Attimi

di semplicementeme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: Lei ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Lui ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Loro ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: Lei ***


Nuova pagina 1

Attimi

Capitolo I : Lei

La moto sfreccia veloce.

Pattina sull’asfalto nero e nel buio della notte siamo solo dei puntini.

Le auto vicine sono molto più lente di noi.

Sembra che si muovano a rallentatore.

Sono attimi.

Fotogrammi di una notte.

Vorrei stringermi a te.

Al tuo torace.

Vorrei poggiare la testa sulla tua schiena ma non posso.

Il casco me lo impedisce.

O forse è qualcosa dentro di me.

Sono attimi.

Le dita appoggiate sul carburatore fanno male.

I crampi iniziano a diventare fastidiosi.

Non dico nulla.

Abbiamo litigato.

Tutto per colpa di questa moto.

Tutto per colpa sua.

Una lacrima scivola silenziosa.

No.

Non è colpa della velocità.

È il mio cuore che piange.

Io non riesco a stare con te.

Non in questa maniera.

Sei sempre dietro lei.

Usciamo e non possiamo fare più di duecento metri perché non la vedi più.

Andiamo a mangiare in un posto e devi tenere sempre sott’occhio la tua moto.

Sono stanca e gelosa.

Gelosa di una moto.

Non sai quante volte ho pensato di prenderla a martellate e distruggerla.

Poi però mi fermo.

Non posso privarti di lei.

Ti farei del male.

Ed il male che fai a me?

Non conta.

Però adesso basta.

Io non posso stare con te in queste condizioni.

Tu… mi stai tradendo per colpa di questa… cosa.

Lei ti ha portato via da me.

Oggi l’ennesima lite.

Ancora per lei.

Lo zaino che ho sulle spalle pesa.

Tra catene e bloster il peso da sostenere è eccessivo per la mia schiena.

Tu però non mi ascolti.

Dici che sono solo io a non volere capire.

Io… sono sempre io.

Io non capisco.

Io non vedo.

Io non ascolto.

Io sono sbagliata.

E tu?

Sei tanto meglio di me?

Ed intanto un’altra lacrima scende furtiva dai miei occhi.

Mi volto a vedere il mare alla mia destra.

La luna che si rispecchia in questa tavola blu.

È bellissima.

Alzo gli occhi al cielo e lo vedo trapunto di stelle.

Una stella cadente.

Seguo la scia.

Una lacrima.

Un desiderio.

“Aiutami”.

Sono attimi.

Torno a guardare il mare in cerca di un po’ di pace.

Chiudo gli occhi e lascio che il vento sul viso porti con sé le mie lacrime.

Restiamo in silenzio.

Non parliamo.

Non abbiamo nulla da dirci.

Non più. Io… ho deciso di lasciarti.

Troppo diversi, e la moto è solo la scusa.

Lo so io.

Lo sai tu.

Tu. Bello. Ricco. Intelligente.

Il principe azzurro e non perdi mai occasione per ricordarmelo.

Io. Gradevole. Povera. Allegra.

La Cenerentola delle fiabe, quando lo dico mi rimproveri, ma in fondo sai che ho ragione.

Diversi.

Lontani anni luce.

Ed io adesso sono stanca.

Dopo otto anni dico basta.

Non si tratta della moto, ma di noi.

Ti amo ma non posso sentirmi sempre inferiore a te.

Non posso.

Ed oggi le tue parole mi hanno fatto aprire gli occhi.

Ti faccio fare la vita di una principessa e non puoi lamentarti.

Come se io non potessi permettermi di fare nulla.

Acceleri come se stessi percependo i miei pensieri.

Acceleri come se volessi scacciare via il mio dolore ma non funziona così.

Non puoi farmi piangere e poi dirmi “Scusa. Non volevo.”

Fa comodo.

Ma è scorretto.

Chiudo gli occhi e rendo la presa ancora più salda.

Ho paura della velocità.

Ho paura di cadere.

Ma per orgoglio non dico nulla.

Sono in apnea.

Sono attimi.

La velocità è tale da farmi mancare il fiato.

Ma stasera è l’ultima volta che ci salirò.

Voglio godermi sino alla fine questa corsa.

Ho deciso di vivere quest’ultima corsa.

Me lo hai portato via.

Hai vinto la guerra.

Io voglio vincere l’ultima battaglia.

Voglio vedere mentre sfrecciamo a tutta velocità per le strade notturne.

Impaurita apro gli occhi.

Un’altra lacrima, ma questa causata dalla velocità.

Sorrido mestamente al pensiero che sarà l’ultima volta.

Non ci saranno altre possibilità di godere di questo.

Il tuo profumo.

Il tuo calore.

È l’ultima volta.

Osservo il mare per un istante.

Poi riporto lo sguardo davanti a noi.

Ed allora la vedo.

Una macchina sorpassa in curva.

Arriva diritta davanti a noi.

Mi dici di stringermi al tuo torace.

Lo faccio.

Sono attimi.

Interminabili.

Il cuore batte a mille.

Lo sento in testa.

Sono attimi.

Le luci dell’auto mi abbagliano.

Chiudo gli occhi impaurita.

Il respiro accelerato.

Sono attimi.

Tu che cerchi di decelerare.

La sterzata.

Lo stridere delle ruote sull’asfalto.

Sono attimi.

Il botto.

Le orecchie che fischiano.

Il rumore di qualcosa che va in pezzi.

Sono attimi.

Dolore? No. Non sento nulla.

Sono attimi.

Mi rialzo come se non fosse successo nulla.

Mi guardo attorno.

La vedo.

Lei. La moto.

A terra su di un fianco.

La ruota davanti ancora gira, come se fosse leggera, come se fosse quella delle biciclette.

Il faro si accende e si spegne.

La carena completamente distrutta.

Istintivamente mi porto le mani alla bocca.

Sono attimi.

Cerco di slacciare il casco ma con sorpresa noto di non indossarlo più.

Deve essermi caduto durante la caduta.

Un senso di angoscia mi pervade l’animo.

Mi volto a destra e a sinistra.

Ti vedo.

Sdraiato in terra.

Corro verso di te.

Mi inginocchio.

Non ti sfioro.

Non riesco.

I jeans strappati.

Il maglione lacerato.

Il casco mezzo rotto.

Il viso tumefatto dagli urti.

Paura.

Il sangue scivola lento da una ferita alla tempia.

Una pozza di sangue si allarga sull’asfalto.

Sono attimi.

Piango.

Allungo una mano.

Mi blocco.

Ho paura.

- Non puoi fare nulla per lui.

Una voce infantile. Triste. Addolorata.

- Cosa vuoi dire?

Neanche mi volto verso chi mi ha parlato.

Tremo. Paura. Panico.

- Sono qui per portare via la sua anima.

Solo adesso trovo il coraggio per farlo.

Mi volto lentamente.

Deglutisco.

- Chi sei?

Una bambina.

Sei, al massimo sette anni.

Pallida. Magra.

I capelli corvini lasciati liberi sulle spalle.

Occhi azzurri come i ghiacci.

Espressione seria e composta.

- Sai chi sono.

Ancora la sua voce infantile.

Il tremore aumenta.

Mi alzo e mi paro davanti al tuo corpo, come a volerti proteggere.

- No. Non lo so. Chi sei?

Non ci credo.

È solo un incubo.

- Perché vuoi soffrire?

Una lacrima solca la mia guancia.

Ormai ho perso il conto di quante ne ho versate.

- Chi sei?

La voce strozzata esce dalle mie labbra.

I singhiozzi quasi mi impediscono di parlare.

La bambina sospira.

È come se fosse un’adulta imprigionata nel suo corpo di bambina.

La sua voce arriva come una condanna.

- La Morte.

Le mie speranza si infrangono.

No. Non è una bambina.

Non è umana.

La Morte non è mai umana.

Ti porta via ciò che più ami.

Come sta facendo adesso.

Mi avvicino di corsa alla bambina.

L’afferro per le spalle e la scuoto ripetutamente.

- Perché? Perché lui?

Lei non risponde.

Mi osserva con i suoi occhi di ghiaccio.

In fondo ad essi posso leggervi tutto il dolore che sta provando in questo momento.

Forse…

Forse anche la morte è umana.

Ho ancora qualche speranza.

- Perché lui?

Ancora la mia domanda.

Ancora la mia voce strozzata.

- Il suo cuore si sta per fermare.

È solo in questo momento che una domanda si formula nella mia mente.

Sono attimi.

- E se prendessi me?

La bambina mi guarda interrogativa.

Ripeto ancora la mia richiesta.

- Prendi me al suo posto. Io sono viva. Sto bene.

La bambina scuote il capo addolorata.

Volta il viso da un’altra parte ed io seguo il suo sguardo.

Ed allora me ne accorgo.

Proprio dove mi trovavo io pochi minuti fa c’è un corpo.

Mi avvicino lentamente.

Non voglio lasciarti solo ma non posso fare diversamente.

Avanzo lentamente.

Nel mio cuore già so cosa troverò.

Infatti non mi sono sbagliata.

Sono io.

Lì a terra.

Sdraiata su di un fianco.

Il braccio sinistro ricade sul fianco destro.

Il casco ancora allacciato.

Respiro?

