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di BekySmile97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1: Maledetti specchi ***
Capitolo 3: *** 2: Patto? ***
Capitolo 4: *** 3: Inno Russo ***
Capitolo 5: *** 4: Preparativi ***
Capitolo 6: *** 5: Giardino e giardiniere ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
“Ma chi ti ha detto che allo specchio uno si vede al contrario di com’è?”
 

Mafalda

Se un mese fa qualcuno mi avesse detto che c’è un mondo reale e più vivo che mai al di là di uno specchio, o gli avrei consigliato un bravo psicologo o gli avrei detto di evitare di leggere libri scritti da un pedofilo… a seconda dell’umore.
Invece… invece ora sono qua, a raccontare cosa mi è successo…
La cosa che in assoluto mi dà più fastidio non è che sono stata trasportata contro la mia volontà in un altro universo, e neanche tanto il fatto che per uscirci ho dovuto fare i salti mortali… è che non avevo ragione. Per una volta in vita mia aveto torto marcio. 
Esiste un mondo al di là dello specchio.
E, sinceramente, avrei preferito vivere nella mia ignoranza per il resto della mia vita.


Angolo Autrice: 

Mi sto buttando in un'impresa più grande di me... ne sono sicura...
Comunque, buonsalve a tutti quelli che stanno leggendo.
Sinceramente, non ho molto da dire su questo prologo... mi piacerebbe scrivere "Intrigante vero?" ma siamo ancora all'inizio, quindi per ora mi limito a chiedere le vostre opinioni.
Al prossimo capitolo (dove finalmente potrò scrivere qualcosa di intelligente u.u).

BekySmile97

Ps: sono riuscita a fare un Angolo Autrice quasi più lungo dell'introduzione D:  

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Capitolo 2
*** 1: Maledetti specchi ***


1: Maledetti specchi
 
“Tutti gli specchi sono un po’ stregati… sono un mistero… che cosa c’è al di là degli specchi? Che cosa vediamo veramente quando ci guardiamo allo specchio? Forse la nostra immagine, ma forse l’immagine di Dio… o quella del diavolo… o forse, come in un sortilegio, ciò che vediamo è il nostro spettro…”
 
Dylan Dog - Attraverso lo specchio 

 
Lo capisci subito quando una giornata sarà orribile.
La tua maglietta preferita si è macchiata, i tuoi capelli sembrano un cespuglio, il tram arriva in ritardo, prendi 4 in latino…
L’ovvietà che la giornata non migliorerà mai non ti sfiora neanche la testa e continui a pensare che alla fine qualcosa la sistemerà.
 
Io, con la tranquillità di un impiccato, ero tornata a casa dopo una pesantissima e inutile giornata scolastica pensando che ormai peggio di così non sarebbe potuto andare. Naturalmente non avevo calcolato che c’era ancora un enorme margine di peggioramento.
L’unica cosa che volevo fare era sdraiarmi sul mio letto, chiudere gli occhi e non far niente per il resto della giornata ma, ovviamente, mia mamma con il suo grandissimo tempismo mi disse… anzi, mi costrinse ad andare a casa di mia nonna per farle un po’ di compagnia e io, zitta e muta, ci andai.
Amo casa di mia nonna.
Amo l’odore del legno, la polvere sugli oggetti d’argento e gli specchi che riempiono ogni angolo, ma ha anche un che di inquietante, tipico delle vecchie case abitate da vedove.
Credo che la presenza di tutti quegli specchi sia dovuta al fatto che, dopo la morte di mio nonno, abbia deciso che l’unica cosa da fare fosse convivere costantemente con se stessa.
Comunque, arrivata a casa sua e non trovandola, aprii il pesante portone con le chiavi che mi aveva consegnato mia madre e entrai silenziosamente. Il mio progetto di non far niente non era svanito del tutto dalla mia testa, perciò mi sdraiai sul divano in salotto e rimasi lì a pensare al più e al meno, cercando di non sentire gli strani scricchioli e rumori che provenivano dalle altre stanze.
“Maledetto legno vecchio…” borbottai rabbrividendo, ma decisa a ignorare palesemente tutti quei rumori.
Purtroppo un botto assordante proveniente da dietro il divano, oltre a farmi venire un infarto, mi fece mutare opinione e fui costretta ad alzarmi lentamente per capire cos’accidenti era successo.
“Ma che… come accidenti ha fatto a cadere?” pensai guardando il vecchio specchio dalla cornice dorata a terra.
Miracolosamente non si era rotto, quindi lo afferrai e lo riappesi alla parete ocra.
Non feci neanche in tempo a girarmi che scivolò nuovamente a terra facendo un fracasso assurdo.
“Ma… forse si è staccato il chiodo…” mormorai confusa rimettendolo in piedi e appoggiandolo delicatamente alla parete, così che poggiasse sul pavimento.
Osservai attentamente il io riflesso: gli stessi occhi scuri, i capelli ugualmente in disordine, l’identica maglietta… ero io.
Ma perché la mia immagine aveva un che di malizioso e cattivo?
“Maledetto specchio… se caschi un’altra volta ti butto via!” sibilai inviperita.
“Scusami, ma se mi butti via non avrai problemi con tua nonna?”
 
Restai un secondo impietrita, prima di decidere che avevo preso un colpo in testa e che questo era solo uno stranissimo sogno.
“Oh riflesso, sto parlando con te!” mi ripetè.
Alzai lo sguardo e vidi quello che teoricamente era il mio riflesso guardarmi con il naso spiaccicato contro il vetro.
“Non ci credo… stai pensando di sognare vero? Oh, ma è possibile che la mia corrispondente sia così stupida?” continuò scettica.
“Scusami, ma sei tu il mio riflesso. E, tra parentesi, non sono affatto stupida.” dissi con un filo di voce.
“Certo certo…” annuì sprezzante.
“Posso farti una domanda?” chiesi. Insomma, se non era un sogno tanto valeva capire cosa stava succedendo.
“Mi hai già fatto una domanda… comunque, chiedi pure.” rispose arrogante.
“Perché continui a far cadere lo specchio? Cioè, se si rompesse tu non moriresti?” le domandai curiosa e impaurita allo stesso tempo.
“Domanda scema fatta da una persona scema. Ovviamente non morirei, altrimenti non ci sarebbe gusto a farti impazzire.” disse con un’aria furba.
Lascai cadere la conversazione e, dopo un attimo, feci per andarmene.
“Aspetta! Non voi sapere com’è il mondo da questo lato?” mi chiese.
“No. Sinceramente, non mi importa.” le dissi secca, anche se dentro rodevo di curiosità.
“Vorrei farti notare che è un’occasione unica. Non sei per niente curiosa? Dai… un attimo e poi torni dal tuo lato. Sarà divertente. Fidati…” ribadì.
“… quanto hai detto che potrei starci?” le chiesi.
“Un attimo, giusto il tempo di farti vedere come funziona il mondo di qua. Non sei curiosa di vedere il Re Rosso?” chiese nuovamente.
“Cara, non credo che ti servirà molto raccontarmi la trama di “Attraverso lo specchio” per convincermi.” le risposi scettica.
“Va bene, niente Re Rosso. Ma almeno ti andrebbe parlare con tuo nonno?” inisistè.
“E’ morto…” ribattei cupa.
“Avvicinati, credo che tu non possa capire… avvicinati e guarda qui. Chi vedi?” domandò, voltandosi verso un angolo.
Mi avvicinai cauta e guardai nell’angolo che mi indicava. In effetti c’era qualcuno seduto sulla sedia rotta di mia nonna, ma non riuscivo a capire chi era, quindi mi sporsi ancora un po’, per cercare di capire chi fosse.
Poi, in un attimo e con una velocità a dir poco incredibile, il mio riflesso mi afferrò il braccio e mi tirò dentro, uscendo di tutta carriera dalla mia parte.
 
