Flyin’ high - Il volo del Canadair di Yellow Canadair (/viewuser.php?uid=444054)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ragazze di campagna ***
Capitolo 2: *** Fucili nella notte ***
Capitolo 3: *** Sguattera, prigioniero e carceriere ***
Capitolo 4: *** Il marchio dell'assassino ***
Capitolo 5: *** La ladra delle Sabaody ***
Capitolo 6: *** Ultimo minuto ***
Capitolo 7: *** Il volo del Canadair ***
Capitolo 8: *** Non vi lascerò morire! ***
Capitolo 9: *** In a yellow submarine ***
Capitolo 10: *** Il passato di Lilian Rea Yaeger ***
Capitolo 11: *** L'aviatore, l'Imperatrice, il Regino e il Cavaliere ***
Capitolo 12: *** Le minacce, le carezze ***
Capitolo 13: *** Le musiciste di Amazon Lily ***
Capitolo 14: *** Baciami ***
Capitolo 15: *** Notte di Festa ***
Capitolo 16: *** La danza dei bambini neri ***
Capitolo 17: *** Arrivi e partenze ***
Capitolo 18: *** Il prezzo dell'aviatore ***
Capitolo 19: *** Edward Newgate ***
Capitolo 20: *** Lilian, la cavia ***
Capitolo 21: *** Sete di vendetta ***
Capitolo 22: *** Tra sette giorni ***
Capitolo 23: *** Il Santuario dei Dannati ***
Capitolo 24: *** Il massacro di Foodvalten ***
Capitolo 25: *** Dressrosa ***
Capitolo 26: *** Battaglia alla Donquijote House ***
Capitolo 27: *** Grandi ali per scappare ***
Capitolo 28: *** Fuoco ***
Capitolo 29: *** Le lacrime e il Boss ***
Capitolo 30: *** Gol D. Ace ***
Capitolo 31: *** Flyin' high - eXtra! ***
Capitolo 32: *** Un alleato inatteso ***
Capitolo 33: *** Ritorno ad Alexandra Bay ***
Capitolo 34: *** Lezioni di volo ***
Capitolo 35: *** I fratelli Lehired ***
Capitolo 36: *** Uomini senza paura ***
Capitolo 37: *** Paul Blackwood ***
Capitolo 38: *** Epilogo: l'atterraggio del Canadair ***
Capitolo 1 *** Ragazze di campagna ***
Ragazze di campagna
-Moda! Che ci fai qui?- Era piena notte al villaggio Lanomì, una notte estiva con un cielo blu di velluto illuminato da una luna così piena da far impallidire le stelle, che riuscivano a luccicare tremolanti solamente dalla parte opposta dell’argenteo astro. Tutte le luci erano spente, i fattori e le loro mogli dormivano beati o cercavano di farlo, sfiniti dall’afa del periodo. Solo due luci erano ancora accese, in quella torrida notte: il pianoterra della fattoria sul fiume poco fuori dal villaggio, e la camera da letto della casupola sulla strada per raggiungerla. Una bambina a quell’ora tarda era schizzata fuori dall’edificio in legno e pietra sul fiume, e confidando nei raggi della luna che la guidavano per il sentiero aveva raggiunto l’altra casa e aveva bussato con foga alla porta. Saltellava sui piedini nudi tutta eccitata aspettando che le venisse aperto. Moda, questo il nome della bambina, era la proprietaria della fattoria e viveva da sola con tre fratelli più piccoli; aveva perduto i suoi genitori, ma non nel senso che erano morti: li aveva proprio persi, persi di vista, non sapeva dove fossero. Avevano semplicemente lasciato lì la propria progenie. Ad aprire alla bambina venne una ragazza sulla ventina, con i capelli scarmigliati e le pieghe del cuscino stampate in faccia: una insomma che, afa o meno, stava dormendo alla grande. Era Lilian Rea Yaeger, che abitava vicino al fiume e dava una mano ai quattro ragazzini. Moda la chiamava quando c’era necessità, e anche se era stanca, Rea cercò subito di togliersi la nebbia dal cervello per aiutare la piccola Moda. -Che vuoi, a quest’ora? Non ti senti bene?- biascicò inginocchiandosi. Anche lei era scalza, vestita con un piccolo pantaloncino azzurro e una magliettina altrettanto azzurra. -C’è un ragazzo, c’è un ragazzo, c’è un ragazzo!!!- Moda aveva detto quelle parole in crescendo, e l’ultima frase era quasi urlata. -Un ragazzo? Ma dove?- -Vieni, vieni, vieni!- la prese per un dito e la trascinò lungo il sentiero. -Aspetta!- protestò Rea. -Fammi chiudere casa.- Per precauzione Lilian prese anche delle armi con sé; in quel mondo violento e selvaggio, dove circolavano spesso individui senza legge e senza Dio, era più che naturale che si girasse armati, a maggior ragione se si viveva in case isolate. La morale comune condannava omicidi e violenze, ma allo stesso tempo li giustificava qualora fossero commessi a scopo di difesa. L'unica legge che vigeva e che tutti riconoscevano era quella del più forte. Chi era piccolo e indifeso come Moda dunque faceva affidamenti su qualcuno più forte, o, nel caso di Rea, che sapesse impugnare un fucile. Le due si incamminarono verso la fattoria. Sul greto del fiume c’era una figura informe riversa a terra alla luce della luna. Era un uomo trascinato lì dalla corrente del fiume. Moda si avvicinò trotterellando e allungando le mani verso spalle del naufrago, forse per tentare di girarlo. -Moda, no!- la fermò all’istante Rea, acchiappandola al volo per non farle toccare niente. -Fermati, non sappiamo se è morto o se possiamo fidarci. Rimani qui.- Poteva essere un naufrago quanto un cadavere orrendamente sfigurato di un povero diavolo assassinato, quindi meglio non far toccare nulla ad una bambina piccola, anche se probabilmente ci aveva girato già intorno abbastanza. Rea si avvicinò guardinga, dapprima senza toccarlo. Era un ragazzo, piuttosto giovane, forse anche più di lei, ma era alto e piazzato. -Ci sei, Moda?- richiamò la bambina. -Sì!- rispose lei. Lo girò sulla schiena e guardò se fosse ferito, sentì se c’era battito, e c’era, poi rovistò nelle tasche: poca roba, niente che lo identificasse. Carino. Gli mise due dita sotto il naso per controllare se respirasse, tutto regolare. -Moda, vai nella stalla e portami qui il ciuco.- -Lo portiamo a casa?- chiese la piccola. -Non possiamo lasciarlo qui.- spiegò la ragazza. -È tutto bagnato, lo sento anche un po’ caldo. Immaginate un po’ la fatica, per una ragazza e una bambina, di caricare un ragazzone di quasi un metro e novanta, tutto spalle e muscoli, su un ciuchino che fino ad allora aveva visto solo la propria stalla e poco altro! Vista l’impossibilità di portarlo al piano di sopra, composero un letto con la paglia, ci stesero su un lenzuolo pulito, e accomodarono l’ospite nella stalla. Per quella notte, Rea avrebbe dormito lì con i bambini: figuriamoci se li faceva stare da soli, indifesi, con uno sconosciuto! Lilian Rea rimase nella stalla con Moda, a controllare il nuovo arrivato. -Dici che sta bene?- chiedeva la bambina. -Credo di sì.- suppose Rea dopo avergli tastato il polso e ascoltato il respiro regolare. -Sembra stia solo dormendo.- Gli avevano tolto gli abiti bagnati e i pesanti scarponi, e gli avevano asciugato i capelli mori con un piccolo phon. Anche se faceva caldo, gli avevano messo addosso un lenzuolo leggero, visto che la stalla non era ben riparata come la casa, e la notte c’era una flebile brezza. Moda, pietosa e preoccupata, si era inginocchiata e aveva afferrato una mano al naufrago. -Ehi, ehi, Moda.- l’aveva ammonita la ragazza grande. -Lo so che l’hai trovato tu, ma potrebbe essere una persona cattiva, lo sai? Hai visto il tatuaggio che ha, potrebbe essere un pirata malvagio.- e aveva staccato la piccola mano da quella del ragazzo. -Aspettiamo almeno che si svegli.- le concesse. -Tu però gli hai accarezzato i capelli tutto il tempo!- ribattè la bambina. Rea divenne di fiamma. -Glieli ho asciugati!- si giustificò. -Ci ho messo le dita dentro per districarli, altrimenti come glieli asciugavo?- -Seee seee.- rispose beffarda Moda. Lilian, che era ancora in pigiama, chiese per favore a Moda se avesse qualche abito per lei, visto che non voleva lasciare la casa. La piccola la condusse nella camera patronale, ormai vuota, e aprì l’armadio che era stato della madre, e disse alla ragazza di scegliere quello che voleva tra i vestiti lasciati lì. Rea indossò una gonna lunghissima e ariosa di cotone bianco, che faceva la ruota girando, e una maglietta che le lasciava scoperte le spalle. Acconciò i lunghi capelli mossi con un foulard che aveva trovato in un cassetto, le cui code furono lasciate penzoloni lungo la schiena. -Ma come ti sei conciata?- chiese la bambina quando la vide scendere le scale. -Sembri una zingara! -A me piace.- ribattè Rea fulminandola. Faceva caldo, ed era la mise più adatta che fosse riuscita a metter su. L’educazione, ecco cosa mancava a quei quattro scalmanati, oltre ai genitori! All’ora di pranzo, quando il sole picchiava più forte e tutti i bambini erano sotto la quercia appena fuori la stalla ad aspettare che fosse pronto da mangiare, il ragazzo si svegliò, probabilmente attirato dall’odore che veniva dalla cucina che le porte della stalla, spalancate per far passare meglio l’aria, convogliavano. Nella notte Moda non aveva dormito, era rimasta al capezzale del ragazzo tutta ansiosa che si svegliasse, e i suoi fratelli la prendevano in giro. Rea supervisionava tutto, assonnata. Aveva svegliato gli altri bambini, preparato la colazione, assistito il naufrago che nella notte si era agitato di continuo, forse per il caldo, e aveva finito con il rovesciare per terra le coperte. Ora stava beato a pancia in giù, mezzo nudo e con la testa sprofondata nel cuscino, con le braccia e le gambe che si allungavano oltre il bordo del letto improvvisato. Al mattino, dopo la colazione, Moda si era addormentata vicino a lui, e Rea l’aveva presa in braccio e portata nel suo lettino. Le campane della chiesa stavano suonando mezzogiorno quando il ragazzo cominciò a mugolare nel cuscino. -Si sveglia, si sveglia!- sussurrò eccitata Moda. -Rimani dietro di me, Moda!- le ordinò Rea. -No, l’ho trovato io, ci voglio parlare io! -Potrebbe essere un assassino!- -Ma non vedi che ha la faccia buona!?- rispose la bambina. Persino i tre fratellini sotto la quercia osservavano curiosi la scena. Nemmeno a Rea sembrava un delinquente, ma non poteva certo correre rischi, con quattro bambini. E il fatto che un ragazzo fosse carino non escludeva che potesse essere un rapinatore o un assassino. Finalmente le pesanti saracinesche che celavano le iridi del ragazzo si sollevarono, e due occhi neri e lucidi come l’ossidiana scrutarono pigri la vecchia stalla. Il ragazzo sbadigliò, abbracciò il cuscino e con gli occhi piccoli dal sonno si issò a sedere sul letto. Così seduto, sembrava molto più grosso di quanto non sembrasse nella notte: aveva certe spalle che avrebbe potuto prendere in braccio Rea, Moda e i tre fratellini senza problemi; la ragazza distolse a fatica lo sguardo dagli addominali scolpiti del ragazzo. -Ciao… come ti senti?- gli chiese senza avvicinarsi al letto. Il naufrago si guardò intorno, spaesato. Poi notò davanti a sé Rea che tratteneva Moda, sorrise. -Ciao!- le salutò cordiale. Moda, da che scalpitava per avvicinarsi, si nascose timidissima dietro la gonna di Lilian. -Tutto a posto? Ti abbiamo trovato sul greto del fiume stanotte.- spiegò Rea. -Io l’ho trovato.- puntualizzò una vocina dietro la gonna bianca. Il naufrago sorrise ancora, allungando il collo per capire da dove provenisse quella voce. -Ti ha trovato Moda.- si corresse Rea. -Eri fradicio, sembrava... che avessi bisogno di aiuto.- -Accidenti, devo essermi addormentato!- sorrise l’ospite passandosi una mano fra i capelli mossi e scuri. Il naufrago si alzò in piedi: era altissimo, Lilian non gli arrivava nemmeno alle spalle. Continuava a scrollarsi con una mano i capelli, e fece un mezzo giro su se stesso per ambientarsi, poi e si rivolse alle due ragazze sorridente. Moda spaventata si accucciò dietro le gambe di Rea, che invece rimase in piedi, fiera e dritta, ad osservare i movimenti del ragazzo; lui s’inchinò lievemente le fece il baciamano. -Grazie per avermi aiutato allora.- Moda fece capolino da dietro la gonna, e il ragazzo fece il baciamano anche a lei. Rea era molto impressionata dall’atteggiamento gentile e galante, la faceva andare un po’ su di giri, ma rimase con i piedi per terra. -Come ti chiami?- gli chiese. -Te l’avevo detto che era buono!- l’interruppe la bambina, ritornando dietro la gonna. Il ragazzo scoppiò a ridere. -Io non sono buono!- esclamò. -Io sono un pirata!- -Sono un buon pirata, ecco.- si spiegò, sedendosi di nuovo sul letto. -Io sono Lilian Rea Yaeger. Tu chi sei?- si presentò la ragazza avvicinandosi, lasciando Moda dietro di sé. -Portuguese D. Ace, capitano della II flotta di Barbabianca.- rispose lui sollevando il mento quasi in tono di sfida. Rea l’aveva sospettato, gli avvisi di taglia circolavano come i pettegolezzi, giù al villaggio. Ma furono interrotti dall’arrivo di un piccolo branco che svolazzò incuriosito verso il pirata: -Davvero sei nella flotta di Barbabianca?- -Sei un pirata vero? -Quanti Marines hai ucciso?- i tre fratelli erano sciamati sul letto e avevano cominciato a coprire l’ospite di domande, tutti eccitati. Incoraggiata dai fratellini, anche Moda aveva vinto la timidezza e si era avvicinata. -Ehi, voi, scendete di lì!- li sgridava Rea, ma non aveva molto ascendente sugli abitanti della fattoria: un fratello aveva fatto girare il capitano e stava ammirando l’enorme tatuaggio baffuto che aveva sulle spalle percorrendolo con le manine sporche di terra, un altro era riuscito ad arrampicarglisi in testa. -Ma la volete smettere!?- li strigliava Rea riprendendo il diavoletto dalla testa del pirata, che rideva a crepapelle. Visto che non aveva molto effetto, si rivolse direttamente al ragazzo. -Capitano.- disse adattandosi alla nuova rivelazione del pirata. -Vuole mangiare con noi?- -Solo se mi dai del tu.- sorrise lui. -E se mi chiami Ace.- disse alzandosi dal letto e lasciando a terra tutti i bambini. Dopo pranzo tutti i fratellini uscirono fuori a giocare per le campagne, e Rea, felice di esserseli tolti per un po’ di torno, rimase a pulire la cucina. -Come mai da queste parti?- chiese al pirata pulendo i fornelli. -Il mare è abbastanza lontano da qui. -Ho lasciato la mia ciurma- spiegò -Per andare a caccia di uno dei miei sottoposti, ha assassinato un altro capitano della flotta.- Rimase pensoso a sorseggiare il caffè che Lilian gli aveva offerto. -Era sotto la mia responsabilità, e ora se l’è filata.- concluse amaro. Anche Rea si sedette al tavolo a bere il caffè. -Dev’essere dura con quattro figli!- osservò Ace sorridendo e spostando il discorso dalla sua storia; a Rea finì il caffè di traverso, e lui le assestò una pacca sulle spalle che per poco non le fece sputare tutto il pranzo. -Non sono miei!- boccheggiò ridendo. -Grazie.- disse prendendo il biccher d’acqua che Ace le porgeva. -Io sono la vicina di casa.- spiegò. -Non vedi che sono troppo grandi per essere miei?- rideva ancora. -Io non me ne intendo mica!- si difese lui. -E i genitori? -Sono scomparsi.- disse Rea ricomponendosi. -Mi dispiace, scusa…- -No, non sono morti, almeno non dovrebbero. Sono scomparsi, non abbiamo loro notizie. -Vi siete rivolti alla Marina? Rea lo guardò divertita inarcando un sopracciglio: un pirata ricercato che le dice di rivolgersi alla Marina? -Certo, ma non hanno fatto niente. Sono troppo impegnati con i pirati, per trovare i genitori di quattro pesti.- disse, tra il serio e il faceto. Moda trotterellò dentro casa in silenzio, si mise in testa il grosso cappello da cow-boy arancione del pirata che stava posato su una sedia e s’incamminò disinvolta verso la sua cameretta. -Fermati tu!- la inseguì il pirata, giocando. Rea lo lasciò fare, ridendo mentre Ace sollevava la bambina e la lanciava in aria riacchiappandola al volo. Aveva ragione però, quei bambini dovevano ritrovare i loro genitori… ma lei, Rea, che ci poteva fare? -Adesso devo andare.- annunciò, tornando verso la ragazza reggendo Moda, con la testa sparita nel suo cappello, su una spalla. -Di già?- chiese la sua vocina, emergendo dal cappello e afferrando con le manine i capelli mori di lui, senza tirare. -È stata solo una pausa.- spiegò il pirata rimettendola a terra. -Una bella pausa, ma adesso devo rimettermi in viaggio.- terminò guardando Lilian. Lilian e Moda gli prepararono un po’ di roba da mangiare sulla via, e dopo poco lui le stava già salutando. -Ciao Lilì, grazie di tutto.- disse sulla porta. Poi s’inginocchiò per salutare Moda, che si stringeva al gonnellone di Rea sull’orlo delle lacrime. -Ehi, non fare così.- le bisbigliò dandole un buffetto. -Ci rivedremo presto!- -Davvero?- chiese la bambina. -Beh, forse non presto, ma sicuramente ci rivedremo!- le rispose il pirata, ottimista. Quando Moda vide sparire oltre la collina il grande cappello di Ace che ballonzolava al passo del pirata, si staccò come una furia dalla gonna di Lilian che era rimasta lì fuori con lei e scappò dentro casa; la ragazza si aspettava una simile reazione da parte della piccola, e decise di lasciarle spazio. Povera Moda, che a meno di dieci anni si trovava abbandonata dai genitori a gestire una latteria, senza altro supporto che una perfetta estranea. In quelle poche ore si era ripresa con la forza quell’infanzia che le era stata strappata dalla partenza improvvisa della mamma e del babbo, aveva giocato con i fratelli e finalmente si era sentita al sicuro, protetta dai due giovani adulti che erano con lei a casa. E adesso? adesso il pirata era partito, e con lui era andata via anche quella magica bolla di sicurezza e tranquillità. Certo, Lilian era una ragazza gentile, la aiutava spesso e volentieri come poteva, ed era anche forte, come quando portava loro la legna o quando aggiustava le imposte della casa se il vento le aveva scardinate, però quel ragazzo le aveva dato davvero l’impressione che in quella casa ci fosse una vera famiglia. Ecco cosa voleva: lei rivoleva indietro la sua famiglia. Rea rimase al mulino anche quella notte, dormendo con Moda che non si dava pace per la partenza del “suo” pirata. Erano andati tutti a letto da poco, quando un rumore fece sobbalzare Lilian. -Lilian, che c’è?- mormorò Moda. -Zitta.- le ordinò la ragazza. Scese dal letto in punta di piedi e scese le scale per andare dabbasso: c’era qualcuno nella stalla, dalla quale si poteva entrare in casa attraverso una porticina. Voci maschili. “Dove sono le stanze da letto?” “Sopra!”
Dietro le quinte della storia... Grazie per aver letto il primo capitolo! cominciamo a svelare qualche segreto sull'elaborazione della trama... focus on: LILIAN REA YAEGER. Il cognome "Yaeger", viene preso in prestito dai libri di Clive Cussler: Hiram Yaeger è un genio del computer che appare in molti suoi romanzi. Il doppio nome della protagonista è dovuto al fatto che in una prima stesura doveva avere il secondo nome puntato, come molti personaggi di One Piece in cui compare la D., poi però ho voluto chiamare la ragazza come una delle guerriere Sailor nella versione italiana (non me ne vogliano i fan della versione originale!). Il nome Lilian invece viene da "Lilì", come viene soprannominata da Ace, e compare in una vecchia canzone del Quartetto Cetra, "Musetto". Il titolo, "Flyin' High", è invece una canzone di Kid Rock. In questa storia inoltre ci saranno -in minima parte- alcuni oggetti legati più al nostro universo che a quello di Oda... ma non posso svelare nulla di più! Tutti i personaggi (salvo Lilian Rea Yaeger ed altri che specificherò strada facendo) appartengono ad Eiichiro Oda! Spero che la storia vi sia piaciuta e che il primo capitolo vi abbia intrigati, mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate! ^^ lasciate un commentino per favore, anche le critiche (piovono pomodori!) saranno ampiamente apprezzate! Yellow Canadair
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Capitolo 2 *** Fucili nella notte ***
[zipedit] Fucili nella notte Theme song: "For a few dollars more", di Ennio Morricone
“Dove sono le stanze da letto?” sibilò una voce. “Sopra!” rispose un’altra. Lilian impallidì stringendo di più il suo fucile: briganti. Che diavolo volevano? Quella era solo una fattoria con qualche mucca, lo sapevano tutti. Tornò in camera da letto e svegliò i bambini. -Ragazzi, svegliatevi, dobbiamo scappare!- -Che vuoi, Lilian?- mormoravano i fratelli. -Ci sono i ladri, muovetevi!- tirò via le coperte. -Datevi la mano, e non lasciatela! Prese i quattro bambini e corsero insieme giù per le scale, diretti in cucina dove c’era una porta di servizio che si apriva sulla campagna. -Eccoli! Stanno scappando!- urlò una voce. -CORRETE!- urlò Rea ai fratellini. Corsero a rotta di collo via dalla casa, verso la campagna buia. All’improvviso echeggiò uno sparo, poi un altro. Le luci accese della casa si riversarono sul prato dal rettangolo della porta, illuminando per qualche secondo le gambe dei fuggitivi che correvano attraverso il mare d’erba a piedi scalzi, ignorando il dolore quando pestavano una pietra, spinti dalla paura e dall’istinto di sopravvivenza. -Correte avanti, non vi fermate!- urlò Rea lasciando le mani dei bambini. -Moda corri, portali via!- I quattro bambini scapparono dietro la piccola collina che stava alle spalle della loro casa, dietro la quale si estendeva una foresta fitta e buia. Avevano il divieto assoluto di entrarvi per giocare, ma Lilian sapeva perfettamente che i tre fratellini erano pratici dei suoi meandri oscuri e dei suoi alberi che offrivano riparo, frescura e divertenti arrampicate. Ma nonostante la loro vitalità, i diavoletti non ce la facevano a correre veloce quanto lei, quindi doveva fermare gli assalitori per recuperare un po’ di tempo; li avrebbe raggiunti dopo, quando il pericolo sarebbe cessato. Rea si stese ventre a terra su una cunetta appena i bambini furono fuori dalla portata delle pallottole. Fece scattare il caricatore del Winchester e sparò alcuni colpi d’avvertimento in direzione della casa. -Maledizione, era armata.- imprecò uno dei banditi riparandosi dietro allo stipite della porta di servizio, dalla quale voleva inseguire gli inquilini. Uno dei suoi tre compari aveva invece rovesciato il pesante tavolo e vi si era riparato dietro. -Lellan!- gridò rivolto al piano superiore. -Trovato niente?- Un altro cacciatore di taglie raggiunse la cucina, tenendosi al riparo dal possibile fuoco di Lilian. -La casa è vuota, sono scappati!- -Allora Portuguese sarà con loro.- ovviò il quarto bandito. -Potrebbe aver già tagliato la corda invece!- -Fa lo stesso, ci faremo dire dalla mocciosa dove sono andati quei quattrocentocinquanta milioni! Lilian rimase muta e immobile stringendo il suo fucile cercando di concentrarsi per sentire qualsiasi movimento proveniente dalla latteria. Se aveva sentito giusto, i malviventi erano troppi per lei e non ce l’avrebbe fatta a fronteggiarli in uno scontro armato; alla luce forse sì, ma nel buio non poteva fare altro che sparare alla cieca sulla casa, sprecando munizioni e non risolvendo nulla. Era inoltre ben conscia del rischio che correva rimanendo ferma lì, uno degli uomini avrebbe potuto aggirare la collina e prenderla alle spalle. Decise allora di muoversi, e raggiungere la foresta dove si erano certo rifugiati i bambini. Ma proprio in quel momento dalla casa partì una raffica di piombo che dilaniò l’aria con un fragore assordante e costrinse la ragazza a rimanere al coperto della sua cunetta. Lilian strisciò indietro per non rimanere allo scoperto mentre si rialzava e scappava da quella scarica di proiettili, ma quando si levò in piedi per correre verso gli alberi fu atterrata da un unico micidiale pugno che la colpì poco sotto l’orecchio sinistro e che per poco non le fece volare via la mandibola. -Ferma lì, dove pensavi di scappare?- disse l’uomo che l’aveva colpita, sollevandola poi tenendola per il bavero del pigiama e scaraventandola di nuovo a terra, e allontanando il fucile con un calcio. Lilian infilò lesta una mano sotto la camicia da notte ed estrasse una pistola che puntò contro l’assalitore, ma una canna fredda nella nuca la fece fermare di colpo. -Non ti conviene, mocciosa.- l’ammonì una seconda voce. -Siamo in quattro, tu una. Il tuo cannone non serve. GETTALO!- Lilian alzò le mani in segno di resa inginocchiandosi sul prato tenebroso mentre cercava di pensare rapidamente ad un modo per sfuggire alla situazione e sentiva chiaramente la rotondità della bocca della pistola premerle contro il cranio. Avevano fatto esattamente quello che temeva: tre di loro la distraevano sparando dalla casa mentre il quarto aveva fatto di corsa il giro della collina per intercettarla. -Tirati su, forza!- la strattonarono per un braccio. -Dove hai nascosto Portuguese? -È ripartito ore fa, idioti!- rispose la ragazza, squadrandoli. Uno schiaffo la colpì in pieno volto, lasciandola senza fiato. -Dov’è??- le urlò uno dei banditi, puntandole la fiaccola dritta in faccia. Rea sentiva il calore del fuoco, e il forte odore di alcol di quei ladri. Anzi, cacciatori di taglie. -Rea!!- Moda la raggiunse ansante dalla foresta. -Ti avevo detto di scappare!- gridò Rea mentre la bambina si buttò fra le sue braccia. -Basta!!- latrò uno degli uomini. -Dov’è Portuguese D. Ace?- domandò glaciale, facendo scattare il grilletto della sua pistola mentre qualcun altro sollevava Rea per i capelli strappandole un gemito di dolore. -È andato via! Lasciatela!- urlò Moda tra le lacrime, terrorizzata. Il cacciatore di taglie lasciò cadere Lilian, che si accasciò come un sacco vuoto. Due di loro fecero scattare il cane delle loro pistole, intenzionati a freddare le due ragazze. -Diteci dov’è diretto o vi mandiamo a far compagnia ai vermi!- -Perché non ci vai tu, giuggiola?- fece una voce alle spalle dei banditi, poco prima che un poderoso pugno non scaraventasse a terra uno di quelli che stavano per far fuoco. -Cercavate me, no? Eccomi qua!- li stuzzicò Portuguese D. Ace con un grande sorriso, mentre serrava e infuocava i suoi pugni. -Maledetto…- inveì uno degli uomini sfoderando due katane. -Ma no dai, queste non mi fanno niente!- protestò Ace afferrando le lame a mani nude fino a fonderle. -A pugni c’è più gusto, no?- e assestò un bell’uppercut all’uomo che aveva davanti, facendogli fare un balzo di almeno mezzo metro e lasciandolo tramortito per terra. Lilian rimaneva in ginocchio, proteggendo Moda con il proprio corpo, quando una mano violenta la afferrò per un braccio costringendola ad alzarsi con la bambina ancora stretta a sé. -Fermo, Portuguese!- gridò l’uomo che aveva preso le due. -Consegnati o le uccido! LE UCCIDO!- berciò puntando uno stiletto affilato alla gola di Moda, che si lasciò sfuggire un grido pieno di panico e angoscia. -Moda!- gridò il pirata assestando un pugno ad un altro aggressore, scaraventandolo via privo di sensi. Un altro cane scattò in quel momento, e il freddo metallo di una pistola andò a posarsi sul pomo d’Adamo del bandito che teneva strette le due ragazze. -Amico, usa quella lametta sulla bambina e sarai il prossimo a lasciarci la pelle.- sussurrò Rea glaciale. Stupido da parte sua cercare di imprigionare due persone con un braccio solo. Ace liberò lunghe e roventi lingue di fuoco attorno a sé. -Lasciale e allontanati, porco.- minacciò ringhiando. Uno così l’avrebbe incenerito all’istante, ma non poteva rischiare di colpire le due ragazze. Lilian puntò la pistola alla mano che reggeva la katana che minacciava il collo piccolo e sottile di Moda ed esplose un colpo, che andòa fracassare le ossa della mano del manigoldo, che urlando di dolore allentò la presa e lei afferrando saldamente Moda si lanciò in avanti sfuggendo alla sua stretta e gridò: -Adesso, Ace!- Il bandito però reagì immediatamente, estrasse una pistola e sparò. -CROCE DI FUOCO!- un’ondata rovente investì il cacciatore di taglie, risparmiando Moda e Lilian che rimasero per terra abbracciate. Un torrente di fuoco correva davanti ai loro occhi, il calore lambiva loro i piedi, l’odore acre di carne bruciata riempiva l’aria, la bambina e la ragazza si strinsero tra di loro mentre quella tempesta di fiamme trascinava via l’aggressore. Quando la fiammata si estinse, del bandito non era rimasto che un tizzone fumante, spinto a qualche passo più in là, cosparso di braci, con le braccia nere e raggrinzite protratte davanti alle orbite vuote. Moda scoppiò in lacrime, Rea si rimise in piedi stringendo la bambina e schiacciandole il viso contro di lei perché non guardasse quell’orrido spettacolo, e mosse qualche passo indietro guardandosi attorno spaventata, cercando il pirata. Nell’oscurità di quella collina buia una brillava ormai solo una fiammella, il pugno di Ace ardeva e gli faceva da fiaccola nel buio spettrale del campo. Lilian, con Moda in braccio, gli corse incontro. -Mi dispiace.- mormorò il pirata stringendole con il braccio libero. -È stata colpa mia.- la bambina si staccò dal collo di Rea per andare in braccio ad Ace; lui forse non se l’aspettava, ma non respinse la piccolina. -Non dire stronzate, ci hai salvate.- lo rimproverò Lilian, senza badare ai termini. -Ora devo cercare gli altri, portala dentro casa, per piacere.- gli chiese affidandogli la piccola. -No, meglio andare insieme. Non hai nemmeno una torcia.- sorrise, lasciandosi ardere una mano. “Pugno di Fuoco”, ecco come era conosciuto nell’ambiente: l’uomo con il potere della fiamma. -Non ci sarai andato un po’ pesante?- boccheggiò Rea, indicando il cadavere nero ancora fumante. -No, guarda.- le mostrò Ace, facendo qualche passo. Arrivò nei pressi del punto dove stavano abbracciate Rea e Moda subito dopo che la pistola di quest’ultima aveva distrutto la mano del bounty killer e attirò l’attenzione di Lilian su un oggetto per terra, toccandolo con il piede. Lilian si chinò. -Non toccarlo, scotta!- l’ammonì il pirata. -Questo è piombo.- riconobbe la ragazza. -Non volevo usare un attacco del genere, ma quello era riuscito a sparare… era l’unico modo per fermare il proiettile. Recuperarono i tre fratellini, che spaventati si erano nascosti sugli alberi della foresta vicina, e tornarono tutti dentro casa. La ragazza fece entrare il gregge dentro e chiuse la porta sbattendola forte. Poi andò nella stalla a chiudere l’ingresso che i banditi avevano forzato per entrare, aiutata da Ace. Una rapida ricognizione attorno alla casa fece scoprire ai due ragazzi i quattro cavalli usati dai cacciatori di taglie, che evidentemente venivano da lontano, per arrivare fin lì. -Begli animali.- commentò Lilian. -Peccato.- -Perché “peccato”?- domandò Ace, che trascinava i tre supersiti, legati e tramortiti a suon di cazzotti. -Per le code e lo spavento che si prenderanno.- spiegò lei raccogliendo una discreta quantità di rametti da terra e legandoli insieme con dello spago che si era portata dalla cucina apposta. -Mettili su due cavalli, per favore.- e il ragazzo, perplesso e incuriosito, li caricò di traverso sulle cavalcature. -Fuoco, grazie.- chiese ancora la ragazza. Aveva legato un po’ di rametti alle code dei cavalli, ed Ace finalmente capì. -Gli aspetta una lunga cavalcata!- disse ridendo, mentre la legna prendeva fuoco. Qualche istante più tardi gli animali si resero conto di avere la coda in fiamme e si buttarono in un galoppo sfrenato lungo la strada che portava al paese. -Ma moriranno?- si preoccupò Portuguese. -Non dovrebbero.- spiegò Lilian stringendosi nelle spalle. Le dispiaceva per i cavalli, ma doveva assicurarsi che quella gente non ronzasse più nei dintorni. Tornarono nella casa, dove i bambini li aspettavano ansiosi, e Lilian li rimise tutti a letto. -Stavolta non succede niente…- li rassicurò. -Per stanotte rimane anche lui.- inutile dire che Moda non stava nella pelle. -Lilian.- mormorò la bambina. -Ho avuto tanta paura.- -Lo so. Anche io.- rispose sinceramente la ragazza mentre le rimboccava il lenzuolo.- Ma non ti succederà più niente, lui dorme di sotto e io nella stanza accanto.- le spiegò accarezzandole la testa. Ace si affacciò alla porta della cameretta appoggiandosi allo stipite, la sua alta figura spiccava contro la luce del corridoio. -Buonanotte, signorina!- bisbigliò nel buio. -Buonanotte!- rispose Moda, tutta contenta, mentre cacciava via l’angoscia con un lungo sospiro. -Dormono tutti?- Ace era sceso ed era rimasto ad aspettare nella bella cucina che i piccoli si addormentassero e che Lilian lo raggiungesse. -Erano terrorizzati, soprattutto Moda.- rispose la ragazza, stranamente pallida. Si lasciò cadere sul divanetto che c’era poco distante dal tavolo. -Grazie. Grazie infinite per essere tornato, ci hai salvati tutti.- disse in un soffio stropicciandosi gli occhi con una mano. -Sei… sei arrivato appena in tempo, che ci facevi ancora qui? -Lungo la strada mi era venuta in mente una soluzione per Moda.- spiegò il pirata. -E sono tornato subito indietro… per fortuna!- Si andò a sedere anche lui sul divanetto, vicino alla ragazza. -Quando ho sentito gli spari poi, ho fatto una corsa! Certo che nemmeno tu ci scherzi, con le armi! Lilì? Mi ascolti?- Lilian era pallida, aveva lo sguardo vuoto. Per Moda e per i fratelli aveva mantenuto il sangue freddo, fronteggiato i banditi e li aveva messi serenamente a dormire, ma adesso stava cominciando ad accusare il colpo. Scrutava il vuoto e aveva un po’ troppo caldo per una serata come quella, con la brezza leggera che entrava dalle gelosie chiuse. -Ehi, Lilì… adesso è finito, sei a casa.- le sussurrò gentilmente il pirata, vedendola così spaventata. -Ho avuto paura per i piccoli… se non era per te…- si mise una mano sulla bocca mentre gli occhi spalancati guardavano il nulla, pensando a quello che sarebbe potuto succedere. Moda le era praticamente caduta fra le braccia, nel bel mezzo dello scontro a fuoco, con il rischio di rimanere uccisa lì, e lei non poteva cancellarsi dalla mente il pensiero che fosse stata una sua responsabilità. -Ehi, ehi…- Ace le mise un braccio sulle spalle e l’attirò a sé. -Calma adesso. Siamo tutti salvi, non pensarci più.- Lilian chiuse gli occhi e assaporò quell’attimo di calore, e ricambiando timidamente la stretta del ragazzo con un sospiro buttò fuori i cattivi pensieri. Non poteva continuare a stare in quel villaggio, dove si sentiva in gabbia, dove non c’era neppure il mare, però con che cuore avrebbe abbandonato quei quattro piccini? -E fuori c’è ancora quel… quel… - si ricordò all’improvviso diventando di marmo, con il respiro scosso da tremiti. -Non ti preoccupare per quello, ci penso io dopo.- promise il pirata; effettivamente il cadavere carbonizzato era un po’ troppo da gestire per Lilian. -Grazie.- sospirò, recuperando il sorriso. -Adesso però è tardi, ti preparo il letto per stanotte.- disse, sciogliendo a malincuore quell’abbraccio. Uscì dalla stanza, andò al piano superiore e tornò in pochi minuti reggendo lenzuola e cuscini. -Aspetta, ti aiuto io!- si offrì Ace, prendendo il cuscino che ballonzolava pericolante sulla pila di lenzuola. -Per quanto riguarda Moda, dovrò infiltrarmi negli uffici principali della Marina.- le sussurrò all’orecchio. -Se scriveste due righe per un ammiraglio, io gliele potrei consegnare. -Ma è pericoloso…- obiettò Lilian aprendo il divanetto sul quale si trovavano poco prima, facendolo diventare un vero e proprio letto. Ace sorrise. -E allora?- scherzò. -Loro sono ufficiali, ma io sono un capitano di Barbabianca, ricordi?- -Grazie.- sospirò Lilian, in piedi davanti a lui con il copridivano in braccio. -Grazie per stanotte, e per quello che farai per i bambini. Loro… non lo dimenticheranno mai.- -Non ho fatto niente di straordinario, eri tu quella con le pistole.- rispose il pirata, schivo. -Non è vero!- protestò Lilian. -Potevamo morire, se non fossi arrivato! -Se non fossi mai… arrivato qui, non vi sareste trovati quei ceffi in casa!- avversò piccato il ragazzo. -Sei arrivato, basta, non puoi cambiarlo. E sei tornato giusto in tempo. È stato bello averti come ospite per un po’, e anche i bambini sono stati felici, soprattutto Moda.- poi si pentì della frase azzardata, ma non voleva rimangiarsela. Arretrò di un passo, si strinse al petto il copridivano. -Ehm, si è fatto tardi, a domani.- disse in fretta piegandosi sulle ginocchia per prendere un cuscino caduto. Quando si tirò su, trovò ad attenderla un dolce sorriso fra due costellazioni di lentiggini. -Buonanotte allora.- sussurrò il ragazzo ad un soffio dal suo viso ravviandole i capelli che le erano sfuggiti davanti agli occhi. Lilian arrossì, biascicò un “buonanotte”, e tornò in camera sua. A metà delle scale però si fermò e si voltò verso il pirata. Ace le puntava ancora addosso i suoi occhi neri e luccicanti d’ossidiana. -Buonanotte!- gli disse sorridendo. Il giorno dopo Ace partì, stavolta per davvero. Nessun altro venne a cercarlo alla fattoria. Quattro mesi dopo -Che ci fai qui? Silenzio. La figura inginocchiata ai suoi piedi a meno di un metro di distanza, illuminata appena dalla luna che si affacciava dall’oblò, si irrigidì e non disse nulla. Aveva portato del cibo, un uomo la aspettava sulla soglia. Allargò le narici mentre esitava, incerta se rispondere o no. Lasciò il vassoio a terra e scappò verso la porta, che si chiuse quasi senza darle il tempo di uscire. Un rumore violento lasciò immaginare al prigioniero che avesse ricevuto un ceffone. Che ci faceva quella ragazza sulla nave di Barbanera?
Dietro le quinte della storia... Ciao! Capitolo piuttosto violento, no? Si capiva fin dal suggerimento del soundtrack! L'intera scena della sparatoria è dovuta ad un'assunzione massiccia di fumetti di Tex in poche ore. Non conoscete Tex? È uno dei fumetti italiani di maggior successo, "figlio" di Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini, che ha recentemente compiuto 60 anni! L'"Uppercut" usato da Ace in questo capitolo è un tipo di pugno usato spesso da Tex: niente fiamme, ma un micidiale colpo sotto il mento dell'avversario, che viene scaraventato verso l'alto. In fondo Pugno di Fuoco tutti quei muscoli non li ha solo per bellezza! Ringrazio tutti coloro che stanno recensendo, _Firestorm_ e Kiel_Violet, e -TheLadyVampire97 che l'ha messa tra le seguite! Grazie infinite! E... e adesso?? Chi c'è sulla nave di Barbanera?? Vi dò appuntamento alla prossima puntata! Ma vi è piaciuto il capitolo? *^* per favore, ditemi cosa ne pensate nei commenti, anche le critiche saranno ben accolte... e non con un Uppercut, promesso!! Yellow Canadair |
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Capitolo 3 *** Sguattera, prigioniero e carceriere ***
Sguattera, prigioniero e carceriere
Tornò il giorno seguente a portare gli avanzi del pranzo. Neanche un fiato, forse non poteva. Poggiava il piatto, lo guardava dritto negli occhi, ma poi scappava subito via. Quando lui le rivolgeva una domanda e lei si attardava, poi erano schiaffi, così i due di tacito accordo avevano deciso di non parlarsi. Un giorno il prigioniero sentì un sacco di grida provenienti dal piano di sopra. Urla, spari, mobili rovesciati, botte da orbi. Chissà che stava succedendo. La porta della stanza si aprì dopo qualche minuto e un uomo malaticcio buttò dentro, sul pavimento, un fagotto, poi chiuse la porta sbattendola forte, e girò due volte la chiave nella toppa. -L’ho chiusa lì… coff! Così almeno per un po’ non dovrebbe coff! stare in giro per la nave.- biascicò stanco il vecchio, che era il medico di bordo. -Proprio lì la dovevi chiudere, Doc? adesso parlerà col prigioniero…- si lamentò un ragazzo alto e magro lasciandosi cadere i capelli neri oltre le spalle, truccato pesantemente con del cerone bianco e del rossetto color del vino. -Ma la vuoi piantare? Va a finire che sulla prossima isola non ci arriva.- lo rimproverò il capitano, un uomo alto e ben piazzato con un bel trippone da birra coperto di vello nero ripiegando pigramente il giornale del giorno. -Cerco di tenerla a bada.- rispose soave il sottoposto redarguito, appoggiandosi con i gomiti al parapetto dando le spalle al mare. -Se nessuno la tiene un po’ sulla corda… beh, potrebbe montarsi la testa.- rispose Lafitte con un sorriso. -Non c’è rischio, se tenti di smontagliela per ogni cosa che dice.- mugugnò Barbanera. Era abbastanza stufo della situazione: aveva catturato Portuguese e l’avrebbe portato come un bel regalino alla Marina, avrebbe anche potuto rilassarsi un po’, ma Lafitte aveva deciso di dare i tormenti alla sguattera che avevano imbarcato alle Sabaody e quei due facevano una cagnara pazzesca. O meglio, la cagnara la faceva il suo sottoposto perché oggettivamente la mocciosa non riusciva a reagire, con tutte le batoste che prendeva. Va bene che era un’indisponente, e tentava di scappare ogni volta che erano in vista della costa, e che la notte dovevano metterla sotto chiave per evitare che sgozzasse qualcuno, però la violenza di Lafitte nei suoi confronti cominciava a diventare sproporzionata. Anche lui, Barbanera, le aveva dato più volte qualche sberla, ma solo per chiuderle la bocca! -Inoltre, comprendo il non farle fare salotto col ragazzo, ma picchiarla ogni volta che gli porta gli avanzi mi sembra alquanto eccessivo.- considerò Van Ooger, il cecchino di bordo. -È evidente che si conoscono.- sorrise gentilmente Lafitte. -Mi sembra logico che non debbano parlarsi.- -Dunque è per questo che le metti in mano il piatto due volte al giorno e la mandi da lui?- lo stuzzicò il tiratore pulendo la canna del suo fucile. Sapeva benissimo che il compagno lo faceva apposta, per una sorta di sadico divertimento. Intanto, nel magazzino dov’era incatenato, il prigioniero sperò che non avessero ucciso la ragazza, visto che l’ora di pranzo era già passata da un pezzo ma lei non veniva. Proprio in quel momento il fagotto buttato lì in mattinata cominciò a muoversi e a rantolare: era proprio la ragazza! Si levò a sedere pian piano, tenendosi la testa fra le mani. -Ehi! Ehi, Lilì!- bisbigliò il prigioniero per attirare la sua attenzione. Lei si voltò confusa: era stata così bastonata che non aveva capito subito dove si trovasse. Si tirò i capelli indietro e notò il prigioniero legato dalla parte opposta del magazzino. Si alzò e si sedette sulle ginocchia; era piccola ma magra, con dei lunghi capelli scuri mossi e spettinati. Una gonna lunga le nascondeva le gambe, anche se probabilmente non era una gonna ma un vecchio lenzuolo legato in vita, e indossava una camicia azzurra mezza lacera con le maniche arrotolate che le arrivavano ai gomiti. Era scalza. -Che diavolo ci fai qui?- le chiese. La ragazza levò in piedi e raccogliendo la gonna con entrambe le mani si portò silenziosamente vicino al prigioniero, guardandosi di tanto in tanto le spalle per non farsi sorprendere dai carcerieri. -Pensavo che fossi tu a dare la caccia a Barbanera, non il contrario.- disse inginocchiandosi davanti a lui, prima di avvincerlo in un abbraccio. Lui, legato, non poteva stringerla a sua volta, ma dopo qualche attimo di sconcerto iniziale piegò la testa contro quella di lei. -Lilì, ma possibile che ti fai sempre trovare nei pasticci?- sorrise. Lilian liberò il prigioniero dalla sua stretta e rispose: -Guarda che nemmeno tu stai messo tanto meglio!- Alla poca luce che c’era, il prigioniero non potè non notare invece un bel livido viola sotto l’occhio destro e che probabilmente le era uscito il sangue dal naso. Aveva il viso minuto e abbronzato, si vedeva che aveva vissuto sempre all’aria aperta, e due occhi vispi ma lucidi e arrossati. Si guardava le spalle, quasi ad assicurarsi che nessuno aprisse la porta e la sorprendesse a parlare con il prigioniero. -Che ti hanno fatto?- chiese allora il ragazzo, riferito alle condizioni pietose della ragazza. Lei si fece un po’ triste, e sospirò:- Ho cercato di scappare, ma mi hanno ripresa subito.- cambiò argomento. -Scusa se non ti ho mai risposto… mi hanno ordinato di non parlarti mai.- -Lo so, mi dispiace di averci messo un po’ a capirlo.- Lilì si guardò ancora le spalle, tendendo le orecchie per captare qualche suono. Era spaventata al pensiero che i carcerieri la trovassero a conversare col Prigioniero Condannato, ma se da un lato non voleva altri guai, dall’altro erano giorni che desiderava parlargli, chiedergli che ci facesse lì, avere un attimo di tranquillità nei suoi giorni scanditi da botte e da ordini. Sembravano passati secoli da quando aveva conosciuto quel ragazzo, nella quiete di una latteria sul fiume, era rimasto esattamente come se lo ricordava, anche se in effetti non è che fosse passato poi tanto tempo: un bel ragazzo, alto, abbronzato e con due spalle da lottatore. Non aveva una gran cera, probabilmente perché nemmeno con lui erano state risparmiate le percosse. Erano ormai settimane che Lilì non parlava con qualcuno che non la insultasse o la picchiasse, non avrebbe mai voluto sciogliere quell’abbraccio in cui si era lasciata andare appena aveva potuto, ma riuscì a dominarsi e a lasciare che vincesse la sua naturale ritrosia. Il prigioniero aveva i capelli neri, una spruzzata di lentiggini sugli zigomi e un sorriso beffardo che non finiva più. Era proprio un figo. La nave ebbe un rollìo un po’ più forte degli altri, Lilì scivolò in avanti senza farsi male. Ne approfittò e si sedette più comodamente vicino a lui; voleva sedersi accanto, ma poi lui avrebbe dovuto girarsi molto per parlarle, e siccome era già legato in ginocchio e con le mani dietro la schiena, la ragazza si sistemò in modo da rendergli la conversazione meno faticosa possibile, e si appoggiò ad un barile che era lì vicino. -Posso fare qualcosa?- chiese alludendo alle catene. -Aprirle!- scherzò il ragazzo. -No, non farlo altrimenti quelli ti ammazzano davvero.- divenne serio. -Ci ho provato maledizione, non c’èniente da fare.- aggiunse poi assestando uno strattone alle catene, che dal canto loro però rimasero serrate. Lilì s’intristì. Erano prigionieri tutti e due. Guardò meglio le catene, notò una cosa. -Algamatolite, vero? Brutta storia, ha usato il suo Frutto nuovo di zecca, scommetto. -Lo conosci anche tu, vedo. -Per forza che lo conosco, ha provato a usarlo su di me.- Sul volto del ragazzo si disegnò una maschera di preoccupazione e indignazione, aprì la bocca per parlare ma Lilian lo precedette, tranquillizzandolo: -Non ci è andato pesante, sa bene che non rappresento davvero un pericolo per lui. Ha abbaiato, non morso.- Lui sospirò sollevato, e Lilian continuò, ma stavolta era lei ad essere preoccupata. -Con te invece ha morso, vero?- domandò con una dolcezza strana, mentre una ruga si disegnava fra le sopracciglia sottili e nere. Lui ghignò. -Tanto se ti dico che non mi ha fatto niente non ci credi, vero?- -Posso fare finta.- propose la ragazza. -Ma se avessi vinto tu, ora non staremmo qui a parlarne, no?- si tirò via i capelli dal volto, cercando di sistemarseli alla meno peggio sulla nuca, con un elastico che aveva al polso. -Come sei finito qui?- La coda però non le riuscì granché, e i capelli rimasero a penzolarle sulla spalla. Il ragazzo allora cambiò la posizione delle gambe e cominciò a raccontarle ciò che gli era capitato da quando aveva lasciato la fattoria sul fiume. Lilì ascoltava ipnotizzata quella voce, appoggiata al barile con le gambe tirate contro il petto. Aveva vissuto avventure incredibili, e quando era stato catturato aveva dato battaglia fino all’ultimo sangue! Anche lei era stata presente a Banaro, però appena Barbanera si era reso conto che conosceva il ragazzo da cui era braccato l’aveva chiusa in uno sgabuzzino finché non erano salpati vittoriosi dall’isolotto. Lei non aveva niente di così mirabolante da raccontare: si era fatta semplicemente catturare dai mercanti di schiavi come una pivella, poi sull’isola dove era stata portata era stata “danneggiata”, per dirla come gli schiavisti, proprio da Barbanera, che non notandola mentre gli attraversava la strada in coda ad una colonna di schiavi, l’aveva letteralmente travolta ed era stato costretto a comprarla dallo scaltro e avido mercante. Fortunatamente su quella nave nessuno le riservava attenzioni sconce, però era diventata la sguattera maltrattata, una sorta di Sara Crewe dei pirati. Al contrario dell’eroina inglese però, Lilì tentava sempre la fuga, ed era per quello che finiva con il prenderle, e sembrava proprio che Lafitte, il navigatore, l’avesse crudelmente presa di mira, e non le lasciava un attimo di respiro. -Tu come sei finita quaggiù? E Moda come sta?- le chiese sorridendo, stanco di parlare di sé. -Moda è viva, e credo stia bene. La lettera ha funzionato, e ha incontrato i suoi genitori, sai? Mi sono trovata la Marina in casa e pensavo mi volessero arrestare! Erano cuochi su una nave. A proposito, grazie a nome loro.- concluse. -Figuratevi, non mi è costato nulla.- si difese lui, distogliendo lo sguardo. -Tu piuttosto come ci sei finita qui? -Io ero su un mercantile per le Sabaody, dovevo cercare del carburante per il mio aereo...- -Tu hai un aereo? Pensavo che solo la Marina li avesse… non sei mica un Marine? -Un Marine proprio no, ma ho lavorato per la Marina come ricognitore… e non guardarmi in quel modo, mi servivano soldi! L’aereo però è proprio mio, è un modello sperimentale.- rispose pensando al suo grande Canadair giallo splendente. -Signorina, ti avevo detto di non osare rivolger parola al prigioniero.- La porta si era spalancata silenziosamente e un’alta figura si stagliava sull’uscio, mentre un altro grosso pirata entrava nella stanza.
Dietro le quinte... Buongiorno a tutti! Un grazie grande quanto la Moby Dick a tutte le persone che stanno seguendo e recensendo! Siete grandi! Grazie!! :D Ehi! Uno spiraglio di luce sul passato di Lilian Rea Yaeger! Ma... che ci fa un Canadair, che tutti noi conosciamo come mezzo della Protezione Civile Italiana nel mondo di One Piece?? Le spiegazioni prima o poi arriveranno, cari lettori! Inizialmente questo capitolo doveva essere il primo, e la parte della fattoria di Moda è stata aggiunta solo in un secondo momento. Per questo è stata lasciata la descrizione integrale del prigioniero (non viene mai nominato ma avete capito chi è? :D ). Comprendo che nel terzo capitolo una descrizione del genere è tardiva ma ho preferito lasciarla proprio "a ricordo" dell'ex primo capitolo. Se vi è piaciuta la storia o se mi volete tirare pomodori (o mattoni) per aver tirato in ballo quel panzone di Barbanera o un ingombrante aereo giallo, lasciate un commento per favore! Mi aiuterete a limare e correggere il tiro della storia! :)
Yellow Canadair
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Capitolo 4 *** Il marchio dell'assassino ***
Capitolo 4 - Il marchio dell'assassino
Lilian
si girò di scatto e non fece neanche in tempo a replicare che un bastone
da passeggio la colpì al volto, poi fu trascinata via
per un braccio senza pietà. Sentì
che anche il prigioniero protestava e sentì
il rumore di altre botte.
-No!
No per favore!!- continuò a gridare cercando di divincolarsi
per tornare indietro ma inutilmente. Lafitte si fermò
sulla soglia del magazzino e le serrò una mano scheletrica sul collo
sottile, sollevandola appena da terra. -È
colpa tua.- sussurrò lieve. -Te l’avevo
detto di non parlargli.- allentò di poco la presa stretta e fredda
e spinse la ragazza in avanti, verso l’esterno.
Il
prigioniero non la vide per un sacco di giorni. Una notte fu svegliato di
soprassalto dalla porta dello stanzone, aperta d’impeto.
Lilian Rea l’aveva abbattuta con una spallata e si era catapultata nella
stanza di corsa, fermandosi davanti a lui quasi cadendo; aveva una chiave in
mano che brillò nella luce fioca che veniva da fuori e che lui riconobbe
subito come quella delle manette.
-Girati,
muoviti!- gli ordinò senza complimenti. Si chinò
a cercare tentoni (era molto buio) la serratura delle pesanti manette del
ragazzo, quando sull’uscio si affacciarono tre grandi
sagome scure: con uno scatto rapido Rea si portò
davanti al ragazzo e uno sparo echeggiò nella stanza, e con un corto grido
violento si accasciò su se stessa fulminata, mentre la
chiave che teneva in pugno con un tintinnio cadde a terra. Il sangue si
spargeva sul petto di Lilì e sulle ginocchia del ragazzo.
-Lilì!
Lilì!- la chiamava lui impotente e spaventato, senza nemmeno
poterla sorreggere, strattonando quella maledetta catena. Jesus Burgess la
sollevò di peso e cominciò a colpirla a calci e a pugni,
arrivò il capitano, che la sollevò
per i lunghi capelli e tuonò: -Hai passato il limite,
puttanella!
-Fermo!
Non è stata lei!- gridò disperato il prigioniero. -Le ho
detto io di liberarmi!- mentì per proteggerla. A quella
dichiarazione Barbanera lasciò cadere Lilian e riversò
la sua rabbia contro il ragazzo.
-Silenzio,
comandante!- ordinò assestandogli un violento calcio.
Il
ragazzo chinò la testa, stordito dal colpo che l’aveva
centrato in volto, sputò del sangue e sibilò:
-Lasciala, Marshall.- la sua voce era minacciosa e impregnata di morte, strideva
con la sua miseria. -Non la toccare.-
-Non è
vero, sono stata io.- ammise Lilian, che nel frattempo si era riavuta e si era
trascinata fra Teach e il condannato.
-Lo
sapevo, schifosa.- mormorò Lafitte avvicinandosi in un soffio
freddo.
-Oh,
ma davvero?- le berciò il corpulento pirata, allontanando
il compagno e riversandole addosso un fiato pregno d’alcol.
Afferrò i due ragazzi per il collo e li sbattè
insieme contro il muro che avevano alle spalle tenendoveli inchiodati, e
fermando la scena per alcuni istanti come se qualcuno avesse pigiato il tasto
pausa.
-Sapete
cosa penso?- latrò sovrastando tutte le voci nello
stanzone. -Che siete stati tutti e due! Portatela via!- ordinò
lasciando la presa, mentre Jesus Burgess e Lafitte trascinarono via Lilian che
ancora urlava, mentre altri uomini le nascondevano la vista del Prigioniero.
Due
giorni dopo la legarono vicino a lui, ma non riusciva nemmeno a parlare. Niente
algamatolite per lei, solo ruvida canapa che con un capo le serrava i polsi sottili
dietro l’esile schiena e con l’altro
capo l’assicurava ad un anello di ferro posto ad un metro scarso
da quello che imprigionava il ragazzo.
Barbanera
andò via sbattendo la porta del magazzino e ridendo sguaiato,
Lilì si trascinò verso il muro e si accovacciò
in disparte. Il ragazzo cercò di parlarle, ma lei si sentiva la
testa piena di nebbia e non capiva le parole; scivolò
in un dormiveglia agitato e pianse tutta la notte in silenzio, con la
preoccupazione del suo compagno di cella a farle compagnia.
-Lilì…
Lilì dai, che ti hanno fatto? Mi senti?- tentò
il prigioniero.
-Lasciami…-
mugolò la ragazza. -Dopo. Per favore.- riuscì
ad articolare. E il ragazzo si arrese.
Aveva
i vestiti strinati dal fuoco e a brandelli, una fasciatura vistosa e macilenta le
copriva il braccio destro dalla spalla al gomito; la stringeva con l’altra
mano e sembrava le facesse ancora male. Doveva essere dove l’aveva
colpita il proiettile, pensò il prigioniero con sollievo:
meglio al braccio che altrove. La gonna era mezzo bruciata dal fuoco e piena di
strappi, ed era tenuta su dalla stessa Lilian che cercava come poteva di
rimanere coperta. La camicia azzurra non c’era
più, ma la ragazza indossava un bikini scolorito, e sulle
spalle si notava un’ombra scura. Si era accucciata cercando
quasi di sfuggire allo sguardo del ragazzo, e non parlava. I capelli che prima
erano una criniera mossa che le arrivavano sotto il seno, erano stati
tranciati sulla nuca, e ora la ragazza
sembrava una gorgone.
I due
ragazzi rimasero quasi immobili tutta la notte, l’uno
rivolgendo di tanto in tanto fugaci sguardi alla compagna, ad assicurarsi che
fosse ancora viva, l’altra immersa in un sonno agitato
che ogni tanto si lasciava sfuggire un singhiozzo che pareva una bolla d’angoscia.
L’aria ferma e immobile del magazzino riempiva le loro narici
abituate al vento e alla salsedine trasmetteva loro un senso d’oppressione
e di chiuso, e stagnava sui loro corpi sudati e feriti.
Prima
dell’alba, quando quella poca luce del mattino arrivò
nello stanzone, tentò di alzarsi e riconsiderare il
Prigioniero. Era stata preoccupata anche lei, ma per tutta la notte era stata
tormentata dal dolore al braccio e dal bruciore sulle spalle, e non riusciva
nemmeno a mettere a fuoco le cose; respirava a fatica, sperava che non le fosse
salita la febbre. Si sentiva le scapole in fiamme, come se si fosse scottata.
Dal
buio accanto a lei sorse la voce ormai familiare:- Sei sveglia, Lilì?-
-Sì…
sono qui.- mugolò cercando di avvicinarsi. -Mi…
mi dispiace per stanotte… io non…-
si scusò balbettando.
-Come
stai…? Ti hanno fatto del male?- l’interruppe
lui. Fino a quel momento non aveva osato avvicinarsi alla ragazza, che si era
rintanata lontano, ma ora che era sveglia tentò
l’azzardo e arrivò a pochi centimetri da lei. -Sono
due giorni che ti sento urlare dal ponte, che diavolo è
successo?- bisbigliò.
Lilian
non rispondeva. Avrebbe voluto mentire, avrebbe voluto dire che non era
successo niente, che era stata tenuta a digiuno. Ma se lui l’aveva
sentita urlare, non poteva bersi una storia del genere.
Il
ragazzo aspettava, guardando nell’oscurità
la sua compagna di prigionia. Che rabbia, che rabbia non poterla nemmeno
sorreggere, maledette catene! Sentiva il suo respiro irregolare, ancora scosso
dall’incubo delle ultime ore. Non sapeva perché
e non gli importava, ma in quel momento avrebbe voluto soltanto essere in grado
di abbracciarla per difenderla da tutto quell’orrore.
-Mi
hanno tatuato la loro bandiera.- disse finalmente lei sussurrando,
vergognandosene come una ladra.
-Dove?
Sul braccio?
-Su
tutte le spalle!- gli mostrò il disegno girandosi e mostrando
le spalle orrendamente sfregiate. -Io volevo scappare.- mugugnò
come per spiegarsi.
-Bastava
che ti buttassi dal ponte, invece di venire qui!
-No!-
Lilian
non voleva scappare da sola e lasciare lui al suo destino. Lo guardò
con occhi lucidi e tristi, ma determinati e cocciuti, e lui sembrò
capire.
-Sei
una stupida.- sorrise.
Quando
il Sole fece capolino dall’unico oblò
del magazzino, il prigioniero vide il grande tatuaggio che spiccava tra il
rossore della pelle della ragazza. Il triplo teschio inciso con il bianco e con
il nero lo guardava dalle scapole dell’amica. Non potè
fare a meno di considerare che a bordo c’era
un bravo tatuatore: non doveva essere stato facile fare un disegno così
grande e preciso su una persona che tentava la fuga, a meno che non l’avessero
stordita, prima. La firma di un assassino a sangue freddo tatuata lì,
su un bel fisico giovane e scolpito. Ma pensò
anche che in quel momento doveva cercare di consolare la povera Lilì,
che oltre all'onta disonorante del taglio della chioma avrebbe dovuto tenersi
per tutta la vita quel marchio. Sentendosi osservata, la ragazza nascose la sua
schiena appoggiandosi al muro.
-A me
piace.- disse lui sorridendo.
Lilì
lo fissò in silenzio perplessa. Gli piaceva quel marchio? O gli
piaceva la vista della sua schiena, senza la camicia?
-Non
lo guardare.- gli ordinò arrossendo. Odio, odio e disprezzo
stavano incisi sulla sua pelle ferita. Non lo guardare.
-Se
non pensi che sia di Teach, non è male!- si sforzò
invece lui.
-Ma ne
hai prese troppe in testa?
-Credo
che ti stia bene.- scoprì i denti -Ti dona!-
Lilian
odiava quel tatuaggio con tutta sé stessa, e con esso ciò
che rappresentava. Le aveva rovinato il suo splendido corpo, si sarebbe
vergognata ogni volta che avrebbe indossato un bikini. Ma il Prigioniero aveva
appena detto che gli piaceva, e peggio ancora l’aveva
detto con quel sorriso, quello che ogni volta le
faceva sciogliere il cuore e le ginocchia.
-Stiamo
per arrivare.- disse un giorno il Prigioniero. -Ti lascio la stanza tutta per
te, signorinella!- si sentiva la nave
rallentare, il porto era sempre più vicino. Ci scherzava, lui.
Lilì
non lo accettava. Era una settimana che stavano chiusi insieme in quella
stanza, e tutti e due sapevano che quella convivenza sarebbe finita nel momento
in cui avrebbero attraccato per consegnare il prigioniero alle autorità,
perché fosse eseguita la condanna a morte. Non il giorno dopo, ma
presto. E nel frattempo ci sarebbe stata Impel Down, la prigione degli orrori,
quella che popolava le leggende più agghiaccianti che avesse mai
ascoltato. E lei… lei anche se schiumava di rabbia
per la sua, di condizione, giorno dopo giorno aveva maturato un desiderio più
forte della stessa sete di libertà: non voleva che morisse. Non
voleva, non lo accettava.
L’argano
calò giù le pesanti ed enormi ancore.
Presto i marinai sarebbero venuti a prenderlo.
-Non
voglio, non è giusto!-
-Certo
che è giusto. Sono un pirata, ricordi?
-Anche
loro!- ribattè Rea, intendendo i carcerieri.
-Lilì.-
la richiamò il Prigioniero. Per la prima volta, usò
un tono duro, che non ammetteva obiezioni: quello da capitano. -Non devi
piangere, chiaro? Non devi farli vincere. Tra poco entreranno qui e mi
porteranno via. Quando se ne saranno andati, scappa. Buttati dalla nave, nuota
fino alla riva e scappa più veloce che puoi. Non ti girare e
non cercarmi.
Avevano
passato tutta la precedente settimana a tagliare con i denti le corde che
tenevano Lilian in modo che poi, quando lui sarebbe stato condotto via da
quella nave, nella confusione generale lei sarebbe potuta scappare. Una vera
corsa contro il tempo, una battaglia contro la canapa dura e ruvida, notte e
giorno, per mordere a turno quei pochi centimetri di fune. Finalmente, sotto i
denti del ragazzo, due giorni prima che approdassero la corda si era ridotta al
punto tale che sarebbe bastato uno strattone della ragazza per recidere gli
ultimi sottili fili.
Il
buio in cui era sempre immerso il magazzino era stato loro complice, e né
Barbanera né i suoi sottoposti avevano mai notato che quella corda
veniva erosa giorno dopo giorno.
Inizialmente
Lilian non ne aveva voluto sapere di scappare da sola, ma poi il ragazzo l’aveva
convinta: lui era troppo importante perché
la sua assenza passasse inosservata, e comunque come poteva scappare? Le
manette gli impedivano di usare i poteri, per aprirle serviva una chiave che
ormai era stata nascosta chissà dove sulla nave, e anche se
fossero riusciti a recuperarla non avrebbero eluso la sorveglianza strettissima
per rubare una scialuppa di salvataggio, perché
era vero che lui con i suoi poteri avrebbe potuto ridurre la nave in cenere, ma
poi come se la sarebbero cavata in mare aperto? Era molto più
saggio che fosse solo la ragazza a scappare, approfittando dello sbarco del
condannato e del fatto che a lei per fuggire non servisse né
una scialuppa né una chiave.
Lilian
si asciugò gli occhi con il dorso della mano, si sollevò
sulle ginocchia per arrivargli al volto, lo guardò
con ardore e sibilò:- Io invece ti cercherò,
Ace. E se riesco a salvarmi, giuro che ti troverò
e ti tirerò fuori da questo mare di merda in cui sei riuscito a
cacciarti.-
-Allora
devi fare in fretta.- sorrise tristemente lui mentre dei passi minacciosi si
avvicinavano inesorabili alla porta. -Addio Lilì.-
disse infine posando le labbra sulla guancia ancora umida di lacrime di Lilian.
Entrarono i pirati e lo portarono via quasi di peso, strattonandolo e
schernendoli, ma ormai era tanto tempo che a Lilian non facevano più
effetto gli insulti e le minacce di quei pirati. “Piccioncini!”
berciava rozzo Burgess. “Avete
finito di fare zozzate?”.
E
comunque, dopo quel bacio fugace e leggero, Rea non avrebbe sentito niente,
nemmeno se Teach si fosse messo ad cantarle nelle orecchie a voce altissima.
Ace fu
condotto fuori, Lilian nottetempo strappò
l’ultimo filo che la teneva legata a quell’orrenda
nave, controllò che nessuno guardasse dalla sua parte e si buttò
dal parapetto. La sua fortuna stava tutta nel fatto che era scalza e faceva
poco rumore, che la ciurma era esigua e c’era
una sola persona di ronda, e che adesso, sotto la protezione della Marina e
senza più quell’ospite così
ingombrante sulla nave tutti i pirati si erano rilassati più
del previsto, quella sera. “Allora devi fare in fretta”,
le diceva la voce di Ace nella testa, sempre più
spenta, e l’ombra delle labbra di lui ancora vivida invece sulle sue
gote.
Dietro le quinte della storia... Al mio segnale... scatenate l'Inferno contro Barbanera!!! O contro di me, che stavolta ho strapazzato Ace e Lilian come due uova? ^^' Ok, stavolta non c'è un "dietro le quinte" vero e proprio, non ho molto da svelare su questo capitolo, a parte che inizialmente doveva essere meno violento e la ciurma di Teach era meno caratterizzata. Inoltre, quando Ace lo chiama per nome, ho controllato sull'opera originale e in realtà Barbanera viene sempre chiamato per cognome dal Capitano, però in quel momento farlo chiamare "Marshall" mi gasava di più, quindi l'ho lasciato. Un ringraziamento ENORME va alle mie lettrici assidue, Ele, Miyuki chan e Firestorm, che commentano ogni capitolo e mi danno sempre nuove idee per arricchire quello successivo! Grazie!!! Do appuntamento a voi e ai lettori silenziosi (lo so che ci siete!! :D) alla prossima settimana! Ciao! Yellow Canadair |
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Capitolo 5 *** La ladra delle Sabaody ***
La ladra delle Sabaody
I
pirati udirono il tonfo, corsero verso di lei e spararono qualche colpo in
acqua ma non la centrarono: le onde del mare e il buio della notte riuscirono
ad avere la meglio persino su Van Ooger, e Lilian riuscì
a sfuggire. Per sicurezza aveva lanciato la gonna dalla parte opposta di dove
si era tuffata, e anche se tale stratagemma non ingannò
a lungo i filibustieri, le fece prendere un po’
di tempo.
Nuotò
con tutta la forza che aveva senza curarsi di scogli o di pesci urticanti, e guadagnò
la riva dopo essersi ferita con le rocce, poi esausta si nascose nel bosco lì
vicino. Passò la notte e la mattina a leccarsi le ferite e raccogliere le
idee, tremando come una foglia. Era libera, però
era sola, senza niente con sé, e aveva perso Ace. Dopo essersi
calmata, e aver finalmente compreso che l’incubo
era terminato, alzò lo sguardo ancora umido e si alzò
in piedi risoluta. Adesso basta fare la prigioniera indifesa, non era il
momento, basta frignare. Cominciò a camminare verso la spiaggia,
avendo cura di non passare nelle vicinanze della rada dov’era
ormeggiata la nave di Marshall D. Teach: meglio non stuzzicarli e non sfidare
la sorte. Raggiunse il paese più vicino e cominciò
a racimolare un po’ di soldi per mettere in atto il
piano che aveva elaborato nottetempo. Fortunatamente si trattava di una città
con un porto abbastanza frequentato, esattamente quello che le serviva per tornare
alle isole Sabaody.
L’unico
modo che aveva per andare da Ace era utilizzare il suo aereo: un Canadair ch’era
stato in dotazione alla Marina quando lei aveva prestato servizio in passato, e
che adesso riposava, ben protetto da occhi indiscreti, nel continente di Libar.
Un deserto impraticabile e rovente era il nascondiglio di quell’aereo,
il luogo del suo ultimo atterraggio di fortuna avvenuto molti e molti mesi
prima. Uno dei paesini più vicini a questo deserto era Lanomì,
il villaggio dove Lilian si era rifugiata dopo quell’atterraggio
e dove aveva conosciuto prima Moda e poi Ace.
Era stata
costretta a fermarsi lì per mancanza di carburante, raro e
costosissimo, prodotto solamente da un artigiano che viveva appunto alle Isole
Sabaody. Senza, Rea non avrebbe potuto fare nulla.
Non
sapeva esattamente come fare poi per salvare Ace dalla forca utilizzando il suo
aereo ma, pensò, qualcosa le sarebbe venuto in mente.
Qualche
giorno dopo la notizia divenne ufficiale: la marina aveva catturato il
pericoloso pirata Portuguese D. Ace, e lo avrebbe giustiziato di lì
a poco, come si leggeva nei comunicati stampa.
“La Marina aveva catturato…”,
lesse ironicamente Lilì. Catturato per una modica cifra, sì.
Altra cosa interessante era che quel porco di Teach ora era nella Flotta dei
Sette, e questo la diceva lunga sulla Marina stessa, rimuginò
la ragazza, per nulla sorpresa dalla propria considerazione dopo quello che
aveva visto e fatto quando collaborava per quell’organizzazione.
Lilian
si trovava all’arcipelago Sabaody seduta al tavolino di un bar della zona
turistica; ormai non aveva più l’aspetto
di una prigioniera: la lunga gonna aveva ceduto il posto ad un succinto
pantaloncino di jeans, indossava un bikini nuovo fiammante e il tatuaggio era
ben nascosto da una camicia, portata aperta sul petto e con le maniche
arrotolate fino ai gomiti. Sulle spalle portava uno scialle dagli intarsi neri
e turchesi, che le serviva per ripararsi dal vento o dalla pioggia; siccome
faceva caldo però, era tenuto lasso sugli
avambracci, e le cadeva all’indietro più
come ornamento che per vera utilità. Si era fatta mettere a posto i
capelli che erano stati tranciati di netto da una spada, e ora il ciuffo che le
faceva da frangia era fermato da un paio di grossi occhiali da sole da
aviatore. Aveva ordinato un cappuccino e leggeva le notizie sui quotidiani del
giorno; le sue dita dalle lunghe unghie laccate di verde smeraldo esitavano
sulle notizie delle prime pagine, i suoi occhi lievemente truccati cercavano di
leggere l’articolo nonostante fossero calamitati dalla foto dello
splendido ragazzo sulla prima pagina. Decise di conservarla.
Nel
frattempo Ace sarebbe stato trattenuto nella prigione di massima sicurezza,
poteva essere quello un buon momento per recuperarlo ma lei non era una
sprovveduta e sapeva che non avrebbe attraversato indenne nemmeno l’ingresso;
non aveva alleati, né capacità
combattive a parte le sue armi, che però erano rimaste nell'aereo e dunque non avrebbero potuto aiutarla in quella situazione. La fortuna però,
dopo averla tartassata a bordo della nave di Barbanera, era tornata a
sorriderle, e forse non era una paresi: era riuscita ad impossessarsi di una
notizia fondamentale che poteva girare facilmente a suo vantaggio; una soffiata
clamorosa che le avrebbe assicurato un valido e potente alleato per liberare l’amico.
Con i numeri di telefono giusti ci volle poco a cominciare le danze.
Tre giorni prima…
Era
cominciato tutto quando era arrivata alle Sabaody e si era precipitata a rubare
il carburante per il suo aereo; sensi di colpa? Qualcuno, messo a tacere senza
troppi rimpianti; in fondo, era per una buona causa. Se il colpo le fosse
andato per il verso giusto sarebbe potuta tornare a Lanomì
con un cargo che avrebbe fatto tappa proprio da quelle parti e che sarebbe
salpato tre giorni dopo. Il carburante però
era prodotto e custodito da un vecchio irriducibile che Lilian, nonostante
tutte le sue buone (anzi, cattive!) intenzioni, non riusciva a beffare e
derubare. Dopo il quarto tentativo di sottrargli la preziosa merce, l’omaccione
era uscito fuori dalla sua casa con i pugni sui fianchi e aveva squadrato la
ragazzina che si rimetteva faticosamente in piedi tra i cocci dopo essere stata
scaraventata fuori da una finestra del pianterreno.
-Che diavolo
ti prende, mocciosa? Hai deciso di non farmi dormire stanotte?- aveva tuonato
scrollandosi i lunghi capelli bianchi sotto la papalina.
-Mi
spiace signore.- aveva mormorato Lilian Rea. -Ma non posso.
-Ehi!-
era stato il commento dell’uomo, osservandola meglio alla luce
dell’alba. -Tu sei la mocciosa di ieri pomeriggio, quella del
carburante!-
-Mi serve!-
aveva pigolato lei. -Ma non ho soldi per comprarlo, io…
devo andare da una persona!-
-Te li
dovrai guadagnare…-
-Non c’è
tempo!- aveva gridato Lilian sull’orlo delle lacrime. Quel maledetto
vecchio le stava facendo perdere quelle poche ore che aveva a disposizione
prima della partenza del cargo! Ma a guardarlo, l’aveva
intuito che non sarebbe stato un avversario facile, nonostante l’età
avanzata: altissimo, la sovrastava completamente, con i capelli canuti e un
pizzetto rotondo altrettanto bianco, e una cicatrice che gli solcava l’occhio
destro dall’alto in basso. Non l’aveva
picchiata né le aveva sparato addosso, la sorprendeva semplicemente in
casa sua, la sollevava da sotto le ascelle tenendola ben distante da sé
e la lanciava fuori dalla sua proprietà lanciandole insulti irripetibili. Per
le prime tre volte era stato molto violento, in crescendo, ma alla quarta aveva
assunto un fare rassegnato. E dire che lei l’aveva
anche drogato abbondantemente, per evitare che si svegliasse!
-Non c’è
tempo… sta per morire.- aveva mugolato la ragazza sotto lo sguardo
incuriosito e assonnato dell’anziano. Lui ci aveva riflettuto un
po’ su, osservando sovrappensiero la piccoletta che non
accennava ad andarsene.
-Senti,
facciamo così: ti faccio uno sconto speciale, va bene?- aveva ceduto alla
fine.
E dopo
qualche minuto di trattative i due si erano accordati. Era cominciata così
la carriera di Lilian Rea Yaeger come ladra: s’intrufolava
nella notte nelle case dei Draghi Celesti e sgraffignava i Berry e i gioielli
che riusciva a trovare nelle loro opulente camere da letto. Era pericoloso? No,
era mortale. Se qualcuno di quegli snob l’avesse
sorpresa, l’avrebbe uccisa senza pietà
lì, con le mani ancora nei portagioie. Lilian però
aveva risolto la cosa a modo suo: “allora basta solo che non mi vedano.”
E aveva razziato per le due notti seguenti finché
non era stato diramato un allarme tra le case dei nobili: c’era
qualche ladro, sicuramente uno di quei plebei invidiosi e violenti, che osava
rubare i loro spiccioli, e doveva esser punito.
Lilian
aveva fatto spallucce, continuando a contare i soldi che aveva racimolato
chiusa al sicuro nella sua camera al “Tispenno”:
lì le tariffe erano inavvicinabili, ma il vecchio aveva messo
una buona parola con la locandiera perché
le facesse un prezzo onesto. Contando gli ultimi spiccioli, Lilian aveva notato
con gioia che ormai le mancava pochissimo per raggiungere la quota necessaria a
comprare ben due barili di carburante; aveva deciso così
di fare un ultimo colpo.
Era
approdata proprio quel pomeriggio una nave mercantile dall’isola
di Amazon Lily, e siccome Lilian aveva notato il suo equipaggio femminile
concludere parecchi affari, aveva pensato che a bordo ci fossero parecchi
Berry, e si prefissò quel vascello come obiettivo
finale.
