Niñas Mal di Placebogirl_Black Stones (/viewuser.php?uid=103309)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- No alla legge Rayleigh! ***
Capitolo 2: *** 2 - Capricci da pop star ***
Capitolo 3: *** 3 - Una ragazza per bene ***
Capitolo 4: *** 4 - Angelo custode ***
Capitolo 5: *** 5 - Bugie ***
Capitolo 6: *** 6 - Sesso e infedeltà ***
Capitolo 7: *** 7 - Hippie Borghese ***
Capitolo 8: *** 8 - Sull'orlo del collasso ***
Capitolo 9: *** 9 - L'alter ego ***
Capitolo 1 *** 1- No alla legge Rayleigh! ***
Niñas
Mal
La
piazza
brulicava di giovani di diverse età, che tuttavia non
superavano i venticinque.
Era
fiera di
aver organizzato quella manifestazione, anche se il vero motivo non era
certo
quello che sembrava.
Non
che non
le importasse di salvaguardare le zone verdi della città (ci
aveva passato i
pochi momenti felici della sua infanzia in quei parchi), ma la
verità celata
dietro a quell’evento era l’ennesima richiesta di
attenzione dal padre.
Non
lo
avrebbe ammesso, perché altrimenti la sua
credibilità di ragazza ricca e
ribelle si sarebbe frantumata come un vaso di porcellana su un
pavimento di
pietra.
Agli
occhi
degli altri doveva sembrare solo un’eroina che difendeva i
diritti dei giovani
dall’uomo politico che li distruggeva per accrescere il suo
potere.
Silvers
Rayleigh, Senatore del paese, attualmente in carica per diventare
Governatore,
conosciuto da tutti come “Senatore Rayleigh”:
questo era il volto di suo padre.
Dire
che lo
odiava sarebbe stato eccessivo, ma il loro rapporto era burrascoso da
sempre.
La
ricopriva
di regali, convinto che potessero sopperire all’affetto che
non le aveva mai
dimostrato.
Da
bravo
uomo di politica, era convinto che tutto si potesse comprare con il
denaro,
anche l’obbedienza e il rispetto di una figlia.
Ma
lei non
si lasciava comprare, perché sapeva di valere molto di
più.
Studiava
attenta ogni sua mossa, dentro e fuori dall’ambito politico,
per poterla
contrastare come meglio poteva.
Più
lui si
infuriava, e più lei continuava.
Quel
giorno
non era diverso.
Sarebbe
dovuto andare al Senato per approvare una legge da lui stesso proposta,
una
legge che prevedeva l’eliminazione di parte degli spazi verdi
della città a
favore della costruzione di nuovi edifici.
Non
gli
importava se i bambini o i giovani non avrebbero più avuto
spazi in cui
giocare: ciò che importava erano solo il progresso e gli
affari, fulcro intorno
al quale gira la vita di ogni politico.
D’altre
parte, non gli importava nemmeno di lei, pretendere che si interessasse
agli
altri era chiedere troppo.
Così
aveva
deciso di fare l’ennesima bravata, organizzando una sommossa
per impedire alla
macchina del “Senatore” di arrivare a destinazione.
Ovviamente
si era avvalsa dell’aiuto dei suoi fedeli e inseparabili
amici, da sempre al
suo fianco, pronti a sostenerla in ogni momento.
Erano
loro
la sua vera famiglia, quei tre ragazzi svitati e straccioni, ma con un
cuore
grande come il mondo.
Avevano
fatto
un patto di fratellanza da bambini, e da allora erano sempre stati
inseparabili.
Teneva
d’occhio
l’allestimento della piazza, ricoperta di cartelli e
striscioni che riportavano
le scritte “NIENTE VERDE, NIENTE FUTURO” e
“NO ALLA LEGGE RAYLEIGH”, mentre
continuava la sua partita a poker con i tre scavezzacollo.
O
meglio, la
sua partita a strip poker.
Se
non c’era
il fascino del proibito, le cose non erano di suo gradimento.
Usando
il
cofano della sua costosa macchina (regalo del padre) come tavolino,
avevano
inscenato una partita senza esclusione di colpi, dal momento che
nessuno dei
quattro voleva perdere.
L’idea
di
trovarsi senza vestiti davanti a un gruppo di persone in una piazza non
era il
massimo delle aspirazioni.
Tuttavia,
vedeva dallo sguardo dei tre furboni che avevano tutta
l’intenzione di farla
perdere, solo per poterla vedere mezza svestita.
Erano
tre
bamboccioni senza lo straccio di una ragazza, quindi ogni occasione che
si
presentava loro era oro colato e non andava sprecata.
Dal
canto
suo, non provava vergogna a togliersi una maglietta davanti a loro, sia
per il
suo carattere sfacciato e senza regole, sia perché li vedeva
come dei fratelli
davanti ai quali non sentiva nessuna malizia.
Lanciò
un’occhiata
a Sanji, che sorrideva soddisfatto della vittoria che stava per
conseguire,
mentre Rufy rimaneva fermo nella sua convinzione di essere lui quello
più
prossimo a batterli.
-
Ne è venuta della gente, eh?-
commentò
Usopp, che di certo era il più pacioccone dei tre.
-
Ovvio, se Nami si mette in testa una cosa
nessuno può fermarla!- sorrise Rufy, che conosceva
la rossa più di chiunque
altro.
-
Però non capisco perché
fare una rivolta
contro un uomo che ti compra una macchina del genere…-
replicò Usopp,
osservando con attenzione l’auto sulla quale stavano
giocando: un auto che lui
poteva guidare solo nei suoi sogni.
-
Dovreste parlare meno e pensare di
più, vi
sto stracciando alla grande!- bloccò il discorso
Sanji, che fra tutti era
il più giudizioso.
-
Calmati, non è ancora detta
l’ultima parola!-
si difese Rufy.
-
Nami è quella messa peggio-
sorrise
Usopp - Le toccherà farci vedere
le
mutandine!-
Sorrise
a
quelle parole.
Di
solito
non perdeva mai, non era una che amava essere sconfitta.
Ma
al
momento aveva altro per la testa, e quel gioco era stato solo un
pretesto per
passare il tempo in attesa che la sommossa prendesse vita.
Aveva
già
perso il primo match, e con quello anche la sua maglietta: questo aveva
reso i
felici i tre, che si erano pregustati la visione del suo reggiseno di
pizzo nero
dal quale facevano capolino i suoi morbidi e prosperosi seni.
-
A me non dispiace se ce le mostra!-
fece
il furbo Sanji.
-
Davvero?- lo guardò
maliziosamente,
sorridendo malandrina ed estraendo dagli stretti jeans a sigaretta un
lembo
delle mutandine coordinate al reggiseno.
Ridacchiò
guardando l’espressione da pesce lesso che si era dipinta sul
volto di Sanji,
il quale era smanioso di vedere di più.
La
sua
risatina fu accompagnata da quelle degli altri due amici, che
iniziarono a
provocarlo dandogli delle spintarelle.
Il
giochino
durò poco, quando si rimise la maglietta e radunò
le carte.
Era
arrivata
l’ora di far partire la rivolta.
Presto
il
Senatore avrebbe attraversato la piazza sulla sua lussuosa auto,
diretto al
Senato.
Diede
l’ordine
a tutti di munirsi di cartelli e striscioni, formando una lunga fila
che
impedisse il passaggio del veicolo.
Lei
stessa
aveva preso un megafono, decisa a dominare quella sommossa.
Come
previsto,
dopo pochi secondi la limousine nera di suo padre fece capolino sulla
piazza,
infervorando ancor di più gli animi dei giovani.
-
Forza ragazzi!- li incitava - Sdraiatevi tutti a terra!!!-
L’esercito
di ragazzi obbedì al suo ordine, sdraiandosi
sull’asfalto della piazza formando
una lunga e composta fila, quasi come un recinto.
Spinta
dalla
determinazione quasi arrogante che da sempre la caratterizzava,
camminò decisa
fino alla macchina nera, simbolo dello sfarzo tipico degli uomini
politici.
Ecco
la
dimostrazione di ciò che sosteneva da sempre: a suo padre
non importava dei
sentimenti, delle piccole cose che contano davvero nella vita.
La
sua vita
era la politica, con tutti i lati oscuri e corrotti che si portava
dietro, con
lo sfarzo e il lusso che servivano solo a commiserare le stesse persone
per cui
si diceva di fare del bene.
Pregiudizi,
inganni, maschere dietro cui nascondersi: ecco cos’era il
mondo in cui suo
padre viveva e in cui desiderava che anche lei vivesse.
Non
gli
avrebbe mai dato quella soddisfazione.
Lui
non
gliene aveva mai data una in diciott’anni di vita.
La
limousine
era ferma davanti a lei, impossibilitata ad avanzare.
Giunta
a pochi centimetri
dall’auto, batté un pugno
contro il cofano, guardando con sfida all’interno del vetro
anteriore, cercando
colui per il quale aveva organizzato tutto quello.
Il
buio dei vetri
oscurati le impediva, però, una visione nitida.
Se
non
poteva essere vista, allora l’avrebbe ascoltata.
-
NO ALLA LEGGE RAYLEIGH! NO ALLA LEGGE
RAYLEIGH!- iniziò
a inveire nel
megafono, seguita dagli altri ragazzi, ancora sdraiati, che le facevano
da
coro.
ANGOLO
DELL’AUTORE
Utilizzerò
questo
angolo per chiarire alcune cose.
Questa
è la
mia prima AU, ispirata all’omonima telenovela colombiana
(l’ho già detto nelle
note ma lo ripeto a scanso di equivoci). So di non essere brava nelle
AU, per
questo non ne avevo mai fatte, ma ho voluto fare un ultimo tentativo
prima di
prendere una decisione. Vi chiederete di che decisione sto parlando, e
ve lo
dico subito: sto meditando di ritirarmi e lasciare efp. I
perché sono tanti, ma
vi elencherò i principali per chi li volesse sapere.
-
Sono
stanca di vedere ff scritte in una lingua che non può
nemmeno definirsi
italiano e di presunte “scrittrici” che rispondo
male alle recensioni negative
invece di capire che le facciamo per aiutarle e non per offenderle. Di
avere a
che fare con delle bambine dell’asilo mi sono stufata.
-
Lo zonami
è morto. Credetemi, è un colpo ammetterlo per una
come me che ci crede da una
vita e che continua a credere che siano la coppia più
azzeccata di tutto OP, ma
se una cosa è vera è inutile negarla. Io non
capisco davvero come si fa a dire
che ci sono solo zonami, quando sono due settimane che ne cerco una e
non se ne
vede l’ombra. Sono scomparse, perché la gente
preferisce altri pairing. È inutile
continuare a dire che è solo un momento e che
passerà, perché un momento dura
qualche mese, ma qui è da un anno che non riesce
più a leggere zonami come si
deve. E le poche zonamiste rimaste si sono date (Dio solo sa come) allo
zosan o
ad altro. Avevo iniziato a scrivere per le poche zonamiste che ancora
un anno
fa giravano su efp implorando di avere più ff, e
così ho deciso di accontentarle,
anche per non vedere questa coppia appassire. Ora quelle persone non ci
sono
più, o meglio non sono più interessate. Quindi io
che ci sto a fare qui? A scrivere
per Zomi, l’unica che con me è rimasta a shippare
questa coppia? Ci scambiamo
le ff noi due come due oche? No, mi spiace, non perdo tempo se a
nessuno
interessa.
Questo
è in
breve quanto avevo da dire. Perciò avverto che questa ff
sarà come un esame
finale di prova: se nei prossimi capitoli mi accorgerò che
non sarà seguita, la
sospenderò insieme alle altre che ho in corso e mi
ritirerò definitivamente da
efp in ruolo di scrittrice.
Ne approfitto
anche per dirvi che la mia altra ff “Always You”
rimane al momento sospesa, e
deciderò solo più avanti se continuarla o se
metterla incompleta. Per quanto
riguarda “Stand By Me” invece, cercherò
di portarla avanti, ma il discorso che ho
fatto per questa vale anche per lei.
Mi sembra di
aver detto tutto.
Spero che
questa nuova AU vi piaccia e se sbaglio qualcosa non esitate a dirmelo
apertamente, io a differenza di certa gente qua su efp so accettare
consigli e
critiche per migliorarmi.
Avverto anche
che non ci sarà solo la coppia zonami, ma molte altre che
elencherò nel
prossimo capitolo sennò mi dilungo.
Detto ciò, a
voi la scelta di continuare a leggerla oppure no.
Saluti
Place
|
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Capitolo 2 *** 2 - Capricci da pop star ***
Seduta
dietro quel banco da liceale, con i suoi lunghi e perfetti capelli
corvini
acconciati da uno dei migliori parrucchieri del Giappone che le
ricadevano
morbidamente sulle spalle, indossava una divisa striminzita, che le
dava l’aria
di una scolaretta sexy.
Ma
lei era
sexy, perciò ogni cosa su di lei avrebbe assunto un aspetto
assolutamente
divino.
Si
guardava
intorno con aria di superiorità, la stessa che la
accompagnava da quando era
diventata la pop star più famosa del momento.
Pubblicità,
copertine delle riviste, siti di gossip: tutto parlava di lei.
I
paparazzi
si uccidevano per avere una sua intervista esclusiva, le fan la
osannavano
seguendola in ogni dove.
Questo
gonfiava il suo ego già alimentato dalla madre-manager che
si trovava.
Si
sentiva
perfetta, ineguagliabile e irraggiungibile.
Eppure,
quell’ambiente non aveva nulla di familiare per lei.
O
meglio,
ormai era abituata a stare sui set pubblicitari e fotografici, ma
ciò che la
disorientava era quell’allestimento modello classe di liceo.
Insolito,
per una ragazza di diciotto anni.
Ma
se la
ragazza in questione non aveva mai messo piede in una scuola superiore,
la
faccenda cambiava eccome.
Già,
perché
lei non aveva frequentato il liceo come le ragazze della sua
età.
La
sua
carriera di bambina prodigio non glielo aveva permesso.
Era
andata
ad una scuola pubblica fino all’età di sette anni;
poi era arrivato il
successo, e con lui tutto ciò che comporta il mondo dello
spettacolo.
Fingeva
che
non le importasse, che la fama e i soldi compensassero ciò
che da sempre le
mancava.
Ma
in cuor
suo sapeva che la verità era un’altra.
-
Sei pronta Boa?- la voce del
cameraman
la riportò alla realtà - Iniziamo
le
riprese!-
L’aria
si
riempì di una musica sensuale ma al tempo stesso ritmata, la
classica musica che
si ascolta nelle discoteche con gli amici.
Aveva
provato la coreografia non ricordava nemmeno quante volte, ed ora si
sentiva
pronta per eseguirla alla perfezione.
Non
capiva
cosa c’entrasse il tema “scolarette sexy”
con la pubblicità di uno shampoo, ma se
era un’occasione per espandere la sua immagine, poco
importava.
Iniziò
ad
eseguire quei movimenti semplici ma sensuali, ancheggiando e portandosi
al
centro del palco, seguita dalle ballerine che le facevano da contorno.
Si
strappò
la divisa, come previsto, e sotto comparve un altrettanto succinto
completo
dorato composto da top a forma di giacchetto e pantaloncini corti.
Una
vera
star doveva sempre avere un look da diva.
E
lo stesso
valeva per l’atteggiamento.
Fu
così che
iniziò a snobbare le ballerine co-protagoniste dello spot,
rubando loro tutta
la scena e atteggiandosi a gran donna di fronte alle telecamere.
Lei
e solo
lei era la star dello show: le altre non contavano nulla.
Erano
pezzi
dell’arredamento, come i banchi e l’attrezzatura
tecnica.
Ballava,
osservando decisa l’obiettivo e presentando con malizia
quello shampoo per
capelli setosi e brillanti, “Vital
Essence”.
-
Stop!- udì la voce del
regista, seguita
dallo stoppare della musica.
-
Che succede?- chiese perplessa,
convinta
che la sua performance fosse assolutamente impeccabile.
-
Che stai facendo, Boa? Non siamo ad un
provino per fare l’attrice protagonista, stiamo girando lo
spot di uno shampoo!