- Sì. Sei ancora viva.

Osservo il sangue solcare il mio viso.

La manica del giubbotto è strappata.

Un pezzo di acciaio è conficcato nel mio braccio.

Mi inginocchio distrutta.

Mi volto verso la bambina che si è inginocchiata al mio fianco.

- Adesso ti trovi in una specie di limbo.

La sua voce sembra più tranquilla di prima.

- Sono in coma?

Sembra pensarci su, alla fine annuisce con il capo.

- Se sono ancora viva allora puoi prendere me.

La bambina mi guarda senza capire.

È come se le stessi dicendo qualcosa di folle.

- Sei qui per prendere un’anima. Che importa se è la sua o la mia?

Scuote il capo inorridita.

- Il suo cuore si sta per fermare. Il tuo no.

Sono io stavolta a scuotere il capo.

- Perché la mia anima non va bene?

Non sa cosa rispondermi.

Mi avvicino e poso delicatamente una mano sulla sua spalla.

È molto più bassa di me.

Devo chinare il capo per poterla guardare negli occhi.

Un po’ come fai tu quando devi parlarmi.

- Prendi me. Andiamo, non ti cambia nulla.

- Tu volevi lasciarlo prima dell’incidente.

Le sue parole arrivano come una doccia fredda.

Prima dell’incidente.

Una vita fa.

Sono attimi.

- Lo so. È vero. Ma lo avrei lasciato vivo. Adesso è diverso.

La bambina inizia a piangere e a fare di non con la testa.

Il suo è un pianto disperato che mi stringe il cuore.

Mi avvicino e l’abbraccio cercando di tranquillizzarla.

- Perché? Tu lo volevi lasciare. Adesso… adesso ti sacrifichi per lui. Perché?

Asciugo le sue lacrime.

Sorrido davanti a questa bambina.

Sì. È solo una bambina.

Mi ero illusa che fosse la morte ma non è vero.

È solo una creatura innocente.

- Lo amo e non potrei sopravvivere sapendo che non ho fatto nulla per salvarlo.

I singhiozzi si acquietano.

Le guance hanno acquistato un po’ di colore.

- Se verrai via con me non potrai più tornare indietro.

La guardo.

È così piccola ma riveste un ruolo così importante.

- Non preoccuparti. Lo so ma devo farlo. Io lo amo.

Lei mi guarda smarrita.

- Ed i tuoi genitori?

I miei genitori?

Non avevo pensato a loro.

Mamma. Papà.

- Mi perdoneranno.

I singhiozzi della piccola diventano più forti.

Ha ripreso a piangere come prima.

Disperatamente.

- Lui non lo avrebbe fatto per te.

Forse è vero.

Lui non si sarebbe mai sacrificato al posto mio.

- Però lo avrebbe fatto per la sua moto.

La bambina si ferma e sorride tristemente.

- Lo fai per amore?

Annuisco serena.

Morirò per amore.

Spero solo che lui si ricordi di me.

- Sai che non potrai tornare indietro e che Nessuno si impietosirà per il tuo sacrificio?

Annuisco ancora.

Non è un film.

Lo so.

- Vuoi… vuoi vederlo per l’ultima volta?

Mi fermo.

Vederlo per l’ultima volta?

Sono attimi.

- No. Preferisco conservare il ricordo del suo volto sorridente.

Adesso è il turno della bambina di annuire.

Mi porge la mano ed io l’afferro senza paura.

Un paio di passi e poi mi blocco.

- Ci hai ripensato?

- No. Solo che… soffrirò?

Lei scuote la testa e riprendiamo il nostro cammino.

Piango perché non potrò più rivedere i miei cari.

Piango perché so che mia madre soffrirà tanto da desiderare di morire.

Piango perché temo per mio padre. Il suo cuore già provato dovrà reggere un dolore simile.

Piango perché so che lui si sentirà in colpa.

- Se vuoi… possiamo fare uno strappo alle regole. I tuoi cari sapranno che li ami.

Sorrido alla piccola.

Asciugo le mie lacrime.

Sento il cuore più leggero.

È questo quello di cui avevo bisogno.

Essere rassicurata.

Con l’animo leggero la seguo.

Dopo un paio di minuti rompo il silenzio.

- Come ti chiami?

Mi fissa interdetta.

- Cosa vorresti dire? Il mio nome è Morte.

Scuoto la testa e cerco di formulare diversamente la mia domanda.

- Avrai un nome con cui gli altri ti chiamavano prima di iniziare... questo lavoro!

Lei si volta e mi guarda triste.

- Non lo ricordo più.

- Che ne diresti se te ne dessi uno io?

Mi guarda e annuisce contenta.

Mi soffermo a ragionare.

Poi ho l’idea.

- Che ne dici del nome Sara?

- Perché Sara?

L’abbraccio forte.

Sento un po’ di calore.

Ma non è il tuo.

- Sara è il nome che avrei voluto dare ad una figlia.

- Sì, mi piace. Sara… suona bene!

Sorride Sara.

Sorride come una bambina.

Insieme continuiamo questo percorso che mi porterà non so dove.

Però sono felice.

Ti ho salvato.

Non avrebbe avuto senso lasciarti morire.

Volevo lasciarti è vero.

Ma ti avrei lasciato vivo.

Con un futuro davanti.

Con un’intera vita da vivere.

Non potevo permettere che Sara commettesse un simile errore.

Hai mille motivi per vivere.

Da oggi ne avrai mille ed uno.

Dovrai vivere anche per me.

Vivi sereno.

Vivi felice.

Io sarò sempre pronta a vegliare su di te.

Perché?

Perché adesso sei tu che non capisci!

Ti amo.

Ti basta come spiegazione?

Ammetto che la parte relativa all’incidente dove la protagonista parla della moto come se si trattasse di una persona in carne ed ossa è assurda, ma che volete farci. Molti ragazzi vivono per le loro moto dimenticandosi delle persone che le circondano.

Le frasi sono brevi e striminzite, ma è una scelta narrativa. Spero di dare velocità al racconto.

Questa è la prima parte. A breve cercherò di pubblicare il secondo capitolo con i pensieri di lui.

Spero che qualcuno si fermi a leggerla e che trovi il tempo per lasciare qualche recensione.

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Capitolo 2
*** Capitolo II: Lui ***


Nuova pagina 1

Capitolo II: Lui

La moto sfreccia veloce.

Scivola veloce sull’asfalto nero.

Le auto al nostro fianco sono piccole e lente.

Si muovono a rilento.

Sono attimi.

Fotogrammi di una notte.

Vorrei sentire il calore del tuo corpo.

Vorrei sentire il tuo respiro sul mio collo.

Vorrei avvertire il peso leggero del tuo capo sulla mia schiena.

Ma non è possibile.

Il casco ci separa.

O forse non è il casco.

Un muro si è frapposto tra noi.

Un muro di paure ed incomprensioni.

Sono attimi.

Muovi le dita poggiate sul carburatore.

I crampi ti danno fastidio.

Il tuo orgoglio ti impedisce di chiedermi di rallentare.

Abbiamo litigato.

Ancora.

E sempre per lo stesso motivo: la mia moto.

Tutto per colpa della moto che sto guidando.

Ti osservo dallo specchietto.

Una lacrima scivola silenziosa sulla tua guancia.

Non so se è la velocità.

Non credo.

Oggi sei stata chiara.

Sei stanca di questa storia.

E forse hai ragione.

Sto diventando paranoico.

Non riesco più ad allontanarmi da lei per paura che la possano rubare.

Non andiamo a cena fuori se non posso tenerla sotto controllo.

Sono paranoico.

Solo stasera me ne rendo conto.

Sei stanca e gelosa.

E ne hai diritto.

Quante volte hai avuto l’impulso di distruggerla?

Tante.

E perché non lo hai mai fatto?

Per me.

Lo so.

Ed oggi ho superato il limite.

Ti ho accusata di essere falsa.

Ti ho detto che non ti saresti mai potuta permettere tutto questo.

Non è vero.

E tutto perché ti sei lamentata della pesantezza dello zaino.

Tra catena e bloster il peso per le tue spalle è eccessivo.

Ti ho detto che non capisci.

Non voglio ascoltarti.

Sono solo scuse.

Sei tu che non vuoi capire.

Tu… sempre tu.

Tu non capisci.

Tu non vedi.

Tu sei sbagliata.

Ed io?

Io sono tanto meglio di te?

No. Non sono mai stato migliore di te.

È questa la verità.

Io non sono mai stato migliore.

È per questo che ti accuso.

Solo per sentirmi alla tua altezza.

Ed intanto un’altra lacrima scende furtiva dai tuoi occhi.

Adesso lo so.

Piangi per il dolore.

Con la coda dell’occhio osservo il mare.

Solo un attimo.

Non posso distrarmi.

La luna si specchia nel mare.

È bellissima.

Non quanto te.

Guardo il cielo.

Mi concedo solo questo.

Una stella cadente.

Seguo la scia.

Poi torno a fissare ancora la tua immagine dallo specchietto retrovisore.

Un’altra lacrima.

Un desiderio.

“Non farmela perdere.”

Sono attimi.

Torno a guardare il mare.

Chiudi gli occhi ed il vento porta via le tue lacrime.

