Invisibili.

di misslittlesun95
(/viewuser.php?uid=133210)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genova, 1979 ***
Capitolo 2: *** Genova, 1982 ***
Capitolo 3: *** Epilogo - Genova, 2009 ***



Capitolo 1
*** Genova, 1979 ***


Invisibili
_______



Perché a Genova si moriva a vent’anni
Ma senza diventare mai, mai degli eroi
Coi tuoi separati a colpi di calibro trentotto
E i miei tenuti insieme dalla speranza per l’umanità
Noi sempre oltre ogni limite
Quel limite era una scommessa da non perdere mai

Invisibili – Cristiano de André

.


Genova, 1979

La seconda metà di Agosto, prima dell'inizio della scuola, li si trovava lì, a Quarto dei Mille.
Non c'era un motivo particolare o preciso per cui avessero scelto quella zona, semplicemente gli piaceva.
Erano due anni che le ultime settimane di vacanza le passavano tra quelle vie, su quel lungomare, da quando Gaia aveva superato la terza media e i genitori avevano deciso che fosse abbastanza grande per girare da sola.
Lei era l'ultima di tre figli, nata a Ottobre del 1963. Il più grande, Antonello, aveva otto anni più di lei, studiava ingegneria e guadagnava qualcosa lavorando in un'officina vicino casa, mentre la sorella di mezzo, Patrizia, era del '60, aveva finito quell'estate la maturità ed era ancora indecisa su cosa fare all'università.

Gaia frequentava lo stesso liceo classico dei fratelli e stava per iniziare il terzo anno.
Andava a scuola con la sua migliore amica Luisa, e in generale si trovava molto bene con la sua classe, eppure quelle ultime settimane di libertà le passava con due ragazzi poco più gradi di lei e che conosceva da ben prima di iniziare le superiori.
Simone e Giorgio, entrambi diciottenni, dovevano cominciare la quinta scientifico ed erano amici di Gaia da una vita, da quando erano bambini e a Giugno, appena finite le scuole, andavano a passare il tempo a Loano, un altro paesino della Liguria.

Se non si fossero conosciuti lì non l'avrebbero mai fatto, più crescevano più se ne rendevano conto.
Non sarebbe stato importante quanti anni avrebbero potuto vivere a Genova, avevano vite troppo diverse perché si potessero incrociare in una città così grande.
Giorgio era figlio unico di due operai, persone per bene ma che convivevano con troppe difficoltà, tanto che per il ragazzo era stata una lotta iscriversi al liceo e un'altra lotta sarebbe iniziata di lì a poco per poter fare l'università.
Tutto il contrario era l'ambiente sociale da cui proveniva Simone, il cui padre attore molto famoso a Genova e abbastanza noto anche nel resto del paese, costretto da questa parentela a non essere mai sé stesso ma solo il figlio di. Si sentiva tremendamente schiacciato da quel fatto, vittima di qualcosa che non voleva ma che non poteva cambiare.
Aveva deciso da tempo che, finito il liceo, si sarebbe iscritto a medicina, impegnandosi al massimo per poter diventare un grande medico. Pensava che, a quel punto, la gente lo avrebbe riconosciuto per quello che era, per la sua professione, per il suo ruolo, non più semplicemente per il cognome che portava e che, da tempo ormai, iniziava ad essere quasi pesante.
In fine c'era Gaia, che se fosse nata in un altro posto, in un'altra epoca, sarebbe stata la quintessenza della normalità. Ma era nata a Genova nel periodo sbagliato, e anche se aveva una famiglia che l'amava aveva un padre magistrato e una paura che le corrodeva il cuore.

Suo padre, Alfio, aveva imposto alla famiglia che non si guardasse la televisione a cena, quando la Rai trasmetteva il telegiornale.
Non voleva che i suo figli, soprattutto la più piccola, sentissero ogni sera dei morti fatti dalla follia di qualcuno.
Ma era impossibile non accorgersene; i giornali, la gente in strada, i funerali che a Genova erano continui.
Gaia vedeva, sentiva, sapeva.
Sapeva che c'erano ragazzi e ragazze della sua età, che potevano essere suoi amici, che si alzavano un giorno e la sera stessa si mettevano a letto senza avere più un pezzo della loro famiglia.
Sentiva Vespa al telegiornale, quando lo guardava, dire che la gente moriva tutti i giorni, uccisa. E leggeva rapida gli articoli di persone importanti, come Montanelli o Scalfari, che dicevano quelle stesse cose.
Sperava, Gaia, sperava che un giorno smettessero, sperava che un giorno tutto quello finisse.
Guardava suo padre, ogni tanto.
Lo guardava fumare seduto al tavolo del salone mentre risistemava alcune carte di lavoro, e in quei momenti pensava alle parole di quelli come Vespa, Montanelli o Scalfari. Diceva a se stessa che un giorno avrebbero davvero smesso di parlare e scrivere di morte.
Ma poi, per un attimo, il tempo di una lacrima, si domandava se, invece, un giorno non avrebbero fatto anche il nome di suo padre lì, davanti a milioni di italiani che guardavano o leggevano inermi di una follia assurda.
Impotenti davanti al dolore, al sangue, alla morte.
Poi correva ad abbracciarlo, inventando una scusa.
Perché sapeva gli sforzi che faceva Alfio per tenerla lontana da quel mondo terribile, e non voleva fargli vedere che tanto era inutile, che i brutti pensieri li aveva comunque.
Per come era fatta lei, poi, che preferiva tenersi dentro le cose brutte e tirare fuori solo quelle belle, era anche difficile parlarne con gli amici.
Con la famiglia, ovviamente, evitava di fare quei discorsi, ma una volta, tempo prima, quando una sera suo padre non era tornato per cena e avevano guardato la televisione, ad Antonello quei pensieri li aveva detti.
- Ma tu quando senti queste notizie a papà non pensi mai?-
- Sì, ma so che non succederà mai nulla. -Gli aveva risposto lui mentre si trovavano seduti in balcone a prendere un po' di fresco.
- Io lo spero. Però la paura rimane.-
- La paura è fisiologica, Gaia, e non solo in questi casi. Io preferisco non pensarci, saprei che vivrei male con tutta questa paura addosso. Fisiologica sì, ma non deve rovinarci la vita, la paura.-
- Io a volte ci penso solo perché se accadesse vorrei essere preparata.-
Antonello non aveva risposto alla sorella, l'aveva solo abbracciata.
Se le avesse risposto la sua verità, ovvero che tanto per quanto agli eventi peggiori ci si pensi non si arriva mai, ma proprio mai, preparati, sarebbe stato anche peggio.
Preferiva non dirle nulla, né cose belle né cose brutte, ma stringersela vicino come se fosse ancora una bambina e farle capire che lui c'era e ci sarebbe stato.
Neanche Simone e Giorgio sapevano dei pensieri che spesso intristivano l'anima dell'amica.
Con loro il rapporto era molto simile a quello che aveva con il fratello maggiore, tanto che se mai si fosse innamorata di uno dei due si sarebbe certamente sentita sporca, impura, perché per lei sarebbe stato quasi un amore incestuoso.
E i ragazzi anche non riuscivano a vedere Gaia come una possibile fidanzata, troppo attenti a tenersela stretta come una sorella più piccola, da crescere, da proteggere.
Ma come potevano proteggerla dai mostri che aveva dentro? Da quella paura che non esplicitava, che nascondeva come un peccato.
In quegli anni se ne erano accorti, Simone e Giorgio, avevano capito che qualcosa in Gaia distruggeva la sua serenità e avevano anche intuito di cosa si trattasse.

Ma lei non parlava e loro non la volevano costringere.
Anche perché, quando erano da soli e il discorso cadeva su Gaia e le sue possibili paure, si rendevano conto di come fossero del tutto impotenti a riguardo.
Certo, potevano tranquillizzarla, parlarle, dirle di non temere, ma a livello pratico non c'era nessun gesto, nessuna azione che loro potessero fare per mandare via la paura dell'amica.
E allora, per quanto doloroso fosse, si limitavano a guardarla mentre fingeva di star bene e aver la mente libera da ogni pensiero triste.
Lo facevano anche quel giorno, un bel pomeriggio di inizio settembre.
Avevano mangiato insieme in un piccolo bar non molto lontano dal lungomare e, mentre uscivano da lì, Gaia aveva detto loro che la giornata insieme sarebbe terminata presto perché alle tre e mezza si sarebbe dovuta trovare a piazza Crispi per incontrarsi col padre.
- Devo andare a cercare i libri per la scuola e poi lui deve tornare a lavoro.-
Aveva spiegato.
- Però che palle! Tutti gli anni, a inizio settembre, è la stessa storia; gli unici giorni in cui possiamo stare insieme senza troppe restrizioni tu devi sparire!-
Aveva esclamato Simone.
- E domani sarà ancora peggio perché mio padre lo vedrò a casa, quindi dovrò prendere l'autobus alle tre. Ma se volete posso venire qua la mattina verso le nove, così stiamo insieme. Se vi svegliate, ovviamente.-
- Gaia non vorrei apparirti scortese, ma quella incapace di alzarsi prima delle undici e mezza qui sei te!- Le disse ridendo Giorgio.
La ragazza gli aveva mostrato la lingua e poi era andata a sedersi su un muretto di quelli che stavano qualche metro sopra alla spiaggia.

Gli altri due l'avevano poi raggiunta e lei si era messa a raccontargli di un ragazzo conosciuto al mare in Toscana, a Porto Santo Stefano.
- Cosa cosa? Gaia conosce un ragazzo e noi lo sappiamo solo due settimane dopo il suo rientro a Genova!? - Aveva detto Simone. E l'altro gli aveva fatto eco a modo suo. - Marchi male, signorina. Malissimo.-
Gaia aveva sbuffato e poi aveva replicato. - Guardate che ci sono due uomini nella mia vita che devono sapere dei miei amori, è vero, ma mica siete voi!-
- Fammi indovinare...- Era stato il commento di Giorgio. - Saranno mica tuo padre e tuo fratello?-
Avevano riso tutti e tre, poi lei aveva raccontato per bene ai due di quello che era successo al mare.
- In realtà non è accaduto niente di che, neanche un bacio. Ma stavo bene insieme a lui. È Pisano, si chiama Andrea. Da quando sono tornata mi ha anche telefonato un paio di volte. Insomma, non mi ha dimenticata.-
Simone e Giorgio avevano chiesto i dettagli di quell'amicizia, se si poteva chiamare così, e soprattutto avevano fatto all'amica un interrogatorio vero e proprio sul ragazzo.
Alla fine, mentre andavano verso la piazza perché, loro malgrado, si erano accorti che il tempo da passare insieme stava per loro finendo, avevano detto che sì, forse, poteva essere un buon partito per la ragazza. - Ma prima dobbiamo conoscerlo per bene!- Aveva detto fingendosi serio Giorgio mentre lei entrava nella macchina del padre.
I due ragazzi avevano salutato con un cenno del capo il magistrato e poi lui aveva messo in moto.
- Chi è che devono conoscere per bene Simone e Giorgio?- Aveva chiesto alla figlia mentre guidava verso il centro.
- Oh, parlavamo di Andrea. Il ragazzo di Pisa, papà, ti ricordi?-
- Certamente. Fammi capire, sei arrivata a quell'età in cui gli amici maschi più che amici sono padri?- Aveva riso Alfio.
- Fratelli, papà, fratelli. Di padre ne ho solo uno e mi basta.- Aveva risposto lei baciandolo sulla guancia.

****


L'officina in cui lavorava Antonello era di strada al padre dalla procura a casa, così quando Alfio usciva dal lavoro andava a prendere il figlio e assieme ritornavano dalle tre donne della loro vita.
Quella sera di settembre era andata proprio come tutte le sere, i due uomini erano rincasati insieme e avevano trovato Beatrice, la madre, in cucina assieme alle due figlie.
- Ma ancora non si apparecchia qui?- Aveva detto fingendo una voce burbera.
Gaia e Patrizia avevano riso, perché malgrado tutti gli sforzi che faceva per sembrare un uomo severo Alfio era totalmente incapace di arrabbiarsi con i suoi cari.
- Abbiamo apparecchiato in balcone, papà. È una così bella serata.- Aveva detto la secondogenita mentre il resto della famiglia si avviava già verso la tavola.
Dal balcone di casa loro, bello spazioso, si vedeva bene tutta Genova e in particolare il mare.
Era iniziato settembre, era vero, ma ancora quella sera riuscirono a godersi il tramonto sul porto e sulle spiagge della città ligure.
- Sai che tua sorella minore ha due nuovi fratelli maggiori?- Aveva detto mentre mangiavano Alfio al figlio più grande.
- Fammi indovinare... Si chiamano Simone e Giorgio! Ci ho preso, vero?-
Gaia aveva fatto una smorfia al padre e poi, prima che lo facesse lui, aveva raccontato quello che era successo nel pomeriggio.
Poi aveva detto che il giorno seguente si sarebbe alzata presto per andare dagli amici a Quarto e il padre le aveva proposto di accompagnarla.
- Tanto non ho molto da fare in procura domani, per una volta posso anche permettermi di entrare dopo e uscire prima.-
La ragazza lo aveva ringraziato e baciato alzandosi da tavola.
- Scappo che chiamo i ragazzi e poi Luisa!-
- Da quanto non la senti? - Aveva riso la sorella maggiore. - Due ore?-
- Oh ma stasera ce l'avete tutti con me?- Aveva chiesto Gaia alludendo alle scherzose prese in giro che durante la cena le aveva fatto la famiglia.

Poi, mentre gli altri ancora ridevano e mangiavano, era corsa al telefono e lo aveva occupato praticamente fino all'ora di dormire.
Prima di coricarsi aveva salutato per bene la madre e la sorella, dando solo una lieve buonanotte ai due uomini di casa perché sapeva che li avrebbe rivisti la mattina dopo appena sveglia.
E infatti, poco prima delle otto, Antonello l'aveva svegliata scuotendola dolcemente come solo un fratello maggiore sa fare, mentre Alfio in cucina già preparava la colazione.

Il ragazzo uscì di casa prima degli altri, doveva andare in facoltà prima che in officina e non aveva molto tempo da perdere.
Il padre e la figlia più piccola, invece, riuscirono a salutare Beatrice ma, ovviamente, non Patrizia, che in quanto a dormite estive batteva con molta abilità la sorella.
A piazza Crispi Simone e Giorgio salutarono cortesemente l'uomo che alle loro parole adulte sorrise ripensando a quando erano bambini e lo chiamavano zio nelle lunghe giornate al mare.
- Trattatemela bene, è l'unica che ho ancora piccola.- Aveva detto prima di andarsene riferendosi a Gaia.
I tre erano andati a fare colazione e poi in spiaggia.
Si stava bene a Genova quel giorno di inizio settembre.
Venerdì 7 settembre.
07/09/79 aveva riso la ragazza dicendo agli altri che giorno fosse.
Avevano fatto il bagno e preso il sole, parlando della scuola che stava per iniziare, del compleanno di Gaia a cui mancava poco più di un mese, del futuro fuori dal liceo che attendeva i due ragazzi a meno di un anno da lì.
Poi le era stato ancora domandato di Andrea e lei aveva risposto a tono chiedendo perché mai loro due non si fidanzassero né parlassero di ragazze.
- Che domande! È perché ci amiamo tra di noi.- Aveva detto Giorgio abbracciando l'amico.
Era una bella giornata, a Genova, quel 7 settembre 1979.
- Le vacanze estive durano sempre troppo poco. Mi sembra ieri il primo bagno in mare a giugno!- Aveva sospirato Gaia mentre giocavano a carte sotto il caldo sole delle undici e mezza.
- Si vede proprio che sei ancora piccola, Gaietta. A me pare ieri che giocavamo tutti insieme in spiaggia a Loano, ai bei tempi della scuola elementare. Possibile che siano già passati dieci anni?!- Aveva retoricamente domandato Giorgio.
- Non chiamarmi Gaietta! Lo sai che mi dà fastidio! E poi non sono piccola, sono solo meno nostalgica di voi. -
- Già, in questo non hai di sicuro preso da tuo padre però.- Aveva fatto notare Simone mentre rimescolava il mazzo. - Oggi, quando ti ha accompagnata, ci ha guardati in un modo strano. O era terribilmente stanco o era terribilmente stupito nel vederci così grandi.-
- Credo la seconda. In fondo per papà siete sempre stati se non dei figli dei nipoti. Anzi, non so se vi ricordate ma qualche anno fa lo chiamavate zio.-
- Come no!- Era stata la risposta di Giorgio. - Ma poi sono cresciuto e ho iniziato a vergognarmene, non so il motivo.-
La ragazza non aveva più parlato.
Era arrivata sopra alla spiaggia una nuvola molto scura e per un attimo aveva fatto fresco.
Gaia aveva approfittato di quel momento per lasciar perdere la partita a carte e sdraiarsi sull'asciugamano in attesa che il sole tornasse.
Si era messa a pensare a quelle estati a Loano e alla loro amicizia particolare, quella di tre persone così diverse.
Era vero che i due ragazzi, malgrado la provenienza sociale e familiare totalmente differente, frequentavano il liceo insieme, ma lo avevano deciso dopo, quando ormai erano amici da tanto.
- Ragazzi mi svegliate all'ora di pranzo? Ho sonno!- Aveva detto poi girandosi a pancia sotto e facendo il possibile per addormentarsi.
Loro avevano riso. Lo sapevano benissimo che alzarsi la mattina presto nel periodo di vacanza era per lei impossibile, e così già dalla sera prima avevano immaginato che la mattinata al mare si sarebbe conclusa in quel modo.
La nuvola scura se n'era andata in fretta, lasciando tanto sulla pelle dell'addormentata quanto su quella dei due svegli un brivido che era subito dopo divenuto caldo.
Verso il mezzogiorno, piano piano, la spiaggia si era svuotata e le urla dei bambini, assieme ai loro giochi e ai loro schiamazzi, avevano lasciato spazio al rumore delle onde, dei gabbiani e di qualche macchina che passava sulla strada sopra il lungo mare.
Alla fine Gaia si era addormenta davvero e, quando i due l'aveva accertato, si erano messi di nuovo a parlare di Andrea, forse perché la notizia dell'innamoramento, o presunto tale, dell'amica era per loro così inaspettata che dovevano ragionarci sopra a lungo.
- Non che io abbia nulla in contrario, anzi, ma fa veramente strano vederla invaghita di qualcuno.-
- Sì, Simo, e menomale che non si tratta di uno di noi due perché in quel caso sarebbe stato un guaio veramente grosso.- Aveva scherzato Giorgio. Ma dopo poco era tornato a farsi serio, ammirando l'amica riposare. - Dopo tutto è così bella, prima o poi sapevamo che sarebbe accaduto. O magari è successo anche altre volte e non ci ha mai detto nulla, le ragazze a volte sono così. Di sicuro lo sa Luisa.- Aveva detto riferendosi alla migliore amica di Gaia. - Ma penso che riguardo agli amori della nostra comune amica sia più muta di una tomba.-
Simone aveva annuito e aveva guardato il mare con lo sguardo di chi cerca qualcosa, lì fuori. - Sì. Anche Marta, ti ricordi? La ragazza con cui sono stato all'inizio delle superiori. Anche lei ce ne mise di tempo prima di confessarmi che fosse innamorata.-
- Vabbeh ma è diverso! Pure io, malgrado sia maschio, in certi casi non confesserei mai un amore alla diretta interessata. No, no, io ti parlo di un'amica. Una ragazza può essere amica di un ragazzo ma non avrà mai lo stesso rapporto che ha con altre femmine.- Giorgio cercò di spiegarsi meglio e l'amico capì cosa intendesse.
- Comunque se ci pensi Gaia è davvero tornata a Genova da pochissimo, quindi non vedo motivo di credere che non volesse dirci qualcosa, ha solo aspettato il momento giusto. Probabilmente il problema è davvero nostro, nella nostra idea che lei sia ancora piccola quando invece tra poco compirà sedici anni. Siamo proprio come suo padre, Simo!- Aveva riso il ragazzo prima di sdraiarsi anche lui a prendere il sole.
Avevano svegliato poi l'amica appena prima dell'una ed erano andati a mangiare qualcosa al bar della spiaggia, dove si stava freschi e il gestore, loro amico, gli permetteva di passare le ore più calde sotto la veranda anche se il pranzo era finito da un pezzo.
Avevano giocato a carte fino alle due e mezza passate, con Gaia che faceva il possibile per stare verso il sole e asciugarsi completamente prima di andare a prendere l'autobus per casa.
E fortunatamente ci era riuscita, eccezione fatta per i lunghi e folti capelli.
I capelli di Gaia erano neri, scurissimi, tipicamente mediterranei.
Sua madre era nata in Sicilia e a Genova c'era arrivata per motivi che neanche più ricordava appena dopo la fine della guerra, senza la certezza né il desiderio di restarci per sempre.
Ma poi, per caso, un giorno aveva incontrato un giovanotto che studiava per diventare magistrato e ne era rimasta affascinata, tanto da dimenticarsi anche i limoni e le arance di Sicilia che tutti i giorni le mancavano.
Si erano sposati ed era arrivato Antonello, il primo figlio, poi le due bambine e alla fine la sua patria non era rimasto che un posto dove andare in vacanza per rifugiarsi nei ricordi.
Non sarebbe mai riuscita a vivere nuovamente in un paese piccolo come quello in cui era cresciuta, ma alla fine le andava bene così. Si era innamorata di Genova, di Alfio, dei suoi figli. Stava bene lì.
Solo i capelli nerissimi di Gaia, quei capelli che in quel pomeriggio di settembre tardavano ad asciugarsi, ogni tanto le mettevano un po' di nostalgia, forse perché la ragazza più piccola era l'unica ad avere quei marcati lineamenti del sud che spesso a Beatrice mancava vedere per strada nei volti di tutti.
- Il prossimo anno potresti farti un taglio tattico corto come il nostro prima dell'estate, così non avrai problemi per far asciugare i capelli al mare.- L'aveva presa in giro Simone mentre l'accompagnavano a Piazza Crispi.
- Sai tornare a casa da sola, vero? O hai bisogno che ti conti le fermate?- Era stato il sarcastico commento dell'altro amico.
La ragazza aveva sbuffato e aveva preso il libro che teneva nella borsa del mare per iniziare a leggere e far capire agli altri che le loro simpaticissime battute non la toccavano minimamente.
Si salutarono rapidi quando arrivò l'autobus, e lei li vide avviarsi di nuovo verso il mare come molto le sarebbe piaciuto fare ancora.
Ma pazienza, si trattava solo di un pomeriggio, anche se uno degli ultimi di vacanza.
Scese alla fermata giusta senza bisogno di contarle e si avviò calma verso casa sua, con il libro sotto il braccio perché l'aveva letto durante l'intero viaggio.
Aprì con uno scatto rapido la serratura dell'appartamento e fece la cosa più naturale del mondo.
- Papà?- Iniziò a chiamare.
- Papà sei già arrivato? Mamma? Patrizia? C'è qualcuno in casa?-
Niente, la casa era immersa nel più assoluto silenzio.
Si stupì di quella situazione alquanto irreale e cominciò a temere.
Provò a distrarsi andando a stendere l'asciugamano e le altre cose utilizzate quel giorno al mare ma non appena entrata in bagno il silenzio fu interrotto da uno squillo del telefono.
Corse a rispondere subito e con sua grande sorpresa non trovò nessuno dall'altra parte del filo.
Lasciò perdere e tornò al suo lavoro quando ecco che un alto squillo la disturbò.
E di nuovo nessuno rispose.
La paura tornò a farsi forte.
Pochi attimi dopo la fine della seconda telefonata sentì la porta aprirsi di scatto.
Sperò con tutto il suo cuore di figlia che fosse il padre che stava rientrando come avevano programmato, ma davanti a lei si parò il fratello maggiore con una faccia che non prometteva buone notizie.
- Gaia...! sei qui per fortuna. Vieni, dobbiamo andare. Non... non fare domande...-
La ragazza non capì assolutamente nulla di ciò che stava accadendo ma fece ciò che le disse Antonello e uscì di casa, seguendolo in macchina e non chiedendogli nulla, forse anche troppo spaventata per parlare.
Il viaggio in automobile fu assurdo, silenzioso come la casa che avevano appena lasciato, strano, pesante.
Il fratello guidò come un matto, in un modo totalmente imprudente, facendo una strada che lei non comprese fino a che non riconobbe davanti a lei l'ospedale San Martino.
Scesero dal veicolo e lui la fermò guardandola negli occhi facendole capire che il momento della verità era arrivato.
- Gaia ascoltami... cerca di ascoltarmi bene perché non è per niente facile...-
- Cosa succede Anto? Perché siamo qui? Perché papà non mi è venuto a prendere a casa?-
- Papà... Gaia oggi quando papà è uscito dalla procura è successo un fatto che...- Si fermò, incapace di continuare.
Ma lei aveva capito subito, appena Antonello aveva fatto riferimento alla procura.
Perché sapeva cosa succedeva, Gaia, anche se a casa non si vedeva il telegiornale.
- Hanno sparato a papà, è vero?-
Aveva parlato in lacrime e poi aveva abbracciato suo fratello, sapendo benissimo di aver detto le uniche parole che a lui, tanto grande e forte, non sarebbero mai uscite.
Lo prese per mano e si fece condurre da lui lungo i corridoi dell'ospedale.
Le aveva detto che lo stavano operando e mentre seguiva il fratello Gaia provò a fare il possibile per imparare a memoria la strada, cercando di convincersi che le sarebbe servita per andare a trovare il padre quando, una volta salvato durante l'intervento, sarebbe rimasto qualche giorno in ospedale.
Ma quel pensiero era per lei troppo felice, in quel momento, e le facce spaventate e tristi della madre e della sorella davanti alla sala operatoria le fecero capire che di felice quel giorno c'era ben poco.
Cercò rifugio tra le braccia di Beatrice, senza dire una parola, senza cercare di dare o ricevere conforto.
Aspettarono a lungo.
Poi un medico uscì con un volto funebre e ogni pensiero positivo finì in quel momento.
Lo straziante urlo della madre e della figlia più grande spiegarono anche a chi non sapeva nulla cosa fosse appena accaduto, mentre Antonello tentava di rimanere lucido e fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Gaia, invece, era rimasta in piedi davanti alla seggiola su cui era stata seduta fino all'uscita del chirurgo.
In piedi, ferma, immobile, con gli occhi bagnati ma incapaci di piangere.