Cerca di essere meno seria e di divertirti di più con loro-
accennò alle
ballerine dietro di lei - Non puoi
lasciarle dietro la scena! Non sei mai andata in discoteca a divertirti
con le
amiche?- concluse, dandogli le spalle e tornando alla sua
postazione.
Strinse
i
pugni, assumendo un’espressione scocciata e corrucciata.
Ma
chi
diavolo era quel tipo per permettersi di rivolgersi a lei con quel tono
insolente?!
Lei
era Boa
Hankock, la più desiderata pop star di tutto il Giappone:
nessuno osava
controbattere al suo lavoro.
Che
cosa
pretendeva? Che lasciasse spazio a quelle insignificanti ragazzette di
cui non
conosceva nemmeno i nomi?
Era
la sua
faccia quella che contava!
-
No!- rispose indietro, in modo
insolente.
Di
colpo sul
suo volto si dipinse un' espressione triste, la stessa di chi realizza
che la
sua vita non è perfetta come sembra.
Non
era il
fatto che le avesse parlato in quel modo a darle fastidio.
Era
la
verità che si celava dietro alle sue parole a farle male.
Le
capitava
spesso di pensarci, ma in quel periodo era diventato come un chiodo
fisso, un
martello che le batteva incessantemente cuore e testa.
Aveva
sempre
avuto tutto quello che desiderava.
Tutto
tranne
la cosa più importante: una vita.
Lei
non era
andata alla scuola pubblica, non aveva mai avuto amici con cui uscire a
divertirsi, non aveva mai conosciuto l’amore, non aveva mai
avuto né
un’infanzia né un’adolescenza.
Non
aveva
vissuto.
Era
diventata vittima del personaggio che lei stessa aveva creato.
Chi
poteva
ridarle indietro ciò che aveva perso?
Chi
poteva
insegnarle come si balla in discoteca con le amiche?
Come
si fa
ad avere delle amiche?
Più
ci
pensava, e più sentiva la testa scoppiarle, la rabbia salire
e la voglia si
scomparire nel nulla come un fantasma.
Non
poteva
tenersi sempre tutto dentro.
-
Ascoltami bene!- si
avvicinò al regista
con arroganza e superbia - Qui la star
sono io, chiaro?! E decido io che cosa fare! Loro non sono nulla,
l’unica che
serve per questo spot sono io, mi hai capito bene?!-
Sputò
quelle
parole come veleno, esternando la rabbia che aveva accumulato.
Non
poteva
ammettere la sua sconfitta.
Una
star se
ne va sempre a testa alta.
Lanciò
un’ultima occhiata di sfida all’uomo che aveva
osato umiliarla, prima di uscire
a passi lunghi e veloci dallo studio.
ANGOLO
DELL’AUTORE
Ed
ecco il
secondo capitolo, a tempo di record direi! Bella forza, direte, la
trama è già
fatta! E avete ragione, ma credetemi: è difficilissimo
riportare un personaggio
dei fumetti dentro uno reale! Anche se in questo caso la protagonista
della
telenovela, Nina, è davvero simile a Boa.
Nel prossimo
capitolo conosceremo la terza e ultima protagonista principale della
serie,
ovvero Tashigi.
Vi illustro
in breve le coppie che saranno presenti in questa ff, come vi avevo
già
accennato nel capitolo precedente, così siete liberi di
continuare a seguire
oppure no.
-
Zoro x
Nami
-
Boa x Rufy
(ma non fissa)
-
Tashigi x
Law (ma non fissa)
-
Tashigi x
Smoker
-
Usopp x
Kaya
-
Sanji x
Nojiko (ma non fissa)
-
Nojiko x
Nico Robin (ma non fissa, unica coppia yuri della storia)
Questi
sono
i pairing principali, ma ce ne saranno altri meno importanti che
riporterò più
avanti con la comparsa dei personaggi, anche perché li devo
ancora scegliere.
So che
alcuni sembrano strani, ma ho cercato di adattare i personaggi per
similarità
di carattere con i protagonisti reali, e questo è uscito.
Mi sto
dilungando troppo, quindi ne approfitto per ringraziare tutti quelli
che mi
hanno sostenuto nel capitolo precedente, in particolare Rolochan,
che sa
già che la adoro! Senza di lei non sarei qui a scrivere
questa ennesima storia!
Grazie di
cuore my dear! <3
Questa ff la
dedico a te, regina delle AU zonami!
Baci
Place
|
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Capitolo 3 *** 3 - Una ragazza per bene ***
Corsetti,
lingerie e reggicalze di pizzo, intimo di ogni genere, costumi
provocanti per
notti di passione.
Ovunque
girasse lo sguardo si trovava davanti a indumenti che scatenavano i
pensieri
meno puri, il genere di cose che poteva indossare solo una donna dedita
alla
perdizione.
Si
sentiva a
disagio, in quell’ambiente così poco consono alla
sua persona.
Lei
era una
ragazza per bene, educata nel migliore dei modi, figlia di una famiglia
benestante e dal cognome illustre.
I
suoi sani
principi le impedivano di concepire quel lato così carnale
dell’amore.
Per
lei
amore significava dedizione alla persona con cui si sceglie di
condividere la
vita, rispetto reciproco e dolcezza.
Era
su
questo che si basava il rapporto con il suo fidanzato, Law.
L’ennesimo
completo ricamato passò davanti ai suoi occhi intimoriti.
Non
sapeva
nemmeno lei perché aveva deciso di accompagnare la sorella e
le amiche in quel
posto.
Forse
per
curiosità, forse per obbligo.
Non
aveva
altri amici all’infuori di loro, perché le avevano
sempre impedito di
frequentare certa gente.
Chi
apparteneva a una famiglia ricca, doveva circondarsi solo di persone
del suo
stesso ceto: questa era l’educazione che le avevano impartito.
Non
viveva
di certo una vita adatta ad una ragazza di diciassette anni, fra cene e
serate
galanti, ma la cosa non le pesava.
Aveva
sempre
vissuto così, e quella per lei era la normalità.
-
Ehi Tashigi? Che ne dici di questo?-
le
sventolò sotto il naso un
completo
intimo di pizzo nero con dei ricami rosso fuoco la sua amica Violet.
-
Per fare una sorpresa a Law…-
aggiunse
Kalifa, sottolineando il nome del fidanzato e assumendo
un’aria maliziosa.
-
Non fa per me…- scosse la
testa,
guardando con imbarazzo quell’indumento.
-
Ma per Law sì!- si
guardano complici le
altre due, sghignazzando
-
Lui non ha bisogno di queste cose-
sottolineò con una punta di altezzosità.
-
Tutti gli uomini ne hanno bisogno...-
replicò Kalifa.
-
Non dirmi che non avete ancora…-
ammiccò
Violet, alludendo chiaramente alla loro attività sessuale.
Indietreggiava
senza accorgersene, sempre più imbarazzata dalla
sfacciataggine delle due
amiche.
Come
si
poteva parlare così liberamente di un argomento tanto
delicato?
Per
lei era
pressoché inconcepibile.
Che
cosa
importava loro se lei e il suo fidanzato non consumavano carnalmente il
loro
rapporto?
Davvero
quella parte era così fondamentale per mantenere vivo
l’amore?
Davvero
Law
necessitava di avere anche il suo corpo oltre che il suo cuore?
Non
che
pensasse di non concedersi a lui per il resto dei suoi giorni, sia
chiaro, ma
voleva almeno aspettare il matrimonio.
O
forse
anche meno, ma voleva comunque aspettare.
Non
si
sentiva pronta ad abbandonare il suo pudore.
Per
lei
donare il proprio corpo a qualcuno non era solo un gioco, uno sfogo
carnale, ma
rappresentava l’essenza stessa dell’amore.
Era
una
ragazza all’antica.
Per
di più,
la sua giovane età era un altro dei motivi per tenersi a
freno.
-
Su, lasciate stare Tashigi! Lei è
una brava
ragazza, non ci pensa a queste cose!- intervenne in suo aiuto
la sorella
maggiore Hina, facendo demordere le altre due dal continuare.
Le
era grata
per averla tirata fuori da quella situazione; tuttavia sapeva che in
quelle
parole amorevolmente materne e protettive si nascondeva lo stesso
pensiero
espresso poco prima da Violet e Kalifa.
Lo
aveva
capito dal tono, quasi canzonatorio.
Perché
tutte
la reputavano una bambina solo perché non voleva essere sexy
o appariscente?!
Iniziava
davvero a pensare di essere lei dalla parte del torto.
E,
cosa che
più la preoccupava, iniziava a pensare che se non avesse
fatto qualcosa avrebbe
davvero perso Law.
Colta
da
questo pensiero, afferrò il cellulare e lo
chiamò, per accertarsi che andasse
tutto bene.
Restò
in
attesa, fino a quando la voce del suo fidanzato non si fece sentire
dall’altra
parte della linea.
-
Pronto?-
-
Ciao amore, sono io. Che stai facendo?-
gli parlò con la sua voce dolce.
Se
avesse
potuto vedere la sua reazione, il suo tono non sarebbe stato
così tanto dolce.
Law,
infatti, si stava scambiando occhiate veloci con l’amico
accanto a lui,
facendogli cenno di non fiatare.
Se
si fosse
lasciato sfuggire qualcosa, i suoi piani sarebbero andati in fumo.
Tutti
sapevano che tipo era Law.
Tutti
tranne
lei.
E
anche quella
volta, i suoi occhi non poterono accertarsi che ciò che le
raccontava
corrispondesse al vero.
-
Sono al Club di tennis, ho appena finito di
farmi una doccia-
-
Scusa se ti ho disturbato, volevo chiederti
se ti andava di vederci questa sera. Stare un po’ insieme,
farci le coccole…-
sorrise, pensando a loro due abbracciati sul divano.
-
Stasera? Mi dispiace tesoro, ma stasera non
posso. Devo andare con mio padre ad una riunione con il Senatore
Rayleigh per
discutere sulla legge che ha proposto…-
-
Bene, allora posso accompagnarti. In
qualità
di fidanzata, ovviamente- si animò, sentendosi
importante nel ruolo che
ricopriva.
Desiderava
davvero una vita così: sposata con un uomo del suo stesso
ceto, che avrebbe
accompagnato alle cene di lavoro, conosciuta da tutti come una donna di
classe.
Le
avevano
detto che questo sarebbe stato il suo futuro, e lei ci credeva con
tutto il
cuore.
-
No…no, non mi sembra il caso.
Sarà una cosa
lunga e piuttosto noiosa, non voglio che anche tu debba sorbirtela. Che
ne dici
se rimandiamo a domani?-
Tutte
le
aspettative di poco prima si sgretolarono come pietra vecchia.
Quella
risposta non l’aveva entusiasmata, anzi.
Aveva
come
l’impressione che ciò che le aveva appena detto
non fosse proprio del tutto
vero.
Il
presentimento
che le amiche avessero ragione si faceva sempre più forte.
Il
sorriso
di poco prima scomparve, e l’espressione sul suo viso si fece
seria e delusa.
Ma
non
poteva darlo a vedere, o Law avrebbe pensato che fosse una sciocca
ragazzina
immatura che non sapeva accettare gli impegni di lavoro del suo
fidanzato.
Fece
un
sorriso tirato, cercando di convincere sé stessa che andava
tutto bene.
-
D’accordo…A domani
allora. Ti amo…-
-
Sì, anch’io-
rispose riattaccando.
Rimase
a
fissare il cellulare, pensando a quanta freddezza c’era in
quel “Sì,
anch’io”.
O
forse era
lei che si stava facendo troppe paranoie.
L’influenza
dei discorsi delle amiche e di quel luogo le stava dando alla testa.
Sentì
le
loro voci farsi vicine, segno che stavano tornando da lei.
Ripose
il
telefono nella borsetta, assumendo la sua aria composta di ogni giorno.
-
Andiamo?- propose loro.
Fu
così che
uscì da quel negozio che per un attimo aveva fatto vacillare
tutte le sue
convinzioni.
ANGOLO
DELL’AUTORE
Dunque,
mettetevi comodi perché sarà un angolo autore
parecchio lungo. Non ho nulla da
dire sul capitolo, se non che le tre protagoniste principali della
storia sono
state introdotte. Il resto lo direte voi se volete lasciarmi una
recensione e
farmi sapere.
In
questo
spazio darò maggiori spiegazioni su ciò che
scrissi nell’angolo autore del
primo capitolo, che immagino tutte ricordiate (la famosa frase
“lo zonami è
morto”).
Bene,
adesso
preciserò cosa intendevo dire con quella frase,
perché vedo che molte si sono
fatte dei film mentali o se la sono presa a male e hanno iniziato a
lanciare
frecciatine a destra e a manca invece di venire a chiedere spiegazioni
direttamente a me. E non dite che non è vero e che non ce
l’avevate con me
perché in tutte le frasi che ho letto veniva riportata la
mia citazione che ho
detto solo io, perciò di sicuro non vi stavate riferendo a
mia nonna che
nemmeno sa cos’è efp. Ho deciso dunque di
spiegarvi in modo chiaro cosa
intendevo dire.
Quelle
fra
di voi che si sono iscritte da un anno o da meno su questo sito, si
sono
trovate direttamente questa situazione, ovvero pochissime zonami in
lista.
Quindi per voi questa è la normalità. Ma per chi
come me, è iscritto dal
lontano 2010 e frequentava efp anche prima, la situazione si
è evoluta in modo
drastico. Anni fa in un mese c’erano 20 ff zonami come
minino; oggi si sono
ridotte a 6 se tutto va bene. Potrà non sembrarvi, ma
è un calo drastico. Molte
autrici se ne sono andate, altre sono passate ad altro.
Per
non
parlare di quelle rimaste ora, che stanno cadendo come mosche,
perché non c’è
giorno che non trovi un’autrice che prima era zonami ed ora
si è data allo
zosan o a chissà che altro. Ma da un giorno
all’altro eh! Così, senza un
perché. La cosa, a me personalmente, lascia
perplessa.
Quando
ho
scritto quella frase, era da ben due settimane che non si vedeva
l’ombra di una
zonami in lista. Poi, da quando l’ho detta, la gente
è spuntata fuori come
funghi solo per darmi contro nelle recensioni o nei propri angoli
autore. Se
pensate di dimostrare così che lo zonami non è in
decadenza, a mio avviso, vi
sbagliate. Se io non dicevo quella frase, sarebbe continuata la calma
piatta.
Detto
questo, la frase non si riferiva solo a efp e agli autori che se ne
vanno o a
tutto ciò che ho detto fin ora. Io parlavo del Web in
generale. Prima, se
cercavi immagini o materiale zonami, trovavi sempre qualcosa di nuovo a
palate,
ora si trovano tre immagini in croce e tutto il resto è roba
secolare. Anche le
disegnatrici di zonami si sono assopite.
La
mia frase
era dunque una costatazione generale che abbracciava anche altri ambiti
oltre
ad efp.
Questo
calo
drastico di tutto mi ha portata a dire che sempre meno gente crede in
questa
coppia, perciò se proprio non è morta,
è in procinto di farlo.
Questo
è ciò
che intendevo dire. Spero che ora sia più chiaro.
Altra
cosa:
qualcuna se n’è avuta a male perché ho
detto che siamo in tre a
scriverci…Ragazze, ma sul serio, state scherzando?! Avete
mai sentito i detti “3
cose in croce” o “essere in 4 gatti”?! il
numero era approssimativo, per dire che
siamo rimasti davvero in pochi a scriverci. Poi, se la cosa
può calmare i
vostri animi tormentati, posso mettermi lì a contare il
numero preciso di
scrittrici zonami e riportarvelo, così potrete dormire sonni
tranquilli.
Terza
cosa:
ho fatto solo il nome di Zomi e alcune se la sono presa dicendo che le
ho
considerate delle cacche. Non mi permetterei mai, e dico mai, di
denigrare
altre persone, perché io per prima non voglio che gli altri
lo facciano a me:
ho fatto il suo nome perché mi è venuto spontaneo
farlo, dal momento che è la
scrittrice di zonami con cui sono più in contatto per
diversi motivi e perché è
quella fra tutte che aggiorna di più, che scrive di
più e che mi segue
costantemente. Poi lo so benissimo che ci sono anche altre persone che
ci scrivono,
le ff le vedo e le leggo.
