Invisibili. di misslittlesun95 (/viewuser.php?uid=133210)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genova, 1979 ***
Capitolo 2: *** Genova, 1982 ***
Capitolo 3: *** Epilogo - Genova, 2009 ***
Capitolo 1 *** Genova, 1979 ***
Invisibili
_______
Perché
a Genova si moriva a vent’anni
Ma
senza diventare mai, mai degli eroi
Coi
tuoi separati a colpi di calibro trentotto
E
i miei tenuti insieme dalla speranza per l’umanità
Noi
sempre oltre ogni limite
Quel
limite era una scommessa da non perdere mai
Invisibili – Cristiano de André
.
Genova,
1979
La
seconda metà di Agosto, prima dell'inizio della scuola, li
si
trovava lì, a Quarto dei Mille.
Non c'era un motivo particolare
o preciso per cui avessero scelto quella zona, semplicemente gli
piaceva.
Erano due anni che le ultime settimane di vacanza le
passavano tra quelle vie, su quel lungomare, da quando Gaia aveva
superato la terza media e i genitori avevano deciso che fosse
abbastanza grande per girare da sola.
Lei era l'ultima di tre
figli, nata a Ottobre del 1963. Il più grande, Antonello,
aveva otto
anni più di lei, studiava ingegneria e guadagnava qualcosa
lavorando
in un'officina vicino casa, mentre la sorella di mezzo, Patrizia, era
del '60, aveva finito quell'estate la maturità ed era ancora
indecisa su cosa fare all'università.
Gaia
frequentava lo stesso liceo classico dei fratelli e stava per
iniziare il terzo anno.
Andava a scuola con la sua migliore amica
Luisa, e in generale si trovava molto bene con la sua classe, eppure
quelle ultime settimane di libertà le passava con due
ragazzi poco
più gradi di lei e che conosceva da ben prima di iniziare le
superiori.
Simone e Giorgio, entrambi diciottenni, dovevano
cominciare la quinta scientifico ed erano amici di Gaia da una vita,
da quando erano bambini e a Giugno, appena finite le scuole, andavano
a passare il tempo a Loano, un altro paesino della Liguria.
Se
non si fossero conosciuti lì non l'avrebbero mai fatto,
più
crescevano più se ne rendevano conto.
Non sarebbe stato
importante quanti anni avrebbero potuto vivere a Genova, avevano vite
troppo diverse perché si potessero incrociare in una
città così
grande.
Giorgio era figlio unico di due operai, persone per bene
ma che convivevano con troppe difficoltà, tanto che per il
ragazzo
era stata una lotta iscriversi al liceo e un'altra lotta sarebbe
iniziata di lì a poco per poter fare l'università.
Tutto il
contrario era l'ambiente sociale da cui proveniva Simone, il cui
padre attore molto famoso a Genova e abbastanza noto anche nel resto
del paese, costretto da questa parentela a non essere mai sé
stesso
ma solo il figlio di. Si sentiva tremendamente schiacciato da quel
fatto, vittima di qualcosa che non voleva ma che non poteva cambiare.
Aveva deciso da tempo che, finito il liceo, si sarebbe iscritto a
medicina, impegnandosi al massimo per poter diventare un grande
medico. Pensava che, a quel punto, la gente lo avrebbe riconosciuto
per quello che era, per la sua professione, per il suo ruolo, non
più
semplicemente per il cognome che portava e che, da tempo ormai,
iniziava ad essere quasi pesante.
In fine c'era Gaia, che se fosse
nata in un altro posto, in un'altra epoca, sarebbe stata la
quintessenza della normalità. Ma era nata a Genova nel
periodo
sbagliato, e anche se aveva una famiglia che l'amava aveva un padre
magistrato e una paura che le corrodeva il cuore.
Suo
padre, Alfio, aveva imposto alla famiglia che non si guardasse la
televisione a cena, quando la Rai trasmetteva il telegiornale.
Non
voleva che i suo figli, soprattutto la più piccola,
sentissero ogni
sera dei morti fatti dalla follia di qualcuno.
Ma era impossibile
non accorgersene; i giornali, la gente in strada, i funerali che a
Genova erano continui.
Gaia vedeva, sentiva, sapeva.
Sapeva che
c'erano ragazzi e ragazze della sua età, che potevano essere
suoi
amici, che si alzavano un giorno e la sera stessa si mettevano a
letto senza avere più un pezzo della loro famiglia.
Sentiva Vespa
al telegiornale, quando lo guardava, dire che la gente moriva tutti i
giorni, uccisa. E leggeva rapida gli articoli di persone importanti,
come Montanelli o Scalfari, che dicevano quelle stesse cose.
Sperava, Gaia, sperava che un giorno smettessero, sperava che un
giorno tutto quello finisse.
Guardava suo padre, ogni tanto.
Lo
guardava fumare seduto al tavolo del salone mentre risistemava alcune
carte di lavoro, e in quei momenti pensava alle parole di quelli come
Vespa, Montanelli o Scalfari. Diceva a se stessa che un giorno
avrebbero davvero smesso di parlare e scrivere di morte.
Ma poi,
per un attimo, il tempo di una lacrima, si domandava se, invece, un
giorno non avrebbero fatto anche il nome di suo padre lì,
davanti a
milioni di italiani che guardavano o leggevano inermi di una follia
assurda.
Impotenti davanti al dolore, al sangue, alla morte.
Poi
correva ad abbracciarlo, inventando una scusa.
Perché sapeva gli
sforzi che faceva Alfio per tenerla lontana da quel mondo terribile,
e non voleva fargli vedere che tanto era inutile, che i brutti
pensieri li aveva comunque.
Per come era fatta lei, poi, che
preferiva tenersi dentro le cose brutte e tirare fuori solo quelle
belle, era anche difficile parlarne con gli amici.
Con la
famiglia, ovviamente, evitava di fare quei discorsi, ma una volta,
tempo prima, quando una sera suo padre non era tornato per cena e
avevano guardato la televisione, ad Antonello quei pensieri li aveva
detti.
- Ma tu quando senti queste notizie a papà non pensi
mai?-
- Sì, ma so che non succederà mai nulla. -Gli
aveva
risposto lui mentre si trovavano seduti in balcone a prendere un po'
di fresco.
- Io lo spero. Però la paura rimane.-
- La paura è
fisiologica, Gaia, e non solo in questi casi. Io preferisco non
pensarci, saprei che vivrei male con tutta questa paura addosso.
Fisiologica sì, ma non deve rovinarci la vita, la paura.-
- Io a
volte ci penso solo perché se accadesse vorrei essere
preparata.-
Antonello non aveva risposto alla sorella, l'aveva solo
abbracciata.
Se le avesse risposto la sua verità, ovvero che
tanto per quanto agli eventi peggiori ci si pensi non si arriva mai,
ma proprio mai, preparati, sarebbe stato anche peggio.
Preferiva
non dirle nulla, né cose belle né cose brutte, ma
stringersela
vicino come se fosse ancora una bambina e farle capire che lui c'era
e ci sarebbe stato.
Neanche Simone e Giorgio sapevano dei pensieri
che spesso intristivano l'anima dell'amica.
Con loro il rapporto
era molto simile a quello che aveva con il fratello maggiore, tanto
che se mai si fosse innamorata di uno dei due si sarebbe certamente
sentita sporca, impura, perché per lei sarebbe stato quasi
un amore
incestuoso.
E i ragazzi anche non riuscivano a vedere Gaia come
una possibile fidanzata, troppo attenti a tenersela stretta come una
sorella più piccola, da crescere, da proteggere.
Ma come potevano
proteggerla dai mostri che aveva dentro? Da quella paura che non
esplicitava, che nascondeva come un peccato.
In quegli anni se ne
erano accorti, Simone e Giorgio, avevano capito che qualcosa in Gaia
distruggeva la sua serenità e avevano anche intuito di cosa
si
trattasse.
Ma
lei non parlava e loro non la volevano costringere.
Anche perché,
quando erano da soli e il discorso cadeva su Gaia e le sue possibili
paure, si rendevano conto di come fossero del tutto impotenti a
riguardo.
Certo, potevano tranquillizzarla, parlarle, dirle di non
temere, ma a livello pratico non c'era nessun gesto, nessuna azione
che loro potessero fare per mandare via la paura dell'amica.
E
allora, per quanto doloroso fosse, si limitavano a guardarla mentre
fingeva di star bene e aver la mente libera da ogni pensiero
triste.
Lo facevano anche quel giorno, un bel pomeriggio di inizio
settembre.
Avevano mangiato insieme in un piccolo bar non molto
lontano dal lungomare e, mentre uscivano da lì, Gaia aveva
detto
loro che la giornata insieme sarebbe terminata presto perché
alle
tre e mezza si sarebbe dovuta trovare a piazza Crispi per incontrarsi
col padre.
- Devo andare a cercare i libri per la scuola e poi
lui deve tornare a lavoro.-
Aveva spiegato.
- Però che
palle! Tutti gli anni, a inizio settembre, è la stessa
storia; gli
unici giorni in cui possiamo stare insieme senza troppe restrizioni
tu devi sparire!-
Aveva esclamato Simone.
- E domani sarà
ancora peggio perché mio padre lo vedrò a casa,
quindi dovrò
prendere l'autobus alle tre. Ma se volete posso venire qua la mattina
verso le nove, così stiamo insieme. Se vi svegliate,
ovviamente.-
-
Gaia non vorrei apparirti scortese, ma quella incapace di alzarsi
prima delle undici e mezza qui sei te!- Le disse ridendo Giorgio.
La
ragazza gli aveva mostrato la lingua e poi era andata a sedersi su un
muretto di quelli che stavano qualche metro sopra alla spiaggia.
Gli
altri due l'avevano poi raggiunta e lei si era messa a raccontargli
di un ragazzo conosciuto al mare in Toscana, a Porto Santo Stefano.
- Cosa cosa? Gaia conosce un ragazzo e noi lo sappiamo solo due
settimane dopo il suo rientro a Genova!? - Aveva detto Simone. E
l'altro gli aveva fatto eco a modo suo. - Marchi male, signorina.
Malissimo.-
Gaia aveva sbuffato e poi aveva replicato. - Guardate
che ci sono due uomini nella mia vita che devono sapere dei miei
amori, è vero, ma mica siete voi!-
- Fammi indovinare...- Era
stato il commento di Giorgio. - Saranno mica tuo padre e tuo
fratello?-
Avevano riso tutti e tre, poi lei aveva raccontato per
bene ai due di quello che era successo al mare.
- In realtà non è
accaduto niente di che, neanche un bacio. Ma stavo bene insieme a
lui. È Pisano, si chiama Andrea. Da quando sono tornata mi
ha anche
telefonato un paio di volte. Insomma, non mi ha dimenticata.-
Simone
e Giorgio avevano chiesto i dettagli di quell'amicizia, se si poteva
chiamare così, e soprattutto avevano fatto all'amica un
interrogatorio vero e proprio sul ragazzo.
Alla fine, mentre
andavano verso la piazza perché, loro malgrado, si erano
accorti che
il tempo da passare insieme stava per loro finendo, avevano detto che
sì, forse, poteva essere un buon partito per la ragazza. -
Ma prima
dobbiamo conoscerlo per bene!- Aveva detto fingendosi serio Giorgio
mentre lei entrava nella macchina del padre.
I due ragazzi avevano
salutato con un cenno del capo il magistrato e poi lui aveva messo in
moto.
- Chi è che devono conoscere per bene Simone e Giorgio?-
Aveva chiesto alla figlia mentre guidava verso il centro.
- Oh,
parlavamo di Andrea. Il ragazzo di Pisa, papà, ti ricordi?-
-
Certamente. Fammi capire, sei arrivata a quell'età in cui
gli amici
maschi più che amici sono padri?- Aveva riso Alfio.
- Fratelli,
papà, fratelli. Di padre ne ho solo uno e mi basta.- Aveva
risposto
lei baciandolo sulla guancia.
****
L'officina in cui
lavorava Antonello era di strada al padre dalla procura a casa,
così
quando Alfio usciva dal lavoro andava a prendere il figlio e assieme
ritornavano dalle tre donne della loro vita.
Quella sera di
settembre era andata proprio come tutte le sere, i due uomini erano
rincasati insieme e avevano trovato Beatrice, la madre, in cucina
assieme alle due figlie.
- Ma ancora non si apparecchia qui?-
Aveva detto fingendo una voce burbera.
Gaia e Patrizia avevano
riso, perché malgrado tutti gli sforzi che faceva per
sembrare un
uomo severo Alfio era totalmente incapace di arrabbiarsi con i suoi
cari.
- Abbiamo apparecchiato in balcone, papà. È una
così
bella serata.- Aveva detto la secondogenita mentre il resto della
famiglia si avviava già verso la tavola.
Dal balcone di casa
loro, bello spazioso, si vedeva bene tutta Genova e in particolare il
mare.
Era iniziato settembre, era vero, ma ancora quella sera
riuscirono a godersi il tramonto sul porto e sulle spiagge della
città ligure.
- Sai che tua sorella minore ha due nuovi fratelli
maggiori?- Aveva detto mentre mangiavano Alfio al figlio più
grande.
- Fammi indovinare... Si chiamano Simone e Giorgio! Ci ho
preso, vero?-
Gaia aveva fatto una smorfia al padre e poi, prima
che lo facesse lui, aveva raccontato quello che era successo nel
pomeriggio.
Poi aveva detto che il giorno seguente si sarebbe
alzata presto per andare dagli amici a Quarto e il padre le aveva
proposto di accompagnarla.
- Tanto non ho molto da fare in
procura domani, per una volta posso anche permettermi di entrare dopo
e uscire prima.-
La ragazza lo aveva ringraziato e baciato
alzandosi da tavola.
- Scappo che chiamo i ragazzi e poi Luisa!-
- Da quanto non la senti? - Aveva riso la sorella maggiore. - Due
ore?-
- Oh ma stasera ce l'avete tutti con me?- Aveva chiesto Gaia
alludendo alle scherzose prese in giro che durante la cena le aveva
fatto la famiglia.
Poi,
mentre gli altri ancora ridevano e mangiavano, era corsa al telefono
e lo aveva occupato praticamente fino all'ora di dormire.
Prima di
coricarsi aveva salutato per bene la madre e la sorella, dando solo
una lieve buonanotte ai due uomini di casa perché sapeva che
li
avrebbe rivisti la mattina dopo appena sveglia.
E infatti, poco
prima delle otto, Antonello l'aveva svegliata scuotendola dolcemente
come solo un fratello maggiore sa fare, mentre Alfio in cucina
già
preparava la colazione.
Il
ragazzo uscì di casa prima degli altri, doveva andare in
facoltà
prima che in officina e non aveva molto tempo da perdere.
Il padre
e la figlia più piccola, invece, riuscirono a salutare
Beatrice ma,
ovviamente, non Patrizia, che in quanto a dormite estive batteva con
molta abilità la sorella.
A piazza Crispi Simone e Giorgio
salutarono cortesemente l'uomo che alle loro parole adulte sorrise
ripensando a quando erano bambini e lo chiamavano zio nelle lunghe
giornate al mare.
- Trattatemela bene, è l'unica che ho ancora
piccola.- Aveva detto prima di andarsene riferendosi a Gaia.
I tre
erano andati a fare colazione e poi in spiaggia.
Si stava bene a
Genova quel giorno di inizio settembre.
Venerdì 7
settembre.
07/09/79 aveva riso la ragazza dicendo agli altri che
giorno fosse.
Avevano fatto il bagno e preso il sole, parlando
della scuola che stava per iniziare, del compleanno di Gaia a cui
mancava poco più di un mese, del futuro fuori dal liceo che
attendeva i due ragazzi a meno di un anno da lì.
Poi le era stato
ancora domandato di Andrea e lei aveva risposto a tono chiedendo
perché mai loro due non si fidanzassero né
parlassero di ragazze.
-
Che domande! È perché ci amiamo tra di noi.-
Aveva detto Giorgio
abbracciando l'amico.
Era una bella giornata, a Genova, quel 7
settembre 1979.
- Le vacanze estive durano sempre troppo poco. Mi
sembra ieri il primo bagno in mare a giugno!- Aveva sospirato Gaia
mentre giocavano a carte sotto il caldo sole delle undici e mezza.
-
Si vede proprio che sei ancora piccola, Gaietta. A
me pare
ieri che giocavamo tutti insieme in spiaggia a Loano, ai bei tempi
della scuola elementare. Possibile che siano già passati
dieci
anni?!- Aveva retoricamente domandato Giorgio.
- Non chiamarmi
Gaietta! Lo sai che mi dà fastidio! E poi non sono piccola,
sono
solo meno nostalgica di voi. -
- Già, in questo non hai di
sicuro preso da tuo padre però.- Aveva fatto notare Simone
mentre
rimescolava il mazzo. - Oggi, quando ti ha accompagnata, ci ha
guardati in un modo strano. O era terribilmente stanco o era
terribilmente stupito nel vederci così grandi.-
- Credo la
seconda. In fondo per papà siete sempre stati se non dei
figli dei
nipoti. Anzi, non so se vi ricordate ma qualche anno fa lo chiamavate
zio.-
- Come no!- Era stata la risposta di Giorgio. - Ma poi sono
cresciuto e ho iniziato a vergognarmene, non so il motivo.-
La
ragazza non aveva più parlato.
Era arrivata sopra alla spiaggia
una nuvola molto scura e per un attimo aveva fatto fresco.
Gaia
aveva approfittato di quel momento per lasciar perdere la partita a
carte e sdraiarsi sull'asciugamano in attesa che il sole tornasse.
Si
era messa a pensare a quelle estati a Loano e alla loro amicizia
particolare, quella di tre persone così diverse.
Era vero che i
due ragazzi, malgrado la provenienza sociale e familiare totalmente
differente, frequentavano il liceo insieme, ma lo avevano deciso
dopo, quando ormai erano amici da tanto.
- Ragazzi mi svegliate
all'ora di pranzo? Ho sonno!- Aveva detto poi girandosi a pancia
sotto e facendo il possibile per addormentarsi.
Loro avevano
riso. Lo sapevano benissimo che alzarsi la mattina presto nel periodo
di vacanza era per lei impossibile, e così già
dalla sera prima
avevano immaginato che la mattinata al mare si sarebbe conclusa in
quel modo.
La nuvola scura se n'era andata in fretta, lasciando
tanto sulla pelle dell'addormentata quanto su quella dei due svegli
un brivido che era subito dopo divenuto caldo.
Verso il
mezzogiorno, piano piano, la spiaggia si era svuotata e le urla dei
bambini, assieme ai loro giochi e ai loro schiamazzi, avevano
lasciato spazio al rumore delle onde, dei gabbiani e di qualche
macchina che passava sulla strada sopra il lungo mare.
Alla fine
Gaia si era addormenta davvero e, quando i due l'aveva accertato, si
erano messi di nuovo a parlare di Andrea, forse perché la
notizia
dell'innamoramento, o presunto tale, dell'amica era per loro
così
inaspettata che dovevano ragionarci sopra a lungo.
- Non che io
abbia nulla in contrario, anzi, ma fa veramente strano vederla
invaghita di qualcuno.-
- Sì, Simo, e menomale che non si tratta
di uno di noi due perché in quel caso sarebbe stato un guaio
veramente grosso.- Aveva scherzato Giorgio. Ma dopo poco era tornato
a farsi serio, ammirando l'amica riposare. - Dopo tutto è
così
bella, prima o poi sapevamo che sarebbe accaduto. O magari è
successo anche altre volte e non ci ha mai detto nulla, le ragazze a
volte sono così. Di sicuro lo sa Luisa.- Aveva detto
riferendosi
alla migliore amica di Gaia. - Ma penso che riguardo agli amori della
nostra comune amica sia più muta di una tomba.-
Simone aveva
annuito e aveva guardato il mare con lo sguardo di chi cerca
qualcosa, lì fuori. - Sì. Anche Marta, ti
ricordi? La ragazza con
cui sono stato all'inizio delle superiori. Anche lei ce ne mise di
tempo prima di confessarmi che fosse innamorata.-
- Vabbeh ma è
diverso! Pure io, malgrado sia maschio, in certi casi non confesserei
mai un amore alla diretta interessata. No, no, io ti parlo di
un'amica. Una ragazza può essere amica di un ragazzo ma non
avrà
mai lo stesso rapporto che ha con altre femmine.- Giorgio
cercò di
spiegarsi meglio e l'amico capì cosa intendesse.
- Comunque se ci
pensi Gaia è davvero tornata a Genova da pochissimo, quindi
non vedo
motivo di credere che non volesse dirci qualcosa, ha solo aspettato
il momento giusto. Probabilmente il problema è davvero
nostro, nella
nostra idea che lei sia ancora piccola quando invece tra poco
compirà
sedici anni. Siamo proprio come suo padre, Simo!- Aveva riso il
ragazzo prima di sdraiarsi anche lui a prendere il sole.
Avevano
svegliato poi l'amica appena prima dell'una ed erano andati a
mangiare qualcosa al bar della spiaggia, dove si stava freschi e il
gestore, loro amico, gli permetteva di passare le ore più
calde
sotto la veranda anche se il pranzo era finito da un pezzo.
Avevano
giocato a carte fino alle due e mezza passate, con Gaia che faceva il
possibile per stare verso il sole e asciugarsi completamente prima di
andare a prendere l'autobus per casa.
E fortunatamente ci era
riuscita, eccezione fatta per i lunghi e folti capelli.
I capelli
di Gaia erano neri, scurissimi, tipicamente mediterranei.
Sua
madre era nata in Sicilia e a Genova c'era arrivata per motivi che
neanche più ricordava appena dopo la fine della guerra,
senza la
certezza né il desiderio di restarci per sempre.
Ma poi, per
caso, un giorno aveva incontrato un giovanotto che studiava per
diventare magistrato e ne era rimasta affascinata, tanto da
dimenticarsi anche i limoni e le arance di Sicilia che tutti i giorni
le mancavano.
Si erano sposati ed era arrivato Antonello, il
primo figlio, poi le due bambine e alla fine la sua patria non era
rimasto che un posto dove andare in vacanza per rifugiarsi nei
ricordi.
Non sarebbe mai riuscita a vivere nuovamente in un paese
piccolo come quello in cui era cresciuta, ma alla fine le andava bene
così. Si era innamorata di Genova, di Alfio, dei suoi figli.
Stava
bene lì.
Solo i capelli nerissimi di Gaia, quei capelli che in
quel pomeriggio di settembre tardavano ad asciugarsi, ogni tanto le
mettevano un po' di nostalgia, forse perché la ragazza
più piccola
era l'unica ad avere quei marcati lineamenti del sud che spesso a
Beatrice mancava vedere per strada nei volti di tutti.
- Il
prossimo anno potresti farti un taglio tattico corto come il nostro
prima dell'estate, così non avrai problemi per far asciugare
i
capelli al mare.- L'aveva presa in giro Simone mentre
l'accompagnavano a Piazza Crispi.
- Sai tornare a casa da sola,
vero? O hai bisogno che ti conti le fermate?- Era stato il sarcastico
commento dell'altro amico.