Senza emozioni, senza voce per urlare o disperarsi.
Ferma come il cuore di suo padre, come la vita che aveva vissuto fino a quel giorno.
Ferma alle quattro di un pomeriggio di settembre, il O7/O9/79, una data che faceva sorridere, fino a quella mattina.
Una bella mattina di sole, a Genova.

****


Simone e Giorgio avevano lasciato la spiaggia alle quattro e mezza, ignari di quanto fosse accaduto nel frattempo.
Avevano deciso di andare a casa del secondo e poi decidere se fare qualcosa in serata o stare calmi senza uscire.
Anche loro, come Gaia, per tornare a casa avevano preso un autobus a piazza Crispi e fatto un pezzo a piedi, una salita di quelle di cui Genova era piena.
Appena prima di arrivare a casa di Giorgio, mentre ancora ridevano e scherzavano per i fatti loro senza poter neanche immaginare cosa fosse accaduto, riconobbero davanti al portone della casa due figure di donna che, avvicinandosi, riuscirono a distinguere per bene. Erano le loro madri.
Non si capacitarono di quella visione, perché la madre di Simone di solito a quell'ora era a casa e quella di Giorgio doveva essere a lavoro.

Senza neanche parlarsi iniziarono a correre verso di loro, come se entrambi avessero compreso che se erano lì doveva essere accaduto qualcosa di serio.
- Mamma, signora... cosa ci fate qui?- Chiese Giorgio appena fu davanti alle donne.
- Finalmente siete arrivati! Venite, presto, saliamo!- Aveva risposto solamente la padrona di casa, aumentando l'ansia di chi le si trovava intorno.
Appena saliti chiese al figlio di fare una caraffa d'acqua e si misero tutti in cucina a sedere in silenzio al tavolo dove Giorgio e la sua famiglia erano soliti pranzare e cenare.
- Mamma volete dirci cosa c'è? È successo qualcosa a papà?-
- Non al tuo, Giorgio.-
Un brivido scosse la schiena di Simone, che con gli occhi tristi si rivolese alla madre. - Al mio? È successo qualcosa a mio padre?- Ma anche lei fece con la test segno di no.
I due ragazzi non capirono, si guardarono stupiti cercando di comprendere al padre di
chi potesse essere accaduto qualcosa di tanto grave da dover essere avvisati da entrambe le donne nell'aria così triste che aleggiava in quella cucina scaldata dal sole che, incurante di qualsiasi avvenimento, continuava a entrare dalla porta-finestra aperta che dava sul balcone.
Non riuscivano a visualizzare nessuno, in quel momento. Compagni di classe, amici comuni, non c'era nessuno che gli veniva in mente.
Poi, insieme, inaspettatamente, ebbero un'idea e i loro occhi la comunicarono ben prima delle loro voci.
- Si tratta del papà di Gaia? È successo qualcosa ad Alfio? Hanno avuto un incidente in macchina? Dovevano vedersi a casa e poi...- Giorgio finì di parlare e iniziò ad ansimare come se fosse appena stato troppo in apnea.
La madre di Simone scoppiò in lacrime e il figlio andò da lei, mentre l'altra, che era un'operaia e oltre che le ossa si era fatto forte anche l'animo, deglutì e raccontò. - Gaia e suo padre non si sono mai visti a casa, figlio mio. Hanno sparato al signor Alfio questo pomeriggio appena è uscito dalla procura.-
I singhiozzi della madre di Simone si fecero più forti, e un urlò uscì dalle bocche dei ragazzi che provarono ad articolare quello che pareva un no.
Simone fu il primo a calmarsi, chiedendo senza ottenere risposta come stesse l'uomo.
Ancora increduli tutti quanti tentarono di calmarsi in qualche modo, di trovare le risposte a tutte le domande che gli venivano in testa in quei momenti.
Giorgio aveva guardato di nuovo la madre. - Ma si sa chi è stato?-
– Quelli che sparano in strada, Giò. Quelli che sparano in strada.-
La risposta era chiara, si parlava di terroristi, forse gli unici che potevano desiderare morta una persona come Alfio Olivietti, pubblico ministero di Genova e padre amorevole di tre figli ormai grandi ma che ancora avevano bisogno di lui.
Silenzio. Solo silenzio.
L'unico rumore che si sentì per parecchio tempo fu lo scrosciare dell'acqua dal rubinetto perché dovettero riempire la caraffa più di una volta, assetati per via del caldo e dell'agitazione.
Il pensiero dei due ragazzi era fisso sull'amica, sul suo volto sorridente mentre li salutava dall'autobus, sullo sguardo pieno d'amore che aveva avuto quella mattinata mentre parlava di suo padre, sul bacio rapido che aveva lasciato sulla guancia dell'uomo quando si erano salutati forse per l'ultima volta.
Simone provò qualcosa di strano nel pensare che, probabilmente, loro e Gaia erano state le ultime persone care al magistrato che lui aveva visto.
Il padre di Giorgio rientrò in casa ben prima del solito, non erano ancora le sei.
In mano teneva il suo cappello e i suoi occhi erano piccoli, rossastri.
- Il procuratore Olivietti non è sopravvissuto.- Disse semplicemente.
E aveva scelto di proposito quella dicitura così formale, quasi da quotidiano, per tentare il possibile di staccarsi dall'idea che fosse morto un uomo con cui aveva condiviso giornate in spiaggia, che aveva pagato il gelato a suo figlio, che l'aveva aiutato nei momenti in cui si erano trovati in difficoltà economiche e non sole.
Il silenzio fu rotto dal pianto, in quella cucina di Genova, lo stesso che si stava consumando a casa di Gaia, quel giorno in cui alle sette e mezza non sarebbe rientrato nessuno.
Perché, proprio come da Giorgio, quel giorno di lavoro, quel venerdì di inizio settembre, erano già tutti a casa molto prima del solito.
Anche se le sedie occupate nella cucina degli Olivietti erano ormai solo quattro.


****


Al funerale non aveva parlato solo la famiglia, in un giorno ancora caldo nella piazza centrale del loro quartiere.
Dovevano iniziare le scuole, quella mattina, ma il sindaco aveva rimandato l'apertura e proclamato il lutto cittadino.
La vedova era stata accompagnata per braccio dai due figli più grandi, quelli che per primi avevano fatto un discorso davanti a tutti per ricordare il padre, senza fare accenno neanche una volta a chi aveva compiuto quel gesto terribile.
Ne avevano parlato altri, di quell'ennesimo omicidio, e non solo durante la cerimonia di addio ad Alfio Olivietti, ma non era importante.
Non lo era e non lo sarebbe stato neanche se un giorno si fossero trovati gli assassini, perché tanto neanche quello avrebbe ridato l'uomo alla famiglia.
Così pensava Gaia, che da tre giorni prima non aveva più detto nulla.

Né alla famiglia, né con gli amici, Gaia non aveva proferito parola neanche una volta.
Si era rintanata in camera sua e aveva pianto, tanto, ma in silenzio, di notte, impedendo a tutti di vederla in lacrime.
E non piangeva neanche mentre il prete pronunciava le parole che la Chiesa Cattolica aveva deciso, chissà quanti secoli prima, fossero quelle giuste per accompagnare qualcuno nel suo ultimo viaggio.
La sua vita si era come fermata nel terribile momento in cui in ospedale aveva capito il padre fosse morto.
Tra le urla di sua madre e sua sorella lei era rimasta muta, immobile, come impassibile.
Forse – pensavano alcuni – si era trattato di una forma di shock, ma lei che lo viveva in prima persona sapeva che era altro.
Giorgio, Simone, Luisa e tutti i suoi amici erano passati da lei, l'avevano abbracciata, le avevano detto parole di conforto e di circostanza a cui però non era riuscita a rispondere.
Non comprendeva neanche se a non uscirle fossero le parole o proprio la vita, ma fatto stava che da tre giorni non si sentiva in casa la sua voce.
Di Patrizia, invece, si era sentita ogni emozione; dolore, rabbia, incapacità di rassegnazione.

Piangeva, urlava, si disperava.
Cercava di stare fuori di casa il più possibile per provare a distrarre i pensieri, andava sul lungomare e scavava nella sua memoria alla ricerca di qualcosa di bello, ma in quei momenti non riusciva neanche a ricordare la voce di suo padre.
Si era pentita terribilmente di non essersi svegliata prima quel giorno, di non averlo salutato. Si domandava se almeno la loro buonanotte la sera prima fosse stata degna di un addio, ma neanche quello le veniva in mente con certezza.
Erano passati lenti, quei tre giorni, lenti come mai era accaduto nella loro vita.

Antonello era stato il primo a provar a continuare la sua vita, ad alzarsi il sabato mattina con la consapevolezza di essere diventato orfano ma anche con la voglia di non deludere quel padre che per ventiquattro anni gli aveva insegnato l'importanza di vivere ogni attimo.

Sarebbe tornato a lavorare il giorno dopo, facendosi cambiare gli orari e provando a rincasare prima per non illudere nessuno nel far girare la chiave nella toppa alle sette e mezza, ma sarebbe tornato subito a lavorare.
Perché era diventato l'uomo di casa, lui, e doveva proteggere le tre donne, tutto ciò che di quella famiglia felice era rimasto, da ogni male.
Non poteva però difenderle da loro stesse, dalle lacrime e dal dolore che provavano, ma di certo difenderle dalla fame, dalla sensazione di non poter più avere una vita normale era un primo passo.
Dopo la cerimonia, vissuta in maniera così pubblica, la famiglia sola, come da sua richiesta, accompagnò il feretro dell'uomo verso la sepoltura nello stesso cimitero in cui già riposavano i suoi genitori.
Fu davanti alla lapide che Gaia pianse per la prima volta senza essere sola. Davanti al nome di suo padre, a quel cognome che era e sarebbe rimasto per tutta la vita il suo, davanti alla data di nascita, quella di quei compleanni che non avrebbero mai più festeggiato, e alla data di morte, quel giorno che avrebbe odiato per tutta la sua vita.
Beatrice non ci pensò due volte e abbracciò sua figlia, tenendosi il suo volto stretto al petto come quando era una neonata e stava tutta tra le sue braccia.
Istintivamente, in quel momento, Antonello sentì il bisogno di fare come sua madre e strinse a sé Patrizia, come se dovesse per forza proteggere qualcuno pur di mostrarsi forte.
La figlia più piccola si staccò dalla donna dopo un numero di minuti imprecisati, e continuando a non dire nulla appoggiò una mano sulla piccola foto che ritraeva suo padre.
L'accarezzò dolcemente, ripercorrendo col dito i lineamenti che conosceva a memoria, notando solo in quell'attimo come davvero loro tre figli avessero preso dal suo volto qualcosa; Antonello gli occhi, Patrizia la fronte alta che si divertiva sempre a definire simbolo di intelligenza e lei le labbra piccole e tutt'altro che carnose.
Fu proprio nello sfiorare la piccola bocca del padre, quella da cui aveva tante volte ascoltato parole gentili e d'amore, che parlò per la prima volta, muovendo la sua nello stesso modo dell'uomo.
- Papà...- Sussurrò leggera.
Chissà quando di nuovo avrebbe avuto la forza di dire quella parola.


****



- Domani torno a scuola. - Aveva detto la ragazzina a cena due sere dopo il funerale.
- Sei sicura? Forse è presto...- Le aveva risposto la madre, convinta che Gaia avesse ancora bisogno di riprendersi.
- A parte che se mi vedesse lui mi ucciderebbe penso di aver bisogno di tornare ad una vita normale, stare a casa è anche peggio.-
Lo chiama Lui.
Da quando accarezzando la sua lapide l'aveva chiamato l'ultima volta papà non era stata più in grado di ripetere quelle quattro lettere.
Era capace di dire “mio padre”, ma la parola papà era divenuta un tabù, un simbolo di qualcosa che non sarebbe tornato mai, come la felicità.
Ma forse riprendere una vita normale era d'obbligo, in quel momento.
Come Antonello che aveva ripreso a lavorare già il giorno prima, cercando di impiegare tutti i suoi pensieri e tutti i suoi sentimenti in quello che doveva fare, decidendo che starsene fermo con le mani in mano non aveva senso.
Beatrice aveva ripulito due volte la casa, da quando era rimasta vedova, tentando di dimenticare che in ogni angolo dell'appartamento viveva un ricordo di Alfio che non avrebbe mai più vissuto.
Si impegnava al meglio per non apparecchiare per cinque, per imparare che erano quattro e quattro sarebbero rimasti per sempre.
In quegli anni aveva fatto la casalinga, la madre e la moglie, ma quando i bambini erano diventati ragazzi aveva cominciato a dare una mano alle persone del suo quartiere, senza mai chiedere nulla in cambio.
Eppure spesso, nella buca delle lettere, trovavano buste indirizzate a lei senza indirizzo né francobollo, firmate con nomi o iniziali e contenenti poche lire a ringraziamento di questo o quel servizio.
Fino a una settimana prima quei soldi erano un pensiero gentile ma non troppo necessario, perché con lo stipendio del marito andavano avanti bene.
In quel momento, invece, Beatrice realizzò che avrebbe avuto bisogno di uno stipendio fisso per andare avanti, per far studiare i suoi figli, per donare loro una vita normale.
L'avrebbe fatto, appena possibile, appena il suo pensiero principale non fosse stato il loro animo avrebbe fatto qualcosa per tutto il resto.
Patrizia era l'unica a non parlare del futuro, in quella casa.
Aveva pianto a lungo e ancora lo faceva, non riusciva a capacitarsi dell'accaduto e non voleva riprendere una vita che, a suo dire, non sarebbe mai più stata normale.
Quando sua sorella aveva annunciato il ritorno a scuola era rimasta basita, perché non si aspettava che Gaia, la figlia più piccola, l'amore del padre, trovasse subito quella forza.
Ma forse la piccola era così obbligata a essere forte, in quei giorni, da quel momento in poi, che dentro di sé quella forza aveva dovuto trovarla o almeno inventarla.
Ne avevano parlato quella sera, prima di dormire, e Patrizia aveva dichiarato apertamente che sperava gli assassini di suo padre facessero la stessa fine, che prima o poi qualcuno li ammazzasse come fossero animali, perché per quelle maledette belve, pazzi furiosi convinti che un magistrato potesse essere colpevole di chissà cosa, non si meritavano neanche la galera, istituzione troppo umana per certa gente che umana non era.
Gaia aveva sussurrato un sì e poi le aveva dato la buonanotte.
Anche lei non capiva sua sorella, non capiva come fosse capace di odiare.
L'odio era un sentimento, c'era bisogno di pensiero per produrlo, e lei non era capace, in quel giorni, di pensare.
Le aveva telefonato più volte Andrea, in quei giorni assurdi, e pur parlando
Sentiva un vuoto dentro, sentiva un dolore, ma se in quel momento le avessero messo davanti l'uomo, o gli uomini, che un giorno avevano deciso di distruggere la vita della sua famiglia, forse senza neanche poterlo immaginare, era sicura che sarebbe rimasta ferma immobile davanti a loro. In fondo ucciderli sarebbe stato abbassarsi ai loro livelli, e poi spesso, parlando col padre, aveva sentito da lui dire che fulcro della democrazia moderna era aver superato la pena di morte, aver capito che non è legittimando lo stato ad uccidere che si risolvevano i problemi legati alla criminalità.
E anche quando in quegli anni, ogni tanto, Gaia riusciva a strappare ad Alfio qualche commento sul terrorismo che riempiva le strade e i cimiteri del paese si sentiva ripete che bisognava agire su due fronti, punendo i criminali e impedendo che i giovani, perché quello pareva un fatto tutto giovanile, pensassero che sparare, uccidere, rapire, ferire fosse il modo giusto per cambiare le cose. - Ma non lo si deve fare condannando a morte. - Diceva sempre il pubblico ministero Olivietti a sua figlia e ai suoi colleghi. - Lo Stato ha tante leggi giuste e umane per fermare questo fenomeno, e quelle ci devono bastare.-
Probabilmente questi pensieri non erano mai arrivati alle orecchie di chi vicino alla procura di Genova, a metà giornata di quel venerdì d'inizio settembre, aveva svuotato una P38 addosso al padre di Gaia, rivendicando poi con un foglio di carta arrivato al quotidiano della città Ligure l'omicidio, parlando in modo assurdo di rivoluzione, comunismo, nemici del popolo.
Non era un gruppo armato molto conosciuto, quello che aveva privato la famiglia Olivietti del suo capo, tanto che la figlia più piccola si ricordava come si chiamassero solo quando leggeva i giornali, e, anche se provava a metterselo in testa perché comunque forse, un giorno, quando tutto quello sarebbe finito, avrebbe potuto dare un nome a quelle persone, non riusciva proprio a tenerselo a mente, conscia del fatto che la sigla non cambiava nulla, non era quello a modificare i fatti.



****



A scuola, in quel liceo classico che aveva visto studiare tutti e tre i fratelli Olivietti, le reazioni che Gaia si trovò a fronteggiare furono due opposte.
La prima era quella che si aspettava, la vicinanza dei compagni e degli amici, le condoglianze, le parole di conforto, gli sguardi affettuosi dei professori che la conoscevano dal ginnasio e la timidezza di quelli nuovi, che quando scorrendo il registro arrivavano al suo nome si fermavano un attimo prima di pronunciarlo, come spaventati dall'idea di farle del male.
Ma la reazione più fastidiosa, se così si poteva definire, era quella di chi nei corridoi la indicava e additava facendo riferimento all'accaduto, conoscendola come la figlia dell'uomo morto pochi giorni prima per mano di terroristi.
Lei soffriva quando lo notava, ma capiva bene come per molti ragazzi della sua scuola fosse quasi assurdo pensare che un evento tanto drammatico fosse capitato lì, così vicino a loro.