S’era
intrufolata a bordo della “Sugar’s
Women” quando le sembrò che la vigilanza fosse poca o
nulla, e si era diretta in punta di piedi nella cabina del capitano, dove
dovevano esser tenuti i soldi. Aveva cominciato a rovesciarsi in tasca un bel
po’ di dindini, quando all’improvviso…
-Di
qua! Nella cabina del capitano!- udì una voce femminile provenire dal corridoio.
L’avevano trovata?? L’avevano trovata!! Lilian aveva
reagito facendo la cosa più stupida che potesse fare: si era nascosta
sotto la scrivania, che essendo posizionata sotto la finestra di fronte alla
porta d’ingresso e avendo un pannello di legno che copriva la vista
delle gambe di chi vi si fosse seduto, le offriva un temporaneo rifugio. Da lì,
se ci fosse riuscita, avrebbe potuto tuffarsi dall’oblò,
ma così su due piedi le sembrava troppo piccolo per far passare il
suo sedere.
Si era
accovacciata sotto il mobile e vi era rimasta immobile, trattenendo il respiro.
Due donne avevano fatto il loro ingresso nella sala.
-Che devi
dire?- aveva cinguettato una. Ah, fantastico, non stavano cercando lei! Era
solo un misero pettegolezzo che quelle due dovevano andare a spiattellare
proprio là!
-Hai
presente il tizio del giornale di oggi?- aveva bisbigliato l’altra
eccitata, e qui Lilian aveva teso le orecchie. -Il ragazzo che Sweet Pea ha
trovato due giorni fa vuole salvarlo!
-Tua
cugina? Perché, conosce gli uomini adesso?
-Mi ha
lumacofonato ieri, era eccitatissima! Ne ha trovato uno nella foresta e quando
le hanno detto che era un uomo per poco non sveniva!- e giù
risatine.
-E chi
vuole andare a salvare?
-Quel
pirata, quello che impiccano tra cinque o sei giorni…
Port… Porn… non ricordo nemmeno il nome,
comunque il problema non è quello! Sai cosa mi ha detto
Sweetie?
Lilian
e l’altra amazzone aspettarono qualche istante. “Portuguese D. Ace, cretina!! Cos’altro ti ha detto questa Sweetie?”
pensava Rea, ora assetata di notizie.
-La
nostra bellissima Boa Hancock lo porterà
fino ad Impel Down, dove scenderà nelle prigioni per salvarlo!
-Vuole
aiutare un… un uomo!?- aveva esclamato incredula l’altra.
-Dicono
che sia affetta dal male incurabile…- aveva mormorato mesta la cugina
di Sweet Pea.
-E
poi? Lo riporterà ad Amazon Lily con quell’altro?
-No,
non ha trovato una soluzione per tornare indietro, quei due se la dovranno
cavare da soli.... com’è giusto, sono solo uomini! Non
capisco perché la nostra preziosa imperatrice perda il suo tempo così!
Lilian
aveva soffocato a stento un singhiozzo per l’emozione:
doveva contattare questa Boa Hancock! Avrebbe potuto prendere al volo Ace all’uscita
della prigione con il suo aereo! Quell’Hancock avrebbe solo dovuto darle
il segnale di partenza, per esempio quando sarebbero stati fuori dall’edificio,
e lei se ricordava bene dov’era Amazon Lily, portando lì
il Canadair avrebbe potuto raggiungere Impel Down in poco più
di mezz’ora di volo.
Ma un
singhiozzo soffocato era troppo per le orecchie fini delle guerriere.
-C’è
qualcuno!- aveva squittito una.
-Non è
possibile…- aveva cominciato l’altra.
-Negli armadi?-
-Aspetta,
controllo!-
L’Ambizione!
Stava per usare l’Ambizione in modalità
Percezione, l’avrebbero scoperta in un attimo!! Lilian si era paralizzata
per la paura e per l’angoscia di aver fallito ad un
passo dal compimento del suo piano, incrociando le braccia davanti a sé.
-Nessuno.-
aveva constatato una delle amazzoni. -Non percepisco nessuno.-
Nessuno?
Come, nessuno? Non sapeva usare l’Ambizione? Eppure lei, Lilian, l’aveva
percepita benissimo l’Ambizione della guerriera sondare l’aria
attorno a lei, le guerriere di Amazon Lily erano famose proprio per quello. Non
l’aveva distinta? Un pensiero fulmineo le attraversò
la mente: che fosse riuscita a bloccare l’Ambizione
di quell’amazzone? Sapeva che si potesse resistere alla modalità
“Re Conquistatore”, ma non alle altre…
Aveva aperto con precauzione gli occhi: aguzzando la vista poteva intravedere
un sottilissimo filino blu elettrico, come di cotone, sembrava il colore vivido
di certi pesciolini, aleggiare attorno a lei. Aveva allungato le dita per
toccarlo, ma non aveva percepito nulla, come fosse incorporeo, e il filino era
sparito.
-Ma l’ho
sentito benissimo quel rumore! Aspetta, provo io.-
Lilian
aveva rimesso le mani a croce davanti a sé,
stavolta però congiungendo gli anulari e i pollici (“posizione
ieratica”, aveva letto una volta in un volume di storia dell’arte)
immaginando di creare una barriera invisibile attorno alla sua persona. Sapeva
che era una cosa stupidissima da fare, e che di gente con poteri sovrannaturali
sono pieni solo i fumetti per ragazzi, ma per il momento l’unica
spiegazione alla cilecca dell’amazzone era che lei fosse in grado
di resistere all’Ambizione in modalità
Percezione. Era un fenomeno giustificabile solo se lei avesse mangiato un
Frutto del Diavolo, ma era sicurissima di non aver ingerito nulla del genere; e
comunque, l’ambizione non aveva a che fare con quelli. Il filino,
puntuale, ricomparve.
-Niente.
Boh, forse il mare ha portato qualche relitto contro la nave.- avevano ovviato
le due, andandosene e chiudendo la porta.
Lilian
aveva tirato un lunghissimo sospiro di sollievo, riacquistando colore e
sventolandosi con una carta nautica raccattata lì
per lì.
Notte
fonda. Tutti dormivano alle Sabaody. I marinai del cargo diretto a Libar, il
continente sul cui entroterra si trovava Lanomì,
stavano dormendo aspettando l’alba per salpare. Una porticina nei
bagni del primo piano della base della Marina sull’arcipelago
si era aperta con cautela senza cigolare e Lilian Rea Yaeger era sgattaiolata
fuori dal suo nascondiglio, protetta dall’oscurità
che regnava sovrana e da quella nuova strana abilità
che aveva scoperto di possedere.
Gente
in giro di ronda ce n’era poca; il rischio era altissimo
ma la posta in gioco era troppo allettante per lasciarsi sfuggire un’occasione
del genere. Lilian, memore di una precedente ricognizione sul posto, aveva
localizzato senza problemi gli archivi di quella base, vi era penetrata e aveva
cominciato a cercare febbrilmente il numero di lumacofono di Boa Hancock tra
tutti i nominativi di pirati schedati dalla Marina. Non doveva essere
difficile, considerando la posizione che rivestiva la piratessa: membro della
Flotta dei Sette.
Trova.
Scrive. Sparisce.
Dietro le quinte della storia... Ta-daaaan!!! Lilian si mette in moto!! Cos'avrà in mente per salvare Ace? Cosa vuole fare con l'aereo? A cosa le serve il numero di Boa Hancock? Con questo capitolo cominciamo ad entrare nel vivo della storia e del passato della protagonista, quindi se in qualche passaggio sono stata poco chiara o qualche flash-back è stato troppo fumoso (c'era un flash-back in questa puntata, si è capito? gli avvenimenti riferiti a tre giorni prima che Lilian leggesse l'articolo su Ace) per favore fatemelo notare nelle recensioni e cercherò di essere più chiara! ^^' Per quanto riguarda le amazzoni presenti alle Sabaody, mi rendo conto che dovrebbe esserci una sola nave ad Amazon Lily, quella di Hancock... però ho tranquillamente ignorato la cosa u.u in fondo un questa storia c'è un Canadair, che differenza fa una nave in più o in meno? xD il nome della nave, "Sugar's women", letteralmente si traduce come "Donne di zucchero", quindi la canzone "Donne" di Zucchero! Ok, fine dello sclero! Per favore se vi è piaciuto il capitolo o se mi volete dire che è meglio chiudere l'account e farmi la stagione a pomodori, lasciate una recensione ^^ grazie! Appuntamento alla settimana prossima, cari lettori!! :D
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Capitolo 6 *** Ultimo minuto ***
[zipedit] Ultimo minuto
Adesso, seduta ad un tavolino del bar nella zona turistica
delle isole Sabaody, appena un’ora prima della partenza del cargo, poteva fare
quella lumacofonata. Aveva svegliato il vecchio artigiano in piena notte per
comprare i barili di carburante, che adesso facevano bella mostra accanto a
lei, e non li perdeva di vista nemmeno per un istante.
-Boa Hancock?- esordì.
-Con chi parlo?- rispose una voce femminile sensuale e
altezzosa dal ricevitore.
-Parla Lilian Rea Yaeger. So che lei sta cercando di far
infiltrare Monkey D. Rufy in una prigione di massima sicurezza.- il tempo era
poco e non si perse in chiacchiere.
-Come ti permetti di insinuare…- s’inalberò l’interlocutrice.
-Non perda la pazienza, sto parlando da una linea sicura.- la
rassicurò accarezzando un lumacofono bianco accanto a quello con cui parlava,
che bloccava eventuali intercettazioni. -Sa come infiltrarlo ma non sa come
portarlo via, vero?
Boa Hancock rimase muta per pochissimi istanti, sufficienti
per far capire a Lilian che quanto sapeva era vero.
-Chi sei?- domandò l’amazzone.
-Sono una persona che potrebbe aiutarla senza metterla nei
guai col Governo; diciamo solo che i nostri interessi collimano, e potremmo
aiutarci a vicenda. Non le chiedo soldi, solo cooperazione.
-Dimmi di più, Lilian. Mi interessa molto.
Lilian le spiegò chi fosse.
-Tu vuoi mettere le unghiacce addosso al mio Rufy!!- l’accusò
la donna all’altro capo del filo, ma Rea non si fece soverchiare e mantenne la
calma.
-No signora.- disse. -Portuguese.-
-Oh.- si stupì Boa Hancock, che evidentemente non capiva come
altri uomini potessero anche lontanamente essere considerati attraenti, al di
fuori del suo favorito. -E arriveresti ad Impel Down? Non ci sono strade che
portino all’isola.- avversò.
-“Strade”?- disse
Lilian Rea Yaeger calandosi sul naso gli occhiali da sole. -Col mezzo che ho io
non mi servono “strade”.-
Dieci minuti dopo chiudeva vittoriosamente quella
conversazione. Ora doveva solamente fare rotta verso Lanomì per recuperare
l’aereo. Mancavano quattro giorni all’esecuzione di Portuguese D. Ace.
-Arriva! Aereo da ovest!- l’urlo di un’amazzone avvertì
l’Isola delle Donne dell’arrivo dell’aviatrice. Lo splendente Canadair giallo
aveva fatto capolino al tramonto sbucando da una grande nuvola rosa che
sembrava panna montata, e ora si cominciava a sentire in tutta l’isola il rombo
imponente dei due Pratt & Whitney che spingevano e sorreggevano la
carlinga. Donne e bambine sciamarono in strada e uscirono dalla vallata,
andando ad affollare i dintorni del porticciolo dell’isola dove sarebbe
atterrato il Canadair, che essendo anche anfibio poteva atterrare
tranquillamente sulle acque calme che circondavano quelle terre.
Nessuna aveva mai visto uno spettacolo del genere, e applausi
e grida d’entusiasmo si levarono dalla popolazione quando il velivolo sfiorò
l’acqua al largo e dolcemente si fermò poco lontano dalle banchine di legno,
sollevando dolci onde trasparenti.
Lilian aprì il portello e mise fuori dal Canadair la testa
guardando la grande montagna che proteggeva il villaggio tra i festeggiamenti
generali. La regina aveva dato istruzioni via lumacofono per accoglierla,
poiché aveva stretto il patto con lei quando era già salpata alla volta delle
basi della Marina. Le guerriere andarono a prenderla a pochi metri dalla riva
con una piccola imbarcazione, imbrigliarono leste l’aereo giallo e con alcuni
serpenti acquatici lo trascinarono vicino al molo, ancorandovelo. Anche se non
era nativa di lì, l’alleanza con la regina dell’isola e il fatto di essere riuscita
a parcheggiare una macchina volante con trenta metri di ali nella loro modesta
darsena aveva impressionato le guerriere e le piratesse della zona.
-Mi spiace d’essere arrivata molto prima dell’esecuzione, ma
preferivo mantenermi larga con i tempi.- si scusò con Kikyo, la guerriera che
fece gli onori di casa, una donna slanciata con i capelli legati in un’alta
coda, dal piglio severo e gli occhi truccati.
-Nessun problema, Yaeger.- rispose lei, fredda e
professionale. -L’esecuzione è fissata per domani, hai tutto il tempo per
equipaggiare l’aereo.
-Ho bisogno di alcune informazioni, prima di ripartire. Avevo
chiesto a Boa Hancock di lasciarmi alcune carte.- chiese Lilian distaccata, per
darsi un po’ di tono davanti a quella donna così altera.
Lilian non si aspettava che, fin da mezzogiorno, l’esecuzione
di Portuguese D. Ace sarebbe stata trasmessa in diretta, con un anticipo di tre
ore rispetto al lavoro del boia. Cosa diavolo c’era da vedere, tre ore prima?
La trasmissione non faceva altro che accrescere il suo nervosismo.
Altro problema, ben più grave, era che lei pensava di dover
andare ad Impel Down, ma Monkey D. Rufy, come le aveva comunicato via radio la
regina amazzone, non ce l’aveva fatta a liberare il fratello e l’esecuzione si
sarebbe svolta regolarmente sull’isola di Marineford. Boa Hancock però,
dimostrando un’incrollabile fiducia nei confronti del suo prediletto, le aveva
dato disposizioni perché decollasse nell’istante in cui le catene di Ace
fossero state aperte, le avrebbe comunicato lei via radio quando. Lilian aveva
provato a ribattere che, suo malgrado, era improbabile riuscire a fare una cosa
del genere una volta che Pugno di Fuoco fosse stato sul patibolo, con un intero
esercito pronto a freddare chiunque gli si avvicinasse, ma…
-Non provarci nemmeno, Lilian!!- aveva strillato nel telefono
Hancock, costringendola ad allontanare il ricevitore dall’orecchio. -Il mio
Rufy riuscirà a liberare suo fratello… e vedi di prenderlo in tempo su quella
diavoleria volante altrimenti ti uccido con le mie stesse mani!!!-
Lilian, conscia di quanto quella strana alleanza fosse
un’autentica botta di culo si morse
la lingua e invece di rispondere con una serie infinita di insulti inspirò
profondamente e rispose docile: -Sì, signora.-
L’aviatrice si augurò con tutta se stessa che quella fiducia
non fosse solo frutto dell’infatuazione, ma conoscendo la fama di quel Rufy, di
cui le aveva parlato anche Ace, non era così insensata l’ipotesi che potesse
farcela. Oltre a quello che aveva sentito, quel giovanotto nonostante l’età vantava
una taglia ragguardevole, e sicuramente non se l’era meritata facendo origami.
Lilian pensò anche che fortunatamente le due isole erano situate quasi alla
medesima distanza dalla capitale amazzone, e c’era carburante a sufficienza;
per quanto fosse costoso, almeno il Canadair ne consumava poco. Viste come si
erano messe le cose, si era fatta procurare da Kikyo tutte le cartine e tutte
le immagini disponibili su quell’isola, e la donna era stata molto efficiente.
Era nella corte interna della residenza di Hancock assieme
alle altre amazzoni, che guardavano gli schermi giganti: non esisteva una
televisione in ogni casa, e tutte amazzoni a conoscenza degli uomini si erano
date appuntamento al palazzo reale, approfittando dell’assenza di Hancock per
godersi la diretta.
Secondo Lilian era di pessimo gusto trasmettere
un’esecuzione, indipendentemente dal condannato. La regia inquadrò prima tutti
i generali, facendo una rapida carrellata sui loro poteri e sui loro incarichi.
Rea cercò di tenere a mente quelli più pericolosi, ma dopo pochi volti si rese
conto che era fatica sprecata: erano tutti pericolosi, ed erano tutti in grado
di abbatterle l’aereo. Avrebbe potuto creare la barriera contro la percezione e
nascondere l’aereo almeno da quella, ma con tutto il rumore che avrebbero fatto
i motori sarebbe stata inutile!
L’aviatrice scalpitava e lo stomaco le si contorceva come una
biscia: dov’era Ace? Il patibolo era ancora deserto. Dopo mezz’ora di
chiacchiere da salotto, buone solo per zitelle annoiate, la telecamera inquadrò
un’altissima porta che si aprì sul buio: inizialmente non si capiva chi o cosa
dovesse uscirne, poi gli spettatori capirono che c’era da guardare verso il
basso. Il condannato usciva scortato da due Marine.
A Lilian parve avere il corpo pieno di ghiaccio, ma si
sentiva scottare. Il ragazzo era coperto di sangue e sudore e camminava a
fatica, ce l’avrebbe fatta a salire sull’aereo? E loro come si erano permessi
di ridurglielo così? Era peggio di quanto si aspettasse, peggio di come stava
quando si erano lasciati sulla nave di Teach.
-Yaeger, prendi fiato.- l’avvertì Kikyo piatta, aspettandosi
quella reazione. Emotiva quella piccoletta, decisamente emotiva, pensò la
guerriera. Appena aveva visto il ragazzo era diventata bianca come un lenzuolo
e aveva praticamente smesso di respirare.
Lilian espirò lentamente dal naso, senza distogliere lo
sguardo dallo schermo.
-Quei luridi…- imprecò a mezza voce.
-Non ci puoi fare niente. Aspetta il segnale di Hancock.- le
rispose dura Kikyo.
Lilian camminava avanti e indietro mentre il ragazzo veniva
condotto sul fasciame, maledicendo la Marina e quella trasmissione.
-Se proprio non resisti, vai all’aereo.- suggerì l’amazzone,
sforzandosi di essere paziente.
-Mi sa che farò proprio così.- concordò furiosa la ragazza,
che bruciava di rabbia, avviandosi fuori dalla sala.
Ad attenderla nel cortile c’era un piccolo cavallino senza
infamia e senza lode, messo gentilmente a sua disposizione per andare e venire
più velocemente dall’aereo, bardato solamente con le redini di corda e con una
sella spartana. Rea gli balzò su arrampicandosi sulla staccionata cui era
legato, e si diresse a spron battuto verso il porticciolo dove l’aspettava il
suo Canadair, pronto a partire.
Il pontile era deserto, e Rea si sedette per terra, lasciando
penzolare le gambe dal molo stando attenta a non far cadere in acqua gli
infradito di gomma scoloriti e spaccati dal sole, e chiuse gli occhi cercando
di riprendere la testa che aveva perso: non guardando quella trasmissione, non
poteva sapere come stesse Ace, né cosa stesse succedendo a Marineford. Forse
era stata un po’ precipitosa a galoppare via, però davvero le erano scappati i
nervi di mano.
Dopo un’ora scarsa le amazzoni cominciarono ad affollare
l’insenatura.
-Che ci fate qui?- domandò Rea. -Pensavo seguiste la
diretta.- e sperava di entrarci dentro pure lei, alla diretta, salutando le
telecamere mentre portava in salvo i due fratelli, ma come al solito era stata
fin troppo ottimista.
-Sono arrivati tutti i pirati di Barbabianca!- risposero le
amazzoni eccitate. -Una grande battaglia! E sono arrivati dall’alto i
prigionieri di Impel Down, poi hanno interrotto le trasmissioni e siamo venute
qui.
-Yaeger!- la chiamò Kikyo arrivando. -La situazione a
Marineford è esplosa! Non so se l’Imperatrice Boa Hancock riuscirà a tenere
sotto controllo gli ammiragli, e probabilmente no.
Rea andò un po’ lontana dal molo e tornò con un fucile ad
armacollo, mentre si fissava in vita un cinturone con due pistole che le
pendevano dai fianchi. Sotto un albero vicino alla spiaggia infatti aveva
lasciato tutti i suoi averi, per non perderli nel caso sfortunato non fosse
riuscita a non far abbattere l’aereo, o per salvarli ad una confisca.
Era scoppiato un putiferio? Tutto a suo vantaggio! Meglio
avere ammiragli, contrammiragli e sottammiragli impegnati in una sana rissa che
seduti comodamente sugli spalti a godersi lo spettacolo di un Canadair in
picchiata!
-Yaeger! potrebbero abbatterti in volo!-
-Che ci provino.- rispose la ragazza portando sul Canadair le
armi. La distanza tra il portello e il molo era minima, e adesso si poteva
salire a bordo in un balzo.
-Non puoi sparare e pilotare l’aereo contemporaneamente!!-
avversò sensatamente la donna.
In quel momento la radio di bordo richiamò la loro
attenzione.
-Qui Serpe, mi sente Falcon?- Boa Hancock trasmetteva dal suo
posto, praticamente un loggione su quel teatro che era diventata la baia. Aveva
un’auricolare nascosto fra i capelli corvini, dove nessuno sano di mente
avrebbe mai osato mettere le mani. E pure se fosse successo, non sarebbe certo
andato a raccontarlo in giro.
Lilian salì in cabina e si portò la cuffia all’orecchio senza
indossarla.
-Qui Falcon, la sento forte e chiaro Serpe, passo.-
-Adesso, Falcon.- sussurrò la voce suadente. -Rotta verso Marineford.
Passo e chiudo.
Rea indossò la cuffia della radio e disse a Kikyo, che
l’aveva seguita nella cabina di pilotaggio:- Partiamo subito, fai allontanare
le ragazze dal molo.-
-Non ti serve un altro pilota?- le propose Kikyo.
-C’è qualcuno che sappia guidare un aereo, qui?
Kikyo rimase in silenzio. Nessuno.
-L’hai detto tu stessa che potrei essere abbattuta in volo:
basto io.-
Quell’alleanza aveva del miracoloso: Lilian ancora non ci
credeva di essere riuscita a carpire una notizia tanto segreta quanto
fondamentale, l’Imperatrice pirata innamorata di un ragazzino che non le
arrivava nemmeno alle spalle. Quel colpo di fulmine però le era
straordinariamente favorevole perché pur di salvare il suo pupillo, la
prosperosa piratessa aveva accettato di aiutarla dandole il segnale per quando
fosse stato il momento per alzarsi in volo e andare a prenderli come un falco
con le prede. Non solo: poteva distrarre tranquillamente generali e ammiragli.
Un bel parapiglia sul luogo dell’esecuzione era quello che le
serviva; e se c’era di mezzo Barbabianca, conoscendolo di fama e dai racconti
di Ace, poteva star certa che a Marineford stessero sparando davvero i fuochi
d’artificio. In tutta quella bolgia qualcuno doveva essere riuscito ad aprire
le manette di agalmatolite del ragazzo, condizione fondamentale per portarlo
via (a meno che non trascinarselo dietro legato, ma sarebbe stato impossibile).
Lui e il fratello inoltre dovevano star vicini quando l’aereo li avrebbe
sorvolati, visto che lei avrebbe fatto un solo giro dell’isola per limitare il
rischio di farsi abbattere: l’imperatrice Kuja non poteva tenere impegnati gli
ammiragli per sempre, ammesso che ci fosse riuscita. Era inoltre necessario non
farsi uccidere nemmeno da Boa Hancock, recuperando non solo Ace ma anche e
soprattutto il fratello.
Ringraziò che Hancock avesse avuto abbastanza presenza di
spirito da contattarla in tempo e cambiare il piano, Marineford al posto di
Impel Down.
Per recuperare i due ragazzi era stata legata una lunghissima
corda munita di nodi ad una delle ali dell’aereo, posizionandola in modo da non
interferire con le eliche ovviamente. Boa Hancock aveva spiegato a Rufy, che
doveva estendere l’informazione al fratello, che appena avessero visto il
grosso velivolo giallo avrebbero dovuto afferrare la cima che pendeva dall’ala
destra e issarsi a bordo.
Giochetto difficile, ma era l’unica soluzione visto che il
Canadair non poteva atterrare né fermarsi a mezz’aria. I Frutti del Diavolo dei
due avrebbero avuto un ruolo fondamentale visto che uno era di gomma e l’altro
trasformandosi in fuoco poteva annullare quasi tutto il suo peso e farsi
trascinare su. Lilian si ripromise di far rallentare l’aereo il più possibile e
di planare a più bassa quota che le fosse riuscito per tirar fuori i due ragazzi
da quella trappola mortale ch’era diventata l’isola della Marina.
Dietro le quinte…
“Strade? Dove andiamo noi non
ci servono… strade.” È la battuta di Christopher Lloyd negli indimenticabili
panni di Emmet "Doc" Brown nella trilogia di Ritorno al Futuro!
Il Canadair: ormai è entrato
decisamente in scena il personaggio più voluminoso della storia! Le mie
competenze aeronautiche però si fermano alle puntate di Tale Spin che vedevo da
piccola (chi è nato intorno al 1990 capirà: è la serie animata della Disney in
cui l’orso Baloo guidava un idrovolante giallo), quindi mi dispiace ma non ho
potuto essere più precisa di così nella descrizione delle manovre, anche se un
giro su Wiki nella sezione apposita l’ho fatto. Non sono riuscita a capire se
fossero necessari due piloti, quindi ho adattato questo dettaglio alle esigenze
di trama.
L’illustrazione è mia, a parte
la piazza che fa da sfondo che è una fotografia di Otranto (LE). Il fondale (le
piante dietro a tutto) invece è tratto dall’anime, e si tratta proprio delle
Isole Sabaody (proprietà privata del signor Oda, dunque).
Voglio inoltre ringraziare
pubblicamente quell’anima pia del mio ragazzo. Il perché vi sarà rivelato più
avanti, ha a che fare con la storia.
Con questo passo e chiudo!
Appuntamento alla prossima settimana con una planata dritta su Marineford!! Se
non sono stata abbastanza chiara in qualche passaggio o se ho fatto qualche
errore madornale vi prego di farmelo notare nelle recensioni. Grazie e a
presto!
Yellow Canadair
Ps. A questo punto della
storia inoltre si innesta un piccolo spin-off alternativo che potete trovare
qui: Visite notturne al prigioniero condannato
La prigionia di Ace: e se Lilian fosse riuscita a parlargli, in qualche modo?
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Capitolo 7 *** Il volo del Canadair ***
[zipedit] Il volo del Canadair
Soundtrack: Clint Mansell - Hold Tight!
La
situazione peggiorava di minuto in minuto, i morti non si contavano più
né dalla parte dei pirati né
da quella dei Marine. Sempre più vite cadevano falciate sotto i
colpi spietati di quella che sembrava più
una manovra politica che di guerra. Tutti gli ammiragli erano radunati in quei
pochi metri di spazio, i pirati erano bloccati nella baia come topi in trappola
e alcuni si sacrificavano per aprire una via di fuga agli altri; l’unico
modo per andarsene da quella carneficina era volando. L’odore
di polvere da sparo e di sangue impregnava l’aria,
dal palco dell’esecuzione partivano raffiche di proiettili e fiammate e
violenti bagliori che attraversavano l’aria mentre la Marina sferrava la
sua offensiva. L’aereo
decollò tra le urla propiziatorie delle guerriere che si tenevano a
distanza dal molo, e Rea le salutò dal parabrezza con il pollice
alzato sollevando due cortine d’acqua ai lati dell’aereo.
Ci voleva una mezz’ora scarsa di volo per raggiungere
l’isola, così accese lo stereo e mise su un po’
di musica. Era equipaggiata per ogni evenienza: attaccate alla cintura le sue
pistole e una fiaschetta di acqua, nell’abitacolo
a portata di mano c’erano i paracadute, i giubbotti di salvataggio
in caso di naufragio, le sue pinne e del cordame, la roba del pronto soccorso,
acqua in quantità, armi. Purtroppo le attrezzature
dell’aereo erano limitate a quelle trovate a bordo quando l’aveva
rubato, quindi s’era dovuta accontentare. Quando
in lontananza scorse la colonna di fumo, segno della guerra in atto, Lilian calò
gli occhiali da sole davanti agli occhi, alzò
il volume dello stereo e aumentò la velocità.
Aveva deciso di avvicinarsi all’isola dalle spalle della baia,
dalla gobba della mezzaluna che era l’isola. Avvicinandosi
alla destinazione, Lilian guardò il mare sotto di lei, e non si curò
di nascondere un’espressione spaventata e attonita:
cosa diavolo era successo??? Dove dovevano esserci onde gentili, dato il clima
e la stagione, c’erano cascate e valli: il mare si
era spaccato e incrinato come uno specchio rotto! “Qualcuno
si sta divertendo con chissà che
Frutto…”
rimuginò la ragazza guardando con preoccupazione verso il basso. L’odore
della polvere da sparo cominciò ad entrarle nelle narici, e intuì
tutta la pericolosità dell’operazione:
era peggio di quello che pensava, e si chiese se in tutto caos dantesco che l’aspettava
sarebbe riuscita a trovare Ace e suo fratello. Sperò
che non si fossero separati, e che il boato dei fucili, dei cannoni e le urla
di combattenti e moribondi coprissero il rombo assordante del suo aereo in
avvicinamento, ma non poteva contarci troppo, anche se sicuramente la cortina
di fumo giocava in suo favore. Rispose alla radio che lampeggiava attirando la
sua attenzione. -Vanno
verso sud, Falcon. Passo. -Ricevuto
Serpe, passo e chiudo. Muovendosi
con prudenza tra i frammenti del mare, per quanto fosse possibile per un
bestione volante, il Canadair giallo rallentando calò
di quota, ammarò e riempì la fusoliera di acqua, poi si
risollevò puntando sul teatro di guerra. La punta tozza gialla e nera
fendette il fumo: penetrò nella nube di polvere e fumo senza
curarsi di eventuali ostacoli, sapeva bene di stare mantenendosi leggermente
oltre le coste dell’isola, proprio per evitare di
scontrarsi con il torrione principale o
con uno dei picchi montuosi che formavano la sede della Marina: ma appena la
visibilità migliorò Lilian si trovò
a pochissimi metri da un’enorme parete ghiacciata che
incombeva minacciosa come un’onda immobile e letale! Virò
verso sinistra e l’aereo piegò
giusto in tempo per evitare lo schianto, continuando il suo volo lungo la
cortina ghiacciata riflettendosi su di essa, sorvolando quello scenario
apocalittico di morte e distruzione mentre raffiche di proiettili cercavano di
raggiungere il velivolo. -Serpe,
diversivo, passo. -Diversivo…?-
esitò Hancock. -Sto
attirando troppo l’attenzione, non mi devono colpire!
Canti una canzone, si spogli, attiri l’attenzione degli ammiragli! Passo e
chiudo! Sempre
più sguardi si levavano verso l’alto,
in direzione del grande uccello il cui rumore dei motori ormai non veniva più
coperto dalla distanza e i colori giallo e rosso vivo spiccavano contro l’enorme
blocco di ghiaccio creato da Barbabianca e Aokiji. I suoi
nemici non erano i fucili o i cannoni, che avevano una gittata limitata e non
erano creati per sparare verso l’alto: doveva assolutamente evitare
gli ammiragli, che con i loro poteri potevano farle a pezzi l’aereo
prima ancora che scendesse, e non poteva permetterlo. Anzi, se avessero saputo
che era in avvicinamento, avrebbero potuto abbatterlo già
prima che sorvolasse Marineford. -Un'altra
nave!! Dall’alto!!! -Non è
una nave! Sono quegli affari volanti, è sempre la Marina! Anche
se la Marina ufficialmente aveva sospeso le comunicazioni, la radio trasmetteva
ancora voci scomposte dal luogo dell’esecuzione su tutte le isole del
mondo e in tutti i villaggi c’era un apparecchio che diffondeva
il singolare resoconto in diretta. Una donna formosa dalle curve importanti,
seduta elegantemente ad un tavolino di un bar di Alexandra Bay con le morbide
gambe accavallate sotto la lunga tovaglia di lino bianco si concentrò
di più sulla trasmissione: macchine volanti su Marineford? Non
potevano essere i Canadair, erano tutti sotto la sua custodia e non erano
costruiti per scopi bellici. Ma in fondo non si poteva prestar troppa fede a
quelle voci… un aereo lì, figurarsi. Sarà
stata qualche diavoleria ordita da Sengoku, o roba simile. -Si
chiamavano Canadair, brutti idioti!! Non vedete che è
giallo? L’avete mai vista una nave della Marina gialla???- urlò qualcuno da Marineford. Il
caffè che stava bevendo andò
violentemente di traverso alla donna, gli occhiali tondi dalle lenti nere e la
montatura bianca fecero un volo e rovinarono sul tavolinetto, si alzò
in piedi mentre sputava la bevanda calda dal naso e dalla bocca; immediatamente
un cameriere le fu accanto sollecito: -Signorina Vegapunk, non si sente bene? -NO!- rispose
lei in maniera poco fine. -LILIAN!- -Lilian!- esclamò una
ragazza dai grandi occhi turchesi e dai fitti capelli ricci; stava seguendo
anche lei i fatti di Marineford mentre si affaccendava in un grande hangar,
portando dei barili di carburante ad un vecchio meccanico aiutandosi con un
carrellino d’acciaio. Un piccolo lumacofono le faceva capolino da una delle
tasche della tuta. Eccoli!
Lilian riconobbe Ace dalle vampe che si levavano minacciose e letali dalla zona
sud dell’isola, così fece virare l’aereo
facendogli fare un pericolosissimo giro in tondo sulla baia, poi si diresse
verso il punto dove stavano dando battaglia i due fratelli e uno degli
ammiragli: fece calare il Canadair fin quasi a fargli toccare il suolo,
offrendo la corda lunga una decina di metri che pendeva dall’estremità
dell’ala dell’aereo ad Ace e Rufy, e
contemporaneamente, sperando che Hancock si fosse ricordata di dire al ragazzo
di afferrarla, si sbarazzò dell’intero
carico di acqua di mare sul Marine che stava cercando di uccidere i due,
travolgendolo senza scampo. A Rea parve avere un potere molto simile a quello
di Ace, rendendosi conto che alcuni degli attacchi che aveva riconosciuto dall’alto
non erano del ragazzo ma dell’avversario, però
accantonò immediatamente il pensiero superfluo. Recuperò
quota, allontanandosi da terra. Inclinando
l’aereo, dette uno sguardo al luogo dove aveva scaricato tutte
quelle tonnellate d’acqua: non c’era
più nessuno, si era creato un vuoto surreale in mezzo a tutta
quella battaglia, deserto come una piazza di chiesa il lunedì
mattina. Voleva dire che i due ragazzi avevano afferrato la corda, o che si
erano fatti una doccia da primato ed erano stati spazzati via? Tutt’attorno
era un brulicante formicaio di combattenti che correvano in ogni direzione,
attacchi che si susseguivano con furia, urla distintamente udibili persino in
un abitacolo insonorizzato come quello. Marco
volò di nuovo dal padre, spiazzato da quell’intervento
improvviso. Atterrò in un turbinio di fiamme azzurre e
senza nemmeno lasciargli proferir parola Barbabianca esclamò
concitato: -Aiutali, vai, vai, vai!- Il
biondino non ascoltò nemmeno il primo “vai”,
si ritrasformò in fenice e decollò inseguendo il Canadair, ma
soprattutto il suo fardello appeso sul nulla. Newgate non aveva idea di chi
diavolo fosse alla guida di quel singolare mezzo, ma della Marina certo non
poteva essere, e se Rufy aveva afferrato così
ciecamente quella corda, allora doveva trattarsi di un alleato. Lilian
non aveva ancora fatto prendere velocità
all’aereo, e Marco raggiunse per un soffio il fratello e Rufy. -Vi
aiuto a salire!- gridò ai due fuggiaschi. Una
raffica di artiglieria investì l’aereo,
mandando in avaria il secondo motore. Il Canadair rispondeva a fatica ai
comandi, era probabile che si dovesse ammarare a breve, ma per il momento
potevano resistere. -Serpe!-
invocò Lilian alla radio. -Il secondo motore è
andato, proseguiamo in direzione ovest, ammaraggio imminente, attendiamo
soccorsi. Passo e chiudo.- “E siamo nella merda.” pensò.
Hancock sapeva cosa volesse dire “ammarare”?
Fece recuperare quota all’aereo, portandosi fuori più
lontano possibile da Marineford. Marco
ritornò dal suo comandante. -Chi
era?- chiese Barbabianca mentre ordinava la ritirata ai suoi compagni. -Non
ne ho idea.- scosse la testa il ragazzo, senza trattenere un sorriso
trionfante. -Chiunque fosse, è arrivato giusto in tempo!- Aveva
aiutato il fratello e Cappello di Paglia ad issarsi a bordo ma poi aveva
ritenuto più saggio tornare da suo padre a riferire che ormai i due
erano salvi. Dal
posto di guida, Lilian udì una serie di versi maschili che
annunciavano che i due ragazzi stavano issandosi a bordo. Fortunatamente erano
entrambi possessori del Frutto del Diavolo, e l’operazione
che sarebbe risultata impossibile per un uomo normale per loro fu semplice,
senza contare l’aiuto di Marco, anche se Lilian non si era accorta del suo
intervento. Per permetter loro di salire, sull’isola
delle Amazzoni aveva smontato e lasciato a terra il portello laterale che dava
sull’ala dove era stata legata la corda; le dava fastidio in
volo, era pericoloso a volontà, ma non potendo certo lasciare i
comandi per andare ad aprire ai due era l’unica
soluzione. I due
fratelli guadagnarono a fatica l’abitacolo. -Via
dal portello, avvicinatevi!- gridò Lilì
per coprire il rombo dei motori, girandosi verso l’interno
del suo aereo. -Ti ha
mandata Hancock!?- esclamò il ragazzo più
piccolo, che Lilì non conosceva. -Sì!-
gridò sorridendo. -Toglietevi dal portello, venite qui!- ripetè.
Ci mancava solo che cadessero di sotto! Erano
sfatti, distrutti, coperti di sangue e sudore ma almeno erano vivi. Crollarono
bocconi sul pavimento dell’abitacolo, ridendo. Rea li considerò
un attimo, avrebbe voluto avvicinarsi e dar loro una mano, aveva notato un po’
troppo sangue scorrere per terra, ma doveva concentrarsi sulla guida. Il
fratello di Ace si trascinò verso di lei. -Ciao, io sono
Rufy!- si presentò il ragazzino. -Serpe,
abbiamo recuperato il carico. Passo.- comunicò
Lilian alla radio. -Ciao, sono Lilian!- sorrise. -Questo
aereo è fortissimo! Può entrare nella mia ciurma? -Ma
chi?- domandò Rea, eliminando subito l'ipotesi che le si stesse dando del
lei. -L'aereo! Ma la
radio ricominciò a lampeggiare: -Vi attaccano!! Passo e chiudo!- salì
alterata la voce di Boa Hancock.
Un
botto fece sobbalzare l’aereo, facendo fare a Rea un salto
sul sedile, e scaraventando a terra Ace che stava tentando di rialzarsi, Rufy
invece si abbarbicò al sedile del co-pilota mentre le
lancette dei controlli andavano avanti e indietro come fossero ubriache. -Tu!-
urlò rivolta a Rufy che si era lasciato cadere sul sedile di
fianco. -Prendi i comandi!- lo mise di peso al posto del pilota. -Tienilo
dritto!- ordinò mettendogli la cloche in mano. -Ehi!
Io non lo so mica guidare! -Usa
quella leva! -Qualcuno
ci sta bombardando.- sibilò Rea affacciandosi dal portello dal
quale erano entrati i due fratelli. -È
il vecchio!- ringhiò Ace guardando da un oblò.
-Quello ci abbatte, ci sta tirando le palle di cannone!- Con un
balzo Lilian attraversò l’abitacolo
ed afferrò un fucile che stava posato in un angolo. -Rufy,
lo reggi?- gridò al nuovo pilota, intendendo il Canadair ovviamente.
-Tienilo dritto!- si posizionò contro lo stipite del portello,
con la schiena verso prua, e prese la mira con il fucile. -Va
verso il basso!!- gridò Rufy. -Tira
la cloche verso di te!!- rispose Rea. -Aiutami.- ordinò
ad Ace, facendogli segno di avvicinarsi a lei. -Se non mi reggi, volo di
fuori.- -Lilì,
non vorrai cercare di colpirli da qui!- protestò
il ragazzo levandosi faticosamente in piedi. Lilian si mise con le spalle
contro lo stipite che dava verso prua, e puntò
un piede su quello opposto mentre dietro di lei Ace la reggeva per la vita. Lei
sparò due colpi verso l’omaccione che lanciava furibondo
pesanti palle di cannone, e a poco valeva il fatto che l’aereo
si stesse rapidamente allontanando: la gittata delle braccia di quell’uomo
era mostruosamente maggiore di quella dei cannoni. -Gli facciamo giusto capire
che è poco igienico tentare di attaccarci.- spiegò
ad Ace. Lilian
sentiva caldo lungo la schiena, trattenne il respiro pensando ai poderosi
addominali che la reggevano, ma si riscosse all’istante:
non erano addominali, era sangue quello che sentiva, le scorreva addosso lungo
il braccio del ragazzo. Dopo altre due raffiche, Garp lasciò
perdere il Canadair, che ormai era fuori tiro persino per lui. -Ace…?-
chiamò la ragazza, girandosi. I due si guardarono negli occhi per
qualche istante. -Dimmi… Rea
sparò un altro colpo. -Allenta la presa, non respiro.- lo pregò.
Il braccio muscoloso del pirata la stringeva in vita pigiandola alla lamiera
dell’aereo, e per quanto fosse impossibile che lui la lasciasse
cadere con una stretta simile, lei doveva pur sempre respirare. Rea avrebbe
voluto dire qualcosa come: “Sei ferito, non ti muovere!”,
ma in un quel frangente l’ultima cosa da dire era proprio una
frase del genere, ovvia e inutile: non ci si poteva riposare proprio adesso. L'aereo si allontanava ancora ma
proprio mentre Ace, pur sempre con precauzione, le lasciava qualche millimetro
di spazio in più, un terribile boato fece sobbalzare l’aereo,
ed lui la tirò dentro appena in tempo per non farla cadere nel vuoto, e
rovinarono sul pavimento. -Allentare
la presa?- le rispose lui, sballottato fin sulla parete opposta. -Ringrazia che
ti tenevo invece!- Lilian
guardò alle spalle di lui, verso la coda, e lanciò
un grido terrorizzato, si rialzò e si precipitò
al posto di guida, sostituendo il povero Rufy che non aveva idea di come
mantenere il controllo, a quel punto: il muso del Canadair puntava deciso verso
l’alto, come se stesse impennando, tanto che non si vedeva più
il mare. Ace si girò a guardare cosa avesse spaventato
così tanto la pilota e il suo solito ghigno sparì
dal volto, facendo spazio ad un’espressione di puro terrore. -Ottima
mira ammiraglio Kizaru, signore!- commentò
un sottufficiale. -Oh,
non l’ho nemmeno abbattuto.- commentò
tranquillo Borsalino. -Ma temo che non potrà
volare, in quelle condizioni. Intanto
sul Canadair era panico. -Prendete quei giubbotti, quelli arancioni. No, quello
è l’estintore, quello di fianco.
Infilate la testa nel buco e allacciateli!- ordinò
Rea. Rufy guardò
indietro, notò prima il fratello che gli passava il salvagente arancione e
poi, come Lilian, notò lo spettacolo alle sue spalle. -È
sparito il sedere dell’aereo!- La
coda era stata tranciata di netto da un fascio di luce lanciato dal basso, e il
Canadair era completamente ingovernabile! Altro che ammarare, sarebbero
precipitati prima! Tra un motore in avaria e ora la coda fuori controllo,
dovevano trovare una soluzione per abbandonare il velivolo, che procedeva lanciato
a tutta velocità. Lilian tentò disperatamente un atterraggio di
fortuna, ma ormai senza coda e con un motore danneggiato l’aereo
non rispondeva ai comandi. Da dov’erano i tre ragazzi, nella cabina
di pilotaggio, guardando verso il fondo del velivolo si aveva nettamente la
sensazione di viaggiare su un mezzo tagliato a metà,
con Marineford che si faceva piccina piccina fino a sparire all’orizzonte. -Non
possiamo ammarare!- avvertì la ragazza concitata. -Dobbiamo
saltare giù dall’aereo! -Lilì!-
protestò Ace affacciandosi al suo sedile. -Non possiamo buttarci a
mare, ricordi?- anche la sua voce era un po’
più alta del normale. -L’aereo
si distruggerà!- gridò Lilian. -O salti giù
o crepiamo tutti!- spiegò manovrando disperatamente la
plancia per cercare invano di governare quel folle volo. Legò
la cloche dell’aereo in modo da contenere l’impennata
e mandò i motori al massimo per far schiantare l’aereo
più lontano possibile da loro. -Preparatevi!- gridò. Scattò
in piedi e si mise ad armacollo il fucile, corse verso il fondo mozzato dell’aereo,
prese una cima di corda, travolse letteralmente i due trascinandoli verso la
coda tranciata, legò la corda a sé
stessa e si legò a destra Ace e a sinistra Rufy. Il mare scorreva a metri e
metri sotto di loro e si avvicinava sempre di più, -Andrà
tutto bene. Non vi lascerò morire!- gridò
per sovrastare il rombo dei motori e del vento e afferrando la mano di Rufy e
quella di Ace.
E
saltarono.
Dietro le quinte... Ciao! Un gran "folle volo", no? Bene, questa è la prima scena in assoluto che ho immaginato di questo racconto! Dopo esserci rimasta male (no, non male: peggio) dopo Marineford e aver pianto tutte le lacrime che avevo come una disperata ho pensato ad un modo per salvare Ace, e ho pensato che l'unico modo per arrivare a Marineford senza essere un pirata nè un Marine era volando, proprio come aveva fatto Rufy. Poi mi è venuto in mente che, anche volando, bisognava comunque trovare il modo per liquidare Akainu. Quindi serviva un aereo e taaaaanta acqua... un Canadair! E da quest'idea è nato tutto il resto. La scelta dell'inseguitore è stata ardua, ma poi ho ovviato per Garp, che tenta di abbattere l'aereo cannoneggiandolo personalmente, proprio come aveva fatto a Water Seven con la Sunny. E poi ci ha pensato Borsalino a completare l'opera, meno male che l'aereo era già lontano e non l'ha preso in pieno altrimenti questa storia sarebbe finita prematuramente! I nostri eroi sono saltati giù dall'aereo a molti chilometri da Marineford e dalla terraferma! Che succederà nel prossimo capitolo?? Scrivetemi le vostre impressioni nelle recensioni, sono curiosissima ^^ grazie! Grazie a tutte coloro che stanno recensendo: in ordine alfabetico Ele, Firestorm, Miyuki chan, Sanjina99 e Sherry21!! Grazie infinite e a prestissimo! Yellow Canadair
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Capitolo 8 *** Non vi lascerò morire! ***
[zipedit] “Intu mezu du mä gh'è ‘n pesciu tundu che quandu u vedde ë brûtte u va ‘nshù fundo, intu mezu du mä gh'è ‘n pesciu palla che quandu u vedde ë belle, u vegne a
galla” Non vi lascerò morire La caduta
durò dei lunghissimi secondi, l’impatto con il mare quasi fece male a Lilian
che fu strattonata in vita dalla corda. Ma sapeva che il difficile non era
ancora nemmeno cominciato. “Scogli no,
scogli no, scogli no!!”, pensava velocissima la ragazza, terrorizzata
all’idea di sfracellarsi, ma lì l’oceano era profondissimo. I giubbotti
salvagente avrebbero permesso ai due fratelli di galleggiare, quindi di non
annegare, però non li difendeva dal contatto con l’acqua, che li faceva
praticamente perdere tutte le forze fino allo svenimento. E Rea sperava appunto
che si limitasse a farli svenire, senza collassi cardiaci o complicazioni del
genere cui non sapeva come tener fronte. Avrebbe provveduto lei a tenerli con
la testa fuori dall’acqua. Aveva le
pinne con sé, che infilò mentre si trovava sott’acqua per il tuffo; quelle
l’avrebbero aiutata a nuotare, e a portarsi dietro i due fardelli. La sua
speranza era di trovare qualche rottame galleggiante del suo aereo e
improvvisare una zattera. Tornò quasi
senza fiato in superficie, giusto in tempo per guardare, ad un paio di
chilometri più a sud, il suo bellissimo aereo che si schiantava sull’acqua e
veniva inghiottito per sempre dai flutti. Il suo Canadair, il suo meraviglioso
e lucente Canadair scompariva sott’acqua, e non avrebbe potuto recuperarlo mai
più. Aveva perso ciò che aveva di più caro, un pezzo unico in tutto il mondo.
Aveva salvato i due ragazzi al prezzo più alto che potesse pagare, oltre alla
vita s’intende, ma considerando che erano in mezzo all’oceano non poteva dirsi
l’ultima parola. E poi dov’erano?
Finchè erano in volo Rea era sicura che stessero andando dritti ad ovest, però
adesso in balia delle maree si sarebbero spostati in maniera completamente
ingovernabile, e l’idea di finire dentro ad una delle Fasce di Bonaccia, alla
mercé di mostri marini, non era molto allettante. Recuperò
grazie alla corda i due ragazzi, che galleggiavano tranquilli ma svenuti, e
senza perdere tempo innalzò una barriera attorno a sé, ormai si era resa conto
di non aver nemmeno bisogno di strani gesti per farla, estendendola anche ad
Ace e Rufy: certamente per cercarli nel vasto mare qualcuno avrebbe usato
l’Ambizione come un radar, Marina inclusa, come avevano fatto con lei le
amazzoni alle Sabaody, ed era meglio non correre il rischio di far tornare Ace
punto e accapo. Si distese sul mare di schiena e nuotò per un bel pezzo così,
aiutata dalle pinne, trascinandosi dietro i due pirati che teneva a lei grazie
alla provvidenziale corda. I giubbotti
funzionavano alla perfezione, tenendoli con la testa fuori dall’acqua
nonostante il movimento. Come
previsto, avevano perso conoscenza, ma respiravano. Ogni tanto si girava a
controllare la direzione: voleva andare verso il punto in cui il suo aereo si
era tuffato in mare con un botto catastrofico, per tentare di recuperare
qualche rottame per tenerli all’asciutto. Non sapeva quanto tempo sarebbero
rimasti in mare, ma doveva prepararsi al peggio, e il sole non sarebbe stato
alto per sempre. -Mi sentite?-
chiedeva ogni tanto, senza ricevere risposta. Nuotare zavorrata per due
chilometri e passa era dura, e ogni tanto si concedeva una piccolissima sosta. L’oceano era
calmo, ma si sollevavano marosi altissimi che a volte ostacolavano la vista.
Lilian aveva molta paura, quando se ne rendeva conto si teneva i due ragazzi
vicini e attendeva impotente, temeva di essere travolta, ma veniva
semplicemente sollevata, e non le successe niente. Arrivò esausta dopo quasi
due ore tra i rottami del suo aereo, però non era rimasto molto che potesse
galleggiare e reggere una o due persone: galleggiavano molti pezzi concavi
della fusoliera, ma minacciavano di affondare se solo qualcuno vi fosse salito;
quando finalmente trovò un pezzo di ala, capì che per issare “a bordo” uno dei
due aveva bisogno di una forza che non possedeva. Era inerme, con due feriti e
alla completa deriva nell’oceano. Presto o tardi la Marina sarebbe venuta a
cercarli, Ambizione o no, e questo pensiero l’angosciava. -Ehi…-
mormorò -Svegliatevi! Almeno uno di voi… Rufy! Ace! Svegliatevi, dai!- li
chiamò. Ma non ottenne risposta; afferrò i loro polsi per controllare se c’era
ancora battito. C’era, ma era così flebile… e anche lei cominciò a tremare
nell’acqua sempre più fredda. Decise di
riposarsi qualche minuto, e poi provare a issar su uno dei due: se poi riusciva
a svegliarlo, poteva farsi aiutare per trascinare l’altro. Quando si sentì
pronta, balzò goffamente sull’ala e aiutata un po’ dalla corda cercò di tirare
su Rufy, caparbiamente. Avrebbe voluto cominciare da Ace, che era quello messo
peggio, però era anche molto più pesante del fratello. Stremata, dopo molti
tentativi era riuscita a far salire il ragazzo, anche se le gambe rimanevano
comunque nell’acqua. Meglio di così non riusciva a fare, quindi nuotò verso il
lato dove sporgeva la testa e cercò di svegliarlo. Prima piano, quasi con
soggezione, pungolandogli le guance con un dito, poi cominciando ad aprirgli
gli occhi e poi prendendolo a schiaffi e chiamandolo ad alta voce. Era gommoso!
Era liscio e poteva espandersi come un elastico! Anche l’odore ricordava il
lattice, e dopo parecchie tirate di morbide guance finalmente il pirata si
decise ad aprire gli occhi. -Ehi…!- si
svegliò finalmente lui, tossendo e sputando; inevitabilmente nel tuffo un po’
d’acqua gli era andata in bocca. -Tu sei la sorellina di Hancock!- -Rufy!- disse
lei. -No, siamo solo alleate!- gli spiegò. -Dov’è Ace?-
chiese subito il ragazzo, allarmato. -È qui, è
ancora svenuto! Aiutami a caricarlo, per favore! In due ci
riuscirono, anche se un po’ a fatica perché l’uno non poteva entrare in acqua e
l’altra stando in mare non poteva essere di grande aiuto, senza contare che
erano entrambe sfiancati. Lilì finalmente si potè tranquillizzare, ormai non
aveva nessuno da difendere dalle onde, e si appoggiò con le mani al relitto. Ace stava
disteso sull’ala con le gambe a mare per la mancanza di spazio e sembrava che
dormisse. -Non sarà mica morto!- esclamò allarmata spostandogli dal volto i
capelli bagnati. -Ma no!- la
rassicurò Rufy. -Sta solo dormendo, non vedi che respira? Tu piuttosto, sei una
sirena? Come la fai la cacca? -Con il
culo!- rise Lilì. -Ma non sono una sirena, non hai visto che avevo le gambe,
sull’aereo? -Ah già…-
disse deluso il ragazzo. -A proposito, grazie per averci portato via di lì!-
esclamò riconoscente con un sorriso che andava da orecchio a orecchio. -Pensa
un po’, sono arrivato in volo e me ne sono andato in volo! Forte, no?- Lilian
pensava che solo lei potesse reputare figo un salvataggio del genere. Poi
sorrise anche lei. -Sì, è stato davvero divertente! E non c’eri quando avevo anche
lo stereo attaccato!- “No che non è stato divertente!” le
urlava isterica una vocina nella testa. “Hai
rischiato la vita e la stai tutt’ora rischiando, ti sembra una cosa
divertente??” -Ehi, perché
non sali anche tu?- disse Rufy, facendo bruscamente posto sulla zattera che
sbandò leggermente. -Fermo, non
muoverti troppo!- lo ammonì lei. -Se salgo, affondiamo tutti. Meglio che stiate
solo voi su, che altrimenti svenite. Io sto bene anche in acqua, tranquillo.
Anzi, se ci riesci riposati un po’.- sorrise. -Ho fame.- si
lamentò. -Io al
massimo ho un po’ d’acqua.- disse Rea, tuffando una mano sott’acqua e
recuperando la fiaschetta che teneva alla cintura. -Vacci piano però.- Lui si
attaccò al piccolo otre e cominciò a tracannare. -Fermo!
Guarda che serve anche a tuo fratello!- gridò Lilian strappandogliela di bocca.
Lui la guardò, disse: -Hai ragione, scusa!- poi si stese in posizione fetale e
cominciò a russare beato. La ragazza
rimase così da sola in mezzo all’oceano. Guardò verso il fondo del mare, invisibile
a chissà quanti metri di profondità, ma vedeva solo una distesa misteriosa blu
scuro, quasi nero, che nascondeva chissà quali presenze inquietanti e mortali
oltre alle sue lunghe pinne turchesi che si muovevano sinuose vicino a lei.
Ogni tanto presso le sue gambe passava qualche pesce, che continuava il suo
percorso senza badarle, oppure veniva accarezzata da correnti più fredde che la
facevano rabbrividire. Lilian si
tolse il cinturone con le pistole e il fucile e li mise a bordo, così almeno si
alleggerì un po’. La fiaschetta decise di tenerla sott’acqua, in modo da non
farla riscaldare sotto il sole. Era primo pomeriggio, piena estate, il sole
picchiava forte e i capelli dei due si asciugarono rapidamente, così Lilian si
tolse lo scialle che portava annodato in vita, lo strizzò con forza per
togliere più acqua che poteva (ma quanto erano scomodi quei Frutti del
Diavolo?) e lo sistemò sul capo di Rufy, che ronfava beato; poi si tolse la
camicia rimanendo in costume e riparò anche Ace. Non poteva rischiare di far
prendere anche un’insolazione a quei due, già le cose erano complicate così
com’erano. Nel sentirsi accomodare
qualcosa in testa e sulle spalle, Ace tornò lentamente in sé. -Ehi… ehi,
Ace… svegliati…- lo chiamò Rea dal mare. L’ex galeotto tossì un po’, e lei
pinnò indietro per lasciargli aria. Lui sollevò la testa e si guardò intorno,
vide Lilian in acqua e la salutò:- Ciao, sirena!- -Ciao!-
rispose lei arrossendo lievemente, divertita dall’appellativo. - Come ti senti?
-Sali, che ci
fai in acqua…?- anche lui fece per alzarsi, ma cadde di lato con una smorfia di
dolore e la zattera traballò pericolosamente sotto tutto quel trambusto. -Stai giù,
che cadete in mare tutti e due!- tirò le redini Lilian. -Rimani fermo, sei
messo male.- la ragazza ora cominciava a preoccuparsi: quei due avevano bisogno
di un medico, e la cosa peggiore è che l’odore del sangue attira i predatori,
senza contare poi che l’acqua salata non era certo nota come antidolorifico. Ma Ace non
era uomo da lasciare una ragazza in mare al freddo mentre lui e il fratello
erano all’asciutto. -Tieni… tieni almeno questo.- le propose cercando di
slacciarsi il giubbotto di salvataggio. -Tienilo tu,
se un’onda ci travolge come ti riprendo, in fondo al mare? -Il mare è
tranquillo.- disse lui deciso. -Tienilo almeno qualche minuto, solo per
riposarti.- -No, mi
dispiace, lo devi tenere tu.- s’impuntò lei. -Se cadi in acqua sei davvero
troppo pesante per me, non ci riesco a riportarti su. Per favore, tieni quel
giubbotto e non ti muovere.- gli spiegò. Lui però non
era affatto soddisfatto dalla soluzione, così Lilian contrattò: -Facciamo così,
mi rilasso un attimo sull’acqua, chiudo gli occhi, mi riposo un po’ ora che sei
sveglio. Va bene?- Così si tolse
le pinne, si distese di schiena e si allungò nell’acqua facendo “il morto”. I
piedi nudi, dopo tanto tempo nelle pinne, le sembravano piccoli, freddi e
inutili. Non guardare più il vuoto nero sotto di lei la tranquillizzava, ma
averlo alle spalle la inquietava. Sentiva però le onde contro di lei, il
respiro di Ace e il russare di Rufy. -Meglio, no?-
le chiese il ragazzo mentre lei chiudeva gli occhi esausta. La fune che teneva
in vita la ancorava alla zattera, e la corrente li trascinava insieme. -Sì… ma non
mi devo addormentare.- -Non ti faccio
dormire, tranquilla.- la rassicurò Ace dando un paio di strappi alla fune che
univa Lilian al relitto. La ragazza
chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalle onde. Teneva per sicurezza anche una
mano sul relitto, per non perderlo nemmeno per un istante, ma una piccola onda
le zampillò dispettosa fra le labbra semiaperte e le fece perdere l’equilibrio,
e la mano scivolò via dalla lamiera. Lilian si
ridestò tossendo dal suo precario attimo di pace, ma la sua mano era stata già
afferrata saldamente da Pugno di Fuoco. -Tranquilla,
te l’ho detto che non ci perdi!- la confortò. -Dai, appoggiati qui. -No, al
relitto no, rischiamo di affondare!- protestò la ragazza, ma lasciò che il
pirata le facesse spazio e la costringesse gentilmente ad appoggiare la testa
vicino a lui. -Ah, tieni,
ho l’acqua.- si ricordò lei passandogli
la fiaschetta e abbandonandosi alla zattera di fortuna. -Non muoverti troppo,
stai peggio di come ti ho lasciato.- sospirò la sirena mentre lo guardava bere.
-Ma no, sto
bene.- protestò lui avvitando il tappo. Lilì lo
ignorò. -Riposati Ace, non puoi fare altro.- Il ragazzo a malincuore obbedì. La
giovane rimase ancora qualche minuto aggrappata al relitto, con Ace che la
teneva per non farla scivolare giù, cercando di concentrarsi e di recuperare le
forze. Quando decise che ne aveva abbastanza, tornò a mettersi le pinne e a
galleggiare pigramente nelle immediate vicinanze, sempre con una mano sulla
lamiera. Ormai mancava poco al tramonto, erano tutti e tre immersi in una scia
di oro fuso che si allungava dai loro occhi stanchi al sole che brillava sempre
più rosso, mentre il cielo si tingeva di rosa e di viola, e Venere li salutò
dall’alto del suo trono ad ovest nel cielo sereno. -Mi era
mancato, tutto questo, ad Impel Down…- mormorò Ace prima di addormentarsi di
botto con una capocciata sul relitto, ormai esausto come il fratello. -Ace!-
esclamò spaventata la ragazza sollevandogli la testa, immaginando chissà quale
collasso, disgrazia, malore… ma quello lì russava sereno, e non s’era fatto
nemmeno un bernoccolo. Avrebbe
voluto dormire anche Lilian, ma non poteva certo lasciare quell’imbarcazione di
fortuna completamente fuori controllo. Sapeva che se si fosse addormentata, la
barriera che aveva creato si sarebbe dissolta e li avrebbe scoperti la Marina,
che sicuramente in quel momento stava pattugliando il mare aiutata da qualche
soldato con il potere della Percezione cercando loro. Alle Sabaody, dopo averla
scoperta, aveva sperimentato meglio quella sua strana forma di resistenza
all’Ambizione: se si fosse addormentata, la barriera si sarebbe dissolta. Si
era chiesta come avesse sviluppato una simile capacità … forse quando era nella
Marina? O forse era stato un esperimento di Caro? E poi c’era
un altro incubo: erano già sulle Fasce di Bonaccia? Se fossero capitati in
quelle zone altro che Marina, il vero problema sarebbero stati i mostri marini
affamati. Ogni tanto
nuotava attorno alla zattera per farsi un po’ di calore: anche se era estate,
la brezza sul mare la raffreddava. Il sole calava
sempre di più, e Lilian aveva freddo; ormai non c’era più una lunga scia d’oro
che portava verso il sole ma un tappeto luccicante rosso in direzione
dell’ultima briciola di stella. Si appoggiò con la testa alla lamiera e strinse
a sé le gambe e le braccia, come un ovetto. Cominciò a tremare, stanca e
scoraggiata. Lei avrebbe potuto resistere nell’oceano, ma per quei due ragazzi,
feriti e con la maledizione del Mare addosso, era troppo pericoloso. E poi
aveva fame e sete, ma non voleva intaccare di nuovo la riserva nella
fiaschetta. -Ehi, Lilì…-
sussurrò Ace, svegliandosi. -Mi
dispiace…- balbettò la ragazza. -Io sarei venuta fin giù a Impel Down.-
confessò -Ma come facevo ad arrivare dov’eri tu? Non sono così forte, questo
era l’unico modo per aiutarti…- il suo volto si contrasse, e tuffò le braccia
sott’acqua per abbracciare le gambe. -Un crampo,
tutto a posto.- sorrise forzatamente subito dopo, notando lo sguardo inquieto
di Ace. -Adesso mi passa.- spiegò tendendo i muscoli in direzione opposta. Lui la ignorò.
-Vieni, scaldati un po’. Hai le labbra blu, lo sai?- Sforzandosi
di non far trasparire la fatica, il ragazzo issò a bordo anche le gambe quel
tanto che bastava per usare il suo potere; così dalla mano che teneva posata
sulla lamiera fece uscire da ogni dito una piccola fiammella, che poi si
unirono tra loro finchè arse tutta la mano. Lilian sgranò
gli occhi, e la bocca formò una piccola “O”. Il fuoco di Ace la ipnotizzava
come un caminetto scoppiettante in un pomeriggio invernale. Il ragazzo invece ghignava,
godendosi l’espressione della ragazza davanti a quello non era niente in
confronto a quello che poteva combinare con le fiamme. La lasciò prendere
confidenza con quella mano che andava a fuoco. Lei si avvicinò piano,
controllando se si comportasse come un vero falò: il calore andava su, come nei
veri incendi, e attorno c’era solo un bel tepore; se cercava di toccarlo si
scottava. Circondò con le mani quel piccolo incendio e riuscì a riprendere
colore e calore. Cominciò ad
essere difficile mantenere quella fiamma, con l’acqua fino alla cintura e in
quelle condizioni, però ad Ace non dispiaceva il tocco leggero della ragazza
sul braccio mentre si riscaldava. Lilian però aveva intuito che usare i poteri
in mezzo al mare costava energie preziose al ragazzo. -Va bene così, grazie.-
disse con un sorriso. -Posso
ancora…- protestò lui. -Va bene
così.- tagliò corto lei, afferrandogli la mano e costringendolo a smettere di
ardere. Una volta scomparso quel bel fuoco era tornato il freddo e la sera
divenne più tetra, ma decise di stringere i denti. Rufy intanto
aveva smesso di russare ed era stranamente immobile. Ace controllò che
respirasse ancora, ma non nascose a Lilian la propria preoccupazione. Tuttavia
era esausto anche lui, e cadde di nuovo nel sonno nel giro di pochi minuti. L’ultimo
granello rovente di sole in quel tramonto silenzioso e rosso scomparve e
cedette il passo al buio, e i due ragazzi ancora dormivano. Lilì con lo stomaco
che gridava vendetta e le gambe che dopo ore si rifiutavano di rispondere
ancora, cominciò a chiedersi se mai li avrebbero ritrovati. Ormai i crampi non
le davano tregua, i muscoli indolenziti chiedevano pietà e lei non aveva quasi
più la forza per contrastarli. Strinse le mani ai due ragazzi, il mare sotto di
lei che tanto amava si stava trasformando in un buco nero senza fondo e senza
luce, scivolava la sera sulle loro schiene stanche. Aveva paura. Strinse tra le
sue dita magre quelle dei due uomini lasciandosi sfuggire degli impercettibili
singhiozzi. Cominciò a canticchiare. -The sun'll come out tomorrow, bet your bottom dollar, that tomorrow,
there'll be sun!- Era
una cosa ridicola da fare in mare, con due ragazzi svenuti nel bel mezzo di un
naufragio, Lilian lo sapeva, ma che poteva farci? Poteva solo sperare che qualche
nave intercettasse i relitti. In fondo aveva con sé sue persone importanti sia
per la Marina che per i pirati… qualcuno doveva venirli a cercare! Almeno però
il sole non batteva più, ma presto non avrebbero visto più nulla, e invisibili
com’erano avrebbero potuto finire travolti da un’imbarcazione di passaggio. E
la Marina? Se li avesse trovati la Marina? Lilian si portò le mani fra i
capelli, inorridendo. Senza che se ne accorgesse, la barriera si dissolse, le
scivolò lentamente via come sabbia dalle dita. Nella luce
viola e cupa, dal mare davanti a lei cominciarono ad emergere due pali con una
bandiera in cima. La ragazza cominciò a pensare di essere impazzita per la
fatica, e continuò a cantilenare: -The
sun'll come out tomorrow, so ya gotta hang on 'til tomorrow, come what may,
tomorrow! tomorrow!- andò con la testa sotto e le entrò l’acqua in bocca. Nel silenzio
delle onde della sera, dall’acqua emersero lentamente quei pali, che erano
alberi di nave, a loro era attaccato uno scafo giallo canarino, visibile anche
nelle tenebre che accennavano a scendere. Emerse un’intera nave tutta gialla
che spiegò le vele nere e si diresse verso di lei che continuava a mormorare: - I love ya, tomorrow! You're always a day a
way.- il sottomarino giallo avanzava elegantemente verso di loro, e Lilian
decise di riscuotersi da quella specie di trance: era tutto reale, erano venuti
a salvarli! E non era la Marina! Sul ponte accorrevano fiumi di uomini che li
salutavano con la mano e col cappello, e Lilian rispose al saluto. -Siamo
qui!!! Siamo qui!!- come se ormai ci fosse bisogno di sottolinearlo. -Ace! Rufy!
Svegliatevi, siamo salvi!- li chiamò mentre dalla nave gli uomini facevano
staccare una scialuppa per venirli a prendere. Ma i due non si svegliavano. Lilian
immediatamente tastò loro il polso, debole e quasi impercettibile. Dietro le quinte… Buongiorno! Cosa c’è da dire su questo capitolo? I versi che introducono questo capitolo vengono dalla
canzone di Fabrizio De Andrè “Sinan Capudan Pascià”, in dialetto genovese, e la
traduzione sarebbe “in
mezzo al mare c’è un pesce tondo che quando vede le (cose) brutte va sul fondo,
in mezzo al mare c’è un pesce palla che quando vede le (cose) belle viene a
galla”. Quindi un po’ come fa Lilian:
quando vede che le cose volgono al brutto alza la barriera e non si fa vedere
da nessuno; quando si accorge che le cose vanno per il verso giusto invece
interviene in prima persona. E parlando di canzoni, quella che Lilian canta alla
fine è “Tomorrow”, e il pezzo finale dell’orchestra e dell’assolo di voce (si dice così?) è esattamente
la colonna sonora che volevo per l’emersione del sottomarino! Avete dunque capito con chi avremo a che fare nei prossimi capitoli? ;) bel morettino all'orizzonte!! Inutile dire dunque -ma lo faccio lo stesso- che
entrambe le canzoni non sono di mia proprietà. La barriera di Lilian: da trama non è ancora
chiarissimo cosa sia questo potere, ma sicuramente c’è bisogno di un minimo di
energia e concentrazione per esercitarlo. Povera ragazza, è in mezzo al mare da
ore e ore, ha nuotato con le due zavorrine e sta annottando, le permettiamo un
cedimento? Ha cominciato persino a cantare! Il “dietro le quinte” finisce qui!! Grazie per aver
letto tutto ‘sto papiello di capitolo, mi rendo conto che è stato un po’
lunghetto e non esattamente al vertice della tensione, ma posso spoilerarvi una
cosuccia? La storia è appena cominciata.
Yellow Canadair
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Capitolo 9 *** In a yellow submarine ***
[zipedit] In a yellow submarine
-Sono loro?-
chiesero da bordo.
-Li abbiamo
trovati finalmente! Presto! Calate le cime, avvicinatevi ai relitti!
-Capitano,
capitano! Le assicuro che prima non c’erano… non c’era anima viva in quel punto!
-Silenzio, li
vedi anche tu su quel rottame, no? Muoviti ad andarli a prendere!
Dal
sottomarino si staccò una piccola scialuppa che andò a recuperare i naufraghi.
Lilian si preoccupò di far togliere dall’acqua prima i due uomini, e poi lei.
In fin dei conti era solo stanca.
-Tirateli
subito su per favore!- gridava mentre dalla nave i marinai si affaccendavano
per far scendere le scialuppe. Quando furono raggiunti, un pirata tese le
braccia per farla salire, ma Lilian respinse ogni aiuto finchè non vide che
Rufy ed Ace erano sulle barche. Solo alla fine acconsentì a farsi tirare
all’asciutto.
-Tieni!- le
porsero una fiaschetta.
-No, serve
prima un medico per i due ragazzi, per favore!- implorò mentre un giovanotto la
faceva sedere nella scialuppa quasi a forza.
-Va tutto
bene ragazza, il medico è a bordo.- la tranquillizzò con un largo sorriso che
spuntava sotto un berretto con la scritta “Penguin” -È stata dura anche per te,
tieni.- le disse mettendole addosso una coperta pesante e dandole una pacca
sulla spalla in segno di approvazione.
-Chi siete?
Flotta dei Sette?- domandò tremante, anche se aveva capito che non era la
Marina.
-No! Siamo i
pirati Hearth!- rispose con orgoglio Orca.
-Alleati di
Barbabianca?- doveva assolutamente capire se si potesse fidare o no.
-Al momento
di Rufy. Il capitano non vuole che muoia.- spiegò il ragazzo. -E nemmeno i suoi
amici, quindi stai tranquilla, sei al sicuro!-
Lilian si
rinfrancò a quelle parole, riconoscendo di essere stata fortunata: tra le tante
imbarcazioni che avrebbero potuto intercettarli, per sorte era toccato a degli
alleati, seppur sconosciuti.
A bordo si
scatenò il parapiglia per portare nell’infermeria i due reduci. Quel
sottomarino giallo era di un chirurgo bravissimo che li avrebbe aiutati. Lei fu
gentilmente aiutata a sbarcare dai marinai: anche se nessuno sapeva chi fosse,
era pur sempre la persona che aveva fatto fuggire i due ragazzi! Si reggeva
appena in piedi, e scivolò sul ponte nel togliersi le pinne, così due pirati la
dovettero sorreggere per le braccia. L’enorme tatuaggio che portava sulle
spalle era stato visto e riconosciuto da tutti, persino dai muri, e aveva
sollevato un chiacchiericcio che pareva il ronzio di un alveare.
-Vieni qui,
per favore.- le chiese gentilmente il pirata che sulla scialuppa le aveva messo
addosso la coperta. -Chi sei?-
-Lilian Rea
Yaeger, aviatore, mi manda l’imperatrice Boa Hancock.- si presentò
ufficialmente, ancora grondante mentre una coppia pirati la reggeva in piedi.
Le tremavano le gambe, se uno dei due avesse mollato la presa sarebbe caduta
per terra.
-Eri tu che
pilotavi l’aereo?- chiese un altro pirata ritto in piedi davanti a lei, magro e
con dei capelli rossi che spuntavano dal cappello nero di nome Orca, con degli
improbabili occhialetti da sole nonostante l’ora.
-Sissignore.-
-E il tuo
equipaggio?
-Per un
Canadair basta un pilota solo.
-Siediti
qui.- la invitò “Penguin” indicandole un mucchio di cordame. -Si vede lontano
un chilometro che sei morta di stanchezza. Come avete fatto a cavarvela senza
un graffio?-
-Siamo stati
bombardati in fase di allontanamento, e alla fine qualcuno ha disintegrato la
coda dell’aereo.- spiegò -Non sono riuscita ad ammarare, e siamo saltati giù.
Grazie.- concluse, afferrando la tazza fumante che un marinaio le porgeva.
L’afferrò con forza scottandosi le dita, ma le andava bene così.
-Ancora qui voi?- vociò un omaccione dalla strana
acconciatura a cresta, nera e lunga che sembrava una fiamma scura. -Basta farla
parlare, le spiegazioni tecniche a dopo!
-Ma Jean, il
capitano vorrà sapere chi è!- protestò il pirata che l’aveva fatta accomodare.
-Non ha detto
niente del genere, quindi lasciatela respirare! Tu, adesso ti accompagno in
cabina e faccio portare qualcosa di asciutto da metterti.-
Rea si alzò
in piedi a fatica. Non voleva darlo a vedere, ma le gambe avevano tutta
l’intenzione di scioperare. Il pirata di nome Jean se ne accorse subito,
notando che dopo appena tre passi la ragazza era rimasta indietro.
-Forza, su.-
la incoraggiò offrendole rudemente il braccio in un tono che faceva uno strano
contrasto con la gentilezza dell’offerta. -Hai resistito fino adesso, non
vogliamo svenire proprio qui?
Lilian
accettò l’offerta, completamente in balìa dell’equipaggio che l’aveva salvata.
Se avessero voluto violentarla, pensò, l’avrebbero già fatto da un pezzo. I tre
pirati l’accompagnarono nella cabina del capitano, che era vuota perché lui era
in infermeria, e Orca le diede una camicia da uomo così grande che le andava
come vestito, nonostante fosse del più esile della ciurma, ed era l’unica cosa
pulita su quella nave che le potesse andare. Poi le consegnò una coperta, e lei
vi si avvolse dentro beandosi di quel nuovo calore dopo tanto tempo all’umido.
-Dove avete
portato i due ragazzi?- chiese ad Orca all’improvviso.
-Lilian,
erano ridotti malissimo… la prigione prima, il mare poi…- Lilian divenne più
bianca della camicia che indossava.
-No, no, no,
scusami, non sono morti!- si corresse lui, resosi conto dell’equivoco. -Ma il
capitano sta ancora lavorando. Stiamo aspettando tutti. Piuttosto…-
-Sì?- incalzò
gentilmente la ragazza.
-Sei della
ciurma di Barbanera, vero?- interpretò “Penguin”.
-No!- rispose
Lilian, sapendo che si riferivano al jolly roger che le campeggiava sulle
spalle. -Me l’ha fatto tatuare Teach quando sono stata sulla sua nave, ma non
ero una sottoposta, ero una schiava!
-Gli schiavi ce
l’hanno diverso però.- protestò sospettoso Jean Bart.
-Sono stata
comprata al mercato nero da lui, cioè, non proprio comprata, l’hanno costretto
a farlo, e quando ho cercato di scappare mi ha tatuato il marchio. Puoi
chiedere ad Ace, appena si sveglia.
Orca sembrò
perplesso, ma non fece più domande. Lilian da un lato era esausta e voleva
dormire, dall’altro quel “il dottore sta ancora lavorando” l’aveva precipitata
nella preoccupazione. Poi era tesa per la sua, di situazione,
quei pirati pensavano che stesse nella ciurma di Barbanera e non era convinta
che la sua spiegazione fosse stata convincente! Doveva solo sperare che Ace si
svegliasse presto, per aiutarla a chiarire la situazione.
-Adesso però
cerca di riposare… appena Trafalgar finisce, verrà a darti un’occhiata. Ti
portiamo qualcosa da mangiare, aspetta qui.- disse accomodante Orca,
sorridendole.
Ma Lilian non
volle riposare, nonostante il pirata le avesse detto che poteva usare la cabina
del capitano per il momento. Invece si trascinò stanca davanti all’infermeria e
si sedette per terra, a qualche metro dalla porta. Da dentro non veniva nemmeno
un rumore, come fosse deserta. Aspettò e aspettò, ma da quella porta non uscì
nessuno, così appoggiò la testa contro il muro e si addormentò avvolta nella
coperta che le aveva dato Orca.
Poco dopo che
il sottomarino di Trafalgar Law tornò ad inabissarsi per porti più sicuri, nel
cielo violaceo in lontananza comparvero alcune piccole luci simili a stelle, e
un rombo simile a quello udito a Marineford si fece strada sull’acqua
tranquilla dell’oceano: un Canadair, del tutto simile a quello affondato,
ammarò elegantemente fra i relitti lasciati dallo sfortunato aereo di Lilian,
facendo sfavillare sull’acqua nera come il petrolio le piccole luci rosse e
bianche all’estremità delle grosse ali.