La ragazza aveva sbuffato e aveva preso
il libro che teneva nella borsa del mare per iniziare a leggere e far
capire agli altri che le loro simpaticissime battute non la toccavano
minimamente.
Si salutarono rapidi quando arrivò l'autobus, e lei
li vide avviarsi di nuovo verso il mare come molto le sarebbe
piaciuto fare ancora.
Ma pazienza, si trattava solo di un
pomeriggio, anche se uno degli ultimi di vacanza.
Scese alla
fermata giusta senza bisogno di contarle e si avviò calma
verso casa
sua, con il libro sotto il braccio perché l'aveva letto
durante
l'intero viaggio.
Aprì con uno scatto rapido la serratura
dell'appartamento e fece la cosa più naturale del mondo.
- Papà?-
Iniziò a chiamare.
- Papà sei già arrivato? Mamma? Patrizia?
C'è qualcuno in casa?-
Niente, la casa era immersa nel più
assoluto silenzio.
Si stupì di quella situazione alquanto
irreale e cominciò a temere.
Provò a distrarsi andando a
stendere l'asciugamano e le altre cose utilizzate quel giorno al mare
ma non appena entrata in bagno il silenzio fu interrotto da uno
squillo del telefono.
Corse a rispondere subito e con sua grande
sorpresa non trovò nessuno dall'altra parte del filo.
Lasciò
perdere e tornò al suo lavoro quando ecco che un alto
squillo la
disturbò.
E di nuovo nessuno rispose.
La paura tornò a farsi
forte.
Pochi attimi dopo la fine della seconda telefonata sentì
la porta aprirsi di scatto.
Sperò con tutto il suo cuore di
figlia che fosse il padre che stava rientrando come avevano
programmato, ma davanti a lei si parò il fratello maggiore
con una
faccia che non prometteva buone notizie.
- Gaia...! sei qui per
fortuna. Vieni, dobbiamo andare. Non... non fare domande...-
La
ragazza non capì assolutamente nulla di ciò che
stava accadendo ma
fece ciò che le disse Antonello e uscì di casa,
seguendolo in
macchina e non chiedendogli nulla, forse anche troppo spaventata per
parlare.
Il viaggio in automobile fu assurdo, silenzioso come la
casa che avevano appena lasciato, strano, pesante.
Il fratello
guidò come un matto, in un modo totalmente imprudente,
facendo una
strada che lei non comprese fino a che non riconobbe davanti a lei
l'ospedale San Martino.
Scesero dal veicolo e lui la fermò
guardandola negli occhi facendole capire che il momento della
verità
era arrivato.
- Gaia ascoltami... cerca di ascoltarmi bene perché
non è per niente facile...-
- Cosa succede Anto? Perché siamo
qui? Perché papà non mi è venuto a
prendere a casa?-
- Papà...
Gaia oggi quando papà è uscito dalla procura
è successo un fatto
che...- Si fermò, incapace di continuare.
Ma lei aveva capito
subito, appena Antonello aveva fatto riferimento alla procura.
Perché
sapeva cosa succedeva, Gaia, anche se a casa non si vedeva il
telegiornale.
- Hanno sparato a papà, è vero?-
Aveva parlato
in lacrime e poi aveva abbracciato suo fratello, sapendo benissimo di
aver detto le uniche parole che a lui, tanto grande e forte, non
sarebbero mai uscite.
Lo prese per mano e si fece condurre da lui
lungo i corridoi dell'ospedale.
Le aveva detto che lo stavano
operando e mentre seguiva il fratello Gaia provò a fare il
possibile
per imparare a memoria la strada, cercando di convincersi che le
sarebbe servita per andare a trovare il padre quando, una volta
salvato durante l'intervento, sarebbe rimasto qualche giorno in
ospedale.
Ma quel pensiero era per lei troppo felice, in quel
momento, e le facce spaventate e tristi della madre e della sorella
davanti alla sala operatoria le fecero capire che di felice quel
giorno c'era ben poco.
Cercò rifugio tra le braccia di Beatrice,
senza dire una parola, senza cercare di dare o ricevere conforto.
Aspettarono a lungo.
Poi un medico uscì con un volto funebre
e ogni pensiero positivo finì in quel momento.
Lo straziante urlo
della madre e della figlia più grande spiegarono anche a chi
non
sapeva nulla cosa fosse appena accaduto, mentre Antonello tentava di
rimanere lucido e fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Gaia, invece, era
rimasta in piedi davanti alla seggiola su cui era stata seduta fino
all'uscita del chirurgo.
In piedi, ferma, immobile, con gli occhi
bagnati ma incapaci di piangere.
Senza
emozioni, senza voce per urlare o disperarsi.
Ferma come il cuore
di suo padre, come la vita che aveva vissuto fino a quel
giorno.
Ferma alle quattro di un pomeriggio di settembre, il
O7/O9/79, una data che faceva sorridere, fino a quella mattina.
Una
bella mattina di sole, a Genova.
****
Simone
e Giorgio avevano lasciato la spiaggia alle quattro e mezza, ignari
di quanto fosse accaduto nel frattempo.
Avevano deciso di andare a
casa del secondo e poi decidere se fare qualcosa in serata o stare
calmi senza uscire.
Anche loro, come Gaia, per tornare a casa
avevano preso un autobus a piazza Crispi e fatto un pezzo a piedi,
una salita di quelle di cui Genova era piena.
Appena prima di
arrivare a casa di Giorgio, mentre ancora ridevano e scherzavano per
i fatti loro senza poter neanche immaginare cosa fosse accaduto,
riconobbero davanti al portone della casa due figure di donna che,
avvicinandosi, riuscirono a distinguere per bene. Erano le loro
madri.
Non si capacitarono di quella visione, perché la madre di
Simone di solito a quell'ora era a casa e quella di Giorgio doveva
essere a lavoro.
Senza
neanche parlarsi iniziarono a correre verso di loro, come se entrambi
avessero compreso che se erano lì doveva essere accaduto
qualcosa di
serio.
- Mamma, signora... cosa ci fate qui?- Chiese Giorgio
appena fu davanti alle donne.
- Finalmente siete arrivati! Venite,
presto, saliamo!- Aveva risposto solamente la padrona di casa,
aumentando l'ansia di chi le si trovava intorno.
Appena saliti
chiese al figlio di fare una caraffa d'acqua e si misero tutti in
cucina a sedere in silenzio al tavolo dove Giorgio e la sua famiglia
erano soliti pranzare e cenare.
- Mamma volete dirci cosa c'è? È
successo qualcosa a papà?-
- Non al tuo, Giorgio.-
Un brivido
scosse la schiena di Simone, che con gli occhi tristi si rivolese
alla madre. - Al mio? È successo qualcosa a mio padre?- Ma
anche lei
fece con la test segno di no.
I due ragazzi non capirono, si
guardarono stupiti cercando di comprendere al padre di chi
potesse
essere accaduto qualcosa di tanto grave da dover essere avvisati da
entrambe le donne nell'aria così triste che aleggiava in
quella
cucina scaldata dal sole che, incurante di qualsiasi avvenimento,
continuava a entrare dalla porta-finestra aperta che dava sul
balcone.
Non riuscivano a visualizzare nessuno, in quel momento.
Compagni di classe, amici comuni, non c'era nessuno che gli veniva in
mente.
Poi, insieme, inaspettatamente, ebbero un'idea e i loro
occhi la comunicarono ben prima delle loro voci.
- Si tratta del
papà di Gaia? È successo qualcosa ad Alfio? Hanno
avuto un
incidente in macchina? Dovevano vedersi a casa e poi...- Giorgio
finì
di parlare e iniziò ad ansimare come se fosse appena stato
troppo in
apnea.
La madre di Simone scoppiò in lacrime e il figlio
andò
da lei, mentre l'altra, che era un'operaia e oltre che le ossa si era
fatto forte anche l'animo, deglutì e raccontò. -
Gaia e suo padre
non si sono mai visti a casa, figlio mio. Hanno sparato al signor
Alfio questo pomeriggio appena è uscito dalla procura.-
I
singhiozzi della madre di Simone si fecero più forti, e un
urlò
uscì dalle bocche dei ragazzi che provarono ad articolare
quello che
pareva un no.
Simone fu il primo a calmarsi, chiedendo senza
ottenere risposta come stesse l'uomo.
Ancora increduli tutti
quanti tentarono di calmarsi in qualche modo, di trovare le risposte
a tutte le domande che gli venivano in testa in quei momenti.
Giorgio aveva guardato di nuovo la madre. - Ma si sa chi è
stato?-
– Quelli che sparano in strada, Giò. Quelli che
sparano
in strada.-
La risposta era chiara, si parlava di terroristi,
forse gli unici che potevano desiderare morta una persona come Alfio
Olivietti, pubblico ministero di Genova e padre amorevole di tre
figli ormai grandi ma che ancora avevano bisogno di lui.
Silenzio.
Solo silenzio.
L'unico rumore che si sentì per parecchio tempo
fu lo scrosciare dell'acqua dal rubinetto perché dovettero
riempire
la caraffa più di una volta, assetati per via del caldo e
dell'agitazione.
Il pensiero dei due ragazzi era fisso
sull'amica, sul suo volto sorridente mentre li salutava dall'autobus,
sullo sguardo pieno d'amore che aveva avuto quella mattinata mentre
parlava di suo padre, sul bacio rapido che aveva lasciato sulla
guancia dell'uomo quando si erano salutati forse per l'ultima volta.
Simone provò qualcosa di strano nel pensare che,
probabilmente,
loro e Gaia erano state le ultime persone care al magistrato che lui
aveva visto.
Il padre di Giorgio rientrò in casa ben prima del
solito, non erano ancora le sei.
In mano teneva il suo cappello e
i suoi occhi erano piccoli, rossastri.
- Il procuratore Olivietti
non è sopravvissuto.- Disse semplicemente.
E aveva scelto di
proposito quella dicitura così formale, quasi da quotidiano,
per
tentare il possibile di staccarsi dall'idea che fosse morto un uomo
con cui aveva condiviso giornate in spiaggia, che aveva pagato il
gelato a suo figlio, che l'aveva aiutato nei momenti in cui si erano
trovati in difficoltà economiche e non sole.
Il silenzio fu
rotto dal pianto, in quella cucina di Genova, lo stesso che si stava
consumando a casa di Gaia, quel giorno in cui alle sette e mezza non
sarebbe rientrato nessuno.
Perché, proprio come da Giorgio, quel
giorno di lavoro, quel venerdì di inizio settembre, erano
già tutti
a casa molto prima del solito.
Anche se le sedie occupate nella
cucina degli Olivietti erano ormai solo quattro.
****
Al
funerale non aveva parlato solo la famiglia, in un giorno ancora
caldo nella piazza centrale del loro quartiere.
Dovevano iniziare
le scuole, quella mattina, ma il sindaco aveva rimandato l'apertura e
proclamato il lutto cittadino.
La vedova era stata accompagnata
per braccio dai due figli più grandi, quelli che per primi
avevano
fatto un discorso davanti a tutti per ricordare il padre, senza fare
accenno neanche una volta a chi aveva compiuto quel gesto terribile.
Ne avevano parlato altri, di quell'ennesimo omicidio, e non solo
durante la cerimonia di addio ad Alfio Olivietti, ma non era
importante.
Non lo era e non lo sarebbe stato neanche se un giorno
si fossero trovati gli assassini, perché tanto neanche
quello
avrebbe ridato l'uomo alla famiglia.
Così pensava Gaia, che da
tre giorni prima non aveva più detto nulla.
Né
alla famiglia, né con gli amici, Gaia non aveva proferito
parola
neanche una volta.
Si era rintanata in camera sua e aveva pianto,
tanto, ma in silenzio, di notte, impedendo a tutti di vederla in
lacrime.
E non piangeva neanche mentre il prete pronunciava le
parole che la Chiesa Cattolica aveva deciso, chissà quanti
secoli
prima, fossero quelle giuste per accompagnare qualcuno nel suo ultimo
viaggio.
La sua vita si era come fermata nel terribile momento in
cui in ospedale aveva capito il padre fosse morto.
Tra le urla di
sua madre e sua sorella lei era rimasta muta, immobile, come
impassibile.
Forse – pensavano alcuni – si era trattato di una
forma di shock, ma lei che lo viveva in prima persona sapeva che era
altro.
Giorgio, Simone, Luisa e tutti i suoi amici erano passati
da lei, l'avevano abbracciata, le avevano detto parole di conforto e
di circostanza a cui però non era riuscita a rispondere.
Non
comprendeva neanche se a non uscirle fossero le parole o proprio la
vita, ma fatto stava che da tre giorni non si sentiva in casa la sua
voce.
Di Patrizia, invece, si era sentita ogni emozione; dolore,
rabbia, incapacità di rassegnazione.
Piangeva,
urlava, si disperava.
Cercava di stare fuori di casa il più
possibile per provare a distrarre i pensieri, andava sul lungomare e
scavava nella sua memoria alla ricerca di qualcosa di bello, ma in
quei momenti non riusciva neanche a ricordare la voce di suo
padre.
Si era pentita terribilmente di non essersi svegliata prima
quel giorno, di non averlo salutato. Si domandava se almeno la loro
buonanotte la sera prima fosse stata degna di un addio, ma neanche
quello le veniva in mente con certezza.
Erano passati lenti, quei
tre giorni, lenti come mai era accaduto nella loro vita.
Antonello
era stato il primo a provar a continuare la sua vita, ad alzarsi il
sabato mattina con la consapevolezza di essere diventato orfano ma
anche con la voglia di non deludere quel padre che per ventiquattro
anni gli aveva insegnato l'importanza di vivere ogni attimo.
Sarebbe
tornato a lavorare il giorno dopo, facendosi cambiare gli orari e
provando a rincasare prima per non illudere nessuno nel far girare la
chiave nella toppa alle sette e mezza, ma sarebbe tornato subito a
lavorare.
Perché era diventato l'uomo di casa, lui, e doveva
proteggere le tre donne, tutto ciò che di quella famiglia
felice era
rimasto, da ogni male.
Non poteva però difenderle da loro stesse,
dalle lacrime e dal dolore che provavano, ma di certo difenderle
dalla fame, dalla sensazione di non poter più avere una vita
normale
era un primo passo.
Dopo la cerimonia, vissuta in maniera così
pubblica, la famiglia sola, come da sua richiesta,
accompagnò il
feretro dell'uomo verso la sepoltura nello stesso cimitero in cui
già
riposavano i suoi genitori.
Fu davanti alla lapide che Gaia
pianse per la prima volta senza essere sola. Davanti al nome di suo
padre, a quel cognome che era e sarebbe rimasto per tutta la vita il
suo, davanti alla data di nascita, quella di quei compleanni che non
avrebbero mai più festeggiato, e alla data di morte, quel
giorno che
avrebbe odiato per tutta la sua vita.
Beatrice non ci pensò due
volte e abbracciò sua figlia, tenendosi il suo volto stretto
al
petto come quando era una neonata e stava tutta tra le sue
braccia.
Istintivamente, in quel momento, Antonello sentì il
bisogno di fare come sua madre e strinse a sé Patrizia, come
se
dovesse per forza proteggere qualcuno pur di mostrarsi forte.
La
figlia più piccola si staccò dalla donna dopo un
numero di minuti
imprecisati, e continuando a non dire nulla appoggiò una
mano sulla
piccola foto che ritraeva suo padre.
L'accarezzò dolcemente,
ripercorrendo col dito i lineamenti che conosceva a memoria, notando
solo in quell'attimo come davvero loro tre figli avessero preso dal
suo volto qualcosa; Antonello gli occhi, Patrizia la fronte alta che
si divertiva sempre a definire simbolo di intelligenza e lei le
labbra piccole e tutt'altro che carnose.
Fu proprio nello sfiorare
la piccola bocca del padre, quella da cui aveva tante volte ascoltato
parole gentili e d'amore, che parlò per la prima volta,
muovendo la
sua nello stesso modo dell'uomo.
- Papà...- Sussurrò leggera.
Chissà quando di nuovo avrebbe avuto la forza di dire quella
parola.
****
-
Domani torno a scuola. - Aveva detto la ragazzina a cena due sere
dopo il funerale.
- Sei sicura? Forse è presto...- Le aveva
risposto la madre, convinta che Gaia avesse ancora bisogno di
riprendersi.
- A parte che se mi vedesse lui mi ucciderebbe penso
di aver bisogno di tornare ad una vita normale, stare a casa
è anche
peggio.-
Lo chiama Lui.
Da quando accarezzando la sua lapide
l'aveva chiamato l'ultima volta papà non era stata
più in grado di
ripetere quelle quattro lettere.
Era capace di dire “mio padre”,
ma la parola papà era divenuta un tabù, un
simbolo di qualcosa che
non sarebbe tornato mai, come la felicità.
Ma forse riprendere
una vita normale era d'obbligo, in quel momento.
Come Antonello
che aveva ripreso a lavorare già il giorno prima, cercando
di
impiegare tutti i suoi pensieri e tutti i suoi sentimenti in quello
che doveva fare, decidendo che starsene fermo con le mani in mano non
aveva senso.
Beatrice aveva ripulito due volte la casa, da quando
era rimasta vedova, tentando di dimenticare che in ogni angolo
dell'appartamento viveva un ricordo di Alfio che non avrebbe mai
più
vissuto.
Si impegnava al meglio per non apparecchiare per cinque,
per imparare che erano quattro e quattro sarebbero rimasti per
sempre.
In quegli anni aveva fatto la casalinga, la madre e la
moglie, ma quando i bambini erano diventati ragazzi aveva cominciato
a dare una mano alle persone del suo quartiere, senza mai chiedere
nulla in cambio.
Eppure spesso, nella buca delle lettere,
trovavano buste indirizzate a lei senza indirizzo né
francobollo,
firmate con nomi o iniziali e contenenti poche lire a ringraziamento
di questo o quel servizio.
Fino a una settimana prima quei soldi
erano un pensiero gentile ma non troppo necessario, perché
con lo
stipendio del marito andavano avanti bene.
In quel momento,
invece, Beatrice realizzò che avrebbe avuto bisogno di uno
stipendio
fisso per andare avanti, per far studiare i suoi figli, per donare
loro una vita normale.
L'avrebbe fatto, appena possibile, appena
il suo pensiero principale non fosse stato il loro animo avrebbe
fatto qualcosa per tutto il resto.
Patrizia era l'unica a non
parlare del futuro, in quella casa.
Aveva pianto a lungo e ancora
lo faceva, non riusciva a capacitarsi dell'accaduto e non voleva
riprendere una vita che, a suo dire, non sarebbe mai più
stata
normale.
Quando sua sorella aveva annunciato il ritorno a scuola
era rimasta basita, perché non si aspettava che Gaia, la
figlia più
piccola, l'amore del padre, trovasse subito quella forza.
Ma
forse la piccola era così obbligata a essere forte, in quei
giorni,
da quel momento in poi, che dentro di sé quella forza aveva
dovuto
trovarla o almeno inventarla.
Ne avevano parlato quella sera,
prima di dormire, e Patrizia aveva dichiarato apertamente che sperava
gli assassini di suo padre facessero la stessa fine, che prima o poi
qualcuno li ammazzasse come fossero animali, perché per
quelle
maledette belve, pazzi furiosi convinti che un magistrato potesse
essere colpevole di chissà cosa, non si meritavano neanche
la
galera, istituzione troppo umana per certa gente che umana non era.
Gaia aveva sussurrato un sì e poi le aveva dato la
buonanotte.
Anche lei non capiva sua sorella, non capiva come
fosse capace di odiare.
L'odio era un sentimento, c'era bisogno di
pensiero per produrlo, e lei non era capace, in quel giorni, di
pensare.
Le aveva telefonato più volte Andrea, in quei giorni
assurdi, e pur parlando
Sentiva un vuoto dentro, sentiva un
dolore, ma se in quel momento le avessero messo davanti l'uomo, o gli
uomini, che un giorno avevano deciso di distruggere la vita della sua
famiglia, forse senza neanche poterlo immaginare, era sicura che
sarebbe rimasta ferma immobile davanti a loro. In fondo ucciderli
sarebbe stato abbassarsi ai loro livelli, e poi spesso, parlando col
padre, aveva sentito da lui dire che fulcro della democrazia moderna
era aver superato la pena di morte, aver capito che non è
legittimando lo stato ad uccidere che si risolvevano i problemi
legati alla criminalità.
E anche quando in quegli anni, ogni
tanto, Gaia riusciva a strappare ad Alfio qualche commento sul
terrorismo che riempiva le strade e i cimiteri del paese si sentiva
ripete che bisognava agire su due fronti, punendo i criminali e
impedendo che i giovani, perché quello pareva un fatto tutto
giovanile, pensassero che sparare, uccidere, rapire, ferire fosse il
modo giusto per cambiare le cose. - Ma non lo si deve fare
condannando a morte. - Diceva sempre il pubblico ministero Olivietti
a sua figlia e ai suoi colleghi. - Lo Stato ha tante leggi giuste e
umane per fermare questo fenomeno, e quelle ci devono bastare.-
Probabilmente questi pensieri non erano mai arrivati alle
orecchie di chi vicino alla procura di Genova, a metà
giornata di
quel venerdì d'inizio settembre, aveva svuotato una P38
addosso al
padre di Gaia, rivendicando poi con un foglio di carta arrivato al
quotidiano della città Ligure l'omicidio, parlando in modo
assurdo
di rivoluzione, comunismo, nemici del popolo.
Non era un gruppo
armato molto conosciuto, quello che aveva privato la famiglia
Olivietti del suo capo, tanto che la figlia più piccola si
ricordava
come si chiamassero solo quando leggeva i giornali, e, anche se
provava a metterselo in testa perché comunque forse, un
giorno,
quando tutto quello sarebbe finito, avrebbe potuto dare un nome a
quelle persone, non riusciva proprio a tenerselo a mente, conscia del
fatto che la sigla non cambiava nulla, non era quello a modificare i
fatti.
****
A
scuola, in quel liceo classico che aveva visto studiare tutti e tre i
fratelli Olivietti, le reazioni che Gaia si trovò a
fronteggiare
furono due opposte.
La prima era quella che si aspettava, la
vicinanza dei compagni e degli amici, le condoglianze, le parole di
conforto, gli sguardi affettuosi dei professori che la conoscevano
dal ginnasio e la timidezza di quelli nuovi, che quando scorrendo il
registro arrivavano al suo nome si fermavano un attimo prima di
pronunciarlo, come spaventati dall'idea di farle del male.
Ma la
reazione più fastidiosa, se così si poteva
definire, era quella di
chi nei corridoi la indicava e additava facendo riferimento
all'accaduto, conoscendola come la figlia dell'uomo morto pochi
giorni prima per mano di terroristi.
Lei soffriva quando lo
notava, ma capiva bene come per molti ragazzi della sua scuola fosse
quasi assurdo pensare che un evento tanto drammatico fosse capitato
lì, così vicino a loro.
Perché
per quante volte già Genova e i suoi abitanti fossero stati
feriti
da fatti del genere trovarsi a guardare in faccia tutti i giorni una
ragazza che di punto in bianco era diventata orfana per quel motivo
era strano, incomprensibile.
