The Dekker's Secret

di michaelgosling
(/viewuser.php?uid=182536)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un Lontano 1935 ***
Capitolo 2: *** 1947, un Pessimo Inizio ***
Capitolo 3: *** Detective Butler e Peterson ***
Capitolo 4: *** Un Altro Omicidio ***
Capitolo 5: *** Sospetti ***
Capitolo 6: *** Sparatorie ***
Capitolo 7: *** Corruzione ***
Capitolo 8: *** Un Colto Detenuto ***
Capitolo 9: *** Latitante ***
Capitolo 10: *** Agguato ***
Capitolo 11: *** Cambio D'Identità ***
Capitolo 12: *** Spostamenti ***
Capitolo 13: *** Doppiogioco Scoperto ***
Capitolo 14: *** Risveglio ***
Capitolo 15: *** Carte Svelate ***
Capitolo 16: *** Il Biglietto ***
Capitolo 17: *** Crollo ***
Capitolo 18: *** Odio ***
Capitolo 19: *** Douglas Raper ***
Capitolo 20: *** Squadra ***
Capitolo 21: *** Sfortuna ***
Capitolo 22: *** 12 Febbraio 1923 ***
Capitolo 23: *** Accordo ***
Capitolo 24: *** Cambiamenti ***
Capitolo 25: *** Fotografie ***
Capitolo 26: *** Coperte e Ricordi ***
Capitolo 27: *** Abbraccio ***
Capitolo 28: *** Bionde o Brune? ***
Capitolo 29: *** Bomba al Saloon Blues ***
Capitolo 30: *** Rimpianti e Rimorsi ***
Capitolo 31: *** Fantasmi dal Passato ***
Capitolo 32: *** Addii ***
Capitolo 33: *** Parkus Square, 452 ***
Capitolo 34: *** Un Buco Nell'Acqua ***
Capitolo 35: *** Il Muro ***
Capitolo 36: *** Rivelazione ***
Capitolo 37: *** Amore ***
Capitolo 38: *** Un Brusco Risveglio ***
Capitolo 39: *** La Resa dei Conti ***
Capitolo 40: *** La Corsa ***
Capitolo 41: *** Minuti Contati ***
Capitolo 42: *** Scontro a Fuoco ***
Capitolo 43: *** La Fine di Tutto ***



Capitolo 1
*** Un Lontano 1935 ***


hyu CAPITOLO 1. UN LONTANO 1935.

Caro Stefan,                                                                                                          22 settembre 1935
                     
                     ti scrivo perchè non so a chi altro rivolgermi. Ho bisogno di aiuto e tu sei l'unico che vive fuori dall'Europa di cui mi possa fidare. L'unico che conosco di persona, a dire il vero. La situazione è complessa, ma non ho molto tempo quindi sarò estremamente sintetico, forse un po troppo. Non ti dirò che avrei dovuto darti retta e che dopo la guerra sarei dovuto andare a vivere in America come hai fatto tu, lontano da questo inferno, perchè sarebbe sbagliato. Sono olandese fino al midollo, mio caro Stefan. In Olanda ci sono nato e cresciuto. Ci sono troppo legato per lasciarla, e lo stesso vale per mia moglie. Ho trascorso la mia infanzia qui. I momenti più belli della mia vita sono strettamente legati a questo luogo.  Sono queste le colline che esploravo da bambino ed è qui il locale in cui ho conosciuto mia moglie. Ricordi quando abbiamo fatto insieme quel viaggio a Los Angeles? Tu eri eccitato, volevi visitarla tutta, anche i vicoli puzzolenti. Io invece ero terrorizzato a morte: tutti quei palazzi così alti, tutte quelle persone. Mi sentii piccolo piccolo, quasi come un moscerino, un insetto insignificante davanti alla maestosità di quella città. Io e Mariaska non possiamo andare via, ma Henny non c'entra assolutamente nulla. Non deve pagare per le nostre scelte e quindi non può continuare a stare qui. Non può. Quasi tutta l'Europa è occupata da Hitler che sta acquistando sempre più potere. Proprio l'altro giorno ho sentito via radio che sono state proclamate le leggi di Norimberga. Non promette niente di buono. E' da quando è salito al potere che ho capito che non era adatto. Fortunatamente non siamo ebrei, ma rischiamo molto per quella cosa che già sai, ma non me ne andrò. Non sono un vigliacco. Ci sono persone e amici che contano su di me e andarmene sarebbe come tradirli. Tradire la mia gente. Persone con cui sono cresciuto. Non mi farò mettere i piedi in testa da Hitler. Non lascerò il mio paese per causa sua. Non ho paura. E' lui che se ne deve andare, non io, ma la questione qui è un'altra: Henny. E' troppo pericoloso per lei. Voglio che la mia bambina abbia una vita lunga e felice. E' la mia unica figlia e il mio bene più prezioso. Anche tu sei padre, quindi puoi capire cosa significa volere il meglio per un figlio. Ho bisogno che tu la tenga al sicuro per un po' di tempo, lontano da tutto questo schifo. Quando le cose si metteranno meglio e il governo di Hitler cadrà, perchè cadrà, ne sono assolutamente certo, la verrò a prendere. Mi mancherà da morire, ma la sua sicurezza viene prima di tutto. E' buonissima. Non vi darà problemi. Ti prego Stefan, sei la mia unica speranza.
                                                                                                                                                                   
                                                           Con affetto, il tuo caro amico Lars.

Stefan l'aveva letta talmente tante che l'aveva imparata a memoria.
Si grattò la nuca per l'imbarazzo, dato che nella sua macchina c'era Henny: era appena andato a prenderla al porto e ora la stava portando a casa sua.
Quando vedeva che la strada davanti a lui era dritta e non c'era molto traffico, gettava velocemente l'occhio sulla bambina.
"La riconoscerai immediatamente: di simile agli olandesi ha solo la pelle chiara. I capelli e gli occhi sono scuri. Strano, no? Porterà sicuramente un classico abito campagnolo che le ha cucito Mariaska. Te l'avevo detto. E' davvero speciale" gli aveva spiegato Lars in un'altra lettera.
Henny, che aveva non più di otto anni, aveva portato con sé un piccolo zainetto: al proprio interno c'erano gli oggetti di cui non poteva fare a meno: si trattava di un libro (Lars aveva detto nella lettera che Henny amava leggere), un orsacchiotto di peluche e una foto di famiglia.
Vide che la bambina la fissò a lungo, e quando ebbe finito si girò verso destra, a guardare cosa ci fosse fuori dal finestrino.
Era sempre vissuta in un paesino in cui tutti conoscevano tutti e quella città era un grosso cambiamento per lei.
Dopo una decina di minuti che parvero interminabili ad entrambi, giunsero nell'abitazione di Stefan, una piccola casetta con tanto di giardino che sorgeva in una delle zone residenziali di New York.
"Lascia. Te lo prendo io." fece Stefan a Henny, riferendosi allo zainetto.
"Posso fare anche da sola, signore." disse gentilmente la bambina.
"Non chiamarmi signore. Chiamami Stefan."
Nel salotto li aspettavano un'affascinante donna sui quaranta anni e una bambina più grande di Henny, sui dodici anni: erano rispettivamente la moglie e la figlia di Stefan.
La bambina si avvicinò a Henny: aveva i capelli rossi, le lentiggini e la pelle chiara come il padre, ma aveva anche dei grandi occhi chiari.
"Ciao. Io sono Peyton."
"Henny."
Quando Stefan aveva spiegato alla famiglia cosa Lars gli aveva chiesto, temeva che la figlia Peyton non sarebbe stata entusiasta, e invece l'aveva presa molto bene: era contenta di dividere la camera con una bambina, sebbene fosse più piccola.
Era come avere una sorellina.
"Sarai stanca. Per cena c'è pollo arrosto." disse Erika, la moglie di Stefan, posandole amorevolmente una mano sulla spalla.
"Chiedo scusa, ma non ho fame." mormorò Henny.
"E' naturale. Sarai stanca. Peyton, falle vedere la vostra camera."
Henny seguì Peyton: salirono al primo piano ed entrarono in una camera mediamente grande, con due letti singoli.
Subito dopo Peyton lasciò la stanza, immaginando che Henny volesse restare sola.
Quest'ultima si stese su uno dei due letti, e strinse a sé il cuscino.
Le mancava suo padre.
Le mancava sua madre.
Le mancava l'Olanda.
Sapeva che i suoi genitori le volevano bene, ma erano stati troppo vaghi.
Le avevano detto che era per il suo bene e che presto sarebbe tornato tutto normale.
Non le restava che aspettare.

SALVE! NON HO MAI SCRITTO UNA STORIA DI QUESTO TIPO, PERCIO' SIATE CLEMENTI! SPERO VI PIACCIA ;) FATEMI SAPERE COSA NE PENSATE. -MICHAELGOSLING-



Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1947, un Pessimo Inizio ***


trf CAPITOLO 2. 1947, UN PESSIMO INIZIO.

"Perchè non vai?"
Henny alzò lo sguardò e incontrò quello di Bill Merkley, il suo datore di lavoro, un uomo anziano e dallo sguardo severo, ma dall'animo nobile.
"Posso restare." si affrettò a dire lei.
"Sei bella e giovane. Non dovresti passare il venerdì sera a lavorare in una libreria. Vai. Qua ci penso io." continuò lui, accendendo un sigaro.
Henny sorrise, chiudendo il libro che stava guardando: si tratta di un libro di viaggi sull'Olanda.
Quando non c'erano clienti e la situazione in libreria le permetteva di concedersi una pausa, lo sfogliava per tornare indietro nel tempo e ripensare alla sua amata Olanda, che mai avrebbe voluto lasciare, nemmeno per una città ricca di confort e di tecnologia come New York.
"Non ho niente di meglio da fare." mormorò lei, come se ne provasse vergogna.
All'infuori di Peyton, con la quale si vedeva ogni tanto, la sua vita sociale era altamente scarsa.
Era una bella ragazza, ma era troppo acqua e sapone per una città come New York: non aveva amici all'infuori di Peyton, e tantomeno un ragazzo, sebbene avesse già venti anni.
A volte si sentiva un po' sola e spesso anche a disagio, ma se per uscire da quella situazione avrebbe dovuto diventare come tutte le altre ragazze di New York, con vestiti stretti, tacchi e tre kilogrammi di trucco in viso, preferiva restare sé stessa.
E invidiava gli uomini.
Cavolo quanto li invidiava, e soprattutto invidiava i loro pantaloni.
Sembravano così comodi.
C'erano in giro anche dei pantaloni da donna, ma non erano un granchè.
Non vedeva l'ora di andarsene a casa e togliersi lo scomodo abito che portava (uno dei più comodi che si trovava in negozio) per sostituirlo con una larga camicia da notte.
Era come se quel tempo e quel luogo non facessero per lei.
"E' un ordine!" insistette Merkley.
Henny prese il cappotto ed uscì dal negozio, salutando l'uomo con la mano.
Era sera, e il marciapiede era affolato di persone che lo attraversavano per recarsi in un locale o semplicemente per sgranchirsi le gambe e guardare le vetrine.
Qualcuno di loro si accorgeva di Henny, e della sua diversità.
I capelli spettinati, il viso privo di trucco,..
Non era una vista che capitava spesso a New York, e chi notò la ragazza non parve apprezzare il suo distacco dalle coetanee.
Henny non ci fece caso.
Non le faceva piacere, ma ormai ci era abituata.
Salì su un autobus e guardò fuori dal finestrino pensierosa.
Aveva un brutto presentimento su qualcosa, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse.
Qualche mese prima Stefan Saunders, l'uomo che praticamente l'ha cresciuta, era morto in seguito ad un infarto, e da quel momento la visione che la ragazza aveva della vita era più cupa.
Ricordò che quando aveva quattordici anni, l'uomo le aveva mostrato la lettera nella quale Lars gli chiedeva di protteggere la figlia, e da allora ogni sera, prima di andare a dormire, la ragazza la rileggeva.
Era diventato una specie di rituale, come la preghiera serale.
Era ovvio che Stefan conoscesse il segreto del padre, ma era stato molto chiaro con lei.
Non aveva la minima intenzione di dirglielo, perchè così facendo l'avrebbe messa nuovamente nei guai e tutti gli sforzi del padre sarebbero risultati vani.
La giovane era cresciuta passando gran parte del suo tempo a trovare una spiegazione.
Un qualcosa che potesse aiutarla a capire da sola quel segreto, ma niente: non aveva molti elementi su cui basarsi.
Presa da quel strano presentimento che la tormentava, scese dall'autobus e tornò verso la libreria.
Se fosse stato tutto a posto sarebbe tornata a casa.
Contrariamente a poco tempo prima, il marciapiede era vuoto: sembrava una zona isolata.
La luce della libreria era spenta, il che significava che Bill aveva già chiuso il negozio e che era andato a dormire nel suo appartamento, al piano superiore.
Si infilò in un vicolo cieco per dare da mangiare ad un cucciolo di cane, che stava vicino all'immondizia.
"Ti sei perso, piccolino?" gli sussurrò, accarezzandolo dolcemente.
Aveva dedicato pochissimo tempo a quel cagnolino, ma era bastato.
Quello che temeva si avverò.
Sentì un esplosione, e quando si voltò verso il negozio era troppo tardi: l'edificio stava letteralmente andando a fuoco.
Era completamente in fiamme, e anche l'appartamento del signor Merkley.
Anche se lo sembrava, Henny non era una stupida e aveva capito perfettamente che per il datore di lavoro non c'era più speranza.
Scoppiò in lacrime.
Chiunque fosse stato, doveva essere entrato in libreria i giorni scorsi e averci messo qualcosa: un'esplosione così non avviene per sbaglio.
La ragazza si accasciò al muro.
Aveva mille pensieri in testa.
Era confusa e non sapeva cosa fare.
Tutto quello che riuscì a pensare era che se l'esposione fosse avvenuta poco tempo prima, in quel momento lei sarebbe morta.
Un uomo era appena sceso in strada per vedere cosa fosse successo, e si affrettò a rientrare in casa per chiamare i pompieri.
Henny era sotto schock, ma nonostante questo riuscì ad intravedere qualcosa di molto chiaro.
Vide un uomo scappare e infilarsi in una stradina buia e poco conosciuta.
L'aveva visto da dietro, e di sfuggita: il cappello e il cappotto che portava fu l'unica cosa che riconobbe di quell'uomo.

DEVO ESSERE SINCERA, NON MI ASPETTAVO TANTO SUCCESSO! IL PRIMO CAPITOLO HA AVUTO PIU' VISUALIZZAZIONI DI QUANTO PENSASSI E GRAZIE A I LOVE PENGUIN PER AVERLA MESSA TRA LE SEGUITE! SPERO DI NON DELUDERVI ;) A PRESTO!


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Detective Butler e Peterson ***


htyj CAPITOLO 3. DETECTIVE BUTLER E PETERSON

In un altro momento, in un qualsiasi altro momento, Henny sarebbe letteralmente crollata.
Non usciva la sera, non faceva tardi.
Andava a letto presto e si svegliava presto.
Era quasi mezzanotte, e se non avesse appena assistito ad un incendio probabilmente si sarebbe addormentata in strada.
Nonostante il sonno, lo schock le impediva di dormire.
Tremava, ma avere al suo fianco Peyton che la copriva con una coperta la fece sentire leggermente meglio.
Voleva andare a casa e smettere di pensare a quello che era appena successo, ma un pompiere, uno dei primi che era giunto sul posto, le aveva detto che a momenti sarebbe arrivata la polizia e probabilmente avrebbero voluto farle qualche domanda.
Sebbene i suoi sforzi, la ragazza non riusciva a togliere dalla testa quelle immagini.
Non riusciva ad accettare il fatto che non avrebbe mai più rivisto il suo datore di lavoro, al quale si era affezionata.
Peyton non le aveva detto niente: appena aveva saputo cosa era successo, si era recata dalla ragazza con l'unico intento di consolarla.
Quando Henny si sarebbe sentita pronta avrebbero parlato, e fino a quel momento voleva solo farle sapere che lei c'era e che non l'avrebbe lasciata sola, soprattutto in un momento particolare e tragico come quello.
Entrambe tirarono un sospiro di sollievo quando videro avvicinarsi due uomini, probabilmente della polizia: dopo la deposizione, sarebbero finalmente tornate a casa.
Uno di loro era vestito molto elegantamente: portava una cravatta, una camicia bianca estremamente pulita, e una giacca dello stesso colore dei pantaloni, ossia sul marrone scuro.
Aveva i capelli biondi pettinati all'indietro come la maggior parte degli uomini, e anche se i suoi occhi chiari e il suo viso leggermente paffutto ricordavano molto quelli di un bambino, quell'uomo appariva tutt'altro davanti agli occhi delle ragazze, per lo sguardo severo, gli occhi cupi e i modi distaccati e gelidi che aveva.
L'altro era molto diverso: tutto quello che portava era una camicia grigia e una giacca aperta più trasandata.
Aveva i capelli spettinati e scuri e della leggera barba sul volto, che si intravedeva appena.
Gli occhi erano di un azzurro bello e particolare, e a differenza del partner era sorridente e dai modi socievoli, lo si intuiva dal suo sguardo.
Era obiettivamente un uomo molto attraente: il partner non era brutto, ma vicino a lui scompariva.
Erano entrambi alti, con una buona corporatura e giovani: non potevano avere più di trentacinque anni.
"Detective Butler e Peterson, Polizia di New York. Abbiamo qualche domanda per lei." disse il biondo con tono formale, non avvicinandosi troppo alla ragazza.
Peyton lo inquadrò subito, e non bene: in fondo, la sua amica aveva appena assistito ad un incendio, un uomo che lei conosceva era appena morto, e tutto quello che le mancava era un poliziotto che la guardava dall'alto in basso come una criminale.
"Va bene." mormorò Henny, ignorando le occhiatacce che l'amica rivolgeva al poliziotto.
"Mi racconti cosa è successo."
"Il signor Merkley mi diede il permesso di tornare a casa perchè mi disse che avrebbe pensato lui al negozio, così sono andata ad una fermata. Quando ero dentro l'autobus, ho avuto un brutto presentimento e così sono scesa e sono tornata indietro, giusto per dare un'occhiata e verificare che tutto andasse bene e che la mia era solo una paranoia. Proprio quando ero quasi arrivata, scoppiò l'incendio."
"E poi?"
Henny si guardò intorno confusa.
"E poi niente. Questo è successo."
"Certo. E lei si aspetta che le crediamo?!?"
"Cosa volete che vi dica? Non è successo altro."
"E così lei sarebbe tornata indietro per un presentimento? O forse perchè la maggior parte dei piromani tornano sul luogo del crimine per godersi il loro lavoro?"
"La mia amica è stata fin troppo paziente nell'aspettare qui per rilasciare una deposizione! Ha assistito a qualcosa di terribile, e voi non potete trattarla come una criminale." sbottò Peyton, guardando il poliziotto biondo con evidente malumore.
"E' stata l'ultima persona ad aver avuto un contatto con la vittima! Era presente alla scena del crimine! Ci sono persone che quando è avvenuto l'incendio erano in casa e ci hanno dato più informazioni di lei! C'è qualcosa che non quadra evidentemente." rispose Butler, segnando su un quadernino cosa Peyton gli aveva detto.
"Colton, perchè non vai a parlare con i pompieri per sapere cosa ha causato l'incendio? Qui ci penso io." fece Peterson, parlando per la prima volta davanti alle ragazze.
Il biondo si allontanò, ma non smise un solo istante di guardare male le giovani.
"Perdonate il mio collega. E' un po' troppo freddo a volte."
"Solo a volte?" lo rimbeccò Peyton, con una nota sarcastica.
"Torniamo a noi. Non ha visto nessun'altro? Nessun'altro nei dintorni?"
"Quando c'è stata l'esplosione, ho visto un uomo infilarsi in un vicolo. Era di fretta e ben coperto. Ricordo solo che portava un cappello e un grande cappotto."
"In quale vicolo si è infilato? Se lo ricorda?"
Henny indicò con la mano una stradina appena dietro la libreria, che ora era completamente bruciata.
"Benissimo. Quindi se lo vedesse, non sarebbe in grado di identificarlo?"
"Temo di no."
"Va bene. Può bastare. Grazie signorina.. scusi non so il suo nome."
"Henny Dekker."
"Signorina Dekker. Se le viene in mente qualcos'altro, qualsiasi cosa, venga in commissariato. Qualsiasi cosa ci dirà, sarà utile per le indagini. Spero di sentirvi presto." concluse, facendo gli occhi dolci a Peyton e dirigendosi verso il collega.
Quando Butler vide le ragazze prendere una macchina e andare a casa, si avvicinò al partner.
"Allora?"
"Ha visto un sospetto, ma era buio e ricorda solo come era vestito. Non l'ha visto in faccia, quindi non possiamo fare un'identificazione."
"Sarà meglio cercare in archivio informazioni su quella ragazza."
"Colton.."
"Se non è stata lei, per quale motivo è tornata sulla scena del crimine? Non dirmi che credi alla storia del presentimento!"
"Ma l'hai vista bene? Quella ragazza è visibilmente spaventata, e non solo dall'incendio ma anche da te! Dovresti essere un po' più docile."
"Non mi fido."
"E capirai. Tu non ti fidi di nessuno. Dove sta la novità?"
"Ma hai visto com'era messa? Io credo di non aver mai visto una donna tanto trasandata. Quando ero in guerra avevo i capelli più pettinati di lei."
"Perchè tu sei un maniaco dell'igiene e della pulizia. Non tutti sono fissati come te. Grazie a Dio."

ALLORA, CI TERREI A RINGRAZIARE PERSONALMENTE TUTTI QUELLI CHE SEGUONO LA MIA STORIA, IN PARTICOLAR MODO LITTLE_WISH E I LOVE PENGUIN :) SPERO CHE QUESTO CAPITOLO VI PIACCIA, LO SPERO DAVVERO ;) FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE. A PRESTO.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Un Altro Omicidio ***


gty5yj CAPITOLO 4. UN ALTRO OMICIDIO.

Detective Colton Butler e Carson Peterson, appartenenti alla sezione Omicidi di New York.
Due uomini svegli, praticamente coetanei, e fisicamente prestanti: non avrebbero avuto difficoltà a rincorrere un sospettato che fuggiva e neanche a fare a pugni con un criminale se si trovavano senza pistola.
Butler era il cervello e Peterson il braccio: non che Butler fosse un pessimo combattente e Peterson uno stupido, ma ormai si erano divisi così e per loro era più facile lavorare.
Mentre Butler esaminava una scena del crimine alla ricerca di indizi, Peterson controllava il sospettato.
Mentre Butler interrogava qualcuno, Peterson si assicurava che non tentasse la fuga.
Avrebbero potuto essere amici, e invece dopo il turno lavorativo ognuno andava per la sua strada.
Il coraggio e i principi, le uniche cose che avevano in comune, non bastavano a renderli un minimo uniti.
Colton si preparava a tornare nel suo appartamento o in quello della ragazza, Marianne.
Marianne era ricca e Colton anche.
Un matrimonio ancora non c'era, ma era questione di pochi mesi.
Carson detestava Marianne.
La trovava una donna acida, fredda e priva di emozioni.
Non che Colton fosse molto diverso.
Non invidiava minimamente il partner, mentre passava le serate in grandi pub nei quali rimorchiava una giovane ragazza con la quale passare la notte.
Le sue prede erano le tipiche ragazze di città, quelle che avevano volentieri avventure con fascinosi poliziotti come lui.
Metteva sempre in mostra il distintivo: sapeva che le donne ne andavano matte.
Ma in quel momento Peterson non era in un pub e Butler non stava passeggiando con Marianne.
Era un freddo pomeriggio, e i due poliziotti camminavano fianco a fianco senza rivolgersi neanche uno sguardo, dirigendosi verso un corpo privo di vita.
Ad aspettarli c'era il coroner, che quando li vide arrivare, smise di esaminare il corpo e gli andò incontro.
"Detective Butler e Peterson. Cosa abbiamo qui?"
Carson squadrò il partner.
Che bisogno c'era di dire i loro nomi ogni volta, per di più in modo così formale?
Erano cinque anni che lavoravano con quel coroner ogni volta che qualcuno veniva ucciso: ormai i loro nomi li sapeva.
Samuel Fittsh, il coroner, la pensava allo stesso modo, ma non aveva la minima intenzione di sprecare fiato sull'argomento: si limitò a dare un'altra occhiata a quel cadavere, per poi poter rispondere alla domanda.
"Donna di non più di trentanni. Si chiamava Ellen Wolfman. Ha riportato molte ferite, soprattutto al collo, ma credo che quella letale sia stata quella al petto. E' molto profonda."
"Arma del delitto?"
"Così a occhio direi un coltello da cucina particolarmente affilato. Vi farò sapere dopo l'autopsia."
"Ci sono testimoni?"
"Una ragazza davanti alla scena del crimine. Lei!" fece il coroner, indicando una giovane appoggiata al muro.
I poliziotti congedarono il coroner con un gesto, e si avvicinarono alla ragazza, e più si avvicinavano più capivano che si trattava di Henny Dekker.
Ancora.
"Ha chiuso."
"Colton."
"Stavolta non la scampa. La sbatto in gattabuia."
"Non puoi farlo."
"Cosa ti avevo detto io?" mormorò Colton.
"Senti sta già tremando, quindi vedi di contenerti."
"E trema sì! Fa bene! Sa di essersi cacciata in un bel guaio."
"Colton, per favore!"
"Ho cercato in archivio! E' olandese. E' qui illegamente da anni."
"Sai quante persone sono qui illegalmente? Un'emigrata olandese non è la priorità della polizia."
"Nasconde qualcosa."
"Ma non vedi che viso d'angelo che ha?"
"E' tutta una maschera."
Carson lo ignorò, e si rivolse alla giovane.
"Signorina Dekker, buongiorno." le mormorò cordialmente, cercando di farla sentire rilassata.
"Salve."
"La tua guardia del corpo non c'è oggi?" sbottò Colton.
Carson chiuse gli occhi.
Ahia.
"No, sta lavorando."
"La scorsa settimana è morto un uomo e lei era presente. Oggi è morta una donna e lei era presente. Cosa dovremmo pensare?"
"Ma io non ho fatto niente!" si affrettò a dire Henny.
"Non usi questo tono con me!"
"Dovrò pur difendermi! Lei mi sta accusando!"
"Adesso basta! Ne ho le tasche piene di te. Henny Dekker, lei è in arresto per offesa a pubblico ufficiale e omicidio!"

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sospetti ***


gt CAPITOLO 5. SOSPETTI.

"Colton.. Colton ti prego, cerca di ragionare."
"Lo sto facendo. IO."
"Non puoi accusare una ragazza di omicidio solo perchè a occhio non ti ispira fiducia!"
"Forse non per quello, ma posso benissimo accusarla di offesa a pubblico ufficiale!"
"Sappiamo benissimo che l'hai provocata. Anche lei lo sa."
"E' la testimone oculare di due omicidi. Una semplice coincidenza?!?"
"Può darsi di sì e può darsi di no. Fatto sta che non puoi accusarla senza delle prove o qualcosa di concreto."
"Cosa succede qui?"
A parlare era stato Max Kigar, Capo della Polizia, che si avvicinò ai detective con sguardo severo.
Al suo fianco c'era Thomas Helloy, che teneva le braccia incrociate e guardava con aria di sfida i due detective.
Peterson lo fulminò con lo sguardo, e faceva attenzione ad ogni suo movimento, come fa un bambino quando riceve una sgridata dai genitori per la prima volta.
Non lo reggeva.
Colton aveva tanti difetti, tra cui la diffidenza e la superbia, ma Helloy era ancora peggio.
Si dava un sacco di arie, soprattutto quando risolveva un caso.
Era il suo lavoro, e lui si comportava come se fosse un eroe.
E Peterson non sopportava che tutto gli andasse sempre bene.
"Signor Kigar, Colton ha portato alla centrale una ragazza accusandola di omicidio senza prove concrete." spiegò poi al capo, lasciando momentaneamente perdere l'odio che provava per Helloy.
"Butler? Vuoi spiegarmi?"
"Signore, quella ragazza è la testimone oculare di ben due omicidi. Gli ultimi due con cui abbiamo a che fare. Non posso far finta di niente."
"Se questa storia salterà fuori, il Dipartimento farà una gran brutta figura, signor Kigar. Mi immagino già i giornali. Per non parlare degli avvocati. Accusando qualcuno senza prove non solo rendiamo a loro il lavoro più facile, ma diamo un messaggio sbagliato ai cittadini di New York. Nessuno si fiderà più di un agente di polizia per paura di essere arrestato o condannato per chissà quale crimine. Non possiamo permetterlo." mormorò Peterson con grande convinzione.
L'uomo fece un sospiro e si grattò il mento.
"Detective Butler, in questo lavoro l'istinto è fondamentale. Io stesso ho fatto più affidamento a quello che alle prove concrete e non me ne pento, ma il suo collega ha ragione. Non possiamo mandare all'aria l'intero Dipartimento per un vago sospetto. Mi dispiace, ma dovrà mandare a casa quella ragazza."
"Sì, signore." mormorò Butler, abbassando la testa in segno di rispetto.
"Tuttavia.. il fatto che la ragazza fosse presente ad entrambi gli omicidi insospettisce anche me. Non possiamo fare finta di niente. Fate le vostre scuse alla ragazza e accompagnatela a casa in modo da avere la sua fiducia, ma nei prossimi giorni tenetela d'occhio. Seguitela senza farvi vedere, e scoprite più cose possibile sulla sua vita. Tutto quello che riuscite a trovare."
Con evidente malumore, Butler andò nella stanza da interrogatorio in cui era rinchiusa la ragazza.
"Sono in guai seri?" chiese lei, con quel tono puro che la rendeva diversa da tutte le altre ragazze di città.
"Ci puoi scommettere." fece Butler con tono minaccioso, prendendola per un braccio.

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

"Mi dispiace per il terribile equivoco, signorina. Se posso fare qualcosa.." mormorò Peterson, girandosi verso la ragazza.
"Non si preoccupi, detective. Sono solo stanca e voglio riposare. Portarmi a casa sarà sufficiente."
"Se magari avesse avuto la decenza di avere la patente, questo problema non ci sarebbe stato!" sbottò Colton, che stava guidando l'auto.
"Colton!"
"Non fa niente. E' solo che non sono molto interessata alla patente. Mi sposto poco e poi ci sono i mezzi pubblici."
Peterson guardò severamente il collega.
Ma che motivo c'era di essere così scontrosi?
Quella ragazza non aveva fatto nulla, anzi, era fin troppo gentile ed educata.
Per fortuna che il loro Capo aveva detto di conquistare la sua fiducia.
Se questa è l'idea che Colton ha sulla fiducia, sarà meglio che dia un'occhiata ad un vocabolario.
Chiamata per i Detective Peterson e Butler. Rispondete.
Qui parla il Detective Peterson.
Detective Peterson, sono il Coroner. Ho eseguito l'autopsia e ho il rapporto pronto per voi. E' urgente, quindi vi prego di venire subito a prenderlo. Ci sono novità piuttosto interessanti.
"L'obitorio è a due isolati da qui. Andiamoci ora." fece Peterson al collega, non appena ebbe riattaccato.
"E la Dekker?"
"Può venire con noi."
"Stai scherzando spero!"
"Qual'è il problema?"
"Vuoi far assistere all'indagine un sospetto? Ma dai i numeri o cosa?"
"Sospettate ancora di me?" chiese la ragazza in tono allarmato.
"Tu zitta!" le urlò Colton, con un tono che non ammetteva repliche.
"Andiamo, Colton! Stai esagerando!"
"Posso aspettare in auto." propose la giovane.
Entrambi i detective annuirono, consapevoli del fatto che non sarebbero mai giunti ad una soluzione migliore.