Ormai era
quasi completamente buio, ma Amelia Lehired aveva perlustrato tutto il mare
attorno a Marineford e finalmente, volando a bassissima quota e rischiarando
l’acqua con un grosso fanale che posizionato sul lato inferiore della sua
fusoliera, era riuscita ad individuare i resti del naufragio, e ora sperava di
ritrovare la sua vecchia amica viva.
Non era
arrivata per prima però: s fermò a poca distanza da un grande vascello che era
fermo tra i frammenti galleggianti del Canadair di Lilian, e che aveva a sua
volta fatto calare in acqua un paio di scialuppe per le ricerche; i caratteri
turchesi sotto il cassero recitavano “Seagreen Phoenix”. L’emblema sulla vela
maestra fece riconoscere immediatamente di che pirati si trattasse alla pilota.
Amelia mise
fuori dal portello della carlinga una gran cascata di ricci trattenuti da un
foulard azzurro e guardò, ricambiata, l’equipaggio della nave.
-Ehi, voi!-
gridò. -Avete imbarcato dei naufraghi?
Dalla Seagreen
Phoenix il vecchio Barbabianca stava sdraiato su un imponente letto montato per
l’occasione in pieno ponte per permettergli di dirigere le operazioni
nonostante gravemente ferito. Nel frattempo erano al lavoro sulla nave i
carpentieri, che stavano adattando un’ala del veliero alle dimensioni dell’uomo
e alle esigenze delle infermiere.
Edward
Newgate chiamò a sé Marco, che gli si avvicinò facendosi strada tra uno stormo
di ragazze dall’uniforme rosa confetto.
-Chi diavolo
è?- domandò il baffuto capitano.
-Non l’ha
detto, cerca i naufraghi.
-È un aereo
uguale a quello di Marineford?- domandò Barbabianca, che a causa del buio e
della stanchezza non si fidava completamente dei suoi occhi.
-Identico.-
assicurò il suo primo capitano. -Ma non mi pare si tratti della Marina, e
comunque dentro c’è solo una persona, due al massimo… non dovrebbe essere un rischio.
-Falla
salire.- ordinò Newgate dopo aver riflettuto qualche istante, mentre le
infermiere si affaccendavano attorno a lui.
Amelia fu prelevata
dal Canadair, che fu legato con una cima al veliero, da un cortesissimo marinaio
su una scialuppa; l’aiutò a salire a bordo e la ragazza con un saltello
elegante fu sul fasciame del ponte principale.
Magra e alta
quasi quanto Marco, con la pelle molto abbronzata e due occhi turchesi come le
lagune delle isole, Amelia Lehired non era il tipo di persona che passava
inosservato, nonostante i vestiti che portava: una tuta da lavoro blu sporca
oltre ogni dire e delle scarpacce logore e spesse come quelle degli operai.
Marco le si
parò davanti torvo, difendendo suo padre anche se era chiaro che non ce n’era
bisogno. -Chi sei?- le domandò di getto, senza perdere tempo.
-Amelia Lehired,
aviatore.- rispose senza mettersi sull’attenti. Stava per presentarsi, come suo
solito, come collaboratrice per la Marina ma decise che questa era una cosa da
non dire appena salita su una nave pirata. Anzi, cominciava a pensare di essere
stata un po’ troppo precipitosa a salire così, senza difese, su una simile
imbarcazione, ma non aveva avuto molta scelta.
-Perché
cerchi i naufraghi?-
-Cerco
Lilian!!- spiegò la ragazza. -L’aereo che avete visto è sicuramente il suo! E
con lei dev’esserci il ragazzo che volevano giustiziare, no? Quello che cercate
voi! Lei è scappata alcuni mesi fa, ma ora la devo assolutamente ritrovare, è
in pericolo! E se è con lei, forse lo è anche il vostro amico!
Marco inclinò la testa di lato. -Eh?-
Trafalgar Law
si asciugò le mani, finalmente pulite dopo tutte quelle ore passate al tavolo
chirurgico. Il suo secondo, che l’assisteva, sospirò di sollievo pensando che
il grosso del lavoro ormai era fatto, e si potevano riposare entrambi; da
adesso la guarigione dei pazienti dipendeva soprattutto dalla loro fibra, lui e
il Chirurgo della Morte non potevano fare altro che aiutarli e monitorare la
situazione.
Il giovane
capitano ormai credeva di non distinguere più altre tinte che il rosso:
porpora, vinaccia, cremisi, granato, non gli era capitato spesso così tanto
lavoro in così poche ore, e per di più casi così urgenti e impegnativi. Gettò
un ultimo sguardo ai tre uomini immobili in quei lettini bianchi e stretti,
quasi troppo per le spalle di uno di loro. Era consapevole di aver operato in
maniera impeccabile, e l’ordine che regnava in quella stanza ne sembrava quasi
la prova: solo il pavimento, lordo di sangue pesticciato con i piedi, meritava
una solenne lavata. Ma tutti gli attrezzi da lavoro erano a disinfettare, le
garze e le bende non utilizzate erano nei loro cassetti, i guanti di lattice
nell’apposita spazzatura, le lenzuola bianche erano ripiegate sul petto dei
dormienti con precisione millimetrica mentre flebo lunghe e flessuose
s’insinuavano al di sotto di esse.
Sì,
decisamente era stato fatto un gran lavoro, e adesso Trafalgar Law poteva
ritirarsi nella sua stanza e riposare in santa pace fino a domani mattina. Se
nella notte ci fosse stata un’emergenza con quei reduci, uno dei suoi sarebbe
corso a svegliarlo.
Uscì dalla
saletta soddisfatto ma nonostante fosse stanco non potè fare a meno di notare
quella ragazza che dormiva per terra con la sua camicia addosso, con le
gambette magre che spuntavano dalla coperta che la riparava.
-Sarebbe
questa la ragazza, Bepo?- chiese all'ufficiale che stava lì con lui.
-Sissignore.-
rispose quello.
-Non avevo
ordinato di metterla a dormire in una cabina?- chiese spazientito; era un tipo
molto brusco e serio, però si inginocchiò per terra, le controllò i battiti e
sentì se aveva febbre premendole sulla fronte le mani tatuate. In ultimo le
tastò con fare esperto i polpacci. -Acido lattico a volontà, ma è sana come un
pesce, la ragazza. Ci ha evitato due morti. Portala via dal pavimento.-
L’orso la
prese fra le zampone pelose, la portò nella cabina del capitano, la mise nel
letto e le rimboccò amorevolmente le coperte.
Il giorno
dopo Lilì si svegliò alle prime luci dell’alba, quando il sole illuminò la
cabina del capitano. Capì di essersi addormentata nel corridoio, poi qualcuno
doveva averla portata in quel letto. Si rigirò nelle coperte: erano pulite e
stirate, odoravano di uomo; aprì leggermente gli occhi e si guardò attorno,
facendosi scudo con il lenzuolo. L’avevano riportata nella stanza del capitano,
ed era proprio nel suo letto! Imbarazzata, pensando ad un vecchio con la barba
bianca, Lilian cercò di saltare fuori da lì. Aveva la sua camicia addosso, ma
anche se si sentiva che era pulita si sentì a disagio; tuttavia o quella o
niente.
Si trascinò
fuori da quel letto, ma cadde a terra con un tonfo, e si guardò le gambe: alla
vista erano perfette, però lei sapeva perfettamente che tutta la stanchezza del
giorno precedente si stava manifestando, e quelle due non avevano intenzione di
reggerla. Caparbiamente si aggrappò al letto e convinse se stessa a stare in
piedi.
Cominciò a
passeggiare traballante in quella stanza, aspettando che le venisse voglia di
uscire fuori; con le mani dietro la schiena per non avere la tentazione di
toccare qualcosa senza permesso, lesse i titoli dei pesanti volumi che
riempivano la libreria e affollavano la scrivania. Come si aspettava, erano
tutti libri che avevano a che fare con la branca medica: biologia, patologia,
anatomia e molti altri. Quelli aperti sulla scrivania in particolare trattavano
del funzionamento degli ormoni e delle ferite da arma da fuoco e da taglio.
Evidentemente il dottore aveva dato un’ultima occhiata ai suoi libri prima di
dedicarsi ai due reduci. Almeno, Lilian sperava li avesse aperti solo per
sicurezza, per una ricapitolazione generale, e non per sapere come fare da
zero! Ma osservando meglio i tomi sulla notò che erano tutti molto vissuti,
avevano tante sottolineature e note scritte a mano in calce, e quelli sullo
scaffale non rilegati con la pelle avevano tutti il solco sul mezzo del dorso
che testimoniava un’usura densa, e così si tranquillizzò.
Il
sottomarino, che in quel momento stava navigando in superficie, rollava
debolmente sotto i suoi piedi. Non essendoci abituata, dopo pochi minuti le
venne un po’ di nausea, e nonostante avesse molta fame, le passò la voglia di
mangiare.
Scivolò
silenziosamente fuori dalla camera e decise di salire sul ponte a prendere un
po’ d’aria. L’equipaggio era già sveglio da un pezzo: tutti i pirati erano
affaccendati a svolgere le loro mansioni, chi puliva le armi sul ponte, chi
rammendava una rete, chi saliva sulle sartie a controllare le vele. Altri
parlavano tra di loro. Sul ponte di poppa, Lilì notò Orca che parlava con un
gruppetto di persone; la vide e la salutò sventolando una mano: -Ciao Lilian!
Vieni pure!-
Lilian
attraversò la nave cercando di allungarsi con le mani l’orlo della camicia,
inutilmente. In realtà nessuno le avrebbe visto niente perché quell’orlo le arrivava quasi
alle ginocchia, ma il fatto di non portare biancheria la innervosiva.
-Buongiorno.-
disse un po’ assonnata quando li raggiunse. Aveva sempre odiato svegliarsi
presto, e quando lo faceva aveva sempre difficoltà poi a capire bene quello che
le accadeva attorno. Dov’era Ace?
-Bella camicia!-
le disse un ragazzo alto e magro che stava lì. Portava due belle basette nere,
il pizzetto e gli occhi grigi e seri, e doveva avere più o meno la sua età. In
testa aveva uno strano cappello bianco a macchie nere e aveva tatuaggi dalle
dita ai gomiti. Rea istintivamente si chiese se continuassero anche sotto alla
felpa.
-È del
capitano.- spiegò Lilian. -Gliela restituirò appena riavrò i miei vestiti.-
-Lo spero
bene, il capitano sono io!-
-Siete voi il
dottore?- chiese allora subito Lilian. -Come stanno Rufy ed Ace?
-Sono vivi,
forse se la caveranno.- rispose pronto Trafalgar Law, fugando all’istante le
preoccupazioni della ragazza. -La permanenza in mare non ci voleva però.-
concluse, duro.
-Meglio in
mare che a Marineford.- si difese lei. -Quanto avrebbero resistito ancora,
combattendo?
-Poco.-
riconobbe il dottore, sedendosi a terra. Lilì non l’aveva notato prima, ma ai
suoi piedi riposava un grande orso bianco dalla tuta arancione, e ora gli
faceva da schienale. L’orso si chiamava Bepo, ed era stato duramente
rimproverato per aver messo a nanna la pupa nel letto di Trafalgar Law.
-Lilian,- la
interpellò Pinguino, il ragazzo che l’aveva fatta salire sulla scialuppa. -Come
hai fatto a non farvi individuare?- indagò. Accidenti, pensò Lilian, dritto al
sodo.
-In che
senso?- tergiversò.
-Noi abbiamo
usato l’Haki per localizzarvi quando siete caduti in mare.
-Ma non ci
avete trovati, vero?
-Solo
all’ultimo. Hai creato una barriera che impedisse la localizzazione?-
-Non doveva
trovarci la Marina!- si difese la ragazza. -E nemmeno che qualche mostro del
mare avvertisse la nostra presenza, o sentisse l’odore del sangue!- Lilian Rea
non voleva essere accusata di aver ritardato le operazioni di salvataggio.
L’aveva fatto, era vero, ma solo per non far finire lei, Ace e Rufy nelle mani
della Marina.
-L’abbiamo
immaginato, vi abbiamo trovati perché a un certo punto ci siamo resi conto che
da un’area non arrivavano segni di vita, né di uomini né di animali.- Lilì
stette in silenzio. Aveva pensato che gli uomini a bordo le volessero fare una
sorta di processo, ma adesso non capiva cosa volesse il pirata.
-Che potere
hai usato?- le chiese invece Pinguino.
Lilian era
riluttante: da un lato odiava scoprire quella carta, dall’altro ormai i suoi
interlocutori l’avevano già capito, ed era stupido girarci attorno. -Non so
usare l’Ambizione, ma posso creare un campo che la contrasti. Ecco perché non
ci avete “visti”.
-È diverso
dall’Ambizione in effetti.- osservò il dottore, dal basso. -Quella riguarda
solo la persona che la usa, tu invece estendi il campo d’azione.
-Funziona
anche con la modalità “Re Conquistatore”?- chiese Orca. Quella modalità era la
più potente, bastava uno sguardo e ti faceva crollare a terra svenuto.
-Non ho mai
provato.- ammise Lilian. -Devo continuare ad usarla? Nascondere il
sottomarino?- domandò al capitano.
-No, non è
necessario. Possiamo sapere chi sei, di grazia?- le domandò invece Law.
-Lilian…
-No, voglio
sapere perché hai salvato Pugno di Fuoco e Cappello di Paglia.- precisò il
Chirurgo della Morte.
A Lilian Rea
non piacevano i modi bruschi di Trafalgar Law, ma la sua richiesta era
legittima e così si sedette per terra come lui e cominciò a raccontare quali
eventi l’avessero portata alla guida di un Canadair, poi sulla nave di
Barbanera e come infine avesse suggellato un accordo con Boa Hancock per
salvare Rufy ed Ace…
Dietro le quinte…
Lo ammetto: qui c’è lo zampino di legasy;
arrivata al losapretealmomentogiusto capitolo, mi serviva un finale per la storia
e gli ho chiesto un parere, e lui mi ha messo su (senza leggere, e ripeto,
senza leggere la storia) un finale pazzesco… tanto pazzesco che non è un
finale, ma una virata eccezionale della trama! Onore al merito, dunque: per
quello che avete letto, l’idea del personaggio di Amelia Lehired è sua. Il nome
di questa new entry è un omaggio alla prima donna che abbia mai sorvolato
l’Oceano Atlantico, Amelia Earhart.
Yellow Submarine: mi sono divertita con i sottoposti
di Law! Orca e Pinguino mi fanno una tenerezza incredibile, per non parlare di
Bepo: Bepo love! Possibile che quel (bel) tenebroso di Traffy abbia la ciurma
più cucciolosa dei sette mari?
[zipedit]
Un Marco decisamente perplesso è quello che compare in questo capitolo! Amelia l'ha travolto con un fiume di parole e nemmeno l'acuta fenice è riuscita a tener dietro al discorso ^^' spero di non essere andata OOC per questo... in caso contrario mi farò perdonare!
Grazie per aver letto questo capitolo, se volete
lasciare una recensione -anche negativa: miglioriamoci!- ne sarei davvero molto
felice. Appuntamento al prossimo capitolo dunque: "il passato di Lilian Rea
Yaeger"!
Yellow Canadair
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Capitolo 10 *** Il passato di Lilian Rea Yaeger ***
[zipedit] Il passato di Lilian Rea Yaeger
Lilian nasce a Tuherahera, nel Mare Meridionale.
-Cominciare con Adamo ed Eva no?- la
schernì Law. -Per favore, salta questi dettagli. Lilian respirò nervosamente,
ma incassò e proseguì.
Anni dopo Lilian risponde ad un progetto varato dalla
Marina e si trasferisce ad Alexandra Bay dove vengono avviate le selezioni per
trovare le persone adatte all’incarico che la Marina ha in mente. Durante
quelle selezioni, e seguendo poi alcuni addestramenti al fianco di veri Marine,
Lilian impara a maneggiare le armi.
-Alexandra Bay la conosc…-
-Silenzio, Bepo.- ordinò Law.
-Certo, scusa.- si pentì il morbido
pirata.
Il progetto per cui la Marina l’ha ingaggiata ha come
obiettivo la riproduzione dell’agalmatolite. Il minerale naturale è rarissimo,
mentre la Marina lo usa in quantità massicce. All’inizio delle selezioni ci
sono almeno duecento tra ragazzi e ragazze, ma alla fine rimangono in quattro. Oltre
a Lilian ci sono i due fratelli Amelia e Charlie Lehired, e Paul Blackwood. Vengono
addestrati a pilotare delle macchine volanti sperimentali e tutto il progetto è
presentato all’opinione pubblica come un’operazione di soccorso ai civili in
caso di incendi o di grosse siccità.
-Ma in realtà non facevamo niente del
genere.- esplicitò la ragazza agli ascoltatori.
-Effettivamente ricordo degli aerei
simili a quello che hai usato a Marineford, qualche anno fa.- osservò Orca. -Ci
fu un bel po’ di pubblicità al riguardo.
-Fosse stato per la Marina, non
avrebbe detto niente a nessuno, ma non poteva certo trascurare che quei
Canadair sarebbero stati sotto gli occhi di tutti per mesi.- spiegò Lilian.
-Canadair?- domandò Law. -Non
ricordavo si chiamassero così.
-Si tratta di un acronimo: “CAro
& NAvy Department AIR”. Non so se il nome fu trasmesso alla stampa, a suo
tempo.- ammise la ragazza.
-“Caro”?- balbettò Bepo.
-Sì, Caro Vegapunk. Fu lei ad
occuparsi della realizzazione degli aerei e lei che, assieme al padre, supervisionò
tutto il progetto.
Caro Vegapunk è la degna e brillante figlia del famoso
genio, una donna sulla trentina dalle forme abbondanti, che porta i capelli
lunghi e le labbra truccate di scuro. Il suo modo di vestire, colorato ed
elegante, spicca tra tutti quegli uomini abbigliati in uniformi bianche e azzurre,
e persino con il camice da laboratorio è facile da individuare. Sono padre e
figlia a scoprire che per riprodurre l’agalmatolite in laboratorio c’è bisogno
di una massiccia quantità di acqua proveniente dai quattro mari del mondo. È
proprio Caro Vegapunk ad assegnare a Lilian il Canadair, incaricandola di
sorvolare il Mare Meridionale e prelevarne l’acqua.
-Quindi sei della Marina.- ringhiò
gelido il Chirurgo della Morte.
-No!- lo corresse subito Lilian,
riprendendo a raccontare. -Non sono mai stata un Marine, ero un collaboratore
esterno.- spiegò.
C’è un ragazzo, Pierre, che pulisce la mensa della
Marina dove Lilian mangia. Chiacchierone e simpatico, visto che lei si trova
lontano dalla famiglia, la sua la prende sotto la sua ala. Spesso cena da loro,
sua madre la tratta come una figlia, prendendola in giro perché era scappata
dai suoi genitori per andare tra le grinfie della Marina. Lei però le ribatte
sempre che si tratta solo di necessità, un lavoro momentaneo.
-Non volevi fare il Marine?- le domandò
Orca.
-No.- rispose annoiata Lilian. -Ma
mia madre mi convinse a partecipare a quel concorso… diceva che se mi avessero
presa, io mi sarei trovata un lavoro sicuro in un amen, e manco a farlo apposta
lo vinsi.
-Previdente, tua madre.- osservò il
capitano.
Un giorno Pierre mangia un frutto che si rivela essere
un Frutto del Diavolo, e in seguito aderisce ad un bando che la Marina ha
recentemente varato per i possessori di quei poteri. Pierre da quel giorno
comincia ad apparire stanco, quasi deperito; Lilian cerca di capire cos’ha, ma
lui non cede. Quando lei gli fa capire di essere seriamente spaventata dal suo
aspetto, Pierre la prende da parte e la rassicura.
«Pierre, cos’hai? Sono preoccupata, e anche tua
madre…»
«Non è niente, Lilian, tranquilla.» le sorride, con
gli zigomi sempre più in evidenza.
«Non ci credo!» protesta infatti lei. «Guardati allo
specchio, sei quasi un’ombra… io ho paura per te!»
Lui le prende le mani e prima di andare via le
sussurra: «Finirà presto, te lo prometto. Non aver paura.»
Il tono di Lilian si faceva sempre
più mesto, mentre gli ascoltatori, intuendo di essere ad un punto cruciale
della storia, di facevano più attenti.
Come promesso, termina presto: alcune settimane dopo
Pierre sparisce. Lilian lo cerca ovunque, ma non ha lasciato tracce. Sua madre le
dice che si è trasferito, è andato via, ma Lilian non ci crede, anche se non
confessa alla signora i suoi sospetti: in quei casermoni della Marina ne ha
sentite troppe, per lei l’intera faccenda puzza.
Purtroppo però in quel periodo la Marina comincia a
dare segni di nervosismo, si vocifera di voler sospendere il progetto perché il
carburante, prodotto solamente da un artigiano delle isole Sabaody, è troppo
costoso. La ragazza capisce che non c’è tempo, così decide di cercare notizie
dell’amico nell’unico luogo che potesse serbarle: s’introduce di primo mattino
nell’ufficio di Caro Vegapunk che, conoscendola, a quell’ora dormiva ancora.
Smonta la serratura ed entra.
La prima cosa che Lilian nota è che posata sulla
scrivania c’è una pila di cartelle, e comincia a scorrerle: sono tutti
possessori di Frutti del Diavolo, opportunamente schedati, che sono stati
sottoposti a esperimenti. Su alcune delle foto c’è timbrata una grossa scritta:
“deceased”.
-Anche il tuo amico?- intuì Law.
Lilian non parlò per alcuni secondi.
-Trovai la sua scheda, con scritta sulla sua foto e una nota in fondo al
fascicolo: “L’agalmatolite liquida ingerita dall’Esperimento 558 ha provocato
l’immediata scomparsa dei suoi poteri legati al Frutto del Diavolo e un
istantaneo invecchiamento dei tessuti; nell’arco di venti minuti il soggetto è
stato terminato dagli effetti del minerale.”-
Silenzio. Lilian, dagli occhi tristi
e spenti al ricordo dell’amico e della sua famiglia, aspettò che sul volto dei
presenti si dipingesse lo sconcerto per la gravità della situazione.
La ragazza si riscuote in pochi secondi solo pensando
che farsi prendere dall’angoscia, dalla tristezza o dal panico in quel momento
avrebbe potuto costarle la vita. Rovista furiosamente nei cassetti di Caro, in
particolare nelle scartoffie burocratiche. Inutile cercare progetti e formule
matematiche di cui non avrebbe capito niente, meglio le copie di rapporti e
ricevute di qualsiasi genere. Così la ragazza scopre che l’acqua convogliata da
lei e dagli altri tre piloti serviva proprio per creare questa forma di
agalmatolite, “agalmatolite liquida”, che aveva ucciso Pierre.
-Ero stata io, capite? Ho contribuito
ad uccidere Pierre e tutti gli altri come lui…
-Non lo sapevi…- cercò di convincerla
Bepo.
-Già, ma dopo averlo saputo con che
coraggio avrei continuato?
Lì, in quell’ufficio disordinato e che puzza di
disinfettante, Lilian si guarda attorno spaesata, nota con sconcerto che una lumacamera
di sicurezza lampeggia in un angolo della stanza. Come ha potuto essere così
stupida?? Rimane ferma immobile a ragionare a sangue freddo, rimandando ancora
il momento di disperarsi: deve fermare l’eccidio di persone, e decide di
fuggire portando con sé una chiave di quel crudele progetto: il Canadair.
Lilian esce tranquilla dall’ufficio cercando di non
dare a vedere alla telecamera che sa di essere osservata.
Cammina in un corridoio bianco e asettico e s’infila
nel primo gabinetto che si trova davanti. Si chiude dentro uno dei vespasiani e
ormai certa di non essere spiata monta sulla tazza di ceramica e si issa in un
condotto di areazione che passa di lì, essendo quello un piano sotterraneo e
non essendoci finestre.
Consapevole del suo senso dell’orientamento, allenato
anche dalle ultime spedizioni aeree dove doveva capire il punto esatto in cui
si trovava senza l’ausilio di punti di riferimento, decide di tentare di arrivare
all’armeria della base, dove avrebbe trafugato alcune armi che ha imparato a
maneggiare nei mesi di permanenza tra i Marine. Mentre striscia per arrivare lì
sente alcune voci provenienti dalle stanze cui passa vicino.
«Il Cacciatore Bianco…? Chiamate la base di Rogue Town.»
dice qualcuno.
«Due caffè all’interno 955, senza crema!» ordina una
donna.
«Ufficio privato di Caro Vegapunk, mandato di cattura
immediato per l’aviatore Yaeger, ripeto, mandato di cattura immediato!»
annuncia una voce autoritaria.
Lilian continua a trascinarsi per i condotti,
tranquilla del fatto che ci avrebbero messo un po’ a capire che si è
intrufolata lì. Pian pianino giunge fino ad un magazzino dell’armeria, deserto
e chiuso dall’esterno; prende con sé delle pistole e un gran bel fucile,
trascinandoli con sé nei condotti di areazione.
Ora che è armata, può dirigersi verso l’hangar: vuole
rubare il Canadair!
Ma proprio mentre corre lì, l’allarme risuona in tutta
la centrale: gli altoparlanti diffondono il messaggio di catturare Lilian Rea
Yaeger. Ormai la Marina se ne fregava di metterla sul chi vive, evidentemente
essendo state vane le ricerche spera con quella mossa di farle fare un passo
falso per il nervosismo e la paura.
Lilian se l’aspetta; sa che non si può evadere da
quella centrale perché tutte le uscite sono controllate; tutte tranne una:
quella della base aerea.
Sbuca in uno dei magazzini degli hangar dove sono
custodite le taniche di carburante. Il magazzino è chiuso a chiave
dall’esterno, quindi può sostarvi senza pericolo d’essere scoperta; il problema
però è uscirne. Qualche addetto alla manutenzione degli aerei inoltre sarebbe
potuto entrare in qualsiasi momento.
Lilian appoggia cauta l’orecchio alla porta metallica:
non sembra esserci nessuno nelle vicinanze, e benedice se stessa per aver
rubato all’armeria la pistola col silenziatore, un modello del tutto
sperimentale ideato da Vegapunk padre.
Punta la canna sulla serratura e fa fuoco, con un
colpo secco la porta cede e lei può uscire.
-Mio Dio, signorina Yaeger!- esclama uno dei meccanici
trovandosela davanti più armata degli stessi Marine e con l’arma ancora fumante
in pugno.
Lilian non vorrebbe giocare la parte della dura con
quel meccanico, è suo amico, ma sa anche che potrebbe essere l’unico modo per
uscire da quella situazione.
-Una parola e sei morto, Philip! Chi c’è nell’hangar?
-Solo io miss, gli altri sono a cercarla!
-Chiudi il portone principale! Svelto!- ordina feroce,
minacciandolo con la Beretta. Il povero meccanico, ch’è anziano e certo non addestrato
come un soldato, obbedisce impaurito alla ragazza. La prima cosa che Lilian deve
fare è isolare la zona da dove partivano gli aerei, alla quale si accedeva dal
resto della base militare attraverso un grosso cancello blindato che Philip viene
mandato a chiudere.
Passano accanto al Canadair giallo, che riposa
nell’hangar coperto assieme a quello di Charlie; gli altri due piloti sono
fuori. Fortunatamente l’enorme saracinesca dalla quale i velivoli vengono fatti
uscire è aperta e invitante: sarebbe scappata da lì. Philip manovra alcuni
tasti su una piastrina elettrica posta accanto al cancello blindato, che
riconosce anche le sue impronte digitali.
-Sali sul Canadair, muoviti!- ringhia minacciosa
Lilian. -E non farmi scherzi!-
Ma proprio quando il buon Philip è sulla scaletta,
intento a salire, Lilian con il calcio del fucile gli assesta una poderosa
botta sulla nuca e il poveretto cade fra le sue braccia privo di sensi.
-Scusami Phil!- mugugna perdendo tutta l’aura ostile
che aveva. -Non devono pensare che mi hai aiutata!- e lo trascina in un
angolino.
Corre di nuovo nel magazzino e prende una tanica di
carburante, la versa tutta nel serbatoio dell’aereo, pensa di prenderne altre
due da tenere con sé per fare rifornimento ma in quell’istante una voce
rimbomba dagli altoparlanti degli hangar, e dei colpi fanno tremare il portone
blindato.
-LILIAN REA YAEGER, LEI È IN ARRESTO! SI ARRENDA
SUBITO E SI CONSEGNI!!
La saracinesca dell’uscita comincia inesorabilmente a calare,
azionata da qualche comando a distanza.
Lilian lascia perdere le taniche, decidendo di
accontentarsi del carburante che ha, toglie i cunei che impediscono alle ruote
di scivolare in avanti e sale sull’aereo mentre questo, privo di ostacoli,
comincia a scivolare verso la saracinesca dell’hangar. La ragazza salta a bordo
con un paio di balzi, e s’inerpica nella cabina di pilotaggio, apre i
finestrini e con due revolverate spezza le corde che tengono bloccate le pale
dei due motori, avviandole quasi all’istante.
La saracinesca cala ancora.
-LILIAN! SCENDA SUBITO DA QUEL CANADAIR!!- I Marine
fanno irruzione nell’hangar, sono tanti, sono troppi da combattere.
Il rombo dei due Pratt & Whitney riempie l’aria
dell’immenso stanzone, l’aereo prende velocità mentre il carrello è prossimo a
staccarsi dal suolo. La saracinesca ormai è a pochi centimetri da terra.
-Non può uscire!!- ordina un viceammiraglio. -In
posizione! Preparatevi ad aprire il fuoco!!
Ma Lilian Rea Yaeger fa prendere velocità all’aereo e
invece di fermarsi lo manda a schiantarsi contro la grossa saracinesca che
finisce in frantumi come un vetro mentre il muso dell’aereo viene accarezzato
dal sole e dall’aria sferzante della mattina invernale.
-Fuoco!!! Fuoco!!!- urlano i viceammiragli alle loro
truppe.
Ma nemmeno la coda viene scalfita dai proiettili,
l’aereo si solleva portando via Lilian e facendo naufragare il progetto dell’agalmatolite
liquida.
Bepo la guardava con gli occhi
sbarrati, Orca si era tolto il berretto profondamente ammirato. Solo Law
sembrava poco impressionato dal racconto, eppure non proferì parola.
-Poi però il carburante finì, e fui
costretta ad atterrare nel continente di Libar, vicino Lanomì dove poi ho
conosciuto Ace che si trovava di passaggio. Alcuni mesi dopo ripartii, avevo
solo aspettato che si calmassero le acque perché la Marina mi cercava. Dovevo
andare alle Sabaody a prendere il carburante per il mio aereo, e con quello
tornare dai miei genitori a Tuherahera. - continuò Rea.
-Avevi una taglia già a quel tempo?-
domandò Law, avido di dettagli che potessero essere confermati da fatti
oggettivi.
-Sì, qualche migliaio di Berry per
furto con scasso e per aver disertato, ma in realtà anche perché avevo messo il
naso dove non dovevo. Durante il viaggio per le isole Sabaody però il cargo su
cui ero imbarcata fu attaccato dai pirati, che ridussero in schiavitù tutte le
persone presenti a bordo, me compresa.-
In catene Lilian Rea arriva alle isole Sabaody, e
proprio mentre viene trasportata per le vie del centro in attesa di essere
marchiata viene praticamente “investita” da Barbanera che sta correndo dalla
sua nave all’osteria: piccola com’è, non viene notata dall’imponente pirata,
nonostante i suoi subordinati avessero tentato di avvertirlo, seppur solo
all’ultimo minuto.
Siccome nella caduta si è fatta male, Barbanera e il
mercante di schiavi sono impegnati a lungo in una trattativa: l’uno declina ogni
responsabilità dell’accaduto, l’altro pretende che invece compri la merce che ha
danneggiato. Inutile dire che Lilian non abbia il minimo peso nella questione,
anche se la vita in ballo è la sua. Alla fine vince il mercante, e Lilian Rea è
trascinata con malagrazia su una nave di pirati che l’hanno presa con loro
praticamente come sguattera, e lei tenta spesso e volentieri la fuga. Ma
Barbanera, che ha speso bei soldi per cavarsi dall’impiccio di cui la vedeva
unica responsabile, la sorveglia di giorno e la chiude a chiave di notte.
Dopo essere riuscita a scappare aiutata da Ace, Lilian
torna alle Sabaody in tempo di record, lì si procura il carburante, stringe
alleanza con Hancock.
Ora bisogna solo tornare a Lanomì: un mercantile
sarebbe passato abbastanza vicino al continente, e Lilian (che ha pur sempre
derubato i Draghi Celesti!) pagando riesce a convincerlo a fare una tappa lì.
Sbarca, ruba due cavalli, uno per sé e uno per le taniche, e galoppa ventre a
terra verso Lanomì. A metà strada li abbandona al loro destino e ne ruba altri
due; non le importa di lasciare tracce del suo passaggio, la fretta è troppa. Mancano
due giorni all’esecuzione di Ace quando raggiunge il suo aereo, fa il pieno e
decolla per Amazon Lili, da dove poi riparte per Marineford.
-Wow.- commentò Orca una volta finito
il racconto.
-Molto bene.- disse freddo Trafalgar
Law. -Allora aspetterò che si svegli Portuguese per confermare questa versione.
-Sissignore.- annuì Lilian, che
sapeva che per quanto la sua storia fosse vera, senza conferme che la sua
parola quel capitano non vi avrebbe mai prestato fede.
Dietro le quinte…
Ed ecco come i Ca.Na.D.AIR sono finiti dentro One
Piece! La spiegazione c’era! Un po’ meno credibile forse il fatto che l’arma di
Lilian sia una Beretta, però le armi a ripetizione esistono, e la prova nel
fumetto è quando Van Ooger spara ad Ace una raffica di 4 proiettili in
pochissimi istanti, cosa impossibile persino per un cecchino come lui se l’arma
non è semiautomatica. No, non sono una patita di armi, più che altro di film
western. A mia discolpa posso solamente dire che nel primo capitolo c’era
l’avviso di “presa in prestito” di alcune armi dal mondo reale.
Spero che l’editing aiuti a capire cosa è dialogo tra
Lilian e i presenti (allineato destra e non corsivo) e cosa invece è narrazione
in terza persona (con i tempi presenti e corsivo).
Come Amelia era il nome della prima donna a sorvolare
l’Oceano Atlantico, il nome Charlie viene dal primo uomo a compiere l’impresa,
Charles Lindbergh, mentre il nome del terzo pilota viene da Paul Tibbets,
l’aviatore del tristemente noto Enola Gay; il suo cognome invece è preso in
prestito dal film “Top Gun”.
Il nome di Caro Vegapunk invece viene dalla cantante
olandese Caro Emerald, cui mi sono ispirata anche per la fisicità del
personaggio.
Il nome del luogo di nascita di Lilian è preso da un atollo
della Polinesia Francese, mentre Alexandra Bay è una città dell’Australia.
L’idea di inserire una “fuga al cardiopalma” (parole
sue) al passato di Lilian è del mio suggeritore di fiducia, mlegasy, che mi ha inventato un background per Lilian che poi si evolverà nei capitoli successivi. Anche gli altri tre piloti sono opera sua.
Quindi grazie mlegasy mio, ma grazie soprattutto a voi
lettori, che mi rendete felicissima di aver cominciato questa storia! Grazie
infinite e… com’era questo capitolo? Si è capita bene l’impostazione un po’
flash-back e un po’ dialogo con Law e la sua ciurmaglia? Come sempre, scrivete
pure se avete qualche dubbio, cercherò di essere più chiara possibile!
Yellow Canadair
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Capitolo 11 *** L'aviatore, l'Imperatrice, il Regino e il Cavaliere ***
L’aviatore,
l’Imperatrice, il Regino e il Cavaliere
Era una
storia incredibile: una mocciosetta senza Frutti del Diavolo, non un pirata né
un Marine, aveva salvato la situazione a Marineford senza nemmeno combattere; a
vederla così minuta, assonnata e con i capelli scarmigliati sembrava solo una
delle tante ragazzine che si incontrano nei paesi, quelle che con aria mistica
ti leggono la mano inventando panzane.
-Ora potrei
vedere i ragazzi?- chiese il permesso al medico.
-Se vuoi.- le
rispose -Ma si riprenderanno tra qualche giorno. Rufy forse di più.- l’avvertì.
Lilian così
entrò nella stanza dove riposavano i due fratelli al seguito di Law. Un
corridoio intero di quel sottomarino era stato adibito a clinica, e attrezzato
come tale: al contrario degli asettici ospedali dalle pareti bianche e tristi
però, quelle del sottomarino erano pannellate di legno scuro, e solo il
silenzio e l’odore di disinfettante nell’aria tradivano il suo reale uso. Entrò
in punta di piedi nella stanza che le aveva indicato Law con un cenno; entrambe
i ragazzi erano, come si dice nel gergo ospedaliero, “intubati”, e la cosa
impressionò non poco Lilian. Stava incollata alla porta con gli occhi fissi su
Ace che come il fratello dormiva con una maschera che gli nascondeva il naso e
la bocca, mentre il dottore trafficava con degli utensili che teneva in una
borsa di cuoio vicino a Rufy.
Nella stanza c’era
un terzo letto, dove riposava un corpulento uomo-pesce dal colorito bluastro. A
differenza dei due fratelli però respirava autonomamente.
-Si chiama
Jinbe.- spiegò Law a bassa voce anticipando la domanda della ragazza. -Era
rinchiuso insieme ad Ace.-
-Ma… ma si sveglieranno
presto, vero?- bisbigliò la ragazza, dopo aver fissato a lungo gli occhi chiusi
di Ace senza osare avvicinarsi o toccarlo, come se il contatto con le sue dita
avesse potuto farlo finire in mille pezzi.
-Dipende da
loro. Io il mio lavoro l’ho fatto.- dichiarò il dottore osservando un movimento
quasi invisibile del naso di Rufy.
-Io… è meglio
che vada.- mormorò infilandosi in una fessura della porta. Quando il chirurgo
si girò, lei era già scomparsa.
Per i due
giorni seguenti, i ragazzi non si svegliarono, Law però teneva le loro
condizioni sotto stretto controllo. Nonostante la sua severità, non aveva
impedito alla ragazza di avvicinarsi alla stanza. Lei di solito però non
entrava, rimaneva guardinga fuori.
Passavano i
giorni, e nessuno si svegliava. A bordo erano tutti molto preoccupati, anche
perché Law l’aveva detto chiaro e tondo che non erano ancora fuori
pericolo.
-Vanno e
vengono dal mondo dei sogni.- diceva il Chirurgo della Morte. -Al massimo vanno
in semicoscienza.- spiegava.
Dopo quattro
giorni di navigazione, il loro sottomarino fu raggiunto da una nave della
Marina, che però era capitanata da Boa Hancock e quindi alleata. L’Imperatrice
era sulle tracce di Rufy da giorni, e l’aveva individuato su quel sottomarino
grazie a Salomè, il suo serpente.
-C’è anche
Lilian Rea Yaeger a bordo?- domandò la formosa imperatrice. Suonava stranissimo
che una donna del genere avesse il Lilian un’alleata: erano l’uno l’opposto
dell’altra. Boa Hancock era una donna di straordinaria bellezza, e tutti coloro
che la guardavano ne rimanevano innamorati, e lei per tutta risposta li
trasformava in pietra: questo era
infatti il suo potere. Era fasciata di seta dai colori accesi, e poco lasciava
all’immaginazione degli astanti: le forme generose erano ben in vista, e
profumava di fiori. I capelli lunghi e neri erano liscissimi e due serpentelli
d’oro facevano capolino dai lobi tra le ciocche corvine. Un segno particolare
su tutti: era innamorata persa di Rufy. Quando parlava di lui diventava, da
superba e altera, timida come una quindicenne da telenovela.
-Io. Io sono
Lilian Rea Yaeger.- si presentò la ragazzina facendosi strada tra i pirati che
sbavavano per poter guardare un attimo di sbieco la bellissima piratessa.
Lilian ed
Hancock stettero alcuni istanti l’una di fronte all’altra, due donne
diametralmente opposte ma dritte e fiere come spade si guardavano negli occhi
per la prima volta. -Non ci siamo mai viste di persona…- cominciò a dire Lilian
tendendo la destra; non sembrava sconvolta dalla beltà della donna. Ma
l’imperatrice cogliendo tutti di sorpresa s’inginocchiò davanti a lei e la
avvolse in un abbraccio di gratitudine, facendole sprofondare il viso in quel
paradiso di tette morbide e calde e rendendola all’istante la persona più
invidiata del sottomarino.
-Hai salvato
la vita al mio Rufy!- esclamò. -Non so come sdebitarmi… puoi farmi sposare con
lui? Voglio dire… Vorresti essere mia ospite?
Nonostante le
frasi sconnesse quando nel suo cervello s’insinuava l’immagine di Cappello di
Paglia, Boa Hancock non era una donna da poco: risoluta, decisa e potente, era
la rispettata regina dell’isola di Amazon Lily dalla quale il Canadair giallo
era decollato per l’ultima volta. L’isola era quasi leggendaria, popolata solo
da donne, e gli uomini non potevano metterci piede.
Tuttavia, a
causa della situazione eccezionale creatasi, l’imperatrice acconsentì lo sbarco
di Rufy ed Ace sulla terraferma, mentre il sottomarino di Law sarebbe rimasto
ancorato nella sua rada privata, da cui si poteva accedere solo dalla residenza
reale. Alcuni pirati sarebbero rimasti sull’imbarcazione mentre altri, tra cui
naturalmente Law che era il medico, sarebbero stati alloggiati alla reggia
dell’isola, ma rigidamente separati dalla compagine femminile del luogo.
Comunque, ci sarebbero voluti ancora più di due giorni di navigazione per
arrivare. E pensare che con l’aereo Lilì ci aveva messo mezz’ora!
-Tesoooriii!
Siamo arrivati? Fate vedere anche me! Su su, largooo!- uno strano personaggio
dalla testa enorme fasciato in un ambiguo completino sadomaso di pelle rossa e
calze a rete comparve facendosi strada tra le amazzoni che scortavano Boa
Hancock. -Dov'è il mio Cappellino-boy?- stringeva fra le mani un cappello di
paglia dalla fascia rossa.
-Tuo?- si
voltò inviperita l'imperatrice amazzone. -Ne abbiamo già discusso, Rufy è solo
mio!- ma il buffo individuo l'ignorò, rivolgendosi invece a Law e pregandolo di
dirgli la verità sulle condizioni del ragazzo. Il chirurgo ne approfittò per
condurli entrambi dove dormiva Cappello di Paglia, visto che smaniavano per
vederlo e ogni discorso sembrava inutile, con lui che canticchiava risposte
incomprensibili e lei che o blaterava di un matrimonio o s'inarcava
all'indietro fino a sparire. Il sottomarino stava diventando un ricettacolo di
spostati!
Lilian
guardava con curiosità l'uomo dalla testa enorme. Lui si accorse di essere
osservato e si girò dalla parte della ragazza, che arrossì.
-Ciao.- disse
la ragazza per trarsi d'impiccio. - Io sono Lilian.-
-Lilian? La
piccola Lilina-girl? Sei stata tu a salvare Rufy!- esclamò felice, arrestando
la sua marcia verso l'infermeria per guardare bene in viso la sua
interlocutrice. La sollevò in braccio tenendola da sotto le ascelle e le stampò
due bacioni sulle guance, lasciandole il segno del rossetto. -Grazie! Grazie a
nome di tutti! Un salvataggio così impavido! Ti sono così riconoscente per aver
salvato Cappellino-boy ed Ace-boy che... Ma sì, ti cambierei sesso! O ti
canterei una bella canzone! Anzi no, la canzone no, sono stanchissimo!- esclamò
Ivankov al culmine della felicità, mentre Rea dopo lo sconcerto iniziale era
scoppiata a ridere e assecondava l'uomo
nelle sue piroette.
-Canzone,
canzone!- rispose Lilì tra le risa.
- Allora
prontaaaa, tieni il ritmo! Uno, due, un, due, tre!
-Ma non eri
stanchissimo?
-Capitano!!
Capitano!- un urlo di Orca interruppe bruscamente sul nascere l'allegro
coretto. -Jinbe ha ripreso conoscenza!
Law corse
avanti, lasciando detto di attendere ancora qualche minuto senza entrare
nell'infermeria. Quando il Chirurgo della Morte ebbe terminato i controlli di
routine, mise al corrente il paziente degli ultimi avvenimenti a bordo prima di
essere travolti da Emporio Ivankov e da Boa Hancock che scalpitavano per entrare
lì.
-Ancora
niente, loro?- domandò l'uomo-pesce riferendosi ai due ragazzi che ancora
dormivano nella stessa stanza.
-Dagli tempo,
flottaro.- rispose Law, guadagnandosi un immediato "Ex!" di
correzione. -Ne avranno ancora per un po', erano ridotti molto peggio di te.
-Ed Ace
veniva anche da Impel Down... Rufy era stato avvelenato da Magellan...- mormorò
Jinbe teso e in apprensione portandosi una mano alla testa, cogitabondo.
-Oh quello è
quasi il minimo! Li abbiamo recuperati in mare aperto a diverse miglia da
Marineford molte ore dopo la battaglia.
-Ma
quell'aereo...
-Abbattuto
probabilmente da un colpo di Kizaru, si è schiantato qualche minuto dopo che sei
salito qui.
-Come hanno
fatto a sopravvivere!?- esclamò incredulo Jinbe, pensando fosse merito della
fibra robusta dei due, anche se gli sembrava davvero troppo azzardata come
ipotesi. -Entrambi con la Maledizione del Mare, è un miracolo... E siete
riusciti a scoprire chi fosse il pilota?
-Calmo, non
agitarti. É stato proprio il pilota a salvare quei due... Li abbiamo ripescati
con dei galleggianti addosso su un rottame dell'aereo prima che annottasse...
Il pilota aveva persino innalzato una barriera anti-Percezione, pur di non
farli prendere dalla Marina. E noi che tentavamo di localizzarli proprio con
quella, li abbiamo trovati quasi per pura coincidenza.
-E che razza
di potere sarebbe? E il pilota, chi è?
-Si chiama
Yaeger, è un'ex collaboratore della Marina. Ha conosciuto Ace durante la sua
caccia a Barbanera e a quanto pare gli doveva restituire un paio di favori.-
detto ciò, Trafalgar Law dette il via libera ai visitatori che attendevano
impazienti.
Furono
raggiunti anche da una seconda imponente nave, quella delle piratesse Kuja che
erano esercito e corteggio di Boa Hancock. L’imperatrice se ne tornò sulla sua
nave, accompagnando quella di Law verso Amazon Lily per permetterle di superare
la Fascia di Bonaccia mentre Emporio Ivankov rimase sul sottomarino giallo per
la felicità di Lilian alla quale stava decisamente simpatico; quella sera
stessa decise di truccare la ragazza a sua immagine e somiglianza, e Rea si era
prestata alla prodezza.
-E così eri
tu il diavoletto che ha fatto fare il bagno al vulcanuccio, ehhh?
-Ah, allora
l'ho proprio preso in pieno? Ma è morto?
-Nooo, ce ne
vuole a uccidere il Cane Rosso! Ferma Lilina!- l'ammonì mentre le stendeva
l'ombretto blu sugli occhi. Si erano seduti l'uno di fronte all'altra su una
panca della mensa mentre navigavano in immersione; c'era davvero poco da fare a
bordo e avevano deciso di ingannare così il tempo; la piccola aviatrice
assecondava le quelle stravaganze e non mostrava alcun tipo di timore.
-Aspetta, il
tuo rossetto no!- protestò inaspettatamente. Iva rimase muto per un attimo, un
po' deluso. -É antigienico.- spiegò la ragazza arrossendo.
-Allora
ecco!- ovviò lui estraendo un coltello e tagliando via l'estremità superiore
del rossetto rendendolo nuovo.
Arrivò di
corsa Bepo, tutto sudato dal gran caldo. Quando navigavano negli abissi finiva
sempre con l'esserci una cappa di calore all'interno del sottomarino, e il
povero orso con il suo pelliccione soffriva molto. -Lilian! Ti cerca... Uff!
Uff! Ti cerca Jinbe!-
-Jinbe?
Quello dell'infermeria?- chiese la ragazza uguale ad Emporio Ivankov però
femmina e in versione mini. Chi era? Era salita con Hancock?
-Scusatemi,
io... Io cercavo un'altra persona.- mormorò Bepo andandosene, senza riconoscere
l'aviatrice.
-Bepo, sono
io!- rise Lilian alzandosi e dirigendosi in infermeria seguita da Ivankov.
Bussò con precauzione, ma Iva con impeto afferrò il pomello e spalancò la porta
cantando: -Jinbeeee ♥!-
-Zitto, che
svegli tutti!
-Iva, che
diamine!?- esclamò a mezza voce l'uomo-pesce guardando i due individui
travestiti che erano piombati nella stanza.
-Mi aveva
mandata a chiamare, signor Jinbe?- domandò l'Ivankov più piccolo salutando con
un cenno del capo, una voce sottile e un modo di fare del tutto estraneo
all'originale.
-Mi dispiace
piccola, io sto aspettando il signor Yaeger, l'aviatore.
Per un attimo
Rea e Iva si guardarono divertiti sotto le rispettive ciglia finte ed extension e scoppiarono a ridere come
due scemi. Mentre ancora il Regino gongolava, Lilian spiegò allo sbigottito
Jinbe: -Deve aver capito male! Sono io Yaeger, Lilian Rea, sono femmina!
-Sempre se
non cambi idea!- le ricordò Iva.
-Tu? E io che
mi aspettavo un giovanottone di almeno trent'anni! Vieni ragazza, fatti
stringere la mano!
Rimasero a
bisbigliare a lungo, Jinbe raccontò alla truccatissima pilota altri dettagli
della guerra di Marineford e come avesse conosciuto Ace in prigione, giù al
sesto livello, dilungandosi in dettagli che fecero inorridire la ragazza.
-Smettila
Jinbe, stai spaventando Lilina!- lo ammonì finalmente Emporio Ivankov. Lilian
non lo sapeva, ma lui stava monitorando i suoi livelli ormonali da quando Jinbe
si era avventurato nel discorso “Impel Down”, e quando aveva capito che la
ragazza si era impressionata troppo era intervenuto.
Quella notte,
Trafalgar Law decise di scendere in infermeria per controllare alcune cose ai
ragazzi. Non era tipo da dormire molto, e come medico aveva a cuore la faccenda
nonostante il carattere rude. A parte chi era di turno per la navigazione,
tutti dormivano a quell’ora, e il Chirurgo della Morte era molto contento di
potersene andare in giro per i fatti suoi senza che nessuno lo seccasse. I suoi
sottoposti facevano sempre una gran baraonda durante il giorno, mentre la notte
non c’era nessuno in giro e lui poteva godersi il suo sottomarino e sbrigare le
sue faccende indisturbato.
Arrivò vicino
alla porta della stanza dove riposavano i due fratelli e nel buio del corridoio
vide una fioca luce che filtrava dalla porta di legno.
Si avvicinò
senza fare rumore e spinse con precauzione il battente, tenendo la katana
pronta.
Dentro c’era
Lilian, che stava sollecita in religioso silenzio accanto ad Ace e gli passava
in fronte una pezza bagnata, muovendosi con precauzione tra i tubi attorno al
letto. Aveva un’espressione malinconica e preoccupata.
-Scusami Law,
vado subito via.- si rammaricò arrossendo appena il capitano entrò nella
saletta.
Il Chirurgo
della Morte però la ignorò, si guardò attorno e poi cominciò a cambiare una
flebo a Rufy.
Lilian si
avviò verso la porta e mormorò: -Credo gli sia risalita la febbre.- e uscì
rapida e silenziosa, chiudendo la porta. Trafalgar Law sobbalzò a quel rumore,
si affacciò alla porta ma non trovò nessuno.
-Svegliati
Lilian! su, sveglia!- la riscosse due giorni dopo Bepo.
Lilì aveva il
risveglio molto lento. Per cinque minuti buoni l’orso la prese a musate, poi la
scosse con le sue zampone pelose, e poi le tolse le coperte e la trascinò fuori
dal letto, facendola cadere col sedere a terra.
-No….- aveva
biascicato Lilian senza capire chi o cosa la stesse svegliando.
-Alzati!- la
sollecitò l’orso. -Ace si è svegliato!-
Dietro le quinte…
Buongiorno a tutti, cari lettoriiiii!!! Parla il
vostro Emporio Ivankov! Ho appena sottratto il portatile a Yellow Canadair-girl
e sono così stanco… ma così stanco… che il “dietro le quinte” termina qui. Sono
anemico, sapete?
Scherzo! Non è vero!
Quanto ci sto bene sul sottomarino con Lilina-girl!
Proprio per questo l’autrice ha prolungato la mia permanenza sull’imbarcazione
di Traffy-boy, che nell’opera originale è molto, moooolto più breve,
un’apparizione! E porto con me anche il famoso copricapo di Cappellino! Adesso
che il piccolo Ace-boy si è svegliato prevediamo una bella impennata di ormoni,
noooo??
A proposito di Traffy-boy: come mai non degna d’uno
sguardo Lilina-girl quando la trova premurosa e sollecita attorno ad un suo
paziente, sollevando la testa solo quando sente la porta chiudersi? Eeeeh???
Una precisazione dalla cabina di regia! Il background
di Lilina-girl, con tanto di agalmatolite liquida e sfondamento della
saracinesca è stato inventato dal ragazzo dell’autrice assieme agli altri tre
piloti e la storia di Pierre, ma che fidanzato cariiiino!! Che fantasia
perversa e feconda! Mandatelo da me che ci divertiamo un pochino!!
Complimenti a tutti per seguire quest’avventura! e
recensite, mi raccomando! O mandate Yellow Canadair-girl a quel paese (magari
il mio, così la faccio diventare uomo)! O cantatemi una bella canzone!
Emporio “Iva” Ivankov, Regino di Kamabakka
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Capitolo 12 *** Le minacce, le carezze ***
[zipedit] Le minacce, le carezze
-Caro Vegapunk.-
sussurrò una voce melliflua affacciandosi alla soglia del laboratorio pieno di becher,
di microscopi, di ampolle e di libri.
-Paul?
Non insistere!- lo bacchettò la scienziata, sola a quell’ora serale. -Non andrò
avanti con quel progetto.-
-Oh, io
sono di un parere diverso.- disse tranquillo il nuovo arrivato. Indossava
un’elegante camicia bianca con un gilè grigio intonato ai pantaloni, le scarpe
lucide e i capelli neri, lisci e lunghi fino alla schiena pettinati in una coda
bassa. Caro Vegapunk lasciò perdere le sue provette e si concentrò meglio su di
lui.
-Ti ho
detto che non continuo, e ti ho spiegato il perché.- espose stancamente.
-Troppe vittime, persino per la scienza, e poi ormai due piloti sono andati.
Bisognerà trovare un altro modo per neutralizzare i Frutti del Diavolo, ora è meglio
concentrarsi sulla produzio…-
Paul
Blackwood estrasse una Derringer dalla tasca del pantalone. -No Caro, facciamo
come dico io.- minacciò puntando la piccola arma verso la donna.
Lei alzò
le mani, irata ma non spaventata. -Paul, stai commettendo un errore…-
-L’errore
l’hai commesso tu, interrompendo il progetto.- rispose.
L’orso
la spinse dentro l’infermeria. Sulla sua branda, Ace sorridente stava cercando
di issarsi sui gomiti. Il giorno prima gli erano finalmente stati tolti quegli
orribili tubi, ma aveva fasce su fasce in bella mostra. Bepo uscì, chiudendosi
la porta alle spalle.
-Ace.- sussurrò la ragazza, timorosa
sulla soglia, intimidita.
-Ciao.- rispose lui con
un sorriso, tirandosi a fatica a sedere sul letto. -Ho dormito un bel…-
Non continuò oltre,
Lilian attraversò la stanza come un fulmine e lo abbracciò zittendolo all’istante.
Chissà per quale barlume di lucidità non era saltata direttamente sul letto,
rimanendo seduta a metà, con una gamba ripiegata sul materasso accanto al
ragazzo e l’altro piede per terra.
Al ragazzo quella
stretta disperata e dolce premeva sulle ferite in modo non esattamente
piacevole, ma non riuscì a chiedere alla ragazza di allontanarsi: cinse impacciato
quel piccolo corpo e ricambiò con trasporto il gesto, mentre Lilian cercava
senza troppo successo di reprimere un lungo pianto che si portava chiuso dentro
da quando era scappata dalla nave di Barbanera.
-Ehi,
calma…- sussurrò lui, accarezzandole un po’ imbarazzato i capelli.
“Cos’hai, Lilì? Coccolino ha detto che
siamo tutti al sicuro, cosa c’è che non va, piccola?" pensò il pirata.
-S…
scusami...- sussurrò la ragazza quasi tremando, senza lasciarlo, mentre tentava
di asciugarsi le lacrime con il dorso della mano. Ace, preoccupato, stavolta sciolse
controvoglia l’abbraccio per guardarla in volto, senza tuttavia allontanarla da
sé.
-Ho… ho
avuto paura, tutto qui. Una scemenza.- tentò di minimizzare la ragazza,
tentando di dominarsi chinando il capo, ma continuava a singhiozzare.
-Paura
di cosa?- si inquietò lui aggrottando le sopracciglia. Che le fosse successo
qualcosa di male negli ultimi giorni?
-Come,
di cosa?- Rea spalancò gli occhioni lucidi, a lei sembrava una cosa
naturalissima. -Sei vivo per miracolo, hai combattuto a Marineford, e Jinbe mi
ha raccontato di tutto quello che ti è successo in prigione!- quei racconti di
quando era prigioniero l’avevano scossa più di ogni altra cosa, era arrivata a
sognarseli; l’acqua bollente, e le catene, e i secondini, Lilian si svegliava
nella notte fradicia di sudore credendo di sentire le urla dei condannati, e
cercava di calmarsi pensando che era tutto finito, ma da quei racconti aveva
avuto conferma che per lei, di entrare in quella prigione, non c’era speranza:
sarebbe stata uccisa alla prima stanza. Lo stesso Rufy, che era fortissimo,
aveva rischiato di morire ed era comunque arrivato troppo tardi. Era peggio di
qualsiasi cosa avesse mai immaginato.
-E Law
ci ha sempre detto che non eravate del tutto fuori pericolo… poi io ti ho anche
buttato in acqua… come potevo stare tranquilla?- lo sgridò mentre Ace
l’attirava a sé sollevato. Stava bene, non le era successo niente in mare, non
piangeva per qualcosa accaduta su quella nave di sconosciuti mentre lui era
incosciente. Sospirò, mentre nella sua testa si riaffacciava la preoccupazione
per il fratello, ancora dormiente a poca distanza da loro.
-Non
dovevi…- si fermò un attimo, strinse i denti. Le costole, era sicuro che
fossero quelle. -Non dovevi preoccuparti per queste stronzate…-
-Stupido.-
mormorò la ragazza appoggiando esausta la testa sulla clavicola di lui,
miracolosamente risparmiata dalle fasce, cingendogli i fianchi. Chiuse gli
occhi, sentì Ace chinare la testa sulla sua. Voleva dimenticare tutto, quando
andava la notte da lui perché gli era salita la febbre, quando era persa col
relitto e guardava il fondo scuro, quando era nella stiva di Barbanera dopo
essere stata picchiata, il calore di quella stretta scioglieva quei ricordi e
la paura fredda scivolava via, spinta lontana dal respiro di Ace così vicino al
suo. C’era odore di uomo, di disinfettante e di lenzuola
pulite in quel momento di tranquillità dopo giorni di incubi e di angosce.
“Lilì…” rimuginava Ace corrucciato. “Lilì, come ti è venuto in mente di soffrire
così per uno… per uno come me?” va bene che ormai lo sapeva, o meglio, aveva
scoperto nel peggiore dei modi quanto fosse importante per i suoi compagni, però
era sempre lo stesso ragazzo che le persone allontanavano e temevano nei
villaggi… ma non allentò quell’abbraccio così dolce, né smise di accarezzare i
capelli della ragazza. Rea si mosse un po’, andando a solleticare la sua
guancia con i capelli scuri. Rise fra sé.
-Che hai da sghignazzare, ora?
-Pungi. Devo procurarti un rasoio.- gli annunciò con un lume di
divertimento negli occhi ancora lucidi. Ace si passò meditabondo una mano sul
volto e inorridì. Gli era cresciuta la barba!!
-Quanto… quanto… quanto è lunga???-
-Non è spaventosamente lunga,
tranquillo!- rise la ragazza senza riuscire a chetare Pugno di Fuoco. -Non sei
irriconoscibile… voglio dire, non sei liscissimo, però…-
Lilian si riscosse definitivamente, accantonando quella figura da piagnona
che aveva fatto. -Rimettiti steso.- sorrise. -Law se la prende con me, se ti
trova seduto.-
Ace s’imbronciò, decisamente contrariato.
-Non ti
facevo muovere in mare, vuoi che ti faccia sforzare adesso?- protestò
dolcemente Lilian aiutandolo a rimettersi giù, accarezzandogli i capelli per un
istante ma ritirando la mano subito, come ad aver osato troppo, dopo la
sviolinata di prima, con tanto di crisi di pianto.
-Come ti
senti? Ce la fai a parlare?- scese dal letto e si accoccolò sollecita vicino a
lui.
Ace fece
una risata smorzata. -Lilì! Certo che ce la faccio, tranquilla!- La sua mano
calda avvolta dalle fasce cercò quella piccola di Lilian, le loro dita si
intrecciarono strette.
-Grazie
per aver salvato me e Rufy.- sussurrò il ragazzo, fermandosi un istante. -Se
non ci avessi preso tu con l’aereo, ci avrebbe presi Akainu con qualche sua
diavoleria.- terminò. -Era vicino, stavamo scappando…- ricordò. Marineford
sembra così lontana, nel ventre di un sottomarino, nel silenzio di un’infermeria.
Lilian
chiuse gli occhi, come se provasse dolore al solo immaginare la scena.
-Non
dirlo nemmeno per scherzo…- lo pregò.
-E mi
dispiace per l’aereo, davvero…- aggiunse in fretta Ace contrito, seriamente
amareggiato.
-Chi se
ne importa dell’aereo!- sbottò la ragazza senza alzare la voce. -Sei rimasto
incosciente per quasi sei giorni... meno male che sei vivo!- sussurrò.
Ace si
portò una mano al collo. -La collana…?- mormorò.
-L’ha
conservata Law, tranquillo. Anche il resto.- spiegò seria Lilian.
-Il…
“resto”?
-Sì… i
pantaloni, per esempio.- disse la ragazza in un sussurro, chinando la testa
cercando di reprimere un sorriso malizioso mentre le guance prendevano colore. Ace
sconcertato guardò per un istante sotto al lenzuolo, aprì la bocca per
rispondere ma prima che potesse emetter fiato la porta della stanza si
spalancò.
-Aaaaaceboy!!
Invece di chiamare il dottore ti sollazzi con la signorina!?!-
Lilian
sbandò a quell’urlo e si alzò di scatto, rossa in volto. Era entrato nella
stanza Emporio Ivankov, stavolta in versione femminile. Stesso completino
sadomaso ma stavolta su un corpo sinuoso da paginone centrale di rivista
maschile, con una gran cascata di ricci.
-Ivankov
smettila! Rufy sta ancora dormendo!- lo rimproverò Law che entrò subito dopo.
-Visto
signorina! Finalmente si è svegliato il secondo boy!- esclamò il bizzarro
personaggio prendendole la mano e piroettando. -Abbiamo gli ormoni in fermento
in questa stanza, eeeeh? Il ragazzo deve stare a riposo però!- l’ammonì con un
occhiolino ammiccante, facendole contorcere le viscere dall'imbarazzo.
-Ma no,
non…- tentò di spiegarsi.
-Uhmmm…
Soffri di tiroide?- domandò con noncuranza il Regino leggendole i livelli
ormonali.
-Come?-
Lilian indietreggiò, cercò di appoggiarsi al letto dietro di sé, divenne cerea
in volto e “cadde come corpo morto cade”.
Law
riuscì a prenderla al volo prima che si schiantasse al suolo, infatti già
quando pochi istanti prima l’aveva vista diventare all’improvviso bianca aveva
capito che sarebbe potuta svenire, anche se aveva sperato di no.
-Lilì!
Lilì!- si preoccupò immediatamente Ace, tentando di alzarsi dal letto, ma fu
bloccato da Iva che gli ordinò perentorio:- No carino, tu resti qui.
-Che
diavolo le è successo??- esclamò Jinbe che era sopraggiunto proprio in quel
momento.
-Ha
ceduto. Bepo, apri le porte, la portiamo fuori!- ordinò Law prendendo in
braccio la ragazza.
Che era
successo? Non bisogna infatti pensare che Lilian avesse così poca fibra da
svenire solo perché il ragazzo che aveva salvato era fuori pericolo. Fin dal
primo istante sul sottomarino si era posto un problema di fondamentale
importanza: per coloro che erano stati portati via in condizioni disperate da
Marineford c’era bisogno di sangue, e quando Lilian l’aveva saputo non si era
tirata indietro: era andata dritta da Law e gli aveva chiesto se ne poteva
offrire lei, che essendo di tipo O era un donatore universale. Il Chirurgo
della Morte però le aveva risposto che lei era l’ultima persona alla quale
avrebbe chiesto di donare sangue, minuta com’era. Lilian però insistette così
tanto che si arrivò ad un compromesso: solo come ultima spiaggia.
Ultima
spiaggia che era arrivata tre giorni dopo, quando il sangue di un tale gruppo
presente a bordo scarseggiava e c’era bisogno del donatore universale. Così Law
a malincuore aveva cominciato a prendere il sangue di Lilian.
Solo che
tira oggi, tira domani, anche se i prelievi erano finiti la povera Lilì dopo
essersi alzata di scatto dal letto era svenuta.
Quando
riaprì gli occhi si trovò con i piedi penzoloni in braccio a Law, senza nemmeno
essere uscita fuori dall’infermeria; per lei non era trascorso nemmeno un
istante, le sembrò di essere stata semplicemente teletrasportata, o come se
qualcuno avesse montato male due scene di un film: ora in piedi, ora in
braccio. Si irrigidì all’improvviso quando capì in braccio a chi stava, e Law
si accorse che aveva ripreso conoscenza.
-Ferma,
ti porto io.- le ordinò. E Lilian rimase immobile, senza osare contraddirlo.
Com’era morbida la sua felpa!
-Non
l’ho fatto apposta…- cercò di scusarsi, non voleva che si pensasse che l’aveva
fatto per attirare l’attenzione.
-Certo
che non l’hai fatto apposta.- le rispose brusco il dottore -Non dovevo farti
quei prelievi.-
La
depose per terra in uno slargo del corridoio, le sollevò i piedi e le prese il
polso.
-Sto già
meglio, posso…- tentò la fuga Lilian. Ma uno sguardo gelido di Law bastò per
farle passare la voglia di alzarsi e rimase obbediente per terra. Dopo qualche
minuto così arrivò Bepo, che si sedette accanto alla ragazza e rimase a farle
la guardia perché non scappasse via mentre Law tornava ad occuparsi del
ragazzo.
-Sai…-
le sussurrò l’orso, che le teneva la mano. -Si vede che ti piace molto.-
-Non è
vero…- sospirò la ragazza arrossendo come un peperone. -Però…- non sapeva
nemmeno lei come continuare.
-Scusami
allora.- rispose l’orso, chinando la testa.
-Ehi,
non ti preoccupare.- lo rassicurò Rea. Sapeva bene che Bepo, nonostante la mole
e la bravura in combattimento, aveva un carattere dolce e che chiedeva scusa
facilmente. -Grazie per avermi chiamata subito, stamattina.-
-Ti avrebbe
fatto piacere stare un po’ con lui… adesso è pieno di gente invece.
Rea
sospirò. Perché quel morbido orsetto sapeva esattamente cosa avrebbe
desiderato? Perché lei non ci riusciva? O meglio, lei ci riusciva pure, ma
quello che ne venivano fuori erano piani disperati che negli ultimi giorni si
erano risolti con alleanze improbabili con l’imperatrice Kuja, sparatorie,
furti, un’evasione spettacolare e probabilmente quello che l’attendeva era una
bella taglia.
E
adesso? Non era per nulla pentita di quello che aveva fatto, ma sapeva bene di
essersi buttata a capofitto in quell'avventura senza minimamente pensare alle
conseguenze, senza il suo aereo era bloccata. Senza soldi e senza mezzi.
Il piano
si era concluso con un successo, ora bisognava andare avanti, Lilian lo sapeva.
Ma avanti come? Decise che ci avrebbe pensato una volta sbarcati.
-Cerca
di rilassarti, se no svieni di nuovo.- l’ammonì l’orso bianco gentilmente.
Tornò
Trafalgar Law. -Alzati, ce la fai?- disse alla ragazza. -Bepo, prendila su, Ace
la vuole vedere e già che ci siamo mi faccio confermare chi sei.
Law non
si fidava della ragazza a causa del tatuaggio; gli puzzava di brutto che una
della ciurma di Teach (prestando fede al tatuaggio piuttosto che alle parole
della ragazza, che potevano essere state inventate di sana pianta) aiutasse un
capitano di Barbabianca; sentiva odore di tradimento, e ora che Ace era sveglio
e abbastanza in forze almeno per parlare, voleva togliersi quella spina dal
fianco e vedere se le versioni dei due naufraghi coincidessero nei dettagli.
Appena
l’ebbe sotto tiro, il ragazzo circondò con un braccio la vita di Lilì,
costringendola a sedersi vicino a lui, sul bordo del letto.
-Adesso
sei tu che mi fai preoccupare?- le sussurrò il pirata, appena Rea fu abbastanza
vicina a lui da poterle parlare senza farsi sentire da nessun altro. Lilì gli
fece cenno di tacere, portandosi l’indice verticale alle labbra, ma lo fece
sorridendo, poggiando l’altra mano sull’avambraccio di lui che aveva in grembo
in un gesto affettuoso. Law stava cominciando a discutere con loro. Non voleva
di nuovo vita, morte e miracoli di Rea, quanto semplicemente conoscere la sua
relazione con Barbanera e la sua ciurma, ed Ace confermò quanto detto nei
giorni precedenti dalla ragazza, e che il tatuaggio era frutto di una violenza,
non di un’alleanza. A Rea non piaceva che si scendesse nei particolari, ma per
sottolineare il fatto che non facesse parte della ciurma, il ragazzo raccontò di
come si ribellasse, di come avesse maldestramente cercato di fuggire e di come
avesse tentato di far scappare lui, con tutte le conseguenze.
Il
dottore ascoltò in silenzio, senza fare commenti, guardando prima l’uno, poi
l’altra. -Non mi avevi raccontato tutti questi dettagli.- disse a Rea alla
fine.
-Sarebbe
sembrato tutto teatro, un’esagerazione.- rispose asciutta la ragazza. -Mi rendo
conto io per prima che tutta la storia è incredibile, a cominciare dalla mia
presenza come mozzo sulla nave di Teach, famoso tra l’altro anche per trattare
piuttosto bene i suoi.
-Ma tu
non eri dei suoi, ti considerava una serva.- le ricordò Ace. -E anche parecchio
indisciplinata, direi.-
-Se la
cercava di continuo. Fosse stato un gentiluomo, mi avrebbe comprata e
liberata.-
-Lascia
uscire Lilian, Ace, voglio controllare delle cose.- quando Law diceva così, era
perché non voleva essere impicciato mentre lavorava, e Rea gli obbedì senza discutere.
Ora che era abbastanza sicuro della verità, c’era un ché di pacato nei suoi
ordini severi.
-Torna
ogni tanto.- la salutò Ace sorridendo debolmente mentre lei era sulla porta.
Prese fiato. -Hai tutta l’aria di una che sparisce facilmente.-
-Meglio che
la chiami tu, altrimenti scappa via davvero.- consigliò Bepo, che nel frattempo
era rimasto muto in un angolo e tutti si erano dimenticati della sua presenza.
-Ti
cerco un rasoio.- promise Lilian.
-Forza,
fuori!- sbottò Trafalgar Law.
-Maledetta
sentimentale.- borbottò Paul mentre si dirigeva negli archivi sotterranei del
Dipartimento di Ricerca. Caro Vegapunk si era rivelata un osso duro persino per
lui, però non poteva certo perdere tempo con quella donna. Doveva trovare una
soluzione.
Non era
l’unica persona di scienza in circolazione, doveva senz’altro esserci qualcuno,
da qualche parte del mondo, che potesse condurre gli esperimenti che lei
rifiutava di portare avanti.
Cominciò
così un’immersione in polverosi volumi alla ricerca di qualcuno, un nome, un
luogo, un indirizzo, qualsiasi cosa che potesse metterlo in contatto con lo
scienziato (o la scienziata, era assetato di potere ma non certo sessista)
abbastanza privo di scrupoli da assecondarlo.
Passarono
ore. Passarono volumi, passarono epigrafi illeggibili. Passarono cartelle e
rendiconti, inventari e cataloghi, e finalmente, dopo tanto scartabellare, un
nome si palesò sotto gli occhi stanchi ma avidi di Paul Blackwood.
Ci fu un
uomo, ex collega di Vegapunk padre, che anni prima aveva scoperto una terribile
arma di distruzione di massa e aveva sconvolto un’intera isola attivandola. Era
stato radiato dal Dipartimento e addirittura condannato per questo reato, ma
era riuscito a fuggire ed era latitante.
Un
sorriso crudele si fece strada sul volto di Blackwood: era l’uomo che faceva
per lui. I fogli che stringeva delicatamente descrivevano un individuo scaltro,
intelligente, freddo e razionale.
“Adesso
devo solo ritrovare le due signorine.” Pensò l’uomo.
Scrisse
con un’elegante grafia svolazzante due nomi sul suo taccuino, prima di andar
via da quel luogo soffocante: Caesar Clown; Punk Hazard.
Dietro le quinte…
Ebbene sì. Chiamarsi Portuguese D. Ace non rende
immuni dalla crescita del pelo. Mi dispiace, qualcuno doveva svelare questo
oscuro segreto.
E no, Lilian non ha visto nulla, sotto quel
lenzuolo. Forse s’intuiva qualcosa. Ma credo di no. E questi non sono discorsi
da rating arancione!!
Ciao fangirl! a parte i paragrafi di apertura e
chiusura, questo capitolo era per voi!! Come?? Dopo quel po’ po’ di salvataggio
ci voleva un bel bacione tra Lilian ed Ace? No, niente ancora! non hanno ancora il mio permesso. Abbiate
fede!
Carinerie tra Ace e Lilian a parte, in questo
capitolo è entrato in scena Paul Blackwood, creazione del mio ragazzo che ad inventare
cattivi è molto più bravo di me. E s’è capito subito che Paul non è proprio un
pezzo di pane; è uno dei quattro piloti dei quattro Canadair creati da Caro
Vegapunk, comparso di striscio nei capitoli precedenti. Adesso abbiamo capito
che trama qualcosa, tanto che ha minacciato Caro Vegapunk con una Derringer
(una piccola pistola ad un colpo solo, ce l’hanno sempre i giocatori d’azzardo
nei fumetti di Lucky Luke).
Il sangue di tipo O (O come Occacchio) strizza
l’occhio ad una battuta del film “A qualcuno piace caldo”, i due protagonisti
(Jack Lemmon e Tony Curtis) per coprire la mascalzonata di uno dei due dicono
di aver dovuto donare l’uno il sangue all’altro, perché dello stesso gruppo
sanguigno… tipo O.
Credo di aver detto tutto… e se non ho detto tutto
per favore, chiedete pure spiegazioni nelle recensioni! Mi rendo conto che a
questo punto, con il passato di Rea che si fa strada fra i personaggi di One
Piece, le cose potrebbero diventare complicate, io cerco di spiegarle ma se non
capite (e col macello che ho in testa è possibile) chiedete, chiedete e
chiedete! Non vi fate problemi!
Grazie infinite a tutti i lettori! Siete
fantastici! E i più fantastici (anzi, fantastiche) sono le ragazze che
recensiscono!! :D Grazieee!!!
Yellow Canadair
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Capitolo 13 *** Le musiciste di Amazon Lily ***
Le musiciste di Amazon Lily
Ora
Lilian aveva un problema: aveva distrutto il suo aereo, era ospite su una nave
e non sapeva che altro fare.
Erano in
viaggio per Amazon Lily, l’isola delle amazzoni, dove lei aveva lasciato le sue
cose; poca roba, in realtà: solo una cassetta di averi, qualche vestito di
ricambio, biancheria, oggetti personali. Quello che le serviva era un lavoro,
in quel momento. Un lavoro che la impegnasse e le desse vitto e alloggio.
E poi
c’era un altro grave guaio: la Marina conosceva fin troppo bene il Canadair,
i numeri dipinti sulla fusoliera erano stati sicuramente identificati e anche
il Marine che le aveva sparato addosso le palle di cannone forse era riuscito a
scorgerla, e risalire alla sua identità grazie ad un confronto con le foto
negli archivi sarebbe stato un gioco da ragazzi. Come minimo le pendeva sulla testa
l’accusa di concorso in evasione, senza contare il furto dell’aereo stesso,
delle armi, l’aver disertato, e furti di cavalli commessi a Libar per
raggiungere il velivolo con poche ore di galoppo invece che con giorni di
marcia. Oh, e c’era anche la questione delle case dei Draghi Celesti svaligiate
alle Sabaody: non aveva lasciato tracce, ma qualcuno avrebbe potuto mettere in
connessione i fatti… Le servivano i soldi per andare via e ricominciare
da qualche altra parte, magari tornare dai suoi… anzi, no: non avrebbe potuto
tornare proprio da nessuna parte, altrimenti chi le avrebbe offerto aiuto
sarebbe stato punito dalle autorità come suo complice.
-Liiiliiina!-
la chiamò una voce conosciuta.
-Iva?-
mormorò la ragazza uscendo dalla cuccetta che le avevano assegnato sul
sottomarino.
-Me ne
vado.- ammise mesto l’uomo.
-Cosa!?
Non vieni ad Amazon Lily?- si meravigliò Lilian.
-Torno a
Kamabakka con gli altri.- le spiegò il Regino riferendosi ai prigionieri evasi
che aveva portato con lui dalla prigione. Scappando da Marineford, si erano
nascosti tutti nella nave che poi aveva requisito Boa Hancock, ignorando di
avere parecchi passeggeri inattesi.
Tornarono
sulla tolda del sottomarino e le tre navi si separarono: il sottomarino giallo
e la nave Kuja proseguirono per Amazon Lily, la nave con Emporio Ivankov e i
suoi nuovi compagni fece rotta verso l’isola delle Stragazze.
Due
giorni dopo sbarcarono e lei potè finalmente ricongiungersi con i suoi oggetti
personali: smise di indossare i pantaloncini e la camicia sbottonata e si prese
la libertà di girare per l’isola con abitini svolazzanti e sandali, come le
altre ragazze. Adesso poteva far visita ad Ace addirittura pettinata, anche se
non era certa che lui avrebbe notato la differenza. Ma lei notava eccome la
differenza nel non andare più in giro con i piedi neri di sporco e i capelli
arruffati!
La bella
e formosa imperatrice le aveva riservato una camera nel palazzo reale, così
almeno per il momento aveva dove dormire. Si considerava fortunata, perché fino
a che non si fosse svegliato anche Rufy l’imperatrice era davvero irascibile,
dormiva poco e mangiava anche meno. Sull’isola si vociferava che fosse vittima
di un male incurabile, l’amore per un uomo.