A
proposito
di questo punto…il fatto che io non recensisca
più come prima, non è perché
“me
la tiro”, come qualcuno ha pensato (e chi è onesto
sa che io sono l’ultima
persona che se la tira, visto che ogni persona che mi dice che sono
brava si è
sentita rispondere che non mi piace come scrivo e che non sono mai
soddisfatta
dei miei lavori), ma semplicemente perché sono meno presente
su efp, ed essendo
di corsa alle volte leggo solo e non recensisco. Oppure non recensisco
perché
la storia non mi ha particolarmente entusiasmato e quindi non ho nulla
da dire.
Anche a me può non piacere una storia, sono umana. Quando
riesco, però, lascio
anche solo due righe, e chi le ha ricevute può confermare
quello che dico.
Leggo anche su altri fandom, e quindi a
volte preferisco, nel poco tempo che ho, lasciare una
recensione a
qualche autore dell’altro fandom piuttosto che a questo dove
sono più presente.
Se questo per voi è tirarsela, allora sì, me la
tiro.
Tutto
questo
per dire cosa? Non me la prendo se non condividete il mio pensiero
sullo
zonami, anzi, sono super felice in quanto zonamista di sapere che
c’è gente che
ci crede ancora e per davvero! Però,
c’è modo e modo di rispondere. Se volete
esprimere un pensiero contrario, fatelo senza lanciare inutili
frecciatine, dal
momento che non siamo all’asilo ma si presume su un sito di
persone mature e
adulte.
In
conclusione, se avete qualcosa da dirmi, da chiarire se non vi
è chiaro,
domande da fare, se vi ha dato fastidio qualcosa e volete saperne di
più, non
fate finta di nulla e poi lanciate la frecciatina a destra e a manca,
ma mi
contattate in privato, mi chiedete tutto quello che volete, e io
sarò felice di
rispondervi e di spiegarvi con educazione e da persone civili.
Non
voglio
più dover fare angoli dell’autore del genere.
Grazie
per
l’attenzione e contattatemi se volete dirmi qualcosa.
Place
|
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Capitolo 4 *** 4 - Angelo custode ***
La
sua voce
riecheggiava in tutta la piazza, come un disco rotto che iniziava a
infastidire.
Non
poteva,
e soprattutto non voleva mollare.
Dietro
di
lei, la fila composta di giovani distesi a terra non accennava a
muoversi, al
pari di un plotone di soldati che esegue alla lettera gli ordini del
comandante.
Cedere
significava mandare a monte tutto quello per cui stavano rischiando.
-
No alla legge Rayleigh! No alla legge
Rayleigh!- continuava a esclamare nel megafono, battendo il
pugno sul
cofano della limousine nera per scandire le parole.
Osservava
da
dentro l’automobile, nascosto dalla penombra dei vetri scuri,
sua figlia che si
era inventata l’ennesima bravata per mettergli i bastoni fra
le ruote.
Le
voleva
bene, ma era stanco di tutti quei tentativi di ribellione.
Voleva
farsi
grande ai suoi occhi, ma ogni volta era lui a dover mettere a posto i
suoi
casini e a tirarla fuori dai guai.
Sospirò,
osservando quante persone si stavano sottoponendo a
quell’inutile “gioco”.
Dubitava
che
tutti fossero lì per il motivo che riportavano sui loro
cartelli, sapeva che
molti giovani protestavano solo per il gusto di farlo,
perché l’idea di
trasgredire alle regole li faceva sentire degli eroi.
Se
tutti
fossero stati come il ragazzo che sedeva al suo fianco nel sedile
posteriore,
forse non avrebbe dovuto avere a che fare con ragazzate di questo
genere.
Non
aveva
idea di dove guardare.
Con
la coda
dell’occhio controllava l’espressione del Senatore,
mentre ciondolava la testa
da un lato all’altro per guardare cosa succedeva al di fuori
di quella macchina
che fungeva loro da riparo.
Trovava
quel
tipo di cose delle vere e proprie bravate da mocciosi, utili solo a far
perdere
tempo e pazienza a chi invece si occupava di cose serie.
Si
chiedeva
come il Senatore potesse sopportare tutto quello che la figlia gli
combinava.
Quella
figlia così bella e intelligente, ma al tempo stesso ribelle
e attaccabrighe.
Inutile
dire
che la ragazza gli piaceva, gli piaceva da impazzire.
La
conosceva
da tempo, da quando aveva iniziato a lavorare con suo padre, e dalla
prima
volta che l’aveva vista non era più riuscito a
cancellarla.
Sentiva
che
anche lei si era, in qualche modo, legata a lui, ma ancora non capiva
se lo
facesse per reale interesse o solo per gioco.
Non
aveva
mai approfondito, perché sapeva di non poterlo fare.
Era
la
figlia del suo capo, per cui nutriva grande stima e rispetto.
Una
specie
di divinità irraggiungibile.
Il
suono
delle sirene li riportò entrambi alla realtà,
facendoli riscuotere dalla calma
che ancora erano riusciti a mantenere.
Era
un
brutto segno: le forze dell’ordine erano arrivate sul luogo.
Infatti,
come previsto, li videro scorrere uno dopo l’altro da dietro
i finestrini
dell’auto, diretti verso i ragazzi sdraiati a terra.
Ognuno
di
loro stringeva fra le mani un manganello.
La
tensione
crebbe, ma da persone posate quali erano non si lasciarono prendere dal
panico,
restando ad osservare la scena in silenzio.
I
poliziotti
avanzavano a passi veloci, brandendo i loro bastoni.
Non
potevano
continuare a restare fermi senza fare nulla, o avrebbero avuto la
peggio.
Di
comune
accordo, passandosi parola e scambiandosi gesti immediati, i ragazzi
distesi
sull’asfalto si alzarono nuovamente in piedi, alcuni restando
fermi in
posizione di contrattacco, altri indietreggiando ma senza mai voltare
le
spalle.
-
Forza ragazzi!!!- li incitava Nami,
che
nel frattempo si era allontanata dalla macchina per sfuggire alla
polizia.
Si
era unita
a loro, restando sempre in testa, come a voler sottolineare che era lei
il capo
e il centro di quella rivolta.
Di
certo non
aveva previsto che la situazione prendesse quella piega, ma non si
sarebbe
lasciata intimorire da un esercito di uomini con il casco e la tuta.
Una
vera
ribelle sfugge anche alla legge stessa.
Ormai
stavano quasi per essere raggiunti.
Qualcuno
di
loro si gettò contro i poliziotti, ingaggiando una lotta
corpo a corpo,
riuscendo a tirare qualche pugno ma ricevendo anche una buona dose di
randellate; qualcun altro, invece, continuò a indietreggiare
e a scappare da
tutte le parti in modo da non essere preso.
Si
erano
mescolati, diventando una grossa nuvola dalle diverse sfumature che si
spostava
continuamente per la piazza cambiando forma.
Tirate
per i
capelli, botte, urla: questo era quello che avveniva al suo interno.
Fino
a
quando qualcuno non lanciò il primo fumogeno.
Fu
allora
che la baraonda degenerò completamente.
Fumo
dappertutto, che rendeva la visuale confusionaria e creava ancora
più
scompiglio di quanto non ce ne fosse già.
A
turno,
poliziotti e ragazzi riemergevano da quella nube per riprendere aria,
tossendo
nell’atto di liberare i polmoni.
Poi
tornavano dentro, pronti a riprendere lo scontro.
Nessuno
voleva
cedere, e questo era un serio problema.
Era
rimasto
a guardare senza fare nulla, così come l’uomo da
cui prendeva ordini, ma ora
non poteva più fingere che non gli importasse.
Non
avrebbe
mai permesso che Nami finisse vittima di botte atroci o di fumi nocivi,
perché
la sua vita gli stava a cuore più di ogni altra cosa.
Si
sentiva
in dovere di proteggerla, di salvarla dal caos che lei stessa aveva
creato.
Si
meritava
una lezione per l’errore commesso, ma il prezzo da pagare
stava diventando
troppo alto.
Fece
un
cenno del capo al Senatore, facendogli capire che aveva intenzione di
scendere
dall’auto.
Lo
vide
aprire la bocca e tendere una mano, senza però proferire
parola.
Forse
voleva
fermarlo, ma se aveva visto anche solo una scintilla della
determinazione che
lo stava animando in quel momento, sapeva che nulla lo avrebbe dissuaso
dal
fare ciò che si era prefissato.
Lesto,
aprì
la portella della macchina, richiudendola subito dopo per evitare che
qualcosa
danneggiasse il Senatore, e corse in direzione di quella calca informe,
sparendo dietro la coltre di fumo.
Con
fatica,
cercò di tenere gli occhi aperti e di individuare la figura
di Nami fra tutte
quelle persone.
Fortunatamente,
il colore acceso dei suoi capelli gli permise di metterci meno del
previsto.
- Nami!!!- la chiamò a gran
voce, con il
suo tono profondo e baritonale.
La
vedeva
mentre si guardava intorno spaesata, cercando qualcuno che conoscesse.
Aveva
ottenuto l’appoggio di tante persone, ma a parte i suoi tre
amici di sempre non
conosceva nemmeno i nomi degli altri.
-
Nami!!!- la chiamò
nuovamente, agitando
un braccio e correndo verso di lei.
- Zoro!- la sentì replicare,
mentre lo
raggiungeva e si aggrappava alla sua camicia.
-
Vieni, andiamo via!- le
passò un braccio
intorno alle spalle, conducendola fuori da quella baraonda.
Salirono
i
gradini della scalinata del Senato, fermandosi vicino ad una colonna
sullo
spiazzo esterno.
Tossivano,
liberandosi del fumo che avevano inalato.
La
vide
togliersi la maglietta, portandosela al volto per coprirsi le vie
respiratorie.
La
visione
di quel reggiseno nero ricamato in pizzo, che nascondeva la maggior
parte delle
sue generose forme, lo lasciò per qualche secondo con il
fiato sospeso.
Dio
solo
sapeva quanto volesse bearsi della sua pelle lattea, del suo corpo
perfetto,
dei suoi lunghi capelli ramati simili a lingue di fuoco.
Ma
non era
solo un’attrazione fisica quella che provava.
Lui
voleva
il suo cuore, quel cuore che Nami non voleva dare a nessuno.
Sembrava
che
per lei gli affetti non fossero altro che un inutile perdita di tempo.
Guardò
un’ultima volta quel corpo sottile ma abbondante nei punti
giusti, per poi
tornare a concentrarsi sulla guerrilla in corso.
Le
cinse la
vita con un braccio, per farle sentire che era lì con lei e
che non l’avrebbe
lasciata.
Era
al
sicuro con lui.
-
RUFY!!!- la sentì gridare.
Doveva
aver
individuato l’amico tra la folla.
Già…
Giusto
in
tempo per vederlo mentre un poliziotto lo agguantava alle spalle
trascinandolo
via.
-
RUFY!!! ATTENTO!!!- gridò
nuovamente,
slanciandosi in sua direzione, ma restando bloccata a causa del suo
braccio.
Osservava
quello che lei aveva sempre definito il suo migliore amico cercare di
divincolarsi dalla presa del poliziotto, con scarsi risultati.
Non
era il
genere di ragazzo portato per fare a botte.
Era
un tipo
tranquillo, a cui piaceva scherzare e gozzovigliare tutti il giorno.
Sentiva
i
nervi di Nami tendersi per la preoccupazione, mentre cercava di
allontanarsi da
lui.
Voleva
fare
qualcosa per aiutarlo, ma l’incolumità di lei era
più importante di tutto.
Sapeva
che
se l’avesse lasciata andare, sarebbe tornata là.
Era
una
ribelle, una che sembrava fregarsene di tutto, ma per le persone a cui
voleva
bene avrebbe fatto qualsiasi cosa.
La
persona
che considerava più come un fratello che come un amico
rischiava di essere
arrestata, e non aveva un padre dal nome illustre che lo avrebbe tirato
fuori
dai guai.
Ormai
la
conosceva meglio di se stesso, sapeva esattamente a cosa stava pensando.
Il
poliziotto
continuava a trascinare via Rufy, mentre quest’ultimo
riusciva di tanto in
tanto a divincolarsi dalla presa, per poi venire nuovamente
riacciuffato.
-
RUFY!!!- continuava Nami, sempre
più
preoccupata.
La
sentì
sgusciare via dalla sua presa, per correre a salvare il suo amico, ma i
suoi
riflessi pronti, frutto degli allenamenti di kendo che faceva da quando
era
bambino, gli permisero di recuperarla in fretta.
-
No, ferma, resta qui!-
cercò di
persuaderla.
-
RUFY, SCAPPA!!!- si sgolava, come se
non
lo avesse nemmeno sentito.
Inutile.
Non
aveva
più via di scampo.
Un
altro
poliziotto accorse in aiuto di quello che già lo aveva
braccato, mettendo fine
a qualsiasi tentativo di fuga.
Uno
lo
tirava per un braccio, l’altro per il braccio opposto,
trascinandolo via dalla
folla.
-
RUFYYYYYY!!!- urlò
un’ultima volta, con
un’espressione addolorata sul volto.
Doveva
sentirsi
in colpa, perché se Rufy sarebbe finito in galera sarebbe
stata esclusivamente
colpa sua.
Lei
lo aveva
trascinato in quella situazione.
Lei
gli
faceva fare tutto quello che voleva.
Non
lo
faceva con cattiveria, ma a volte non si rendeva conto che non metteva
a
rischio solo se stessa ma anche chi la appoggiava.
Non
sopportava
di vederla così, con gli occhi lucidi e la bocca distorta.
Così,
fece l’unica
cosa che poteva fare in quel momento: l’abbracciò.
La
strinse a
sé, scaldando il suo corpo diventato freddo per
l’assenza della maglietta e per
i nervi tesi.
Non
era il
momento più opportuno per pensare a quanto stava bene
tenendola fra le sue
braccia e beandosi della sua aroma fruttata, ma non poteva farne a meno.
Tuttavia,
mantenne la compostezza che da sempre lo caratterizzava, anche quando
sentì che
Nami aveva ricambiato l’abbraccio, aggrappandosi alla sua
camicia.
-
Tranquilla…- le
accarezzò la testa,
rafforzando la stretta.
Ma
tutto si
poteva essere, meno che tranquilli.
Forse
sarebbero
finiti tutti dietro le sbarre.
E
se
avessero scoperto che la mente di tutto era lei, avrebbe fatto la
stessa fine…
ANGOLO
DELL’AUTORE
Per
chi
stava aspettando Nami, ecco il suo ritorno! Ed è comparso
anche Zoro, che come
vedete nutre già dei sentimenti. Sarà ricambiato?
E Rufy finirà davvero in
prigione?
Restate
e lo
scoprirete!
Se
vi va di dare un'occhiata, è appena nato il mio nuovo
portfolio, grazie alla mente geniale di Rolochan. Potete trovare tutte
le mie storie, e sarà il luogo dove mi ritirerò
appena lascerò efp.
|
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Capitolo 5 *** 5 - Bugie ***
Dieci
minuti, forse mezzora.
Non
sapeva
nemmeno lei da quanto era chiusa nel suo camerino privato.
Già,
privato…proprio come le vere star.
Il
suo
angolo personale, con tutti comfort che poteva desiderare, dal divano
all’acqua
fresca, passando per i trucchi all’ultima moda.
Ma
era
davvero questo quello di cui aveva bisogno?
La
risposta
era semplice: no.
In
quel
momento non gliele poteva importare di meno del soffice divano di pelle
sul
quale era sdraiata, o di sistemarsi make up e capelli davanti
all’enorme
specchiera.
Voleva
solo
essere lasciata in pace, poter piangere in silenzio lontana dai
riflettori e da
tutto quello stuolo di persone che l’attendeva dietro la
porta supplicandola di
uscire.
L’ennesima
lacrima sfuggì dai suoi occhi color del cielo.
Perché
non
se ne andavano?
Perché
non
capivano che aveva bisogno di stare da sola?
Cosa
gli
costava trattarla per una volta come una ragazza della sua
età?
-
Boa?
Boa sono io, apri…-
La
voce di
suo fratello Drake.
Era
l’unico
di cui si fidava, l’unico con cui poteva lasciarsi andare e
vivere quei pochi
momenti di libertà e felicità che le erano
concessi.