Gaia provava a non pensarci, però,
ad andare avanti sicura di sé, a non avere più
paura, a
concentrarsi sulla scuola, uno dei campi in cui più aveva
soddisfatto suo padre in tutti quegli anni.
Un giorno di metà
settembre, un paio di settimane dopo l'omicidio, Antonello aveva
sorpreso sua sorella a fissare la porta di vetro che dava sul balcone
dove avevano cenato insieme l'ultima sera.
Era un pomeriggio di
pioggia, aveva finito presto i pochi compiti e aveva deciso di
smettere di distrarsi almeno per un attimo, di piangere e fare i
pensieri tristi che le riempivano la testa e il cuore. Aveva deciso
di sfogarsi, di fermarsi e mettere tutto in pausa.
Quando aveva
finito un intero rotolo di carta scottex, usato per asciugarsi le
lacrime e nascondere i singhiozzi, aveva deciso di calmarsi, di
riprendere di nuovo la sua vita.
Aveva messo via l'album
fotografico che aveva sfogliato fino a quel momento, mentre piangeva
e ricordava ogni istante passato con suo padre. Per la prima volta,
quel pomeriggio, era riuscita anche a ricordarsi degli ultimi giorni
di vita di Alfio, della loro colazione insieme, del viaggio fino a
Piazza Crispi e di quel loro ultimo saluto, di lui che guardava
Giorgio e Simone dicendogli: “Trattatemela bene,
è l'unica che
ho ancora piccola”.
Quasi
una raccomandazione detta da chi già sapeva, forse
inconsciamente,
cosa stava per accadere.
Finito di piangere era andata a buttare i
fazzoletti ed era capitata davanti alla porta del balcone.
Ferma
davanti al cielo che piangeva proprio come lei aveva ricordato anche
la loro ultima cena, gli ultimi scherzi di suo padre, ed era stato in
quel momento che aveva sentito la mano di Antonello sulla sua
spalla.
L'aveva presa e stretta forte, respirando profondamente e
poi gli aveva parlato.
- Avevi torto. Dicevi che morivano i
genitori degli altri, che sparavano ai genitori degli altri, che
nessuno avrebbe mai fatto del male a papà. Avevi torto e ora
quasi
ti odio perché volevi convincermi del contrario. Sei un
bugiardo. -
In lacrime si era girata e aveva iniziato a dargli pugni sul petto,
come a voler far comprendere la sua rabbia verso quella
menzogna.
Antonello le aveva fermato le mani e l'aveva guardata
senza dire nulla, sapeva che prima o poi se la sarebbe presa con lui
e con le sue parole.
Con le mani bloccate dal fratello la
ragazzina aveva smesso di parlare per un attimo.
Poi lo aveva
fissato negli occhi, quegli occhi uguali a quelli del padre e che in
quel momento erano arrossati come i suoi. - Però su una cosa
avevi
ragione, sai? Continuare a pensarci era inutile, mi sono solo
distrutta la vita prima, e preparata alla morte di papà non
ci sono
arrivata, forse non ci si arriva mai.-
Era scoppiata nuovamente in
lacrime, ma aveva sentito qualcosa di strano dentro di sé
quando era
riuscita a dire di nuovo papà, come se suo padre in quel
momento
potesse essere davvero accanto a lei, ancora.
****
“Trattatemela
bene, è l'unica che ho ancora piccola”.
L'ultima frase
detta da Alfio Olivietti a Quarto era rimasta ben in mente ai due
amici di Gaia, che dal momento in cui avevano saputo della morte
dell'uomo avevano fatto il possibile per starle vicino.
Erano
andati da lei la mattina dopo l'omicidio, quando non parlava e non
piangeva, e avevano passato la giornata nella sua stanza ad
accarezzarla, a stringerle la mano e nel pomeriggio a vederla
riposare.
Anche loro erano increduli, incapaci di accettare quello
che era accaduto.
Quando Gaia aveva ripreso a parlare, ad uscire
e ad andare a scuola loro assieme a lei avevano provato a riprendere
una vita normale, ma nessun dei tre era più passato a
Quarto,
neanche per errore.
Un pomeriggio, dopo aver fatto un giro
assieme, la ragazza aveva chiesto ai due amici di accompagnarla in
procura. I due l'avevano guardata straniti, perché era stato
proprio
lì vicino che avevano sparato al magistrato, ma lei aveva
detto che
doveva fare una cosa e né Simone né Giorgio erano
stati capaci di
dissuaderla.
L'avevano lasciata alla fermata dove per tutta la
vita era scesa per andare da suo padre ed erano tornati verso casa
loro, proprio come lei gli aveva chiesto.
Non
erano certi che sarebbe stata in grado di andar via di lì da
sola
però pazienza, dopo tutto non era stupida, Gaia, sapeva
quello che
faceva.
Mentre girava attorno il palazzo capì subito dove suo
padre era caduto, perché sull'asfalto ancora si vedeva una
chiazza
scura che quel giorno era stata provocata dal suo sangue.
Rimase
poco lì, troppo pesante era in quel posto il peso dei suoi
fantasmi.
Fece attenzione entrando nella procura di Genova a non
farsi vedere da nessuno, e ripercorse a memoria la strada che portava
all'ufficio di suo padre.
Aveva sentito un paio di giorni prima
che tutto era rimasto come l'ultimo giorno in cui lui vi era stato, e
sentiva il bisogno di passare qualche attimo lì, di
ricordare tra
quelle mura proprio come aveva fatto a casa.
Aveva aperto e chiuso
velocemente la porta dello studio e si era trovata immersa tra i
libri e le carte di quello che fino a due settimane prima era stato
un ottimo magistrato.
Poi si era avvicinata alla sua scrivania e
lì vi aveva trovato varie foto di lui e della sua famiglia.
Tra
queste, che conosceva bene, riconobbe una foto nuova, fatta al mare
quell'estate, un mese prima dell'omicidio.
Loro cinque in
spiaggia un giorno che Antonello era riuscito a raggiungerli.
Mentre
la fissava lunghe lacrime iniziarono a scendere sulle sue guance, e
non fece in tempo ad asciugarle che sentì la porta aprirsi
di nuovo
e alla sue spalle apparve il dottor Mariotti, un collega del padre.
-
Gaia! Come... come hai fatto ad entrare?- Le domandò
andandole
incontro.
- Io... io ho fatto in modo di non farmi vedere e...
scusi, lo so che non avrei dovuto ma volevo tornare qui ancora una
volta, avevo sentito che fosse ancora tutto come prima...-
L'uomo
la tranquillizzò dicendole che non c'erano problemi, che la
capiva.
Vicino a lei aveva visto la foto che teneva in mano, e
ancora piangendo Gaia gli aveva domandato come fosse possibile che
solo un mese prima di quel sette settembre fossero tanto felici.
-
Se quel giorno ci avessero detto che sarebbe accaduto tutto questo
non ci avremmo mai creduto...- Aveva sospirato.
- Non ci avrebbe
creduto nessuno.- Era stata la replica di Mariotti. - Tuo padre non
era impegnato particolarmente in indagini che potessero far presagire
un epilogo tanto tragico, qui in procura non ho ancora sentito
qualcuno dire che potevamo aspettarcelo....-
Ma la ragazza aveva
scosso la testa e detto che no, che in fondo dovevano saperlo che
poteva accadere.
Aveva poggiato la fotografia sulla scrivania e
si era avviata in silenzio verso l'uscita, salutando con un gesto del
capo il dottor Mariotti.
Appena prima di attraversare la porta si
era fermata e voltata. - Lo so che c'è il segreto su queste
cose...
Ma se un giorno scopriste chi è stato potrei saperlo prima
da lei
che dalla televisione?- Marotti le aveva fatto cenno di sì
con la
testa.
- Vuoi che ti riaccompagni a casa, Gaia?-
- No, grazie.
Il bus è comodo, arrivo proprio sulla mia via. Ma forse lei
lo sa
già.-
Sorrise ripensando a tutte le volte che quell'uomo e suo
padre avevano fatto la strada insieme per tornare a casa.
- Già...
ascolta, sai bene che questo ufficio non rimarrà
così per sempre...
se te la senti potresti aiutarmi a svuotarlo, un giorno di questi...-
Le aveva proposto.
Lei ci aveva pensato un attimo su e poi aveva
annuito.
Ancora con un cenno del capo si era congedata dal dottor
Mariotti ed era uscita per tornare a casa.
Nessuno le aveva
domandato dove fosse stata, convinti che avesse passato il pomeriggio
assieme ai due ragazzi.
In realtà aveva pianto a lungo in
autobus, durante il viaggio di ritorno, ma poi appena prima di salire
in casa si era sciacquata il viso ad una fontanella per apparire
calma e tranquilla davanti agli occhi di chi amava.
Durante la
cena, però, la calma apparente che provavano a recuperare si
era
rotta.
Patrizia aveva comunicato la decisione di iscriversi a
Giurisprudenza per seguire le orme del padre, e Antonello le aveva
inaspettatamente urlato addosso, dicendo che la sua scelta era
emotiva e non razionale.
Erano volate urla forti che Gaia non
comprendeva, perché da quando il padre era morta era quella
la prima
volta che i suoi cari si attaccavano in un modo tanto forte,
soprattutto in un momento così particolare come la cena,
quando
l'assenza di Alfio si faceva più forte.
- Basta..- Aveva
sussurrato la ragazzina mentre li sentiva urlare.
- Basta.- Aveva
detto più forte.
- BASTA!- Era stato alla fine il suo di urlo,
così violento che tutti avevano taciuto.
- Basta! Basta
smettetela. Papà è morto da neanche un mese e
già sembrate voler
distruggere tutto quello che ci è rimasto! Patrizia
è libera e papà
sarebbe felice di vederla studiare Giurisprudenza. Dovete smetterla!
Basta Antonello, tu non sei papà, non sei responsabile di
noi!
Basta! - Era corsa in camera sua e si era buttata sul suo letto
piangendo, mentre quelli rimasti in cucina si guardavano increduli.
Tra le lacrime aveva fissato la foto del padre appesa sopra il
suo letto, e mentre piangeva si era a suo modo arrabbiata anche con
lui.
- Dove sei? Dove sei andato?! Avevi detto che ero piccola,
lo avevi detto poche ore prima! E i piccoli hanno bisogno dei loro
genitori, io ho bisogno di te!-
Aveva smesso di parlare quando i
singhiozzi erano diventati troppo forti, si era sdraiata e aveva
continuato a piangere, a tratti ad urlare, a far uscire tutto il suo
dolore.
Il calendario in camera sua diceva che ottobre era
iniziato, che di lì a pochi giorni la terra avrebbe compiuto
il
sedicesimo giro intorno al sole dal momento della sua nascita.
Ma
lei di anni addosso se ne sentiva molti di più, come se nel
momento
in cui lui era morto fosse cresciuta ed invecchiata tutto insieme.
Eppure non abbastanza da finir di vivere, da raggiungerlo.
Ma
nessuno oltre a lei lo sapeva, perché per tutti Gaia
Olivietti era
nata il 10 ottobre 1963 e il 10 ottobre 1979, a trentatré
giorni
dalla morte di suo padre, avrebbe compiuto semplicemente sedici
anni.
Si addormentò cercando disperatamente di immaginare la vita
dei suoi genitori sedici anni prima, quando lei era ancora nascosta
nel ventre di sua madre ma loro già l'amavano.
Perché l'amore
sicuramente andava oltre la possibilità di vedere, toccare o
parlare
con qualcuno.
E allora, forse, da qualche parte suo padre ancora
l'amava, e lei poteva continuare ad amarlo come prima.
Si nascose
sotto le coperte, fingendosi invisibile proprio come invisibile era
diventato il suo papà.
Doveva esserci, di notte, nei sogni, un
posto in cui due invisibili potevano vedersi e stare assieme.
Almeno
per quella notte, almeno per quel sogno.
Spazio
;Sun
Doveva
essere una shot ma è troppo lunga, quindi sarà
una mini-long di tre
capitoli. I prossimi due arriveranno, spero, le prossime due
domeniche.
Credo sia la cosa più angst che abbia mai scritto, ma
la canzone di Cristiano de André, figlio di Fabrizio, mi
ispirava
tanto e soprattutto ultimamente sono successe cose poco belle, tali
che, forse, avvertivo anche internamente il bisogno di scrivere
questo racconto.
Niente, io spero davvero vi piaccia e mi diciate
cosa ne pensate, so che è lunga ma io mi auguro valga la
pena di
leggerla.
Vi mando un grosso bacio e ci sentiamo domenica
prossima.
;Sun
<3
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Capitolo 2 *** Genova, 1982 ***
Tu
eri bravissimo a ballare sulle rovine
Io
altrettanto a rubare comprensione
Di
noi amici, pochi amici, pochissimi amici
Tu
eri fortissimo a inventarti la verità
Io
liberissimo di crederla o non crederla
Io
ho sempre sperato che qualcuno un giorno
Potesse
accorgersi di noi
Ma
eravamo invisibili, che non ci vedevamo mai
Invisibili
– Cristiano de André
Genova,
1982.
Alla
fine Gaia li aveva compiuti, i sedici anni.
Poi diciassette,
diciotto.
E in mezzo c'erano stati i compleanni di sua madre, dei
fratelli, dei ragazzi, di Luisa. Poi Natali, Capodanni, feste,
ricorrenze.
Il compleanno di suo padre, il giorno
dell'anniversario della sua morte.
Il tempo aveva cominciato a
scorrere, a non curarsi di loro, del dolore; anche le loro vite erano
andate avanti, racchiuse in una normalità quantomeno
apparente.
Un
giorno di fine luglio del 1982, pochissimo tempo dopo la magica notte
della finale dei Mondiali di Spagna, Gaia si era seduta davanti alla
commissione della maturità e aveva concluso il suo ciclo di
studi
con l'orale degli esami di Stato.
Tre anni prima aveva sognato,
per poche settimane, di essere accompagnata in quell'ultima occasione
a scuola da suo padre, proprio come aveva fatto Patrizia.
La
morte di Alfio aveva cambiato tutto, era vero, eppure in quell'ora di
colloquio, alle dieci di una caldissima mattina Genovese, la ragazza
aveva sentito intorno a sé un inaspettato fresco, e ci aveva
messo
pochissimo a capire di cosa si trattasse.
Tornata a casa dopo
l'esame sua madre le aveva chiesto come fosse andata e se volesse
andare al cimitero a raccontarlo a suo padre, come spesso faceva
quando capitavano cose belle.
Ma, inaspettatamente, la ragazza
aveva risposto di no e poi si era spiegata.
-
Puoi non credermi, mamma, ma papà sa già tutto.
Era lì mentre mi
interrogavano, l'ho sentito vicino per tutta la durata dell'orale.-
Beatrice aveva sorriso a sua figlia, certa che lei non fosse
pazza ma, anzi, sicura che Alfio fosse stato sempre al suo fianco in
quei tre anni.
Come certamente era stato accanto agli altri due
figli.
Antonello
si era laureato appena tredici mesi dopo l'attentato e all'inizio del
1981 aveva trovato lavoro in un'azienda nel centro di Genova, dove
faceva un normale orario da ufficio e veniva ben pagato.
Aveva
lasciato il posto all'officina, ovviamente, ma a volte tornava ancora
a salutare ed aiutare i suoi vecchi colleghi, amici che lo avevano
sostenuto nei momenti difficili.
Nell'estate dello stesso anno,
in un giorno di Luglio, era tornato a casa in anticipo e aveva detto
alla madre e alle sorelle di prepararsi perché le avrebbe
portate a
cena fuori.
Stupite le tre donne si erano sistemate per bene e si
erano fatte guidare da lui verso il porto, dove in un ristorante
piccolo ma elegante avevano conosciuto Elisa, una graziosa ragazza
dell'età di Patrizia.
Non ci avevano messo molto a comprendere
quale fosse il ruolo di lei nella vita di Antonello, e a fine serata
erano rincasate contente ma con gli occhi lucidi, perché
l'amato
figlio e fratello, assieme alla sua fidanzata ormai ufficiale, aveva
comunicato che presto sarebbero andati a vivere insieme.
-
Forse non siamo ancora pronti per sposarci.- Aveva spiegato. - Ma di
sicuro ci piacerebbe vivere uno accanto all'altro tutti i giorni, di
questo siamo sicuri. Scusate se ho aspettato così tanto per
dirvelo,
penso di aver sbagliato, ma è un grosso passo e volevo
essere certo
delle mie scelte prima di parlarvene.-
La madre aveva abbracciato
sia lui che lei, riuscendo a sorridere davvero solo quando il figlio
le aveva comunicato che l'appartamento da loro visto, quello in cui
speravano di riuscire ad andare a vivere, era ad appena due isolati
dalla casa in cui viveva da che era al mondo.
- Tanto conoscendo
Antonello sarà sempre da voi, immagino già quanto
gli mancherete!-
Aveva riso Elisa baciando il ragazzo.
Si era trovata subito bene
con le due sorelle, che aveva scoperto essere simpatiche proprio come
gli aveva raccontato spesso il fidanzato.
A metà Novembre avevano
iniziato il trasloco, e il Capodanno del 1982 era stato festeggiato
nel nuovo appartamento della coppia.
Oltre ai due e alle loro
famiglie, Beatrice aveva avuto il piacere di conoscere i genitori di
Elisa e sua sorella Agata, c'erano Simone, Giorgio e Gabriele, un
compagno di università con cui Patrizia aveva iniziato ad
uscire da
qualche settimana.
Dopo la litigata accaduta a poche settimane
dalla morte del padre durante una cena in famiglia, la sera del
giorno in cui Gaia si era rintanata nello studio del padre in procura
per trovare qualcosa di normale in quella sua vita assurda, la
ragazza non aveva cambiato idea e si era iscritta a Giurisprudenza,
frequentando con passione le lezioni e dando con ottimi voti gli
esami.
Antonello non si era mai del tutto ricreduto sul motivo
per cui la sorella aveva scelto quella facoltà, era vero, ma
piano
piano aveva capito quanta dedizione lei ci mettesse nell'inseguire
quel sogno, indipendentemente dal fatto che fosse suo o di suo
padre.
Gaia, dopo il diploma, aveva sciolto la riserva sulla sua
iscrizione all'università.
- Prenderò lingue. Avrei voluto
farlo fin dalla scuola superiore, è vero, ma tutti parlavano
bene
del liceo classico, della preparazione che forniva, e poi l'avevano
fatto entrambi i miei fratelli, quindi ho preferito andare sul
sicuro.- Aveva spiegato a chi le aveva domandato i motivi di quella
scelta.
Inglese e spagnolo, quelle le lingue che la giovane aveva
deciso di studiare, certa che da qualche parte l'avrebbero portata.
-
Magari lontano da questo paese, dalla follia di questa nostra
Italia.- Aveva ipotizzato una volta parlando con i ragazzi.
Erano
a Quarto, forse per la seconda o terza volta da quando Alfio era
morto.
Gaia non era riuscita a tornarci per tanto tempo, e i due
ragazzi anche avevano fatto il possibile per evitare quel luogo.
Non
avevano troppa voglia di rivivere i loro ultimi momenti di
spensieratezza, quando ancora era tutto così bello.
La ragazza,
quella mattina di Settembre, non la ricordava neanche bene; i suoi
ricordi erano vaghi fino al momento in cui si era trovata in ospedale
a pregare per suo padre, e da quando il medico era uscito dalla sala
operatoria per dire loro che Alfio non era sopravvissuto era in grado
di descrivere meticolosamente ogni attimo. Ma di quello che era
successo prima, da quando si era svegliata al momento in cui
Antonello le aveva spiegato l'accaduto, non era in grado di ricordare
nulla.
Quel giorno a Quarto, quasi tre anni dopo l'omicidio,
stavano facendo progetti per un futuro che ancora appariva
lontanissimo.
- Non sei l'unica.- Le aveva detto Giorgio. - Anche
io prima o poi mollo tutto e me ne vado da 'sto paese di merda.-
Si
trovavano davanti allo scoglio con il monumento ai Mille, lo scoglio
che aveva dato il via al processo di unità dell'Italia. - Ma
forse
tanto meglio non avessero unito nulla, che questo paese fa schifo.-
Aveva commentato sempre il ragazzo
quando ne avevano parlato.
Per
Gaia i commenti sulla situazione del paese lasciavano il tempo che
trovavano.
Aveva acquisito un anno prima il diritto di voto ma
non si era ma interessata realmente su chi votare, sulla parte in cui
schierarsi.
Certamente seguiva le notizie, sapeva chi fosse al
governo, chi all'opposizione, chi fosse il Presidente del Consiglio,
chi quello della Repubblica. Ma non le interessava.
Qualche mese
dopo la morte di suo padre sempre a Genova era stata scoperta una
base delle Brigate Rosse e durante un'incursione dei Carabinieri i
suoi occupanti erano stati uccisi*.
Lei aveva ascoltato da più
parti commenti alla vicenda, tra cui quello di Patrizia che si
auspicava una fine del genere anche per chi aveva sparato a suo
padre, ma non si era sentita di dire la sua o prendere posizione.
Gaia voleva solo che tutto quello finisse, che la gente smettesse
di sparare.
Lo desiderava da prima, da quando ancora la sua vita
era la vita tranquilla di una ragazza di quindici anni, ma
soprattutto lo voleva dal momento in cui suo padre era morto.
Lui
l'aveva cresciuta dandole il suo stesso amore per la legge e la
giustizia, e lei voleva onorare quei suoi insegnamenti, ma quando la
sera tornava a casa e non lo trovava, quando le sue amiche la
invitavano a casa e le vedeva assieme ai loro padri, in quei momenti
non riusciva a pensare a chi le aveva impedito di essere felice,
pensava solo a ciò che aveva perso.
Lo sapeva, un giorno o
l'altro gli avrebbe visti, gli assassini, morti sulle pagine di un
quotidiano o vivi dietro le sbarre in qualche aula di tribunale, e in
quel momento probabilmente sarebbero venuti fuori tutti quei
sentimenti che non era in grado di provare, ma fino ad allora a lei
rimaneva la vita senza un padre, senza un amore, il più
grande.
E
nessun ergastolo, nessuna morte, nessun processo avrebbero mai
cambiato quella situazione.
Davanti allo scoglio, invece, qualche
sentimento riusciva a provarlo.
Quella voglia di felicità e di
rivincita di cui parlava anche Giorgio, ad esempio, il desiderio di
andarsene lontano per cercare qualcosa di migliore.
Sia lui che
Simone si erano iscritti a medicina, alla fine, e il figlio degli
operai aveva iniziato a fare ogni tipo di lavoro per pagarsi gli
studi.
Pur continuando a studiare insieme i due ragazzi avevano
iniziato a perdersi di vista, perché ancora una volta la
crescita li
aveva portati a frequentare ambienti e persone differenti.
Giorgio
girava spesso con i ragazzi che conosceva quando lavorava, una volta
in un bar, una in un supermercato, mentre Simone era ancora molto
legato alla vita di suo padre, al suo ambiente quasi elitario.