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO! SCUSATE IL RITARDO! INOLTRE VORREI RINGRAZIARE CHI MI SEGUE E SOPRATTUTTO LITTLE_WISH PER LE RECENSIONI! SPERO CHE IL CAPITOLO SIA DI VOSTRO GRADIMENTO! A PRESTO. ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sparatorie ***


htuyru CAPITOLO 6. SPARATORIE.

L'obitorio nel quale Samuel Fitths lavorava non era di grandi dimensioni: era più vasto il parcheggio che l'edificio in sè, ma non per questo era di seconda mano.
Non appena Colton e Carson vi entrarono, ebbero immediatamente l'impressione di trovarsi in un piccolo ospedale, come quelli che potevi trovare in un paese di massimo 12.000 persone.
Ci erano entrati tante volte, ma ogni volta temevano di essersi sbagliati, e non era un granchè come impressione.
Il pavimento, le mura, le porte, e gli abiti delle persone che vi lavoravano erano bianche, ma non quel bianco candido e sereno che ti fa pensare alla neve, al Natale e ai giochi, ma quel bianco spento, triste, amaro, e vedendolo solo una cosa ti può venire in mente: l'infelicità e la tristezza.
In fondo, quel posto si occupava di cadaveri, e sarebbe stato sbagliato decorarlo come se si occupasse di cose allegre e vivaci, come ad esempio giocattoli o caramelle per bambini.
Con passo sicuro, i due Detective girarono a destra, e con forza aprirono una porta: dietro ad essa, ad aspettarli, c'erano Fitths e un corpo inerme sdraiato su un lettino al centro della stanza.
"Allora? Queste novità?" sbottò immediatamente Colton.
Non era sua abitudine essere sgarbato anche con il coroner che lo aveva sempre aiutato, ma sapere che quella ragazza era nella sua macchina ad aspettare fuori non lo aiutava né lo faceva stare meglio.
Contrariamente alla fretta di Colton, Fitths si comportò in modo rilassato e, come se avesse tutto il tempo del mondo, fece segno ai Detective di avvicinarsi al cadavere.
"Nessun taglio è stato fatto post mortem. L'ultimo taglio è stato infatti quello letale. Ho trovato inoltre dello sperma nelle mutandine della ragazza. Può darsi che sia dell'assassino, visto che la vittima non era sposata." spiegò Fitths, indicando le mani della donna e mostrando ai Detective la mancanza dell'anello nuziale.
"Altro?" chiese Carson, seguendo la gentilezza e la pacatezza del medico legale.
"Guardate attentamente il taglio che ha causato la morte, Detective. Non notate niente?"
Carson e Colton si avvicinarono e seguirono il consiglio del coroner.
Come sempre, era Colton che si accorgeva dei dettagli.
"E' preciso." mormorò in tono sicuro, usando lo stesso tono che avrebbe usato un giudice nel stabilire una sentenza.
"Esatto. Questo significa che il nostro amico o è un dottore o un esperto. Di certo non è alle prime armi."
"Esperto?"
"Questa non è la sua prima vittima. Ha già ucciso. Molte volte. Sa quello che fa e ha sviluppato una sua tecnica."
"Stai dicendo che abbiamo a che fare con un serial killer?" mormorò Carson, più sorpreso che spaventato.
"Ho paura di sì, signori."
"Splendido. Ci mancava questa."
Colton sospirò e fece mente locale nella sua testa.
C'erano due serial killer a New York in quel periodo.
Il primo era un omosessuale che con il suo fascino portava degli uomini nel suo appartamento, li uccideva, abusava del loro corpo e conservava i cadaveri tenendoli in uno scantinato di sua proprietà, mentre i loro vestiti li metteva nell'armadio e li usava a suo piacimento.
Il secondo era un pedofilo che conquistava la fiducia di bambini e bambine per poi portarli in un posto isolato. Li stuprava, li torturava con dei piccoli tagli per tutto il corpo e quando si era stancato di loro li uccideva con un colpo letale al petto.
Il primo era stato arrestato e si trovava già nel braccio della morte con un'esecuzione fissata per il mese successivo, ma il secondo no.
Il secondo era libero.
Nessuno aveva capito chi fosse, e le indagini si erano fermate.
Ogni volta che ci pensava, Colton sentiva della gran rabbia dentro di sé: avrebbe voluto occuparsi lui del caso, e invece era andato a Helloy, quel bell'imbusto tutto muscoli e niente cervello.
Ripensandoci, il modus operandi era praticamente lo stesso.
Gli elementi c'erano tutti: lo sperma, i taglietti e il colpo di grazia.
Ma perchè stavolta aveva ucciso una donna adulta?
Perchè aveva cambiato vittima?
C'era qualcosa che non andava.
"Questo è il Mostro di New York. Il modus operandi è il suo, ma.. non capisco perchè uccidere una donna adulta, quando le sue vittime erano sempre e solo bambini!" affermò Colton con rabbia.
"Ci sta sfidando." ipotizzò Carson.
"Non solo. Questo tizio ci prende in giro. Non l'abbiamo mai catturato e quindi pensa di fare tutto quello che vuole. Vede le sue vittime come dei giocattoli: decide lui per quanto tempo usarle e quando è arrivato il momento di dire basta. Le tante ferite che lascia sono il suo marchio. E' come se ci dicesse "guarda che il gioco lo conduco io". E' un sadico. Gode nel vedere la sofferenza negli occhi dell sua vittima. Uccide solo per questo." proseguì Colton, posando le mani sui fianchi.
Il coroner stava per dire la sua, ma si sentirono degli spari.
"Provengono dall'altra parte della strada. Sparano al parcheggio!" fece Samuel, guardando dalla finestra.
"Oh, no! Colton!"
"Che c'è?"
"La ragazza! E' nella tua macchina! E la tua macchina è nel parcheggio."

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Colton e Carson erano nascosti dietro alle colonne che creavano l'entrata dell'obitorio.
Tenendo nelle mani la pistola, si sporsero un momento e videro la ragazza sdraiata sulla pedana della macchina, che tremava e urlava.
A sparare era una banda di 5-6 persone, con il volto coperto.
Con orrore, i due Detective si accorsero che l'obiettivo dei proiettili era la ragazza: solo un componente della banda sparava verso i poliziotti, per paura che intervenissero per salvare Henny.
"Dobbiamo fare qualcosa, Colton. Non possiamo lasciarla lì. La uccideranno!"
"Coprimi!" urlò Colton al partner.
Detto fatto: Butler uscì dal nascondiglio e corse più veloce che poteva verso la macchina, mentre Carson sparava a chi cercava di uccidere il collega.
"Se muoio per te, io ti giuro che il mio fantasma ti perseguiterà per l'eternità!" sbottò Colton alla ragazza, aprendo la portiera e facendole segno di andare verso di lui strisciando, senza alzarsi o mettersi sui sedili.
Proprio mentre la ragazza usciva, Carson riuscì a sparare a quasi tutti, eccetto un paio che si salvarano e scapparono prima che il Detective si accorgesse di loro.
"Grazie! Grazie!" mormorò Henny con le lacrime agli occhi, tremando ancora per la paura.
"Stai tranquilla, è tutto finito." la consolò Carson, abbracciandola.
Colton entrò nella macchina per fare la segnalazione, mentre nella sua testa stava succedendo di tutto.
Per quanto fosse convinto della consapevolezza della ragazza, dovette ricredersi.
Scosse la testa, ancora sconvolto.
Non è la carnefice.
E' la vittima.
Qualcuno la voleva morta.
Quella ragazza era sfuggita alla morte per ben 3 volte.
Qualcuno stava cercando di ucciderla.
E questo, era indubbio.

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO ;) E' PIU' LUNGO DEL SOLITO QUINDI RINGRAZIO CHI L'HA LETTO TUTTO ;) A PRESTO ;) LASCIATEMI UN COMMENTINO SE VOLETE :D

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Corruzione ***


hgjgjk CAPITOLO 7.CORRUZIONE.

Subito dopo aver accompagnato Henny all'ospedale più vicino per un controllo in seguito alla sparatoria, i due Detective si recarono al Dipartimento di Polizia di New York, per rendere ufficialmente pubblico cosa era successo, sperando nel supporto fisico e morale dei colleghi.
Erano ancora parecchio scossi, non tanto per la sparatoria, essendo poliziotti erano abituati e preparati per simili situazioni, ma scoprire che una ragazza rischiava la pelle perchè c'era un vero e proprio attentato nei suoi confronti.
Colton soprattutto: non riusciva a credere di essersi sbagliato.
Era troppo orgoglioso, e non lo avrebbe mai ammesso a sé stesso.
Anche dopo quella sparatoria, continuava a trovare scuse che non erano altro che prodotti elaborati dalla sua mente, come ad esempio il fatto che se qualcuno stava cercando di assassinarla un motivo c'era: forse aveva una conflitto con la mafia o semplicemente aveva ucciso qualcuno e queste persone volevano vendetta.
Erano tutte ipotesi assurde, al limite del ridicolo, ma Colton ci credeva.
C'era qualcosa in quella ragazza che non gli piaceva per niente: la sua pazienza, la sua calma.
Erano troppo sospette.
Forse erano solo una maschera, per nascondere qualcosa di più oscuro.
Bastava pensare a Harvey Naher, l'omosessuale che stava scontando la sua pena nel braccio della Morte e che nel giro di poco sarebbe stato giustiziato.
Lui era fisicamente bello e attraente, dall'aspetto non solo piacente, ma anche amichevole.
I tratti del viso lo facevano sembrare innocuo, insomma, il classico bravo ragazzo.
I capelli biondi e corti, molto curati, e i suoi graziosi occhi chiari non facevano che accrescere il suo fascino.
Inoltre, la leggera barbetta che si intravedeva appena gli stava davvero bene.
Quando lo vide arrivare alla centrale di polizia portava una camicia a righe chiusa fino all'ultimo bottone, come se fosse uno scolaretto alla prima gita scolastica.
Era anche bello alto, slanciato e piuttosto giovane.
32 anni ed era già nel braccio della morte.
Lui era la prova vivente che l'apparenza inganna, e Colton non aveva la minima intenzione di farsi ingannare.
Mai.
Non appena vide Kigar e quello sbruffone di Helloy, tornò alla realtà e fu sorpreso nel vedere che il partner ignorò l'odioso collega: era la prima volta che succedeva, ma evidentemente quello che era successo lo aveva portato ad ignorarlo.
"Allora? Siete stati dal Coroner?" chiese il loro capo con tono severo.
"Sì, ma non siamo qui per questo." affermò Carson, usando un tono stranamente serio.
Non era da lui.
"Avete dei nuovi sospetti?" continuò Kigar, non intuendo che ciò di cui volevano parlare non riguardava il caso.
"Signore, dobbiamo attivare immediatamente un programma di Protezione nei confronti della testimone oculare degli ultimi due omicidi." mormorò Colton, non riuscendo a trattenersi nel sottolineare che lei, per lui, era ancora un sospetto.
Kigar, Helloy, e tutto i poliziotti che si trovavano nella stanza e avevano sentito si fermarono di colpo, guardando i due Detective con confusione e evidente sorpresa.
"Sai benissimo che è un programma molto delicato, che implicherebbe il lavoro di molti uomini, Butler. Si attiva in situazioni di emergenza, estremamente rare." fece Kigar, continuando ad usare lo stesso tono con il quale aveva iniziato la conversazione.
"Me ne rendo perfettamente conto signore, ma temo che questo sia uno di quei rari casi in cui va applicato." continuò Colton.
Detestava rischiare problemi con il suo capo per via di una persona di cui tra l'altro non si fidava, ma lui era sempre un poliziotto e il suo dovere era prima di tutto assicurarsi che ogni cittadino di New York fosse salvo e se uno di questi, anche se odiato, era in serio pericolo, non poteva di certo ignorarlo.
Sarebbe andato contro i suoi principi, e anche contro quelli della Polizia.
"Me lo provi!" esclamò Kigar, stanco di quei giri di parole.
"Stavamo accompagnando a casa la ragazza, ma c'è stata una sparatoria e i delinquenti che l'avevano iniziata erano evidentemente contro di lei. Tutte le pistole miravano lei."
Kigar rimase perplesso, ma a quel punto intervenì Helloy.
"Avanti, signore! Abbiamo due casi irrisolti e non possiamo impiegare tutte le nostre forze e tutti i nostri uomini per una cosa come questa! Magari quei delinquenti miravano la ragazza per poi rubare dei gioielli o chissà che altro."
"Non portava gioielli. Neanche uno!" puntualizzò Colton, cercando così di eliminare l'ipotesi del collega.
"Butler, Peterson, mi dispiace. Non posso impiegare tanti uomini per un solo episodio di sparatoria. Possono esserci tanti motivi dietro questa storia." sentenziò Kigar.
"E se nel frattempo la uccidessero?"
"E se invece non accadesse altro?"
Mentre Colton ribatteva cercando di farlo ragionare, Carson abbassò lo sguardo e notò che Helloy, anche se cercava di nasconderlo, sanguinava da un fianco.
Esattamente nello stesso punto in cui lui aveva sparato a uno dei pochi che erano riusciti a darsele a gambe.
Una coincidenza?
Difficile.
E poi, da Helloy, non era certamente una sorpresa.
"Ma guarda i casi della vita, Helloy! A uno dei pochi che sono riusciti a scappare ho sparato in un fianco, esattamente dove stai sanguinando tu! Vuoi spiegarmelo?"
"Non so davvero spiegarlo, Peterson. Curiosa come cosa." fece in tono sarcastico Helloy, sorridendo malignamente come se gli stesse dicendo "è inutile che ci provi. Sono io che ho le cose in pugno."
Certo.
Aveva sempre sospettato che fosse corrotto.
Uno così, senza mai lavorare, come avrebbe potuto fare tanta carriera in polizia?
"Peterson! Come ti permetti? Fare insinuazioni su un collega! Andate via. Non vi voglio vedere per due settimane, e se vi rivedo prima che scada il tempo sarete sospesi."
Carson spalancò gli occhi.
Non poteva crederci.
Non voleva crederci.
Anche il suo capo era dentro quella storia, qualunque storia fosse.
Anche lui corrotto.
Il suo capo, un uomo che un tempo ammirava per il suo senso di giustizia, era più corrotto dei giudici che a Los Angeles venivano comprati da Mickey Cohen.
Erano dentro quella storia.
Loro sapevano.
Entrambi, sia Kigar sia Helloy, guardarono i due Detective in un modo talmente chiaro che non poteva essere frainteso.
C'era anche la possibilità che entrambi facessero parte del gruppo che voleva, per chissà quale motivo, quella povera ragazza morta.
Anche Colton se ne era accorto, e stava peggio del parter.
Per Carson la giustizia era importante, ma per Colton era un qualcosa di obbligatorio.
Era diventato l'uomo che era seguendo sempre e solo i principi di giustizia.
Da Helloy non ne era così sorpreso, ma dal suo capo..
Era deluso.
E dispiaciuto.

--------------------------------------------------------------------------------------------------------

Prima di ogni altra cosa, bisognava portare la ragazza in un luogo sicuro, e casa sua di certo non lo era.
Meglio non rischiare.
Essendo ricco, Colton possedeva un paio di case oltre a quella in cui viveva, e così portò Henny nella sua casetta di campagna, la più piccola e sperduta, fuori da New York.
Lì difficilmente l'avrebbero trovata.
Era stato Carson a costringerlo: fosse stato per lui, non l'avrebbe mai lasciata da sola in una sua casa.
"Resterai qui fino a quando non sapremo cosa fare." mormorò in tono formale Colton, pronto per uscire e lasciare lì la ragazza.
"Grazie."
"Ah, giusto per essere chiari, è MIA questa casa, per cui la conosco come le mie tasche. Conosco alla perfezione ogni oggetto, quindi non ti azzardare a rubare o rompere qualcosa. Se lo fai, non mi interessa se non hai soldi, me lo ripaghi. Fino all'ultimo centesimo. Sono stato abbastanza chiaro?!?"
Non gli importava nulla di quei mobili, ma quella olandese doveva capire che non era un'ospite e che lui non ammetteva casini di nessun tipo.
"Sì." affermò la giovane.
Senza dire nulla, Colton uscì sbattendo forte la porta dietro le spalle.

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :D E' UN PO LUNGHINO, MA SPERO NON LO TROVERETE NOIOSO :D RECENSITE IN TANTI :D CIAOOO

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Un Colto Detenuto ***


fgdh CAPITOLO 8. UN COLTO DENTENUTO.

Nel mezzo del cammin di nostra vita 
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!
 Tant'è amara che poco è più morte;
 ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
 dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
 Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
 tant'era pien di sonno a quel punto
 che la verace via abbandonai.

Mai un testo letterario gli era mai stato così vicino.
Certo, Dante all'Inferno c'era stato per una visita e per poi comunicare ai comuni mortali cosa avesse visto in quel luogo tanto temuto dall'uomo, ma a differenza sua , l'uomo che ripeteva i versi a memoria ci sarebbe stato per scontare nell'aldilà la vera punizione per tutte quelle azioni che a causa della sua mente malata aveva compiuto.
Il suo biglietto per l'Inferno era il 7 marzo, la settimana successiva, la data della sua esecuzione.
Harvey Naher era uno dei condannati a morte più colti della storia di quella città.
I prigionieri nelle celle vicino alla sua passavano il tempo in tutt'altro modo, e alle volte urlavano contro il vicino perchè quei versi che ripeteva di tanto in tanto erano una fastidiosa cantilena: a loro dava fastidio perchè ricordava loro la loro esecuzione, inevitabile e spaventosa come la morte stessa.
I più malati borbottavano cose senza senso, mentre i più pentiti scrivevano alla famiglia, se ne avevano una.
Naher era senza ombra di dubbio il più pericoloso: 24 omicidi, tutti uomini.
Attirati nel suo appartamento con l'inganno, uccisi con un coltellino svizzero e poi il loro cadavere abusato dall'assassino.
Una volta eseguito quel triste rapporto, Naher li smembrava o li teneva in una stanza sottoterra: i vestiti li metteva nell'armadio.
Era indubbio che fosse malato di mente, ma nonostante tutto era un uomo intelligente, con un Q.I. superiore alla media e un'ottima cultura.
La vita in prigione non lo aveva cambiato: aveva ancora grande cura di sé stesso, indossando vestiti puliti e pettinandosi i capelli tutti i giorni.
Gli avevano tolto la libertà, ma non la dignità.
Era contento di aver avuto la condanna a morte: sapeva che meritava di morire, ed era seriamente pentito per quello che aveva fatto, ma sapeva che non riusciva a controllarsi e che mai sarebbe guarito da quella malattia radicata nel suo cervello che lo aveva fatto sprofondare nelle perversioni più terribili.
Gli agenti ne ammiravano l'educazione e la cultura, rare in un serial killer.
Dopo aver controllato di aver detto i versi correttamente, annuì soddisfatto e si stese nel lettino.
Sentì dei passi: probabilmente erano le guardie carcerarie che controllavano i detenuti.
Sentì che i passi si fermarono proprio quando qualcuno si fermò alla sua cella.
Brutto segno. pensò fra sé Naher, rimanendo comunque immobile.
"Harvey Naher?" chiese una voce a lui sconosciuta.
"Chi vuole saperlo?" chiese il prigioniero, continuando a guardare il muro della cella piuttosto che il suo interlocutore.
"Se ti interessa, avvicinati."
"Preferirei di no."
"Naher, non abbiamo tempo da perdere."
Sbuffando, il detenuto si alzò e si diresse vero un gruppo di uomini.
Una decina, più o meno.
Era difficile dirlo, visto che quando l'avevano arrestato gli avevano tolto gli occhiali: ora vedeva tutto sfuocato.
Con sua grande sorpresa, notò che tra loro c'erano anche dei pezzi grossi della società.
"Allora?" chiese con evidente stanchezza.
"Abbiamo una proposta da farti. Una proposta che non puoi rifiutare."
"Questo lo vedremo." mormorò cinicamente Harvey.
"Devi fare una cosa per noi."
"Ovvero?"
"Abbiamo bisogno che elimini una ragazza."
Harvey inarcò un sopracciglio.
"Che cosa?"
"Hai capito."
"Io non uccido più nessuno. Tantomeno una ragazza. E ora sparite."
"Se lo farai ti faremo uscire di galera. Dubito avrai un'altra occasione come questa dato che la data della tua esecuzione è vicina."
"Potete farmi anche Santo o farmi benedire dal Papa in persona per quanto mi riguarda. Lo ripeto. NON. UCCIDO. PIU'. NESSUNO."
"Sei uno stupido! Senza di noi ti aspetta solo la morte!"
Harvey li guardò di nuovo, e notò che tra loro c'erano anche agenti della polizia.
Si irritò ancora di più.
"Voi sbirri pensate che i serial killer vogliono la libertà per uccidere in eterno, senza la polizia tra i piedi. Beh, vi sbagliate."
"Ascoltami bene frocietto, forse non hai capito."
"NO! Siete voi che non avete capito."
"Avanti Naher, sono sicuro che una parte di te non vede l'ora di accettare."
Harvey fulminò con lo sguardo l'uomo che aveva parlato.
Il pedofilo che la polizia non era mai riuscita a catturare.
Sbuffò.
"Avrei dovuto immaginare che c'eri tu dietro questa storia."
"Lo fai o no?"
"Io non ho nessuna esperienza in fatto di donne.. perchè chiederlo a me?"
"Perchè sei metodico e intelligente. Abbiamo bisogno di te per trovarla."
"Se è così, buona fortuna. Vi penserò quando sarò accompagnato alla morte il giorno della mia esecuzione."
"Come fai a rifiutare?"
"L'avevo detto fin dall'inizio che non l'avrei fatto. Poi mi avete chiamato frocio e questo avrebbe dovuto farmi cambiare idea? Se dovete convincere qualcuno vi consiglio di cambiare stratagemma. Se io facevo come voi per attirare gli uomini nel mio appartamento, manco una vittima riuscivo a fare."
"Te ne pentirai."
"Può darsi.. ora scusatemi, ma come mi avete ripetutamente ricordato, la mia esecuzione è vicina e per prepararmi devo fare tanti sonnellini. Ciao ciao." fece in tono sarcastico Naher, salutandoli con la mano e guardandoli con aria di sfida.
Uccidere una donna.
Pff.
Mai sentita una cosa tanto assurda.

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO  E UN NUOVO PERSONAGGIO. SPERO CHE VI INCURIOSISCA QUESTO PARTICOLARE SERIAL KILLER :) LASCIATEMI UNA RECENSIONE PER FARMI SAPERE CHE NE PENSATE :) IN PARTICOLARE TU LITTLE_WISH :)

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Latitante ***


hh CAPITOLO 9. LATITANTE.

Solitamente vi era un gran silenzio in quel corridoio, ma questa volta era diverso.
Harvey Naher aveva lasciato la sua cella e stava percorrendo l'unica strada davanti a lui.
Due agenti, uno per lato, gli tenevano le braccia, anche se il condannato percepì che quei due agenti carcerari provavano per lui disgusto, ma non sapeva se quel disgusto era dovuto ai suoi crimini o alla sua omosessualità.
I denetuti delle celle, che per mesi sono stati i suoi "vicini di casa" urlavano, esattamente come facevano ogni volta che era arrivato il turno di qualcuno.
Era una specie di rituale.
"Mi mancherete anche voi." disse Naher ai detenuti, usando il suo solito tono sarcastico, che non aveva abbandonato neanche quella mattina.
Arrivati alla fine, uno dei due agenti aprì un portone e l'altro lo spinse al proprio interno.
La porta si chiuse.
Harvey si pettinò i capelli con le dita e si sistemò gli occhiali: voleva morire in perfetta forma.
Si mise di spalle, come voleva la procedura.
Non doveva far altro che aspettare che gli sparassero.
Non sapeva chi fossero gli agenti a cui era stato dato questo compito, ma sapeva che erano in cinque e che avrebbero usato dei fucili, e non delle comuni pistole.
Era rilassato, forse troppo.
Ora è finita pensava.
Non sapeva se avrebbe sofferto, ma non gli importava.
Tutto quello che voleva era concludere la sua breve vita, e passare all'aldilà.
Eppure, qualcosa non andava.
Era la sua esecuzione e quelli erano i suoi ultimi minuti di vita e per questo forse gli sembravano più lunghi, ma cavolo, ebbe qualche perplessità quando ebbe il tempo di citare 5 volte dei versi di Dante.
Voltò leggermente lo sguardo, per cercare di capire cosa stesse succedendo.
Che gli agenti fossero in ritardo?
No.
Gli agenti c'erano, ma non erano disposti a sparare.
Abbassarono i fucili.
"Ma che diavolo.." borbottò Harvey, cominciando a diventare ansioso.
Si incupì ancora di più quando vide entrare la stessa gente che era stato da lui pochi giorni prima per proporgli quello strano accordo.
L'omicidio della ragazza.
Non può essere pensò fra sé il serial killer, esasperato da quella situazione.
Quasi tutti i detenuti condannati a morte avrebbero venduto l'anima per scamparla e lui, che voleva morire e che era pronto, non veniva lasciato in pace.
Quella faccenda stava sfiorando il ridicolo.
"Adesso che dici? Intendi ancora rifiutare la nostra proposta? Cosa intendi fare?"
"Intendo chiamare i due agenti che mi hanno aiutato a percorrere il mio Miglio Verde per avere questa benedetta esecuzione! O ci sono dentro anche loro?"
"Sappiamo che non lo farai." mormorò il pedofilo più famoso di New York.
Fino a quel momento Harvey era certo delle sue intenzioni e dei suoi pensieri sull'argomento, ma dovette ricredersi.
Era arrivato il momento di giocare d'astuzia, e di smetterla di fare l'eroe.
"Toglietemi questi affari." fece in tono assente, alludendo alle manette che portava ai polsi.
"E' la cosa più intelligente che hai detto finora." mormorò un agente corrotto, obbedendo alla sua richiesta.
Una volta libero, Harvey si toccò i polsi, ma non lo fece a lungo.
Lo stesso agente che gli aveva tolto le manette gli lanciò i suoi vestiti, quelli che portava quando è stato arrestato.
Mentre Harvey si rivestiva, il gruppo gli spiegò cosa avrebbe dovuto fare.
"La donna in questione è un'olandese qui illegalmente. E' giovane, sui 20 anni, e lavorava nella libreria che è bruciata poco tempo fa."
"Suppongo che siete stati voi a bruciarla. Speravate che al proprio interno ci fosse lei."
"Ve l'avevo detto che è intelligente." disse il pedofilo con un ghigno.
"Perchè la volete morta?"
"Questi sono fatti nostri. Tu portaci delle informazioni e forse, FORSE, ti diremo di più."
"Capito."
"Non ucciderla. Portala da noi. Viva."
"Sarà fatto."
Uno di loro gli lanciò un documento falso e una pistola, che Harvey afferrò al volo e che mise nelle tasche della giacca.
"Non cercarci. Ti troveremo noi."
Harvey annuì ed uscì dalla porta sul retro.

LO SO LO SO :P QUESTO CAPITOLO E' UN PO CORTO MA E', COME DIRE, UN CAPITOLO DI TRANSIZIONE. SPERO VI PIACCIA ;D FATEMI SAPERE :) CIAOOO


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Agguato ***


aseer CAPITOLO 10. AGGUATO.

"Ciao." mormorò in tono innocente Henny quando vide Colton entrare.
"Ciao? Ma con chi credi di parlare? Con tuo fratello? Io per te sono il Detective Butler!" si rabbuiò subito lui, ispezionando la casa per vedere se era tutto nella norma.
"Scusi." mormorò lei per educazione.
Per quanto fosse buona e paziente, stava seriamente cominciando a stancarsi dell'atteggiamento dell'uomo.
Va bene, lui e il suo collega la stavano aiutando, ma cavolo!
C'è modo e modo di comportarsi con gli altri, e quello che usava lui non era certamente il migliore.
In fondo, lei non gli aveva fatto niente di male, e non c'era motivo di essere così bruschi e scontrosi.
"Ti ho portato da mangiare." continuò lui, usando un tono talmente freddo e distaccato da far rabbrividire chiunque.
La ragazza aprì la sportina dentro alla quale c'era il cibo, e non vide altro che carote, funghi, due mele e qualche grappolo d'uva.
Fece una smorfia.
Cos'era quella roba?
Lei odiava la frutta e ancora di più la verdura.
Per lei il cibo era carne, mortadella e cioccolato.
Non certo due mele striminzite e qualche insignificante carota.
"Allettante." mormorò in tono sarcastico lei, non riuscendo a trattenersi.
Sarcasmo che non sfuggì al poliziotto.
"Se non ti piace, me la riprendo! Così muori di fame!" fece Colton, facendo segno di prendere la sportina, ma lei lo bloccò.
"No no va bene."
Per fermarlo, la ragazza gli aveva toccato il braccio e l'aveva allontanato.
Non avrebbe mai dovuto farlo.
Non appena lo toccò, Colton cominciò ad urlare, furioso.
"COME HAI OSATO TOCCARMI? NON FARLO MAI PIU' RAGAZZINA STUPIDA CHE NON SEI ALTRO, O TI CONSEGNO ALLA BANDA CHE TI VOLEVA MORTA. SONO STATO ABBASTANZA CHIARO? NON TI AZZARDARE MAI PIU' A TOCCARMI. NON MI DEVI NEANCHE SFIORARE. ALLA PROSSIMA CAVOLATA CHE FAI TI BUTTO FUORI DI CASA!"
Aveva solo urlato, e non l'aveva né picchiata né aggredita fisicamente, ma la ragazza si era spaventata comunque.
Aveva indietreggiato, e guardava il poliziotto con gli occhi sbarrati.
"Mi dispiace Detective. Non volevo farla arrabbiare." mormorò lei in tono supplichevole, singhiozzando.
"E smettila di piangere! Non sai fare altro che lagnarti! Le mie pantofole hanno più fegato di te." sbottò lui né dispiaciuto né intenerito dalle lacrime della ragazza.
Senza neanche salutarla, uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Si diresse verso la macchina e poi prese la strada che lo avrebbe portato a casa.
Non si era accorto che qualcuno di sua conoscenza lo aveva spiato e sorrideva alle sue spalle.