Fin
da
piccoli erano cresciuti insieme, proprio come due normali fratelli:
avevano
condiviso tutto, e non c’era stata una sola volta in cui suo
fratello non le
fosse stato accanto.
La
seguiva
pazientemente durante gli spot pubblicitari, in sala di registrazione,
alle
interviste e in ogni dove.
Era
come una
specie di angelo custode per lei, il fratello maggiore su cui poteva
sempre
contare.
Ma
in quel
momento non aveva voglia di ascoltare nemmeno lui.
-
Sorellina coraggio, ti manca pochissimo per
finire quello spot e poi potrai riposarti e prenderti tutto il tempo
che vuoi…-
Non
voleva
fargli un torto, Drake era l’unico a mostrarsi sempre gentile
e comprensivo nei
suo confronti; tuttavia non aveva le forze per finire di rigirare
quello
stupido spot.
Per
la prima
volta nella sua vita la sua carriera non le importava.
Non
le
importava della fama, di essere acclamata, di avere tutti i riflettori
su di
sé.
Voleva
solo
la normalità.
-
Boa, per favore, apri la porta…-
Ancora
una
supplica.
E
di nuovo
non rispose.
Credeva
che
così facendo se ne sarebbero andati, ma il suo tentativo si
rivelò
completamente inutile.
-
Baby, tesoro, sono la mamma-
Ecco.
La
donna che
l’aveva costretta a quella vita.
La
donna
alla quale non aveva mai osato opporsi, perché aveva sempre
creduto che tutto
ciò che aveva fatto per lei fosse solo per il suo bene.
Le
aveva
dato tutto, soldi e popolarità.
Ma
non era
mai stata una madre.
Era
un
ottimo manager, il migliore che una star potesse desiderare.
Però
non era
un genitore.
Mai
una
coccola, mai una parola di conforto.
Tutto
quello
che usciva dalla sua bocca riguardava solo ed esclusivamente la sua
carriera.
-
Boa, tesoro, apri la porta e vieni a finire
lo spot!-
Come
volevasi dimostrare.
Non
le
importava nulla se stava male, le importava solo della
pubblicità che le
avrebbe fatto guadagnare un sacco di soldi!
Si
alzò dal
divano, dirigendosi lentamente verso il mobile a specchiera, senza mai
staccare
gli occhi dalla sua immagine riflessa.
Si
accasciò
sulla sedia, incrociando le braccia sul mobile invaso da trucchi,
spazzole e
materiale di scena.
In
quello
specchio non vedeva l’immagine di una giovane star
all’apice della sua
carriera.
Non
vedeva
una ragazza felice dei successi ottenuti dopo tanti sacrifici.
Vedeva
solo
una ragazza triste e sola.
-
Piccola, amore mio, esci…-
Sapeva
essere convincente a parole.
Ma
lei non
ci sarebbe cascata di nuovo.
Era
sempre
la stessa storia.
-
No, non voglio, lasciatemi in pace! Sono
stanca!- riuscì finalmente a rispondere fra le
lacrime.
-Baby lo so che sei stanca, ti capisco…-
Bugiarda.
Come
poteva
dire che la capiva?!
Non
l’aveva
mai capita, per il semplice fatto che non si era nemmeno mai sforzata
di farlo!
Non
doveva
starci lei dieci ore su un set a litigare con produttori ingrati, non
doveva
starci lei in quegli abiti striminziti, non doveva essere lei quella a
pagare a
caro prezzo il successo.
Ripercorse
con la mente tutta la sua vita, passata a desiderare cose normali
davanti allo
specchio di un camerino, proprio come in quel momento.
Dall’altra
parte dello specchio non c’era più una ragazza di
diciotto anni, ma una bambina
di poco più di sei anni, sorridente e felice.
Felice
di
essere tratta come un adulta, felice di poter avere a disposizione
tutti quei
trucchi da provare.
Si
provava
il lucidalabbra rosato, osservandosi soddisfatta.
Poi,
una
voce di donna la interrompeva, prendendola per un braccio e portandola
via.
“Andiamo Boa, lascia stare”
Le
lacrime
presero a scendere ancora più velocemente a quel ricordo.
Ed
ecco che
dall’altra parte dello specchio si materializzava la stessa
bambina di prima,
qualche anno più tardi.
Era
il suo
nono compleanno, e davanti a lei faceva capolino una meravigliosa torta
decorata.
Osservava
impazientemente la candelina, fissando la fiammella ondeggiare libera nell’aria.
Esprimeva
silenziosamente il suo desiderio,
per
poi spegnere la candelina soffiandoci sopra.
Ma
c’era
qualcos’altro che voleva.
E
proprio mentre
tendeva il piccolo dito verso la soffice panna della torta, desiderando
solo di
poterla assaggiare, di nuovo la voce di una donna la interrompeva.
“Non ci provare! È solo materiale di
scena!”
Anche
quell’immagine svanì, lasciando di nuovo spazio al
suo reale riflesso.
Come
poteva
dire che la capiva?!
Per
tutta la
vita non aveva fatto altro che privarla di qualunque cosa!
Era
una
bambina felice, fino a quando non aveva realizzato che non era mai
stata una
bambina.
Non
aveva
conosciuto il mondo, non aveva fatto le sue esperienze, non aveva mai
mangiato
una torta di compleanno per paura che i chili di troppo rovinassero la
sua
immagine di donna perfetta.
E
le andava
bene così, perché infondo anche lei voleva avere
una splendida carriera.
Non
in quel
modo, però.
Perché
non
poteva essere famosa ma al tempo stesso fare ciò che
facevano le persone
comuni?
Non
riusciva
a capirlo.
Non
ci era
mai riuscita.
Si
sentiva
come un uccellino in gabbia, che cantava per mascherare il dolore.
Il
vociferare fuori dalla porta la riportò nel mondo reale.
-
Baby, che ne dici, ti sentiresti meglio se
parlassi con Shanks?-
Sì,
certo.
Pensava
di
risolvere tutto con Shanks!
Non
ricordava nemmeno lei da quando avesse iniziato a fare sedute con lui,
ma
probabilmente da quando si era resa conto che lo sfavillante mondo in
cui era
entrata non era altro che un inferno senza via d’uscita.
Shanks
era
l’unico che riuscisse a capirla davvero, sapeva cosa stava
nascondendo anche
solo con una semplice occhiata.
Tuttavia,
lei non aveva mai aperto bocca nemmeno con lui, perchè la
paura che raccontasse
tutto alla madre era più forte anche della sua voglia di
libertà.
-
Domino, non possiamo aspettare in eterno! O
esce e finiamo lo spot o non se ne fa nulla!-
percepì la voce seccata del
regista, resa ovattata dalla porta chiusa.
Stava
mandando all’aria tutto per un capriccio…
Ma
quel
capriccio valeva la sua felicità.
-
Datemi solo un minuto, solo un
minuto…-
Di
nuovo la
voce di sua madre.
Probabilmente
era già decisa a chiamare il suo psicoterapeuta,
l’ultima possibilità che aveva
di farla uscire dal camerino e girare quel maledetto spot.
Se
lei non
voleva rinunciare alla sua libertà, di certo sua madre non
avrebbe rinunciato
al denaro che la sua carriera faceva quadruplicare nelle sue tasche.
Soldi,
fama,
successo…
Era
davvero
questo ciò che voleva?
In
quel
momento non riusciva a trovare una risposta.
Perché
a
volte, le risposte che abbiamo sotto il naso, sono quelle
più difficili da
vedere…
ANGOLO
AUTORE
Salve!
Non
mi sono scordata di questa fic, ma siccome questo capitolo era dedicato
a Boa
non potevo pubblicarla durante la Zonami Week. Non
c’è molto da dire, se
vorrete commentare e dare le vostre impressioni sarò felice
di rispondervi! Vi
annuncio già che la protagonista del prossimo capitolo
sarà di nuovo Tashigi!
(sento già i fucili delle zonamiste pronti a far fuoco al
solo suono di questo
nome!).
Spero che
questa storia vi stia piacendo, al momento può sembrare
noiosa perché sto
presentando bene i personaggi tramite scene di vita e riflessioni, ma
questo è
fondamentale per capire i loro comportamenti futuri. In più,
sto seguendo alla
lettera la trama originale, e ci vorrà ancora un
po’ prima di arrivare a vedere
le nostre tre protagoniste nel centro di recupero. Abbiate pazienza!
Baci
Place
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Capitolo 6 *** 6 - Sesso e infedeltà ***
Seduta
sotto
la veranda della sua lussuosa residenza, si godeva la frescura data
dall’ombra
che le piante creavano.
Sfogliava
una rivista di gossip, ma non le importava molto di quello che leggeva.
Non
era
interessata alla mondanità, perché la gente di
quel mondo ai suoi occhi era
volgare e priva di classe.
Attendeva
sul divanetto di vimini, imbottito da cuscini, che le amiche uscissero
dalla
stanza in cui erano andate ad ammirare i loro ultimi acquisti in quel
peccaminoso negozio.
Dopo
un
tempo interminabile, la porta si aprì, lasciando che Kalifa
e Violet uscissero
vestite in modo a dir poco vergognoso: la prima con un completino in
pelle che
lasciava poco all’immaginazione, completo di frustino per
giochi erotici; la
seconda con un succinto vestito da infermiera sexy.
-
Ciao Tashigi...!- la salutarono con
sensualità, mettendo in mostra la loro mercanzia - Che ne pensi?-
-
Davvero di classe, complimenti
ragazze…-
ironizzò, storcendo il naso e guardandole con aria di
sufficienza.
-
E tu sei noiosa!- replicò
Violet - Credi che a Law interessino le
ragazze di
classe?-
-
A proposito di Law- le interruppe
Kalifa
- Adesso che tua sorella non
c’è…- le
si avvicinò ammiccando, sedendosi di fianco a lei sul
divanetto e passandole un
braccio dietro alla schiena - Ѐ vero che
tu e lui non avete ancora…-
Abbassò
lo
sguardo, intuendo il riferimento dell’amica.
Non
che si
vergognasse di non aver ancora “consumato” il suo
rapporto con Law, solo che
non le andava di parlare così apertamente di certe cose.
Cosa
faceva
o non faceva con il suo fidanzato erano esclusivamente affari suoi.
Senza
contare che per lei il sesso era argomento taboo.
-
Che cosa aspettate?!- si aggiunse
alla
conversazione Violet, fingendosi scandalizzata.
-
Abbiamo deciso di aspettare fino al
matrimonio.
E poi Law non ha bisogno di quelle cose-
s’impettì, assumendo un’aria
seccata.
-
Credi davvero che non abbia bisogno di un
po’ di questo?- insistette
Violet,
imitando il movimento di fianchi tipico dell’atto sessuale.
Distolse
lo
sguardo, facendosi seria.
Possibile
che Law avesse quel genere di desideri?
Si
sentiva
un po’ stupida a chiederselo, perché in
realtà la risposta era più semplice di
quello che sembrava: Law era un uomo, e in quanto tale non esonerato da
certi
bisogni intimi.
Lei
stessa
aveva pensato diverse volte al fatto che potesse non sentirsi
soddisfatto, ma
aveva negato subito l’evidenza, convincendosi che anche Law,
come lei, volesse
aspettare.
Lo
amava, ma
non si sentiva pronta a mostrarsi in atteggiamenti carnali con lui.
La
buona educazione,
i valori e il pudore avevano la meglio sulla passione.
-
Tutti gli uomini ne hanno bisogno-
le
diede corda a Kalifa - E il tuo fidanzato
non fa eccezione-
Avevano
deciso di torturarla o cosa?!
Perché
volevano rovinare la sua perfetta storia d’amore riempiendole
la testa di
dubbi?!
-
Te lo immagini Law, davanti allo schermo del
suo computer, che guarda i video hard…-
-
Sì, mentre si tocca gustandosi
tutte quelle
belle donnine nude che fanno cose sconce…-
-
Oppure si eccita con le pubblicità
delle
creme solari, tutte quelle cosce e quei sederi sodi…-
-
Senza contare quelle
dell’intimo…-
Il
degenero
totale.
Continuavano
con questi discorsi da pervertite, accompagnando il tutto con mosse ed
espressioni degne di un film a luci rosse.
Già
i “vestiti”
che si erano messe non le facevano sembrare proprio due brave ragazze
serie, se
poi a questi si aggiungevano continue allusioni sessuali,
autopalpeggiamenti e
simulazioni di atti sessuali, la cosa diventava a dir poco vergognosa.
Era
incredibile come certa gente non avesse un minimo di pudore.
-
Perché non vieni con noi stasera,
Tashigi?-
-
Ti insegneremo come accendere il fuoco sacro
di Law…-
Le
stavano
davvero chiedendo di andare in un sudicio locale, luogo di perdizione,
e per di
più volevano che si atteggiasse a sgualdrina come stavano
facendo loro?!
Assurdo!
Ne
aveva
abbastanza di tutte quelle oscenità.
Ma
forse, la
verità era che i dubbi crescevano parola dopo parola,
facendola sentire come se
fosse stata lei quella sbagliata.
Doveva
andare via prima che il muro di convinzioni dietro il quale si era
rifugiata
per anni crollasse, lasciandola esposta a una realtà che
rifiutava di
affrontare.
-
La notte è fatta per dormire!-
sbottò,
gettando la rivista sul divanetto in vimini e avviandosi a grandi passi
verso
la sua stanza.
-
E il sesso è fatto per godersela!-
le
fecero eco le due, continuando con i loro discorsi perversi.
…………..
Fuori
dal
locale c’era parecchia gente, e ancora ne arrivava minuto
dopo minuto.
Non
c’era da
meravigliarsi: il “LIMITE” era il locale
più in voga al momento, frequentato
dalle più belle ragazze e dai più caldi
maschietti, spesso ricchi.
La
miglior
musica e i migliori drink si trovavano solo lì.
Soddisfatte
dei loro look sexy, Violet e Kalifa conversavano con una loro amica
vicino
all’entrata.
Sembravano
prese dai loro atteggiamenti provocatori, quando qualcosa
attirò la loro
attenzione.
-
Ehi…Ma quella non è la
macchina di Law?-
domandò Violet, indicando un’auto nera dalla linea
sportiva che aveva appena
parcheggiato davanti al locale.
Come
non
detto: dalla vettura scese niente meno che il presunto fidanzato della
loro
amica.
Modo
di fare
da spaccone, ghigno sempre in bella mostra e savoir faire che gli
permetteva di
farsi amico chiunque.
Era
innegabile che Law fosse un bel tipo, e attirava le ragazze come api
sul
nettare, anche grazie al cospicuo patrimonio di cui la sua famiglia era
in
possesso.
Questo,
però, non bastava ad ingannare due furbette come loro.
Sapevano
che
quella sera doveva essere alla cena dal Senatore Rayleigh, era per
questo che
aveva dato buca a Tashigi.
Guardandosi
intorno, quella sembrava tutto meno che la casa del Senatore.
Non
ci
misero molto a capire che le aveva raccontato una frottola bella e
buona.
-
Credi che dovremmo avvertire Tashigi?-
sussurrò Kalifa.
- Aspetta…- frugò
nella borsa Violet,
estraendone il cellulare.
Nel
frattempo Law si stava dando da fare, facendo il galletto con due
ragazze che
sembravano felici di ricevere le sue attenzioni.
Le
abbracciava, le baciava sulle guance, si faceva foto con loro
avvinghiate.
Tutte
cose
che un fidanzato e futuro sposo non avrebbe dovuto fare.
A
quanto
pare, Law non avrebbe vinto il titolo di “Mr.
Fedeltà”.
Continuava
indisturbato i suoi corteggiamenti, ignaro che il cellulare di Violet
stesse
riprendendo ogni minimo particolare.
Quando
il
concetto fu sufficientemente chiaro, la ragazza premette il tasto
più
pericoloso di tutti: INVIO.
………….
Stesa
sul
tappetino, con le ginocchia piegate e le braccia tese lungo il corpo,
inspirava
ed espirava profondamente, in quella seduta di yoga che si era concessa
per
rilassarsi dopo quello stressante pomeriggio.
Cercava
di
vuotare la mente dai dubbi che le amiche le avevano insidiato.
La
suoneria
del cellulare interruppe quel momento di pace, riecheggiando nella
stanza.
Si
alzò da
terra, andando a prendere il cellulare sul letto.