Fu una cosa ben strana attraversare lo specchio: era come cadere in acqua, un’acqua d’argento che ti toglie il respiro e ti fa rabbrividire, e poi il duro del colpo che presi sbattendo la faccia sul pavimento mi fece tornare il respiro, ma una fredda sensazione di gelo mi rimase attaccata.
“Ma cosa…” balbettai in preda al panico, mettendomi in ginocchio.
“Ti sei fatta giocare dal tuo opposto. Peccato… avevo scommesso che non ti saresti fatta fregare.” disse la figura nell’angolo, alzandosi e venendomi incontro.
“Peccato davvero…” sussurrò guardandomi da due occhi blu scuro, mentre tutto diventava nero. 


Angolo Autrice:

E io che mi ero proposta di pubblicare questo capitolo appena avessi avuto almeno una recensione!
Il problema è che il prologo era talmene corto e ben poco interessante che ho deciso di pubblicare anche il primo capitolo... ho bisogno di pareri sinceri.
Il passaggio attraverso lo specchio vi sembra troppo veloce? Dovevo descrivere meglio il ritorno a casa?
Insomma, accetto critiche e pareri di ogni tipo :)
Ah, se per caso pubblicando quella parte iniziale di Dylan Dog ho violato qualche regola, avvertitemi. Non era assolutamente mia intenzione... mi serviva solo per dare un incipit al capitolo.
Bene, direi che ho detto tutto.
Al prossimo aggiornamento :*

BekySmile97  

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Capitolo 3
*** 2: Patto? ***


2: Patto?
 
Era possibile morire in una storia immaginata? In  un sogno? Che cosa sarebbe successo se Lucorumido fosse stato ucciso? Era ancora una storia,  quella? O era realtà? Non riuscivo a distinguere.
 
La città dei libri sognanti

 
Quando finalmente ripresi i sensi, la prima cosa che vidi fu lo specchio, vuoto.
“Salve bella addormentata, dormito bene?” chiese una voce sopra la mia testa.
“Ma… dov’è finito il mio riflesso?” chiesi preoccupata.
“Non è il tuo riflesso. E’ il tuo opposto, e c’è una bella differenza tra le due cose.” spiegò paziente il ragazzo.
Fissai ancora allibita la cornice vuota e poi gli chiesi: “Come faccio a tornare indietro?”
“Non puoi.” rispose allegramente. “Nessuno degli umani che è arrivato fin qui è mai riuscito a tornare indietro.”
Guardai prima lui, poi la cornice, e di nuovo lui.
C’era qualcosa che mi sfuggiva: se avevo attraversato lo specchio, teoricamente, sarei dovuta riuscire a tornare dal mio lato, no?
“Scusami, ma come ti chiami?” gli chiesi osservandolo attentamente. Alto, sottile, i capelli castani spettinati e gli occhi blu scuro… una tale bellezza era decisamente fuori luogo vista la situazione in cui mi trovavo.
“Teoricamente non ho un nome… ma puoi chiamarmi come faceva il tuo opposto se vuoi.” rispose sorridente.
“Non hai un nome? Ma tutti hanno un nome!” esclamai sorpresa.
“Non il guardiano del mondo degli opposti. Comunque il tuo opposto mi chiamava Marco… diceva che un nome tanto semplice stava bene con una personalità complessa come la mia.” spiegò.
“Ah… ma, toglimi una curiosità, il mio riflesso ora si è sostituito a me? E, tanto per sapere, come mai non si sostituiscono anche gli altri riflessi?” chiesi già preoccupata per i possibili guai che avrebbe potuto combinare.
“Punto primo: si chiamano opposti. Non riflessi. Quante volte te lo devo ripetere ancora? E comunque, sì, ha preso il tuo posto nell’altro mondo… una delle poche che ci è riuscita tra l’altro. Di solito o le persone non si lasciano giocare e fanno a pezzi lo specchio, o gli opposti non hanno il coraggio di chiedermi di aprirgli un portale. Naturalmente il tuo opposto era... uhm… diciamo vivace…” spiegò pensoso.
Decisi che era meglio non indagare oltre sul mio riflesso.
“E, gli altri che sono stati trascinati qui, che fine hanno fatto?” chiesi nervosa.
“Dunque… un uomo si è suicidato dopo aver tentato inutilmente di tornare indietro; un altro proveniente da New York è morto dopo aver vissuto pacificamente qui per 50 anni; l’australiano ha provato a tornare indietro ma, per quanto ne so, si è perso da qualche parte nel Giardino degli specchi; quell’altro arrivato due anni fa si è trasferito a meditare in solitudine, o almeno credo… tu sei la quinta che è riuscita ad entrare in questo mondo, nonché la prima ragazza! Io ti consiglio di provare a integrarti con gli abitanti di questo mondo, come aveva fatto il newyorkese, e vedrai che vivrai un’ottima vita piena di eventi appaganti, etc etc…” disse come se stesse recitando uno spot pubblicitario.
“Etc etc?” chiesi scettica.
“Si insomma, credo che tu abbia capito.” ribadì scocciato.
Rimasi un attimo li ha pensare. Aveva detto che comunque qualcuno aveva provato a tornare indietro… quindi un modo c’era. Dovevo solo farmelo dire, cosa più facile a dirsi che a farsi.
“A cosa stai pensando?” mi chiese.
“Mi stavo chiedendo, caro Marco, visto che qualcuno ha provato a tornare indietro, potresti dirmi come fare?” gli chiesi supplicante.
“Senti cara mia… a proposito, come ti chiami?” mi domandò.
“Rebecca…”
Il mio opposto aveva un nome diverso dal mio?
“Bene, mia cara Rebecca, visto che mi stai anche simpatica, preferisco evitare di dirti come avventurarti in una missione suicida. Dunque, vuoi che ti trasporti nella tua nuova casa?” domandò sviando il discorso.
“Stai tentando di cambiare argomento… perché mai dovrei vivere qui se appartengo ad un altro mondo?” chiesi.
Lui, d’altro canto, rimase zitto, perso nei suoi pensieri… là in piedi in quella stanza buia e polverosa. Stranamente tutto questo mi riempì di uno strano senso d’angoscia.
“Senti, facciamo un patto.” proposi io, spezzando il silenzio. “Io proverò a vivere in questo mondo per tre giorni. Se, passati i tre giorni, scoprirò che questo mondo mi piace, rimarrò di buon grado. Ma, se mi fa schifo, mi dovrai spiegare come tornare indietro.”
Lui chiuse gli occhi e rimase a riflettere, sempre in un silenzio più che assoluto. Avrei voluto sapere a cosa pensava.
“Va bene. Se proprio lo desideri, allora faremo così. Ma ti avverto che appena ti rivelerò come tornare indietro non potrai più restare nel luogo dove ti voglio condurre. Quindi, ne sei realmente sicura?” mi chiese.
“Sai già la risposta.”
“Perfetto. Allora seguimi.” mi disse, aprendo un porta.
Quella specie di fortezza dove abitava aveva un qualcosa di inquietante: l’aspetto era proprio come quello di una vecchia casa abbandonata, ma c’erano specchi, specchi a non finire. E, in ognuno di questi, si agitavano ombre e immagini di persone.
“Senti…” iniziai guardando inorridita il tutto “Cos’hanno fatto di male per venire rinchiusi lì dentro?”
“Si sono opposti al mio volere o si sono avventurati nella parte del Giardino dove risiedono le anime degli specchi frantumati.” rispose gelido.
Rabbrividii e continuai a seguirlo lungo il corridoio quando, ad un tratto, mi vidi.
Passato un primo momento di stupore, notai che in realtà non ero io la ragazza seduta al bar con i suoi amici che si vedeva all’interno dello specchio, bensì il mio opposto che, come constai tristemente con una fitta al cuore, era già riuscito a impossessarsi pienamente della mia vita.
“Allontanati subito da lì!” mi ordinò Marco trascinandomi via dallo specchio malefico.
In quel preciso istante capii che dovevo assolutamente tornare indietro. 
 