Studiava come un pazzo per farsi un suo nome, a prescindere da
quello che gli apparteneva dalla nascita, ma non era in grado di
staccarsi da quel mondo, al contrario di Giorgio che si voleva
staccare a qualsiasi costo dalla famiglia operaia.
Forse la
differenza stava proprio in quello; per uno era conscia la differenza
tra la vita fatta fino a quel momento e quella a cui sarebbe potuto
arrivare, mentre l'altro, magari inconsciamente, aveva sempre vissuto
in un'ottima situazione e non accettava di lasciarla.
- Secondo
me varrebbe la pena di rimanere in Italia e provare a sistemare le
cose, invece.- Era stato il commento di Simone. - Ma forse ai nuovi
amici di qualcuno viene più facile urlare al mondo che fa
tutto
schifo e scappare.-
Gaia aveva lanciato un'occhiataccia al
ragazzo, mentre l'altro si era limitato a sbuffare e guardare da
un'altra parte.
I “nuovi amici di qualcuno” erano proprio i
colleghi di Giorgio, quelli con aveva iniziato a girare spesso quando
tralasciando anche Simone e Gaia, persone che all'amico non piacevano
per nulla.
Non avevano una cultura, degli ideali, dei sogni. Erano
convinti che in Italia facesse tutto schifo mentre fuori fosse tutto
perfetto, ma quando gli si domandava come mai nel loro paese le cose
andassero così male mentre negli altri no non erano in grado
di dare
una risposta seria, e spesso si era sentito semplicemente replicare
“Eh, parli facile te che sei ricco”.
Quelle amicizie stavano
rischiando seriamente di incrinare il rapporto tra i due ragazzi, e
lei, che non avrebbe sopportato la separazione del loro gruppetto,
faceva sempre il possibile per attenuare la tensione che si creava
quando ne parlavano.
- Simone basta, dai. Abbiamo capito cosa
pensi ma ora che siamo insieme potresti anche lasciar da parte le tue
idee e stare con noi normalmente.-
Per lui rispose Giorgio,
girandosi verso la ragazza con un'aria tutt'altro che amichevole. -
Gaia guarda lascia perdere, me ne vado io. Divertitevi.-
Senza
neanche darle il tempo di replicare prese e se ne andò.
La
ragazza tentò di seguirlo ma fu trattenuta da Simone, che la
prese
per il polso e la fermò. - Lascia perdere davvero, Gaia, se
vuole
tornare torna, altrimenti tanto meglio perderlo che trovarlo.-
Sospirò, lei, a sentire quelle parole tanto forti contro il
ragazzo che per Simone era sempre stato il migliore amico.
Non
poteva credere che le cose stessero andando in quel modo, che anche
il suo trio si stesse sciogliendo, quegli amici magnifici e sempre
presenti si stavano allontanando uno dall'altro e, chissà,
forse
entrambi da lei.
Dopo pochi minuti si mossero verso l'auto del
ragazzo per tornare a casa e, mentre viaggiavano, Gaia
iniziò a
cercar di capire dove e quando fosse tutto iniziato.
-
La notte del Bernabeu, Ga'.- Era stata la risposta di Simone.
-
Perché non ha visto con noi una partita di calcio? No,
scusa, è per
questo che ce l'hai tanto con Giorgio?-
Il ragazzo scosse la
testa.
Donne. Belle, simpatiche, sensuali, intelligenti, amiche,
amanti, madri, mogli, ma totalmente incapaci di capire alcuni
concetti se non glieli si ponevano in modo esplicito.
- Non era
una partita di calcio, era la finale dei mondiali di
Spagna e
giocava l'Italia. Ha vinto l'Italia.
Abbiamo
festeggiato l'Italia. E lui non c'era, Gaia. Lui ha
preferito gli
altri.
Ma quante partite di calcio abbiamo visto insieme, eh?
Quanti mondiali? A Loano, ti ricordi?-
La macchina si fermò
all'imbocco della via dove viveva Gaia, lì dove un tempo si
fermavano a piedi per fare le ultime discussioni prima di andare a
casa.
- Ne è passato di tempo da Loano. Sono passati anni,
amici, giornate, estati.
Sono passate anche vite da quando
andavamo a Loano. Sarebbe stato bello fermare il tempo, ma non
è
possibile. Non siamo più i bambini di Loano, Simo.-
Il ragazzo
abbassò la testa come un cane bastonato.
Quel “sono passate
anche vite” aveva un significato ben preciso, l'amica parlava
di
suo padre.
Non dissero più nulla, e al momento di salutarsi Gaia
strinse semplicemente forte la mano di Simone.
La vide che andava
verso casa passandosi una mano sul volto, forse per asciugarsi
qualche lacrima.
E dunque era quello il problema, si disse
tornando verso casa.
Erano stati i bambini di Loano, tanti anni
prima. Felici, spensierati, bambini come tanti.
Si erano
conosciuti lì, su una spiaggia affollata sotto il sole
d'estate, in
un luogo dove non contava chi fossero, se figli di operai, magistrati
o attori, ma dove contavano solo loro. Anche perché erano
stati un
po' figli di tutti, in quel tempo, e lui ricordava bene Alfio che gli
pagava un gelato o lo faceva giocare senza chiedere nulla in cambio,
trattandolo proprio come fosse stato un suo quarto figlio.
Ma
Gaia aveva ragione, purtroppo, quel tempo era finito.
Tornavano a
Genova prima della scuola e riprendevano le loro vite normali,
diverse, e anche se si vedevano spesso in città era comunque
tutto
diverso.
Ora che da Loano erano passate tanti estate era
scomparso ciò che li legava, erano rimasti soli con le
differenze
che li separavo.
E, cosa peggiore, non stavano facendo nulla per
evitare questa separazione.
****
L'estate precedente, prima
di iniziare l'ultimo anno di liceo, Gaia aveva vissuto per quasi un
mese un'intensa storia con Andrea, sfociata anche in lati fisici
espliciti lì vicino alla spiaggia di Porto Santo Stefano.
Erano
stati momenti importanti per entrambi, dotati di una forte carica di
emozioni belle, di passione, forse il primo mese davvero felice di
quella nuova vita che si reinventava giorno per giorno dalla morte di
suo padre.
Alla fine, però, per quanto fossero innamorati, per
quanto bene fossero stati in quel periodo, avevano deciso di non
sforzarsi a rimanere uniti anche lontani, perché forse si
ritenevano
ancora troppo giovani per un amore a distanza.
Ne avevano parlato
con tristezza, era vero, ma neanche quella era bastata per far
cambiare loro idea.
Cosa fosse accaduto tra i due ragazzi durante
quel mese, però, non lo sapeva con precisione nessuno tranne
Luisa,
che come migliore amica di Gaia doveva essere a conoscenza di tutto,
e gli altri erano rimasti convinti che quella cotta estiva si fosse
limitata a carezze, scherzi e baci sulla spiaggia.
Di come
fossero poi andare le cose, era chiaro, lei aveva sofferto molto,
forse perché dopo aver vissuto qualcosa di così
importante con
Andrea si era convinta che le cose potessero durare a lungo, ma alla
fine si era rassegnata a continuare con lui una semplice amicizia.
Un
giorno di inverno, mentre era a casa da sola, il ragazzo l'aveva
chiamata e, tutto contento, le aveva detto di essersi fidanzato con
una ragazza di Pisa, tale Teresa.
Lei, mentre parlavano, si era
mostrata felice, non troppo risentita da quel fatto, ma quando aveva
messo giù, dopo che quasi ipocritamente lui le aveva detto
“beh,
mi auguro che anche tu possa essere un giorno così
felice”, era
scoppiata in lacrime.
Ci aveva sperato, Gaia, aveva sperato che
l'arrivo di un'altra estate, dopo la maturità, li portasse a
ritrovarsi, cresciuti e pronti ad affrontare un amore distante.
E
invece, ancora una volta, la vita aveva scelto diversamente.
Però
quando si era calmata, asciugandosi ancora una volta le lacrime che
scendevano lungo il suo volto, era stata felice di aver pianto per un
amore nato e finito troppo presto, perché per una volta dopo
tanto
tempo si era sentita proprio come le altre ragazze, quelle che non
avevano vissuto il dramma di un padre ammazzato a cento metri da dove
lavorava.
Quella stessa sera aveva chiamato i due ragazzi per
mettersi d'accordo e vedersi, voleva raccontare loro tutto quando
anche se sapeva si sarebbero arrabbiati, almeno per finta, nel
sentire che per tanti mesi gli aveva nascosto una cosa così
importante.
Simone si era dato disponibile subito per il giorno
seguente, nel pomeriggio, ma Giorgio aveva detto che in quel periodo
era molto impegnato.
Come sempre la ragazza aveva risposto che
non era importante, che appena si sarebbero visti gli avrebbe
raccontato tutto, ma poi tra una cosa e l'altra, col tempo che
passava e la maturità che si avvicinava, si era scordata di
tutto;
aveva parlato con Simone il giorno dopo la telefonata di Andrea e si
era fatta consolare da lui e basta, senza problemi, malgrado il
ragazzo, come aveva sospettato, si era un po' risentito dell'aver
saputo tutto così tanto tempo dopo.
A parte quello però non ne
avevano più parlato, tanto che, appunto, Giorgio alla fine
non era
stato reso partecipe della vicenda.
Soltanto quella sera d'estate,
dopo la litigata a Quarto, le era venuto alla mente quel fatto.
In
effetti Simo non aveva tutti i torti, da qualche tempo l'altro amico
era diventato sfuggente, diverso.
Gaia
non voleva pensarci, forse preferiva fare finta di niente, non dare
peso a quello che succedeva, convinta infantilmente che questo
avrebbe potuto cambiare qualcosa.
Le cose parevano andare sempre
peggio, però. Anche quando erano solo lei e Giorgio lui si
chiudeva,
rispondeva a monosillabi, addirittura l'attaccava.
Il giorno del
terzo anniversario della morte di Alfio si era fatto sentire solo in
serata, dicendo come al solito che era stato impegnato.
Lei non
aveva replicato, continuando a credere che l'amico dicesse solo la
verità.
Ma per Simone qualcosa si era rotto.
Tra loro due,
nel loro trio.
Nella vita di Giorgio.
****
A
Ottobre, appena prima di compiere diciannove anni, Gaia aveva
iniziato l'università e subito aveva fatto amicizia con
alcuni
compagni di corso, maschi e femmine.
A nessuno di quelli aveva
raccontato di suo padre, non lo riteneva affatto importante, ma
quando una ragazza, Alessandra, le aveva domandato se fosse
imparentata con il magistrato ucciso tre anni prima aveva risposto di
sì senza problemi, accettando anche la specie di compassione
che
quella aveva avuto per lei.
In fondo non poteva nascondersi, era
la sua vita, lo sarebbe stato per sempre.
Quella confessione però
era stata una bella cosa, alla fine, perché condividendo
quel
segreto, per modo di dire, tra lei e Alessandra era nato un legame
forte pur conoscendosi da poco.
Lingue le piaceva molto, tanto da
farla perdere ogni tanto tra i libri malgrado non avesse bisogno di
studiare così tanto.
Luisa si era iscritta invece a lettere
classiche, rimasta affascinata da un professore di latino e greco
avuto al liceo, ma non condivideva la passione per lo studio
dell'amica.
Insieme, però, davano una mano a studiare a
Cristina, la figlia del procuratore Mariotti, il magistrato che un
giorno aveva trovato in procura Gaia e che poche settimane dopo
aveva, insieme a lei, svuotato l'ufficio di Alfio.
Non chiedevano
nulla in cambio, le due ragazze, ma l'uomo non le mandava mai via da
casa sua senza qualcosa, fosse qualche lira o una bottiglia di
vino.
A casa di Gaia, da quando Antonello era andato a convivere,
i soldi arrivavano grazie a Beatrice, che lavorava come donna
tuttofare in varie case della zona, da quelle persone che un tempo le
lasciavano un po' di soldi in buca per ringraziarla e ora la
stipendiavano con un regolare contratto, e Patrizia, che quando non
aveva da studiare stava in una libreria del centro a fare la
commessa.
La figlia più piccola si era presa un momento per
vedere quanto tempo per sé le lasciasse lo studio, e aveva
promesso
che appena messa in ordine la sua nuova vita da universitaria avrebbe
fatto il possibile per cercare qualcosa da fare anche lei.
Però
tutti i suoi piani avevano preso una piega diversa appena prima di
Natale, quando, mentre era con amiche a studiare in biblioteca, si
era avvicinato a lei un ragazzo a dir poco bellissimo, tale Fabrizio,
che con i suoi occhi chiari l'aveva affascinata in pochi secondi.
Studiava
economia e si vedevano molto poco, solo in biblioteca, ma, tra una
battuta e un caffè insieme per prende una pausa dallo
studio,
durante la sessione invernale degli esami lui aveva trovato il
coraggio di invitarla a cena.
Gaia aveva riprovato per la prima
volta la sensazione di benessere che, tanto tempo prima, le aveva
dato spesso Andrea.
Una cena una volta, un giro in centro un'altra
i due alla fine si erano dichiarati e la notizia del loro
fidanzamento era girata ovunque.
Questa volta, però, lei era
stata molto attenta ad avvisare Simone con anticipo, e il ragazzo
aveva conosciuto Fabrizio prima che la cosa divenisse ufficiale,
dando apertamente il suo ok alla relazione.
Naturalmente,
purtroppo, con Giorgio non era andata nello stesso modo.
Lui non
aveva saputo nulla, non si sentivano per davvero da dopo le feste e
le poche volte che si erano incontrati per strada in quel periodo non
si erano scambiati più di un rapido saluto.
Distanti davvero,
ormai. E se per Simone quello non era quasi più importante
per Gaia
era fonte costante di dolore.
Un dolore così forte da spingerla a
fare un ultimo disperato tentativo per recuperare una delle cose
più
importanti che aveva.
****
Era
una bella mattina di inizio Aprile.
C'era il solo e in giro per
Genova era già pieno di fiori sbocciati o pronti a
sbocciare, colori
accesi che si rinnovavano ogni primavera.
Gaia non aveva lezione
e ne aveva approfittato per dormire un po' più del solito,
ma
neanche troppo perché verso le dieci l'aveva chiamata
Fabrizio, che
sapeva fosse a casa e aveva voglia di sentirla.
Ormai sveglia, la
ragazza, si era vestita e preparata con calma, ascoltando la sua
musica dallo stereo ad alto volume.
Poi aveva fatto lei una
telefonata a suo fratello, che era in ufficio, e si erano organizzati
per vedersi a pranzo in un ristorante vicino al mare comodo per
entrambi.
Gaia si era messa a studiare sul suo letto aspettando
l'ora di uscire, ma dopo poco si era accorta di come più ci
provasse
più le venisse voglia di dormire, tanto che alla fine aveva
lasciato
perdere e si era messa a risistemare la sua scrivania, la libreria e
le mensole che aveva in camera sua sopra al letto, piene di ricordi
sparsi in giro; fotografie, cartoline, orecchini, braccialetti,
penne... Gaia aveva trovato di tutto, lì sopra, anche
oggetti che si
era totalmente scordata di avere ma che, d'improvviso, nel rivederli
le portavano alla mente momenti meravigliosi e immagini di giorni
passati felici, prima che Alfio morisse ma, ogni tanto, anche dopo.
Verso mezzogiorno e mezza si era mossa di casa per andare a
prendere l'autobus verso il mare.
L'aria di salsedine era forte, a
volte quasi fastidiosa, ma sembrava un giorno d'estate e si stava
così bene che Gaia quel fastidio non lo sentiva neanche
più di
tanto, concentrata com'era a godersi quella mattinata
libera.
Antonello l'aspettava già al ristorante, seduto ad un
tavolo sulla terrazza, proprio davanti al mare, come la sera che
aveva presentato alla madre e alle sorelle la fidanzata.
Prima di
sedersi rimasero a lungo abbracciati, i due, perché non si
vedevano
da parecchi giorni e non erano abituati a stare lontani per
così
tanto tempo.
Avevano ordinato entrambi una pizza benché,
inizialmente, il loro piano riguardasse un pranzo leggero e
possibilmente fresco. Ma il profumo e l'immagine di una Margherita
portata ad un tavolo vicino li fecero cambiare idea in pochi attimi.
- Mi mancate un sacco da quando non vivo più a casa con
voi.-
Aveva esordito Antonello quando era arrivato il pranzo.
- Beh,
allora non ci hai totalmente scordate!- Aveva sorriso la ragazza. -
Comunque ogni tanto potreste anche venire a cena da noi. Mamma,
malgrado tutto, è ancora abituata a cucinare per cinque.-
Gaia aveva
finito la frase con un velo di tristezza, abbassando gli occhi e
ripensando a quando in casa erano in cinque senza il bisogno di
invitare persone a cena.
Il ragazzo si accorse subito dello stato
d'animo di sua sorella e provò, senza staccarsi troppo
dall'argomento centrale della discussione, a dire qualcosa che
potesse farla ridere almeno un attimo. - Guarda che da quando sei
fidanzata con Fabrizio penso che mamma debba iniziare a cucinare per
sei.- Lei era scoppiata in una fragorosa risata, missione
riuscita.
Antonello ne aveva allora approfittato per farsi i fatti
della giovane e interessarsi alla sua vita sentimentale.
- Ma, a
proposito di Fabrizio, perché non mi racconti qualcosa? Di
lui, di
voi... come va? State già facendo progetti per il futuro?-
Era la
prima volta che vedeva sua sorella così innamorata e presa
da una
relazione.
Sì, c'erano stati altri ragazzi all'inizio delle
superiori, prima della morte di Alfio, ovviamente, e anche la storia
con Andrea, che lui aveva vissuto accanto a loro, ma erano state cose
diverse, forse per la giovane età degli innamorati o forse
perché
stare insieme durante le vacanze era tutt'altro dall'avere una
relazione durante un periodo normale dell'anno. Fatto stava che con
Fabrizio, per la prima volta davvero, Gaia scopriva l'amore nel senso
vero, quello che andava fatto coincidere con la vita di tutti i
giorni, con gli impegni e la quotidianità che si avevano
prima della
relazione.
La ragazza era arrossita lievemente alla domanda, ma
poi aveva risposto. - Va bene, stiamo bene insieme, siamo felici.
Progetti tanti ma non come pensi tu, è ancora presto anche
solo per
pensare al matrimonio o a una convivenza. Per ora ci godiamo questa
vita, vedremo col tempo come andrà.-
- Fate bene, fate bene. Io
ed Elisa al matrimonio ci pensiamo, invece, ma lo troviamo molto
più
impegnativo del semplice convivere, anche se forse lo è solo
una
convinzione. Deve essere per la formalità che c'è
dietro al
matrimonio; sai, il per sempre, le continue domande su quando
arriveranno i figli... No, non abbiamo intenzione di metterci in
questo guaio, per adesso. E Patrizia? Lei e i maschi sono sempre
stati un mistero! Anche quando frequentava palesemente qualcuno ci
era del tutto vietato di sapere qualcosa. Tu hai informazioni segrete
a riguardo?- Aveva riso il fratello parlandone come si parla di
qualche importantissimo segreto da tenere nascosto.
-
Ufficialmente no.- Rispose Gaia. - Ma qualcosa secondo me
c'è. È un
periodo che spesso si chiude al telefono in camera di mamma e che
nessuno provi ad entrare che inizia ad urlare come una pazza! Secondo
me dall'altra parte della cornetta c'è qualcuno di cui non
dobbiamo
sapere l'esistenza...-
Antonello rise convinto che la sorella
minore avesse ragione.
Avevano finito di mangiare e aveva pagato
lui, offrendole il pranzo come succedeva quando erano più
piccoli e
la andava a prendere a scuola.
Prima di salutarsi avevano fatto
quattro passi gustandosi un gelato sulla strada verso l'ufficio del
ragazzo.
Gaia lo aveva accompagnato fin sotto il palazzo dove
lavorava e poi era tornata indietro verso il mare.
Era primo
pomeriggio ma non faceva troppo caldo, complice anche un venticello
leggero che si era alzato poco prima mitigando la temperatura.
Si
mise a percorrere la passeggiata sopra il mare fermandosi qualche
volta per sedersi su una panchina, riposare e prendere un po' di
sole.
Era annoiata, in realtà, ma non voleva tornare a casa
subito, specialmente perché sapeva che lì sarebbe
stata da sola.
Patrizia, Luisa e Fabrizio erano tutti e tre in facoltà o in
biblioteca a studiare e lo stesso era per Simone, probabilmente
impegnato in qualcosa riguardante l'università.
Era sola anche
fuori dalle mura di casa, dunque, e un poco si sentiva in errore a
pensare che, forse, pure lei si sarebbe dovuta fiondare sui libri.
Ma era una bella giornata e voleva godersela, dopo tutto si era
fatta una tabella di marcia per lo studio ed era in regola.
Una
bella giornata come quella, secondo Gaia, andava condivisa con
qualcuno a cui si voleva bene, una persona cara che magari era
lontana.
Così, trovando il coraggio per la prima volta dopo
parecchio tempo, si avviò verso il cimitero in completa
solitudine.
Mentre camminava verso la fermata dell'autobus che l'avrebbe
portata in quel luogo di lutto e dolore realizzò che fosse
davvero
parecchio tempo che non andava a trovare suo padre, da appena dopo
l'inizio dell'anno nuovo, come se l'inizio della storia con Fabrizio
l'avesse davvero portata a ricominciare a vivere. Anche Beatrice,
lavorando sempre, non trovava più il tempo di andare sulla
tomba del
marito come all'inizio, quando lo aveva appena perso e neanche ci
credeva che potesse essere accaduto. Però lei teneva in
camera ogni
foto avesse trovato dopo quel giorno, le foto di Alfio da solo,
quelle di loro due e quelle coi figli. Solo una delle ultime, quella
che l'uomo teneva sulla scrivania in ufficio, l'aveva data alla
ragazza più piccola, perché in fondo era stata
lei a portarla a
casa il giorno in cui, dimostrando molto più dei suoi sedici
anni,
aveva svuotato la stanza del padre in procura.
La lapide che
segnalava il luogo di sepoltura di Alfio Olivietti era stata quindi
abbandonata a se stessa per non più di due o tre mesi, ma
appariva
lasciata sola da anni a causa delle intemperie che l'avevano sporcata
e quasi rovinata durante quell'inverno.
Gaia la pulì con cura,
buttando i fiori vecchi e le erbacce intorno, togliendo la polvere
dal vetro della fotografia e sistemando i nuovi fiori che aveva
portato. Erano colorati, quasi a volerlo informare della bella
stagione che stava tornando per la terza volta senza di lui.
Accarezzando dolcemente la lapide raccontò a suo padre,
sicurissima come sempre che la sentisse, del fidanzamento con
Fabrizio e di tutte le cose belle che erano accadute in quei
mesi.
Poi però, finito questo racconto, si sedesse accanto a
quella.
Lo fece perché doveva raccontargli un segreto, e da che
ricordava per tutta la vita vissuta con lui era stato sempre seduta a
terra che lo aveva messo al corrente delle cose più nascoste
della
sua vita.
