo sguardo dal finestrone.
- Sua maestà non credo sia possibile una cosa del genere. La
profezia dice... -
- Non mi importa della profezia! Per colpa della stessa
profezia ho perso la cosa più importante che avessi. Sceglierà lui che fare
punto e basta! - Ordinò autoritaria la donna, voltandosi verso i presenti e
riuscendo ad intimidire anche i temibili Guardiani elementali.
Respirò a fondo e dopo essersi calmata, ritornò a guardare
la tempesta al di fuori delle mura.
- Dopotutto non è da tutti i giorni diventare il re di un
regno... -
***
Il sole era già calato quando Gwen arrivò nella sua stanza.
Avevano passato tutta la giornata nelle loro camere, mentre delle cameriere gli
portavano i pasti a pranzo e a cena.
Dovevano riposare dopo il viaggio con il portale, dicevano.
Ed infatti dopo quella traversata Duncan era stato investito da una pesante
stanchezza, che lo aveva fatto dormire quasi tutto il giorno. Adesso aveva
recuperato le forze, abbastanza per poter affrontare un discorso con Gwen.
Sapeva benissimo di cosa voleva parlare...
Era pronto, anche se non sapeva esattamente cosa dire.
La donna si avvicinò a lui, mentre dietro di lei
trotterellava un piccolo gattino completamente nero. La cosa strana di quel
cucciolo era che possedeva quattro occhi che emettevano luce propria.
- Come lo hai chiamato il gattino? - Disse lui indicando la
pallina di pelo dietro di lei.
- Si chiama Luna e non è un gatto... È una pantera fulminea.
Una serva mi ha detto che è la creatura più veloce del regno... - Mormorò lei,
prendendo in braccio il cucciolo e accarezzandolo soprappensiero. L'uomo la
guardò per un po', prima che lei ponesse la sua domanda:
- Ti sei fatto qualche idea su quel quadro? -
- Mia madre è nata qui, ne sono sicuro. Adesso voglio
trovare lei... - Sibilò lui, stringendo il bicchiere di cristallo da cui stava
bevendo.
- Lei chi? -
- La donna che ha avuto il coraggio di abbandonarla. La
donna che l'ha gettata via dopo averle dato la vita... - Quella frase e quei
pensieri provocavano in lui una così grande rabbia, che il bicchiere di
cristallo si ruppe nel suo pugno stretto. Subito il moro sentì il dolore del
tagli procurati con il bicchiere ma nonostante tutto continuò a stringere la
presa.
La rabbia ancora scorreva bollente nelle sue vene. Ma per
fortuna con lui c'era Gwen che preoccupata e paziente raccolse tutti i pezzi e
lentamente cercò di medicare al meglio i suoi tagli.
Gwen sembrava essere nata per fare questo. Medicare le
ferite della sua rabbia e fermarlo prima di commettere qualche guaio.
Nella stanza regnò il silenzio più assoluto, mentre la mora
continuava a medicare la mano.
- Pensi sia ancora viva? - Disse lei, senza guardarlo negli
occhi.
- Spero di si. Perché voglio guardarla in faccia e chiederle
tutti i perché che ho. - Sospirò lui, sentendo una strana tristezza
impossessarsi di lui. Senza neanche rendersene conto, la donna lo abbracciò,
stringendolo in una dolce stretta. L'abbraccio di Gwen ebbe il potere di
annullare tutta la rabbia che aveva in corpo. Non ci pensò più di tanto però,
dato che il suo unico pensiero in quel momento era stringere a sua volta la
mora con tutte le sue forze, fino ad imprimersi addosso il suo profumo.
I due rimasero stretti per molto tempo, ma a loro non
importava. Sarebbero rimasti in quella posizione anche tutta la notte.
- Cosa intendi fare adesso ? - La domanda di Gwen arrivò
come un vento improvviso, che fece ritornare le grandi incertezze che fino a
quel momento si erano assopite nell'animo del moro.
- Non so, investigherò in giro... -
- Io intendo con il mandato d'arresto... Che farai? -
Duncan si era quasi dimenticato di quel particolare.
Cominciò a giocherellare con una ciocca dei capelli di Gwen, mentre fuori la
tempesta di sabbia si fermava del tutto.
- Non posso più tornare a Dark Lake, almeno non adesso. Mi
credono morto è vero, ma è meglio aspettare che si calmino le acque... - Disse
lui. La donna a sentire quella frase si liberò bruscamente dall'abbraccio e si
alzò.
- E quanto aspetterai? Altri quattordici anni?! - Disse lei
velenosa.
- Te ne sei andato quando è morto Daniel e mi vuoi lasciare
di nuovo da sola. Hai un talento ad abbandonarmi quando ho più bisogno di te
vero? - Quelle parole riuscirono a distruggere in un lampo il rivestimento di
pietra e a colpire il cuore del punk.
Gli faceva male sentire tutto quel veleno da parte della
mora.
Non credeva di averle fatto così male andandosene allora.
Questo era lui: chiunque gli stava accanto soffriva.
D'istinto la raggiunse, la fece voltare in modo da imprigionare i suoi occhi in
quelli color ossidiana della donna.
Delle grosse lacrime sporcavano quelle profonde iridi scure
e questo gli spezzò il cuore.
La strinse a sé fortissimo, quasi a soffocarla mentre
dolcemente con le mani asciugava il suo viso dalle lacrime.
- Non posso nascondermi da te. Sarebbe la prima casa dove mi
andrebbero a cercare e tu finiresti nei guai. Non voglio trascinarti nella mia
rovina. - Sussurrò Duncan, mentre la baciava tra i capelli per calmarla.
- Ti credono morto, l'hai detto anche tu. Non ti
cercheranno... - Singhiozzò Gwen, prendendo tra le mani il volto del moro.