Quando finalmente uscimmo dalla casa, il sole stava tramontando e l’aria fresca mi sferzava il viso.
“Dove dovrò stare per questi tre giorni?” domandai guardandomi intorno. C’era un’enorme piana erbosa che sembrava continuare all’infinito.
“Puoi scegliere: vuoi andare nella zona che è uguale al vostro mondo? O preferisci restare nella parte più magica?” mi chiese furbo.
Notai con stupore che continuava ad avere sbalzi d’umore terribilmente frequenti: un attimo prima ero cupo e freddo, ora sprizzava energie positive da ogni poro.
“Non credo nella magia… comunque, vada per la seconda.” dissi cercando di riflettere sul tutto.
Comunque, non ebbi neanche il tempo di chiedere come avremmo fatto ad arrivarci che… ZAC! Ci ritrovammo nella parte più magica.
A me sembrava solamente uno spaccato della testa di un matto, che di magico non aveva niente.
Case che si arrampicavano le une sulle altre, erba che cresceva sulle pareti, il cielo che la mattina era di tutte le possibili sfumature d’azzurro e rosso e la sera era nero come l’inchiostro, interi quartieri che si spostavano a loro piacimento, persone che camminava sul soffitto e altre che passavano attraverso i muri o sprofondavano sotto terra… immaginatevi di vivere anche solo per tre giorni in questa pazza città… ma attenzione, ne potreste venir contagiati.
Aveva, certo, anche un che di affascinante, ma io passai gran parte del tempo a bestemmiare contro i muri che sparivano o le persone che camminavano sul soffitto.
Naturalmente Marco mi portò nella casa più pazza di una città che più matta di così si muore.
Lo si vedeva da lontano che quell’abitazione non era normale: i muri erano dipinti ad arcobaleno, le finestre erano posizionate senza un senso logico e la porta d’ingresso aveva l’adorabile abitudine di spostarsi a suo piacimento, cosicché rischiai di volar giù dal quinto piano per ben tre volte di seguito.
“Prego…” disse lasciandomi entrare per prima, mentre pensavo ancora stupita a come avessimo fatto a trasportarci così velocemente da un posto all’altro.
Se l’esterno mi aveva sorpreso, l’interno era ancor più stravagante: le scale si arrampicavano sulle pareti, si incrociavano e, quando avevano voglia, tendevano sparire sotto i piedi del malcapitato di turno. C’era anche un ascensore, ma Marco mi disse che se tenevo alla mia salute mentale e fisica era meglio non entrarci, quindi lo presi in parola e decisi di non entrarci per nessun motivo. Neanche a pagamento.
Naturalmente, una casa matta non può che aver degli abitanti altrettanto pazzi.
In quei pochi giorni in cui ci abitai, riuscì a parlare (più o meno normalmente) con un’unica persona, a cui, oltretutto, mi affezionai molto: il mio vicino di casa. Gli altri inquilini… insomma… non avevano tutte le rotelle a posto.
Basta pensare alla vecchietta del primo piano… suonata come una campana, in tutti i sensi. La mattina andava in giro cantando a squarciagola testi di canzoni al contrario e, quando decideva di aver dato fondo alla sua vena canora, iniziava a parlare ad una velocità a dir poco sorprendente di Tizio, Caio e Sempronio, divertendosi come una bambina a mettere in luce il marcio di tutti questi poveretti.  
“Comunque, non ti preoccupare…” mi disse Marco guardano un altro inquilino, che se ne andava in giro con la bava alla bocca e abbaiando come una cane furioso.
“Ah no?” gli chiesi guardando inquieta l’uomo in questione avventarsi contro un cagnolino a pois.
“Can che abbia non morde.” ripose semplicemente.
“Ah, ti diverti anche a fare il sarcastico?” gli domandai incavolata, mentre l’uomo continuava ad abbaiare furiosamente contro il cane.
“Ma non ti fa niente… piuttosto, siamo arrivati. Tranquilla che il tuo vicino è un tipo molto tranquillo… ah, eccolo che arriva! Samuele!” urlò lui tutto contento.
“Ti prego, fai che sia una persona normale… ti supplico…” pregai in silenzio vedendolo arrivare.
Come al solito le mie suppliche furono bellamente ignorate.