Vorrei essere io a portare via le tue lacrime

Vorrei essere io a baciare il tuo viso.

Restiamo in silenzio.

Non parliamo.

Non abbiamo nulla da dirci.

Non più. Tu… hai deciso di lasciarmi.

Troppo diversi, e la moto è solo la scusa.

Lo so io.

Lo sai tu.

Tu. Bella. Dolce. Intelligente.

La mia Principessa che troppo spesso si sottovaluta.

Io. Normale. Spigoloso. Irritabile.

Sono fortunato ad averti incontrata e a possedere il tuo cuore.

Diversi.

Lontani anni luce.

E tu adesso sei stanca.

Dopo otto anni dici basta.

Non si tratta della moto, ma di noi.

Mi ami ma continui a sentirti sempre inferiore a me.

Non puoi.

Non lo sei.

Sono io ad essere indegno.

Sono io a dover baciare il suolo su cui cammini.

Ed oggi le mie parole sono state la classica goccia che fa traboccare il vaso.

Ti faccio fare la vita di una principessa e non puoi lamentarti.

Sei tu che mi fai fare la vita di un Principe.

E tutto grazie al tuo amore.

Accelero per non ripensare ai tuoi occhi feriti.

Accelero per scacciare via il dolore che provo nel cuore.

Non volevo. Perdonami. So che “Scusa. Non volevo” stavolta non funzionerà.

Ho sbagliato.

Ti ho ferita.

Stringi le dita al carburatore.

Hai paura della velocità.

Ti prego dimmi di rallentare.

Non continuare con questo silenzio.

Accelero ancora di più.

Il fiato mozzato.

Sono in apnea.

Amo la velocità.

Non lasciarmi.

Non dirmi basta.

Ho bisogno di te.

Ho bisogno di te per sentirmi migliore.

Scivoli dal sedile di dietro.

Sei più vicina.

Il tuo profumo.

Il tuo calore.

I tuoi capelli solleticano il mio collo.

Gli occhi chiusi lentamente si aprono.

Hai deciso di goderti questo ultimo viaggio.

No.

Io non te lo permetterò.

Non voglio lasciarti andare.

Mi distraggo.

Ed è fatale.

Una macchina sorpassa in curva.

Arriva diritta davanti a noi.

Ti dico di stringermi al tuo torace.

Lo fai.

Sono attimi.

Interminabili.

Il tuo cuore batte a mille.

Lo sento in testa.

Sono attimi.

Le luci dell’auto ci abbagliano.

Chiudi gli occhi impaurita.

Il nostro respiro è accelerato.

Sono attimi.

Io che cerco di decelerare.

La sterzata per evitare l’impatto frontale.

Lo stridere delle ruote sull’asfalto.

Sono attimi.

Il botto.

Le orecchie che fischiano.

Il rumore di qualcosa che va in pezzi.

Sono attimi.

Dolore? No. Non so neanche se sono vivo!

Sono attimi.

Cerco di alzarmi ma non riesco a muovermi.

Sto forse morendo?

È questo morire?

Perdere il contatto con il corpo.

Perdere il contatto con la realtà.

Perdere il contatto con tutto ciò che ci circonda.

Cerco di aprire gli occhi, ma sento le palpebre troppo pesanti.

Dove sei?

Stai bene?

Perché non ti sento vicina?

Amore mio come stai?

Cosa ti ho fatto?

Sono attimi.

Interminabili attimi.

Maledetta moto.

Maledetto io che non ti ho saputo proteggere.

Dio ti prego… ascoltami.

Aiutala.

Proteggila.

Una preghiera che è per lei.

Io… posso anche morire ma che lei viva ancora.

Che il suo sorriso illumini ancora le giornate di pioggia.

Che qualcuno ci aiuti.

Non lasciateci qui.

Aiutatela.

Lei è… la mia vita.

Lentamente riapro gli occhi.

Riesco a farlo.

Ma sono debole.

Vedo la mia moto.

La ruota anteriore gira ancora, sembra leggera, come quella di una bicicletta.

Il faro davanti si accende e si spegne ad intermittenza.

La carena completamente distrutta.

Non mi importa di quell’ammasso di ferro.

Non adesso.

Ho bisogno di te.

Ho bisogno di saperti al sicuro.

Ti cerco.

Su questo asfalto freddo.

Ti cerco ma spero di non trovarti.

Magari stai cercando di chiamare aiuto.

Forse è per questo che non sei con me.

Certo.

È per questo motivo.

Il cielo stellato è ancora sopra di noi.

La luna si rispecchia ancora nel mare.

Un mare tinto di rosso.

Rosso sangue.

Alla fine ti trovo.

Ti vedo.

Lì. Da sola.

Stesa sull’asfalto.

Sdraiata su di un fianco.

Sei lontana.

Non riesco a muovere un muscolo.

Vorrei correre da te.

Non posso.

Non ho la forza.

Sei così piccola.

Indifesa.

Fragile.

Una lacrima sfugge al mio controllo.

Fatemi morire, ma salvate lei.

Sono attimi.

Gelo.

Improvviso.

Inspiegabile.

Un gelo che viene dal mio cuore.

No.

Tu non puoi morire.

Non puoi lasciarmi.

Ti prego.

Non abbandonarmi.

Con le poche forze che ho a disposizione mi alzo.

Ti raggiungo.

Mi inginocchio al tuo fianco.

Non ti sfioro.

Ho paura di farti male.

Urlo di chiamare un’ambulanza.

Perché?

Perché non apri gli occhi?

Guardami amore mio.

Ti prego non mi lasciare.

Piango ormai senza più freni.

Le mie lacrime si infrangono sul tuo casco.

Vorrei asciugare il sangue che sporca il tuo viso.

Mi avvicino per farlo ma mi blocco.

E se ti facessi del male?

Sei così fragile.

Mi inginocchio vicino al tuo orecchio ed inizio a parlarti.

Ti chiedo di non lasciarmi.

Di continuare a sorridermi.

Ti prego.

- Non può più sentirti.

Mi volto verso la fonte di questa voce.

Una voce infantile. Piccola. Leggermente acuta.

Una bambina.

Sei, sette anni al massimo.

Capelli neri e liscissimi che ricadono sulle spalle.

Sul viso un’espressione triste.

Non mi curo di lei e continuo a parlare con te.

Ti chiedo di restarmi accanto.

- Ho detto che non può più sentirti. Lei ormai ha scelto.

Alzo la testa verso la bambina.

I suoi occhi color del ghiaccio sono pieni di dolore.

- Vai da tua madre. Non è un posto adatto ad una bambina.

Ma lei sembra non capire.

Continua a guardarci.

- Lei ha scelto di morire per salvare te.

Alzo la testa di scatto e guardo negli occhi la bambina.

Sembra così ingenua. Così debole.

- Che cazzo stai dicendo? Vai da tua madre immediatamente.

- Non puoi negare l’evidenza. Ha scelto di morire.

Non mi trattengo oltre.

Afferro la piccola per un braccio e la scuoto ripetutamente.

Le impongo di non fiatare.

Le ordino di sparire.

Lei resta ferma al suo posto.

Mi guarda sempre con quell’espressione triste.

Ormai stanco la guardo negli occhi.

- Chi sei?

Sulle sue labbra si disegna uno strano sorriso.

Scuote il capo e ti guarda con tenerezza.

Non sembra più una bambina.

Sembra molto più grande.

- Anche lei mi ha fatto la stessa domanda.

Mi guarda e torna guardare te.

Si avvicina al tuo viso e sta quasi per sfiorare la tua guancia.

Quasi però.

La blocco.

Lei non può toccarti.

Nessuno può farlo.

Mi guarda diritto negli occhi.

Poi con la voce più triste di questo mondo mi risponde.

- Sono la Morte.

Sono attimi.

Non può essere.

È solo un incubo.

Tra un po’ mi sveglierò e ti troverò al mio fianco.

Addormentata.

La morte è qualcosa di… definitivo.

È qualcosa lontano da noi.

Abbiamo tanti progetti.

Non puoi aver rinunciato a loro.

Non puoi.

E la nostra famiglia.

Ed i nostri figli?

- Lei ha deciso di morire al posto tuo.

Queste parole suonano come una condanna a morte.

No.

Lei è qui.

Viva.

Il suo torace si alza e si abbassa.

Lentamente è vero, ma continua a respirare.

- Lo ha fatto per te. Perché ti ama.

Scuoto la testa incredulo.

Continuo a piangere.

- Portami da lei. Ti prego. Non posso vivere senza di lei. Aiutami.

La bambina mi guarda.

Piange anche lei.

Allora anche lei ha un animo umano.

- Non posso mi spiace.

- No. Tu devi portarmi da lei.

La bambina scuote il capo mestamente.

Non può.

Io continuo a piangere come un bambino.

Guardo il tuo viso.

Sembra che tu stia dormendo.

Non resisto oltre.

Accarezzo il tuo viso e le mie dita si macchiano di sangue.

Il tuo.

- Allora mi ucciderò. Così potrò raggiungerla.

Ancora una volta la piccola scuote il capo in segno negativo.

Con l’indice puntato nella direzione da cui sono arrivato indica un corpo a terra.

Seguo quel dito.

Resto basito.

Io.

Steso in terra.