Rea,
seduta al bancone del bar della cittadella di amazzoni, ascoltava quelle parole
e sospirava. Il male incurabile.
-Anche
tu hai gli stessi sintomi.- notò la barista, asciugando dei bicchieri.
-Sono
solo stanca.- replicò l’aviatore, reclamando un altro sorso di qualsiasi cosa
le annebbiasse un po’ la mente.
-Sospiri
da quando sei entrata, hai lo sguardo perso nel vuoto, hai ascoltato tutti quei
discorsi sulla malattia di Hancock. Non sarai mica innamorata di un uomo?
-No,
no…- rassicurò Rea sorridendo un attimo per poi naufragare nei suoi pensieri.
Il nome
della barista era Sheryl: era una bella donna di cinquant’anni, ma in realtà ne
dimostrava molti di meno; alta, magra, dal volto lungo ma armonioso, gli occhi
chiari e una gran cascata di capelli castani. Da ragazza aveva suonato e
cantato, e spesso nel suo locale faceva esibire qualche amazzone di talento.
La
notizia della presenza degli uomini sul territorio amazzone era stata tenuta in
gran segreto quindi, come disse il saggio, "tutti ne erano al
corrente", sia pur con le dovute eccezioni. Chiaramente lo sapevano tutte
le ragazze che lavoravano al palazzo di Hancock e le piratesse che erano state
a Marineford, e la notizia era circolata rapidamente fra le donne che erano
state in precedenza fuori dall'isola, tra cui appunto la barista.
-Il
dottore allora. Quel bell’uomo dallo sguardo duro.- suggerì Sheryl che aveva
buttato più di uno sguardo durante lo sbarco notturno, munita di binocolo.
-Cosa va
a pensare, non c’è nessuno al mondo che…-
-Se non
è lui, è “Pugno di Fuoco”, Ace.- concluse la barista per esclusione, anche se
stava ben attenta a non farsi sentire dalle altre clienti, per non imbarazzare
Rea e per non perderla come cliente, nonché per evitare che amazzoni ignare
sapessero dell'esistenza degli uomini.
Rea posò
il bicchiere e si passò una mano sul volto. -Non dica così.- la pregò. -Io non
so come fare. Mi può ascoltare?- chiese.
La
barista era una donna di mondo, e capiva che quella cliente davvero non aveva
nessuno con cui parlare se era venuta in un bar a disperarsi. Ne aveva viste
tante, di persone così, ed era stata a sentire a tutte le storie che avevano da
raccontare.
Quella
di Rea non era poi così tragica rispetto ad altre che aveva sentito, però certo
non era un una posizione facile. Casa sua era a Tuherahera, molto lontano da
lì. Aveva distrutto il suo aereo, l’unico modo per arrivarci, e ora si era
invaghita del bel capitano che aveva salvato, anche se non lo ammetteva a
chiare lettere. E in più, anche se non c’era ancora la certezza matematica, era
ricercata dalla Marina.
-Non so…
non so cosa fare adesso.- confessò.
-Perché
non chiedi a Pugno di Fuoco di entrare nella sua ciurma?- propose Sheryl.
-Ma sta
sotto Barbabianca, dovrei entrare nella flotta del suo vecchio... Sono tutti
tosti lì!- poi si ricordò di un’altra cosa: -E sono pirati! Io… io non sono un
pirata, non voglio fare del male a
nessuno, sono innocua…
-Innocua!-
rise la donna. -Aspetta solo che arrivino i giornali e ti faccio vedere che con
la tua prodezza ti avranno appiccicato una bella taglia! Qui ci mettono un po’
ad arrivare, sono sempre in ritardo.- considerò. -Dovrai pensare anche a
difenderti dai cacciatori di taglie, ragazzina. E ce ne sono anche su
quest’isola.-
-Perché
dovrebbe prendermi a bordo?- domandò Lilian, intendendo Portuguese.
-Come,
perché? Gli hai appena salvato la vita! Ti deve qualcosa, fosse anche solo un
passaggio a casa dei tuoi. Ma ti conviene tornare da loro? Figurati se i Marine
non ti cercherebbero lì…
-E
secondo lei funzionerà? E se dice di no? E se ride di me?-
-Al
massimo ti dirà di no, ma non credo che riderà. Te l’ho detto, ti deve la vita,
la v-i-t-a, mica un caffè!
Rea
rimase in silenzio.
-E se
dirà di no,- riprese la donna - Avremo ragione noi amazzoni, quando diciamo che
gli uomini sono una manica d'infami!-
-Ho
bisogno di soldi. Le serve un garzone?- propose invece la ragazza. Avrebbe
dovuto andarsene da Amazon Lily prima o poi, e avrebbe dovuto comprare un mezzo
di trasporto nella prima isola che avrebbe toccato.
Cominciarono
a parlare di lavoro, quando all’improvviso fecero irruzione nel bar tre ragazze
con il fiatone.
-Sheryl!
Sheryl!- invocò una di loro, diretta alla barista. -Non possiamo suonare né
stasera né domani!
-Ma è
già tutto pronto, che è successo?
-Lynn la
cantante si è ammalata!-
-Avete
problemi con le difese immunitarie da queste parti?- chiese Lilian. Prima
l’imperatrice, ora questa Lynn.
-Non
potete sostituirla?- propose la barista.
-Già lei
era una sostituta!- spiegarono le ragazze, che facevano parte di un complesso
locale.
-Vi
serve una cantante?- s’intromise Lilian. Non aveva questa grande voce, però
poteva essere l’occasione per mettere qualcosa da parte.
Punk Hazard.
La pioggia torrenziale non
smetteva di cadere in quella che era stata un’isola rigogliosa e piena di vita,
martoriando quella povera terra che non aveva null’altro da dare se non
appoggio alle fondamenta del vecchio laboratorio di Vegapunk.
Paul Blackwood aveva lasciato Alexandra Bay alla volta di quell’isola dove, era sicuro,
avrebbe trovato il laboratorio dove era stato visto per l’ultima volta Caesar
Clown, lo scienziato allontanato da Vegapunk padre per divergenza di opinioni
scientifiche, oltre che per evidenti segni di squilibrio.
Era
esattamente quello che gli serviva per portare avanti quel progetto: un uomo
senza scrupoli e frustrato dalla famiglia Vegapunk. Decollò tranquillamente,
ormai con Caro Vegapunk fuori dalle scatole e tutti che la credevano in vacanza
era padrone assoluto dell’hangar e del suo Canadair.
Atterrato
sull’isola, si introdusse nell’edificio fatiscente, l’unico rimasto in piedi;
non si era sbagliato: l’unica spiegazione a tutta quella vigilanza, creature
mezzo uomini e mezzo animali, era che lo scienziato fosse ancora lì al lavoro.
Paul si diresse
rilassato verso il laboratorio del primo piano, guidato da risa isteriche e da
piccoli scoppi. Notò il gas che aleggiava a pochi centimetri dal pavimento, ma non
era uno sprovveduto: aveva indosso una maschera che gli impediva di respirare quella
porcheria. Aprì una porta grigia e vide di spalle, una alta figura avvolta in
un vecchio camice da laboratorio che trafficava con chissà che formule,
agitando becher e matracci.
Paul fece dissolvere la
barriera che lo aveva celato fino a quel momento. -Buonasera, Caesar Clown.-
esordì con una calma spettrale.
-Chi è lei?- si voltò
lo scienziato, sobbalzando come se fosse stato colpito da una scarica
elettrica. -Come è entrato??- era altissimo e attorno a lui ristagnava gas, dai
capelli neri spuntavano lunghe corna taurine. L’aviatore notò che era peggio di
quanto fosse in foto.
-No,
non mi tratti come un intruso.- si dispiacque Paul. -Sono Paul
Blackwood.- si presentò. -Sono venuto a proporle un affare… ha presente l’agalmatolite marina?
-Ho trovato un lavoro, per il
momento.- annunciò Rea ad Ace, quando lo andò a trovare. Law ancora
non gli permetteva di alzarsi dal letto, anche se in effetti poteva (e di
nascosto lo faceva).
Quando
c’era Rea però furbamente si faceva trovare sempre disteso, così la ragazza si
sedeva sul letto vicino a lui e la poteva “bloccare” abbracciandola per la vita
sottile come aveva fatto quando Law gli aveva chiesto di spiegare il tatuaggio
di Barbanera.
-Quindi
rimarrai qui…?- sospirò il ragazzo. A Lilì non sfuggì il tono deluso che aveva,
ma per il momento accantonò il pensiero.
-Non è
per sempre, anzi, non è nemmeno per due settimane.- spiegò. -Sostituisco la
cantante di una band dell’isola, mi pagheranno per quattro serate.
-Allora
verrò a sentirti una di queste volte!- sorrise lui.
-No no!-
lo pregò la ragazza. -Non puoi assolutamente uscire da palazzo! E poi mi
vergogno.- disse a bassissima voce, distogliendo lo sguardo e posando le dita
sull’avambraccio muscoloso che aveva in grembo.
-Di
cosa? Se ti pagano non devi fare così schifo!- disse gentilmente.
Eccola
di nuovo che torna una contadina indifesa e fragile, pensò Ace. Tanto gentile e
tanto onesta pare, e poi scopri che è in grado di sparare come un pistolero
professionista e pilotare aerei enormi.
Quando
l’aveva conosciuta alla fattoria di Moda, non gli era parsa altro che una
ragazza normale, come tante nei paesi dove era stato, ma poi guardandola
impugnare le pistole e il fucile, piombare su un teatro di guerra in aereo e
difendere lui e Rufy dalle onde in mare aperto aveva dovuto ricredersi.
-Ace…
tutto a posto?- gli domandò arrossendo; lui si accorse di essersi imbambolato
con lo sguardo incollato su di lei.
-Scusa,
stavo pensando…- balbettò lui, incerto se rivelarle o meno i propri pensieri -È
strano vederti… voglio dire, sembravi una ragazza di campagna tutta casa e
figli, ma in realtà sei un pericolo pubblico alla guida di un aereo… quando ti
imbarazzi invece sei proprio carina!- il ghigno incerto si schiuse in un
sorriso che gli illuminò le lentiggini.
Lilian
arrossì ancora di più. -Ma dai…- sussurrò incrociando le braccia sul petto, con
le mani sulle spalle. Indossava un semplicissimo abito svolazzante blu scuro
con gli infradito di gomma vecchi di anni, non era questa grande avvenenza.
-Non è niente di che. E ti ho già detto che quei bambini non erano miei!-
precisò.
Lui si
alzò a sedere e stringendo di più Lilian contro di sé da dietro le mormorò
all'orecchio: -Invece è bello vederti tranquilla, sai?- Sentì la ragazza rigida
per qualche istante, poi abbandonarsi all’abbraccio. Era morbida e i capelli
odoravano di mare; la salsedine aspettava una doccia per andare via dalle
spalle, che sapevano di sale. Il fiocchetto del costume sul collo era un dolce
invito ad essere sciolto tirandolo con i denti.
-Caro
paziente, lei si sta prendendo un po’ troppe libertà.- scherzò Lilì rilassando
le spalle contro il petto del giovane pirata e chiudendo gli occhi mentre lui
la cingeva anche con l’altro braccio. -Cosa sono tutte queste moine, adesso? Il
dottore si arrabbia se la vede alzato, lo sa.- continuò a recitare, senza
respingere Ace.
-Hai
ragione.- le concesse lui. -Meglio rimettersi distesi, no?- e così dicendo
tornò a sdraiarsi, ma trascinando con sé Rea.
-No,
Ace!- lo pregò sghignazzando. -Ti fai male se fai così!- lo rimproverò cadendo
sul materasso con il ragazzo che ancora la stringeva e non la lasciava andare.
Lei però non si divincolava affatto… ma solo per non fargli del male!
-Davvero?
E se faccio così che succede?- e attaccò a fare il solletico in vita alla
ragazza, facendola contorcere in preda alle risate.
Tre
giorni dopo, anche Rufy finalmente si svegliò, stava bene, riconosceva tutti e
soprattutto aveva fame. Non una fame normale, una fame che l’urlo “HO FAME!!”
disturbò le prove di Lilian, un chilometro più a nord. Quando tornò al palazzo
per pranzo, trovò che le scorte di cibo erano in rapido esaurimento, un po’
come Boa Hancock, che non mollava nemmeno per un istante il capezzale del
ragazzo che ingurgitava come una betoniera, incurante degli schizzi di sugo e
di briciole che prendeva addosso rimanendo lì a tentare di fare conversazione.
Gli
uomini presenti nella stanza erano contenti e ridevano tra loro; la voracità in
tutte le culture e tutte le medicine era considerata segnale inconfondibile di
buona salute, e lasciavano fare (tanto pagava Hancock). Ace finalmente era di
nuovo in piedi, e ammirava divertito il fratello che divorava tutte le riserve
di cibo di casa Boa.
-Una
festa!- esclamò Hancock senza togliere le pupille dal suo ipotetico futuro
marito. -Indico regalmente una notte intera di festeggiamenti in onore del mio
Rufy!- dispose.
-Brava
Hancock! Si mangerà, vero?- si complimentò Cappello di Paglia provocando
nell'imperatrice uno strano rantolo orgasmico.
-Banchetti
e danze per te!- mugolò la donna raggiante, gli occhi ormai ridotti a due rosei
cuoricini.
-Sole
donne, no?- domandò Ace cauto, temendo di scatenare un tornado d'ira
femminista. Una baldoria di un'intera notte circondato da ragazze bellissime e
mezze nude sarebbe stato un sogno, ma ormai aveva capito l'antifona dell'isola.
-Solo io
e Rufy.- rispose infatti sdegnosa la donna, senza nemmeno guardarlo.
-Ma
Hancock!- protestò Cappello di Paglia, deluso. - Fai venire almeno anche il
fratellone, dai! E Traffy! E Lilian, Jinbe…
-Scusa,
scusa, scusa tesoro! Tutti gli ospiti che vuoi! Anzi, facciamo così: tutti i
tuoi compagni che stavano con te sulla nave!- squittì Hancock.
-Sottomarino.-
la corresse Law a voce non tanto bassa mentre riponeva i suoi strumenti, ma
l’imperatrice non gli diede retta.
Paul
Blackwood, seduto ad uno dei tavoli del laboratorio su una sedia raccattata
chissà dove dal padrone di casa, aveva appena finito di esporre il progetto al
quale avrebbe voluto far lavorare lo scienziato.
Caesar
Clown aveva afferrato immediatamente, da persona arguta qual era, l’importanza
e la pericolosità di quel piano, e ne era affascinato e morbosamente attratto.
Sacrificare una o dieci vite? Che differenza faceva? Quella era la scienza, la
sua scienza, con la quale avrebbe lastricato la strada verso gli onori.
Non era
tuttavia così cieco da non essere consapevole dei rischi, ma non erano gli
scoppi del suo laboratorio a preoccuparlo: il suo nemico era la Marina, che non
doveva assolutamente riprenderlo con tutta la fatica fatta per evadere.
-Cosa ne
dice? Porti a termine questo progetto per me.- incalzò Blackwood. -E io le farò
riottenere quella fama persa… nonché una piccola, personale rivincita contro la famiglia Vegapunk.-
A sentire
il nome dell’ex odiato collega, lo scienziato ebbe un guizzo; certo che avrebbe
potuto farlo! In fondo, quell’uomo gli avrebbe procurato i progetti della
giovane Vegapunk, e si trattava solo di sperimentazioni su cavie umane… niente
di nuovo. Ma poteva fidarsi di lui? Magari era solo una trappola di quella
vecchia volpe di Sengoku!
-Le
cavie ancora non ci sono tutte, giusto?
-Una
sì.- spiegò di nuovo Paul. -Le altre due sono da recuperare. E poi ci sono io…
val bene la pena partecipare, se serve.-
-Le
dispiace se contatto una persona?- domandò prima di decidere.
-Prego.-
sorrise affabile Paul.
Caesar
andò in una stanza vicina, afferrò un lumacofono e compose un numero.
-Pronto?-
disse quando gli fu risposto. -Parlo… parlo con Donquijote Doflamingo?-
Dietro le quinte…
Benvenute nelle fosche trame del mio ragazzo. All’orizzonte
si intravede il burattinaio lampadato… un tamarro completamente fuori di testa,
potevamo farcelo sfuggire? La blogger Acalia Fenders l’ha definito “un pazzo
con la mania dell’omicidio creativo”, e credo che come descrizione calzi.
Da un lato festa grande ad Amazon Lily, con tanto
di Lilian che s’improvviserà cantante pur di guadagnare qualcosa, dall’altro
cosa sta complottando Paul? Chi sono le due cavie che deve reperire?E ancora:
come ha fatto ad eludere la stretta sorveglianza al laboratorio di Caesar?
Il “vecchio saggio” è preso in prestito dal libro
di Harry Potter! Alla fine del primo libro Silente dice: “Quello che ti è
successo, Harry, è strettamente segreto, quindi tutti ne sono al corrente!” o
qualcosa del genere. In realtà non ricordo nemmeno se gliel’ha detto nel film o
nel libro. Però gliel’ha detto, ne sono sicura, ed è una frase che ho adorato.
Sentimentalmente parlando invece, Lilian comincia
un po’ a capire che in fondo ad Ace vuole parecchio, ma parecchio bene… avrà
cominciato a chiedersi se è corrisposta o no? In fondo per lei sono momenti
decisamente più calmi in confronto a quando stava con Barbanera, o durante i
preparativi per Marineford.
Proprio per questo sta cominciando ad interrogarsi
sul suo destino, che come spero si sia capito, ha tutta l’intenzione di farsi
con le sue mani: non cerca una ciurma, cerca soldi per essere indipendente, ma
sa anche che rischia di essere ricercata da Marina e bounty killer, e dovrà
tenere in considerazione questo aspetto.
In questo capitolo compare un personaggio
secondario (mooolto secondario, praticamente un cameo), la barista Sheryl: per
il suo nome e il suo aspetto mi sono ispirata alla cantautrice americana Sheryl
Crow.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se trovate
errori grammaticali o di trama vi chiedo solo una cosa: segnalatemelo nelle
recensioni, per favore! È importantissimo! Grazie e a presto,
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Capitolo 14 *** Baciami ***
[zipedit] Baciami
Esthero
- Everyday is a holiday with you
-Ehi
ragazze, avete posta!- annunciò Sheryl, la barista. Siccome la band suonava
sovente nel suo locale e vi si ritrovava sempre prima o dopo le prove, spesso
accadeva che chi volesse chiamarle per suonare in qualche festa facesse
recapitare un messaggio proprio lì.
-Non è
un ingaggio.- commentò Emily, la batterista dai lunghi capelli mori e il volto
serio, che aveva riconosciuto la busta come quella ufficiale di Hancock. -É un
messaggio dell'imperatrice.-
-Hancock
ci conosce e ci scrive!- mormorò adorante la Martie, la pianista -Sicuramente
sarà qualcosa di importante, di vitale,di fondamentale!!
-Whoa
whoa whoa, ragazze tenetevi forte!- annunciò Nathalie, la biondissima bassista
che aveva aperto rapida la busta. -Stasera suoniamo!- disse passandosi le dita
fra i capelli cortissimi e ossigenati.
-Un
ingaggio per stasera? Chi...?- cominciò Lilian.
-Suoniamo
al palazzo reale!!!- rispose la chitarrista, Laura, eccitatissima e strappando
di mano la busta a Nathalie. - Law! Law! Law!- saltellava facendo ondeggiare le
spesse trecce color grano.
-Chiudi
il becco, scellerata!- la sgridò la bassista, guardando preoccupata un gruppo
di giovanissime amazzoni che sorseggiavano limonata sedute vicino a loro; le
persone che erano state fuori dall’isola erano schedate e note all’Imperatrice,
chi aveva ricevuto quell’invito non poteva gridare ai quattro venti dell’esistenza
dei maschi.
Andando
a recuperare Lilian al palazzo reale una volta che aveva fatto tardi, Laura
aveva incrociato il Chirurgo della Morte in un corridoio e ne era rimasta
letteralmente folgorata.
-Dai,
fate leggere anche me!- Emily, la batterista, cercò di sbirciare la preziosa
lettera.
-Ehi
Lilian! suoniamo proprio a casa tua! Farai ritardo anche così?
E tutte
scoppiarono in una fragorosa risata.
-Uao, ci
saranno tutti gli ufficiali lì… i pirati di Trafalgar Law!- squittì ancora la
chitarrista.
-"I
pirati di", come se non sapessimo che è il capitano che ti interessa!- la
sbeffeggiò la bassista, Nathalie, con
una linguaccia.
Lilian,
da che rideva assieme alle compagne, ammutolì all’improvviso.
-Io non
posso esibirmi lì.- boccheggiò.
-Ma
certo che puoi. Devi.- la freddarono le musiciste.
-Io
conosco tutti lì, mi vergogno a morte!-
-Ti
vergogni anche se ti pagano 500 Berry?- domandò Emily facendo roteare le
bacchette, seccata da quella timidezza. -Senti, non me ne frega niente se ti
vergogni o meno, puoi anche cantare con un sacchetto in testa, ma tu stasera
canti. E vedi di darti una lavata, non è il solito bar.
500
Berry erano tanti. In una serata, mance incluse, si guadagnava dieci volte
meno. Era un’occasione da non buttar via, anche se quando aveva saputo che
c’era una festa quella sera, lei aveva sperato di potersi divertire senza
pensieri. Però se avesse rifiutato avrebbe messo nei guai tutta la band, senza
contare la figuraccia che avrebbe fatto e il considerevole danno economico.
Quindi acconsentì.
Per far
divertire gli ospiti tutta la notte non era stata ingaggiata solo la loro band,
che avrebbe suonato durante la prima parte della serata, ma altri complessi
isolani che si sarebbero esibiti nel giardino del palazzo reale. L’intera
residenza avrebbe suonato, cantato, ballato, mangiato e bevuto fino all’alba e
forse anche dopo.
Anche se
la serata vera e propria sarebbe cominciata solo al tramonto i preparativi
fremevano fin dal dopopranzo. Il gruppo decise di provare fino alle cinque, poi
trasferire gli strumenti sul posto e continuare ancora un po’. Infine,
sarebbero state libere di fare quello che volevano fino al crepuscolo.
Sul
vestito, Lilian aveva avuto poca scelta: la band aveva già un guardaroba cui
attingere perché tutti i membri avessero lo stesso stile e lei non aveva potuto
aggirare l’ostacolo.
-Suoni
al cospetto della meravigliosa Boa Hancock e ti vorresti mettere quello?- disse
Martie, osteggiando il suo unico vestitino buono. -È troppo lungo!- spiegò
mentre Lilian guardava l’orlo che arrivava ben più su delle ginocchia.
-Allora
ho i pantaloncini…- tentò di rimediare. Quelli sì che erano corti!
-Lascia,
ci penso io.- la prese per mano Nathalie, portandola nella sua camera da letto
che faceva da camerino per tutte, quel pomeriggio.
-Martie
è troppo nervosa… va bene che suoniamo davanti ad Hancock, ma se continua così
le verrà un infarto.- rimuginò l’amazzone.
Frugò in
un baule che stava ai piedi del suo letto. -Questo ti dovrebbe andare!- Esclamò estraendo trionfalmente un vestito,
che Lilian ricevette piacevolmente sorpresa. Era un semplicissimo tubino blu
scuro, cortissimo, alla moda delle Kuja; aveva però una particolarità: dietro
aveva un meraviglioso strascico di piume blu notte che le frusciavano tra le
mani. Considerando come andassero in giro le donne sull’isola, pensò Lilian,
poteva andarle decisamente peggio, quelle sarebbero state capaci di mandarla
sul palco mezza nuda.
-Ma non
ci inciampo?- mormorò.
-Quanti
chilometri vuoi fare?- le rispose Nathalie. -Credo sia l’unico della tua
taglia, gli altri ti starebbero larghissimi sul petto.- spiegò con molto tatto.
-È
bello.- considerò Rea. -Ma secondo me non è adatto… Nathalie?- ma la batterista
era andata via.
Con il
trucco si erano lasciate prendere tutte la mano: rossetti neri e rossi, ciglia
finte e strass. Il fatto che in quella festa ci sarebbe stata la presenza
maschile aveva galvanizzato tutte le amazzoni invitate.
Lilian
si stava truccando in camera sua, con la porta socchiusa. Aveva già su il
vestito, anche se doveva ancora chiudere la zip, le scarpe erano posate accanto
alla porta. Canticchiava. Era contenta di quell’ingaggio, di quell'abito
meraviglioso che frusciava ad ogni suo passo. Adorava sentire le piume leggere
che le solleticavano l’incavo delle ginocchia.
«Met him on Sunday
loved him by
tuesday afternoon...
Woke up on Friday,
changed my whole life to make some room…»
Attirato
dalla porta semichiusa e dal cantare che proveniva da quella stanza, Ace si
affacciò all’uscio.
«Around a quarter to two
I have remembered all of my lines
I say when I
think of …»
-Ehi!-
la salutò sorridente appoggiandosi allo stipite bianco.
Rea
sussultò. -Che ci fai qui?- esclamò imbarazzata, tenendosi il corpetto
dell’abito premuto sul petto a due mani perché non era ancora riuscita a
chiudere la zip sulla schiena.
-Ti ho
sentita che cantavi.- spiegò lui. -Già scendi per stasera?-
-Sì,
meglio partire in anticipo.- spiegò, senza accennare al fatto che lei avrebbe lavorato.
-C’è
ancora tempo.- sorrise beffardo.
-Come
sta Rufy?- s’informò la ragazza.
-Fasciato
come una mummia, ma non lo tiene fermo nemmeno Law. Stasera sarà in giro come
tutti.- rispose sorridendo. Vedere il fratello di nuovo in piedi era un gran
sollievo, per lui più che per tutti gli altri. Una volta svegli, il dottore
riusciva ad arginarli ben poco: bende o non bende, punti o non punti, se ne
andavano a zonzo dove volevano, e Law ogni volta si arrabbiava perché come ogni
medico il suo sogno era avere pazienti che gli obbedissero.
-E tu?-
domandò Lilì con apprensione, guardando Ace dal riflesso nello specchio; si era
accomodato sul bordo del letto della ragazza, con diversi metri di bendaggi
ancora in bella mostra.
-Ci
difendiamo, tranquilla!- vedendo però l’espressione per nulla serena delle
ragazza, aggiunse:- Law dice che il peggio è passato.-
E Lilì
con un sospiro tornò a dipingersi le labbra di scuro.
-Serve
una mano?- si offrì, notando che la ragazza una volta posato il rossetto
cercava goffamente di far arrivare le mani in mezzo alla schiena, dove si era
fermata la zip del vestito.
-Ce la
faccio, grazie.- rispose Rea in fretta.
-Dai, ti
aiuto.- si sacrificò Ace, avvicinandosi. Rea non riuscì a dire altro, sentiva
solo il sangue salirle alle orecchie mentre una mano di lui teneva fermo il
vestito sul fianco e l’altra tirava lentamente la lampo fino alle spalle.
-Grazie.-
sussurrò con le orecchie in fiamme. Lui però stava percorrendo con le dita una
delle tibie che lei teneva tatuate fra le scapole, pensieroso. Lilian si girò
con gli occhi bassi; perché ogni volta che stavano da soli insieme, quel
maledetto marchio era al centro dell’attenzione?
-Non lo
guardare.- lo pregò come sulla nave di Barbanera, con lo sguardo basso. -Non è
un bello spettacolo, io…
Ace le
prese delicatamente la testa fra le mani. Era il marchio di un traditore e di un assassino, qualcosa che avrebbe voluto cancellare dalla faccia della terra, ma dirlo alla ragazza sarebbe stato come girare il coltello in una piaga che non si sarebbe rimarginata mai più. Sarebbe stato lì per tutta la vita dell'aviatrice, e lui se ne sentiva in larga parte responsabile. Cercò di consolarla: -Lilì, non conta niente quel
tatuaggio, lo sappiamo tutti che...
-Conta
eccome! Tu hai quello di Barbabianca!- si ribellò Rea allontanandosi. -Hai il
simbolo di Barbabianca a guardarti le spalle ovunque tu vada, ne sei fiero,
nessuno ti guarda con disprezzo, e non ti devi giustificare o dare spiegazioni…
ma io ho quello di Teach, che mi segue come un avvoltoio e non mi lascerà mai!-
scoppiò, frustrata. -Come faccio con questo marchio cucito addosso? chi ci
crede alla storia della schiava? L’unico sei tu, e solo perché c’eri, io stessa
non ci crederei!-
Si
asciugò le lacrime con un minuscolo dischetto di cotone per non disfare il
trucco, raddrizzò fiera la schiena sotto il peso del tatuaggio, e riprese a
truccarsi stoicamente.
-Mio
fratello ti crede.- le disse il pirata, ma Rea non si smuoveva. Lui si guardò
attorno, in cerca di qualche idea per rimediare, passandosi una mano sulla
nuca.
-Beh…
diciamo che il mio è sulle spalle perché mi protegge, il tuo è alle spalle perché
è passato.- e sorrise spavaldo, ma in realtà stava cercando di capacitarsi di
cosa avesse appena partorito.
Lilian
sembrò rifletterci un attimo, poi scoppiò brevemente a ridere. A quella
reazione Ace si rilassò. Per un attimo aveva temuto il peggio! Lei sospirò, quel
tentativo impacciato di consolarla l’aveva colta alla sprovvista.
-A volte
è difficile da portare, tutto qui.- spiegò più pacata. Anche se il ragazzo non
era vicino a lei, riusciva a percepirne il calore. Sorrise. -E poi avevi detto
che ti piace, no? Anche se lo so che non dicevi sul serio.-
-Non era
una balla, mi piaci davvero con il tatuaggio proprio dove ce l’ho io.- l’attirò a sé e
la baciò sulla bocca appena truccata. Lilì rimase con gli occhi sbarrati a
fissare quelli chiusi del ragazzo con le mani sul suo petto a respingere
quell’attimo di passione; però sentendo quella stretta così forte in vita, e la
mano delicata fra i suoi capelli dietro la nuca, quelle labbra morbide poggiate
dolcemente sulle sue, quei pettorali fasciati che premevano sul seno, la
ragazza sentì il suo cuore sciogliersi completamente e per un attimo rispose al
bacio, chiuse gli occhi e incrociò le mani sul collo del ragazzo. Quanto tempo
era che lo voleva? Finalmente era tra le braccia più forti che lei avesse mai
sognato, e la stringevano dolcemente mentre le mani vagavano sulla sua silhouette.
E poi
gli tirò un ceffone. -Sfacciato!- lo rimproverò allontanandosi sdegnata.
-Che ho
fatto??- si lamentò il povero ragazzo, con una mano sulla guancia sinistra che
diventava sempre più rossa.
-Come,
cosa?! Non ci s’infila nelle camere delle ragazze per baciarle a tradimento!-
-Non
sembravi così contrariata però.- la stuzzicò con un ghigno.
-Non
c’entra niente.- sentenziò Rea. E riprese a truccarsi con le ginocchia che le
tremavano, cercando di contenere la voglia di trascinarlo sul grande letto e
baciarlo, baciarlo, baciarlo fino a lasciarlo rinsecchito come una mummia.
Sul
letto invece ci si accomodò lui e vi si sdraiò di traverso, allargando le
braccia che così toccarono il cuscino e il bordo a piedi. Rea lo notò dallo
specchio, però non commentò il movimento. In quell’istante avrebbe gridato,
pianto, saltato, sarebbe esplosa in mille coriandoli blu, però doveva mantenere
il sangue freddissimo: era in ritardo, non voleva fare la facile, c’erano 500
Berry in gioco e lei doveva essere lucida e concentrata, ma era davvero
difficile resistere. Ommioddio gli aveva appena tirato uno schiaffo! Uno
schiaffone a Portuguese D. Ace, che invece di incenerirla o semplicemente
andarsene come avrebbe fatto una persona sana di mente, si era steso mezzo nudo
sul suo letto.
-Ah, ti
ho interrotto, continua pure.- si scusò il ragazzo.
-Mi sto
truccando.- obiettò Lilian.
-Stavi
cantando. Continua, dai.- la incoraggiò.
-Altro
che cantare, ringrazia che vado di fretta.- andò verso la porta
piantando in asso il suo spettatore. -Devo scappare adesso.- raccolse con le
mani lo strascico lungo e frusciante e andò verso la porta, si sedette vicino
allo stipite e si accomodò ai piedi le scarpe dal tacco alto con il cinturino
alla caviglia.
-Mi
raccomando, non uscire dal palazzo.- l’ammonì. -Se la regina vi pesca fuori,
altro che Marineford! Chi la ferma, quella? È già un miracolo che vi abbia
tenuti qui.- finito di stringere i cinturini, cercò di alzarsi da terra.
-C’è
poco che mi interessi su quest’isola, fuori dal palazzo.- la rassicurò lui,
tendendole la mano per aiutarla a rimettersi in piedi. Lei accettò quell’aiuto
con una grazia insospettabile per una ragazza che solo una decina di giorni
prima aveva sparato ad un alto ufficiale della Marina vomitando insulti dalla carlinga di
un aereo. -Ehi, siamo tornati in forze qui…- scherzò Lilian, prendendo quella
mano che la sollevò senza sforzo nonostante tutte le fasciature sul braccio.
Nel tirarla su, Ace ebbe premura di avvolgere la vita di lei con l’altro
braccio, ma Lilì fu più lesta e girando su se stessa si liberò e volteggiò
leggera fuori dalla stanza. -Ci vediamo stasera!- lo salutò prima di sparire
nel corridoio.
Attraversò
i saloni e le stanze della reggia tutta scombussolata: l’aveva baciata! L’aveva
baciata a tradimento, quel fellone! Ma quanto accidenti era stato dolce? Quanto
era stato sensuale nel prenderla così alla sprovvista e abbracciarla, e
baciarla, e stringerla, e accarezzarle la pelle nuda con quei suoi bicipiti da
urlo e le mani roventi? E il sorriso malandrino, lo sguardo da ragazzo di
strada… rallentò pian piano, persa nei suoi pensieri, ormai camminando a
diversi metri dal suolo.
E lo
schiaffo. Lo schiaffo. LO SCHIAFFO.
Raggiunse
il gruppo nel giardino, dove gli strumenti attendevano le proprietarie su un
piccolo palco di legno bianco adorno di fiori profumati. Cameriere e cuoche
stavano concludendo gli ultimi preparativi, in attesa di tutti gli ospiti che
sarebbero arrivati nel giro di un paio d’ore.
Oltre a
ciurma e ospiti del sottomarino, le invitate alla festa erano principalmente i
membri della flotta di Hancock e alcune delle donne che avessero messo piede
almeno una volta fuori dall’isola, persone che insomma fossero a conoscenza
dell’esistenza degli uomini; Lilì aveva scoperto con meraviglia che la maggior
parte delle isolane neppure sospettava l’esistenza di un altro genere, anzi tra
le più giovani i maschi erano una sorta di leggenda metropolitana. Faceva tutto
parte di uno strano meccanismo di difesa dell’isola.
Con la
band cominciarono a provare, ma ormai tutte sapevano alla perfezione accordi ed
effetti ed era inutile provare per l’ennesima volta; per nessuna di loro quello
era un debutto.
Lei e
Nathalie si fermarono a confabulare tra loro.
-È
successa una cosa strana.- le confessò Lilì.
-Ace.
Che ha fatto?- indovinò la bassista al primo colpo.
-Mentre
mi stavo truccando in camera mia, ha notato la porta mezzo aperta ed è entrato…
-Vedi
che allora qualche speranza c’è!- esclamò Laura.
-Mi ha
baciata!- confessò Lilì a metà tra l’eccitazione, il raccapriccio e la
felicità.
-Come,
ti ha baciata???- si stupirono in coro. -Ma un bacino, sulla guancia?
-No, mi
ha presa e mi ha baciata sulla bocca!- spiegò la giovane cantante nascondendosi
sotto il turbinio blu delle piume.
-E tu?
Hai risposto al bacio?
-Sì…-
riemerse dal rifugio con due occhioni sognanti. -Era così figo, così forte,
alto, mi ha presa fra le sue braccia…-
poi tornò alla realtà. -E io gli ho tirato un ceffone.
-TU
COS’HAI FATTO???-
-Gli ho
dato uno schiaffo.- ripetè Lilian con una voce che sembrava un rumore di cocci
di vetro.
-Hai
fatto bene.- sentenziò la batterista, Emily, che aveva sentito tutto. -Non sta
bene che un uomo baci a piacimento una donna, per di più nella sua camera da
letto, senza nemmeno un appuntamento. Tu hai sacrificato un aereo per salvargli
il culo, lui non ti ha offerto nemmeno una birra.-
Tutte le
musiciste stavano mute ad ascoltare la batterista. Emanava sicurezza, erano
parole dure ma sacrosante.
-Ha
ragione.- ammise la tastierista, Martie, che stava quasi sempre zitta, e Lilian
fece cenno di sì con la testa.
-Però
adesso non mi guarderà mai più in faccia…- mugolò sull’orlo delle lacrime…
perché gli aveva mollato un ceffone??? Perché??? Ah, sì: perché si era
spaventata come un animale a quel contatto. Come un animale selvatico e
stupido.
-E poi
che è successo? Ti ha risposto male? È andato via?
-No,
abbiamo parlato di come stava, poi mi ha chiesto di continuare la tiritera che
stavo mormorando.
-Quindi
non solo è rimasto, ma ti ha chiesto anche di continuare a cantare?- esplicitò
meglio Laura.
Lilì
cincischiò -Ehhhh sì, una cosa del genere.
Nathalie, Laura e
Martie si guardarono tra loro e poi la chitarrista dichiarò: -Lilian, quello è
pazzo di te.-
-Ma nemmeno per sogno.-
ribattè Lilian truce. -Al massimo vuol farsi una storia.- e s’intristì mentre
le altre ragazze scuotevano la testa davanti alla sua cocciutaggine.
Dietro le quinte…
Lilian, ma cosa combini???? Le fan di Ace ti ammazzano!!!
La canzone che canta Lilian è la stessa del suggerimento per
la colonna sonora: “Everyday is s holiday with you” di Esthero.
Perché io, da autrice, ho permesso un tale scempio? Perché
Lilian è una che, come si è visto, fa le cose come e quando pare a lei, non
quando lo decidono gli altri e perché s’è sentita “invadere” il suo territorio.
Anche se in realtà è stata un’invasione proprio gradita. E perché è fin troppo
istintiva. E solo perché è la protagonista femminile non vuol dire che faccia
sempre la cosa giusta. *schiva proiettili, alcuni ancora nella confezione*
Davvero, avevo motivazioni profonde, radicate nella
psiche di… *le lanciano direttamente i fucili*
Va bene, va bene, il ceffone ad Ace è blasfemia. Ma
povera Lilian, lui se l’è cavata con un “grazie”, e lei con un aereo distrutto!
Questa non è forse un’infamia?
Ace viene quindi rifiutato! Ma perché non se ne va con
la coda tra le gambe? Perché è testardo, non si arrende al primo tentativo;
perché Lilian gli piace; perché prima dello schiaffo lei ha risposto
languidamente al bacio; perché in fondo è solo uno schiaffo, Lilian non l’ha
messo alla porta; perché forse al fatto di essere “un buono a nulla” ci penserà
dopo.
Altra curiosità e chiarificazione: la band. Sono
quattro ragazze: Nathalie, Emily, Martie e Laura. Il nome delle prime tre viene
dalle componenti del gruppo texano “Dixie Chicks”, mentre Laura era una ex
cantante del gruppo e la Lynn che viene nominata nel capitolo precedente
un’altra componente poi staccatasi dalla formazione. Siccome è una delle mie
band preferite, ho voluto “inserirle” qui ad Amazon Lily. Nella trama della mia
storia, Nathalie e Laura sono quelle più legate a Lilian. Non vi ricordate già
più i nomi? Nessun problema, è l’ennesimo cameo.
Lilian come cantante: per favore non immaginatevi
movenze alla Micheal Jackson e voce di Aretha Franklin! Lilian è infinitamente
più modesta, somiglia più alle ragazze che cantano -bene- alle feste
scolastiche, tutto qui. Le servivano soldi e ha colto la palla al balzo, ma non
è una cantante eccezionale. Brava magari, ma niente di interplanetario. È una
voce da falò sulla spiaggia, punto. Che fortuna che Boa Hancock ha ingaggiato
proprio loro? No: è un’isola con poche abitanti, quindi l’imperatrice delle
Amazzoni ha convocato chi era disponibile.
Il vestito che indossa è quello che portava Victoria
delle Spice Girls nella cerimonia dei Giochi Olimpici di Londra; volevo
metterle quello di Ginger, con quel bel fioccone sul sedere con i colori
britannici, ma mi ero innamorata dello strascico.
Grazie per aver letto anche questo capitolo e questo
chilometrico “dietro le quinte”, recensite per favore ^^ vorrei sentire tutti i vostri insulti!
Yellow Canadair |
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Capitolo 15 *** Notte di Festa ***
[zipedit] Notte di festa Anche se il sole era scomparso dietro la montagna da un pezzo, tutte le persone a palazzo aspettavano il lungo e lugubre suono del corno che avrebbe annunciato che dall’altra parte dell’isola, ad ovest, il disco porpora era scomparso nel mare e la festa sarebbe cominciata. Quei cinquecento Berry a testa se li sarebbero sudati; gli accordi erano di suonare dall’arrivo degli ospiti fino all'una di notte, quando un'altra band avrebbe dato loro il cambio. -La nostra regina ci ha fatto esibire per prime! É un onore!!- aveva gongolato Martie. -Scema, è l'esatto contrario, vuol dire che siamo le più scarse!- l'aveva rimbeccata Emily pettinandosi i capelli neri. In confronto ad altri ingaggi, quella sarebbe stata quasi una maratona, le ore di concerto sarebbero state ben quattro! Ad aiutarle comunque c’erano un bel po’ di alcolici, offerti gentilmente dalla casa. Il parco della residenza cominciò ad affollarsi. Ovviamente uno dei primi ad arrivare era stato Rufy, che si guardava intorno a cercare il buffet che il suo naso aveva già stanato. Lui ed Ace si piazzarono a tavola l'uno vicino all'altro, e cominciarono a darci dentro di mandibole mentre sotto i loro denti venivano tritati i migliori manicaretti che Amazon Lily avesse mai sfornato. All'altro fianco di Rufy c'era naturalmente Hancock, mentre accanto ad Ace si era accomodato Jinbe, a seguire c’era Law e la sua ciurma: era stato allestito un unico tavolo per amazzoni e pirati, e si snodava come un lungo serpentone sul prato del giardino del palazzo. Siccome la stagione e il clima tropicale dell'isola lo permettevano, la festa si teneva all'aperto. -Shenti Rufhy.- rimuginò Ace tra una forchettata di penne al gorgonzola e un volatile fritto. -Shei mai shtato hicchiato da una rahazza?- -Mh? Shempre!- rispose il fratellino con le guance che sporgevano, ben ripiene di carbonara. -Chi ha osato toccarti? Le farò tagliare la testa!- s'alterò Hancock. Rufy inghiottì il boccone e rispose: -No per favore, non potrò diventare il Re dei Pirati senza la mia navigatrice!- e sapendo quanto fosse importante quel sogno per lui, Boa Hancock tacque. -No, non in quel shensho...- Pugno di Fuoco deglutì. -Io dicevo tipo quando tu fai qualcosa che... Che lei non vuole. - Sì, succede proprio così quando mi picchia!- Ma Ace, che conosceva il rapporto tra Rufy e Nami, sapeva che non si trattava della stessa situazione. -Chi ti ha dato il due di picche, ragazzo?- s'intromise Jinbe con aria esperta. -Un'amazzone? Lasciale perdere, sono dure come il marmo! -Nesshuno!- Biascicò in fretta il figlio di Barbabianca che aveva ripreso ad ingozzarsi. -Chiehevo, sholo come… come ipothethica ipotheshi, she una honna ti hicchia...- -Ace, Ace, Ace.- rimproverò l'uomo-pesce scuotendo il capo, grave. -Come menti male. Te la cavi meglio ad omettere.- considerò Jinbe. -Ripeto: chi è la santa donna che ti ha regalato quella cinquina?- domandò. -C...cinhina?- borbottò Ace smarrito, e Jinbe si indicò la guancia, paziente. Poi Pugno di Fuoco, fra le cui lentiggini spiccavano le ombre di cinque piccole dita, capì e arrossì. Siccome il Cavaliere del Mare già da qualche tempo aveva i suoi sospetti e si divertiva a stuzzicare l'ex compagno di cella, esclamò badando bene che Ace stesse tracannando del vino proprio in quell' istante: -Non è Lilian, quella che sta cantando?- «…allez, allez il n'y a pas de barrière nous sommes tous enfants de la même mer il n'y a pas de pirate il n'y a pas d'émigrant nous sommes tous des navigants…»
Ace sollevò di scatto gli occhi dal boccale, sputando con un grande spruzzo tutto ciò che aveva in bocca (e meno male che davanti a lui non c’era nessuno!) e cominciò a tossire così forte da doversi alzare in piedi e far accorrere Law, che teneva ancora sotto controllo i ragazzi. -Cos’hai, Cerino? Ti sei emozionato?- lo prese in giro il Chirurgo della Morte. -Ehi Ace, hai visto? C'è Lilian sul palco!- Urlò Rufy che aveva ascoltato i due commensali, e ricordandosi di non aver ancora ringraziato la ragazza propose: -Andiamo a salutarla!- si alzò da tavola sotto lo sguardo inviperito di Hancock e si avvicinò al quintetto. -Eccoti finalmente!- la salutò con allegria il ragazzo appoggiandosi alle assi del palco. -Grazie per aver salvato me e il fratellone! Non ti ho vista al palazzo, dov’eri? -Sono sempre in giro per l’isola.- spiegò Lilian. -Tu come stai? Finalmente sei in piedi!- gioì. -Sei una delle amazzoni? -Oh no.- rispose lei. -Guadagno qualcosa, tutto qui. Ora scusami, ricominciamo.- -Certo.- Dopo il buffet, che durò almeno due ore, le ragazze misero su un ballabile e finalmente Law ruppe il ghiaccio e invitò in pista un’attempata amazzone. Hancock guardava con passione Rufy, cercando di comunicargli con lo sguardo che voleva essere invitata a ballare, ma il suo cavaliere era ancora alle prese con il buffet, e aveva anche ordinato dei bis. Due canzoni dopo la regina era sempre più contrariata da quel lavoro di mandibole, e ordinò che si sospendesse la cena; del resto, era rimasto solo Rufy lì. Le canzoni passavano, ma ovviamente al ragazzo dal cappello di paglia nemmeno sfiorava il pensiero di ballare con la regina, e chiacchierava con lei senza preoccuparsene molto. Approfittando di un suo momento di distrazione, Hancock andò dritta dalla band e sibilò alla chitarrista: -Suonate qualcosa di decente! Non mi invita a ballare!- -Cosa possiamo fare, mica siamo…- protestarono. -NON VI PAGO.- Non aveva bisogno dell’Ambizione, lei, per intimorire le persone! E pronunziate quelle tre leggendarie parole, l’imperatrice girò sui tacchi inferocita e se ne andò. -La prossima canzone la canto io.- decise Martie, la tastierista. -Tu vai da Rufy e lo costringi a ballare con la mia Hancock.- ordinò a Lilì. -Va bene, ma che gli dico?- -CAMMINA!- la spinsero le musiciste. Giù dal palco sembrava di stare in un altro mondo, in cui erano tutti più alti di lei. Raccolse lo strascico di piume e s’incamminò verso il tavolo dove il ragazzo dal cappello di paglia stava gozzovigliando. Inutile fare allusioni o raccontare storielle adolescenziali, pensò Rea: meglio andare direttamente al sodo. Superò decisa il gruppo di uomini e puntò sull’imperatrice delle amazzoni che stava in disparte ad aspettare l’invito. -Hancock, ma perché non glielo chiede lei, di ballare? Tutte le amazzoni attorno all’imperatrice rimasero impietrite davanti a tale schiettezza. -Piccola impudente, come osi dire certe cose alla nostra imperatrice?- la sgridarono. L’imperatrice inarcò la schiena e la sua testa scomparve dietro le tette. -Guardi che è la cosa migliore.- cercò di convincerla la cantante. -Rufy non è il genere di persona che invita una ragazza a ballare, però ammira sempre chi ha coraggio e chi prende l’iniziativa.- Hancock riemerse dalle sue dolci colline. -Sono sicura che se fosse proprio lei a chiederlo, ne rimarrebbe molto colpito.- concluse con un sorriso innocente. -Anzi, lo renderebbe davvero felice! L’ammirerebbe ancora di più.- rincarò. -Suoniamo la canzone che preferisce, per farlo ballare. Le va? Ne scelga qualcuna, poi venga da noi che ci mettiamo d’accordo.- disse andandosene. Attraversò di nuovo il parco, e passando vicino a Rufy lo afferrò per una spalla e gli sussurrò velocissima:- La prossima canzone che suono, balla con Hancock.- gli ordinò secca. Fare da tramite era una cosa che non sopportava, ma era l’unico modo per avere i suoi soldi e chiudere la faccenda. -E tu, quando scendi dal palco e vieni a ballare?- l’attirò una voce che aveva imparato a conoscere fin troppo bene. Si girò e dietro di sé trovò Portuguese D. Ace, sorridente in pantaloni lunghi e camicia bianca sensualmente sbottonata fino a lasciare perfettamente intendere i pettorali, che veniva verso di lei. Quella camicia di chi era? Era almeno di una taglia più piccola, notò Lilian spostando a fatica lo sguardo dai muscoli che l’indumento sottolineava. Imbarazzata guardò per terra, poi lui, stringendo in pugno le piume blu che teneva ancora sollevate per camminare più rapida. Doveva tornare subito al palco per riprendere il lavoro, ma scivolava sempre di più verso l’idea di rimanere lì, ma poi chi l’aveva detto che l’avrebbe invitata a ballare? Quella era solo una battuta, da gran guascone che era, e decise di stare al gioco. -Tardi Ace, quando i bambini e i convalescenti sono già a nanna.- rispose beffarda: sapeva che dare del "convalescente" ad Ace era letteralmente buttare benzina sul fuoco. -Meno male che non sono né l'uno né l'altro allora.- sussurrò il ragazzo inchinandosi lievemente e facendole il baciamano, come quella volta alla fattoria: sembravano passati millenni. Rea sorrise sfrontata e provocandolo disse: -Allora prova a prendermi.- e approfittando che si era chinato per baciarle la mano, gli schioccò un bacio sulla guancia lasciandogli il segno del rossetto scuro fra le lentiggini e facendo ridere tutti gli astanti. Tutti meno Rufy, che era stato appena abbordato da Hancock: Lilì se l’era svignata giusto in tempo. Ace ci rimase con un palmo di naso. Sperava che, ora che era scesa dal palco, rimanesse un po' lì. -Invitala a ballare seriamente, cretino.- gli mormorò Jinbe chinandosi fino al suo orecchio. -Altrimenti quello te la soffia!- suggerì indicando Trafalgar Law che aveva lasciato a Bepo la sua katana e si dirigeva sicuro verso il palco. In quattro salti Ace fu dietro al Chirurgo, ma ormai questi era davanti alle ragazze e stava appunto invitandone una a ballare, fregandosene allegramente del fatto che stessero lavorando. -Giro?- propose a Lilian, prendendo Law per le spalle e scostandolo di lato mentre il volto del Capitano Heart conosceva dopo molto tempo un’espressione sorpresa e sconcertata dall’invadenza di quel focoso individuo. Il quintetto era ammutolito e lo guardava interrogativo. -Che... Che cosa, scusa?- Lilian non aveva capito. Ace arrossì e cominciò a balbettare: -Lo so che è arrivato prima lui, però insomma, se a te va bene, io...- -Miss Lilian, credo che il mio paziente la reclami in pista.- spiegò sdegnoso Law. -E comunque, Portuguese, io stavo invitando miss Laura.- -Andate tutte e due, dai!- permise Nathalie. -Canto io la prossima!- -Niente di veloce.- bisbigliò Law all'orecchio di Nathalie prima di allontanarsi con Laura. -Non si deve muovere troppo.- Nathalie alzò il microfono alla propria altezza, guardò complice le compagne e cominciò:
I due cavalieri aiutarono le rispettive dame a scendere dal palco e si avviarono al centro della pista. -Sei proprio un imbranato.- scherzò Lilian. -Io veramente... Cioè sai, dopo quel ceffone... -Non mi piacciono i baci a tradimento.- spiegò Lilian indispettita prima che Pugno di Fuoco la travolgesse con le sue discutibili abilità di ballerino. -"Why can't you see What you're doing to me When you don't believe a word I say…?”-
Alla fine della canzone la riaccompagnò ansante al palco, e sembrò che lasciarle la mano gli costasse quasi fatica, mentre Law rivolgeva inequivocabili occhiate a Laura, ricambiato. Poco dopo Bepo mormorò qualcosa all’orecchio del suo capitano, quando questi tornò a riprendersi la katana dopo aver scambiato qualche parola da solo con Laura. L’orso finì di parlare e attese la risposta di Trafalgar Law. -Sicuro?- chiese il chirurgo. L’orsetto annuì chinando la testa; se non avesse avuto tutto quel pelo, lo si sarebbe potuto vedere arrossire. -Se proprio non ne puoi fare a meno…- gli concesse il capitano, graziandolo con un sorriso, seppur ironico. Bepo sollevò la testa, estrasse da una tasca della tuta, chissà come, una bellissima tromba dorata e corse felice verso il palco! -C’mon, Bepo!!- gridò Nathalie. -Oh when the Saints…- -Go marching in…- faceva coro Lilian. -When the saints go marchin’ in…- -Oh Lord I want to be in that number…- continuò Nathalie, mentre la tromba di Bepo, seduto sul palco, le accompagnava. -…When the Saints go marching in!!- conclusero Lilian e Orca, salito anche lui lassù.
All’una del mattino, nel vivo della festa, dopo tanti applausi e numerosi bis, l’ingaggio della band finì: si erano appena guadagnate cinquecento Berry ciascuna. Lilì non aveva più fiato e a mala pena si reggeva in piedi: aveva interpretato canzoni di qualunque genere per quasi quattro ore, resistendo a qualsiasi cosa: risse, litigi, ballerini scatenati, Ace che ballava con ragazze più carine di lei, mentre Law gli continuava a ripetere di non muoversi così tanto. Dopo quella canzone che avevano ballato Pugno di Fuoco non l'aveva più cercata, mentre erano parecchie le amazzoni che davano la caccia al Comandante della II flotta di Barbabianca. C’era rimasta malissimo, ma non poteva certo dir nulla: era una festa, no? E lui era uno dei ragazzi che si era dato più da fare, grazie al carattere aperto e socievole. A volte spariva, e Rea non poteva fare a meno di pensare ai boschi tutt’attorno come ad un nido d’amore per le giovani amazzoni sedotte. Cantava sconfortata pensando a quell’eventualità, concentrandosi sulle canzoni per non sentire la stanchezza e il dispiacere. A Lilian non venne in mente che il ragazzo si assentava o perché era caduto addormentato dietro qualche tavolo o perché Law gli stava cambiando una medicazione. Quando le ragazze furono libere di fare quel che volevano, Rea per prima cosa corse in camera a cambiarsi: non era più costretta ad indossare quello splendido vestito, che per quanto principesco era scomodo, per non parlare dei tacchi vertiginosi, e aveva già in mente un cambio. Anche se era stanca, la festa stava entrando nel suo culmine, a loro era successa un’altra band in cui c’erano due cantanti, e suonavano divinamente. Erano state spente tutte le luci e acceso un immenso falò al centro del parco, e tutte le amazzoni e i pirati vi ballavano attorno scatenati, vino, birra e sakè scorrevano a fiumi e lei non se lo sarebbe persa per niente al mondo. Però aveva anche disperatamente bisogno di una pausa. Entrò in camera sua e chiuse la porta, rimase con le spalle al legno chiaro e scivolò piano per terra, sedendosi. Rimase immobile per alcuni secondi, con le mani sul volto togliendosi via con le dita il mascara che era diventato come catrame, poi si slacciò le scarpe e le allontanò con un piede, poi pian piano sgusciò fuori dall’abito che rimase inerte sul pavimento mentre lei allungava le gambe nude in ogni direzione, felice di non incontrare ostacoli. Si levò a fatica in piedi appoggiandosi alla porta, e in perizoma azzurro raggiunse il bagno, lasciando cadere il generoso reggiseno che le aveva regalato una taglia in più per tutta la sera. Si struccò, distrutta com’era che sembrava una fattona (forse ecco perché Ace non l’aveva cercata più, somigliava ad una tossicodipendente, il mascara le era arrivato quasi sugli zigomi), e si ritruccò daccapo con cura. Indossò il suo tubino nero corto fino a metà cosce, accollato ma che le lasciava scoperte le spalle e la schiena, dei sandali bassi e luccicanti e tornò alla festa, fresca come una rosa. Si sentiva carina ma soprattutto comoda. Non ne poteva più del tacco altissimo e di quello strascico meraviglioso, frusciante, ma ingombrante. Uscì fuori da corridoio e a passo leggero s’incamminò verso il parco tra gli splendidi marmi azzurri e verdi. Avrebbe trovato Ace che ballava con altre ragazze, o non l’avrebbe trovato affatto. Pazienza, suo fratello era simpatico, avrebbe giocato e riso con lui o sarebbe affondata abbracciando il morbidosissimo Bepo. L’avrebbe trovato attorniato da uno sciame di ragazze carine-cretine, pensava con rabbia, ma no, non doveva pensare a niente del genere, doveva divertirsi, aveva appena guadagnato una montagna di soldi! Allegria, su! Immersa com’era in deliranti pensieri, non si accorse dell’oscura presenza alle sue spalle: due braccia muscolose la sollevarono all’improvviso da terra prendendola alla sprovvista dietro la schiena e le ginocchia, lei mise le mani sotto la gonna ed estrasse il pugnale che teneva legato con una giarrettiera, girò di scatto su se stessa per serrare una mano alla gola dell’aggressore ma si rese conto di stare per accoltellare Ace. Dietro le quinte… Ma sicuro che il cattivo fosse Barbanera? O Akainu? Ace rischia più vicino a Lilian che in un deposito di agalmatolite! Il disegnino del capitolo in realtà si riferisce a quello precedente, magari in un secondo momento lo sposto. In un capitolo intitolato “notte di festa” non poteva mancare un minimo di musica: la prima canzone, quella in francese, è un verso di “Che il Mediterraneo Sia” di Eugenio Bennato; il significato grosso modo è: “Vai, vai, non ci sono più barriere, siamo tutti figli dello stesso mare, non c’è nessun pirata, non ci sono emigranti, siamo tutti naviganti.”; la canzone su cui ballano Lilian ed Ace invece è “Souspicious mind”; quella suonata assieme a Bepo è “When the saints go marchin’ in”, di Louis Armstrong. Cari lettori, vi piace questa calma? Godetevela! Non vi piace? Tranquilli, sta per finire. Lo so, questi capitoli non sono al vertice della tensione, nessuno si prende a badilate, non si combatte, tutti sembrano felici e trallalero trallallà… ma non durerà. Lascio la parola a voi, gentili lettori. Grazie come al solito per avermi seguita fin qui, aspetto le vostre recensioni, anche quelle negative, così mi miglioro un po’. Yellow Canadair
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Capitolo 16 *** La danza dei bambini neri ***
La danza
dei bambini neri
-Ma sei
tu!- esclamò Lilian prendendo fiato. -Sei impazzito ad arrivare così di soppiatto?-
-Mi
avresti pugnalato!?- esclamò offeso il ragazzo guardando la lama che ancora lo
minacciava. Come possessore di un Rogia non si sarebbe fatto nulla, ma non si
aspettava che la ragazza fosse sul chi
vive fino a quel punto!
Lilì
rimise con noncuranza il pugnale al suo posto. -Mi hai spaventata.- spiegò. -Se
avessi saputo che eri tu…- s’interruppe, senza sapere come continuare la frase,
con la sensazione di essere finita in un vicolo cieco che terminava proprio lì,
a più di un metro e mezzo di altezza, tra le braccia di Pugno di Fuoco.
-Beh,
tanto per salvarti, mica ti ammazzo.- biascicò imbarazzata. -Dai, fammi
scendere, sono pesante.- disse tentando di scendere da lassù.
Ace
invece proruppe in una fragorosa risata. -No che non ti faccio scendere!-
rispose beffardo. -Ora che ti ho presa, non ti lascio scappare più!-
Sotto la
camicia però Lilì riusciva a percepire le fasciature, oltre a quei muscoli che
le facevano andare il sangue alla testa. -Sicuro che non ti fai male?- gli
chiese poggiandogli la mano sul petto. -Sono comunque un peso…-
Lui di
tutta risposta le fece fare un saltello fra le sue braccia robuste. -Ti tengo,
tranquilla!- scherzò notando che la ragazza si era stretta a lui durante il
salto. -Sei un fuscello!- la rassicurò. -Però se incontriamo Law scendi subito,
ok?- la pregò abbassando la voce, anche se a quell’ora di notte nel corridoio
non c’era nessuno. Da pirata non aveva paura di nulla, come paziente invece era
terrorizzato dal dottore, che lo inseguiva tentando di curarlo.
Lilian
si mise comoda sul suo cavaliere, gli passò il braccio attorno alle spalle e
appoggiò la testa sui capelli mori di lui. -Bene allora, dove andiamo?- chiese.
Ace
s’incamminò lungo il corridoio di marmo. -A ballare, no?- le sussurrò
all’orecchio. -Non pensavi mica di cavartela con quei quattro salti di prima!-
Arrivati
al parco, si fermarono nel portico del palazzo ad ammirare la scena sotto i
loro occhi; tutte le luci dell’isola erano state spente, e l’unica cosa che
illuminava il prato era un grandissimo falò che ardeva tra la musica dal ritmo
travolgente e i danzatori sbronzi. Le faville arrivavano al cielo e si
perdevano tra le stelle che tremavano nel buio. L’odore acre di bruciato
arrivava fin lì, ma a Rea non dispiaceva affatto quell’atmosfera da baccanale
in piena estate.
-Sei
stato tu?- chiese ad Ace, riferendosi al falò.
-No,
no.- spiegò il ragazzo. -Sono state le amazzoni, mentre non c’eri hanno fatto
una cerimonia complicatissima, hanno portato qui un sacco di legname e gli
hanno dato fuoco poco alla volta. Per una volta io non c’entro!-
Scese le
scale con la dama in braccio e arrivò nei pressi del prato. Lì la mise a terra
prima di incontrare il capitano dei pirati Heart. -Ma ce la facevo ancora
benissimo a portarti.- precisò il pirata.
-Lo so.-
sorrise Lilì scorrendo lentamente la mano sul bicipite tatuato di lui.
Bevvero
del sakè insieme brindando al glorioso Canadair, e si lanciarono nelle danze
attorno al fuoco tra amazzoni e pirati.
Ore
dopo, l'ultima canzone che ascoltarono in pista fu un lento, ma ormai la musica
era solo una scusa per rimanere abbracciati mentre si cullavano. Dopo il
ceffone il pirata era diventato molto più cauto, e stava ben attento a non
prendere iniziative non condivise dalla ragazza. Sembrava però che dondolare
mentre l'orchestra andava dolcemente le piacesse, e lui l'aveva assecondata.
Il loro
fiato si fondeva in quella rovente notte d'estate, la testa di Lilian pesante
dopo tanti brindisi riposava quasi inerte sul petto di Ace, il suo odore forte
di uomo le riempiva il naso e la mente facendola perdere in pensieri che da
sobria non avrebbe forse avuto l'ardire di esprimere.
Lui chinò
le labbra sui capelli mori della ragazza, che sapevano di sale nonostante le
docce, mentre stringeva ancora con la sinistra la mano di lei. La portò
delicatamente sul suo petto, lasciando che il dorso della mano fresca di Lilì
si posasse sul suo torace fasciato. Lilian guardò quel movimento, alzò lo
sguardo sul volto del pirata che ricambiò sorridendo, e poi distolse gli occhi
sorridendo timida mentre le gote le si coloravano di rosso, ma senza tuttavia
togliere la sua mano da lì.
Passate
le cinque Ace portò la sua Lilì sulla spiaggia, incurante del divieto per gli
uomini di non lasciare il palazzo reale.
Lilian
barcollava, una volta raggiunta la sabbia bianca e soffice perse l’equilibrio e
si accasciò a terra, trascinandosi dietro il pirata di fuoco. Scoppiarono a
ridere insieme, abbracciandosi di nuovo con trasporto, affondando i piedi nudi
fra i granelli; sopra erano freschi, ma sotto erano ancora caldi di sole. In
quella cala selvaggia si sentiva solo il lieve scroscio delle onde a riva,
illuminate dalla luna che formava un sentiero d’argento che si perdeva
nell’oscurità dell’orizzonte, e le lievi risate dei due timidi amanti.
Rea rise
ancora, stringendo a sé il ragazzo; era mezzo ubriaca, ma ancora abbastanza lucida
per capire che erano in pericolo, così. -Tu mi fai passare un guaio.- lo
rimproverò lentamente. -Se ci vedono…- rantolò sdraiandosi sulla schiena.
Anche
Ace aveva bevuto. -Che vedano…- le sussurrò all’orecchio facendola stendere
delicatamente vicino a sé e baciandola sul collo sottile.
-Fammi…
lasciami fare una cosa…- si sollevò eludendo le carezze del ragazzo e si issò
sulle ginocchia, così ad Ace non rimase che stringerla da dietro, per la vita.
-Cosa
vuoi fare?- le mugugnò nell’orecchio.
-La
barriera.- spiegò Lilì, cercando di togliersi per un attimo i fumi dell’alcol
dalla testa e tentando di riprendere la concentrazione.
-La
barriera…?- sussurrò Ace confuso.
-La Percezione delle Amazzoni non ci
raggiunge, così.- lo rassicurò Rea, posando le braccia su quelle di lui che
l’avvolgevano. -Ora davvero non ci vede nessuno.- sospirò girandosi e
stringendo il ragazzo dolcemente.
-Lilì,
c’è una cosa che devi sapere prima…- c’era un segreto che ormai non poteva più
tacerle; era stato messo a nudo a Marineford, ma la ragazza in quel momento era
ad Amazon Lily e non stava ascoltando più le trasmissioni, oppure era già in
volo.
Anche se
era sbronza, a Lilì si ghiacciò il sangue nelle vene. Rimase muta, in attesa.
Era sposato? Aveva figli? Era gay? Era terminale? Voleva altra birra, altro
sakè.
-Barbabianca
non è davvero mio padre… non c’è un legame di sangue.-
-Lo so.-
confermò Lilian, confusa e con la voce impastata. Era noto a tutti che
Barbabianca non avesse uno stuolo di figli naturali distribuiti generosamente
su sedici navi!
-Mio
padre era Gol D. Roger.-
Lo
confessò in fretta, tutto d’un fiato, chinando la testa. Se ne vergognava, ma
non se la sentiva di nascondere quell’importante dettaglio alla ragazza, non se
lo meritava, era come ingannarla. Figlio di un mostro, ecco cos’era. Un essere
che veniva schivato nei villaggi, guardato con disprezzo dalle persone oneste,
allontanato e respinto da chiunque avesse un minimo di coscienza. Con i suoi
fratelli era diverso, condividevano un destino simile, ma Lilì… Lilì era stata
una persona onesta, anzi, era ancora una persona onesta, anche se si era messa
contro la Marina. Era stata l’ennesima mostruosità da parte sua rovinare la
vita a quell’innocente. L’ultima cosa che poteva fare, l’unico gesto corretto
nei suoi confronti era rivelarle chi fosse, quale fango gli scorresse nelle
vene. Si sarebbe alzata, sarebbe andata via? L’avrebbe lasciato solo, come
meritava, su quella spiaggia? Forse avrebbe dovuto arrendersi allo schiaffo,
prenderlo come segno del Fato e fuggire, non farsi più vedere. Ma non c’era
solo il sangue dannato dei Gol, c’era anche quello della forte Rouge nelle sue
vene… e lei, ne era sicuro, non era donna da fuggire.
Rimase
ad aspettare la reazione della ragazza, aspettò di vedere i suoi occhi
assottigliarsi per il disgusto e allontanarsi senza una parola, pentendosi di
aver salvato una vita inutile come quella. Aspettò che lo abbandonasse, aspettò
che gli sbattesse in faccia tutti gli insulti che conosceva fin da bambino.
Gol D.
Roger chi? Lilian ci mise un attimo a capire chi diavolo fosse Gol D. Roger.
Gol D. Roger, pensò! Quel Gol D. Roger! Il più pericoloso supercriminale del
mondo, giustiziato quando lei era molto piccola, troppo per ricordarsene. Ace
era suo figlio… ma aveva un altro cognome. Per non farsi riconoscere? Guardava
Ace, aspettando il resto che però non arrivava... Gol D. Roger, goldiroger,
goldiroger, quel nome cominciò a formare una cantilena nella sua testa, sentiva
uno sciame di bambini neri ballarle sulla lingua. Ballavano e cantavano in
cerchio.
-Quindi?-
incalzò. Non le rimaneva molto tempo prima di addormentarsi esausta e sbronza,
o saltagli addosso e stuprarlo. Goldiroger, goldigoldigoldiroger, continuavano
a dirle i microscopici bambini neri che aveva nella testa.
-Mi
dispiace.- chinò la testa Ace.
-Di
cosa?- di cosa, benedetto ragazzo?
-Di mio
padre.- terminò colpevole, col capo chino. Per Rea la faccenda non è che fosse
proprio chiarissima, aveva capito solo che la rivelazione consisteva
nell’identità del padre.
-Ace, ti
stai facendo problemi perché sei il figlio di Goldiroger?- lo nominò per
intero, cercando di raccapezzarsi senza troppa convinzione. Lui annuì.
-Sono un
mostro…- mormorò.
-No. Sei
solo scemo.- lo corresse abbracciandolo. Chiuse gli occhi sulla sua spalla,
stanca, mentre parlava. -Non me ne importa un accidente. Non me ne importa se…
se… se è un delinquente o un eroe nazionale.- e sospirò sollevata, perché nella
sua mente si era già creata l’idea di una mogliettina perfetta e bellissima che
accudiva tre marmocchi, due femmine e un maschio, con i capelli neri e le
lentiggini, cui faceva da sottofondo quel goldiroger, goldigoldiroger che la
mente annebbiata ormai trasmetteva in un folle loop di bambini che vorticavano
tutti insieme.
-Lilì,
ascoltami!- la pregò Ace prendendole la testa fra le mani, tentando di fendere
la nebbia nella testa della compagna. -Sono un mostro, figlio di un mostro, hai
sacrificato il tuo aereo e la tua vita per uno... Uno come me!
-Chi se
ne f…-
-Deve
importartene! Lilì, mi senti? E poi… pensa sulla nave di Teach, sei viva solo
perché Van Ooger ha sbagliato il colpo di proposito, sei viva grazie a lui, non
grazie a me!!- la voce cominciò a tremare anche al ragazzo per i sensi di colpa
che si era creato.
Lilian
era sicura di sentire il crepitare di fiamme, ma non capì da dove venissero. A
fatica si tirò su per guardare negli occhi il suo interlocutore, per quanto
ancora ci riusciva perché stava per cedere. -Stronzate. Stai scherzando, Ace?
Siete due… due persone diverse, divise.- allontanò le mani l’una dall’altra.
-No, non
è uno scherzo Lilì. Sono davvero il figlio di Gol D. Roger.
-Non quello!-
protestò la ragazza premendosi la fronte con le mani. -Non sei un mostro, Ace…
non puoi davvero pensarlo… sei… sei...-
-Sei un
figo pazzesco!!- fecero la ola i bambini neri dentro la testa, ma Lilian ebbe
la tremenda sensazione di averlo detto ad alta voce.
E
infatti Ace, non senza un vago imbarazzo, rispose: -Ehm… grazie!- e al “mostro”
ridevano troppo gli occhi perché un complimento del genere non gli facesse
piacere.
Lilian
invece affondò le dita tra i propri capelli e sospirò debolmente: -Mi sa che
sono un po’ sbronza.- Chiuse gli occhi e sentì il ragazzo che la sollevava
leggermente e la faceva adagiare con delicatezza addosso di lui. Lei poggiò la
testa sui pettorali del pirata e continuò a parlare: -Un mostro non salva
quattro bambini dai cacciatori di taglie, non fa ritrovare i genitori a Moda,
non libera una ragazza da Barbanera, non... Non ha gli occhi che hai tu. Moda…-
ricordò. -Moda disse che hai “la faccia buona”.-
Ace
sorrise pensando alla bambina che non voleva farlo andare via.
Lilian
continuò: - Sulla nave di Barbanera eri lì a proteggermi… alla latteria eri lì
a proteggermi… tu, nessun altro.- rantolò rilassandosi sul ragazzo, ma si alzò
di scatto subito dopo: -Se dormo la barriera sparisce!
-Allora
vieni, ce ne torniamo alla residenza.- sospirò Ace, prendendola in braccio. -È
la stessa barriera di quando ci hai salvati?- le domandò il pirata mentre la
portava, per non farla dormire prima di rientrare. Rea mormorò un sommesso sì.
Goldiroger aveva i baffi, le venne da pensare. Chissà quanto sarebbe stato
carino Ace, con i baffi…
-Frutto
del Diavolo…?- la voce calda di Ace la distolse dai vaneggiamenti.
-Vuoi
sapere un segreto?- domandò Rea bisbigliandoglielo nell’orecchio, con un
risolino. -Non ne ho la più pallida idea!!
-Però la
Marina non ci ha trovati.-
-Sono
troppo forte anche per loro.- era orgogliosissima di questo potere, e non
riusciva a nasconderlo completamente, e ormai la sbronza stava prendendo il
sopravvento. Ace sorrise a quell’affermazione: quella ragazza così piccola fra
le sue braccia forti, più potente di Kizaru? Di Sengoku? Un’esagerazione da
alcool, lui se ne intendeva.
Una
volta entro i confini del palazzo, Ace depose la ragazza sul prato del parco, in
un angolo appartato. Lei rimase per terra inerme, con gli occhi chiusi, ma dopo
qualche istante li riaprì appena, in cerca di lui.
-Ace…?-
mormorò.
-Shhh…
sono qui.- la rassicurò avvicinandosi, abbracciandola e nascondendo il volto
sul petto di lei. La pelle rovente di chi si divertiva a vivere sotto il sole,
il profumo di mare, il cuore che batteva forte e caldo oltre il seno piccolo ma
morbido, le braccia affusolate che lo avvolgevano e non lo lasciavano andar via
da quel dolce paradiso. Era come... Era come arrivare, pensò il ragazzo, senza
tuttavia riuscire a dare un significato più preciso a quelle parole. Chiuse gli
occhi e si strinse ancora di più a quel rifugio, come se ci fosse qualcuno lì
che lo volesse strappar via.
-Te ne
approfitti perché sono sbronza.- biascicò la ragazza accarezzando i capelli di
lui, lasciandoli scorrere fra le dita esili.
-Se
davvero ne volessi approfittare…- le bisbigliò Ace all’orecchio, mettendola con
la schiena a terra con lui sopra, senza farle male -…farei di peggio.- sorrise
diabolico alla luce delle stelle. Poi però cercò di tornare a fianco a lei.
Lilian
non lo lasciò spostare: incrociò le braccia dietro al suo collo, e contraendo
gli addominali avvicinò il suo viso a quello del pirata. -Allora non ti
dispiace se approfitto io, giusto un po’?- propose dolce e innocente, poggiando
le sue labbra su quelle socchiuse di Ace in un lento lungo bacio. Lui la
strinse a sé sollevandola da terra, avvolgendola fra le braccia possenti e
ricambiando ardentemente quelle languide carezze.
Scivolarono
l’uno fra le braccia dell’altro, cercandosi nel buio della notte mentre da
lontano echeggiavano ancora le danze. Ma il retro del giardino era loro, e
l’oscurità li proteggeva complice.
Lilian
con meraviglia vide le sue mani che slacciavano rapide la camicia di Ace per accarezzare
con desiderio quel corpo scolpito nonostante tutte le bende, mentre il ragazzo
le percorreva la schiena con carezze lascive attraverso gli spacchi che aveva
il suo tubino. La sua lingua si fece strada fra le labbra della dama, che
l’accolse sfiorandola delicatamente con la sua. Era goloso… goloso di lei, di
baci, di sguardi… e forse anche di qualcos’altro, avrebbe pensato il mattino
dopo la ragazza. Non la lasciò per un solo istante quella notte, come se le sue
braccia vigorose fossero il suo naturale posto. Il volto ora rasato indugiava
ad un soffio dal suo, e mentre respiravano piano tra un lungo bacio e l'altro
si guardavano negli occhi scuri, dolci e brillanti di stelle.
Ormai
Rea era riuscita a togliere quella camicia che l’ostacolava tanto, quando il
ragazzo l’afferrò per il bacino e se la mise praticamente addosso. Lilì senza
pensarci si mise a cavalcioni, e continuò a baciarlo prima sul collo e poi
sempre più giù, delicatamente sulle bende e ardentemente sulla pelle nuda, con
le mani di Ace che adesso le percorrevano senza freno le cosce, mentre la
ragazza ubriaca di vino e di lui gli stravolgeva con le dita i capelli mori e
ribelli. Voleva Ace, anima e corpo, e lo voleva adesso, checché ne dicesse il
barlume di lucidità nella sua testa mentre i bambini neri si scatenavano
urlando di gioia, e il suo corpo divorava freneticamente di baci quello del
ragazzo…
Ace non
voleva che fosse solo lei a divertirsi però, la prese per le braccia senza
farle male e la riportò lì, a portata di bacio, dove le sue mani potevano
arrivare subito alle sue forme morbide e mentre ancora le sfiorava le gambe e
le spalle, cominciò a percorrere avidamente il collo di Lilian con lunghi baci,
mentre lei quasi non respirava pur di sentire quel tocco caldo su di sé.
Con le
mani il pirata tirò leggermente giù la scollatura dell’abito di Lilian,
indugiando appena sopra l’orlo del reggiseno, ultima vera frontiera verso un
finale di serata che non sapeva se lei avrebbe accettato. Lilian, ancora su di
lui, gli artigliava gli addominali che tanto la facevano fremere.
-Argh!-
una maschera di dolore trasformò il volto del ragazzo.
-Ace!-
esclamò Rea saltando subito giù. Il fisico prestante e l’atteggiamento forte e
sicuro di Ace le avevano fatto dimenticare che aveva pur sempre a che fare con
un ragazzo che fino a pochi giorni prima non ce la faceva nemmeno a scendere
dal letto. Si riscosse dal torpore di passione in cui era precipitata.
-Ace!-
lo prese per le spalle con un braccio, era pesante ma gli resse la testa. -Ace,
mi senti?- il ragazzo stava sudando freddo.
-Vado a
cercare Law!-
-Ferma!-
boccheggiò lui. -Se mi trova così mi uccide! Ora mi passa…-
Lilian
rimase immobile e spaventata vicino a lui, cercando di asciugargli il sudore
che gli imperlava la fronte. Il suo respiro tornava lentamente regolare, la
ragazza lo confrontava con il suo sforzandosi di non farsi prendere dal panico.