Egli prese le mani della donna e li strinse nelle sue.
Aspettò che i singhiozzi di Gwen cessassero, mentre la
piccola Luna si strusciava tra le sue gambe per consolare la sua padrona.
Lo sguardo dell'uomo non abbandonò neanche per un istante
quello dell'amica che invece era rivolto verso il basso.
Si era ripromesso di non lasciarla sola, ma stava per
rompere quella promessa. Ci pensò su per un attimo, cercando la soluzione più
giusta che potesse conciliare le richieste della donna e non coinvolgerla nei
suoi guai.
- Facciamo così: resterò per un po' qui. Tu intanto
cercherai di capire se lo sceriffo mi crede davvero morto o si ostina ancora a
cercarmi. Se tutto andrà bene, ti lascerò da sola solo per qualche giorno. -
Bisbigliò lui lentamente, lasciando andare la presa dalle mani di Gwen. La mora
si ricompose e, dopo aver alzato lo sguardo gli disse con voce ferma:
- Promettimi che non sparirai di nuovo. -
- Ti starò sempre accanto, non ti abbandonerò di nuovo. -
Aggiunse lui dandole un bacio sulla fronte.
La luna e le poche stelle in cielo gli furono da testimoni.
Angolo dell'Autrice:
Salveeeeeee!!!!
Ecco un'altro capitolo!
Adesso stiamo entrando nella vera atmosfera di Dark Lake...
Quindi aspettatevi molti intrighi, misteri e molte immagini fighe come questa!
Bella vero? io la trovo fantastica!!!
Qui sotto trovate le immagini cucciolose degli "Angeli custodi" di Duncan e di Gwen
Questo è Scraffy :3
E questa è Luna (Ho preso un'immagine di Homestuck per rappresentare questo animaletto)
Non sono puccettosi questi cuccioletti?
Per me si, molto...
Nei prossimi capitoli metterò anche le immagini dei Guardiani
elementali, così giusto per mettere altre immagini fighe! :D
Adesso vi lascio, ho un sacco di uova di cioccolato che mi attendono
Buona Pasqua a tutti!!!
Un bacione:^.^:
Sammy
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
Dark Lake - Capitolo 12
Era ormai notte
fonda e nel castello c’era un silenzio di tomba. Duncan uscì silenzioso dalla
sua stanza e ancor più silenzioso si diresse verso quella di Gwen. Portava in
braccio la ragazza addormentata, la piccola Luna trotterellava allegra dietro
di lui e Sraffy si faceva portare aggrappato ai suoi capelli. Quella scena
risultava solamente ridicola, da qualsiasi punto di vista. La strana
processione durò poco per fortuna, poiché la stanza della mora era
relativamente vicina alla sua. Adagiò il corpo dormiente di Gwen sul letto e
aiutò anche la gattina a salire. Luna si stiracchiò per bene, facendo vedere i
suoi piccoli denti bianchi e si acciambellò al suo fianco. L’uomo guardò la
donna per un po’, mentre la sua mano lentamente scopriva quel viso bianco dalle
ciocche scure.
Era bellissima.
Quella pelle era
così liscia e bianca da farla sembrare morta, eppure anche il più piccolo
contatto bastava per iniettare una pericolosa dose di calore nelle vene del
moro.
Quattordici anni fa
era scappato da Dark Lake non solo per la morte di sua madre. Sapeva benissimo
che il suo cuore stava cominciando a provare qualcosa di rischioso nei
confronti di Gwen. Era scappato anche da quei sentimenti, sperando che la
lontananza da lei avrebbe sistemato tutto.
“Povero illuso” Si
disse, costatando che anche dopo tutti i kilometri che li avevano separati per
tutti quegli anni, era bastato solo intravedere le case di Dark Lake
all’orizzonte per riaccendere la scintilla.
Non poteva buttare
un’amicizia così longeva per una semplice scintilla del cazzo. Lui non era il
suo tipo, l’aveva capito quando aveva incrociato il suo sguardo per la prima
volta dopo anni. In quegli occhi aveva visto una luce così accecante da
spaventarlo. La sua anima era macchiata di nero, sporca di troppi crimini e
buia come poche.
Tutto quel nero era
pericoloso per quella luce. E per preservarla, doveva lasciarla andare. Gwen
era un uccellino libero. Non aveva il coraggio di rinchiuderla in una gabbia
tanto oscura.
Si guardò intorno e
solo dopo essersi accertato che nessuno era in arrivo, fece la sua mossa.
Veloce poggiò le sue labbra su quelle di Gwen, in un contatto che duro solo un
secondo. Svelto uscì da quella stanza, prima di saltarle addosso. Chiuse gli
occhi e, maledicendosi cercò disperato in pacchetto di sigarette nella tasca.
Appena accese la sigaretta i suoi nervi si calmarono. Nel frattempo Sraffy
cercava di tranquillizzarlo grattandogli la testa.
- Non si fuma nei
corridoi… - Duncan si girò di scatto, trovandosi davanti la figura della
regina.
- Vieni andiamo in
terrazza. – Sussurrò lei, facendogli segno di seguirla. Il moro prima la guardò
sorpreso, poi la seguì oltre il corridoio in quella che doveva essere la sala
del trono.
Era una stanza dal
soffitto altissimo, decorata con tende rosse e statue di sovrani ormai morti.
Alla destra vi era
una grande finestra, che portava ad una terrazza altrettanto grande. Il vento
caldo del deserto schiaffeggiò il viso del ragazzo che continuò a fumare
imperterrito.
- Come vi siete
trovati tutti nelle vostre stanze? È di vostro gradimento la nostra ospitalità?
- Chiese la donna, osservando attenta ogni movimento del giovane.