Immobile.

- Che vuol dire?

La bambina mi guarda e si fa ancora più piccola.

- Ho un messaggio per te… da parte sua.

Resto immobile.

Basito.

Attendo che la bambina continui il suo discorso.

- Ti ama e da oggi in poi dovrai vivere anche per lei. Dovrai farlo per lei che si è sacrificata per te. Dimmi lo farai?

Osservo la bambina ma in realtà non la vedo.

È assurdo.

È solo un incubo.

Mi volto verso la strada.

Sento una sirena.

I soccorsi?

La bambina mi prende per mano e mi guarda supplicante in attesa di una risposta.

Scuoto la testa in modo negativo.

Gli occhi della piccola si riempiono di lacrime

- Perché? Lei si è sacrificata per te. Perché non vuoi realizzare il suo ultimo desiderio?

Guardo il tuo corpo.

Sembra addormentato.

Alzo la testa e guardo la bambina.

Le asciugo le lacrime.

Le sorrido.

- Dille che la raggiungerò presto.

Lei scuote il capo.

Io le sorrido.

Se non sarà stasera sarà presto.

- Come ti chiami?

Mi guarda stranita come prima.

Ancora lo stesso sorriso di pochi minuti fa quando le chiesi chi fosse.

Anche tu le hai fatto la stessa domanda?

- Sara.

Sorrido.

Sara. Il nome che avresti voluto dare a nostra figlia.

- È un bel nome.

- Lo so. Lo ha scelto lei.

Le sorrido.

Le spettino i capelli.

Poi la guardo negli occhi e le ripeto ciò che ho detto pochi minuti prima.

- Allora Sara fammi un favore. Dille che la raggiungerò presto. Molto presto e che poi non la lascerò più.

La bambina scuote il capo delusa.

Sospira di frustrazione.

Poi mi guarda negli occhi.

- Non puoi. È una vita per una vita.

No.

È impossibile.

Noi… dovevamo vivere insieme per sempre.

Perché?

Perché lo hai fatto?

Sei solo una stupida egoista.

Hai pensato al tuo dolore.

Ed al mio?

Non ci hai pensato al mio dolore?

Cosa ne sarà di me?

L’ambulanza è arrivata.

Due uomini si avvicinano di corsa al tuo corpo.

Mi oltrepassano come senza problemi.

In fin dei conti sono solo spirito.

Resto al tuo fianco.

Tolgono con cautela il casco.

Una profonda ferita alla tempia destra.

Un collare.

Una barella rigida.

La corsa in ambulanza.

Sono attimi.

Al pronto soccorso.

La visita.

I primi soccorsi.

Il tuo cuore che rallenta la corsa.

Elettrocardiogramma piatto.

Il massaggio cardiaco.

Il defibrillatore.

Una scossa.

Un’altra.

Aumentano il voltaggio.

Poi una punta sul tracciato.

Un’altra.

Ti stai riprendendo.

Non ti lascio.

Sono sempre al tuo fianco.

Poi una forza mi trascina via.

Lontano da te.

Lontano.

Non capisco più nulla.

Attorno a me solo il buio.

Solo la voce di Sara che mi dice di stare tranquillo.

È questa la morte?

Ben venga allora.

Saperti viva.

È questo ciò che conta.

Ecco il secondo capitolo. Ammetto che non mi convince molto. Forse non sono brava a descrivere i sentimenti di lui. A quanto pare la storia prevede un terzo e conclusivo capitolo che arriverà solo a settembre. Non so quanti di voi ne siano dispiaciuti… immagino pochi dato che ci sono state solo 9 letture, ma io sono felice così.

So perfettamente che con questi generi di scritti, io, rendo poco! Mi accontento anche di queste poche persone. Mi auguro solo che abbiate apprezzato il mio sforzo! Grazie a tutti!

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Capitolo 3
*** Capitolo III: Loro ***


Nuova pagina 1

Capitolo III: Loro

La moto sfreccia veloce.

Scivola rapida sull’asfalto nero.

Le auto al loro fianco sono piccole e lente.

Si muovono a rilento.

Sono attimi.

Fotogrammi di una notte.

Lei non si stringe a lui.

Non vuole cedere al suo orgoglio.

Lui guarda dritto davanti a sé.

Non vuole stare ad ascoltarla.

Vorrebbero essere vicini, ma non è possibile.

Vorrebbero sfiorarsi, ma lo fanno.

Sono attimi.

Il casco li separa.

Ma è veramente il casco?

No. Non è il casco.

C’è un muro tra loro.

Lei muove le dita.

Ha i crampi.

Non dice nulla.

Hanno litigato.

Lui osserva il movimento delle sue dita.

La osserva senza fare nulla.

Senza rallentare.

Hanno litigato.

Ancora.

Per lo stesso motivo.

Quella moto sulla quale sfrecciano veloci.

Insieme, ma separati.

Vicini, ma lontani.

Una lacrima scivola silenziosa.

No.

Non è colpa della velocità.

È il suo cuore che piange.

La osserva dallo specchietto.

Una lacrima scivola silenziosa sulla sua guancia.

Non sa se è la velocità.

Non crede.

Ne è certo.

Oggi hanno litigato e lei è stata chiara.

È stanca.

Lui si è annientato per una moto.

Vive in funzione di quel mezzo.

Un mezzo che non gli può donare amore.

Un mezzo senza vita.

Senza calore.

Senza amore.

Lei è stanca e gelosa.

Gelosa di una moto.

E lui lo ha capito.

La sta perdendo.

Anzi l’ha persa.

Lei ha avuto più volte l’impulso di distruggerla.

Prenderla a martellate.

Si è sempre fermata.

Per lui.

Per il dolore che gli avrebbe provocato.

Ed il dolore che sente lei?

Non importa.

Per un suo sorriso sarebbe disposta a tutto.

Anche a morire.

Lui oggi ha superato il limite.

Se ne è reso conto.

Le ha detto che è falsa.

Ma sa che non è vero.

Sa che lei è la persona più sincera che abbia mai conosciuto.

Hanno litigato per uno zaino troppo pesante.

Uno zaino che lei non riesce a portare in spalla.

Lui le ha detto che lei non capisce.

Ma è lei a non capire?

Oppure sono entrambi?

Lui non vuole perderla.

Senza di lei sarebbe morto.

Ed intanto un’altra lacrima scende furtiva dagli occhi di lei.

Lei che si volta a guardare il mare alla sua destra.

La luna che si rispecchia in questa tavola blu.

È bellissima.

Lei o la Luna?

Alzano entrambi gli occhi al cielo trapunto di stelle.

Una stella cadente.

La vedono. Entrambi. Contemporaneamente.

Seguono la scia.

Una lacrima di lei.

Un desiderio.

Aiutami”.

Non farmela perdere.”

Sono attimi.

Lei torna a guardare il mare in cerca di un po’ di pace.

Chiude gli occhi e lascia che il vento sul viso porti con sé le mie lacrime.

Lui la guarda.

Vorrebbe essere lui a portar via le lacrime.

Restano in silenzio.

Cosa si può dire davanti una vita che finisce?

Restano in silenzio.

Non parlano.

Non hanno nulla da dirsi.

Non più. Lei… ha deciso di lasciarlo.

Troppo diversi, e la moto è solo la scusa.

Lo sa lui.

Lo sa lei.

Lui. Bello. Ricco. Intelligente. Introverso. Spigoloso. Irritabile.

Il Principe Azzurro e non perde mai occasione per ricordarlo.

Si reputa fortunato ad averla incontrata e a possedere il suo cuore

Lei. Gradevole. Povera. Allegra. Bella. Dolce. Intelligente.

La Cenerentola delle fiabe, quando lo dice lui la rimprovera, ma in fondo sa che è vero.

La sua Principessa che troppo spesso si sottovaluta.

Diversi.

Lontani anni luce.

E per questo così innamorati.

Lei in lui ha trovato il suo porto sicuro.

La sua ancora di salvezza.

Lui in lei ha trovato la sua forza.

La sua unica ragione di esistere.

Ma lei adesso è stanca.

Dopo otto anni dice basta.

Non si tratta della moto, ma di loro.

Lo ama ma non può sentirsi sempre inferiore a lui.

Non può.

Ed oggi le sue parole le hanno fatto aprire gli occhi.

Ti faccio fare la vita di una principessa e non puoi lamentarti.

Come se lei non potesse permettersi nulla.

Ma lui sa che non è così.

È lui ad essere indegno.

È lui a dover baciare il suolo su cui lei cammina.

Ti faccio fare la vita di una principessa e non puoi lamentarti.

Ma lui sa che non è vero.

È grazie a lei se conduce la vita di un Principe.

E tutto grazie al suo amore.

Accelera per non ripensare ai suoi occhi feriti.

Accelera per scacciare via il dolore che prova nel cuore.

Non voleva. Chiederà il suo Perdono.

Sa che “Scusa. Non volevo” stavolta non funzionerà.

Ha sbagliato.

L’ha ferita.

Lei chiude gli occhi ed aumenta la presa sul carburatore.

Ha paura della velocità.

Ha paura di cadere.

Ma per orgoglio non dice nulla.

Restano in apnea.

Lui accelera ancora di più.

La vuole sentire parlare.