Angolo Autrice:

Incredibile a dirsi ma, eccomi già qua!
Qui vi presento il personaggio di Marco (lo so, è un troppo comune, ma l'alternativa era scrivere Ocram o qualcosa del genere...) e, rullo di tamburi per favore, accenno a Samule! Il prossimo capitolo sarà quasi interamente dedicato a lui!
Comunque, spero che vi sia piaciuto e abbiate pazienza se ho fatto qualche errore di battitura. Avrò controllato il capitolo una decina di volte, ma me ne scappa sempre qualcuno.
Bene, credo di aver detto tutto, tranne che spero che recensiate il capitolo.
Ergo, al prossimo aggiornamento ;)

BekySmile97

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Capitolo 4
*** 3: Inno Russo ***


3: Inno russo
 
L'attuale inno nazionale della Russia, ufficialmente Inno della Federazione Russa (…),è stato adottato con decreto presidenziale del 20 dicembre 2000 in sostituzione del precedente (Canto Patriottico) introdotto nel 1991 al momento della dissoluzione dell'Unione Sovietica…
 
Wikipedia

 
Come ho già detto in quella casa ci abitava un marasma di persone che più matte di così si muore.
Ma, sicuramente, il più matto di quella casa pazza era sicuramente il mio (momentaneo) vicino di casa Samuele.
La prima volta che lo incontrai passeggiava allegramente sul soffitto perché, a sua detta, la porta di casa sua aveva mangiato le chiavi e stava aspettando già da due ore che le sputasse… esternamente era una persona estremamente normale: alto per i bassi, basso per gli alti, gli occhi verdi e vivaci, i capelli scuri e il naso schiacciato… ma questo era all’apparenza. In testa aveva un non so che di vagamente malato, strambo e, di rado, deliziosamente intelligente.
Comunque, dopo averci salutato allegramente decise che l’unico modo per entrare fosse camminare sulle pareti e entrare da una finestra esterna.
“Bene, spero che in questi tre giorni ti convinca a rimanere qui. Ci vediamo presto!” mi disse Marco ammiccando.
“Aspetta e spera.” gli dissi di rimando, entrando nella mia temporanea abitazione.
Appena entrata ci furono svariate sorprese, per la precisione tre:
- Sorpresa numero uno: la porta, appena la chiusi, sparì alle mie spalle e mi lasciò rinchiusa dentro, mentre le urlavo in tutte le lingue conosciute di ricomparire.
- Sorpresa numero due: dopo aver capito che la porta non si sarebbe arresa molto facilmente, andai in camera e il letto, che sembrava veramente comodissimo, era attaccato tranquillamente sul soffitto, sfidando ogni legge di gravità.
- Sorpresa numero tre: abbattuta mi diressi a sdraiarmi sul quel durissimo e scomodissimo divano del salotto e, mentre mi stavo finalmente assopendo, attaccò a suonare ad un volume spaventoso l’inno russo, facendomi venire un infarto.
Per rendervi l’idea di quanto fosse assordante il rumore: prendete un strillo spacca timpani, mischiatelo con il chiasso di un’ambulanza che vi sfreccia di fianco e il fracasso di un tuono. Teoricamente dovrebbe essere un qualcosa di vagamente simile.
Pochi secondi dopo, avendo prima controllato che il mio cuore battesse ad una velocità accettabile, bussavo alla porta del mio vicino di casa, per cercare di capire cosa stesse succedendo.
Mi aprì sorridendo e chiedendomi allegramente cos’era successo.
“Sai cos’è quest… ma stai camminando sul pavimento!” esclamai guardandolo meglio.
“Eh? Guarda che tutti camminano sul pavimento.” mi disse guardandomi come se fossi io la matta.
“Ma… prima… tu… che?” balbettai, prima di ricordarmi cosa ero venuta a chiedere: “Comunque non era questo quello che volevo chiedere. Sai da dove proveniva quel fracasso?”
“Fracasso? Non ho sentito nessun fracasso. Sicura di non aver le allucinazioni?” mi domandò preoccupato.
“Come hai fatto a non sentirlo? Un matto a messo a tutto volume l’inno russo e sono quasi morta d’infarto.” spiegai.
“Piacere, sono io quel matto.” disse allungando la mano.
Lo guardai con gli occhi sbarrati e iniziai ad arretrare lentamente.
“Che fai? Non vuoi neanche vedere la mia geniale invenzione?” mi chiese.
“Quale invenzione?” chiesi più per cortesia che per curiosità.
“La I.S.A.I.R., Incredibile Sveglia Ad Inno Russo.” mi disse sorridendo.
Non ebbi neanche il tempo di correre ad infilarmi nel mio appartamento, che mi trascinò dentro per mostrarmi la sua invenzione: una sveglia.
Una di quelle classiche che quando iniziano a suonare ti spaccano i timpani.
“Non ci vedo niente di particolare…” dissi pentendomi immediatamente di quello che avevo detto.
“Niente di particolare?” strillò inviperito “Niente di particolare? Questa è la stupenderrima ed incredibilissima S.C.S.I.R., Sveglia Che Suona l’Inno Russo!”
“Ma non era I.S.A.I.R.?” ribattei.
“Il nome è ancora in fase di lavorazione... comunque è perfetta!”precisò, mentre io mi lasciai scappare una risata.
“Ridi ridi… tanto lo sai che è incredibile.” ribatté contrito.
“Ma se non so ancora cosa fa!” esclamai.
“Ah... piccolissimo errore mio. Comunque, come avrai capito dal nome, suona l’inno russo per tre volte al giorno: prima mattina, a mezzogiorno e alle nove di sera.” spiegò tutto contento.
“Tre volte?”
“Già… devo perfezionarla in modo che suoni un po’ di frequentemente…” disse pensieroso.
Approfittai della sua momentanea distrazione per nascondermi nel mio appartamento, con l’intenzione di non uscirci per i tre giorni successivi.
 