Non c'era un motivo, o se c'era l'aveva scordato, ma era
sempre stato così
- Sai papà? Va tutto bene tranne Giorgio. Lui
e Simo non si parlano praticamente più, è strano,
se li vedessi non
ci crederesti. Ma io purtroppo sì, lo vedo e ci credo.
Però per me
è diverso; Simone dice di essere arrabbiato con lui, mentre
io sono
solo preoccupata...- Si appoggiò lievemente con la testa
inclinata
al freddo pezzo di marmo, come se in qualche modo potesse trovare lo
stesso conforto che da bambina aveva nell'appoggiarsi alla spalla del
padre.
- Come devo fare, papà? Cosa faresti se fossi nella mia
situazione, cosa mi diresti se fossi ancora qui?-
Chissà, si
domandava Gaia, se davvero suo padre fosse stato ancora vivo forse le
cose sarebbero andate diversamente.
Oppure no, ma di certo lui
sarebbe stato in grado di dirle cosa fare in quel momento.
Rimase
lì a lungo, poi una folata di vento fresco e fastidioso nei
suoi
occhi umidi di pianto le diede qualcosa di simile ad una risposta. Si
alzò e lasciò un leggero bacio sulla lapide del
padre senza
proferire parola, ma dentro di lei Gaia aveva sentito una voce dirle
che l'unica possibilità, l'unica cosa da fare davvero, era
andare a
parlare direttamente con Giorgio.
Uscì dalla parte opposta del
cimitero rispetto a quella da cui era entrata per andare a prendere
un autobus che l'avrebbe portata nella zona dove viveva il suo amico.
Un percorso, anche quello, che non faceva più da una vita e
che le
mancava.
Si rese conto di non conoscere neanche gli orari di
lavoro dell'amico, e a dire il vero non era certa nemmeno del lavoro
che in quel periodo svolgesse il ragazzo.
Sempre ammesso che
lavorasse ancora.
Dunque erano così che finivano le amicizie,
pensò Gaia. Non con grosse liti, con urla e pianti, ma con
la
perdita della quotidianità comune, col non sapere
più nulla gli uni
degli altri.
Bastava non sentirsi, non vedersi e tutto terminava.
Per quanto ci si potesse voler bene non era vero che si rimanesse
amici anche distanti.
Aveva perso Giorgio il giorno che si era
scordata di chiedergli come stava.
L'aveva perso e, mentre andava
verso casa sua, capì che qualsiasi cosa sarebbe successa non
l'avrebbe trovato mai più.
Si trovò seduta, senza farci troppo
caso, sulla panchina in cui spesso si sedeva da ragazzina con i due
amici e si mise ad attendere l'amico o quel che era per lei Giorgio.
Lo aspettò a lungo.
Il sole iniziava a scendere per
congiungere cielo e mare quando, finalmente, lo vide arrivare
dall'angolo che portava alla via principale del quartiere.
Gli
andò in contro con calma, molto diversamente da come avrebbe
fatto
un tempo.
- Ciao, Giorgio.-
- Gaia... cosa ci fai qui?-
Lo
aveva spiazzato, dunque, e si scoprì subito incapace di
capire il
perché di quella reazione.
- Ho pensato che non ci vedessimo da
davvero troppo tempo. Insomma, sarà da prima di Natale che
non ho
tue notizie!- Disse cercando di mostrarsi convincente.
- Ho avuto
da fare, ma sto bene.- Replicò il ragazzo.
Non aveva alzato più
lo sguardo da che lei aveva iniziato a parlare e dopo averle detto di
“stare bene” cercò di allontanarsi
velocemente da quella visita
inaspettata e quell'interrogatorio indesiderato.
Se ne accorse
subito, Gaia, e si affiancò a lui rapida mentre andava verso
casa.
-
Certo che complimenti per l'entusiasmo! Non ci vediamo da mesi e fai
così!- Fece la finta offesa come da ragazzini, ma
capì dopo un
attimo che quell'atteggiamento era da lui tutt'altro che gradito.
Passò alle maniere forti. - Oh ma mi spieghi che c'hai
Giò?-
Domandò fermandolo appena tenendogli il braccio.
Il ragazzo si
liberò dalla presa rapido e si fermò per
guardarla. - Non ho nulla.
Semplicemente non mi aspettavo la tua visita e ho avuto una
giornataccia. Scusa se non sono spensierato come te, Gaia.- Lei
rimase di sasso davanti a quelle parole. Perché glielo lesse
in
quegli occhi che fece fatica a riconoscere, Giorgio non era in
sé.
Il suo amico, quello vero, quello che era stato due giorni seduto ai
piedi del suo letto mentre lei non parlava né piangeva, non
le
avrebbe mai detto che era spensierata.
Non
disse nulla e lo vide andare via.
Lo seguì velocemente
prendendogli di nuovo il polso e facendolo girare di scatto, tanto
che dalla tasca della giaccia di jeans del ragazzo cadde
qualcosa.
Prima che Giorgio riuscisse a fare qualcosa si chinò e
raccolse l'oggetto.
Gaia si trovò tra le mani una siringa e non
capì.
Non capì, non volle capire e desiderò non essere
lì.
Il
ragazzo gliela strappò rapido dalle mani ma non
riuscì ad
allontanarsi.
- Cos'è? Giorgio cos'è quella?-
- Non sono
cazzi tuoi! -
- Giorgio... Giorgio tu... no...-
Uno scatto
d'ira partì dagli occhi di Giorgio e arrivò alle
sue mani che,
violentemente, si abbatterono sul collo della ragazza colpendola con
un pugno.
- Via...! Gaia vai via! VIA!-
Lei, a terra, si trovò
paralizzata dalla paura.
Fu da quella prospettiva che notò
qualcosa di strano sul braccio di quello che era stato uno dei suoi
migliori amici.
Rimase ferma e lo vide andar via bestemmiando e
imprecando, buttando quella siringa maledetta tra dei rovi.
Gaia
fu in grado di alzarsi solo parecchi minuti dopo, in lacrime.
****
La
sera dopo aver parlato, se così si poteva dire, con Giorgio,
Gaia
era tornata a casa in lacrime e sporca di terra.
Sull'autobus
praticamente vuoto non era stata vista da nessuno e anche a casa, per
un fortuito caso del destino, era riuscita a sgattaiolare fino al
bagno senza destare sospetti.
Aveva messo i vestiti nel cestone
dei panni sporchi di corsa e si era buttata sotto la doccia per
lavarsi e continuare a piangere in silenzio.
Pulita si era
rivestita e guardata allo specchio.
E solo in quel momento si era
accorta di un grosso livido sul collo, sicuramente opera della botta
datale dal ragazzo.
Era andata a cercare in camera sua una
sciarpa o un foulard per nascondere la macchia scura e poi aveva
raggiunto la famiglia a cena.
Come era naturale le avevano
domandato tutti e tre, madre, sorella e fratello, quella sera a cena
da loro perché Elisa era fuori con amiche, per quale motivo
tenesse
il collo riparato e aveva inventato in fretta un fastidioso mal di
gola dal quale desiderava guarire il prima possibile.
- Eppure
oggi a pranzo stavi bene.- Aveva fatto notare Antonello.
- Sì, ma
poi sono stata in giro e devo aver preso un colpo di freddo. Lo sai
come va con queste mezze stagioni; ti svegli e sembra estate poi
basta un attimo ed ecco che ti sei preso un'influenza quasi
invernale. Anzi, per evitare questo me ne vado subito a letto. Domani
devo studiare e non è proprio il momento giusto per
ammalarsi,
questo.-
Era corsa in camera senza dare a nessuno il tempo di
replicare, lasciando anzi tutti stupiti.
Beatrice, che non capiva
il comportamento della figlia, aveva mostrato un'espressione alquanto
preoccupata e il ragazzo si era subito premurato di fare una battuta
per scacciare i brutti pensieri della madre. - Secondo me
più che
malata quella è strana per amore. Dovevate vederla oggi
mentre
parlava di Fabrizio, sembrava una ragazzina.- Le due donne risero e,
per un attimo, Patrizia si fece scappare il suo segreto, il ragazzo
con cui si sentiva al telefono, Amedeo.
Ma non era ancora il
momento, in casa Olivietti l'amore pareva star dando già
troppi
problemi.
****
Il
giorno successivo e tutti quelli a venire, però, Gaia non
aprì un
libro.
Rimaneva sola a casa sdraiata sul suo letto a ripensare a
Giorgio o andava a lezione tornando coi quaderni dove solitamente
prendeva appunti totalmente vuoti.
Svolgeva le sue attività
quotidiane normalmente e nessuno aveva notato questi suoi
cambiamenti, tanto che a casa la battuta di Antonello sulla sorella
innamorata continuava a fornirle un ottimo alibi.
Ma l'amore,
evidentemente, era qualcosa di molto diverso dalla famiglia,
perché
sul comportamento della fidanzata Fabrizio qualche domanda aveva
cominciato a farsela, almeno dentro. A lei non era in grado di
chiedere nulla, preoccupato dall'idea che potesse dire qualcosa di
sbagliato, perché magari i pensieri di Gaia erano
concentrati su suo
padre o altro di cui lui non poteva capire.
In realtà, com'era
ovvio, nella testa della giovane non risuonava altro che il nome di
quello che un tempo era stato uno dei suoi migliori amici. E si
accavallavano nella sua testa le immagini di un tempo che non credeva
neanche più appartenente alla sua vita tanto appariva
lontano.
Non
aveva visto neanche Simone, nei giorni subito successivi alla tragica
scoperta, e non sapeva bene come potesse affrontarlo.
Pensare a
Giorgio come un eroinomane, un drogato, era come prendere una parte
di sé e ucciderla a coltellate più forti ancora
di quelle ricevute
dopo la morte di suo padre. Perché tra i tanti motivi per
cui il
ragazzo poteva essersi allontanato quello non l'aveva mai minimamente
sfiorata,neanche per un attimo aveva pensato che lui potesse aver
fatto scelte simili. Così drastiche, così
terribili.
Forse
erano state quelle le paure di Simone all'inizio, quando la loro
amicizia aveva cominciato ad incrinarsi irreparabilmente.
A
quanto pareva lei, la ragazzina che temeva per la vita di suo padre
magistrato e l'aveva fatto a ragione, aveva seguito fin troppo il
suggerimento del fratello maggiore, il consiglio di non preoccuparsi.
Se avesse fatto lo stesso con Giorgio le cose sarebbero andate
diversamente, si diceva.
Di certo non sarebbe mai potuta
intervenire sulle menti degli ancora ignoti assassini di suo padre,
se lo ripeteva spesso in lacrime domandandosi perché senza
risposta,
ma magari convincere un amico a non fare cazzate tanto gravi sarebbe
stato più semplice.
Oppure no, e se ne accorse quando realizzò
che dopo quel giorno maledetto nulla aveva fatto per aiutare Giorgio.
Non lo aveva più cercato, non aveva domandato aiuto.
Si era
chiusa senza che neanche gli altri lo capissero, cercando
disperatamente di tenere per sé quel segreto.
Su di lei, di quel
giorno, era rimasto ancora il segno sul collo.
Non passava, non
voleva andarsene, quasi a ricordarle che qualcosa era successo e non
poteva nasconderlo per tutta la vita.
A casa non ci facevano più
caso; benché immaginassero tutti che il mal di gola le fosse
passato
si erano convinti che tra una cosa e l'altra Gaia avesse deciso di
tenere il foulard al collo come accessorio.
Anche il fidanzato e
gli amici la pensavano allo stesso modo, tanto che alla ragazza
capitava di non ricordare neanche più la scusa inventata.
Faceva
ancora strano vederla con la gola coperta a primavera avanzata a chi
magari non la vedeva da un po' e doveva poi quindi credere alla
storia del mal di gola, ma solitamente anche quelle persone non
dubitavano troppo della versione di Gaia.
A meno che, come accadde
il giorno in cui si incontrò con Simone per la prima volta
dopo
alcune settimane, quelle persone non fossero in grado di leggere ben
oltre i suoi occhi.
Era successo un giorno dopo le lezioni, un
pomeriggio in cui, per
caso, aveva
detto lui, si era ritrovato dalle parti della sua facoltà e
si erano
incontrati.
Amici come ancora almeno loro erano si erano messi
subito a parlare del più e del meno non facendo neanche caso
al
tempo passato lontani, approfittando anzi di tutte le cose che
avevano da dirsi per stare insieme parecchio.
Avevano sfiorato
spesso il discorso di Giorgio, a dire il vero, e altrettanto spesso
il ragazzo aveva espresso le sue idee a riguardo in un crescendo di
dubbi e accuse; prima lo aveva definito strano, poi voltafaccia, poi
ancora strano e complesso da capire.
Un'ultima volta, continuando
a parlarne seduti su una panchina, lo aveva chiamato addirittura
pazzo.
Gaia aveva sempre fatto finta di niente, continuando a
stare sulla sua posizione solita per cui era Simone il paranoico, ma
a sentirlo definire in quel modo aveva fatto un'espressione
angosciata e si era portata di getto la mano al collo.
Un'altra
persona non avrebbe capito, ma davanti a lui si rese subito conto di
essersi tradita.
- E questa sciarpa?- Le chiese Simone indicando
dove si era appena toccata.
- Ho mal di gola.-
- A metà
Aprile?-
- Perché, non si può?-
Lui scosse la testa, e alla
fine la costrinse a toglierla, facendole mostrare il livido sul collo
che malgrado il tempo passato pareva ancora fresco.
Che non avesse
nulla a che fare con l'amore il ragazzo lo capì subito.
-
Cos'è?-
- Non ti interessa!-
- Gaia chi è stato?!-
La
ragazza si alzò di scatto dalla panchina iniziando a
piangere e
ripetere che fossero affari suoi.
- Giorgio, vero? È stato lui! È
impazzito davvero, è stato lui?! Gaia guardami cazzo!
È stato
Giorgio a farti del male?-
Lei singhiozzò.
Si trovavano di
nuovo entrambi in piedi, Simone rivolto verso la sua schiena con gli
occhi rossi di rabbia e lei girata col volto nascosto e rigato dalle
lacrime.
Aspettò che tacesse e poi si girò di nuovo verso
di
lui, piangendo forte.
Annuì
debolmente a testa bassa.
- Simo... Giorgio si fa di eroina.-
Disse buttandosi contro il petto dell'amico.
****
La
reazione di Simone alla notizia era stata molto peggiore rispetto a
quella di Gaia.
Si era messo a piangere e aveva urlato forse al
cielo, urlato come se non potesse essere sentito da nessuno quando in
realtà intorno a loro continuava ad esistere un modo che
osservava e
non capiva.
Per farlo tacere Gaia lo aveva abbracciato, cercando
da qualche parte quella forza d'animo che la vita le aveva insegnato
avesse.
Erano rimasti a lungo abbracciati in lacrime sperando
fosse solo un brutto sogno, un incubo dal quale si sarebbero
risvegliati magari insieme a Giorgio sul lungomare di Loano.
Ma
avevano riaperto gli occhi lì, davanti a una panchina a
poche
centinaia di metri dalla facoltà di lingue
dell'università di
Genova.
Simone si era dovuto sedere perché staccato da
quell'abbraccio, lontano dal coraggio che gli dava stare tra le
braccia dell'unica amica che gli era rimasta, non aveva neanche la
forza di stare in piedi.
Gaia aveva fatto come lui ed era rimasta
in silenzio tenendogli le mani.
- Sono... non lo so, cosa sono?
Allibito, triste, deluso...- Aveva staccato una mano da quelle di lei
e le aveva accarezzato il livido. - Vorrei solo sapere il motivo...
-
La ragazza aveva continuato a tacere per alcuni istanti,
rivivendo nella sua mente i momenti subito successivi alla
scoperta.
Poi aveva trovato il coraggio di parlare e di raccontare
di quel giorno.
- Quando ho visto la siringa cadere dalla sua
tasca ho capito subito. È terribile... non avevo mai pensato
a una
cosa del genere eppure è bastato un attimo per capire
tutto... come
se quella siringa non fosse solo un... un oggetto maledetto, ecco, ma
una spiegazione logica a tutta questa assurdità-
- Credevo di
essergli diventato antipatico, Gaia. Mi sforzavo di odiarlo
perché
ero convinto che lui mi odiasse e invece...- D'improvviso la voce di
Simone perse tristezza e assunse un tono rabbioso, di rabbia contro
se stesso. - Studio medicina, cazzo. Potevo capirlo, dovevo
capirlo...- Dalla rabbia ricominciò a lacrimare e
iniziò a sudare
come in preda a un attacco di febbre alta.
Fu istintivo per la
ragazza scendere dalla panchina e stare davanti a lui piegata sulle
ginocchia per guardarlo negli occhi che teneva ancora bassi.
- Non
hai nessuna colpa. Abbiamo sbagliato tutti, non dovevamo lasciarlo
andare così. Ma non hai colpe. Però l'hai detto
tu, studi
medicina... possiamo aiutarlo, vero?-
Tra le parole dell'amica
Simone colse una preghiera.
Gli stava chiedendo di salvare una
persona che fino a due ore prima era per lui morta, un'amicizia
finita per sempre.
E invece, in quel momento, sembrava la cosa più
preziosa della sua vita, come se sapere che qualcosa di esterno stava
distruggendo Giorgio cambiasse di nuovo tutto.
Erano sempre lì,
su quella panchina intorno alla quale si era consumato quel dramma
assurdo.
****
Più calmi, dopo aver discusso sul da farsi
nell'immediato della consapevolezza, i due ragazzi avevano cercato
una cabina telefonica e avevano chiamato le famiglie per dire che
avrebbero cenato fuori.
Si erano presi una pizza al taglio
veloce, in realtà, e poi erano andati al porto a
chiacchierare.
Alla
richiesta di salvare Giorgio che Gaia gli aveva fatto prima di cena
Simone non aveva risposto in nessun modo.
Le avrebbe voluto dire
di sì, naturalmente, ma qualcosa sulla droga la sapeva
meglio di
lei, ed era consapevole del fatto che avrebbe potuto aiutare Giorgio
solo se Giorgio si fosse voluto far aiutare.
Non fece però in
tempo a dirle che sarebbe dovuto andare a parlarci, perché
Gaia gli
disse spaventata di non andare a cercarlo.
Simone sospirò
annuendo.
- Perché non mi hai detto nulla?-
Cercò di parlare
con calma. Non voleva accusarla, immaginava benissimo cosa potesse
essere passato nella mentre della ragazza quando aveva scoperto il
fatto.
- Perché ero sconvolta, credo. E non sapevo bene cosa
fare. Né sapevo come dirti ciò che era accaduto.-
- Tanto che
l'ho scoperto per caso...-
Gaia era rimasta zitta appoggiata al
ragazzo guardando verso il mare.
- Ti prometto che troveremo il
modo per aiutarlo, Gaia. Ma dobbiamo essere coraggiosi, e se servisse
parlarne con qualcun altro dovremmo farlo. Lo capisci, vero?- Le
parlava come avrebbe parlato ad una bambina piccola, era vero, ma lei
non replicava in nessun modo a quel suo atteggiamento. Anzi, in un
certo senso le faceva bene sentirsi coccolata dall'amico in quel
modo, farsi proteggere da quelle parole.
Aver diviso con lui le
paure e le preoccupazioni, essersi aperta con Simone le aveva fatto
bene. In fondo avrebbe dovuto farlo da subito, perché,
malgrado
tutto, era ancora certa che solo loro due conoscessero Giorgio tanto
bene da poter fare qualcosa.
- Sai, sei tutto questo finisse, sei
lui tornasse in sé, se smettesse con quella merda io non
avrei il
coraggio di chiedergli il motivo. Sarebbe come una piccola parentesi
neanche importante della sua vita, un momento di errore da
scordare.-
Simone non replicò alle parole dell'amica. Si capiva
subito come per lei il discorso droga fosse una triste
novità,
qualcosa di cui conosceva davvero poco.
Lui,
di certo più informato, sapeva benissimo che non sarebbe
stato
semplice, che Giorgio sarebbe stato sempre a rischio di ricadere in
quello “sbaglio”, che non avrebbe mai dimenticato
quel periodo
della sua vita. E il tutto ammesso che ne uscisse, naturalmente.
Non
voleva spaventare Gaia, non voleva metterla di fronte a una
realtà
terribile, possibile però non certa.
Portando a galla la verità
su Giorgio davanti a lui Gaia aveva condiviso un segreto che tra loro
neanche ci sarebbe dovuto essere, e chiedendogli di salvarlo gli
aveva messo in mano più di una vita; quella del giovane,
certamente,
ma anche la sua, la vita di quella ragazza di nemmeno vent'anni
già
troppo provata dagli eventi.
Gli aveva detto che sarebbero dovuti
essere coraggiosi, ed era vero, ma a Gaia Olivietti quanto coraggio
il fato doveva ancora domandare?
- Non hai detto nulla neanche ad
Antonello? O a Fabrizio, ad esempio.-
L'amica scosse la testa. -
Antonello avrebbe potuto avere reazioni peggiori della tua,
specialmente vedendo il livido, e Fabrizio Giorgio lo conosce solo
per i nostri racconti. No, l'unico che doveva saperlo eri tu, forse
subito.-
Simone le disse chiaramente di lasciar perdere le
discussioni sul tempo, che forse il tempo era solo un'illusione e a
contare erano i fatti.
Poi però butto un occhi sull'orologio al
polso e realizzò che, per qualcuno, il tempo poteva anche
essere
reale.
- Ti accompagno a casa, è tardi per essere rimasti
semplicemente fuori a cena.-Le aveva detto.
Erano rimasti ancora
un attimo a parlare vicino al palazzo di Gaia, e lì per
l'ultima
volta in quella giornata lei era scoppiata in lacrime sfogandosi del
tutto.
Simone aveva continuato a ripeterle di stare tranquilla
perché avrebbero trovato una soluzione, ma più
glielo diceva più
si obbligava a non cadere nel tranello di quelle parole, a non
credere anche lui alla piccola menzogna che cercava di far passare
per verità al fine di non far soffrire l'amica.
Quando l'aveva
vista calma aveva aspettato che salisse fino al suo appartamento e
poi era andato via, ritornando dalla sua famiglia senza fare troppo
in fretta.
Da quando le cose con Giorgio avevano cominciato a non
funzionare aveva fatto il possibile per non pensare a lui.
Girare
per Genova, se si metteva a rifletterci troppo, gli riportava alla
mente troppi ricordi, proprio come Gaia gli raccontava di subito dopo
la morte del padre.
Così continuava la sua vita facendo finta
che nulla fosse, non pensando all'amico neanche passando davanti al
locale dove avevano bevuto insieme l'ultima birra prima della
maturità o al parchetto dove per anni avevano passato i loro
pomeriggi.
Quella
sera, per la prima volta, nel percorso da casa di Gaia a casa sua si
era messo invece a contare quanti fossero i luoghi che gli
riportavano alla mente gli anni di amicizia con Giorgio.
E
si accorse che anche nel breve tratto che congiungeva le due
abitazioni, andava a passo lento e non ci mise più di
mezzora, il
numero di posti in cui viveva il ricordo di loro due o loro tre era
esageratamente alto.