-Va
bene… va meglio.- sussurrò alla fine. -Forse non dovevo… non dovevo farti
salire.-
-Quelle
costole non si sono ancora sistemate, vero?-
Rimase
zitta ad aspettare una risposta che non venne, mentre le tornavano alla mente
quelle poche competenze mediche che aveva, arrabattate in giro o spiate da Law.
Sbuffò. -Se non stessi così male, ti riempirei di calci. E mi sono anche fatta
prendere… fatta pren…- divenne pallidissima, come quando svenne sul
sottomarino, ma nell’oscurità Ace non la vide: l’alcol che aveva in corpo
cominciava ad avere effetti secondari.
Lilian
fece appena in tempo ad allontanarsi gattoni, e vomitò l’anima ad un paio di
metri da dove stava il suo compagno di sbornia.
-Oddio,
Lilì!- si lamentò lui. -Non so se ce la faccio a venire lì!-
La
ragazza continuava a vomitare, si alzò in piedi per non sporcarsi tutta. Un
attimo dopo, le stesse mani che prima la stavano per spogliare ora le
sostenevano la fronte e le accarezzavano le spalle.
-Siamo
proprio due rottami.- commentò Ace.
-Sei un
idio…- e giù altro schifo.
-Zitta e
vomita.- rise Ace, sbronzo pure lui.
Quando
ebbe finito, si strinsero l’uno con l’altra mentre albeggiava, e il cielo si
tingeva di rosa davanti ai loro occhi stanchi. Il ragazzo recuperò la camicia e
la posò sulle spalle di lei, abbracciandola e stendendosi per terra insieme.
-Ace…-
sussurrò lei beandosi del calore che le trasmetteva il pirata, appallottolata
sul suo petto. -È… è stato bellissimo stanotte... grazie.- arrossì
violentemente e attese.
Ma non
ebbe risposta.
-Ace?-
lo guardò in volto. Russava.
Dietro le quinte…
«…Albus Silente salì sul palco del Kodak Theatre e attese che l’elegante
donna gli portasse la preziosa busta; l’aprì con precauzione e infine declamò
alla platea vestita con eleganti smoking o fasciata in luccicanti abiti da
sera: “E il vincitore dell’Oscar per il peggior momento in cui svelare il
proprio passato è… Portuguese D. Ace.” Il giovanotto si alzò in piedi esultante
e andò a ritirare la statuetta… »
Ciao a tutti! Che bello il mercoledì, mi piace l’idea di far uscire il
capitolo proprio in questo giorno, mi ricorda tantissimo il Topolino, che
usciva (esce ancora, in realtà, ma sono una nostalgica) appunto il mercoledì e
spezzava la settimana! Tra l’altro esce anche il capitolo di One Piece oggi, o
almeno dovrebbe, per chi segue la diretta con Tokyo! Esce anche Bleach ora che
ci penso (che poi faccio confusione e ad ogni inizio capitolo mi chiedo che ci
faccia Urahara a Dressrosa…). Quindi… buon mercoledì a tutte! Tra l’altro oggi
al mio paese c’è mercato, quindi è una giornata molto movimentata.
Spero che la parte della sbronza di Lilian non vi sia sembrata poco
realistica perché… per scriverla mi sono ispirata a una sbronza vera. La mia. I
bambini neri sono frutto di esperienze reali. Avete mai visto il cartone
“Kirikù e la strega Karabà”? qualcosa di simile. Non fatelo MAI. Bere
(troppo) fa male. Dopo il primo quartino di vino della casa, BASTA. A meno che
non dobbiate guidare: in tal caso zero assoluto, ok? Brave.
Come vi è sembrata la scena love-love? Io sono una ceppa a descrivere
queste situazioni, vi è sembrata credibile? Ho mandato Ace OOC? Ringrazio
tutte le lettrici e i lettori (ce ne sono?) che stanno seguendo la storia…
grazie, grazie davvero, soprattutto a chi recensisce e mi fa sapere le sue
impressioni, ma anche a chi è silenzioso e non si palesa… grazie!
Alla prossima puntata,
Yellow Canadair
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Capitolo 17 *** Arrivi e partenze ***
[zipedit] Arrivi e partenze
«Sul
serio… sul serio non ti importa?» sussurrò Ace.
Davvero il ragazzo pensava che lei avrebbe dato peso a quella paternità? Non riusciva nemmeno a capire tutto quell’astio. «È cibo per vermi adesso, chiunque sia stato, adesso non c’è più. Noi
sì. È
questo che conta.»
Il
mattino dopo Law, che dava la caccia ad Ace per cambiargli le fasce, li trovò
che dormivano per terra sotto un tavolo, con Lilian avvolta nella camicia
bianca e il pirata beato che russava usando il grembo di lei come cuscino,
arrotolati come due mici.
Se non
fosse stato per la puzza di alcol e di vomito nell’aria,
e per il fatto che il ragazzo teneva i due palmi sulle natiche di lei,
sarebbero stati così patetici che quasi Trafalgar Law
non avrebbe avuto il coraggio di svegliarli e sgridarli…
quasi.
-Sei
uno sconsiderato.- sibilò poco dopo il Chirurgo della Morte
nella stanza di Ace.
-Non
urlare, Law…- si lamentò Lilian, anche se come suo solito
il dottore non aveva minimamente alzato la voce.
-Guarda
che tu non sei da meno.- l’ammonì
lui con un’occhiataccia.
-Siete
stati tutta la notte in giardino? Non potevate tornare a dormire nei vostri letti?-
domandò serenamente Rufy, scaccolandosi. Però,
visto che nessuno gli rispondeva, continuò:
-Quella non è la camicia di Ace?- domandò
indicando la camicia che Lilì aveva ancora addosso.
-In
realtà era la mia. Era.-
precisò Law maledicendosi per aver prestato uno dei suoi indumenti
a quello scavezzacollo.
-Una
coincidenza.- replicò la ragazza stringendosi addosso il
lino bianco. Aveva ancora su il tubino, ma non aveva nemmeno la vaga idea di
dove fossero finiti i suoi sandaletti né
di come fosse ridotta la sua faccia, visto che non aveva memoria d’essersi
struccata e si sentiva tutta impiastricciata di trucco.
-Ma è
vero che li hai trovati sotto un tavolo, Traffy?- domandò
Rufy serissimo, come se avesse appena fatto una domanda di astrofisica ad un luminare
del settore.
-Due
idioti, ecco cosa siete.- inveiva ancora Law, disinfettando le ferite di Ace in
maniera più cruenta possibile, ma lui incassava. La cosa peggiore in
quel momento, per lui, era proprio il post-sbronza.
-Non
gridare!- lo pregarono in coro lui e Lilì.
Law scosse la testa, sicurissimo di non parlare a voce così
alta.
-Law.-
lo avvertì Rea. -Credo ci sia da dargli un occhio alle costole.-
ammise.
-Lilì!-
si lamentò Ace, che avrebbe preferito che stesse zitta.
-Silenzio
tu! Ha fatto bene.- lo freddò il chirurgo. -Hai avuto fastidi
stanotte, vero? magari proprio nel momento meno adatto…-
lo stuzzicò con un sorriso furbo.
Rea si
trascinò fuori dalla stanza, seguita da Rufy. Quando fu uscita, Law
mormorò al paziente: -Ascolta casanova, puoi fare tutta la scena
che vuoi davanti a lei, ma cerca di riguardarti. Non starò
su quest’isola ancora a lungo e non ti potrò
ricucire sempre. Non prenderla più in braccio e non fare quel genere di ginnastica. Chiaro?-
Il
ragazzo grugnì contrariato. Gli piaceva giocare con Lilì,
sollevarla da terra all’improvviso e apparire nella sua
stanza quando meno se l’aspettava…
e gli piacevano anche quei modi di fare, quel suo essere sempre di corsa, una
gazzellina che non si fermava mai, o sull’aereo
impazzito, con il fucile in mano… ma era stata molto carina anche
sul palco, disinvolta e sicura che cantava con quella rock band…
e gli era piaciuta molto anche dopo, quando si era stretta a lui nel buio e l’aveva
baciato. E aveva detto… aveva detto che non le importava
chi fosse suo padre. Ma chissà se comprendeva davvero chi fosse suo padre, pensò
Pugno di Fuoco rabbuiandosi, se avesse realmente compreso che razza di buono a
nulla avesse salvato.
-Chiaro?-
ripetè Law, per niente soddisfatto dal grugnito.
-Chiaro.-
bofonchiò Ace.
-Guarda
che dirò anche a lei la stessa cosa.- lo ammonì.
Il pirata mise il broncio, ma non fu abbastanza per strappare un sorriso al
Chirurgo della Morte.
-L’aviatore
è lei?- domandò un alto signore dai capelli
bianchi a Rufy, affacciato assieme al giovane capitano ad un balcone della
reggia di Boa Hancock che dava sulla rada privata del palazzo. L’uomo
aveva indicato a Rufy la ragazza che usciva or ora dall’acqua
turchese della piccola laguna, dritta come una spada sulla battigia candida,
che si asciugava vigorosamente i capelli con un’asciugamani
dando ignara le spalle agli spettatori e guardando invece il mare con un
sorriso soddisfatto: Lilian adorava il mare ad Amazon Lily; una visibilità
eccezionale e una barriera corallina stupenda, tutto quello che poteva
desiderare da un’immersione. Le piaceva andare sott’acqua
in apnea, le ricordava la sua natale Tuherahera, ed era ormai molto tempo che
non si tuffava: su quell’isola invece, approfittando del
momento di calma, stava recuperando i bagni non fatti negli ultimi mesi.
-Già.-
affermò Rufy. -Però ormai l’aereo
non c’è più.
-Non è
pericoloso il mare, in questo tratto?- chiese il suo interlocutore. Lui era
arrivato a nuoto ad Amazon Lily, eppure si era dovuto difendere dai Re del Mare.
-Figuriamoci,
ha protetto me ed Ace in oceano aperto! Forse è
semplicemente abituata a stare in acqua.- spiegava con un sorriso il giovane
capitano a Rayleigh, che si aggirava sull’isola
dal giorno prima.
Quell’uomo,
che stazzava sui due metri, con una lunga chioma candida e la cicatrice sull’occhio,
era sbarcato sull’isola di punto in bianco, senza una
nave, senza un equipaggio, senza un canotto o dei braccioli; se l’era
semplicemente fatta a nuoto dalla sua isola. Boa Hancock cominciava a perdere
la pazienza: va bene che c’era Rufy di mezzo, e per amor suo
sopportava tutto quel via vai di gente, ma che ci fosse un traffico di uomini
così intenso ad Amazon Lily non le andava neanche un pochino. Inoltre
il vecchio era bagnato fradicio dalla testa ai piedi a causa della nuotata e camminando
lasciava una scia d’acqua per tutto il corridoio, cosa
che contribuiva ad accrescere il nervosismo dell’Imperatrice.
Lilian
quando si era trovata il Re Oscuro davanti era rimasta senza parole; Rufy già
si stava apprestando a presentarglielo quando lei aveva esclamato: -Lei!! Lei è
quello che mi ha venduto il carburante! L’artigiano
delle Sabaody!-
-Vi
conoscete?- si era stupito Cappello di Paglia.
-Oh,
la mocciosa del carburante.- aveva risposto Rayleigh. -Niente male, a
Marineford.- le aveva detto prima di voltarle le spalle e andarsene con Rufy
per i fatti suoi. Aveva incrociato anche il figlio di Roger nei corridoi della
reggia, e si erano squadrati entrambi per qualche secondo. Per il vecchio era stato
come rivedere il suo capitano: era incredibile quanto fisicamente gli
somigliasse, ma intuiva che il carattere era molto diverso. Ace invece gli
aveva rivolto uno sguardo diffidente: sapeva che era il luogotenente del tanto
odiato genitore, e tanto gli bastava per tenersi alla larga. Però
era anche una delle ultime persone ad aver visto sua madre, e non riusciva a
togliersi dalla mente questo pensiero.
-Te ed
Ace, uhm?- s’informava ora meditabondo il vecchio lupo di mare che era finalmente
asciutto, senza tuttavia palesare i propri pensieri.
-Il
giornale del mattino!!- lo strillo di un’Amazzone
risuonò cristallino per tutto il palazzo. -Lilian Rea Yaeger! Il
giornale parla di te!-
Lilian
si allontanò dall’acqua e guardò
verso l’edificio. -Era quasi ora.- riconobbe la ragazza.
Ace la
guardava dalla finestra della stanza riservata a lui e se la mangiava con gli
occhi. Reggeva tra le mani alcuni avvisi di taglia, approdati ad Amazon Lily
assieme ai quotidiani.
Lilian
tornò al palazzo avvolta nell’asciugamani
bianco; se il giornale parlava di lei, lo faceva senza dubbio in merito agli
avvenimenti di Marineford, e non poteva sperare di cavarsela con poco, dopo
aver fatto evadere in maniera così spettacolare non un semplice
pirata, ma il figlio di Gol D. Roger, nonché
ufficiale di Barbabianca. La rivelazione di Ace di essere il figlio di quel
filibustiere non l’aveva sconvolta, ma meravigliata sì,
e non era così cieca da non pensare che quella parentela avrebbe
appesantito il suo reato. Quindi doveva mettere in ordine tutte gli oggetti che
aveva per prepararsi ad una partenza, anche se non conosceva ancora la
destinazione. Era venuto il momento di andare via da quella splendida isola,
perché presto o tardi le sarebbero piovuti addosso i cacciatori di
taglie; ormai aveva qualche Berry da parte e poteva, anzi, doveva arrangiarsi
da sola.
Bisognava
partire. E partire significava lasciarsi indietro tutto.
Silvers
Rayleigh non aveva nemmeno fatto in tempo ad approdare ad Amazon Lily che
Trafalgar Law ritenne più saggio salpare le ancore e
allontanarsi dall’isola delle donne: non voleva guai
con il veterano dei pirati Jolly Roger. Non aveva detto niente a nessuno e
aveva ordinato ai suoi la partenza immediata.
Lilian
c’era rimasta malissimo: non aveva avuto nemmeno il tempo di
ringraziare il chirurgo per averla ospitata a bordo senza farle mancare nulla,
e nemmeno di salutare con un ultimo abbraccio il morbidissimo e pelosissimo
Bepo.
-Fufufu,
e dovrebbe funzionare?- sghignazzò sguaiato Doflamingo squadrando il suo
ultimo alleato. Quel ragazzo era un pozzo d’idee, e il sorriso crudele che
esibiva persino mentre sorseggiava il vino lo faceva impazzire di piacere.
-Naturalmente.-
sussurrò
Paul glaciale. -E meglio degli avvisi di taglia. Nonostante la cifra che le hai
fatto mettere, potrebbero volerci anni prima che qualcuno ce la consegni. Meno
male che possiamo localizzare l’elemento che sicuramente è con lei, visto cosa è stata in grado di fare a
Marineford.- sorrise sprezzante. -Sapeva di essere ricercata, eppure è venuta allo scoperto senza esitare… Un punto debole molto importante.
-Un
punto debole da seicento milioni di Berry.- Doflamingo accavallò le lunghe gambe, sistemandosi
ancora più
scomposto di prima alla lunga tavola di mogano della sua residenza privata.
-Una
mina impazzita.- disse lugubre Blackwood. -Da maneggiare con cura.-
-Però in questo modo.- ragionò il Flottaro. -Aizziamo Newgate!
hai qualche piano altrettanto sadico anche per questo problema?
-Ovviamente.-
rispose l’ospite
lasciando cadere la lunga coda corvina oltre lo schienale della sedia. -Ma mi
serve la tua collaborazione e la tua influenza su determinate… personalità.
-Fufufufufu!-
rise Doflamingo passandosi la lingua serpentina sulle labbra sottili, mentre i
denti dell’aviatore
brillavano alla luce delle candele, il cui tremore contribuiva a dargli un’aria cupa e pericolosa.
-Avere
cavie umane è
sempre divertente… un po’ come avere uno scienziato che
progetta armi di distruzione di massa. E questo lo sai bene.- mormorò Blackwood rigirando fra le dita lo
stelo del calice di vino rosso.
-Garantisco
io per le mie pedine.- promise Doflamingo. -Sono abbastanza assetate di sangue
e potere da essere affidabili… e hanno anche qualche conto in
sospeso verso la famiglia di Barbabianca.
-Ci
muoveremo subito.- concluse l’aviatore, guardando un avviso di
taglia posato lì
sul tavolo.
Intanto
Amelia era diventata un’ospite gradito sulla Seagreen
Phoenix; camminava tranquilla per i corridoi e salutava tutti con un sorriso, e
i pirati ricambiavano contenti. Barbabianca, dopo aver ascoltato la sua storia,
aveva deciso di tenerla a bordo pur non facendola entrare nella ciurma. Magari,
se lei avesse voluto, in un secondo momento…
ma per adesso nessuno ci pensava, e comunque non era certo quella la questione
più urgente.
Ace
era disperso; la ragazza che era con lui pure; l’unica
mossa ragionevole da fare, aveva pensato Marco, era aspettare che fossero loro
a contattarli, in fondo il fratello conosceva a memoria il numero di lumacofono
della Phoenix, quindi appena avrebbe avuto un apparecchio a disposizione non
avrebbe esitato a farsi vivo.
Finalmente
gli sforzi di Marco sarebbero stati messi a frutto, o almeno così
sperava la Fenice: prima di far partire il fratello alla ricerca di Barbanera infatti
si era messo con santa pazienza a far imparare a memoria ad Ace il suo numero
di lumacofono, per poter essere contattato in caso di una qualsiasi emergenza.
Lilian
invece, aveva avanzato l’idea Amelia, forse era riuscita a
salvare la radio di bordo, e quindi avrebbe potuto lanciarle un messaggio che
avrebbe ricevuto sul suo Canadair… però
l’ipotesi era fin troppo remota, e poi Lilian non aveva idea
che Amelia la stesse cercando.
L’aereo
di Amelia comunque era stato imbragato e adesso il vascello della Fenice se lo
stava trascinando verso Foodvalten, isola tranquilla del Nuovo Mondo sotto la
protezione di Barbabianca, dove si sarebbero fermati per qualche tempo in
attesa della guarigione del babbo.
-Ti
ringrazio per l’ospitalità…- disse Amelia a Marco mentre gli
rammendava una camicia. -Ma appena arriveremo a Foodvalten farò
rifornimento e tornerò a cercarli.
-Come
ti pare.- si strinse nelle spalle il biondo. -Qui però
hai più possibilità che siano loro a chiamare,
piuttosto che volare a vuoto.- osservò. -La tua amica non ha più
l’aereo, quindi non è facile da trovare.-
-Marco,
una lumacofonata.- lo avvertì un marinaio arrivando di corsa.
-Chi è?-
domandò la Fenice precipitandosi nella sua cabina.
-Non
lo so.- rispose il pirata facendogli strada. -Chiamano da Amazon Lily.-
Amazon
Lily? Si stupì Marco. Chi diavolo lo poteva chiamare da lì?
L’isola delle Amazzoni! Sempre più
curioso spalancò la porta della cabina di comando, dove trovò
anche Vista. Evidentemente l’amico era nei paraggi, e quando
aveva sentito di una telefonata da quell’isola
aveva ritenuto interessante assistere alla conversazione.
-Qui è
il Primo Comandante Marco.- si annunciò al ricevitore. -Con chi parlo?-
Vista
e Amelia, che l’aveva raggiunto dopo aver messo momentaneamente via il
lavoro di cucito, lo scrutavano indagatori, ma per il momento nemmeno il
biondino sembrava capire il significato di quella lumacofonata.
-Sì,
certo.- disse alla cornetta. -Mi devono passare qualcuno. - sussurrò
al Quinto Capitano.
-Qualcuno
da Amazon Lily?- ridacchiò Vista stirandosi un baffo tra
pollice e indice. -Marco, che a Marineford tu abbia fatto colpo sulla bella
Hancock?
-Zitto,
che ti sentono!- sorrise la Fenice, per nulla contrariato da quell’idea
ma abbastanza realista da scartarla.
-Exeggutor,
sei tu?- disse una voce dall’altro capo del filo.
Marco
si portò una mano tra i ciuffi di capelli, e con un grandissimo
sorriso che gli contagiava gli occhi, le orecchie, il naso e persino la pelle
si voltò verso gli altri ed esultò:
-È Ace!!!-
Dietro le quinte…
Finalmente, dopo la pausa romantica, tornano in scena
Doflamingo (che abbiamo imparato ad amare e apprezzare soprattutto negli ultimi
capitoli del manga) e Paul Blackwood.
Legasy mi ha dato l’idea della telefonata che viene ricevuta da Marco e non
vedeva l’ora di leggerla. Spero gli piaccia, e spero che piaccia
anche a voi lettori!
Exeggutor.
Ogni altra parola è
superflua. Sì, nella mia fanfiction Ace ha giocato a Pokemon Rosso Fuoco, e
batteva sempre Marco che aveva Verde Foglia.
Ma
questa è un’altra
storia.
(L’immagine non è mia, l’ho trovata su
internet)
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Capitolo 18 *** Il prezzo dell'aviatore ***
Il prezzo dell'aviatore
Lilian andò
nella sua stanza e cominciò a mettere in uno zaino i pochi vestiti che aveva.
La cosa che più le dispiaceva lasciare era il portello del Canadair, ma senza
il resto dell’aereo non ci avrebbe fatto granché. Ed Ace? Ci aveva pensato
tanto, tantissimo, notte dopo notte, ma in fondo non poteva chiedergli di far
parte del suo equipaggio come le aveva suggerito Sheryl, prima di tutto perché
non era entusiasta all’idea di diventare un pirata, sempre ad obbedire ad un
capitano, poi era troppo debole per entrare in una qualsiasi ciurma di pirati,
e infine perché Ace stesso era sotto un altro capitano: Barbabianca. E il
reputare tutti i sottoposti come figli era una cosa che Rea non avrebbe
sopportato, perché lei un babbo ce l’aveva eccome! Ma lasciare quel ragazzo era
straziante per lei. Ormai era diventato bello e familiare vedersi dopo cena con
lui e con il fratello, e ridere come pazzi finché qualche Amazzone dal palazzo
non si affacciava e buttava una secchiata d’acqua. Rufy, nonostante non ne
avesse per niente l’aria, era un capitano con la sua bella esperienza alle
spalle, una taglia pazzesca e una ciurma che però al momento non era con lui.
-Ti
piacerebbe, ne sono sicuro!- rideva, ricordando i suoi compagni. -Abbiamo anche
una renna, sai?
-Sì, e
te la volevi pure mangiare!- ricordò il fratello maggiore, cui era stata
raccontata tante volte quella storia.
-Secondo
me sarebbe stato squisito.- rimuginava Rufy. -E poi c’è il musicista! Devi
assolutamente sentire il mio musicista! È morto!-
Due
lacrime silenziose le scesero lungo le guance mentre radunava i vestiti sul
letto; anche i compagni di Rufy erano troppo potenti per aspirare a diventare
loro pari: il suo secondo combatteva tenendo una spada fra i denti, e anche
così riusciva a non sbavare e parlare perfettamente!
E poi la
notte, quando Ace la riaccompagnava in camera, rimanevano nell’ombra del
corridoio a scambiarsi qualche bacio. Rea pensò assorta alla pelle abbronzata
del pirata sotto le sue dita, mentre rabbrividiva quando gli percorreva i
fianchi, o alle sue spalle da toro che gli accarezzava voluttuosamente nel
buio, o a quelle mani che erano in grado di ridurre in cenere navi e città, ma
che la sfioravano con la delicatezza di un orafo a quell’ora tarda, nel buio. -Se
a te non interessa di quel mostro…- le aveva detto una volta, riferendosi a
Roger. -Allora a me non interessa il marchio di Marshall.-
Bussarono
alla porta, Lilian si ridestò dai suoi dolci pensieri e si rese conto che le
lacrime non avevano smesso di scendere dalle sue ciglia al pensiero di cosa si
stesse per lasciare indietro. Si asciugò il moccio e mormorò: -Avanti.-
Una
massa di corte onde more fece capolino sull’uscio: Ace mise il naso nella
stanza con circospezione. -Lilì?- sorrise. -Vuoi vedere una cosa?- chiese, con
gli avvisi di taglia nascosti dietro la schiena.
-Non
pensavo fossi tu!- borbottò lei, aggiustandosi meglio l’asciugamani che la
copriva. Aveva detto “avanti” senza pensarci, anche se in effetti l’unico che
bussava, ora che non faceva più parte della rock band, era Pugno di Fuoco.
-Ehi,
non mi imbarazzo mica!- scherzò lui.
-Ma io
sì.- sussurrò Rea, allontanandosi per non far notare gli occhi, sicuramente
arrossati. Lui fece per sedersi dove faceva sempre, sul letto della ragazza, ma
lo trovò occupato dagli oggetti di lei.
-Che
stai facendo…?
-Metto
via le mie cose.- spiegò Lilian senza girarsi. -Devo partire.-
Ace rimase
un attimo in silenzio a quelle parole, quasi senza osare capire quello che gli
stava dicendo Lilì.
-Perché?
Dove vai?- balbettò infine.
-Non lo
so… però ormai non posso più rimanere qui, Hancock non mi manterrà certo a
vita. Rufy va ad allenarsi con Rayleigh, e io… io non lo so. E poi il giornale
parla di me… quindi ora che probabilmente ho la mia taglia, devo cominciare a
scappare, i soldi per il viaggio li ho.-
-Stai
facendo i bagagli e non hai ancora idea di dove andare?- Si avvicinò e
l’abbracciò da dietro. Rea si sentì sciogliere tutti i muscoli quando la pelle
abbronzata e calda di Ace sfiorò la sua. -È un peccato, io ti volevo assumere
come cecchino.- le sussurrò all’orecchio scostando col naso sottile le ciocche
scure della ragazza.
Lilian
rimase per un attimo senza fiato. Cecchino? Ma chi, lei?
-Andiamo.-
lo respinse debolmente. -Lo dici solo per qualche bacio in più.-
-No no,
io dico sul serio. Parlo come capitano!-
-Non mi
hai mai vista sparare!- ribattè la ragazza; va bene che sapeva maneggiare le
armi, ma non era così precisa come poteva esserlo un vero tiratore.
-Stai
scherzando? E alla latteria di Moda? E a Marineford? Diavolo Lilì, hai attaccato
la Marina sparando con un fucile da un aereo! E se non fossi un tiratore,
perché avresti tutte quelle armi?
Sul
letto c’erano sparse due Beretta, un fucile con relative munizioni e un paio di
coltelli, uno piccolino (quello con il quale stava per pugnalare Ace qualche
sera prima), e uno piuttosto grosso, lungo almeno quanto il femore della
ragazza, che terminava con una lama sottile e leggermente curva.
-…collezionismo?-
buttò lì Rea.
-Entra
nella mia ciurma, Lilian Rea Yaeger! Sei un buon tiratore, e resisti all’Haki.
Puoi proteggere tutto il mio equipaggio.-
-Ace io…
io non sono un pirata. Non ci sono tagliata, non ho mai ucciso nessuno... Non voglio uccidere nessuno...-
Il
ragazzo notò che si stava alterando.
-Lilì…
calma, non ti sto chiedendo di diventare un serial killer!- la portò verso la
finestra aperta, verso il raggio di sole che entrava dagli infissi di legno
bianco. -Noi non attacchiamo nessuno… ci difendiamo, tutto qui... la Marina
vuole morto me come hai visto, e mio padre e i miei fratelli… non possiamo
lasciarli fare!- spiegò alla ragazza sperando di mettere su un piano diverso i
combattimenti che spesso si trovava ad affrontare sotto l’egida di Edward
Newgate.
E in
fondo, per difendere se stessa, Moda e i fratellini, Lilian non aveva esitato
ad imbracciare le armi e sparare sui cacciatori di taglie, e nemmeno si era
fatta venire crisi di coscienza per quello che Ace aveva carbonizzato sotto i
suoi occhi. Era un mondo duro, dove la legge del più forte era l’unica
riconosciuta.
-Non mi
sento pronta a giurare fedeltà ad un Jolly Roger.- avversò la ragazza
incrociando le braccia sul petto.
-Beh potresti
provare per qualche tempo...- si arrampicò sugli specchi Pugno di Fuoco, con
poca convinzione. -Insomma, vedere come ti trovi con noi, se ti piace il genere
di vita che facciamo.-
-E tu
dovresti essere il mio capitano?- sorrise innocente. -Non posso prenderti
seriamente, con quella faccia!-
Anche
Ace sorrise, passandosi una mano sulle gote. -Cos’ha che non va la mia faccia?-
-Beh, è
da schiaffi!- rispose Rea con naturalezza. -E poi sei persino più piccolo di
me!- esclamò.
-Guarda
che un sacco di miei compagni sono più grandi di… TU SEI PIÚ GRANDE DI ME??
Lilian
fece una risata chioccia, godendosi lo sgomento disegnato sul volto di Ace, che
aveva due occhi come due piattini da caffè: enormi e tondi dalla sorpresa. Era
una cosa che aveva notato alle Sabaody, leggendo l’articolo su di lui.
-Pensavo…
pensavo avessi diciott’anni, o qualcosa del genere…- balbettò il ragazzo mentre
Lilian sorrideva. -Invece sei una tardona!!-
Lilian
perse immediatamente l’allegria. -Ho ventidue anni, ragazzino. Pensavi che si
imparasse a quindici, a pilotare gli aerei?-
Ma in
tutta la faccenda, l’età contava poco. -Io non sono nemmeno all’altezza della
tua ciurma, Ace. E come la mettiamo con Barbabianca?- avversò Rea. -Io non
voglio chiamarlo babbo, un babbo ce l’ho già!
-Ti
presenterò a lui, sarà felice di accoglierti nella ciurma.
-Ma io
non voglio un nuovo babbo.- gli ripeté Rea. -E poi non credi che il mio
tatuaggio sia… un po’ ingombrante, sulla nave di Barbabianca?
-Gli
spiegherò tutto! Diamine, abbiamo convinto Law…!
-Non lo
voglio considerare mio padre.- gli esplicitò la ragazza. -Non lo chiamerò mai
babbo.-
-Va bene
Lilì, non credo ci siano problemi… basterà spiegarglielo.
-I
problemi ci sono, se ogni suo membro lo deve considerare come un padre!
-Ad
essere precisi, lui considera figli noi delle ciurme e gli alleati, ma non
tutti lo chiamano “babbo”.- tentò nuovamente di convincerla il ragazzo, sempre
più speranzoso. -Ah, c’è un’altra cosa Lilì…- sorrise Ace afferrandola per le
spalle, ansioso di una risposta. -Ti chiedo di entrare nella mia ciurma anche
perché non mi va di lasciarti andare chissà dove con questa fuga! Scappa con
me!-
Lilian
Rea Yaeger rimase muta davanti a quella che, molto a modo suo, era una
dichiarazione ma che sembrava quasi una presa in giro tanto che era candida e
spontanea.
-Dici
davvero?- mormorò incerta. -Proprio me…?
Il
ragazzo sorrise. -Vedi altri spostati che abbiano attaccato la Marina con un
aereo pieno d’acqua, intorno?
-Se
scopro che questo interesse nei miei confronti è solo uno scherzo.- lo ammonì
seria, sedendosi sul comò e prendendogli il viso tra le mani. -Tu passi un
guaio.-
-Ti
voglio davvero.- sorrise il ragazzo. Lilian fece tanto d’occhi; cos’aveva
detto!?
-Cioè,
ti voglio come tiratore, nella mia ciurma, oh al diavolo!- si spazientì
arrossendo mentre lei rideva sotto i baffi e l'avvinse in un caldo abbraccio,
baciandola e facendole cadere l’asciugamano che la copriva. Ma rimase deluso
quando si accorse che la ragazza aveva il bikini.
-Pensavi
di fregarmi?- sghignazzò Lilì. -Ok, scappo con te. Ma come?
-Mi
faccio venire a prendere dal vecchiardo!
Lilian
rimase a fissarlo con un sopracciglio alzato senza capire; da chi voleva farsi venire a prendere?
-Da mio
padre.- esplicitò meglio Ace. Ah, da Gol D. Roger?, pensò Lilian, che
continuava a non capire. Anzi, a non voler capire.
-Da
Barbabianca, Lilì. Da Edward Newgate.- spiegò infine lui, rassegnato.
-Venire
a prendere, dove? Mica qui? Mica adesso?- c’era del panico in quelle frasi.
-Certo
che viene qui!-
-Ma
verrà solo per te, no? E rimarrà solo per un caffè, insomma, viene a prendere
solo te, giusto? Io non voglio fare il pirata, insomma, non sono strettamente
necessaria, per cui forse potrei semplicemente, diciamo, salutare e andare via,
anzi, me lo saluti tu, mi compro un fuoribordo o qualcosa di simile qui e non
fa niente, cioè stando a…-
Ace
cominciò a guardarla agitarsi, sempre più divertito da quella reazione: la sua
Lilì poteva bombardare Marineford usando un Winchester, ma veniva paralizzata
dall’imbarazzo al pensiero di parlare con Barbabianca.
-Lilì,
l’ho chiamato stamattina mentre non c’eri, sta già arrivando. Vuole conoscerti
e ringraziarti di persona.- rincarò sadicamente la dose. -E penso che non ti
lascerà andare finché non si sarà sdebitato.- aggiunse.
Lilian
divenne paonazza. -Ace, non farmi questo.-
-Comunque.-
cambiò argomento il pirata di fuoco. -Non arriverà prima di due giorni, era
parecchio lontano. Volevo farti vedere questa.- le disse mostrandole un
cartiglio.
-Il mio
avviso di taglia?- notò Lilì riconoscendo il documento. -Ma è il tuo, Ace!-
“Portuguese
D. Ace, seicento milioni di Berry” sei-cen-to-mi-lio-ni era una cifra che Lilì
non riusciva nemmeno a immaginare… chi diavolo si trovava davanti?
-Sei
aumentato ancora!- esclamò a metà tra l’ammirato e l’indignato. La foto che lo
ritraeva era un po’ inquietante, con il cappello calato e gli occhi brillanti,
una mano tesa in avanti per attaccare e fiamme tutt’attorno… però rendeva
davvero l’idea della pericolosità del soggetto. Lilian fissò l’immagine
meditabonda, pensando ai discorsi di sua madre che le aveva raccomandato di
lavorare per la Marina proprio per tenersi al sicuro dai pirati dalla
sanguinaria nomea. Poveretta, pensò Rea. Si preoccupava sempre tanto, non le
avrebbe fatto molto piacere sapere che aveva fatto amicizia con un manipolo di
ricercati, negli ultimi mesi.
-Guarda
qui, Rufy è aumentato…- osservò la ragazza sfogliando i cartigli.
-Sì, ma
in realtà… sei aumentata anche tu.- le svelò il pirata mettendole un terzo
avviso davanti agli occhi. -Non mi avevi detto di avere già una taglia…-
commentò Ace.
-Per il furto con scasso alla Marina...- mormorò Lilian con gli occhi fissi sul proprio volto che
campeggiava sorridente proprio sopra alla scritta: “Lilian Rea Yaeger,
l’aviatore del Canadair, novantanove milioni di Berry”.
-Vorrei
che entrassi nella mia divisione anche per la questione della taglia.- le
spiegò paziente il pirata. -Non voglio spaventarti, ma i bounty killer verranno a cercarti. È alta.-
Era
spropositata. Lilian non aveva crimini così gravi alle spalle, e il fatto che
avesse fatto evadere un prigioniero condannato non poteva avere un peso così
rilevante, nemmeno se era il figlio di Gol D. Roger.
Lilian
rimase con tanto d’occhi. Novantanove milioni! Aveva una taglia di novantanove
milioni!! Ace le lasciò tra le mani il cartiglio con la sua foto, dandole il
tempo di assimilare la notizia. Novantanove milioni! Lei si aspettava molto ma
molto meno! Va bene che aveva disertato la Marina, però non era un Marine,
passi anche il furto del Canadair, che era un po’ più grave e la modestissima
taglia iniziale era per quello… nel conto, diceva il giornale, c’erano anche i furti
di cavalli per tornare a Lanomì e ovviamente quello che faceva la differenza
era il concorso in evasione per la fuga spettacolare di Portuguese D. Ace e Monkey
D. Rufy, con tanto di aggressione alle forze armate.
Altra
particolarità che attirò l’attenzione della ragazza fu che non c’era la
dicitura “dead or alive” che invece
coronava i nomi di Ace e di Rufy. Non aveva senso; fuorilegge con la taglia più
bassa erano ricercati vivi o morti, ma lei era richiesta “only alive”
-Lilì…
non te l’aspettavi?- sorrise il pirata.
-Novantanove
milioni!- fu solo in grado di articolare Rea.
-Eh sì,
sono un bel po’!-
-Per un
misero, schifoso, pulcioso, milione non sono una Supernova!!-
Dietro le quinte…
Lilian fa così il suo ingresso trionfale nel magico
mondo delle taglie di One Piece! Novantanove milioni è una cifra troppo alta,
per lei? Certo che lo è! È spropositata per i crimini che ha commesso. E allora
perché una cifra simile?
Il coltello che tiene sul letto è un Bowie, un
modello molto usato ai tempi del vecchio West; mi pare che lo spot dicesse che
si poteva usare per tagliare un albero e subito dopo per radersi.
La “proposta indecente” di Ace: non sembra che
Lilian ne sia molto contenta, non le va giù il dover chiamare “padre” un
perfetto estraneo e non sembra attirata dalla vita da pirata… come mai?
Considerate che essere un pirata vuol dire stare sotto un capitano, giurargli
fedeltà assoluta; prendete il rapporto che c’è tra Zoro e Rufy. Lilian al
momento non se la sente di dare a nessuno la fiducia che lo spadaccino ha
riposto nel suo capitano, e inoltre come si è visto spesso è piuttosto
refrattaria agli ordini. Chi la spunterà? Il Pirata di Fuoco o la Ragazza con
la Pistola?
Il prossimo capitolo avrà un nome altisonante,
“Edward Newgate”! Preparate vino e taralli, sarà una visita in famiglia! Grazie
per seguire questa storia e appuntamento alla prossima settimana!
Yellow Canadair
ps. il disegno non è granché, originariamente era uno scarabocchio su un quaderno (ed Ace ha la testa tagliata perché era finito il foglio), però avevo voglia di postarlo.
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Capitolo 19 *** Edward Newgate ***
[zipedit] Edward Newgate Sorgeva il sole sul
Palazzo Donquijote. Paul Blackwood sorseggiava in silenzio il suo caffè seduto
al lungo tavolo di legno scuro che alla sera ospitava sempre numerosi invitati
vocianti e alticci nelle feste adorate dal padrone di casa. Una fantesca fece
capolino dalla porta che dava sul corridoio e si avviò verso l’uomo
raccogliendo con una mano la voluminosa gonna a balze della sua divisa. Scomoda
per chi passava le giornate in piedi ad occuparsi della casa, ma il signorino
aveva gusti estremamente scenografici. -I giornali del giorno,
signor Blackwood.- annunciò all’aviatore, che era un habitué a quell’ora nella sala da pranzo. -Ci sono anche gli
allegati.- -Grazie.- disse tetro.
-Lasciali qui.- e un fascio frusciante di fogli fu poggiato accanto alla
tazzina di ceramica, assieme a degli avvisi di taglia. La donna si congedò con
un piccolo inchino e fece per andarsene. -Aspetta…- la bloccò
Blackwood. La domestica tornò sui suoi passi. -Chiama Doflamingo.- -Signore, io credo che
stia ancora dormendo… ieri sera la festa si è protratta fino… -Sveglialo. Ne rispondo
io.-
Prima di quanto Ace
avesse previsto, un imponente veliero fece la sua comparsa al largo di Amazon
Lily: Edward Newgate era arrivato per riprendersi quel discolo del figlio,
nonché suo Secondo Comandante. Il veliero si mantenne
molto distante dall’isola a causa della Fascia di Bonaccia, ma soprattutto
perché Boa Hancock non permise né lo sbarco di alcun pirata né che la Seagreen Phoenix
di Marco attraccasse nella sua rada privata; ne aveva abbastanza di uomini, e
la sua isola, oasi di tranquillità, ne aveva visti fin troppi negli ultimi
giorni. Era
un’alba estiva fresca e rosa; le Amazzoni di guardia che attendevano l’arrivo
della nave di Barbabianca andarono a svegliarli e così Ace e Lilian, mezzi
assonnati, si guardarono stralunati, il loro “buongiorno” fu un grugnito, e con
i capelli sconvolti dal sonno si misero a camminare l’uno accanto all’altra trascinandosi
fuori dal palazzo a quell’ora infausta. Non avevano nessuno da salutare; con
loro c’era solo Rufy, che li avrebbe accompagnati assieme all’amazzone Kikyo con
una piccola imbarcazione fino al veliero all’orizzonte. Ace
non aveva nulla con sé, Lilì invece si portava sulle spalle lo zaino, il fucile
e una grande chitarra, e appese ai fianchi teneva le pistole, sembrava una
profuga. Il
pirata di fuoco, con un verso rauco e con gli occhi apparentemente chiusi,
sgravò la ragazza almeno del peso della sacca; Lilian, con la stessa loquacità,
lo ringraziò. I
tre uscirono in silenzio dal palazzo reale e si diressero verso il molo,
assonnati e con le pieghe del cuscino stampate in faccia: era un miracolo che
fossero riusciti a svegliarsi così presto, merito di Rufy che, dopo la sveglia
delle guerriere, li aveva trascinati fuori dalle rispettive camere e portati a
fare colazione rigorosamente insieme a lui, spinto dalla fame. C’era un vento fresco
che pizzicava la pelle, e Rea appena uscita dal palazzo scavò freneticamente
nello zaino per cercare una grande e morbida felpa nella quale rifugiarsi, e si
tirò il cappuccio sulla testa. Come suo solito, appena abbandonato il materasso
si era messa addosso solamente il bikini e il pantaloncino senza badare a quale
fosse effettivamente la temperatura esterna. Camminarono in silenzio
fino al molo dove li aspettavano Kikyo e altre due Amazzoni che Lilian non conosceva,
e s’imbarcarono su una scialuppa messa a disposizione da Hancock per far loro
raggiungere la nave che li avrebbe condotti via, mentre il sole faceva
timidamente capolino dal mare in mezzo a fili di nuvole rosa, con Venere che li
guardava malizioso. Ace cominciava a mettere
da parte il torpore del sonno, non stava più nella pelle e guardava i
serpentoni che trascinavano la barchetta. Il Frutto Foco-Foco gli consentiva di
starsene mezzo nudo senza problemi, solo con il solito pantalone, lasciando che
i primi raggi del sole gli baciassero la pelle abbronzata. Lilian era tesa e
imbarazzata. Non voleva essere ringraziata per quello che aveva fatto, non
sapeva cosa farsene delle lodi, l’impresa che aveva compiuto era stata dettata
dal semplice istinto, e aveva avuto conseguenze gravissime: una taglia, il
Canadair distrutto, i due ragazzi buttati a mare e vivi per miracolo (dovevano
la salvezza al fatto che fossero stati intercettati proprio dal sottomarino di
Law), la Marina alle calcagna e nessun posto dove andare, perché certo dai suoi
genitori non poteva tornarci; li avrebbe fatti arrestare per complicità, senza
contare che avevano lasciato una figlia che lavorava seriamente come aviatore,
e ora se la ritrovavano ricercata e spiantata! L’unica cosa che voleva
era un passaggio sul continente e ricominciare tutto daccapo, anche se non
aveva idea di come poter gestire quegli svariati milioni che le pendevano sulla
testa e i conseguenti cacciatori che l’avrebbero braccata. -Non sei contenta?- le
chiese Ace tutto eccitato. -Finalmente conoscerai i ragazzi! E devi
assolutamente assaggiare le torte di Albert! -Non devo vomitare…-
mormorò Lilian con le braccia strette sulla pancia e la testa appoggiata al
bordo della barchetta, che guardava il mare blu filarle via a pochi centimetri
dagli occhi semichiusi. Era decisamente nervosa all’idea di conoscere tutta
quella gente quando la sua già scarsa attività celebrale era ancora più
rallentata dalla sonnolenza. Arrivati proprio sotto
al veliero, un sacco di uomini festanti accolsero il loro compagno che si
sbracciava a salutarli, felice, mentre veniva calata una scaletta di corda con
i pioli di legno per farlo salire a bordo. -Dai, vieni Lilì!- la
spronò lui, che con due salti fu a bordo del veliero di Marco; quella che
infatti era arrivata fin lì non era l’ammiraglia Moby Dick, che era andata
completamente distrutta a Marineford, ma la più modesta (seppur comunque
enorme) Seagreen Phoenix. -Ma no, meglio se
aspetto qui, è una faccenda privata, vi dovete salutare e… -Lady
Yaeger?- udì chiamare una voce. Dalla grande nave pirata Rea aveva notato la
folla di pirati festanti aprirsi per lasciar passare una persona, un ragazzino,
che l’aveva chiamata con
quell’appellativo così ufficiale. -Sono
io!- rispose lei di rimando, diffidente ma incuriosita. Vedeva male il suo
interlocutore, non ne distingueva esattamente i lineamenti. -Babb…
il Capitano la vuole a bordo! Salga!- la voce era acerba, anche se non certo da
bambino, forse si trattava di un ragazzo ancora più giovane di lei. Anche quel
modo di darle del “lei” tradiva una differenza di età. Una
folta massa di capelli ricci fece capolino tra tutti quei volti maschili e rudi. -Liliaaaan!!!!-
gridò questa ragazza. -Amelia!?-
riconobbe Rea. La sorpresa era tale che dimenticò ogni imbarazzo e fece per salire
svelta sui gradini di corda, mentre Rufy con le sue braccia di gomma allungò i suoi
bagagli sul ponte della Seagreen Phoenix, e salutò da lontano il fratello. -La
prossima volta che ci vedremo…- cominciò uno dei due. -…sarà
da veri pirati!- concluse il secondo. Erano almeno tre volte che si salutavano
in quel modo, tralasciando tranquillamente che fossero pirati fatti e finiti da
un bel pezzo. -Rufy!-
si voltò Lilian. Senza perdere un istante abbracciò stretto il ragazzo mentre
le Amazzoni la fissavano con le labbra strette e gli occhi ridotti a fessure.
-Stai molto attento!- si raccomandò. -Tranquilla,
ci vedremo nel Nuovo Mondo!- la rassicurò lui con un largo sorriso. Lilian si
arrampicò sulla scala a pioli che aveva condotto Ace sul veliero, preoccupata e
intimidita. Il ragazzo che l’aveva chiamata l’aspettava con la mano tesa verso di lei per aiutarla a sbarcare. La
ragazza, giunta alla fine della scaletta, l’afferrò più per educazione che per effettiva necessità, e mise così piede sulla momentanea ammiraglia di Barbabianca. Quando con un saltello leggero arrivò sul ponte, le armi rimbalzarono
e tintinnarono pesantemente sul suo corpo. I pirati la guardavano, chi con fare
canzonatorio e chi incuriosito, ma nessuno le si avvicinava. Una furia di ricci le si precipitò addosso stritolandola in un
abbraccio. -Oh, Lilian!- esclamò Amelia. -Sei viva!! Non sai che
paura…! Appena ti ho sentita nella
diretta sono scappata da Alexandra Bay…! -Amelia, che diamine ci fai qui? -Non farlo aspettare, vai!- incalzò la ragazza. -Gli ho raccontato
tanto di te! -Cos’hai fatto!?! -Vieni con me!- la incoraggiò il ragazzo che l’aveva aiutata a salire a bordo.
-Io sono Roy! I comandanti ti aspettano in coperta… -Roy! Basta chiacchiere, il babbo è impaziente!- ordinò una voce imperiosa oltre le
spalle di un gruppetto di filibustieri che sembrava analizzare le armi della
ragazza confrontandole con delle illustrazioni in un libriccino che sfogliavano;
loro si fecero da una parte e comparve Marco, il comandante della prima flotta
di Barbabianca. -La famosa Lilian Rea Yaeger!- si
rivolse alla nuova arrivata. Lilian si affrettò nella sua direzione, guardandolo incuriosita: era
alto, e proprio sulla sommità della sua figura campeggiava una buffa capigliatura di ciuffi biondi che
le dava l’impressione di
una palma scossa dal vento. Sul petto muscoloso dell’uomo faceva bella mostra un
tatuaggio enorme che raffigurava, geometricamente, la Jolly Roger della ciurma. -Io sono Marco, Primo Comandante.- si
presentò stringendole calorosamente la
mano. Aveva gli occhi piccoli e le sopracciglia formavano due arcate
incredibilmente regolari, quasi fossero state disegnate con un compasso, notò la ragazza. -Vieni, il vecchio ti aspetta! Non
riusciamo più a tenerlo
fermo!- sorrise incamminandosi nel corridoio, facendo cenno a Lilian di
seguirlo. -Aspetti…!- lo pregò la ragazza. -Chiamami Marco e basta!- le rispose lui
senza astio, non piacendogli il “lei” che gli aveva rivolto la nuova
arrivata. -Marco…- cominciò Lilian non senza difficoltà. -Io non vorrei disturbare, il
signore magari è occupato…- -“Il signore”…- mormorò divertito il Primo Comandante. -Tranquilla, non ti
succede niente!- Si fermò all’improvviso davanti ad una
grandissima porta e bussò con forza. Venne ad aprir loro un’infermiera alta e magra che sembrava un’indossatrice; l’uniforme rosa cipria era succinta
e sexy, e lasciava in bella mostra un paio di morbide gambe avvolte in uno
strato di nylon leopardato. I capelli biondi lunghi e boccolosi erano raccolti
in una coda alta che li faceva ricadere a cascata sulla schiena, ma il volto,
nonostante il trucco composto da eye-liner e mascara con un bel rossetto rosso
fuoco, era serio e professionale, da medico che non lascia fare una mossa ai
suoi pazienti. Che dire, Barbabianca seppur malato doveva trattarsi davvero
bene! Marco pareva essere abituato a quella
presenza autorevole e sensuale, e disse senza scomporsi: -Christina, l’ha mandata a chiamare lui, deve
entrare.- L’infermiera squadrò Lilian con le labbra strette, valutando se fosse il
caso di lasciarla passare o meno, ma se gli ordini del capo erano quelli c’era poco da protestare. -Prego.- disse infine, facendosi da
parte per lasciar passare la visitatrice. Marco le diede una leggera spinta ed
entrarono entrambi, e la pesante porta fu chiusa alle spalle dell’uomo. In quella stanza, che aveva come minimo
le dimensioni di un campo di pallavolo, c’erano altre infermiere dalle calze variopinte che
svolazzavano per la stanza, chi guardava una lastra confrontandosi con una
collega, chi portava boccette di medicinali, chi cambiava una flebo, chi
controllava dei fogli su una scrivania. Proprio in fondo, sotto un enorme finestrone che affacciava
sul mare, c’era il grande e
pesante letto di legno che ospitava, sotto uno strato di lenzuola soffici e
bianche, il padrone di casa. Rea, anche se la stanza era abbastanza
grande da non considerarsi, una volta entrata, vicina all’uomo, si sentì in soggezione: il letto in
posizione frontale rispetto alla porta permetteva agli occhi del vecchio di
piantarsi addosso a lei da quando aveva messo piede sul nuovissimo parquet di
quella sala, e ora che era entrata si sentiva infinitamente piccola in quell’ambiente troppo pieno di
infermiere, di bianco e di odore di medicinali . Provò un passo indietro, ma finì con l’appoggiarsi involontariamente al
Primo Comandante, che le mise saldamente le mani sulle spalle e la condusse
avanti senza troppe cerimonie. -Eccotela, babbo!- annunciò. Rea sollevò una mano. -Buonasera.- sussurrò dimenticandosi che fosse l’alba. Il volto del vecchio s’illuminò e un sorriso gli fece muovere
verso l’alto le punte dei suoi baffoni a
manubrio.
-Finalmente.- osservò Paul. -Cosa diavolo vuoi?- tuonò di malumore Doflamingo, avvolto
in un meraviglioso pigiama di piume rosa, i capelli in disordine, le ciabattine
cipria con il volto di un coniglietto sorridente sulle punte e gli occhiali da
sole violacei. -L’hai fatta mettere tu questa cifra a Yaeger? È assurda. Doflamingo afferrò il foglio che Blackwood gli
porgeva gelido, squadrò il volto della mocciosa ritratta e scoppiò a ridere. -Fufufufufu!!!- Si lasciò cadere su una delle sedie. -Io avevo chiesto una
taglia alta, ma non così tanto da farla diventare una Supernova… mi hanno preso in parola! Non li facevo così spiritosi, quei Marine del
cazzo!-
-Vieni avanti, ragazza!- esclamò gioviale Barbabianca pur senza
sollevare la testa dal cuscino con una voce grossa e profonda che fece tremare il
tavolato su cui posavano i piedi, mentre Rea si avvicinava al letto. -Non si muova così!- reclamò l’infermiera più vicina. -Le viene il livido dove c’è l’ago!- lo minacciò; Newgate infatti nel salutare la ragazza aveva allargato
le braccia in segno di accoglienza. -Guraguragura!- rise sguaiatamente il
paziente, terminando però con un colpo di tosse. -Shak, cosa me ne frega dei lividi, a questo punto?
Fammi ringraziare a dovere Lilian Rea Yaeger! Avvicinati Lilian, non avere
paura! Lilian avanzò fermandosi presso i pomi di
legno chiaro ai piedi del letto. -No, non lì!- protestò Barbabianca. -Non essere timida, vieni qui!
Spostati, Bey!- la incoraggiò l’uomo facendole spazio tra le
infermiere che si affaccendavano attorno a lui. Lilian finalmente fu vicina al
famigerato pirata. Ora riusciva a percepire chiaramente tutti gli anni che gli
pesavano sul groppone, ma la sua attenzione era calamitata sugli occhi color
miele che la fissavano, così dolci e colmi di gratitudine per aver salvato quello scavezzacollo del
figlio che la ragazza arrossì ancora di più, stringendosi nella felpa che non si era ancora tolta. Lì faceva caldo, ma per nulla al
mondo avrebbe rischiato di scoprire su quella nave il tatuaggio infamante che
le sporcava le spalle. -Ti ringrazio dal profondo del cuore per
aver salvato mio figlio e per esserti presa cura di lui e di suo fratello.- le
disse serio, tendendole la manona destra, coperta di fasciature e cerottini,
alcuni dei quali decorati con dei pupazzetti colorati. Lilian, rassicurata
dalla distanza che le assicurava la lunghezza stessa del braccio, strinse
quella mano calda e grande con vigore e fiducia, mentre il vecchio le
sorrideva. Salvo poi tirarla a sé e abbracciarla a tradimento. -Grazie per tutto quello che hai fatto!-
le sussurrò con una vociona
calda e bassa, dando però a Lilian la sensazione che quello non fosse affatto un sussurro. -Grazie
per aver salvato Ace e per aver salvato anche me e tutti gli altri.- le disse
commosso, avvolgendo la ragazza. -Signor Edward, stia fermo! Non si muova
così tanto, è pericoloso!- smaniarono le
infermiere con tutto quel trambusto che stava combinando il paziente, che
continuava imperterrito: -Mi dispiace per quel Canadair, Amelia me ne ha
parlato, se ci fosse qualcosa che posso fare per te, qualsiasi cosa…- Lilian non riusciva a dire niente: se
qualche infermiera avesse un attimo sbirciato alle spalle di Edward Newgate
avrebbe visto una faccina che affiorava tra il bianco delle lenzuola e della
camicia del vecchio, così rossa dall’imbarazzo da essere diventata blu, ma quello forse non era imbarazzo, era
asfissia. Rea non s’immaginava che quell’uomo l’avrebbe stretta in quel modo, non poteva essere vero
che un pirata così forte, così potente, così anziano, potesse essere grato a lei! poteva avere il mondo intero ai suoi
piedi, e Marina a parte l’aveva, eppure stava ringraziando proprio lei. -I-i-i-io non ho fatto… non ho fatto niente signore, è stato… non è stato niente di straordinario…- si schermì la giovane. -Non dire sciocchezze!- la rimproverò bonariamente Barbabianca,
rimanendo sul cuscino e sciogliendo l’abbraccio mentre afferrava saldamente le esili mani di Lilian,
che cercava di mantenere lo sguardo del capitano, pur senza abbandonare quella
bella tinta porpora che si estendeva dai capelli al collo. -Grazie a te abbiamo ottenuto quello che
volevamo, liberare Ace, e hai pagato un prezzo altissimo! Accetta la mia gratitudine!
-Ma ma ma certo signore, non volevo
offenderla, mi creda, mi scusi!- balbettò Rea, che non voleva ferire i sentimenti quell’uomo dall’aria così mansueta nonostante la nomea da
pirata che si trascinava dietro da almeno mezzo secolo. -Io io io le sono molto
riconoscente di avermi fatto salire sulla sua nave, e sono onorata dalle sue
parole, davvero…- -Ehi vecchio!- trillò una voce dall’entrata. -Lilì è arrivata?- Ace fece capolino dalla porta, e mai la
sua voce fu più benvenuta per
Lilian: sperava che alleggerisse la situazione melodrammatica che si era venuta
a creare. -Se la tratti così però la spaventi!- rise il ragazzo,
avvicinandosi al letto mentre il voluminoso Barbabianca riprendeva un po’ di contegno, e le infermiere
sospiravano di sollievo: per quanto fossero strapagate, quel paziente era
davvero riottoso. -Meno male che hai tutta questa energia però!- ammise Ace. -Al lumacofono,
sembravi davvero nella fossa!- -Guraguragura!- cominciò a sghignazzare il vecchio.
-Nella fossa io!? Una gran bella battaglia a Marineford ma nella fossa io… coff!- tossì un fiotto di sangue, e tutte le
infermiere gli furono addosso sollecite e attente, mentre Ace si scansava e le
lasciava lavorare, rabbuiandosi in volto. Anche Lilian si era fatta da parte per
lasciare spazio all’equipe, approfittando per riprendere fiato dal momento imbarazzante di poco
prima. Adesso che l’aveva conosciuto, capiva bene come quella persona fosse un punto di
riferimento per tutti quei ragazzi, e cominciava a comprendere quanto fosse
stato importante per tutti l’aver interrotto la guerra senza colpo ferire, lasciando che le flotte
pirata si ritirassero evitando ulteriori perdite. E guardando le condizioni di
Edward Newgate e tutte le infermiere preoccupate e solerti, poteva immaginare
che una delle vittime di quella battaglia avrebbe potuto essere proprio lui; il
semplice fatto di stare costretto a letto con appena le forze per sollevare il
capo dal cuscino quando il suo spirito era così vivo e brillante era un importante indizio
di quanto fosse grave la situazione. Lo stormo di infermiere si diradò, e la conversazione con il
capitano potè continuare. -Amelia ti ha già parlato degli esperimenti di
Caro Vegapunk su voi piloti?- domandò serio Newgate. Dietro le quinte… Conoscere la famiglia del proprio ragazzo/compagno/amico/boy/persona-con-la-quale-ti-scambi-tenerezze
è sempre imbarazzante, poteva essere questa l’eccezione? Con Barbabianca? Con Barbabianca
che per di più è così felice che tu gli abbia recuperato il figlio? No Lilian, era
un momento che non potevi evitarti, e il vecchio Edward pur di stringerti la
mano ti avrebbe dato la caccia a suon di Gura-Gura. Ciao lettrici/lettori (ci sono maschi all’ascolto? Io
immagino sempre di rivolgermi ad un gineceo, ma non mi dispiacerebbe sentire
opinioni maschili)! Si vede che mi sono divertita sadicamente a scrivere questo
capitolo? Come avete trovato Barbabianca? Sono molto timorosa, vi prego di segnalarmelo
nelle recensioni: è OOC? È un atteggiamento diverso da quando ricevette Shanks
o quando intervenne a Marineford, però la situazione è anche completamente
cambiata, lì era sul piede di guerra ed erano occasioni molto ufficiali, mentre
qui siamo “in famiglia”. Secondo voi?? >.< I nomi delle infermiere riprendono quelli di cantanti
famose! Ne avete riconosciuta qualcuna? Voglio ringraziare tutte le ragazze che commentano, sia
le fedelissime che le ultime arrivate… siete meravigliose!! Grazie! Mi date la
spinta per continuare a pubblicare, la storia è anche merito vostro!! Yellow Canadair Ps. Qualcuno ha letto l’ultimo capitolo uscito (il
731)?
Pps. Ho appena scoperto (fonte: Wikipedia) che la parola “Jolly Roger”
è sostantivo femminile. Sono sconvolta.
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Capitolo 20 *** Lilian, la cavia ***
[zipedit] Lilian, la
cavia
-Dunque
ragazza, Amelia mi ha parlato del vostro passato.- parlò serio Newgate. -Sei
un’ex collaboratore della Marina.
-Sissignore.-
confermò Lilian. Non lo nascondeva, non se ne vergognava. Non c’era nulla di
cui pentirsi, nemmeno al cospetto di un pirata di quel calibro.
-Marco,
chiama Amelia.- ordinò Barbabianca all’uomo che aveva scortato Lilian fin lì,
che annuendo uscì dalla sala.
-Lilian,
in questo momento hai dove stare?- domandò Barbabianca solenne.
La
ragazza esitò, guardò Ace pensando che gli avesse detto qualcosa sul suo
desiderio di averla nella ciurma, ma il ragazzo era altrettanto sorpreso da
quella domanda, posta in maniera così improvvisa.
-Non…
non ho piani precisi…- balbettò e guardò verso Ace come a cercare un appiglio.
Lui capì e intervenne.
-Le
ho chiesto di entrare nella mia ciurma come cecchino, ma ha qualche riserva.-
spiegò.
-Ecco
signore, non vorrei sembrarle un’ingrata ma… io un padre ce l’ho, quindi
sarebbe, come dire…- arrossì cercando le parole più diplomatiche che poteva.
-No,
lascia perdere questo problema adesso.- accantonò Newgate. -Hai un posto sicuro
dove nasconderti?
Lilian
aggrottò le sopracciglia e guardò interrogativa l’uomo; si sarebbe aspettata
domande sul suo passato, essendo stata sotto la Marina e sotto Teach, magari su
come lei ed Ace si fossero incontrati, ma non certo una cosa del genere.
-La…
la casa dei miei? Però è lontana da qui…- disse la prima cosa che le saltò in
testa.
-No,
è il primo posto dove ti cercheranno.
-Che
vuoi dire, vecchio?- si preoccupò a quel punto Ace. Lo conosceva abbastanza per
intuire che dietro quelle domande ci fosse qualcosa di molto serio; il tono era
infatti troppo solenne, troppo accigliato perché i suoi dubbi riguardassero
unicamente la taglia di Lilian e il rischio che correva con i cacciatori di
taglie alle calcagna. Quella non sarebbe stata la prima volta che Barbabianca
dava protezione a qualche ricercato pur non prendendolo nella ciurma, Ace non
capiva perché il padre fosse così preoccupato.
-Eccomi,
Edward!- esclamò Amelia entrando con Marco.
-Amelia,
meglio che sia tu a raccontare tutto a Lilian… potete anche uscire, se volete.-
concesse Barbabianca.
-Lilian,
ti devo spiegare alcune cose.- le disse gentilmente Amelia. -Vogliamo uscire?
-No,
racconta pure qui, non è un problema.- Lilian cominciava a seccarsi per quella
situazione, i presenti sapevano palesemente qualcosa che la riguardava, ma
l’unica ad esserne all’oscuro era lei, e non lo sopportava.
-Lilian,
tu scappasti dalla base di Alexandra Bay perché avevi scoperto a cosa servisse
realmente l’acqua che convogliavamo con i Canadair, giusto?
Lilian
si accomodò su una sedia che Marco le offriva; in quella sala ce n’erano
parecchie, perché spesso e volentieri molti membri della ciurma andavano a
tener compagnia al padre. Adesso il gruppetto di ospiti era seduto comodamente
vicino a Newgate, chi sulle sedie e chi, come Ace, direttamente sulle candide
lenzuola, con disprezzo e disappunto delle infermiere che con un cenno di
Barbabianca erano sciamate fuori.
Erano
rimasti attorno al capezzale di Barbabianca solamente Marco, Ace, Lilian e
Amelia.
-Come
lo sai?- chiese Rea dopo pochi istanti. -Non lo sa nessuno.- nessuno a parte Pugno
di Fuoco, gli aveva raccontato di quando era sotto la Marina mentre erano
prigionieri di Teach, ma non poteva averlo raccontato ad Amelia in quei venti
minuti scarsi che era a bordo!
-Avevi
scoperto che l’acqua dei quattro mari veniva usati in esperimenti che
uccidevano i possessori dei Frutti del Diavolo, giusto? Infatti Caro Vegapunk
sta creando una sostanza, l’agalmatolite liquida, che una volta nel corpo di un
possessore del Frutto del Diavolo ne annulla i poteri. Per ora non hanno
trovato una miscela che non uccida anche le vittime, quindi hanno prodotto solo
dei prototipi, usandoli su proiettili. Chiaro?
-Proiettili
di agalmatolite… liquida, che invece di bloccare semplicemente il Frutto, lo
annullano e quindi uccidono il suo possessore. Va bene.- ripetè Lilian con le
mani in avanti, aggrappandosi alle parole della compagna e cercando di non
perdere il filo del discorso. -Quindi nonostante la mia fuga, il progetto è
andato avanti?
-Sì,
finchè hanno avuto l’acqua dal Mare Meridionale.- confermò Amelia. -Ma c’è una
cosa molto più importante, oltre a quello…- continuò. Ti è mai capitato di…-
cercò le parole giuste. -Di sparire? Voglio dire, non essere vista o percepita
con l’Ambizione?
Un
lampo attraversò la mente di Lilian: con le Amazzoni alle Sabaody; nella base
della Marina; con Ace e Rufy; di notte nell’infermeria, quando quel falco di
Trafalgar Law non l’aveva degnata d’uno sguardo.
Amelia
capì che all’amica capitava proprio quanto da lei immaginato.
-Lilian,
non dare di matto. Sei stata usata… siamo
stati usati come cavie per degli esperimenti.-
Lilian
rimase in silenzio fissando gli occhi turchesi della compagna. Scuoteva
lievemente la testa. -Non è vero.- rispose spaventata. -Non ricordo niente del
genere, non possono…
-Tutti
noi piloti dei Canadair siamo stati selezionati per via di un debole potere
latente, che non sapevamo nemmeno di possedere, e l’hanno sviluppato.- spiegò
subito Amelia.
Ancora
silenzio. Ace si spostò vicino alla ragazza e le mise una mano sulla spalla
protettivo, gesto che non sfuggì agli amorevoli occhi di Barbabianca, ma Lilian
non lo considerò. -Che mi hanno fatto?- chiese passandosi nervosa le mani sulle
braccia e sul ventre, sentendosi improvvisamente violata.
-Solo
questo. Siamo stati il primo passo di una serie di sperimentazioni su un tipo
di Ambizione che blocca le altre e distorce la percezione della realtà! Noi
piloti siamo quattro cavie, ci hanno somministrato per mesi sostanze prodotte
in laboratorio per potenziarla, ma non è ancora perfezionata, servono altri
esperimenti che però sono molto pericolosi, e Caro Vegapunk ha interrotto il
progetto qualche settimana dopo che sei scappata!
-Ma…
ma allora le selezioni all’inizio…- rimuginò Lilian.
-Era
per cercare persone con questa capacità innata… l’hanno chiamata “Contro-Ambizione”,
perché di fatto inibisce le altre.
-Quindi
io…- sussurrò Lilian illuminandosi. -Io posso sparire a piacimento! Ho il
potere dei ninja!- esclamò.
Amelia
non si aspettava quella reazione, nei suoi piani Lilian doveva essere sotto
shock per l’essere stata usata come cavia, invece era partita in quarta con il
suo “potere ninja”.
Lilian
richiamò immediatamente la Contro-Ambizione, sparendo agli occhi di tutti e
beandosi delle espressioni sorprese degli astanti. Mise un dito nel naso e fece
una linguaccia ad Amelia, che continuava a fissarla, e cominciò a canticchiare:
“…quattro tartarughe per difendere la Terra,
viva i ninja… ninjaaaa…”.
-Ehi
Michelangelo, io ti vedo e ti sento!- la sgridò, rifilandole un ceffone sulla zucca
e facendole fare un saltello in avanti. -Prendi la cosa sul serio!!-
-Ma
allora è un potere fasullo!- protestò Rea, ricomparendo delusa.
-No,
tra noi piloti no, perché forse siamo… siamo esperimenti riusciti a metà.-
ammise la ragazza.
-E
cosa vogliono da questa nostra… capacità? Perché la vogliono perfezionare?
-Inizialmente
per questioni militari… Caro Vegapunk è riuscita a costruire un macchinario in
grado di estrarre l’Ambizione, è con quello che verranno condotti i progetti.-
spiegò Amelia. -Ma in realtà c’è dell’altro…-
-Amelia,
basta così. Riprendiamo tra qualche minuto.- ordinò Barbabianca che aveva
intuito che le sue infermiere volevano lavorare in pace dal fatto che erano
silenziosamente tornate nella stanza e dalle occhiate iraconde che gli
rivolgevano. “Lei si sforza troppo”,
dicevano i loro occhi. “Dovrebbe rimanere
tranquillo, e non organizzare festini qui dentro!” saettavano silenziosi, e
con “festini” intendevano qualsiasi visita: erano molto severe, nonostante
l’aspetto.
Ace,
Marco e Amelia scortarono Lilian in cucina, dove i filibustieri, data l’ora,
stavano facendo rumorosamente colazione; davanti a lei arrivarono subito
cornetti, panini dolci, torte profumate, pane imburrato e caffellatte. Si voltò
sorpresa a guardare chi portasse tutto quel ben di Dio, ma tutto ciò che vide
prima che il cuoco se ne tornasse in cambusa fu un gran sorriso gentile. Fu
attorniata da un gruppo di pirati curiosi, che erano venuti a conoscere la
pilota di cui aveva parlato loro Amelia e che aveva salvato il fratello.
In
quel momento non erano presenti tutte e sedici le flotte, ma i capitani
disponibili andarono subito a porgere i loro saluti all’ultima arrivata.
-Enchanté mademoiselle!- le sorrise
galante un uomo con le spalle larghe e una tuba in mano. -Sono Vista, capitano
della Quinta Divisione!- e le fece il baciamano, pungendole lievemente le dita
con i lunghi baffi.
-Jaws!-
gridò Ace, notando il compagno che non si avvicinava, schivo. -Vieni anche tu,
dai! Lilì, lui è “Diamond” Jaws!
-Se
ti serve un aiuto, vieni da lui!- le disse entusiasta Amelia, stringendosi al braccione
del pirata, che chinò il capo, riluttante ad avvicinarsi.
-Lei
è troppo gentile, signorina Amelia.- disse con voce bassa.
-Ace,
sei qui?- vociò un uomo con i dreadlock biondi affacciandosi alla porta della
cambusa.
-Rakuyou! Non ti hanno ancora impiccato? Halta e Curiel ci sono?!-
-Halta
sta arrivando con il Lancelot, sarà qui domani, Curiel è ripartito subito dopo
Marineford!
Lilian
respirò di sollievo guardando i volti sorridenti attorno a lei. Così quella era
la famiglia di Ace. Non sembrava male, erano tutti gentili con lei, e anche se
era un po’ intimidita e si stringeva nella sua felpa si sentiva tutto sommato
serena. O meglio, si sarebbe sentita serena, ma lo spettro di quello che aveva
scoperto cominciava ad allungare le dita nere sulla sua felicità. Non avrebbe
mai nemmeno lontanamente immaginato di possedere un’Ambizione, e ora cominciava
a spiegarsi perché alle selezioni, con tutte le persone disponibili,
disciplinate, colte, atletiche e capaci, fossero andate a scegliere proprio
lei, che marinava gli allenamenti con i Marine per scappare al poligono di
tiro, dal contadino con quattro ronzini dietro alla base della Marina, o per
bighellonare con Pierre nei vicoli di Alexandra Bay.
-Amelia,
quindi quello che so fare io lo sai fare anche tu?- domandò spostando con
noncuranza il vassoio dei croissant via dalle mani di Ace. -E basta mangiare
tu, sono miei!- protestò. -Fai più schifo di Trinità!-
-Sì,
il risultato è stato lo stesso per tutti e quattro, credo…- spiegò Amelia, e le
sfuggì un singhiozzo, la voce le si incrinò, Jaws le porse subito un
fazzolettino. -Oh, Lilian!- Charlie è stato rapito!
-Charlie??
Tuo fratello??-
Charlie
Lehired era un ragazzo di circa trent’anni, nato nel mare orientale ed era il
fratello maggiore di Amelia. I due formavano una coppia davvero bella, entrambi
molto alti, abbronzati e con un gran sorriso che spiccava sotto i riccioli
mori. Avevano aderito come Lilian al progetto della Marina che prevedeva i
Canadair ed erano stati entrambi selezionati.
-L’ha
rapito Paul!
-Paul
ha rapito Charlie??- ripetè Lilian stupita, adesso la faccenda cominciava
decisamente a complicarsi.
-Caro
Vegapunk dopo che sei scappata ha sospeso il progetto perché aveva capito che
era troppo pericoloso continuare, e inoltre per farlo serviva che tu facessi
ancora da cavia… ma Paul, che al contrario di noi tre era al corrente di tutto,
voleva proseguire con gli esperimenti e perfezionare la Contro-Ambizione!-
-E
Caro gliel’ha permesso??
-All’improvviso
è diventato lui il capo del progetto! Ma io credo che abbia falsificato i
documenti, Lilian! E subito dopo è sparito Charlie!!- scoppiò in lacrime la moretta.
I pirati della ciurma tentarono di consolarla rimanendole vicino; ormai avevano
sentito tante volte quella storia, e in virtù del profondo sentimento di
fratellanza che li univa, non potevano che sentirsi vicini a quella ragazza.
-Lo
vorrà usare come cavia!! Userà su di lui il macchinario per estrarre la sua Contro-Ambizione!-
strillò Amelia. -Io dovevo essere la prossima… mi ha chiusa in uno stanzino, mi
ha raccontato di tutto e ha cercato di convincermi a collaborare ma quando ho
rifiutato ha minacciato di far sparire anche me! Io all’inizio ho fatto finta
di essere d’accordo e fortunatamente pochi giorni dopo c’è stata Marineford! Ho
approfittato del fatto che tutti stessero seguendo la diretta per scappare con
il mio Canadair, proprio come avevi fatto tu, e sono corsa a cercarti!
-E
Charlie??-
-Non
dovrebbe morire…- si soffiò il naso la ragazza. -Ma è una cavia umana, Lilian,
e quel macchinario è una mostruosità… ora Paul vuole me e te, solo attraverso
gli esperimenti su noi quattro al completo riuscirà ad ottenere la Contro-Ambizione
perfezionata! Ti immagini l’applicazione? Può sparire a piacimento, magari
senza nemmeno concentrarci e non dormire come facciamo noi ed è immune
all’Ambizione degli altri!
-Dove
diavolo vuole arrivare?- riuscì a chiedere Ace in mezzo a quel fiume di parole,
ma non ebbe risposta, forse perché nemmeno Amelia l’aveva.
-Caro
Vegapunk negli ultimi tempi ha cominciato a fare ricerche sul conto di Paul, a
cercare di fermarlo… quando sono scappata era ancora al laboratorio…-
singhiozzò Amelia.
Le
due ragazze si abbracciarono strette senza parlare. Lilian fece mentalmente
“ciao ciao” a quella che pensava essere l’inizio di una parentesi tranquilla:
dovevano salvare Charlie e fermare Paul.
-Caro
è riuscita a fare qualcosa, dopo?
-Non
lo so, lei era contraria ad altri esperimenti su di noi… Paul però non si
fermerebbe davanti ad un suo rifiuto ormai!
-E
dove tiene Charlie?- decise d’insistere Lilian.
-Non
lo so! Forse ancora ad Alexandra Bay!
Quella
sera si festeggiò il ritorno di Ace a casa; l’ambiente era decisamente meno
elegante che ad Amazon Lily ma Lilian apprezzò molto di più l’atmosfera
goliardica che si respirava sulla Seagreen Phoenix, senza contare che era
libera di fare quello che voleva, niente lavoro, niente abiti ingombranti.
Marco
l’aveva fatta alloggiare nella stessa camera di Amelia, e alle due ragazze la
soluzione piacque molto anche se il Comandante non la finiva di scusarsi.
-Abbiamo perso la Moby Dick e altre due navi a Marineford.- diceva -E stiamo ospitando più persone di quante
potremmo.-
-Per
noi non è un problema.- lo rassicurò con un sorriso Amelia, mentre indicava a
Jaws dove lasciare la coperta in più che aveva portato dal magazzino. La
ragazza dagli occhi turchesi era a bordo da più tempo e aveva risvegliato uno
strano istinto di protezione in tutta la ciurma di rozzi lupi di mare, che la
aiutavano in qualsiasi cosa avesse bisogno. In quel caso, Amelia aveva chiesto
semplicemente al Comandante della Terza flotta se pensava che quella notte
avrebbe fatto più freddo.
La
festa tuttavia si tenne in sordina: c’era Barbabianca che versava ancora in
gravi condizioni e anche se aveva dato la sua benedizione per fare tutto il baccano
che volevano, furono gli stessi figli a ritener saggio non esagerare e non
passare troppi alcolici al vecchio. Ma nonostante queste restrizioni, sulla
Seagreen Phoenix si danzò e si bevve fino a tarda notte: i pirati suonavano
antiche ballate marinaresche e tutti ridevano e scherzavano; persino Amelia,
che era ancora molto preoccupata per la sorte del fratello, si fece convincere
da un galantissimo Vista a ballare con lui.
Se
con i racconti di Jinbe Lilian si era impressionata fino agli incubi, con i racconti
dei figli di Barbabianca avrebbe potuto persino sorridere: i pirati si beavano
dei suoi occhioni sognanti quando le descrivevano con perizia di dettagli uno
scontro epico contro Mihawk o contro Aokiji, e le tinte non erano mai così
tragiche come era stata in effetti la realtà. Alla ragazza sembrava di
ascoltare una storia meravigliosa, in cui anche se il protagonista si faceva
male alla fine trionfava comunque.
-Non
farti incantare!- la rimproverò Ace ridendo tra un boccale e l’altro. -Sono
tutti bravi a parlare, sul campo di battaglia è un’altra cosa!-
-Sentilo,
ha parlato quello che è stato tutto il tempo seduto comodamente sul palco!- lo
rimbeccavano i fratelli. -Ti mancavano solo i pop-corn!- risero.
Ma
anche Lilian aveva qualcosa da raccontare, e non mancò di descrivere almeno
quattro volte a tutti i presenti della spettacolare planata su Marineford, e fu
molto sorpresa di sapere che Marco, volando, era riuscito a raggiungere il suo
aereo.
-Tu
voli?- si stupì la ragazza, pensando quasi che la stesse prendendo in giro,
anche se non le sembrava il tipo da fare certi scherzi.
-Lo
chiamano “La Fenice” mica per sport!- rise un ragazzo. -Dalle un assaggio,
Marco!-
Marco,
senza perdere la propria espressione tipicamente scocciata, fece scaturire
dalle proprie spalle un’intensa fiammata turchese che si allargò sulle braccia,
formando due superbe ali che ammaliarono Lilian. Poi con la lingua rosea che
saettava tra i denti fece un sorrisetto soddisfatto, guardando la ragazza che
lo fissava ammirata.