- Siamo tutti molto
impressionati... Io sinceramente sto aspettando che arrivi la fregatura. -
Rispose secco lui, senza neanche guardarla negli occhi.
- La fregatura? -
- È tutto troppo
bello per essere vero o mi sbaglio? - Disse lui, terminando la sigaretta e
gettandola via.
Marylee lo guardò
per un po', poi si concentrò sul piccolo Scraffy che volteggiava felice sulle
loro teste.
- Sei il Guardiano
del tuono quindi... -
- Direi di si... -
Sospirò lui, osservando anche lui il volo circolare della piccola falena.
- Greg può sembrare
una persona losca, ma non preoccuparti. Sa essere un buon addestratore, anche
molto paziente. Pretende molto però nei suoi allenamenti. - Disse lei con un
tono quasi materno.
- Ecco qui la
fregatura: posto da sogno ma ci tocca lavorare sodo. - Si lamentò il punk son
una mezza risata in volto.
- Credevi di fare la
vacanza qui? Ti sbagli. - Lo rimproverò la donna.
- Quasi quasi me ne
tornavo a casa, piuttosto che venire a disturbarti. -
- Stamattina eri
meno spavaldo di adesso... - Costatò lei.
- Prima ti ho visto
molto agitato. Era per mia figlia? O per quel quadro nel corridoio? - A
quella domanda il gelo calò su di loro. Duncan rimase a bocca aperta per un bel
po', stupido dalle parole della regina.
- Ricorda Duncan: io
ho occhi e orecchie dappertutto. Non sarei la regina di questo regno
altrimenti! - Esclamò lei prendendo in braccio il piccolo Sraffy.
- Cosa sai allora di
quel quadro? - Domandò immediatamente lui, cogliendo al balzo quell'occasione.
Doveva sapere la
verità su quel quadro.
La donna prima
lasciò andare la falena e poi si mise le mani sui fianchi e con sguardo serio
disse:
- Se ti raccontassi
tutta la storia, non mi crederesti. Sarà più divertente scoprirlo. - Si limitò
a dire, avviandosi verso le sue stanze.
Credeva di essere
pronta a dirgli tutto, ma non ci era riuscita.
Che stupida!
- Non puoi dirmi
così! - Esclamò lui, mentre la figura di Marylee spariva velocemente tra i
corridoi.
Egli la rincorse per
un po' prima di perdere le sue tracce tra i vari corridoi.
Cosa stava a
significare la frase della regina?
Quale storia si
nasconde dietro quel quadro?
Domande del genere
frullavano nella testa del moro, mentre ritornava sconfitto nella sua stanza.
***
Dawn bussò alla
porta di Scott, determinata a parlargli. Aveva notato nella sua aura uno strano
e spaventoso cambiamento da quando erano arrivati al castello, legato
soprattutto con Alucard. La bionda aveva chiesto al marito cosa fosse successo
ma egli non gli seppe dire nulla di rilevante. Era anche per quello che era lì:
doveva parlare con lui e capire cosa lo tormentava.
- Chi è? - Sbottò
lui infastidito aprendo la porta. Appena si ritrovò la ragazza davanti, il suo
volto divenne cupo.
- Che ci fai qui tu?
-
- Voglio parlarti:
riguardo quello che tu e Alucard vi siete detti... - Iniziò lei, sgusciando
dentro la camera.
Il rosso chiuse la
porta sbattendola, prese una sedia e si sedette di fronte alla ragazza che
intanto si era accomodata sul letto.
- Cosa vuoi sapere
di preciso? - Disse lui, mentre la rabbia cominciava a ribbollire dentro di sè.
Non poteva farci
niente. Sapere che dentro di lei cresceva il figlio di un'altro uomo lo faceva
diventare matto.
Non sapeva il motivo
preciso, ma il suo orgoglio si rifiutava di cercare una risposta a quella
domanda.
- Cosa ti ha detto
che ti ha infastidito così tanto? - Domandò ingenua lei, con i suoi grandi
occhi blu cobalto.
Scott si alzò di
scatto, scappando da quello sguardo che riusciva a trasportarlo in un altro
mondo e cominciò a fissare intensamente la finestra. Dopo molti minuti di
silenzio, la Iena finalmente parlò.
- Sei incinta. Non
negarlo. - Dawn rimase sorpresa non poco da quello che aveva appena sentito.
Lei incinta?
Impossibile!
Svelta di alzò e si
avvicinò cauta a lui, che intanto le dava ancora le spalle.
- È questo quello
che ti ha detto Alucard? - Chiese lei, poggiando cauta una mano sulla sua
spalla. Le spalle del rosso prima s'irrigidirono a quel tocco poi si
rilassarono lentamente.
- Io non aspetto nessun
bambino, è la pura verità. - Sussurrò lei. Scott non riusciva a credere a
quelle parole. Una parte di lui era fermamente convinto che stesse mentendo,
l'altra era già pronta a perdonarla.
Nel frattempo però
in lui cresceva una bollente rabbia verso quel dannato principe.
All'improvviso la
mano di Dawn lasciò la presa sulla sua spalla, come se si fosse scottata.
Egli si girò e la
vide seduta a terra piangente, mentre guardava la sua mano completamente
bruciata.
- La... B-boccetta
S-Scott... - Biascicò lei nel dolore di quella bruciatura. Il ragazzo
rimase per dei secondi immobile, poi corse verso il suo zaino alla ricerca
della bocchetta. Prese la fiala contenente la medicina che gli era stata data
dopo la Cerimonia, ne prese una grossa quantità e cominciò a spalmarla sul
palmo della bionda. Le lacrime non smisero di scendere dagli occhi della
ragazza che a denti stretti sopportava il dolore di quella bruciatura. Grazie a
quel liquido vischioso, il rossore sparì quasi del tutto, diventando soltanto
un vago ricordo.