Perché per quante volte già Genova e i suoi abitanti fossero stati feriti da fatti del genere trovarsi a guardare in faccia tutti i giorni una ragazza che di punto in bianco era diventata orfana per quel motivo era strano, incomprensibile.
Gaia provava a non pensarci, però, ad andare avanti sicura di sé, a non avere più paura, a concentrarsi sulla scuola, uno dei campi in cui più aveva soddisfatto suo padre in tutti quegli anni.
Un giorno di metà settembre, un paio di settimane dopo l'omicidio, Antonello aveva sorpreso sua sorella a fissare la porta di vetro che dava sul balcone dove avevano cenato insieme l'ultima sera.
Era un pomeriggio di pioggia, aveva finito presto i pochi compiti e aveva deciso di smettere di distrarsi almeno per un attimo, di piangere e fare i pensieri tristi che le riempivano la testa e il cuore. Aveva deciso di sfogarsi, di fermarsi e mettere tutto in pausa.
Quando aveva finito un intero rotolo di carta scottex, usato per asciugarsi le lacrime e nascondere i singhiozzi, aveva deciso di calmarsi, di riprendere di nuovo la sua vita.
Aveva messo via l'album fotografico che aveva sfogliato fino a quel momento, mentre piangeva e ricordava ogni istante passato con suo padre. Per la prima volta, quel pomeriggio, era riuscita anche a ricordarsi degli ultimi giorni di vita di Alfio, della loro colazione insieme, del viaggio fino a Piazza Crispi e di quel loro ultimo saluto, di lui che guardava Giorgio e Simone dicendogli: “Trattatemela bene, è l'unica che ho ancora piccola”.

Quasi una raccomandazione detta da chi già sapeva, forse inconsciamente, cosa stava per accadere.
Finito di piangere era andata a buttare i fazzoletti ed era capitata davanti alla porta del balcone.
Ferma davanti al cielo che piangeva proprio come lei aveva ricordato anche la loro ultima cena, gli ultimi scherzi di suo padre, ed era stato in quel momento che aveva sentito la mano di Antonello sulla sua spalla.
L'aveva presa e stretta forte, respirando profondamente e poi gli aveva parlato.
- Avevi torto. Dicevi che morivano i genitori degli altri, che sparavano ai genitori degli altri, che nessuno avrebbe mai fatto del male a papà. Avevi torto e ora quasi ti odio perché volevi convincermi del contrario. Sei un bugiardo. - In lacrime si era girata e aveva iniziato a dargli pugni sul petto, come a voler far comprendere la sua rabbia verso quella menzogna.
Antonello le aveva fermato le mani e l'aveva guardata senza dire nulla, sapeva che prima o poi se la sarebbe presa con lui e con le sue parole.
Con le mani bloccate dal fratello la ragazzina aveva smesso di parlare per un attimo.
Poi lo aveva fissato negli occhi, quegli occhi uguali a quelli del padre e che in quel momento erano arrossati come i suoi. - Però su una cosa avevi ragione, sai? Continuare a pensarci era inutile, mi sono solo distrutta la vita prima, e preparata alla morte di papà non ci sono arrivata, forse non ci si arriva mai.-
Era scoppiata nuovamente in lacrime, ma aveva sentito qualcosa di strano dentro di sé quando era riuscita a dire di nuovo papà, come se suo padre in quel momento potesse essere davvero accanto a lei, ancora.


****



Trattatemela bene, è l'unica che ho ancora piccola”.
L'ultima frase detta da Alfio Olivietti a Quarto era rimasta ben in mente ai due amici di Gaia, che dal momento in cui avevano saputo della morte dell'uomo avevano fatto il possibile per starle vicino.
Erano andati da lei la mattina dopo l'omicidio, quando non parlava e non piangeva, e avevano passato la giornata nella sua stanza ad accarezzarla, a stringerle la mano e nel pomeriggio a vederla riposare.
Anche loro erano increduli, incapaci di accettare quello che era accaduto.
Quando Gaia aveva ripreso a parlare, ad uscire e ad andare a scuola loro assieme a lei avevano provato a riprendere una vita normale, ma nessun dei tre era più passato a Quarto, neanche per errore.
Un pomeriggio, dopo aver fatto un giro assieme, la ragazza aveva chiesto ai due amici di accompagnarla in procura. I due l'avevano guardata straniti, perché era stato proprio lì vicino che avevano sparato al magistrato, ma lei aveva detto che doveva fare una cosa e né Simone né Giorgio erano stati capaci di dissuaderla.
L'avevano lasciata alla fermata dove per tutta la vita era scesa per andare da suo padre ed erano tornati verso casa loro, proprio come lei gli aveva chiesto.

Non erano certi che sarebbe stata in grado di andar via di lì da sola però pazienza, dopo tutto non era stupida, Gaia, sapeva quello che faceva.
Mentre girava attorno il palazzo capì subito dove suo padre era caduto, perché sull'asfalto ancora si vedeva una chiazza scura che quel giorno era stata provocata dal suo sangue.
Rimase poco lì, troppo pesante era in quel posto il peso dei suoi fantasmi.
Fece attenzione entrando nella procura di Genova a non farsi vedere da nessuno, e ripercorse a memoria la strada che portava all'ufficio di suo padre.
Aveva sentito un paio di giorni prima che tutto era rimasto come l'ultimo giorno in cui lui vi era stato, e sentiva il bisogno di passare qualche attimo lì, di ricordare tra quelle mura proprio come aveva fatto a casa.
Aveva aperto e chiuso velocemente la porta dello studio e si era trovata immersa tra i libri e le carte di quello che fino a due settimane prima era stato un ottimo magistrato.
Poi si era avvicinata alla sua scrivania e lì vi aveva trovato varie foto di lui e della sua famiglia.
Tra queste, che conosceva bene, riconobbe una foto nuova, fatta al mare quell'estate, un mese prima dell'omicidio.
Loro cinque in spiaggia un giorno che Antonello era riuscito a raggiungerli.
Mentre la fissava lunghe lacrime iniziarono a scendere sulle sue guance, e non fece in tempo ad asciugarle che sentì la porta aprirsi di nuovo e alla sue spalle apparve il dottor Mariotti, un collega del padre.
- Gaia! Come... come hai fatto ad entrare?- Le domandò andandole incontro.
- Io... io ho fatto in modo di non farmi vedere e... scusi, lo so che non avrei dovuto ma volevo tornare qui ancora una volta, avevo sentito che fosse ancora tutto come prima...-
L'uomo la tranquillizzò dicendole che non c'erano problemi, che la capiva.
Vicino a lei aveva visto la foto che teneva in mano, e ancora piangendo Gaia gli aveva domandato come fosse possibile che solo un mese prima di quel sette settembre fossero tanto felici.
- Se quel giorno ci avessero detto che sarebbe accaduto tutto questo non ci avremmo mai creduto...- Aveva sospirato.
- Non ci avrebbe creduto nessuno.- Era stata la replica di Mariotti. - Tuo padre non era impegnato particolarmente in indagini che potessero far presagire un epilogo tanto tragico, qui in procura non ho ancora sentito qualcuno dire che potevamo aspettarcelo....-
Ma la ragazza aveva scosso la testa e detto che no, che in fondo dovevano saperlo che poteva accadere.
Aveva poggiato la fotografia sulla scrivania e si era avviata in silenzio verso l'uscita, salutando con un gesto del capo il dottor Mariotti.
Appena prima di attraversare la porta si era fermata e voltata. - Lo so che c'è il segreto su queste cose... Ma se un giorno scopriste chi è stato potrei saperlo prima da lei che dalla televisione?- Marotti le aveva fatto cenno di sì con la testa.
- Vuoi che ti riaccompagni a casa, Gaia?-
- No, grazie. Il bus è comodo, arrivo proprio sulla mia via. Ma forse lei lo sa già.-
Sorrise ripensando a tutte le volte che quell'uomo e suo padre avevano fatto la strada insieme per tornare a casa.
- Già... ascolta, sai bene che questo ufficio non rimarrà così per sempre... se te la senti potresti aiutarmi a svuotarlo, un giorno di questi...- Le aveva proposto.
Lei ci aveva pensato un attimo su e poi aveva annuito.
Ancora con un cenno del capo si era congedata dal dottor Mariotti ed era uscita per tornare a casa.
Nessuno le aveva domandato dove fosse stata, convinti che avesse passato il pomeriggio assieme ai due ragazzi.
In realtà aveva pianto a lungo in autobus, durante il viaggio di ritorno, ma poi appena prima di salire in casa si era sciacquata il viso ad una fontanella per apparire calma e tranquilla davanti agli occhi di chi amava.
Durante la cena, però, la calma apparente che provavano a recuperare si era rotta.
Patrizia aveva comunicato la decisione di iscriversi a Giurisprudenza per seguire le orme del padre, e Antonello le aveva inaspettatamente urlato addosso, dicendo che la sua scelta era emotiva e non razionale.
Erano volate urla forti che Gaia non comprendeva, perché da quando il padre era morta era quella la prima volta che i suoi cari si attaccavano in un modo tanto forte, soprattutto in un momento così particolare come la cena, quando l'assenza di Alfio si faceva più forte.
- Basta..- Aveva sussurrato la ragazzina mentre li sentiva urlare.
- Basta.- Aveva detto più forte.
- BASTA!- Era stato alla fine il suo di urlo, così violento che tutti avevano taciuto.
- Basta! Basta smettetela. Papà è morto da neanche un mese e già sembrate voler distruggere tutto quello che ci è rimasto! Patrizia è libera e papà sarebbe felice di vederla studiare Giurisprudenza. Dovete smetterla! Basta Antonello, tu non sei papà, non sei responsabile di noi! Basta! - Era corsa in camera sua e si era buttata sul suo letto piangendo, mentre quelli rimasti in cucina si guardavano increduli.
Tra le lacrime aveva fissato la foto del padre appesa sopra il suo letto, e mentre piangeva si era a suo modo arrabbiata anche con lui.
- Dove sei? Dove sei andato?! Avevi detto che ero piccola, lo avevi detto poche ore prima! E i piccoli hanno bisogno dei loro genitori, io ho bisogno di te!-
Aveva smesso di parlare quando i singhiozzi erano diventati troppo forti, si era sdraiata e aveva continuato a piangere, a tratti ad urlare, a far uscire tutto il suo dolore.
Il calendario in camera sua diceva che ottobre era iniziato, che di lì a pochi giorni la terra avrebbe compiuto il sedicesimo giro intorno al sole dal momento della sua nascita.
Ma lei di anni addosso se ne sentiva molti di più, come se nel momento in cui lui era morto fosse cresciuta ed invecchiata tutto insieme. Eppure non abbastanza da finir di vivere, da raggiungerlo.
Ma nessuno oltre a lei lo sapeva, perché per tutti Gaia Olivietti era nata il 10 ottobre 1963 e il 10 ottobre 1979, a trentatré giorni dalla morte di suo padre, avrebbe compiuto semplicemente sedici anni.
Si addormentò cercando disperatamente di immaginare la vita dei suoi genitori sedici anni prima, quando lei era ancora nascosta nel ventre di sua madre ma loro già l'amavano.
Perché l'amore sicuramente andava oltre la possibilità di vedere, toccare o parlare con qualcuno.
E allora, forse, da qualche parte suo padre ancora l'amava, e lei poteva continuare ad amarlo come prima.
Si nascose sotto le coperte, fingendosi invisibile proprio come invisibile era diventato il suo papà.
Doveva esserci, di notte, nei sogni, un posto in cui due invisibili potevano vedersi e stare assieme.
Almeno per quella notte, almeno per quel sogno.



Spazio ;Sun

Doveva essere una shot ma è troppo lunga, quindi sarà una mini-long di tre capitoli. I prossimi due arriveranno, spero, le prossime due domeniche.
Credo sia la cosa più angst che abbia mai scritto, ma la canzone di Cristiano de André, figlio di Fabrizio, mi ispirava tanto e soprattutto ultimamente sono successe cose poco belle, tali che, forse, avvertivo anche internamente il bisogno di scrivere questo racconto.
Niente, io spero davvero vi piaccia e mi diciate cosa ne pensate, so che è lunga ma io mi auguro valga la pena di leggerla.
Vi mando un grosso bacio e ci sentiamo domenica prossima.

;Sun <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Genova, 1982 ***



Tu eri bravissimo a ballare sulle rovine
Io altrettanto a rubare comprensione
Di noi amici, pochi amici, pochissimi amici
Tu eri fortissimo a inventarti la verità
Io liberissimo di crederla o non crederla
Io ho sempre sperato che qualcuno un giorno
Potesse accorgersi di noi
Ma eravamo invisibili, che non ci vedevamo mai

Invisibili – Cristiano de André


Genova, 1982.

Alla fine Gaia li aveva compiuti, i sedici anni.
Poi diciassette, diciotto.
E in mezzo c'erano stati i compleanni di sua madre, dei fratelli, dei ragazzi, di Luisa. Poi Natali, Capodanni, feste, ricorrenze.
Il compleanno di suo padre, il giorno dell'anniversario della sua morte.
Il tempo aveva cominciato a scorrere, a non curarsi di loro, del dolore; anche le loro vite erano andate avanti, racchiuse in una normalità quantomeno apparente.
Un giorno di fine luglio del 1982, pochissimo tempo dopo la magica notte della finale dei Mondiali di Spagna, Gaia si era seduta davanti alla commissione della maturità e aveva concluso il suo ciclo di studi con l'orale degli esami di Stato.
Tre anni prima aveva sognato, per poche settimane, di essere accompagnata in quell'ultima occasione a scuola da suo padre, proprio come aveva fatto Patrizia.
La morte di Alfio aveva cambiato tutto, era vero, eppure in quell'ora di colloquio, alle dieci di una caldissima mattina Genovese, la ragazza aveva sentito intorno a sé un inaspettato fresco, e ci aveva messo pochissimo a capire di cosa si trattasse.
Tornata a casa dopo l'esame sua madre le aveva chiesto come fosse andata e se volesse andare al cimitero a raccontarlo a suo padre, come spesso faceva quando capitavano cose belle.
Ma, inaspettatamente, la ragazza aveva risposto di no e poi si era spiegata.

- Puoi non credermi, mamma, ma papà sa già tutto. Era lì mentre mi interrogavano, l'ho sentito vicino per tutta la durata dell'orale.-
Beatrice aveva sorriso a sua figlia, certa che lei non fosse pazza ma, anzi, sicura che Alfio fosse stato sempre al suo fianco in quei tre anni.
Come certamente era stato accanto agli altri due figli.

Antonello si era laureato appena tredici mesi dopo l'attentato e all'inizio del 1981 aveva trovato lavoro in un'azienda nel centro di Genova, dove faceva un normale orario da ufficio e veniva ben pagato.
Aveva lasciato il posto all'officina, ovviamente, ma a volte tornava ancora a salutare ed aiutare i suoi vecchi colleghi, amici che lo avevano sostenuto nei momenti difficili.
Nell'estate dello stesso anno, in un giorno di Luglio, era tornato a casa in anticipo e aveva detto alla madre e alle sorelle di prepararsi perché le avrebbe portate a cena fuori.
Stupite le tre donne si erano sistemate per bene e si erano fatte guidare da lui verso il porto, dove in un ristorante piccolo ma elegante avevano conosciuto Elisa, una graziosa ragazza dell'età di Patrizia.
Non ci avevano messo molto a comprendere quale fosse il ruolo di lei nella vita di Antonello, e a fine serata erano rincasate contente ma con gli occhi lucidi, perché l'amato figlio e fratello, assieme alla sua fidanzata ormai ufficiale, aveva comunicato che presto sarebbero andati a vivere insieme.

- Forse non siamo ancora pronti per sposarci.- Aveva spiegato. - Ma di sicuro ci piacerebbe vivere uno accanto all'altro tutti i giorni, di questo siamo sicuri. Scusate se ho aspettato così tanto per dirvelo, penso di aver sbagliato, ma è un grosso passo e volevo essere certo delle mie scelte prima di parlarvene.-
La madre aveva abbracciato sia lui che lei, riuscendo a sorridere davvero solo quando il figlio le aveva comunicato che l'appartamento da loro visto, quello in cui speravano di riuscire ad andare a vivere, era ad appena due isolati dalla casa in cui viveva da che era al mondo.
- Tanto conoscendo Antonello sarà sempre da voi, immagino già quanto gli mancherete!- Aveva riso Elisa baciando il ragazzo.
Si era trovata subito bene con le due sorelle, che aveva scoperto essere simpatiche proprio come gli aveva raccontato spesso il fidanzato.
A metà Novembre avevano iniziato il trasloco, e il Capodanno del 1982 era stato festeggiato nel nuovo appartamento della coppia.
Oltre ai due e alle loro famiglie, Beatrice aveva avuto il piacere di conoscere i genitori di Elisa e sua sorella Agata, c'erano Simone, Giorgio e Gabriele, un compagno di università con cui Patrizia aveva iniziato ad uscire da qualche settimana.
Dopo la litigata accaduta a poche settimane dalla morte del padre durante una cena in famiglia, la sera del giorno in cui Gaia si era rintanata nello studio del padre in procura per trovare qualcosa di normale in quella sua vita assurda, la ragazza non aveva cambiato idea e si era iscritta a Giurisprudenza, frequentando con passione le lezioni e dando con ottimi voti gli esami.
Antonello non si era mai del tutto ricreduto sul motivo per cui la sorella aveva scelto quella facoltà, era vero, ma piano piano aveva capito quanta dedizione lei ci mettesse nell'inseguire quel sogno, indipendentemente dal fatto che fosse suo o di suo padre.
Gaia, dopo il diploma, aveva sciolto la riserva sulla sua iscrizione all'università.
- Prenderò lingue. Avrei voluto farlo fin dalla scuola superiore, è vero, ma tutti parlavano bene del liceo classico, della preparazione che forniva, e poi l'avevano fatto entrambi i miei fratelli, quindi ho preferito andare sul sicuro.- Aveva spiegato a chi le aveva domandato i motivi di quella scelta.
Inglese e spagnolo, quelle le lingue che la giovane aveva deciso di studiare, certa che da qualche parte l'avrebbero portata.
- Magari lontano da questo paese, dalla follia di questa nostra Italia.- Aveva ipotizzato una volta parlando con i ragazzi.
Erano a Quarto, forse per la seconda o terza volta da quando Alfio era morto.
Gaia non era riuscita a tornarci per tanto tempo, e i due ragazzi anche avevano fatto il possibile per evitare quel luogo.
Non avevano troppa voglia di rivivere i loro ultimi momenti di spensieratezza, quando ancora era tutto così bello.
La ragazza, quella mattina di Settembre, non la ricordava neanche bene; i suoi ricordi erano vaghi fino al momento in cui si era trovata in ospedale a pregare per suo padre, e da quando il medico era uscito dalla sala operatoria per dire loro che Alfio non era sopravvissuto era in grado di descrivere meticolosamente ogni attimo. Ma di quello che era successo prima, da quando si era svegliata al momento in cui Antonello le aveva spiegato l'accaduto, non era in grado di ricordare nulla.
Quel giorno a Quarto, quasi tre anni dopo l'omicidio, stavano facendo progetti per un futuro che ancora appariva lontanissimo.
- Non sei l'unica.- Le aveva detto Giorgio. - Anche io prima o poi mollo tutto e me ne vado da 'sto paese di merda.-
Si trovavano davanti allo scoglio con il monumento ai Mille, lo scoglio che aveva dato il via al processo di unità dell'Italia. - Ma forse tanto meglio non avessero unito nulla, che questo paese fa schifo.- Aveva commentato sempre il ragazzo
quando ne avevano parlato.
Per Gaia i commenti sulla situazione del paese lasciavano il tempo che trovavano.
Aveva acquisito un anno prima il diritto di voto ma non si era ma interessata realmente su chi votare, sulla parte in cui schierarsi.
Certamente seguiva le notizie, sapeva chi fosse al governo, chi all'opposizione, chi fosse il Presidente del Consiglio, chi quello della Repubblica. Ma non le interessava.
Qualche mese dopo la morte di suo padre sempre a Genova era stata scoperta una base delle Brigate Rosse e durante un'incursione dei Carabinieri i suoi occupanti erano stati uccisi*.
Lei aveva ascoltato da più parti commenti alla vicenda, tra cui quello di Patrizia che si auspicava una fine del genere anche per chi aveva sparato a suo padre, ma non si era sentita di dire la sua o prendere posizione.
Gaia voleva solo che tutto quello finisse, che la gente smettesse di sparare.
Lo desiderava da prima, da quando ancora la sua vita era la vita tranquilla di una ragazza di quindici anni, ma soprattutto lo voleva dal momento in cui suo padre era morto.
Lui l'aveva cresciuta dandole il suo stesso amore per la legge e la giustizia, e lei voleva onorare quei suoi insegnamenti, ma quando la sera tornava a casa e non lo trovava, quando le sue amiche la invitavano a casa e le vedeva assieme ai loro padri, in quei momenti non riusciva a pensare a chi le aveva impedito di essere felice, pensava solo a ciò che aveva perso.
Lo sapeva, un giorno o l'altro gli avrebbe visti, gli assassini, morti sulle pagine di un quotidiano o vivi dietro le sbarre in qualche aula di tribunale, e in quel momento probabilmente sarebbero venuti fuori tutti quei sentimenti che non era in grado di provare, ma fino ad allora a lei rimaneva la vita senza un padre, senza un amore, il più grande.
E nessun ergastolo, nessuna morte, nessun processo avrebbero mai cambiato quella situazione.
Davanti allo scoglio, invece, qualche sentimento riusciva a provarlo.
Quella voglia di felicità e di rivincita di cui parlava anche Giorgio, ad esempio, il desiderio di andarsene lontano per cercare qualcosa di migliore.
Sia lui che Simone si erano iscritti a medicina, alla fine, e il figlio degli operai aveva iniziato a fare ogni tipo di lavoro per pagarsi gli studi.
Pur continuando a studiare insieme i due ragazzi avevano iniziato a perdersi di vista, perché ancora una volta la crescita li aveva portati a frequentare ambienti e persone differenti.
Giorgio girava spesso con i ragazzi che conosceva quando lavorava, una volta in un bar, una in un supermercato, mentre Simone era ancora molto legato alla vita di suo padre, al suo ambiente quasi elitario.
Studiava come un pazzo per farsi un suo nome, a prescindere da quello che gli apparteneva dalla nascita, ma non era in grado di staccarsi da quel mondo, al contrario di Giorgio che si voleva staccare a qualsiasi costo dalla famiglia operaia.
Forse la differenza stava proprio in quello; per uno era conscia la differenza tra la vita fatta fino a quel momento e quella a cui sarebbe potuto arrivare, mentre l'altro, magari inconsciamente, aveva sempre vissuto in un'ottima situazione e non accettava di lasciarla.
- Secondo me varrebbe la pena di rimanere in Italia e provare a sistemare le cose, invece.- Era stato il commento di Simone. - Ma forse ai nuovi amici di qualcuno viene più facile urlare al mondo che fa tutto schifo e scappare.-
Gaia aveva lanciato un'occhiataccia al ragazzo, mentre l'altro si era limitato a sbuffare e guardare da un'altra parte.
I “nuovi amici di qualcuno” erano proprio i colleghi di Giorgio, quelli con aveva iniziato a girare spesso quando tralasciando anche Simone e Gaia, persone che all'amico non piacevano per nulla.
Non avevano una cultura, degli ideali, dei sogni. Erano convinti che in Italia facesse tutto schifo mentre fuori fosse tutto perfetto, ma quando gli si domandava come mai nel loro paese le cose andassero così male mentre negli altri no non erano in grado di dare una risposta seria, e spesso si era sentito semplicemente replicare “Eh, parli facile te che sei ricco”.
Quelle amicizie stavano rischiando seriamente di incrinare il rapporto tra i due ragazzi, e lei, che non avrebbe sopportato la separazione del loro gruppetto, faceva sempre il possibile per attenuare la tensione che si creava quando ne parlavano.
- Simone basta, dai. Abbiamo capito cosa pensi ma ora che siamo insieme potresti anche lasciar da parte le tue idee e stare con noi normalmente.-
Per lui rispose Giorgio, girandosi verso la ragazza con un'aria tutt'altro che amichevole. - Gaia guarda lascia perdere, me ne vado io. Divertitevi.-
Senza neanche darle il tempo di replicare prese e se ne andò.
La ragazza tentò di seguirlo ma fu trattenuta da Simone, che la prese per il polso e la fermò. - Lascia perdere davvero, Gaia, se vuole tornare torna, altrimenti tanto meglio perderlo che trovarlo.-
Sospirò, lei, a sentire quelle parole tanto forti contro il ragazzo che per Simone era sempre stato il migliore amico.
Non poteva credere che le cose stessero andando in quel modo, che anche il suo trio si stesse sciogliendo, quegli amici magnifici e sempre presenti si stavano allontanando uno dall'altro e, chissà, forse entrambi da lei.
Dopo pochi minuti si mossero verso l'auto del ragazzo per tornare a casa e, mentre viaggiavano, Gaia iniziò a cercar di capire dove e quando fosse tutto iniziato.
- La notte del Bernabeu, Ga'.- Era stata la risposta di Simone.
- Perché non ha visto con noi una partita di calcio? No, scusa, è per questo che ce l'hai tanto con Giorgio?-
Il ragazzo scosse la testa.
Donne. Belle, simpatiche, sensuali, intelligenti, amiche, amanti, madri, mogli, ma totalmente incapaci di capire alcuni concetti se non glieli si ponevano in modo esplicito.
- Non era una partita di calcio, era la finale dei mondiali di Spagna e giocava l'Italia. Ha vinto l'Italia. Abbiamo festeggiato l'Italia. E lui non c'era, Gaia. Lui ha preferito gli altri.
Ma quante partite di calcio abbiamo visto insieme, eh? Quanti mondiali? A Loano, ti ricordi?-
La macchina si fermò all'imbocco della via dove viveva Gaia, lì dove un tempo si fermavano a piedi per fare le ultime discussioni prima di andare a casa.
- Ne è passato di tempo da Loano. Sono passati anni, amici, giornate, estati.
Sono passate anche vite da quando andavamo a Loano. Sarebbe stato bello fermare il tempo, ma non è possibile. Non siamo più i bambini di Loano, Simo.-
Il ragazzo abbassò la testa come un cane bastonato.
Quel “sono passate anche vite” aveva un significato ben preciso, l'amica parlava di suo padre.
Non dissero più nulla, e al momento di salutarsi Gaia strinse semplicemente forte la mano di Simone.
La vide che andava verso casa passandosi una mano sul volto, forse per asciugarsi qualche lacrima.
E dunque era quello il problema, si disse tornando verso casa.
Erano stati i bambini di Loano, tanti anni prima. Felici, spensierati, bambini come tanti.
Si erano conosciuti lì, su una spiaggia affollata sotto il sole d'estate, in un luogo dove non contava chi fossero, se figli di operai, magistrati o attori, ma dove contavano solo loro. Anche perché erano stati un po' figli di tutti, in quel tempo, e lui ricordava bene Alfio che gli pagava un gelato o lo faceva giocare senza chiedere nulla in cambio, trattandolo proprio come fosse stato un suo quarto figlio.
Ma Gaia aveva ragione, purtroppo, quel tempo era finito.
Tornavano a Genova prima della scuola e riprendevano le loro vite normali, diverse, e anche se si vedevano spesso in città era comunque tutto diverso.
Ora che da Loano erano passate tanti estate era scomparso ciò che li legava, erano rimasti soli con le differenze che li separavo.
E, cosa peggiore, non stavano facendo nulla per evitare questa separazione.