Restò
sorpresa quando sullo schermo comparve la notifica di un videomessaggio
da
parte di Violet.
Perché
si
filmava in un locale?
Sapeva
che
non gliene poteva importare di meno di quei luoghi pacchiani.
Curiosa,
aprì comunque il messaggio.
“Scusa Tashigi, ma dobbiamo farti vedere una
cosa”
L’immagine
di Kalifa e Violet davanti al locale apparve sullo schermo.
La
bassa
qualità del video non gli permise (per fortuna) di vedere
l’espressione sui
loro volti, che celava dietro un finto dispiacere una sorta di
diabolico
divertimento.
Poi,
l’immagine
scomparve, lasciando il posto a una sequenza che mostrava il suo
fidanzato in
atteggiamenti poco fedeli in compagnia di due aitanti ragazze.
Si
sentì
come se il mondo le fosse crollato addosso.
Il
cuore
voleva uscirle dal petto, le vene del collo le pulsavano.
Delusione,
amarezza, rabbia: non sapeva quale di questi sentimenti prevalesse
sugli altri.
Le
parole
delle amiche riguardo ai bisogni di Law le rimbombavano nella testa.
Aveva
negato
così tanto l’evidenza da distorcere la
realtà, e ora si sentiva stupida e
sbagliata.
In
un gesto
d’ira, gettò il cellulare sul letto, portandosi le
mani alla testa.
Era
sull’orlo
di una crisi di nervi.
-
Tashigi? Tesoro non vieni con noi stasera?-
sua madre fece capolino nella stanza, impedendole di dare di matto.
Era
vestita
elegantemente, e si stava allacciando un collier dall’aspetto
vistoso, segno
che stava per recarsi a qualche evento importante insieme a suo padre.
-
Dove…?- chiese
distrattamente, cercando
di apparire più naturale possibile.
-
Alla cena del Senatore Rayleigh, non te lo
ricordi più? Ah, cara, sempre la testa fra le nuvole a
pensare al tuo
fidanzato!- le fece una carezza sulla guancia.
Se
solo
avesse saputo che stava sì pensando al suo fidanzato, ma non
nel modo che
intendeva lei.
-
Ah, sì…la
cena…-
-
Allora vieni?-
- No…no, preferisco restare qui e fare
un
altro po’ di yoga- deglutì nervosamente.
La
cena del
Senatore Rayleigh…Non era lì che doveva andare
Law?
Ecco
perché non
voleva che andasse con lui…
“Ti annoieresti a morte”, le
aveva detto.
Balle.
Non
aveva
nessuna intenzione di andare a quella cena.
Divertirsi
in
un locale con delle sciacquette qualunque era una prospettiva
più allettante
che annoiarsi ad una cena di affari.
Che
stare
con lei.
-
Sicura? Ti faccio portare la cena in camera
dalla cameriera?-
-
No, non preoccuparti. Fra poco scendo io in
sala-
-
Va bene amore mio, allora ci vediamo domani-
l’abbracciò.
-
A domani mammina, divertiti- le
baciò
una guancia.
Non
se la
sentiva di farla preoccupare inutilmente.
Anche
i suoi
genitori, così come lei, tenevano a quel fidanzamento.
Law
era un
ragazzo di buona famiglia, ben educato e di un certo livello: il
ragazzo
perfetto per lei.
O
almeno
questo è quello che aveva sempre fatto credere a tutti.
Fino
a quel
momento si era convinta piacesse ad entrambi la vita amorosa che
conducevano,
fatta di baci e abbracci, senza spingersi oltre.
Ma
era
evidente che Law mentiva.
Le
mentiva a
tal punto da cercare il contatto fisico con ragazze che forse nemmeno
conosceva.
Perché,
se
ne sentiva il bisogno, non le aveva mai detto nulla?
Perché
non
provare con lei, che era la sua fidanzata, quelle esperienze?
Si
sentì
improvvisamente intrappolata in quel pudore che da sempre aveva
ritenuto
giusto.
Forse,
se si
fosse nascosta meno sotto camicie e gonne lunghe, i desideri del suo
uomo si
sarebbero accesi.
Aveva
vissuto
in una favola, ma ora che il libro era finito la realtà non
le piaceva.
Sentiva
il
cuore bruciarle nel petto al pensiero delle immagini appena viste.
Eppure,
spinta da una forza più grande di lei, recuperò
il cellulare e fece partire nuovamente
il video.
A
volte
abbiamo bisogno di farci volontariamente male per accettare qualcosa
che non
riusciamo a concepire.
Chiuse
gli
occhi, per poi riaprirli e guardare il poster a forma di cuore che lei
stessa
aveva realizzato con le loro foto.
Sorridevano
in
tutte.
Ora
sapeva
che i sorrisi di Law erano solo apparenti.
Delusa
da
tutto, rimase a fissare il suo passato, stringendo spasmodicamente il
cellulare
fra le mani, mentre i pensieri le si accavallavano nella testa,
vorticando su
se stessi.
ANGOLO
AUTORE
Mi
spiace
aver tardato tanto l’uscita di questo capitolo ma oltre al
tempo che manca
stavolta sono giustificata dal fatto che non sono stata per niente bene
in
questi giorni, e ancora adesso non sto benissimo. So che potrebbe
sembrare una
scusa banale ma credetemi che dover stare concentrati quando uno ha dei
crampi
di pancia ogni mezz’ora non è facile.
Oltre a
questo vi dico che ho iniziato a scrivere anche su un altro fandom
(Nana per
chi se lo stesse chiedendo), perciò adesso gli aggiornamenti
saranno tardi
anche perché devo portare avanti pure quello.
Detto questo,
spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Ho deciso di farlo
più lungo
per accorciare i tempi e fare entrare le ragazze in questo benedetto
centro
rieducativo, in modo da dare inizio alla storia vera e propria.
Già dai
prossimi capitoli comunque avrete i primi colpi di scena!
Spero anche
che tutte quelle che odiano Tashigi l’abbiano rivalutata,
perché sta povera
ragazza viene cornificata dal fidanzato!
Basta che mi
dilungo!
Grazie a
tutti quelli che stanno seguendo questa storia, a quelli che
recensiscono, a
quelli che hanno messo la storia nelle ricordate e in particolar modo
alle 12
persone che dopo solo 5 capitoli l’hanno già messa
nelle preferite!
Un bacione
Place
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Capitolo 7 *** 7 - Hippie Borghese ***
Quando
la
baraonda si era attenuata e il fumo che invadeva la piazza era
evaporato
nell’aria, i ragazzi si erano ritrovati tutti appiattiti
contro il muro che
costeggiava la piazza stessa, separandola dalla strada, con le spalle
rivolte
all’esterno e le braccia alzate.
I
poliziotti
li stavano perquisendo uno dopo l’altro, cercando ulteriori
fumogeni o oggetti
pericolosi nascosti.
Alla
fine,
quella rivolta non era andata esattamente secondo i piani prestabiliti.
Si
trovava
anche lei rasente al muro, ancora senza maglietta.
Zoro
era al
suo fianco, ed entrambi venivano perquisiti da due agenti.
Lui
stesso
era stato coinvolto, nonostante il vestiario indicasse che non era
lì per
partecipare alla protesta.
Alla
polizia, però, non era importato: il fatto che fosse stato
trovato in sua
compagnia mentre tentavano di raggiungere Rufy e gli altri, bastava per
fare di
lui uno dei tanti colpevoli.
Si
scrollò
un po’, quando sentì la mano di un agente
infilarsi nella tasca posteriore dei
suoi jeans neri attillati.
Odiava
essere
toccato, anche se quello non poteva ritenersi un vero e proprio
palpeggiamento.
Doveva
essere scocciato almeno quanto lei.
Si
era
buttato nella mischia per proteggerla, come faceva sempre, e ora ne
doveva
pagare le conseguenze.
Zoro
era
l’unico che la capiva davvero e che si preoccupava per lei.
Ma
come non
mostrava troppo affetto al resto del mondo, anche con lui si manteneva
fredda a
distaccata.
-
Di sicuro ho messo a rischio il tuo lavoro,
vero?- gli sorrise furbetta.
Era
divertita da quella situazione, a differenza degli altri.
In
tutta
risposta, Zoro mantenne la sua espressione seria e impassibile,
voltando la
testa dal lato opposto alla ricerca di qualcuno.
-
Agente?- lo sentì
chiamare, mentre un
poliziotto si avvicinava a lui - Sono
l’assistente del Senatore Rayleigh e lei è sua
figlia- la indicò con un
cenno.
-
Sì, e io sono il marito di Hiroshi
Kitadani!-
rispose il poliziotto, atteggiandosi a superiore.
Era
evidente
che non aveva creduto a una sola parola.
Rise,
divertita da quella situazione, mentre alcuni ragazzi fecero dei versi
di
approvazione alle parole del poliziotto.
-
Uuuuh!-
- Carino!-
L’unico
che
era rimasto serio e impassibile era Zoro.
Non
rideva
mai, nemmeno quando si scherzava in situazioni normali, pretendere che
lo
facesse in simili circostanze era pretendere troppo.
Rischiava
di
finire anche lui in prigione, nonché di perdere il lavoro di
assistente di suo
padre che si era guadagnato con fatica.
In
mezzo a
quel gruppo di ragazzi era di certo quello che stava rischiando di
più.
Gli
era
grata per questo, ma dimostrarlo significava abbassare la guardia.
Non
poteva
permetterselo.
-
Dai Zoro, basta con gli atti di eroismo, per
oggi hai fatto abbastanza-
Bastava
dire
quelle parole con un tono un po’ più dolce per far
capire che apprezzava il suo
gesto, invece preferì restare fredda a distaccata, facendole
sembrare una
dimostrazione di disprezzo per tutto ciò che aveva fatto per
lei.
Intenti
a
dialogare, e per di più con la faccia rivolta al muro,
nessuno dei due si
accorse che il Senatore era sceso dalla macchina, e ora si trovava
vicino ad un
gruppo di agenti.
L’espressione
sul suo volto era seria e preoccupata.
Si
era
portato due dita a sorreggere il mento barbuto, nella posa tipica di
chi sta
pensando a una soluzione immediata.
-
Nami…Devo fare
pipì…- sì lamentò
Rufy
all’improvviso.
Tipico
di
lui uscirsene con frasi in certi momenti.
Sia
lei che
Zoro si voltarono a guardarlo.
-
Vuoi che chieda a mio padre le chiavi per il
Congresso, così puoi entrare?- si offrì.
-
No…preferisco di no…-
rispose scettico,
capendo quanto non fosse il caso di chiedere favori all’uomo
contro il quale
avevano appena protestato.
Nel
mentre,
due agenti alle loro spalle parlottavano sottovoce, rendendo difficile
comprendere cosa si stessero dicendo.
Poi
uno di
loro, lo stesso che prima aveva risposto in modo ironico a Zoro, si
avvicinò
posando una mano sulla spalla di quest’ultimo.
-
Scusi, volevo solo riferirle che prima stavo
facendo il mio lavoro. Non sapevo che fosse la figlia del Senatore-
-
No, tranquillo- accettò
le sue scuse,
staccandosi finalmente da quel muro, ormai prosciolto da ogni accusa.
Non
gli ci
volle molto per comprendere che dietro a quel cambio di atteggiamento
ci doveva
essere lo zampino del Senatore Rayleigh.
Peccato
che
anche lei lo capì, e la cosa non le fece affatto piacere.
-
Che leccaculo!!!- sbottò
in faccia
all’agente - Non sono la figlia del
Senatore!-
Lo
avrebbe
negato fino alla morte piuttosto che accettare di farsi aiutare
dall’uomo
contro il quale combatteva da anni.
Non
aveva
bisogno di essere salvata, era pronta ad accettare le conseguenze del
suo
gesto.
Una
ribellione va portata fino in fondo perché possa ritenersi
tale.
-
Nami…che tu ci creda o no, tuo
padre si
preoccupa per te-
Zoro…
Cercava
sempre di ricucire quel rapporto che in realtà non
c’era mai stato.
Sapeva
che
non lo faceva con l’interesse di progredire nella sua
carriera, ma solo per il
suo bene.
Non
si
rendeva conto che lei quel “padre” non lo voleva.
-
No, lui si preoccupa solo della sua carriera
politica, Zoro!- lo fissò seria.
-
Allora fallo per me. Non puoi salire su
quella camionetta della polizia, non farlo! Resta qui!-
Quel
ragazzo
aveva il potere di farla vacillare con un solo sguardo.
A
differenza
sua, lui sapeva essere esplicito e far trasparire i suoi sentimenti
attraverso
quegli occhi neri.
In
quel
momento poteva leggervi tutta la sua preoccupazione per lei.
Se
lo avesse
guardato ancora un po’ avrebbe finito per cedere alle sue
suppliche.
E
Zoro non
era il tipo che supplicava facilmente.
Scosse
la
testa, riprendendo il controllo.
-
Dai, andiamo!- incitò gli
altri a salire
sulla camionetta, avviandosi lei stessa in quella direzione.
Non
voleva
di certo tirarsi indietro dopo tutto quello che aveva fatto.
Ammettere
di
essere la figlia del Senatore Rayleigh significava essere trattata con
un
occhio di riguardo, scagionata dalle sue colpe solo per il cognome che
portava.
Pura
ipocrisia.
Se
lottava
per cambiare le cose, doveva rinunciare a tutti i privilegi.
Lei
era come
tutti gli altri.
Li
aveva
coinvolti in quella rivolta e non sarebbe stato giusto abbandonarli per
salvarsi il culo.
-
Nami pensaci, non puoi salire!-
insisteva Zoro, parandosi davanti a lei.
“Scusami, devo farlo”
pensò mentre gli
passava accanto senza degnarlo di attenzioni.
-
Nami, sai quale genere di multa dovremo
pagare per questo?- la affiancò Rufy, visibilmente
scocciato.
-
Quand’è stata
l’ultima volta che la figlia
di un politico ha pagato una multa?- gli diede man forte
Usopp.
Si
vedeva
che erano scocciati all’idea di finire dietro le sbarre.
Loro
erano
comuni ragazzi di famiglie povere, non avevano un padre che poteva
metterci una
buona parola per tirarli fuori dai guai.
Forse
speravano che lei accettasse l’aiuto del Senatore e che
tirasse fuori anche
loro da quel casino, e il fatto che avesse rifiutato aveva ucciso le
loro
aspettative.
Perché
non
capivano che anche lei voleva essere trattata come una persona
qualunque?
Perché
credevano che sarebbe uscita incolume da quella storia solo
perché il suo
cognome era Rayleigh?
Quanto
odiava essere nata con il fardello di provenire da una famiglia
illustre!
-
Ehi! Pagherò le mie multe e
andrò in
prigione con voi!- si alterò.
-
Ah sì?- le fece il verso
Usopp - Le tue scarpe di importazione non
sfioreranno nemmeno il suolo della prigione!-
Non
ebbe il
tempo di replicare, perché gli agenti della polizia li
spingevano dentro la
camionetta uno dopo l’altro, come criminali della peggior
specie.
Fu
una delle
ultime a salire, il che le permise di sedersi vicinissima alla portella
che di
lì a poco si sarebbe chiusa, non appena la camionetta
sarebbe partita.
Un
posto
perfetto per ammirare suo padre, che teneva gli occhi chiusi scuotendo
la
testa.
Il
suo volto
era contratto in una smorfia di preoccupazione e dolore.
Restò
a
fissarlo fino a quando le porte del veicolo non si chiusero,
chiedendosi se
quell’uomo fosse davvero in grado di provare sentimenti come
il dolore o la
preoccupazione verso qualcosa che non fossero se stesso e la politica.
Ma
probabilmente quella era tutta scena.
……………
Viaggiavano
ormai da un po’ verso la caserma di polizia, quando il suo
cellulare prese a
squillare nella tasca dei pantaloni.
Lo
estrasse,
leggendone ad alta voce il contenuto.
-
Grazie alla protesta la sessione è
stata
cancellata. La legge Rayleigh non sarà approvata-
-
Sìììììììììì!!!
Wowwwwwww!!!- scoppiarono
in fragorose esultazioni tutti i ragazzi presenti.
Aveva
lottato fino all’ultimo, pagandone le conseguenze a caro
prezzo, ma ne era
valsa la pena.
