Attimi
Capitolo
I : Lei
La
moto sfreccia veloce.
Pattina sull’asfalto nero e nel buio della notte siamo solo dei puntini.
Le
auto vicine sono molto più lente di noi.
Sembra
che si muovano a rallentatore.
Sono
attimi.
Fotogrammi
di una notte.
Vorrei
stringermi a te.
Al
tuo torace.
Vorrei
poggiare la testa sulla tua schiena ma non posso.
Il
casco me lo impedisce.
O
forse è qualcosa dentro di me.
Sono
attimi.
Le
dita appoggiate sul carburatore fanno male.
I
crampi iniziano a diventare fastidiosi.
Non
dico nulla.
Abbiamo
litigato.
Tutto
per colpa di questa moto.
Tutto
per colpa sua.
Una
lacrima scivola silenziosa.
No.
Non
è colpa della velocità.
È
il mio cuore che piange.
Io non riesco a stare con te.
Non
in questa maniera.
Sei
sempre dietro lei.
Usciamo
e non possiamo fare più di duecento metri perché non la vedi più.
Andiamo
a mangiare in un posto e devi tenere sempre sott’occhio la tua moto.
Sono
stanca e gelosa.
Gelosa
di una moto.
Non
sai quante volte ho pensato di prenderla a martellate e distruggerla.
Poi
però mi fermo.
Non
posso privarti di lei.
Ti
farei del male.
Ed
il male che fai a me?
Non
conta.
Però
adesso basta.
Io
non posso stare con te in queste condizioni.
Tu…
mi stai tradendo per colpa di questa… cosa.
Lei
ti ha portato via da me.
Oggi
l’ennesima lite.
Ancora
per lei.
Lo
zaino che ho sulle spalle pesa.
Tra
catene e bloster il peso da sostenere è eccessivo per la mia schiena.
Tu
però non mi ascolti.
Dici
che sono solo io a non volere capire.
Io…
sono sempre io.
Io
non capisco.
Io
non vedo.
Io
non ascolto.
Io
sono sbagliata.
E
tu?
Sei
tanto meglio di me?
Ed
intanto un’altra lacrima scende furtiva dai miei occhi.
Mi
volto a vedere il mare alla mia destra.
La
luna che si rispecchia in questa tavola blu.
È
bellissima.
Alzo
gli occhi al cielo e lo vedo trapunto di stelle.
Una
stella cadente.
Seguo
la scia.
Una
lacrima.
Un
desiderio.
“Aiutami”.
Sono
attimi.
Torno
a guardare il mare in cerca di un po’ di pace.
Chiudo
gli occhi e lascio che il vento sul viso porti con sé le mie lacrime.
Restiamo
in silenzio.
Non
parliamo.
Non
abbiamo nulla da dirci.
Non
più. Io… ho deciso di lasciarti.
Troppo
diversi, e la moto è solo la scusa.
Lo
so io.
Lo
sai tu.
Tu.
Bello. Ricco. Intelligente.
Il
principe azzurro e non perdi mai occasione per ricordarmelo.
Io.
Gradevole. Povera. Allegra.
La
Cenerentola delle fiabe, quando lo dico mi rimproveri, ma in fondo sai che ho
ragione.
Diversi.
Lontani
anni luce.
Ed
io adesso sono stanca.
Dopo
otto anni dico basta.
Non
si tratta della moto, ma di noi.
Ti
amo ma non posso sentirmi sempre inferiore a te.
Non
posso.
Ed
oggi le tue parole mi hanno fatto aprire gli occhi.
“Ti
faccio fare la vita di una principessa e non puoi lamentarti.”
Come
se io non potessi permettermi di fare nulla.
Acceleri
come se stessi percependo i miei pensieri.
Acceleri
come se volessi scacciare via il mio dolore ma non funziona così.
Non
puoi farmi piangere e poi dirmi “Scusa. Non volevo.”
Fa
comodo.
Ma
è scorretto.
Chiudo
gli occhi e rendo la presa ancora più salda.
Ho
paura della velocità.
Ho
paura di cadere.
Ma
per orgoglio non dico nulla.