Se non si fosse sforzato di dimenticare in
quei mesi, quindi, avrebbe potuto anche fare qualcosa.
Si era
arreso all'idea che le amicizie finissero così, dall'oggi al
domani,
indipendentemente da quanto potessero essere forti o durature.
Gaia
di certo non lo aveva fatto, ed era per quello che aveva scoperto la
verità, perché aveva avuto il coraggio di non
cedere alla pigrizia
di accettare il destino così come veniva.
Ma Gaia era una
ragazza, una femmina, e probabilmente anche per quello non aveva
voluto credere che una relazione potesse finire così, senza
neanche
un ciao.
In fondo lo ricordava bene, quando avevano cominciato a
litigare lei aveva fatto il possibile per mettere qualche toppa a
destra e a manca in quell'amicizia che non voleva si sgretolasse
sotto i suoi occhi impotenti.
Altro che amicizia, però, perché
quello che avevano scoperto si stesse distruggendo davanti a loro era
proprio una vita umana.
Nel letto, mentre si addormentava, Simone
provò a ripercorrere con la mente tutti i sentimenti che
aveva
provato nei confronti di
Giorgio
durante quella giornata. Prima di vedere la ragazza era stata la
solita mancanza mascherata per bene da indifferenza, la convinzione
che lui lo odiasse e che quindi tanto meglio neanche pensarci
più a
quell'infame.
Infame, voltafaccia, tutte parole che aveva usato
per descriverlo prima di scoprire il livido sul collo di Gaia.
E
allora erano subentrati la rabbia e l'odio vero, quello che si ha per
chi fa del male a qualcuno che sia ama.
Ma poi le lacrime della
sua amica, la confessione, un cambiamento totale di prospettiva.
I
sentimenti negativi erano spariti, lasciando il posto alla
disperazione, all'impotenza. Era riaffiorato un mai morto sentimento
di amicizia e per la prima volta dopo chissà quanto tempo
aveva
avuto paura di perderlo.
Gli voleva ancora bene, quindi.
E
non avrebbe mai smesso, neanche se fosse successa la più
terribile
delle cose.
Si ritrovò ingabbiato tra i suoi pensieri e la mezza
bugia che aveva detto a Gaia.
Mentre chiudeva gli occhi si scoprì
convinto che le cose sarebbero davvero andate bene, che sarebbe
riuscito a far tornare Giorgio quello di prima.
L'illusione che
quella notte gli conciliò il sonno sarebbe stata pronta a
diventare
la sua croce dalla mattina seguente, lo sapeva.
Ma realizzò che,
almeno per quel momento, non gli importava.
****
Il periodo
immediatamente successivo alla scoperta per Gaia e Simone fu
un'occasione di riavvicinamento.
Passavano a lungo il tempo
insieme cercando di trovare qualcosa da fare per salvare Giorgio da
se stesso o semplicemente per distrarsi dai brutti pensieri di quei
giorni scuri.
Il ragazzo aveva trovato, dopo non pochi
ripensamenti, il coraggio e le parole per chiedere a un amico
recentemente laureato qualcosa in più su quello che poteva
essere
l'aiuto da dare a una persona immersa nel dramma della droga.
Non
aveva fatto nomi e si era ben guardato dal far intendere che quella
storia lo riguardasse il prima persona, e anche se quel suo interesse
era apparso sospetto nessuno aveva fatto domande. Era poi riuscito a
mascherare la ricerca disperata di informazioni con un dubbio,
normale per gli studenti di medicina, sul percorso da intraprendere
per la laurea specialistica. - Stavo pensando a qualcosa che
riguardasse questo nuovo terribile fenomeno e volevo iniziare a
capirci qualcosa.- Aveva detto.
Però le sue scoperte, per la
maggior parte, le teneva per sé, non volendo ancora fa
capire a Gaia
quanto la situazione potesse essere complessa.
Lei, che da quando
si era liberata del suo segreto aveva iniziato a vivere meglio
malgrado le preoccupazioni, ricominciava a fare quello che faceva
prima, accorgendosi di colpo di aver perso troppo tempo e di essere
tragicamente indietro con lo studio.
Il giorno in cui,
finalmente, si era rimessa sui libri con la determinazione necessaria
a fare qualcosa si era ricordata di quando suo padre era morto e
dell'importanza che in quel momento aveva avuto per lei riprendere
subito le sue solite occupazioni. E così sarebbe stato anche
in quel
caso.
Il livido era scomparso, alla lunga, tanto che piano piano
la ragazza aveva smesso di portare il foulard fino a che, per un
buffo caso del destino, a Maggio le era venuta una forte influenza
che l'aveva costretta prima a letto e poi a continuare nel tenere
coperta la gola.
Nel vederla ammalata di quel periodo Beatrice si
era spaventata parecchio, ma il medico di famiglia, che conosceva
Gaia da ancora prima della sua nascita, aveva tranquillizzato la
madre e prescritto alla giovane una cura che in poco tempo l'aveva
rimessa in forma.
Nei giorni in cui era però stata costretta a
letto Simone ne aveva approfittato per infrangere la promessa di non
cercare Giorgio.
Non si era sentito un granché ad utilizzare il
periodo di debolezza dell'amica per mentirle, era vero, ma ormai
aveva fatto abbastanza ricerche sulla situazione in cui probabilmente
era l'altro da sapere che l'unica strada possibile passava attraverso
di lui.
Così, proprio come Gaia parecchie settimane prima, si era
messo a ripercorrere coi piedi e con la mente la strada che tante
volte aveva fatto assieme agli amici. Fino a casa di Giorgio,
là
dove aveva scoperto che la vita di Alfio si era spenta, dove per la
prima volta aveva pianto senza vergogna davanti a quello che era il
suo migliore amico.
L'erba era profumata e le piante in fiore, la
zona di Genova dove viveva Giorgio si era riempita di colori e alti
fusti che fornirono a Simone un ottimo nascondiglio quando, a poche
decine di metri dal portone, si sentì prendere dall'ansia e
decise
di aspettare.
Doveva suonare o attendere di vederlo uscire di
casa piuttosto che rientrare? E poi che avrebbe dovuto dirgli, di
preciso? Che sapeva? Che lo voleva aiutare?
Pensò di andarsene,
di ascoltare Gaia.
Si era portato dietro un coltellino svizzero
di chissà quanti anni prima ritrovato per caso in camera
sua, ma
sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di usarlo contro
Giorgio.
Rimase seduto su una panchina in mezzo al verde, con gli
occhi fissi sullo scorcio di strada che vedeva dalla sua posizione
aspettando, forse inutilmente, il passaggio del ragazzo per poi
decidere cosa fare.
Il tempo passava lento in quell'attesa che
cominciava a consumare Simone, riempendolo di dubbi maggiori ogni
minuto che passava.
Continuava a guardare verso la strada ma
nulla, non c'era anima viva che passasse per quella via.
Poi, ad
un certo punto,sentì l'aria intorno a lui farsi pesante e la
panchina sulla quale sedeva, mezza rotta, diventare più
stabile.
-
Mi fa piacere sapere che ti ricordi ancora dove vivo, Simo.- Il
ragazzo si girò di scatto e vide al suo fianco Giorgio.
Per un
attimo non riuscì a muoversi, preoccupato o spaventato, ma
poi
l'altro gli mise una mano sulla spalla e provò a
tranquillizzarlo.
- Sto meglio di quando ho visto Gaia, non ti preoccupare.- Gli
disse con un leggero sorriso.
Il respiro di Simone tornò
lentamente regolare e pochi secondi dopo fu in grado di parlare.
-
Come fai a sapere che so del tuo incontro con Gaia?- Disse. La
domanda più stupida che potesse venirgli in mente, forse, ma
non
sapeva come altro iniziare un discorso.
- Non mi pare ci fossero
molte altre alternative al perché tu sia qui, no? Lei deve
averti
detto cos'era successo e tu devi esserti ricordato di avere un amico
in questa zona.-
Simone volse lo sguardo altrove. - Non mi pare tu
ti sia ricordato spesso di noi, in questi ultimi mesi.- Rispose. Se
ne pentì subito dopo, quando temette di averlo fatto sentire
in
colpa.
Ma Giorgio non diede molto peso a quella frase.
- Come
mai non sei venuto con lei? Era spaventata?-
- Si trova a letto
con l'influenza. E poi non voleva che venissi, a dirla tutta.
Più
che spaventata direi fosse preoccupata, angosciata. Non lo so....-
Il
ragazzo evitò di nuovo di rispondere alla maggior parte
dell'affermazione appena fatta. Dover pensare al male che aveva
procurato alla giovane non gli faceva bene.
- Sei venuto qua senza
il suo permesso?-
- Sì. E l'ho fatto anche tardi. Adesso è a
posto ma prima, subito dopo la vostra discussione, aveva un livido
sul collo che ti avrei ammazzato, Giorgio, ti avrei ammazzato a mani
nude se ti avessi incontrato anche solo per caso.-
L'altro abbassò
la testa e se la prese tra le mani poggiate sulle gambe.
- Lo so.
Mi sarei ammazzato anche io in quel momento. Quella sera,
precisamente, quando strano ma vero ho avuto un momento di
lucidità.
L'idea di aver fatto una cosa del genere a Gaia era...
incomprensibile. Era come se non fossi stato io.
Ma da quel
momento qualcosa è cambiato. Sto provando a smettere,
Simone.-
Giorgio rimase in silenzio, Simone voleva parlare ma non
gli uscivano parole.
Doveva credergli? Poteva fare affidamento su
quelle parole?
Il ragazzo pareva seriamente dispiaciuto, il tono
della sua voce era stato anche smorzato da un singhiozzo, ad un certo
punto.
Era lì per quello, però, per dirgli che poteva
rifarsi
una vita lontano dalla droga, e sentire che già di suo
voleva
provarci non poteva che fargli bene.
- E... e come sta andando
questo tuo tentativo?- Gli chiese quasi tremando, sussurrando le
parole come se ci fosse qualcosa che non doveva rompersi.
- Sta
andando Simo, sta andando. Forse se avessi proseguito gli studi
starebbe andando meglio.-
Era vero quello che diceva il ragazzo,
dall'inizio dell'anno accademico non aveva frequentato una sola
lezione, figurarsi un esame.
Ma anche lì, tra i banchi
dell'università, col passare del tempo Simone aveva smesso
di
accorgersi della sua assenza.
- Ti stai facendo aiutare,
vero?-
Giorgio scosse la testa e Simone fu scosso da un brivido.
Stava affrontando davvero tutto quello in completa solitudine?
Era preoccupante la cosa, a suo dire, perché poteva
sbagliare, e in
quella situazione uno sbaglio poteva essere l'ultimo.
- Farmi
aiutare da qualcuno vorrebbe dire ammettere pubblicamente di essere
un drogato. Perderei chi lo sa perché considerato infame e
chi non
lo sa per i motivi che puoi benissimo immaginare. Posso farlo da
solo, davvero. Piano piano, ma posso farcela.-
Il ragazzo
sospirò.
Era incastrato. Da una parte convincerlo con le cattive
era impensabile e controproducente, dall'altra lasciarlo fare era
come non far nulla.
Rimase zitto, ancora una volta spiazzato
dalla vita.
C'erano così tante cose di cui parlare in quel
momento, anche ben distanti dalla droga, che nessuno dei due fu
capace di iniziare un nuovo discorso.
Giorgio
voleva sapere qualcosa di Gaia e di tutta quella loro vita che si era
perso, ma taceva temendo di apparire ipocrita o fuori luogo, mentre
Simone continuava a domandarsi dentro per quale assurdo motivo il suo
amico si fosse infilato in un giro simile pur non avendo il coraggio
di esternare quella domanda.
Alla fine, dopo troppo silenzio, fu
Giorgio a parlare.
- Mi ha fatto piacere sapere di non essere
stato dimenticato, mi spiace solo che questo nostro incontro
rimarrà
per sempre segreto anche per Gaia, forse l'unica che ne sarebbe
felice.-
- Già... Ah, si è fidanzata. Un ragazzo
conosciuto in
università. L'ho incontrato qualche volta, non è
male.- Rispose
Simone per dare una parvenza di normalità a quella
conversazione.
-
Sono contento, se lo merita.-
- Sì.-
I due ragazzi si alzarono
quasi in contemporanea, perché le ombre iniziavano ad
allungarsi e
l'ora di salutarsi si stava avvicinando.
- Ti prometto di uscirne
e di farmi vivo appena questo accadrà, davvero.- Disse
Giorgio
salutando l'amico.
- Allora ti aspetto il prima possibile.- Provò
a convincerlo e convincersi Simone.
Si abbracciarono. Senza
vergogna, senza timidezza. Chissà quanti anni era che non lo
facevano.
Poi, senza neanche un vero e proprio ciao, ritornarono
ognuno sulla sua strada.
Quell'incontro che non sarebbe stato mai
esistito, finito su un tramonto di tarda primavera, sembrava
anticipare una bellissima alba.
****
Gaia si era ripresa
dall'influenza e aveva ricominciato di nuovo la sua vita, che a
quanto pareva era un continuo di stop e partenze.
Con
Simone continuava a parlare di Giorgio e di come aiutarlo, ma quando
ne discutevano, forse si sbagliava, le pareva di vedere una strana
luce negli occhi del ragazzo.
L'amico manteneva il segreto ma non
riusciva a mostrarsi felice, ogni tanto, quando riusciva a
convincerla che potevano davvero aiutarlo.
Non si erano più visti
ma Simone sapeva che c'era bisogno di tempo perché tutto
andasse a
posto tanto da far tornare il giovane insieme a loro.
Intanto era
arrivata l'estate, a Genova.
Giugno era volato come tutti gli
anni, non diversamente da quando andavano ancora a scuola e il primo
mese di vacanza pareva durare un attimo.
Tutto il contrario di
Luglio, che fu mese di esami tanto per loro quanto per Luisa e
Fabrizio e parve lungo come un intero anno.
Il caldo soffocante
non aiutava a studiare ma andare a cercare un po' di fresco al mare
li deprimeva.
Alla fine avevano trovato un'ottima via di mezzo
nella cucina di casa di Simone che, sita su una parte molto alta
della città, riusciva a fornire ogni giorno parecchie ore a
temperatura sopportabile.
Con molta fatica, parecchia
disperazione e un pizzico di fortuna, però, erano riusciti
bene o
male a farcela tutti quanti, arrivando ai primi giorni di Agosto
stanchi ma liberi anche per quell'anno dagli impegni che li legavano
alla loro istruzione.
C'era da decidere, a quel punto, se fare o
meno una piccola vacanza.
Ma tra chi lavorava e chi era troppo
stanco per trovare un posto dove rilassarsi che fosse più
lontano
del lungomare genovese gli unici che erano riusciti a concedersela
erano stati i due fidanzatini, che avevano lasciato Genova per Roma
durante la settimana di Ferragosto.
Inutile raccontare della
situazione che trovarono nella capitale, colma di turisti e cittadini
tenuti a casa da motivi più o meno vari. Il caso non fu
però un
problema, a quanto raccontarono al loro ritorno, perché
malgrado
tutto erano riusciti a seguire il programma che si erano prefissati e
a visitare ogni singolo monumento desiderato.
Per
entrambi si trattava della prima volta nella città eterna ed
era
stato bello condividere quel momento.
Ritornati a Genova avevano
ripreso a frequentare ognuno la sua compagnia di amici fino a fine
estate, continuando a vedersi e amarsi, in ogni senso, ma senza
rendere la loro una relazione esclusiva.
Gaia aveva passato
parecchi giorni sola assieme alla sua migliore amica, raccontandosi
ogni singolo dettagli della loro vita senza paura di essere giudicate
ma solo con la voglia di riprendersi quel legame che la crescita
pareva voler allentare.
Così la figlia del magistrato aveva
scoperto che c'era un ragazzo parecchio interessato a Luisa e,
fingendosi esperta per il modo in cui aveva fatto innamorare
Fabrizio, le aveva dato qualche consiglio che di certo l'altra
avrebbe messo in pratica appena sarebbero ricominciate le lezioni e
si sarebbe rivista col giovane.
Una delle ultime sere di Agosto
Simone aveva telefonato a casa di Gaia e aveva chiesto all'amica se
non le andasse, la giornata seguente, di andare in spiaggia insieme.
Gaia,
che stranamente per quel giorno non aveva preso impegni con Luisa, si
dimostrò subito entusiasta.
Passarono insieme parecchie ore tra
la spiaggia e il mare, parlando di tutto e soprattutto di Giorgio,
entrambi sicuri che l'estate successiva sarebbe stato assieme a loro,
finalmente pulito e pronto a ricominciare a vivere.
Simone
continuava a custodire gelosamente il suo segreto ma iniziava a
preoccuparsi; Settembre era alle porte e ancora nessuna notizia
arrivava dal suo amico impegnato a combattere se stesso.
Era vero
che le notizie brutte viaggiavano molto più rapidamente di
quelle
belle, che “!nessuna nuova buona nuova” ma nella
situazione di
Giorgio chi avrebbe potuto portare qualche cattiva notizia?
Simone
spesso dormiva male la notte per via della preoccupazione. Solo che
poi, quando la notte finiva, guardava Gaia e capiva che non poteva
mostrarsi in quelle condizioni se davvero desiderava non
agitarla.
Così anche quel giorno, mentre parlavano dell'amico, si
era impegnato per non destare sospetti, scoprendo sempre meglio come
si doveva essere sentita lei all'inizio di tutta quella vicenda.
A
metà pomeriggio il cielo si era fatto scuro e gli uccelli
avevano
cominciato a volare basso, preannunciando un temporale dal quale non
si sarebbe salvato nessuno se non si fossero allontanati in fretta
dalla spiaggia.
Nella
rapidità con cui si erano preparati ed erano corsi via, Gaia
e
Simone erano saliti sul primo autobus trovato senza fare caso al
numero che portasse sopra.
Solo quando ormai erano parecchio
lontani dalla spiaggia, in una zona che sembrava distante da quel
posto anche climaticamente visto che il cielo era ancora azzurro
chiaro, il ragazzo si rese conto di star andando verso casa di Gaia e
non verso la sua.
- Dai, non ti preoccupare. Questo sarà uno di
quei temporali estivi che in mezzora iniziano e finiscono, appena la
situazione si calma torni da te, adesso ti fermi da noi.- Gli aveva
detto lei semplicemente.
Scesi dalla vettura alla fermata giusta
si erano accorti che il grigiore si stava espandendo anche sopra le
loro teste.
Si mossero rapidi verso il palazzo di Gaia ma rimasero
stupiti, perché proprio sotto il balcone della camera della
ragazza,
pronti a ripararsi da un eventuale nubifragio, si trovavano Beatrice,
Antonello, Patrizia e la madre del ragazzo.
La più piccola dei
fratelli Olivietti non capì immediatamente cosa stesse
accadendo, ma
a Simone corse un brivido freddo lungo la schiena.
A
lui pareva una scena già vista, una scena che ogni tanto
ancora
sognava in incubi dai quali non era neanche più capace di
scindere
la realtà dei suoi ricordi dalla fantasia tragica della sua
immaginazione.
E lo capì avvicinandosi sempre di più al balcone
che gli incubi sarebbero cambiati e aumentati, da quel
momento.
Antonello aveva in mano una copia del giornale cittadino
e l'aria di chi doveva essere forte almeno per gli altri.
Le
tre donne stavano una vicina all'altra in silenzio, squadrando i due
appena arrivati e facendo intendere che i loro sorrisi si sarebbero
presto spenti.
Il fratello maggiore sospirò poggiando una mano
sulla spalla della piccola e fu allora, quando anche in Gaia si
riaprì il ricordo di un momento terribile, che tutto
acquistò un
drammatico senso.
- I genitori di Giorgio lo stavano cercando da
due giorni...- Provò a spiegare senza piangere. - E oggi lui
è
stato ritrovato su una panchina con un ago in vena. Nessuno ha potuto
fare nulla, mi dispiace.-
Gaia e Simone non riuscirono neanche a
guardarsi in faccia, lasciarono parlare le urla e le lacrime che non
furono in grado di trattenere davanti alla frase terribile di
Antonello.
Perché era vero, nessuno aveva potuto fare nulla.
Neanche
loro.
****
Era scorsa la vita accanto a Gaia, a Simone e alle
loro famiglie ancora una volta, quindi.
Lenta e inesorabile si era
messa al loro fianco nei panni di quell'amico così
problematico e
poi li aveva lasciati proprio come con Alfio.
Un funerale con
poche persone incredule aveva chiuso per sempre una pagina della loro
vita durata quattordici lunghissimi anni.
Era stato quasi peggio
della prima volta anche per Gaia, che se con grosse
difficoltà aveva
superato la perdita assurda di suo padre non si sentiva nelle
condizioni di affrontare anche quel momento, quel dolore sordo che le
era entrato nell'anima.
Buffo era pensare che entrambe le morti,
entrambe le volte in cui la realtà si era scontrata con la
sua
volta, era successo sul finire di un'estate felice, in un giorno
caldo e che nella sua prima parte si poteva considerare anche
normale.
Chissà se la vita l'avesse fatto per darle sempre
un'ultima gioia prima di distruggerla o perché, bastarda
com'era, si
divertiva a prenderla in giro.
Il giorno del quarto anniversario
della morte di suo papà lei non aveva fatto altro che stare
a letto
in camera, incapace di reagire.
Era
passato così poco tempo dalla scomparsa di Giorgio, appena
una
decina di giorni, che per lei ricordare tutto insieme il dolore dei
suoi neanche vent'anni era troppo.
La
mattina dopo però si era rialzata, di nuovo, ancora.
Il lutto
aveva stretto il legame tra lei e Simone. Ma lui, oltre che col
dolore, conviveva con i sensi di colpa per quell'aiuto che non aveva
dato al suo amico.
Si era convinto davvero che ce l'avrebbe potuta
fare da solo, che esisteva gente in grado di vincere da sola quel
mostro.
Si era convinto, lo aveva fatto per sé, per Gaia e per
Giorgio.
Si era convinto ed aveva sbagliato.
Un giorno,
distrutto da quel pensiero, era corso dall'amica e l'aveva fatta
scendere da casa.
Le aveva raccontato tutto, ogni singolo
particolare del loro incontro e ogni pensiero che aveva fatto
sull'amico da quel momento in poi.
Le aveva detto dei suoi sensi
di colpa e della consapevolezza che in quel momento lei di certo lo
stava odiando e ne aveva tutte le ragioni del mondo, ma le aveva
anche spiegato la sua necessità di dire tutto, tutto una
volta per
sempre.
A qualsiasi prezzo, perché purtroppo a sue spese l'aveva
imparato, per quanto la verità costasse il conto delle bugie
era
sempre più salato.
Gaia non aveva detto niente, l'aveva
semplicemente stretto al suo corpo, nella speranza di non mandarlo
via, mai.
Non le importava più nulla, arrivati a quel punto.
Erano rimasti solo loro.
Malgrado tutti gli amici che avevano
e che avrebbero avuto continuando con le loro vite una parte dei loro
cuori non si sarebbe mai aperta a niente e nessun altro.