-
Ce l’abbiamo fatta!!! Adesso nessuno
ci dirà
dove o come protestare!- aggiunse, sorridente e soddisfatta.
-
Sìììììììììì!!!-
esultarono nuovamente
gli altri.
-
Ma la cosa più importante
è che tuo padre si
è accorto che esisti, giusto?- se ne
uscì Sanji, parlando con la sua solita
calma.
Teneva
la
testa appoggiata contro la parete della camionetta e lo sguardo puntato
sul
soffitto.
Era
di certo
il più calmo e giudizioso fra i tre amici, e anche se non lo
dava a vedere
apertamente era preoccupato per quella situazione almeno quanto gli
altri.
-
Non è un po’ presto per
una sessione di
terapia?- replicò, facendo la sostenuta.
-
Scommettiamo che ne uscirai indenne anche
stavolta, ragazza dei quartieri alti?- si aggiunse Usopp.
-
Sono sicuro che non pagherai nemmeno una
multa per aver creato disagi al traffico con la tua decappottabile!-
concluse Rufy, l’unico che non aveva ancora detto la sua.
-
Ѐ facile così, Nami…-
riprese Sanji.
Ok,
voleva
bene a quei ragazzi come se fossero suoi fratelli, ma in quel momento
le
stavano dando sui nervi con quelle insinuazioni.
Credeva
che
almeno loro non l’avrebbero mai giudicata una figlia di
papà.
Le
faceva male
che pensassero tutte quelle cose cattive su di lei.
-
Adesso siete tutti contro di me o cosa?!-
-
No, ma se continui ad accettare i regali di
tuo padre, come quella decappottabile nuova…sari sempre una
ragazzaccia viziata-
le disse Sanji, guardandola negli occhi.
-
No no no. Ancora peggio. Una “hippie
borghese”- proclamò serio Usopp, anche
se l’ironia di quella frase si
poteva cogliere lontano un miglio.
I tre ragazzi ridacchiarono
a
quell’appellativo.
Ma
per lei
non c’era assolutamente niente di divertente
nell’essere derisa dalle uniche
persone che credeva le volessero bene in modo disinteressato.
-
Ѐ questo quello che pensate realmente di
me?!- chiese seria, guardandoli uno ad uno stringendo le
labbra.
Smisero
di
ridere quando si accorsero della sua espressione.
Probabilmente
si erano resi conto di averla ferita.
-
Ѐ la prima volta che non hai
l’ultima parola-
la osservò Rufy, stringendo le spalle.
-
Sei più carina quando resti in
silenzio-
mise fine a quella spiacevole conversazione Sanji, portandosi le mani
dietro la
nuca.
Rimasero
così, in silenzio, con la testa bassa.
L’atmosfera
si era fatta pesante.
Di
certo non
si erano scambiati parole carine e amichevoli.
Poteva
comprendere che fossero nervosi perché stavano per finire in
prigione, ma certe
insinuazioni potevano risparmiarsele.
Quello
che
le dava realmente fastidio, però, non erano tanto i
nomignoli con cui l’avevano
appellata o le parole che erano uscite dalle loro bocche.
Era
che
tutto ciò che le avevano detto corrispondeva a
verità.
……….
Scortata
da
un agente come voleva la prassi, varcò il cancello della
prigione, mantenendo
un’andatura eretta e uno sguardo fiero.
Uno
sguardo
che divenne sprezzante, quando vide la limousine nera del padre ferma
ad
attenderla.
L’autista,
con tanto di divisa, le aprì la portiera, ricevendo in
cambio solo uno sguardo
truce.
Non
che
quell’uomo in particolare non le piacesse, ma il fatto di
essere servita e
riverita anche in gesti stupidi ed elementari come quelli, la trovava
una cosa
ai limiti dell’umiliante.
Anche
lei
aveva due mani per aprirsela da sola una portiera.
Salì
velocemente sulla vettura, voltandosi alla sua sinistra per guardare la
persona
seduta accanto a lei.
Suo
padre la
osservava serio scuotendo la testa, mentre la rabbia e
l’età che avanzava
disegnavano sulla sua fronte rughe evidenti.
-
Per quanto? Per quanto ancora dovrò
tirarti
fuori dai guai?-
Il
suo tono
era calmo, ma il nervoso era mal celato dal tremare che disturbava il
suo
timbro profondo.
-
Non lo so!- spalancò le
braccia in modo
isterico, voltandosi dalla parte opposta.
-
Per quanto?! Quando crescerai, Nami?! Sai
che genere di responsabilità ho? Conosci la mia posizione?
Sai chi sono? Sembra
che te lo dimentichi a volte! Non posso venire a salvarti ogni volta
che
combini un casino!-
Guardava
fuori dal finestrino, anche se non stava ammirando per niente il
panorama.
Tutte
quelle
luci che le scorrevano davanti agli occhi non facevano altro che
confonderla
ancora di più.
In
realtà
non stava nemmeno prestando troppa attenzione alle parole di suo padre.
Ormai
conosceva quelle frasi a menadito.
Sapeva
di
venire dopo tutto, dopo la reputazione, la carriera politica e tutto
quello che
ci stava intorno.
Non
era
piacevole sentirsi dire dall’uomo che ti ha messo al mondo
che ti veniva a
salvare solo per il proprio interesse e non per amore di padre.
-
Ho molte responsabilità e molte
cose da fare
per perdere tempo dietro a te!- continuava la sua predica.
Strinse
una
mano a pugno, portandosela sotto il mento.
La
rabbia
che si leggeva fino a poco prima nei suoi occhi aveva lasciato spazio a
un velo
di tristezza.
Quale
padre
direbbe alla propria figlia di non avere tempo per lei?
In
diciotto
anni non aveva mai ricevuto una sola dimostrazione di affetto da parte
sua.
Era
come se
la considerasse un pezzo dell’arredamento, pari ai vasi
antichi della sua
lussuosa villa.
-
Devo ricordatelo?- concluse
quell’insopportabile monologo.
Alzò
gli
occhi al cielo, ormai al limite della sopportazione.
Certo
che
no!
Non
c’era
bisogno che le ricordasse quanto se ne fregava di lei.
Il
silenzio
calò all’interno di quell’automobile,
che avanzava silenziosa per le strade
notturne di Tokyo.
……….
Appena
arrivata a casa ne aveva approfittato per farsi un bagno caldo e
cambiarsi i
vestiti.
La
fame,
però, iniziava a farsi sentire.
Scese
in
cucina, dove trovò il Senatore intento a versarsi un
bicchiere di acqua
ghiacciata.
Forse
era
arrivato il momento di ribattere al suo discorso di rimprovero.
Se
credeva
di chiudere la partita in quel modo si sbagliava di grosso.
-
Eri così imbarazzato che fossi in
prigione
che mi hai tirato fuori così in fretta, papà?!-
sottolineò quell’ultima parola.
-
Tsk! Ti avrei lasciata volentieri
là tutta
la notte!- rispose, portandosi il bicchiere alle labbra.
-
Davvero? E cosa ti ha fermato?-
continuò
a stuzzicarlo, aprendo il frigorifero alla ricerca di qualcosa da
mettere sotto
i denti.
-
La paternità, Nami-
Era
assurda
la serietà con la quale aveva pronunciato quella frase!
Paternità...
Non
sapeva
nemmeno cosa significasse.
Tuttavia,
la
cosa non la stupì.
Le
parole
che escono dalle bocche degli uomini di politica sono vuote, e lei
questo lo
sapeva bene.
-
Mmmh…- annuì
con finto interesse - Sembra che ti sia
scordato qualcosa-
-
Non dirlo, sai che non è vero-
rispose
serio, capendo la sua velata allusione.
Non
gli
aveva mai mandato a dire che non era stato proprio un padre modello.
-
Ne vuoi?- gli sventolò
sotto il naso una
fetta di prosciutto cotto.
-
No grazie. Voglio che tu stia al mio fianco.
Lancerò la mia campagna per il governo stanotte e ho bisogno
che tu stia con
me, ok?-
Che
faccia
tosta!
Aveva
anche
il coraggio di chiederle di stare al suo fianco?!
Storse
le
labbra, con fare da presa in giro.
-
Anche io ho avuto bisogno che tu stessi con
me diverse volte. Ma indovina? Non c’eri! Sparito!
“Dov’è papà?”
“Non lo so”,
“Dove è andato?” “Ѐ andato
via”. Sparito!!!- sbottò, gesticolando
arrabbiata.
Il
Senatore
annuì, alzando gli occhi al cielo.
-
Avevo dimenticato con chi stavo parlando. Se
facessi incarcerare un serial killer, tu saresti capace di chiedere che
venga
liberato. Ho bisogno che tu ti dia una regolata, perché
quando sarò
Governatore, indovina chi sarà la prima donna? Tu!-
si aggiustò la giacca -
Perciò torna in fretta sulla Terra!-
Lo
guardò
con aria di sufficienza, sorridendogli ironica.
-
Lasci che le ricordi, Senatore, che la prima
donna è morta!-
Pronunciò
quelle parole con freddezza, senza mai smettere di sorridere.
Quello
che
si fece ancora più serio fu invece suo padre.
-
Non parlare di tua madre in quel modo!-
le puntò il dito contro.
-
Perché?- chiese, quasi
sfidandolo,
guardandolo dritto negli occhi.
-
Perché sì!-
-
Perché sì!-
ripeté, sbattendo il piatto
che si era appena preparata per cena sul ripiano della cucina - Il Senatore ha parlato! È
così che
convincerai la gente a votare per te?- sorrise beffarda, ma
il suo tono
duro lasciava trasparire tutta la rabbia che stava provando in quel
momento - Sembra che tu sia nei guai,
Senatore-
Infervorata
dal risentimento e dal ricordo della madre che ancora bruciava,
iniziò a girare
intorno al padre, agitando le braccia e facendo sporgere il petto in
segno di
provocazione.
-
VOTATE PERCHЀ SÍ!!! VOTATE PERCHЀ
NO!!!
VOTATE PER IL SENATORE!!!- sbraitò, uscendo poi a
passo veloce dalla
stanza.
………….
La
fiamma
dell’accendino traballava a pochi centimetri dai boxer di
Rufy, che si teneva
le gambe sollevate con le braccia.
Osservava
attentamente i movimenti, preoccupato di bruciarsi.
Al
suo
fianco, Sanji ridacchiava divertito, e dall’altra parte Usopp
gli reggeva
l’accendino.
-
Non lo faccio nudo, perché una
volta mi sono
bruciato tutti i peli del sedere!- esclamò
preoccupato Rufy, suscitando le
risa degli altri due.
Furono
interrotti da un insistente bussare alla porta.
Lesti,
nascosero l’accendino e si sedettero composti sul letto,
mentre la cava
dell’esperimento si rimetteva i pantaloni.
-
Cosa c’è? Chi
è?-
Toc
toc toc
-
Arrivo, sono nudo!-
esclamò,
avvicinandosi alla porta.
-
Come se non avessi mai visto un pisellino
prima d’ora! O sei solo imbarazzato per la taglia del tuo?-
si udì la voce
di Nami dall’altra parte della porta.
-
Non riusciresti a gestirlo, dolcezza!-
replicò ironico, aprendo ed invitandola ad entrare, mentre
Sanji e Usopp se la
ridevano di gusto.
Appena
entrata, storse il naso disgustata, agitandosi una mano sotto il naso.
-
Che schifo Rufy!!!-
-
Scusa, dev’essere stato il cane-
si
giustificò.
-
Tu non hai un cane Rufy!!!-
- Ѐ stato il cane di Usopp- fece
dell’ironia Sanji, suscitando le risate di tutti.
-
State guardando dei porno, ragazzi?-
li
guardò furbetta, ammiccando.
-
No, stavamo cercando di far incendiare una
scorreggia- confessò Rufy alla fine, rendendosi
conto che la storia del
cane non stava in piedi.
-
Non voglio saperlo- scosse la testa
la
rossa, storcendo la bocca disgustata, mentre i tre se la ridevano
divertiti - Cambiando discorso…Che
fate stasera?-
Doveva
aver
assunto la sua espressione da furbetta che ne sta pensando una delle
sue,
perché vide i volti dei suoi amici farsi seri.
La
conoscevano bene, ogni minimo sguardo o contrazione del viso lanciavano
un
messaggio preciso che veniva colto all’istante.
Sapevano
anche quand’era il momento di avere paura, e quello era uno
di quei momenti.
-
Niente- scosse la testa Usopp.
-
No Nami, non oggi. Se gli scagnozzi di tuo
padre ci prendono di nuovo ci scambieranno dei terroristi e vorremmo
evitare-
chiarì il motivo del rifiuto Sanji.
In
fondo li
comprendeva, l’idea di tornare in prigione per qualche
bravata non li
entusiasmava dopo l’esperienza appena trascorsa.
Ma
lei aveva
tutta l’intenzione di coinvolgerli nel suo piano,
perciò non avrebbe mollato la
presa fino a quando non avrebbe ottenuto quello che voleva.
Sapeva
di
poterli raggiare senza troppa fatica.
-
Rufy…- lo
chiamò, facendogli gli occhi
languidi.
Di
certo,
fra tutti e tre, Rufy era quello con la minor forza di
volontà, e per tanto il
più facile da convincere se si trovavano gli argomenti
giusti.
Era
anche
quello con cui aveva il legame più forte, ed entrambi
c’erano sempre l’uno per
l’altra.
Persino
i
battibecchi più aspri, come quello avuto poche ore prima
nella camionetta della
polizia, venivano dimenticati senza rancore.
Nonostante
non fossero proprio un esempio da seguire, su di loro si poteva contare
in
qualsiasi momento.
Erano
loro
la sua vera famiglia.
-
Non vorresti guidare la mia decappottabile?-
sganciò la bomba.
-
Non manipolarlo!- intervenne Usopp,
che
doveva aver compreso il gioco.
-
Cosa?!- chiese Rufy incredulo a
quell’offerta.
-
Rufy, ti sta manipolando!- si
aggregò
Sanji, alzandosi dal letto e andando verso di loro per dissuadere
l’amico.
Le
venne da
ridere per quella preoccupazione così elevata da parte degli
altri due.
Perché
non
divertirsi a torturarli ancora di più?
Avrebbe
movimentato la serata in attesa del “gran
finale”…
-
Sedili in pelle…-
iniziò ad illustrare
sensualmente tutti comfort della sua automobile, godendo della visione
di Rufy
che sorrideva come un ebete immaginandosi alla guida di quel gioiellino
- Il vento fra i capelli…-
-
Opponi resistenza Rufy!!!- lo
scuoteva
per le spalle Usopp, nel tentativo di risvegliarlo da quello stato di
tranche
nel quale sembrava essere caduto.
-
E musica- concluse - A
dire il vero ho una playlist favolosa che
ho fatto apposta per te!-
-
Non è vero!-
esclamò Sanji.
Ma
ormai non
c’era più nulla che lui e Usopp potessero fare.
Rufy
era
caduto nella sua trappola come un bambino al quale si promette un
costoso
giocattolo.
Lo
vide sorridere
a trentadue denti, con gli occhi che brillavano.
-
Sono un bambino molto cattivo…Dammi
subito
le chiavi!- allungò la mano con il palmo aperto.
-
Rufy…-
borbottò Usopp, mentre Sanji si
metteva le mani nei capelli.
-
Andiamo, non fate così! Ci
sarà anche un
sacco di alcol!-
Usopp
e
Sanji erano più difficili da convincere, ma non impossibili.
E
lei sapeva
esattamente quali carte giocare.
Come
previsto,
infatti, alla parola “alcol” gli occhi di Usopp si
illuminarono come due
semafori verdi.
-
Come posso dire ragazzi…-
ci pensò su
qualche secondo, alla ricerca delle parole adatte - Sarà
una notte esplosiva!-
ammiccò.
-
Uuuh- le
fece il verso Sanji, ancora in disapprovazione.
Anche
gli
altri erano preoccupati, nonostante avessero ceduto alle provocazioni.
Quel
sorrisetto
diabolico che aveva sulla faccia non prometteva nulla di buono.
Se
ne
sarebbero accorti solo di lì a un’ora di quanto i
loro sospetti fossero
fondati.
Il
piano
aveva avuto inizio.