Sono
in apnea.
Sono
attimi.
La
velocità è tale da farmi mancare il fiato.
Ma
stasera è l’ultima volta che ci salirò.
Voglio
godermi sino alla fine questa corsa.
Ho
deciso di vivere quest’ultima corsa.
Me
lo hai portato via.
Hai
vinto la guerra.
Io
voglio vincere l’ultima battaglia.
Voglio
vedere mentre sfrecciamo a tutta velocità per le strade notturne.
Impaurita
apro gli occhi.
Un’altra
lacrima, ma questa causata dalla velocità.
Sorrido
mestamente al pensiero che sarà l’ultima volta.
Non
ci saranno altre possibilità di godere di questo.
Il
tuo profumo.
Il
tuo calore.
È
l’ultima volta.
Osservo
il mare per un istante.
Poi
riporto lo sguardo davanti a noi.
Ed
allora la vedo.
Una
macchina sorpassa in curva.
Arriva
diritta davanti a noi.
Mi
dici di stringermi al tuo torace.
Lo
faccio.
Sono
attimi.
Interminabili.
Il
cuore batte a mille.
Lo
sento in testa.
Sono
attimi.
Le
luci dell’auto mi abbagliano.
Chiudo
gli occhi impaurita.
Il
respiro accelerato.
Sono
attimi.
Tu
che cerchi di decelerare.
La
sterzata.
Lo
stridere delle ruote sull’asfalto.
Sono
attimi.
Il
botto.
Le
orecchie che fischiano.
Il
rumore di qualcosa che va in pezzi.
Sono
attimi.
Dolore?
No. Non sento nulla.
Sono
attimi.
Mi
rialzo come se non fosse successo nulla.
Mi
guardo attorno.
La
vedo.
Lei.
La moto.
A
terra su di un fianco.
La
ruota davanti ancora gira, come se fosse leggera, come se fosse quella delle
biciclette.
Il
faro si accende e si spegne.
La
carena completamente distrutta.
Istintivamente
mi porto le mani alla bocca.
Sono
attimi.
Cerco
di slacciare il casco ma con sorpresa noto di non indossarlo più.
Deve
essermi caduto durante la caduta.
Un
senso di angoscia mi pervade l’animo.
Mi
volto a destra e a sinistra.
Ti
vedo.
Sdraiato
in terra.
Corro
verso di te.
Mi
inginocchio.
Non
ti sfioro.
Non
riesco.
I
jeans strappati.
Il
maglione lacerato.
Il
casco mezzo rotto.
Il
viso tumefatto dagli urti.
Paura.
Il
sangue scivola lento da una ferita alla tempia.
Una
pozza di sangue si allarga sull’asfalto.
Sono
attimi.
Piango.
Allungo
una mano.
Mi
blocco.
Ho
paura.
-
Non puoi fare nulla per lui.
Una
voce infantile. Triste. Addolorata.
-
Cosa vuoi dire?
Neanche
mi volto verso chi mi ha parlato.
Tremo.
Paura. Panico.
-
Sono qui per portare via la sua anima.
Solo
adesso trovo il coraggio per farlo.
Mi
volto lentamente.
Deglutisco.
-
Chi sei?
Una
bambina.
Sei,
al massimo sette anni.
Pallida.
Magra.
I
capelli corvini lasciati liberi sulle spalle.
Occhi
azzurri come i ghiacci.
Espressione
seria e composta.
-
Sai chi sono.
Ancora
la sua voce infantile.
Il
tremore aumenta.
Mi
alzo e mi paro davanti al tuo corpo, come a volerti proteggere.
-
No. Non lo so. Chi sei?
Non
ci credo.
È
solo un incubo.
-
Perché vuoi soffrire?
Una
lacrima solca la mia guancia.
Ormai
ho perso il conto di quante ne ho versate.
-
Chi sei?
La
voce strozzata esce dalle mie labbra.
I
singhiozzi quasi mi impediscono di parlare.
La
bambina sospira.
È
come se fosse un’adulta imprigionata nel suo corpo di bambina.
La
sua voce arriva come una condanna.
-
La Morte.
Le
mie speranza si infrangono.