Quella notte ebbi gli incubi.
Erba talmente alta da sommergermi e affogarmi nel suo verde. Castelli eterei fatti di vetro e anime che singhiozzando camminavano su affilati frammenti di specchi. Un’ombra nera come la notte che mi inseguiva. E due occhi blu… due occhi blu che mi continuavano a controllare senza mai lasciarmi in pace.
Fu quasi un sollievo sentir alle sei del mattino la sveglia spacca timpani che, dopo avermi fatto nuovamente morire di crepacuore e resuscitare, riuscì finalmente a strapparmi dal quel mondo orribile che era nato nella mia testa.
Comunque, dopo essermi ripresa, capii che non sarei riuscita a sopravvivere in quell’inferno rumoroso per altri due giorni.
Dovevo trovare un modo per disattivare quella sveglia.
“Forse potrei buttarla in acqua, oppure prenderla a martellate…” biascicai trascinandomi faticosamente in cucina.
“Ma che accidenti…” sussurrai guardando la porta della cucina posizionata al contrario.
“Eppure ieri era dritta…” pensai guardando il pavimento. Solo che aveva anch’esso qualcosa di strano… mancavano i tappeti! Con orrore appoggiai lentamente la mano dietro la schiena e, non sentendo i miei capelli, finalmente capii cosa stava succedendo.
Ero in piedi sul soffitto!
Neanche il tempo di realizzarlo che cadevo pesantemente a terra, facendomi un male assurdo. Se quella casa stava progettando di uccidermi ci stava riuscendo benissimo.
Dopo essere riuscita a farmi un tè cercai di riflettere a mente fredda sul tutto.
L’orribile sensazione di essere continuamente osservata non era sparita, ma non ci badavo neanche troppo. Stavo cercando di stilare una lista mentale di cose da fare per sopravvivere per i successivi due giorni. Sicuramente dovevo cercare di evitare qualsiasi contatto umano.
Ma poi?
A un certo punto sarei dovuta uscire.
E se mi fossero venuti a scocciare alla porta? Allora che avrei fatto? Li avrei lasciati chiusi fuori come dei baccalà? Che mi sarei inventata?
Finita la tazza di tè, decisi che alla fine non doveva essere tutto così terribile là fuori. Quindi decisi di dargli una possibilità.
Aprii la porta di casa e mossi un passo per uscire, quando un “Attenta!” urlato dal basso mi fece fermare con il piede a mezz’aria.
Per la seconda volta nel giro di un’ora mi ritrovai nel posto sbagliato al momento sbagliato. Più precisamente stavo per precipitare giù dal quinto piano perché la porta aveva avuto voglia di cambiare posizione.
“Non ti darò una seconda possibilità!” urlai al nulla sbattendo la porta.
Niente contatti umani per i prossimi due giorni.  
 
I contatti umani, invece, decisero il contrario.
Anzi, il contatto umano.
Suonò tutto contento al mio campanello e io, anche se tentata di lasciarlo chiuso fuori, aprii la porta al mio vicino di casa che esclamò tutto contento: “Ho trovato un nome perfetto per la sveglia?”
“Ma quando?” gli chiesi scocciata.
“Stamattina, quando stavi per…” iniziò a dire prima di venir interrotto da me.
“Ma quando te l’ho chiesto?” completai la domanda.
“Mai, ma non importa. Ti stavo dicendo che stamattina, quando stavi per cadere, mi è venuto in mente il nome perfetto! Non lo trovi stupendo?” mi chiese euforico.
Annuii sospirando.
Ora come avrei fatto a mandarlo via?
“Pensavo di chiamarla S.C.T.F.P.D.F.!” continuò imperterrito.
Non feci neanche in tempo a chiedergli cosa accidenti voleva da me che concluse con un sorriso a trentadue denti: “Sveglia Che Ti Fa Precipitare Dalla Felicità!”
“Precipitare?” chiesi.
“Stamattina stavi per precipitare dal quinto piano.” rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Sai che sembra un codice fiscale?” gli domandai.
“E che è?” chiese lui di rimando.  
“Che qualcuno abbia pietà di me!” esclamai sbattendogli la porta in faccia.
Ovviamente non conoscevo ancora Samuele che, molto probabilmente offeso, iniziò a suonare il campanello a ripetizione, fino a quando, esasperata, riaprii la porta.
“Che vuoi ancora?” gli chiesi sperando che fosse un qualcosa di veloce.
“Non mi hai lasciato finire di spiegare.” mi disse tutto contrito.
“E che altro c’è da spiegare?” domandai esasperata. 
“Per esempio il fatto che forse ho trovato il modo di farla suonare più di tre volta al giorno!” esclamò.
“Scusami, ma perché sei tanto fissato con l’inno russo?”
Non l’avessi mai fatta quella domanda!
Samuele, entrando in casa, iniziò a parlare a raffica di come aveva fondato un gulag mentale in Siberia, di come trovasse divertente torturare i prigionieri e anche di cose ben più intelligenti.
Il bello che, dopo qualche minuti, mi accorsi che non stava sparando solamente castronate. E finii per trovarmi quasi affascinata da quello che raccontava.
“Ci sei mai stata?” mi chiese di colpo interrompendo il suo macrodiscorso.
Colta di sorpresa balbettai un “no” e, dopo un attimo di silenzio, gli chiesi: “E tu?”
“Non ci sono mai stato semplicemente perché qui non esiste…” spiegò triste.
“Oh… ma Marco aveva detto che esiste una parte simile al mondo in cui vivo.” dissi ripensando a quello che mi aveva proposto il giorno prima.
“No. Non esiste. Cioè… esiste se tu hai già vissuto in un determinato luogo.” lo guardai stranita e lui cercò di spiegarsi meglio. “E’ un mondo basato sui ricordi che hai di luoghi, persone e avvenimenti. Per noi abitanti di questo mondo è solo una enorme distesa di sassi e niente di più.”
“Sai, non sono mai stata in Russia, ma qualche altro posto l’ho visitato… vuoi che te ne parli un po’?” gli chiesi.
Lui annuì e io iniziai a parlare di tutti i posti che avevo visitato, di tutte le persone che avevo incontrato, di ogni ricordo che avevo guadagnato.
Gli raccontai del più e del meno, senza preoccuparmi di dire cose con un senso logico o altro.
Parlai fin quando non mi sentii completamente svuotata e trovai Samuele addormentato.
Mi scappò un sorriso e mi appisolai anch’io sul divano.
Forse qualcosa stava girando per il verso giusto.


Angolo Autrice:

Sono tornata. Ovviamente sono in ritardo su un'immaginaria tabella di marcia, ma va bene lo stesso.
Ok?
Ok.
Dunque, che ne dite? A me piace... ho tentato di fare un capitolo abbastanza leggero sotto tutti i punti di vista, spero di esserci riuscita. In più, ho aggiunto Samuele (sei felice?) e fidatevi che questo personaggio matto non mi abbandonerà tanto facilmente.
Comunque, tanto per informarvi, non vi mangio mica! Potete anche lasciarmi una qualsiasi recensione (anche piena di insulti se volete u.u), non mi offendo! Sono qui soprattutto per migliorare :)
Ergo, credo di aver detto tutto quello che c'era da dire.
Sparisco momentaneamente (spero non per troppo tempo)...

BekySmile97

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Capitolo 5
*** 4: Preparativi ***


4: Preparativi
 
Una casa senza libri è come un corpo senz’anima.
 