- Cosa è successo? –
Chiese lui stupito, mentre fissava insistentemente il palmo di quella mano.
- Hai perso per un
attimo il controllo dei tuoi poteri… - Mormorò Dawn, alzandosi da terra e
asciugandosi le lacrime. Notando l’espressione confusa della Iena, si spiegò
meglio:
- Appena avete messo
piede in questo regno i vostri poteri si sono ampliati e potenziati in maniera
esponenziale. E’ molto facile perdere il controllo di essi e per questo abbiamo
la Cerimonia. La tua rabbia ti ha fatto perdere lucidità e i tuoi poteri hanno
approfittato di questo… Devi stare molto attento d’ora in poi. –
- Il tuo bel
maritino dovrà stare attento d’ora in poi per avermi preso in giro… - Sibilò
lui stringendo i pugni, che intanto cominciarono ad essere circondati dalle
fiamme.
Non andava per
niente bene, doveva calmarlo.
Si avvicinò
velocemente a lui e gli prese il viso tra le mani, in modo da far incrociare i
loro sguardi.
- Verresti messo in
prigione prima ancora di farlo davvero. Ci parlerò io con lui ok? Deve delle
spiegazioni anche a me dopotutto… - Disse lei lentamente. Quelle parole
riuscirono a far calmare Scott e le fiamme intorno ai suoi pugni sparirono così
come erano apparse. Solo in quel momento Raggio di luna si accorse della
vicinanza delle sue labbra con quelle del rosso. Alzò lo sguardo velocemente
incrociando però i suoi occhi e lì si perse. Erano di un colore grigio con una
vaga sfumatura di blu. Essi avevano il potere di spogliare la tua anima e
leggerci ogni singolo segreto del tuo passato e presente. Aveva incontrato
pochi occhi che sapevano suscitare in lei così tanti brividi e solo quelli sapevano
spaventarla e incantarla allo stesso tempo.
Scott si era perso
anch’egli in quel mare blu cobalto, annegandoci. Potevano esistere occhi così
grandi capaci di mangiarti vivo in un modo così dolce?
Riuscì a liberarsi
da quelle iridi e il suo sguardo si spostò sulle labbra della bionda.
Di male in peggio.
Per fortuna o
sfortuna l’orgoglio riprese possesso del corpo della Iena, salvandolo da tutto
quello. Svelto pose più distanza possibile tra lui e la bionda e ancora più
veloce uscì dalla stanza. Camminò per chissà quando, perdendosi tra i vari
corridoi del castello. Appena si sentì abbastanza lontano da Dawn si fermò e
fece un lungo sospiro.
Se continuava a
stargli così vicino, avrebbe commesso una sciocchezza di sicuro.
***
L’atmosfera a pranzo
nella sala dei banchetti era stranamente tesa quel giorno. Ognuno dei Guardiano
mangiava nel più totale silenzio.
La regina si alzò
dal tavolo e si schiarì la voce, per avere così l’attenzione di tutti puntata
su di sé.
- Oggi è un giorno
importante: è il vostro primo giorno di addestramento. I vostri allenatori
saranno i Guardiani che secoli orsono ricevettero i loro poteri dalla dea
Yllissa e che furono preparati alla battaglia da Edea stessa e suo figlio,
Alucard I. Credo che adesso sia l’ora delle presentazioni. Per primo entrerà il
Guardiano elementale del fuoco, Perceval. –
La porta d’oro della
sala si aprì e da essa fece capolino una figura monumentale, capace di sfiorare
l’alto soffitto. Indossava un abito da Samurai rosso e nero, ai lati portava
due affilate katane. Il suo viso era ovale e nascosto dai lunghi capelli
bianchi, che scendevano dolci sulle spalle. Il Guardiano fece un elegante
inchino alla regina, uno scarafaggio in confronto a lui e si mise davanti alla
lunga tavola, osservando attentamente Scott.
Marylee intanto
continuò con il suo discorso. Ella chiamò uno alla volta tutti i Guardiani
elementali:
Dopo Perceval
comparve Elisabeth, Guardiana elementale dell’aria. Ella indossava un’elegante
armatura argentea che terminava con una lunga gonna color rosso porpora. Sui
suoi lunghi capelli rossi poggiava un elmo con lunghe piume bianche. Dalla sua
schiena spuntavano due grandi e bianche ali. Dopo Elisabeth arrivò Oleg che era
il Guardiano elementale della terra. Il suo abito era fatto di erba, fiori e
corteccia, come i suoi capelli. Indossava delle lunghe e ramose corna di cervo
e portava con sé un bastone di legno molto decorato al manico. Poi fu il turno
di Belle la Guardiana elementale dell’acqua. Ella arrivò cavalcando una piccola
onda, che altro non era che una parte del suo corpo. I suoi capelli erano
bianchi come la spuma del mare e i suoi occhi erano verdi come l’acqua del mare
più chiaro. Dopo di lei comparve Anabel la Guardiana elementale del fulmine. La
sua pelle emanava un leggero brillio e i suoi occhi erano fatti di luce pura.
Questo rendeva la sua figura leggermente inquietante.
Ma era niente
rispetto all’ultimo Guardiano elementale, quello del tuono. Appena la regina
pronunciò il suo nome, la sala sprofondò nel buio. Da quella oscurità, dopo un
tuono assordante comparve la figura monumentale di Greg. Duncan sgranò gli
occhi, a metà tra lo sbalordito e l’inorridito. Il Guardiano elementale era un
gigantesco scheletro, coperto solo da un mantello nero che sembrava essere
fatto di fumo. Da quello strano indumento di vedeva chiaramente il suo petto
con le costole bianche come la neve. In mezzo ad esse, un grosso cuore nero
pompava sangue in un reticolo inquietante di vene bluastre. La figura osservò
attentamente tutti i presenti in quella sala, per poi puntare le sue iridi
vuote in quelle acquamarina del moro. E in quel preciso momento, mentre le
pupille di quel teschio lo fissavano, a Duncan sembrò di vedervi all’interno un
leggero bagliore. Come se quelle ossa fossero solo una maschera.