-E
dimmi un po’, Comandante!- stuzzicò Vista mettendo un braccio attorno alle
grosse spalle di Ace, ancora in parte solcate dalle ultime fasce che Law non
gli aveva permesso di togliere. -La ragazza chi è?-
-Come,
“chi è”?- si stupì il ragazzo. -Lilian Re…-
-Lo
so benissimo come si chiama!- protestò lo spadaccino. -Ti ha salvato il culo
per puro spirito di beneficenza o… c’è dell’altro?
del succulento altro?
Ace
capì le intenzioni del fratello e arrossì, nascondendo il volto nel boccale. -Sei
peggio di una comare.- mormorò. Lo spadaccino considerò Lilian, intenta ad
ascoltare Rakuyou che sicuramente le stava rifilando qualche spacconeria delle
sue.
-Sembra
una fatina!- ridacchiò il baffuto pirata, notando come si era appollaiata su
uno sgabello; pareva una di quelle illustrazioni delle creaturine alate sedute
sui fiori.
-Una
fatina?- ripetè Ace incredulo; non gli era mai passato per la testa di
paragonarla ad una roba del genere. -È… è fuori di testa, cavalca, spara, non
si ferma un attimo, è…- Lilian stava pregando Rakuyou di raccontarle di nuovo
chissà che scena; ora le gambe nude e abbronzate pendevano dallo sgabello, ai
piedi del quale giacevano i vecchi infradito. Con le nocche stringeva il legno
del tavolo, eccitata per l’ennesimo racconto della serata. Le storie dei reduci
si accavallavano e si arricchivano l’una con l’esperienza dell’altro, ed Ace
vide finalmente Lilian libera da tutti i fardelli che si trascinava dietro da
quando l’aveva conosciuta. Anche se si sentiva ancora un’estranea lì, adesso
era a casa sua, un luogo dove poteva considerarsi al sicuro. Anche da quel
bastardo di Blackwood.
-Allora?
Cos’è?- Vista interruppe i pensieri in cui si era perso il fratello.
-Un’…
un’amica.- decise esitante Pugno di Fuoco. -Ci siamo conosciuti mentre davo la caccia a Teach, ci siamo
salvati la pelle a vicenda un po’ di volte.-
-Adesso
è saltato fuori che è in pericolo.- disse lo spadaccino. -Di chi è il turno
ora?-
Ace
ghignò e prese un altro sorso di birra. -Mio, credo.-
-E
se non lo fosse?- azzardò il Quinto Comandante.
Ace
sogghignò. -Chi se ne frega, non la abbandonerei certo a quello stronzo.- disse
in un lieve ringhio, riferendosi a Paul Blackwood.
Vista,
che giovane non era più e che conosceva bene suo fratello, intuì che oltre alla
rabbia c’era dell’altro in quell’affermazione, ma non replicò; sorrise
soddisfatto, e poi il suo sguardo fu catturato dalla ragazzina che, in piedi
sullo sgabello traballante, raccontava di come avesse planato sulla barriera di
ghiaccio a Marineford.
Chi
si ritirava per dormire come Amelia, chi dormiva già sul ponte, chi beveva
ancora gli ultimi sorsi di sakè. Un pirata corpulento, Kingdew, sfilò dalla
custodia una chitarra e cominciò a suonare un motivo dolce e malinconico.
Lilian
era affacciata al parapetto del veliero, pensierosa, con un boccale ancora in
mano e i pensieri persi nel mare che si muoveva nero a diversi metri da lei.
Decise come impiegare i soldi guadagnati cantando ad Amazon Lily: avrebbe
comprato un’imbarcazione; Ace le aveva parlato spesso del suo Striker, una
sorta di motoscafo con il motore che veniva alimentato dal fuoco del ragazzo,
non le sarebbe dispiaciuto muoversi in questo modo per il mondo… anche se
usando, per ovvie ragioni, un carburante diverso. Non sarebbe stato affatto
male: pratico e veloce. Avrebbe potuto scappare dai cacciatori di taglie senza
necessariamente legarsi ad una ciurma di pirati, cosa che non riusciva ad
accettare completamente. Ma sola sarebbe stata al sicuro? Era in grado di
difendersi? Si ricordò di quando fu attaccata alla fattoria di Moda; no, non
era in grado di farlo. O meglio, ne era in grado, ma se le cose si fossero
messe al peggio, se gli aggressori fossero più d’uno? C’era una molteplicità di
variabili che bisognava considerare… ma non dopo una festa, non con della birra
in corpo, non con Ace a pochi metri che le si avvicinava dolcemente.
Lilian
si voltò appena, sorridendo.
-Ti
aspettavo.- mormorò appena il ragazzo le circondò le spalle con il braccio
tatuato, affacciandosi accanto a lei. In realtà non lo stava esattamente
aspettando, sapeva che lui stava ridendo e scherzando con i suoi fratelli e se
non fosse arrivato lei non se la sarebbe presa; sarebbe andata a cercarlo,
chiedendogli solo cinque minuti da soli prima di dargli la buonanotte.
-Io
pensavo fossi a letto da un pezzo!- disse il ragazzo sfiorandole i capelli con
un bacio. -Già quando eravamo a tavola si vedeva che eri stanca.- le strizzò un
occhio. -Giornata pesante, vero?-
-Un
po’.- ammise lei cingendogli i fianchi. -Però è una bella famiglia.- sorrise,
pensando alla sua così lontana. Si rifugiò sul petto di Ace, stordita dalla
birra. -Ho sonno.- sussurrò.
-Vai
a letto allora.- le rispose il pirata, scostandole i capelli ribelli dal viso e
baciandola, mentre l’attirava dolcemente a sé. Lilian sorrise e rispose al
bacio beandosi tra le braccia forti del ragazzo, sentendo tutti gli addominali
che premevano sulla sua felpa morbida.
-Questa
non te la vuoi togliere?- ammiccò Ace, sollevando un pochino un lembo
dell’indumento con un sorriso malandrino.
-No,
sei matto?- esclamò Lilian cambiando improvvisamente espressione. -Lo sai cosa
c’è sotto…-
-Oh,
vorrei tanto vedere!- la stuzzicò Pugno di Fuoco.
-Intendevo
il tatuaggio…- esplicitò Lilian, poi sorrise furba. -Oh, e vorresti solo vedere? Che delusione.-
-Non
mi tentare, Lilì…- le sussurrò all’orecchio Ace, con voce bassa e roca.
-Perché
no…?- mormorò la ragazza ad un soffio dalle labbra di lui, lasciando le proprie
dita vagare voluttuose sui suoi addominali, sul basso ventre. Le cadde lo
sguardo in basso, su quella cintura dalla fibbia recante l’iniziale del
ragazzo, che aveva l’aspetto così pesante da minacciare di far scendere quel
pantalone… non sarebbe stata poi una cattiva idea.
Le
mani roventi di Ace si insinuarono lascive al di sotto della felpa di Lilian
facendola rabbrividire di piacere mentre la chitarra andava malinconica, poi il
pirata prese in braccio senza sforzo la sua donna e s’incamminò nel corridoio
della nave sparendo nel buio.
Dietro le quinte…
Ta-daaaan! Ecco le oscure trame di Paul Blackwood,
gentilmente offerte in pasto a voi lettori dal mio (sadico) ragazzo. Se gli
dite qualcosa di carino, farà un balletto come Chopper. Ma serio, tutta la
storia dell’agalmatolite, dell’Ambizione, dei quattro piloti, di quel bastardo di
Paul, è farina del suo sacco. Ed è gelosissimo di Ace, chissà perché.
Se non avete capito qualche passaggio, chiedete.
Se la spiegazione di Amelia (quindi mia) non è stata abbastanza chiara, chiedete.
Non vi preoccupate, sono qui apposta, il “dietro le quinte” serve a questo. Con
una recensione mi farete oltremodo contenta *^* anche negativa, anche critica.
La canzoncina che canta Lilian è la sigla delle
Tartarughe Ninja (la serie di inizi anni ’90… so che ne hanno fatta un’altra di
recente, ma lo sapete che sono nostalgica come una vecchia zia e ho pensato a
quella originale). Non sta scritto in nessuna SBS che in One Piece non ci
fossero i cartoni delle Tartarughe Ninja.
E vi annuncio la… PAUSA NATALIZIA!!! Che poi in realtà
pausa non è. I mercoledì a seguire saranno però Natale e Capodanno, quindi non
posso garantire che sarò precisa al millesimo con la pubblicazione, ma ci
proveremo!!!
Un grande bacione e buone feste,
Yellow Canadair
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Capitolo 21 *** Sete di vendetta ***
[zipedit] Sete di vendetta
Lilian si
svegliò quando un raggio di luce entrò nella stanza, disegnando i contorni dei
mobili della cabina di Ace; il ragazzo dormiva ancora, a pancia in su con
braccia e gambe a Quattro Bastoni. Lei
era rimasta raggomitolata dove il letto si appoggiava alla parete di legno, ma
era riparata da una coperta di lana grossa che Ace le aveva messo addosso
quando, nuda, aveva cominciato a stringersi a lui non solo per affetto, ma
soprattutto per necessità.
Guardò nella
penombra il volto del ragazzo, sereno e rilassato, così diverso da quando erano
prigionieri di Teach, dove sentire dei passi in corridoio poteva voler dire
altre botte, altri insulti, e dove lui la svegliava di soprassalto solo per
evitare che a ghermirla dal sonno fossero le mani fredde e violente di Lafitte.
Lo scalpiccio lieve che di tanto in tanto si sentiva ora da fuori invece era di
amici fidati. Non c’era nessun ghigno, nessuno sguardo di sfida, nessun solco
increspava l’espressione beata del ragazzo, e Lilian pensò che sicuramente
stava facendo dei bei sogni.
Si trascinò
con la coperta addosso, che era diventata il suo bozzolo, al fianco di Ace,
sicura del suo sonno pesante, per mettersi comoda a riacchiappare il sonno
perso; spinse il naso contro il fianco del ragazzo e afferrò la sua mano per
farsi avvolgere dal suo braccio. Gli scostò dagli occhi un ciuffo ribelle e gli
sfiorò assorta gli archi delle sopracciglia, scese su una guancia, fra le
lentiggini da ragazzino, e rimase ad accarezzarlo dolcemente senza svegliarlo. L’ultima
cosa che vide prima di addormentarsi di nuovo fu il torace del compagno che si
abbassava ritmicamente in un respiro pesante e tranquillo.
-AH! SEI
QUI!- La porta della cabina si spalancò all’improvviso, aperta da un grosso
pirata le cui spalle occupavano tutta la soglia, a petto nudo e con un sigaro
in bocca.
Lilian gridò
spaventata, scattò in ginocchio sul letto tirandosi la coperta fin sulla gola
con una mano e impugnando una delle pistole con l’altra.
-Fu… fuori!!-
gridò isterica, paonazza dalla vergogna, mezzo accecata dalla luce del giorno
che entrava dall’uscio.
-Ciao Fossa.-
mugugnò Ace tranquillo, girandosi a pancia in giù e affondando il viso nel
cuscino.
-MI STAI
PRENDENDO IN GIRO?! “Ciao Fossa” un corno!- protestò l’omaccione ignorando Rea.
Afferrò Pugno di Fuoco per il collo e lo trascinò fuori dal letto.
-TI RENDI
CONTO DELLO SPAVENTO CHE CI HAI FATTO PRENDERE??? E VOLEVI PURE FARE IL CRETINO
CON AKAINU??- urlò sbattendo il compagno contro il muro e svegliandolo del
tutto.
-Stava
insultando nostro padre!- si difese il ragazzo con la voce roca dal sonno.
-NO! TI STAVA
PROVOCANDO E TU CI STAVI CADENDO, BRUTTO IDIOTA!!- e partì fulmineo un pugno
grosso quando un pallone da calcio che colpì Ace al volto sbattendolo a terra.
-Basta!
Maledizione, basta!!- si arrabbiò Rea tempestando di pugni la schiena
dell’assalitore, quando un secondo cazzotto, stavolta di Ace, lo abbatté al
suolo coinvolgendo nella caduta pure Lilian.
-Fossa!!- si
arrabbiò Marco sopraggiungendo di corsa. -Ti avevo detto di bussare, prima di
picchiarlo!!-
-Mi perdoni
signorina, non volevo farle del male.- si scusò contrito Fossa, aiutando
delicatamente la ragazza a rialzarsi mentre questa tentava disperatamente di
rimanere quanto più possibile avvolta dalla coperta. Poi si rivolse duramente
al Secondo Comandante: -Non puoi perdere la testa ogni volta che qualcuno parla
male di nostro padre, specialmente se i tuoi fratelli hanno dato la vita per
salvarti!-
-Chi diavolo
è?- domandò Lilian a Marco, mentre Fossa ed Ace riprendevano l’alterco in
maniera non sempre verbale e tutt’altro che diplomatica.
-Fossa, il
Quindicesimo Comandante.- spiegò il biondo. -Ci ha raggiunti stamattina presto.
Non ti spaventare, tra un quarto d’ora saranno pacifici come due fraticelli la
domenica mattina.
-Sicuro?-
-Adorano
picchiarsi. Mettiti qualcosa addosso e vieni a fare colazione prima lo faccia
Ace.- la Fenice si voltò e sorrise a Lilian. -E posa la pistola, qui non ti
servirà.-
Dopo tre
giorni di navigazione la Seagreen Phoenix attraccò a Foodvalten, la sua
destinazione, assieme ad altre tre navi della flotta: quelle di Vista, di Halta
e di Fossa.
-Vieni a
vedere che cos’abbiamo recuperato!- esclamò Marco rivolto ad Ace una volta
terminate le manovre per entrare nel porto. I due ragazzi scesero dalla Seagreen
Phoenix e si diressero di buon passo verso le banchine dei pescherecci.
-Fammi
indovinare… una macchinetta per tagliarti quell’orribile ciuffo?- lo schernì Pugno
di Fuoco inseguendo la Fenice. -Dammi retta, ti porto dal mio barbiere, lui
sistema tutto!-
-Ridi,
miscredente! Le donne impazziscono quando passano le dita fra i miei capelli!
-Sì, e
crollano a terra con la bava alla bocca.- disse Ace assestando un pugno sulla
spalla di Marco.
-Sta’ zitto!-
sorrise il Primo Comandante superando alcune imbarcazioni che dondolavano
placide nell’acqua calma del porto. -Con un bacio sono come nuove!-
-Magari con un
esorcismo.-
Sorpassarono
con un balzo la bancarella di due pescatori appena tornati dalla pesca
mattutina e corsero fino all’estremità della banchina.
Marco si
fermò, Ace rimase di sasso: alla fine del molo era ormeggiata una piccola barca
con lo scafo slanciato giallo e rosso cupo, un corto albero e la vela
ammainata.
Con un salto
il moro fu a bordo del suo amatissimo Striker; le sue mani percorrevano con
amore il motore e il suo sguardo assaporava tutti i graffi sullo scafo, ricordava
ad uno ad uno dove li aveva fatti. Gli occhi luccicavano dalla felicità.
-Dove l’hai
trovato?- riuscì ad articolare alla fine.
-Come, dove?
A Banaro, no?- rispose il fratellone, pago dell’espressione estatica di Ace.
-Ci sono andato in volo subito dopo Marineford, forse pensavo di trovarti lì.
Ma c’era solo questo.
-E come l’hai
portato qui!?
-Lascia
perdere.- disse con noncuranza la Fenice. Aveva pagato un marinaio perché lo
rimorchiasse fino a Foodvalten, ma decise di non rivelare quel dettaglio.
-Guarda nello stipo a prua, piuttosto.- consigliò.
Ace obbedì,
andando a frugare dove gli era stato indicato.
Marco lo
guardò con soddisfazione, mentre Ace si rizzava in tutta la sua altezza, fiero
come un tempo, con la Jolly Roger in
bella mostra sulle spalle muscolose, il coltello lavorato appeso alla cintura e
il cappello da cowboy arancione nuovamente al suo posto, come se Marineford non
fosse mai successa. Allargò le braccia, assaporando nuovamente la libertà, il
suo Striker, il suo mare. Le fiamme cominciarono a danzare sulle spalle e fino
alle mani, e il motore si accese. La Fenice, previdentemente, sciolse la gomena
che teneva legato il mezzo al molo.
-Vado a fare
un giro.- annunciò Pugno di Fuoco con un ghigno che Marco, essendo dietro di
lui, non vide, ma che immaginò.
-A dopo.- lo
salutò. Suo fratello era davvero tornato.
-Teach!?-
esclamò Marco a colazione il giorno dopo, mentre beveva il primo caffè della
giornata.
-No.- esclamò
Rea guardando Ace, che da ragazzo scanzonato era diventato d’un tratto un uomo
serio e pensieroso, con fiamme che ardevano negli occhi neri… e il Frutto del
Diavolo non c’entrava proprio niente. -No.- ripetè più convinta.
-Ha ucciso
Satch.- disse lugubre Pugno di Fuoco.
-E nemmeno
lui ti avrebbe permesso di andare.- protestò il Primo Comandante. -Ne abbiamo
già parlato una volta.-
-…e non è
finita bene.- completò Lilian.
-Era mio
fratello.- ringhiò Ace riferendosi a Satch. -Nonché suo superiore… e io non
feci niente per fermarlo, all’epoca.- fece ardere la sua mano destra stretta in
un pugno e nel momento esatto in cui si abbatté sulle assi del tavolo, tante
piccole lingue di fuoco comparvero, furiose, sulle spalle. -Ero il suo
Capitano... il compito di ucciderlo è solo mio.- terminò.
Lilian per
nulla impressionata alzò gli occhi al cielo e si appellò alla razionalità della
Fenice. Quel ragazzo, anche se in realtà ormai ragazzo proprio non era più, le
aveva ispirato subito una fiducia forte e naturale. Aveva modi pacati e
ragionava in maniera lucida, e nonostante l’infelice taglio di capelli persino
il suo aspetto, con l’aria seria che lo distingueva e il vessillo di suo padre
tatuato in petto, contribuiva a rassicurare Lilian che in quella nave pirata si
sentiva ancora un’estranea.
Marco si fece
passare il giornale e lesse di nuovo i titoli di testa: «Marshall D. Teach semina il
panico nel Nuovo Mondo». E i sottotitoli: «Fonti attendibili lo danno stanziato a Rainy Hollow»
-Non mi
piace.- sentenziò lapidario Jaws prima di uscire dalla sala; era diventato
ancora più silenzioso del solito da quando Amelia era andata via in aereo per
cercare il Grandammiraglio Sengoku e raccontargli tutta la sporca storia in cui
si trovava immischiata. L’avrebbe scortata, ma una delle navi distrutte a
Marineford era stata proprio la sua e a causa della stazza non c’era verso che
il Canadair potesse imbarcarlo.
-Hai tutte le
ragioni di volerlo morto.- concesse la Fenice al fratello. -Ma stavolta ci
opporremo alla tua partenza, dovessimo legarti nella stiva.- promise serio,
come prevedeva e sperava Lilian.
-Meglio
avvertire il signor Edward.- suggerì Lilian, ma a quell’uscita tutti si misero
a ridere.
-Se non vuoi
chiamarlo “babbo”, anche solo “Barbabianca” va bene!- sghignazzò Ace. -Ma
“signor” è ridicolo, te l’ha detto anche lui!-
-Ma la barba
non ce l’ha…- protestò timida la ragazza.
-Lasciala
stare!- sorrise Marco guardandola, e facendola arrossire. -Solo ieri è riuscita
a non darmi più del lei!-
-No.- disse
solenne Edward Newgate dal suo letto. Le infermiere sembravano arpie infernali,
e aleggiavano attorno alla sua figura protettive e letali; chi aveva osato
disturbare il paziente con questioni così gravi? Riposo assoluto, ecco la prescrizione!
-Vecchio, io
ormai…- protestò Ace.
-No!- ripetè
Barbabianca come Lilian prima di lui. -L’ultima volta che hai dato la caccia a
quell’infame ne sei uscito vivo per puro miracolo!-
In una parola
sola, Marineford. Ma solo perché Barbanera aveva deciso di consegnarlo alla
Marina, in realtà avrebbe potuto tranquillamente ucciderlo già a Banaro.
Ace sembrò
ingoiare l’amaro boccone, anche se Marco, che l’aveva trascinato di peso dal
babbo, lo squadrava per nulla convinto; il Secondo Capitano chinò la testa,
sferrò un poderoso cazzotto allo stipite bruciandolo in parte e corse via.
-Partirà lo
stesso, sai?- disse Marco rivolto al padre.
-No,
stavolta no.- protestò Newgate. -Stavolta con le buone o le cattive rimane
qui.-
-Se
parte.- ruggì Fossa, che stava tenendo
compagnia al padre. -Gli stacco la testa dal collo a calci, maledetto
galletto.- un’infermiera, passando, gli prese con delicatezza e rapidità il
sigaro che aveva incastrato fra i denti e lo fece sparire come in un gioco di
prestigio.
Erano sì e no
le dieci del mattino quando il giorno dopo Marco planò deciso sulla piccola
Castle, un fuoribordo ancorato al porto vicino ad altri pescherecci e bussò
alla porticina che conduceva alla cabina. -Lilian! Svegliati!!- chiamò.
La Castle era
un regalo di Barbabianca: un piccolo gozzo a vela risalente, a sentire il
vecchio, a quando lui era giovane (“e bello”, aveva aggiunto). Lilian aveva
insistito per pagargliela almeno quanto Newgate aveva insistito per
regalargliela: aveva fermato una guerra, salvato suo figlio e distrutto un
aereo per farlo, quella ragazza aveva tutto il diritto ad un indennizzo, anche
se non ne voleva sapere. Edward Newgate aveva dovuto appellarsi al fatto che le
sue condizioni fossero gravi per convincere Lilian ad accettare il regalo,
sebbene avesse detestato giocare una carta del genere.
La ragazza
però, con il consenso del precedente proprietario, aveva impiegato i soldi
guadagnati ad Amazon Lily per un’importante modifica: aveva fatto aggiungere al
piccolo e slanciato veliero un motore, per essere libera persino dalle correnti
che governavano il mare. Si era fatta aiutare da Amelia in questo, prima che
partisse, e il motore era simile a quello dei Canadair, alimentato anch’esso
dal carburante di Rayleigh. Fortunatamente però Amelia era ben provvista di
scorte, e aveva regalato mezza tanica all’amica.
Lilian venne
ad aprire, ancora in pigiama e con gli occhi piccoli piccoli. -Marco?- mormorò.
-Che c’è? È successo qualcosa?-
-Dov’è Ace?-
Lilian
divenne di ghiaccio. -Non è sulla tua…?-
-No! Lo
Striker è sparito!
Lilian si
girò verso babordo, dove normalmente Ace teneva attraccata la sua imbarcazione,
accanto alla Castle. Vuoto. Vuoto. Vuoto.
-E quello…?-
mormorò la ragazza indicando il cappello di Ace che Marco teneva in mano, quello
grande, arancione, con gli smiley azzurri beffardi sulla tesa e le perline
tutte in fila come tante sorelline.
-Era qui, sul
tuo ponte.- spiegò la Fenice. -L’ho trovato adesso.- Marco s’innervosì, sbuffò.
-L’avevo detto a nostro padre che non saremmo riusciti a fermarlo neanche
stavolta.- esclamò. -È testardo.- disse. Si voltò verso Rea, che si stringeva
nella coperta che aveva addosso senza riuscire a realizzare cosa fare.
-Dovevo
convincerlo…- balbettò lei. -Smontargli il motore alla barca…-
Marco sorrise
mesto, porgendole il cappello. -Non dimenticarti che è un uomo adulto, dovrebbe
essere in grado di capire cosa può e cosa non può fare; lo sapeva che era un
azzardo.-
-Parto
subito.- decise Lilian. -Lo vado a cercare, parto adesso.- disse buttando a terra
la coperta e saltando fuori dalla cabina. Indossò il cappello di Ace per avere
le mani libere, si diresse verso l’ancora e cominciò a issarla.
La Fenice
bloccò quella manovra. -Calma.- sussurrò con voce profonda, che infondeva
tranquillità ma alla quale era istintivamente impossibile disobbedire. -Non ti
faccio partire da sola. Troveremo una soluzione.- Lilian si voltò a guardarlo
in volto, Marco lesse negli occhi della ragazza una preoccupazione cieca e in
fondo, molto in fondo, terrore. -Non avere paura.- le disse con un lieve
sorriso. -Lo riporteremo a casa.-
Rainy Hollow, due giorni dopo
Ace approdò a
Rainy Hollow in mattinata; era un’isola autunnale, ma i colori caldi
dell’autunno erano scomparsi, c’erano solo sempreverdi che ululavano tra le raffiche
di vento, la spiaggia era una pietraia ed era sovrastata da rupi lugubri, il
cielo era oscurato da nubi spesse e scure, cariche di pioggia che però si
faceva aspettare, promettendo il suo arrivo senza mai lasciarsi cadere su
quella brulla terra.
“Il villaggio dev’essere di là”, pensò il
ragazzo incamminandosi in un sentiero che portava nel bosco, in direzione,
stando alla cartina, del modesto abitato dell’isola. Arrivò in paese all’ora di
pranzo, quando cominciò a cadere una pioggia rada e sottile. Era proprio il
momento perfetto per cercare una locanda e mettersi a tavola, considerò Ace
senza far caso alla strana desolazione lungo le strade, nonostante alcuni
dettagli che facevano intuire che il villaggio fosse tutt’altro che disabitato:
non c’erano detriti in giro, i gerani rossi ai balconi erano ben curati e senza
foglie secche, i muri delle case erano stati tinteggiati da poco e il legno non
era consumato, i tetti a doppio spiovente tradivano una manutenzione regolare e
da chissà dove si sentiva suonare la campana di una chiesa.
“A lutto.” osservò Ace, riferendosi a
quel suono lugubre.
Un gruppo di
signore vestite di nero uscì da un negozio e si rifugiò furtivo in una casa.
“Quel panzone avrà seminato il panico.”
riflettè Ace mentre s’incamminava verso una locanda silenziosa dal comignolo
fumante. Sapeva per esperienza che bastava offrire un giro, e le lingue si
scioglievano come per magia.
Entrò nella
locanda e con un gran sorriso si rivolse all’oste che con fare accigliato stava
servendo del whisky ad un avanzo di galera appoggiato al bancone.
-Il piatto
del giorno, grazie!- disse con un sorriso, che però non contagiò il paesano.
-Un corno.-
replicò infatti l’oste. -Ce li hai i soldi?-
Ace non si
scompose; pescò dal suo zaino un piccolo sacchetto e lo lanciò all’uomo come
una palla. Lui lo prese avidamente al volo e dopo averlo soppesato con la mano
fece un cenno ad una donna, forse la moglie, che aveva assistito alla scena
dall’uscio che separava il locale dalle cucine. Lei comprese e andò a preparare
quanto ordinato.
-Razione
abbondante!- puntualizzò il pirata, per nulla impressionato dal grigiore e
dallo squallore del posto. Per nulla impressionato ma non per questo meno
attento alla strana atmosfera che si respirava: non gli piaceva quel paese, e
tantomeno quell’oste così poco incline alla chiacchiera. Eppure diamine, non
aveva nemmeno visto il suo tatuaggio!
Ma il marchio
baffuto fu scorto da un bambino piccolo e gracile, con la stessa espressione
imbronciata dell’oste; appena Ace ebbe precisato alla cuoca la quantità di cibo
desiderata, il mocciosetto come ricevuto un segnale si diresse correndo nella
cucina, seguito dallo sguardo del pirata.
Ace gli
sorrise, ma il bambino pur guardandolo dritto in volto non ricambiò la
gentilezza. In cucina, ormai lontano dallo sguardo dello straniero, attirò
l’attenzione della donna tirandole appena la gonna lunga e pesante e le mormorò
qualcosa all’orecchio.
-Sicuro?-
mormorò la moglie dell’oste.
Il bambino
per tutta risposta le porse un cartiglio tutto stropicciato che teneva in
tasca: l’avviso di taglia di Portuguese D. Ace.
Dietro le quinte…
Buon Natale a tutti i lettori di Flyin’ High!!! Tanti
auguri a coloro che si palesano, le fedeli paladine della recensione, e buon Natale a chi ha messo la mia storia
nelle ricordate e a chi le ha dato l’onore delle preferite! Buon Natale anche e
te, utente anonimo non iscritto al sito.
Ecco, vi piace il mio personale
regalo? Ace è sparito! O meglio, se l’è filata, lasciando nient’altro che il
suo leggendario cappello sull’imbarcazione di Lilian (della quale parleremo nel
dettaglio nei prossimi capitoli).
L’espressione “Quattro Bastoni” ha le sue origini
nella carta napoletana del Quattro Bastoni, dove i bastoni formano una croce che
ricorda molto la posizione spaparanzata del nostro pirata, così affezionatole
che non l’abbandona nemmeno se nel letto c’è Lilì!
Fossa è il comandante della Quindicesima divisione.
Quando Ace muore a Marineford, nella disperazione generale, lui è l’unico a non
piangere ed esclama: “Mi stai prendendo in giro?!” ed effettivamente tu metti
in gioco uomini, armi e navi, e la persona per la quale rischi tutto si fa
uccidere nella maniera più stupida che la letteratura fumettistica ricordi?
Ace, ti sarebbe bastato spostare Rufy con un tuffo a terra, o calcisticamente
parlando con un intervento a gamba tesa, eri il triplo di lui. Oppure ignorando
Akainu.
Fossa è l’eroe del mio ragazzo nonché suo personaggio
preferito dell’intero One Piece, noto finchè non l’ho identificato come l’uomo
del “Mi stai prendendo in giro?!”. Mi sembrava doveroso che, una volta scampato
il pericolo, picchiasse Ace come meritava.
Sopra, il buon Fossa a Marineford, tra la disperazione generale (copyright Eiichiro Oda eccetera eccetera). Ancora Buon Natale 2013, Yellow Canadair
Edit 25/12/13: la battuta di Fossa nella versione ufficiale è leggermente diversa a causa della traduzione, la frase riportata qui è quella delle scan. Fossa rimane il nostro eroe.
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Capitolo 22 *** Tra sette giorni ***
[zipedit] Tra sette giorni
«Lo sapevo, ragazza. Ace me l’ha raccontato.» ammise Newgate.
«Perché non me l’ha detto allora? Perché mi ha tenuta qui a bordo?»
mormorò cupa Lilian, rimettendosi a posto la felpa che aveva nascosto fino a
quel pomeriggio il tanto odiato triplo teschio.
«Guragura, perché non mi interessa!- ghignò roco il pirata sorseggiando
del sakè imboscato in un flacone di shampoo. «So perché hai quel marchio, e
credimi, è un motivo in più per non mandarti via.»
«Io non lo voglio…» protestò la ragazza sedendosi per terra, ai piedi del
comodino accanto al letto. Newgate la guardò grave e sospirò.
«Lilian. Quel tatuaggio ti ricorderà per sempre il momento in cui è stato
inciso: hai sfidato tutta la ciurma di Marshall per salvare un ragazzo, e quando
non ci sei riuscita su quella nave, ci hai riprovato. E non in un posto
qualsiasi, ragazza mia: a Marineford. Lì si stava scrivendo la Storia, e tu sei
arrivata giusto in tempo ad evitare il capitolo più tragico. Sono orgoglioso di
quel marchio che hai, almeno quanto i miei figli lo sono del loro.»
Rainy Hollow
Non era la
solita narcolessia. Ace forse una frazione di secondo prima di guardare troppo
da vicino le tagliatelle con ragù di lepre e castagne aveva pensato di sì, ma
l’oste pur non conoscendo quel suo piccolo difetto non era per nulla
impressionato dalla reazione del cliente. Piuttosto si sarebbe stupito del
contrario: la dose di droga che la moglie aveva messo nella carne avrebbe
potuto stordire tranquillamente un cavallo da tiro. Continuò ad asciugare i
suoi bicchieri senza curarsi del ragazzo che aveva sbattuto la testa nel piatto
ancora caldo; adesso che era chino, il locandiere riusciva a scorgere il
tatuaggio che ornava le spalle del pirata, e sbuffò soddisfatto, mentre
rivolgeva un cenno d’approvazione al figlioletto.
-Fufufu!
Ottimo lavoro!- si sbellicò l’altissimo Doflamingo affacciandosi dal balconcino
del secondo piano, da cui aveva assistito alla scena, non visto. Paul era
appena dietro di lui, e guardava il figlio di Barbabianca con occhi sottili e
impenetrabili. Teneva le mani nelle tasche del panciotto grigio perla e
sembrava pensieroso, di fianco al ben più rumoroso e teatrale alleato.
-Adesso
dobbiamo solo scoprire da dov’è partito, e butteremo l’esca per la piccola,
dolce Lilian!- considerò Doflamingo. -Ci avviamo?-
-Naturalmente.-
concesse Blackwood. Sullo Striker del ragazzo certamente c’erano tutte le carte
nautiche che aveva utilizzato, e che avrebbero tradito immediatamente la
posizione di partenza che avrebbe coinciso con quella di Lilian Rea Yaeger.
-In realtà
speravo venissero assieme.- considerò il machiavellico aviatore. -Ma non si può
avere tutto, immagino.-
-Fufufu,
l’importante è avere un piano alternativo!- osservò allegro Doflamingo
scendendo le scale, mentre con le lunghe dita manovrava agilmente il corpo
addormentato di Portuguese D. Ace, sollevandolo dal bancone.
-Oste,
tienilo nella tua miglior camera!- ordinò il Fenicottero. -E mettigli questi
braccialetti, altrimenti ti demolisce il Grand Hotel!- aggiunse lanciando
all’uomo manette e catene d’agalmatolite.
Paul
Blackwood e Doflamingo uscirono dalla malfamata locanda, diretti verso il porto
dove sapevano di trovare ormeggiata l’imbarcazione dello straniero. Entrambi
spiccavano facendo uno stridente contrasto con il grigiore dell’ambiente
circostante, tra Paul che esibiva l’elegante completo sartoriale chiaro con la
lucida coda nera che ondeggiava nel vento e, soprattutto, Doflamingo che non
avrebbe rinunciato alla sua sobria tenuta nemmeno sotto tortura: giacca di
piume rosa, capello ossigenato, petto nudo e lampadato e pantaloni variopinti
erano per lui un distintivo, che risaltava la personalità stravagante ed
eccentrica.
-Quell’oste è
fidato?- domandò Blackwood.
-Qui basta
pagare!- gli assicurò Doflamingo. -A Rainy Hollow nessuno è così fesso da non
farsi i fatti suoi!- l’omertà regnava sovrana in quel villaggio e lui, come re
di Dressrosa, di omertà se ne intendeva eccome!
Prima di
uscire dalla locanda, avevano sequestrato ad Ace il suo zaino verde dalle
striature nere. Blackwood lo aprì con un filo di disgusto e dopo averci
brevemente frugato ne estrasse un avviso di taglia.
-Oh!- esclamò
cammin facendo Doflamingo, ammirando il soggetto raffigurato.
-Adesso siamo
davvero sicuri che tra i due ci sia un legame.- affermò Blackwood. -Questo è
interessante.- disse guardando il retro dell’avviso di taglia di “Lilian Rea
Yaeger, aviatore”.
-Cosa?-
chiese il Fenicottero incuriosito.
-Sono due
idioti. Qui c’è segnato un numero, dev’esser quello di Yaeger.- immaginò Paul.
-Così è troppo facile.-
«È stupenda…! Ace, Ace, vieni dentro!»
«Il Vecchio non mi aveva mai detto di questo gozzo… guarda, c’è persino
il lumacofono!» l’animaletto sonnecchiava.
«Allora segnati subito il numero!»
«Lo scrivo qua.» disse il ragazzo togliendosi un foglio di carta dai
pantaloni…
Non ebbero
difficoltà a trovare, sul molo, lo Striker di Ace, anche se i pescatori invece
di rispondere alle loro domande li guardavano male e si giravano dall’altra
parte; Doflamingo però aveva argomenti convincenti per farli parlare, e la
ricerca non durò molto. Paul li avrebbe semplicemente sgozzati, ma si sarebbe
sporcato il completo; e poi, pensò, i morti non parlano.
Doflamingo
saltò a bordo e trovò gli oggetti personali lasciati lì da Ace; poca roba,
essendo il ragazzo un tipo che limitava al minimo il proprio bagaglio. Ma le
carte nautiche, quelle non poteva certo lasciarle a casa.
-Ecco, Paul.
Guarda.- una mappa solcò l’aria guidata da fili invisibili e atterrò fra le
mani guantate di Blackwood.
-Foodvalten.-
osservò guardando le terre raffigurate. -Prevedibile.- disse annoiato. -C’è
altro, a bordo?-
-Il nostro
giornale!- sghignazzò Doflamingo come una iena, sventolando le pagine che
parlavano di Barbanera. Era stato lui a farle stampare e a diffonderle per
mezzo mondo! -Hai fatto centro!-
Si
allontanarono dallo Striker cinque minuti dopo, appena Doflamingo l’ebbe
tagliato con un gesto netto in quattro parti. Mente l’agile imbarcazione
spariva nelle acque del porto di Rainy Hollow, i due individui procedevano
sicuri verso la taverna, dove avrebbero fatto il successivo passo di quello
spietato piano.
Foodvalten
-PARTITO!?-
l’urlo di Fossa raggiunse anche la Castle, e Lilian sospirò rassegnata. Non
avrebbe voluto essere nei panni di Marco, cui sarebbe spettato l’ingrato
compito di calmarlo, e si concentrò sulla lista delle cose da procurarsi prima
dell’imminente partenza.
Un possibile
scontro di Ace contro Marshall D. Teach la terrorizzava. Era a Banaro, maledettissima isola, sulla nave di quel
tanghero quando il ragazzo era stato catturato, e ricordava benissimo il tremore
che aveva scosso le paratie di legno, l’onda d’urto dello scontro tra fuoco e tenebra.
Rammentava con raccapriccio quando aveva riconosciuto, in quel corpo gettato di
malagrazia sul tavolato di legno, il ragazzo della riva del fiume. Stava
lavando il ponte, spingendo su e giù con forza un vecchio spazzolone con la
gonna lunga che si attorcigliava attorno al manico, nel vento della mattina
primaverile. Ace era stato trascinato a bordo tra urla di peana e insulti,
dietro di sé lasciava una scia scarlatta che brillava al sole, la ricordava
bene perché poi, quella scia, gliel’avevano fatta pulire. Ricordava il sorriso
sadico di Lafitte. «Perché piangi, bella signorina?» le aveva chiesto con quel
suo modo di fare freddo e gentile quando l’aveva notata stringere con più forza
la scopa umidiccia e sbiancare alla vista del ragazzo facilmente riconoscibile
dai tatuaggi. «Conosci già il nostro ospite?» le aveva domandato mettendole le
mani ghiacciate e sporche di sangue sulle spalle.
«No… no.»
aveva balbettato lei. Sapeva già che una relazione sarebbe stata una debolezza
di cui avrebbero approfittato, ma non era stata credibile.
Lafitte si
era avvicinato al ragazzo, stordito e a capo chino, tenuto in ginocchio da due
suoi compari. «Allora non ti dispiacerà, vero…?» e prima lei potesse capire, il
bastone da passeggio si era abbattuto con violenza e precisione sul volto del
ragazzo, una volta, due volte.
«No!» aveva
sentito la sua voce gridare. Lilian non ricordava nemmeno di aver corso per
quei pochi metri; era rimasta senza fiato per la violenza dell’impatto, aveva
le lacrime agli occhi e sentiva le costole gridare. Ace pensava di essere
morto, o di essere impazzito: che ci faceva con la testa sul petto di una
donna? Alzò di poco il volto ammaccato e coperto di sangue e la vide.
«Tu…?» sussurrò.
Era decisamente impazzito. In quel momento non ricordava né come si chiamasse
né dove l’avesse incontrata, però era sicuro di conoscerla.
«Ciao, Ace.»
aveva risposto infatti la ragazza.
Lafitte aveva
guardato il quadretto degno di un romanzetto rosa di quarta categoria: il
giovane pirata sconfitto e ferito in ginocchio sul suo stesso sangue fra due
energumeni e la piccola sguattera che era corsa a difenderlo stringendolo a sé
e prendendosi una sonora bastonata che le aveva come minimo incrinato le costole.
Il navigatore di Teach le sussurrò all’orecchio: «Pulisci a terra, adesso.» e si
era goduto il suo trionfo nell’aver trovato un modo sicuro e subdolo per tormentare
Lilian.
-NO! IO LO
AMMAZZO!!- un altro tuono altissimo quasi scosse le fiancate di legno del gozzo
su cui trafficava Rea, richiamandola prepotentemente dai meandri di memorie in
cui si era persa. Se Fossa voleva ammazzare Ace si mettesse in coda perché la
prima della lista era lei; oltre alla preoccupazione, oltre alla paura di
arrivare troppo tardi, dentro di lei c’era tantissima rabbia. Quel cazzone era
sparito senza dire niente a nessuno! Tutti si erano schierati contro la sua
partenza, e lui non aveva trovato niente di meglio da fare se non sparire nella
notte come un ladro. Nemmeno a lei aveva detto niente, nemmeno a Marco!
Avrebbe ucciso
Barbanera con le sue mani se non fosse riuscita a fermare Ace, pensò la ragazza
caricando il fucile e chiudendolo con uno scatto netto, tenendolo con una mano
sola. Al diavolo quel potere dell’oscurità, i tempi in cui si faceva torturare
da Lafitte erano lontani: si sarebbe fatta uscire l’Ambizione del Re Conquistatore
pur di scannare quel porco.
Lilian stava
ultimando i preparativi, preparandosi a salpare alla volta di Rainy Hollow, ma
suoi gesti furono interrotti dallo squillo del suo lumacofono dal berrettino
rosso con il pon-pon nero; chi diavolo era? Ace, pensò con un barlume di
speranza. Però lui, nonostante le insistenze dei fratelli, non aveva un
lumacofono. Scese la piccola scaletta che conduceva in cabina e afferrò
l’animaletto che squillava imperterrito.
-Yo!- esclamò
al ricevitore.
«Lilian Rea
Yaeger?» sussurrò una voce maschile. Non era Ace.
-Con chi
parlo?-
«Ma come,
Lilian, non mi riconosci? Eppure non è passato molto tempo dall’ultima volta…
quando avevo ancora, come dire, un certo ascendente
su di te.»
Su Lilian
scese il gelo, anche se le sue guance erano paonazze: Paul Blackwood.
Sì,
all’inizio del progetto dei Canadair quel tipo le era piaciuto,
irrazionalmente: guardarlo negli occhi era agghiacciante, ciò nonostante
l’attirava. Ma non aveva mai preso iniziative, non era mai successo nulla tra
loro; eppure Blackwood, da gran serpe qual era, aveva capito di non essere
indifferente alla ragazza nonostante la differenza d’età. Non perdeva occasione
per metterla in imbarazzo, finché a Lilian, esasperata, non era passata
quell’innocente infatuazione.
-Che diavolo
vuoi?- ringhiò.
«Ho un
messaggio per te. Da parte di una persona che conosci.»
Passi. Una
cigolio, forse una porta. Tintinnio di catene.
«Fufufu! Non
potevamo aspettarci di meno da uno come te… avanti!» diceva una voce che Lilian
non riusciva ad identificare, nonostante si sforzasse. «Dimmi dov’è Lilian.»
Chi diavolo
la cercava?
«Col cazzo,
Lampadato.» Ace. Lilian aprì la bocca dallo sconcerto, irrigidendosi come una
statua di marmo mentre il sangue sembrava bruciarle le vene dalla paura.
«Dimmi
dov’è.»
«Neanche
morto.» uno sputo.
Rumori.
Percosse, Lilian le conosceva fin troppo bene, ma non un gemito uscì dalle
labbra del pirata di fuoco. I rumori non cessavano.
«Crack.»
-No!- si
lasciò sfuggire Lilian spaventata scattando in avanti. Qualcosa, dall’altro
capo del lumacofono, si era spezzato. Lei non sapeva cosa fosse, sapeva solo
che Ace era lì, con qualcuno che lo teneva in ostaggio. -Paul! Basta!- gridò.
«Lilì!?» salì
sorpresa la voce di Ace dal ricevitore.
«Non te l’ho
detto, Portuguese? Siamo in vivavoce.» sorrise Paul sadicamente. «Lilian, mi
senti?» si accertò. «Come hai capito, Portuguese D. Ace è in mano mia adesso. Se
non vuoi che lo usi come cavia per gli esperimenti sull’agalmatolite…»
-Hai usato
Ace come cavia?- ruggì la ragazza stritolando il ricevitore tra le dita sudate
e ghiacciate. -HAI USATO ACE COME CAVIA???- ripetè iraconda.
«Fufufu,
quanto fuoco! Più del tuo!» sghignazzò la voce lontana, rivolta ad Ace.
Paul
Blackwood riprese a parlare mellifluo: «Non l’ho usato ancora come cavia, Lilian. Ma comincio adesso, e continuerò a farlo
finché non ti consegnerai assieme ad Amelia Lehired.»
-Cosa…!?-
«Sveglia,
Lilian. Mi servite per gli esperimenti sulla Contro-Ambizione. Ma siccome
voglio anche l’agalmatolite liquida, il giovanotto qui sarà ben felice di
contribuire.»
«Conosco
qualcuno che si divertirebbe un mondo a sezionare il possessore di un Rogia. Vivo
e senza anestesia, fufufu! Immagino già le grida!» rincarò Doflamingo
sadicamente, passandosi la lingua sulle labbra.
-Bastardo di
merda, aspetta che ti trovi e ti rompo il culo! HAI CAPITO???- gridò la
ragazza.
«Benissimo
cara.» sussurrò Paul per nulla turbato da quelle urla di guerra. «Allora ci
vediamo tra sette giorni esatti al Santuario dei Dannati di Rainy Hollow.
Consegnati assieme ad Amelia Lehired ed interromperò gli esperimenti su
Portuguese D. Ace, e lo farò tornare dal papino intero. Tra sette giorni,
Lilian.»
«Lilì, non
venire! Non venir-» click. La comunicazione fu interrotta. Ace aveva fatto
appena in tempo a tentare di avvertire la ragazza.
Lilian Rea
rimase a fissare il mare calmo davanti a sé, senza riuscire a reagire. Mise
istintivamente le mani sulle armi che teneva nelle fondine ai fianchi.
La voce di
Ace. Ace che non gridava mai, avrebbero anche potuto sezionarlo vivo ma Lilian
lo sapeva, non avrebbe emesso un gemito, come ad Impel Down. Si accasciò a
terra con la sua voce ancora nelle orecchie, si premette una mano sugli occhi e
pianse, impotente e colma d’ira. Altro che una settimana, lei avrebbe messo a
ferro e fuoco Rainy Hollow in meno di un’ora! Giusto il tempo di arrivare.
Seduta sotto
al piccolo timone, richiamò tutta la sua buona volontà per comprendere meglio
quella situazione: se Ace era stato catturato da Paul, c’era dietro
un’organizzazione di professionisti, un pirata come lui non poteva essersi
fatto prendere facilmente. Dovevano avere l’agalmatolite per bloccarlo,
altrimenti si sarebbe liberato da solo in un amen, e chi è che aveva a
disposizione quel materiale? La Marina, ma non era un modo d’agire della
Marina, quello. C’era Paul Blackwood dietro quel rapimento, Amelia aveva
ragione: si stava muovendo e nulla lo avrebbe dissuaso dal suo obiettivo, l’agalmatolite
liquida, che rimuoveva gli effetti di un Frutto del Diavolo e poi la Contro-Ambizione,
che distorceva la realtà attorno al possessore e bloccava le altre. Gran
peccato però che la sperimentazione per l’agalmatolite avesse già portato alla
morte di numerose persone, perché la sostanza ottenuta era troppo potente e
nemmeno Caro Vegapunk era riuscita a controllarla.
Afferrò il
cappello di Ace e lo strinse a sé, continuando il suo pianticino; dentro erano
rimasti un paio di capelli corvini. “Sei
un’idiota, Ace!” pensò rabbiosa, poi il pensiero andò a Blackwood. “…Stronzo.”. Guardò le perline, rosse e
lucenti, e gli smiley che sembravano sbeffeggiarla.
Indossò il
copricapo arancione e se lo premette in testa, facendolo scivolare verso il
basso fino a coprire il volto, sprofondando nell’odore di Ace e sforzandosi di
pensare razionalmente.
Erano
parecchi: Paul Blackwood, l’uomo che aveva parlato durante la telefonata e se
c’erano degli esperimenti in corso doveva esserci per forza almeno uno
scienziato al servizio della causa... E sicuramente c’erano dei sicari, gente
incaricata di tener d’occhio e sfamare i prigionieri.
Maledizione,
non poteva agire da sola, fare irruzione chissà dove e spaccare il cranio a
quegli stronzi. Le serviva aiuto.
Non aveva
minimamente calcolato l’eventualità di consegnare Amelia: era fuori
discussione. Allora una sosia? Un manichino? Un’illusione? Anche questi erano
piani completamente sballati.
Rufy? Ci
voleva troppo tempo per raggiungerlo e si stava allenando con Rayleigh presso
Amazon Lily, non era sicuro che avrebbe collaborato… o meglio, lui avrebbe
sicuramente collaborato, ma vai a convincere il Re Oscuro e soprattutto Hancock
a farlo partire!
Barbabianca.
Lilian
sospirò. Non poteva chiedere una cosa del genere a Newgate, la cui salute
peggiorava, le infermiere non lo facevano muovere dal letto, Marco era sempre
più teso e taciturno… la situazione sulla Seagreen Phoenix era decisamente
pessima, non poteva permettere che quell’uomo si preoccupasse ancora,
aggravando le già precarie condizioni. Se avesse saputo di quel ricatto si
sarebbe strappato le flebo di dosso tra le urla delle crocerossine, avrebbe
afferrato il vecchio bisento e dichiarato guerra a chiunque avesse osato fare
un affronto del genere alla sua famiglia; non era Marineford, sarebbe stato un
puro e semplice putiferio. Lilian non se ne intendeva molto di scienza medica,
ma aveva l’impressione che uno sforzo del genere avrebbe ucciso l’uomo.
No, Edward
Newgate non avrebbe saputo proprio un bel niente.
Da sola era
un suicidio. Coinvolgere Barbabianca sarebbe stato per lui fatale. Ma forse una
speranza c’era, ma piccolina… Si alzò in piedi, saltò giù dal gozzo e
barcollando si diresse verso la Seagreen Phoenix.
Corse per
tutti i ponti e cercò in tutte le stanze, dalle sentine alla cambusa, e dopo essere
quasi andata a sbattere in Fossa che stava sfogando la sua ira (fortunatamente
solo con una grande tempesta di parole di fuoco e fiamme) con il pazientissimo
Vista, trovò un uomo in una stanza dalla porta semiaperta che studiava delle
carte nautiche.
-IO LO VADO A
PRENDERE PER I COGLIONI!!- arrivò il vocione del Quindicesimo Comandante alle
orecchie di Lilian mentre era già lontana, e la minaccia riuscì a varcare il
muro della sua angoscia e a farla sorridere mentre immaginava la dolorosissima
scena.
-È permesso?-
mormorò affacciandosi all’uscio.
La Fenice
alzò la testa, con lo sguardo preoccupato e mesto. -Che c’è, Lilian? Ehi, cos’hai?-
domandò alzandosi dal tavolo e andandole incontro; non l’aveva mai vista così
agitata.
-Marco ti
prego, aiutami.-
Dietro le quinte…
Tanti auguri ad Ace che oggi compie… boh, non ne ho
idea, sarebbe -tristemente- fermo a venti, ma il tempo in One Piece scorre
diversamente (le avventure di Rufy sono cominciate nel 1997, dovrebbe avere più
di trent’anni!), quindi, semplicemente BUON COMPLEANNO, ACE! Ora per favore,
ti spogli? Sì, di più.
Focus on: la Castle! Mi serviva un mezzo rapido per
far muovere Lilian, qualcosa di simile allo Striker di Ace ma allo stesso tempo
più versatile, in grado di trasportare anche più persone. Così è nato questo
piccolo fuoribordo. Ho fatto un po’ di ricerche, tecnicamente somiglia un po’
ad un “gozzo cabinato a vela” di piccole dimensioni.
Le tagliatelle con ragù di lepre e castagne: esistono
davvero, le ho assaggiate una volta che sono stata in Toscana e sono la cosa
più buona del mondo! L’accoppiata castagne e ragù sembra strana, ma davvero, su
internet ci sono le ricette, provate! Al posto della carne di lepre potete
usare il coniglio. Sconsigliato a vegetariani e vegani.
La località indicata da Paul per lo scambio
dell’ostaggio, il “Santuario dei Dannati”, viene nominata nella canzone “Il
capo dei Briganti” di Edoardo Bennato.
Detto ciò… chi legge Flyin’High il primo dell’anno,
legge Flyin’ High tutto l’anno!! Quindi vi auguro un meraviglioso e rombante
2014! Costruitevi un buon futuro e che l’Ambizione del Re Conquistatore sia con
voi!! Tanti auguri!!
Yellow Canadair
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Capitolo 23 *** Il Santuario dei Dannati ***
Il Santuario dei
Dannati
Il Primo
Comandante si avvicinò a Lilian, che esitava sulla porta della cabina. -Posso
entrare?- domandò lei piano.
Marco le
porse una sedia vedendola stranamente pallida. -Che è successo?-
-Ace è stato
rapito!- esclamò Rea.
Lilian
raccontò alla Fenice della lumacofonata ricevuta, di Paul Blackwood che la
minacciava, e della voce di Ace, e del ricatto. Gli confessò i suoi timori, sia
su Blackwood sia sulla reazione di Barbabianca, e Marco l’ascoltò in silenzio, in
piedi, appoggiato al tavolo di fianco a lei senza fare commenti con le braccia
conserte in petto, e infine sciolse quella stretta e posò una mano sulla spalla
di Lilian, il cui resoconto era stato un crescendo di nervosismo. Lei cercò
disperatamente di concentrarsi su quel contatto caldo e rassicurante, e smise
di tremare dopo alcuni sforzi. -Andrà tutto bene.- le promise Marco. -È vivo e
non è stato consegnato alla Marina. Grazie per non aver detto nulla a mio
padre.-
-È il
minimo.- mormorò in risposta. Del resto, non gli avevano ancora detto neppure
della partenza di Ace, anche se non ci avrebbe messo molto a capire che era
scappato.
-Lo so che ti
sto chiedendo una cosa piuttosto rischiosa, ma… ti andrebbe di accompagnarci?-
disse Marco all’improvviso, dopo qualche minuto di riflessione.
-Vi porto
ovunque!- promise immediatamente Lilian alzandosi in piedi. -Il carburante c’è,
possiamo partire anche adesso.
-Andremo a Rainy
Hollow.
-È una
trappola.- osservò Rea. Non che volesse tirarsi indietro, ma era palese.
-Certo che lo
è.- ammise Marco. -Ma è l’unico modo che abbiamo per salvare Ace. E poi…-
sorrise furbo. -È una trappola per te, non per me. E nemmeno per Jaws.-
L'indomani, da qualche parte nella Rotta Maggiore
-Come sta
andando?- domandò Marco alzando la voce per sovrastare il rumore del motore.
-Il
carburante dovrebbe bastare.- lo rassicurò Rea leggendo la strumentazione di
bordo. “Meno male che ebbi l’idea del
motore” pensò alzando gli occhi al cielo.
-Come ti
trovi con il gozzo?- le chiese Fossa.
Lilian
sorrise sghemba. -È lento!
Fossa mormorò
una risata, le aveva fatto quella domanda ben sapendo che lei era abituata a
pilotare aerei. Per la ragazza muoversi così lentamente in una situazione d’emergenza
come quella era un po’ frustrante, ma si consolava pensando che era al timone
di un pezzo di storia, un gozzo appartenuto a Edward Newgate.
La Castle
navigava decisa verso Rainy Hollow. Il suo motore era abbastanza potente da
contrastare le maree, merito del portentoso ingegno di Amelia e della sua
perizia come meccanico; l’unico neo era il carburante, che era quello prodotto
da Rayleigh alle Sabaody, anche se per il momento ce n’era in abbondanza. Lilian
non sapeva ancora come avrebbe fatto una volta esaurito; avrebbe potuto
soltanto navigare a vela, ed esser schiava delle correnti.
Marco
controllava la rotta sulle cartine; non era un navigatore, ma ricopriva
dignitosamente quel ruolo; Jaws, silenzioso e ombroso, scrutava l’orizzonte per
scorgere velieri nemici da evitare: nessuno infatti voleva incrociare la Marina
in quel viaggio, non c’era proprio tempo per attaccar briga con il rischio di
farsi facilmente colare a picco. Fossa masticava pensoso l’estremità del suo
sigaro, sicuramente immaginando quale fosse il modo più doloroso, lento ed
efficace per spappolare la testa a suo fratello; Rea gli aveva consigliato di
farne un purè sul primo masso che avesse trovato. Quando l’uomo aveva saputo di
quella spedizione aveva chiesto immediatamente al fratello se avesse potuto
parteciparvi, e Marco gli aveva dato il suo benestare.
La ragazza al
timone seguiva la rotta, aiutandosi con le isole che man mano superavano e con
le indicazioni di Marco, mentre dietro di loro si disegnava una scia bianca che
creava gorghi di schiuma e si allargava come forbici oltre la poppa
dell’imbarcazione.
-Quanto
manca?- s’informò Lilian al tramonto, mentre il sole diventava sempre più rosso
e il mare sempre più viola.
-Almeno due
giorni.- sospirò Marco. -Quando vuoi ti do il cambio.- avevano deciso di non
fermarsi mai, neanche per mangiare. Solo l’oscurità e il pericolo di fracassarsi
contro qualche scoglio affiorante li convinceva ad approdare per dormire poche
ore, e ripartire alle prime luci dell’alba, quando i pescatori tornavano dalle
mogli nelle case sui porti.
-Ce la faccio
ancora, grazie.- rispose Lilian con un sorriso stanco, senza allegria. -Tra
poco ci fermiamo, no?-
Marco annuì
con un cenno del capo, spostando lo sguardo serio dalle cartine al fratello,
che vigilava sul mare calmo. Fortunatamente in quel viaggio Fossa aveva portato
con sé un mazzo di carte, e presto qualsiasi oggetto pesante presente a bordo
fu impiegato per impedire alle carte di prendere il largo risucchiate dalla
brezza. Quando per tragedia volò via il Due di Coppe, Jaws riuscì a disegnarne
uno nuovo riadattando le istruzioni per la briscola.
Si
accamparono su una spiaggia in una rada solitaria dalla spiaggia scura per
quella notte, facendo i turni di guardia per evitare sorprese, e si rimisero in
mare quando il cielo si tinse di rosa. Lilian, sebbene all’inizio non fosse
stata molto entusiasta all’idea di mettersi in viaggio con tre sconosciuti,
dovette ammettere che, anche se pirati e ricercati, con quei tre uomini rudi e
irsuti (Marco un po’ meno, a dire la verità) si sentiva tranquilla e al sicuro
come a casa sua. Pur non facendo parte della famiglia c’era voluto poco perché
i figli di Barbabianca la considerassero un’alleata e la trattassero da amica.
Furono
costretti a fermarsi per un’intera giornata su un isolotto abitato da poche
decine di abitanti a causa di una forte tempesta; a nessuno dei tre andava a
genio quel riposo forzato, però era meglio non rischiare la vita e la barca,
che era piccina e non avrebbe retto alla furia delle onde. Marco non dette
segni di nervosismo, anche se era evidentemente infastidito dal contrattempo;
tuttavia sapeva che quelle ore di quiete avrebbero giovato a Lilian, stanca e angosciata
per il pericolo che stava correndo Ace.
-È una
trappola, Marco.- gli disse di nuovo in un soffio nella locanda, mentre
all’esterno infuriava la pioggia.
-Calma,
Lilian. Lo so.- la rassicurò il Primo Comandante. -Ma Blackwood non si aspetta
che ci saremo anche noi… riusciremo a salvarlo, tranquilla.-
La ragazza
rimase a cincischiare con le carte che aveva in mano in attesa che fosse il suo
turno. Si strinse di più nella coperta che aveva addosso per ripararsi dal
freddo e tirò su col naso. Jaws, accanto a lei, coprì con una delle sue
mastodontiche mani quella piccola e fredda di Lilian e, gesto raro da parte
sua, ruggì: -Andrà bene.-
“È tutta colpa mia.”, pensava Lilian. “Era una trappola, ed Ace c’è caduto in
pieno. Cercavano me.”
Purtroppo,
cercava di ragionare, non avrebbe potuto farci niente. Paul Blackwood aveva
intuito il legame tra lei e Pugno di Fuoco grazie al salvataggio di Marineford,
e senza di quello Ace forse sarebbe morto. Non avrebbe evitato quel rapimento
nemmeno, per assurdo visto che non ce n’era stata la possibilità, separandosi
dal pirata subito dopo averlo tratto in salvo; anzi, sarebbe stato peggio
perché forse i rapitori, dopo aver capito che non c’era più un legame fra loro,
invece di chiedere un ricatto l’avrebbero usato come cavia senza troppi
problemi, o consegnato direttamente alla Marina. La situazione sarebbe stata la
stessa e lei non avrebbe potuto farci nulla perché non avrebbe saputo del sequestro.
Ma una voce
continuava a cantilenarle nella testa: “È tutta colpa tua, tutta colpa tua, hanno
usato Ace che non c’entrava niente per arrivare a te.”
-Certo che
andrà bene.- ruggì Fossa mettendo da parte una Scopa con disappunto di Lilian. -Non
c’è gusto a demolire un cadavere.- Marco cominciava ad essere seriamente
preoccupato dalle intenzioni del Quindicesimo Comandante.
Tre giorni
dopo il piccolo gruppo giunse a Rainy Hollow.
Era notte
fonda, stavano camminando in silenzio assoluto per le strade del paese diretti
a nord, dove doveva esserci il Santuario dei Dannati, un antico tempio
risalente a centinaia di anni prima. Lilian si era introdotta dopo la chiusura nella
biblioteca della città per cercare l’ubicazione di quel posto; il suo potere le
tornava ancora utile in qualche occasione, nonostante tutti i guai che aveva
creato. Adesso che la sua faccia era nota, non poteva più circolare liberamente
per i luoghi pubblici, e non durante una missione così pericolosa.
Bisognava
trovare un’antica chiesa sconsacrata alla periferia nord del paesino e da lì
ritrovare una stradicciola che portava al Santuario.
La ragazza
camminava in mezzo a Marco e Jaws, celandoli agli altrui sguardi grazie al suo
potere, ma come Ace, giorni prima, non aveva notato anima viva nelle stradine
polverose della città, così non c’era nessuno ad accogliere il quartetto.
Uscirono dal
borgo e arrivarono ad una modesta chiesa in rovina dal portone di bronzo
sbarrato, chiuso da una pesante catena arrugginita; la poca luce che arrivava
era data dagli ultimi lampioni della strada, mentre la fitta umidità rendeva
incerti i contorni dell’edificio fatiscente.
Cercarono
qualcosa che somigliasse ad una stradetta nella boscaglia attorno, e finalmente
Lilian notò dei ciottoli regolari nascosti dalle piante incolte. Assicurandosi
che nessuno li osservasse, anche se erano protetti dal potere di Rea, Fossa e
Marco estrassero le spade e tagliarono i rami che rendevano ostico il
passaggio, e si addentrarono nella foresta.
Immersi nella
cupa e umida oscurità della boscaglia, con le piante che si chiudevano
minacciose sopra le loro teste, erano tutti e quattro sul chi vive: Jaws era
già parzialmente trasformato in durissimo diamante, Marco brandiva la katana e
Fossa era pronto a dar fuoco alla lama della sua, la ragazza aveva le pistole
cariche e puntate davanti a sé, e ogni tanto si voltava indietro per
assicurarsi che nessuno li seguisse.
Il sentiero,
liberato quando occorreva dal filo delle armi, correva serpentino nella
boscaglia buia e tetra, da cui provenivano rumori inquietanti forse
appartenenti ad animali, o a creature misteriose che non si curavano di
nascondersi.
I quattro si
pietrificarono, fu Marco in testa a sbarrare il passo, a braccia larghe, ai
compagni: un teschio umano dalle orbite vuote, grande quanto un pugno o poco
più, aveva pacificamente attraversato il sentiero, rotolando a qualche metro
davanti ai loro piedi. -L’hai visto?- bisbigliò Lilian concitata.
-L’ho visto.-
la rassicurò Marco in un sussurro basso. -Non ci ha attaccati. È andato via.
Continuiamo.- scandì. Lilian stava cominciando ad agitarsi troppo per i suoi
gusti, ma non se la sentiva di sgridarla o di prendersela; si era tuffata con
loro in quel salvataggio benché sapesse di non esserne all’altezza e che era
molto pericoloso… ed era coraggio anche quello. E quel teschio vivente era
stato un bel colpo anche per lui!
Camminarono
ancora, con le orecchie tese a rilevare qualsiasi rumore che tradisse presenze
sconcertanti in quella strana foresta, quando uno scalpiccio li fece fermare
subito dopo una curva: qualcuno stava sopraggiungendo alle loro spalle!
Lilian si
girò all'istante ad armi spianate, gli uomini erano pronti a scattare
all’attacco.
-È dietro la
curva.- mormorò il Terzo Comandante.
-Non ci
vedrà.- ricordò loro Lilian. -Bisognerà farlo passare, chiunque sia. Non deve
toccarci!-
-Jaws,
togliti dal sentiero, sei il più ingombrante!- ordinò sottovoce Marco. I
quattro si divisero in modo da lasciare libera la stradina, sempre invisibili
grazie a Lilian. Jaws, che si dovette allontanare di qualche centimetro in più,
comunicò con lo sguardo alla ragazza il dubbio di essere allo scoperto, ma il
raggio d’azione della Contro-Ambizione era sufficientemente ampio, e un cenno
del capo bastò a rassicurare il pirata.
I passi si
facevano sempre più vicini, ed erano sempre più strani: sembrava che la persona
non indossasse scarpe di cuoio o paglia, ma un materiale più duro, come
plastica o metallo.
Una luce
fioca fece capolino dalla curva, una lanterna rischiarava il misterioso
viandante che dondolava tranquillo sull’antico selciato.
Marco sgranò
gli occhi incredulo, gli sembrava che tutti gli organi avessero smesso di
funzionare; Lilian senza nessuna remora si avvinghiò al braccio della Fenice,
pallida dallo spavento, con una mano premuta sulle proprie labbra per soffocare
l’urlo che aveva in gola; Jaws strizzò gli occhi per assicurarsi di vedere
proprio il vero, Fossa aggrottò le sopracciglia cespugliose e dovette togliersi
il sigaro di bocca per non farlo cadere dalla meraviglia.
Il viandante
era una vecchia bambola di plastica.
Camminava
tranquilla sulle gambe storte e rosee, che sparivano all’inguine nel corpicino
fatto di stoffa bianca consumata e lercia. Un braccino pendeva inerte, mutilo
della manina, mentre l’altra reggeva una lanterna che l’illuminava, tenuta alla
mano da un grosso filo rosso in mancanza di articolazioni. I capelli biondi e
stopposi erano legati in due codini sopra le orecchie, la bocca semiaperta
produceva un suono roco, come se avesse dovuto dir qualcosa meccanicamente ma
le si fossero scaricate le batterie, mentre gli occhi azzurri ornati di folte
ciglia nere guardavano uno in avanti e uno in alto a destra, sbattendo ogni
tanto le palpebre.
-Falla
passare!- mormorò Marco spostando Lilian con lui al lato del sentiero.
La bambola,
lenta e lugubre, li oltrepassò senza notarli e sparì inghiottita dal sentiero
buio nella foresta fitta. Quando l’occhio strabico incrociò lo sguardo di
Fossa, questi ebbe l’idea di catturare la creatura e metterla sotto il letto di
Pugno di Fuoco, ma fortunatamente il buon intento rimase tale.
Lilian era
ancora stretta al suo braccio con le unghie conficcate nel bicipite dell’uomo, ma
la Fenice ammise in cuor suo che era un miracolo che non gli fosse saltata
direttamente in braccio rifiutandosi di scendere: aveva sudato freddo persino
lui.
Continuarono
a procedere, salendo sul versante del colle infestato da quella fitta foresta.
Giunsero infine in una radura sulla cima del rilievo, e videro alla luce della
luna calante le rovine di quello che era stato forse un tempio: una pianta
circolare, con due scalini e una fila di colonne che una volta dovevano formare
un portico che correva attorno all’edificio; delle colonne solo tre, quelle del
retro, erano rimaste in piedi, assieme ad una bassa porzione di muro che doveva
essere la cella del santuario.
Dietro questi
resti s’intravedeva un tavolo di pietra scuro, dove ancora stava conficcata una
pesante ed enorme ascia che faceva immaginare tetri sacrifici compiuti in quel
luogo.
Lilian,
Marco, Jaws e Fossa si guardarono attorno, spalle contro spalle, setacciando i
dintorni bui con lo sguardo. Era il luogo designato per lo scambio dei
prigionieri, i nemici potevano essere nascosti ovunque.
Driiiiiiiiin!
Uno squillo e
degli scoppi li fecero sobbalzare, i quattro che avevano già i nervi a fior di
pelle si guardarono attorno spaesati: girarono attorno alle rovine e notarono, sulla
tavola di pietra, proprio accanto all’ascia, un trillante lumacofono; prima non
l’avevano visto perché era nascosto ai loro occhi proprio dalla gigantesca
lama, adesso invece cantava a pieni polmoni tra palloncini colorati che
esplodevano uno dietro l’altro spandendo coriandoli dorati. Cos’era, uno scherzo?
Il gruppo gli
si avvicinò, saltando o aggirando le pietre cadute dalle rovine, e giunsero
presso l’apparecchio. Marco, con una mano mutata in fiamme turchesi, illuminò
appena l’animale; squillava esasperato, sembrava dire: “vi decidete a
rispondere??”. Portava lenti viola e un piccolo pellicciotto rosa, ormai i
palloncini erano scoppiati tutti rivelando che qualcuno gli aveva incollato sul
guscio un piccolo monitor con del nastro isolante nero.
Lilian fece
un cenno a Marco, che afferrò il ricevitore e tuonò: -Pronto?-
«Ciao
Lilian!!» rispose una voce allegra. «Ma come! Eppure Paul ti aveva detto chiaro
e tondo di portare Amelia… forse non siamo stati abbastanza convincenti?»
Il volume
dell’altoparlante era così alto che sembrava essere in vivavoce, cosicché Marco
lo allontanò dal proprio orecchio.
-Chi
accidenti sei?- tuonò Fossa strappando di mano al fratello la cornetta.
-Doflamingo.-
sussurrò Marco riconoscendo la voce e il lumacofono: l’aveva visto da
pochissimo a Marineford manovrare suo fratello Jaws.
Gli altri tre
si girarono a guardarlo. -Lui?- tuonò Fossa.
-Sei sicuro?-
sussurrò Rea.
«Bravo, Primo
Comandante!» si compiacque il Fenicottero, ma subito dopo aggiunse: «Credevi
che scherzassimo, Lilian?» sussurrò allegro e letale. «Hai firmato la condanna
a morte di Edward Newgate.» e rise sadico.
Marco, Jaws e
Fossa si guardarono in volto, attoniti, indecisi sul credere o meno a quelle
parole.
«Bada bene di
obbedirmi, ragazzina, o la prossima volta a farne le spese sarà Portuguese.»
La
conversazione cadde, il monitor si accese con un ronzio.
Era
inquadrata una baia dove diverse navi stavano ardendo nella notte, c’erano
persone che urlavano, uomini che combattevano, le fiamme si alzavano truci da
un veliero dalle vele turchesi. Cadevano gli alberi delle navi divorati dal
fuoco, c’era una vistosa spaccatura nel bel mezzo dell’aria. Si levò una risata
che Lilian conosceva troppo bene: «Zeahahaahah!» un gorgo oscuro inghiottì le
fiamme, si levarono altre urla, altri spari riempivano l’aria mentre lei, Marco,
Jaws e Fossa contemplavano per istanti lunghi ere l’annientamento della flotta
più potente del mondo.
Marco
digrignò i denti, serrando le mani magre in una stretta disperata.
-Andiamo via,
Lilian.- tuonò Jaws, che duro come il diamante decise di attendere ancora
qualche istante per farsi trascinare dalla rabbia; prese in braccio la ragazza
e corse verso la foresta seguito da Fossa in direzione del luogo dov’era
ormeggiata la Castle.
Lilian guardò
indietro, e tutto ciò che vide fu un’altissima fiammata azzurra che illuminò a
giorno il Santuario dei Dannati, e un urlo bestiale lacerò la notte, strappandole
l’anima e il cuore in mille pezzi.
Marco la
Fenice quella notte volò come non aveva mai fatto, nella speranza di tornare in
tempo per salvare suo padre, i suoi fratelli e la sua famiglia.
Dietro le quinte…
…
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Capitolo 24 *** Il massacro di Foodvalten ***
[zipedit] Il massacro di Foodvalten
Erano i
pirati di Barbabianca, era Edward Newgate, l’uomo di Marineford, non poteva
morire! Fossa, schiumando di rabbia, avviò il motore della Castle e poco mancò
perché non la facesse muovere senza levare le ancore; consumò il suo sigaro e
ne gettò in mare il mozzicone, e poi di nuovo, e di nuovo finchè i toscani
finirono. Jaws scrutava l’orizzonte stringendo i denti ed emettendo lunghi
sospiri frustrati. Lilian stava morendo dentro. Sperava che fosse uno scherzo,
un bluff, o che nessuno morisse in quella battaglia sanguinaria che aveva visto
infuriare dallo schermo perché ogni ferito e ogni morto sarebbe stato per causa
sua che aveva fatto lasciare la Seagreen Phoenix indifesa. E poi c’era quella
risata che poteva avere un unico proprietario…
-Sparisci, uccello!- minaccia Vista incrociando le
spade contro Lafitte che si scansa all’ultimo secondo volando via: è mezzo
cigno, nota il Quinto Capitano.
Van Ooger si apposta in un luogo riparato e con tutta
calma comincia a sparare, gli uomini di Barbabianca cadono uno alla volta come
mosche, i suoi colpi sono ben piazzati e i suoi proiettili in agalmatolite, per
gentile concessione di Paul Blackwood. L’aviatore ammira la battaglia da
lontano, con gli occhi stretti e l’animo felice dello svolgimento del suo
piano.
-Forse è
tutta una farsa, tutto teatro.- cercò di ragionare il Quindicesimo Comandante
durante il viaggio.
Dopo alcuni
istanti di silenzio Lilian mormorò: -Marco sarebbe tornato.- e se non era
tornato, era perché stava combattendo contro Marshall D. Teach.
-Tu sei l’unico che non chiamerò mai più “figlio”!-
tuona Barbabianca contro Marshall.
Scoppi, urla disperate, Marco si lancia in soccorso di
una delle crocerossine colpita da Jesus Burgess che aveva lanciato contro il
gruppo di donne l’intero cassero del Lancelot.
I soccorsi tardano ad arrivare, Edward Newgate scatena
un terremoto che scuote la terra e l’aria, ma ormai lo sforzo è stato troppo,
le sue infermiere lo sanno fin quando lui s’è strappato le flebo di dosso.
Barbanera e i suoi lo attaccano con tutte le armi da fuoco che hanno,
meschinamente. I figli, feriti o moribondi, non possono fare altro che cercare
di capire cosa succede sotto l’enorme telo nero con cui i nemici coprono il
corpo esanime del padre, ancora indomitamente in piedi dopo la cruenta
battaglia.
Lilian, Fossa
e Jaws sbarcarono tre giorni dopo provati dal lungo viaggio e disperati: ormai
della Seagreen e delle quattro navi che erano con lei ormeggiate nella baia non
erano rimaste che scafi anneriti dagli alberi fumanti, memoria della battaglia
che vi si era svolta, nell’aria c’era ancora odore di sangue, di bruciato e di
polvere da sparo. Il piccolo borgo di pescatori era deserto, da qualche casa
semidistrutta si levava silenzioso un filo di fumo: gli abitanti dovevano
essere fuggiti sulle montagne quando la battaglia era cominciata perché dalle
vie impervie non si levava nessun grido, nessun segno di vita, non c’erano più
barche ad affollare il porticciolo e la rena.
Gli ex detenuti di Impel Down sono i combattenti più
pericolosi in quella nube di sangue e grida che è diventata Foodvalten. Non
perché più valorosi o più forti, ma soprattutto perché implacabili. Ai feriti viene
dato il colpo di grazia, i morti vengono depredati e attardarsi a portare in
salvo un fratello o a difenderlo non è un atto di coraggio ma un suicidio.
Spogliato Newgate del suo potere sotto gli occhi dei
figli, l’equipaggio di carnefici si ritira, ridendo di tutti i morti ancora
caldi sulla spiaggia di Foodvalten.
Due giorni
era infuriato il combattimento tra le forze di Barbabianca e quelle di Teach.
Una fila di lenzuoli bianchi spiccava sulla sabbia scura della spiaggia; sotto,
i caduti, radunati ordinatamente attorno ad un corpo più grande di tutti.
Lilian rimase
attonita sulla Castle, guardando Jaws saltare giù dalla barca seguito da Fossa
e correre, correre verso i suoi fratelli, una corsa al rallentatore, i rumori
arrivavano ovattati alla mente della ragazza, le sensazioni orrendamente
amplificate.
-Lilian.-
mormorò Amelia arrivando sul molo dov’era e abbracciandola senza una parola.
-Che ci fai
qui?- chiese Lilian, come in trance.
-La Seagreen
ha lanciato un SOS per le altre navi, e l’ho intercettato con la mia radio di
bordo.-
Dopo
Marineford, escludendo la Moby Dick, delle sedici ciurme ne erano rimaste quattordici,
metà delle quali però era ripartita subito dopo Marineford separandosi dalla
nuova ammiraglia, la Seagreen Phoenix di Marco, ed era quindi erano lontana da
Foodvalten al momento dell’attacco. Inoltre, mancavano all’appello Marco, Ace,
Jaws e Fossa. I soccorsi, sebbene partiti subito grazie ad un SOS trasportato
da inconsolabili lumacofoni, erano arrivati troppo tardi, i poteri dei Frutti
del Diavolo finivano annullati da Barbanera e alla fine bastavano i proiettili di
agalmatolite liquida di Van Ooger a stroncare anche i più valorosi combattenti.
Nemmeno le infermiere erano state risparmiate; alcune di loro riposavano
immobili accanto ai pirati caduti, le superstiti si occupavano dei feriti che
urlavano e piangevano, e solo le loro voci riempivano l’aria ferma, immobile,
lugubre.
La maggior parte
dei pirati era raccolta attorno ad Edward Newgate, sempre più freddo, sempre
più bianco. Le voci che serpeggiavano la folla riferivano che era morto in
piedi, per mano di Teach e dei suoi. Molti si aggiravano tra i fratelli
in terra, cercavano i propri compagni, si abbracciavano.
Marco era lì,
tra la piccola folla di uomini e ragazzi, stringeva una ragazza inconsolabile
dagli abiti rinascimentali logori e sporchi di sangue. Halta era stata
crudelmente presa di mira da Lafitte, Marco era riuscito ad allontanarlo dalla
sorella in uno spettacolare combattimento in volo.