                                                                                                            ****

L'estate precedente, prima di iniziare l'ultimo anno di liceo, Gaia aveva vissuto per quasi un mese un'intensa storia con Andrea, sfociata anche in lati fisici espliciti lì vicino alla spiaggia di Porto Santo Stefano.
Erano stati momenti importanti per entrambi, dotati di una forte carica di emozioni belle, di passione, forse il primo mese davvero felice di quella nuova vita che si reinventava giorno per giorno dalla morte di suo padre.
Alla fine, però, per quanto fossero innamorati, per quanto bene fossero stati in quel periodo, avevano deciso di non sforzarsi a rimanere uniti anche lontani, perché forse si ritenevano ancora troppo giovani per un amore a distanza.
Ne avevano parlato con tristezza, era vero, ma neanche quella era bastata per far cambiare loro idea.
Cosa fosse accaduto tra i due ragazzi durante quel mese, però, non lo sapeva con precisione nessuno tranne Luisa, che come migliore amica di Gaia doveva essere a conoscenza di tutto, e gli altri erano rimasti convinti che quella cotta estiva si fosse limitata a carezze, scherzi e baci sulla spiaggia.
Di come fossero poi andare le cose, era chiaro, lei aveva sofferto molto, forse perché dopo aver vissuto qualcosa di così importante con Andrea si era convinta che le cose potessero durare a lungo, ma alla fine si era rassegnata a continuare con lui una semplice amicizia.
Un giorno di inverno, mentre era a casa da sola, il ragazzo l'aveva chiamata e, tutto contento, le aveva detto di essersi fidanzato con una ragazza di Pisa, tale Teresa.
Lei, mentre parlavano, si era mostrata felice, non troppo risentita da quel fatto, ma quando aveva messo giù, dopo che quasi ipocritamente lui le aveva detto “beh, mi auguro che anche tu possa essere un giorno così felice”, era scoppiata in lacrime.
Ci aveva sperato, Gaia, aveva sperato che l'arrivo di un'altra estate, dopo la maturità, li portasse a ritrovarsi, cresciuti e pronti ad affrontare un amore distante.
E invece, ancora una volta, la vita aveva scelto diversamente.
Però quando si era calmata, asciugandosi ancora una volta le lacrime che scendevano lungo il suo volto, era stata felice di aver pianto per un amore nato e finito troppo presto, perché per una volta dopo tanto tempo si era sentita proprio come le altre ragazze, quelle che non avevano vissuto il dramma di un padre ammazzato a cento metri da dove lavorava.
Quella stessa sera aveva chiamato i due ragazzi per mettersi d'accordo e vedersi, voleva raccontare loro tutto quando anche se sapeva si sarebbero arrabbiati, almeno per finta, nel sentire che per tanti mesi gli aveva nascosto una cosa così importante.
Simone si era dato disponibile subito per il giorno seguente, nel pomeriggio, ma Giorgio aveva detto che in quel periodo era molto impegnato.
Come sempre la ragazza aveva risposto che non era importante, che appena si sarebbero visti gli avrebbe raccontato tutto, ma poi tra una cosa e l'altra, col tempo che passava e la maturità che si avvicinava, si era scordata di tutto; aveva parlato con Simone il giorno dopo la telefonata di Andrea e si era fatta consolare da lui e basta, senza problemi, malgrado il ragazzo, come aveva sospettato, si era un po' risentito dell'aver saputo tutto così tanto tempo dopo.
A parte quello però non ne avevano più parlato, tanto che, appunto, Giorgio alla fine non era stato reso partecipe della vicenda.
Soltanto quella sera d'estate, dopo la litigata a Quarto, le era venuto alla mente quel fatto.
In effetti Simo non aveva tutti i torti, da qualche tempo l'altro amico era diventato sfuggente, diverso.
Gaia non voleva pensarci, forse preferiva fare finta di niente, non dare peso a quello che succedeva, convinta infantilmente che questo avrebbe potuto cambiare qualcosa.
Le cose parevano andare sempre peggio, però. Anche quando erano solo lei e Giorgio lui si chiudeva, rispondeva a monosillabi, addirittura l'attaccava.
Il giorno del terzo anniversario della morte di Alfio si era fatto sentire solo in serata, dicendo come al solito che era stato impegnato.
Lei non aveva replicato, continuando a credere che l'amico dicesse solo la verità.
Ma per Simone qualcosa si era rotto.
Tra loro due, nel loro trio.
Nella vita di Giorgio.

                                                                                                                        ****

A Ottobre, appena prima di compiere diciannove anni, Gaia aveva iniziato l'università e subito aveva fatto amicizia con alcuni compagni di corso, maschi e femmine.
A nessuno di quelli aveva raccontato di suo padre, non lo riteneva affatto importante, ma quando una ragazza, Alessandra, le aveva domandato se fosse imparentata con il magistrato ucciso tre anni prima aveva risposto di sì senza problemi, accettando anche la specie di compassione che quella aveva avuto per lei.
In fondo non poteva nascondersi, era la sua vita, lo sarebbe stato per sempre.
Quella confessione però era stata una bella cosa, alla fine, perché condividendo quel segreto, per modo di dire, tra lei e Alessandra era nato un legame forte pur conoscendosi da poco.
Lingue le piaceva molto, tanto da farla perdere ogni tanto tra i libri malgrado non avesse bisogno di studiare così tanto.
Luisa si era iscritta invece a lettere classiche, rimasta affascinata da un professore di latino e greco avuto al liceo, ma non condivideva la passione per lo studio dell'amica.
Insieme, però, davano una mano a studiare a Cristina, la figlia del procuratore Mariotti, il magistrato che un giorno aveva trovato in procura Gaia e che poche settimane dopo aveva, insieme a lei, svuotato l'ufficio di Alfio.
Non chiedevano nulla in cambio, le due ragazze, ma l'uomo non le mandava mai via da casa sua senza qualcosa, fosse qualche lira o una bottiglia di vino.
A casa di Gaia, da quando Antonello era andato a convivere, i soldi arrivavano grazie a Beatrice, che lavorava come donna tuttofare in varie case della zona, da quelle persone che un tempo le lasciavano un po' di soldi in buca per ringraziarla e ora la stipendiavano con un regolare contratto, e Patrizia, che quando non aveva da studiare stava in una libreria del centro a fare la commessa.
La figlia più piccola si era presa un momento per vedere quanto tempo per sé le lasciasse lo studio, e aveva promesso che appena messa in ordine la sua nuova vita da universitaria avrebbe fatto il possibile per cercare qualcosa da fare anche lei.
Però tutti i suoi piani avevano preso una piega diversa appena prima di Natale, quando, mentre era con amiche a studiare in biblioteca, si era avvicinato a lei un ragazzo a dir poco bellissimo, tale Fabrizio, che con i suoi occhi chiari l'aveva affascinata in pochi secondi.
Studiava economia e si vedevano molto poco, solo in biblioteca, ma, tra una battuta e un caffè insieme per prende una pausa dallo studio, durante la sessione invernale degli esami lui aveva trovato il coraggio di invitarla a cena.
Gaia aveva riprovato per la prima volta la sensazione di benessere che, tanto tempo prima, le aveva dato spesso Andrea.
Una cena una volta, un giro in centro un'altra i due alla fine si erano dichiarati e la notizia del loro fidanzamento era girata ovunque.
Questa volta, però, lei era stata molto attenta ad avvisare Simone con anticipo, e il ragazzo aveva conosciuto Fabrizio prima che la cosa divenisse ufficiale, dando apertamente il suo ok alla relazione.
Naturalmente, purtroppo, con Giorgio non era andata nello stesso modo.
Lui non aveva saputo nulla, non si sentivano per davvero da dopo le feste e le poche volte che si erano incontrati per strada in quel periodo non si erano scambiati più di un rapido saluto.
Distanti davvero, ormai. E se per Simone quello non era quasi più importante per Gaia era fonte costante di dolore.
Un dolore così forte da spingerla a fare un ultimo disperato tentativo per recuperare una delle cose più importanti che aveva.

                                                                                                    ****

Era una bella mattina di inizio Aprile.
C'era il solo e in giro per Genova era già pieno di fiori sbocciati o pronti a sbocciare, colori accesi che si rinnovavano ogni primavera.
Gaia non aveva lezione e ne aveva approfittato per dormire un po' più del solito, ma neanche troppo perché verso le dieci l'aveva chiamata Fabrizio, che sapeva fosse a casa e aveva voglia di sentirla.
Ormai sveglia, la ragazza, si era vestita e preparata con calma, ascoltando la sua musica dallo stereo ad alto volume.
Poi aveva fatto lei una telefonata a suo fratello, che era in ufficio, e si erano organizzati per vedersi a pranzo in un ristorante vicino al mare comodo per entrambi.
Gaia si era messa a studiare sul suo letto aspettando l'ora di uscire, ma dopo poco si era accorta di come più ci provasse più le venisse voglia di dormire, tanto che alla fine aveva lasciato perdere e si era messa a risistemare la sua scrivania, la libreria e le mensole che aveva in camera sua sopra al letto, piene di ricordi sparsi in giro; fotografie, cartoline, orecchini, braccialetti, penne... Gaia aveva trovato di tutto, lì sopra, anche oggetti che si era totalmente scordata di avere ma che, d'improvviso, nel rivederli le portavano alla mente momenti meravigliosi e immagini di giorni passati felici, prima che Alfio morisse ma, ogni tanto, anche dopo.
Verso mezzogiorno e mezza si era mossa di casa per andare a prendere l'autobus verso il mare.
L'aria di salsedine era forte, a volte quasi fastidiosa, ma sembrava un giorno d'estate e si stava così bene che Gaia quel fastidio non lo sentiva neanche più di tanto, concentrata com'era a godersi quella mattinata libera.
Antonello l'aspettava già al ristorante, seduto ad un tavolo sulla terrazza, proprio davanti al mare, come la sera che aveva presentato alla madre e alle sorelle la fidanzata.
Prima di sedersi rimasero a lungo abbracciati, i due, perché non si vedevano da parecchi giorni e non erano abituati a stare lontani per così tanto tempo.
Avevano ordinato entrambi una pizza benché, inizialmente, il loro piano riguardasse un pranzo leggero e possibilmente fresco. Ma il profumo e l'immagine di una Margherita portata ad un tavolo vicino li fecero cambiare idea in pochi attimi.
- Mi mancate un sacco da quando non vivo più a casa con voi.- Aveva esordito Antonello quando era arrivato il pranzo.
- Beh, allora non ci hai totalmente scordate!- Aveva sorriso la ragazza. - Comunque ogni tanto potreste anche venire a cena da noi. Mamma, malgrado tutto, è ancora abituata a cucinare per cinque.- Gaia aveva finito la frase con un velo di tristezza, abbassando gli occhi e ripensando a quando in casa erano in cinque senza il bisogno di invitare persone a cena.
Il ragazzo si accorse subito dello stato d'animo di sua sorella e provò, senza staccarsi troppo dall'argomento centrale della discussione, a dire qualcosa che potesse farla ridere almeno un attimo. - Guarda che da quando sei fidanzata con Fabrizio penso che mamma debba iniziare a cucinare per sei.- Lei era scoppiata in una fragorosa risata, missione riuscita.
Antonello ne aveva allora approfittato per farsi i fatti della giovane e interessarsi alla sua vita sentimentale.
- Ma, a proposito di Fabrizio, perché non mi racconti qualcosa? Di lui, di voi... come va? State già facendo progetti per il futuro?-
Era la prima volta che vedeva sua sorella così innamorata e presa da una relazione.
Sì, c'erano stati altri ragazzi all'inizio delle superiori, prima della morte di Alfio, ovviamente, e anche la storia con Andrea, che lui aveva vissuto accanto a loro, ma erano state cose diverse, forse per la giovane età degli innamorati o forse perché stare insieme durante le vacanze era tutt'altro dall'avere una relazione durante un periodo normale dell'anno. Fatto stava che con Fabrizio, per la prima volta davvero, Gaia scopriva l'amore nel senso vero, quello che andava fatto coincidere con la vita di tutti i giorni, con gli impegni e la quotidianità che si avevano prima della relazione.
La ragazza era arrossita lievemente alla domanda, ma poi aveva risposto. - Va bene, stiamo bene insieme, siamo felici. Progetti tanti ma non come pensi tu, è ancora presto anche solo per pensare al matrimonio o a una convivenza. Per ora ci godiamo questa vita, vedremo col tempo come andrà.-
- Fate bene, fate bene. Io ed Elisa al matrimonio ci pensiamo, invece, ma lo troviamo molto più impegnativo del semplice convivere, anche se forse lo è solo una convinzione. Deve essere per la formalità che c'è dietro al matrimonio; sai, il per sempre, le continue domande su quando arriveranno i figli... No, non abbiamo intenzione di metterci in questo guaio, per adesso. E Patrizia? Lei e i maschi sono sempre stati un mistero! Anche quando frequentava palesemente qualcuno ci era del tutto vietato di sapere qualcosa. Tu hai informazioni segrete a riguardo?- Aveva riso il fratello parlandone come si parla di qualche importantissimo segreto da tenere nascosto.
- Ufficialmente no.- Rispose Gaia. - Ma qualcosa secondo me c'è. È un periodo che spesso si chiude al telefono in camera di mamma e che nessuno provi ad entrare che inizia ad urlare come una pazza! Secondo me dall'altra parte della cornetta c'è qualcuno di cui non dobbiamo sapere l'esistenza...-
Antonello rise convinto che la sorella minore avesse ragione.
Avevano finito di mangiare e aveva pagato lui, offrendole il pranzo come succedeva quando erano più piccoli e la andava a prendere a scuola.
Prima di salutarsi avevano fatto quattro passi gustandosi un gelato sulla strada verso l'ufficio del ragazzo.
Gaia lo aveva accompagnato fin sotto il palazzo dove lavorava e poi era tornata indietro verso il mare.
Era primo pomeriggio ma non faceva troppo caldo, complice anche un venticello leggero che si era alzato poco prima mitigando la temperatura.
Si mise a percorrere la passeggiata sopra il mare fermandosi qualche volta per sedersi su una panchina, riposare e prendere un po' di sole.
Era annoiata, in realtà, ma non voleva tornare a casa subito, specialmente perché sapeva che lì sarebbe stata da sola.
Patrizia, Luisa e Fabrizio erano tutti e tre in facoltà o in biblioteca a studiare e lo stesso era per Simone, probabilmente impegnato in qualcosa riguardante l'università.
Era sola anche fuori dalle mura di casa, dunque, e un poco si sentiva in errore a pensare che, forse, pure lei si sarebbe dovuta fiondare sui libri.
Ma era una bella giornata e voleva godersela, dopo tutto si era fatta una tabella di marcia per lo studio ed era in regola.
Una bella giornata come quella, secondo Gaia, andava condivisa con qualcuno a cui si voleva bene, una persona cara che magari era lontana.
Così, trovando il coraggio per la prima volta dopo parecchio tempo, si avviò verso il cimitero in completa solitudine.
Mentre camminava verso la fermata dell'autobus che l'avrebbe portata in quel luogo di lutto e dolore realizzò che fosse davvero parecchio tempo che non andava a trovare suo padre, da appena dopo l'inizio dell'anno nuovo, come se l'inizio della storia con Fabrizio l'avesse davvero portata a ricominciare a vivere. Anche Beatrice, lavorando sempre, non trovava più il tempo di andare sulla tomba del marito come all'inizio, quando lo aveva appena perso e neanche ci credeva che potesse essere accaduto. Però lei teneva in camera ogni foto avesse trovato dopo quel giorno, le foto di Alfio da solo, quelle di loro due e quelle coi figli. Solo una delle ultime, quella che l'uomo teneva sulla scrivania in ufficio, l'aveva data alla ragazza più piccola, perché in fondo era stata lei a portarla a casa il giorno in cui, dimostrando molto più dei suoi sedici anni, aveva svuotato la stanza del padre in procura.
La lapide che segnalava il luogo di sepoltura di Alfio Olivietti era stata quindi abbandonata a se stessa per non più di due o tre mesi, ma appariva lasciata sola da anni a causa delle intemperie che l'avevano sporcata e quasi rovinata durante quell'inverno.
Gaia la pulì con cura, buttando i fiori vecchi e le erbacce intorno, togliendo la polvere dal vetro della fotografia e sistemando i nuovi fiori che aveva portato. Erano colorati, quasi a volerlo informare della bella stagione che stava tornando per la terza volta senza di lui.
Accarezzando dolcemente la lapide raccontò a suo padre, sicurissima come sempre che la sentisse, del fidanzamento con Fabrizio e di tutte le cose belle che erano accadute in quei mesi.
Poi però, finito questo racconto, si sedesse accanto a quella.
Lo fece perché doveva raccontargli un segreto, e da che ricordava per tutta la vita vissuta con lui era stato sempre seduta a terra che lo aveva messo al corrente delle cose più nascoste della sua vita.
Non c'era un motivo, o se c'era l'aveva scordato, ma era sempre stato così
- Sai papà? Va tutto bene tranne Giorgio. Lui e Simo non si parlano praticamente più, è strano, se li vedessi non ci crederesti. Ma io purtroppo sì, lo vedo e ci credo. Però per me è diverso; Simone dice di essere arrabbiato con lui, mentre io sono solo preoccupata...- Si appoggiò lievemente con la testa inclinata al freddo pezzo di marmo, come se in qualche modo potesse trovare lo stesso conforto che da bambina aveva nell'appoggiarsi alla spalla del padre.
- Come devo fare, papà? Cosa faresti se fossi nella mia situazione, cosa mi diresti se fossi ancora qui?-
Chissà, si domandava Gaia, se davvero suo padre fosse stato ancora vivo forse le cose sarebbero andate diversamente.
Oppure no, ma di certo lui sarebbe stato in grado di dirle cosa fare in quel momento.
Rimase lì a lungo, poi una folata di vento fresco e fastidioso nei suoi occhi umidi di pianto le diede qualcosa di simile ad una risposta. Si alzò e lasciò un leggero bacio sulla lapide del padre senza proferire parola, ma dentro di lei Gaia aveva sentito una voce dirle che l'unica possibilità, l'unica cosa da fare davvero, era andare a parlare direttamente con Giorgio.
Uscì dalla parte opposta del cimitero rispetto a quella da cui era entrata per andare a prendere un autobus che l'avrebbe portata nella zona dove viveva il suo amico. Un percorso, anche quello, che non faceva più da una vita e che le mancava.
Si rese conto di non conoscere neanche gli orari di lavoro dell'amico, e a dire il vero non era certa nemmeno del lavoro che in quel periodo svolgesse il ragazzo.
Sempre ammesso che lavorasse ancora.
Dunque erano così che finivano le amicizie, pensò Gaia. Non con grosse liti, con urla e pianti, ma con la perdita della quotidianità comune, col non sapere più nulla gli uni degli altri.
Bastava non sentirsi, non vedersi e tutto terminava. Per quanto ci si potesse voler bene non era vero che si rimanesse amici anche distanti.
Aveva perso Giorgio il giorno che si era scordata di chiedergli come stava.
L'aveva perso e, mentre andava verso casa sua, capì che qualsiasi cosa sarebbe successa non l'avrebbe trovato mai più.
Si trovò seduta, senza farci troppo caso, sulla panchina in cui spesso si sedeva da ragazzina con i due amici e si mise ad attendere l'amico o quel che era per lei Giorgio.
Lo aspettò a lungo.
Il sole iniziava a scendere per congiungere cielo e mare quando, finalmente, lo vide arrivare dall'angolo che portava alla via principale del quartiere.
Gli andò in contro con calma, molto diversamente da come avrebbe fatto un tempo.
- Ciao, Giorgio.-
- Gaia... cosa ci fai qui?-
Lo aveva spiazzato, dunque, e si scoprì subito incapace di capire il perché di quella reazione.
- Ho pensato che non ci vedessimo da davvero troppo tempo. Insomma, sarà da prima di Natale che non ho tue notizie!- Disse cercando di mostrarsi convincente.
- Ho avuto da fare, ma sto bene.- Replicò il ragazzo.
Non aveva alzato più lo sguardo da che lei aveva iniziato a parlare e dopo averle detto di “stare bene” cercò di allontanarsi velocemente da quella visita inaspettata e quell'interrogatorio indesiderato.
Se ne accorse subito, Gaia, e si affiancò a lui rapida mentre andava verso casa.
- Certo che complimenti per l'entusiasmo! Non ci vediamo da mesi e fai così!- Fece la finta offesa come da ragazzini, ma capì dopo un attimo che quell'atteggiamento era da lui tutt'altro che gradito.
Passò alle maniere forti. - Oh ma mi spieghi che c'hai Giò?- Domandò fermandolo appena tenendogli il braccio.
Il ragazzo si liberò dalla presa rapido e si fermò per guardarla. - Non ho nulla. Semplicemente non mi aspettavo la tua visita e ho avuto una giornataccia. Scusa se non sono spensierato come te, Gaia.- Lei rimase di sasso davanti a quelle parole. Perché glielo lesse in quegli occhi che fece fatica a riconoscere, Giorgio non era in sé. Il suo amico, quello vero, quello che era stato due giorni seduto ai piedi del suo letto mentre lei non parlava né piangeva, non le avrebbe mai detto che era spensierata.
Non disse nulla e lo vide andare via.
Lo seguì velocemente prendendogli di nuovo il polso e facendolo girare di scatto, tanto che dalla tasca della giaccia di jeans del ragazzo cadde qualcosa.
Prima che Giorgio riuscisse a fare qualcosa si chinò e raccolse l'oggetto.
Gaia si trovò tra le mani una siringa e non capì.
Non capì, non volle capire e desiderò non essere lì.
Il ragazzo gliela strappò rapido dalle mani ma non riuscì ad allontanarsi.
- Cos'è? Giorgio cos'è quella?-
- Non sono cazzi tuoi! -
- Giorgio... Giorgio tu... no...-
Uno scatto d'ira partì dagli occhi di Giorgio e arrivò alle sue mani che, violentemente, si abbatterono sul collo della ragazza colpendola con un pugno.
- Via...! Gaia vai via! VIA!-
Lei, a terra, si trovò paralizzata dalla paura.
Fu da quella prospettiva che notò qualcosa di strano sul braccio di quello che era stato uno dei suoi migliori amici.
Rimase ferma e lo vide andar via bestemmiando e imprecando, buttando quella siringa maledetta tra dei rovi.
Gaia fu in grado di alzarsi solo parecchi minuti dopo, in lacrime.