Dire qualcosa.

Urlare di fermarsi.

Odia il silenzio.

Non può lasciarlo.

Non vuole che gli dica basta.

Ha bisogno di lei.

Ha bisogno di lei per sentirsi migliore.

Sono attimi.

La velocità è tale da farle mancare il fiato.

Ma stasera è l’ultima volta che ci salirà.

Vuole godersi sino alla fine questa corsa.

Ha deciso di vivere quest’ultima corsa.

L’ultima corsa.

Quella moto può aver vinto la guerra.

Lei vuole vincere l’ultima battaglia.

Vuole vivere mentre sfrecciano a tutta velocità per le strade notturne.

Impaurita apre gli occhi.

Un’altra lacrima, ma questa causata dalla velocità.

Sorride mestamente al pensiero che sarà l’ultima volta.

Non ci saranno altre possibilità di godere di questo.

Il loro profumo.

Il loro calore.

È l’ultima volta.

Osservano il mare per un istante.

Insieme come è sempre stato.

Poi riportano lo sguardo davanti a loro.

Ed allora la vedono.

Una macchina sorpassa in curva.

Arriva diritta davanti a loro.

Lui le urla di stringersi al suo torace.

Lei lo fa.

Si fida.

Come è sempre stato.

Sono attimi.

Interminabili.

Il cuore batte a mille.

Lo sentono in testa.

Sono attimi.

Le luci dell’auto li abbagliano.

Lei chiude gli occhi impaurita.

Il respiro accelerato.

Lui la osserva.

Un’ultima volta.

Poi è veloce.

Cerca di decelerare.

La sterzata per evitare l’impatto frontale.

Lo stridere delle ruote sull’asfalto.

Sono attimi.

Il botto.

Le orecchie che fischiano.

Il rumore di qualcosa che va in pezzi.

Sono attimi.

Dolore? No. Non sentono nulla.

Sono attimi.

Lei si rialza come se non fosse successo nulla.

Ancora non ha capito nulla.

Si guarda attorno.

Cerca di riordinare le idee.

Forse il suo è stato solo un sogno.

Ma non è così.

È la vita.

Ed alla fine la vede.

Lei. La moto.

A terra su di un fianco.

La ruota davanti ancora gira, come se fosse leggera, come se fosse quella delle biciclette.

Il faro si accende e si spegne.

La carena completamente distrutta.

Istintivamente si porta le mani alla bocca.

Vorrebbe urlare ma è impietrita.

Con gli occhi pieni di lacrime lo cerca.

Il suo principe.

E lui?

Lui cerca di alzarsi ma non riesce a muoversi.

Non ha ancora preso coscienza di sé.

Sta forse morendo?

Se lo chiede ma ha paura della risposta.

È questo morire?

Perdere il contatto con il proprio corpo.

Non sentire più il calore del suo corpo. Del corpo di lei.

Perdere il contatto con la realtà.

Non vederla più.

Perdere il contatto con tutto ciò che ci circonda.

Non sentire più il suono della sua voce.

Cerca di aprire gli occhi, ma sente le palpebre troppo pesanti.

Dove è lei?

Sta bene?

Perché non la sente vicina?

Cosa le ha fatto?

Sono attimi.

E lei, intanto, cerca di slacciare il casco ma con sorpresa nota di non indossarlo più.

Deve esserle scivolato durante la caduta.

Un senso di angoscia le pervade l’animo.

Perché non sente la sua voce?

Si volta a destra e a sinistra.

Il terrore negli occhi.

Trema.

Non può essere vero.

Lo vede.

Sdraiato in terra.

Forse dorme.

Forse è…

No.

Non è vero nulla.

Corre verso di lui.

Io li osservo.

Non posso fare nulla.

Si inginocchia.

Forse sta pregando?

Non lo sfiora.

Lo guarda.

Sì, adesso ne sono certa, sta pregando.

Adesso la sento pregare.

Non riesce a toccarlo.

Non vuole svegliarlo.

Lui dorme.

Almeno spera che stia dormendo, altrimenti…

Altrimenti lei è morta.

Intanto lo guarda.

I jeans strappati.

Li avevano comprati insieme.

Il maglione lacerato.

L’unico regalo che lui avesse davvero apprezzato.

Il casco mezzo rotto.

Un casco che non lo ha protetto.

Il viso tumefatto dagli urti.

Vorrebbe baciare le sue ferite ma non lo fa.

È bloccata.

Paura.

Il sangue scivola lento da una ferita alla tempia.

Lo guarda ipnotizzata.

Ed intanto continua la sua lenta litania.

“Ti prego salvalo…”

Neanche si accorge di stare pregando.

Prega con il cuore.

“Non morire”.

Ed intanto una pozza di sangue si allarga sull’asfalto.

Lei continua a guardare il sangue ma neanche se ne accorge.

Sono attimi.

Ed intanto lui riprende coscienza del suo corpo.

E di lei.

Lei è… la sua vita.

La sua unica ragione di essere.

Lentamente riapre gli occhi.

Cerca di mettere a fuoco ciò che lo circonda.

Ha paura.

Il cuore corre veloce.

Gli fa male il petto.

Ma alla fine riesce a farlo.

Apre gli occhi.

Ma è debole.

Troppo debole per alzarsi.

Non ha ancora capito di essere incosciente.

Non ha ancora capito che la vita scivola via dal suo corpo.

O forse sì?

Come posso stargli accanto.

Come posso sorreggerlo mentre porto via la sua vita?

Ma intanto lui cerca lei.

Non gli importa di altro.

Cerca solo lei.

Quasi per caso vede la sua moto.

La ruota anteriore gira ancora, sembra leggera, come quella di una bicicletta.

Il faro davanti si accende e si spegne ad intermittenza.

La carena completamente distrutta.

Non gli importa di quell’ammasso di ferro.

Non adesso.

In fondo non gli è mai importato.

Adesso è un altro il suo obiettivo.

Ha bisogno di lei.

Come se fosse ossigeno per i suoi polmoni.

Ha bisogno di saperla al sicuro.

Al sicuro tra le sue braccia.

La cerca.

Sull’asfalto freddo.

La cerca ma spera di non trovarla.

Magari sta cercando di chiamare aiuto.

È questo che pensa mentre la vita scivola via dal suo corpo.

Forse è per questo che non è con lui.

Ci spera.

Ci crede.

Si ripete che è così.

È per questo motivo.

Lei sta cercando aiuto.

Per lui.

Solo per lui.

Lei sta bene.

Lui l’ha protetta.

Illusioni di un cuore innamorato.

Il cielo stellato è ancora sopra di noi.

La luna si rispecchia ancora nel mare.

Un mare tinto di rosso.

Rosso sangue.

Cerca ancora.

Alla fine è riuscito a trovarla.

La vede.

Non può essere lei.

Lì. Da sola.

Stesa sull’asfalto.

Sta dormendo.

Sì. Sta dormendo.

Non può essere diversamente.

Almeno lo spera.

Sdraiata su di un fianco.

È lontana.

Vorrebbe raggiungerla ma non riesce a muovere un muscolo.

Vorrebbe correre da lei.

Per stringerla.

Per proteggerla.

Per svegliarla.

Ma non può.

Non ha la forza.

È un debole.

Si reputa tale.

La guarda e piange.

È così piccola.

Indifesa.

Fragile.

Un’altra lacrima sfugge al suo controllo.

Finalmente se ne accorge.

Sta piangendo.

Sta pregando.

Come lei.

Fatemi morire, ma salvate lei.

Sono attimi.

Ed alla fine arriva il mio turno.

Entro in scena io.

Con l’aspetto di una bambina.

Sono sempre stata così.

Ho il corpo di una bambina.

Mi daranno sei o sette anni al massimo.

Ma non è così.

Io sono… vecchia.

Ho perso il conto dei miei anni.

Sono nata con questo mondo.

Con esso morirò.

Sempre se è possibile uccidere la Morte.

Mi avvicino a lei.

La guardo piangere.

Fissare il corpo di lui.

Fissarlo come se in realtà non fosse qui.

Alla fine mi decido a parlare.

- Non puoi fare nulla per lui.

Credimi, soffro nel dirti ciò.

Soffro terribilmente.

Io sono la Morte.

Non guardo in faccia nessuno.

O almeno è questo che raccontano di me.

Ma cosa ne sanno gli umani di me?

Cosa possono capire dei miei sentimenti?

Mi temono.

Mi evitano.

Mi invocano al bisogno.

Ma non sono io a decidere.

Non ho nessun potere.

Io non godo nel privare della vita.

Io… vorrei vivere.

Come voi.

Come lei.

Come lui.

Lui che adesso la guarda.

La guarda come se non esistesse cosa più preziosa.

Darei la mia eternità per poter amare, anche solo un attimo.

Darei in dono la mia immortalità per essere amata solo per un secondo.

- Chi sei?

Chi sono?

Perché gli umani non vogliono mai accettare la realtà?

Perché devono costringermi a recitare in un ruolo che odio.

Chi sono?

Davvero non hai capito chi sono?

Guarda dentro te stessa.

Guardo i suoi occhi.

Gli occhi di lei.

Impauriti.

Disperati.

Hai capito chi sono.

Allora perché non pronunci il mio nome?

Attendi.