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Da quando era scappato di galera, Harvey aveva indagato su questa ragazza in modo da trovarla: in quel momento si trovava nella sede della banda, e più precisamente nella sua stanza personale, dove continuava a studiare il caso della cosìdetta "cittadina X".
Quando sentì un forte rumore provenire dal salotto, probabilmente causato da uno del gruppo, si alzò e andò a controllare per capire cosa stesse succedendo.
Ad aver fatto tutto quel casino era il Detective Helloy, che gioiva per chissà cosa.
"Che succede?" chiese Harvey, irritato da tutto quel rumore.
"Naher, non ci servi più. Sei libero, puoi andare!"
"Come scusa?"
"So dov'è la ragazza."
Harvey sbiancò.
"E come hai fatto?"
"Sapevo che Peterson e Butler stavano tramando qualcosa, e infatti è così. Sono loro che la protteggono. La tengono in una casetta fuori da New York. Ho visto Butler con i miei occhi. Avrei dovuto immaginarlo. Sono troppo leali e schifosamente patetici per non farlo!"
"Hai visto lui, ma non lei." puntualizzò Harvey.
"C'è anche lei, ne sono sicuro. Domani mattina, all'alba, andremo a controllare."
Harvey continuò a guardare il Detective, indeciso su come comportarsi.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Delle botte svegliarono Henny nel pieno della notte.
Erano le due di mattina, e Colton di sicuro non era vista l'ora e considerando che se ne era andato arrabbiato poche ore prima.
Le botte alla porta continuarono, ma la ragazza preferì non aprire.
E se fosse stato un componente di quella banda che l'aveva trovata?
Se fuori da quella casa c'erano dei cecchini pronti a sparare?
Non poteva correre il rischio.
Andò avanti e indietro per la casa, aspettando che quelle botte finissero.
Ne sentì una più forte, e la porta d'ingresso si aprì.
Chiunque fosse, era entrato.
La ragazza si voltò e vide un uomo piacente sui 30 anni, dai capelli biondi, gli occhi chiari e spessi occhiali.
Harvey capì che la ragazza stava per urlare, così la raggiunse e le tappò la bocca con la mano destra.
Con l'altra chiuse la porta.
Ora erano solo loro due.
Avevano tutta la notte.
Di tutto sarebbe potuto succedere.

SALVEEEEEE :D NON ODIATEMI SE HO FATTO FINIRE COSì IL CAPITOLO :( 
PS: COLTON HA I SUOI MOTIVI SE ODIA ESSERE TOCCATO, QUINDI NON ODIATELO PER QUELLO! ANCHE LUI HA I SUOI SEGRETI :D SPERO VI SIA PIACIUTO! FATEMI SAPERE :D CIAOOOO -MICHAELGOSLING-

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cambio D'Identità ***


sss
SALVEEE :D VORREI INTANTO D
IRE GRAZIE A TUTTI PER LE RECENSIONI :) SONO COMMOSSA :D, COMUNQUE SPERO QUESTO CAPITOLO VI SIA PIACIUTO :D FATEMI SAPERE :3 CIAO



CAPITOLO 11. CAMBIO D'IDENTITA'

Gli occhi verdi di lui erano puntati sugli occhi scuri di lei.
Nessuno dei due si muoveva, e nessuno dei due parlava.
Lui le teneva ancora la mano sulla bocca, per impedirle di urlare.
La guardò per un'altra manciata di secondi che parsero infiniti, ma poi si decise a parlare.
"Se ti tolgo la mano, mi giuri di non urlare o scappare?"
La ragazza annuì, anche se era ancora visibilmente spaventata.
Lui le tolse la mano, e lei lo guardò con aria interrogativa.
"Sei qui per uccidermi?" gli chiese, aspettandosi una risposta affermativa.
"Se fosse stato così, l'avrei già fatto. Ma da questa domanda, deduco che tu sappia che c'è chi vuole la tua morte." si limitò a dire lui, entrando in cucina e prendendo una mela, una di quelle che Colton aveva portato alla ragazza.
"Chi sei?" chiese la ragazza, seguendolo in cucina.
"Ti conviene sederti."
La ragazza obbedì, ancora spaventata da quell'uomo.
"Sanno dove sei. E all'alba ti uccideranno." mormorò lui, senza mezze parole.
Henny si alzò dalla sedia nella quale si era seduta, e iniziò ad andare avanti e indietro per la casa, visibilmente spaventata.
Quando Harvey la raggiunse era nel salotto, che si grattava le braccia per l'ansia e la tensione.
"Tu chi sei?" chiese all'uomo, una volta ch finalmente si fermò.
Harvey non smise di guardarla neanche per un secondo, e mentre la fissava con la sua espressione apatica e priva di emozioni, pensò ad una risposta da dare per convincerla a fidarsi.
La verità era fuori discussione.
Se diceva che faceva parte del gruppo che le stava dando la caccia altro che spaventata: si sarebbe fatta prendere da una crisi isterica e sarebbe scappata urlando e non era il caso.
Proprio no.
La verità su di lui era improponibile: chi si sarebbe fidato di un serial killer, per di più evaso?
Nessuno avrebbe mai creduto al fatto che erano stati i poliziotti a farlo scappare in cambio di un "servizio".
Fortunatamente in prigione e anche per quel breve periodo che aveva trascorso con i "cattivi", Harvey non aveva mai smesso di tenere allenato il suo cervello: ripeteva ancora i canti di Dante e faceva quotidianamente rebus e cruciverba.
Avrebbe usato le notizie che aveva e il suo amato cervello, che era l'unico che non l'aveva mai abbandonato.
"Mi manda Butler." disse, non ricordando come si chiamasse l'altro detective.
Si sforzò di risultare credibile, ma non ce ne fu bisogno.
Anche se lo avesse detto ridendo o guardando in basso, la ragazza ci avrebbe creduto.
Avrebbe creduto a qualunque cosa e a chiunque in un momento come quello.
In un momento così emotivo.
E poi l'espressione apatica, la mancanza di luce negli occhi e quel senso di tristezza e freddezza che aveva visto di quel giovane non facevano altro che renderlo più simile al Detective.
Erano simili all'apparenza, e quindi potevano essere amici.
"E quindi che si fa?" chiese Henny, sentendosi schiacciata da tutti quegli eventi improvvisi.
Le parve incredibile che fino a pochi mesi prima la sua vita era totalmente diversa e tranquilla.
Lui le porse degli abiti da uomo, e le fece intendere di cambiarsi.
Quando la ragazza uscì dalla camera da letto pronta per andare, Harvey le fece segno di avvicinarsi.
"Stai ferma." le disse, mentre tirava fuori un coltellino, probabilmente lo stesso che usava per uccidere le sue vittime.
Henny non si mosse, e Harvey le tagliò i capelli.
La ragazza vide i suoi lunghi capelli per terra, nel pavimento, e quando l'uomo le passò lo specchio si vide con i capelli corti, come quelli di uomo.
Harvey completò l'opera mettendo alla ragazza un cappello elegante per nascondere i lineamenti femminili della ragazza, e poi le fece segno di andare con lui.
"Quindi Colton e Carson lo sanno? Insomma, che vengo con te?"
"Ma certo. Non appena arriveremo in un posto sicuro li chiameremo, promesso." mormorò Harvey, consapevole di dire una mezza verità.
Intendeva davvero chiamarli, ma solo al momento giusto.
Sapeva i loro cognomi e ora anche i nomi grazie alla ragazza.
Avrebbe cercato il loro numero e il loro indirizzo, ma quello non era il momento.
Aprì la porta e con Henny uscì dalla casa.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Helloy era fuori di sé.
Era sicuro che quella ragazza era lì.
Ne era certo.
Erano entrati all'alba come stabilito, ma non c'era nessuno, tantomento la ragazza.
Era furioso, e iniziò a rompere tutti i mobili e oggetti che gli capitavano sottomano.
"Mi sa che non hai un gran fiuto." mormorò uno di loro.
Helloy stava per rispondere, ma guardando per terra vide delle ciocche di capelli.
"Io non credo." sussurrò, raccogliendoli.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Spostamenti ***


frtth CAPITOLO 12. SPOSTAMENTI

"ARGHHHHHHHHHHHHHHHHHH!"
Fortunatamente quella era una casetta isolata, lontana dalla metropoli, altrimenti quelle urla avrebbero svegliato tutta la città.
"Dai Colton, non ti agitare." tentò Carson, provando a calmare il collega, anche se sapeva benissimo che provare a calmare Colton Butler quando è nel pieno di una crisi isterica era come gettare della benzina sul fuoco.
"Io la ammazzo. IO LA AMMAZZOOOOOOO!"
"Non sono cose carine da dire. Soprattutto considerando che sei un poliziotto." gli fece notare Carson, con una nota sarcastica.
Peterson non sapeva se andarsene per lasciare che il collega sbollisse la rabbia o se restare per godersi lo spettacolo: vedere Butler non arrabbiato ma di più era meglio che andare al cinema.
Gli mancavano solo gli snack e lo spettacolo poteva proseguire.
"Guarda che casino! GUARDA CHE CASINO!"
In effetti, la casa era sottosopra.
Molti mobili o erano distrutti o danneggiati.
Colton era davvero furioso.
E' il genere di persona che si arrabbia con facilità, ma erano anni che non lo era fino a quel punto.
Sarebbe andato fuori di testa anche se avesse trovato un solo graffio, e tutta quella confusione gli aveva fatto rizzare i capelli.
"Non credo sia stata lei." disse Carson, tornando serio a fatica.
"Certo, difendila pure!"
"Colton, ragiona. Fai un bel respiro e guardati attorno. Quell'armadio che arriva al soffitto si è rotto in mile pezzi. Qui le ipotesi sono tre. O la nostra amica olandese è dotata di forza sovrumana, o sono venuti gli alieni stanotte, o.."
"O?"
"O qualcuno è entrato qui stanotte. Un gruppo di uomini."
"Come no!"
"Avanti Colton, capisco che odi quella ragazza e cerchi di far ricadere tutte le colpe su di lei, ma qui stiamo sfiorando il ridicolo! Non ci riuscirei IO a rompere quell'armadio! Figurati lei!"
Colton era ancora parecchio furioso, ma cercò di tornare ad essere razionale per capire cosa fosse successo.
Si guardò intorno, e iniziò a sentirsi.. male.
Confusione.
Delle goccie gli scesero nella fronte.
Confusione e sporco.
"Colton? Colton, stai bene? Sembri sul punto di svenire." fece Carson al collega, guardandolo preoccupato.
Confusione, sporco e una casa che in quelle condizioni sembrava una cappanna abbandonata.
Colton aveva un espressione strana.
Era disorientato e sembrava fosse sul punto di piangere o di svenire.
Non riusciva a stare in quel luogo un momento di più.
In quella confusione.
Uscì dalla casa, e si recò nel giardino che la circondava.
Un momento dopo lo raggiunse Carson, che lo guardava sorpreso.
"Ma che hai?"
"Sto bene."
"Non mi sembra, sai? Per uno abituato come te all'ordine e all'igiene capisco ti faccia schifo, ma da qui a.."
"Cosa vuoi, Carson?"
"La ragazza non c'è, però ho trovato dei suoi capelli. L'hanno trovata, Colton. E l'hanno presa. Potrebbe essere ancora viva."
"Spero per lei di no, perchè la prossima volta che la becco rimpiangerà di non essere stata uccisa in quella sparatoria."
"Io direi che partire da Helloy non sia una cattiva idea. Quel tipo è ambiguo, e c'è dentro anche lui. Me lo sento."
"Sai bene che non possiamo farci vedere al Distretto."
"E chi ha parlato di andare al Distretto? Io conosco un locale in cui Helloy va tutte le sere."

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Harvey prese la mano della ragazza, e Henny a quel tocco sussultò.
Senza dire niente e senza farsi vedere dalle altre persone del locale nel quale stavano facendo colazione, il killer le mise un biglietto nella mano.
"E' un bi... ehm... voglio dire è un biglietto del bus!" mormorò Henny, cercando di fare una voce il più maschile possibile.
"Davanti a questo locale c'è una fermata. Ne passerà uno tra dieci minuti, minuto più minuto meno. E' per Los Angeles. Devi salirci."
"E tu?"
"Io ho delle questioni di cui occuparmi qui a New York, ma ti raggiungerò domani."
"Dove devo scendere?"
"Ti ho scritto tutto nel biglietto. C'è anche l'indirizzo in cui devi recarti, e cerca di arrivarci a piedi. Ti sconsiglio di prendere un taxi. Ti dò anche le chiavi. Chiuditi lì dentro e io ti raggiungerò."
"Cosa devi fare? Se posso saperlo."
"Devo allontanare chi ti dà la caccia."
"Perchè mi stai aiutando?"
"Ho fatto tante cose orribili nella mia vita. Voglio andarmene con un minimo di dignità, e con almeno una buona azione."

ECCOMIIIIII :D LE COSE SI FANNO INTERESSANTI ^^ COME AVRETE NOTATO COLTON HA UN ALTRO PROBLEMA OLTRE A NON FARSI TOCCARE, MA CHE SARA' MAI? LO SCOPRIREMO PIU' AVANTI U.U FINO AD ALLORA GODETEVI QUESTO CAPITOLO :D SPERO VI SIA PIACIUTO :D FATEMI SAPERE

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Doppiogioco Scoperto ***


gggg CAPITOLO 13. DOPPIOGIOCO SCOPERTO

Helloy mise il cappello e la giacca sulla sedia accanto alla sua e con disinvoltura allentò la cravatta.
Mise una gamba sopra l'altra, e con con prepotenza si distese il più possibile per stare più comodo.
Una volta fatto, mentre aspettava l'arrivo del drink che aveva chiesto, faceva l'occhiolino alle ragazze che gli passavano davanti.
Colton e Carson lo spiavano da un po', nascondendosi dietro un giornale locale.
Non guardavano solo lui, ma anche il locale.
Dovevano assicurarsi che non ci fosse nessun'altro poliziotto perchè altrimenti sarebbero stati licenziati o peggio, visto che erano stati sospesi proprio perchè lo avevano accusato di un crimine.
"Non c'è nessun altro poliziotto qua dentro. Siamo solo noi e l'imbecille." mormorò Carson al collega.
Colton abbassò il giornale e così fece il partner.
Si alzarono e si sedettero nello stesso tavolo di Helloy.
"Ma cosa.." mormorò questi, riconoscendo i colleghi.
"Da quanto tempo! Scusa, ti dispiace?" mormorò con sarcasmo Carson, sedendosi vicino all'odiato poliziotto.
"Sì, mi dispiace!" sbottò con evidente seccatura Helloy.
"Che peccato! Perchè sei così scorbutico? E noi che volevamo solo chiacchierare con un nostro vecchio amico!" continuò Carson, rendendo sempre più marcato il suo sarcasmo.
"Sì può sapere cosa volete?"
"Cosa succede, Helloy? Qualcosa ti turba?" mormorò Colton, con lo stesso tono sarcastico del collega.
Il sarcasmo era l'unica cosa che avevano in comune.
"Cos'è, la sospensione non vi è bastata? Volete il licenziamento? Mi basta fare una chiamata al Capitano!"
"Noi vogliamo soltanto parlare! Non occorre essere così maleducati!"
"Ma io non voglio parlare con voi! Sparite!"
"Come mai tanta fretta, Helloy? Mi sembri un pochino agitato. Peterson, quand'è che le persone sono agitate come Helloy? Se lo sappiamo possiamo aiutarlo!" continuò Colton, divertendosi a prendere per il culo il collega.
"Fammi pensare, Butler. Oh sì, ora ricordo! Solitamente le persone sono così nervose perchè nascondono qualcosa."
"Mi sembra una risposta razionale. Nascondi qualcosa, Helloy?"
"Andate a farvi fottere. Voi e quel sarcasmo del cazzo."
"Mi sembra che il nostro amico sia sempre più confuso." mormorò Carson, prendendolo per la camicia.
"Forse l'aria fresca gli farà entrare aria nel cervello." continuò Colton.
"Ok, ok!" fece con malavoglia Helloy, alzandosi e uscendo con i due per il locale, per poi andare sul retro.
"Dov'è? Allora? Parla!" sbottò Colton.
"Di cosa stai parlando?"
"Sai Helloy, hai un così bel faccino. Sarebbe un peccato rovinartelo." mormorò Carson, mentre lo teneva per la camicia per impedire che scappasse.
"Levami quelle sudicie mani di dosso, Peterson! Qualunque cosa stiate cercando, io non l'ho presa!"
"Andiamo, Helloy. Siamo soli, non c'è il Capitano. Quindi smettila di fare il leccaculo. Sappiamo benissimo tutti e tre che tu facevi parte di quel gruppo che voleva quella ragazza morta."
"Anche il Capitano ne fa parte, quindi non vi conviene farvi in quattro per salvarla. Non ci riuscirete mai. Consegnatecela e avrete un risarcimento e una promozione."
"Consegnarvela? Ma se l'avete voi!"
"Noi la stiamo ancora cercando, e la troveremo molto presto. Se l'avete persa, tanto meglio. Sarà più facile trovarla e ucciderla." fece Helloy, allontanandosi dai due poliziotti.
Aveva capito chi aveva preso la ragazza.
Si diede dello stupido per non esserci arrivato prima.
"Nessun omicidio rimarrà impunito per sempre, Helloy. Tutti i nodi vengono al pettine." mormorò Colton.
"Queste sono solo stronzate che si leggono nei romanzi. Nella vita reale è molto diverso, te l'assicuro!" sbottò Helloy, rientrando nel locale.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Harvey camminava a passo svelto per le strade di New York, con un coltellino svizzero in tasca.
Doveva fare in fretta.
Doveva distruggere tutte le informazioni che quella banda aveva sulla ragazza e poi l'avrebbe raggiunta a L.A..
Il tempo era poco, ma doveva sbrigarsi.
Con sua grande sorpresa, si imbattè nei componenti del gruppo, che lo portarono in un vicolo cieco.
"Dov'è?"
"Chi?" chiese Harvey.
"LA RAGAZZA! Sappiamo che l'hai presa tu! Dicci dov'è e avrai salva la vita!"
"Andate a fanculo. Ho fatto quello che era giusto." mormorò Harvey.
"Allora morirai."
"Accomodatevi! Tanto era quello che volevo fin dall'inizio!"
Uno dopo l'altro, colpirono Harvey.
Non usarono pistole: quasi tutti lo colpivano a pugni e calci, ma un paio usava dei coltelli.
Lo colpirono tante volte e poi lo lasciarono accasciato a terra, metà vivo e metà morto.
Harvey li vide allontanarsi, ma la sua vista si fece annebbiata.
Sentiva un dolore lancinante in tutto il corpo, e se nessuno lo avrebbe soccorso, nel giro di poche ore sarebbe morto.
Non aveva più forza, e chiuse gli occhi.
Proprio quando svenne, qualcuno si accorse di lui.
Qualcuno che per sbaglio era caduto perchè era inciampato sulla sua gamba destra.
Lo raccolse e si allontanò con lui.
Chiunque fosse, doveva conoscere Harvey Naher.
Quasi tutta la città lo conosceva.
Se era un poliziotto, o un giudice, era spacciato.

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :D ECCO UN NUOVO PERSONAGGIO... CHI SARA'? FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE :D CIAO





Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Risveglio ***


dddd CAPITOLO 14. RISVEGLIO

Harvey si aspettava di svegliarsi in una cella, in una buca o di non svegliarsi affatto, ma svegliarsi in un comodo letto a due piazze con tanto di coperte era qualcosa di troppo irreale.
Aveva quel genere di mal di testa che si ha dopo una sbronza, e sentiva anche delle terribili fitte allo stomaco.
D'istinto, si alzò la T - shirt e vide delle fasciature.
Qualcuno lo aveva preso, portato in un luogo sicuro e confortevole come una casa e l'aveva curato.
Qualcuno gli aveva salvato la vita.
Vista l'efficienza che aveva dimostrando curandolo, doveva trattarsi di un medico o comunque di qualcuno che ha studiato medicina, magari all'università.
Scosse la testa, dandosi mentalmente dello stupido.
Lui era un serial killer e tutti lo conoscevano in città.
Chi poteva essere il pazzo che una volta visto, invece che ucciderlo o riportarlo alle autorità, se l'è portato a casa e si è preso cura di lui?
Pensò che fosse stato uno della banda che voleva la ragazza morta, ma non poteva essere.
Conoscendoli, mai l'avrebbero portato in una casa così, soprattutto considerando che hanno cercato di ucciderlo.
Lasciò la stanza e si guardò un po' attorno, notando fotografie e quadri.
Una voce lo fece sobbalzare.
"Non dovresti muoverti. E' bene che tu stia un altro paio di giorni a letto per recuperare totalmente le forze."
Harvey si voltò verso la direzione dalla quale proveniva la voce, e vide un uomo.
Era tra i 30 e i 40 anni, e sebbene non fosse dotato di una bellezza particolare, aveva dei bellissimi occhi scuri molto grandi e dolci.
Le labbra erano leggermente carnose, e portava anche un filo di barba.
Harvey si incamminò verso di lui, chiedendosi come mai non l'avesse riconsegnato alla polizia.
Magari era un omofobo che voleva ucciderlo personalmente.
"Ma... mi hai visto? Hai visto chi sono?" sbottò Harvey, leggermente teso.
"Vorrei poterlo fare, davvero. Ma non posso."
Harvey vide che quell'uomo non muoveva gli occhi, e li teneva fermi.
Ecco perchè non l'aveva denunciato.
Era cieco.
E se era cieco non poteva sapere chi aveva davanti.
"Perchè dovrei conoscerti? Sei famoso?" chiese gentilmente l'uomo, facendo un mezzo sorriso e mostrando i denti perfettamente bianchi e dritti.
"Non ho molti fan, quindi lascia stare." mormorò Harvey, cercando di cambiare argomento.
"Tutte le persone famose hanno dei fan, qualunque cosa abbiano fatto."
No, non credo proprio.
"Non sempre è così."
"Avanti, tutti facciamo cose di cui non andiamo fieri."
Non ne hai idea.
"Grazie per avermi aiutato."
"Di niente, ma credo che dovresti andare a denunciare alla polizia l'accaduto. Eri messo parecchio male."
No, andare alla polizia non è esattamente la migliore delle idee.
"Posso fare una telefonata?" chiese Harvey, ricordandosi che avrebbe dovuto incontrarsi con Henny.
"Certo. E' nel soggiorno. Io vado in bagno così ti lascio la tua privacy."
Harvey aspettò che l'uomo lasciasse la stanza, e poi compose il numero.
Dopo un paio di squilli, sentì la voce di Henny.
"Henny? Sei tu?"
"Cosa è successo? Io sono qui che ti aspetto."
"Lo so, ma ho avuto degli inconvenienti. Ascolta, io cercherò di raggiungerti il prima possibile, ma tu devi fare una cosa."
"Certo. Dimmi. Se posso."
"Appena chiudiamo la conversazione, voglio che vai in cucina. Apri il terzo scaffale dal basso vicino al frigorifero e troverai un elenco. Cerca i due poliziotti e chiamali. Dì loro che sei scappata perchè la banda aveva capito dove ti trovavi e dargli l'indirizzo. Se ti fanno domande rispondi che non hai tempo per spiegare e che dirai tutto quando arriveranno. Dì loro che ti devono raggiungere il prima possibile."
Era rischioso, soprattutto se intercettavano la telefonata, ma Henny non poteva stare da sola.
Era troppo rischioso.
"D'accordo. Ma tu sbrigati, per favore."
Harvey buttò giù la cornetta e si diresse verso la porta d'ingresso della casa.
"Te ne vai?"
Era quell'uomo.
"Vado.. vado alla polizia a fare la denuncia. Grazie... ma tornerò!"
Harvey non aveva la minima intenzione di passare del tempo con un cieco, ma quell'uomo gli aveva salvato la vita ed essendo cieco non doveva avere molte persone con cui parlare.
"Ti aspetto."
Harvey uscì e si chiuse la porta alle spalle.

ECCOMI :) QUESTO E' UN CAPITOLO UN PO' DIVERSO DAGLI ALTRI, MA SPERO VI SIA PIACIUTO COMUNQUE :) FATEMI SAPERE ! CIAOOO

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Carte Svelate ***


ddd CAPITOLO 15. CARTE SVELATE

"Per quale astruso motivo ha chiamato te e non me?" sbottò Colton, mentre parcheggiava l'automobile.
"Oh, non ne ho davvero idea. Forse perchè la tratti da schifo, o forse perchè la spaventi. Scegli te. Francamente trovo che entrambe le ipotesi siano molto probabili." fece Carson in tono scherzoso.
I due scesero dall'automobile, e si diressero verso una modesta casetta.
Quello era l'indirizzo che Henny aveva dato a Carson, quindi non dovevano essersi sbagliati.
Passarono per il cancello, e bussarono.
"Alla prossima cavolata che fa le faccio un buco in testa con un trapano."
"Ma cosa stai dicendo? Tutto quello che ha fatto è stato salvarsi la vita, cosa che avremmo dovuto fare noi."
"Scusami?"
"Voglio dire che è stata più furba di noi, perchè se fosse stato per noi, lei sarebbe già in decomposizione."
"Il che sarebbe stato meglio."
"Colton!"
"Ma quale Colton! Noi siamo stati sospesi per colpa sua! Ci siamo fatti un viaggio in macchina da New York a Los Angeles per colpa sua! Siamo quasi morti per colpa sua! Intendi forse negarlo?"
"Non è stata colpa sua, Colton. E lo sai benissimo."
La porta si aprì e i due entrarono.
Al loro interno trovarono due uomini.
Uno era piuttosto effeminato, e dai lineamenti somigliava parecchio a Henny.
L'altro..
L'altro era Harvey Naher!
Entrambi ci misero un po' per riconoscerlo, forse un po' troppo.
"Ma che diavolo.." mormorò Carson, ancora sorpreso.
Colton, invece, non perse tempo.
"Harvey Naher, sei in arresto per omicidio ed evasione. Tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te. Hai diritto ad un avvocato. Se non puoi permettertene uno, te ne sarà dato uno dallo Stato." affermò con freddezza Colton, mettendo le manette a Naher, il quale non si mosse né cercò di scappare.
"Cosa? Non puoi arrestarlo! E' stato lui a salvarmi!" mormorò Henny, sempre più sorpresa dall'atteggiamento di Colton.
Colton e Carson la guardarono sorpresi.
"Henny? Henny, sei tu?" mormorò Carson, guardandola più attentamente.
"Sì, è lei." fece Harvey.
"Tu zitto! Hai perso il diritto di parola!" lo rimbeccò subito Butler.
"L'hai salvata? Perchè?" chiese Carson al killer.
"Perchè voi non siete stati in grado di farlo! Sono dovuto intervenire io! Se questo è il modo in cui proteggete le persone, non ho più bisogno di uccidere. A quello ci pensate voi!"
"Adesso basta! Tu vieni con noi! E dai a quella portatrice di guai un biglietto per lasciare gli Stati Uniti. Ne ho fin sopra i capelli di questa storia. Mi sono rotto." sbottò Colton, trascinando il killer fuori dalla casa.
"Stai facendo un errore." mormorò Harvey.
"Ti ho detto di stare zitto. La prossima volta che apri quella cazzo di bocca ti colpisco, giuro."
"Classico discorso da sbirro corrotto." continuò Naher.
Colton lo colpì in faccia, facendogli uscire del sangue dal naso.
"Ti avevo avvertito!" urlò Colton.
"Perchè un errore, Harvey?" chiese Carson.
"Carson! Ma che diavolo fai? E' un serial killer!"
"Questo lo so bene, Colton. Fatto sta che quest'uomo, chiunque sia, ha salvato una ragazza che noi non siamo stati in grado di proteggere, quindi adesso sei tu che chiudi il becco e ascolti il punto di vista degli altri, una volta tanto!" sbottò Carson.
Non gli piaceva urlare contro il suo collega e fargli fare simili figure, ma quando è troppo è troppo.
"Io non sono scappato! Delle persone, persone importanti tra cui giudici e poliziotti, mi hanno fatto evadere perchè volevano il mio aiuto per uccidere la ragazza. All'inizio non volevo accettare, ma quando ho sentito un detective corrotto sapere dov'era, sono corso per salvarla e farla fuggire. Ora voi potete arrestarmi e rimandarmi in gattabuia, ma mi faranno evadere di nuovo. E alla ragazza non basterà lasciare gli Stati Uniti. Questi andranno avanti fino a quando non la troveranno. L'unica alternativa è ucciderli."
"Racconta queste stronzate al tuo avvocato!" mormorò Colton, portando l'uomo in macchina.
"Colton.."
"No, Carson. Compra alla ragazza un biglietto e mandala via. Non intendo passare un altro secondo della mia vita in questa faccenda! Ora basta."

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Ci sono tanti vicoli a Los Angeles con poca luce, nei quali si va raramente, se non mai.
Qualcuno però ci era andato e aveva commesso un omidicio, e per terra c'era un corpo inerme.
Colton avrebbe fatto meglio ad ascoltare Harvey, perchè aveva ragione.
Sarebbero andati avanti.

NO, DAVVERO, SONO COMMOSSA PER TUTTE LE RECENSIONI :) 20? WOW :D SIETE FANTASTICI/E! PER RIPAGARVI ECCO UN CAPITOLO NUOVO NUOVO CON UN FINALE CON SUSPENCE *-* CHI SARA' LA VITTIMA QUESTA VOLTA? LO SCOPRIRETE NEL PROSSIMO CAPITOLO :D

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Il Biglietto ***


zzz CAPITOLO 16. IL BIGLIETTO

Colton guardò Carson.
Carson guardò Colton.
Voltarono lo sguardo nuovamente, per poter osservare ulteriormente la vittima.
Erano ancora in congedo, ed erano lì perchè avevano trovato il cadavere, ma sapevano che la polizia e il coroner sarebbero arrivati a momenti, quindi se volevano continuare ad indagare per conto loro come avevano fatto fino a quel momento dovevano sbrigarsi, e soprattutto sparire: se si facevano vedere lì era un bel casino.
"Maledizione." sbottò Colton.
Credeva di aver sistemato la situazione, ed invece era stato un illuso.
Carson era visibilmente più sconvolto, anche perchè quando la ragazza era in vita, aveva provato a sedurla, senza successo.
Colton era più sveglio, e si rese conto che la bocca era semiaperta.
Con un fazzoletto la aprì, e al proprio interno, conficcata in gola, c'era un biglietto spiegazzato.
Avete fatto un grosso errore a mettervi contro di noi, ma ormai è finita.
Sappiamo dov'è.
E mentre voi leggerete questo biglietto, lei morirà.
E sarà finita, una volta per tutte.
"Henny.." mormorò Carson con un filo di voce.
"Che biglietto le hai preso? Per dove? Così facendo possiamo trovarla e fermarla! Ma dobbiamo darci una mossa!"
"E' troppo tardi, Colton! Non hai letto cosa c'è scritto? "E mentre voi leggerete questo biglietto, lei morirà."! Sapevo che era una pessima idea farla andare via da sola! Non avremmo mai dovuto lasciarla da sola! Avremmo dovuto ascoltare quel serial killer!"
"Per dove???"
"San Francisco."
"Penso di sapere dove si trova allora. Corro."