No.
Non è una bambina.
Non
è umana.
La
Morte non è mai umana.
Ti
porta via ciò che più ami.
Come
sta facendo adesso.
Mi
avvicino di corsa alla bambina.
L’afferro
per le spalle e la scuoto ripetutamente.
-
Perché? Perché lui?
Lei
non risponde.
Mi
osserva con i suoi occhi di ghiaccio.
In
fondo ad essi posso leggervi tutto il dolore che sta provando in questo momento.
Forse…
Forse
anche la morte è umana.
Ho
ancora qualche speranza.
-
Perché lui?
Ancora
la mia domanda.
Ancora
la mia voce strozzata.
-
Il suo cuore si sta per fermare.
È
solo in questo momento che una domanda si formula nella mia mente.
Sono
attimi.
-
E se prendessi me?
La
bambina mi guarda interrogativa.
Ripeto
ancora la mia richiesta.
-
Prendi me al suo posto. Io sono viva. Sto bene.
La
bambina scuote il capo addolorata.
Volta
il viso da un’altra parte ed io seguo il suo sguardo.
Ed
allora me ne accorgo.
Proprio
dove mi trovavo io pochi minuti fa c’è un corpo.
Mi
avvicino lentamente.
Non
voglio lasciarti solo ma non posso fare diversamente.
Avanzo
lentamente.
Nel
mio cuore già so cosa troverò.
Infatti
non mi sono sbagliata.
Sono
io.
Lì
a terra.
Sdraiata
su di un fianco.
Il
braccio sinistro ricade sul fianco destro.
Il
casco ancora allacciato.
Respiro?
-
Sì. Sei ancora viva.
Osservo
il sangue solcare il mio viso.
La
manica del giubbotto è strappata.
Un
pezzo di acciaio è conficcato nel mio braccio.
Mi
inginocchio distrutta.
Mi
volto verso la bambina che si è inginocchiata al mio fianco.
-
Adesso ti trovi in una specie di limbo.
La
sua voce sembra più tranquilla di prima.
-
Sono in coma?
Sembra
pensarci su, alla fine annuisce con il capo.
-
Se sono ancora viva allora puoi prendere me.
La
bambina mi guarda senza capire.
È
come se le stessi dicendo qualcosa di folle.
-
Sei qui per prendere un’anima. Che importa se è la sua o la mia?
Scuote
il capo inorridita.
-
Il suo cuore si sta per fermare. Il tuo no.
Sono
io stavolta a scuotere il capo.
-
Perché la mia anima non va bene?
Non
sa cosa rispondermi.
Mi
avvicino e poso delicatamente una mano sulla sua spalla.
È
molto più bassa di me.
Devo
chinare il capo per poterla guardare negli occhi.
Un
po’ come fai tu quando devi parlarmi.
-
Prendi me. Andiamo, non ti cambia nulla.
-
Tu volevi lasciarlo prima dell’incidente.
Le
sue parole arrivano come una doccia fredda.
Prima
dell’incidente.
Una vita fa.
Sono
attimi.
-
Lo so. È vero. Ma lo avrei lasciato vivo. Adesso è diverso.
La
bambina inizia a piangere e a fare di non con la testa.
Il
suo è un pianto disperato che mi stringe il cuore.
Mi
avvicino e l’abbraccio cercando di tranquillizzarla.
-
Perché? Tu lo volevi lasciare. Adesso… adesso ti sacrifichi per lui. Perché?
Asciugo
le sue lacrime.
Sorrido
davanti a questa bambina.
Sì.
È solo una bambina.
Mi
ero illusa che fosse la morte ma non è vero.
È
solo una creatura innocente.
-
Lo amo e non potrei sopravvivere sapendo che non ho fatto nulla per salvarlo.
I
singhiozzi si acquietano.
Le
guance hanno acquistato un po’ di colore.
-
Se verrai via con me non potrai più tornare indietro.
La
guardo.
È
così piccola ma riveste un ruolo così importante.
-
Non preoccuparti. Lo so ma devo farlo. Io lo amo.
Lei
mi guarda smarrita.
-
Ed i tuoi genitori?