Non posso che recitare la parte che mi è stata assegnata.

- La Morte.

Le sue speranza si infrangono.

Le sue pupille si diradano.

Il suo corpo inizia a tremare.

No.

Hai ragione. Non sono una bambina.

Non sono umana.

Ma poi cosa ci differenzia?

Cosa sai tu di me?

Cosa puoi sapere dei miei sentimenti?

Anch’io soffro.

La Morte non è mai umana.

Non è vero.

La morte è più umana di quello che tu credi.

Ti porta via ciò che più ami.

Non mi diverto.

Non mi sono mai divertita nel mio ruolo.

Costretta a vivere nella solitudine.

A divedere le persone che si amano.

Come sto facendo adesso.

La vedo.

Corre verso di me.

Mi afferra per le spalle e mi scuote ripetutamente.

Cosa credi di fare?

Io non posso soffrire.

Io non percepisco il dolore fisico.

No.

Io percepisco solo il dolore dell’anima.

Credimi però, è terribile.

È terribile sentire il tuo cuore straziato.

Vorrei piangere ma non posso.

Alla Morte non è concesso piangere.

Ed intanto mi scuoti e mi urli contro.

Non hai più paura di me.

Il dolore ti ha fatto vincere la paura.

- Perché? Perché lui?

Ma non rispondo.

Non esiste una risposta a questa domanda.

Non posso dirti “Era scritto così…”.

Non è una giustificazione.

Non è una spiegazione.

Ma alla fine esiste una spiegazione?

Ti osservo con i miei occhi di ghiaccio.

Occhi di ghiaccio…

Occhi che piangono lacrime invisibili.

Lacrime di sangue.

Ti prego, guardami negli occhi.

In fondo ad essi, se vuoi, puoi leggervi tutto il dolore che sto provando in questo momento.

Forse…

Forse anche la morte è umana.

Proprio così.

Anche la Morte è umana.

Ma non nutrire false speranza.

- Perché lui?

Ancora la stessa domanda.

Ancora la tua voce strozzata.

- Il suo cuore si sta per fermare.

È solo in questo momento che una domanda si formula nella tua mente.

Sono attimi.

- E se prendessi me?

Cosa hai detto?

Ripeti ancora la tua richiesta.

Ho capito cosa hai detto ma non posso accettarlo.

Non si accettano compromessi.

- Prendi me al suo posto. Io sono viva. Sto bene.

Scuoto il capo addolorata.

Non puoi sostituirti a lui.

Non è questo ciò che è stato scritto per te.

Non puoi.

Hai una vita da vivere.

Tu sei ancora viva.

Stai lottando per la vita.

Apri gli occhi.

Volto il viso dal lato opposto rispetto al nostro.

Ed allora te ne accorgi.

Proprio dove ti trovavi pochi minuti fa c’è un corpo.

Un corpo?

Sicura di non averlo riconosciuto?

Ti avvicini lentamente.

Hai paura.

Sei titubante.

Non preoccuparti, mi prenderò io cura di lui.

Non vuoi lasciarlo solo ma non puoi fare diversamente.

Devi aprire gli occhi.

Devi capire che non è un incubo.

È la verità.

È la tua vita.

Avanzi lentamente.

Ad ogni passo il dubbio diventa certezza.

Nel tuo cuore già sai cosa troverai.

Hai capito.

No.

Non ti sbagli.

Sei proprio tu.

Quello è il tuo corpo.

Lì a terra.

Sdraiata su di un fianco.

Sembra che la consapevolezza di essere priva di sensi in terra non ti sconvolga.

Il braccio sinistro ricade sul fianco destro.

Sembra quasi che tu stia riposando dopo una serata serena.

Il casco ancora allacciato.

Non si è slacciato durante la caduta.

La tua voce arriva in un sussurro.

- Respiro?

- Sì. Sei ancora viva.

Osservi il sangue solcare il tuo viso.

È così rosso.

È così vivo.

La manica del giubbotto è strappata.

Eri sicura di essere viva.

Adesso hai dei dubbi.

Un pezzo di acciaio è conficcato nel tuo braccio.

Sei smarrita.

Non senti dolore.

Questo ti spaventa.

Ma allo stesso tempo ti rincuora.

Ma ciò vuol dire che stai male.

Ti inginocchi distrutta.

Hai capito.

Hai capito che è grave.

Più grave di quel che pensavi.

Mi inginocchio al tuo fianco.

Hai bisogno di una guida.

Di qualcuno che ti guidi.

Sono qui, non temere.

Non ti abbandono.

Sono umana.

Umana.

Che strano.

Non mi ero mai resa conto di come suonasse strana questa parola.

Umana.

Ma non posso distrarmi.

Hai bisogno di me.

- Adesso ti trovi in una specie di limbo.

La consapevolezza di sembrare umana è riuscita a calmarmi.

Mi ha resa tranquilla.

Quasi serena.

Anche io posso provare delle emozioni.

- Sono in coma?

Sei in coma?

Non è corretto.

Ma è la spiegazione più vicina alla realtà.

Annuisco con il capo.

È una mezza verità.

Spero che tu possa capirmi.

Come faccio a spiegarti che stai decidendo del tuo futuro?

- Se sono ancora viva allora puoi prendere me.

Come fai?

Come fai ad anticipare i miei pensieri?

Come fai ad intuire ciò che temo?

Sei folle.

Non è così che funziona.

Io devo prendere un’anima.

Ma non la tua.

Non è così che funziona.

- Sei qui per prendere un’anima. Che importa se è la sua o la mia?

Scuoto il capo inorridita.

- Il suo cuore si sta per fermare. Il tuo no.

Come fai a non capire.

Lui è destinato a morire.

È scritto così.

Io… tu… noi non possiamo opporci.

Perché non capisci?

- Perché la mia anima non va bene?

Perché la tua anima non va bene?

Non lo so.

Non farmi domande alle quali non so risponderti.

Tutti davanti alla morte fuggono lontani.

Tutti.

Perché tu non lo fai?

Ti avvicini e posi delicatamente una mano sulla mia spalla.

Mai nessuno mi aveva toccata.

Sei molto più alta di me.

Ed io, per la prima volta, mi sento piccola.

Deve chinare il capo per potermi guardare negli occhi.

Mi sta trattando da… umana.

È come se stesse realmente parlando con una bambina.

Grazie.

Grazie per questo regalo.

- Prendi me. Andiamo, non ti cambia nulla.

È vero non cambia nulla.

O forse sì.

- Tu volevi lasciarlo prima dell’incidente.

Le mie parole sembrano destabilizzarti.

Volevi lasciarlo.

Prima dell’incidente.

Una vita fa.

Sono attimi.

- Lo so. È vero. Ma lo avrei lasciato vivo. Adesso è diverso.

Mi guardi e mi sorridi.

Perché?

Perché mi tratti con… affetto?

Inizio a piangere e a fare di non con la testa.

Non puoi.

Non devi trattarmi così.

Io sono la Morte.

Tu devi temermi.

Non puoi volermi bene.

Non puoi trattarmi come una bambina.

Ti avvicini e mi abbraccio cercando di tranquillizzarmi.

È strano.

Sento un calore in mezzo al petto.

Un calore li dove dovrebbe battere il cuore.

Cuore.

La Morte può avere un cuore?

- Perché? Tu lo volevi lasciare. Adesso… adesso ti sacrifichi per lui. Perché?

Asciughi le mie lacrime.

Sorridi ancora davanti a questa bambina.

Sì. Sono solo una bambina.

Mi sono illusa di essere la Morte ma non è vero.

Sono solo una bambina.

Dopo attimi interminabili.

Attimi in cui mi sento umana.

Rispondi alla mia domanda.

Con semplicità.

Come se fosse ovvio.

- Lo amo e non potrei sopravvivere sapendo che non ho fatto nulla per salvarlo.

I singhiozzi si acquietano.

Le guance hanno acquistato un po’ di colore.

Amore.

Quello che ha dato a me.

Allora…

Forse…

Anche io posso fare qualcosa per lei.

Le devo un favore.

Lei mi ha fatto sentire normale.

- Se verrai via con me non potrai più tornare indietro.

Mi guarda.

Sono solo una bambina.

Perché devo ricoprire un ruolo così importante?

- Non preoccuparti. Lo so ma devo farlo. Io lo amo.

La guardo smarrita.

L’amore può portarti a tanto?

Può portarti ad un sacrificio simile?

Rinunciare alla vita.

Ma cosa è una vita senza amore?

Nulla.

È solo un susseguirsi di momenti senza emozioni.

- Ed i tuoi genitori?

Genitori.

Coloro che ti amano.

Di un amore incondizionato.

Dell’amore più puro.

Una madre.

Che ti ha portato dentro di sé per nove mesi.

Che ti conosce meglio di quanto tu conosci te stessa.

Un padre.

Che ti ha protetto contro il dolore.

Che ti considera la cosa più importante della sua vita.

- Mi perdoneranno.

Sarà davvero possibile.

È possibile accettare la morte di un figlio?

Accettare di seppellire un figlio?

Una parte di sé…

La parte migliore.

Come puoi fare una cosa simile a loro?

Ed io…

Perché non riesco a frenare le mie lacrime?

- Lui non lo avrebbe fatto per te.