Gaia,
Simone, il ricordo e il dolore.
****
Appena
due settimane prima di compiere vent'anni, un sabato, la ragazza
aveva trovato l'amico in quello che un tempo era stato un campo da
basket e che in quel momento altri non era se non un pezzo di asfalto
rovinato e recintato con ai lati due strutture un tempo definibili
canestri.
Era una zona di Genova periferica, povera,
degradata.
Quando a casa di Simone le avevano detto che l'avrebbe
probabilmente trovato lì si era stupita, ma poi si era
ricordata
della vicinanza tra quel luogo e la scuola media che aveva
frequentato il ragazzo, capendo che in quel campetto distrutto doveva
esserci qualche ricordo importante.
- Nessuno si aspetterebbe di
vedere il figlio di un attore qui.- Aveva detto cogliendolo di
sorpresa.
Lui si era mosso nella sua direzione e si erano seduti
in terra a bere dalle bottigliette di coca-cola che la ragazza aveva
portato con sé.
- Succedono tante cose che non ci aspettiamo.- Le
aveva poi risposto. - Ad esempio quando giocavo qui con Giò
non mi
sarei mai aspettato tutto questo... ma poi che vuol dire figlio di un
attore? Tu di chi ti senti figlia, Gaia Olivietti?-
Lei attese
prima di rispondere, perché l'avvertì subito come
una domanda
difficile, di quelle piene di tranelli.
Riuscì a riorganizzare
le idee, a rifare quella domanda al suo io più interno, poi
se la
sentì di parlare. - Sono figlia di mio padre, sicuramente,
anche se
manca da anni. Del suo affetto, dei suoi insegnamenti. Ma soprattutto
credo, come tutti, di essere figlia del mio tempo, di questi anni
maledetti che hanno portato via prima lui e adesso Giorgio. E tu?-
Ma
il ragazzo non dette mai risposta a quella domanda, concentrato sulla
frase appena detta da Gaia come fosse un passo del libro di testo
prima di un esame.
- Vedi perché sono qui? Perché qui il tempo
si è fermato a prima, a quando questi anni maledetti come tu
li hai
chiamati, e sono d'accordo con te, non erano neanche in vista e la
felicità era una cosa semplice.-
- Sarebbe bello fermare davvero
il tempo, ma non si può, Simo. Non in un campetto da basket
della
periferia di Genova distrutto dagli anni. Qui non sei fermo, qui sei
solo invisibile agli occhi del mondo.- Aveva sospirato Gaia, che
ormai da anni sognava il tempo rimanesse immobile ma aveva smesso di
sperarci davvero.
- Invisibile? Nel senso che posso non essere
visto qualsiasi cosa io faccia?-
- Probabile visto che qui non
passa una macchina neanche a pagarla.-
- Quindi posso ridere,
piangere, dimenticare di essere figlio di uno famoso, dimenticare che
la vita fa schifo e fingere di essere qualcun altro?-
- Beh...-
Gaia era rimasta stupita. - Ma che vuoi dire, scusa?-
- Che se non
posso tornare indietro, se non posso fermare il tempo, se non posso
riavere quello che ho perso mi va bene essere invisibile. Significa
essere libero ed è tutto quello che mi manca. Fisicamente,
moralmente.
Chissà quanto a lungo si è sentito invisibile
Giorgio, cercando disperatamente risposte in qualcosa di troppo
grande. Io non voglio fare i suoi errori, a me basta questo campetto.
Ma concedimi di essere invisibile, Gaia.
E ti prometto che se è
meglio della vita vera ti spiegherò come fare.-
La ragazza
sorrise e raccolse il pallone che si trovava a pochi metri da lei.
Lo
lanciò verso Simone. - Avanti, raccontami quanto
è bello non
esistere. Se è così diverso dal viver mentre
siamo invisibili
possiamo essere
felici.-
_____________________________________________________________________
*
http://it.wikipedia.org/wiki/Irruzione_di_via_Fracchia
(se è troppo in alto nel testo è, per capirci,
l'irruzione che
portò alla morte di quattro terroristi di cui si parla a
inizio
capitolo.)
Spazio
;Sun
Sono
in un ritardo assurdo, lo so. Ma è colpa della scuola, che
impegnativa come è stata in queste settimane mi ha succhiato
via
tempo e anche salute.
Allora, io sono molto dubbiosa su questo
capitolo, lo ammetto, ma lascio i giudizi a voi lettori che di sicuro
saprete giudicare meglio di me. Francamente temo di essere sempre
troppo veloce nelle narrazioni, ma lascio a voi i commenti di
qualsiasi genere.
Spero vivamente si fosse inteso dall'inizio che
questa non è una storia felice (oddio, non che lo siano
molte mie
storie) e quindi anticipo che anche sul terzo capitolo qualche
fazzoletto andrà preparato.
Spero di postarlo entro il 19 perché
poi (finalmente) dovrò fare un piccolo intervento e non so
in quanto
tornerò in forma per scrivere (si spera poco
però!)
Niente, io
vi saluto e vi mando un bacio enorme :) Finalmente è
arrivato
Giugno!
Alla prossima!
;Sun
<3
|
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Capitolo 3 *** Epilogo - Genova, 2009 ***
Stu
ténpu
Ch’u
s’è pigiòu a beléssa e u
nòstru cantu
E
u l’à ripurtòu inderée sensa
ciü un sensu
Ma
òua che ghe vedemmu
v
Dumàn
tüttu u cangiàa
Invisibili
– Cristiano de André
(Questo
tempo
Che si è preso la bellezza e il
nostro canto
E ce lo ha riportato indietro senza
più un senso
Ma
adesso che ci vediamo
Domani tutto cambierà)
Epilogo
Genova,
2009
L'età
adulta, quella delle grandi scelte e dei grandi momenti, aveva colto
Gaia e Simone impreparati nei giorni dei due lutti che avevano scosso
le loro giovani esistenze.
A guardarsi indietro, arrivati ormai
entrambi a quarantacinque anni suonati, vedevano netta la linea di
confine tra quello che erano stati prima e ciò che erano
divenuti
dopo.
Ma si sentivano soddisfatti di loro nel pensare che, dopo
tutto, non si erano mai dimenticati di essere se stessi, di inseguire
i loro sogni e di cercare il loro posto in quel mondo che sembrava
odiarli tanto.
Alla fine degli anni Ottanta Antonello ed Elisa
avevano avuto il loro primo ed unico figlio, Alfio, Patrizia aveva
sposato Amedeo ed era incinta della piccola Sara e anche Gaia e
Fabrizio si trovavano vicini al loro sì definitivo.
Una mattina
come un'altra, di quelle che ormai scorrevano troppo veloci tra un
caffè al volo ed un ufficio o un'aula universitaria da
raggiungere
sempre troppo in fretta, i giornali titolarono dell'arresto di un
gruppo terroristico di estrema sinistra e, due settimane, dopo il
nome dell'assassino del procuratore Olivietti era noto a
tutti.
Beatrice e i figli avevano seguito il processo e visto in
faccia l'uomo che aveva distrutto le loro vite.
Nessuno di loro si
era mai confidato con gli altri sui sentimenti che provavano quando
si trovavano nell'aula di quel tribunale, che poi era lo stesso in
cui Alfio lavorava e davanti al quale era stato ucciso, ma Gaia,
proprio come aveva ipotizzato tanti anni prima, si era sentita del
tutto apatica in quei momenti.
Aveva il cuore e l'anima pesanti,
ma se le avessero chiesto cosa li riempiva non sarebbe stata in grado
di dare una risposta.
Al termine del lungo processo, quando ormai
Gaia si era sposata, l'uomo era stato condannato a diversi ergastoli,
tra cui uno proprio per la morte del magistrato.
Con quelle
sentenze il senso comune sperava di mettere fine a quel periodo
oscuro che per troppo tempo aveva inghiottito il paese, ma chiudere
in quel modo una parentesi tanto drammatica, andare oltre dall'oggi
al domani, significava porre una barriera invisibile tra chi quegli
anni li aveva vissuto solo tramite la televisione ed i giornali e
chi, come la famiglia Olivietti, era stata invece, senza neanche
volerlo, parte integrante di quella lucida follia tutt'altro che
rivoluzionaria.
Nell'estate del 1989 Gaia e Fabrizio si erano
sposati, in una calda giornata di fine luglio in una chiesa piccola e
fresca sulle colline intorno a Genova, per poi cambiare completamente
scenario per il pranzo, passato in riva al mare.
Era stata una
cerimonia molto intima, vicino agli sposi c'erano state solo le
famiglie e gli amici più cari
proprio come aveva fatto con
Patrizia anche al matrimonio di Gaia era stato Antonello ad
accompagnare la sposa all'altare.
Era stato un momento toccante,
forse anche più delle promesse che quei giorno si erano
fatti
sull'altare.
Col tempo l'avevano capito tutti, purtroppo; avevano
capito che l'assenza di Alfio non sarebbe stata forte nei giorni
tristi come quello dell'anniversario della sua scomparsa, lo sarebbe
stata nei giorni più felici.
Compleanni, matrimoni, anniversari,
nascite, sarebbero stati quello i momenti in cui più di
tutto
avrebbero sentito la mancanza del Procuratore.
I
tre figli, diventando a loro volta genitori, si erano spesso chiesti
che nonno sarebbe stato quel padre affettuoso e mai troppo severo che
loro avevano avuto la fortuna di avere vicino anche se per poco
tempo.
Avrebbero raccontato ai loro bambini di lui, dell'amore che
gli aveva donato durante quegli anni e del sogno di giustizia che
glielo aveva portato via troppo presto.
Gli anni novanta erano
iniziati, per l'Italia, nel peggiore dei modi.
Tolta la caduta
del Muro di Berlino a novembre del 1989, fatto che aveva nuovamente
sconvolto i fragili equilibri internazionali, il bel paese si era
trovato ad affrontare il crollo dei suoi equilibri e dei partiti che
per quasi quarant'anni avevano fatto il buono e il cattivo tempo.
Erano nati nuovi movimenti, venute fuori nuove personalità
politiche, ma, con non poco qualunquismo e populismo, la gente
continuava a dire che tanto non sarebbe mai cambiato nulla e, giusto
per rendere questa una profezia che si sarebbe auto avverata, nessuno
tentava mai di fare in modo di cambiar qualcosa.
Per la famiglia
Olivietti, però, l'arrivo dell'ultima decade del ventesimo
secolo
era stata colma di gioia, perché tra il '92 e il '94 le due
figlie
erano diventate di nuovo o per la prima volta madri.
Gaia aveva
avuto Claudio nel 1992 e Cristina due anni dopo, mentre Patrizia,
aveva partorito per la seconda volta nell'anno di mezzo, dando alla
luce due bellissime gemelle, Isabella e Martina.
A ormai quindici
anni dalla morte del marito la signora Beatrice si sentiva nuovamente
piena di vita circondata da tutti quei nipotini a cui dare affetto.
Erano rimasti tutti a Genova, vicini alla madre, ai ricordi e tra
di loro, immersi in quotidianità perfettamente normali.
Coppie
che si amavano, bambini felici, malgrado il pezzo di cuore che a
ognuno di loro sarebbe sempre mancato si sentivano ancora vivi e in
grado di continuare.
Simone aveva superato poco per volta il
dolore per la perdita del suo migliore amico, rimanendo anche lui
spezzato a metà.
Aveva inseguito i suoi sogni nel lavoro,
sperando che tutto quell'impegno potesse toglierli il tempo per
continuare a rimuginare su l'accaduto, e quando il pensiero si faceva
troppo forte aveva sempre Gaia, che mai gli aveva negato un abbraccio
senza timore né vergogna quando era stato il momento.
Era stato
proprio lui il primo a sapere delle sue gravidanze, prima ancora del
marito o di Luisa, che comunque che era rimasta la sua migliore
amica.
Non era mai stata certa della correttezza di dire una cosa
simile per primo ad un uomo che non era il padre del bambino, a dire
il vero, ma di certe convenzioni sociali se ne era importata poco,
ché Simone era stato al suo fianco nei momenti peggiori e si
meritava di fare lo stesso in quelli migliori.
Il
ragazzo diventato ormai uomo era stato felice di quel privilegio, ma
poco per volta si era accorto di sentire la mancanza di una figura
femminile al suo fianco, una donna che lo amasse e che,
perché no,
lo rendesse papà.
Non era mai stato però bravo a cercare,
figurarsi a farsi trovare. E man mano che la sua migliore amica e suo
marito si godevano la gioia di essere genitori lui perdeva le
speranze.
Ma alla fine del 1995, per caso, era entrata nella sua
vita Gloria, che aveva otto anni meno di lui ed era di origine
fiorentina, con una forte C aspirata e dei luminosi ricci
rossi.
Neanche lei cercava o trovava, soprattutto perché era
oltremodo disordinata e di solito perdeva.
Simone era
probabilmente stata la sua eccezione alla regola, perché
neanche un
anno dopo il loro primo incontro si erano sposati e il loro amore non
sembrava volersi perdere.
All'inizio del nuovo millennio,
finalmente, anche loro erano divenuti madre e padre, di Davide nel
duemila preciso e di Giorgia tre anni dopo, chiamata così
non certo
per caso.
Dopo un'agonia più lunga di quella della migliore
amica anche lui aveva trovato qualcosa che somigliava alla pace, un
momento di gioia grande come gli occhi blu della sua bambina, presi
da quell'oceano che Gloria teneva incastonato nel viso in due
diamanti.
Malgrado i figli delle due sorelle fossero ben più
grandi dei piccoli di Simone andavano molto d'accordo, soprattutto
perché Isabella, Martina e Cristina non perdevano occasione
per
fingersi mamme di quelli che per loro erano come cuginetti.
Il
dramma li aveva colpiti di nuovo pochissimo tempo dopo,
però, quando
Giorgia non andava ancora all'asilo e un controllo di routine aveva
rilevato qualcosa di sbagliato nei seni di Gaia.
Una situazione
impensata, inimmaginabile.
Interventi e cure avevano guarito la
donna, era vero, ma dopo mesi che mai avrebbe voluto vivere,
perché
pensava di aver sofferto abbastanza, che lei e i suoi cari avessero
sofferto abbastanza.
Ed evidentemente si sbagliava, evidentemente
l'abbastanza non esisteva, non nelle loro vite.
Ma
pazienza, si era detta, alla fine tutto era andato per il verso
giusto e quello era l'importante.
I capelli che le pesanti terapie
le aveva fatto cadere, quei bellissimi capelli neri identici a quelli
che fino a pochi anni prima aveva la madre, erano tornati a crescere
ordinati e curati come lei sempre li aveva tenuti.
Aveva
ricominciato a lavorare, alla fine era riuscita a diventare
insegnante di lingue alle scuole superiori, e aveva cominciato di
nuovo a fare la mamma e la moglie, quei lavori tipicamente femminili
per cui lei molto più di altre donne aveva una naturale
inclinazione.
Perché ne era certa, per quanto la natura volesse
diversamente non tutte erano fatte per quello.
La sua amica
Luisa, ad esempio, che aveva preferito farsi una carriera in banca
invece che una famiglia, anche se poi era nato Matteo e i suoi occhi
quando parlava del figlio si illuminavano come pochi.
Simone
aveva vissuto con apprensione la malattia della sua più cara
amica,
trovando anche quelle briciole di Fede in Dio che con gli anni aveva
perso, pregando e chiedendo aiuto perché forse lui non era
un bravo
Cristiano ma lei sì, lei doveva smetterla di soffrire in
quel modo
atroce, atroce come la sua malattia, e ricominciare a vivere. Ancora
una volta.
Era durato tutto pochi mesi, era vero, ma quanto
lunghi era apparsi a Gaia e i suoi cari, quante giornate erano
sembrate senza fine tra le visite, le analisi, le cure e i momenti in
cui la donna era stata male, malissimo.
Per Patrizia, Antonello e
Beatrice era poi stato ancora peggio, si erano così illusi
di poter
vivere una vita normale ed erano invece stati nuovamente presi in
giro dal fato.
Fino alla guarigione, però, perché poi avevano
riso di quel destino beffardo che aveva provato a separarli ancora ma
no, non ne era stato capace.
Gaia aveva festeggiato nel vero senso
della parola la sua fine di quella storia, con gli amici ma
soprattutto con la famiglia, con Claudio e Cristina che avevano avuto
fin troppa paura di perdere la loro mamma.
Ma era finita, per
fortuna.
E non sarebbe ricominciata, non doveva farlo.
*****
A
Febbraio del 2009 Genova era stata ricoperta da un'abbondante
nevicata, tanto che per limitare problemi e pericoli un pomeriggio
tardi la giunta comunale aveva deciso di chiudere le scuole per i due
giorni successivi.
Si aspettava per le quarantotto ore seguenti
una diminuzione delle precipitazioni, e se non c'erano stati grandi
disastri fino a quel momento nessuno capiva perché
rischiarli appena
prima e condizioni meteo tornassero alla normalità.
Claudio e
Cristina non avevano potuto essere più felici, anche
perché erano
impegnatissimi in una partita uno contro l'altra alla playstation e
avere due giorni completamente liberti per fare solo quello non gli
dispiaceva affatto.
Per Gaia, invece, non c'era stata differenza;
il primo di quei due giorni lo aveva comunque preso di ferie per
motivi personali.
Si era alzata con calma e sempre con la stessa
tranquillità si era preparata per uscire.
Era ben coperta, il
freddo fuori era ancora pungente, e aveva scelto una grossa borsa,
ben più grande di quelle che era solita utilizzare.
Quando aveva
lasciato la sua abitazione i figlie erano in pigiama ma già
davanti
la televisione e il loro videogioco. Di solito li avrebbe
rimproverati, malgrado fossero ormai abbastanza grandi entrambi, ma
quella mattina aveva altro per la testa.
Aspettò con pazienza i
mezzi pubblici, rallentati anche loro da quel meteo terribilmente
nordico, e quando finalmente arrivò l'autobus che attendeva
si trovò
a dover viaggiare in piedi in mezzo all'umanità
più varia e ad
acqua, neve e fango che si mischiavano sul pavimento della vettura.
Si
portò la sciarpa in alto sul viso, fino a coprire bocca e
naso,
tenendosela stretta davanti alla faccia nella speranza di non
respirare qualcosa di sbagliato. Quel viaggio le era parso lungo
un'eternità, eppure erano i soliti quindici minuti, forse
qualcuno
in più per via del traffico e della strada scivolosa.
I soliti
quindici minuti, quelli che separavano casa sua da casa di Simone, il
luogo in cui era diretta.
Qualcuno avrebbe pensato che a lungo
andare i migliori amici di un tempo fossero diventati amanti, magari
anche una naturale evoluzione di quel rapporto così spesso
provato
dagli eventi della vita.
Ma no, le cose non stavano così.
Gaia
suonò e in breve si trovò davanti Simone, l'unica
persona che
voleva accanto in quel momento.
Migliori amici sempre, da piccoli
e da grandi, nei momenti belli in quelli brutti.
Dalla grossa
borsa con cui era uscita di casa la donna tirò fuori dei
fogli dei
quali si vedeva solo l'intestazione, quella dello stesso ospedale in
cui quasi trent'anni prima era morto suo padre.
Lei non disse
niente, lui non domandò niente.
Si limitò ad abbracciarla e a
scaldare il suo cappotto di calde lacrime, lacrime che forse non
doveva piangere ma che gli fu impossibile trattenere.
Amici nei
momenti brutti, abbracci pieni di affetto anche quando si era
più
vicini ai cinquanta che ai quaranta.
La ragazzina figlia del
Procuratore, divenuta ormai più che donna, aveva scelto di
sprofondare in quelle braccia perché più di tutte
la facevano
sentire a casa.
Amici anche nei momenti brutti, pronti a
sostenersi in quella vita maledetta ancora una volta.
Forse
l'ultima.
****
Era tornato, il male.
Tornato con una violenza e
una cattiveria - o forse sarebbe stato meglio dire malignità
– di gran lunga maggiore rispetto alla prima volta.
Diagnosi
severa, era stato il primo responso dei medici, quello che Gaia aveva
in mano a casa di Simone a Febbraio.
Severa nel senso che due
giorni dopo era stata ricoverata e fin quasi ad Aprile non aveva
più
visto altro che non fossero le pareti bianche dell'ospedale.
Era
tornata a casa poco prima del terremoto dell'Abruzzo.
Nuovamente
era senza capelli, smagrita, col volto di un colore strano tra un
giallo pallido ed un grigio.
Respirava solo grazie all'ossigeno,
non era più autonoma nel farlo, e per i lunghi spostamenti
aveva
bisogno di una sedia a rotelle poiché le gambe, anche quelle
sempre
più fini, non la reggevano più.
Ma era raro ci fossero per lei
lunghi spostamenti, tolti quelli verso l'ospedale, perché
più il
tempo passava più le veniva meno anche la semplice forza di
pensare
di uscire di casa.
La madre e i fratelli si alternavano per farle
un poco di compagnia, anche se la signora Beatrice, ormai anziana,
non aveva sempre il coraggio necessario a stare al capezzale della
figlia.
Claudio e Cristina provavano a fare ciò che potevano,
nessuno aveva nascosto loro la gravità delle condizioni
della madre,
sapevano che di lì a poco sarebbero potuti rimane orfani.
Come lo
sapevano i cugini, naturalmente, e tutti quelli che li erano vicini
eccezione fatta, per ovvie ragioni, per i figli di Simone, che
volevano un gran bene a Gaia ma erano ancora troppo piccoli per
sopportare una cosa del genere.
Anche se l'uomo aveva deciso che
quando e se la situazione fosse degenerata avrebbe provato a
spiegare ai suoi bambini cosa stava per accadere alla loro zia
acquisita.
Fabrizio, forse il più coinvolto, ancora non si
capacitava di come potesse essere accaduta una cosa simile.
Quando
sua moglie si era ammalata la prima volta era stato un fulmine a ciel
sereno, non aveva nessun tipo di sintomo, semplicemente era andata a
fare un controllo ginecologico di routine ed era saltata fuori la
notizia.
Era agli inizi e il calvario era stato corto e positivo.
Ma quella seconda volta no, non era andata così bene. Gaia
aveva
accusato parecchi sintomi e anticipato con urgenza i controlli che
comunque doveva fare.
Aveva sperato fino all'ultimo che fosse un
errore, che stesse male per altri motivi o che almeno si trattasse di
un'altra brutta e dolorosa parentesi che sarebbe passata in fretta.
E
invece no, malgrado ogni tentativo verso la fine di Maggio la
prognosi era diventata quella che tutti temevano.
A Gaia
Olivietti non rimanevano neanche sei mesi di vita.
****
Giugno era
sempre stato un bel mese, anche perché era il mese in cui
Gaia,
Giorgio e Simone si erano conosciuti, il mese in cui arrivava
definitivamente il caldo, iniziavano le scuole, si mangiavano gelati
e si andava al mare.
Quell'anno era solo un mese, un mese in meno
da segnare su un calendario che ufficialmente non c'era ma tutti loro
avevano ben stampato nella testa e nel cuore.