Chi si nascondeva al
suo interno?
Angolo dell'Autrice:
FINALMENTE SONO RIUSCITA A PUBBLICARLO!!!!
Non sapete il calvario che ho dovuto passare. Vi dico solo che ogni tipo 10 minuti il pc si spegneva da solo -.-
Vi ho detto tutto!
Voglio un pc nuovo T.T
Comunque per questo mese non vi aspettate tanta attività da parte mia...
purtroppo è arrivato maggio e ha dichiarato guerra aperta a noi studenti.
Voglio Giugno T.T!!!!
Comunque la parte Gwencan è stata ispirata dalla canzone Demons che vi consiglio di sentire con la traduzione del testo alla mani. Adesso ecco a voi le immagini MOLTO Feighe dei Guardiani elementali:
Perceval (riesco a vedergli i muscoli *^*)
Elisabeth
Oleg
Belle
Anabel
e infine Greg *^*
Li amo così tanto!!!! (soprattutto Greg e quel figaccio di Perceval <3)
Adesso vi lascio, vado a rispondere a tutti le recensioni a cui non ho ancora risposto appunto ^^" *si vergogna di se stessa)
Un bacione:^.^:
Sammy
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 13 ***
Dark Lake - Capitolo 13
Dopo le veloci presentazioni, il gruppo di Guardiani venne
trascinato verso l'uscita del castello, nel cortile centrale. I Guardiani
elementali li raggiunsero subito, fermandosi di fianco a ognuno di loro. Dana
prese un piccolo sacchetto e diede un qualcosa di rotondo a ognuno di loro.
Aveva le dimensioni di una prugna e al tatto era morbida come una pesca. La
cosa più strana di quel frutto era il colore. Nelle mani di Dana erano bianche
ma appena le mani dei Guardiani le afferrarono, presero i colori e le sfumature
più svariate.
- Queste sono bacche viaggiatrici, consentono di spostarsi in qualunque posto
si voglia andare. Cambiano colore appena avvertono il contatto con un
Guardiano. - Spiegò la rossa, osservando le facce stupite del gruppo.
Come poteva un semplice frutto trasportarli?
Per fortuna, in loro aiuto arrivò Dawn.
- Dovete semplicemente dargli un morso e pensare a dove volete andare. In
questo caso pensate tutti al vostro elemento, la bacca penserà al resto. -
Concluse lei poi diede un morso al frutto e in una nuvola di vapore scomparve
assieme a Belle.
Dopo un paio di minuti, sotto le sollecitazioni dei Guardiani elementali, il
gruppo addentò coraggiosamente quelle bacche. Avevano un gusto simile alla
cannella con un leggero retrogusto di liquirizia.
Duncan sgombrò la mente da ogni pensiero e si concentrò sul suo elemento. Pensò
ad un ricordo in particolare: una tempesta estiva, potente come poche che
accompagnò la notte del suo settimo compleanno con il fragore dei tuoni.
Ripensò intensamente a quel suono, al cielo nero pieno di nuvole, alla pioggia
che cadeva incessante, a sua madre che lo guardava sorridente mentre egli
osservava rapito quello spettacolo.
Con quei pensieri, il moro non si rese neanche conto che stava già viaggiando
verso il cui campo d'addestramento.
***
L'unica
cosa che vedeva in quel momento era una nebbia
lattiginosa. Essa vorticò intorno a Zoey per un tempo
indefinito, poi la nebbia
lentamente si dissolse e la ragazza si ritrovò circondata dalle
nuvole. Si
trovava su una piattaforma di metallo che volteggiava a chissà
quanti
chilometri di distanza dalla terraferma. Intorno a lei, spuntavano
violente tra
le vaporose nuvole le cime appuntite di una lunga catena montuosa,
completamente prive di vegetazione e di fronte a lei vi era un grande
castello sulla cima di una montagna, con le mura in pietra bianca e il
tetto con tegole scure. La piattaforma metallica dove si trovava
era tenuta in aria da quattro palloni aereo statici posti ai quattro
angoli.
Alla sua destra vi erano varie armi e scudi e alla sua sinistra un
mucchio di
manichini distrutti.
- La vista da qui è spettacolare vero? - La voce del Guardiano elementale
precedette la comparsa della sua slanciata figura. Ella arrivò dall'alto, con
una potente picchiata che terminò in un delicato atterraggio. Le sue maestose
ali rimasero spalancate per un attimo, mostrando la loro smisurata grandezza.
Elisabeth era una donna di straordinaria e particolare bellezza; questo non era
determinato per i suoi lineamenti, ma per il suo atteggiamento fiero e deciso.
Questo faceva di sé una donna forte che sembrava non aver paura di nulla,
capace di farti vacillare e prosciugarti le forze con un solo sguardo. E
proprio quel famigerato sguardo era fisso su di lei, che la squadrava da capo a
piedi. La rossa abbassò lo sguardo a disagio, notando solo in quel momento che
sulla piattaforma di metallo dove erano vi era inciso un grosso stemma. In esso
riconobbe i simboli dei suoi due segni incrociati tra di loro, ossia l’acquario
e il capricorno. Nella cornice ovale che racchiudeva questi due simboli vi era
scritto, con un carattere dai tratti marcati e leggeri:
Siam nati per lottare, come il vento sappiam comandare.