È una bugia.

Lo sappiamo entrambe.

Lui lo avrebbe fatto.

L’ama.

- Però lo avrebbe fatto per la sua moto.

Riesci ancora a scherzare.

Sorrido mestamente.

È così ingiusta la vita.

È così ingiusta la morte.

Vorrei aiutarli ma non posso.

Non ho il potere di decidere.

Io eseguo solo degli ordini.

- Lo fai per amore?

Annuisci come se fosse ovvio ciò che ti ho chiesto.

Ma è davvero così sensato?

Se morirai non potrai più vederlo.

- Sai che non potrai tornare indietro e che Nessuno si impietosirà per il tuo sacrificio?

Annuisce ancora.

Non è un film.

Lo sa.

Finalmente ha capito che non potrà più tornare indietro.

Sei davvero pronta?

Sei pronta a rinunciare a vivere?

- Vuoi… vuoi vederlo per l’ultima volta?

Mi fermo.

E tu lo fai con me.

Mi guardi smarrita.

Vederlo per l’ultima volta.

Per l’ultima volta essere umana.

Sei pronta a tutto questo?

Sono attimi.

- No. Preferisco conservare il ricordo del suo volto sorridente.

Cerco di annuire ma è difficile.

Stai rinunciando a tutto per amore.

È umanamente possibile tutto questo?

Non so.

Ma non voglio lasciarti sola.

Ti porgo la mano e tu l’afferri senza paura.

Un paio di passi e poi ti blocchi.

Hai paura?

Vuoi tornare indietro?

Ti capirei se decidessi di fermarti.

Avere paura della Morte è… umano.

- Ci hai ripensato?

- No. Solo che… soffrirò?

No.

Non ci hai ripensato.

Ma hai paura.

Non di me.

Ma della sofferenza.

Scuoto la testa e riprendiamo il nostro cammino.

Silenziosa piangi.

Vuoi fare la forte ma in fin dei conti sei umana.

Hai paura.

Soffri.

Ma non vuoi tirarti indietro.

Piangi perché non potrai più rivedere i tuoi cari.

Piangi perché sai che lui si sentirà in colpa.

Sei così umana… ed io ti invidio.

Per me non ha mai pianto nessuno.

Sono sempre stata sola.

Tu sei stata la prima a trattarmi come un essere umano.

- Se vuoi… possiamo fare uno strappo alle regole. I tuoi cari… sapranno che li ami.

Mi sorridi riconoscente.

Asciughi le tue lacrime.

Sento il tuo cuore più leggero.

È questo quello di cui avevi bisogno?

Essere rassicurata.

Ci vuole così poco per renderti serena?

Ti importava davvero che i tuoi sapessero che li ami?

Sei speciale.

Sei sincera.

Dopo un paio di minuti rompi il silenzio.

- Come ti chiami?

Ti fisso interdetta.

Un nome?

Io non sono umana.

Io non possiedo un nome.

Non possiedo un nome di persona.

- Cosa vorresti dire? Il mio nome è Morte.

Scuoti la testa e cerchi di formulare diversamente la domanda.

- Avrai un nome con cui gli altri ti chiamavano prima di iniziare... questo lavoro!

Ti guardo tristemente.

Questo lavoro.

Ho fatto questo lavoro da sempre.

Non ho genitori.

Non ho vissuto un’infanzia.

Non ho un futuro.

Io sarò sempre così.

Non cambierò mai.

Ma perché rattristarti con il mio dolore.

Dolore.

Un sentimento umano.

Scusa se ti dico una bugia.

Lo faccio per non dispiacerti.

- Non lo ricordo più.

- Che ne diresti se te ne dessi uno io?

Forse sei venuta per salvarmi.

Forse sei un angelo.

Forse…

Mi renderesti felice se scegliessi un nome per me.

Se tu…

Imparassi a volermi bene.

Ti fermi a riflettere.

Poi sorridi verso di me.

- Che ne dici del nome Sara?

- Perché Sara?

Mi abbracci ancora una volta.

Forte.

Con affetto.

Sento un po’ di calore.

Il tuo calore.

Il nostro calore.

Ancora quel calore al posto del cuore.

- Sara è il nome che avrei voluto dare ad una figlia.

- Sì, mi piace. Sara… suona bene!

Sorrido.

Adesso sono Sara.

Sorrido come una bambina.

Posso fingere che tu sia la mia mamma?

Sono attimi.

Attimi di pura felicità.

Poi tutto torna normale.

Poi Sara svanisce.

Torna la Morte.

Mi avvicino a lui.

Silenziosa.

Guardinga.

Cosa hai fatto per meritare il suo amore?

Cosa hai fatto per fare in modo che quell’angelo si sacrificasse per te?

Sono attimi.

Gelo.

Quello attorno al tuo corpo.

Improvviso.

Come un fulmine a ciel sereno.

Inspiegabile.

Come il sorriso di un neonato.

Tu immagini ma non vuoi accettare.

No.

Tu non vuoi che lei ti lasci.

Non vuoi sentirti ancora solo.

Non vuole lasciarla.

Si alza.

È debole ma trova la forza per farlo.

Si mette in piedi.

La raggiunge.

Si inginocchia al suo fianco.

Come lei poco prima.

E proprio come lei non trova il coraggio di sfiorarla.

Ha paura di farle male.

Ma non sa che già ne ha fatto parecchio?

Non sa che con il suo comportamento l’ha ferita?

Lo sa.

Ma preferisce non pensarci.

Adesso la sta perdendo.

Anzi.

L’ha già persa.

Urla di chiamare un’ambulanza.

Non affannarti tanto.

Nessuno ti sente.

Ti stai chiedendo perché non apre gli occhi?

La stai implorando di non lasciarti.

Piangi ormai senza più freni.

Ed io piango con te.

Perché stasera?

Perché proprio stasera sono così… umana?

Perché proprio stasera ho deciso di avvicinarmi a voi?

Non potevo restare nell’oscurità come sempre?

Non potevo decidere di continuare con il solito registro?

Cosa avete voi di diverso dagli altri umani che ho conosciuto?

Le tue lacrime si infrangono sul suo casco.

Vorresti asciugare il sangue che sporca il suo viso.

Ti avvicini per farlo ma ti blocchi.

Tremi.

Paura.

Di ferirla ancora perché lo sai che ha sofferto a causa tua.

È così fragile.

Ti inginocchi e vicino al suo orecchio inizi a parlarle.

Non può sentirti.

Le chiedi di non lasciarti

Senza di lei saresti morto.

Di continuare a sorriderti.

Perché è grazie al suo sorriso che ti senti vivo.

La preghi ma lei non può fare nulla.

- Non può più sentirti.

Alla fine decido di apparire anche ai tuoi occhi.

È giusto che tu sappia.

Non puoi continuare ad illuderti.

Ti giri verso di me.

Ti sorprende la mia voce infantile. Piccola. Leggermente acuta.

Una bambina.

Anche ai tuoi occhi appaio come una bambina.

Sei, sette anni al massimo.

Anche per te sono piccola.

Capelli neri e liscissimi che ricadono sulle spalle.

Sul viso un’espressione triste.

Devo sembrarti la bambina più triste del mondo.

E lo sono.

Non ti curi di me e continui a parlare con lei.

Le chiedi di restarti accanto.

Ma lei ha scelto.

- Ho detto che non può più sentirti. Lei ormai ha scelto.

Alzi la testa verso di me.

Mi guardi boccheggiante.

Non capisci ciò che ho detto.

Scuoti la testa e mi rispondi di andare via.

- Vai da tua madre. Non è un posto adatto ad una bambina.

Ai tuoi occhi sembra che io non capisca.

Sei tu a non capire.

Continui a guardarmi.

Allora devo spiegarti la realtà dei fatti.

- Lei ha scelto di morire per salvare te.

Alzi la testa di scatto e mi guardi negli occhi.

Ti sembro così ingenua. Così debole.

Ma non lo sono e lo hai capito.

Tiri fuori parte della tua rabbia.

Sai che è tutta colpa tua.

Sai che se lei adesso è li a terra è perché tu non sei riuscito a proteggerla.

E ti sfoghi su di me.

Ed hai ragione.

Io non dovrei essere qui.

- Che cazzo stai dicendo? Vai da tua madre immediatamente.

- Non puoi negare l’evidenza. Ha scelto di morire.

Non mi trattengo oltre.

Non puoi fare finta di nulla.

Prenditi le tue responsabilità.

È tutta colpa tua.

La tua rabbia esplode.

Esplode improvvisa.

Mi afferra per un braccio e mi scuoti ripetutamente.

Mi imponi di non fiatare.

Mi ordini di sparire.

Ma io resto ferma al mio posto.

Parli a me oppure a te stesso?

Sei tu che devi tacere?

Sei tu che devi sparire?

Sei arrabbiato con te stesso?

È vero?

Ti senti responsabile?

Forse lo sei.

Forse no.

Questa è la vita.

Oggi si è felici.

Domani non si sa.

Rimpiangi tutti i momenti sprecati con lei.

Rimpiangi tutte le parole non dette.

Rimpiangi il fatto di non averla amata come meritava.

E fai bene.

Lei non lo meritava.

Mi guardi con quell’espressione triste.