                                                                                                                ****

La sera dopo aver parlato, se così si poteva dire, con Giorgio, Gaia era tornata a casa in lacrime e sporca di terra.
Sull'autobus praticamente vuoto non era stata vista da nessuno e anche a casa, per un fortuito caso del destino, era riuscita a sgattaiolare fino al bagno senza destare sospetti.
Aveva messo i vestiti nel cestone dei panni sporchi di corsa e si era buttata sotto la doccia per lavarsi e continuare a piangere in silenzio.
Pulita si era rivestita e guardata allo specchio.
E solo in quel momento si era accorta di un grosso livido sul collo, sicuramente opera della botta datale dal ragazzo.
Era andata a cercare in camera sua una sciarpa o un foulard per nascondere la macchia scura e poi aveva raggiunto la famiglia a cena.
Come era naturale le avevano domandato tutti e tre, madre, sorella e fratello, quella sera a cena da loro perché Elisa era fuori con amiche, per quale motivo tenesse il collo riparato e aveva inventato in fretta un fastidioso mal di gola dal quale desiderava guarire il prima possibile.
- Eppure oggi a pranzo stavi bene.- Aveva fatto notare Antonello.
- Sì, ma poi sono stata in giro e devo aver preso un colpo di freddo. Lo sai come va con queste mezze stagioni; ti svegli e sembra estate poi basta un attimo ed ecco che ti sei preso un'influenza quasi invernale. Anzi, per evitare questo me ne vado subito a letto. Domani devo studiare e non è proprio il momento giusto per ammalarsi, questo.-
Era corsa in camera senza dare a nessuno il tempo di replicare, lasciando anzi tutti stupiti.
Beatrice, che non capiva il comportamento della figlia, aveva mostrato un'espressione alquanto preoccupata e il ragazzo si era subito premurato di fare una battuta per scacciare i brutti pensieri della madre. - Secondo me più che malata quella è strana per amore. Dovevate vederla oggi mentre parlava di Fabrizio, sembrava una ragazzina.- Le due donne risero e, per un attimo, Patrizia si fece scappare il suo segreto, il ragazzo con cui si sentiva al telefono, Amedeo.
Ma non era ancora il momento, in casa Olivietti l'amore pareva star dando già troppi problemi.

                                                                                                                   ****

Il giorno successivo e tutti quelli a venire, però, Gaia non aprì un libro.
Rimaneva sola a casa sdraiata sul suo letto a ripensare a Giorgio o andava a lezione tornando coi quaderni dove solitamente prendeva appunti totalmente vuoti.
Svolgeva le sue attività quotidiane normalmente e nessuno aveva notato questi suoi cambiamenti, tanto che a casa la battuta di Antonello sulla sorella innamorata continuava a fornirle un ottimo alibi.
Ma l'amore, evidentemente, era qualcosa di molto diverso dalla famiglia, perché sul comportamento della fidanzata Fabrizio qualche domanda aveva cominciato a farsela, almeno dentro. A lei non era in grado di chiedere nulla, preoccupato dall'idea che potesse dire qualcosa di sbagliato, perché magari i pensieri di Gaia erano concentrati su suo padre o altro di cui lui non poteva capire.
In realtà, com'era ovvio, nella testa della giovane non risuonava altro che il nome di quello che un tempo era stato uno dei suoi migliori amici. E si accavallavano nella sua testa le immagini di un tempo che non credeva neanche più appartenente alla sua vita tanto appariva lontano.
Non aveva visto neanche Simone, nei giorni subito successivi alla tragica scoperta, e non sapeva bene come potesse affrontarlo.
Pensare a Giorgio come un eroinomane, un drogato, era come prendere una parte di sé e ucciderla a coltellate più forti ancora di quelle ricevute dopo la morte di suo padre. Perché tra i tanti motivi per cui il ragazzo poteva essersi allontanato quello non l'aveva mai minimamente sfiorata,neanche per un attimo aveva pensato che lui potesse aver fatto scelte simili. Così drastiche, così terribili.
Forse erano state quelle le paure di Simone all'inizio, quando la loro amicizia aveva cominciato ad incrinarsi irreparabilmente.
A quanto pareva lei, la ragazzina che temeva per la vita di suo padre magistrato e l'aveva fatto a ragione, aveva seguito fin troppo il suggerimento del fratello maggiore, il consiglio di non preoccuparsi. Se avesse fatto lo stesso con Giorgio le cose sarebbero andate diversamente, si diceva.
Di certo non sarebbe mai potuta intervenire sulle menti degli ancora ignoti assassini di suo padre, se lo ripeteva spesso in lacrime domandandosi perché senza risposta, ma magari convincere un amico a non fare cazzate tanto gravi sarebbe stato più semplice.
Oppure no, e se ne accorse quando realizzò che dopo quel giorno maledetto nulla aveva fatto per aiutare Giorgio.
Non lo aveva più cercato, non aveva domandato aiuto.
Si era chiusa senza che neanche gli altri lo capissero, cercando disperatamente di tenere per sé quel segreto.
Su di lei, di quel giorno, era rimasto ancora il segno sul collo.
Non passava, non voleva andarsene, quasi a ricordarle che qualcosa era successo e non poteva nasconderlo per tutta la vita.
A casa non ci facevano più caso; benché immaginassero tutti che il mal di gola le fosse passato si erano convinti che tra una cosa e l'altra Gaia avesse deciso di tenere il foulard al collo come accessorio.
Anche il fidanzato e gli amici la pensavano allo stesso modo, tanto che alla ragazza capitava di non ricordare neanche più la scusa inventata.
Faceva ancora strano vederla con la gola coperta a primavera avanzata a chi magari non la vedeva da un po' e doveva poi quindi credere alla storia del mal di gola, ma solitamente anche quelle persone non dubitavano troppo della versione di Gaia.
A meno che, come accadde il giorno in cui si incontrò con Simone per la prima volta dopo alcune settimane, quelle persone non fossero in grado di leggere ben oltre i suoi occhi.
Era successo un giorno dopo le lezioni, un pomeriggio in cui,
per caso, aveva detto lui, si era ritrovato dalle parti della sua facoltà e si erano incontrati.
Amici come ancora almeno loro erano si erano messi subito a parlare del più e del meno non facendo neanche caso al tempo passato lontani, approfittando anzi di tutte le cose che avevano da dirsi per stare insieme parecchio.
Avevano sfiorato spesso il discorso di Giorgio, a dire il vero, e altrettanto spesso il ragazzo aveva espresso le sue idee a riguardo in un crescendo di dubbi e accuse; prima lo aveva definito strano, poi voltafaccia, poi ancora strano e complesso da capire.
Un'ultima volta, continuando a parlarne seduti su una panchina, lo aveva chiamato addirittura pazzo.
Gaia aveva sempre fatto finta di niente, continuando a stare sulla sua posizione solita per cui era Simone il paranoico, ma a sentirlo definire in quel modo aveva fatto un'espressione angosciata e si era portata di getto la mano al collo.
Un'altra persona non avrebbe capito, ma davanti a lui si rese subito conto di essersi tradita.
- E questa sciarpa?- Le chiese Simone indicando dove si era appena toccata.
- Ho mal di gola.-
- A metà Aprile?-
- Perché, non si può?-
Lui scosse la testa, e alla fine la costrinse a toglierla, facendole mostrare il livido sul collo che malgrado il tempo passato pareva ancora fresco.
Che non avesse nulla a che fare con l'amore il ragazzo lo capì subito.
- Cos'è?-
- Non ti interessa!-
- Gaia chi è stato?!-
La ragazza si alzò di scatto dalla panchina iniziando a piangere e ripetere che fossero affari suoi.
- Giorgio, vero? È stato lui! È impazzito davvero, è stato lui?! Gaia guardami cazzo! È stato Giorgio a farti del male?-
Lei singhiozzò.
Si trovavano di nuovo entrambi in piedi, Simone rivolto verso la sua schiena con gli occhi rossi di rabbia e lei girata col volto nascosto e rigato dalle lacrime.
Aspettò che tacesse e poi si girò di nuovo verso di lui, piangendo forte.

Annuì debolmente a testa bassa.
- Simo... Giorgio si fa di eroina.- Disse buttandosi contro il petto dell'amico.

                                                                                                                         ****

La reazione di Simone alla notizia era stata molto peggiore rispetto a quella di Gaia.
Si era messo a piangere e aveva urlato forse al cielo, urlato come se non potesse essere sentito da nessuno quando in realtà intorno a loro continuava ad esistere un modo che osservava e non capiva.
Per farlo tacere Gaia lo aveva abbracciato, cercando da qualche parte quella forza d'animo che la vita le aveva insegnato avesse.
Erano rimasti a lungo abbracciati in lacrime sperando fosse solo un brutto sogno, un incubo dal quale si sarebbero risvegliati magari insieme a Giorgio sul lungomare di Loano.
Ma avevano riaperto gli occhi lì, davanti a una panchina a poche centinaia di metri dalla facoltà di lingue dell'università di Genova.
Simone si era dovuto sedere perché staccato da quell'abbraccio, lontano dal coraggio che gli dava stare tra le braccia dell'unica amica che gli era rimasta, non aveva neanche la forza di stare in piedi.
Gaia aveva fatto come lui ed era rimasta in silenzio tenendogli le mani.
- Sono... non lo so, cosa sono? Allibito, triste, deluso...- Aveva staccato una mano da quelle di lei e le aveva accarezzato il livido. - Vorrei solo sapere il motivo... -
La ragazza aveva continuato a tacere per alcuni istanti, rivivendo nella sua mente i momenti subito successivi alla scoperta.
Poi aveva trovato il coraggio di parlare e di raccontare di quel giorno.
- Quando ho visto la siringa cadere dalla sua tasca ho capito subito. È terribile... non avevo mai pensato a una cosa del genere eppure è bastato un attimo per capire tutto... come se quella siringa non fosse solo un... un oggetto maledetto, ecco, ma una spiegazione logica a tutta questa assurdità-
- Credevo di essergli diventato antipatico, Gaia. Mi sforzavo di odiarlo perché ero convinto che lui mi odiasse e invece...- D'improvviso la voce di Simone perse tristezza e assunse un tono rabbioso, di rabbia contro se stesso. - Studio medicina, cazzo. Potevo capirlo, dovevo capirlo...- Dalla rabbia ricominciò a lacrimare e iniziò a sudare come in preda a un attacco di febbre alta.
Fu istintivo per la ragazza scendere dalla panchina e stare davanti a lui piegata sulle ginocchia per guardarlo negli occhi che teneva ancora bassi.
- Non hai nessuna colpa. Abbiamo sbagliato tutti, non dovevamo lasciarlo andare così. Ma non hai colpe. Però l'hai detto tu, studi medicina... possiamo aiutarlo, vero?-
Tra le parole dell'amica Simone colse una preghiera.
Gli stava chiedendo di salvare una persona che fino a due ore prima era per lui morta, un'amicizia finita per sempre.
E invece, in quel momento, sembrava la cosa più preziosa della sua vita, come se sapere che qualcosa di esterno stava distruggendo Giorgio cambiasse di nuovo tutto.
Erano sempre lì, su quella panchina intorno alla quale si era consumato quel dramma assurdo.

                                                                                                                      ****

Più calmi, dopo aver discusso sul da farsi nell'immediato della consapevolezza, i due ragazzi avevano cercato una cabina telefonica e avevano chiamato le famiglie per dire che avrebbero cenato fuori.
Si erano presi una pizza al taglio veloce, in realtà, e poi erano andati al porto a chiacchierare.
Alla richiesta di salvare Giorgio che Gaia gli aveva fatto prima di cena Simone non aveva risposto in nessun modo.
Le avrebbe voluto dire di sì, naturalmente, ma qualcosa sulla droga la sapeva meglio di lei, ed era consapevole del fatto che avrebbe potuto aiutare Giorgio solo se Giorgio si fosse voluto far aiutare.
Non fece però in tempo a dirle che sarebbe dovuto andare a parlarci, perché Gaia gli disse spaventata di non andare a cercarlo.
Simone sospirò annuendo.
- Perché non mi hai detto nulla?-
Cercò di parlare con calma. Non voleva accusarla, immaginava benissimo cosa potesse essere passato nella mentre della ragazza quando aveva scoperto il fatto.
- Perché ero sconvolta, credo. E non sapevo bene cosa fare. Né sapevo come dirti ciò che era accaduto.-
- Tanto che l'ho scoperto per caso...-
Gaia era rimasta zitta appoggiata al ragazzo guardando verso il mare.
- Ti prometto che troveremo il modo per aiutarlo, Gaia. Ma dobbiamo essere coraggiosi, e se servisse parlarne con qualcun altro dovremmo farlo. Lo capisci, vero?- Le parlava come avrebbe parlato ad una bambina piccola, era vero, ma lei non replicava in nessun modo a quel suo atteggiamento. Anzi, in un certo senso le faceva bene sentirsi coccolata dall'amico in quel modo, farsi proteggere da quelle parole.
Aver diviso con lui le paure e le preoccupazioni, essersi aperta con Simone le aveva fatto bene. In fondo avrebbe dovuto farlo da subito, perché, malgrado tutto, era ancora certa che solo loro due conoscessero Giorgio tanto bene da poter fare qualcosa.
- Sai, sei tutto questo finisse, sei lui tornasse in sé, se smettesse con quella merda io non avrei il coraggio di chiedergli il motivo. Sarebbe come una piccola parentesi neanche importante della sua vita, un momento di errore da scordare.-
Simone non replicò alle parole dell'amica. Si capiva subito come per lei il discorso droga fosse una triste novità, qualcosa di cui conosceva davvero poco.
Lui, di certo più informato, sapeva benissimo che non sarebbe stato semplice, che Giorgio sarebbe stato sempre a rischio di ricadere in quello “sbaglio”, che non avrebbe mai dimenticato quel periodo della sua vita. E il tutto ammesso che ne uscisse, naturalmente.
Non voleva spaventare Gaia, non voleva metterla di fronte a una realtà terribile, possibile però non certa.
Portando a galla la verità su Giorgio davanti a lui Gaia aveva condiviso un segreto che tra loro neanche ci sarebbe dovuto essere, e chiedendogli di salvarlo gli aveva messo in mano più di una vita; quella del giovane, certamente, ma anche la sua, la vita di quella ragazza di nemmeno vent'anni già troppo provata dagli eventi.
Gli aveva detto che sarebbero dovuti essere coraggiosi, ed era vero, ma a Gaia Olivietti quanto coraggio il fato doveva ancora domandare?
- Non hai detto nulla neanche ad Antonello? O a Fabrizio, ad esempio.-
L'amica scosse la testa. - Antonello avrebbe potuto avere reazioni peggiori della tua, specialmente vedendo il livido, e Fabrizio Giorgio lo conosce solo per i nostri racconti. No, l'unico che doveva saperlo eri tu, forse subito.-
Simone le disse chiaramente di lasciar perdere le discussioni sul tempo, che forse il tempo era solo un'illusione e a contare erano i fatti.
Poi però butto un occhi sull'orologio al polso e realizzò che, per qualcuno, il tempo poteva anche essere reale.
- Ti accompagno a casa, è tardi per essere rimasti semplicemente fuori a cena.-Le aveva detto.
Erano rimasti ancora un attimo a parlare vicino al palazzo di Gaia, e lì per l'ultima volta in quella giornata lei era scoppiata in lacrime sfogandosi del tutto.
Simone aveva continuato a ripeterle di stare tranquilla perché avrebbero trovato una soluzione, ma più glielo diceva più si obbligava a non cadere nel tranello di quelle parole, a non credere anche lui alla piccola menzogna che cercava di far passare per verità al fine di non far soffrire l'amica.
Quando l'aveva vista calma aveva aspettato che salisse fino al suo appartamento e poi era andato via, ritornando dalla sua famiglia senza fare troppo in fretta.
Da quando le cose con Giorgio avevano cominciato a non funzionare aveva fatto il possibile per non pensare a lui.
Girare per Genova, se si metteva a rifletterci troppo, gli riportava alla mente troppi ricordi, proprio come Gaia gli raccontava di subito dopo la morte del padre.
Così continuava la sua vita facendo finta che nulla fosse, non pensando all'amico neanche passando davanti al locale dove avevano bevuto insieme l'ultima birra prima della maturità o al parchetto dove per anni avevano passato i loro pomeriggi.