- Ti piace qui? – Chiese all’improvviso la donna, riuscendo
a farle rialzare lo sguardo. Zoey si guardò in giro osservando l’immenso manto
soffice di nuvole intorno a lei, immobili anche se il vento soffiava furioso.
- Sembra che il temo qui si sia fermato. – Commentò semplicemente. Ed era vero!
Quel paesaggio immobile dava l’impressione che le lancette dell’orologio si
fossero fermate, in un attimo eterno di assoluta pace e silenzio.
All’improvviso il suo sguardo fu attirato da una gigantesca creatura che era
riuscita a bucare quel soffice ma resistente tappeto.
Era un pipistrello gigante, con un corpo quasi umanoide, dalle forme femminili
e ricoperto di pelo. Le sue lunghe ali erano composte da tre protuberanze ossee
di color viola, legate tra loro da una trasparente membrana. La creatura
volteggiò intorno a loro, poi atterrò di fianco alla Guardiana elementale,
lasciandosi accarezzare dalla stessa. Zoey osservò affascinata la stupenda
creatura davanti a lei. Era di sicuro la cosa più bella che avesse mai visto.
- Sei arrivata giusto in tempo. Questa è la nuova Guardiana dell’aria,
Zoey. – Disse Elisabeth alla creatura che si voltò ad osservare la ragazza.
- Come sai il mio nome? –
- Sono il tuo maestro, so tutto di te solo dopo averti osservato per una volta.
– Spiegò lei, sorridendo leggermene e continuando ad accarezzare la soffice
pelliccia del pipistrello.
- Quindi sai che io non sarei dovuta essere qui… - Sospirò, ricordando che lei
non era destinata a quello, ma Trent sì.
- Si… non è certo passata inosservata qui la morte così precoce di un
Guardiano. Quest’avvenimento significa soltanto una cosa… -
- Cosa? –
- …Che la Creatura ha un alleato. Qualcuno che vi renda le cose difficili
mentre lei cerca di spezzare le catene che la imprigionano. – Sospirò con tono
irritato. – Per questo dobbiamo lavorare sodo perché ho paura che non ci
rimanga molto tempo... – Concluse lei.
Il gigantesco pipistrello spinse leggermente con il muso la sua padrona,
emettendo bassi versi.
La donna parve scuotersi e lasciare per un attimo l’irritazione e lo sconforto
di aver perso un allievo prima ancora di conoscerlo.
- La mia qui presente compagna vuole farti un dono speciale. Un suo personale
augurio per la vita che porti in grembo e per la battaglia che tu e il tuo
futuro marito affronterete per evitare l’inevitabile. – A quelle parole la
rossa si sorprese che il Guardiano elementale sapesse anche di quel
particolare. D’istinto appoggiò la mano sul ventre. La sua più grande paura era
quella di perdere quel piccolo essere dentro di lei, il simbolo dell’amore tra
lei e Mike. A pensiero che entrambi rischiavano di morire per mano di quella
mostruosità che era imprigionata nel fondo del lago le vennero le lacrime agli
occhi.
In un istante si ritrovò stretta tra due calde braccia, che la consolarono
pazientemente.
- So di essere stata dura ma prima affronti questa realtà di petto meglio sarà
per tutti. Stai per diventare madre ed è ora che cominci a comportarti come
tale non credi? – Mormorò Elisabeth sciogliendo l’abbraccio. Quelle parole
ebbero il potere di far calmare la rossa, che subito si asciugò le lacrime con
la manica della maglia. Doveva essere forte, per il bene del suo bambino.
Appena si fu calmata notò il pipistrello gigante venire verso di lei con tra i
denti una piccola palletta di pelo blu. Essa si avvicinò a lei, mentre la donna
le mimava di prendere quella pallina in mano. Esitante Zoey la raccolse
costatando che era soffice come il pelo di un gattino di pochi mesi.
All’improvviso la pallina si mosse e Bella Gioia avvertì quattro piccole
zampette artigliate muoversi sul suo palmo. Era un piccolo pipistrello-umanoide!
- Questo piccoletto ha fatto un po’ il ritardatario ed è nato solamente questa
mattina. – Disse la Guardiana, dandole un collarino di color azzurro cielo.
L’animale emise una serie di versi verso la sua padrona Elisabeth, come se stesse
conversando con lei.
- Zya (si pronuncia Zaia N.D.A.) ha voluto personalmente che uno dei cuccioli
della sua prole fosse dato in dono a te come tuo protettore. Spera che ti dia
la forza di combattere e che ti ricordi sempre che quello che stai facendo è
per il futuro del mondo e quindi per il bene di tuo figlio. E’ spera ovviamente
che sia un ottimo protettore dato che deve difendere due vite invece che una. –
Il piccolo pipistrello si sedette sul palmo della mano della rossa e si
stiracchiò, aprendo la bocca e mostrando una fila di piccoli dentini affilati.
- Grazie… ha già un nome? – Disse lei accarezzando ancora incerta l’animaletto.
- E’ tradizione che sia il Guardiano a dare il nome al suo protettore, per
rafforzare il legame che li lega. Così ho fatto io e così hanno fatto anche i
tuoi predecessori e di sicuro lo hanno fatto anche i tuoi compagni Guardiani. –
Spiegò la donna, ma Zoey non l’ascoltò molto.
- Zya è la madre e lei è l’unica ad avere il diritto di dargli un nome, non è
vero? –
Il pipistrello guardò fisso negli occhi la sua padrona per poi rivolgere quello
che era uno sguardo dolce verso il cucciolo e pronunciale un verso sussurrato
con tono amorevole.
- Ethox, vuole chiamarlo Ethox. – Disse Elisabeth, accarezzando la schiena del
suo protettore.