ANGOLO DELL’AUTORE
Non
sono
morta, sono solo piena di cose da fare che si accavallano e
impossessata dal
demone “poca voglia di scrivere”. Sono riuscita a
finire questo chilometrico
capitolo per miracolo!
Dunque…vi è
piaciuto? State iniziando a capire un po’ la psicologia dei
vari personaggi e
quello che ci sta intorno? In questo capitolo emergono molte cose su
Nami, e
apprendiamo anche che la madre è morta. Nel corso della
storia verrà anche
detto come, per ora non vi anticipo nulla.
Se volete
farmi sapere le vostre impressioni sui personaggi sono sempre bene
accette!
Anche qui,
come nel precedente capitolo di Tashigi, ci stiamo avvicinando
all’evento che
porterà Nami a essere condannata al centro di rieducazione.
L’aggettivo esplosiva
che ho messo in evidenza è un indizio!
Vi lascio
con una nota: all’inizio, quando il poliziotto dice di essere
il marito di Hiroshi Kitadani, per
chi non lo sapesse
è un cantante giapponese che si occupa per lo più
delle sigle dei cartoni
animati. È un po’ un Giorgio Vanni in versione
giappo per intenderci! Ha fatto
la sigla di One Piece “We Are”.
Spero che il
capitolo sia di vostro gradimento, ci sentiamo al prossimo!
Baci
Place
|
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Capitolo 8 *** 8 - Sull'orlo del collasso ***
Appoggiata
con
gli avambracci sul davanzale della finestra del suo camerino, il mento
posto su
di essi a sorreggere la testa stanca, osservava la folla di fan che si
era
radunata sotto lo studio di riprese, ovviamente consapevoli del fatto
che vi
fosse lei.
La
acclamavano
a gran voce, protendendo le braccia verso la sua figura, nel desiderio
di
toccarla.
Era
questo
che si provava ad essere delle semplici persone sconosciute?
Davvero
ai
loro occhi la gente come lei appariva irraggiungibile alla stregua di
divinità
supreme?
La
devozione
e “l’amore” che le dimostravano avrebbero
dovuto farla sentire orgogliosa e
benvoluta.
Ma
quello
non era vero amore…
Come
potevano
amare qualcuno che avevano visto solo sulle copertine delle riviste di
gossip e
musica?
La
verità è
che loro amavano l’idea che si erano fatti di lei.
Amavano
Boa
la pop star e non Boa la ragazza che desiderava una vita normale.
È
difficile
vedere oltre quando si è accecati dalla bellezza che il
mondo dello spettacolo
riflette negli occhi della gente, e lei ne era l’esempio
lampante.
-
Facciamo terapia da tre anni ormai, e mi
è
rimasta solo una domanda da farti. C’è qualcuno
che ti ama, Boa?-
Non
sapeva
se odiare o essere grata al suo psicanalista, a volte aveva come
l’impressione
che nel tentativo di salvarla non facesse altro che spingerla ancora
più a
fondo nel baratro nel quale stava precipitando.
Lui
la
metteva davanti alla cruda verità che tanto cercava di
evitare.
In
fondo era
proprio questo il suo lavoro: scavare nella psiche umana, estrarre
quello che
la gente nascondeva di proposito per non doverlo affrontare.
Quella
domanda
era la più difficile di tutte, perché la risposta
era orribile.
Nessuno
la
amava davvero.
Sua
madre
amava i soldi che le permetteva di fare, i suoi fan amavano
l’immagine che dava
di se stessa.
E
Boa?
Chi
amava
Boa?
Nessuno.
Gli
occhiali
scuri che indossava in quel momento impedirono al mondo di vedere le
lacrime
che iniziavano a scendere silenziose.
Eppure,
in
quelle lacrime si nascondeva un grido assordante.
-
C’è qualcuno che ti ama?-
insistette
Shanks.
Di
nuovo
nessuna risposta.
Erano
parole
troppo pesanti per la sua bocca.
-
Levati gli occhiali e guardami negli occhi-
Dannato
strizzacervelli!
Se
lei era
testarda, lui lo era anche di più.
Non
avrebbe
mollato fino a quando non avrebbe ottenuto quello che voleva.
Ci
teneva
tanto ad umiliarla?!
Era
così
importante per lui sapere che nessuno la amava?!
Come
se non
lo avesse già capito da solo!
La
rabbia
crebbe, unita al dolore, dando vita ad un mix amaro e potente come un
veleno.
Con
un gesto
di stizza, si levò gli occhiali da sole, gettandoli sulla
folla strepitante,
che subito non perse occasione di accalcarsi e spintonarsi nella
speranza di
afferrare quell’oggetto considerato come una santa reliquia.
-
Va bene così?!- si
voltò verso di lui,
mostrando i suoi occhi azzurri colmi di lacrime, le cui tracce erano
ancora
visibili sulle sue guance.
Stavolta
fu
Shanks a concedersi un lungo silenzio, rotto solo dalle grida al di
fuori della
finestra.
Annotò
con
precisione qualcosa sul suo taccuino, probabilmente impressioni che si
era
fatto scrutandola in volto.
Di
sicuro il
suo giudizio non sarebbe stato positivo.
Esausta
per
quell’interrogatorio, tornò ad appoggiare la testa
sopra le braccia, facendo
uscire nuove lacrime.
…………….
Ormai
era
uscito dal camerino da quasi dieci minuti.
Poteva
sentire
la sua voce appena al di fuori della porta, seguita da quella di sua
madre.
Stavano
avendo
una discussione abbastanza sostenuta, poiché nessuno dei due
voleva cedere la
ragione all’altro.
Desiderosa
di sapere, si alzò dal divano sul quale era seduta, andando
verso la porta e
appoggiando l’orecchio su di essa per origliare la
conversazione.
In
fondo era
di lei che si parlava, quindi aveva tutto il diritto di sapere.
Chissà
se
Shanks sarebbe riuscito a far capire a sua madre quello che lei non gli
aveva
mai confessato in diciotto anni…
Ma
sapeva
che sua madre era fredda, troppo fredda per preoccuparsi dei sentimenti.
Il
lavoro,
la carriera, i soldi: questo era l’essenziale per lei.
-
Mia figlia deve assolutamente proseguire
questo spot. Molte persone dipendono da lei- la
sentì affermare con
decisione, come a voler intimare che non si poteva discutere sulla
questione.
-
E lei? Lei da chi può dipendere?-
replicò Shanks.
-
Ti ho chiamato perché facessi
capire a mia
figlia i suoi obblighi. La conosco perfettamente, so che è
solo una ragazzina
viziata che sta facendo tutto questo per avere attenzioni!-
-
Non sono affatto capricci. È sotto
pressione, oltre i limiti del consentito, e ha bisogno di finirla
adesso con
tutto questo, perché potrebbe seriamente peggiorare-
parlò con calma, che
al tempo stesso lasciava trapelare preoccupazione.
-
Smettere?! Come puoi anche solo pensare che
possiamo fermarci?! Abbiamo un tour nazionale davanti! Stiamo per
lanciare un
disco! Boa deve continuare!-
sottolineò quella parola, per rendere meglio
l’idea dell’obbligo.
A
quel punto
non le interessava nemmeno restare ad ascoltare il resto della
conversazione.
Era
la prova
che nessuno la amava.
A
sua madre
non importava quanto stesse male, quanto fosse grave la sua situazione.
Per
lei
doveva essere solo una macchina in grado di lavorare
ventiquattr’ore su
ventiquattro senza mai avvertire stanchezza, obbedendo agli ordini
senza mai
fiatare.
Non sapeva perché
le faceva così male, d’altra
parte era qualcosa che dentro di lei aveva sempre saputo.
Sentirglielo
dire così apertamente, però, era stato straziante.
Anche
i
milioni guadagnati in dodici anni non servivano a compensare la
mancanza di
amore materno.
Ormai
comprarsi vestiti e accessori costosi non riusciva più
colmare quel vuoto che
si faceva sempre più profondo, come una voragine senza fine.
Era
sull’orlo
del collasso.
-
BOA! BOA! BOA!-
Quando
l’avrebbero
fatta finita quei maledetti stalker sotto la finestra?!
Le
facevano
salire ancora di più i nervi a fior di pelle con i loro
schiamazzi!
Erano
solo
capaci di chiamarla a gran voce, ma nessuno di loro la aiutava ad
uscire da
quell’inferno.
Nessuno
di
loro vedeva la sofferenza che stava al di là dei bei sorrisi
da copertina.
Quando
lei
avrebbe abbandonato lo studio, loro se ne sarebbero tornati belli e
contenti
nelle loro case, a mangiare pranzi ricchi di grassi e a fare tutto
quello che
volevano.
E
lei?
Lei
avrebbe
continuato a spiluccare cibi dietetici dal sapore disgustoso, fra un
set
fotografico e l’altro, passando per intere giornate chiusa
dentro la sala prove
di una casa discografica.
Il
successo
equivaleva a una prigione.
Stancamente,
si trascinò nuovamente fino al divano, lasciandosi cadere
sopra di esso e
scoppiando in singhiozzi, con la testa fra le mani.
-
Boa? Boa te lo chiedo per favore: esci
così
possiamo finire presto questo dannato spot, ok?-
La
voce di
sua madre fuori dalla porta.
Evidentemente
Shanks aveva avuto la peggio, come sempre.
Non
esisteva
via d’uscita alla sua condanna.
Mossa
da una
rabbia che era più forte del dolore stesso, si
passò nervosamente una mano fra
i capelli, digrignando i denti e alzandosi in piedi di scatto, muovendo
passi
veloci verso la porta e aprendola con uno scatto fulmineo.
-
CHE VUOI MAMMA?!?! SONO STUFA DI
ASCOLTARTI!!!- gli sbottò in faccia, tornando poi
a rannicchiarsi sul
divano con la testa fra le mani.
-
Smettila di essere così testarda.
Siamo tutti
stanchi dei tuoi capricci- la rimproverò,
sedendosi su una sedia a pochi
passi da lei.
-
SONO IO A ESSERE STANCA DI TUTTI!!!-
gesticolò con fervore, mentre le parole uscivano rabbiose
come un fiume in
piena - SONO STANCA DI TE, MAMMA!!! HO
FAME!!! MANGIO SOLO TONNO DA ANNI!!!-
-
Baby…devi capire che questa
è la vita di un’artista-
parlò con tono dolce, nel tentativo di indorarle la pillola.
-
Ma io non ho una vita, ho solo una carriera,
mamma!!!- abbassò di poco i toni, con la voce
rotta dal pianto.
-
Ascolta…Finiamo di girare quello
spot e poi
andiamo a casa, ok?- si avvicinò a lei, posandole
una mano sulla spalla.
-
NO, NO, NO!!! NON TOCCARMI!!!- si
alzò
di scatto, respingendo la mano e allontanandosi.
Non
rispondeva
più di sé.
La
rabbia e
la disperazione si erano unite in un mix letale.
Tutto
le
sembrava un’enorme bugia dalla quale era impossibile uscire
con le proprie
forze.
Tutto
quello
che usciva dalla bocca di sua madre non era altro che un vano tentativo
di
farle nuovamente fare ciò che voleva.
Non
sarebbe
caduta di nuovo nella sua trappola.
-
Sei troppo nervosa tesoro…-
cercò di
nuovo di assumere un tono sdolcinato che non le si addiceva per niente
- Se vuoi possiamo mangiare un gelato alla
vaniglia con i brownies. Rilassati tesoro, vieni qui…-
tese le mani nel
tentativo di abbracciarla.
-
TI HO DETTO DI NON TOCCARMI!!!-
sbraitò,
spingendola ripetutamente indietro con forza.
Fu
un
attimo, una frazione di secondo.
Quegli
stessi
tacchi alti che si ostinava a far portare anche a lei da anni furono la
sua
rovina.
Non
si rese
nemmeno conto di come accadde, forse era scivolata, forse aveva
inciampato
nella gamba del basso tavolino al centro della stanza.
Quando
un
barlume di lucidità riprese posto nella sua mente,
trovò la madre a terra priva
di sensi.
Era
sdraiata
lì, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, il corpo che
non dava cenni di
movimento.
Restò
a
fissarla per qualche secondo, incapace di reagire.
La
rabbia di
poco prima aveva lasciato spazio alla paura.
-
Mamma…? Stai bene…?
Andiamo a fare lo spot…Mamma?!
Mamma?!?!- provò a scuoterla leggermente
più e più volte, senza risultato.
Le
mani
iniziarono a tremarle, la fronte si imperlava di sudore.
Forse
il
gesto che aveva commesso era anche peggio di tutto ciò che
le aveva fatto sua
madre.
-
Oddio…l’ho
uccisa…!- sussurrò, come a
non voler far sentire nemmeno alle pareti il crimine di cui si era
macchiata.
Se
qualcuno
l’avesse scoperta, non sarebbe finita solo la sua carriera,
ma anche la vita
che doveva ancora cominciare.
Anche
se non
c’erano prove che l’avesse spinta lei, anche se
avrebbe potuto raccontare che
Domino era scivolata da sola a causa dei tacchi, il senso di colpa la
perseguitava come un fantasma nell’ombra.
Inoltre,
la
sua mente era sotto uno shock troppo profondo per architettare un piano
che
stesse in piedi.
Le
restava un’unica
cosa da fare.
Lesta,
si
avvicinò alla porta in punta di piedi, aprendola e
richiudendola subito dopo,
per non permettere a nessuno di vedere all’interno del
camerino.
Accertatasi
che nessuno la stesse osservando, si dileguò in silenzio
lungo il corridoio.
ANGOLO DELL’AUTORE
Non
credevo
di finire così presto il capitolo, forse è un
po’ corto ma la prossima parte
preferisco tenerla a sé. Mi piace chiudere con questo colpo
di scena! Voi che
ne pensate? Domino sarà morta per davvero? E Boa cosa
farà adesso? Spero che
questa storia continui a piacervi, so che ci si sta mettendo una vita
per
arrivare nel centro di recupero ma prima è necessario
delineare i profili di
queste tre ragazzacce, per poi comprenderne gli atti futuri. Inoltre
sto
seguendo alla lettera gli episodi della telenovela, perciò
prendetevela con gli
autori! XD
Grazie a
tutti quelli che stanno supportando questa fic nonostante sia
così insolita!
Il prossimo
sarà su Tashigi che vedo piace proprio a tutti! ;P
Baci
Place
Vuoi
conoscere altre curiosità su Ninas Mal e vedere i personaggi
reali della
telenovela da cui è stata tratta questa fic? Fai un salto
sul mio portfolio,
troverai questo e molto altro!
|
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Capitolo 9 *** 9 - L'alter ego ***
Con
gli
occhi lucidi, in parte per la rabbia e in parte per il pianto che
premeva per
uscire, continuava a camminare avanti a indietro per la stanza,
stringendo
spasmodicamente il cellulare fra le mani.
Faceva
ripartire il video per poi stopparlo subito dopo, incapace di guardare
ancora
il suo fidanzato fare il cascamorto con due sgualdrinelle.
Tutto
in
quella camera parlava di lui, ovunque si girasse c’erano foto
di loro due che
lei stessa aveva messo, credendo che la loro storia fosse importante.
Ora
sapeva
che lo era solo per lei.
Stanca,
più
psicologicamente che fisicamente, si abbandonò sulla
poltrona davanti alla
specchiera, premendo di nuovo play sul cellulare.
Ed
ecco che
il video ripartiva.
Stavolta
si
concesse di osservarlo più a lungo, ma non riuscì
a terminarlo.
Presa
da un
impeto che la smuoveva contro la sua volontà, si
alzò nuovamente in piedi,
riprendendo a camminare velocemente da un capo all’altro
della stanza.
Si
soffermò
con lo sguardo su una foto che li ritraeva in un giardino rigoglioso,
sorridenti e apparentemente felici.
Le
aveva
riservato una cornice d’argento, sulla quale passò
un dito sfiorandola.
Spostò
lo
sguardo sul display del cellulare, che ritraeva un fermo immagine di
Law che
abbracciava una bionda.
Mordendosi
il labbro, spinse la cornice fino a farla cadere, così come
cadeva una lacrima
silenziosa lungo la sua guancia.
Senza
forze,
si accomodò nuovamente sulla poltrona, fissando la sua
immagine riflessa nello
specchio.