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Contrariamente a quanto fatto l'ultima volta che era stato in prossimità di un'esecuzione, questa volta Harvey non ripeté Dante, ma si limitò a gesticolare con le mani.
Quando vide qualcuno davanti alla sua cella, si alzò.
"Quante visite che ricevo in prossimità di un'esecuzione! Sono quasi commosso!" fece in tono ironico il killer.
Si zittì improvvisamente quando vide che quel qualcuno era uno dei Detective che lo avevano arrestato per la seconda volta.
"Hanno ucciso la sua amica e hanno lasciato un biglietto dicendo che sanno dov'è." si limitò a dire Carson.
"Ve l'avevo detto che non si sarebbero fermati, ma voi non avete voluto ascoltarmi."
"Cosa vogliono da lei?"
"L'avevo quasi scoperto, sai? Poi voi mi avete sbattuto qua dentro e le ricerche fatte in una cella non danno molti frutti."
Carson aprì la cella, e il killer sgranò gli occhi.
"Non dire che non mi pentirò. Sono già pentito. Non appena lo saprà Colton mi ammazza." mormorò Carson.
"Andiamo a salvare questa fanciulla, allora."
"Niente scherzi, Naher! Ti faccio uscire solo perchè sei il migliore in fatto di ricerche, solo per questo! Alla prima cazzata che fai ti sparo e dirò che si sarà trattato di autodifesa. Sono stato abbastanza chiaro?" fece con fermezza Carson, prendendolo per un braccio.
"Ho capito, mamma." mormorò Harvey.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Henny aspettava alla fermata da mezzora, e finalmente l'arrivo del bus che l'avrebbe portata a San Francisco era vicino.
Voleva cominciare una nuova vita, e andarsene era buona idea, ma avrebbe voluto salutare Peyton..
Ignorava, però, che nel bus c'era una bomba che sarebbe scoppiata non appena il tram fosse partito per condurla nella nuova città.

SALVEEEEEE :D ALTRO COLPO DI SCENA :D VI RICORDATE TUTTI DELL'AMICA DI HENNY, VERO? COSA SUCCEDERA' ADESSO? LO SCOPRIRETE CON IL PROSSIMO CAPITOLO :) A PRESTOOOO

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Crollo ***


dd CAPITOLO 17. CROLLO

Henny mise il piede destro sul bus e stava per mettere il sinistro, ma si sentì afferare con forza per la camicia.
Era terrorizzata.
Era uno degli uomini che la volevano morta?
Molto probabilmente sì.
Era nel panico, e tutto quello che riusciva a pensare era "Maledizione! Ci mancava così poco! Non posso essere così sfortunata!"
Chiuse gli occhi, e sentì questo qualcuno che la stava trascinando contro la sua volontà.
Lei si dimenava, ma niente.
Quando aprì gli occhi, si ritrovò davanti gli occhi chiari di Colton.
"Tu!" esclamò lei, a dir poco sorpresa.
Cosa stava succedendo?
Era stato lui a volere che se ne andasse!
Perchè l'aveva obbligata a scendere?
Non ebbe nemmeno il tempo di chiederglielo, perchè si sentì un forte rumore che sembrava una bomba.
Il bus, che nel frattempo era partito e si era allontanato da loro, era esploso in mille pezzi.
Era davvero troppo.
La ragazza svenne.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

"IO VORREI SAPERE COSA C'E' NELLA TUA SCATOLA CRANICA AL POSTO DEL CERVELLO! UN RUBINETTO CHE PERDE ACQUA? MA COME DIAVOLO TI E' VENUTO IN MENTE!"
Colton urlava tanto che gli si vedevano le rughe del collo.
Carson lo lasciò urlare, perchè tanto sapeva che, in fondo, il collega aveva ragione.
Aveva fatto evadere un serial killer, ed indubbiamente era sbagliato, ma..
Ma l'aveva fatto per capire di più la misteriosa faccenda che girava intorno alla ragazza.
Fino a quel momento, lui e Colton avevano fatto da soli, e le cose non erano andate molto bene.
Un aiuto avrebbe fatto comodo.
Harvey, dal canto suo, portava ancora le manette, e se ne stava in un angolino a ridere della scenata di Colton.
"Capisco che tu sia arrabbiato, ma Henny è nell'altra stanza e non si è ancora svegliata. Lasciala dormire. Le farà bene."
"Che vada al diavolo anche lei!"
"L'abbiamo quasi mandata al patibolo più di una volta! E' un errore che non possiamo più permetterci. Controlleremo Naher. Lui puà aiutarci. Conosce questa storia meglio di te e me messi insieme!" ribattè Peterson, scuotendo le spalle.
"Ma stai dando i numeri o cosa?!?"
"Però su parecchie cose ci ha preso! Ci aveva avvertito sul fatto che non si sarebbero fermati, ma tu niente! E guarda cos'è successo! Una ragazza è quasi morta."
"Qui non si parla di una ragazza. Qui si parla di uno scaricatore di porto con il carattere di un criceto che non è in grado di badare a sé stesso! Noi non siamo babysitter! Siamo poliziotti! E se lei è stupida, ritardata e non autosufficiente va in manicomio! Fine della storia!"
"Colton.. non sono cose belle da dire.. Lei può sentirti."
"Beh, e allora? Che mi senta! E' la verità! Ma l'hai guardata bene? E' una stupida immatura che crede a tutto quello che gli si dice. Fa tanti bei discorsi da timida verginella, ma non per scelta! Lei non ha nessuno perchè nessuno la vuole! Chi vorrebbe stare con una come lei? Non ha carattere, non ha niente! L'unica che stava con lei per chissà quale motivo, la sua amichetta dai capelli rossi, è morta e ora è da sola? Amen! Così se quelli la beccano, nessuno sentirà la sua mancanza!"
"Ehm.." mormorò Harvey, indicando la porta della camera da letto.
Era semiaperta, e sulla soglia c'era Henny in lacrime.
Aveva sentito tutto.
Quando si accorse che si erano accorti tutti e tre di lei, attraversò il salotto e uscì dall'abitazione.
Carson aveva tentato di fermarla, ma niente.
Quando uscì e sbattè la porta, Harvey e Carson guardarono severamente Butler.
"I miei complimenti Colton, dico davvero." mormorò Carson.
"Che stronzo." si limitò a dire Harvey,
"Non mi sembra che tu sia nella posizione di giudicare!"
Harvey si avvicinò al poliziotto.
"Sai, credo che nessuna delle mie vittime abbia sofferto tanto quanto tu hai fatto soffrire quella ragazza." gli sussurrò.
"Valla a cercare, Colton. Adesso."
"Cosa? No, non esiste."
"Colton, adesso! O lo rimpiangerai per tutta la vita"
Butler sbuffò, ma alla fine uscì dalla casa e le corse dietro, cercando di raggiungerla.

SALVEEEEE :D OK DOPO QUESTO CAPITOLO TEMO CHE MOLTI DI VOI ODIERANNO COLTON :P NON ODIATEMI SE L'HO FATTO COSI' ANTIPATICO!  SONO SICURA CHE VI SORPRENDERA'! E VOLEVO AVVISARVI CHE NEI PROSSIMI CAPITOLI CI SARA' UN NUOVO PERSONAGGIO :D SPERO CHE IL CAPITOLO VI SIA PIACIUTO :D FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE :D CIAOOO :)

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Odio ***


jj CAPITOLO 18. ODIO

"Spero vivamente che Colton la trovi." mormorò Carson, mangiandosi le dita a causa della crescente agitazione.
"Perchè la odia tanto?" chiese Harvey, alzando le spalle.
"Odia tutti. Da sempre. Non riesce a fidarsi di nessuno."
"Da un certo punto di vista è un bene, visti i tempi che corrono."
Carson voltò lo sguardo e fissò l'evaso in modo sospetto.
"Che non ti passi per l'anticamera del cervello che solo perchè stiamo facendo una conversazione non strettamente legata agli omicidi io ti lasci libero. Sei qui perchè madre natura ha donato un grande cervello a dei pazzi omicidi. Non appena sento un'odore di bruciato, sei finito." sbottò Carson, facendo intendere a Naher che con lui non si scherzava.
"Grande cervello, eh? Sono lusingato."
"Passiamo alle cose serie: cosa puoi dirci di questi omicidi?"
"Oh, non chiederlo a me. Siete tu e quello schizzato i Detective. Se vi aspettate che scopra il movente o i fattori psicologici siete fuori strada. Se me ne intendessi un minimo di queste cose non mi avreste mai preso o più semplicemente io non sarei diventato un serial killer. Posso però intuire quale sarà la loro prossima mossa. Che mi sono perso?"
"Lo sai.. è morta l'amica della ragazza. Abbiamo trovato un biglietto con scritto che sapevano chi era e che avrebbero ucciso chiunque si sarebbe messo come ostacolo."
Harvey fece una smorfia e dondolò.
Cercò di connettere tutte le informazioni che aveva come una specie di apparecchio elettronico, e poi si fermò di colpo.
Sfortunatamente non si era fermato per un lampo di genio.
Si era fermato per un brutto presentimento.
Una possibilità spiacevole.
"Allora? Che puoi dirmi?" chiese Carson, avvicinandosi al killer.
"Il biglietto diceva che avrebbero ucciso tutti coloro che rappresentavano un ostacolo?"
"Sì." annuì Carson, continuando ad essere confuso.
Avrebbero ucciso chiunque si trovasse davanti a loro.
Avrebbero ucciso Harvey perchè li aveva traditi.
E avrebbero ucciso chiunque lo avesse aiutato.. o salvato la vita.
"Cazzo." mormorò il killer, sempre più spaventato da quell'eventualità che non riusciva a cancellare dalla sua mente.
"Che succede?"
"Dobbiamo andare da una persona. Un uomo. Potrebbero ucciderlo in questo momento!"
"Cosa? Perchè?"
"Perchè mi ha salvato la vita. E quindi è diventato un ostacolo."
"Magari è un poliziotto, o un militare. O un ex soldato."
"Un poliziotto che salva la vita ad un serial killer? Con tutto il rispetto, non è un'ipotesi molto probabile."
"Abbiamo cose più importanti a cui pensare."
"Vive da solo. Ed è cieco."
"Ma.."
"Ora puoi stare qui e lasciare che vincano ancora, oppure salvare un innocente!"
"Se è una falsa pista, ti sparo in mezzo agli occhi!" borbottò Carson, uscendo dall'abitazione con Harvey.

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Il vicolo era buio, piccolo e alquanto inquietante, ma poco importa quando si vuole solo stare da soli e piangere, ed era quello che stava facendo Henny.
Stringeva dolcemente tra le braccia un cucciolo di cane, che aveva trovato nella spazzatura: era stato abbandonato o semplicemente era di strada.
Considerando le condizioni del cane, doveva essere la seconda.
Il cucciolo era dolce, e stava volentieri lì con Henny, e di tanto in tanto la leccava per farla stare meglio.
Quando lo lasciò, il cucciolo rimase lì e lei ne fu molto contenta.
In fondo, ora era come quel cane.
Non aveva più un lavoro.
Non aveva più una casa.
Non aveva più un'amica.
Ancora non riusciva a credere che Peyton fosse morta e cercava di non pensare a lei, ma era tutto inutile perchè il dolore continuava.
Sentì un rumore di passi, e quando alzò lo sguardo si trovò davanti Colton, che se ne stava immobile.
Lei non aprì bocca, e ritornò a stringere a sé il cane.
"Dio mio che schifo. Molla subito quel cane puzzolente prima che mi venga un attacco isterico!" sbottò Colton, disgustato dallo sporco e dalla puzza dell'animale.
La ragazza non rispose.
"Bleah. Mi sembri proprio.." continuò lui.
"Uno scaricatore di porto?" lo interruppe lei con tono furioso.
"Mamma non ti ha insegnato che è maleducazione interrompere le persone?"
Basta.
Per Henny era davvero troppo.
"Non ti azzardare a parlare di mia madre. Tu non sai un cazzo."
Colton rimase a bocca aperta.
Di certo non si aspettava una simile reazione.
"Ehi! Bada a come parli! Sono un agente di polizia."
"Arrestami!" ribattè Henny, mettendosi davanti all'uomo.
Lui rimase zitto e sospirò con irritazione.
"Ah già, ora ricordo. Non puoi farlo. Non puoi farlo perchè sei stato sospeso e perchè non tocchi nessuno." disse Henny, con una marcata nota di sarcasmo.
"Sono stato sospeso per colpa tua, stupida ragazzina! Sei la cosa peggiore che mi sia mai capitata! Per colpa di questa storia ho perso il lavoro!"
"Io il lavoro, la casa e l'unica amica che avevo, quindi non mi sembri nella condizione di fare delle polemiche."
"Spicciati. Dobbiamo tornare indietro."
"Io con te non vado da nessuna parte!"
"Non fare la bambina!"
"Fermami! Ah già, non puoi perchè gli altri sono troppo inferiori a te per essere sfiorati dalle tue vellutate mani!" esclamò Henny, continuando ad essere sarcastica.
"Io non ti tocco perchè puzzi e non sei degna di essere considerata una donna! Sembri più un barbone. E poi questi sono fatti miei!"
"Tu giudichi tutto quello che faccio o sono quindi mi sento libera di farlo anch'io!"
"Adesso basta! Molla quel cane e andiamocene! Stiamo attirando fin troppo l'attenzione!"
"Ti odio. Sei l'essere più egoista e più insopportabile che abbia mai conosciuto!"
"La cosa è reciproca, te l'assicuro, ma prima torniamo prima risolveremo questa faccenda. E prima ci diciamo addio, che è quello che mi interessa!"

SALVEEEEEE :D ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :D SPERO VI PIACCIA :D FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE CON QUALCHE RECENSIONIE :D CIAOOOO


Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Douglas Raper ***


ss CAPITOLO 19. DOUGLAS RAPER

Colton attraversò con passo svelto il lungo corridoio davanti a lui.
Tirò fuori un fazzoletto che teneva in tasca, e si pulì le mani.
Stupida ragazzina! Ora si è messa anche a fare la dura con me. Spero non mi abbia infettato! Lei o quello stupido cane!
Quando si rese conto di essere solo, si voltò di scatto.
Tornò indietro a passo svelto, e raggiunse Henny, che continuava a sembrare un uomo per l'abbigliamento maschile, i capelli corti e il cappello, che le copriva lievemente i tratti del viso, particolarmente femminili.
"Ti vuoi dare una mossa o no?" sbottò lui, evidentemente scocciato.
Lei restò ferma, giusto per irritarlo maggiormente.
E' finito il tempo in cui mi facevo trattare come una deficiente da te! Non sono la tua schiava. Coglione. Se non migliorerai i tuoi modi sarò costretta a darti un pugno in quella faccia insulsa che ti ritrovi. Non pensavo avrei mai fatto a pugni con qualcuno, ma a mali estremi, estremi rimedi.  pensava fra sé la ragazza, guardando il poliziotto con sguardo severo.
Non potendo fare altrimenti, Colton si mise un guanto che teneva nella tasca dei pantaloni, e con la mano in cui l'aveva, afferrò un braccio della ragazza e la trascinò con forza.
I presenti guardarono la strana coppia, incuriositi dal loro modo di comportarsi.
"Mi sembra di fare il baysitter! Quando avevo 4 anni ero più maturo di te!"
"Perchè tu sei stato un bambino? Non credo."
"Vedi di smetterla con questo tuo sarcasmo."
"Perchè altrimenti?"
"Non ti conviene sfidarmi, quindi vedi di piantarla."
"Non voglio avere niente a che fare con te!"
"Mi trovi d'accordo!" ribattè Colton, sempre più nervoso.
Si fermarono di colpo davanti ad una segretaria, che stava scrivendo probabilmente una pratica.
Dietro di lei c'era una porta con scritto "Douglas Raper, assicuratore".
"C'è Douglas Raper?"
"Chi devo annunciare?"
"La polizia di New York. Abbiamo qualche domanda da fargli su un omicidio avvenuto un paio di giorni fa."
"Ma non è vero!" sussurrò la ragazza al poliziotto, mentre la segretaria era entrata nell'ufficio del misterioso signor Raper.
"Stai zitta!"
"Non hai il distintivo, genio! Come pensi che creda che sei un poliziotto se non hai il distintivo dato che te l'hanno ritirato?"
"Ma ce la fai a chiudere il becco per 10 secondi? Vorrei non sentire la tua irritante voce per un po'."
"Il signor Raper vi attende."
Colton entrò nell'ufficio e si trascinò dietro Henny.
"Ma che sorpresa!" mormorò una voce maschile molto profonda.
Era stato Raper a parlare.
Era accasciato sulla sua poltrona, e non smetteva di guardare Colton.
Era più vecchio, tra i 40 e i 45 anni, ma era nettamente più bello e affascinante del poliziotto.
Aveva i capelli scuri pettinati come andavano in quel periodo, e le rughe che si intravedevano sul suo volto lo rendevano ancora più sexy.
I suoi occhi erano verde chiaro e la bocca semiaperta perchè aveva un sigaro.
Era vestito in modo molto elegante, forse troppo.
Portava l'anello nuziale.
Era sposato.
"Capitano Raper." mormorò Colton.
"Non sono più capitano, esattamente come tu non sei più tenente, Butler. Ora sono solo Douglas Raper, l'assicuratore."
"Potete spiegarmi?" chiese Henny, curiosa di sapere cosa stesse succedendo.
"Per tutti i santi del Paradiso, ma tu sei una donna! E che donna, se posso aggiungere." mormorò Raper, avvicinandosi alla ragazza.
Le fece un inchino, e le porse la mano.
"Sono Douglas Raper, ma tu chiamami Doug, tesoro. Come mai questi abiti maschili? Dovrebbe essere illegale che una creatura meravigliosa come te si nasconda sotto questi abiti."
"Quando ero in guerra, al fronte, Raper era il mio Capitano. E io ero Tenente." spiegò Colton.
"Sei stato in guerra?" chiese Henny.
"Colton aveva 20 anni, era ancora un ragazzo. Io 34. Sono stati tempi duri, ma dovevamo fare quello che era giusto per il Governo degli Stati Uniti d'America. Tornati qua, Colton ha voluto continuare a seguire la carriera della legge, uccidendo questa volta i criminali, mentre io volevo cambiare aria. Ma vieniamo a cosa più importanti. Cosa posso fare per voi?" continuò Raper.
"Se ben ricordo, eri un ottimo cecchino." disse Colton.
"Lo sono ancora. Solo che stavolta la mia abilità è utilizzata solo per la caccia."
"Sono nel bel mezzo di una guerra, Raper. Mi serve qualcuno che spara."
"Guerra? Cos' hai in mente? Vuoi uccidere il presidente degli Stati Uniti?"
"Temo si tratti di qualcosa di più complesso."
Colton si sedette, e spiegò all'ex compagno di guerra ogni cosa.

COME PROMESSO, ECCO IL NUOVO PERSONAGGIO, DOUGLAS RAPER! CHE NE PENSATE? VI PIACE? SPERO DI Sì :D FATEMI SAPERE CON UNA RECENSIONE :) CIAOOO


 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Squadra ***


ww CAPITOLO 20. SQUADRA

Erano settimane che Henny non rideva.
Gli eventi le avevano fatto dimenticare perchè una persona sorride, ma ora le cose erano cambiate.
Da quando aveva saputo di Peyton, il suo umore era peggiorato notevolemente, esattamente come il suo rapporto con Colton: ora o si ignoravano lanciandosi sguardi minacciosi o si insultavano.
Essere civili l'uno con l'altro era diventato impossibile.
Henny era stanca di essere gentile con un individuo che l'aveva sempre insultata e disprezzata e non aveva intenzione di essere umiliata ulteriormente da un uomo che le rinfacciava continuamente qualunque cosa, anche quelle di cui non aveva colpa.
Dal canto suo, Colton non intendeva essere gentile con una donna che gli aveva causato soltanto guai.
Inoltre, lei non era sua moglie, sua sorella o sua amica: perchè doveva essere gentile se non la reggeva?
Tuttavia, con l'entrata in scena di Danny Rosling, le cose erano nettamente miglioramente.
Danny era il giovane uomo che aveva salvato la vita a Harvey, e si trovava lì proprio perchè quest'ultimo e Peterson erano andati a prelevarlo prima che la sua casa scoppiasse in mille pezzi, esattamente come aveva dedotto Naher: se fosse stato sano di mente, sarebbe stato un ottimo poliziotto, con quell'istinto micidiale.
Anche se era cieco, Danny era il più ottimista lì dentro.
Vedeva il mondo in modo tutto suo e riusciva sempre a cogliere il lato positivo delle cose, e per questo Henny lo ammirava profondamente.
Per la ragazza fu un sollievo parlare con lui.
Era gentile e un ottimo ascoltatore.
Poco più in là, Butler, Peterson, Naher e Raper erano riuniti intorno ad un tavolo, e tutti e quattro giocherellavano con le dita.
Ora la squadra era al completo.
Per difendere una misteriosa ragazza e un cieco che sapeva troppo c'erano due ottimi Detective esperti nelle sparatorie e nei combattimenti, uno degli ex cecchini migliori dell'esercito americano e un serial killer dalla mente eccezionale.
C'era solo un piccolo problema.
Cosa fare ora?
Dovevano pensare ad un piano d'attacco, e soprattutto ad un piano di difesa.
E ancora più importante dovevano trovare tre abitazioni nascoste.
Una per nascondere Henny, una per nascondere Danny e una da usare come rifugio per organizzare i vari attacchi e le varie scoperte sul caso.
Tenere Henny e Danny nella stessa abitazione poteva essere più facile, ma più rischioso.
Un cieco e una ragazza che vivono insieme senza essere sposati avrebbe dato nell'occhio, e quella era l'ultima cosa che volevano.
Inoltre, dovevano scegliere tra loro due persone che almeno due o tre volte a settimana andassero a trovare i due: dovevano assicurarsi che stessero bene e portare loro le novità sul caso e del cibo visto che non potevano uscire.
Per i nascondigli scelsero per Danny l'appartamento di Peterson e per Henny una proprietà di Colton.
Per il rifugio ipotizzarono per una casetta isolata che avrebbero affittato l'indomani, dove sia Peterson sia Harvey avrebbero passato anche la notte, dato che non avevano più una loro casa.
Ora bisognava scegliere chi doveva fare da balia ai due.
"Danny è dentro questa storia per colpa mia, quindi è giusto che sia io ad andarlo a trovare." propose Harvey, notando che nessun altro parlava.
"Ci prendi per stupidi? Tu e lui da soli? Lo ammazzerai." sbottò Colton.
"Oh, andiamo. Ucciderò l'uomo che mi ha salvato la vita?"
"Naher.."
"Non gli torcerò un capello, promesso." mormorò Naher, mettendo le mani in segno di giuramento.
"Ok, ma ti terremo d'occhio!"
"Fate pure, non ho niente da nascondere."
"Bene.. e per quanto riguarda quell'incantevole fanciulla?" mormorò Doug, indicando con la testa Henny.
"Sei sposato, Raper." gli fece notare Peterson.
"Dettaglio irrilevante." ribattè Raper.
Nel rispondere, Raper guardò Colton e poi Henny,
Henny e poi Colton.
Stava osservando come i due si guardavano e capì che qualcosa tra loro non andava, e non ne capiva il motivo.
Henny aveva la bontà e la gentilezza giusta che serviva per abbattere una volta per tutte il muro che Colton si era costruito, e invece si odiavano.
"Facciamo così. Scriverò su un foglietto i nostri nomi eccetto Harvey, dato che lui va già da Danny. Chi verrà pescato andrà a trovare la ragazza."
I due Detective annuirono, anche se Colton parve leggermente contrariato.
Fu Peterson a pescare, e guardò Colton come se fosse sul punto di scoppiare a ridere.
"Cerca di stare calmo, Colton."
"No! No, non dirmelo."
"Oh sì, invece." mormorò Peterson.
"Mi rifuto!" sbottò il Detective, sbattendo le mani sul tavolo.
"Quel che fatto è fatto."
Quando Colton si allontanò per sbollire la rabbia, Raper voltò gli altri foglietti per mostrarli a Naher e a Peterson.
In tutti e tre c'era scritto "COLTON BUTLER".
"Perchè?" chiese Peterson.
"Perchè il Destino a volte ha bisogno di una mano." mormorò Raper, distruggendo i pezzi di carta.

ECCOCI :D IL GRUPPO E' AL COMPLETO! E CHE NE PENSATE DEL TRUCCHETTO DI RAPER? SIETE D'ACCORDO? FATEMI SAPERE :D


Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Sfortuna ***


gggg CAPITOLO 21. SFORTUNA

"Oh, no!" sbottò Henny.
No dai, non poteva avere così tanta sfortuna.
Non riusciva a crederci.
Non poteva essere vero.
"Oh no lo dico io, non certo tu!" sbottò Colton, facendole il verso ed entrando sbattendo la porta.
Tutto quello che la ragazza sapeva era che uno di loro la sarebbe andata a trovare ogni tanto, ma con tutta l'anima aveva sperato che non si trattasse di lui.
"Non rimarrai delusa" le aveva detto Raper, quando lei aveva chiesto chi la sarebbe andata a trovare.
Non rimarrai delusa.
Certo.
Infatti non è delusa.
E' molto delusa.
Chiunque tranne Colton.
Mi va bene chiunque, ma non lui.
Raper mi sarebbe andato bene, anche se ci avrebbe provato per tutto il tempo.
Naher mi sarebbe andato bene, anche se era un serial killer psicopatico.
Carson sarebbe stato a dir poco perfetto.
Ma non Colton.
Tutti tranne lui.
Evidentemente non era destino che le cose le andassero bene.
La ragazza sbuffò.
Colton lo notò, e parve maggiormente contrariato.
Come se a me piacesse stare qui!
A perdere tempo con una mezza camionista!
"Ti assicuro che dà più fastidio a me!" sbottò Colton, con il suo solito tono altezzoso.
"Ne dubito!" ribattè la ragazza, incrociando le braccia.
"Te l'ho già detto, ragazzina. Vedi di non provocarmi."
"Non potevi opporti?"
"Chiudi il becco! La tua voce mi irrita! Dio santo, mannaggia a me che mi sono infilato in questa situazione del cazzo. A quest'ora potevo essere con la mia fidanzata, invece che stare qui con una bambinetta!"
"Tu? Tu hai una fidanzata?"
"Non sono affari tuoi."
"Poverina. E pensare che credevo di essere io la più sfigata. Evidentemente mi sbagliavo."
"Se non fosse illegale ti avrei già ucciso! Maledizione! Mi fai saltare tutti i nervi! Non appena questa storia finirà, ti voglio fuori dalla mia vita e fuori da questa città! Non ti voglio mai più vedere! MAI PIU'! Sono stato abbastanza chiaro, o dovevo ripetertelo più lentamente?"
"No. Sei stato molto chiaro." mormorò lei con indifferenza.
"Stai giocando con il fuoco. Non ti azzardare mai più a prendermi in giro. Non ti conviene."
"E secondo te cosa dovrei fare? Sono stata gentile e non è servito a niente."
"Noi non siamo un cazzo. Non siamo amici, non siamo fratelli e non stiamo insieme. Mai saremo una di queste cose! Non sono tenuto ad essere gentile con te."
"Benissimo! Io neanche!"
"Bene!"
"Non devi andare dalla tua fidanzata?"
"Se la prossima volta che torno trovo un solo graffio ad un mobile o ad una cosa, sei finita!" urlò lui, uscendo e sbattendo la porta.
Non si accorse di un ritaglio di giornale che era caduto, e che prima teneva nella tasca interna della sua giacca.
La ragazza, incuriosita, lo aprì e quello che ci trovò dentro la sconvolse.
Lo guardò per tutta la notte.
Non riusciva a crederci.

LO SO LO SO... L'HO FATTO PIU' CORTO DEL PREVISTO, MA IN COMPENSO VI AVVISO CHE IL PROSSIMO CAPITOLO, IN CUI SI SCOPRIRA' COSA  C'è IN QUELL'ARTICOLO, CI SARA' UNA GRANDE RIVELAZIONE :3 FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE! CIAOOO

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 12 Febbraio 1923 ***


qq CAPITOLO 22. 12 FEBBRAIO 1923

Howard Eams era ancora incredulo.
Non riusciva a crederci.
Non poteva.
Era capitano della squadra di polizia della sezione Omicidi di San Francisco da cinque anni, e ne aveva viste di cose che andavano contro la moralità umana ed era arrivato al punto di credere che nulla, assolutamente nulla, avrebbe potuto renderlo triste o preoccupato, nemmeno l'omicidio più efferato.
Si sbagliava.
Quella notte, il 12 febbraio 1923, non l'avrebbe mai dimenticata.
Non solo lui, ma ogni agente o detective di quel distretto uscì dalla propria casa alle 3 del mattino per giungere sul posto, per verificare se le voci erano vere.
Lo erano.
Tutti volevano bene a Frank.
Era buono, generoso e coraggioso.
Forse troppo coraggioso, dato che è stato quel suo coraggio a portarlo alla morte quel giorno, il 12 febbraio 1923.
Era il procuratore più rispettato della città, e grazie alla sua diplomazia e alla sua dedizione al lavoro aveva sbattuto molti criminali dietro le sbarre e nel braccio della morte. Qualunque difficoltà avesse la polizia ad inchiodare un sospettato, se era stato lui, tutti sapevano che Frank gli avrebbe dato del filo da torcere, ma l'ammirazione che la gente nutriva nei suoi confronti non era dovuta semplicemente al suo lavoro.
Fuori dal tribunale, Frank era sempre disponibile per aiutare chiunque potesse.
Era benestante perchè discendeva da una famiglia che possedeva una grande catena di negozi alimentari le cui sedi erano sparse in tutto il paese, ma viveva come una persona normalissima.
Come un qualunque cittadino di ceto medio della città di San Francisco.
Viveva in una casa modesta con un piccolo giardino nella periferia della città, anche se poteva permettersi più di una villa.
Con i soldi che aveva poteva passare tre mesi all'anno, anche di più, in vacanza e in giro per il mondo, ma non lo faceva, perchè preferiva dare i soldi a chi ne aveva seriamente bisogno.
La cittadina non amava solo lui, ma anche la bellissima famiglia che aveva creato: sua moglie, Camille, era vista da tutti come una donna docile e premurosa.
Nessuno l'aveva mai vista arrabbiata.
Aveva i capelli biondi come il grano e gli occhi chiari come il mare.
La coppia aveva un figlio, un tranquillo bambino di 8 anni, e un altro in arrivo: infatti, Camille era incinta da 8 mesi ormai, e l'arrivo del nascituro era atteso da tutti con grande impazienza.
Ma quel 12 febbraio 1923 mandò tutto in frantumi.
Un gruppo di clandestini erano entrati nella loro casa e avevano iniziato a rubare quello che trovavano di valore, ma avevano svegliato l'intera famiglia.
Secondo le ricostruzioni fatte in base alle testimonianze dei vicini che avevano sentito le urla e avevano chiamato la polizia, Frank aveva implorato loro di ferire lui se volevano, ma di non toccare il figlio, la moglie e il bambino che aveva dentro di sé.
Sfortunatamente, la banda in questione non parlava la lingua, e iniziarono ad attaccare la famiglia.
Dopo aver ucciso Frank a bastonate, uccisero la moglie e prima ancora il nascituro: il primo colpo alla donna, infatti, fu alla pancia, ed era estremamente forte.
Quando Eams e gli agenti arrivarono sul posto, era troppo tardi.
Il capitano vide alcuni agenti portare via i responsabili, ed entrò in casa.
Vide i corpi senza vita dell'amico e della moglie.
Si spostò per la casa, notando una gran confusione causata probabilmente dalla banda, alla ricerca del bambino.
Forse, almeno lui, era scampato alla strage.
Lo trovò nel salotto.
Il bambino era sotto il tavolo, e tenendosi con forza le gambe, tremava.
Era sporco di sangue nelle mani: probabilmente aveva cercato di salvare la mamma o il papà, anche se erano già morti.
Senza che il bambino se ne accorgesse, un agente gli andò dietro e gli sollevò la camicia.
"E' pieno di lividi, signore. Probabilmente l'hanno picchiato. Se i vicini non avessero chiamato, temo sarebbe morto anche lui. Fortuna che siamo arrivati in tempo." mormorò l'uomo al suo superiore, lasciando la stanza.
"Ehi, ciao. Ti ricordi di me?" gli sussurrò Eams.
Il bambino alzò lo sguardo e guardò l'uomo.
Annuì.
Certo che lo conosceva.
Lui e il padre erano grandi amici.
A Eams sembrò di vedere Frank.
Erano uguali.
Gli stessi lineamenti, lo stesso sguardo.
Le uniche differenze erano il colore dei capelli e degli occhi, biondi e chiari, come la madre.
"E' tutto finito. Vieni, ti portiamo via." mormorò Eams, cercando di avvicinarsi.
Non appena il capitano lo toccò per prenderlo in braccio, il bambino lo spinse via.
"No!" urlò.
"Non vuoi che ti tocchi?"
"No!"
"Preferisci che chiami qualcun'altro?"
"Mi hanno fatto male.."
"Lo so, piccolo. Ma noi non ti faremo del male."
"Non voglio essere toccato! Mai più! E mai da nessuno!"
"Come vuoi, piccolo. Allora esci da solo. Ti accompagnerò alla macchina."
Con riluttanza, il bambino uscì dal tavolo e si allontanò con l'uomo.
"Poverino. Come si chiama?" chiese un agente all'altro.
"Butler. Colton Butler."