Quella sera, per la prima volta, nel percorso da casa di Gaia a casa sua si era messo invece a contare quanti fossero i luoghi che gli riportavano alla mente gli anni di amicizia con Giorgio.
E si accorse che anche nel breve tratto che congiungeva le due abitazioni, andava a passo lento e non ci mise più di mezzora, il numero di posti in cui viveva il ricordo di loro due o loro tre era esageratamente alto.
Se non si fosse sforzato di dimenticare in quei mesi, quindi, avrebbe potuto anche fare qualcosa.
Si era arreso all'idea che le amicizie finissero così, dall'oggi al domani, indipendentemente da quanto potessero essere forti o durature.
Gaia di certo non lo aveva fatto, ed era per quello che aveva scoperto la verità, perché aveva avuto il coraggio di non cedere alla pigrizia di accettare il destino così come veniva.
Ma Gaia era una ragazza, una femmina, e probabilmente anche per quello non aveva voluto credere che una relazione potesse finire così, senza neanche un ciao.
In fondo lo ricordava bene, quando avevano cominciato a litigare lei aveva fatto il possibile per mettere qualche toppa a destra e a manca in quell'amicizia che non voleva si sgretolasse sotto i suoi occhi impotenti.
Altro che amicizia, però, perché quello che avevano scoperto si stesse distruggendo davanti a loro era proprio una vita umana.
Nel letto, mentre si addormentava, Simone provò a ripercorrere con la mente tutti i sentimenti che aveva provato nei confronti di Giorgio durante quella giornata. Prima di vedere la ragazza era stata la solita mancanza mascherata per bene da indifferenza, la convinzione che lui lo odiasse e che quindi tanto meglio neanche pensarci più a quell'infame.
Infame, voltafaccia, tutte parole che aveva usato per descriverlo prima di scoprire il livido sul collo di Gaia.
E allora erano subentrati la rabbia e l'odio vero, quello che si ha per chi fa del male a qualcuno che sia ama.
Ma poi le lacrime della sua amica, la confessione, un cambiamento totale di prospettiva.
I sentimenti negativi erano spariti, lasciando il posto alla disperazione, all'impotenza. Era riaffiorato un mai morto sentimento di amicizia e per la prima volta dopo chissà quanto tempo aveva avuto paura di perderlo.
Gli voleva ancora bene, quindi.
E non avrebbe mai smesso, neanche se fosse successa la più terribile delle cose.
Si ritrovò ingabbiato tra i suoi pensieri e la mezza bugia che aveva detto a Gaia.
Mentre chiudeva gli occhi si scoprì convinto che le cose sarebbero davvero andate bene, che sarebbe riuscito a far tornare Giorgio quello di prima.
L'illusione che quella notte gli conciliò il sonno sarebbe stata pronta a diventare la sua croce dalla mattina seguente, lo sapeva.
Ma realizzò che, almeno per quel momento, non gli importava.

                                                                                                                      ****

Il periodo immediatamente successivo alla scoperta per Gaia e Simone fu un'occasione di riavvicinamento.
Passavano a lungo il tempo insieme cercando di trovare qualcosa da fare per salvare Giorgio da se stesso o semplicemente per distrarsi dai brutti pensieri di quei giorni scuri.
Il ragazzo aveva trovato, dopo non pochi ripensamenti, il coraggio e le parole per chiedere a un amico recentemente laureato qualcosa in più su quello che poteva essere l'aiuto da dare a una persona immersa nel dramma della droga.
Non aveva fatto nomi e si era ben guardato dal far intendere che quella storia lo riguardasse il prima persona, e anche se quel suo interesse era apparso sospetto nessuno aveva fatto domande. Era poi riuscito a mascherare la ricerca disperata di informazioni con un dubbio, normale per gli studenti di medicina, sul percorso da intraprendere per la laurea specialistica. - Stavo pensando a qualcosa che riguardasse questo nuovo terribile fenomeno e volevo iniziare a capirci qualcosa.- Aveva detto.
Però le sue scoperte, per la maggior parte, le teneva per sé, non volendo ancora fa capire a Gaia quanto la situazione potesse essere complessa.
Lei, che da quando si era liberata del suo segreto aveva iniziato a vivere meglio malgrado le preoccupazioni, ricominciava a fare quello che faceva prima, accorgendosi di colpo di aver perso troppo tempo e di essere tragicamente indietro con lo studio.
Il giorno in cui, finalmente, si era rimessa sui libri con la determinazione necessaria a fare qualcosa si era ricordata di quando suo padre era morto e dell'importanza che in quel momento aveva avuto per lei riprendere subito le sue solite occupazioni. E così sarebbe stato anche in quel caso.
Il livido era scomparso, alla lunga, tanto che piano piano la ragazza aveva smesso di portare il foulard fino a che, per un buffo caso del destino, a Maggio le era venuta una forte influenza che l'aveva costretta prima a letto e poi a continuare nel tenere coperta la gola.
Nel vederla ammalata di quel periodo Beatrice si era spaventata parecchio, ma il medico di famiglia, che conosceva Gaia da ancora prima della sua nascita, aveva tranquillizzato la madre e prescritto alla giovane una cura che in poco tempo l'aveva rimessa in forma.
Nei giorni in cui era però stata costretta a letto Simone ne aveva approfittato per infrangere la promessa di non cercare Giorgio.
Non si era sentito un granché ad utilizzare il periodo di debolezza dell'amica per mentirle, era vero, ma ormai aveva fatto abbastanza ricerche sulla situazione in cui probabilmente era l'altro da sapere che l'unica strada possibile passava attraverso di lui.
Così, proprio come Gaia parecchie settimane prima, si era messo a ripercorrere coi piedi e con la mente la strada che tante volte aveva fatto assieme agli amici. Fino a casa di Giorgio, là dove aveva scoperto che la vita di Alfio si era spenta, dove per la prima volta aveva pianto senza vergogna davanti a quello che era il suo migliore amico.
L'erba era profumata e le piante in fiore, la zona di Genova dove viveva Giorgio si era riempita di colori e alti fusti che fornirono a Simone un ottimo nascondiglio quando, a poche decine di metri dal portone, si sentì prendere dall'ansia e decise di aspettare.
Doveva suonare o attendere di vederlo uscire di casa piuttosto che rientrare? E poi che avrebbe dovuto dirgli, di preciso? Che sapeva? Che lo voleva aiutare?
Pensò di andarsene, di ascoltare Gaia.
Si era portato dietro un coltellino svizzero di chissà quanti anni prima ritrovato per caso in camera sua, ma sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di usarlo contro Giorgio.
Rimase seduto su una panchina in mezzo al verde, con gli occhi fissi sullo scorcio di strada che vedeva dalla sua posizione aspettando, forse inutilmente, il passaggio del ragazzo per poi decidere cosa fare.
Il tempo passava lento in quell'attesa che cominciava a consumare Simone, riempendolo di dubbi maggiori ogni minuto che passava.
Continuava a guardare verso la strada ma nulla, non c'era anima viva che passasse per quella via.
Poi, ad un certo punto,sentì l'aria intorno a lui farsi pesante e la panchina sulla quale sedeva, mezza rotta, diventare più stabile.
- Mi fa piacere sapere che ti ricordi ancora dove vivo, Simo.- Il ragazzo si girò di scatto e vide al suo fianco Giorgio.
Per un attimo non riuscì a muoversi, preoccupato o spaventato, ma poi l'altro gli mise una mano sulla spalla e provò a tranquillizzarlo.
- Sto meglio di quando ho visto Gaia, non ti preoccupare.- Gli disse con un leggero sorriso.
Il respiro di Simone tornò lentamente regolare e pochi secondi dopo fu in grado di parlare.
- Come fai a sapere che so del tuo incontro con Gaia?- Disse. La domanda più stupida che potesse venirgli in mente, forse, ma non sapeva come altro iniziare un discorso.
- Non mi pare ci fossero molte altre alternative al perché tu sia qui, no? Lei deve averti detto cos'era successo e tu devi esserti ricordato di avere un amico in questa zona.-
Simone volse lo sguardo altrove. - Non mi pare tu ti sia ricordato spesso di noi, in questi ultimi mesi.- Rispose. Se ne pentì subito dopo, quando temette di averlo fatto sentire in colpa.
Ma Giorgio non diede molto peso a quella frase.
- Come mai non sei venuto con lei? Era spaventata?-
- Si trova a letto con l'influenza. E poi non voleva che venissi, a dirla tutta. Più che spaventata direi fosse preoccupata, angosciata. Non lo so....-
Il ragazzo evitò di nuovo di rispondere alla maggior parte dell'affermazione appena fatta. Dover pensare al male che aveva procurato alla giovane non gli faceva bene.
- Sei venuto qua senza il suo permesso?-
- Sì. E l'ho fatto anche tardi. Adesso è a posto ma prima, subito dopo la vostra discussione, aveva un livido sul collo che ti avrei ammazzato, Giorgio, ti avrei ammazzato a mani nude se ti avessi incontrato anche solo per caso.-
L'altro abbassò la testa e se la prese tra le mani poggiate sulle gambe.
- Lo so. Mi sarei ammazzato anche io in quel momento. Quella sera, precisamente, quando strano ma vero ho avuto un momento di lucidità. L'idea di aver fatto una cosa del genere a Gaia era... incomprensibile. Era come se non fossi stato io.
Ma da quel momento qualcosa è cambiato. Sto provando a smettere, Simone.-
Giorgio rimase in silenzio, Simone voleva parlare ma non gli uscivano parole.
Doveva credergli? Poteva fare affidamento su quelle parole?
Il ragazzo pareva seriamente dispiaciuto, il tono della sua voce era stato anche smorzato da un singhiozzo, ad un certo punto.
Era lì per quello, però, per dirgli che poteva rifarsi una vita lontano dalla droga, e sentire che già di suo voleva provarci non poteva che fargli bene.
- E... e come sta andando questo tuo tentativo?- Gli chiese quasi tremando, sussurrando le parole come se ci fosse qualcosa che non doveva rompersi.
- Sta andando Simo, sta andando. Forse se avessi proseguito gli studi starebbe andando meglio.-
Era vero quello che diceva il ragazzo, dall'inizio dell'anno accademico non aveva frequentato una sola lezione, figurarsi un esame.
Ma anche lì, tra i banchi dell'università, col passare del tempo Simone aveva smesso di accorgersi della sua assenza.
- Ti stai facendo aiutare, vero?-
Giorgio scosse la testa e Simone fu scosso da un brivido.
Stava affrontando davvero tutto quello in completa solitudine? Era preoccupante la cosa, a suo dire, perché poteva sbagliare, e in quella situazione uno sbaglio poteva essere l'ultimo.
- Farmi aiutare da qualcuno vorrebbe dire ammettere pubblicamente di essere un drogato. Perderei chi lo sa perché considerato infame e chi non lo sa per i motivi che puoi benissimo immaginare. Posso farlo da solo, davvero. Piano piano, ma posso farcela.-
Il ragazzo sospirò.
Era incastrato. Da una parte convincerlo con le cattive era impensabile e controproducente, dall'altra lasciarlo fare era come non far nulla.
Rimase zitto, ancora una volta spiazzato dalla vita.
C'erano così tante cose di cui parlare in quel momento, anche ben distanti dalla droga, che nessuno dei due fu capace di iniziare un nuovo discorso.
Giorgio voleva sapere qualcosa di Gaia e di tutta quella loro vita che si era perso, ma taceva temendo di apparire ipocrita o fuori luogo, mentre Simone continuava a domandarsi dentro per quale assurdo motivo il suo amico si fosse infilato in un giro simile pur non avendo il coraggio di esternare quella domanda.
Alla fine, dopo troppo silenzio, fu Giorgio a parlare.
- Mi ha fatto piacere sapere di non essere stato dimenticato, mi spiace solo che questo nostro incontro rimarrà per sempre segreto anche per Gaia, forse l'unica che ne sarebbe felice.-
- Già... Ah, si è fidanzata. Un ragazzo conosciuto in università. L'ho incontrato qualche volta, non è male.- Rispose Simone per dare una parvenza di normalità a quella conversazione.
- Sono contento, se lo merita.-
- Sì.-
I due ragazzi si alzarono quasi in contemporanea, perché le ombre iniziavano ad allungarsi e l'ora di salutarsi si stava avvicinando.
- Ti prometto di uscirne e di farmi vivo appena questo accadrà, davvero.- Disse Giorgio salutando l'amico.
- Allora ti aspetto il prima possibile.- Provò a convincerlo e convincersi Simone.
Si abbracciarono. Senza vergogna, senza timidezza. Chissà quanti anni era che non lo facevano.
Poi, senza neanche un vero e proprio ciao, ritornarono ognuno sulla sua strada.
Quell'incontro che non sarebbe stato mai esistito, finito su un tramonto di tarda primavera, sembrava anticipare una bellissima alba.

                                                                                                                   ****

Gaia si era ripresa dall'influenza e aveva ricominciato di nuovo la sua vita, che a quanto pareva era un continuo di stop e partenze.
Con Simone continuava a parlare di Giorgio e di come aiutarlo, ma quando ne discutevano, forse si sbagliava, le pareva di vedere una strana luce negli occhi del ragazzo.
L'amico manteneva il segreto ma non riusciva a mostrarsi felice, ogni tanto, quando riusciva a convincerla che potevano davvero aiutarlo.
Non si erano più visti ma Simone sapeva che c'era bisogno di tempo perché tutto andasse a posto tanto da far tornare il giovane insieme a loro.
Intanto era arrivata l'estate, a Genova.
Giugno era volato come tutti gli anni, non diversamente da quando andavano ancora a scuola e il primo mese di vacanza pareva durare un attimo.
Tutto il contrario di Luglio, che fu mese di esami tanto per loro quanto per Luisa e Fabrizio e parve lungo come un intero anno.
Il caldo soffocante non aiutava a studiare ma andare a cercare un po' di fresco al mare li deprimeva.
Alla fine avevano trovato un'ottima via di mezzo nella cucina di casa di Simone che, sita su una parte molto alta della città, riusciva a fornire ogni giorno parecchie ore a temperatura sopportabile.
Con molta fatica, parecchia disperazione e un pizzico di fortuna, però, erano riusciti bene o male a farcela tutti quanti, arrivando ai primi giorni di Agosto stanchi ma liberi anche per quell'anno dagli impegni che li legavano alla loro istruzione.
C'era da decidere, a quel punto, se fare o meno una piccola vacanza.
Ma tra chi lavorava e chi era troppo stanco per trovare un posto dove rilassarsi che fosse più lontano del lungomare genovese gli unici che erano riusciti a concedersela erano stati i due fidanzatini, che avevano lasciato Genova per Roma durante la settimana di Ferragosto.
Inutile raccontare della situazione che trovarono nella capitale, colma di turisti e cittadini tenuti a casa da motivi più o meno vari. Il caso non fu però un problema, a quanto raccontarono al loro ritorno, perché malgrado tutto erano riusciti a seguire il programma che si erano prefissati e a visitare ogni singolo monumento desiderato.
Per entrambi si trattava della prima volta nella città eterna ed era stato bello condividere quel momento.
Ritornati a Genova avevano ripreso a frequentare ognuno la sua compagnia di amici fino a fine estate, continuando a vedersi e amarsi, in ogni senso, ma senza rendere la loro una relazione esclusiva.
Gaia aveva passato parecchi giorni sola assieme alla sua migliore amica, raccontandosi ogni singolo dettagli della loro vita senza paura di essere giudicate ma solo con la voglia di riprendersi quel legame che la crescita pareva voler allentare.
Così la figlia del magistrato aveva scoperto che c'era un ragazzo parecchio interessato a Luisa e, fingendosi esperta per il modo in cui aveva fatto innamorare Fabrizio, le aveva dato qualche consiglio che di certo l'altra avrebbe messo in pratica appena sarebbero ricominciate le lezioni e si sarebbe rivista col giovane.
Una delle ultime sere di Agosto Simone aveva telefonato a casa di Gaia e aveva chiesto all'amica se non le andasse, la giornata seguente, di andare in spiaggia insieme.
Gaia, che stranamente per quel giorno non aveva preso impegni con Luisa, si dimostrò subito entusiasta.
Passarono insieme parecchie ore tra la spiaggia e il mare, parlando di tutto e soprattutto di Giorgio, entrambi sicuri che l'estate successiva sarebbe stato assieme a loro, finalmente pulito e pronto a ricominciare a vivere.
Simone continuava a custodire gelosamente il suo segreto ma iniziava a preoccuparsi; Settembre era alle porte e ancora nessuna notizia arrivava dal suo amico impegnato a combattere se stesso.
Era vero che le notizie brutte viaggiavano molto più rapidamente di quelle belle, che “!nessuna nuova buona nuova” ma nella situazione di Giorgio chi avrebbe potuto portare qualche cattiva notizia?
Simone spesso dormiva male la notte per via della preoccupazione. Solo che poi, quando la notte finiva, guardava Gaia e capiva che non poteva mostrarsi in quelle condizioni se davvero desiderava non agitarla.
Così anche quel giorno, mentre parlavano dell'amico, si era impegnato per non destare sospetti, scoprendo sempre meglio come si doveva essere sentita lei all'inizio di tutta quella vicenda.
A metà pomeriggio il cielo si era fatto scuro e gli uccelli avevano cominciato a volare basso, preannunciando un temporale dal quale non si sarebbe salvato nessuno se non si fossero allontanati in fretta dalla spiaggia.
Nella rapidità con cui si erano preparati ed erano corsi via, Gaia e Simone erano saliti sul primo autobus trovato senza fare caso al numero che portasse sopra.
Solo quando ormai erano parecchio lontani dalla spiaggia, in una zona che sembrava distante da quel posto anche climaticamente visto che il cielo era ancora azzurro chiaro, il ragazzo si rese conto di star andando verso casa di Gaia e non verso la sua.
- Dai, non ti preoccupare. Questo sarà uno di quei temporali estivi che in mezzora iniziano e finiscono, appena la situazione si calma torni da te, adesso ti fermi da noi.- Gli aveva detto lei semplicemente.
Scesi dalla vettura alla fermata giusta si erano accorti che il grigiore si stava espandendo anche sopra le loro teste.
Si mossero rapidi verso il palazzo di Gaia ma rimasero stupiti, perché proprio sotto il balcone della camera della ragazza, pronti a ripararsi da un eventuale nubifragio, si trovavano Beatrice, Antonello, Patrizia e la madre del ragazzo.
La più piccola dei fratelli Olivietti non capì immediatamente cosa stesse accadendo, ma a Simone corse un brivido freddo lungo la schiena.
A lui pareva una scena già vista, una scena che ogni tanto ancora sognava in incubi dai quali non era neanche più capace di scindere la realtà dei suoi ricordi dalla fantasia tragica della sua immaginazione.
E lo capì avvicinandosi sempre di più al balcone che gli incubi sarebbero cambiati e aumentati, da quel momento.
Antonello aveva in mano una copia del giornale cittadino e l'aria di chi doveva essere forte almeno per gli altri.
Le tre donne stavano una vicina all'altra in silenzio, squadrando i due appena arrivati e facendo intendere che i loro sorrisi si sarebbero presto spenti.
Il fratello maggiore sospirò poggiando una mano sulla spalla della piccola e fu allora, quando anche in Gaia si riaprì il ricordo di un momento terribile, che tutto acquistò un drammatico senso.
- I genitori di Giorgio lo stavano cercando da due giorni...- Provò a spiegare senza piangere. - E oggi lui è stato ritrovato su una panchina con un ago in vena. Nessuno ha potuto fare nulla, mi dispiace.-
Gaia e Simone non riuscirono neanche a guardarsi in faccia, lasciarono parlare le urla e le lacrime che non furono in grado di trattenere davanti alla frase terribile di Antonello.
Perché era vero, nessuno aveva potuto fare nulla.
Neanche loro.

                                                                                                               ****

Era scorsa la vita accanto a Gaia, a Simone e alle loro famiglie ancora una volta, quindi.
Lenta e inesorabile si era messa al loro fianco nei panni di quell'amico così problematico e poi li aveva lasciati proprio come con Alfio.
Un funerale con poche persone incredule aveva chiuso per sempre una pagina della loro vita durata quattordici lunghissimi anni.
Era stato quasi peggio della prima volta anche per Gaia, che se con grosse difficoltà aveva superato la perdita assurda di suo padre non si sentiva nelle condizioni di affrontare anche quel momento, quel dolore sordo che le era entrato nell'anima.
Buffo era pensare che entrambe le morti, entrambe le volte in cui la realtà si era scontrata con la sua volta, era successo sul finire di un'estate felice, in un giorno caldo e che nella sua prima parte si poteva considerare anche normale.
Chissà se la vita l'avesse fatto per darle sempre un'ultima gioia prima di distruggerla o perché, bastarda com'era, si divertiva a prenderla in giro.
Il giorno del quarto anniversario della morte di suo papà lei non aveva fatto altro che stare a letto in camera, incapace di reagire.
Era passato così poco tempo dalla scomparsa di Giorgio, appena una decina di giorni, che per lei ricordare tutto insieme il dolore dei suoi neanche vent'anni era troppo.
La mattina dopo però si era rialzata, di nuovo, ancora.
Il lutto aveva stretto il legame tra lei e Simone. Ma lui, oltre che col dolore, conviveva con i sensi di colpa per quell'aiuto che non aveva dato al suo amico.
Si era convinto davvero che ce l'avrebbe potuta fare da solo, che esisteva gente in grado di vincere da sola quel mostro.
Si era convinto, lo aveva fatto per sé, per Gaia e per Giorgio.
Si era convinto ed aveva sbagliato.
Un giorno, distrutto da quel pensiero, era corso dall'amica e l'aveva fatta scendere da casa.
Le aveva raccontato tutto, ogni singolo particolare del loro incontro e ogni pensiero che aveva fatto sull'amico da quel momento in poi.
Le aveva detto dei suoi sensi di colpa e della consapevolezza che in quel momento lei di certo lo stava odiando e ne aveva tutte le ragioni del mondo, ma le aveva anche spiegato la sua necessità di dire tutto, tutto una volta per sempre.
A qualsiasi prezzo, perché purtroppo a sue spese l'aveva imparato, per quanto la verità costasse il conto delle bugie era sempre più salato.
Gaia non aveva detto niente, l'aveva semplicemente stretto al suo corpo, nella speranza di non mandarlo via, mai.
Non le importava più nulla, arrivati a quel punto.
Erano rimasti solo loro.
Malgrado tutti gli amici che avevano e che avrebbero avuto continuando con le loro vite una parte dei loro cuori non si sarebbe mai aperta a niente e nessun altro.
Gaia, Simone, il ricordo e il dolore.