In serata i
corpi furono vegliati sulla spiaggia per l’ultima volta, poi sarebbero stati
caricati sulla Seagreen Phoenix, riparata in tutta fretta dai carpentieri
disponibili e affranti, e seppelliti nel Nuovo Mondo.
La Castle
rimase a Foodvalten, e Amelia e Lilian precedettero in aereo il corteo funebre
di vascelli sul luogo dove ci sarebbe stata la sepoltura.
-Lilian. Ti
prego.- sussurrò la sera successiva Amelia prima di addormentarsi nel Canadair
con l’amica che non parlava da quando aveva messo piede a Foodvalten.
Lilian scosse
la testa, fuggendo il suo sguardo.
-Non è stata
colpa tua. Smettila di fare così.-
La ragazza
però non l’ascoltava. Era stata colpa sua, basta. Per colpa sua era stata tesa
la trappola ad Ace, per colpa sua Marco, Jaws e Fossa erano partiti lasciando
quasi indifesa la Phoenix, per colpa sua tutti quegli uomini erano morti. Per
colpa sua era morto il padre di tutti quei ragazzi.
Amelia provò
a cambiare argomento. -Ed Ace? è ancora prigioniero di Paul, vero? Jaws mi ha
raccontato tutto… Lilian, perché non hai chiamato me? Potevamo andare insieme a
salvarlo, Paul ha anche mio fratello!!-
Jaws
cos’aveva fatto? Raccontato? Lui, che
non parlava quasi mai?, riuscì a pensare Lilian, ma fu solo per un brevissimo
istante.
Lo strazio
del funerale. La sfilata delle bare. Il silenzio, il vuoto, l’epigrafe
penosamente composta nella notte da Marco e da Vista. Di seimila e cento
persone ne erano rimaste poco più della metà. La bara di Barbabianca fu portata
a spalla dai suoi figli e da Shanks il Rosso in persona, arrivato sull’isola con
la sua ciurma per porgere l’ultimo saluto al valoroso avversario.
Quell’immagine, la bara sulle spalle di Marco e Shanks, Lilian non l’avrebbe dimenticata
mai più.
Amelia e
Lilian rimasero in disparte, lasciando che fossero i figli a stare in prima
fila per salutare il padre e i fratelli; loro erano quasi due estranee in
confronto a tutto quell’affetto e quel dolore che dilaniava l’aria primaverile
dell’isola.
Quando Rea si
lasciò alle spalle il colle erboso che custodiva i corpi della ciurma più straordinaria
di tutti i tempi, rivolse un ultimo sguardo all’imponente monumento di
Barbabianca che stava sulla cima. La grandissima bandiera sventolava fiera, il
suo pesante cappotto bianco scosso dalla brezza e issato sul suo bisento era
stato cementificato nel blocco di marmo che coronava la tomba attorno alla quale
erano state conficcate decine, forse centinaia tra spade, katane e sciabole.
Appartenevano ai defunti, seppelliti sul dolce declivio sotto lugubri pietre
bianche. Nel prato costellato di lastre una miriade di figurette nere e
lontane, i pirati, si aggiravano ancora incerte tra i compagni, incapaci di dir
loro addio.
-Dobbiamo
proseguire, Lilian. Ci sono Ace a Charlie da salvare.- mormorò la compagna
voltandosi verso di lei, che la seguiva mogia a qualche passo di distanza;
camminavano sul verde sentiero erboso che correva lungo il cimitero, separato
dalla strada con una lunga ringhiera grigia. I ragazzi avevano scelto un’isola
veramente bella, piena di alberi le cui foglie stormivano al vento e con i viottoli
che si snodavano tra prati, case basse di pietra e canali dove l’acqua cantava
lieve.
Ace non era
nemmeno riuscito a salutare per l’ultima volta suo padre, pensò Lilian. Chissà
se sapeva di quello che era successo. L’avrebbe salvato, si promise. E poi
sarebbe sparita, non sarebbe tornata mai più. Dopo aver distrutto la famiglia
di Barbabianca non poteva fare altro che sparire, dissolversi, nascondersi,
vagare per il mondo e non farsi trovare da nessuno. Ma prima c’erano due
persone da soccorrere.
-E adesso?-
chiese Lilian.
-Prendiamo
l’aereo e andiamo da Rufy. È l’unico che ci può aiutare.- pianificò Amelia.
-Ma si sta
allenando con Rayleigh…- obiettò Rea.
-Oh beh,
allora verrà anche lui. Tranquilla.- la abbracciò. -Adesso andiamo a riposarci,
va bene? Partiremo stanotte. Edward Newgate era anche mio amico, voleva farmi entrare
nella divisione di Jaws!-
Lilian non
reagì.
-Adesso
basta, Lilian.- la riprese Amelia, sollevandole un po’ il volto con due dita
sotto al mento. -Non è il momento per essere depressa! Edward è morto
combattendo, come avrebbe voluto… ormai non gli rimaneva molto. Lo sapevi?-
Lilian la
guardò spaventata, si aggrappò con una mano all’ultima sbarra dell’inferriata
che correva lungo il perimetro del cimitero.
La notizia non la consolava, anzi, la rendeva
ancora più triste. Ma Amelia continuò: -Non avrebbe voluto vederti ridotta
così.- concluse. Non che sapesse precisamente come Barbabianca avrebbe o non
avrebbe voluto vedere Lilian, ma decise che la memoria dell’uomo avrebbe
sopportato quella piccola bugia, se serviva a scuotere l’amica da quel torpore
e riportarla nel mondo reale.
Rea guardò
ancora verso il monumento, piccino piccino in lontananza dal molo dove ormai
erano arrivate. Pensò al vessillo di Barbabianca e a quello di Barbanera che si
portava cucito addosso. “Sono orgoglioso
di quel marchio che hai, almeno quanto i miei figli lo sono del loro.”, le
aveva detto Newgate una volta, ed era l’unico pensiero che le impediva di
scartavetrarselo o cancellarselo a frustate.
-Hai
ragione.- affermò decisa guardando l’amica. Ci sarebbe stato tutto il tempo,
poi, per deprimersi, ma ora bisognava passare all’azione. Guardò ancora il
vessillo di Barbabianca, una ruga le si disegnò al centro della fronte, soffiò
un pesante sospiro tra i denti.
-Torniamo al
paese, mi servono altre munizioni e una birra ghiacciata.- disse inforcando le
lenti verde scuro.
Cenarono alla
locanda del villaggio e appena scese l’oscurità le due ragazze uscirono dal
calore confortante del piccolo locale e si avviarono verso il porticciolo dove
era ormeggiato il Canadair anfibio di Amelia.
Montarono sull’aereo
e Lilian sciolse le gomene che lo ancoravano.
Amelia si
sedette sul posto di guida e indossò la cuffia della radio; Lilian si accomodò
sul sedile del copilota e si calò sul naso gli occhiali da sole dalle lenti
squadrate.
-Sono 126
miglia per Amazon Lily.- sentenziò Amelia voltandosi per un istante verso la
collega. -Abbiamo il serbatoio pieno, mezzo pacchetto di sigarette, è buio, e
abbiamo tutt’e due gli occhiali da sole.-
-Vai.- ordinò
Lilian indicando davanti a sé con l’indice destro.
Ogni Canadair
era un pezzo unico, anche se il progetto di base era lo stesso; quello di
Amelia per esempio era attrezzato per le ricognizioni in notturna, ecco perché
era riuscita ad individuare i relitti dell’aereo di Lilian in quasi totale
assenza di luce, dopo Marineford. Per lei decollare di notte non era un gran
problema.
Arrivarono ad
Amazon Lily in poche ore di volo, e ammararono alle prime luci dell’alba
sull’isola delle donne; non furono abbattute prima di toccare l’acqua
unicamente perché le isolane conoscevano il Canadair come amico, essendo stato
loro alleato appena poche settimane prima, ma nonostante questo, una volta
aperto il portello a poca distanza dalla spiaggia furono accolte da archi
spianati e da volti tutt’altro che amichevoli.
Amelia alzò
le braccia in segno di resa mentre metteva la testa fuori dall’abitacolo. -E
dicevi che erano tue alleate…?- sussurrò a Lilian. L’aereo era fermo ad un
centinaio di metri scarsi dalla riva ed era stato raggiunto da un’imbarcazione
dell’isola.
-Non fare
movimenti bruschi, sentono l’odore della paura.- l’ammonì Rea poco dietro lei.
-Guerriere Kuja, buongiorno.- esordì. -Veniamo in pace, non abbiamo uomini
sull’aereo, potete perquisirlo se…-
-Silenzio,
donna.- le intimò una guerriera enorme dai capelli verde brillante. -Cosa vuoi?
L’Imperatrice Boa Hancock ha dato ordine di non far attraccare più nessuno da
quando siete andati via.-
Amelia
guardava con occhi sgranati quella donna altissima, che per stazza rivaleggiava
addirittura con il Canadair, mentre la compagna non sembrava per nulla
impressionata.
-Devo
conferire con l’Imperatrice.- affermò decisa Lilian guardando l’Amazzone dritto
negli occhi. -Questioni che riguardano Monkey D. Rufy.- teneva ancora le mani
sollevate, mentre le altre donne requisirono le pistole e il fucile che aveva
addosso.
-Non la
disturberai con inutili vaneggiamenti sugli uomini.- sibilò la donna, con la
lingua che schioccava tra le labbra sottili.
-Le notizie
che porto le verrà a sapere.- bluffò sfacciatamente. -Ma potrebbe venirle a
sapere troppo tardi. Volete che la sua malattia peggiori? E che siate state voi
ad aggravarla?-
Amelia
tratteneva il fiato mentre lo sguardo di Rea faceva a sciabolate con quello di
Boa Sandersonia.
-Disarmatele
e perquisite l’aereo.- dispose la sorella dell’Imperatrice. -Mia sorella sta
dormendo, sarete rinchiuse e ascoltate appena lo stabiliremo noi.-
-Saggia
decisione.- rispose accomodante Lilian. -Ma non prendetevela con troppa calma: il
tempo scorre, io non lo posso fermare e la faccenda riguarda Cappello di
Paglia.
In breve
tempo, rimorchiato il Canadair nel porticciolo dell’isola e ammanettate le due
ragazze, Amelia e Lilian furono chiuse in una stanzetta al pianterreno del
palazzo reale: non era una prigione, ma solo una saletta dove farle attendere
in attesa del risveglio di Boa Hancock. Fuori, c’era da scommetterci, c’erano
di guardia donne armate fino ai denti. Lilian si sedette su un divanetto nella
stanza, Amelia era troppo scioccata per star ferma e andava su e giù davanti
alla compagna che cercava una posizione comoda nonostante le corde ai polsi.
-Ma sono
tutte matte qui?- si stupì Amelia, sconcertata dall’accoglienza riservatale.
-Non gridare!
Non me le aspettavo così ostili, credo che Boa Hancock abbia inasprito le
misure di sicurezza.
-Uffa, se
avessimo saputo qual era l’isola dov’è Rufy qui non ci saremmo proprio
fermate!-
L’isola su
cui si stava allenando Rufy era a poca distanza da Amazon Lily, ma Lilian non
sapeva di quale isola si trattasse, così bisognava chiederlo a Boa Hancock.
Anche Lilian
si era spaventata quando aveva visto tutti quegli archi tesi minacciosamente
verso di lei, ma aveva imparato che con le piratesse Kuja l’arma migliore era
fare sfoggio di coraggio; aveva immediatamente fatto il nome di Rufy ben
sapendo che, avendo un legame con lui, Boa Hancock non avrebbe perdonato le sue
guerriere se avessero fatto loro del male.
La porta si
spalancò e un inconfondibile aroma dolce di fiori entrò con una ventata nella
stanza, e la figura alta di Boa Hancock in camicia da notte si stagliò sulla
porta.
-Cos’è
successo al mio Rufy?- esordì.
-Buongiorno
Hancock.- la salutò Lilian cercando disperatamente di non fissare le generose
grazie della donna che trasparivano dal fine indumento.
Entrò nella
stanza anche il suo serpente Salomè, che formò un largo “otto” attorno alle due
ragazze; non erano strette, anzi, non erano neppure toccate dalla bestiola,
però era chiaramente una minaccia.
-Portuguese
D. Ace è nuovamente in pericolo.- annunciò l’aviatrice. -E ho bisogno
dell’aiuto di Rufy per soccorrerlo.-
-Come ha
fatto a finire nei guai un’altra volta??- si stupì rabbiosamente la donna.
-Mi faccio la
stessa domanda ogni giorno, mi creda.-
-Sperate
dunque che vi riveli dove si trova il mio Rufy?- rispose sprezzante Hancock, incurvandosi
all’indietro e puntando loro contro l’indice. -Non permetterò che corra ancora
dei rischi! Ringraziate piuttosto che vi faccia uscire vive dal mio palazzo!-
-Hancock,
Rufy ha la vivre card del fratello.-
continuò Lilian. -Più passa il tempo, più la vita di Portuguese è in pericolo,
e se lo è, Rufy se ne accorgerà, e non rimarrà con le mani in mano.-
L’imperatrice,
pur non abbandonando la sua classica posizione inarcata all’indietro, non
replicò, e Lilian ritenne saggio continuare con la sua arringa: -Scoprirà che
suo fratello è in fin di vita e partirà comunque; scoprirà che lei era a
conoscenza della situazione e certo non le sarà riconoscente. Per favore,
diteci dove si sta allenando, dobbiamo chiedergli di aiutarci.-
-Io non
posso…- ringhiò la formosa imperatrice. -Non posso dirvi una cosa del genere…
il mio Rufy si sta ancora rimettendo dopo quello che è successo a Marineford,
non voglio che si faccia di nuovo del male… nemmeno se è in gioco la vita di
suo fratello!
-Partirà lo
stesso, appena quella vivre card ricomincerà
a bruciare!-
-E se non lo
facesse?- protestò Boa.
-Lo farà! La
situazione è gravissima!- intervenne Amelia. -Stiamo parlando di
sperimentazioni su cavie umane!-
A quel punto
persino Boa Hancock cominciò ad insospettirsi, e cominciava a subodorare una
situazione più grossa di quello che si aspettava; chiese ad Amelia cosa
intendesse esattamente con quella frase e le due ragazze la misero a parte
della loro storia, di Paul Blackwood, di Charlie, degli esperimenti, fino alla
telefonata di Donquijote Doflamingo e all’annientamento della flotta di
Barbabianca.
-E così il
vecchio è morto…- rimuginò la donna.
-È stata una
strage, Hancock, e tutto per riuscire ad attirarmi in trappola! Hanno ucciso
centinaia di…
-Chi se ne
importa!- l’ammutolì l’imperatrice. -Io non lascio partire Rufy, per di più
proprio adesso che mi avete detto che la situazione è così pericolosa! No e no!
-Scoprirà che
suo fratello è morto, e che lei gli ha impedito di andare a soccorrerlo! Vuole
che accada ciò che ha evitato a Marineford?- rincarò Rea.
-E dov’è che
vorreste andare con il mio Rufy? Sentiamo!-
Lilian esitò.
-Non lo sappiamo.- ammise infine.
Boa Hancock
era combattuta; da un lato non voleva lasciar partire Rufy adesso che lo sapeva
al sicuro con Rayleigh e protetto nel suo territorio, dall’altro però se avesse
scoperto che il fratello era nei guai sarebbe partito comunque.
-Se lo
salvassi… lui mi sarebbe riconoscente.- mormorò a capo chino, più rivolta a sé
stessa che alle ragazze.
-Come,
scusi?- chiese infatti Amelia.
-Non lascerò
che voi salviate Portuguese D. Ace e che Rufy vi sposi!-
Lilian e
Amelia rimasero mute, con gli occhi spalancati davanti a quell’affermazione.
-Sarò io a
salvare Portuguese, Rufy mi sarà per sempre riconoscente, ancor più che quanto
a Marineford, e finalmente acconsentirà a sposarmi!!- declamò convinta, con gli
occhi ridotti a due cuoricini, un dito levato verso l’alto a braccio teso e un
piede puntato battagliero su una delle seggiole della stanza.
Le due
ragazze si guardarono spaesate.
-Salverà
Ace?- domandò cauta Lilian.
-Certo che lo
salverò!- la fulminò l’Amazzone, come se fosse inconcepibile per lei pensare il
contrario.
-Noi però non
sappiamo dov’è…- le ricordò Amelia.
-Non mi
interessa! Io vado a casa di quel cafone di Doflamingo e me lo faccio
consegnare.- dichiarò battagliera la donna.
-Perché Doflamingo
dovrebbe fare una cosa del genere!?- dissero in coro Lilian e Amelia.
-Perché io…
sono bellissima.- cinguettò Hancock sbattendo le lunghe ciglia. -E quando
questa storia sarà finita io e Rufy ci sposeremo.-
Dietro le quinte…
*Mette la testa fuori dal rifugio anti-lettori* Ci
siete? *evita una scarpa*
Posso spiegare!! Non è stata colpa mia!! La paternità
della morte di Barbabianca è del mio ragazzo. Tutta sua. “Sì ok, ma la storia
la scrivi tu, potevi opporti.”, direte voi. Sì, è verissimo. Ma un cattivo che
non miete vittime che cattivo è? adesso avete veramente idea di quanto sia un
pezzo di merda Paul, non che Doflamingo sia un pezzo di pane ovviamente. E non
dimenticatevi della risata che si sente durante la lumacofonata!
Qualche credit: la scena in cui Amelia e Lilian sono
sul Canadair e parlano delle 126 miglia per Amazon Lily, delle sigarette e
degli occhiali da sole è una citazione dal film “The Blues Brothers”. La potete trovare qui.
Che Lafitte abbia uno zoo-zoo è sicuro, a Marineford
lo si vede sfoggiare un bel paio di ali bianche; che sia un cigno è una mia
licenza poetica, diciamo che è probabile che sia un cigno. Corporatura
longilinea, carnagione bianca e rossetto scuro ricordano un cigno ma boh,
potrei sbagliare.
Alcune di voi mi fanno i complimenti per la trama
(anche se dopo aver tolto di mezzo Barbabianca dubito che me ne saranno fatti
ancora), ma vi ricordo che quest’ultima è opera del mio ragazzo, mlegasy, che si è
prestato a far da storyboarder per quanto riguarda i capitoli dal 18 in poi, il
passato di Lilian e i personaggi di Paul, Amelia e Charlie. Miei sono i dialoghi,
le descrizioni -insomma, la tastiera è il mio regno- però la trama è sua. E
rivendica anche la paternità della scena di questo capitolo con Boa Hancock,
compresa la spiegazione del “Perché io… sono bellissima”.
Edward ti voglio bene!!! Scusami!!! Metterò la tua
bandiera sulla porta della mia stanza da fuorisede, perdonami!! Mi farò
perdonare, davvero! Ti rimando da David Letterman, ti organizzo una serata
romantica con Boa Hancock, ti riesumo Satch, quello che vuoi!!!
Grazie a tutti coloro che seguono la storia! Vivo di
pane e vostre meravigliose recensioni!
Yellow Canadair
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Capitolo 25 *** Dressrosa ***
[zipedit] Edit 20/04/2015: la storia è stata scritta prima della pubblicazione dei capitoli di Dressrosa su Weekly Shonen Jump, per questo sono completamente assenti Diamante, Senor Pink, Pika e compagnia cantando! Altrimenti un bel Dellinger preso a calci nelle gengive da Vista non ce l'avrebbe tolto nessuno, così come un match Pika vs Jaws. Forse un giorno colmerò la lacuna ma siccome sono pigra non penso proprio.
Dressrosa
Nella cabina
del Canadair Amelia pilotava veloce e sicura muovendosi con agilità in
quell’universo di bottoni, pulsanti, indicatori e levette che le era familiare;
Boa Hancock, seduta accanto a lei al posto del co-pilota, accavallò le gambe
con fare elegante mentre osservava taciturna le terre e le acque che scappavano
veloci sotto di lei nella luce porpora del crepuscolo. Appesa ad un gancio che
in origine serviva ai piloti per riporre la giacca della Marina c’era una
radiolina che diffondeva musica in tutto l’abitacolo e distraeva i passeggeri
dalla traversata.
-Quanto
manca?- domandò Lilian, seduta per terra a pulire le proprie armi contro lo
schienale del sedile dell’amica.
-Mezz’ora
scarsa.- rispose Amelia. -Dove devo atterrare?- domandò all’Imperatrice.
-C’è una baia
isolata a nord, anche se dovremo attraversare il paese per arrivare alla
residenza.
-Nessun
problema.- assicurò Lilian. Lei e Amelia potevano sparire a piacimento, e
avrebbero nascosto anche la formosa spasimante di Rufy.
Il Canadair
ammarò a buio fatto sulle acque di Dressrosa e Lilian e Amelia dettero una mano
a Boa Hancock perché sbarcasse dal piccolo gommone a remi senza bagnarsi con
l’acqua del mare. Nessuno le vide arrivare perché le due aviatrici ebbero cura
di nascondere l’intero velivolo con il loro potere; già dalla baia nascosta
dov’era il mezzo, tuttavia, si sentivano i fortissimi odori di fiori e di cucina
caratteristici dell’isola, nonostante l’abitato fosse a qualche minuto di
cammino da dov’erano.
S’inoltrarono
per le strade del paesino celate agli sguardi dei passanti; anche se l’ora di
cena era ormai passata, dai bar provenivano danze e suoni di chitarre,
nell’aria veleggiavano dolci aromi di pietanze speziate e di carne alla brace.
Ogni tanto dai vicoli bui si intravedeva qualcosa in movimento. Un orsetto di
pezza, alto poco meno di un cagnetto, schizzò fuori dall’oscurità e sfrecciò
davanti ai piedi di Lilian, che fulminea estrasse le pistole dalle fondine, ma
Amelia fu più lesta, le serrò le mani in una morsa ferrea.
-Shhhh. Sei
impazzita!?- la sgridò. -Sono i giocattoli viventi di Dressrosa. Pensavo ne
avessi sentito parlare!-
Lilian non
aveva potuto fare a meno di pensare, in realtà, alla bambola e al teschio di
Rainy Hollow; se ci pensava la sera prima di andare a letto, non c’era verso di
addormentarsi.
Boa Hancock
sbuffò superba davanti al nervosismo della ragazza, e proseguirono per i vicoli
bui; dovevano arrivare alla residenza della famiglia Donquijote, dove
l’imperatrice era certissima che si trovasse il collega flottaro.
Risatine,
parole sussurrate.
Le tre,
ancora invisibili, si portarono sul lato di un edificio fatiscente per evitare
di essere intercettate da un passante, e lì notarono una coppietta intenta a
scambiarsi intime tenerezze. Amelia stava per affrettarsi verso dove le
indicava Boa Hancock, quando un urlo femminile fece voltare lei, l’Amazzone e
Lilian: sopraggiunse una donna dall’abito lungo con balze rosse e nere, e sorprese
i due innamorati.
-Sei un
infame!- sbraitò l’ultima arrivata mentre le tre donne rimanevano immobili per
non farsi scoprire.
-Non è come
pensi…- cominciò l’uomo avvicinandosi alla donna cornuta, ma costei senza por
tempo in mezzo estrasse un grosso coltello dalla sottana e colpì ripetutamente
l’uomo al collo e al volto, con così tanta foga che il poveretto non riuscì
nemmeno a reagire e lo lasciò lì, in un lago di sangue.
Lilian fece
per correre avanti, ma Amelia la bloccò sibilando: -Non fare scemenze, è già
morto.-
L’altra donna
intanto estrasse anch’ella un lungo stiletto dalle autoreggenti e urlò:
-Disgraziata! Lui era mio!!- E cominciarono ad inseguirsi correndo verso il
paese.
-Affrettiamoci.-
consigliò saggiamente Hancock con un sorriso soddisfatto. Proprio un ridente
paesino, Dressrosa!
Non ci volle
molto per le due aviatrici ad individuare la residenza dei Donquijote: la villa
fastosamente illuminata in cima al bastione fortificato che dominava il paese
non poteva essere che la loro meta; cominciarono a percorrere la strada che
conduceva lassù, Boa Hancock addirittura riusciva ad usare il suo raggio
pietrificante senza uscire dall’orbita protettiva delle due giovani alleate, e
il terzetto procedeva implacabile verso il suo obiettivo.
Arrivate
davanti alla porta sbarrata della residenza però dovettero mettere a rischio la
copertura: difficilmente infatti la porta buttata a terra da un calcio della
formosa imperatrice sarebbe passata inosservata. Lilian fece irruzione ad armi
spianate, seguita da Hancock che sprezzante si sistemava i capelli corvini e in
ultimo arrivava Amelia. Si trovarono catapultate in un vasto atrio senza la
minima idea di dove dirigersi: davanti a loro c’era soltanto, oltre al mobilio
della stanza, un’elegante porta chiusa a doppio battente. Seguendo il piano di
Boa, bisognava o trovare il padrone di casa o qualcuno che sapesse dov’erano
tenuti i prigionieri.
-Dove
andiamo?- domandò Lilian all’Imperatrice.
-Proseguiamo.-
fece lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, spalancando a due mani il
portone davanti a lei.
Continuavano
ad arrivare gruppetti di addetti alla vigilanza, che però non riuscivano a
comprendere lo strano fenomeno che faceva aprire gli ingressi; Boa Hancock
inoltre, con il suo potere, pietrificava chiunque si fermasse troppo tempo a
ragionarci su. Guidate dalla musica che si sentiva fin dall’ingresso,
arrivarono in un salone colmo di gente vestita in abito da sera.
-Togliete la
Contro-Ambizione.- ordinò l’Amazzone.
-Ma…-
-ADESSO.-
ringhiò con poco garbo mentre Lilian e Amelia, guardandosi contrariate, le
obbedivano.
Gli invitati
rimasero di stucco davanti all’inaspettata apparizione, stregati dalla bellezza
magnetica di Boa Hancock, ma l’incantesimo fu spezzato dalla voce di Lilian che
sbucò da dietro all’abito variopinto della donna gridando: -Mani in alto!
Nessuno si muova!- minacciando la folla ad armi spianate. Gli ospiti
rumoreggiavano interdetti e spaventati, le dame sventolavano con indignazione i
propri ventagli e gli uomini le stringevano ostentando spavalderia, ma nessuno
osava avvicinarsi alle pistole e soprattutto all’Ambizione che emanava Hancock.
-Signorine,
siete nell’elenco degli ospiti?- si avvicinò al trotto un maggiordomo,
rivolgendosi a Lilian ed ignorando con coraggio le armi.
-Sì: quelli
sgraditi.- rispose Rea puntandogli la Beretta in una narice e facendogli
perdere parecchi anni di vita. -Portaci dal tuo padrone, e vedi di…- Boa
Hancock le artigliò una spalla con una delle sue leggiadre mani curate e la
riportò dietro di sé togliendo la fredda canna dal naso del servitore.
-Mi sta forse
mandando via?- redarguì il domestico. -Anzi, non ci potrebbe dire se in questa
villa c’è un laboratorio, o un luogo dove vengono tenuti i prigionieri?
-Non penserà
che le dica una cosa del genere!?- si alterò quello.
-Certo che
sì… perché sono bellissima.- spiegò sbattendo le lunghe ciglia nere.
L’uomo, sotto
lo sguardo incredulo di Lilian e di Amelia, cambiò drasticamente espressione,
da arrabbiato e preoccupato divenne sognante e imbarazzato. -I prigionieri sono
al piano di sotto, Mia Signora. Vuole che la prenda in braccio o che le faccia
da tappeto? Mi perdoni ma purtroppo il corridoio sotterraneo è molto umido,
rischia di scivolare.- si prodigò in scuse e scortò personalmente le donne
verso una modesta scala di marmo bianco che conduceva ai piani inferiori; cosa
curiosa, notò Lilian, perché quello era il pian terreno. Evidentemente, pensò,
la residenza si estendeva anche all’interno del colle su cui sorgeva.
Attraversarono
così degli ambienti di servizio, frequentati da galoppini e servitori. Forse ci
sarebbero state altre scale o altre stanze più avanti.
-Sicuro che
non ci faccia scherzi?- ringhiò Rea rivolta ad Hancock, mentre teneva ancora
sotto minaccia armata l’uomo, dopo aver avuto la premura di pulire la canna
sporca di moccio sulla manica della sua livrea.
-Stai
dubitando della mia bellezza??- s’alterò la donna, inarcandosi all’indietro.
-Fufufu,
fermati subito Jasper!!- rise sguaiato qualcuno alle spalle delle donne. -Con
te faccio i conti dopo, sparisci. Buonasera, Boa Hancock!
-Donquijote
Doflamingo.- lo salutò lei squadrandolo dai riccioli ai mocassini. -Ancora non
ti togli quello struzzo di dosso?-
-Così mi
offendi, cara Hancock.- sorrise lui, passandosi la lingua sulle labbra mentre
fermava con una gamba il calcio dell’Amazzone. -Sono piume di fenicottero. Ne
ho fatti uccidere a centinaia, sai? Finisco col prendere solo le piume del
ventre!-
-Pistol Kiss!- gridò la donna.
-Tamaito!- rispose l’uomo, scoppiando in
una gran risata.
-Lilian! Dove
vai!?- sibilò Amelia, che si era barricata nella propria Contro-Ambizione assieme
all’amica fin dall’apparizione del fenicottero.
-Vieni! Ace e
Charlie devono essere da quella parte.- sussurrò lei indicando il corridoio con
lo sguardo. -Prima li portiamo via, meglio è.- stavano andando in quella
direzione con il maggiordomo, che aveva parlato di un pavimento scivoloso,
quindi forse bisognava cercare altre scale.
-Non le diamo
una mano?- si meravigliò Amelia.
-Si muovono
troppo velocemente.- fece Lilian. La battaglia tra i due andava avanti senza
esclusione di colpi, tra agili salti e affondi letali. -Rischio di colpire
Hancock.- spiegò.
Le due
lasciarono Boa Hancock a destreggiarsi senza troppi sforzi contro Doflamingo, e
si inoltrarono, nascoste dalla loro Contro-Ambizione, nel corridoio. L’intuizione
di Rea si rivelò fondata, dietro quella che sembrava la porta di uno sgabuzzino
c’erano invece delle scale di servizio, e una rampa conduceva verso il basso.
Si
ritrovarono nei sotterranei bui della residenza, in un corridoio gelido dalle
pareti di grossi mattoni umidi. Molto, molto diverso dalle sale sfarzose che
avevano visto poco più in alto.
-Dev’essere
un’ala antica dell’edificio.- constatò Lilian. -Proseguiamo.-
-È troppo
buio.- notò Amelia fermandosi. -Hai portato quella cosa che ti ho detto
sull’aereo?-
-La sto prendendo.-
e staccò dalla cinta una piccola torcia, presa dall’equipaggiamento del
Canadair di Amelia. -Andiamo.- disse accendendolo.
Camminarono
nel corridoio fino ad un bivio.
-Tu vai a sinistra,
io a destra.- dispose Amelia.
-Non sarebbe
meglio non separarci?
-Se ci
separiamo faremo prima… tanto, nessuno ci vede! Prendo io la pila, a sinistra
c’è luce. A dopo!-
E si
separarono in quell’umido e tetro cunicolo.
Amelia
continuò ancora ad avanzare finché il corridoio finì, e vide delle scale in
ferro, a chiocciola, che si arrampicavano verso l’alto, terminando in una
botola che doveva essere stata installata da poco, era nuova e strideva con
l’ambiente umido tutt’attorno. Si arrampicò fino lassù, l’aprì senza fatica e
sbirciò nella fessura che aveva creato: buio pesto, nessun rumore. La
provvidenziale pila le rivelò che era sbucata in uno stanzino pieno di secchi,
scope, ramazze e vari ammennicoli posti ordinatamente su degli scaffali di
metallo. La ragazza si issò nel piccolo ambiente e notò che sulla parete
opposta a lei c’era una porta di legno dal pomello giallo.
La spinse con
cautela e si ritrovò in un grande stanzone pregno di un odore molto forte che
però non riuscì a decifrare, sembrava disinfettante; era in un laboratorio,
come testimoniavano bene la lavagna di ardesia piena di formule incomprensibili
e i tavoli ingombri di microscopi, becher e alambicchi.
-A… Amelia…!-
boccheggiò una voce dalla semioscurità.
-Charlie!-
singhiozzò la ragazza correndo verso di lui. -Charlie, che ti hanno fatto?- sibilò
sconvolta. C’era un ragazzo legato ad un tavolo operatorio proprio al centro
della stanza. Era alto e magrissimo, con il volto scarno e le occhiaie pesanti;
addosso aveva solo una grande camicia bianca che gli arrivava alle ginocchia,
rivelando lividi e graffi. In quella miseria spiccavano gli occhi, turchesi e
grandi come quelli della sorella.
-Ti libero
subito!- estrasse un coltello e rapida tagliò tutte le orribili cinghie che lo
immobilizzavano. -Ce la fai a camminare? Dobbiamo uscire di qui!- L’aviatrice
si fece passare sulle spalle un braccio del fratello e se ne caricò il peso
addosso, aiutandolo persino a mettere un piede davanti all’altro.
-Lasciami
qui… non serve a… a… niente…- boccheggiò lui, commosso per aver rivisto la
sorella.
-Non dire
scemenze.- lo sgridò dolcemente la ragazza chinando la testa verso l’orecchio
del fratello. -Andrà tutto…
Il caricatore
di una pistola scattò sulla soglia.
-Ci siamo
fidati un po’ troppo della Contro-Ambizione, eh Amelia?- comparve davanti a
loro un uomo alto, con una lunga coda corvina e un elegante completo chiaro.
-Paul!-
esclamò la ragazza.
-Lascia giù
quella cavia.- ordinò l’aggressore riferendosi a Charlie. -Lascialo e
allontanati.-
-Non osare…
non toccherai anche mia sorella!- gridò Charlie raccogliendo le ultime forze e
lanciandosi contro Paul Blackwood.
Lilian
intanto camminava rapida nel sotterraneo, constatando a sue spese quanto fosse
umido e scivoloso il pavimento. Non c’erano porte o deviazioni, ma d’un tratto
notò alla sua destra un’altra galleria e si fermò a sondare la zona. Stava per
affacciarsi sul nuovo tunnel quando per terra notò delle tracce di sangue, e
vincendo la repulsione avvicinò il volto al selciato: non c’erano dubbi, erano
fresche, l’odore rugginoso era ancora penetrante. La scia scarlatta proveniva
dalla galleria laterale e proseguiva in quella che stava percorrendo lei, nel
tratto ancora inesplorato. Come colta da un terribile presentimento l’aviatrice
riprese a correre seguendo la pista come un segugio.
Si fermò
davanti ad una porta chiusa in fondo al corridoio dall’aria vetusta; vide che
non c’era nessuna maniglia, quindi doveva esser chiusa dall’altro lato. La
ragazza si avvicinò e riuscì a scorgere dove si trovasse la toppa, quindi prese
la mira e crivellò di colpi la serratura finchè quella non rimase chiusa
dov’era, ma il resto dell’anta si aprì docilmente, cigolando sui propri cardini
dopo un potente calcio. Si trovò in un secondo corridoio illuminato da fredde
luci al neon i cui fili però non correvano dentro i muri ma sulle pareti; gli
antichi blocchi che le componevano dovevano essere troppo compatti per farvi
aggiungere i fili all’interno. I tubi luminosi sfrigolavano, ed erano l’unico
rumore che si udisse in quel sotterraneo.
Lilian avanzò
prudente di un paio di passi con le armi fumanti spianate davanti a sé, pronta
ad uccidere a sangue freddo secondini, guardie, scienziati o qualsiasi presenza
ostile si fosse trovata davanti. Stavolta il corridoio era strettissimo, così
tanto da permettere il passaggio di una sola persona alla volta.
-Chi è lì?-
ululò una strana creatura in lontananza, uscendo da una porticina alla fine di
quel cunicolo. Era un centauro? Pensò Lilian. Il corpo però era di cinghiale,
anche se grosso quanto un cavallo, il torso era scoperto ed incredibilmente
peloso, il volto seminascosto da un elmo dalle corna taurine e brillanti.
Esitava, non vedendo nessuno. Le sue mani stringevano due mannaie, sporche di
sangue fino al manico, e di denso liquido scarlatto erano pregne anche le mani.
-C’è qualcuno?- ringhiò, guardava la serratura ancora fumante senza capire. Non
vedeva Lilian, appena oltre la soglia, ma non riusciva a capacitarsi di cosa
fosse successo alla porta. La sua presenza rendeva inaccessibile il corridoio
dietro di lui, e se fosse avanzato ancora avrebbe inciampato sulla ragazza, il
cui potere rendeva praticamente invisibili ma non certo incorporei.
-Fuori di
qui.- abbaiò Lilian apparendo all’improvviso, con un cipiglio feroce. -FUORI DI
QUI O TI AMMAZZO!-
La creatura si
avventò su di lei per dilaniarla col filo delle mannaie, ma Lilian saltando
all’indietro sparò più e più colpi contro di lui e l’aggressore crollò a terra fulminato
, le mannaie ricaddero con uno schianto sul pavimento di pietra.
-Mi
dispiace.- sussurrò la ragazza stringendo i denti e ricaricando le pistole. -Ma
mi avresti uccisa.- scavalcò il cadavere e andò oltre, seguendo la scia di
sangue e pensando: “Una sentinella
protegge sempre qualcosa”.
Lilian raggiunse
la porticina che aveva intravisto alle spalle della sentinella, l’aprì e sbucò
in una stanza quadrata, forse una vecchia cantina, sulla quale si aprivano due robuste
porte con delle piccole grate ad almeno un metro e settanta dal suolo. Appesi
alle pareti c’erano ferri e arnesi di varia natura che sembravano essere molto vecchi,
ma la ragazza ci badò appena. Era più concentrata sull’odore di umido, di muffa
e di sangue che impregnava la sala e che sembrava appiccicarsi alla sua pelle
ogni secondo di più.
Si piantò a
gambe larghe davanti alla porta sotto la quale sparivano le tracce di sangue;
altre due revolverate e la serratura saltò; Lilian l’assalì con il calcio del
fucile e poi con un paio di spallate prima di rendersi conto che doveva
semplicemente tirarla a sé.
Entrò in una
stanzetta misera e senza arredi con il pavimento di grossi lastroni di pietra
grigia. Nel silenzio rotto dal ronzio del tubo al neon sul soffitto, il
vessillo nero e bianco di Edward Newgate le sorrideva rigato da fiotti di sangue.
Di spalle,
riverso a terra, legato con delle pesanti catene che scendevano dall’alto come
delle tetre ragnatele, c’era Ace.
Dietro le quinte…
GRAZIE. Un grazie grande quanto la Moby Dick a voi che
recensite: con lo scorso capitolo la storia ha raggiunto le 100 recensioni, ed
è un traguardo che mai avrei pensato di toccare. Ringrazio quindi uno ad uno i
lettori che hanno recensito, in un democratico ordine alfabetico: ankoku,
AxelKyo, evelinstar31, Fairy88, _Firestorm_, kiel_violet, Miyuki chan, Monkey_D_Alyce,
Portuguese D Rogue, Sanjina99 e sherry21. Grazie a tutte per le
risate, le annotazioni, i consigli e tutte le discussioni nate su quel sarchiapone
di Ace!
Quindi… quindi niente, nessun tosaerba in omaggio. Mi
dispiace. Qualche curiosità inutile sulla storia? Inizialmente Lilian doveva
avere un Frutto Del Diavolo legato al suono; Marco era molto più acido e
scontroso, al punto da trattarla molto freddamente; Fossa è stato inserito il
giorno prima della pubblicazione del capitolo dove compare; Paul Blackwood ha
lo stesso nome del pilota dell’Enola Gay (l’aereo della bomba atomica su
Hiroshima nel 1945); ho scelto il Canadair perché è grosso e fa molto rumore; in
una scena tagliata Bepo consegna la propria vivre card a Lilian; in un’altra
scena tagliata compare Shanks ad Amazon Lily; all’inizio Lilian non aveva il
fucile ma una spada che non sapeva usare; in una scena tagliata Lilian suonava
“Generale” di De Gregori sulla Moby Dick, Barbabianca la sentiva e mandava
Marco ad accordarle la chitarra, per poi arrendersi all’evidenza e riconoscere
che la chitarra non c’entrava nulla con la qualità dell’esecuzione.
Per oggi è tutto! Per favore, se il capitolo vi è
piaciuto (o se mi volete tirare una bella cassetta di pomodori in testa, meglio
se di spigolo), lasciate una recensione! Farete felice una povera piccola
autrice subissata dagli esami!
Yellow Canadair
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Capitolo 26 *** Battaglia alla Donquijote House ***
Battaglia alla Donquijote House
-Ace!- lo
chiamò scattando verso di lui mentre riponeva le pistole nelle fondine appese
ai fianchi. -Ace!- ripetè gettandosi al suo fianco; lo girò con cautela scostandogli
i capelli dal volto, le catene mormorarono d’un cupo tintinnio mentre Lilian le
aggirava per soccorrere il pirata.
Il ragazzo
tossì, aprì leggermente gli occhi ma non sembrava vederla. Che cosa accidenti
gli era successo? La Contro-Ambizione, immediatamente, celò entrambi: in quel
momento, con le armi riposte, non avrebbe potuto difendersi quindi meglio che
nessuno la sorprendesse con il prigioniero. Gli tastò il polso, controllò se
avesse febbre e gli osservò le pupille come le aveva insegnato a fare Trafalgar
Law. Le iridi scurissime del ragazzo non rendevano l’operazione facile, ma
Lilian era sicura che fossero dilatate e non era normale, considerando la luce
fredda e forte.
-Guardami!-
lo pregò riparandogli gli occhi. -Sono io! Sono Lilian!
-LILIAN!-
gridò una voce femminile da una cella accanto. -Lilian, sono Caro Vegapunk!
Liberami!-
-Caro…?-
realizzò la ragazza aggrottando le sopracciglia. Era stata rapita anche Caro
Vegapunk? Dalla voce squillante che aveva però non doveva essere ridotta poi
tanto male. Tornò ad occuparsi del ragazzo.
Strinse stoica
i denti e lo sorresse, chiamandolo dolcemente per nome. Le catene gemettero
lugubri, strette a pesantissimi anelli di ferro infissi alle pareti. Abbracciò
le spalle e la testa del giovane pirata, che dal freddo di una cella si ritrovò
all’improvviso in grembo alla sua donna, scaldato e protetto.
-Lilì…- la
mente di Ace si snebbiò quel tanto che bastava per riconoscerla. Il possente
corpo del ragazzo fremette, un rivolo di sangue uscì dalle labbra socchiuse.
-Lilì… Sei tu?-
-Sono io,
sono io, tranquillo, sono io.- Rea lo strinse ancora. -È finita, ti portiamo
via.-
-Mi… mi
dispiace, Lilì… non dovevi…- s’interruppe, tossì sangue. -Sono un idiota…-
-Lo so, io e
te facciamo i conti dopo.- promise con dolcezza la ragazza, guardandosi attorno
in cerca di qualche idea; avrebbe avuto tantissimo da dirgli in proposito di
quanto fosse stato un coglione di dimensioni astronomiche, ma non era il
momento giusto. Va bene che era stato attirato in trappola per colpa sua, e che
sempre per colpa sua la flotta di Newgate era stata annientata, ma ciò non
toglieva che Ace se ne fosse andato senza dir nulla a nessuno, imbarcandosi in
una missione che sapeva essere mortale e facendo preoccupare lei, Marco, Jaws e
tutti gli altri fratelli, incluso ovviamente Fossa, che gli avrebbe smontato la
testa a calci alla prima occasione.
-Caro!-
invocò studiando il corpo del ragazzo e cercando di ricordare in cosa
consistesse la cassetta del pronto intervento sul Canadair. -Che gli hanno
fatto?-
Gli scostò i
capelli incrostati di sangue dalla fronte, lo accarezzò pianissimo per non
fargli del male, si soffermò pensierosa sui bendaggi lerci, chissà gli orrori
che nascondevano… no, decisamente la cassettina dalla croce rossa sull’aereo
avrebbe fatto poco.
-Hanno
tentato di estrargli l’Ambizione.- rispose con noncuranza Vegapunk. -E l’hanno
usato per i test sull’Agalmatolite.- Accidenti, quel bamboccio erano solo pochi
giorni che era prigioniero, lei da un sacco di tempo in più! Perché nessuno la
soccorreva?
Lilian
strinse i denti, abbracciando con trasporto il ragazzo, furibonda. Per non poter
usare il potere del frutto Foco-Foco era caldo, troppo caldo, gli occhi lucidi
non promettevano niente di buono, per non parlare poi della pozza di sangue su
cui stava che le stava lordando le gambe lasciate scoperte dai pantaloncini
corti e la camicia bianca, residuo di quand’era in Marina.
-Scusami,
Ace… è tutta colpa mia.- mormorò. Per quanto lui fosse stato un cazzone a dar
la caccia a Barbanera, dietro quella storia c’era lei, unicamente lei.
Aveva addosso
catene di agalmatolite, e almeno quello era un buon segno: i poteri li aveva
ancora.
-Lilì…? Lilì,
sto bene, tranquilla…- sussurrò Ace, felice di quelle attenzioni.
-Ce la fai ad
alzarti?- gli domandò lei. -Dobbiamo andare via.- ma prima doveva togliergli le
catene; aveva pensato di prenderle a revolverate, ma avere un proiettile
vagante in una stanza così piccola sarebbe stato un problema.
-Caro!! Dov’è
Charlie?- domandò Lilian. -E le chiavi delle catene?-
-Le tiene
addosso la sentinella!!- strillò la scienziata. -Liberami, accidenti a te!!-
-Lilì…
ascoltami…- sussurrò Ace trattenendola debolmente per la camicia, anche se non
sembrava che Rea avesse intenzione di sciogliere l’abbraccio. -Hanno portato Charlie
al laboratorio poche ore fa… devi correre.- le sorrise. -Io resisterò.- e le
fece l’occhiolino.
Lilian stava
morendo dentro. Salvarlo e sparire, questo era il suo piano. Invece da stupida
non aveva resistito, vederlo per terra inerme, nel suo stesso sangue, le aveva annientato
tutta la determinazione di rimanere distaccata davanti a lui, aveva distrutto
in un attimo quel senso di colpa freddo e umido che le stritolava il cuore in
una morsa. Ma adesso basta. Ace non lo sapeva, ma quello era un addio.
Gli pulì
malinconica e silenziosa il sangue rappreso dalle lentiggini, tirò su col naso
e mormorò alzandosi: -Vado a prendere le chiavi.-
-Charlie!-
urlò disperata Amelia, ma Paul le serrava i polsi dietro la schiena e non la
lasciava correre dal fratello privo di sensi per terra, con le gambe piegate in
una posizione innaturale. -Lasciami! Lasciami andare!- strillò contro
Blackwood, che però incassava i calci della ragazza senza una smorfia.
-Zehahahah,
Blackwood!- ruggì dall’ombra una voce. -Adesso te la prendi con le fanciulline?
-Giusto in
tempo, Marshall.- sorrise mellifluo l’aviatore. -Prendiamo tutto e
andiamocene.-
-Il
Fenicottero non sarà contento!- disse sguaiato il pirata, poi si guardò
attorno, lo sguardo accarezzò il mobilio della stanza e il macchinario per
estrarre l’Ambizione che occupava la parete opposta all’ingresso.
-Doflamingo
al momento è impegnato.- spiegò con noncuranza Blackwood. -Procedi.-
-GORGO OSCURO!- muggì Barbanera
inghiottendo le attrezzature della stanza che gli aveva indicato l’alleato.
Blackwood lo osservava operare, tenendosi con una mano il cappello bianco per
evitare che finisse risucchiato; Amelia taceva, guardando allibita tutte quelle
apparecchiature che venivano inghiottite dal gorgo gravitazionale creato dal
pirata.
-Spero non
danneggerai nulla.- fece Blackwood.
-Tranquillo
ragazzo!- berciò l’uomo. -Ormai lo controllo perfettamente!-
In quel
momento, attirato dagli assordanti rumori, fece la sua comparsa sulla soglia
del laboratorio Caesar Clown, sgomento e palesemente infuriato per le
condizioni in cui versava il suo preziosissimo studio.
-Ma che cazzo
state facendo??? Mettete giù tutto!! Ehi! Blackwood!!! Doflamingo ne sarà
informato immediatamente!!-
-Marshall…?
Anche lui.- ordinò calmissimo.
E Caesar
Clown, urlando di rabbia, fu risucchiato dal gorgo di Barbanera.
Quando nel
laboratorio non rimasero che le assi dei tavoli e le schegge di vetro
disseminate nella stanza assieme al corpo di Charlie, Paul Blackwood si guardò
attorno e sussurrò: -Ottimo lavoro. Possiamo andare.-
-Non
prendiamo anche Charlie Lehired?-
-Sciocchezze.-
rispose Blackwood. -Tutto quello che potevamo fare su di lui l’abbiamo fatto,
ne ha per poche ore. Oh…!- s’interruppe, falsamente dispiaciuto. -Scusami
Amelia, sono stato troppo esplicito.-
-Ed Ace?-
chiese ancora Barbanera. -Mi avevi detto che gli esperimenti su di lui stavano
andando bene…
-Non
preoccuparti… con quello che otterremo in futuro, non ci serve più.-
Ace era di
nuovo libero, anche se traballante e stravolto, tanto che doveva camminare
appoggiandosi al muro, e Lilian stava togliendo i ceppi anche a Caro Vegapunk,
che le stava spiegando dove fosse il laboratorio.
-È
pericoloso, Lilian.- disse la scienziata. -Ma se Amelia è andata lì, forse sta
già tornando indietro con Charlie.
Ace si
affacciò alla cella della donna con una mano contro lo stipite e l’altra sulla tempia.
Lilian li considerò entrambi un attimo e poi disse: -Andate via, io recupero
gli altri. C’è il Canadair nella baia a nord dell’isola.-
-Vengo con
te.- affermò convinto Ace pulendosi un rivolo scarlatto dalla fronte.
-No.- lo
contrariò Lilian. -Ti sei guardato? Rimani con Caro, ci vediamo all’aereo.-
-C’è
Blackwood in giro, Lilì.- ruggì Ace. -Con lui il tuo potere non funziona.-
-Porta Caro
al sicuro!- ringhiò Lilian. -Non rischiare ancora, Ace, ce la fai a mala pena a
stare in piedi. Ah, questo è tuo.- si sfilò dalle spalle il cappello del
ragazzo e glielo passò con un filo di malinconia, e con il cuore pesante si
allontanò celandosi ai loro sguardi.
Ace,
impotente, si guardò attorno senza vederla. -Lilì!- ringhiò. -Che accidenti
stai combinando? Lilì!?!- gli girò la testa e fu Caro a doverlo sorreggere.
Ma ormai la
ragazza era lontana. -Vieni, bellimbusto.- lo incoraggiò la scienziata. -So
dove sta andando.-
Quando Rea
arrivò al laboratorio non trovò nessuno, solo un immane disastro, liquidi
sparsi per terra, tavoli divelti e distrutti che ingombravano il pavimento, un
odore nauseante di qualcosa che non conosceva, dal soffitto pendeva una
lampadina miracolosamente intatta che dondolava disegnando sui muri ombre che
si spostavano minacciose.
-Amelia!-
chiamò a voce alta, con le armi in pugno. -Amelia, ci sei?- ripetè.
-Aiuto…
Aiuto… per favore…-
Nel silenzio
dello stanzone, rotto solo dal ciarpame che la ragazza sollevava e scaraventava
via nel tentativo di trovare l’amica, si levò una voce maschile, flebile e
stentata.
-Charlie!- lo
riconobbe Rea. -Da quanto tempo sei qui?- gli chiese sollevandogli con
delicatezza la testa; aveva paura persino di spostarlo, sembrava un burattino
cui erano stati recisi i fili.
-Da ore…-
rispose debolmente la cavia. -Hanno portato via Amelia…- mormorò. Lilian si
fermò un secondo, spaventata. Maledizione, non avrebbe dovuto lasciarla correre
verso il laboratorio da sola mentre lei soccorreva Ace e Caro! Di nuovo colpa
sua.
-È stato
Paul, Lilian… è stato lui… fin dall’inizio…-
-Non parlare
Charlie, adesso ti portiamo via.- gli promise la ragazza.
-Non lo
muovere, aspetta.- l’ammonì Caro, sopraggiunta dietro di lei. -È messo troppo
male, ci pensiamo noi. Ace! Prendi quel tavolo, svelto!- ordinò. Giorni e
giorni di esperimenti si facevano sentire, ma Pungo di Fuoco tornava in sé in
maniera sorprendentemente rapida.
In tre,
riuscirono con molta cautela a mettere il ragazzo su quella barella
improvvisata.
-E adesso?-
domandò il pirata guardando con apprensione l’amico.
-Dobbiamo
portarlo subito via.- dispose Lilian. -Al Canadair. Se tu e Caro lo
trasportate, io posso fare in modo che nessuno ci noti.
-Lilian…-
mormorò Charlie. -Fa’ molta… molta attenzione… con Paul la nostra Ambizione non
funziona…-
-Mi ha
spiegato tutto Amelia, stai tranquillo.-
Nascosti da
Lilian uscirono indenni dalla residenza e raggiunsero il Canadair, dove
sistemarono Charlie all’interno della carlinga. Nell’attraversare la casa, il
difficile era stato far desistere Ace dal fare un barbecue di tutti gli sgherri
che trovavano. -Eh sì!- gli aveva detto Lilian, seccata. -Tu li attacchi, e
noi? Noi come scappiamo? Non ce la facciamo da sole a trasportare Charlie, servi
tu!-
Fortunatamente
l’aereo di Amelia era più attrezzato di quello che era planato su Marineford,
il ragazzo fu avvolto dalle due donne in una coperta militare e Caro, che
sembrava intendersene più di Rea, cominciò subito a trafficare con la
cassettina del pronto soccorso.
-Rimanete
qui, torno indietro a prendere Hancock!- dispose Lilian con le pistole in pugno
allontanandosi e sparendo di nuovo nel nulla.
-Ferma Lilì,
è pericoloso!- le gridò dietro Ace. Stavolta però il pirata non si fece
distanziare: conoscendo benissimo la destinazione della ragazza con poche
falcate la raggiunse e lei, pur di non farlo perdere per le viuzze di Dressrosa
(con la possibilità di essere accolto dalla discutibile ospitalità delle
paesane), acconsentì a farsi scortare, anche se l’idea di metterlo in pericolo
proprio non le andava a genio.
-Rimani con
Caro.- lo pregò la ragazza affranta mentre lo avvolgeva nella Contro-Ambizione.
-Hai perso troppo sangue.-
-E per questo
dovrei perdere anche te?- si avvicinò lui.
Lilian si
voltò lesta, guardò fissa le iridi nere del pirata. Guardò le spalle muscolose che
gli si alzavano e si abbassavano al ritmo del suo respiro, scosse con furia la
testa rifiutando quel momento di tenerezza. Salvarlo
e sparire. Ma se la guardava in quel modo, era davvero difficile.
-Torna
indietro, ce la faccio da sola.- disse caparbia.
-Contro
Doflamingo?- ghignò lui sollevandosi la tesa del cappello e guardando divertito
la piccola e battagliera ragazza. -Vediamo chi lo colpisce prima allora!-
Ace aveva
toccato un nervo scoperto. Fuoco contro piombo.
-Scommetto una
bottiglia che lo prendo al primo colpo.- lo sfidò Lilian Rea.
-Una cassa
intera di sakè che lo faccio fuori io.-
-Fufufu,
bella Hancock, sei davvero un osso duro!- sogghignò Doflamingo mentre incassava
l’ennesimo calcio della donna. Nessuno dei due riusciva a prevalere sull’altro,
ma l’Imperatrice era decisamente furibonda per il comportamento teatrale
dell’avversario e per la sua immancabile risata che la prendeva in giro ad ogni
colpo. Nessun uomo poteva osar tanto contro di lei!
-Silenzio, screanzato!-
sibilò la donna. -Slave Arrow!-
Lilian prese
la mira appostandosi dietro un divano ribaltato e tre colpi attraversarono la
stanza, diretti allo sterno abbronzato del flottaro.
-Fufufu, chi
è che mi voleva sorprendere?- Doflamingo fermò i tre proiettili semplicemente
catturandoli con i suoi fili e ora gli pendevano dalle dita come ciondoli di
piombo. Rea imprecò.
-Prepara
quella cassa.- mormorò divertito Ace all’orecchio di Lilian, che teneva in mano
il fucile fumante. Il pirata scavalcò d’un balzo il divano, attaccando
frontalmente avvolto dalle fiamme. -Ehi, Fenicottero!- lo provocò. -Ti eri
dimenticato di me?
-Maledizione.-
brontolò Lilian, rimanendo nascosta dal suo potere e cambiando posizione prima
che Doflamingo la individuasse. Perché quel testardo di Ace era uscito allo
scoperto!? si mise il fucile a tracolla, infilò nuove munizioni nel cane delle
Beretta e strisciò al coperto dietro un tavolo rovesciato, tra i resti della
cena di gala di poco prima. Se non avesse avuto le mani sporche del sangue di
Ace, avrebbe immerso un dito nella golosa torta di panna che giaceva al suolo
mezza spappolata ma ancora invitante, e vi avrebbe dato una ghiotta leccata.
-Fufufu, Ace
Pugno di Fuoco!- sghignazzò il flottaro. -E dire che poco fa eri mezzo morto!-
Lilian notò
che contro Ace ed Hancock Doflamingo avrebbe dovuto essere in svantaggio, eppure
si preoccupava troppo poco. E infatti, quasi le avesse letto nel pensiero, una
fiumana di persone entrò dal portone principale, avventandosi contro
l’Imperatrice e il pirata.
-Mero mero mellow!!- gridò la donna,
mentre Ace liberava fiammate in tutte le direzioni, respingendo il piccolo
esercito che stava arrivando.
-Pugno di Fuoco!-
Lilian
cominciò a sparare con ambo le pistole a quel nugolo di sgherri, ferendone
parecchi e facendoli rovinare per terra; non avrebbe voluto ammazzare nessuno,
ma se la regola era “uccidere o morire”, lei propendeva decisamente per la
prima opzione. Intanto le fiamme di Ace divoravano rapidamente i tendaggi delle
finestre, i tavoli, le tovaglie e tutto ciò che trovavano sul loro percorso;
bisognava andarsene in fretta da quell’inferno.
-Fufufu!-
continuava a ridere sguaiato il nemico, beandosi di quella carneficina che si
consumava tra le fiamme sotto i suoi occhi nascosti dalle lenti viola.
Lilian si
girò di scatto dando le spalle ai tirapiedi della Donquijote Family e puntò al
petto abbronzato del flottaro, convinta che nella confusione generale, avrebbe
avuto più fortuna. Ma Doflamingo stavolta tagliò a metà i proiettili prima che
lo raggiungessero.
-Ah! Sei lì!-
indovinò l’uomo intuendo la traiettoria del proiettile. -Overhaet!- e come un pescatore con la lenza, arpionò Lilian, ancora
invisibile.
-Piccola,
dolce Lilian Rea Yaeger.- la canzonò Doflamingo. -Togli la Contro-Ambizione,
voglio vederti!-
Lilian non si
mosse di un millimetro. Era il nemico più forte in quella stanza, tenerlo
occupato significava fare in modo che non attaccasse Ace, che chissà per quale
miracolo riusciva a reggere un combattimento del genere nelle condizioni in cui
si trovava.
-Muoviti, non
ho tutto il giorno.- sorrise l’alto Fenicottero muovendo appena le dita
affusolate. Il dolore fece un’impennata nella testa di Lilian, lanciò un grido
che trapassò l’aria e le orecchie del Comandante di Barbabianca, la Contro-Ambizione
si dissolse in un attimo rivelando un volto contratto per la sofferenza e una
lunga striscia scarlatta e brillante le correva dalla scapola al fianco.
-GRANDE FIAMMATA D’AMM…!- gridò Pugno di
Fuoco contro Doflamingo, ma questi si fece scudo con Lilian e sovrastò la sua
voce: -Fallo, e le stacco qualcosa.-
Di nuovo
mosse tetro le dita, di nuovo Lilian si dimenò in spasimi. Pugno di Fuoco
ritirò precipitosamente l’attacco, le fiamme aleggiavano attorno a lui ma non
si avvicinavano al nemico che teneva in pugno la ragazza, con le braccia in
alto e le pistole ancora strette tra le mani tremanti.
-Scappa Ace!
vattene!!- strillò Lilian prima di contorcersi di nuovo, muovendosi per ordine
del demoniaco burattinaio.
-Mai!- gridò
lui ansimando. Era proteso in avanti, pronto a scattare sul flottaro per farlo
a pezzi. Sollevò con un dito infuocato la tesa del proprio cappello, a scoprire
lo sguardo, e considerò con ira il proprio avversario. -Pistola di Fuoco.- ruggì, e una mitraglia di proiettili
incandescenti recise netta gli invisibili legami che avvincevano la ragazza.
-Tamaito.- rispose Doflamingo senza
impressionarsi e schizzando verso il soffitto a volte trasportato dai suoi
fili, ma nonostante i proiettili raggiungessero Ace, finivano inghiottiti dal
suo corpo di vampa.
Il pirata
alzò una cortina di fuoco tra Lilian e Doflamingo, e raggiunse la ragazza. La strinse delicatamente per la vita senza
scottarla per portarla subito via di lì, lei non avrebbe sopportato a lungo
quell’aria rovente.
-Te l’avevo
detto che era pericoloso…- le sussurrò all’orecchio.
-E lo è
ancora, idiota!- sghignazzò Doflamingo, piombando sui due dall’alto e assestando
un pugno ripieno di Ambizione al ragazzo di fuoco in pieno plesso solare.
Ace cadde di
lato; non riuscì ad incassare come avrebbe voluto, ancora provato per la
prigionia e le sperimentazioni, e rimase inerme a terra. Rea, coinvolta nella
caduta, si rialzò veloce come un fulmine, sfoderò le pistole e rimase immobile tra
Portuguese e Doflamingo in quell’inferno rovente.
L’incendio
divorava la Donquijote House, le fiamme erano alte fino al soffitto e il calore
era quasi insopportabile. Lilian, sudata e sporca di sangue, sfidava il
perverso Doflamingo ad armi spianate. Non le importava che fosse una sfida
persa in partenza, dietro di lei c’era Ace e quello era un motivo più che
valido per non muoversi di là. Riusciva persino a percepire il suo respiro
spezzato, la sua pelle calda contro i suoi polpacci, dietro di sé.
Non si
sarebbe mai spostata, non avrebbe mai lasciato il compagno inerme nelle mani di
Doflamingo. Senza contare che se per puro caso l’avesse ucciso, avrebbe vinto
una bottiglia di sakè.
-Su, dolce
Lilian.- cinguettò l’uomo facendo schioccare i fili attorno a sé. -Non fare
tutta questa resistenza, Caesar Clown è impaziente di sezionarvi.- la lingua
gli correva veloce sulle labbra, schiuse in un sorriso eccitato.
-Vai a farti
fottere.- ribatté la dolce Lilian a voce alta.
Doflamingo, divertito
dall’inutile resistenza della ragazza, rise sguaiato. -Overheat.-
Dietro le quinte…
Ahhhh!!! E adesso? e adesso?? Doflamingo ci ucciderà tutti!! Anche me!
Anche noi! Quanto mi piacciono i capitoli di azione…! ma suddetta azione come è
resa? Si legge con comodo? Si capiscono tutti i movimenti dei personaggi? Ace è
OOC (sono un po’ in dubbio)? E Doflamingo? E Barbanera (per quel poco che è
apparso)?
E adesso cosa succede? Fermo restando che lo so già cosa succede, secondo
voi adesso che accadrà?Moriranno tutti? Apparirà Mr.2 gridando “Siete su
Scherzi a Parte!”? Arriveranno gli alieni? Domanda per i lettori: c'è qualcosa in particolare di questa storia che vi piace (a parte Ace)? E qualcosa o qualcuno che proprio non sopportate? Qualche personaggio che non riesco a rendere bene o che vorreste fosse reso meglio? Raccontatemi! ^^
Posso inoltre attirare la Vostra attenzione anche sul fatto che Paul se la sia
squagliata con Caesar, Amelia e Barbanera mentre Doflamingo è rimasto a
vedersela con i nemici?
Grazie a tutti coloro che leggono e ancor più alle lettrici che recensiscono! Appuntamento alla prossima settimana!
Yellow Canadair
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Capitolo 27 *** Grandi ali per scappare ***
[zipedit] Grandi ali per scappare
Doflamingo
aprì la bocca per l’ennesima risata, pronto a dilaniare Lilian ed Ace con i
suoi fili, quando il rosone di cristallo dell’altissimo soffitto sopra di loro esplose in
un trionfo di vetri infranti e una palla di diamante cadde con uno schianto al
suolo, seguita da una grande fiammata azzurra.
Il Fenicottero,
con un agile balzo, si scansò giusto in tempo per non finire schiacciato.
Lilian fu
sollevata da braccia gentili e portata in un batter di ciglia lontana da quel
forno, mentre un’altra persona si occupava di Ace.
-Vista!-
esclamò lei felice, aggrappata alle spalle forti del Quinto Comandante.
-Al tuo
servizio, signorina!- rispose sorridente l’uomo, adagiandola per terra fuori
dalla portata del flottaro.
-Alzati, forza!-
Marco prontamente passò il braccio di Ace sulle proprie spalle per aiutarlo a
tirarsi su.
-Merda…- mormorò
il Secondo Comandante sputando sangue e asciugandosi quello che colava dalla
fronte. Quello stronzo di flottaro se la cavava mica male con i cazzotti.
-Muoviti, idiota!
Facciamo i conti dopo…!- promise Fossa superando i due e lanciandosi contro gli
sgherri di Doflamingo che si erano gettati di nuovo all’attacco.
-Corriamo
alla Phoenix, andiamo via subito. Ritirata!- ordinò il biondo. Avrebbe dato
ancora battaglia, ma era preoccupato per le condizioni del fratello: gli era
bastato uno sguardo per capire che la faccenda poteva essere seria.
Diamond Jaws
teneva a bada Doflamingo e Pica, il suo sottoposto, senza subire danni grazie
alla sua armatura perfetta in puro diamante assieme ad un drappello dei suoi, Vista
e Rakuyou duellavano egregiamente contro gli altri abitanti della residenza.
Più che un esercito sembrava un circo, ma i pirati erano avvezzi a non
lasciarsi incantare dall’apparenza: infatti i membri della Donquijote Family
erano avversari tenaci.
Fossa era
intento a battersi contro tre persone alla volta, riuscendo nel frattempo a
fumare il suo amato sigaro e a spegnerlo su una mano incauta che avrebbe voluto
atterrarlo con una mossa di karate: pessima scelta. La spada infuocata del
Capitano era implacabile e chiunque volesse sfidarlo trovava pane per i suoi denti.
Izou aveva
uno stile di combattimento unico, sembrava danzasse: una danza terribile in cui
le pistole apparivano tra i voluminosi lembi di stoffa colorata del kimono e
con fragore rovesciavano fiumi di piombo su chiunque gli si avvicinasse da
qualsiasi direzione. Tanto bello a vedersi quanto letale.
Boa Hancock
intanto richiamò Salomè e ne fece un arco, scagliò alcune frecce intrise di
Ambizione verso quel variopinto corteo di cafoni vestiti a festa per
ostacolarne l’avanzata anche se qualcuno di quei bruti era succube del suo
fascino.
-Se ne
vanno!! Muoviti Yaeger, andiamo!- le ordinò. -Portuguese è salvo e quel cafone è
occupato!-
-A TERRA!- Un
pirata fece appena in tempo a gridare l’avvertimento, che tutta la zona dove si
trovava fu scossa da un terribile scoppio che fece volare schegge, tavoli,
oggetti, e offuscando la vista per lunghi minuti.
Lilian era
stata miracolosamente protetta da Jaws, che si era trasformato in diamante
giusto in tempo per difendere tutte le persone che erano vicine a lui.
-Lilian.-
tuonò il Terzo Comandante afferrandola delicatamente per un polso. -Dov’è miss
Amelia?-
Un sacco di
risposte affiorarono nella mente di Rea in un solo istante, tutte balle per non
vedere quel molosso disperarsi o fracassarle la testa. Ma lei non voleva
mentire e disse: -L’ha presa Paul.-
Jaws ruggì,
le lasciò la mano e con un urlo atterrò due sgherri di Doflamingo che si erano
attardati nella ritirata, schiacciando loro la testa. Lilian sentì il sudore
ghiacciarle la pelle.
Marco si levò
in volo, afferrò la gravità della situazione: i nemici si erano ritirati
semplicemente perché ormai non mancava molto che il fuoco divorasse le travi
che reggevano il secondo piano, travolgendo tutti in un gigantesco crollo: era
un miracolo che non avesse ceduto il soffitto dopo lo scoppio di poco prima.
-Ritirata!!-
gridò ai suoi fratelli. -Tutti fuori!! Fossa! Jaws! Copriteci!- gridò dall’alto.
-Ci siamo tutti? Presto, alla nave!-
Halta e Namiur
si occuparono di dirigere le operazioni, spingendo tutti verso l’uscita della
residenza, verso l’aria fresca.
-Andiamo
via.- decise Hancock senza perdere di vista Ace, che per lei costituiva un vero
e proprio bottino vivente.
-Marco!- gridò
Lilian prima di buttarsi nella fuga dal bastione. -Ho dei feriti nel Canadair!
C’è un dottore con voi?
-Vieni alla
Phoenix, faccio venire con te una delle infermiere e...-
-Ci vediamo
ad Amazon Lily? A Foodvalten?- chiese ancora concitata all’uomo.
-Lilian!- la
richiamò la Fenice. -Ferma.- ordinò con un gesto secco della mano. La ragazza
ammutolì all’istante, prese fiato con la bocca e aspettò che lui le dicesse
cosa fare. Il suo sguardo correva dagli occhi seri di Marco ad Ace, ancora
semicosciente sulle sue spalle, che si reggeva a stento.
-Vieni con
me, prendi l’infermiera, torni all’aereo e ci vediamo cinque miglia a sud di
Dressrosa. Ammara e aspettaci. Se vedi che qualche nave nemica ci segue, fa’
come a Marineford. Capito?
-Torno al
Canadair, cinque miglia a sud, vi aspetto. Chiaro.- rispose telegrafica. Marco
annuì e tornarono a correre verso la Phoenix, nascosti dalla Contro-Ambizione
visto che con Ace a carico non erano molto veloci.
-L’infermiera
darà le prime cure al ferito nel Canadair, poi lo faremo salire a bordo della
Phoenix lontano da qui.- le spiegò meglio Marco. -Chi è, Amelia?-
-Charlie.-
rispose Lilian.
-Amelia è con
lui?
Lilian Rea
strinse i pugni. -Blackwood l’ha catturata.-
Marco serrò i
denti, cupo. -Va bene.- ringhiò, anche se non andava bene per niente e Lilian
lo sapeva. -Faremo il punto dopo.-
Arrivarono
alla nave, nascosta in una rada solitaria. -Milly!!- richiamò la Fenice quando
si vide venire incontro un gruppetto di donne vestite di rosa. -Vai con lei!-
Una formosa donna
sulla trentina dai capelli azzurri a caschetto trottò verso Lilian che già si
allontanava; portava l’uniforme delle infermiere di Newgate. -È la caposala
della Moby Dick, ti puoi fidare.-
Così Lilian e
Milly corsero al Canadair, dove la fascinosa dottoressa soccorse con
professionalità Charlie, anche se ammise che Caro era stata “piuttosto bravina”
con il primo soccorso.
Il grande
aereo giallo decollò lasciando sull’acqua una lunga scia di spuma, e
l’aviatrice individuò subito la Seagreen Phoenix che si stava allontanando
dall’isola, dirigendosi verso Mezzogiorno.
Riconobbe che
Marco era un eccellente stratega: aveva messo la propria nave e altre due che
viaggiavano con essa in un’insenatura riparata e dall’altra parte del centro
abitato: difficilmente qualcuno dal paese avrebbe scorto quelle vele pirata, forse
nemmeno Doflamingo se si fosse messo in piedi sul tetto della sua residenza,
tanto che la boscaglia cresceva fitta attorno alla cala. Sicuramente attorno
all’insenatura c’era un drappello di pirati pronto a sgozzare qualsiasi
sentinella messa lì a dar l’allarme.
La Fenice,
dandole appuntamento a sud, aveva previsto persino la direzione del vento: grazie al fuoco di Ace una nube oscurava il
cielo dell’isola ma lo scirocco la portava verso nord, e il cielo dove avrebbe
volato lei era rimasto limpido e sgombro. Anche se avevano rischiato di finire
tutti affumicati o carbonizzati, l’incendio era servito per allontanare i
padroni di casa e far sì che ripiegassero senza troppi danni.
Guardò, per
quanto permettesse il fumo, il molo di Dressrosa, ma non sembrava mollare gli
ormeggi nessuna delle navi presenti.
Lilian pilotò
il Canadair di Amelia fino a cinque miglia dalla costa sud; un punto deserto in
mezzo al mare, dove ormai l’isola del Fenicottero non si vedeva più. Caro
Vegapunk, che si era seduta come al solito sul sediolino del co-pilota accanto
a lei, immediatamente sbraitò: -Allora!? Che diavolo stai facendo ferma qui!?
Torniamo ad Alexandra Bay, muoviti!
-Dobbiamo
aspettare Marco.- replicò Lilian.
-Marco chi!?-
si sorprese la scienziata, che scappando subito all’aereo non aveva avuto modo
di vedere i pirati di Barbabianca.
-Marco la
Fenice, Primo Comandante di Edward Newgate.- rispose altera la pilota lasciando
di stucco la giovane Vegapunk.
-Mi aspettavo
un loro intervento… Paul aveva Ace, del resto.- considerò lucida la donna. -E
considerando il caso Marineford, dovevo aspettarmi anche il tuo.-
-Rimani ai
comandi e guardati attorno, vado da Charlie.- dispose Lilian lasciando la
cabina di comando per andare nella zona cargo della fusoliera.
-Come sta,
Milly?- domandò sottovoce alla donna dal caschetto azzurro. Charlie era per
terra, pallido e smagrito, con una flebo in ciascun braccio; Lilian si
inginocchiò e gli accarezzò i ricci rigidi di sangue e sporco. Aveva gli occhi
chiusi e a parte un movimento del torace quasi impercettibile era immobile.
-È un ragazzo
coraggioso.- sussurrò l’infermiera guardando Lilian negli occhi, grave. -Ma
prima lo portiamo sulla Phoenix meglio sarà. Qui è troppo instabile.-
-Mi sente?
-Forse sì.-
rispose Milly. -Ma niente emozioni, deve assolutamente stare calmo.-
Rea espirò
preoccupata, prese la mano al ragazzo e guardò cogitabonda le sue palpebre
chiuse, che celavano quelle iridi che le ricordavano tanto il mare di Alexandra
Bay.
Il Canadair
dondolava lievemente, scosso dalle onde gentili dell’oceano, e i quattro
nascosti nella carlinga gialla aspettavano di veder comparire all’orizzonte settentrionale
la nave dalle vele turchesi. Caro teneva d’occhio i monitor: non avendo ancore,
l’aereo si muoveva con le maree, mentre bisognava rimanere in asse con il punto
d’incontro fissato.
-C’è qualcuno
in avvicinamento.- esclamò la scienziata all’improvviso.
Lilian guardò
fuori dal grosso parabrezza anteriore con un voluminoso binocolo. -Sono loro.-
disse riconoscendo la bandiera.
-Piano, fate
piano.- pregò due pirati che trasportavano Charlie, legato su una barella,
prima su una scialuppa e poi sulla nave.
-Tranquilla.-
la rassicurò il più nerboruto dei due, che era della Terza Divisione. -Se
lasciamo cadere il fratello di miss Lehired, il capitano ci spezza le ossa.-
«Jaws.» pensò Lilian. Come avrebbe fatto
a guardarlo ancora in faccia?
Mentre
Charlie veniva issato a bordo, Marco planò nel Canadair e diede a Lilian altre
disposizioni: -Noi andiamo a Korom Island, siamo accampati là.-
Rea lo guardò
per alcuni istanti. Le loro strade si dividevano lì, in mezzo al mare, al largo
di Dressrosa. Aveva recuperato Ace, quel che rimaneva della famiglia di Newgate
era di nuovo unito e lei… lei non c’entrava proprio nulla. Recuperare Amelia
dipendeva solo da lei ora, ormai la Fenice non si sarebbe fatta scappare il
fratello, non sapendo che avrebbe potuto essere usato come esca per catturare
l’aviatrice. Avrebbe riportato Boa Hancock ad Amazon Lily e Caro Vegapunk ad
Alexandra Bay, poi sarebbe sparita per sempre.
Ace non era
più un problema: appena avrebbe saputo di Barbabianca e di cosa era successo
per causa sua, l’avrebbe odiata, e ne avrebbe avuto tutte le ragioni.
Lilian ingoiò
stoicamente, sforzandosi di rimandare le lacrime a dopo, quando sarebbe stata
sola, non doveva piangere davanti ad un Comandante come Marco.
-Ehi…- la
richiamò la Fenice, notandola imbambolata. -Lilian? Korom Island.- ripetè. -Sai
dov’è?-
Perché le
chiedeva se lo sapesse? Per evitare che li seguisse? Lilian scosse il capo,
negativa, ma Marco non parve soddisfatto dalla risposta.
-Sali un
attimo.- le disse. -Prendo una cartina in cabina e ti spiego la rotta.-
Lilian lasciò
il Canadair nelle mani di Caro Vegapunk e salì sulla Phoenix. Marco la condusse
nella propria stanza e le diede una mappa, e le espose accuratamente la rotta
da seguire in base a quello che lei sapeva delle isole lì attorno. Le lasciò in
mano la mappa con delle annotazioni di suo pugno, scritte con una calligrafia
sottile, ordinata e leggermente inclinata verso destra.
-Marco…- lo
fermò infine. -Perché… perché mi fai venire a Korom Island con voi?-
La Fenice si
stupì di quella domanda. -Non sei costretta.- disse incrociando le braccia.
Lilian chinò
lo sguardo. Avrebbe davvero voluto rimanere, la colpa nei loro confronti era
troppo grande.
-YAEGER!!!-
Uno strillo altissimo la fece trasalire. -Voglio tornare immediatamente dal mio
Rufy! Muoviti!-
Marco si
voltò scocciato verso Boa Hancock. Sbuffò e disse a Lilian: -Toglimela dalla
nave, ci vediamo a Korom Island. A noi ci vorranno due giorni al massimo.-
-Non posso,
Marco, è tutta colpa mia.- mormorò svelta Rea.
-Ehi.- la
richiamò con voce bassa. -Non ci pensare adesso. Ne riparliamo lì.-
La Fenice se
l’aspettava; aveva avuto modo di parlare con i suoi, una volta recuperata un
po’ di lucidità dopo la tragedia, e per alcuni la responsabilità, seppure
indiretta e non volontaria, era dell’aviatrice. Era impossibile che lei non
fosse arrivata alle stesse conclusioni e infatti in quelle poche parole che gli
aveva rivolto in fretta e furia stava tutta la sua angoscia: è tutta colpa mia.
Ma Marco in
quel momento non poteva darle retta, erano ancora in fuga da Dressrosa, c’erano
feriti gravi a bordo e lui, come Comandante, era atteso sul ponte di comando.