..... ECCOMI :D ORA SAPETE PERCHE' COLTON NON VUOLE ESSERE TOCCATO U.U SPERO QUESTO CAPITOLO VI SIA PIACIUTO. FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE LASCIANDOMI UNA RECENSIONE, MI FAREBBE PIACERE! :) CIAOOO

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Accordo ***


vv CAPITOLO 23. ACCORDO

Erano passati un paio di giorni dall'ultima discussione tra Colton e Henny, ed era arrivato il momento di rivedersi.
Non che Colton lo volesse, ma faceva parte dei suoi compiti.
Se quella psicotica mi manca ancora di rispetto la butto fuori di casa.
Giuro!
Quando aprì la porta, sentì un silenzio tombale.
Un silenzio inquietante.
Un silenzio che non portava a niente di buono.
Perchè c'era quel silenzio?
Vide la ragazza in salotto, che se ne stava in piedi a fissarlo.
Lo fissava come si fissa un qualcosa di dolce come un cucciolo o un bambino.
Lo fissava come si fissa qualcuno per cui si prova pietà.
Lo fissava in un modo che a Colton non piaceva affatto.
Ma proprio per niente.
"Ti dò dieci secondi per toglierti quell'espressione. E smettila di fissarmi in quel modo."
"Fissarti come?"
"Lo sai!"
"Senti Colton.." mormorò lei, avvicinandosi.
"Oh oh oh! Aspetta! Colton? SONO DETECTIVE BUTLER PER TE! Quante volte devo dirtelo?"
"Detective Butler, dobbiamo parlare."
Questa volta fu lui a guardarla diversamente.
"Cosa?"
"Dovrei dirti una cosa."
"Ma per chi mi hai preso? Per uno psicologo? Non voglio sapere niente dei tuoi affari!"
La ragazza si avvicinò e lui si allontano.
"Che diavolo fai?"
"Non avevo niente da fare, così ho pulito un po' casa tua."
Colton la guardò scettico, e poi osservò l'abitazione.
"Non l'hai fatto bene. C'è ancora della polvere ovunque."
"Non sono molto brava a pulire."
"Ho notato."
"Ho fatto quel che potevo."
"Perchè?"
"Pensavo l'avresti apprezzato."
"Ci stai provando? Perchè sai, non attacca con me!"
"Oddio, no!" si affrettò a dire lei, in tono schifato.
"E allora cosa sono tutte queste mossettine? Che c'è? Vuoi sposarmi perchè sono ricco? Beh, puoi scordartelo! Mi butto nel letame piuttosto che sposare una come te!"
"Non voglio sposarti! Sto solo cercando di migliorare le cose tra di noi! Non dico che dobbiamo innamorarci, ma almeno avere uno straccio di rapporto civile. Un rapporto che ci permetta di non aggredirci non appena ci vediamo!"
"E perchè mai dovremmo farlo?"
"Perchè io sono stanca di litigare. Quando litigo sento un gran dolore alla pancia e sono stufa. Non credo che a te piaccia sparare continuamente insulti."
"Non ha alcun senso quello che dici. Finita questa storia ognuno andrà per la sua strada."
"Ma non sappiamo quando finirà questa storia! Io non sono una persona cattiva, e penso che neanche tu lo sia." mormorò la ragazza, porgendo al detective il ritaglio di giornale che gli era caduto.
"Schifosa puttana! Lo sapevo che c'era qualcosa sotto! Come ti sei permessa di rubare le mie cose?"
"Non ho rubato un bel niente. E' caduto quando sei uscito l'altra volta e quando me ne sono accorta eri già andato via."
"E secondo te io me la bevo?"
"Andiamo, Detective Butler. Entrambi sappiamo benissimo che se fossi stata io a rubarlo te ne saresti accorto."
"Se lo racconti a qualcuno te la farò pagare!"
"Ma non c'è niente di cui vergognarsi!"
"QUESTO STA A ME DECIDERLO!" urlò Colton, sbattendo con forza la mano destra sul tavolo.
"Io volevo solo aiutarti." mormorò la ragazza.
"Non ho bisogno dell'aiuto di nessuno. Tanto meno del tuo."
"Io invece credo di sì. E il fatto che dopo quasi 20 anni tu non voglia farti toccare da nessuno significa che non l'hai superato."
"Questi non sono cazzi tuoi!"
"Mi dispiace molto per quello che ti è successo, e solo perchè sei stato solo fino ad oggi non significa che tu lo debba essere per sempre."
"Io non sono solo! Ho una fidanzata!"
"Che non riesci a toccare. Non ti piacerebbe farlo?"
"Questo non è un tuo problema."
"Fidati di me. Io so ascoltare. Lasciati aiutare. Non sono così terribile come pensi."
"Nessuno può aiutarmi."
"Facciamo così. Lasciati aiutare da me, e se entro due mesi non è cambiato niente e tu continui ad odiarmi, me ne andrò. Uscirò da questa casa e non mi vedrai mai più."
"D'accordo."
Colton era soddisfatto.
I migliori psichiatri del paese non erano riusciti a cambiarlo in anni, quindi di certo quella ragazzina non ce l'avrebbe fatta.
E così nel giro di poco l'avrebbe avuta fuori dalla sua vita.

ECCOMIIIII :D SPERO QUESTO CAPITOLO VI SIA PIACIUTO :D COSA SUCCEDERA' ORA? FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE :D

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Cambiamenti ***


cccccc CAPITOLO 24. CAMBIAMENTI

Con una mano Colton si grattava la testa, mentre con l'altra teneva ferma una cartina della città per analizzare meglio le tante scritte riportate sopra.
Accanto a lui c'era Carson, che come il collega cercava di giungere ad una soluzione.
Lì in mezzo c'era la risposta alle loro domande.
Lì in mezzo c'era il rifugio di quella dannata banda.
Avevano bisogno di procedere con il loro piano, di fare dei passi avanti.
Erano fermi da troppo tempo.
Non potevano continuare a stare con le mani in mano.
C'era un silenzio tombale, ma nonostante questo i due detective non erano arrivati ad una conclusione, ma questo non impedì a Butler di arrabbiarsi quando Naher sbattè con forza le mani sul tavolo e anche sulla cartina, causando un gran rumore e facendo volare via un numero imprecisato di matite.
Gli occhi del detective si fecero ancora più duri e vitrei, lanciando a Naher occhiate tutt'altro che confortanti.
"Dovete aiutarmi." continuò il serial killer, fregandosi dello sguardo di Butler.
"Aiutare un serial killer non è la priorità, e se anche lo fosse non lo farei." sbottò severamente Colton.
"Sono anni che sono in astinenza! Non ce la faccio! Ho bisogno di fare sesso!"
"Scordatelo. Dubito che riuscirai a convincere uno di noi a venire a letto con te. Certo, se ti trucchi e ti vesti da donna potresti anche convincere Raper, ma devi essere molto convincente." mormorò Butler, continuando a trattare la questione con superficialità.
"Sentite... io ho un problema, lo so.."
"Ma no! Questa sì che è una sorpresa! E io che credevo che fossi condannato a morte perchè hai sbagliato un parcheggio!" continuò Colton.
"A me non piace uccidere, detective Butler. Non mi è mai piaciuto!" sbottò Naher, puntualizzando un punto che nessuno aveva ancora capito di lui.
"Un serial killer a cui non piace uccidere? Dai Naher, finiscila. Non lo sai neanche tu quello che dici. Ma ti senti quando parli?"
"Mi serve un cadavere."
Colton si irrigidì ancora di più.
Ma cosa aveva in testa quello lì?
Chiedere a dei poliziotti un cadavere?
Cos'è, una scenetta comica?
"Scusami tanto, ma credo di non aver capito." mormorò Colton avvicinandosi al killer.
"Hai capito benissimo!" urlà Naher, prendendo una pistola e puntandosela alla tempia.
Quel gesto mise in allarme tutti, soprattutto Colton.
Quella missione senza Naher, e soprattutto senza il suo cervello, era un suicidio.
Era come salire sul Titanic pur sapendo che fine avrebbe fatto.
Non potevano correre quel rischio.
Mentre rifletteva su come procedere e come affrontare quella situazione, Colton collegò i punti.
Aveva finalmente capito.
Naher aveva detto la verità.
A lui non piaceva uccidere.
Uccidere era solo un mezzo per raggiungere ciò che voleva realmente.
Un cadavere di cui abusare.
"Se te ne procuriamo uno, non farai del male a delle persone?" sussurrò Colton.
"Non ho mai voluto uccidere nessuno, ve l'ho detto. Un cadavere ogni tanto. Non chiedo altro." mormorò Naher in tono rilassato, gettando via la pistola.
"D'accordo. Domani andremo all'obitorio e te ne porteremo uno però, ti imploro, fai le cose che devi fare in un posto in cui non possiamo vederti." continuò Carson, agitando le braccia.

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Colton guardò il suo piatto con evidente disgusto.
Erano almeno 10 minuti che lo guardava, e ancora non aveva capito da cosa era costituito quel miscuglio, che più che un minestrone sembrava un gas infetto con contenuto ignoto.
"Mi dispiace, ma sono negata in cucina." tentò di difendersi Henny.
"A fare le pulizie sei negata, in cucina anche. C'è qualcosa in cui non lo sei?"
"Ho pensato che fossi affammato, così ho provato a prepararti qualcosa per farti una sorpresa."
"Dovresti smetterla di fare sorprese agli altri. Ottieni il risultato opposto."
"Potremmo conservarla."
"E perchè mai?"
"Può avere una sua utilità. Quando prenderete un sospetto e gli farete mangiare questa roba, vedrai come vuoterà in fretta il sacco."
Forse per la battuta o forse per l'autoironia che di certo nessuno dei due si aspettava, quella frase riuscì a far strappare al detective un sorriso.
"Allora lo sai come si fa a sorridere! Credevo non lo facessi mai perchè avevi un difetto alla mandibola."
"Ahah." mormorò il detective, facendo uno strano verso alla ragazza.
"Non è così difficile. Devi solo aprire un po' la bocca e.."
"Lo so come si sorride, piccolo genio."
"E allora perchè non lo fai mai?"
"Perchè non ho motivo di farlo." mormorò Colton, ignorando che presto, prima di quanto avrebbe creduto, l'avrebbe avuto.

DUNQUE.... SPERO QUESTO CAPITOLO SIA DI VOSTRO GRADIMENTO :D PER QUANTO RIGUARDA LA PRIMA PARTE, RICORDATE CHE NAHER E' PUR SEMPRE UN SERIAL KILLER E SE QUELLA SCENA VI HA PROVOCATO DISGUSTO VI CHIEDO SCUSA, MA ERA NECCESSARIA, ALTRIMENTI IL PERSONAGGIO PERDEVA CREDIBILITA'.. PER QUANTO RIGUARDA LA SECONDA... A VOI LE CONCLUSIONI :3 LASCIATEMI PURE UNA RECENSIONE SE VOLETE :) MI FAREBBE PIACERE :) CIAOOO




Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Fotografie ***


qqq CAPITOLO 25. FOTOGRAFIE

Per quanto gli desse fastidio ammetterlo, Colton si trovò costretto a riconoscere al serial killer qualche qualità.
Da quando aveva terminato quella castità durata fin troppo a lungo per i suoi standard, Naher aveva fatto dei gran passi avanti nel caso.
Era come se il sesso gli accendesse quel cervello che solo lui aveva.
E a loro serviva il suo cervello per andare avanti.
Il necrofilo aveva chiesto a Colton e a Carson di vedere delle foto, anche prese dai giornali, che ritraessero membri importanti della società di quel periodo, come giudici, ricchi, avvocati, e soprattutto poliziotti.
Inizialmente i due non capirono, ma notando che il killer aveva la luce negli occhi e che quindi il suo cervello stava lavorando come avevano sempre desiderato, eseguirono senza fare troppe domande.
Naher sorrise soddisfatto: il suo piano stava funzionando.
Sapeva che quei bastardi che lo erano andati a trovare in prigione non erano banditi qualunque, ma membri alti della società.
Corrotti.
Uomini che rivestivano ruoli importanti.
Troppo.
E quando Naher vedeva qualcuno, anche se in lontananza e solo per un secondo, non lo avrebbe mai dimenticato.
"Non dimentico mai una faccia." disse.
Riconobbe molti degli uomini rappresentati nelle foto, e più la cosa proseguiva, più Colton e Carson erano irritati.
Per loro c'era soltanto una categoria di persone peggiore dei criminali e degli assassini: i poliziotti e i giudici corrotti.
I poliziotti soprattutto.
Anche loro lo erano, ed erano offesi.
Offesi del fatto che ad essere corrotti erano persone che eseguivano il loro stesso lavoro.
Era un affronto.
Preso dalla rabbia, Carson mostrò al killer anche una foto di Helloy.
Sapevano già che c'entrava, ma volevano un'ulteriore conferma.
Naher annuì, riconoscendolo all'istante.
"Lo ammazzo!" sbottò Colton.
Carson guardò il collega.
Pensava la stessa identica cosa.
"Sarebbe meglio agire d'astuzia. Essere avventati non ci porterà a nulla di buono." ribattè Naher.
"Cosa proponi?" chiese Carson.
"Ho fatto delle ricerche. La maggior parte di questa gente, pezzi grossi corrotti, va nello stesso locale. Si tratta di un grande bar jazz non molto lontano da qui. Andremo là di notte, quando sarà chiuso, e piazzeremo queste." mormorò Naher, mostrando ciò che teneva in mano.
"Sentiremo tutto ciò che diranno. Male non ci farà." proseguì Naher.
"Perfetto."
"Non posso farlo da solo. Uno di voi deve venire con me. Sarà più facile."
"Colton deve passare da Henny stasera, quindi verrò io." propose Carson.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

"E quindi lo stanno facendo Harvey e Carson in questo momento?" chiese la ragazza a Butler, non appena questi finì di raccontarle il loro piano.
"Non ancora. Il locale è ancora aperto. Credo." rispose Colton, guardando l'orologio appeso alla parete.
La ragazza guardò la finestra.
Non fuori dalla finestra.
La finestra.
Si accarezzò le braccia, come se volesse riscaldarsi da qualcosa.
Era un comportamento piuttosto strano, e Colton lo notò.
"Ma che diavolo combini?"
"Niente. Che devo combinare?"
"Io di certo non lo so! Tremi come una fogliolina!"
"E' che.."
"No, zitta! Non lo voglio sapere. Non mi interessa."
"E allora perchè me l'hai chiesto?"
"Vorrei ricordarti che tra un mese scade il tempo. Se entro un mese non riuscirò a toccare qualcuno tu smammi. E' inutile che tremi. Dovevi pensarci prima di siglare un patto così idiota."
"Ti sei reso conto che ogni volta che ti chiedo qualcosa a cui non sai cosa rispondere cambi argomento?"
"Non ho cambiato argomento. Ti ho solo ricordato un inevitabile avvenimento futuro."
"Sembri molto sicuro."
"Abbiamo finito, psichiatra? Posso andare adesso?"
"E comunque per tua informazione, non tremavo per quello."
"Ah no?"
"E' un paio di giorni che dormo male. Sta per accadere qualcosa di terribile... e... ogni volta che arriva la notte ho paura di non svegliarmi. Ho paura di morire."
"Non essere paranoica. Ti abbiamo nascosto bene. Nessuno ti troverà."
La ragazza guardò intensamente il poliziotto negli occhi.
In quei grandi occhi scuri, Butler lesse paura.
Lesse una richiesta di aiuto.
Come se lei gli volesse ardentemente dire "ti prego, non mi lasciare sola. Ho paura."
Ma non gliel'avrebbe mai chiesto.
Immaginava come lui le avrebbe risposto.
E poi lui aveva una vita e una fidanzata.
Non poteva aspettarsi che lui passasse lì la notte perchè lei aveva paura.
"Buonanotte, detective Butler." gli disse, dopo un interminabile silenzio.
L'uomo non disse niente, ma uscì dalla camera da letto.
Lei si sdraiò sul letto, sperando di addormentarsi il prima possibile.
Si addormentò talmente in fretta da non rendersi conto che lui era uscito dalla camera da letto, ma non dall'abitazione.
Non l'avrebbe lasciata sola.

--------------------------------------------------------------------------------------------------

Ormai erano le tre del mattino, e Colton andò nella camera da letto per accertarsi che lei dormisse.
Non posso credere di essere rimasto qui.
Tutto per un'infantile ragazzina.
Mi sto rammollendo.
Come aveva previsto, la ragazza dormiva.
Lui se ne andò sentendosi sollevato, ma non prima di coprirla delicatamente con una coperta, ovviamente facendo in modo di non toccarla mai.
Quando raggiunse la macchina non riusciva a capire perchè l'avesse fatto.
Perchè aveva freddo?
Per farla sentire più protetta?
Ma per quale astruso motivo l'ha fatto?
Non è tipo da fare cose del genere!
"Oh, al diavolo!" borborrò lui, accendendo la macchina.

ECCOMIIIIIIIII :D COME AVETE VISTO NAHER E' TORNATO :) E PER QUANTO RIGUARDA COLTON E HENNY... BEH.... XD FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE! CIAOOO

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Coperte e Ricordi ***


12 CAPITOLO 26. COPERTE E RICORDI

Quando Henny si svegliò, si accorse di una calda coperta sopra di lei.
La sfiorò con le dita.
Doveva essere lana.
Una calda coperta fatta di lana.
Cercò di fare mente locale, ma non si ricordava di quella coperta, ma scacciò via quel pensiero.
Era solo una coperta.
Aveva altro a cui pensare.
Quando uscì dalla camera, si trovò davanti Colton: l'uomo se ne stava in soggiorno, a leggere il giornale.
Henny chiuse e riaprì gli occhi, pensando che stesse ancora sognando.
Che ci faceva lì?
Era mattina!
Lui non veniva mai la mattina.
"Posso... posso sapere che ci fai qui?" balbettò lei, tra l'indecisa e l'insicura.
"Questa è casa mia, Dekker. Ci vengo quando voglio. Non devo certo rendere conto a te di quello che faccio o non faccio." sbottò con arroganza, senza alzare lo sguardo e continuando a leggere il giornale.
Henny fece una smorfia.
Ok.
Non era un sogno.
Quello era decisamente il vero Colton Butler.
La ragazza si sedette in una delle sedie libere, e guardò con insicurezza l'uomo.
Quella situazione le sembrava ancora così irreale.
E non sapeva perchè.
In fondo la casa era sempre la stessa e Colton era sempre il solito sbruffone.
Nulla era cambiato.
Colton la guardò per un istante da dietro il giornale, ma per pochissimi secondi, infatti lei non se ne accorse.
La ragazza guardò il detective subito dopo, da capo a piedi.
"Smettila di guardarmi." mormorò lui.
"Tu sei rimasto qui stanotte!" esclamò Henny, come se lo stesse dicendo a sé stessa.
"C.. cosa diav... che diavolo DICI! TI PARE? FIGURATI SE PASSO QUI LA NOTTE! PER TE, POI? PFF! RIDICOLO!" si difese Colton, prima confuso e poi irritato.
"Non c'è niente di cui vergognarsi." mormorò tranquillamente lei, quasi divertita dall'agitazione dell'uomo.
"QUANTE PIPPE MENTALI CHE TI FAI. IO RESTARE QUI PER TE. PFF. MAI SENTITO NIENTE DI PIU' ASSURDO!"
"E allora perchè hai gli stessi abiti di ieri?"
Colton si pietrificò.
Sembrava un manichino.
Cazzo, non ci avevo pensato.
E adesso che le dico?
Cavolo, avrei dovuto andare via!
Ero entrato in macchina, l'avevo accesa,...
Ma l'ho spenta e sono rientrato.
Perchè diavolo l'ho fatto?
Che mi sta succedendo?
Svegliati, Colton!
Sei un detective e ti stai facendo manovrare da una ragazzina!
E ora?
Che posso fare?
Negare, negare, negare.
Mio Dio.
Ma come ho fatto a finire in una situazione simile?
"E' una tua impressione."
Henny sorrise.
Colton era bravo a nascondere i suoi sentimenti, ma non a mentire.
Era bravo a mentire quanto era amichevole.
La ragazza non insistette: tanto aveva capito che non lo avrebbe mai ammesso.
Non voleva essere troppo pesante.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

"Poi è andato tutto bene? Voglio dire... non vi siete fatti beccare, vero?" mormorò Danny, con quella dolcezza che lo rendeva unico al mondo.
"Siamo stati fortunati. Ora non ci resta che aspettare." rispose Harvey, sedendosi accanto all'uomo.
"Non sei obbligato a venire tre volte a settimana. So badare a me stesso, contrariamente a quanto pensi."
"Io non penso niente."
"Tu credi che essendo cieco abbia bisogno di assistenza, non è vero?"
Harvey non rispose, così Danny continuò.
"Puoi stare tranquillo. Potete stare tutti tranquilli. Sono cieco da dieci anni ormai e per tutti questi anni ho vissuto da solo, senza incontrarmi con nessuno."
"Com'è successo?"
"Avevo vent'anni e frequentavo l'università per diventare medico. Un giorno vidi un ragazzo della mia età stuprare un bambino in un vicolo. Lui mi vide e capì che sarei andato alla polizia. Così mi rincorse e mi colpì agli occhi con un coltello. Fu l'ultima cosa che vidi."
"E l'hanno preso?"
"No."
"Quindi è ancora là fuori?"
"Sì, ma non ti agitare."
"Mi agito eccome, cazzo! Come fai ad essere così calmo? Per colpa sua non puoi vedere! Non sei arrabbiato? Non lo vuoi vedere morto?"
"Mio padre diceva sempre che la vita è troppo breve per nutrire rancore nei confronti di qualcuno, e aveva ragione."
"Danny, appena questa storia finirà, io te lo giuro, lo troverò."
"Non serve."
"Eccome se serve!"
"Come vuoi, ma non lo uccidere, ti prego. E' un uomo anche lui e merita la vita, esattamente come te e me."
"Tu sei troppo buono. Lo sai questo, vero?"
Danny sorrise, annuendo con la testa.

ECCOMIIIIIII :D OLTRE ALLE SOLITE DISCUSSIONI DI COLTON E HENNY STAVOLTA HO MESSO ANCHE HARVEY E DANNY :) NON VI SIETE DIMENTICATI DI LUI, VERO? SPERO DI NO! FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE :) CIAOOO


Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Abbraccio ***


3 CAPITOLO 27. ABBRACCIO

Non c'era niente di meglio di una fresca barretta di cioccolato.
Sentire quel sapore nella bocca era sempre meraviglioso.
Persino il buonumore ti tornava, anche dopo la peggior giornata del mondo.
Henny si gustava pezzo per pezzo di quella barretta, lentamente: non voleva perdersi neanche un attimo di quella magia surreale che da tanto non sentiva.
Aveva tagliato la barretta in tanti piccoli pezzi, nella speranza di gustare più cioccolato.
Era una barretta piccola, ma per la ragazza era la più grande del mondo.
Era un sacco di tempo che non la teneva tra le mani, e che non la mangiava.
Troppo tempo.
Colton la guardava sospettoso, trovando strano il comportamento della ragazza.
In fondo, era solo una barretta di cioccolato!
"Piantala con questi numeri. Mannaggia a me. Non avrei dovuto portarti del cioccolato." mormorò il detective, scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
"Grazie grazie grazie! Questo cioccolato è il Paradiso!"
"E' solo una barretta di cioccolato. UNA BARRETTA DI CIOCCOLATO."
"Che dopo aver passato mesi a mangiare frutta e verdura è un sogno. Ne vuoi un pezzo?"
"Non mangio cioccolato. E anche se lo volessi non lo prenderei certo ora, dopo che tu l'hai toccato."
Henny sorrise.
Non ci faceva neanche più caso alle battute a sfondo sarcastico del detective.
Quelle battute non la offendevano più, anzi, a volte si divertiva.
Era passato un bel po' di tempo, e anche se non era laureata in psicologia, aveva capito come mai Colton non riuscisse a toccare la gente e perchè reagiva trattando le persone intorno a lui nel modo più scontroso possibile.
Forse si sbagliava, o forse no.
E quella sera era il momento giusto per dirglierlo.
Per esprimere le sue considerazioni.
"Visto che mi hai portato il cioccolato, voglio aiutarti."
"Non verrò a letto con te."
"Veramente non intendevo questo. Se mi lasciassi parlare, magari."
"Dai parla... così mi posso andare a casa." sbottò Butler, chiudendo il giornale.
Henny respirò profondamente, non sapendo come iniziare il discorso.
"Io... io credo.. insomma.. la maggior parte della gente è gentile anche con chi non sopporta perchè è buona educazione. Tu... tu hai il problema opposto. E' come se essere scontroso per te fosse... fosse l'unico modo per sopravvivere."
"Eh?" mormorò confuso il detective, guardando severamente la ragazza.
"Lo sai che è così. Non credo che tutte le persone di questo mondo ti siano antipatiche. Anche il tuo collega? Perchè anche con lui sei abbastanza scontroso."
"Scontroso? Ma come ti permetti?"
"Perchè? Pensi seriamente di non esserlo?"
"Non è questo il punto! Io sono un Detective! MI devi portare rispetto!"
"Guarda che io sto solo cercando di aiutarti."
"Vorrei ricordarti che il patto che abbiamo siglato stabiliva chiaramente che se ad una certa data io non riuscivo a toccarti, tu saresti sloggiata dalla mia vita!"
"Sì, me lo ricordo."
"E vorrei ricordarti che quella data è tra due giorni. Quindi ti consiglio di preparare le tue cose. E andartene. Anche a morire. Non mi interessa. Dovevi pensarci prima di fare un patto simile. Solo una stupida come te poteva farlo."
"Mi dispiace per quello che ti è successo, Colton. Mi dispiace davvero, ma questo non ti dà il diritto di comportarti come ti pare con gli altri, e trattare chi ti sta intorno come dei burattini. Io non credo che tu sia una persona cattiva. Credo che tu ti comporta male con le persone perchè non vuoi affezionarti a nessuno perchè hai paura di soffrire di nuovo e di perdere questa persona. E non vuoi farti toccare da nessuno perchè l'ultima volta che sei stato toccato sei stato picchiato dagli uomini che hanno distrutto la tua famiglia. Io non posso dirti che so cosa si prova perchè non lo so, però una cosa posso dirtela. Non è mai sbagliato essere legati a qualcuno. C'è sempre qualche rischio, ma se non hai il coraggio di affrontarlo, quella che conduci non è vita."
Colton aveva ascoltato ogni parola di Henny, anche se avrebbe preferito non farlo.
Avrebbe preferito sentirla parlare in un'altra lingua, una lingua che non conosceva, così non l'avrebbe capita.
Si era sforzato di rimanere impassibile come era stato per tutta la sua vita, ma sentirsi dire la verità, una verità che lui aveva nascosto per anni, era deprimente.
Aveva rinchiuso in una gabbia l'uomo gentile e buono, quella parte di sé che non poteve assolutamete mostrare alla gente, la parte vulnerabile, per dare libero sfogo alla sua razionalità e alla sua rabbia.
Allora... allora come era potuto succedere che qualcuno avesse... avesse scoperto la sua doppia maschera?
Sentì delle lacrime sul suo volto, e d'istinto chiuse gli occhi.
"Non posso correre un rischio simile... non posso affezionarmi ad una persona, neanche una... fa troppo male." mormorò lui, asciugandosi le lacrime con le mani.
La ragazza si avvicinò a lui stando attenta a non toccarlo, cercando di dargli un minimo di conforto.
"Io non ti farò del male. Te lo prometto." gli sussurrò.
Colton scosse la testa.
No, Colton!
Non farti intenerire!
Anche lei ti farà del male!
Anche lei ti ferirà!
E il tuo cuore ha subito fin troppe ferite.
La ragazza lesse negli occhi Colton uno sguardo che supplicava aiuto.
All'interno del Detective c'era una lotta interiore tra razionalità e vulnerabilità.
Tra testa e cuore.
La sua testa non gli avrebbe mai fatto dire "aiutami. abbracciami.", ma al tempo stesso il suo cuore era stato fin troppo tempo in gambia, e non poteva fare a meno di mandare messaggi alla ragazza.
Messaggi che fortunatamente lei capì.
Infischiandosene della reazione di Colton, la ragazza allargò le braccia e lo abbracciò dolcemente, toccandogli i capelli con una mano.
Butler non si allontanò, e chiuse lentamente gli occhi, appoggiando la testa sulle spalle della ragazza.
Piano piano le lacrime si fermarono, e l'espressione del Detective si fece più rilassata, come non lo era da anni.