Cicerone

 
Di nuovo quell’ombra.
Mi inseguiva nell’erba alta senza pietà e, quando finalmente uscii dal prato, ritrovandomi in un mondo fatto di frammenti di specchi, mi girai e urlai alla figura nascosta nell’erba: “Che cosa vuoi da me?”
Non mi rispose. Si limitò a ridere come un pazzo e a corrermi incontro ad una velocità tale da non permettermi di vederlo in faccia e farmi cadere a terra.
E due occhi blu continuavano ad osservarmi.
 
La botta fu più reale del previsto.
Ero semplicemente caduta giù dal divano, procurandomi un livido enorme sul fondoschiena.
Se un buon giorno si vede dal mattino, allora quello avrebbe fatto schifo.
Scacciai gentilmente Samuele fuori da casa mia e decisi di fare una lista di pro e contro, per capire cosa dire a Marco due giorni dopo (ogni volta che sono indecisa preferisco stilare una lista per aiutarmi a decidere).
I pro di “restare” erano decisamente di più di quelli di “partire”, la cui parte di foglio era intasata di contro.
Era tutto molto chiaro: dovevo tornare a casa.
E chissene importava di tutti i possibili problemi che sarebbero sorti per tornare! Mi mancavano troppo la mia famiglia e i miei amici per rimare là. Quindi uscii per andare alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Evitando attentamente di incontrare il mio vicino di casa , scivolai silenziosamente fuori dall’abitazione e mi misi a camminare in città, cercando di non pensare al sogno appena fatto.
Non sono molto superstiziosa, solo che quei sogni sembravano così reali… quasi quanto la sensazione di essere continuamente osservata da qualcuno. Spesso mi giravo di scatto cercando invano di sorprendere l’inesistente “qualcuno” che mi seguiva, ma ogni volta vedevo solo la strada vuota dietro di me.
Passeggiando senza una meta precisa capii un po’ il perché della scelta di scappare del mio opposto: era tutto molto squallido in certo senso.
Certo, anche affascinate, ma ben poco attraente.
La pazzia di quel luogo sembrava fin troppo messa in risalto, con tutti quei quartieri che si spostavano e le case che non volevano stare dritte. La gente che camminava sui soffitti, quelli che si comportavano come animali o quelli che sembravano così normali erano solo una pallida imitazione di come poteva esser stato questo mondo.
Senza accorgermene mi ritrovai in una via dall'aspetto quasi normale: era formata da un’unica lunga abitazione il cui nome spiccava a lettere cubitali sull’ingresso.
Una biblioteca.
Senza pensarci due volte ci entrai dentro, alla ricerca di non so ben cosa.
Se l’esterno mi era parso ordinario, l’interno era una confusione tale da chiedermi come facesse la gente a leggere qualcosa, soprattutto perché gli scaffali continuavano a viaggiare su rotaie, girando da una parte all’altra dell’edificio, sferragliando allegramente.
“Posso aiutarla?” mi disse una donna comparendo dal nulla.
“Sì grazie, avrei bisogno di un libro… uhm… sul Giardino…” risposi ricordandomi quelle povere anime in pena rinchiuse negli specchi che avevo visto da Marco.
Non feci neanche in tempo a finire di dirlo che la donna scappò via a gambe levate urlando: “Non ne abbiamo!”
Domandandomi il perché dello strano comportamento della donna, fermai un altro bibliotecario, chiedendogli la stessa cosa. Quello, dal’altro canto, impallidì e si aggrappò a uno scaffale facendosi trasportare via. In quel momento ero ancora più curiosa di sapere come mai fosse considerato così inquietante in Giardino.
Girai tutta la biblioteca, chiedendo a chiunque incontrassi una mano e quelli si sbizzarrivano a mostrare le reazioni più strane: un vecchia sparì in mezzo al pavimento, un ragazzo mi urlò dietro una sequela di strani insulti, una bambina iniziò a piangere correndo dalla madre… quando, ormai sconfitta, stavo per andarmene e tornare a casa, un vecchio che mi aveva osservato tutto il tempo ridendo mi disse: “Cara mia, qui nessuno vi darà mai una mano. Hanno troppa paura di cosa c’è nel Giardino anche solo per parlarne.”
“E lei non conosce l’esistenza di un libro che ne parli?” chiesi io di rimando.
“Scaffale 28bis, quello rosso a fiorellini blu, quinto ripiano, terzo libro da destra. Se riuscite ad acchiapparlo vi do anche una caramella o qualcosa del genere.” mi disse con un sorriso sdentato.
“Ottimo…” sussurrai partendo alla rincorsa del suddetto scaffale, che scappava via velocissimo.
Non so come, ma ad un certo punto questo inchiodò di colpo, lasciandomi il tempo di arrampicarmi e prendere il libro, saltando giù in fretta prima che ripartisse.
“Brava ragazza! L’avete preso anche in fretta! Peccato che non ho niente da darvi…” borbottò frugandosi nelle tasche.
“Grazie, ma non importa…” mormorai io aprendo il libro e iniziando a leggerlo con evidente curiosità.
“Ah, eccolo qui! Tenga cara, e ne faccia buon uso.” cinguettò questo ignorandomi palesemente e mettendomi in mano a forza uno spago, prima di uscire zampettando felice.
“Perché toccano sempre a me i più matti?” pensai infilandomi in tasca quello strano regalo prima di tornare a leggere.
 