Dove
aveva
sbagliato?
Che
cosa
c’era di sbagliato in lei?
Non
era
abbastanza carina, interessante, colta o intelligente?
No…Non
era
questo il problema.
La
verità
era che non era abbastanza sexy.
Law
non si
sentiva attratto da lei, che continuava a comportarsi come una suora:
ed ecco
che cercava di “spegnere il suo fuoco” con ragazze
senza vergogna.
Fu
allora
che si ricordò di ciò che le avevano detto le
amiche durante il pomeriggio
appena trascorso…
Lozioni
per il corpo…
Gettò
un’ultima occhiata al video, prima di posare il cellulare sul
ripiano del
mobiletto con la specchiera davanti al quale era seduta.
Preservativi…
Girò
il capo
verso il collage di foto che li ritraeva in diversi momenti trascorsi
insieme
in quell’anno di fidanzamento, anche se in realtà
non ne vide nemmeno una.
La
sua testa
era altrove, in quel locale con Law.
Si
divertirà guardando i porno su internet…
Piegò
le
labbra in una smorfia di dolore, lasciando che le lacrime uscissero da
quegli
occhi che avevano appena assistito al peggiore degli spettacoli.
Reggiseni
e ragazze che ballano…
Senza
rendersene conto, guidata dalle voci che risuonavano nella sua testa
come colpi
di martello, lasciò che le sue mani si infilassero nella
busta del negozio che
Violet e Kalifa avevano lasciato lì.
Si
accorse
che c’erano diverse cose al suo interno, e ovviamente ne
conosceva bene la
natura.
Cose
sexy,
cose che fino a quel momento per lei erano state un tabù.
Gli
mostrano la loro mercanzia…
Con
la mano
tremante, estrasse la prima cosa che le capitò a tiro: una
parrucca nera.
Il
taglio
era come quelli che andavano di moda in quel periodo, un caschetto
più lungo
sul davanti.
Troppo
moderno per una ragazza all’antica come lei, che i capelli li
aveva sempre
portati solo in un unico modo durante i suoi diciassette anni.
E tu,
Tashigi?
Desiderosa
di conoscere quel mondo che le era stato negato dal suo grado sociale e
che
tanto affascinava il suo uomo, continuò a cercare dentro
quella busta.
Tutto
ciò
che ne usciva era una scoperta, orribile e al contempo affascinante.
Un
fidanzato eccitato che cerca qualcuno che accenda la sua
passione…
Un
bustino
nero in latex con le stringhe, talmente stretto che avrebbe rischiato
di
soffocarci dentro.
Tashigi,
se vuoi puoi venire con noi…
Un
paio di
stivali lunghi fino a sopra il ginocchio, anche quelli in latex nero
con una
fila di stringhe incrociate al centro e tacchi talmente alti da
sembrare
trampoli.
Ti
insegneremo come accendere la sua passione…
Un
paio di
calze a rete a maglia molto larga, roba che avrebbe classificato solo
come
indumento da donnina di strada.
E
molto,
molto altro.
Eppure,
il
suo fidanzato la voleva proprio così, libertina e senza
candore.
Doveva
fare
una scelta, forse la più dura che avesse mai affrontato.
Doveva
scegliere se essere Tashigi, la ragazza pudica e di sani principi,
oppure una
donna nuova senza regole e piena di sensualità.
Tashigi
avrebbe perso Law, l’altra donna lo avrebbe conquistato.
Si
morse il
labbro, guardando la sua immagine riflessa nello specchio.
Per
la prima
volta nella sua vita, non si riconobbe.
Non
sapeva
più chi era.
…………
Il
locale
era pieno zeppo di gente.
D’altra
parte, il “Limite” era il posto più in
voga del momento in cui trovarsi a far
baldoria la sera, bevendo, rimorchiando e ascoltando musica a tutto
volume.
Ci
si poteva
perdere in mezzo a quella folla scatenata, accecati dalle luci
psichedeliche.
Tutti
erano
nessuno, volti che si mescolavano gli uni agli altri come in quadro
astratto.
Gente
che
trovavi e che riperdevi subito dopo, inghiottita dalla pista stracolma.
In
tutta
quella confusione, una figura avanzava lentamente, distinguendosi senza
fatica
dalla massa.
Le
cose
accattivanti non passano mai inosservate.
Gambe
snelle
e sinuose, avvolte da calze a rete a maglia larga, culminanti in un
paio di
lunghi stivali di pelle lucida e nera, decorati con stringhe incrociate.
Un
vestito
succinto in finta pelle nera, stretto in vita da una cintura recante
delle
borchie, che lasciava poco all’immaginazione data la
“lunghezza”.
Per
non
parlare della scollatura, che regalava la visione di un petto florido
nonostante la giovane età.
Capelli
neri, con un taglio a caschetto che si allungava sul davanti,
incorniciavano un
viso truccato pesantemente.
Ombretto
viola scuro, rossetto in tinta con quest’ultimo, facevano
risaltare la pelle
chiara come poche.
Una
ragazza
da non farsi sfuggire.
Camminava
verso il centro della pista, cercando di combattere la pesantezza di
quegli
sguardi tutti rivolti a lei.
Non
poteva
permettere che il nervosismo rovinasse i suoi piani.
Cercando
dentro di sé una sicurezza che non aveva mai avuto,
iniziò ad atteggiarsi in
maniera provocante, ricambiando maliziosamente gli sguardi dei ragazzi
che le
ammiccavano, sorridendo e scostandosi i capelli dal viso con
sensualità.
Lasciandosi
guidare dal ritmo della musica, prese ad ancheggiare sinuosamente,
piegando di poco
le ginocchia e ripercorrendosi il costato con il dorso delle mani,
portando le
braccia verso l’alto.
Chiunque
l’avesse guardata avrebbe pensato che era avvezza a
quell’ambiente e a quel
genere di cose.
Lanciando
occhiate a destra e a manca, in realtà cercava una sola cosa
in quel locale.
Fu
proprio
allora che la vide, grazie a un faro che aveva illuminato il punto in
cui si
trovava.
Il
ragazzo,
il suo ragazzo, stava ridendo e
ballando con un’altra donna, toccandola più del
dovuto.
Trattenendo
la rabbia, finse di continuare a ballare, mentre si avvicinava sempre
di più a
lui.
Un
altro
ragazzo, che probabilmente l’aveva adocchiata, le si
parò di fronte, porgendole
con fare ammiccante un drink appena preso.
I
consigli
delle due amiche stavano dando i loro frutti.
Forse
era
davvero necessario essere una poco di buono per avere attenzioni.
Sorridendo
allusivamente, prese il drink e ne bevve un sorso, senza staccare gli
occhi da
quelli del ragazzo.
E
in quel
momento, come per scherzo del fato, il suo presunto fidanzato la scorse
tra la
folla.
Rimase
pietrificato a guardarla, senza più dare attenzioni alla
ragazza che ballava
con lui.
Non
che
l’avesse riconosciuta, era impossibile dato il rivoluzionario
cambiamento, ma
per un donnaiolo come lui una simile tentazione era come oro colato.
Finalmente
anche lei si accorse di aver attirato la sua attenzione, proprio come
desiderava.
Adesso
era
lui a camminare ipnotizzato verso di lei.
Continuò
a
dare corda al ragazzo che le aveva portato il drink, fino a quando il
suo
fidanzato (ignaro di trovarsi davanti alla sua promessa sposa), si
fermò a
pochi centimetri da lei.
Sorridendo
con fare beffardo e snob, ignorò bellamente entrambi,
sorpassandoli e
avviandosi sicura verso i cubi sopraelevati popolati di belle ragazze
che mettevano
in mostra le loro gambe.
Facendosi
aiutare dall’ennesimo ragazzo, salì anche lei,
riprendendo la danza fatta di
mosse sensuali che aveva iniziato poco prima in pista.
Inutile
dire
che la folla era tutta per lei, le altre non esistevano più.
Quella
ragazza dark e misteriosa era diventata la regina della serata.
Tashigi
era
noiosa, nessuno si accorgeva di lei in mezzo alla gente.
Lolita
era
accattivante, una dominatrice indiscussa.
Poteva
essere due persone al tempo stesso?
In
fondo,
tutti nascondiamo un lato oscuro.
Più
Law la
fissava, più lei gli sorrideva lanciando sguardi maliziosi e
allungando un
braccio in sua direzione puntandogli il dito contro.
“Guardami Law, ora sono esattamente come mi
vuoi? Ti piaccio, vero?” gli stava dicendo nel
silenzio della sua mente.
Non
l’aveva
mai guardata in quel modo quando era solo Tashigi.
Avrebbe
dovuto essere distrutta da quel fatto, perché ciò
significava che il suo uomo
non la apprezzava per quello che era; invece si sentiva piena di
energie, come se
quello fosse il posto esatto dove doveva trovarsi quella sera.
Lei
che
odiava i locali pacchiani e rumorosi, si sentiva a suo agio mettendosi
in
mostra in quel modo, come se una parte di lei fosse nata per fare
quello.
Forse,
la
vera Tashigi non era la ragazza per bene che credeva.
Ballava
senza perderlo di vista, controllando ogni minima espressione sul suo
volto,
fino a quando un ragazzo, che riconobbe come il suo migliore amico, gli
si
avvicinò, mettendosi anche lui a fissarla.
Vedeva
le
loro bocche muoversi, segno che stavano avendo una conversazione.
E
dal modo
in cui la mangiavano con gli occhi, non era difficile intuire
l’argomento.
-
Ehi, Law! Hai visto quella tipa?-lo
affiancò
Penguin, con due drink in mano.
-
E’ divina…La conosci?-
si interessò
subito.
-
No, però mi attira
parecchio…- confessò.
-
Una così chi non attirerebbe?-
gli fece
notare, ghignando con quel suo fare strafottente.
Desiderava
conoscere le parole che si stavano dicendo, solo per il gusto di
sentirsi dire
dal suo fidanzato quanto fosse sexy.
Poteva
farlo
solo in quell’occasione, perché il giorno dopo
sarebbe tornata ad essere la
ragazza di sempre.
Nell’alta
società il suo ruolo era Tashigi Kendo, appartenete a una
famiglia dal nome
illustre e di raffinati costumi, che non poteva certo andare in giro
vestita a
quel modo.
Per
questo
quella sera voleva essere solo Lolita, ragazza libera di fare tutto
quello che
voleva.
Non
aveva
fatto i conti con gli scocciatori, però.
Si
sentì
sfiorare ripetutamente una coscia, e spostando lo sguardo verso il
basso si
accorse di un ragazzo che tentava di toccarla salendo sempre
più in alto.
Voleva
essere sexy, ma non una sgualdrina che si faceva palpare da chiunque.
Aveva
comunque una dignità anche dietro chili di trucco, una
parrucca e vestiti
praticamente inesistenti.
Non
poteva
fare una scenata da bambina capricciosa, però, o tutti
avrebbero scoperto la
sua vera identità.
Così,
fece
la cosa più “cool” che le ragazze
importunate nei locali erano solite fare:
rovesciò il drink rimastole in mano da prima sulla testa del
molestatore.
Il
tutto con
un sorriso malandrino rivolto alla folla, ovviamente.
Un
boato di
esultanza si protrasse nel locale, accompagnato anche da alcuni
applausi.
Sul
volto di
Law si materializzò uno dei suoi ghigni migliori, e lei
stessa si concesse di
mostrare i denti per la prima volta in quella folle nottata.
Si
stava
divertendo, contrariamente a ciò che aveva sempre pensato.
Ballava,
ballava e ballava, presa dal ritmo di quella musica da discoteca che
non aveva
nulla a che vedere con ciò che ascoltava solitamente.
Si
dimenticò
persino di Law, distogliendo lo sguardo da lui.
Senza
saperlo,
però, aveva già innescato la bomba.
Il
suo piano
era più che riuscito.
Penguin,
provolone almeno quanto Law, si fece largo tra la folla, fermandosi
proprio
sotto di lei.
Abbassò
lo
sguardo, cercando di capire cosa volesse.
Lo
vide
tenderli una mano, invitandola a scendere dal cubo e andare con lui.
Poteva
essere
un’ottima occasione di far ingelosire Law, ma Penguin non era
decisamente il
suo tipo.
Inoltre,
era
lì solo per dimostrare al suo fidanzato che anche lei poteva
essere sensuale,
non certo per concedersi a un qualunque ragazzo a caso solo per
vendetta.
Assumendo
un’aria
snob che non ammetteva repliche, scansò la sua mano,
ignorandolo.
Qualcuno,
però, aveva assistito alla scena pochi metri più
indietro, concedendosi l’ennesimo
ghigno della serata.
Inutile
dire
che anche lui, ora, aveva tutta l’intenzione di mettersi in
gioco.
Ricevere
le
attenzioni della donna più bella e desiderata del locale
sarebbe stato motivo
di vanto, qualcosa da raccontare a tutti il giorno dopo.
Deciso,
si
avvicinò anche lui, ripetendo la scena dell’amico:
si fermò davanti a lei e gli
porse la mano.
Cosa
doveva
fare adesso?
Una
mossa
azzardata le sarebbe potuta costare cara.
Se
si fosse
avvicinata o esporta troppo, di certo uno furbo e scaltro come Law
l’avrebbe
riconosciuta subito.
Lo
fissò
negli occhi, cercando di nascondere la tensione e la paura che
iniziavano a
uscire dopo essere rimaste nascoste per tutta la sera.
Vedendola
esitare,
Law si fece più audace, sfiorandole una coscia con i
polpastrelli e alzando l’arcata
sopraccigliare, piegando di poco la testa da un lato, come a volerle
dire “Allora? Ci stai?”.
Bastò
quello
per riportarla alla realtà.
Il
suo
ragazzo non avrebbe perso l’occasione di tradirla.
Non
sapeva
nemmeno il nome di quella ragazza che stava guardando ora, eppure le
proponeva
di fare l’amore con lui.
La
loro
storia felice era solo una bugia, così come lo era Lolita,
l’alter ego nel
quale si era trasformata quella notte.
Lei
non era
così, la ragazza che si era inventata non esisteva.
La
libertà
apparente che aveva provato in quei pochi minuti aveva lasciato spazio
ad un
peso soffocante.
Tutte
le sue
certezze crollavano, e l’unica che ne sentiva il rumore
rimbombarle nella testa
era proprio lei.
Sconvolta
dall’amara
verità del suo mondo perfetto, scese velocemente dal cubo,
scostando Law e
scappando via, disperdendosi tra la folla della pista e lasciandolo
indietro a
cercarla inutilmente.
ANGOLO DELL’AUTORE
Salve!
Era
un po’ che non la aggiornavo questa, perciò ho
voluto darle spazio come ultima
pubblicazione (almeno su questo fandom) prima della mia partenza per
Lucca
prevista fra 4 giorni.
In questo capitolo
è tornata la vostra adorata Tashigi, contente? XD Come
vedete si è lasciata
andare, ma non ne è rimasta soddisfatta…
Vi metto
alcune precisazioni che sono doverose, poi il resto lo lascio ai vostri
commenti se vorrete lasciarmene:
-
sopra
viene detto che Tashigi ha diciassette anni. Lo so benissimo che nel
manga ne
ha 23 (dopo il time skip), ma per questa storia mi serve che, come
nella
telenovela, le tre protagoniste siano tutte adolescenti. Altrimenti i
loro
problemi di ribellione non avrebbero senso se fossero già
donne mature. Per questo
vi dico già le età di ciascuna di loro: Nami ha
18 anni, Boa ha 18 anni e
Tashigi è la più piccola e ne ha 17. Le altre
ragazze del centro avranno la
stessa età.
-
nella
realtà della telenovela il nome dell’alter ego di
Tashigi, Lolita, non viene
svelato durante la scena che ho raccontato ma più avanti. Ho
però voluto dirlo
subito, visto che nei suoi pensieri probabilmente la protagonista aveva
già
pensato a un nome fasullo. E poi questo nome ricomparirà di
nuovo nella storia,
perciò voglio che lo teniate bene a mente! (piccolo spoiler
che vi regalo perché
è sabato e siamo tutti più buoni! ;-) )
E
questo è
tutto!
Attendo con
piacere le vostre recensioni e ci sentiamo al più presto!
Baci
Place
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