AAAAAAAAALLORA.....  grazie grazie grazie per tutte le recensioni :) mi fanno davvero piacere :)
visto che ora ci sono le vacanze di natale e avrò più tempo, forse, e sottolineo forse, aggiornerò più velocemente, ma non vi prometto niente :) fatemi sapere che ne pensate del capitolo :)




Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Bionde o Brune? ***


4 CAPITOLO 28. BIONDE O BRUNE?

Colton conobbe Marianne non appena ritornò in America, dopo aver passato i suoi anni migliori, gli anni in cui si passa dall'adolescenza all'età adulta, in guerra.
Marianne era sempre stata bellissima: aveva dei lunghi capelli biondi come il sole e gli occhi grandi e chiari.
Fisicamente era perfetta, con un corpo perfetto.
Sempre curata, sempre ordinata, sempre truccata, sempre composta.
Colton non era brutto, ma non era neanche bello.
Lei era molto più bella di lui obiettivamente, ma su una cosa Carson aveva ragione.
La sua bellezza esteriore era direttamente proporzionale alla superficialità del suo carattere.
Era sempre stata interessata a Colton solo per il suo conto in banca, ed era anche per questo che le stava bene di non essere toccata dal suo fidanzato.
Le stava bene di non avere figli.
Le stava bene di "essere fidanzata" con lui solo teoricamente, anche se di fatto non stavano mai insieme e dormivano addirittura in stanze separate quando passavano la notte sotto lo stesso tetto.
Benchè Marianne sembrasse stupida non lo era, e in Colton aveva visto un'opportunità.
L'opportunità di vivere bene per tutta la vita, senza doversi preoccupare dei soldi.
Solo questo.
In Colton non aveva visto un uomo, ma un conto in banca.
D'altra parte, neanche quest'ultimo era stupido, e sapeva benissimo cosa pensava Marianne, ma non gli importava.
In guerra, nei pochi momenti di relax, aveva discusso con i suoi compagni delle donne.
Alcuni di loro avevano già una donna che li aspettava, mentre altri si facevano trasportare dalla fantasia, che li aiutava ad andare avanti e a farsi coraggio.
Colton si trovò molto a disagio: lui non aveva nessuna esperienza sull'argomento.
Non aveva mai avuto una storia.
Non aveva mai baciato una donna.
Era sempre stata una sua scelta, ma in quei momenti non sapeva cosa dire.
"Tu hai una donna che ti aspetta a casa?" chiedeva qualcuno.
"Qual'è il tuo tipo di donna? Quali ti piacciono?" chiedere qualcun'altro.
Alla prima domanda, Colton faceva cenno di no con la testa, mentre per la seconda riuscì a trovare una risposta, anche se ci dovette pensare per un po'.
Ritornò indietro nel passato, e si ricordò di Jenny.
Jenny era una ragazza per cui aveva una piccola cotta quando aveva quattordici anni, mentre frequentava il liceo.
Era bionda, occhi chiari, ordinata, composta.
Come Marianne.
Colton non le disse mai nulla, anzi, fu lei a fare la prima mossa sperando che lui avrebbe fatto altrettanto, e invece il giovane non aveva detto nulla e cambiò scuola per dimenticarla: non ci mise molto, quindi non doveva essere una cosa seria.
Già allora si era promesso di non aprire il suo cuore a nessuno.
Di non fidarsi più di nessuno, per non essere ferito.
Rispose così ai soldati.
"Mi piacciono le bionde. Ordinate. Che si curano."
Come Marianne.
Ma ora le cose erano cambiate.
Ora riusciva a toccare le persone, le donne.
Poteva.. poteva avere una vita normale con lei.
Quel genere di vita che hanno tutte le coppie.
Andrà tutto bene.
Lei sarà contenta.
Per te e per voi.
Così gli aveva detto Henny, ma lei non conosceva Marianne.
Non la conosceva affatto.
Colton era speranzoso: in fondo stavano insieme da un po'.
Forse lei non lo amava, ma un minimo di affetto lo provava... forse.
Con fare riluttante, il detective avvicinò delicatamente la sua mano a quello della ragazza, ma non appena si sfiorarono, lei la ritrasse prontamente.
Come se non fosse abbastanza, si alzò dal tavolo e se ne andò in camera.
Per Colton quello fu un vero colpo al cuore.
Uscì di corsa, sbattendo la porta.

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Non appena vide Carson e Douglas andargli incontro, Harvey li raggiunse sventolando in aria un pezzo di carta.
"Ci siamo!" mormorò a fatica, come se avesse fatto una lunga corsa.
"Cos'hai scoperto?" chiese Carson, guardandosi intorno.
"Sai dove sono?" chiese Douglas.
"Ehm... no."
"E allora cosa?"
"Hanno parlato della loro tana parlando in codice. Se risolviamo questo codice, scopriamo dove sono."
"Beh, che aspetti? Risolvilo!" mormorò con tono impaziente Carson.
"Non sono mica un mago! Vediamo voi se ci riuscite!"
"Qual'è il codice?"
"P S 452."
"E che diavolo è?"
"Speravo lo sapeste voi. Ma... scusate... è una mia impressione o Mister Simpatia non si vede da un paio di giorni?" fece in tono sarcastico Harvey, alludendo a Colton.
"E' vero. Che fine ha fatto?" chiese Douglas a Carson.
"E cosa ti fa pensare che io lo sappia?"
"Sei il suo partner!"
"Sì, ma ci vediamo solo sul lavoro. Nel caso non te ne fossi accorto, io e Colton siamo un tantino diversi."
"Forse è da Henny."
"Da giorni? Non credo proprio. E se fosse stato così, si sarebbero già ammazzati."

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

"Tu... tu avevi detto che avrei fatto bene! Che le cose sarebbero migliorate!"
"E ne ero convinta! Mi dispiace, Colton. Qualunque donna avrebbe apprezzato una cosa simile, e se lei non lo apprezza, significa che non ti merita."
Colton andò avanti per mezzore, forse ore, a urlare e ad arrabbiarsi.
A sfogarsi.
Poi crollò.
Si mise in un angolo e iniziò a piangere.
Henny gli si avvicinò, e anche se lui gliele aveva appena dette di tutti i colori, gli prese delicatamente la mano e gli disse che le era venuta un'idea.
Gli disse che conosceva tanti giochi a cui aveva giocato da bambina.
Giochi con cui Colton non aveva mai avuto a che fare, visto che è diventato adulto prima di godersi l'infanzia.
La ragazza, con estrema pazienza, gli spiegò come si giocava a nascondino e ad acchiapparella, e giocarono ad entrambi, come due bambini di dieci anni.
Per Colton era la prima volta, e anche se la sua testa gli diceva "Fermati. E' un gioco per bambini e tu non sei più un bambino. Comportati da adulto", il suo cuore gli diceva "Perchè diavolo non l'hai fatto prima? Non ti rendi conto che stai ridendo e ti stai divertendo come non mai?".
Comunque sia, per la prima volta nella sua vita, la prima in assoluto da quando i suoi genitori erano morti, ignorò la testa.
Passò tutto il pomeriggio con Henny a scherzare e a ridere come due bambini, tanto che quando fu sera, Colton era troppo stanco per guidare e per tornare a casa, così restò lì.
Dormì nello stesso letto in cui dormì Henny, ma non fecero nient'altro.
Dormirono e basta.
Erano entrambi girati sul lato destro del letto, e Colton tenne per tutta la notte la testa appoggiata alla schiena della ragazza, e con le braccia la teneva stretta a sé.
Poco prima di addormentarsi, il detective continuava a ripetersi ripetutamente, in maniera quasi ossessiva, "mi piacciono le bionde, ordinate e curate, non le brune disordinate e negate in cucina. Mi piacciono le bionde, non le brune. Quindi non mi piace Henny. Non mi piace Henny."
La verità era che iniziava ad essere seriamente spaventato dalle emozioni positive che gli procurava quella ragazza, e dalla morsa allo stomaco che sentiva quando pensava di lasciare quella casa e.. lei.
"Nella peggiore delle ipotesi... mi allontanerò da lei così me la dimenticherò. Come ho fatto con Jenny." pensava, anche se ignorò un piccolo particolare.
Per Jenny aveva una cotta, e di certo non era la stessa cosa che provava per Henny.
Chiuse gli occhi e si addormentò avvicinandosi ancora di più a lei in modo rilassato, ignorando che si stava innamorando.

ALLORAAAAAAA.... VISTO CHE NON SONO RIUSCITA AD AGGIORNARE PRIMA, VI HO FATTO UN CAPITOLO LUNGHINO, CHE SPERO VI SIA PIACIUTO. NON L'HO RILETTO, MI DISPIACE, MA NON NE HO IL TEMPO, QUINDI PERDONATEMI SE TROVATE DEGLI ERRORI :P FATEMI SAPERE SE VI E' PIACIUTO! CIAOOO








Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Bomba al Saloon Blues ***


12 CAPITOLO  29.   BOMBA AL SALOON BLUES

Carson non era mai stato uno stakanovista, e una delle cose che preferiva del suo lavoro era andare in incognito fingendo di essere un uomo qualunque: andare in un locale fingendo di essere un cliente e bevendo qualche drink per tenere d'occhio una persona sospetta ad esempio, e quando non ce n'era bisogno, ne approffittava comunque beccandosi sgridate dal partner, che contrariamente era un vero poliziotto, che non abbassava mai la guardia e mai perdeva tempo gingillandosi per la città.
Mentre ascoltava la melodia della voce della cantante del pub Saloon Blues, se ne stava appoggiato con la schiena ad una parete standosene in disparte, senza dare nell'occhio.
Si guardava intorno con aria tranquilla e si muoveva il meno possibile: l'unico gesto che faceva era avvicinare la mano alla bocca per fumare una sigaretta economica, l'ultima del pacchetto.
Ad un certo punto guardò in alto, dove incrociò lo sguardo di Doug, che si trovava al piano di sopra.
Si lanciarono uno sguardo perplesso.
Dove diavolo è finito Colton?
Senza di lui non possiamo cominciare.
Il detective tirò un sospiro si sollievo quando vide Colton entrare.
Questi si diresse verso Carson lentamente, senza dare sospetti.
"Alla buon'ora!"
"Sono stato impegnato."
"Colton tu.. tu sei sporco sulla giacca.. che diavolo.."
"Sono peli di cane. Niente di che."
"Peli di cane? Ma cosa diavolo.."
"Ho detto che sono peli di cane. Cosa ti agiti?"
"Oh non lo so, forse perchè tu odi i cani? Come diavolo... un cane ti ha toccato e tu l'hai ucciso? E poi perchè diavolo non ti sei pulito? Ti pulisci quando non sei sporco malato come sei e non ti pulisci ora? Ma sei sicuro di stare bene?"
"Non sono fatti tuoi, Carson. Possiamo iniziare o no?"
Carson fece un cenno a Doug, il quale lo percepì in pieno: tirò fuori un walkie tolkie e disse qualcosa di incomprensibile.
Guardò i due detective nuovamente e dalla porta entrò Harvey, vestito elegantemente come tutti in quella stanza.
Erano passati mesi dalla sua fuga, e ormai nessuno faceva più caso a lui.
Ora c'erano tutti.
Potevano iniziare.
Doug tirò fuori il fucile che fino a quel momento aveva tenuto nascosto, e sparò un colpo verso l'alto, facendo attenzione a non colpire nessuno.
L'intento era di far scappare tutti in modo che loro potessero procedere senza intoppi.
Funzionò.
Un solo sparo, che tutti sentirono.
Si susseguirono delle urla, e una montagna di gente che correva a gran velocità verso l'uscita.
Quando non rimase nessuno tranne loro, Harvey, Colton e Carson si diressero verso il retro del locale, tirando fuori dalla tasca le pistole.
Doug rimase lì, tenendo il fucile puntato verso l'entrata.
Se qualcuno fosse entrato per fermare i detective e il serial killer, lui li avrebbe fermati.
Nel frattempo i tre avanzavano, e come immaginavano, trovarono il mondo.
Harvey non era riuscito a dccifrare il codice, non ancora, ma aveva capito che quel Saloon per i loro nemici era più di un luogo dove rimorchiare ragazze e bere champagne.
Doveva essere uno dei loro ritrovi.
D'altronde i loro nemici erano potenti.
E cosa possedevano gli uomini potenti dell'America degli anni 40?
I pub.
Trovarono mappe, note, quaderni interi completamente scritti.
Non potevano analizzare tutto, così misero tutto in una sacca.
Trovarono anche tanti documenti e fogli che rappresentavano le loro conoscenze di Henny: dove viveva, quanti anni viveva, etc..
Non persero molto tempo.
Harvey tirò fuori un accendino, e diede fuoco a tutto.
"Spero che abbiano una buona memoria o per loro è finita." mormorò Carson, che in bocca aveva ancora la stessa sigaretta di prima.
Si diedero una mossa quando sentirono i rumori degli spari.
Qualcuno era entrato e Doug era da solo.
Dovevano sbrigarsi e andarlo ad aiutare.
Detto fatto.
Usciti dalle quinte, si trovarono davanti uomini in giacca e cravatta come loro, muniti di fucili.
I tre lasciarono la sacca, e iniziarono a sparare.
Mentre Doug, Carson e Colton avevano una propria tecnica fatta di momenti in cui si nascondevano e momenti in cui sparavano a più non posso, Harvey si lasciò guidare dall'istinto.
Non aveva mai sparato in vita sua e tentò.
Sparò a più non posso e non venne colpito da un solo colpo.
Quando non ne arrivarono altri, si sentì un silenzio tombale.
"State tutti bene?" chiese Doug.
Gli altri annuirono.
"Però.. è stato facile!" mormorò Harvey, non riuscendo a credere di essere ancora vivo.
"Andiamo. Prima che ne arrivino degli altri." propose saggiamente Carson.
"Ma non.. no  prendiamo niente?" chiese Harvey in tono amareggiato.
"Stai scherzando, vero Naher? Vuoi scoparti il cadavere di un uomo che ha cercato di ucciderci?" sbottò Colton.
"Tanto cadavere è!"
"Dai, andiamo."
"Cavolo.. questo è davvero carino. Sembra anche muscol.."
"NAHER!"
"Ok ok! Arrivo."

ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :D NON L'HO RILETTO, QUINDI ABBIATE PIETA' SE TROVATE DEGLI ERRORI :) FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE DI QUESTO BRICIOLO D'AZIONE CHE DOMINA IL CAPITOLO :D CIAOOO :)

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Rimpianti e Rimorsi ***


15 CAPITOLO 30. RIMPIANTI E RIMORSI

Non è vero.
Non lo sto facendo davvero.
E invece sì.
Lo stava facendo davvero.
Lui, Colton Butler, l'americano più ossessionato dalla distanza dagli altri e dall'eccessiva pulizia, stava rovistando con le mani in un grande bidone della spazzatura, che se ne stava in un vicolo buio, frequentato solo da barboni e animali randagi come cani, gatti e topi.
Fino a qualche mese prima, il detective avrebbe preferito morire piuttosto che fare una cosa del genere, e invece lo stava facendo.
Nessuno lo stava costringendo.
Nessuno sapeva cosa stesse facendo.
Era stata una sua decisione.
Una decisione che poco tempo prima mai e poi mai si sarebbe sognato di prendere.
Non sapeva neanche lui perchè lo stesse facendo.
Era stata una decisione istintiva, quasi stupida, alla quale non aveva ancora riflettuto.
Per tutto il tempo stava pensando a continuare quello che stava facendo, e non sul perchè.
Non gli interessava.
Quando le sue mani toccarono qualcosa di peloso, si sentì sollevato.
Prese quella "cosa" senza stringerla troppo e la fece uscire dalla spazzatura.
Un piccolo e gioioso cucciolo di cane si dimenava tra le braccia del detective, ma non sembrava volesse andarsene.
Si dimenava perchè era stato là sotto per tanto tempo.
Troppo.
Colton sorrideva: ce l'aveva fatta.
L'aveva trovato.
Non aveva trovato un cane.
Aveva trovato il cane.
Nonostante le cose con Henny fossero cambiate, lui non si era certo dimenticato di tutte le discussioni che avevano avuto, la maggior parte delle quali, se non tutte, a causa sua.
Si ricordava di quel vicolo e di quel cane.
Henny era scappata via perchè aveva appena scoperto che Peyton era morta, e lui l'aveva inseguita per impedire che venisse uccisa.
Ricordava di averla trovata con quel cane, che lei non voleva lasciare.
Ricordava il disgusto che aveva provato nell'aver visto un cane puzzolente, che era direttamente proporzionale alla gioia che stava provando ora nell'essere lui, stavolta, a tenere quel mucchio di pelo tra le braccia.
Ricordava ogni parola della loro conversazione.
La tristezza di lei, e la sua cattiveria.
"Ti odio" le aveva urlato.
Lo aveva urlato con evidente disprezzo, e non aveva mentito.
Allora la odiava davvero, ma ora, a ripensarci, si sentiva uno schifo.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

"Colton... la tua giacca si muove." notò Henny, indicando il punto con un dito.
"Forse dovresti dare un'occhiata." fece in tono scherzoso il detective, non vendendo l'ora di vedere la faccia della ragazza.
Lei, incuriosita, obbedì, e non appena aprì di un poco la giacca, vide un musetto familiare apparire.
"Ma... ma... lui.... lui è....."
"Sì. E' proprio lui. Ho pensato che tu passi molto tempo qui e non potendo uscire ti annoierai... così... ti ho portato un amico."
"Colton io non so cosa dire."
"Non devi dire niente infatti. Prendilo e basta. E' tuo. Non credo abbia dei padroni."
"Ma... a te va bene che un cane stia qui? Potrebbe rompere qualcosa."
"E' solo una casa. Anche se accadesse, non è la fine del mondo."
Henny guardò l'uomo sia con evidente felicità sia con evidente perplessità.
Gli andava bene che tenesse un cane anche se non molto tempo prima aveva detto "Dio mio che schifo. Molla subito quel cane puzzolente prima che mi venga un attacco isterico!".
Gli andava bene la possibilità che un oggetto avrebbe potuto rompersi anche se non molto tempo prima aveva detto "Non ti azzardare a rubare o rompere qualcosa. Se lo fai, non mi interessa se non hai soldi, me lo ripaghi. Fino all'ultimo centesimo. Sono stato abbastanza chiaro?!?".
Non riusciva a credere che l'uomo che aveva davanti era lo stesso Colton Butler che inizialmente la spaventava.
Era quasi un sogno.
Un bel sogno.
"Grazie Colton. Grazie davvero." mormorò lei, sfoggiando un enorme sorriso.
"Adesso devo andare. Mi dispiace... ma si è fatto tardi."
"Sì certo. Tranquillo."
Ma rimase lì.
Adesso vado.
Devo.
Ma non si muoveva.
Aveva uno sguardo perso su Henny, come se fosse sotto una specie di incantesimo.
Erano vicini.
Terribilmente vicini.
Colton riusciva a sentire il sospiro della ragazza, e lei riusciva a sentire il suo.
Devo andarmene.
Non posso restare qui.
Devo.
Devo.
Devo.
Facendo una fatica enorme, Colton riuscì finalmente ad allontanarsi e ad uscire dall'abitazione.
Non poteva restare un secondo di più.
Chissà cosa sarebbe potuto succedere.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Erano passati un paio di giorni ormai, e mentre Colton si stava dirigendo verso l'abitazione della ragazza, si sentiva soffocare.
Oh cavolo.
Sicuramente dovremo affrontare l'argomento.
E che le dico?
Non lo so più neanch'io cosa mi sta succedendo.
Quei pensieri sparirono miseramente quando vide la casa praticamente distrutta.
Le mura erano piene di buchi di proiettili, e le finestre erano distrutte.
Fregandosene di tutto e di tutti, anche delle regole stradali, Colton abbandonò l'automobile in mezzo alla strada e corse più veloce che potè verso l'abitazione.
Sarei dovuto venire prima!
Perchè non sono venuto prima?
Perchè sono uno stupido!
E se le fosse successo qualcosa?
Se fosse morta?
No.
No non può essere.
Mi rifiuto.
Lei non... non può essere morta.
Dio ti prego fa che stia bene.
Che idiota sono stato.
Avrei dovuto baciarla quando potevo farlo.
Se... se le capitasse qualcosa io... io...
Io.....
Io la amo.

SALVEEEEEE :D ECCOMI QUA :D SPERO QUESTO CAPITOLO VI PIACCIA :D FATEMI SAPERE :D GRAZIE A TUTTI PER LE RECENSIONI! A PRESTO



Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Fantasmi dal Passato ***


44 CAPITOLO 31. FANTASMI DAL PASSATO

Eccoci qua.
L'aveva fatto.
L'aveva fatto senza pensarci seriamente.
L'aveva fatto perchè non riusciva a vedere altre soluzioni.
L'aveva fatto perchè era l'unica cosa sensata che si potesse fare in quella situazione.
L'aveva fatto senza realizzare cosa avrebbe dovuto affrontare una volta arrivato: i fantasmi del suo passato, le paure, le angoscie, il senso di colpa.
Tutte cose che aveva scacciato da sé a causa del suo comportamento distante.
Era il solo modo che aveva trovato per riuscire ad andare avanti e l'aveva fatto, ma ora ritornarono.
Più forti, più potenti, più spaventosi.
Non appena si era reso conto che Henny era semplicemente svenuta, senza pensarci minimamente un minuto di più, la prese in braccio e la mise dentro la macchina e il cane, che stava bene come la ragazza, nel bagagliaio.
Era partito subito.
Aveva dato immediatamente gas alla macchina dirigendosi verso la sola casa che gli fosse rimasta.
L'unica casa nella quale Henny sarebbe stata al sicuro, almeno fino a quando non avrebbero trovato un'altra soluzione.
Henny.
C'era solo Henny.
Tutto il resto era... superfluo, ma non lo rimase in eterno.
Quando arrivò, non riuscì a scendere dall'auto.
Non riusciva neanche a guardarla, quella casa.
Io... io posso farcela.
Devo farcela.
Alzò lo sguardo e se la trovò davanti.
La casa, i fantasmi, i ricordi.
Vide sé stesso uscire da quella casa l'ultima volta che era stato lì.
Vide sé stesso pieno di lividi e con uno sguardo negli occhi che faceva intendere che nulla, assolutamente nulla, sarebbe tornato come prima.
Vide sé stesso nel corpo di quel bambino, di quel bambino che lui era stato e che aveva smesso di essere da tanto tempo.
Troppo.
Dalla notte della strage, quella terribile notte in cui la sua intera famiglia venne uccisa e lui fu prelevato dalla polizia e dai servizi sociali, non vi aveva messo piede.
Si era sempre comportato come se quella casa non esistesse più perchè quello che rappresentava per lui era andato distrutto... per sempre.
Tutto era rimasto uguale.
Non riuscendo a resistere, il detective crollò posando la fronte sul volante e iniziando a piangere.
Le sue lacrime e i suoi singhiozzi avevano fatto svegliare la ragazza, che non parlò fino a quando non capì cosa fosse successo.
Capì che quella era la casa dei suoi genitori e capì perchè il detective l'aveva portata lì.
Si ricordò della sparatoria, della paura che aveva provato e del fatto che lei fosse rimasta sdraiata per terra tutto il tempo, avendo così salva la vita.
Ma non voleva questo.
Non voleva che Colton rivivesse tutto quell'orrore solo perchè lei doveva essere al sicuro.
Non poteva accettarlo.
"Posso restare in macchina, mi sembra molto sicura." mormorò lei.
"Non lo è... e lo sai." ribattè Butler, senza neanche girarsi per guardarla.
"Colton, non fa niente. Troveremo un posto. Torniamo indietro."
Colton uscì dall'auto in fretta e restò per un paio di minuti fuori, a guardare la strada.
La ragazza uscì e lo abbracciò.
Il poliziotto appoggiò delicatamente la testa sulla spalla destra della ragazza, e ricambiò l'abbraccio.
"Mi dispiace, Colton. Io non... non volevo forzarti a venire qui... non avrei dovuto... sarebbe stato meglio se fossi morta subito."
"Non dirlo mai più. Non ti azzardare nemmeno a pensarla una cosa del genere."
"Mi dispiace.."
"Smettila di dispiacerti. Non è colpa tua. Tu non hai fatto niente di male. Posso... posso farcela."
"Sì, lo so che puoi."
"Solo... tu... tu resta con me."
"Certo." mormorò lei, prendendogli dolcemente la mano una volta sciolto l'abbraccio.
"Non lasciarmi la mano. Ti prego."
"Non lo farò. Per nessun motivo al mondo."
Colton sorrise alla ragazza, per poi prendere le chiavi dalla tasca e aprire la porta.
Entrarono.

ECCCCCCOMI :D LO SO LO SO :p QUESTO E' UN CAPITOLO UN PO' CORTINO, MA VI ASSICURO CHE IL PROSSIMO SARA' PIENO DI AVVENIMENTI!!!!!! ABBIATE FEDE! FATEMI SAPERE! A PRESTO

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Addii ***


1111 CAPITOLO 32. ADDII

Non si toglieva quasi mai la giacca.
Era qualcosa di indispensabile da portare per lui.
Portare la giacca significava distacco, eleganza e un modo di fare pulito.
Certe volte, la portava anche quando andava a letto.
Era come una parte di lui.
Ma le cose erano cambiate.
Ora la sua giacca se ne stava su una sedia non tanto distante di lui, mentre il suo proprietario era steso nel letto in cui un tempo dormivano i suoi genitori, e con lui c'era Henny.
La sua camicia era leggermente sgualcita e la cravatta più lenta, come se fosse immerso in un momento fatto esclusivamente di relax.
E lo era.
Fino a qualche mese prima non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in una situazione simile.
Steso sul letto dei suoi genitori, un letto di una casa in cui non riusciva ad entrare da anni.
E invece era lì.
Con lei.
Henny Dekker era quel genere di donna che lui a primo impatto non sopportava.
Non si curava.
Si trovava sempre nei guai.
Cavolo, si mangiava persino le unghie!
Il vecchio Colton non sarebbe mai stato così vicino ad un essere umano così sporco, così disordiato, così ostinato.
Eppure c'era.
Non riusciva a pensare razionalmente, lo aveva fatto per troppo tempo.
Con le mani sfiorò le sue dita, ma sebbene lo sporco fosse evidente, non lo notò minimamente.
I suoi occhi chiari erano chiari come non lo erano mai stati.
Prima sembravano scuri perchè erano sempre cupi e arrabbiati, mentre ora erano così chiari che la ragazza, che era davanti a lui, si stava chiedendo se fossero azzurri o verdi, come inondati da una nuova luce.
Colton non smetteva né di accarezzarle le mani né di guardarla intensamente, in un modo in cui non aveva mai guardato nessuno in tutta la sua vita.
Fino a qualche tempo prima avrebbe dato qualsiasi cosa per levarsi quella ragazzina dai piedi, e invece ora non riusciva ad immaginare la sua vita senza di lei.
Non riusciva più a ricordarsi di quale motivo avesse prima per svegliarsi e affrontare giorno dopo giorno.
Non riusciva più ad immaginare sé stesso in una vita di cui lei non faceva parte.
Non riusciva più a staccare il suo sguardo dai suoi occhi e le mani dalle sue.
E non riusciva a credere che prima o poi se ne sarebbe dovuto andare.
Non riusciva a credere che avrebbe dovuto lasciarla, un giorno, per tornare da una donna che non lo conosceva, che non lo amava.
Lei invece...
Lui sapeva che lei lo amava.
Lo sentiva dentro di sé.
Lo sentiva dal modo in cui lei lo abbracciava e lo faceva sentire.
E per quanto lui fosse inesperto in quel genere di sentimento, sapeva che, in fondo, anche lui la amava.
Da morire.
La amava come non aveva mai amato nessuno e come probabilmente nessuno l'avrebbe mai amata.
Voleva stringerla.
Voleva abbracciarla.
Voleva baciarla.
Lo desiderava da tanto tempo.
Troppo.
Non voleva andare lontano da lei.
Non voleva lasciarla.
Al diavolo il lavoro, la sua fredda fidanzata.
Al diavolo tutto e tutti.
"Stringimi." sussurrò il detective, guardando la ragazza con uno sguardo perso.
Lei non aspettava altro, e strinse a sé l'uomo, che quando appoggiò la testa sul petto della ragazza sentì lei che gli accarezzava i capelli.
Non faceva toccare a nessuno i suoi capelli perchè li voleva sempre in ordine, ma al diavolo i capelli.
Gli piaceva sentire che lei lo accarezzava.
Chiuse dolcemente gli occhi, addormentandosi.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

"Ti sento molto contento." mormorò Danny all'euforico Harvey.
"Ci siamo vicini."
"A cosa?"
"A scoprire cosa nascondono quei bastardi. Ho analizzato il codice."
"Fantastico!"
"Avrei dovuto arrivarci prima!"
"Come hai fatto?"
"Qual'è il posto migliore in cui nascondere un'attività criminale segreta?"
"Beh non saprei... un covo?"
"La casa di un giudice corrotto. Essendo giudice nessuno sospetterà nulla, e essendo corrotto avrà i soldi per comprarsi una bella casa grande e sai.. più grande è la casa in cui si nasconde un'attività criminale più è sporca la faccenda."
"Ma il codice non è P S 452?"
"E infatti il giudice Donald Crimball vive a Pirkus Square, numero 452."
"Io non ci sarei mai arrivato."
"Non è stato così difficile. E' bastato collegare qualche puntino."
"Quindi... quindi adesso devi andare..?"
"Vuoi che resti?"
Danny non rispose, ma mise una mano sulla gamba sinistra del killer.
"Dan... Non sono la persona giusta per te."
"Perchè sono cieco?"
"Perchè non sai chi sono. Iniziare una storia con me significa decidere di precipitare nell'abisso."
"Credo di essere abbastanza maturo da prendere da solo le mie decisioni. Sei un uomo brillante... e buono."
"Dan tu non... non sai cosa ho fatto.. se solo lo sapessi."
"Non mi interessa chi eri prima. Mi interessa chi sei."
"Se ti raccontassi chi sono davvero... rimpiangeresti di avermi salvato la vita. Avresti preferito lasciarmi morire... in quel vicolo."
"Nessuno merita di morire. Tantomeno tu."
Harvey non seppe cosa fare.
Era evidente che Danny ci stava provando.
Non era mai stato innamorato, ma d'altro canto, nessuno si era curato di lui quanto aveva fatto lui.
Si avvicinò all'ignaro Dan e lo baciò sulle labbra, per poi mettersi sopra di lui e iniziare a togliergi - e togliersi - i vestiti.
"Non ti farò del male, te lo prometto."
"Lo so."
"Cerca... cerca solo di tenere gli occhi chiusi e di stare fermo come se fossi... svenuto. Al resto penserò io."
"Ok."