Passai i due giorni successivi rinchiusa in casa a raccattare tutte le cose che mi sembravano potessero servire alla mia “missione”. Presi di tutto: da un semplice spazzolino a un binocolo ed un sacco a pelo (comparsi magicamente nel mio armadio). In più, facendo molta attenzione, mi ero portata a casa il libro conquistato in biblioteca… non era proprio un furto.
Dopotutto nessuno voleva averci a che fare, no?
Quindi il terzo giorno avevo tutto quello che potesse essermi vagamente utile per partire. Dopo aver convinto la porta ad aprirsi uscii sul pianerottolo dirigendomi verso il mondo esterno, pronta a cercare Marco.
“Dove scappi?” mi domandò Samuele spuntando dal nulla.
Mi maledissi mentalmente per la mia disattenzione e gli risposi: “Torno a casa, ovvio no?”
“Perfetto, vengo anch’io!” esclamò tutto contento tirando fuori uno zaino.
“Cosa? No!” dissi io cercando di capirne il perché.
Corsi giù dalle scale con Samuele dietro, pensando a un modo per farlo tornare indietro.
Ma uscita dalla porta iniziai a pormi dei problemi più importanti di un vicino di casa troppo appiccicoso. Prima di tutto non sapevo come mai avrei mai fatto a contattare Marco, visto che non avevo la più pallida idea di come tornare a  casa sua. Neanche il tempo di domandare a Samuele se lo sapeva che una voce squillante, facendomi prendere un colpo, fugò tutti i miei momentanei dubbi: “Buongiorno Rebecca! Hai deciso quindi di andartene?”
“Ciao… ovvio che ho scelto di andarmene Marco. Posso sapere ora come tornare nel mio mondo?” gli risposi voltandomi.
“Come desideri.” iniziò lui “Ma prima è meglio che tu venga a casa mia, così posso darti anche alcune cose che ti serviranno durante il viaggio.”
Gli faci un cenno e lui ci trasportò (sì, ci. Non dimenticatevi di quel testone di Samuele) in quel tempio di specchi che era la sua casa.
“Bentornata oserei dire. Adesso darà meglio darti e spiegarti tutto… un momento! E questo cosa ci fa qui?” domandò indicando Samuele che era comparso dietro di me.
“Ehm… ecco… insomma…” balbettai io cercando di pensare ad una scusa decente.
“E’ molto semplice, signore.” mi precedette lui. “Voglio andare anch’io nel mondo reale e non trovo miglior modo che accompagnare questa qui.”
Marco lo guardò con un sorriso furbo prima di dirgli: “Se è questo quello che desideri…”
Mi appuntai mentalmente di chiedere a Samuele se aveva perso completamente la testa.
“Comunque.” esordì tornando a parlare con me “Prima di tutto devi sapere che per tornare indietro devi attraversare il Giardino per intero. Questo significa che dovrete anche attraversare la parte riservata alle anime degli specchi frantumati…” continuò facendomi ricordare per la seconda volta in pochi giorni tutti quei prigionieri racchiusi negli specchi che avevo visto l’altro giorno.
“Solo questo?” chiesi cercando di mostrarmi sicura, mentre dietro mi me Samuele impallidiva. Anche lui aveva paura di quei cosi… forse li stavo sottovalutando.
“Diciamo che sto semplificando un po’ il tutto, ma non dovresti avere tropi problemi. Alla peggio muori.” disse il guardiano sfoderando un sorriso a trentadue denti.
Ingoiai un grumo di saliva e, tentando invano di nascondere la mia preoccupazione, gli domandai indicando Samuele: “Muoio? E lui?”
“Fidati mia cara, ci sono cose peggiori della morte in questo mondo...” rispose lasciando aleggiare quella strana minaccia.
Ignorando questi continui misteri, cambiando in parte argomento, gli chiesi: “E cosa volevi darmi di così utile?”
“Questi.” disse porgendomi una bussola, un bottone nero lucido di proporzioni smisurate e una chiave.
Li infilai dentro lo zaino, vicino allo spago del vecchio, cercando di non pensare a cosa mai potesse servire un bottone così grande.
“Ma non dovremmo avere anche una mappa o qualcosa del genere?” chiese Samuele.
“Rebecca sa dove andare, non è vero?” rispose Marco.
Annui ripensando a tutti i sogni che avevo fatto negli ultimi giorni e al libro nascosto nel mio zaino: sapevo dove andare e cosa ci aspettava.
“Ottimo, pronti a partire?” ci domandò sorridente.
Sussurrai un “sì” e, senza neanche darci il tempo di contare fino a tre, Marco ci catapultò via, lontano da tutto e da tutti.
Più precisamente mi fece cadere a faccia in giù in mezzo al fango. Un ottimo inizio direi.
Alzandomi con calma e guardando l’erba alta che ci sovrastava, dissi a Samuele: “Benvenuto nel luogo dei miei incubi.” 


Angolo Autrice:

Sono in ritardo.
Come al solito del resto.
Sta di fatto che tra tutti i compiti che ho dovuto già fare, che sto impacchettando casa mia visto che mi trasferisco e che poi Domenica parto... in poche parole, non ho avuto molto tempo per scrivere.
E non credo che ne avrò molto fino a Settembre, visto che dall'iPad non riesco ad aggiornare T.T
Ergo, questo dovrebbe essere l'ultimio capitolo prima della mia partenza (a meno che per qualche strana ragione non riesca a scrivere, correggere e pubblicare il successivo).
Quindi... bho... mi sembra di aver detto tutto...
Sparisco momentaneamente ma non troppo (?).

BekySmile97

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Capitolo 6
*** 5: Giardino e giardiniere ***


5: Giardino e giardiniere
 
“Non si va in giardino per lavorare” aveva sempre detto Danzelot, “ma per rallegrarsene. E non estirpare mai le erbacce! Non c’è niente di più bello di loro in primavera.”
 
Il labirinto dei libri sognanti
 

“Il luogo dei tuoi incubi?” mi chiese guardandosi intorno. “Certo che ti sei sforzata…”
Sbuffando, gli risposi: “Non so che dirti, si vede che la mia immaginazione è andata in vacanza da qualche parte.”
“… certo che sei proprio acida.” aggiunse dopo un attimo mentre io mi alzavo in punta dei piedi cercando di capire in che punto del Giardino fossimo.
Mugnai qualcosa e mi incamminai con Samuele dietro che protestava per la mia indifferenza.
“Potresti dirmi anche qualcosa… non c’è giusto a stuzzicarti se non rispondi.”
“Se ti rispondessi staresti zitto?” gli domandai.
“No.” mi disse con semplicità.
Sospirai ed accelerai il passo.
“Come fai a sapere che strada prendere?” mi chiese ancora.
“L’ho letto su un libro.” risposi cercando di non perdere la pazienza.
“Che libro? Non esistono libri sul Giardino…” mi disse affiancandomi.
“Invece sì... l’ho trovato in una biblioteca.” specificai notando che mi guardava come se fossi pazza.
“Una biblioteca?” mi chiese con tono scettico.
“Sì… sai quei luoghi pieni di scaffali contenenti dei libri? Ecco, si chiamano biblioteche e…” dissi prima che mi interrompesse con un secco: “So cos’è una biblioteca, solo che pensavo che non ne esistessero più.”
“Ovvero?” chiesi incuriosita.
“Teoricamente erano state chiuse tutte… ma li hai detto che quel libro probabilmente non lo riavranno mai più?” mi domandò, mentre l’erba ondeggiava al nostro passaggio.
“Diciamo che ho optato per un prestito prolungato…” borbottai arrossendo un po’.
“Quindi l’hai rubato.” precisò guardandomi.
“Non esattamente… insomma, non sapevano neanche che esistesse!” sbottai, cercando vanamente di difendermi.
“… cleptomane.” mugugnò allungando il passo.
“Non è vero!” esclamai raggiungendolo.
“E tutte le cose che hai nel tuo zaino? Da dove spuntano fuori?” mi chiese.
“Beh… in quell’appartamento non ci abitava nessuno…” dissi guardandomi distrattamente intorno, mentre il terreno sotto i miei piedi sembrava quasi… ondeggiare, quasi come se mi trovassi in piedi sul ponte di una barca.
“Però quegli oggetti saranno stati di qualcuno.” insistette e vedendomi di colpo immobile aggiunse: “Che hai?”
“Non ti sembra che il terreno tremi?” domandai alzandomi in punta dei piedi per cercare la causa di quello strano movimento.
Scosse la testa e riprese a camminare, ignorando completamente la mia domanda.
Eppure…
 