                                                                                                        ****


Appena due settimane prima di compiere vent'anni, un sabato, la ragazza aveva trovato l'amico in quello che un tempo era stato un campo da basket e che in quel momento altri non era se non un pezzo di asfalto rovinato e recintato con ai lati due strutture un tempo definibili canestri.
Era una zona di Genova periferica, povera, degradata.
Quando a casa di Simone le avevano detto che l'avrebbe probabilmente trovato lì si era stupita, ma poi si era ricordata della vicinanza tra quel luogo e la scuola media che aveva frequentato il ragazzo, capendo che in quel campetto distrutto doveva esserci qualche ricordo importante.
- Nessuno si aspetterebbe di vedere il figlio di un attore qui.- Aveva detto cogliendolo di sorpresa.
Lui si era mosso nella sua direzione e si erano seduti in terra a bere dalle bottigliette di coca-cola che la ragazza aveva portato con sé.
- Succedono tante cose che non ci aspettiamo.- Le aveva poi risposto. - Ad esempio quando giocavo qui con Giò non mi sarei mai aspettato tutto questo... ma poi che vuol dire figlio di un attore? Tu di chi ti senti figlia, Gaia Olivietti?-
Lei attese prima di rispondere, perché l'avvertì subito come una domanda difficile, di quelle piene di tranelli.
Riuscì a riorganizzare le idee, a rifare quella domanda al suo io più interno, poi se la sentì di parlare. - Sono figlia di mio padre, sicuramente, anche se manca da anni. Del suo affetto, dei suoi insegnamenti. Ma soprattutto credo, come tutti, di essere figlia del mio tempo, di questi anni maledetti che hanno portato via prima lui e adesso Giorgio. E tu?-
Ma il ragazzo non dette mai risposta a quella domanda, concentrato sulla frase appena detta da Gaia come fosse un passo del libro di testo prima di un esame.
- Vedi perché sono qui? Perché qui il tempo si è fermato a prima, a quando questi anni maledetti come tu li hai chiamati, e sono d'accordo con te, non erano neanche in vista e la felicità era una cosa semplice.-
- Sarebbe bello fermare davvero il tempo, ma non si può, Simo. Non in un campetto da basket della periferia di Genova distrutto dagli anni. Qui non sei fermo, qui sei solo invisibile agli occhi del mondo.- Aveva sospirato Gaia, che ormai da anni sognava il tempo rimanesse immobile ma aveva smesso di sperarci davvero.
- Invisibile? Nel senso che posso non essere visto qualsiasi cosa io faccia?-
- Probabile visto che qui non passa una macchina neanche a pagarla.-
- Quindi posso ridere, piangere, dimenticare di essere figlio di uno famoso, dimenticare che la vita fa schifo e fingere di essere qualcun altro?-
- Beh...- Gaia era rimasta stupita. - Ma che vuoi dire, scusa?-
- Che se non posso tornare indietro, se non posso fermare il tempo, se non posso riavere quello che ho perso mi va bene essere invisibile. Significa essere libero ed è tutto quello che mi manca. Fisicamente, moralmente.
Chissà quanto a lungo si è sentito invisibile Giorgio, cercando disperatamente risposte in qualcosa di troppo grande. Io non voglio fare i suoi errori, a me basta questo campetto. Ma concedimi di essere invisibile, Gaia.
E ti prometto che se è meglio della vita vera ti spiegherò come fare.-
La ragazza sorrise e raccolse il pallone che si trovava a pochi metri da lei.
Lo lanciò verso Simone. - Avanti, raccontami quanto è bello non esistere. Se è così diverso dal viver mentre siamo invisibili possiamo essere felici.-

_____________________________________________________________________
* http://it.wikipedia.org/wiki/Irruzione_di_via_Fracchia (se è troppo in alto nel testo è, per capirci, l'irruzione che portò alla morte di quattro terroristi di cui si parla a inizio capitolo.)

Spazio ;Sun

Sono in un ritardo assurdo, lo so. Ma è colpa della scuola, che impegnativa come è stata in queste settimane mi ha succhiato via tempo e anche salute.
Allora, io sono molto dubbiosa su questo capitolo, lo ammetto, ma lascio i giudizi a voi lettori che di sicuro saprete giudicare meglio di me. Francamente temo di essere sempre troppo veloce nelle narrazioni, ma lascio a voi i commenti di qualsiasi genere.
Spero vivamente si fosse inteso dall'inizio che questa non è una storia felice (oddio, non che lo siano molte mie storie) e quindi anticipo che anche sul terzo capitolo qualche fazzoletto andrà preparato.
Spero di postarlo entro il 19 perché poi (finalmente) dovrò fare un piccolo intervento e non so in quanto tornerò in forma per scrivere (si spera poco però!)
Niente, io vi saluto e vi mando un bacio enorme :) Finalmente è arrivato Giugno!
Alla prossima!


;Sun <3

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Epilogo - Genova, 2009 ***


Stu ténpu
Ch’u s’è pigiòu a beléssa e u nòstru cantu
E u l’à ripurtòu inderée sensa ciü un sensu
Ma òua che ghe vedemmu v Dumàn tüttu u cangiàa

Invisibili – Cristiano de André
(Questo tempo
Che si è preso la bellezza e il nostro canto
E ce lo ha riportato indietro senza più un senso
Ma adesso che ci vediamo
Domani tutto cambierà
)


Epilogo
Genova, 2009

L'età adulta, quella delle grandi scelte e dei grandi momenti, aveva colto Gaia e Simone impreparati nei giorni dei due lutti che avevano scosso le loro giovani esistenze.
A guardarsi indietro, arrivati ormai entrambi a quarantacinque anni suonati, vedevano netta la linea di confine tra quello che erano stati prima e ciò che erano divenuti dopo.
Ma si sentivano soddisfatti di loro nel pensare che, dopo tutto, non si erano mai dimenticati di essere se stessi, di inseguire i loro sogni e di cercare il loro posto in quel mondo che sembrava odiarli tanto.
Alla fine degli anni Ottanta Antonello ed Elisa avevano avuto il loro primo ed unico figlio, Alfio, Patrizia aveva sposato Amedeo ed era incinta della piccola Sara e anche Gaia e Fabrizio si trovavano vicini al loro sì definitivo.
Una mattina come un'altra, di quelle che ormai scorrevano troppo veloci tra un caffè al volo ed un ufficio o un'aula universitaria da raggiungere sempre troppo in fretta, i giornali titolarono dell'arresto di un gruppo terroristico di estrema sinistra e, due settimane, dopo il nome dell'assassino del procuratore Olivietti era noto a tutti.
Beatrice e i figli avevano seguito il processo e visto in faccia l'uomo che aveva distrutto le loro vite.
Nessuno di loro si era mai confidato con gli altri sui sentimenti che provavano quando si trovavano nell'aula di quel tribunale, che poi era lo stesso in cui Alfio lavorava e davanti al quale era stato ucciso, ma Gaia, proprio come aveva ipotizzato tanti anni prima, si era sentita del tutto apatica in quei momenti.
Aveva il cuore e l'anima pesanti, ma se le avessero chiesto cosa li riempiva non sarebbe stata in grado di dare una risposta.
Al termine del lungo processo, quando ormai Gaia si era sposata, l'uomo era stato condannato a diversi ergastoli, tra cui uno proprio per la morte del magistrato.
Con quelle sentenze il senso comune sperava di mettere fine a quel periodo oscuro che per troppo tempo aveva inghiottito il paese, ma chiudere in quel modo una parentesi tanto drammatica, andare oltre dall'oggi al domani, significava porre una barriera invisibile tra chi quegli anni li aveva vissuto solo tramite la televisione ed i giornali e chi, come la famiglia Olivietti, era stata invece, senza neanche volerlo, parte integrante di quella lucida follia tutt'altro che rivoluzionaria.
Nell'estate del 1989 Gaia e Fabrizio si erano sposati, in una calda giornata di fine luglio in una chiesa piccola e fresca sulle colline intorno a Genova, per poi cambiare completamente scenario per il pranzo, passato in riva al mare.
Era stata una cerimonia molto intima, vicino agli sposi c'erano state solo le famiglie e gli amici più cari
proprio come aveva fatto con Patrizia anche al matrimonio di Gaia era stato Antonello ad accompagnare la sposa all'altare.
Era stato un momento toccante, forse anche più delle promesse che quei giorno si erano fatti sull'altare.
Col tempo l'avevano capito tutti, purtroppo; avevano capito che l'assenza di Alfio non sarebbe stata forte nei giorni tristi come quello dell'anniversario della sua scomparsa, lo sarebbe stata nei giorni più felici.
Compleanni, matrimoni, anniversari, nascite, sarebbero stati quello i momenti in cui più di tutto avrebbero sentito la mancanza del Procuratore.

I tre figli, diventando a loro volta genitori, si erano spesso chiesti che nonno sarebbe stato quel padre affettuoso e mai troppo severo che loro avevano avuto la fortuna di avere vicino anche se per poco tempo.
Avrebbero raccontato ai loro bambini di lui, dell'amore che gli aveva donato durante quegli anni e del sogno di giustizia che glielo aveva portato via troppo presto.
Gli anni novanta erano iniziati, per l'Italia, nel peggiore dei modi.
Tolta la caduta del Muro di Berlino a novembre del 1989, fatto che aveva nuovamente sconvolto i fragili equilibri internazionali, il bel paese si era trovato ad affrontare il crollo dei suoi equilibri e dei partiti che per quasi quarant'anni avevano fatto il buono e il cattivo tempo.
Erano nati nuovi movimenti, venute fuori nuove personalità politiche, ma, con non poco qualunquismo e populismo, la gente continuava a dire che tanto non sarebbe mai cambiato nulla e, giusto per rendere questa una profezia che si sarebbe auto avverata, nessuno tentava mai di fare in modo di cambiar qualcosa.
Per la famiglia Olivietti, però, l'arrivo dell'ultima decade del ventesimo secolo era stata colma di gioia, perché tra il '92 e il '94 le due figlie erano diventate di nuovo o per la prima volta madri.
Gaia aveva avuto Claudio nel 1992 e Cristina due anni dopo, mentre Patrizia, aveva partorito per la seconda volta nell'anno di mezzo, dando alla luce due bellissime gemelle, Isabella e Martina.
A ormai quindici anni dalla morte del marito la signora Beatrice si sentiva nuovamente piena di vita circondata da tutti quei nipotini a cui dare affetto.
Erano rimasti tutti a Genova, vicini alla madre, ai ricordi e tra di loro, immersi in quotidianità perfettamente normali.
Coppie che si amavano, bambini felici, malgrado il pezzo di cuore che a ognuno di loro sarebbe sempre mancato si sentivano ancora vivi e in grado di continuare.
Simone aveva superato poco per volta il dolore per la perdita del suo migliore amico, rimanendo anche lui spezzato a metà.
Aveva inseguito i suoi sogni nel lavoro, sperando che tutto quell'impegno potesse toglierli il tempo per continuare a rimuginare su l'accaduto, e quando il pensiero si faceva troppo forte aveva sempre Gaia, che mai gli aveva negato un abbraccio senza timore né vergogna quando era stato il momento.
Era stato proprio lui il primo a sapere delle sue gravidanze, prima ancora del marito o di Luisa, che comunque che era rimasta la sua migliore amica.
Non era mai stata certa della correttezza di dire una cosa simile per primo ad un uomo che non era il padre del bambino, a dire il vero, ma di certe convenzioni sociali se ne era importata poco, ché Simone era stato al suo fianco nei momenti peggiori e si meritava di fare lo stesso in quelli migliori.

Il ragazzo diventato ormai uomo era stato felice di quel privilegio, ma poco per volta si era accorto di sentire la mancanza di una figura femminile al suo fianco, una donna che lo amasse e che, perché no, lo rendesse papà.
Non era mai stato però bravo a cercare, figurarsi a farsi trovare. E man mano che la sua migliore amica e suo marito si godevano la gioia di essere genitori lui perdeva le speranze.
Ma alla fine del 1995, per caso, era entrata nella sua vita Gloria, che aveva otto anni meno di lui ed era di origine fiorentina, con una forte C aspirata e dei luminosi ricci rossi.
Neanche lei cercava o trovava, soprattutto perché era oltremodo disordinata e di solito perdeva.
Simone era probabilmente stata la sua eccezione alla regola, perché neanche un anno dopo il loro primo incontro si erano sposati e il loro amore non sembrava volersi perdere.
All'inizio del nuovo millennio, finalmente, anche loro erano divenuti madre e padre, di Davide nel duemila preciso e di Giorgia tre anni dopo, chiamata così non certo per caso.
Dopo un'agonia più lunga di quella della migliore amica anche lui aveva trovato qualcosa che somigliava alla pace, un momento di gioia grande come gli occhi blu della sua bambina, presi da quell'oceano che Gloria teneva incastonato nel viso in due diamanti.
Malgrado i figli delle due sorelle fossero ben più grandi dei piccoli di Simone andavano molto d'accordo, soprattutto perché Isabella, Martina e Cristina non perdevano occasione per fingersi mamme di quelli che per loro erano come cuginetti.
Il dramma li aveva colpiti di nuovo pochissimo tempo dopo, però, quando Giorgia non andava ancora all'asilo e un controllo di routine aveva rilevato qualcosa di sbagliato nei seni di Gaia.
Una situazione impensata, inimmaginabile.
Interventi e cure avevano guarito la donna, era vero, ma dopo mesi che mai avrebbe voluto vivere, perché pensava di aver sofferto abbastanza, che lei e i suoi cari avessero sofferto abbastanza.
Ed evidentemente si sbagliava, evidentemente l'abbastanza non esisteva, non nelle loro vite.

Ma pazienza, si era detta, alla fine tutto era andato per il verso giusto e quello era l'importante.
I capelli che le pesanti terapie le aveva fatto cadere, quei bellissimi capelli neri identici a quelli che fino a pochi anni prima aveva la madre, erano tornati a crescere ordinati e curati come lei sempre li aveva tenuti.
Aveva ricominciato a lavorare, alla fine era riuscita a diventare insegnante di lingue alle scuole superiori, e aveva cominciato di nuovo a fare la mamma e la moglie, quei lavori tipicamente femminili per cui lei molto più di altre donne aveva una naturale inclinazione.
Perché ne era certa, per quanto la natura volesse diversamente non tutte erano fatte per quello.
La sua amica Luisa, ad esempio, che aveva preferito farsi una carriera in banca invece che una famiglia, anche se poi era nato Matteo e i suoi occhi quando parlava del figlio si illuminavano come pochi.
Simone aveva vissuto con apprensione la malattia della sua più cara amica, trovando anche quelle briciole di Fede in Dio che con gli anni aveva perso, pregando e chiedendo aiuto perché forse lui non era un bravo Cristiano ma lei sì, lei doveva smetterla di soffrire in quel modo atroce, atroce come la sua malattia, e ricominciare a vivere. Ancora una volta.
Era durato tutto pochi mesi, era vero, ma quanto lunghi era apparsi a Gaia e i suoi cari, quante giornate erano sembrate senza fine tra le visite, le analisi, le cure e i momenti in cui la donna era stata male, malissimo.
Per Patrizia, Antonello e Beatrice era poi stato ancora peggio, si erano così illusi di poter vivere una vita normale ed erano invece stati nuovamente presi in giro dal fato.
Fino alla guarigione, però, perché poi avevano riso di quel destino beffardo che aveva provato a separarli ancora ma no, non ne era stato capace.
Gaia aveva festeggiato nel vero senso della parola la sua fine di quella storia, con gli amici ma soprattutto con la famiglia, con Claudio e Cristina che avevano avuto fin troppa paura di perdere la loro mamma.
Ma era finita, per fortuna.
E non sarebbe ricominciata, non doveva farlo.

*****

A Febbraio del 2009 Genova era stata ricoperta da un'abbondante nevicata, tanto che per limitare problemi e pericoli un pomeriggio tardi la giunta comunale aveva deciso di chiudere le scuole per i due giorni successivi.
Si aspettava per le quarantotto ore seguenti una diminuzione delle precipitazioni, e se non c'erano stati grandi disastri fino a quel momento nessuno capiva perché rischiarli appena prima e condizioni meteo tornassero alla normalità.
Claudio e Cristina non avevano potuto essere più felici, anche perché erano impegnatissimi in una partita uno contro l'altra alla playstation e avere due giorni completamente liberti per fare solo quello non gli dispiaceva affatto.
Per Gaia, invece, non c'era stata differenza; il primo di quei due giorni lo aveva comunque preso di ferie per motivi personali.
Si era alzata con calma e sempre con la stessa tranquillità si era preparata per uscire.
Era ben coperta, il freddo fuori era ancora pungente, e aveva scelto una grossa borsa, ben più grande di quelle che era solita utilizzare.
Quando aveva lasciato la sua abitazione i figlie erano in pigiama ma già davanti la televisione e il loro videogioco. Di solito li avrebbe rimproverati, malgrado fossero ormai abbastanza grandi entrambi, ma quella mattina aveva altro per la testa.
Aspettò con pazienza i mezzi pubblici, rallentati anche loro da quel meteo terribilmente nordico, e quando finalmente arrivò l'autobus che attendeva si trovò a dover viaggiare in piedi in mezzo all'umanità più varia e ad acqua, neve e fango che si mischiavano sul pavimento della vettura.

Si portò la sciarpa in alto sul viso, fino a coprire bocca e naso, tenendosela stretta davanti alla faccia nella speranza di non respirare qualcosa di sbagliato. Quel viaggio le era parso lungo un'eternità, eppure erano i soliti quindici minuti, forse qualcuno in più per via del traffico e della strada scivolosa.
I soliti quindici minuti, quelli che separavano casa sua da casa di Simone, il luogo in cui era diretta.
Qualcuno avrebbe pensato che a lungo andare i migliori amici di un tempo fossero diventati amanti, magari anche una naturale evoluzione di quel rapporto così spesso provato dagli eventi della vita.
Ma no, le cose non stavano così.
Gaia suonò e in breve si trovò davanti Simone, l'unica persona che voleva accanto in quel momento.
Migliori amici sempre, da piccoli e da grandi, nei momenti belli in quelli brutti.
Dalla grossa borsa con cui era uscita di casa la donna tirò fuori dei fogli dei quali si vedeva solo l'intestazione, quella dello stesso ospedale in cui quasi trent'anni prima era morto suo padre.
Lei non disse niente, lui non domandò niente.
Si limitò ad abbracciarla e a scaldare il suo cappotto di calde lacrime, lacrime che forse non doveva piangere ma che gli fu impossibile trattenere.
Amici nei momenti brutti, abbracci pieni di affetto anche quando si era più vicini ai cinquanta che ai quaranta.
La ragazzina figlia del Procuratore, divenuta ormai più che donna, aveva scelto di sprofondare in quelle braccia perché più di tutte la facevano sentire a casa.
Amici anche nei momenti brutti, pronti a sostenersi in quella vita maledetta ancora una volta.
Forse l'ultima.

****

Era tornato, il male.
Tornato con una violenza e una cattiveria - o forse sarebbe stato meglio dire
malignità – di gran lunga maggiore rispetto alla prima volta.
Diagnosi severa, era stato il primo responso dei medici, quello che Gaia aveva in mano a casa di Simone a Febbraio.
Severa nel senso che due giorni dopo era stata ricoverata e fin quasi ad Aprile non aveva più visto altro che non fossero le pareti bianche dell'ospedale.
Era tornata a casa poco prima del terremoto dell'Abruzzo.
Nuovamente era senza capelli, smagrita, col volto di un colore strano tra un giallo pallido ed un grigio.
Respirava solo grazie all'ossigeno, non era più autonoma nel farlo, e per i lunghi spostamenti aveva bisogno di una sedia a rotelle poiché le gambe, anche quelle sempre più fini, non la reggevano più.
Ma era raro ci fossero per lei lunghi spostamenti, tolti quelli verso l'ospedale, perché più il tempo passava più le veniva meno anche la semplice forza di pensare di uscire di casa.
La madre e i fratelli si alternavano per farle un poco di compagnia, anche se la signora Beatrice, ormai anziana, non aveva sempre il coraggio necessario a stare al capezzale della figlia.
Claudio e Cristina provavano a fare ciò che potevano, nessuno aveva nascosto loro la gravità delle condizioni della madre, sapevano che di lì a poco sarebbero potuti rimane orfani.
Come lo sapevano i cugini, naturalmente, e tutti quelli che li erano vicini eccezione fatta, per ovvie ragioni, per i figli di Simone, che volevano un gran bene a Gaia ma erano ancora troppo piccoli per sopportare una cosa del genere.
Anche se l'uomo aveva deciso che quando e se la situazione fosse degenerata avrebbe provato a spiegare ai suoi bambini cosa stava per accadere alla loro zia acquisita.
Fabrizio, forse il più coinvolto, ancora non si capacitava di come potesse essere accaduta una cosa simile.
Quando sua moglie si era ammalata la prima volta era stato un fulmine a ciel sereno, non aveva nessun tipo di sintomo, semplicemente era andata a fare un controllo ginecologico di routine ed era saltata fuori la notizia.
Era agli inizi e il calvario era stato corto e positivo.
Ma quella seconda volta no, non era andata così bene. Gaia aveva accusato parecchi sintomi e anticipato con urgenza i controlli che comunque doveva fare.
Aveva sperato fino all'ultimo che fosse un errore, che stesse male per altri motivi o che almeno si trattasse di un'altra brutta e dolorosa parentesi che sarebbe passata in fretta.
E invece no, malgrado ogni tentativo verso la fine di Maggio la prognosi era diventata quella che tutti temevano.
A Gaia Olivietti non rimanevano neanche sei mesi di vita.