Bella Gioia sentì distintamente il dolore che quella madre stava provando
all’idea di lasciare quel figlio tanto adorato. Quella visione era così triste
che la ragazza avanzò senza pensarci verso il pipistrello e lo abbracciò,
sussurrandogli all’orecchio che si sarebbe presa cura di lui come se fosse
stato suo figlio.
Appena quell’abbraccio fu sciolto, la creatura le sorrise e, con le lacrime
agli occhi, intonò un alto e melodioso verso al cielo prima di prendere il volo
e sparire tra le nuvole.
- Ti ha ringraziato del gesto a modo suo… -
- Non posso pensare che abbia affidato il suo piccolo a me. – Sospirò Zoey, lo
sguardo fisso verso l’orizzonte.
- Zya vuole essere utile in questa battaglia, ed anche se è triste per questo
distacco, sente che è la cosa giusta da fare. Farò comunque in modo che lei sia
sempre presente ai nostri incontri… –
- Così da poter vedere il figlio spesso. – Terminò Bella Gioia per lei.
Dopo qualche minuto di silenzio, la Guardiana elementale batté due volte le
mani e a passo deciso si diresse verso il cumulo di armi raccogliendo due spade
lucenti.
- Adesso però cominciamo l’addestramento. Abbiamo una Creatura da sconfiggere.
– Annunciò lei porgendo una delle due spade alla ragazza che la impugnò subito.
***
Il sapore ferroso del sangue gli invadeva la bocca,
mischiato al sapore della terra calda di quella arena dove era steso. Si alzò
lentamente percependo il dolore dei colpi che aveva subito e che lo avevano
gettato a terra. Si asciugò la fronte imperlata di sudore e sputò a terra il
sangue che aveva in bocca. Un’arena d’addestramento posta dentro il cratere di
un vulcano spento, circondato da tanti altri attivi e in piena eruzione. Tutto
quel calore era insopportabile anche per lui, che nelle notti d’inverno da
piccolo preferiva dormire nel camino acceso. Raccolse la katana e si girò con
sguardo truce verso il suo avversario. Perceval lo stava aspettando dall’altro
lato dell’arena, con uno sguardo imperscrutabile, mentre i suoi lunghi capelli
seguivano il volere del forte vento che trasportava le ceneri dei vulcani
vicini. Senza attendere un secondo di più corse verso di lui a testa bassa, la
mano destra ad impugnare l’arma, la sinistra impegnata a lanciare bombe di
fuoco al suo avversario. Il Guardiano elementale schivò senza troppa fatica gli
attacchi del rosso e poi veloce, afferrò il ragazzo per il collo e fermò la sua
corsa a testa bassa. La Iena gettò l’arma a terra per poi aggrapparsi alla mano
dell’altro stretta intorno al suo collo.
- Dimmi Scott sai cosa hai sbagliato in questo ennesimo attacco? – Disse
tranquillamente Perceval, sollevandolo da terra e stringendo la presa. Scott
boccheggiava in cerca d’aria, cercando di liberarsi dalla presa.
- Te lo dico io… - Lo gettò a terra, come se fosse un rifiuto, poi lo raggiunse
e premette il suo piede sul ventre di Scott. – Assicurati che il tuo avversario
non sia immune al fuoco prima di sprecare le tue energie con le palle di fuoco.
– Concluse e come colpo di grazia gli assestò un calcio nella pancia, che fece
piegare il ragazzo in due. Il Guardiano elementale ripose la sua katana nel
fodero, si sistemò i capelli che gli coprivano il viso e si girò a osservare
l’ennesimo vulcano in piena eruzione. Il rosso tossì e boccheggiò reggendosi la
pancia per il forte dolore, solo dopo un po’ si alzò barcollando e guardando
con ancora più odio l’uomo davanti a lui. Perché lo stava trattando così? Aveva
intenzione di ucciderlo?
- Ti sto allenando in modo che tu sia pronto a qualsiasi colpo basso della
Creatura… -
- Come hai fatto a…? – La Iena era esterrefatta, che Perceval avesse gli stessi
poteri di Dawn?
- Sono il tuo Guardiano elementale, riesco anche a leggerti nel pensiero,
comunque Dawn ha ragione…- Mormorò lui senza però finire la frase.
- Su cosa ha ragione? –
- Che sei un ragazzo dalla pelle dura quanto la tua testa, un’altra persona si
sarebbe arresa mezz’ora fa. – L’uomo si girò verso di lui e al rosso per un
attimo gli parve di scorgere un sorriso soddisfatto su quel volto
indecifrabile. Impressione che scomparve nel giro di due secondi, lasciando il
posto ad uno sguardo severo. Egli si avvicinò a lui fino ad essere a pochi
centimetri di distanza dal suo viso.
- Devi cercare di usare più il cervello per programmare i tuoi attacchi, invece
che attaccare come un toro inferocito. – Esalò Perceval per poi estrarre di
nuovo la sua fidata katana e puntarla contro Scott.
- Riproviamo, ma questa volta non sarò gentile. – Ghignò malvagio, ricevendo in
risposta dal rosso un altro ghigno.
- Neanche io sarò più così gentile fanciulla. –
***
Buio.
Si trovava nella perenne oscurità da chissà quanto tempo. Grazie alla sua
“vista notturna” era riuscito a scorgere nel buio un piccolo cumulo di armi
abbandonate a terra. Si trovava in arena come sospesa su una nuvola nera che
ogni tanto borbottava con un potente tuono, intorno all’arena vi erano delle
piccole candele che però sembravano non vincere contro l’oscurità intorno a
loro. Quella doveva essere la sua arena personale d’addestramento, ma del suo
addestratore nemmeno l’ombra. Era circondato da una nebbia oscura, più simile
al fumo. Chiuse gli occhi e respirando profondamente le sue orecchie furono
allietate con la dolce melodia del silenzio.