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Henny andava avanti e indietro per il soggiorno, quando Colton aprì la porta e le andò incontro.
Era felice di vederla, ma si accorse subito che qualcosa non andava: la giovane non smetteva di muoversi e di mangiarsi le unghie.
Lo faceva solo quando era nervosa.
L'umore del detective cambiò improvvisamente.
"Che succede?"
"Dobbiamo parlare."
Brutto segno quelle due parole.
Davvero brutto.
"A proposito..?"
"Noi. Io non... non ce la faccio."
"A fare cosa?"
"Ad andare avanti in questo modo. Non posso."
"E' per qualcosa che ho fatto o detto? Se è così mi dispiace, non me ne sono accorto. Scusami tanto.."
La ragazza lo interruppe immediatamente.
"NO! No tu non... non hai fatto niente... solo... penso.."
"Cosa?"
"Pensochesarebbemegliononvedercipiù." mormorò in fretta lei.
"Come? Non ho sentito."
"Penso che sarebbe meglio non vederci più."
Colton sentì il mondo crollargli addosso.
"Cosa?"
"Perdonami Colton, ti scongiuro."
"Cosa ho fatto? Perchè non vuoi più vedermi?"
"Credo tu lo sappia." mormorò lei in tono drammatico.
Colton aveva appena avuto la conferma che lei lo amava, ma non si sentiva meglio.
Affatto.
"Avresti dovuto pensarci prima."
"Io non l'avevo previsto!"
"Perchè secondo te io sì?!?"
"Tu sei fidanzato.."
"Lo sai che non c'è niente. Lo sai che stiamo insieme solo per convenienza."
"Non avrebbe mai funzionato comunque. Siamo troppo diversi."
Colton fece una fatica enorme a trattenere le lacrime.
Non poteva finire così.
Henny poteva scegliere tra far esplodere la passione o la rottura nella speranza che si dimenticassero l'uno dell'altro.
Aveva scelto la seconda.
Scelta che faceva stare Colton a pezzi.
"Forse... forse è solo una cotta e passerà." mormorò Colton, come se dirlo e ripeterlo a sé stesso lo aiutasse a convincersi che le cose stessero realmente così.
Entrambi sapevano bene che quella di certo non era una cotta, ma che si trattava di amore, ma tutti e due, forse per paura di intraprendere una relazione che non sarebbe stata facile, scelsero di mentire a sé stessi e all'altro.
"Non odiarmi." mormorò infine Henny.
"Credimi, ci ho provato, ma non ci sono mai riuscito. Come potrei riuscirci ora?" sussurrò Colton, uscendo dall'abitazione per poter sfogarsi e piangere.

ALLORAAAAAAA VISTO? VE L'AVEVO CHE SAREBBE STATO UN CAPITOLO "SCOTTANTE" ANCHE SE FORSE E' UN PO TROPPO LUNGO >.<
AD OGNI MODO, SPERO VI PIACCIA E... FATEMI SAPERE :D

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Parkus Square, 452 ***


67 CAPITOLO 33. PARKUS SQUARE, 452

Donald Crimball era uno dei giudici più temuti e più famosi della città.
Da quando condannò a morte un ragazzino il cui unico reato era l'aver rubato un pezzo di pane perchè non aveva soldi e aveva fame, persino gli avvocati avevano paura di lui.
Era vecchio, e guardava chiunque dall'alto in basso, come se una prima impressione bastasse per lui per assolvere o condannare qualcuno, che fosse l'imputato, un avvocato o un inidividuo presente al processo per chissà quale ragione.
Colton e Carson lo conoscevano bene.
Conoscevano bene quegli occhi vitrei che si nascondevano in quel volto sottile, colmo di rughe dovute un po' alla vecchiaia e un po' alla mancanza di bontà dell'uomo.
Era uno dei tanti elementi marci della "giustizia" di quella città, ma per una volta furono contenti di conoscerlo: sapevano esattamente le sue abitudini e a che ora tornava a casa, così avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per frugare nella sua squallida, sebbene meravigliosa, abitazione al numero 452 di Parkus Square.
Colton, Carson, Harvey e Doug entrarono in punta di piedi, anche se erano certi che non avrebbero trovato nessuno... o almeno.. così speravano.
In fondo, quell'indirizzo, data la sua importanza, poteva contenere di tutto, ma a loro interessava solo una cosa: scoprire la verità e chiudere quella maledetta storia una volta per tutte.
Entrarono da zone diverse, fino a quando non si incontrarono nel centro della casa, il soggiorno.
"Beh.. direi che non c'è nessuno. Possiamo procedere."
Accesero le luci e ognuno di loro andò da qualche parte.
Sebbene fossero soli, o almeno così sembrava, tenevano tutti e quattro la pistola tra le mani, pronti per qualunque evenienza a sparare.
Colton camminava lentamente guardando ovunque, come se si aspettasse l'arrivo improvviso di qualcuno.
Era rigido, e sebbene si sforzasse di restare lucido e di pensare a trovare qualcosa, qualunque cosa che potesse aiutarli, non riusciva a fare a meno di vedere la sua vita davanti a sé.
La sua mente era piena di domande che si stava ponendo.
Avrebbe trovato qualcosa?
E se sì, cosa avrebbe trovato?
Cosa là dentro riguardava la sua Henny?
Una parte di lui, quella che aveva preso il sopravvento in quei giorni, era convinta che avrebbe trovato una verità giusta su quella ragazza.
Un'altra parte, quella razionale e tenebrosa che copriva la sua anima da anni, lo portava a valutare anche le cose peggiori.
E se non fosse stata sincera?
Se la volessero morta perchè in tempo faceva parte del loro gruppo e ora li aveva lasciati per il senso di colpa?
Cos'era lei?
Figlia di un mafioso, un criminale?
Era la spiegazione più ovvia razionalmente, anche perchè altrimenti, che interesse avrebbero quei pezzi grossi della società a vederla sotto terra?
Ma no.. non poteva essere così.
Colton ormai si fidava ciecamente di lei, e si rifiutava di credere ad una cosa del genere.
Lei.. così buona e gentile... no.
Non può essere così.
Deve esserci un'altra spiegazione.
Scacciando quei pensieri che gli affollavano la mente, Colton non riuscì a fare a meno di notare una scrivania.
Iniziò a frugare frettolosamente non perchè aveva fretta di andarsene per paura di essere scoperto, ma perchè aveva bisogno di conoscere la verità.
Subito.
Nel secondo cassetto a destra trovò vari fascicoli.
Li prese e gli diede un'occhiata.
Erano troppi, non riusciva a leggerli del tutto sul momento, ma c'era qualcosa che non poteva non notare.
Il nome di Henny, scritto ovunque.
La sua descrizione fisica, l'età, il luogo in cui lavorava.
Sembrava una grande carta d'identità.
E poi ancora.
Una mappa con segnati alcuni punti, come ad esempio la libreria distrutta.
Colton non poteva leggere tutto e sebbene non avesse ancora capito cosa volessero da loro, la sua ansia poteva aspettare: iniziò a sentire dei rumori che non gli piacevano granché, e il suo istinto gli suggerì di darsi una mossa.
Prese quei documenti e si diresse in soggiorno dove vide Carson spaccare quadri e mobili come un bambino arrabbiato con i genitori.
"Che diavolo fai?"
"Andiamo, Colton. So che anche tu hai sempre desiderato farlo. Sai anche tu quanti innocenti ha mandato al patibolo e quanti colpevoli ha liberato questo bastardo!"
"Certo che lo so, ma ci sentiranno!"
"Ma chi? L'abitazione più vicina è a due isolati da qui!"
"Sarà meglio andarcene. Dove sono gli altri?"
"Hai trovato qualcosa?"
"Sì, ma adesso andiamo, ti prego. Qualcosa mi dice che restare qui non ci aiuterà. Abbiamo quello che ci serve!"
"Non così in fretta, signori!"
I due detective si voltarono.
Donald Crimball li fissava dal piano di sopra, tenendo stretto Naher e puntandogli una pistola alla tempia.
"Lasciate i documenti e andatevene, se non volete che uccida il vostro amico!"
"Andate via. Mi ucciderà comunque!" urlò Naher.
"Ma Har.."
"Siete degli idioti! Sapete che quei documenti sono la chiave di tutto! Non mandate tutto all'aria per un necrofilo che a quest'ora avrebbe già dovuto essere morto!" mormorò Naher.
Colton abbassò lo sguardo in cerca di un aiuto, e lo trovò.
Vide uno specchio, che gli permise di vedere ciò che stava dietro di lui, nascosto nel buio.
Sorrise.
"Sei finito Crimball! A momenti la polizia sarà qui e ti arresteranno per corruzione! Di prove ce ne sono abbastanza!" sbottò Colton.
"Ma di che diavolo stai parlando?"
"Se tu ti girassi, vedresti che le macchine della polizia sono entrate nel tuo giardino. Questione di secondi e saranno qua dentro."
Crimball iniziò ad agitarsi.
Non si voltò completamente, ma il suo sguardo si spostò a destra.
Bastò.
Un proiettile lo colpì al cuore, facendolo cadere a terra, morto.
Dall'oscurità uscì Doug, che festeggiò accendendo un sigaro.
"Cavolo Doug, avrei voluto ucciderlo io!" sbottò Carson.
"Non piangere, ragazzino. Ti rifarai la prossima volta. Tutto bene, Harvey?" mormorò Doug.
"Meglio di così si muore!"
"Adesso andiamocene, prima che arrivi DAVVERO qualcuno."

ALLORAAAAAA :D ECCO UN CAPITOLO CON UN PO' DI SUSPENCE, CHE SPERO DI AVERVI TRASMESSO U.U
FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE, SAPETE CHE APPREZZO LE VOSTRE RECENSIONI! CIAO :D



Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Un Buco Nell'Acqua ***


22 CAPITOLO 34. UN BUCO NELL'ACQUA

Niente.
Assolutamente niente.
Rischiare per l'ennesima volta la pelle non aveva portato i suoi frutti.
I documenti che avevano trovato, quelli che avrebbero dovuto significare la fine di quella dannata storia che durava da troppo tempo, quelli che li avrebbe dovuto condurre alla verità, ai fatti concreti e a capire come mai quella guerra era cominciata.
A qualcosa però erano serviti: non era Henny la chiave, ma il padre.
Nei documenti si parlava spesso di un certo uomo, e Henny sembrava essere finita in quella storia per quel legame di parentela.
Ma chi era realmente il padre di Henny?
Che fosse lui in criminale?
Cosa aveva fatto per farli incazzare al punto di voler uccidere anche una ragazza innocente?
Chi era questo Lars Dekker?
Quella storia aveva forse a che fare con Hitler considerano che Henny era olandese e che fino a poco tempo prima in Europa dilagava il suo governo?
Era un alleato di Hitler?
O un suo nemico, e per questo costretto a mandare la figlia nel paese che tutti vedono come l'inizio di una nuova vita?
Colton e Carson rileggevano quei documenti da ore ormai, ed entrambi erano esausti.
Ormai non riuscivano più a capire cosa stavano leggendo ed erano talmente cotti che del fumo stava per uscire dalle loro orecchie.
Continuare sarebbe stato inutile viste le loro condizioni.
Avrebbero proseguito domani.
"Dovresti andare da Henny.. sono un po' di giorni che non ci vai. Potrebbe esserle successo qualcosa." propose Carson al collega.
Colton chiuse gli occhi e strinse i pugni.
Oh, quanto avrebbe voluto tornarci.
Nonostante la stanchezza, si sarebbe fatto ore e ore di macchina pur di andare da lei, che aveva lasciato sola in quella grande casa, nella quale il poliziotto aveva passato parte della sua infanzia prima della tragedia.
Ma lei era stata molto chiara.
Si amavano e per questo non potevano vedersi, e Colton non avrebbe mai fatto niente che potesse turbarla.
Erano passati solo quattro giorni dall'addio, eppure sentiva la sua mancanza come un pesce sente la mancanza del mare una volta catturato dal pescatore.
Ogni giorno che passava, la morsa allo stomaco si faceva sempre più pressante e sempre più dolorosa, quando invece doveva accadere il contrario.
Il non vedersi non aveva lo scopo di dimenticarsi l'uno dell'altro?
Allora perchè invece che sentirsi meglio, stava peggio?
"Non lo farò."
"Come?"
Colton guardò il collega negli occhi.
Carson era un donnaiolo e alle volte anche un immaturo, ma era un brav'uomo, e questo lo sapeva.
Sì, era quello giusto.
Senza dire niente, Colton mise nelle mani del partner le chiavi della casa.
"Questo cosa dovrebbe significare?"
"Che ora ci vai tu."
"COSA? Perchè? E' un tuo compito, Colton."
"Non posso più farlo."
"Perchè no?"
Cavolo, e adesso che gli dico?
Non posso più andarci perchè ci siamo innamorati?
Oh, andiamo.
Ti riderebbe in faccia.
"Non vuole più vedermi." tagliò corto Colton.
Non sapeva mentire così disse la verità, o almeno, una parte della verità.
"Cosa le hai fatto?"
"Niente."
"Oh, andiamo. Devi aver fatto qualcosa di grosso, altrimenti non avrebbe detto una cosa simile."
Innamorarsi è abbastanza grosso?
"Sono affari miei e suoi. Tu devi solo pensare ad andare da lei, ogni tanto."
"Avete litigato?"
Magari fosse così semplice.
"Una cosa del genere, sì."
"Non vuoi proprio dirmelo cosa è successo, eh?"
"Devo darti un indirizzo. Non è più in quella casetta. E' a San Francisco."
"Cosa diavolo ci fa a San Francisco?"
"Non poteva più stare dov'era prima. E' completamente distrutta. L'avevano trovata. Fortunatamente sta bene perchè non sono entrati in casa, hanno sparato da fuori, e lei si è nascosta sotto un tavolo."
"Oh accidenti. Ma perchè San Francisco?"
"Perchè ho una casa là."
"Hai una casa a San Francisco?!? Ma da quando?"
"Da un po'."
"E dirlo magari?"
"Era come se non l'avessi. Ecco, questo è l'indirizzo." mormorò Colton, scrivendolo su un pezzo di carta e dandolo al collega.
"Colton, sono sconvolto. Sei andato fino a San Francisco pur di tenerla al sicuro."
"Era l'unica cosa da fare."
"D'accordo io... vado allora. Magari se le parlo potreste risolvere i vostri problemi."
"No. Non parlarle di me. Non vorrà sapere nulla di me."
"Come vuoi. Allora vado."
"Ah, Carson."
"Sì?"
"Giurami che la tratterai bene, che avrai cura di lei e che farai qualsiasi cosa per salvarla se la trovassero anche lì."
"Colton.."
"Giuralo!"
"Te lo giuro." mormorò Carson, uscendo e dirigendosi verso la macchina.
Colton che si preoccupa così tanto per un essere umano?
Per una donna che inizialmente disprezzava?
Ma cosa diavolo c'è sotto?
Si comporta come se l'amasse.
AHAHAHHAHAHAHHAHAHAHAH.
Che idiota, come ho fatto ad averlo pensato?
Colton innamorato?
Di Henny?
Pura fantascienza.
Ma come mi vengono certe idee.


SALVEEEEE :D ECCOMI DI NUOVO :D LO SO QUESTO CAPITOLO NON E' IL MASSIMO, MA I COLPI DI SCENA NON MANCHERANNO :D FATEMI SAPERE SE VI E' PIACIUTO! CIAOOOOO :D

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Il Muro ***


44 CAPITOLO 35. IL MURO
Colton camminava in modo insicuro, quasi dondolando, e con aria curiosa si guardava continuamente intorno, sorpreso dalla luce, forse un tantino eccessiva, presente nella stanza, talmente tanta luce che sembrava di essere vicino al sole.
Molto vicino.
Il detective uscì dalla cucina e raggiunse il soggiorno con velocità ma al tempo stesso con una lentezza disarmante.
Camminava e si guardava intorno ad ogni passo che faceva.
Conosceva quel luogo, lo conosceva fin troppo bene, ma tutto era troppo surreale e prima di lasciare la stanza, cercò di allungare il collo per intravedere cosa, o chi, lo aspettava nell'ingresso.
E così fu.
Colton sgranò gli occhi e spalancò la bocca.
Un uomo lo stava aspettando.
Gli andò incontro, spalancando le braccia.
"Colton." mormorò l'uomo in tono solenne.
"Ciao papà." mormorò il detective, sorridendo.
"E' bello rivederti."
"Sono... sono morto?"
"Non siamo nell'aldilà. E' un sogno. Un tuo sogno."
Colton si guardò ancora intorno, e poi si avvicinò al padre.
"E' tutto nella mia testa." sussurrò Colton, come se lo dicesse più a sé stesso che all'uomo.
"Si vede... si vede che avevi un bisogno incoscio di vedermi."
"Sono quasi trent'anni che ho il bisogno incoscio di vedervi!" sbottò Colton, quasi in tono arrabbiato.
Amava suo padre.
Amava sua madre.
Ma era arrabbiato.
Non dovevano andarsene così presto.
Non dovevano lasciarlo prima che diventasse un adulto.
Sapeva che era stupido ed irrazionale, ma quello era il suo stato d'animo.
"Noi non ti abbiamo mai abbandonato. Noi ti guardiamo sempre. Preghiamo per te. Abbiamo visto ogni giorno della tua vita."
"Questo è solo un sogno. E' il mio incoscio, l'hai detto tu."
"Credi a questo. Io e tua madre siamo così orgogliosi di te. Sei diventato un brav'uomo. Ma.."
"Figurati se non c'era il ma."
"Guardandoti... mi sono reso conto di quale impatto ha avuto la nostra ultima conversazione. Te la ricordi?"
"Sì. Un mio compagno di classe a cui avevo confidato un segreto lo rivelò a tutta la classe e gli altri mi derisero. Tu mi dissi che dovevo smetterla di essere così buono. Che dovevo smetterla di ascoltare il cuore e che dovevo prestare più attenzione alla testa. Mi dissi che se avessi continuato a fidarmi di tutte le persone che avrei incontrato nella mia vita, non sarei mai sopravvissuto."
"Non avresti dovuto prendermi così alla lettera."
"Ho fatto quello che mi avevi chiesto."
"Fin troppo."
"Questo cosa vorrebbe dire?"
"Non sei più un bambino, Colton. Sei un adulto. Questo tuo essere così razionale e così distante dal resto del mondo ti ha permesso di sopravvivere in un mondo fatto di falsità e cattiverie.. ma qui non si tratta più di sopravvivere. Si tratta di vivere bene. Ora puoi tranquillamente abbassare la guardia, e permettere a quelle persone che ti sono sempre state intorno e che lo meritano, di vedere come sei realmente. Cancella una volta per tutte questo muro. Il buco c'è già. Non ti resta che colpire ancora e sarai libero."
"Non ci riesco. Non posso. Tornare ad essere vulnerabile significa tornare ad essere predisposto a soffrire. Non posso aprirmi con delle persone che potrebbero allontanarsi."
"E' un rischio che devi correre, se vuoi vivere davvero. E vai da quella ragazza, una volta per tutte."
"Marianne?"
"Ma non farmi ridere Colton. Sai benissimo che non mi riferisco a lei. Ah, non ti azzardare a sposarla! Non buttare via la tua vita con una donna così, se donna la si può chiamare."
"Non funzionerà. L'ha detto anche lei."
"E tu convincila del contrario."
"E se io fossi d'accordo con lei?"
"Mentiresti, perchè di certo non sei un idiota."
"Io la amo, papà."
"Lo so."
"Non so cosa fare."
"Vai da lei, e sbrigati. Non perderla. Lo rimpiangeresti per tutta la vita."
"Ma.."
"Non è previsto un ma, Colton. E' così. Punto. E' grazie a lei che si è creato un buco nel muro che divide la tua anima dal mondo. Lascia che ti aiuti a distruggerlo del tutto. Adesso devo andare, ormai ti svegli. Vorrei pensassi a quanto ti ho detto. Se questa conversazione avesse lo stesso impatto su di te che quella che abbiamo avuto prima che morissi, sarebbe l'ideale. Incrocerò le dita."
"Papà!"
"Sì?"
"Me lo sono sempre chiesto... mamma avrebbe avuto un maschio o una femmina?"
"Una femmina."
Colton sospirò.
"Me lo sentivo."
"Anche tua madre. L'istinto di una donna non sbaglia mai."

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Tenendo una mano sulla fronte, Colton si sedette davanti a Marianne, la quale continuava a scrivere qualcosa su un pezzo di carta, senza degnare di uno sguardo il fidanzato.
Colton non faceva altro che pensare al sogno che aveva fatto e a suo padre.
"Stasera esco con le ragazze. Non so quando torno."
Colton socchiuse gli occhi e non disse nulla.
"Quando ci sposiamo? E quando mi compri qualcosa? Mi compro sempre tutto io."
Sì. Con i miei soldi. pensò Colton.
"Colton, ma ci sei? Vorrei lo facessimo il prima possibile così posso fare un bel viaggio."
Buffo. Sposarsi per un viaggio. Queste sì che sono parole.
"Italia, Francia, Inghilterra,... c'è tanto da vedere. Parigi, Lon.."
"No!" sbottò improvvisamente Colton, sorprendendo la ragazza.
"Come?"
"Basta. E' finita. Finita finita finita."
"Finita cosa?"
"Questa cosa! Questa pseudo e malata cosa tra di noi finisce qui!"
"Colton... mi stai lasciando?"
"Sì!"
"Chi è lei? Perchè se mi stai lasciando è sicuramente perchè hai incontrato qualcuno."
"Non è importante."
"Puoi avere tutte le amanti che vuoi Colton, ma io non rinuncerò mai ad essere tua moglie!"
"Ma io non sono disposto ad essere tuo marito. Questa cosa tra di noi è durata anche troppo. Dio, non posso credere di averci messo così tanto tempo!"
"Te ne pentirai, Colton."
"Addio Marianne!" sbottò Colton, prendendo la giacca e uscendo.
Se non posso essere di Henny, non sarò di nessun'altra.

ECCCCCCCCOMIIIIIIIIIIIIIII :D E' UN CAPITOLO UN PO' PARTICOLARE COME AVRETE NOTATO, MA SPERO VI PIACCIA :D FATEMI SAPERE :D GRAZIE E A PRESTOOOO :D


Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Rivelazione ***


zz CAPITOLO 36. RIVELAZIONE

"E' come immaginavamo." mormorò Naher in tono solenne, tenendo le braccia incrociate e sedendosi su un tavolo.
"Hai scoperto qualcosa?" chiese Raper, scrollando le spalle.
"La faccenda è più grave di quanto pensassimo." continuò Naher.
"Detto da un serial killer la cosa è alquanto inquietante." fece in tono sarcastico Carson, sorridendo.
Era più forte di lui.
Riusciva sempre a sorridere e a vedere il lato positivo delle cose, anche in quella situazione.
Naher fece una smorfia, anche se apprezzò la battuta.
"Possiamo andare oltre? Mi sta salendo l'ansia!" sbottò Butler.
"Il padre della ragazza faceva parte di una specie di setta, un'associazione o giù di lui che si occupava principalmente di difendere gli ebrei da Hitler dato che in quel periodo in Europa erano tempi duri."
"Ma cosa c'entra Hitler con lei? Non è ebrea. E poi il suo impero è finito!"
"Infatti ho detto che si occupava principalmente degli ebrei, ma c'era dell'altro. Si occupavano anche di corruzione. Avevano creato una lista con tutti i nomi di uomini su cui non si avevano dubbi. Era internazionale, quindi c'erano uomini spardi ovunque, anche qui. Ogni volta che arrivavano alla certezza che un determinato uomo, che il più delle volte occupa un'alta carica nello Stato, era corrotto, riportavano il suo nome con tanto di prove, per poter così denunciare ognuno di loro una volta tornata la tranquillità, ma a quanto pare ci sono stati dei problemi. Molti membri di questa associazione morirono in guerra, uccisi dai nazisti e morti nei campi di concentramento, o più semplicemente morti da quegli stessi uomini che avevano denunciato. Tra questi ci sarà anche il padre di Henny. Queste persone corrotte sanno che lei è la figlia di uno dei principali esponenti di quell'associazione, e pensano che lei ne sia in possesso. Di quella lista."
"Cazzo, allora faccenda è davvero seria." mormorò Raper.
"Perchè io che avevo detto?"
"E questa bella storiella ti è uscita dal buco del culo o l'hai sognata la notte?" sbottò Colton.
"Grazie mille, Colton. Ci mancava il tuo essere così cordiale." fece in tono sarcastico Carson.
Butler lo ignorò e lanciò uno sguardo severo al killer.
"Me l'ha detto il vostro caro amichetto."
"Chi?"
"Helloy."
"Quello stronzo figlio di puttana! Sapevo che che era coinvolto e corrotto!"
"Non mi sorprenderebbe trovare il suo nome in quella fantomatica lista. In fondo non è stato tanto tempo fa. Dieci anni." mormorò Naher.
"Dieci anni? Helloy all'epoca aveva poco più di vent'anni, no? Era già in polizia! Tutto torna. C'è solo una cosa peggiore dell'essere corrotti, ossia esserlo sempre stati. Lui lo è sempre stato."
"E quella lista dov'è?"
"Ah, non ne ho idea. Potrebbe essere ovunque."
"Se troviamo quella lista li abbiamo in pugno, e non potranno più farle nulla."
"Temo tu non abbia capito, Colton. Potrebbe essere ovunque! Ovunque!"
"Ma qui c'è una vita in ballo, Naher! Lo capisci? Mi rendo conto che per uno psicopatico come te sia un concetto difficile da capire, quindi mettiamola così: vedi di fare quello per cui ti ho salvato dalla camera a gas, e se non ti sbrighi farò in modo che tu ci ritorna presto!"
"Non sono un'indovino, Butler, ma farò quello che posso."
Colton lasciò la camicia di Naher, e poi si allontanò dal resto del gruppo.
Carson aveva gli occhi spalancati.
"Me lo sono sognato io o ti ha toccato?" mormorò a Naher quando il detective fu fuori.
"Non me, la camicia."
"Non è possibile."
"Lo ha fatto per uccidermi. Non hai visto i suoi occhi? Era fuori di sé."
Carson uscì e si sedette accanto al collega, che se ne stava seduto per terra, in giardino.
"Cosa vuoi?" chiese subito Colton.
"Colton... posso sapere che ti passa per la testa?"
"No, non  puoi."
"Colton.."
"Sono cazzi miei."
"Non più. Lavoriamo insieme, Colton. Non pretendo di sapere ogni cosa di te, ma se questi misteriosi pensieri che hai vanno ad influire sul lavoro che svolgi con me allora sì, sono esattamente cazzi miei."
"Non mischio le due cose."
"No mica. Hai quasi ucciso Naher. Per cosa poi? Perchè ha scoperto quello che cerchiamo di capire da mesi?"
"Tu non capisci."
"Se non mi dici niente è ovvio che non capisco! E vorrei sapere che diavolo è successo con Henny."
"No. Non vuoi davvero saperlo."
"Oh sì che voglio. E non dirmi che avete litigato perchè è una stronzata e io ti conosco da troppo bene per non capire quando mi dici una cazzata."
"E' la verità."
"No, non è la verità. Se fosse la verità tu passeresti tutto il giorno a criticarla e ad insultarla, invece quando si parla di lei ti stai sempre zitto, senza dire una parola. Non che lei stia meglio di te."
"Perchè? Cosa le è successo?" mormorò in tono allarmato Colton.
"E' depressa. Sempre triste. Ora io un'idea l'avrei anche su cosa è successo, ma è talmente assurda che... che... è assurda! Vero?"
"Allora non chiedere."
Carson sospirò.
Era talmente scontato che quei due si fossero innamorati, ma la cosa in sé era così assurda che trovava ridicolo anche solo pensarla una cosa del genere.
Magari si stava solo facendo dei film.
"Qualunque sia il vostro problema, lo risolverete stasera." mormorò Carson, dando a Colton le chiavi dell'abitazione.
No no no Carson!
Non farmi questo.
Non puoi darmi le chiavi di casa mia.
Così la tentazione di andare da lei sarà ancora più forte.
Perchè dare ad un alcolizzato che è in cura della birra?
Carson si alzò e si allontanò lasciando Colton da solo.
Lui e le chiavi che lo avrebbero portato dalla donna che amava e che cercava invano di dimenticare.

ECCCCCCOMI :D NUOVO CAPITOLO :D SPERO VI PIACCIA :D FATEMI SAPEREEEE CIAO :)

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Amore ***


111 CAPITOLO 37. AMORE

Il respiro del detective Butler era lento, come se si fosse fermato dopo una lunga corsa e avesse bisogno di respirare e di rimettersi in sesto.
Ma non aveva affatto corso.
Si era messo fin troppo lentamente.
I suoi occhi verdi erano chiari come non lo erano mai stati, e in nessun'altra occasione l'uomo fece così tanta fatica a trattenere le lacrime e a cercare di impedire, con tutte le sue forze, che gli rigassero il volto.
L'aveva fatto.
L'aveva davvero fatto.
Era tornato.. da lei.
Lo sguardo della ragazza non era così diverso da quello del poliziotto, ma nessuno osava parlare.
Erano a qualche metro di distanza e nessuno dei due non sembrava muovere un passo.
Non volevo allontanarsi: erano stati lontani l'uno dall'altra per troppo tempo.
D'altro canto, però, quella cosetta che avevano dentro la testa e che prende il nome di cervello suggeriva loro di non avvicinarsi perchè, sebbene lo desiderassero come un malato desidera la guarigione, la loro unione significherebbe, statisticamente parlando, dolore per entrambi.
Era.. era una follia!
Erano così dannatamente diversi!
Così diversi da non vedere via di scampo.
Fu Henny a muoversi, facendo qualche passo verso il poliziotto, ma senza avvicinarsi troppo.
"Colton." mormorò, quasi in un sussurro.
Butler sentì dei brividi percorrergli la schiena.
Sentirla dire il suo nome era... era...
Non lo sapeva neanche lui.
"Ho lasciato Marianne." si affrettò a dire lui, come se fosse lì solo per comunicarle quello.
"Perchè?"
"Non ci arrivi?"
La ragazza abbassò lo sguardo, non riuscendo più a reggere quegli occhi chiari puntati su di lei.
Colton si morse il labbro e scosse la testa.
Senza dire nulla, si diresse verso la porta con l'intento di uscire e di non farsi più tentare perchè quella storia lo faceva solo stare male, ma non riusciva ad aprire la porta.
La sua mano era sulla maniglia, ma non riusciva a muoverla.
Ci provava, ma non ci riusciva.
Era il suo cuore che stava comandando la sua mano, questa volta.
Appoggiò la testa sulla porta e non si mosse.
Henny, non riuscendo a tollerare la tristezza dell'uomo che aveva davanti gli andò incontro, e lo abbracciò da dietro, in modo dolce ma al tempo stesso forte, posando la sua testa sulla schiena dell'uomo.
Sentirla dietro di sé fu ancora più devastante.
Sentire le sue mani delicate, il suo corpo stretto al suo, non facevano altro che diminuire la sua razionalità.
Non la toccava da così tanto tempo, e ora...
Ora non voleva rinunciare alle sue mani.
La sua forza cedette, e le sue lacrime, che fino a quel momento era riuscito a trattenere, inondarono le sue guance.
"Non mandarmi via! Non lasciarmi andare! Trattienimi! Io non voglio andare via! Io non..." singhiozzò il poliziotto, tra una lacrima e l'altra, e voltandosi verso la ragazza.
"No.. Non ti lascio andare.. Stai tranquillo."
"Lo so che avevamo detto che era solo una cotta... che sarebbe passata presto... ma... ma... a me non passa. Affatto."
Henny lo abbracciò dolcemente, fino a quando non divennero molto molto vicini.
Talmente vicini che i loro nasi e le loro fronti si toccavano.
Talmente vicini che se si fossero avvicinati, anche se di poco, un bacio sarebbe stato inevitabile.
"E' una pazzia. Lo sai, vero?" sussurrò la ragazza.
"Prima di conoscerti... non riuscivo a farmi toccare da nessuno e viceversa. Ora non voglio essere toccato da nessuno che non sia tu."
"Sei sicuro, Colton? Non sono così perfetta come credi."
"Non credo affatto che tu sia perfetta. Penso tu sia la persona più imperfetta che esista. Sei disordinata, goffa, pigra, negata in cucina, e sei anche un po' pazza. Ma vuoi sapere una cosa? Io sono più pazzo di te. Perchè ti amo. Da morire."
"Anch'io ti amo, Colton." mormorò la ragazza tra una lacrima e l'altra, commossa dall'improvvisa dichiarazione dell'uomo.
Il poliziotto fece un mezzo sorriso, quasi accennato, e sfiorò dolcemente le labbra della ragazza.
Si baciarono in un modo talmente delicato che sembrava avessero paura di rovinare l'altro, fino a quando, a poco a poco, i baci si fecero più profondi: passarono da un bacio leggero ad un bacio passionale con un accenno di lingua.
Colton non era mai stato così felice, e mentre si toglieva la giacca, la cravatta e tutto quello che aveva addosso, non riusciva neanche per un istante a staccare le sue labbra da quelle di Henny.
Non ci riusciva e non voleva.
Si spogliarono completamente, finendo nella camera da letto.
Il loro amore era così grande che non potevano più contenersi.
Il tempo che avevano passato a stare lontari era così tanto che non potevano più resistere e trattenere la passione.
Al diavolo Marianne, la lista e il resto del mondo.
Al diavolo tutto.
C'erano solo loro due.
Due anime così diverse che si erano conosciute perchè il Destino aveva deciso di fare loro un regalo meraviglioso.
Due anime che si incastravano perfettamente, e che non sarebbero mai tornate ad essere divise.