Al tramonto ero un fascio di nervi e avevo lo stomaco completamente chiuso.
“Perché non mangi?” mi domandò Samuele squadrandomi.
“Non ho fame… non senti il terreno ondeggiare?” gli chiesi per l’ennesima volta.
“Acida, cleptomane, paranoica… devo aggiungere altri aggettivi alla lista dei tuoi difetti?”
“Oh, fa quel che vuoi! Io continuo a sentire tremare tutto, che posso farci? Chiamami pure paranoica, ma qui c’è qualcosa che non va… oltretutto, là in lontananza, mi sembra di vedere avanzare qualcosa.” spiegai strizzando gli occhi sul tramonto. 
“Direi che posso aggiungere anche visionaria. Hai altro da aggiungere?” disse scettico guardandomi saltellare per guardare più lontano.
“Che ho paura del momento in cui potrò finalmente dire "te l’avevo detto"…” gli risposi sedendomi per terra e chiudendo gli occhi, mentre le scosse aumentavano d’intensità.
Avevo letto qualcosa su una specie di guardiano del Giardino, solo che, in tutta sincerità, non avevo badato molto a quella parte del libro… era talmente noiosa che mi ero addormentata sulle sue pagine come se niente fosse.
“Prova a chiudere gli occhi.” dissi battendo i piedi a tempo con il tremolio.
“Sembrano quasi dei passi…” aggiunsi dopo un attimo rialzandomi in piedi e tornando a guardare la figura nera che lentamente si avvicinava.
Illuminata, corsi allo zaino e sfogliai il libro alla ricerca di qualcosa che potesse confermare i miei sospetti. Cacciai un urletto di felicità quando trovai la nota giusta: “Ascolta qua! Il Giardino ha diversi guardiani che controllano le sue parti: il primo di questi è il giardiniere, anche se un termine più corretto per definirlo sarebbe “spaventapasseri”. Infatti il giardiniere è un enorme pupazzo composto da sacchi di tela grezza capace di spostarsi liberamente nel suo territorio, rastrellando continuamente il terreno grazie ai rastrelli posti come piedi e tagliando le erbacce con le forbici impiantate nella sua mano sinistra…ma è orribile! La cosa peggiore è che quel coso si sta avvicinando a noi… ma… Samuele! Come fai a dormire in un momento del genere?” gli urlai nelle orecchie facendolo sobbalzare.
“Perché mi hai svegliato?” sbadigliò stiracchiandosi del tutto incurante della mia espressione arrabbiata.
“C’è uno spaventapasseri gigante che si dirige verso di noi e tu mi chiedi perché ti ho svegliato?” gli domandai con un tono di voce che rasentava l’isteria.
“Certo, certo…” borbottò riaddormentandosi all’istante.
Alzandomi ancora una volta in punta dei piedi vidi che la figura aveva cambiato direzione, dirigendosi verso un’altra parte del Giardino; borbottai qualcosa di indefinito contro Samuele e mi infilai più o meno tranquilla nel sacco a pelo, assopendomi immediatamente.
 
Il mio sonno, però, non durò a lungo.
Alla folla che riempiva i miei incubi si aggiunse anche la figura sfocata dello spaventapasseri che mi calpestava con i suoi rastrelli e, mentre il giardino dondolava come una nave in mezzo al mare d’erba, il suono assordante della sveglia di Samuele.
“Io giuro che un giorno di questi la faccio a pezzi…” mugugnai svegliandomi mentre il suono diventava poco a poco sempre più flebile, fino a smettere del tutto.
“Perché ha smesso così presto?” mi domandai aprendo gli occhi e girandomi verso Samuele.
Era sparito.
Lui e tutto quello che sia era portato dietro si erano praticamente volatilizzati… non era rimasto niente di niente.
Mi alzai lentamente e raccolsi tutte le mie cose, pigiandole nello zaino, facendo finta che non fosse nulla di strano: insomma, se se ne era voluto andare, cosa mai ci potevo fare? 
Assolutamente nulla.
Per questo ripresi la mia marcia nel fitto dell’erba, abbandonando in pochi attimi lo spiazzo in cui mi ero accampata la notte prima e cercando di ignorare il silenzio opprimente che si era venuto a formare intorno a me e l’assenza totale di quell’ondeggiamento che mi aveva tanto preoccupato il giorno prima... continuavo solo a chiedermi perché se fosse andato...
Aveva avuto paura? Si era stufato di me e delle mie paranoie? Aveva deciso che era meglio continuare da solo? E, soprattutto, perché se ne era andato pochi attimi dopo che la sua sveglia aveva iniziato a suonare?
Non riuscivo a trovarne il senso.
Ma, più cercavo di smettere di pensare, più le domande tornavano insistenti a martellarmi in testa, tanto che, dopo qualche ora, non mi accorsi quasi che il terreno aveva incominciato a dondolare nuovamente. Ormai avevo deciso che il “dondolamento” era dovuto al passeggiare del giardiniere nel suo territorio e, quindi, iniziai a correre verso la parte opposta da cui provenivano i passi, trovandomi in pochi attimi su un enorme sentiero di pietra che scendeva lentamente verso un casotto di legno che intuii fosse la dimora dello spaventapasseri.
Sentendo che le scosse aumentavano mi rifugiai in mezzo ai sassi che delimitavano il sentiero e aspettai.
Qualche minuto dopo comparve il giardiniere che, mugugnando qualcosa di incomprensibile, tornava verso il casotto.
Non faci neanche caso a quanto fosse grande, o a quanto fossi pericolosamente vicino a farmi scoprire perché, in un barattolo appeso alla cintura del gigante, avevo appena ritrovato il mio compagno di viaggio. 


Angolo Autrice:

Dire che sono paurosamente in ritardo è dire nulla... diciamo che ho avuto alcuni problemi di vario tipo al ritorno a scuola che mi hanno fatto sinceramente riflettere se valesse la pena continuarla.
In ogni caso alla fine ho scritto questo capitolo (che, diciamocelo, fa anche un po' schifo) e... boh... sinceramente non so che scrivere.
Se volete insultarmi, fate pure. Se pensate che sia salvabile, ditelo.
Ho bisogno di pareri per decidere se andare avanti o no.
Baci,

BekySmile97 


 

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