La melodia del buio.
“Si questo è il mio elemento” Pensò tra sé e sé sentendo
l’oscurità accarezzargli la pelle come il sole in un giorno di mare. Aprì gli
occhi e, dopo che la sua vista si riabituò di nuovo al buio circonstante,
cominciò a cercare nel mucchio d’armi qualcosa che potesse fare al caso suo. I
suoi occhi furono attirati da un paio di lunghi martelli da combattimento.
Erano lunghi come delle grosse spade ma più pesanti. Li prese e senza neanche
pensarci cominciò ad agitarli per aria come a combattere contro la nebbia che
lo circondava.
- Ottima scelta, anche se io avrei scelto un’arma meno devastante e più
precisa. – Una voce penetrò nel buio. Duncan si guardò intorno senza però
capire da dove provenisse.
- Dove sei? – Urlò lui, in posizione d’attacco. In risposta si levò una sonora
risata.
- Rilassati non sono un nemico, puoi abbassare l’arma. – Pronunciò pacata la
voce e all’improvviso dalla nebbia comparve la figura scheletrica di Greg. Il
Guardiano Elementale restò a fissarlo per un po’ con i suoi occhi neri che
sembravano adesso brillare tra quella nebbia.
- E’ una maschera quella che hai addosso? – Chiese all’improvviso il moro.
L’uomo-o se così davvero si può chiamare-rimase in silenzio a fissarlo per
altri minuti, poi parlò, con voce calma e pacata, mentre il suo sguardo si
perdeva nella visione del paesaggio circostante.
- Tutti noi indossiamo delle maschere nella vita. Chi per nascondere la sua
vera natura per paura di non essere accettato, chi per ingannare il prossimo.
Poi c’è gente che è stata costretta a indossare un preciso tipo di maschera,
solamente perché la società l’ha associata alla sua faccia e al suo nome. –
A quelle parole puntò fisso il suo sguardo sul Punk e in quel frangente egli si
sentì un lungo brivido attraversargli la spina dorsale. Quegli occhi incavati
nella maschera erano capati di intimorirlo in poco tempo.
- Questa maschera è stata ricavata dal cranio del mio amato fratello, divorato
dalla creatura perché sangue del mio sangue. La porto per ricordarmi il perché
sono ancora qui. –
- Sei qui per lui vero? – Chiese Duncan, avvertendo che quell’immenso scheletro
incappucciato davanti a lui era più umano di quanto pensasse.
- E’ morto al posto mio, mi ha salvato la vita offrendo la sua e io… be’ io
posso solo addestrare i Guardiani che arrivano qui, sperando che riescano a
uccidere la bestia che lo ha ucciso. - Sibilò lui, mentre un’insolita fiamma
attraversò quei buchi neri.
- Quindi non abbiamo tempo da perdere no? Forza mostrami quello che sai fare
vecchietto scheletrico! – Esclamò lui sghignazzando, in posizione d’attacco.
Greg rise di gusto alla proposta del moro, poi all’improvviso di avvicinò a
lui, fissando di nuovo i suoi occhi nelle iridi acquamarina del ragazzo.
- Quello che ha detto la regina era proprio vero... - Sussurrò lui, senza smettere di esaminare
ogni singola sfumatura di quegli occhi.
Era da anni che non li rivedeva e ora erano lì, solo su un
volto diverso.
- Cosa intendi? – Duncan era molto confuso, ma sapeva che se
si trattava della regina non era nulla di buono. Dopo la conversazione che
aveva avuto con lei la notte scorsa era più che certo che quella donna sapesse
più di quanto voleva far credere, soprattutto riguardo sua madre. Ora aveva
l’opportunità di dare una risposta a tutti i suoi interrogativi.
Voleva saperne di più, SUBITO.
Greg parve essersi pentito di aver pronunciato tale frase e
pensò più volte di tacere ma vedendo quegli occhi, uguali ai suoi, gli diedero
la forza di scatenare quella tempesta che sapeva si sarebbe riversata su quel
ragazzo e sulla sua vita.
Ma era per il suo bene.
- I tuoi occhi sono gli stessi di sua figlia… -
A quelle parole Duncan sgranò gli occhi e indietreggiò velocemente dal
Guardiano elementale, come ci si allontana da un cane pronto ad azzannarti.
- Cosa intendi con questo!?! –
Greg si sfregò le mani lentamente immerso nei sui pensieri e nei suoi dubbi, ma
poi scosse la tessa e guardò negli occhi il moro, con uno sguardo determinato.
- Sua figlia… Tua madre Evelyne. – Disse deciso mentre un potente tuono
annunciava l’arrivo di quella famigerata tempesta.
Angolo dell'Autrice:
Salve a tutti!!!!
Scusate la luuuuuuuuuuuuunga assenza ma ho passato tutto maggio a studiare per uscire senza debiti ( missione riuscita ;P)
Poi ho passato tutto giugno a riaccappiare l'ispirazione che era scappata appena ha visto tutti i libri da studiare Dx
Ma ora l'ho ripresa, anche se adesso sono comparsi problemi tecnici della sera "pc che si spegne ogni nano secondo"
Ma adesso basta parlare di questo e parliamo del cap:
Ho voluto dividerlo in tante piccole scenette per farvi vedere il primo
incontro con i Guardiani e ho scelto tre protagonisti che secondo me
erano molto interessanti.
e finalmente per la vostra gioia... IL MISTERO DI EVELYNE SI STA SVELANDO!!!!
Ma se volete sapere di più dovete continuare a leggere :D
ora vi lascio alle immagini dell paesaggio che vede Zoey e Scott e del piccolo Ethox *^*
Un bacione:^.^:
Sammy
p.s: PERDONATEMI PER L'ASSENZAAAAAAAAAAA T.T
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