Sembra quasi che tu abbia bisogno del mio perdono.

Hai capito chi sono?

- Chi sei?

Sulle mie labbra si disegna uno strano sorriso.

Sei così simile a lei.

Forse mi sono sbagliata.

Scuoto il capo e poi guardo lei con tenerezza.

Sai è stata la prima a trattarmi in modo umano.

Dimmi.

Adesso non ti sembro più una bambina.

Sembro molto più grande, è vero?

Perché sorridevo?

Vuoi saperlo?

Ti farà male scoprirlo.

- Anche lei mi ha fatto la stessa domanda.

Ti guardo e poi torno guardare lei.

Mi avvicina al tuo viso e sto quasi per sfiorare la guancia di lei.

Quasi però.

Mi blocca.

Mi hai riconosciuto?

Hai finalmente capito chi sono?

Non vuoi che la tocchi.

Nessuno può farlo.

Mi guardi diritto negli occhi.

Vuoi la verità?

Perdonami se ti farò del male.

- Sono la Morte.

Sono attimi.

È folle vero?

È solo un incubo.

Ma non è così.

No.

Tra un po’ non ti sveglierai e ti troverai al suo fianco.

Addormentata.

No.

Lei non c’è più.

È vero.

Hai ragione.

La morte è qualcosa di… definitivo.

Definitiva.

Io sono conclusiva.

Io metto la parola fine sulla vita di una persona.

Non sono lontana da voi.

Vivo al vostro fianco.

Solo che avete troppa paura per vedermi.

Avevate tanti progetti.

Mi spiace.

Ha rinunciato a tutto pur di salvarti.

La vostra famiglia.

Ed i vostri figli?

- Lei ha deciso di morire al posto tuo.

È questa la vostra famiglia.

Sono questi i vostri figli.

La sua vita per la tua.

Amala.

E rispettala.

Queste parole suonano come una condanna a morte.

No.

Non lo sono.

È il suo ultimo regalo.

Abbine cura.

Non sarai mai solo.

Lei sarà sempre con te.

No.

Non guardare quel corpo.

Sta morendo.

Sarà viva ancora per poco.

Viva.

Il suo torace si alza e si abbassa.

Lentamente è vero, ma continua a respirare.

Ma ancora per quanto?

Non odiarla.

Amala.

Lei lo ha fatto.

- Lo ha fatto per te. Perché ti ama.

Scuoti la testa incredulo.

Continui a piangere.

Piangi adesso?

È tardi ormai.

Non puoi fare più nulla.

È la fine.

Io sono la fine.

- Portami da lei. Ti prego. Non posso vivere senza di lei. Aiutami.

Ti guardo.

E piango anch’io.

Lei si è sacrificata per te.

Ha dato la sua vita per te.

Tu rinunci a questo dono per stare con lei.

Perché?

Piango anche io.

Anche io ho un animo umano.

L’ho scoperto grazie a lei.

Grazie a voi.

Perché devo impedirvi di essere felici?

- Non posso mi spiace.

- No. Tu devi portarmi da lei.

No.

Non posso.

Continui a piangere come un bambino.

Guardi il suo viso.

Sembra che tu stia dormendo.

Ma sappiamo che non è così.

Non resiste oltre.

Accarezza il tuo viso e le sue dita si macchiano di sangue.

Il tuo.

Sembra impazzito.

I suoi occhi sono lontani.

In un altro tempo.

- Allora mi ucciderò. Così potrò raggiungerla.

Non puoi.

Non è così che funziona.

Ti indico un corpo a terra.

Segui il mio dito.

Resti basito.

Il tuo corpo.

Steso in terra.

Immobile.

Dormi?

- Che vuol dire?

Mi guardo e mi faccio ancora più piccola.

Come farò a dirti ciò?

- Ho un messaggio per te… da parte sua.

Resti immobile.

Ancora una volta.

Basito.

Attendi continui il mio discorso.

Sei certo di volere ascoltare?

Sei certo di essere forte abbastanza?

- Ti ama e da oggi in poi dovrai vivere anche per lei. Dovrai farlo per lei che si è sacrificata per te. Dimmi lo farai?

Mi osservi ma in realtà non mi vedi.

Ancora.

Sei ancora una volta lontano.

È assurdo.

È solo un incubo.

È questo che ti ripeti.

Ti vuoi convincere che sia falso?

Perché?

Quando ti sveglierai soffrirai di più.

Sento una sirena.

Ti volti a destra.

I soccorsi?

Presto.

Non c’è più tempo.

Rispondimi.

Vivrai anche per lei?

Come se mi leggessi nella mente rispondi.

Scuoti la testa in modo negativo.

- Perché? Lei si è sacrificata per te. Perché non vuoi realizzare il suo ultimo desiderio?

Inizio a piangere come una bambina.

Ed in fondo oggi lo sono.

Per la prima volta in vita mia sono umana.

Guardo il tuo corpo.

Sembra addormentato.

Ma sappiamo che non è così.

Mi guardi.

Mi asciughi le lacrime.

Mi sorrido.

Come lei.

Come lei riesci a farmi sentire quel calore in mezzo al petto.

È come se avessi un cuore.

- Dille che la raggiungerò presto.

Illuso.

Non potrai.

Mi sorridi.

Sembri così…

Papà…

Stasera mi sembra di aver ritrovato i miei genitori.

- Come ti chiami?

Forse è vero.

Forse saresti stato il mio papà se io non fossi stata la Morte.

Capisci.

Capisci che anche le mi ha fatto la stessa domanda.

- Sara.

Sorridi.

No.

Non ti sei sbagliato.

Sara. Il nome che avreste voluto dare a vostra figlia.

- È un bel nome.

- Lo so. Lo ha scelto lei.

Mi sorridi.

Grazie.

Mi spettini i capelli.

Mi sento davvero una bambina.

Sono davvero felice.

Grazie.

Mi guardi negli occhi e ripeti ciò che ho detto pochi minuti prima.

- Allora Sara fammi un favore. Dille che la raggiungerò presto. Molto presto e che poi non la lascerò più.

Sono attimi.

Di felicità.

Sospiro di frustrazione.

Odio tutto ciò.

- Non puoi. È una vita per una vita.

No.

Mi spiace.

Perdonami.

Non è colpa mia.

Perché?

Perché non posso salvarli?

Sono la Morte.

Avrò pure qualche diritto nello scegliere le mie anime.

Perché non posso?

No.

Non è una stupida egoista.

Ha deciso di lasciarti in vita perché ti ama.

Il suo dolore… ed il tuo dolore.

Sono il mio.

Voi…

Mi avete fatto sentire viva.

Umana.

Ed io non posso fare nulla per voi.

Perdonatemi.

L’ambulanza è arrivata.

Due uomini si avvicinano di corsa.

Si avvicinano ai vostri corpi.

Tolgono con cautela i caschi.

Siete fragili.

State dormendo?

No.

Sono attimi.

Al pronto soccorso.

La visita.

I primi soccorsi.

Il vostro cuore che rallenta la corsa.

Non arrendetevi.

Elettrocardiogramma piatto.

Il massaggio cardiaco.

Il defibrillatore.

Una scossa.

Un’altra.

Aumentano il voltaggio.

Lottate.

Lottate per sopravvivere.

Io sono la Morte.

Ma non voglio che moriate.

Voi mi avete regalato attimi di vita normale.

Poi una punta sul tracciato.

Un’altra.

Vi state riprendendo.

Non vi lascio.

Resto con voi.

La crisi è passata.

State bene.

Ma ci sono stati danni.

Siete in quel limbo nel quale mi avete incontrato.

Entrambi.

Uno di fronte all’altro.

Vi sorridete.

- Io… sono la Morte. Ma ho deciso di risparmiare le vostre vite.

Mi guardate sorpresi.

Non è un film.

È la realtà.

Non potrò farvi tornare ad una vita normale.

Però potrò regalarvi un po’ di normalità in questo limbo.

Qui vivrete insieme.

Fino a che non tornerò a portarvi via.

Ma stavolta per sempre.

Non ci sarà scampo.

Sorridete a me.

- Sareste stati dei genitori fantastici.

Vi avvicinate.

Ma io faccio un passo indietro.

- Adesso per me è tempo di andare.

Non aspetto altro e vado via.

Vi lascio in questo limbo.

In quello che gli umani chiamano stato vegetativo.

Era una vita per un’altra.

Ma ho deciso di bloccare entrambi.

Almeno starete insieme.

Almeno sarete felici.

La Morte quando vuole può essere umana.

Più umana degli uomini.

Ecco finita questa fic. È totalmente diversa da ciò che immaginavo. Il terzo capitolo è il più lungo ma non potevo fare diversamente. Dividerlo in due sarebbe stato terribile. È un qualcosa di insensato, lo so perfettamente. Ma quelle messe per iscritto sono emozioni. Per alcuni sarà noioso, per me è stato stancante.

Ringrazio IREAT per aver commentato il primo capitolo. Ho cercato di descrivere una situazione reale. Il più reale possibile… e poi mi sono lasciata prendere dalla fantasia.

Ringrazio MILE per aver messo la fic tra le preferite.

Grazie alle 35 persone che hanno letto il primo capitolo ed alle 18 che hanno letto il secondo.

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