I
miei genitori?
Non
avevo pensato a loro.
Mamma.
Papà.
-
Mi perdoneranno.
I
singhiozzi della piccola diventano più forti.
Ha
ripreso a piangere come prima.
Disperatamente.
-
Lui non lo avrebbe fatto per te.
Forse
è vero.
Lui
non si sarebbe mai sacrificato al posto mio.
-
Però lo avrebbe fatto per la sua moto.
La
bambina si ferma e sorride tristemente.
-
Lo fai per amore?
Annuisco
serena.
Morirò
per amore.
Spero
solo che lui si ricordi di me.
-
Sai che non potrai tornare indietro e che Nessuno si impietosirà per il tuo
sacrificio?
Annuisco
ancora.
Non
è un film.
Lo
so.
-
Vuoi… vuoi vederlo per l’ultima volta?
Mi
fermo.
Vederlo
per l’ultima volta?
Sono
attimi.
- No. Preferisco conservare il ricordo del suo volto sorridente.
Adesso
è il turno della bambina di annuire.
Mi
porge la mano ed io l’afferro senza paura.
Un
paio di passi e poi mi blocco.
-
Ci hai ripensato?
-
No. Solo che… soffrirò?
Lei
scuote la testa e riprendiamo il nostro cammino.
Piango
perché non potrò più rivedere i miei cari.
Piango
perché so che mia madre soffrirà tanto da desiderare di morire.
Piango
perché temo per mio padre. Il suo cuore già provato dovrà reggere un dolore
simile.
Piango
perché so che lui si sentirà in colpa.
-
Se vuoi… possiamo fare uno strappo alle regole. I tuoi cari sapranno che li
ami.
Sorrido
alla piccola.
Asciugo
le mie lacrime.
Sento
il cuore più leggero.
È
questo quello di cui avevo bisogno.
Essere
rassicurata.
Con
l’animo leggero la seguo.
Dopo
un paio di minuti rompo il silenzio.
-
Come ti chiami?
Mi
fissa interdetta.
-
Cosa vorresti dire? Il mio nome è Morte.
Scuoto
la testa e cerco di formulare diversamente la mia domanda.
-
Avrai un nome con cui gli altri ti chiamavano prima di iniziare... questo lavoro!
Lei
si volta e mi guarda triste.
-
Non lo ricordo più.
-
Che ne diresti se te ne dessi uno io?
Mi
guarda e annuisce contenta.
Mi
soffermo a ragionare.
Poi
ho l’idea.
-
Che ne dici del nome Sara?
-
Perché Sara?
L’abbraccio
forte.
Sento
un po’ di calore.
Ma
non è il tuo.
-
Sara è il nome che avrei voluto dare ad una figlia.
-
Sì, mi piace. Sara… suona bene!
Sorride
Sara.
Sorride
come una bambina.
Insieme
continuiamo questo percorso che mi porterà non so dove.
Però
sono felice.
Ti
ho salvato.
Non
avrebbe avuto senso lasciarti morire.
Volevo
lasciarti è vero.
Ma
ti avrei lasciato vivo.
Con
un futuro davanti.
Con
un’intera vita da vivere.
Non
potevo permettere che Sara commettesse un simile errore.
Hai
mille motivi per vivere.
Da
oggi ne avrai mille ed uno.
Dovrai
vivere anche per me.
Vivi
sereno.
Vivi
felice.
Io
sarò sempre pronta a vegliare su di te.
Perché?
Perché
adesso sei tu che non capisci!
Ti
amo.
Ti
basta come spiegazione?
Ammetto che la parte relativa all’incidente dove la protagonista parla della moto come se si trattasse di una persona in carne ed ossa è assurda, ma che volete farci. Molti ragazzi vivono per le loro moto dimenticandosi delle persone che le circondano.
Le frasi sono brevi e striminzite, ma è una scelta narrativa. Spero di dare velocità al racconto.
Questa
è la prima parte. A breve cercherò di pubblicare il secondo capitolo con i
pensieri di lui.
Spero
che qualcuno si fermi a leggerla e che trovi il tempo per lasciare qualche
recensione.