ECCCCCCOMI :D MOLTI DI VOI ASPETTAVANO CON TREPIDAZIONE QUESTA SCENA, E SPERO DI NON AVER DELUSO LE ASPETTATIVE! FATEMI SAPEREEEE :D CIAOO :)



Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Un Brusco Risveglio ***


qqqqq CAPITOLO 38. UN BRUSCO RISVEGLIO

Era da quasi un'oretta che aveva smesso di dormire, ma aprì gli occhi soltanto quando le prime luci dell'alba filtrarono dalla finestra.
Il poliziottò baciò dolcemente la schiena di Henny, sulla quale aveva tenuto la testa per tutta la notte, mentre con le mani stringeva a sé quel corpo che ha desiderato così a lungo.
Il risveglio di Henny non tardò molto e la ragazza, dopo essersi stropicciata gli occhi, si voltò verso l'amante, che la stava guardando e che continuava a tenerla stretta con le braccia, che in quella posizione trasmettevano a Henny sicurezza e protezione.
Nessuno dei due aprì bocca per un tempo che sembrava infinito.
Non erano imbarazzati né pentiti di quanto avevano fatto quella notte, anzi, entrambi ritenevano fosse stata la scelta più intelligente della loro vita, solo non sapevo cosa dire.
Non esistevano ancora le parole che potessero trasmettere quello che realmente stavano provando.
"Quanto abbiamo?" mormorò Henny, alludendo al fatto che Colton avrebbe dovuto andarsene a breve, per raggiungere gli altri e per scoprire se ci fossero state delle novità.
"Un'ora, due al massimo." mormorò Colton, spostando il braccio per avvicinarsi ancora di più alla ragazza.
Henny posò delicatamente una mano sul viso del poliziotto, e lui seppe cogliere l'atmosfera romantica e si avvicinò ulteriormente, finchè le loro labbra non ti toccarono di nuovo.
Le salì sopra, facendo attenzione a non farle del male, e continuò a baciarla.
Ancora e ancora e ancora.
Stare sopra di lei gli fece tornare alla mente la notte passata insieme, e mentre la baciava si poteva intravedere un mezzo sorriso da parte da un uomo che un tempo, per quanto fosse assurdo quel cambiamento, era stato freddo e insopportabile.
Lei strinse il poliziotto posizionando le braccia sulle sue spalle, per avvicinarlo ancora di più a sé.
Poi le tolse, e passò delicatamente le dita su quelle spalle, dove ancora si intravedevano dei lividi rossi, che Colton si portava dietro dall'infanzia e ai quali non pensava più, da quando c'era lei nella sua vita.
Mentre la ragazza diede dei piccoli baci a quei lividi nell'ingenua speranza di cancellare quel dolore e quel ricordo con il suo amore, Colton continuava a sorridere come un bambino, come se quei lividi stessero effettivamente scomparendo.
La strinse ancora di più a sé, e le diede un altro bacio, quasi a stampo.
Era pazzo di lei.
Talmente pazzo di essere arrivato a pensare che il fatto che dei tipi cercassero di ucciderla avesse un lato positivo: senza di loro, non l'avrebbe mai conosciuta, oppure l'avrebbe conosciuta ma l'avrebbe lasciata andare via, senza rendersi conto del madornale errore che avrebbe fatto.
Era tutto così assurdo.
Fino a poco tempo prima non riuscivano neanche a tollerare di stare l'uno con l'altro nella stessa stanza, mentre ora erano nello stesso letto.
La magia di quel momento venne interrotta da un rumore che piacque davvero poco al Detective.
"Che c'è?" mormorò la ragazza, notando che l'uomo aveva avuto un sussulto.
"Ho sentito qualcosa."
"Cosa?"
"Vado a vedere. Tu resta qui." mormorò in tono allarmato l'uomo, alzandosi dal letto e prendendo i suoi abiti.
Entrambi si vestirono, e non appena ebbero finito, Henny si sedette sul letto e Colton si fiondò al piano di sotto, dove vide cosa aveva causato quel rumore.
Lui.
Era lui.
Kigar.
Il suo collega - poliziotto - corrotto.
Colton aveva ancora la camicia aperta, ma non se ne curò.
Avrebbe voluto saltargli addosso e staccargli la testa tanto era la rabbia che provava per l' "uomo" che aveva davanti, ma doveva sforzarsi di restare civile.
"Che ci fai tu qui?" sbottò freddamente Colton.
Fu una sorpresa per lui notare che i suoi modi diretti e freddi non erano cambiati.
Era sempre il Colton Butler che tutti conoscevano.
Con la donna che amava era diventato un cucciolo indifeso e bisognoso di coccole, ma con gli altri continuava ad essere un potente leone che ruggiva davanti al nemico.
"Il giochetto è finito, Butler. Dacci la ragazza e per te non ci saranno conseguenze."
"Fottiti, Kigar. Esci da casa mia. Adesso."
"Un tempo eri più lucido... il vecchio Colton l'avrebbe già fatto tanto tempo fa."
"Tu non sai un cazzo di me, Kigar. E te lo dico per l'ultima volta. Esci da casa mia subito se non vuoi uscirci steso su un lettino, per andare all'obitorio centrale."
"Lei è solo una puttana."
Se c'era un qualche meccanismo nel cervello di Colton che gli permetteva di mantere il controllo e di resistere alla tentazione di uccidere quell'essere spregevole che aveva davanti era andato a farsi friggere.
Prese Kigar per la camicia, e lo sbatté violentemente contro il muro, ma Kigar aveva la sua forza, e tra i due iniziò uno scontro che poteva concludersi con la vittoria di uno dei due, e con la morte dell'altro.
Colton era più forte e più abituato a combattere e a fidarsi solo di sé stesso, ma Kigar aveva una pistola.
Quella di Colton era in camera da letto.
Questo creò non pochi problemi al poliziotto, che realizzò che se non giocava bene le sue carte, quella era la sua fine.

SAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAALVEEEE :D ECCOMI QUAAAA :D GODETEVI QUESTI CAPITOLI, PERCHE' NON NE RIMANGONO MOLTI ALLA FINE :P FATEMI SAPERE SE LA STORIA VI STA PIACENDO SEMPRE DI PIU' O SE INVECE E' IL CONTRARIO :D A SABATO PROSSIMO!

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** La Resa dei Conti ***


CAPITOLO 39. LA RESA DEI CONTI

Colton fu davvero contento di aver combattuto e di aver frequentato l'accademia militare, altrimenti sarebbe già morto: Kigar era più forte di quanto pensasse, e più volte il detective Butler era andato molto molto molto vicino alla morte.
Mentre cercava di difendersi e al tempo stesso di fare male all'avversario, ricordò che la sua pistola era rimasta al piano di sopra.
Diavolo, era stato davvero uno stupido!
Come ha potuto scendere senza la sua pistola?
Prima regola che si impara entrando in polizia: mai separarsi dalla propria pistola.
Sicuramente Kigar l'aveva, e non avrebbe tardato a tirarla fuori, mentre quella di Colton era nel comodino della camera da letto, con Henny.
Povera ragazza.
Non avrebbe voluto chiudere a chiave la stanza in cui l'aveva lasciata, ma non le avrebbe mai permesso di scendere.
La conosceva fin troppo bene, e sapeva che se non l'avesse rinchiusa se ne sarebbe fregata della sua incolumità e sarebbe scesa per prestare soccorso all'uomo.
Colton non lo poteva permettere.
E alla fine, il momento arrivò.
Kigar tirò fuori la pistola e la puntò contro Butler, che se ne sto immobile.
"E' finita. Se avessi avuto la pistola, l'avresti già tirata fuori."
"Kigar, non puoi uccidermi. Dovrai risponderne alle autorità. Cerca di ragionare." mormorò Colton, cercando di usare un tono comprensivo.
"Le autorità.... le autorità sono tutte dalla mia parte."
"Prima o poi dovrai risponderne. Tu e tutti quelli che sono coinvolti."
"Sai qual'è la cosa più divertente? Se solo tu avessi fatto la scelta giusta, non saremmo mai arrivati a questo! Tutto sarebbe finito con una medaglia e una promozione."
"Fanculo tu e le medaglie. Io non sono come te."
Basta offerte e controfferte.
Colton aveva capito che stava per morire, e voleva dire le cose come stavano.
"Questo è sicuro. Ma stai tranquillo: non appena troverò quella ragazzina, le dirò quanto sei stato eroico prima che morissi mentre la stuprerò. Ancora e ancora e ancora." mormorò in tono sadico Kigar.
"Non ti azzardare, brutto pezzo di merda! Lasciala stare o ti torturerò al punto che rimpiangerai di non essere ancora morto! Non la devi neanche toccare. Non la devi neanche nominare. Non ne sei degno."
"E come pensi di impedirmelo? Tu sarai morto." mormorò, sparando un colpo, che però andò a vuoto.
Quelle parole, che avevano lo scopo di ferire e far soffrire Colton, portarono quest'ultimo a dimenticarsi della pistola e ad abbattersi nuovamente sul nemico: così facendo la pistola cambiò obbiettivo e sparò verso il soffitto.
Resosi conto di quanto era successo, Kigar tentò di recuperare puntando nuovamente la pistola verso Colton, ma aveva fatto male i suoi conti: Butler, riuscì a spostarla nuovamente e un secondo colpo partì.
Un colpo che c'entrò il cuore di Kigar, che cadde definitivamente a terra.
Butler si alzò e prese la pistola.
Non si avvicinò né tentò di aiutarlo, ne aveva avuto abbastanza.
Quando finalmente esalò l'ultimo respiro, Colton salì di sopra e si affrettò ad aprire la porta della camera da letto, nella quale aveva chiuso Henny.
Non appena la aprì, vide la ragazza abbracciarlo forte.
"Ti odio." mormorò lei.
"Se non avessi chiuso a chiave saresti scesa. Lo sai."
"E allora?"
"E allora se l'avessi fatto sarei stato io ad odiarti!"
"Non importa! Non dovevi chiudere a chiave! Ti detesto!"
Colton le si avvicinò e le strappò un bacio.
Lei scoppiò a ridere e lui anche.
"Ti amo." mormorò lei, dandogli un altro piccolo bacio.
"Lo so. Anch'io."
"Cos'è successo di sotto? Stai bene?"
"Sì sto bene, tranquilla." mormorò lui, abbracciandola.
Abbraccio che però durò poco, perchè subito dopo squillò il telefono.
Fu Colton a rispondere.
"Pronto?"
"Colton, tu e Henny dovete venire subito qui."
Era Doug.
"Cosa succede?"
"Naher ha trovato la lista."

ECCCCCCOCI :) GRAZIE GRAZIE GRAZIE PER LE 53 RECENSIONI! SONO COMMOSSA :') RECENSITE PURE ANCHE QUESTO, ORMAI MI CONOSCETE, LO SAPETE CHE MI FA PIACERE ! PS: OGGI SONO IMPEGNATISSIMA, QUINDI PUO' DARSI CHE IL TESTO ABBIA ERRORI GRAMMATICALI PERCHE' NON SONO RIUSCITA A RILEGGERLO. E' UN MIRACOLO CHE SIA RIUSCITA AD AGGIORNARE. GRAZIE E A PRESTO :)

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** La Corsa ***


y6546uy65 CAPITOLO 40. CORSA

"Vi ha seguiti qualcuno?" mormorò Carson a Colton e Henny, non appena i due entrarono.
"Quando hai finito con le domande stupide vorrei sapere dov'è quella dannata lista, grazie." sbottò Colton, guardando male il collega, il quale fece un mezzo sorriso.
"E' bello vedere che sei sempre il solito, Colton."
"Allora Naher? Questa lista?" continuò Colton, non volendo perdere tempo in altre faccende.
Era stanco di tutta quella pseudo - guerra che durava da troppo tempo.
Voleva che la cosa finisse.
Voleva vedere i responsabili marcire in galera.
Voleva riavere il suo lavoro.
E soprattutto, voleva iniziare una vera storia con Henny, stare insieme e tutto il resto, esattamente come una qualunque coppia.
Voleva tornare alla normalità.
"La mia è solo un'ipotesi."
"Come sarebbe a dire?"
"Forse so dov'è."
"COME SAREBBE A DIRE FORSE? Non l'avete ancora recuperata?!?"
"Datti una calmata, Butler. Io non ho mai detto di averla recuperata e.. ma.."
"Che succede?"
Naher si avvicinò a Butler, e lo annusò come fa un cane.
Il detective indietreggiò schifato.
"Ma che diavolo fai? Non sono mica uno di quei tuoi schifosi cadaveri in decomposizione malato che non sei altro!"
"Chi hai ucciso, Butler?" mormorò Naher, guardando il poliziotto negli occhi.
"Cosa?"
"Hai lo stesso odore che avevo io dopo aver... hai capito. E' un odore che non si dimentica."
"Io non sono un serial killer psicopatico a differenza tua!"
"Però hai ucciso qualcuno. Chi hai ucciso?"
"Ma cos.."
"Butler!"
Colton sospirò.
Dannato serial killer!
Non gli sfugge niente!
Doug, Henny e Carson erano intorno ai due, attendendo la risposta di Colton.
"Kigar." sussurrò Colton, talmente piano che nessuno riuscì a sentirlo.
"Come?"
"KIGAR!"
Naher si alzò e diede un cinque al poliziotto con energia, il quale ne restò totalmente indifferente.
"Hai fatto bene! Quello era proprio una serpe! Prima di interrogarmi mi ha picchiato. Mi ha fatto sputare sangue e non sono riuscito ad alzarmi per un mese. Maledetto pezzo di merda." sbottò Naher.
"Colton.. lo sai che non c'è nessuno che odio quanto lui... ma... perchè?" chiese Carson.
"Non ho avuto scelta. Si è presentato a casa mia e ha cercato di uccidermi. Io non ho fatto altro che difendermi. Diciamo che... avrebbe dovuto mirare meglio prima di sparare."
"Oh beh... se le cose stanno così tanto meglio."
Henny si sedette in un divano non tanto lontano.
Era stanca e aveva sonno, ma cercò di non far preoccupare nessuno, tantomeno Colton, che da quando si erano innamorati era iperprotettivo.
"Come diavolo ha fatto a trovarvi?"
"Non lo so. So solo che dobbiamo sbrigarci a prendere quella lista, perchè anche loro, a quanto pare, stanno facendo dei progressi,"
"Per quanto riguarda la lista ho una notizia buona e una cattiva. Quale volete sapere prima?"
"E' uguale."
"Quella buona è che so che si trova a Washington. Quella cattiva è che lo sanno anche gli altri."
"Come fai ad esserne sicuro?"
Naher sospirò e indicò le cuffie con le quali aveva ascoltato le conversazioni dei loro nemici.
"Oh merda."
"Cosa cazzo ci facciamo ancora qui?"
Mentre gli altri si agitavano, Colton si avvicinò alla ragazza.
"Va tutto bene?"
"Sì... è solo un po' di stanchezza."
"Dobbiamo andare."
"E Danny?"
"Lo vado a prendere io. Intanto voi partite. Ci vediamo là." propose Doug.
"Là dove? Washington non è piccola."
"Un modo lo troviamo. Avanti, sbrigatevi!"
Erano arrivati alla fine, e la sorte della battaglia era stabilita da una letale corsa.

ECCCCCCOMI :D
INUTILE DIRE CHE SIAMO QUASI ALLA FINE DELLA STORIA :P
SPERO CHE QUESTO CAPITOLO VI SIA PIACIUTO, E' UN PO' CORTINO, LO SO, MA NEL PROSSIMO NON MANCHERANNO I COLPI DI SCENA!
FATEMI SAPERE!
ALLA PROSSIMA :D


Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Minuti Contati ***


2343453565 CAPITOLO 41. MINUTI CONTATI

Doug diede una mano a Danny a preparare in fretta le sue cose, altrimenti non avrebbero fatto in tempo.
Il tempo scorreva veloce, e loro non potevano dilungarsi troppo.
Tic Tac.
Tic Tac.
L'orologio a pendolo nel soggiorno non faceva che rendere i due uomini, Doug soprattutto, più nervosi.
Tic Tac.
Tic Tac.
Erano stati talmente tanto a lungo immersi in quella storia che ormai nessuno riusciva a credere che fossero arrivati alla fine.
Alla resa dei conti.
"Ci sono." mormorò Danny sforzandosi di usare un tono determinato, sebbene dentro fosse pieno di paura.
"Perfetto. Andiamo."
Troppo tardi.
Poco prima che uscissero, entrambi si fermarono di colpo.
Con grande chiarezza udirono il rumore dei passi dei loro nemici, che portarono ad un altro grande rumore: delle pesanti mani che più che bussare alla porta sembrava volessero buttarla giù.
"Sappiamo che siete lì! Diteci dov'è la ragazza e nessuno vi farà del male!"
"Che facciamo?" sussurrò Danny.
Doug respirò affannosamente e sentì il sudore alla fronte perdersi lungo le sue guance.
L'ultima volta che aveva avuto così tanta paura era in guerra, quasi un secolo prima.
"Mettiti un mantello addosso e chiuditi in cantina. Quando non sentirai più rumori, indipendentemente dai morti e da quello che vedrai, prendi i soldi e vattene. Cerca di arrivare a Washington, magari con un mezzo pubblico. Lì devi trovare gli altri. Vai."
"E tu?"
"Non ti preoccupare. Sono grande e vaccinato e a me possono pensarci anche da solo."
"Non posso lasciarti da solo. Sono in troppi."
"Non credo tu possa aiutarmi molto. Rischieresti di spararmi. Se vuoi aiutarmi, fai come ti ho detto."
"Ma.."
Doug gli avrebbe urlato di farlo, ma non poteva parlare a voce troppo alta né fare del gran rumore.
Afferrò l'ex medico per il colletto, e lo spinse in cantina, chiudendo la porta e mettendo delle travi. Era impossibile raggiungerlo: era al sicuro.
Lui sarebbe poi potuto uscire dalla finestra.
Pochi minuti dopo, il tempo che servì a Doug per nascondere il passaggio alla cantina e prepare il fucile, la porta si spalancò ed entrò un gruppo di uomini.
Erano all'incirca cinque o sei.
"Dicci dov'è e nessuno si farà male." disse uno di loro.
"La partita è chiusa. Ormai abbiamo vinto. Non la raggiungerete mai. E pagherete tutti.... uno per uno... per i vostri reati!"
"E' un no? Sai che questo ti porta alla morte, vero?"
"Vedremo." mormorò in tono solenne Doug, puntando la pistola verso l'uomo che aveva parlato.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Harvey, Colton, Carson e Henny alzarono lo sguardo verso l'alto, ma non per vedere il cielo.
Lo fecero per tentare di vedere fino a dove arrivava quell'enorme edificio davanti al quale si trovavano, e nel quale dovevano entrare.
"Non riesco a credere di non riuscire a vedere la fine." mormorò sarcasticamente Carson, rimasto a bocca aperta davanti a quell'opera monumentale.
"Non riusciremo mai a controllarlo tutto. Soprattutto in quattro." ipotizzò Colton.
"Doug e Danny?"
"Stanno arrivando."
"Ho un brutto presentimento. Non è che gli è successo qualcosa?"
"Tranquilla, Henny. Conosco Doug da una vita. Non avranno problemi. Anzi, scommetto che quando arriveranno, e spero il prima possibile, saranno più in forma di noi."
"Cos'è questo tono gentile, Colton? Hai la febbre?"
"Ma quanto sei simpatico, Peterson."
"Sarà meglio iniziare. Dividiamoci così faremo prima."
"Uno di noi deve andare con Henny. Meglio che non stia sola."
"Ci vado io con lei. Anche perchè le devo dire delle cose." fece in tono ambiguo Carson.
"Cosa?" chiese immediatamente Colton.
"Sono fatti nostri, Colton. Su, andiamo. Troviamo quella lista!"

ECCCCCCOMI :D SPERO CHE QUESTO CAPITOLO VI LASCI CON IL FIATO SOSPESO! SIAMO ALLA FINE, E' IL MINIMO!
ALLA PROSSIMA! :D

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Scontro a Fuoco ***


CAPITOLO 42. SCONTRO A FUOCO

"Di cosa mi dovevi parlare?" chiese Henny, mentre lei e Carson controllavano i documenti che li circondavano.
"Secondo te?"
"Beh non lo so... per questo te lo chiedo."
"Colton è un uomo adulto, Henny. Su certe cose è preparato e non ha bisogno di difese perchè quelle se le crea lui, ma su altri aspetti no. Non è mai stato innamorato prima d'ora."
"Perchè mi dici queste cose?"
"Oh andiamo, penso tu lo sappia."
"Pensi che lo farò soffrire?"
"No! Solo non è preparato. Volevo solo dirtelo. Lo conosco da dieci anni, e non c'è nessuno che merita la felicità quanto lui."
"Lo so. E ti giuro che lo terrò sempre presente."
"Ancora non riesco a crederci. Tu e lui insieme. E'... è così strano."
"Lo è per te? Pensa per noi."
Carson stava per ribattere, ma un forte rumore li fece scuotere entrambi.
Guardarono al piano di sotto, e videro quel gruppo di uomini contro i quali facevano la guerra fin dall'inizio.
Anche Harvey e Colton li videro, e ogni membro dell'esercito lanciò uno sguardo penetrante al proprio nemico, uno sguardo che stava a significare una sola, grande, disastrosa cosa.
Era finita.
Tutto sarebbe concluso lì, in quell'edificio.
Chi avrebbe vinto nello scontro a fuoco che stava per iniziare avrebbe vinto non quella battaglia, ma la guerra.
Niente più sfide ulteriori.
Niente più rivincite.
Tutto sarebbe finito lì.
Henny aveva paura.
Tremava e respirava affannosamente.
Ormai erano mesi che rischiava continuamente la vita, ma scoprire che da lì a poco si sarebbe deciso il suo destino, il suo futuro, era davvero angosciante.
Carson se ne accorse, e cercò di rassicurarla prendendola per un braccio.
"Tutti noi abbiamo giurato che ti avremo salvato, e lo faremo. Te l'assicuro."
La ragazza annuì, continuando a tremare.
Ma il tempo degli sguardi era finito.
Uno dei nemici puntò la pistola verso la ragazza e premette il grilletto.
Grazie al cielo Carson, da poliziotto addestrato qual'era, si preparò.
Afferrò la ragazza e la distese per terra, dietro un muro abbastanza alto che le faceva da scudo.
"Basta con i giochetti! Dateci la ragazza e tutto andrà bene."
"L'abbiamo protetta finora. Cosa vi fa pensare che ora ve la lasceremo?"
"Beh non saprei... forse vi è improvvisamente tornato il senno."
"Che vi importa di una ragazza?"
"Qui non si tratta di lei. Si tratta del fatto che la vostra corruzione è andata avanti troppo a lungo. Ora basta. Il mondo ha diritto di sapere." mormorò Harvey in tono solenne.
Senza ulteriori discorsi, lo scontro a fuoco iniziò.
"Noi li teniamo occupati. Tu muoviti cammiando a testa bassa così non ti vedranno per via del muro. Scappa e vedi se trovi quela dannata lista."
La ragazza obbedì, e in quel luogo un tempo silenzioso iniziò a rimbombare il suono dei proeittili, e delle vite che si spezzavano.

LO SO LO SO.
QUESTO CAPITOLO E' VERGOGNOSAMENTE CORTO, MA DATO CHE IL PROSSIMO SARA' L'ULTIMO, VOLEVO LASCIARVI COL FIATO IN SOSPESO :3
CIAO CIAO :D

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** La Fine di Tutto ***


qqqq CAPITOLO 43. LA FINE DI TUTTO

Era una fresca giornata primaverile, e una giovane donna incinta se ne stava seduta su un soffice divano, tenendo gli occhi chiusi per contemplare meglio cosa la circondava e il suono degli uccellini che cinguettavano allegramente fuori dalla finestra.
Accarezzò dolcemente il suo pancione, con dentro il suo bambino: la data del parto era molto vicina e la ragazza ancora non ci credeva.
Chi avrebbe mai pensato che lei, un giorno, sarebbe rimasta incinta?
Che avrebbe avuto dei bambini!
Era strano perchè quello che stava vivendo era vero, lei lo sapeva bene, ma ancora non riusciva ad accettarla.
L'aveva desiderato così a lungo..
I suoi pensieri vennero interrotti dal telefono che iniziò a squillare: la donna si alzò e si diresse verso l'oggetto e afferrò la cornetta.
"Pronto?"
"Boom boom boom!" mormorò scherzosamente l'uomo che l'aveva chiamata.
La ragazza sorrise.
Quella voce.
L'avrebbe riconosciuta ovunque.
"Harvey!"
"Ciao, Henny."
La ragazza sorrise nuovamente.
Non lo sentiva da tanto tempo e gli mancava.
Da quando tutto era finito, lui e Danny erano partiti per non si seppe mai dove.
Francia, Inghilterra, Italia, Spagna, Marocco,...
Non facevano altro che viaggiare e viaggiare, e scoprire il mondo.
La ragazza era tranquilla nel sapere che Danny era con Harvey: anche se era cieco, nessuno lo avrebbe mai potuto toccare, visto che Harvey era un serial killer psicopatico, e anche se erano anni che aveva smesso di uccidere, avrebbe ricominciato facilmente se qualcuno avesse sfiorato anche solo per sbaglio il suo uomo.
"Come va la gravidanza?"
"Entro questo mese dovrebbe nascere."
"Salutalo da parte mia quando accadrà!"
"Salutala..."
"Come?"
"E' una femmina. Me lo sento."
"Il mondo ha bisogno di un'altra piccola Henny Dekker."
"Fatevi sentire ogni tanto. Tu e Danny."
"Lo faremo. Tanti auguri."
"Anche a te."
Non appena la conversazione si concluse, Henny si alzò e guardò fuori dalla finestra.
Parlare con Harvey le aveva fatto ricordare quel fantomatico giorno, in cui tutto finì.
In cui ebbe tanta paura da sentire un dolore lancinante al petto.
E tutto le apparì davanti alla mente, come se fosse successo ieri.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Boom.
Boom.
Boom.
Carson, Colton e Harvey combattevano rischiando la vita per lei.
Erano i bersagli dei nemici, più numerosi, ma meno abili.
Henny se ne stava rannicchiata dietro un muretto, coprendosi le orecchie con le mani.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per non sentire quei rumori che istintivamente le ricordavano la morte, il dolore e la sofferenza.
Non riusciva più a stare lì, senza far nulla.
Si alzò e, senza essere vista, salì le scale ancora e ancora, fino a quando non arrivò all'ultimo piano.
Scaffali, scaffali ovunque.
Iniziò a guardare ogni documento, ogni dannato foglio, buttando per terra ciò che non serviva: sembrava un poliziotto che controlla un luogo dopo un ordinamento del giudice.
Si sentì il respiro mancare.
"Cercavi forse... questa?"
La ragazza si voltò e vide, in un angolo della grande stanza, uno di quelli che la voleva morta tenere in mano la lista.
LA LISTA.
Era lei.
"Troppo tardi." mormorò lui, puntando la pistola verso la ragazza.
Henny chiuse gli occhi, attendendo la sua morte.
Non poteva scappare: era pietrificata dalla paura.
Però le cose le andarono bene ancora una volta.
Sentì un colpo, e aprì gli occhi.
Colton, il suo Colton, l'aveva colpito alla testa facendolo svenire, poi aveva raccolto la sua arma e preso la lista.
Non appena fatto, corse verso la ragazza, stringendola forte.
"Va tutto bene, tesoro. Va tutto bene."
La ragazza alzò lo sguardo e vide un altro uomo avvicinarsi.
"Attento!" urlò al compagno.
Partì uno sparo.
Colton era a terra, e teneva la mano destra sul fianco sinistro, dove era stato ferito.
L'uomo stava per sparare anche ad Henny, ma fortunatamente arrivatono Carson e Harvey, che lo sistemarono per bene.
La giovane si buttò su Colton, che stava sanguinando parecchio.
Il poliziotto stava a poco a poco chiudendo gli occhi.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------

Henny si scosse improvvisamente.
Doveva smetterla di immergersi nei pensieri.
Sentì dei passi.
Sorrise.
Li riconobbe subito.
"Mamma!" esclamarono due bambini, spalancando la porta e correndo verso Henny.
Henny li abbracciò e loro anche.
Non dovevano essere molto grandi: il maggiore aveva all'incirca 7 anni e il più piccolo 5.
Uno era fisicamente uguale a Henny, mentre l'altro aveva i lineamenti, i capelli e gli occhi del padre, chiari e splendenti, anche se nei suoi occhi si leggeva lo sguardo della ragazza.
La porta la chiuse l'uomo di casa, Colton Butler, che si tolse l'immancabile giacca e sciolse la cravatta, accomodandosi e sedendosi vicino alla moglie.
"Lasciate stare la mamma. E soprattutto non fatele male alla pancia." si raccomandò.
"Sono incinta Colton, non malata." mormorò lei, pur sapendo che il marito avrebbe continuato a preoccuparsi.
Già.
Quella dannata sera temeva di perderlo.
Temeva che quel colpo fosse stato decisivo.
Eppure eccolo lì.
Era diventato suo marito, e il padre dei suoi figli.
Ed era lo stesso uomo che le stava toccando il pancione cercando un contatto con il figlio, o meglio, figlia, che sarebbe arrivata presto.

EEEEECCOCI ALLA FINE :D
VOLEVO RINGRAZIARE TUTTI QUELLI CHE MI HANNO SEGUITO E CHE HANNO RECENSITO QUESTA STORIA :) SPERO CHE VI SIA PIACIUTO, IO, PERLOMENO, HO DATO IL MASSIMO :D
GRAZIE ANCORA :D


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1909931