****
Giugno era sempre stato un bel mese, anche perché era il mese in cui Gaia, Giorgio e Simone si erano conosciuti, il mese in cui arrivava definitivamente il caldo, iniziavano le scuole, si mangiavano gelati e si andava al mare.
Quell'anno era solo un mese, un mese in meno da segnare su un calendario che ufficialmente non c'era ma tutti loro avevano ben stampato nella testa e nel cuore.
È difficile vedere una persona che si ama muoversi per casa come un fantasma, parlare con una voce sempre più bassa, vederla dormire per la maggior parte della giornata con la paura che per qualche motivo smetta di respirare in anticipo rispetto a ciò che un medico o un altro hanno detto.
Claudio e Cristina non erano mai stati studenti modello, era vero, lui aveva appena finito il terzo anno di scientifico e lei il primo di pedagogico, ma quell'anno, nel secondo quadrimestre, avevano dato il massimo, ce l'avevano messa tutta per dare un'ultima soddisfazione alla loro mamma.
Era tutto ultimo, in quel periodo maledetto.
L'ultima soddisfazione, l'ultima estate insieme.
A volte quasi le dispiaceva di averlo scoperto così tardi, se solo avesse saputo l'autunno prima quanto il destino si sarebbe accanito ancora su di lei si sarebbe goduta sapendolo l'ultimo compleanno e l'ultimo Natale insieme ai suoi cari, ma forse era stato meglio che le cose fossero andate in quel modo.
Non ci sarebbe stata una reale gioia in una situazione simile, tanto meglio per chi rimaneva ricordare la sua felicità in un Natale come un altro, con la certezza che niente di male sarebbe potuto accadere.
Una mattina di fine Giugno, dopo aver parlato con il marito e le persone che curavano costantemente Gaia in quel periodo, Simone si era preso un giorno di ferie e aveva caricato la sua migliore amica in macchina per portarla a Loano, lì dove si erano incontrati da bambini.
La donna aveva trovato forse proprio nei ricordi la forza per andare, anche se non sarebbero potuti stare via molto, le sue condizioni erano quello che erano.
Non era una giornata calda, anzi, il sole sembrava quello di un giorno di fine inverno, ma meglio così, poiché in quel momento a lei giovava più un po' di freddo dal quale coprirsi per bene che il troppo caldo capace di toglierle l'ultimo briciolo di forze che ancora le rimaneva.
La spiaggia era deserta, si erano messi a diversi metri dalla riva su degli asciugamani, come se fosse una normale giornata al mare.
Lei non aveva avuto il coraggio di togliersi neanche le scarpe, le pareva che liberare anche solo un minimo il suo corpo dai vestiti ancora pesanti che lo chiudevano potesse farle chissà cosa.
Si sentiva così fragile in quei suoi ultimi mesi, fragile come i sorrisi che stava riservando al suo migliore amico così caro quella mattina.
Aveva l'ossigeno come sempre, e stava chiusa tra le braccia di Simone, non poteva guardarlo in faccia ma lo sentiva addosso a sé.
Era un abbraccio puro, il loro, talmente puro e casto da farle ricordare perché non avesse mai potuto pensare a lui come un possibile amante o marito.
Stare tra quelle braccia era come stare tra quelle di Antonello, Simone era per lei un fratello, un amore così grande da non poter essere semplicemente fisico né da poter essere dichiarato eterno da un contratto matrimoniale.
Non lo amava, il sentimento che provava per lui andava oltre.
E la cosa era reciproca, tanto che lui, forse egoisticamente, credeva che la sua sofferenza sarebbe stata maggiore rispetto a quella di Fabrizio, perché il marito di Gaia si sarebbe potuto innamorare ancora, ma lui un rapporto come quello che aveva con la donna non lo avrebbe mai più avuto con nessun altro.
- Te lo ricordi? È stato proprio su questa spiaggia che ci siamo conosciuti.- Le disse tenendola stretta.
- Già... Esattamente quarant'anni fa, no?-
Simone annuì.
Quarant'anni prima non avrebbero mai potuto immaginare come sarebbero andate le cose, erano solo bambini e come tali volevano vivere le loro vite felici, sognando un futuro simile ai lieti finali delle favole che ascoltavano prima di dormire dai genitori.
Invece le cose erano andate diversamente; prima il papà di Gaia, ucciso dall'assurdità di fare il lavoro sbagliato nel posto sbagliato quando lui voleva solo fare la sua parte nel mondo.
Poi Giorgio, portato via, forse, dalla sua solitudine, dall'incapacità di chiedere aiuto quando ce ne era bisogno.
E in fine lei, che ogni minuto che passava si avvicinava sempre con più consapevolezza al momento dell'ultimo addio.
- L'altro giorno pensavo che tra meno di tre mesi saranno già trent'anni che papà non c'è più... e io non sarò vicino a mamma, Antonello e Patrizia.
Anzi, forse loro saranno tristi il doppio perché non ci sarò più neanche io...- Sospirò facendo scendere qualche leggera lacrima sui suoi lineamenti del tutto scolpiti e sciupati dalla malattia.
- Ci sarò io, con loro. Te lo prometto.- Le disse Simone accarezzando con dolcezza il foulard con cui Gaia proteggeva il capo totalmente privo di capelli.
- Stai vicino ai miei piccoli... Hanno quell'età in cui ti senti grande ma... ma non lo sei, non abbastanza da superare certe cose. E sicuramente Fabrizio farà del suo meglio, è un padre meraviglioso, ma anche lui è distrutto da questa situazione e non credo possa aiutarli se non sa aiutare se stesso.-
La donna si strinse tra le spalle per farsi tenere ancora più stretta dall'amico, cercando protezione.
Quando suo padre era morto aveva quasi sedici anni, in quel momento Claudio ne aveva diciassette e Cristina quindici, sapeva benissimo cosa sarebbe stato per loro.
Anche se era diverso, era vero, perché in quei mesi avevano un minimo di tempo per realizzare cosa sarebbe accaduto, mentre lei non aveva avuto neanche quello.
Ma chissà se davvero ci si può abituare all'idea che una persona che si ama, un genitore, possa andare via per sempre.
Rimasero in silenzio qualche minuto, il rumore del mare e dei gabbiani bastavano, l'aria di salsedine la faceva sentire viva, più viva di come era stata negli ultimi mesi.
Quando Simone le aveva proposto di fare quella breve gita non era stata subito d'accordo, aveva avuto paura di non farcela fisicamente e mentalmente, perché pensare a tutto quello che avrebbe perso da lì a poco non le faceva piacere, anzi.
Eppure, mentre si trovava lì, a vedere uno dei luoghi che più le ricordava il periodo più bello della sua vita, dalla nascita all'omicidio di suo padre, si sentiva in pace, quasi felice.
- Ho tirato un bilancio...- Disse dopo poco. La voce era flebile, affaticata, ma se l'uomo le avesse detto che forse era il caso di andare a casa era certa che si sarebbe impuntata, stanchezza permettendo, per rimanere ancora un poco, proprio come se fosse stata ancora una bambina.
- Della... della tua vita?- Era difficile per lui parlare di quello che stava accadendo, di come di lì a poco Gaia non ci sarebbe stata più.
- Sì, e stavo pensando che forse non devo avere rimpianti, dopo tutto malgrado quello che è successo... malgrado i dolori tremendi che abbiamo sopportato credo di aver sempre avuto al mio fianco persone meravigliose.
Tu, mia mamma, i miei fratelli, mio marito e i miei piccoli... è grazie a voi che malgrado tutto sono ancora qui, anche se non per molto... forse il mio unico rimpianto è quello di dovervi lasciare...-

Simone ebbe un'immensa voglia di piangere, e per quanto si obbligò a non farlo non fu semplice per lui non lasciar scendere qualche lacrima.
La donna si voltò leggermente, facendo un po' di fatica, e questa volta fu lei ad abbracciarlo, a stringerlo forte per scacciare le sue paure.
- Andrà tutto bene, abbiamo già affrontato momenti simili ma ne siamo usciti, vedrai.-
L'uomo non rispose, si limitò a pensare che in quegli altri momenti terribili, ad esempio la morte del Procuratore o di Giorgio, erano in due, c'erano entrambi, mentre quando Gaia si sarebbe spenta lui sarebbe rimasto solo, per sempre.
No, non se lo sarebbe mai immaginato, quarant'anni prima, di rimanere l'ultimo sopravvissuto di quei tre bambini che giocavano su quella stessa spiaggia dove in quel momento, per l'ultima volta, la sua migliore amica si godeva l'aria pulita.

****


Furono costretti a muoversi verso Genova meno di un'ora dopo, quando la donna ebbe un violento attacco di tosse tanto che Simone le chiedette più volte se non fosse il caso di andare verso l'ospedale.
Ma lei era stata chiara, non c'era bisogno, semplicemente doveva riposare.
Avevano passato insieme delle ore meravigliose, probabilmente il suo ultimo ricordo migliore, però alla fine dovevano arrendersi allo stato delle cose.
Parcheggiò precisamente davanti casa sua e l'aiutò a salire.
Non c'era nessuno, né il marito né i figli, e l'uomo decise quindi di non lasciarla sola, non poteva permettersi che accadesse qualcosa.
Secondo Gaia tutte quelle sue attenzioni erano inutili, come lo erano quelle degli altri suoi cari. Benché facesse di tutto per non dimostrarlo lei soffriva, soffriva nel corpo nello spirito.
Quando chi l'amava provava a fare qualcosa per allungare anche di una sola ora la sua vita per Gaia era un dolore doppio, perché per quanto lo facessero per lei nessuno capiva davvero quale sofferenza fosse per lei continuare anche solo a respirare in quelle condizioni.

Naturalmente non aveva il coraggio di spiegarlo, sarebbe stato terribilmente doloroso per chi la assisteva e lei non voleva fare altro male a quelle persone che fino alla fine della sua vita avrebbe amato, e così si mostrava un minimo sorridente e felice di tutti quei tentativi vani anche più delle tremende terapie che fino a poco prima aveva continuato a fare.
Si sedettero nel salotto di casa, dove c'erano due grosse poltrone molto comode sulle quali la donna rimaneva spesso anche per riposare perché, oltre tutto, la tenevano alta e le permettevano di respirare meglio.
Parlarono un poco ricordando qualche vecchio aneddoto, erano successe così tante cose anche belle in quei quarant'anni.
Ricordarono Giorgio, i suoi modi di fare, il suo tono di voce che nella mente di Gaia non era mai sfumato.
Qualche volta le capitava anche di sognarlo, ancora così giovane, ancora così pieno di vita.
Si domandarono come sarebbe diventato se fosse sopravvissuto a quel mostro, se si fosse ripulito.
Per come era fatto sarebbe stato in grado di scherzarci su, prima o poi, Simone ne era sicuro, il suo migliore amico sarebbe stato così.
Non lo disse a voce alta, ma l'uomo si chiese anche che reazione avrebbe avuto Giorgio di fronte alla malattia di Gaia e alla sua ormai prossima dipartita, evento sicuramente ineluttabile a prescindere dal rapporto che l'altro ragazzo aveva avuto con la droga.
Forse sarebbe stato coraggioso, forse sarebbe scappato.
In ogni caso per lei sarebbe stato meno peggio averlo ancora vicino, non tenere ancora quel tremendo peso sul cuore.

Perché malgrado la maturazione e la crescita tanto Simone quanto la donna avevano continuato, anche inconsciamente, a sentirsi colpevoli di quella morte prematura e forse evitabile.

Mentre chiacchieravano il discorso cadde, e fu Gaia a farcelo cadere, sul dopo.
Non tanto su come sarebbero stati dopo i suoi cari e tutti gli altri, sapevano fin troppo bene cosa volesse dire sopravvivere a qualcuno, ma il suo dopo, l'eventuale vita dopo la morte.
- Sono sempre stata Credente e spesso ho parlato a mio padre, o anche a Giorgio, guardando il cielo. Solo che quando ti tocca in prima persona è diversa, la paura che dopo non ci sia nulla è orribile... Però sai, se qualsiasi cosa ci sia io potessi rivederli credo che sarei tranquilla, averli vicino mi basterebbe.
Ma è molto più probabile che... che saremo solo corpi... ossa... e poi polvere...-
Abbassò di nuovo la voce sulle ultime parole, stanca ed affaticata.
In quel momento rincasò Fabrizio, accompagnato da Celina, l'infermiera Sudamericana che si occupava di fare iniezioni e flebo all'ammalata.

Gaia fu portata in camera dal marito, doveva mettersi a letto e fare alcune flebo, i soliti medicinali ed antidolorifici che provavano a rendere meno dolorosi quegli ultimi mesi con i soliti pochi risultati soddisfacenti.
Simone la salutò dopo le pratiche mediche, baciandole dolcemente la fronte mentre Fabrizio abbassava le tapparelle delle finestre della stanza per consentirle di riposare in totale tranquillità.
I due uomini poi tornarono nel salone ma si diressero al tavolo, dove l'ospite si sedette aspettando che il padrone di casa prendesse da bere.
Benché prossimo a rimanere vedovo perdendo il più grande ed unico amore della sua vita non aveva mai pensato di darsi all'alcolismo, aveva Claudio e Cristina che ancora per poco avrebbe dovuto crescere e tutta la vita costruita assieme a Gaia non poteva essere mandata al diavolo solo perché il suo cuore avrebbe cessato di battere.
Anzi, se c'era un solo metodo, uno solo per farla continuare a vivere era proprio non dimenticare neanche per errore tutto quello che c'era prima e andare avanti come se lei fosse rimasta al suo fianco.
La formula canonica del matrimonio diceva “Finché morte non ci separi” ma lui era certo che il suo amore sarebbe andato ben oltre la semplice fine della vita fisica e terrena di Gaia.
Indipendentemente da cosa ci sarebbe stato dopo per lei.
Ma la situazione era complessa, difficile, dolorosa, e ogni tanto si concedeva un goccetto in più, magari in compagnia di qualcuno come in quel momento.
- Oggi è stata bene.- Raccontò Simone mentre bevevano. - Fisicamente, intendo, sembrava leggermente più in forze. Mentre mentalmente era proprio come rinata, questa gita deve averle fatto bene. Certo, il pensiero costante è sempre uno tanto per noi quanto per lei, e vorrei vedere, ma l'ho vista felice, felice come non era da tempo.-
- Spero solo che non ci siano effetti collaterali, il medico ha detto che ora l'unico rischio sono le infezioni che potrebbero...- Non era in grado di finire la frase, era bravissimo a girare intorno al fatto che sua moglie, la sua Gaia, presto non ci sarebbe stata più.
- Potrebbero peggiorare la situazione più in fretta?- Chiese Simone.
E quella frase era il modo meno doloroso di dire “potrebbe morire prima”, perché a quei livelli l'unico peggioramento ancora possibile era quello. Ammesso che a quel punto per lei smettere ogni sofferenza fosse davvero peggiorare.
Rimasero insieme ancora una decina di minuti e poi si salutarono, Fabrizio accompagnò l'uomo alla porta ringraziandolo infinitamente per ciò che aveva fatto quella mattina.
Non aveva mai visto Simone come un rivale in amore, ma come un aiuto per la sua amata sì, e in quel momento per la prima volta provava un minimo di gelosia, forse perché c'erano cose che Gaia era in grado di dire solo a lui.
Chiusa la porta di casa tornò nella camera da letto e si sdraiò accanto alla donna che già dormiva.

Non disse nulla, la accarezzò e basta.
Avrebbe parlato alle sue foto, alla sua lapide, al cielo convinto che potesse sentirla.
Ma il calore della sua pelle no, quello non lo avrebbe più avuto vicino.

****

Lasciata casa di Fabrizio e Gaia Simone si era diretto verso il lungomare, dove Gloria lo aspettava con i bambini per fare quattro passi e provare a distrarsi un minimo dai terribili pensieri che non lo abbandonavano mai.
Vedere i suoi piccoli lo rallegrò un poco e, per la prima volta dopo tantissimi anni, gli venne voglia di andare in un posto dove non tornava da tempo.
Caricò la famiglia in macchina e si diressero a Quarto dei Mille, dove avevano vissuto, lui, Gaia e Giorgio, la loro ultima giornata felice.
Portò Davide e Giorgia allo scoglio da cui erano salpati Garibaldi e i Mille, raccontando loro la storia dell'uomo che aveva unificato l'Italia.
Era stato lì con i suoi migliori amici per l'ultima volta poche settimane prima di smettere di parlare al ragazzo, pochi mesi prima di perdere per sempre una parte di sé.
Ricordava perfettamente come lui, Giorgio, avesse parlato di andare via, di salpare verso un posto migliore come Garibaldi.
Era paradossale che parlasse di lasciare l'Italia dal posto in cui l'Italia aveva cominciato a nascere, ma forse inconsciamente lui già sapeva che avrebbe lasciato la vita, non il suo paese, e quel posto migliore che cercava poteva essere quello dove alla fine era andato.
Dove chissà, forse presto l'avrebbe raggiunto anche Gaia.
Ripensò al discorso fatto con lei nel primo pomeriggio, a quell'idea che qualsiasi cosa ci fosse dopo le sarebbe bastato rivedere chi amava.
Non era male come idea, pensare che passava dalle braccia di chi amava ed era ancora in vita a quelle di chi amava ma non c'era più.
Razionalmente, per Simone, dopo la morte non c'era nulla, ma proprio nulla, eppure la possibilità di trovare qualcuno era rassicurante, e forse quando hai poco da vivere la razionalità lascia il tempo che trova.
- Papà, papà Davide ha detto che una volta vuole partire come Garibaldi! - Lo disse la bambina distogliendolo dalle sue riflessioni.
- E tu vuoi andare con lui, Giorgina? -
- No. Solo se ci siete anche tu e la mamma.-
Simone prese in braccio la figlia. - Ma quando tu e Davide sarete abbastanza

grandi da poter fare il viaggio di Garibaldi io e la mamma saremo vecchi e stanchi, non saremo forti come voi.-
- Sarai come la zia Gaia papà?- Chiese il bambino, che più della piccola aveva capito come la donna stesse male.
- Non lo so.- Sospirò l'uomo.
- Ma è vero quello che ci hai detto? Che forse non la vedremo più?-
Gloria rimase lievemente in imbarazzo, ai bambini era stato fatto un accenno della situazione ma loro sembravano aver capito più del dovuto.
Simone si avvicinò allora al cordone che separava lo scoglio da mare tendendo la bimba tra le braccia e il maschietto per dietro le spalle, facendo guardare entrambi verso l'immensa distesa azzurra che avevano davanti.
- Sì, è vero, presto la zia sarà per noi invisibile- Gli spiegò. - Ma, sapete, quando una persona è invisibile significa solo che non la possiamo vedere. Lei può ancora ascoltarci, ci possiamo parlare, e se stiamo ben attenti anche noi possiamo sentire quello che ha da dirci.-
- Quindi se noi da grandi faremo il viaggio di Garibaldi senza te e la mamma in realtà l'unica differenza sarà che non vi potremo vedere?- Chiese Davide.
- Sì, esattamente.-
- Allora va bene, forse.- Disse Giorgia stringendosi al padre.
Gaia presto sarebbe diventata invisibile, era vero.
Non avrebbe più visto la sua migliore amica, avrebbe perso quell'abbraccio che per quarant'anni era stato sinonimo di casa.
Forse, come sperava, lei avrebbe rivisto il suo adorato papà e il suo carissimo Giorgio, forse c'era davvero qualcosa dopo.
Avrebbe rivisto chi amava e tutto sarebbe andato bene per lei, no?
Simone e tutti quelli che rimanevano avrebbero dovuto farsi forza pensando che non vederla e non toccarla sarebbero state le uniche differenze, che l'amore tra loro sarebbe rimasto sempre immutato.
- Papà se tutti quelli che vanno via alla fine diventano invisibili non è che poi c'è un posto dove gli invisibili possono vedersi tra loro?- Domandò Giorgia forse perdendosi tra le sue parole.
Era un suo concetto di Paradiso, probabilmente, e Simone l'abbracciò forte rispondendo di sì.
- Allora dobbiamo solo aspettare. - Disse la bambina. - Non è vero che non la vediamo più, dobbiamo solo aspettare di essere anche noi invisibili.-
L'uomo sorrise.
Era certamente così.
E chissà, forse solo loro non potevano vedere ma lei avrebbe potuto continuare a stargli dietro ovunque, forte proprio della sua invisibilità.
Tornarono indietro passando per Piazza Crispi, dove avevano salutato per l'ultima volta il Procuratore.
Simone rimase alcuni minuti a guardarla e pensò a quella mattina di settembre di trent'anni prima.
Ripensò alle ultime parole di Alfio Olivietti.
“Trattatemela bene, è l'unica che ho ancora piccola.”
Sorrise.
“L'ho fatto fino alla fine, dottore.”
pensò dentro di sé. “Se qualcosa ho sbagliato un giorno potrai dirmelo. Ma prima me la farai abbracciare. Di nuovo, ancora.
Non c'è niente di brutto nell'essere invisibili, basta non esserlo da soli.
E no, non lo saremo mai più”.


Fine.

Sarà quando quell'ultima volta
che la vedi e la senti parlare
quando il giorno dell'ultima volta
che vedrai il sole nell'albeggiare
e la pioggia ed il vento soffiare
ed il ritmo del tuo respirare
che pian piano si ferma e scompare.

Francesco Guccini – L'ultima volta

_______________________________________________________________________
Si sono in ritardo di tre mesi, lo so, ma ero stanca distrutta prima quanto dopo l'intervento e quindi tra una cosa e l'altra ho fatto passare l'estate, perdonatemi.
Allora, ultimo capitolo, come avevo preannunciato gonfio di una sua tristezza e sì, lo so, sono una brutta persona :( ma eravate stati avvisati.
Sinceramente il finale non mi piace troppo, lo avevo in mente per bene e me lo sono scordata -.-” ne ho praticamente scritti tre diversi e questo è stato quello che ho preferito, nella speranza possa piacere anche a voi.
Spero che non abbiate pianto troppo (fatemi sapere u.u) e che malgrado tutto la storia vi sia piaciuta.
Io vi ringrazio tantissimo per essere arrivati fino a qua e vi invito ad ascoltare le due canzoni citate, Invisibili di Cristiiano de Andrè e L'ultima volta di Guccini, che credo sia una canzone adatta a riassumere l'intera storia di Gaia.
Per il resto vi ringrazio ancora moltissimo per tutto, soprattutto per la pazienza dell'attesa e la sopportazione della tristezza, e vi abbraccio fortissimo.
Un grosso bacio a voi tutte/i


;Sun

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2604805