È difficile vedere
una persona che si ama muoversi per casa come un fantasma, parlare
con una voce sempre più bassa, vederla dormire per la
maggior parte
della giornata con la paura che per qualche motivo smetta di
respirare in anticipo rispetto a ciò che un medico o un
altro hanno
detto.
Claudio e Cristina non erano mai stati studenti modello,
era vero, lui aveva appena finito il terzo anno di scientifico e lei
il primo di pedagogico, ma quell'anno, nel secondo quadrimestre,
avevano dato il massimo, ce l'avevano messa tutta per dare un'ultima
soddisfazione alla loro mamma.
Era tutto ultimo, in quel periodo
maledetto.
L'ultima soddisfazione, l'ultima estate insieme.
A
volte quasi le dispiaceva di averlo scoperto così tardi, se
solo
avesse saputo l'autunno prima quanto il destino si sarebbe accanito
ancora su di lei si sarebbe goduta sapendolo l'ultimo compleanno e
l'ultimo Natale insieme ai suoi cari, ma forse era stato meglio che
le cose fossero andate in quel modo.
Non ci sarebbe stata una
reale gioia in una situazione simile, tanto meglio per chi rimaneva
ricordare la sua felicità in un Natale come un altro, con la
certezza che niente di male sarebbe potuto accadere.
Una mattina
di fine Giugno, dopo aver parlato con il marito e le persone che
curavano costantemente Gaia in quel periodo, Simone si era preso un
giorno di ferie e aveva caricato la sua migliore amica in macchina
per portarla a Loano, lì dove si erano incontrati da
bambini.
La
donna aveva trovato forse proprio nei ricordi la forza per andare,
anche se non sarebbero potuti stare via molto, le sue condizioni
erano quello che erano.
Non era una giornata calda, anzi, il sole
sembrava quello di un giorno di fine inverno, ma meglio
così, poiché
in quel momento a lei giovava più un po' di freddo dal quale
coprirsi per bene che il troppo caldo capace di toglierle l'ultimo
briciolo di forze che ancora le rimaneva.
La spiaggia era deserta,
si erano messi a diversi metri dalla riva su degli asciugamani, come
se fosse una normale giornata al mare.
Lei non aveva avuto il
coraggio di togliersi neanche le scarpe, le pareva che liberare anche
solo un minimo il suo corpo dai vestiti ancora pesanti che lo
chiudevano potesse farle chissà cosa.
Si sentiva così fragile in
quei suoi ultimi mesi, fragile come i sorrisi che stava riservando al
suo migliore amico così caro quella mattina.
Aveva l'ossigeno
come sempre, e stava chiusa tra le braccia di Simone, non poteva
guardarlo in faccia ma lo sentiva addosso a sé.
Era un abbraccio
puro, il loro, talmente puro e casto da farle ricordare
perché non
avesse mai potuto pensare a lui come un possibile amante o marito.
Stare tra quelle braccia era come stare tra quelle di Antonello,
Simone era per lei un fratello, un amore così grande da non
poter
essere semplicemente fisico né da poter essere dichiarato
eterno da
un contratto matrimoniale.
Non lo amava, il sentimento che
provava per lui andava oltre.
E la cosa era reciproca, tanto che
lui, forse egoisticamente, credeva che la sua sofferenza sarebbe
stata maggiore rispetto a quella di Fabrizio, perché il
marito di
Gaia si sarebbe potuto innamorare ancora, ma lui un rapporto come
quello che aveva con la donna non lo avrebbe mai più avuto
con
nessun altro.
- Te lo ricordi? È stato proprio su questa spiaggia
che ci siamo conosciuti.- Le disse tenendola stretta.
- Già...
Esattamente quarant'anni fa, no?-
Simone annuì.
Quarant'anni
prima non avrebbero mai potuto immaginare come sarebbero andate le
cose, erano solo bambini e come tali volevano vivere le loro vite
felici, sognando un futuro simile ai lieti finali delle favole che
ascoltavano prima di dormire dai genitori.
Invece le cose erano
andate diversamente; prima il papà di Gaia, ucciso
dall'assurdità
di fare il lavoro sbagliato nel posto sbagliato quando lui voleva
solo fare la sua parte nel mondo.
Poi Giorgio, portato via, forse,
dalla sua solitudine, dall'incapacità di chiedere aiuto
quando ce ne
era bisogno.
E in fine lei, che ogni minuto che passava si
avvicinava sempre con più consapevolezza al momento
dell'ultimo
addio.
- L'altro giorno pensavo che tra meno di tre mesi saranno
già trent'anni che papà non c'è
più... e io non sarò vicino a
mamma, Antonello e Patrizia.
Anzi, forse loro saranno tristi il
doppio perché non ci sarò più neanche
io...- Sospirò facendo
scendere qualche leggera lacrima sui suoi lineamenti del tutto
scolpiti e sciupati dalla malattia.
- Ci sarò io, con loro. Te lo
prometto.- Le disse Simone accarezzando con dolcezza il foulard con
cui Gaia proteggeva il capo totalmente privo di capelli.
- Stai
vicino ai miei piccoli... Hanno quell'età in cui ti senti
grande
ma... ma non lo sei, non abbastanza da superare certe cose. E
sicuramente Fabrizio farà del suo meglio, è un
padre meraviglioso,
ma anche lui è distrutto da questa situazione e non credo
possa
aiutarli se non sa aiutare se stesso.-
La donna si strinse tra le
spalle per farsi tenere ancora più stretta dall'amico,
cercando
protezione.
Quando suo padre era morto aveva quasi sedici anni, in
quel momento Claudio ne aveva diciassette e Cristina quindici, sapeva
benissimo cosa sarebbe stato per loro.
Anche se era diverso, era
vero, perché in quei mesi avevano un minimo di tempo per
realizzare
cosa sarebbe accaduto, mentre lei non aveva avuto neanche quello.
Ma
chissà se davvero ci si può abituare all'idea che
una persona che
si ama, un genitore, possa andare via per sempre.
Rimasero in
silenzio qualche minuto, il rumore del mare e dei gabbiani bastavano,
l'aria di salsedine la faceva sentire viva, più viva di come
era
stata negli ultimi mesi.
Quando Simone le aveva proposto di fare
quella breve gita non era stata subito d'accordo, aveva avuto paura
di non farcela fisicamente e mentalmente, perché pensare a
tutto
quello che avrebbe perso da lì a poco non le faceva piacere,
anzi.
Eppure, mentre si trovava lì, a vedere uno dei luoghi che
più le ricordava il periodo più bello della sua
vita, dalla nascita
all'omicidio di suo padre, si sentiva in pace, quasi felice.
- Ho
tirato un bilancio...- Disse dopo poco. La voce era flebile,
affaticata, ma se l'uomo le avesse detto che forse era il caso di
andare a casa era certa che si sarebbe impuntata, stanchezza
permettendo, per rimanere ancora un poco, proprio come se fosse stata
ancora una bambina.
- Della... della tua vita?- Era difficile per
lui parlare di quello che stava accadendo, di come di lì a
poco Gaia
non ci sarebbe stata più.
- Sì, e stavo pensando che forse non
devo avere rimpianti, dopo tutto malgrado quello che è
successo...
malgrado i dolori tremendi che abbiamo sopportato credo di aver
sempre avuto al mio fianco persone meravigliose.
Tu, mia mamma, i
miei fratelli, mio marito e i miei piccoli... è grazie a voi
che
malgrado tutto sono ancora qui, anche se non per molto... forse il
mio unico rimpianto è quello di dovervi lasciare...-
Simone
ebbe un'immensa voglia di piangere, e per quanto si obbligò
a non
farlo non fu semplice per lui non lasciar scendere qualche
lacrima.
La donna si voltò leggermente, facendo un po' di fatica,
e questa volta fu lei ad abbracciarlo, a stringerlo forte per
scacciare le sue paure.
- Andrà tutto bene, abbiamo già
affrontato momenti simili ma ne siamo usciti, vedrai.-
L'uomo non
rispose, si limitò a pensare che in quegli altri momenti
terribili,
ad esempio la morte del Procuratore o di Giorgio, erano in due,
c'erano entrambi, mentre quando Gaia si sarebbe spenta lui sarebbe
rimasto solo, per sempre.
No, non se lo sarebbe mai immaginato,
quarant'anni prima, di rimanere l'ultimo sopravvissuto di quei tre
bambini che giocavano su quella stessa spiaggia dove in quel momento,
per l'ultima volta, la sua migliore amica si godeva l'aria pulita.
****
Furono
costretti a muoversi verso Genova meno di un'ora dopo, quando la
donna ebbe un violento attacco di tosse tanto che Simone le chiedette
più volte se non fosse il caso di andare verso l'ospedale.
Ma
lei era stata chiara, non c'era bisogno, semplicemente doveva
riposare.
Avevano passato insieme delle ore meravigliose,
probabilmente il suo ultimo ricordo migliore, però alla fine
dovevano arrendersi allo stato delle cose.
Parcheggiò
precisamente davanti casa sua e l'aiutò a salire.
Non c'era
nessuno, né il marito né i figli, e l'uomo decise
quindi di non
lasciarla sola, non poteva permettersi che accadesse
qualcosa.
Secondo Gaia tutte quelle sue attenzioni erano inutili,
come lo erano quelle degli altri suoi cari. Benché facesse
di tutto
per non dimostrarlo lei soffriva, soffriva nel corpo nello spirito.
Quando chi l'amava provava a fare qualcosa per allungare anche di
una sola ora la sua vita per Gaia era un dolore doppio,
perché per
quanto lo facessero per lei nessuno capiva davvero quale sofferenza
fosse per lei continuare anche solo a respirare in quelle condizioni.
Naturalmente
non aveva il coraggio di spiegarlo, sarebbe stato terribilmente
doloroso per chi la assisteva e lei non voleva fare altro male a
quelle persone che fino alla fine della sua vita avrebbe amato, e
così si mostrava un minimo sorridente e felice di tutti quei
tentativi vani anche più delle tremende terapie che fino a
poco
prima aveva continuato a fare.
Si sedettero nel salotto di casa,
dove c'erano due grosse poltrone molto comode sulle quali la donna
rimaneva spesso anche per riposare perché, oltre tutto, la
tenevano
alta e le permettevano di respirare meglio.
Parlarono un poco
ricordando qualche vecchio aneddoto, erano successe così
tante cose
anche belle in quei quarant'anni.
Ricordarono Giorgio, i suoi
modi di fare, il suo tono di voce che nella mente di Gaia non era mai
sfumato.
Qualche volta le capitava anche di sognarlo, ancora così
giovane, ancora così pieno di vita.
Si domandarono come sarebbe
diventato se fosse sopravvissuto a quel mostro, se si fosse ripulito.
Per come era fatto sarebbe stato in grado di scherzarci su, prima
o poi, Simone ne era sicuro, il suo migliore amico sarebbe stato
così.
Non lo disse a voce alta, ma l'uomo si chiese anche che
reazione avrebbe avuto Giorgio di fronte alla malattia di Gaia e alla
sua ormai prossima dipartita, evento sicuramente ineluttabile a
prescindere dal rapporto che l'altro ragazzo aveva avuto con la
droga.
Forse sarebbe stato coraggioso, forse sarebbe scappato.
In
ogni caso per lei sarebbe stato meno peggio averlo ancora vicino, non
tenere ancora quel tremendo peso sul cuore.
Perché
malgrado la maturazione e la crescita tanto Simone quanto la donna
avevano continuato, anche inconsciamente, a sentirsi colpevoli di
quella morte prematura e forse evitabile.
Mentre
chiacchieravano il discorso cadde, e fu Gaia a farcelo cadere, sul
dopo.
Non tanto su come sarebbero stati dopo i suoi cari e tutti
gli altri, sapevano fin troppo bene cosa volesse dire sopravvivere a
qualcuno, ma il suo dopo, l'eventuale vita dopo la morte.
- Sono
sempre stata Credente e spesso ho parlato a mio padre, o anche a
Giorgio, guardando il cielo. Solo che quando ti tocca in prima
persona è diversa, la paura che dopo non ci sia nulla
è orribile...
Però sai, se qualsiasi cosa ci sia io potessi rivederli
credo che
sarei tranquilla, averli vicino mi basterebbe.
Ma è molto più
probabile che... che saremo solo corpi... ossa... e poi polvere...-
Abbassò di nuovo la voce sulle ultime parole, stanca ed
affaticata.
In quel momento rincasò Fabrizio, accompagnato da
Celina, l'infermiera Sudamericana che si occupava di fare iniezioni e
flebo all'ammalata.
Gaia
fu portata in camera dal marito, doveva mettersi a letto e fare
alcune flebo, i soliti medicinali ed antidolorifici che provavano a
rendere meno dolorosi quegli ultimi mesi con i soliti pochi risultati
soddisfacenti.
Simone la salutò dopo le pratiche mediche,
baciandole dolcemente la fronte mentre Fabrizio abbassava le
tapparelle delle finestre della stanza per consentirle di riposare in
totale tranquillità.
I due uomini poi tornarono nel salone ma si
diressero al tavolo, dove l'ospite si sedette aspettando che il
padrone di casa prendesse da bere.
Benché prossimo a rimanere
vedovo perdendo il più grande ed unico amore della sua vita
non
aveva mai pensato di darsi all'alcolismo, aveva Claudio e Cristina
che ancora per poco avrebbe dovuto crescere e tutta la vita costruita
assieme a Gaia non poteva essere mandata al diavolo solo
perché il
suo cuore avrebbe cessato di battere.
Anzi, se c'era un solo
metodo, uno solo per farla continuare a vivere era proprio non
dimenticare neanche per errore tutto quello che c'era prima e andare
avanti come se lei fosse rimasta al suo fianco.
La formula
canonica del matrimonio diceva “Finché morte non
ci separi” ma
lui era certo che il suo amore sarebbe andato ben oltre la semplice
fine della vita fisica e terrena di Gaia.
Indipendentemente da
cosa ci sarebbe stato dopo per lei.
Ma la situazione era
complessa, difficile, dolorosa, e ogni tanto si concedeva un goccetto
in più, magari in compagnia di qualcuno come in quel
momento.
-
Oggi è stata bene.- Raccontò Simone mentre
bevevano. - Fisicamente,
intendo, sembrava leggermente più in forze. Mentre
mentalmente era
proprio come rinata, questa gita deve averle fatto bene. Certo, il
pensiero costante è sempre uno tanto per noi quanto per lei,
e
vorrei vedere, ma l'ho vista felice, felice come non era da tempo.-
- Spero solo che non ci siano effetti collaterali, il medico ha
detto che ora l'unico rischio sono le infezioni che potrebbero...-
Non era in grado di finire la frase, era bravissimo a girare intorno
al fatto che sua moglie, la sua Gaia, presto non ci sarebbe stata
più.
- Potrebbero peggiorare la situazione più in fretta?-
Chiese Simone.
E quella frase era il modo meno doloroso di dire
“potrebbe morire prima”, perché a quei
livelli l'unico
peggioramento ancora possibile era quello. Ammesso che a quel punto
per lei smettere ogni sofferenza fosse davvero peggiorare.
Rimasero
insieme ancora una decina di minuti e poi si salutarono, Fabrizio
accompagnò l'uomo alla porta ringraziandolo infinitamente
per ciò
che aveva fatto quella mattina.
Non aveva mai visto Simone come un
rivale in amore, ma come un aiuto per la sua amata sì, e in
quel
momento per la prima volta provava un minimo di gelosia, forse
perché
c'erano cose che Gaia era in grado di dire solo a lui.
Chiusa la
porta di casa tornò nella camera da letto e si
sdraiò accanto alla
donna che già dormiva.
Non
disse nulla, la accarezzò e basta.
Avrebbe parlato alle sue
foto, alla sua lapide, al cielo convinto che potesse sentirla.
Ma
il calore della sua pelle no, quello non lo avrebbe più
avuto
vicino.
****
Lasciata
casa di Fabrizio e Gaia Simone si era diretto verso il lungomare,
dove Gloria lo aspettava con i bambini per fare quattro passi e
provare a distrarsi un minimo dai terribili pensieri che non lo
abbandonavano mai.
Vedere i suoi piccoli lo rallegrò un poco e,
per la prima volta dopo tantissimi anni, gli venne voglia di andare
in un posto dove non tornava da tempo.
Caricò la famiglia in
macchina e si diressero a Quarto dei Mille, dove avevano vissuto,
lui, Gaia e Giorgio, la loro ultima giornata felice.
Portò Davide
e Giorgia allo scoglio da cui erano salpati Garibaldi e i Mille,
raccontando loro la storia dell'uomo che aveva unificato l'Italia.
Era stato lì con i suoi migliori amici per l'ultima volta
poche
settimane prima di smettere di parlare al ragazzo, pochi mesi prima
di perdere per sempre una parte di sé.
Ricordava perfettamente
come lui, Giorgio, avesse parlato di andare via, di salpare verso un
posto migliore come Garibaldi.
Era paradossale che parlasse di
lasciare l'Italia dal posto in cui l'Italia aveva cominciato a
nascere, ma forse inconsciamente lui già sapeva che avrebbe
lasciato
la vita, non il suo paese, e quel posto migliore che cercava poteva
essere quello dove alla fine era andato.
Dove chissà, forse
presto l'avrebbe raggiunto anche Gaia.
Ripensò al discorso fatto
con lei nel primo pomeriggio, a quell'idea che qualsiasi cosa ci
fosse dopo le sarebbe bastato rivedere chi amava.
Non era male
come idea, pensare che passava dalle braccia di chi amava ed era
ancora in vita a quelle di chi amava ma non c'era più.
Razionalmente,
per Simone, dopo la morte non c'era nulla, ma proprio nulla, eppure
la possibilità di trovare qualcuno era rassicurante, e forse
quando
hai poco da vivere la razionalità lascia il tempo che trova.
-
Papà, papà Davide ha detto che una volta vuole
partire come
Garibaldi! - Lo disse la bambina distogliendolo dalle sue
riflessioni.
- E tu vuoi andare con lui, Giorgina? -
- No.
Solo se ci siete anche tu e la mamma.-
Simone prese in braccio la
figlia. - Ma quando tu e Davide sarete abbastanza
grandi
da poter fare il viaggio di Garibaldi io e la mamma saremo vecchi e
stanchi, non saremo forti come voi.-
- Sarai come la zia Gaia
papà?- Chiese il bambino, che più della piccola
aveva capito come
la donna stesse male.
- Non lo so.- Sospirò l'uomo.
- Ma è
vero quello che ci hai detto? Che forse non la vedremo più?-
Gloria
rimase lievemente in imbarazzo, ai bambini era stato fatto un accenno
della situazione ma loro sembravano aver capito più del
dovuto.
Simone si avvicinò allora al cordone che separava lo
scoglio da mare tendendo la bimba tra le braccia e il maschietto per
dietro le spalle, facendo guardare entrambi verso l'immensa distesa
azzurra che avevano davanti.
- Sì, è vero, presto la zia sarà
per noi invisibile- Gli spiegò. - Ma, sapete, quando una
persona è
invisibile significa solo che non la possiamo vedere. Lei
può ancora
ascoltarci, ci possiamo parlare, e se stiamo ben attenti anche noi
possiamo sentire quello che ha da dirci.-
- Quindi se noi da
grandi faremo il viaggio di Garibaldi senza te e la mamma in
realtà
l'unica differenza sarà che non vi potremo vedere?- Chiese
Davide.
-
Sì, esattamente.-
- Allora va bene, forse.- Disse Giorgia
stringendosi al padre.
Gaia presto sarebbe diventata invisibile,
era vero.
Non avrebbe più visto la sua migliore amica, avrebbe
perso quell'abbraccio che per quarant'anni era stato sinonimo di
casa.
Forse, come sperava, lei avrebbe rivisto il suo adorato papà
e il suo carissimo Giorgio, forse c'era davvero qualcosa
dopo.
Avrebbe rivisto chi amava e tutto sarebbe andato bene per
lei, no?
Simone e tutti quelli che rimanevano avrebbero dovuto
farsi forza pensando che non vederla e non toccarla sarebbero state
le uniche differenze, che l'amore tra loro sarebbe rimasto sempre
immutato.
- Papà se tutti quelli che vanno via alla fine
diventano invisibili non è che poi c'è un posto
dove gli invisibili
possono vedersi tra loro?- Domandò Giorgia forse perdendosi
tra le
sue parole.
Era un suo concetto di Paradiso, probabilmente, e
Simone l'abbracciò forte rispondendo di sì.
- Allora dobbiamo
solo aspettare. - Disse la bambina. - Non è vero che non la
vediamo
più, dobbiamo solo aspettare di essere anche noi invisibili.-
L'uomo
sorrise.
Era certamente così.
E chissà, forse solo loro non
potevano vedere ma lei avrebbe potuto continuare a stargli dietro
ovunque, forte proprio della sua invisibilità.
Tornarono indietro
passando per Piazza Crispi, dove avevano salutato per l'ultima volta
il Procuratore.
Simone rimase alcuni minuti a guardarla e pensò a
quella mattina di settembre di trent'anni prima.
Ripensò alle
ultime parole di Alfio Olivietti.
“Trattatemela bene, è
l'unica che ho ancora piccola.”
Sorrise.
“L'ho fatto
fino alla fine, dottore.” pensò dentro
di sé. “Se
qualcosa ho sbagliato un giorno potrai dirmelo. Ma prima me la farai
abbracciare. Di nuovo, ancora.
Non c'è niente di brutto
nell'essere invisibili, basta non esserlo da soli.
E no, non lo
saremo mai più”.
Fine.
Sarà
quando quell'ultima volta
che la vedi e la senti parlare
quando il giorno dell'ultima volta
che vedrai il sole nell'albeggiare
e la pioggia ed il vento soffiare
ed il ritmo del tuo respirare
che pian piano si ferma e scompare.
Francesco
Guccini – L'ultima
volta
_______________________________________________________________________
Si
sono in ritardo di tre mesi, lo so, ma ero stanca distrutta prima
quanto dopo l'intervento e quindi tra una cosa e l'altra ho fatto
passare l'estate, perdonatemi.
Allora, ultimo capitolo, come avevo
preannunciato gonfio di una sua tristezza e sì, lo so, sono
una
brutta persona :( ma eravate stati avvisati.
Sinceramente il
finale non mi piace troppo, lo avevo in mente per bene e me lo sono
scordata -.-” ne ho praticamente scritti tre diversi e questo
è
stato quello che ho preferito, nella speranza possa piacere anche a
voi.
Spero che non abbiate pianto troppo (fatemi sapere u.u) e che
malgrado tutto la storia vi sia piaciuta.
Io vi ringrazio
tantissimo per essere arrivati fino a qua e vi invito ad ascoltare le
due canzoni citate, Invisibili di Cristiiano de Andrè e
L'ultima
volta di Guccini, che credo sia una canzone adatta a riassumere
l'intera storia di Gaia.
Per il resto vi ringrazio ancora
moltissimo per tutto, soprattutto per la pazienza dell'attesa e la
sopportazione della tristezza, e vi abbraccio fortissimo.
Un
grosso bacio a voi tutte/i
;Sun
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