-YAEGER!!-
strillò ancora Hancock.
-Portala via.-
disse la Fenice massaggiandosi le tempie. -Qui rischia di fare una strage, devo
tenere sotto chiave tutti i novellini finchè è a bordo.-
-Signorsì.-
rispose la ragazza. Non sapeva perché, ma a Marco non riusciva a disobbedire.
Sarà stata la sua tranquillità, o la sicurezza con la quale le dava ordini. In
fondo, lei era stata in Marina, ricevere istruzioni precise e nette la
rassicurava, anche se la sua sete di libertà scalciava.
Lei ed
Hancock passarono per l’infermeria; all’andata Lilian aveva notato la porta
chiusa, ora invece era aperta. Una voce la richiamò.
-Lilì!-
-Fermo, Ace!-
lo sgridò una donna.
Il ragazzo
saltò giù dal lettino dove le infermiere lo stavano ricucendo con perizia e
corse verso la soglia, richiamando Lilian che si stava allontanando con
l’Imperatrice.
-Ehi!- la
fermò e la abbracciò stretta. -Sei stata grande!-
Lilian
sorrise, si perse tra quelle braccia possenti e non potè trattenersi dal
ricambiare l’abbraccio. Non ci poteva fare niente, solo guardandolo sentiva le
labbra sorriderle e se poi lui l’avvinceva così dolcemente non poteva più
reagire.
-Ti vuoi
muovere!?- la richiamò disgustata Boa Hancock.
Lilian si
voltò come una furia. C’era una bella differenza tra gli ordini di Marco e
quelli delle due isteriche che doveva scortare a casa. Quasi quasi avrebbe
chiesto del narcotico alle infermiere.
-Mi dia un
minuto.- dispose senza indugio. Non avrebbe piantato in asso Ace senza
accertarsi che fosse fuori pericolo solo perché quella andava di fretta.
Boa Hancock
la guardò scioccata: come osava quella mocciosa dare ordini a lei? Eppure… era bellissima! Perché
quell’insolente era fredda davanti alla sua avvenenza preferendo quel cicisbeo
che le aveva fatto rischiare la vita non meno di tre volte!?
-Lilian!-
un’infermiera trottò nella sua direzione. -Per favore, digli di tornare
dentro!- le chiese. -Dobbiamo finire il lavoro!- e sollevò dal muscoloso
deltoide di Ace un filino nero.
O almeno, a
Lilian inizialmente parve un semplice filo nero, invece era un filo di sutura
le cui estremità erano una nella pelle lacerata del ragazzo e l’altra
ballonzolava appesa all’ago che lo stava ricucendo.
-Tu sei un
pazzo!- lo sgridò Lilian, ottenendo solo una risata del moretto. -Dentro,
forza!-
-Solo se
vieni anche tu!- ghignò lui.
-Tienilo
fermo mentre operiamo, altrimenti non finiamo più!-
-Ma io devo
decollare immediatamente!- protestò la pilota. Hancock o no, Marco le aveva
dato disposizioni precise!
-Ci vogliono
meno di cinque minuti, noi ricuciamo in tempo record!- dissero in coro due
ragazze, e Lilian si lasciò convincere, seppur con l’orologio al collo.
-Che fai,
scappi come un moccioso?- lo prese in giro Rea mentre Ace si stendeva
rassegnato su un lettino che pochi minuti prima era immacolato e sterilizzato.
-È noioso.-
spiegò semplicemente lui. Lilian rimase accanto a lui mentre Milly lo ricuciva,
e lo distraeva dal pensiero dell’ago che andava fuori e dentro la sua pelle.
-Se la
caverà, vero?- chiese all’infermiera.
-Non
preoccuparti.- rispose la donna, che ben conosceva certe particolarità del
fisico di Pugno di Fuoco. -Il suo problema è solo l’agalmatolite, ma senza quella
lui fa aumentare a dismisura la sua temperatura corporea, e stermina qualsiasi
virus nocivo che ha in corpo; è lo stesso meccanismo della febbre, ma molto più
efficace. Tranquilla.-
Ace
gongolava, godendosi lo sguardo curioso e ammirato della ragazza. Il suo potere
l’aveva reso un mostro temuto e odiato, però aveva anche dei risvolti positivi.
Lilian
sospirò, guardando pensierosa il ragazzo. Da un lato avrebbe voluto dirgli che
era stato un idiota, un cretino colossale a scappare come un ladro per andare
ad affrontare Barbanera; il fatto che fosse stata una trappola era secondario,
anzi, di quell’aspetto Lilian si addossava tutte le colpe. Però che Ace fosse andato
via senza dire nulla a lei e, ancor più grave, al padre e ai fratelli, era una
cosa che non le andava giù, le sembrava che avesse deliberatamente sputato su
tutti gli sforzi per liberarlo dal patibolo. Era un pirata, che rischiasse la
vita era naturale; andare invece a cercare Barbanera era da imbecilli.
Quella bravata
però aveva già avuto conseguenze pesantissime che sarebbero crollate in testa
al ragazzo come la più crudele delle punizioni: suo padre era morto per mano di
Marshall D. Teach.
Sarebbe valso
a poco spiegargli che era lei la responsabile di quell’assassinio, che
Barbabianca era morto unicamente perché si trovava tra lei e Paul Blackwood. L’azione
era finita, le armate si erano ritirate, Ace era libero ma avevano perso
Amelia. Lilian aveva fallito, l’adrenalina che l’aveva sorretta dopo il
funerale di Newgate era andata via.
-Lilì.- la
richiamò Ace serio, notando il suo sguardo vuoto. -C’è qualcosa che non va?
Voglio dire…- si corresse; c’erano tante cose che non andavano, in quel
momento. -Stai bene?-
Rea sospirò
scuotendo la testa. Le faceva male lì dove Doflamingo l’aveva frustata, era
preoccupata per lui, per Charlie, per Amelia, per se stessa. E si stava tenendo
dentro il segreto più terribile: Marco, in disparte, le aveva detto di non
rivelare ancora ad Ace della morte di Barbabianca.
«Andrà in
escandescenze.» le aveva spiegato tristemente. «Sarà dura per tutti, ma non
posso rischiare che demolisca la nave in mare aperto.»
Dietro le quinte…
Scusate l’attesa!! Sono in ritardo!
Sherry21 aveva indovinato cosa sarebbe successo! Le
“grandi ali” del titolo non sono quelle del Canadair ma di Marco, che in questo
capitolo ha un ruolo chiave (anzi, diciamo pure che Lilian si attacca alla sua
autorità come una patella allo scoglio ora che non sa dove sbattere la testa e
non ha uno straccio di piano di riserva). Spero di essere riuscita a rendere IC
questo personaggio di cui sappiamo ben poco e che nell’opera continua a rimanere
misterioso anche per chi segue la diretta con il Giappone.
Cari lettori, la strumentazione di EFP parla chiaro:
siete tanti! Più di quanto osassi sperare ai tempi della fattoria di Moda, e di
questo vi ringrazio. Ma siete dei timidoni! Orsù, palesatevi! Cosa vi
sta piacendo di questa storia, al punto da inserirla nelle seguite e nelle
preferite (oh, anime pie!)? Come al solito, se notate errori o sviste segnalatemele per piacere, che volo a correggere!
Terminato questa pietosa e strisciante supplica di
recensioni, vi do appuntamento alla prossima settimana… sul serio, stavolta.
Yellow Canadair
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Capitolo 28 *** Fuoco ***
[zipedit] Fuoco
In poche ore di volo Lilian,
Caro e Boa Hancock arrivarono ad Amazon Lily, dove un nutrito gruppo di
guerriere attendeva il ritorno dell’imperatrice.
-Mi saluti Rufy.- disse
l’aviatrice chiudendo il portello dell’aereo, subito dopo aver praticamente
scaricato la donna sul molo della baia. Poi riavviò i motori e si allontanò
dall’isola tropicale delle donne guerriere, lasciandosi indietro la laguna
verde e gli sguardi delle Amazzoni.
-Oh! Finalmente un po’ di
pace!- si rilassò Caro Vegapunk allungandosi voluttuosa sul sedile del
Canadair. -Adesso, subito ad Alexandra Bay!- programmò.
-Korom
Island.- la corresse Lilian.
-No!-
-Eh, sì. Mettiti il cuore in
pace, Caro. Hai vinto un soggiorno fra i pirati.- la lancetta dell’altimetro
impennò, e l’aereo si allontanò nel cielo blu.
Ma Lilian non sorrideva.
Doveva dirglielo. Doveva
assumersi la piena responsabilità dell’accaduto davanti a tutta la Flotta di
Barbabianca e davanti ad Ace. Non voleva scappare a vita da quella ciurma,
voleva prenderli di petto e affrontarli subito.
Sarebbe partita subito dopo,
sarebbe scomparsa. Scomparsa, pensò, non fuggita.
Il Canadair approdò in serata a
Korom Island senza troppe difficoltà grazie alla precisione delle indicazioni
di Marco. Era un’isola disabitata dal clima fresco e primaverile, selvaggia e
fuori dalle principali rotte militari e commerciali, il luogo adatto per fare
da base ad una ciurma falcidiata, un posto dove i superstiti avrebbero potuto
decidere in santa pace il proprio immediato futuro. Il Canadair fu fatto
atterrare sulla spiaggia sabbiosa dell’isola e Lilian e Caro prepararono un
bivacco, attendendo i pirati.
La scienziata rimpiangeva la
sua lussuosa villetta nell’isola natia e l’attico di sua proprietà ad Alexandra
Bay, però non si lamentò molto della sistemazione di fortuna. Avrebbe preferito
tornare immediatamente a casa propria, e Lilian non poteva darle torto: dopo
aver subito una prigionia del genere, nemmeno a lei sarebbe andato a genio fare
campeggio in un’isola deserta. Paul Blackwood non aveva fatto fare alcun tipo
di sperimentazione sulla giovane Vegapunk, che sebbene sciupata non era in
condizioni critiche come Ace o come Charlie; la donna, oltre ad avere una fibra
robusta, aveva anche una buona forza d’animo e aveva accettato la permanenza a
Korom Island senza troppi piagnistei, dormendo come l’aviatrice in una coperta
sul pavimento dell’aereo, aiutando Lilian a raccogliere l’acqua dal
fiumiciattolo che scorreva tra l’erba e cucinando il pesce che lei stessa
pescava con un amo rudimentale.
Marco non si fece attendere, e dopo
due crepuscoli le sue vele fecero capolino all’orizzonte; fu il radar
dell’aereo, ormai ridotto ad abitazione delle due donne, a segnalare la sua presenza.
Lilian salì in tutta fretta
sulla nave, chiedendo di vedere Charlie: era in apprensione, però era ben
consapevole delle mani fatate delle infermiere di Barbabianca e sperava che
l’amico, grazie alle loro cure, si riprendesse. Ma Milly la intercettò,
chiamandola da parte in una stanza tranquilla della Phoenix.
-Gli rimane poco, Lilian.-
mormorò triste, prendendo da parte la ragazza. Troppe sevizie, disse, troppi
scellerati esperimenti, troppi combattimenti. Paul gli aveva sparato
centrandolo in pieno, era vivo per miracolo.
-Quanto poco?
-Pochi giorni. Forse meno.-
Lilian rise nervosamente a
quella notizia, poi la voce le si incrinò e scoppiò a piangere disperata,
mentre la dottoressa l’attirava in un abbraccio comprensivo.
Charles Lehired era stato
importante per lei, negli anni della Marina. Quando Paul Blackwood la trattava
freddamente, la spingeva facendola inciampare e la denigrava davanti a
personalità importanti, Charlie era sempre lì, con la sorella, ad incoraggiarla
con un sorriso e offrirle una birra per dimenticare “quell’acido antipatico di
Paul”. Era in punto di morte e Lilian non poteva accettarlo, ma stavolta non
sarebbe bastato nemmeno rimettere in funzione un Canadair e piombare su
Marineford sparando sugli Ammiragli. Poteva solo rimanere lì accanto a lui.
Ace lo capiva ed era ben lungi
dall’essere geloso, comprendendo benissimo a cosa potesse spingere l’affetto
tra fratelli, anche se acquisiti, però nemmeno poteva ignorare il fatto che Lilian
si stesse autodistruggendo per la fatica: si aggirava per la spiaggia e per la
Phoenix pallida, meditabonda, avvolta nella coperta militare che usava per
dormire perché non aveva nient’altro di caldo.
-Lilì.- sussurrò sorprendendola
nell’infermeria poco dopo il loro sbarco. -Si è svegliato ancora?- raggiunse la
ragazza che stava tastando il polso a Charlie, rincuorandosi di sentire che il
battito c’era ancora, anche se paurosamente debole.
-Scusami.- mormorò lei. -Non dovrei
essere qui.- infatti avrebbe dovuto andare a parlare con Marco, ma aveva voluto
passare per un ultimo silenzioso saluto all’amico. Lui era nel miglior posto
che potesse sperare, nelle sue condizioni: sulla Seagreen Phoenix l’equipe di
infermiere l’avrebbe curato e assistito fino alla fine.
-Ehi, ehi.- cercò di fermarla.
-Che ti sta succedendo?- le prese il volto fra le mani con delicatezza e notò
che stava tremando. -Vuoi riposarti nella mia cabina?- le offrì. Non era
malizioso, sapeva bene che Lilian non vedeva un vero letto da molti giorni.
-Ace è… è tutta colpa mia!-
singhiozzò, sparendo e correndo fuori dall’infermeria.
Lilian si sentiva un verme, non
servì a restituirle un sincero sorriso nemmeno il fatto che i pirati di
Barbabianca avessero rimorchiato lì anche la sua Castle, rimasta a Foodvalten
dopo il viaggio suo, di Jaws e di Fossa.
In quel momento Marco si stava
affacciando lugubre al parapetto della Phoenix, guardando il mare sotto di sé;
si rassettò pigramente i lembi turchesi della fascia che portava legata in vita,
lasciandoli ondeggiare nel vento del tramonto attorno alle gambe slanciate e
stanche. Finalmente aveva finito di dirigere le operazioni di sbarco e di dare
ordini perché ci si preparasse per la notte, e probabilmente voleva godersi
qualche attimo di calma.
Lilian sbucò da sottocoperta,
lo notò lì nella luce calda del tramonto e decise di confessargli tutto.
-Marco?- attirò l’attenzione
del biondo, poggiando una mano sulla balaustra accanto a lui.
L’uomo si girò, con il suo
solito aspetto scocciato. Lilian lo guardò coraggiosamente negli occhi chiari e
alteri, strinse i pugni e disse ferma: -Sono stata io. È stata tutta colpa mia
Marco, io… lo so che non ve ne fate niente, che sono solo parole. Mi assumo
tutta la responsabilità di quello che è successo a Foodvalten.- sospirò, poi
riprese a parlare senza dar tempo al biondo di rispondere: -È successo tutto
per causa mia.- la voce le si spezzò e cominciò a singhiozzare con le orecchie
in fiamme. Il Primo Comandante sembrava perplesso e sorpreso, aprì la bocca per
interrompere il flusso di parole dell’aviatrice, ma questa lo precedette ancora.
-Sparirò! Ve lo prometto!
Volevo solo dirvi… che vi ringrazio per aver salvato anche me, a Dressrosa. Non
vi darò mai più problemi.- gridò Rea allontanandosi, e sfruttò la sua
Contro-Ambizione per eclissarsi sul suo gozzo, lontana da tutti.
Ace uscì in quel momento sul
ponte, vide Lilian sparire e andò verso Marco, proteso a fermare la ragazza,
purtroppo inutilmente.
La Fenice, vedendolo
avvicinarsi con fare interrogativo, a quel punto decise di lasciar perdere
l’inseguimento della ragazza e che era giunto il momento di vuotare il sacco.
-Cos’hai, signorina?- le
domandò cauto Vista, notandola seduta a fissare il vuoto sul piccolo ponte di
poppa della Castle, seduta su una cassa con il volto tra le mani. Lilian lo
guardò tristemente e non le uscì la voce per una risposta.
-Posso?- lo spadaccino chiese
gentilmente il permesso di salire a bordo, e la ragazza rispose positivamente
con un cenno del capo. La barca ondeggiò placida sotto il peso dell’uomo, il
Quinto Comandante si avvicinò a quella figura mesta e silenziosa e si sedette
accanto a lei. Ormai Lilian era l’ombra della ragazzina allegra e spensierata
che era apparsa all’improvviso sul loro vascello solo poche settimane prima,
tintinnante di armi e con una chitarra sulle spalle.
-Non ce l’ho fatta.- confessò
la ragazza, senza osare alzare lo sguardo sullo spadaccino. -Volevo dirlo io ad
Ace, ma…- e non terminò la frase. Due lucciconi si fecero strada sulle sue
guance abbronzate. -A Foodvalten è stata tutta colpa mia… l’ho detto anche a
Marco…-
Santo Cielo. Che macigno si
stava portando dentro, quel soldino di cacio?
Vista le mise una mano sulla spalla,
carezzandola gentilmente. -Sei stata coraggiosa.- cominciò garbato, scegliendo
con cura le sue parole. -Hai fatto i salti mortali per aiutare mio fratello.-
-Non è una giustificazione... Sono
stata io la causa della strage, e non ho neanche il coraggio di dire ad Ace
che… che…-
-Non torturarti così.- le
sorrise Vista sincero. -E poi, meglio che lo venga a sapere da noi, te
l’assicuro.- considerò.
-Che vuoi dire?- chiese Rea,
alzando di scatto la testa.
-Marco l’ha portato lontano
dall’accampamento.- si alzò in piedi facendo dondolare la barca. -Anzi, meglio
che li raggiunga anche io.-
Lilian rimase muta a fissare
l’uomo che si allontanava sul molo con le mani nelle tasche. Lontano
dall’accampamento. Ace avrebbe dato in escandescenze quando avrebbe saputo
cos’era successo, avrebbe distrutto qualsiasi cosa gli fosse capitata davanti,
e i suoi fratelli, i più forti tra i pirati più forti, forse erano gli unici
che avrebbero potuto arginare quella furia.
E lei? Lei che quella furia
l’aveva causata? Lei che era stata il motivo di quello scempio, di quella
battaglia durata, come le avevano riferito, due giorni? Una fitta le attraversò
lo stomaco, facendolo attorcigliare su sé stesso, contagiando gli organi
attorno: Barbabianca, aveva ucciso quell’uomo così gentile che l’aveva abbracciata
da subito, che non gli importava né del tatuaggio né dei trascorsi con la
Marina, che le aveva regalato la splendida Castle su cui stava.
-Allora?- sorrise scanzonato
Ace al fratello, camminando poco distante dal mare. -Come sta il vecchio? L’hai
lasciato a Foodvalten?- una volta tolte le catene di agalmatolite il ragazzo si
era ripreso in fretta.
Marco si fermò a poca distanza,
stringendo i pugni per prendere coraggio; nemmeno un uomo come lui trovava
facilmente le parole per riferire quella spaventosa verità.
-Siamo stati attaccati a
Foodvalten, Ace.- rispose tetro.
Pugno di Fuoco si fermò, il
sorriso gli si ghiacciò in volto. -Stai… stai scherzando?- tornò serio. -Chi vi
ha attaccati? Il vecchio sta bene!?- gridò voltandosi di scatto verso la Fenice.
Lilian si chiuse dentro la
cabina, tremando, rifiutandosi di vedere chiunque, persino Charlie, persino
Ace. Soprattutto Ace. Soprattutto qualsiasi membro della ciurma di Barbabianca.
Solo sentirsi addosso i loro sguardi la mandava in confusione, si sentiva
sporca, traditrice, un essere infimo che aveva distrutto quella meravigliosa
famiglia. La accusavano, lei lo sapeva. Forse non Vista, ma altri sì. Non
l’aveva fatto apposta, era naturale, ma aveva lasciato che succedesse. Non
aveva mosso un dito per impedirlo, era caduta nella trappola di Paul Blackwood,
aveva trascinato Ace e Newgate nel suo passato che tornava inesorabilmente per
rinchiuderla in un laboratorio ed essere sezionata. Perché non l’avevano
lasciata a morire a Dressrosa? Perché Marco continuava a trattarla come un
essere umano? Corse fuori dalla cabina, si sporse fuoribordo e vomitò anche
l’anima.
Marco ed Ace si fronteggiavano
sulla spiaggia di sabbia chiara illuminati dall’astro d’argento pieno solo a
metà.
-Marco!- sussurrò Ace. -Dimmi
che non è vero… dimmi che è tutto uno scherzo!
Il Primo Comandante non aveva
il volto di uno che scherzava, e rimase muto per un brevissimo istante. Ace
spaventato gli si avventò contro, prendendolo per le spalle e scuotendolo, il
cappello da cowboy gli cadde sulle spalle, coprendo la Jolly Roger di Barbabianca.
-Dimmi che stai mentendo!
Dillo!!- pregò con la voce incrinata. Marco rimase in silenzio, guardava gli
occhi del fratello che si riempivano di lacrime tristi e furibonde.
-Teach non può averlo ucciso!
Marco! Ti prego!- urlò Pugno di Fuoco.
-Il Babbo non c’è più, Ace.-
ripetè la Fenice senza trattenere le proprie lacrime, odiandosi per aver
pronunciato una frase del genere.
Charlie era ridotto così perché
tutti gli esperimenti erano stati fatti su di lui, pensò Lilian. Se lei si
fosse consegnata da subito… Amelia, Amelia era lì, stavano facendo esperimenti
su di lei mentre era lì, in quella barca, a piangere con gli occhi fissi sulla
ruota del timone.
Ace. Doveva avere coraggio e
dirglielo lei, o essere vicino a lui quando Marco gli avrebbe detto la verità.
Aprì fremente la porta che conduceva sul piccolo ponte dell’imbarcazione, la
notte le dette uno schiaffo di aria gelida sul volto che le fece ghiacciare il
naso e la gola, ma proprio quando aveva il piede puntato per saltare sul molo,
un’enorme, infinita, densa fiammata come quella di un vulcano in eruzione
avvolse il cielo, rischiarando a giorno l’intera Korom Island.
Troppo tardi. Lilian prese a
correre più veloce che poteva verso quelle faville.
Ace l’aveva scoperto. Vista,
Marco, Rakuyou e tutti gli altri fratelli avrebbero cercato di calmarlo, o
almeno di contenere le fiamme che divampavano nella zona pietrosa dell’isola.
La ragazza arrivò sulla
spiaggia, tenendosi a distanza date le lingue di fuoco che saettavano in tutte
le direzioni. Riusciva a sentire solamente le voci dei due ragazzi.
-Ace!- gridò Blenheim cercando
di avvicinarsi riparandosi gli occhi con la mano. -Lo so come ti senti, è dura
per tutti!
-Com’è successo?- tuonò il
ragazzo. -COME HANNO FATTO??-
-Blackwood ha chiamato Lilian
dopo che sei scomparso dicendo che ti tenevano prigioniero a Rainy Hollow.-
spiegò la Fenice, mentre tutt’attorno le fiamme si alzavano minacciose. -E con
lei, Jaws e Fossa sono andato laggiù per recuperarti, ma lì abbiamo trovato un
lumacofono, e Doflamingo ha detto che Barbanera stava annientando la flotta
mentre noi non c’eravamo.
-Lilì lo sapeva?!- ruggì il
pirata di fuoco. -Non mi ha detto niente!?! Blackwood voleva lei! Voleva solo
lei!!!
-Ace, non…
-È stato a causa sua!- gridò
Portuguese.
L’animo di Lilian si infranse
come uno specchio. Se l’aspettava: anche per Ace era sua e solo sua la colpa di
tutto. Indietreggiò di alcuni passi e corse via.
-Piantala di parlare così!-
esplose Fossa fregandosene delle fiamme e atterrandolo con un pugno. -Non
poteva sapere!
-Credi che per lei sia stato
facile?- la difese la Fenice. -Non ti sei accorto che non riusciva nemmeno a
guardarti in faccia?
-Il vecchio è morto a causa di
Blackwood…- accusò Ace con una voce che pareva venisse dall’oltretomba. -Per
arrivare a Lilì ha usato me e ucciso mio padre!?!-
Il pirata di fuoco gridò come
un animale ferito, e un’enorme sfera incandescente si levò sulla spiaggia,
allungandosi sull’acqua in una scia di vapore, sparendo all’orizzonte che
illuminava man mano come un astro troppo vicino alla terra.
-VIA!- ordinò Marco agli altri
fratelli.
Il corpo di Ace era ormai
invisibile in mezzo a tutte quelle fiamme, solo la sua voce si udiva in quel
terribile crepitio rovente.
-Ace!- invocavano i Comandanti.
Il ragazzo continuò a scatenare
un’immensa, apocalittica tempesta di fuoco finché fu alta la luna, finché ebbe
fiato per urlare, finchè non ci fu più nemmeno la voce ad accompagnare le
fiamme, finché la rabbia del ragazzo non diventò un ruggito contro la notte,
finché l’unica cosa in grado di placare quelle vampe non fu un lungo e
furibondo pianto.
La sagoma del figlio di Newgate,
non più uomo ma belva, gridava lacrime e sangue stagliandosi nera contro i
fuochi, e nel buio si levò una sola feroce promessa: uccidere senza pietà
Marshall D. Teach e Paul Blackwood.
All’alba Marco trovò il
fratello in ginocchio sulla rena, con i pugni stretti e la sabbia attorno che
aveva preso la consistenza del vetro.
La Fenice rimase lì, senza
preoccuparsi di venire colpita da raffiche di fuoco; suo fratello finalmente
sembrava essersi sfogato. Certo, il dolore era ben lungi dall’essere scomparso,
ma almeno sembrava che lo sforzo fisico l’avesse calmato. Tuttavia il ragazzo
tremava ancora, con il capo moro chino sul terreno e gli occhi disperatamente
serrati. Dopo alcuni minuti si tirò a sedere, dando le spalle a Marco che
aspettava quieto che gli rivolgesse la parola.
-E adesso?- domandò soffiando
fra i denti.
-Vedremo. Non lo sappiamo
ancora. Credo che chi vorrà rimanere rimarrà, chi preferirà andarsene sarà
libero di farlo.- spiegò Marco.
-Dov’è?- non c’era bisogno di
specificare a chi si riferisse.
-Nel Nuovo Mondo, a pochi
giorni da qui. Un’isola primaverile, come gli sarebbe piaciuto.-
Pugno di Fuoco rimase ancora
muto, guardava il mare che era diventato petrolio sotto le nuvole plumbee che
coprivano il cielo.
-E Lilian?- era la prima volta
che la nominava con il nome completo. L’ultima volta che l’aveva vista era
pallida, sembrava sul punto di vomitare ed era scappata verso il suo gozzo;
avrebbe voluto seguirla, ma Marco l’aveva portato via.
La Fenice sembrò non avere una
risposta pronta per quella domanda.
Ace si voltò verso il fratello,
abituato a sentirsi sempre rispondere. Si trattava di Marco, il Primo
Comandante, l’uomo che aveva sempre una risposta razionale, una frase per
rassicurarti e per spiegarti la situazione senza addolcire né ingigantire la
pillola.
-Dov’è Lilian?- ripetè.
-È scomparsa.- ammise infine
Marco.
Lilian
Rea arrivò sull’isola dove era stato seppellito Barbabianca ch’era mattina
tarda, tirava un forte vento e le nuvole si rincorrevano nel cielo azzurro e
sembravano tanti cavalli bigi.
Le
raffiche scuotevano le cime degli alberi attorno al grande campo dove erano
stati seppelliti quei valorosi pirati, sibilavano tra i marmi pallidi e
cullavano lievemente il pesante mantello che solo pochi giorni prima aveva
coperto le possenti spalle di Edward Newgate. Le maniche ondeggiavano, appese
al suo bisento che si ergeva come una monumentale stele sul blocco di marmo con
l’epigrafe composta fra le lacrime da Marco e da Vista per i caduti di quella
che era stata la ciurma più formidabile del mondo. La famiglia. Quella famiglia
che Barbabianca tanto amava e che ora riposava con lui, sotto la terra di
quell’isola nel Nuovo Mondo, così soleggiata eppure così fredda.
Lilian
ormeggiò la Castle al molo del paesello e corse sulla collina dove si estendeva
il camposanto. Era lontana, ma non le importava un accidente: corse come una
forsennata attraversando come una furia il borgo dei pescatori e si fermò solo
davanti al piccolo cancello di ferro, aperto su una distesa agghiacciante di
lapidi. Attraversò quella soglia e camminò lentamente verso il monumento dedicato
al Capitano.
Attorno
a lei c’erano decine di lastre e di croci, alcune dritte, altre coricate, e
vicino ad ognuna c’erano fiori appassiti posati ai funerali, oggetti
appartenuti al morto, fotografie di volti sorridenti che il sole aveva già
cominciato a scolorire. Polvere. Lilian non vedeva nulla di tutto questo, gli
occhi erano inondati di lacrime e solo la maestosità del mantello di
Barbabianca che ondeggiava nel vento la guidava lì dove voleva andare.
A pochi
metri dal monumento si lasciò cadere in ginocchio, il pianto le esplose nelle
viscere.
-Mi
dispiace!- gridò, le sue parole se le portò il vento. -Mi dispiace!!- continuò.
-Non volevo che succedesse… io…- singhiozzò. -Io non lo sapevo!-
-Torna!!-
urlò affondando le unghie nella terra. -Ace ha bisogno di te… sono stata io, è
stata tutta colpa mia, tu non dovevi morire… nessuno di voi doveva morire!!- si
girò verso le altre tombe che silenziose l’accerchiavano.
-Rispondimi,
per favore…- rantolò con voce irriconoscibile.
Si
inginocchiò per terra e si chinò, continuando a piangere e piangere senza
riposo, battendo i pugni su quella terra che custodiva i corpi del padre e dei fratelli
di Ace, della sua famiglia che lei aveva fatto massacrare.
Un uomo
sulla quarantina varcò il cancelletto del cimitero. Per lui il vento non era un
problema, intabarrato com’era in un pesante e lungo cappotto dal collo di
pelliccia. Avrebbe forse potuto dargli fastidio il sole, dati i vestiti
sontuosi ed eleganti, ma non dava cenno di ciò. Portava i capelli neri tirati
all’indietro, mettendo in evidenza i lineamenti marcati e una sottile cicatrice
che gli correva da orecchio a orecchio, passando dal setto del naso sottile;
con gli occhi aurei scrutò i dintorni, poi cercò di mettere a fuoco la
figuretta immobile alla base della tomba del vecchio.
Camminava rilassato e altero in
mezzo a quelle lapidi senza fretta, come se si trovasse in casa propria, con la
mano destra nella tasca dei pantaloni dal taglio sartoriale e un pesante uncino
dorato che sostituiva la sinistra seminascosto dal cappotto.
Dietro
le quinte…
Molte
di voi erano in pena per il nostro Ace, che finalmente ha saputo la verità su
quanto successo a Foodvalten. Spero di non aver deluso troppo le aspettative e
che la scena di lui che esplode come un vulcano sia venuta abbastanza bene.
Lilian
invece è scappata, ma del resto stava progettando un colpo di testa del genere
già da alcuni capitoli! Se Vista era riuscito a trovare le parole giuste per
darle il coraggio di andare da Ace, è poi stato quest’ultimo a distruggere la
sua determinazione al punto da scappare via.
E
qui entra in scena il nuovo personaggio!! Nuovo almeno in questa trama, perché
lui è cento per cento figlio di Oda! Avete capito di chi si tratta? Dai che è
palese!! Serve un altro indizio? Allora… è un fumatore accanito ma non è Andrea
Camilleri. Ha un uncino ma non ha paura di coccodrilli che fan tic-tac. Chi è?
Aspetto
le vostre opinioni sul capitolo ^^ cosa farà il nuovo arrivato? Che ci fa alle
spalle di Lilian? Ace rimarrà in collera con lei? Lo è mai stato? Abbiamo
travisato le sue parole?
Grazie
a tutti per continuare a seguire questa storia!
Appuntamento
alla prossima settimana,
Yellow
Canadair
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Capitolo 29 *** Le lacrime e il Boss ***
[zipedit] Le lacrime e il boss Arrivato presso Lilian, ancora china sul suolo a
piangere lacrime calde e amare, Sir Crocodile si fermò a poca distanza da lei e
accese un grosso sigaro che incastrò fra i denti con movimenti rapidi, come se
quello fosse un rituale che si ripeteva da anni sempre uguale. Ripose l’accendino e guardò senza particolare
interesse la ragazza che sembrava non essersi accorta della sua presenza e
aspirò un paio di boccate dal toscano. Poi disse, senza distogliere lo sguardo
accigliato dalla tomba: -Dacci un taglio, mocciosa. È morto solo per la sua
incompetenza.- La ragazzina però non mostrò segni d’aver capito. Continuava
a singhiozzare col capo chino in terra. L’uomo scosse la testa, disgustato dalla scena
pietosa. -Non è vero…- mugolò fra le lacrime Lilian. -L’ho
ucciso io…- Un lampo divertito illuminò gli occhi di Crocodile. -Sciocchezze.
Persino uno come lui non avrebbe difficoltà a schiacciarti, pidocchio.- -Li ho uccisi tutti io…- biascicò Lilian, ma alle
orecchie dell’uomo non arrivò che un lamento sconnesso. Lui rimase in silenzio
senza degnarla d’uno sguardo, assaporando il sapore del tabacco e tornando a leggere
l’epigrafe, sorridendo sprezzante mentre ne scorreva le righe. Lilian sollevò la faccia dal suolo e guardò l’uomo che
intanto si era avvicinato di più alla tomba. Si alzò in piedi e si asciugò le
lacrime con la mano, sporcandosi di terra una guancia, e tentò di rassettarsi,
cominciando a chiedersi chi fosse quel tizio vestito in maniera così elegante e
così inadeguata al clima tiepido del posto. D’un tratto però la bocca di una pistola si posò sulla
sua schiena, e lo scatto metallico d’un cane la fece sentire immediatamente
sotto tiro. Crocodile si voltò a quel suono e quello che vide fu
Lilian, sorpresa e sbigottita, con le mani alzate e un uomo in tailleur chiaro
e i capelli legati in una lunga e lucida coda ondeggiante al vento dietro di
lei che la stava minacciando con qualche arma. -Vi consiglio di stare fermi, tutti e due.- sussurrò
la persona alle spalle di Lilian. La ragazza riconobbe la voce e tentò di voltarsi, ma
una mano la spinse in avanti costringendola a non guardare altro che la tomba
di Newgate. Sogghignò. -Sapevo che prima o poi mi avresti trovata, Paul.-
disse. L’uomo allungò le mani per togliere le pistole dalle
fondine che Lilian aveva appese al fianco, afferrò i calci senza che la ragazza
potesse reagire e le lanciò in disparte, poi la squadrò con gli occhi stretti,
disgustato. -Pochi mesi tra la feccia e sei diventata peggio di quello che
eri.- I piedi scalzi, le gambe abbronzate e coperte di
polvere, il pantaloncino scolorito, la vecchia camicia con lo stemma della
Marina cucito alla tasca sul seno slacciata e dai bordi lisi, i capelli che ricrescevano
disordinati e ribelli, le fondine di cuoio rubate in armeria ad Alexandra Bay
mesi prima. -Lurido figlio di un cane, aspetta che mi tiri fuori
da questa storia e spedirò la tua testa a Marco.- ringhiò feroce Rea. -E poi
verrò a seppellirti qui, e chi verrà a trovare Newgate potrà anche sputare su
chi l’ha ucciso.- -Vuoi seppellirti qui?- trillò ironico Blackwood. “Ha ragione” pensò. “Sono stata io.” Ma la mente di Lilian aggiunse: “E lui come lo sa?” Va bene, Edward Newgate era morto perché Paul
Blackwood cercava lei. Ma come faceva a sapere dei rimorsi che la tormentavano?
Che ci faceva lì, alla Tomba di Barbabianca? Lilian si girò su se stessa con uno scatto per
guardarlo in volto, irosa. -Forza Lilian Rea, ormai ci potresti arrivare da
sola.- la provocò l’aviatore, intuendo i suoi pensieri. Invece di rispondere, calciò con una rovesciata la
mano di Paul che reggeva l’arma, cadde a terra sulla schiena, richiamò la Contro-Ambizione
e si tuffò dietro la prima fila di lastre. Crocodile se la vide sparire
praticamente di sotto al sigaro, mentre Paul sorrise macabro senza scomporsi, raccogliendo
la propria pistola e spazzolandosi il tailleur con la mano libera. -Sei la solita teppistella.- sibilò. -Non hai capito
che è inutile scappare? Io ti troverò sempre: sei prevedibile.- Lilian si acquattò tra due file di lapidi, palpitante
si sedette sulla terra smossa di fresco chiedendo mentalmente scusa al ragazzo
seppellito lì. -Esci da lì, Lilian.- parlò pianissimo l’aviatore. Rea
si accovacciò per non esporsi e afferrò il manico del coltello che teneva
nascosto sotto la camicia, mandando tanti accidenti a quel bastardo. -Lei invece farebbe meglio a togliersi da mezzo. È una
faccenda privata.- ammonì Blackwood, rivolto a Crocodile. L’ex flottaro non si
scompose, si limitò a ravvivare la brace del sigaro. -Non interferirò ragazzo, non sono affari miei in
fondo.- disse cortese. -Un amico?- domandò Paul, accennando con la piccola canna
della Derringer al monumento di Barbabianca. -Nemico.- rispose l’uomo. -Oh, allora mi dovrebbe ringraziare.- Crocodile si
fece moderatamente attento. -Ascolta, Lilian. Credi che sia stato un caso l’attacco
a Newgate dopo la tua partenza? Io ti conosco, e so che non sei scema, però sei
tanto tanto stupida e ingenua.- Lilian ascoltava trattenendo il fiato. Doveva
attaccarlo e ucciderlo lì, sgozzarlo con la sua lama come un vitello da
sacrificio, lasciare che la terra dove riposava Newgate bevesse il suo sangue. Però,
se un uomo con la pistola quando incontra un uomo col fucile è un uomo morto, allora
l’uomo con il coltello è meglio che se ne stia lontano da tutti e due. Si
maledisse per aver lasciato il Winchester nel gozzo. Se invece avesse recuperato le sue Beretta, ancora
sull’erba a pochi passi da Paul, sarebbero stati ad armi pari. Ma c’erano
troppi metri da percorrere, l’avversario l’avrebbe freddata se avesse osato
un’azione del genere. Decise di farlo parlare ancora. -Non avresti mai scomodato un povero vecchietto, però ti
saresti rivolta senza esitare ai suoi figli.- continuò Paul. -Ma era
necessario, Lilian… mi serviva Portuguese per stanarti, e non potevo avere lui
senza liquidare Edward Newgate. Dolce e sentimentale Lilian… sapevo che saresti
tornata qui, e stavolta senza scorta.- -È tutta opera tua, animale!- ruggì Lilian frustrata.
Il suo rimorso, la sua fuga lì, tutto era stato previsto dalla mente di Paul
Blackwood. Era quasi sul punto di uscire allo scoperto, ma Crocodile fu più rapido e con l’uncino
arpionò la pistola di Paul. -Allora…- sussurrò minaccioso. -Tu hai ucciso
Barbabianca. -Le ho detto che è una faccenda privata.- ruggì basso
Paul. -Era un onore che spettava a me.- spiegò glaciale
Crocodile cominciando a scomporsi in un turbinio di sabbia chiara. Paul bisbigliò: -Stronzate.- e gli sparò. Crocodile sorrise macabro, il proiettile gli sarebbe
semplicemente passato attraverso, come sempre. Ma la sabbia cessò di mulinare, e
sotto al cappotto, tra la spalla sinistra e il cuore, si faceva sempre più
strada una macchia scura. “I proiettili di agalmatolite!”, pensò Lilian. Un altro uomo si parò davanti a Crocodile,
difendendolo con la sua immensa stazza e tagliando a metà la Derringer di Paul
con rapidità e precisione. Lilian aguzzò lo sguardo, ma non le parve che
quell’uomo avesse lame in mano. Un Paramisha. -Alla buon’ora, Mr.1.- osservò tranquillo Crocodile. Era il momento che Rea stava aspettando: protetta
dalla Contro-Ambizione si lanciò sulle proprie pistole e le puntò contro
Blackwood che era rimasto disarmato. Aveva previsto tutto, tranne i due
stranieri in visita alla tomba. -Maledetti.- imprecò Paul che ormai si vedeva alle
strette, estrasse una seconda grossa pistola dal panciotto e sparò davanti a
sé, ma contemporaneamente la Beretta di Lilian esplose un colpo che gli
fracassò la mano. Blackwood serrando i denti per il dolore sparì
anch’egli, richiamando una Contro-Ambizione che nemmeno Lilian riuscì a
neutralizzare. Lei sparò ancora, alla cieca, Paul si accasciò a terra
ma tutto ciò che la ragazza riuscì a vedere fu una macchia di sangue spargersi
al suolo. Ma la Contro-Ambizione di Blackwood non si dissolveva:
era ancora vivo e riusciva a controllarla. Rea corse verso i due uomini che erano rimasti
coinvolti in quella sparatoria: Das Bornes era a terra, il suo corpo non era
più trasformato in lame, mentre l’uomo dall’uncino d’oro si premeva una mano
sulla ferita sanguinante respirando pesantemente. -È ancora qui!- gridò lei. Le macchie di sangue
costellavano il terreno, non finivano mai di colare, segno che Blackwood,
seppur ferito, si spostava e si preparava ad uccidere tutti. Avrebbe potuto
saltarle alle spalle e strangolarla in un attimo. Sir Crocodile non ritenne opportuno fare domande, al
momento, e con l’ultimo barlume di potere che gli rimaneva nonostante il
proiettile in corpo avvolse lei e Mr.1 in una nube di sabbia sparendo agli
occhi di Paul, lasciandolo nel camposanto ad imprecare. -Lo riesce a portare? Sicuro?- si accertò Lilian.
Crocodile si era passato il braccio del suo sottoposto attorno alle spalle e lo
trascinava nonostante fosse lui stesso ferito. -Fammi strada, muoviti!- la rimbeccò lui. Stavano
andando alla Castle, dove Lilian avrebbe potuto soccorrere alla meno peggio i
due uomini. Il paesino si era svuotato come d’incanto; le porte
sbarrate, le gelosie serrate, nessuno per le strade. Arrivarono al molo e riuscirono a salire sul piccolo gozzo
della ragazza, che mise in moto e si allontanò da quella lugubre isola. Fece un
largo giro per evitare di far passare la barca dove fosse visibile dal cimitero
e in pochi minuti arrivò su una sparuta isoletta lì vicino, approdò in una
caletta selvaggia e riparata e fece sbarcare i due preparandosi alle prime operazioni
di soccorso. Un grosso scoglio faceva al caso loro, proiettava una grande ombra
sulla sabbia chiara e poteva fare anche da schienale. Stese un grande lenzuolo a terra per evitare che i
granelli andassero nelle ferite e vi distesero Bornes, mentre il Sir preferì
mettersi seduto su un altro masso poco distante. -Prima lui.- le ordinò Crocodile. Lilian obbedì. Era spaventata: l’uomo che aveva davanti, che aveva
tagliato con un gesto la pistola di Paul, era stato colpito ad una gamba, poco
più su del ginocchio, e il proiettile era rimasto dentro. Sapeva bene come toglierlo, ma non l’aveva mai fatto e
ne era terrorizzata. In più il poveretto perdeva un sacco di sangue, se il
proiettile aveva preso la femorale era un guaio. -Come si chiama? -Das Bornes.- rispose Crocodile. -Ok. Das! Das, mi senti? Stringi i denti, ti farò un
po’ male! Ma passa subito!- aggiunse Lilian. Tagliò via con il coltello la gamba del pantalone
scoprendo il foro del proiettile, che sputava fiotti scarlatti e disinfettò in
fretta il coltello bagnandolo con del rhum che aveva nella barca e facendo
prendere fuoco alla lama con l’accendino che le imprestò Crocodile. Poi stringendo
i denti e respingendo ogni protesta da parte delle sue cellule che avrebbero
voluto suicidarsi una ad una piuttosto che fare una cosa del genere, afferrò
con decisione il manico del Bowie e cominciò a frugare letteralmente nelle
carni dell’uomo alla ricerca del proiettile di agalmatolite. La ragazza sbiancò
come un fantasma quando la lama, a contatto con la pelle dell’uomo, emise un pshhh seguito da uno sbuffo di fumo, ma
non voleva mollare. Das tratteneva i lamenti e affondava le unghie sul
lenzuolo bianco e nella rena sottostante, mentre Lilian gli prometteva: -Lo
sento, lo vedo quasi… ho quasi finito!- -Mr.1, stai spaventando la signorina.- lo ammonì
tranquillo Crocodile. -L’ho preso, l’ho preso!- gridò finalmente Lilian,
trionfante, stringendo tra le dita lorde di sangue quel che rimaneva del
proiettile, ridotto ad un piccolo affarino di piombo dalla punta accartocciata. -Oh merda…- Il
proiettile era di algamatolite, ma dal suo interno fuoriusciva anche una
sostanza color petrolio. Ripose lì di lato il bossolo, si sfilò rapida la
camicia, la strappò e tamponò la ferita, tentando di fermare l’emorragia. -Bel tatuaggio.- commentò ironico Crocodile,
riferendosi al triplo teschio sulle spalle di Lilian. -Ciurma di Barbanera una
cosina così?- -Non lo guardi!- sputò fuori la ragazza facendosi
rossa. -Non è mio!- disse senza trovare altre parole adatte, mentre con i
denti stretti fasciava la gamba dell’uomo con un rotolo di garza. Non era suo?, pensò Crocodile. Che significava? Una
violenza? Un’alleanza infranta? -Adesso tocca a lei.- si voltò Lilian, alzando per la
prima volta lo sguardo sull’uomo che in qualche modo l’aveva salvata, e ne
rimase quasi pietrificata. Era ferito e il sangue stava colando copioso, ma lui
non aveva per nulla l’aria di un ferito: superbo e sicuro di sé la sovrastava
completamente, stringendo fra i denti un sigaro fumante. I suoi occhi gialli la
scrutavano a metà tra lo schifato e il divertito. Lilian si sentì diventare di
fiamma. -Non penserai di distruggermi i vestiti per così poco?
Faccio io.- -Ma sono già forati dal proiettile…- protestò timida
la ragazza con una vocina flebile flebile. -Faccio. Da. Me.- ripetè Crocodile, e cominciò
lentamente a spogliarsi, togliendosi prima il pesante cappotto, poi il
panciotto grigio scuro, poi l’elegante cravatta, quindi la camicia rosso cupo,
i cui bottoni celavano dei pettorali maestosi. Lilian si perse questo spettacolo però perché era scappata
a fare una lumacofonata sulla Castle. Non avrebbe voluto mai più comporre quel numero, lo
stesso che Marco era riuscito a far imparare a memoria ad Ace. Voleva dire
tornare, rendersi di nuovo rintracciabile, però a quel numero avrebbe anche
risposto l’unica persona al mondo che potesse salvare i due uomini. -Sono Lilian Rea Yaeger.- si annunciò al pirata della
Seagreen Phoenix che le rispose. -Devo parlare con Caro Vegapunk, è
un’emergenza.- Fu messa in attesa da un concitatissimo Dirk, il
luogotenente di Marco. -Pronto!?- squillò la voce della scienziata in pochi
minuti. -Caro? Caro, per favore aiutami! -Lilian!- rispose la scienziata da Korom Island. -Qui
ti cercano tutti, dove sei finita? -È Lilì!?- gridò Ace strappando la cornetta di mano
alla donna. All’aviatrice non riuscì difficile immaginarsi che il ragazzo fosse
venuto di corsa, inseguendo Caro. -Lilì, dove sei? Dove diavolo ti sei
cacciata???- -Ace fammi parlare con Caro, per favore.- gli chiese
Lilian dopo alcuni istanti di silenzio. -Perché sei scappata!?- la rimproverò. Lilian si coprì il colto con una mano mentre le parole
di Ace le scivolavano come piombo bollente nel cuore. -Ti prego, Ace.- supplicò
con la voce che le tremava. -Dimenticami. Devo parlare con Caro. Passamela. -DIMENTICARTI!?!- s’inalberò Pugno di Fuoco,
decisamente più iracondo che triste. -Si può sapere cosa accidenti…-
s’interruppe. -Che c’è, Lilian?- questa era Caro, che era riuscita
chissà come a sottrarre al ragazzo il ricevitore. -Caro, ho due feriti, arma da fuoco. Ma dentro il
proiettile c’era dell’agalmatolite liquida, e si è diffusa nel corpo prima che
riuscissi a estrarlo, cosa devo fare? -Allo stato attuale è un preparato mortale. Devi
assolutamente somministrare l’antidoto.- spiegò razionale. -E dove lo trovo?? -Dove sei? -Alla Tomba di Barbabianca! Anzi, sull’isola accanto. Caro Vegapunk rivolse una domanda a qualcuno vicino a
lei coprendo il ricevitore con una mano, per cui Rea non sentì cosa dicesse.
Però intuì la voce di Marco che rispondeva. Probabilmente aveva chiesto il nome
dell’isola. -Sei fortunata, Lilian!- tornò a parlarle. -Estrai i
proiettili e curali con le procedure d’emergenza, poi fai rotta verso nord,
dovresti arrivare all’isola di Barjimoa. -Con quale magnetismo!?- protestò Lilian riferendosi
ai Log Pose. -Nessun magnetismo, te lo dico io che c’è!! Sono poco
meno di 50 miglia a nord! È un’isola completamente innevata! Fuori dal paese
c’è la mia casa privata, rifugiatevi là! Sulla strada troverai il vecchio
laboratorio di mio padre, dove ho nascosto dei campioni dell’antidoto.- e le illustrò
la via più breve per arrivarci, le rivelò la sequenza di numeri per aprire la
porta elettronica di casa e laboratorio e spiegò come somministrare il
preparato. -Lilian! Apri il divano-letto nel salone e usa la camera degli
ospiti. Non far mettere nessuno nel mio baldacchino, capito!?! Rea chiuse la lumacofonata senza salutare e tornò ad
operare, e Caro rimase con il ricevitore muto in mano. Lilian trovò l’uomo a torso nudo che l’aspettava e
rimase senza fiato dallo splendore della vista: era così robusto che in
confronto Ace sembrava gracilino, ma chi diavolo era? Alto, maestoso, ferito
quasi a morte eppure ancora così imponente. La tentazione di sfiorargli la cicatrice con le labbra
si arrampicò tra le viscere di Lilian come edera su un muro, l’idea di sfidare
quelle iridi d’oro indugiandovi ancora era una dolce lusinga nell’anima
dell’aviatrice. Chissà come doveva essere avere il soffio caldo e dolce di
sigaro di notte sulla pelle nuda. NO! LILIAN, NO! “Alexandra Bay, torre di controllo chiama Canadair
053!” pensò con la voce di Caro Vegapunk che la richiamava. Cercò di snebbiarsi il cervello da quella visione, in
fondo era un adulto, aveva persino qualche ruga, avrebbe potuto essere suo
padre forse, lei era troppo acerba per lui, e poi aveva tutta l’aria di un
masnadiere dei peggiori. Abbassò lo sguardo prima che l’uomo interpretasse quel
suo fissarlo come una provocazione. Riprese il coltello che aveva disinfettato di nuovo in
mano e stringendo l’impugnatura per farsi coraggio e toccare quel ben di Dio si
avvicinò all’uomo, che tentava di fermare il sangue usando quel che rimaneva
della camicia di Lilian. -Era ora.- commentò lui spostando l’uncino per far
avvicinare la ragazza. Lo spostò con una leggera fatica, notò disgustato.
L’agalmatolite era poco meno che letale per un possessore di Frutto del
Diavolo, anche se massiccio come lui. -Scusi.- arrossì ancora Lilian. Si avvicinò ancora e
finalmente vinse il timore che aveva, o meglio, lo mise a tacere e domandò
cauta: -Vuole… vuole stendersi?- -Va bene così.- ringhiò l’uomo. Lei cominciò a lavorare di coltello. Doveva fare un male atroce, ma Sir Crocodile non dava
segni di sofferenza; anzi, usando il braccio sano aveva fatto scattare lo Zippo
e si era acceso l’ennesimo toscano. -Come si chiama?- domandò Lilian ad un certo punto,
rendendosi conto di non sapere nemmeno con chi si trovasse. Lo straniero la guardò vagamente sorpreso, e non
rispose subito; forse stava valutando se dare un nome falso, forse stava
meditando se farla fuori, forse era da un bel po’ che non gli capitava che
qualcuno gli chiedesse chi fosse, considerando gli ultimi eventi di cui era
stato protagonista. -Sir Crocodile.- rispose infine. -Io... io sono Lilian.- rispose alzando per un attimo
lo sguardo sugli occhi dell’interlocutore ma abbassandoli l’attimo dopo,
imbarazzata. -Piantala, non ti mangio.- la rimbeccò il Sir
bruscamente. -E so benissimo chi sei. “L’aviatore del Canadair”.- Lilian soffiò con disappunto fra i denti. Bene, aveva
visto l’avviso di taglia, avrebbe potuto consegnarla in qualsiasi momento. Quando Crocodile aveva visto la sua foto sui giornali,
quasi non ci aveva creduto: a bloccare la guerra tra Barbabianca e la Marina
era stata una pulce, una cimice, uno scarafaggio ancora più piccolo di Cappello
di Paglia. Certo, nonostante il suo intervento la Marina aveva sportivamente continuato
l’attacco nonostante la ritirata dei pirati, e anche dopo che Portuguese aveva
lasciato il campo c’erano stati scontri, con morti e feriti. Si aspettava qualcuno della flotta del vecchio, o un
Marine rinnegato, ma non certo una mocciosa armata e che arrossiva ogni santa
volta che le parlava. La studiò mentre lei era impegnata a rovistargli tra
spalla e cuore, senza riuscire a strappargli alcun lamento. Era sporca e
smagrita, però abbastanza vitale da sopportare il rinculo delle pistole senza
batter ciglio. Il tatuaggio di Teach lo incuriosiva, ma non quanto la sua
capacità di sparire. Un Frutto del Diavolo? E allora perché l’uomo al cimitero
aveva la stessa abilità? Lilian finalmente cavò il maledetto proiettile, ma
come quello estratto da Bornes, anche questo aveva contenuto solo fino a pochi
minuti prima l’agalmatolite liquida. -Le stavo spiegando, queste non sono normali munizioni.-
depose quel che restava del bossolo nella mano di Crocodile brillante di
pesanti anelli d’oro. -Le vede queste macchie blu scuro? Erano pieni di agalmatolite
liquida, che a contatto col vostro sangue è entrata in circolo. Quella non ve
la posso estrarre.- spiegò mentre asciugava il sangue che usciva dalla spalla
dell’uomo e disinfettava la ferita con il superalcolico. -Vi ucciderà lentamente. Si può stendere, per favore?
Le cola il rhum sui pantaloni.- sollecitò gentile. -L’unico modo per fermarla è
prendere l’antidoto, che Caro Vegapunk tiene nella sua residenza a Barjimoa.
Dovete venire con me a prenderla se vi volete salvare. Tenga anche l’altro.- e
gli mise in mano anche il proiettile estratto da Mr.1, che era più grosso. Crocodile fece una smorfia di disappunto, ma un gemito
sommesso del suo sottoposto lo convinse che conveniva, per il momento, fare ciò
che diceva la mocciosa. Del resto aveva avuto la conferma che ci fosse dell’agalmatolite
nel suo corpo quando aveva provato or ora a dissolversi in sabbia ma non ci era
riuscito. E poi quel nome, Vegapunk! Cosa c’entrava quell’insettino con la
celebre scienziata? La studiò avido mentre lei, con le dita leggere e un
rotolo di garza, gli fasciava la spalla e il petto. Arrivarono a Barjimoa nella notte, sbarcarono e
trovarono facilmente la casa grazie alle indicazioni precise di Caro. Ormai
neppure Crocodile, che aveva fatto tanto il duro, era più in forma smagliante e
Mr.1 era svenuto e trascinato di peso. Lilian era così preoccupata e spaventata
dalle condizioni dei due che sembrava quasi non essersi accorta di stare su
un’isola invernale, e continuava a sgambettare nei suoi indumenti leggeri. Aprì le porte della villa con la combinazione di numeri
datale dalla padrona di casa, fece stendere immediatamente l’uomo svenuto nel
salone appena ebbe trovato il modo di trasformare il divano in un letto, e fece
accomodare Crocodile nella stanza per gli ospiti. Poi corse di nuovo fuori, nel
buio e nel freddo, quasi nuda, vestita soltanto del costume, del pantaloncino,
dei sandaletti e del vecchio, malandato scialle. Tornò dopo quasi mezz’ora, con il fiato corto e le
labbra blu, ma i piedi riparati dentro dei vecchi scarponcini comparsi
misteriosamente. Crocodile non ne aveva voluto sapere di mettersi
coricato in un letto come un malato, e occupò invece il divano libero nel
grande salone di casa Vegapunk. Lilian alzò con precauzione la testa di Mr.1 con tutta
la forza che aveva e tentò contemporaneamente di convincerlo a smettere di
serrare per un istante i denti e fargli bere il contenuto trasparente della
bottiglietta, che nonostante l’aspetto aveva un odore nauseabondo, che
ricordava pesce andato a male. -Lascia.- le ordinò Crocodile, tenendo sollevato lui
il torso del compare mentre Lilian gli tappava il naso per fargli aprire la
bocca. Terminata l’operazione, anche lui aveva bevuto la sua razione. -E adesso?- domandò. -Si prepari a vomitare l’anima, Sir.- Caro le aveva
spiegato che il loro corpo avrebbe reagito così. Dopo circa mezz’ora Das
cominciò a lamentarsi violentemente, ma Lilian aveva già messo accanto al suo
letto un paio di secchi, immaginando che sarebbe stato difficile per lui, che
era stato ferito alla gamba, correre in bagno. Crocodile invece si eclissò dignitosamente nella
toilette, e vi rimase per un bel po’. Quando ne uscì, tornò di nuovo nel salone
dove doveva essere rimasta Lilian. Trovò il suo sottoposto che dormiva sereno nel letto
improvvisato con le fasce nuove e fresche, mentre la piccoletta era seduta di
traverso in una poltrona poco distante, dove si era appostata per fare la
guardia presso la porta imbracciando il suo pesante fucile. -Finalmente!- lo accolse. L’uomo notò che stava
combattendo per non crollare addormentata. -Venga, le cambio le
fasce! Ne ho trovate di pulite. Crocodile afferrò le garze che lei aveva in mano e
rispose: -Ci penso da me, pidocchio.- ormai le forze gli stavano tornando, non
c’era motivo di accettare aiuto. -Con una mano sola?- protestò la ragazza, riferendosi
alla spalla ferita. -Sono abituato.- la freddò Crocodile, facendola di
nuovo avvampare dall’imbarazzo per la gaffe. L’uomo si sedette al tavolo e si fece da sé la
medicazione, ignorando deliberatamente la voce dentro la testa che gli diceva
che forse un aiuto in più da quella mocciosa gli sarebbe stato utile. Quando
terminò, notò che la ragazza si era rimessa di guardia, e la considerò con
sarcasmo: bel guardiano notturno, profondamente addormentato, raggomitolato
come un gatto e abbracciato al proprio Winchester. Glielo sfilò di mano per
evitare che partisse qualche colpo involontario. Facendolo, si rese conto che la bambina stava
quasi congelando, le dita che stringevano la canna erano dei pezzi di
ghiaccio, le labbra che tremavano erano violacee. Gli
venne in mente solo in quel momento che quella era un’isola invernale, e la
piccola era vestita miseramente. In più la camicia che aveva era stata
distrutta per soccorrere lui e Bornes. Con un sospiro si sfilò il pesante cappotto bordato di
pelliccia e lo mise addosso alla mocciosa addormentata e gelata. Intuì le sue
membra intorpidite sciogliersi a contatto con quel calore inaspettato, e ghignò
soddisfatto. Poi andò su un divano, si accese il sigaro e pensò
accigliato: “Con Miss All Sunday queste
cose non capitavano mai.” Dietro le quinte… Benvenuti a Barjimoa, isola invernale
che compare davvero nella saga di One Piece… indovinello: chi si ricorda cosa
succede su quest’isola e chi dovrebbe esservi presente contemporaneamente
ai fatti narrati da me? E gli scarponcini comparsi come per magia ai piedi di
Lilian da dove vengono? Notizia flash: ADORO CROCODILE! Inizialmente
ero molto riluttante ad inserirlo, (“Crocodile!? L’infame d’Alabasta!? Manco
morta…”) ma il mio ragazzo lo venera e scrivendo scrivendo mi sono innamorata
sempre di più, e mi sono innamorata della reazione di Lilian, intimidita e
attratta -anche fisicamente- da questo
fascinoso sconosciuto, mentre da parte di Crocodile spero si sia capito che
l’interesse è puramente “tecnico”. Come lo trovate? Vi piacque ad Alabasta,
come cattivo? Vi sembra credibile o l’ho mandato OOC? Ho paura soprattutto per
la scena in cui ripara Lilian col cappotto. Insomma, è un grandissimo bastardo
ma non ce lo vedevo a lasciar morire di freddo la persona che l’ha appena
salvato, persino a Marineford si è battuto -a modo suo- per salvare Rufy, ha
persino salvato Ace mummificando i boia quando Sengoku ordinò l’immediata
esecuzione. Non sapevo che una volta raggiunto l’obiettivo
i proiettili si deformassero completamente, diventando un po’ simili ai tappi
di bottiglia… me l’ha fatto notare lo storyboarder, Legasy. Cliccare per credere. Ebbene sì, da oggi il "papà" di Paul, Amelia e Charlie ha un'identità! Standing ovation!
Dopo questo capitolo non posso non
mostrarvi il volto pensato dal mio ragazzo per Paul Blackwood: un bell’applauso
a Solf J. Kimblee, personaggio di “Full Metal Alchemist” e “Full Metal
Alchemist Brotherhood”! il suo sorriso rassicurante lo trovate --> QUI <-- (è quello davanti, of course!) Vi piace? Ve lo aspettavate diverso? Più brutto? Più bello? Più o meno fAigo? Raccontate, raccontate nelle recensioni! ^^ Grazie per seguire questa storia!
Appuntamento alla prossima settimana con il capitolo “Gol D. Ace”! Un bacione
Yellow Canadair |
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Capitolo 30 *** Gol D. Ace ***
[zipedit] Gol D. Ace
Barjimoa.
Lilian si era
trovata davanti una creatura altissima, luccicante nel buio, uno scheletro
metallico con gli occhi tondi e spaventosi lassù in alto che l’aveva afferrata
per un braccio; il laboratorio di Vegapunk era stato in parte distrutto da
un’esplosione avvenuta pochissimi giorni prima, e aveva davvero paura di non trovare l’antidoto che stava cercando. «Lasciami!!»
aveva gridato spaventata, estraendo una pistola e puntandogliela contro. «Lasciami
immediatamente!!!» si era divincolata. E la Contro-Ambizione? In realtà era
così agitata e congelata che non si era ricordata di evocarla, e poi quel luogo
le era sembrato così deserto in quella notte così nera.
«Ehi, ehi,
calma!» le aveva detto lo strano personaggio con una voce incredibilmente
profonda e umana. «Stai gelando, sorella.» aveva osservato. Non l’aveva
catturata, l’aveva solo sorpresa in un corridoio buio e avendo notato che
tremava come una foglia l’aveva fermata per darle un paio di scarponcini
dimenticati lì da un amico.
Lilian, a
quel tono così ospitale e per nulla mostruoso, aveva smesso di divincolarsi.
«Che ci fai
qui?» domandò l’inquilino del laboratorio. «Non sei del villaggio…»
«Abiti qui?»
aveva chiesto Lilian a bruciapelo.
«Più o meno…»
«Puoi
aiutarmi, per favore? Devo arrivare al laboratorio del seminterrato…» L’aspetto
di quell’essere le faceva paura, ma era molto più importante aiutare i due
uomini feriti che l’aspettavano al villino.
-Ace! Calmati!- protestò Marco inseguendo il fratello
che correva su e giù per la nave raccattando oggetti per un’immediata partenza.
-Calmarmi!? Lilì è prigioniera di chissà chi a
Barjimoa! Salpo immediatamente!!!
-Non ha detto niente del genere!!
-Si trova con due feriti, è stata coinvolta in una
sparatoria, è in pericolo! Caro!
La scienziata lo raggiunse. -Smettila di gridare, mi
stai facendo venire il mal di testa!-
-Dove andate!?!- domandò la Fenice cercando di
recuperare l’autorità sul moro.
-Raggiungiamo Barjimoa.- spiegò calma Caro accendendo
una sigaretta scroccata a Rakuyou.
-Perché non mi avete detto niente?- si arrabbiò il
Comandante. -E perché va anche lei?- domandò alla Vegapunk.
-Come, perché?
ci sono due perfetti sconosciuti in casa mia! Senza contare che devo tornare da
mio padre, sarà preoccupatissimo!- spiegò soffiando un sottile soffio di fumo.
-E come vorreste andarci?
-In Canadair!- ghignò sfacciato Ace. -Caro lo sa
guidare! Se partiamo adesso dovremmo arrivare domani mattina a Barjimoa.-
pianificò guardando una carta topografica presa dall’aereo che gli aveva dato
la scienziata.
Erano da poco
passate le otto. Lilian aveva preparato la colazione con quello che aveva
trovato nella credenza della villetta e aveva cambiato la medicazione a Das, e
ora si stava dedicando a quella di Sir Crocodile, che finalmente aveva
acconsentito a farsi aiutare in quelle operazioni.
Lilian aveva
ancora addosso il cappotto dell’uomo, che non le aveva permesso di
restituirglielo, ma non aveva ammesso nessun tipo di ringraziamento per quel
gesto.
Anche se
dentro casa c’era un bel tepore, si avvertiva chiaramente solo guardando i
vetri ghiacciati delle finestre che fuori il freddo era pungente e che il vento
spirava impetuoso tra gli abeti innevati.
Das era
persino riuscito ad alzarsi in piedi e aveva silenziosamente ringraziato Lilian
con un breve cenno del capo. Poi, senza dire nulla a nessuno, era andato nella
legnaia sul retro della casa ed era tornato reggendo fra le braccia diversi
ciocchi di legno, che sfrigolavano allegri nel grande camino rosi pian piano
dalle fiamme scoppiettanti.
-Spiegami
quella storia dell’agalmatolite.- le ordinò d’un tratto Crocodile.
-Meglio non
entrare in certe faccende.- rispose pacata Lilian. Quella situazione era già un
mercato, non voleva altra gente a renderla ancora più pericolosa.
-Tu e il
tizio al cimitero vi conoscete, lui ha cercato di prenderti viva, altrimenti ti
avrebbe freddata sul posto come ha cercato di fare con me e Mr.1. E ha i
proiettili di algamatolite.- le snocciolò l’uomo. -Cosa c’è dietro?-
-Guardi che
non è una…- protestò Lilian.
-Voglio
sapere chi mi ha sparato e chi ha ucciso il vecchio.- esplicitò Crocodile.
-Parla.-
-Paul
Blackwood è un pilota della Marina che vuole produrre l’agalmatolite liquida
per annullare per sempre i poteri di un Frutto del Diavolo, e si è alleato con
Caesar Clown e Doflamingo per riuscirci. Al momento però è riuscito solo a
produrre questi prototipi che uccidono il possessore di un Frutto.
-Questo non
spiega perché ti vuole viva. E perché proprio te.- la incalzò l’uomo.
-Gli servono
delle cavie precise.- Lilian non ritenne opportuno precisare chi fossero quelle
cavie e a cosa servissero precisamente, tacendo della Contro-Ambizione; non si
fidava così tanto. -Per incastrare me, ha preso Portuguese D. Ace, e per
liberarlo io, Marco Jaws e Fossa siamo andati all’appuntamento che ci aveva
dato Doflamingo a Rainy Hollow.
-Bravi
idioti.- commentò Crocodile.
-Che scelta
avevamo?- si difese Lilian. -Non potevamo abbandonarlo, e Paul aveva anche un
altro nostro amico prigioniero!- continuò col racconto. -Lo ha immaginato, era
una trappola. E mentre noi eravamo lontani, lui ha annientato la flotta di
Barbabianca, per evitare vendette mentre aveva Ace.
-Fammi
indovinare: avete seppellito il vecchio e vi siete rimessi a caccia del
ragazzo, tu e quegli idioti dei suoi cosiddetti fratelli.-
-No. Io sola.
Con Boa Hancock e un’altra aviatrice, Amelia. Abbiamo liberato Ace, ma Paul ha
catturato Amelia… e io non sapevo più cosa fare e sono scappata. E in tutto
questo casino c’è Teach, si è alleato con loro, è stato lui ad uccidere
Barbabianca.- Lilian cominciò di nuovo a piagnucolare.
-Basta
frignare.- la sgridò Crocodile senza adirarsi. -Stavi nella sua ciurma?-
-Prigioniera!-
spiegò rabbiosa la ragazza.
-Quindi con
tutto questo pandemonio alle spalle te ne sei scappata sulla tomba del vecchio
a piangerti un po’ addosso?-
-Mi scusi.-
si congedò Lilian scappando verso il bagno. Crocodile e Mr.1 si scambiarono uno
sguardo rassegnato.
-Che ne
dice?- domandò spiccio il sottoposto.
-O c’è
dell’altro dietro, o lei ha un Frutto del Diavolo. L’hai vista sparire nel
nulla anche tu.
-E Newgate?
-Ucciso da
Barbanera, ma il mandante è l’uomo del cimitero.
Lilian tornò
dopo essersi lavata la faccia. -Scusatemi.- disse solo.
-Muoviti,
finisci.- le ordinò Crocodile, intendendo quella benedetta medicazione che
stava durando già troppo.
D’un tratto
un rumore metallico fuori dalla porta d’ingresso ruppe l’atmosfera tranquilla
della casa, la porta si aprì e Caro Vegapunk entrò nella sua abitazione,
sfoderando un urlo di puro terrore.
-Caro! Che c’è?-
era la voce di Ace, che superò con un balzo la donna e si trovò davanti Das
Bornes completamente ricoperto di lame che difendeva il suo superiore,
Crocodile a torso nudo che aveva cominciato a far mulinare sabbia tutt’intorno e
Lilian stesa a terra che teneva il fucile puntato verso la porta.
-Fermi!-
esclamò la ragazza alzandosi da terra, rivolgendosi ai due uomini che erano con
lei. -È tutto a posto!- rassicurò i due feriti. -È Caro Vegapunk! la padrona di
casa! Ace…? Marco?- balbettò stranita, indietreggiando.
I due uomini
ignorarono completamente le presentazioni, e Crocodile sogghignò. -Ma guarda!-
disse. -Portuguese D. Ace… o dovrei dire Gol D. Ace?-
-Schifoso
bastardo…- s’inalberò Ace cominciando a sollevare fiammate dalle mani.
-Duna Falce di Luna Crescente.- tuonò
l’uno.
-Colonna di fuoco!- ringhiò l’altro.
-NOOO
fermi!!!- Lilian con uno scatto si mise in mezzo ai due litiganti, fece
scattare le sicure alle pistole e le puntò rispettivamente contro Ace e contro
Crocodile.
Caro era
diventata diafana, al solo pensiero di come uno scontro del genere avrebbe
ridotto il suo salotto.
I duellanti
ritirarono precipitosamente i potenti attacchi, appena in tempo per non
uccidere Lilian che comunque si trovò i capelli per metà strinati e per metà
pieni di sabbia.
-Non voglio.-
scandì. -Vedere niente del genere.-
-Lilì, ha
cominciato quel…
-Non mi interessa!
Lo so chi ha cominciato!- urlò la ragazza senza abbassare le armi. Avrebbe
potuto sparare ad entrambi, con l’unico risultato di sprecare proiettili. -Non
ora.- ringhiò. -Non qui dentro.-
Ne aveva
abbastanza di morti ammazzati, di sangue, di battaglie, voleva un po’ di calma,
e si era beata fin troppo di averla trovata lì, in una villetta a dieci gradi
sottozero e con due estranei. Si sentiva lontana dai suoi guai. Stupida.
Crocodile
sorrise sprezzante in direzione di Ace e si accese il primo sigaro della
giornata, incamminandosi verso la cucina con Das Bornes per lasciare libero il
campo ai nuovi arrivati.
-Aspetti.- lo
richiamò Lilian riponendo le pistole. Crocodile si voltò verso di lei
guardandola glaciale da sopra al sigaro fumante. La ragazza arrossì, la sua
voce si fece meno decisa. -Devo… devo finire lì.- balbettò indicando la spalla
nuda dell’uomo e le garze che giacevano abbandonate in disparte.
Senza una
parola l’uomo tornò a sedersi sul divano dove Lilian lo aspettava per terminare
quell’infinita medicazione, ma non senza rivolgere ad Ace uno sguardo di sfida,
con un mezzo sorriso provocatorio.
Il cervello
di Ace registrò quei dettagli in una frazione di secondo: la sua Lilì con due
uomini in una casa di notte; la sua Lilì con due pericolosi condannati di Impel
Down (che lo fosse anche lui era irrilevante); la sua Lilì con addosso un
cappotto palesemente di Crocodile; la sua Lilì che faceva da dolce infermiera a
quel damerino quasi nudo, con le mani delicate che accarezzavano dei muscoli che
non erano i suoi.
-Tranquillo,
Principe dei Pirati.- sbuffò Crocodile con una nuvola di fumo dolciastro. -Alla
mocciosa qui non è successo nulla.-
-Perché
diavolo sei scappata?- chiese Ace a Lilian mentre questa, una volta concluso il
suo operato da crocerossina, raggiungeva il bagno della casa gentilmente
offertole da Caro; aveva freddo, voleva immergersi nell’acqua calda e chiudere
fuori dalla bella porta laccata di bianco gli avvenimenti degli ultimi giorni.
Aveva anche
una mezza idea di calarsi dalla finestra del primo piano e scappare ancora, ma
l’avrebbe fatto dopo il bagno.
-Lasciami
perdere, per favore…- rispose la ragazza continuando a camminare a testa bassa.
-Perché siete venuti fin qui? Per la Castle?- domandò stanca.
-Che stai
dicendo!?- la rimproverò il pirata fermandola nel corridoio del primo piano.
Tutti gli altri erano di sotto, lui aveva notato Lilian in cima alla rampa di
scale che si dirigeva nel corridoio buio della zona notte della villetta e
l’aveva seguita. -Perché sei scappata?
-Perché…- ripetè
meccanica Lilian, scossa da un brivido. -Perché ho ucciso Barbabianca. E non riesco
a guardare in faccia te… e Marco… tutti i ragazzi…- disse con lo sguardo vuoto
rivolto verso il nulla. -Sono stata io, lo sai.-
-Lilì, Marco
mi ha raccontato…-
-C’ero, sulla
spiaggia quando Marco te l’ha detto! Hai ragione tu, sono stata io a credere a Paul,
io a chiedere aiuto a Marco, io a portarli via da Barbabianca, sono stata io!!-
crollò in ginocchio a terra, schiacciata dal senso di colpa, con le mani tra i
capelli. -Io le ho viste, Ace… le croci al camposanto… sono centinaia… e li ho
uccisi tutti io… sono tutti morti…- le lacrime fuggirono giù silenziose, le
dita contratte scivolarono dai capelli alle guance, spezzando la corsa delle
stille e graffiando la pelle rossa per il freddo.
-Voglio
scappare. Voglio farmi del male, voglio sparire.- ammise la ragazza. -Voglio
morire.-
No, Lilì, questo no. Non puoi volerlo davvero, non tu.
Ace si
inginocchiò davanti alla compagna che piangeva affondandosi le unghie nel volto.
Il peso di quei lutti era immenso anche per le sue forti spalle, ma avvolse Rea
in un abbraccio, togliendole le mani dal viso e accarezzandole la schiena
tremante.
-Non volevi
uccidere nessuno.- ringhiò a bassa voce. -Tu volevi solo venire a prendermi, e
non hai raccontato niente a mio padre perché lo volevi salvare. Lo so io, lo sa
Marco, lo sappiamo tutti.-
-Lasciami,
sono un’assassina!- pianse Lilian con i pugni disperatamente chiusi sul petto
di Ace, e cercava di staccarsi dal ragazzo.
-Lilì, ma
stai dicendo sul serio!?- disse incredulo il Comandante. -La colpa è stata mia!
Sono stato io a correre all’inseguimento di Teach! Non ho dato ascolto a
nessuno e sono scappato via…! La tua colpa è stata quella di volermi venire a
prendere…- gli tremò la voce. -E di non dire nulla a mio padre per non farlo
preoccupare. Ci pensi? Sei stata più responsabile tu nei suoi confronti, che io
che sono suo figlio.-
-La mia
presenza sotto la sua bandiera l’ha ucciso.- mormorò la ragazza. -Lasciami,
devo andare via!- disse cercando di allontanare da sé il pirata, ma lui non si
lasciò sopraffare, e strinse Lilian con dolcezza finché non smise di
combattere.
Lilì, ti prego, smettila. Torniamo sulla Phoenix, torniamo a casa.
Quando
finalmente i singhiozzi scemarono e rimasero muti nell’ombra del corridoio,
Pugno di Fuoco prese in braccio la piccola reggendola da sotto alle ginocchia e
dietro le spalle. Il cappotto, e quindi Lilian, era impregnato dell’odore forte
del dopobarba di Crocodile, ma il pirata strinse i denti e si costrinse a non
pensarci.
-Ho freddo.-
sussurrò Rea tremando, senza alzare lo sguardo. -Fammi andare via, per favore…-
Freddo? Lui
era caldissimo, più del normale per contrastare il clima gelido, perché Lilì
aveva freddo? E poi aveva quell’accidenti di pelliccione addosso, com’era
possibile? -Andiamo.- le disse soltanto.
Un quarto
d’ora più tardi erano immersi entrambi nella vasca da bagno, nudi, con l’acqua
fumante che aveva fatto appannare i vetri della piccola stanza. Oltre alle
gelosie accostate era una cupa giornata invernale, ma la finestra era rimasta
serrata, la stanza era in penombra. Minuscole candele su una mensola in
muratura rischiaravano appena l’ambiente, dipingendo sui muri tremule ombre.
Opera di Ace, che appena entrato le aveva accese con un delicato soffio di
fuoco, come un drago.
Era seduto
con la schiena poggiata al bordo della vasca di smalto bianco e le gambe larghe
che accoglievano Lilian, sdraiata su di lui con la testa sul suo petto largo;
l’acqua la circondava fino alla bocca socchiusa, respirava in maniera quasi
impercettibile. Era lui stesso che riscaldava l’acqua, e avvolgeva Lilì con le
sue carezze; sapeva che la piccola stava ascoltando solo il lieve scroscio
dell’acqua sulla sua pelle e il battito regolare del suo cuore. Ogni tanto le
sfuggiva un piccolissimo singhiozzo, e lui la stringeva appena un po’ di più.
Quell’acqua
era troppo poca per annullare del tutto il potere del Rogia, e non era nemmeno
salmastra; inoltre era pur sempre uno dei pirati più forti in circolazione; lo
limitava, certo non avrebbe potuto combattere in quel momento, ma all’Inferno:
per lui adesso era molto più importante riscaldare la sua Lilì, scappata da
sola, in fuga con il suo rimorso, approdata su un’isola invernale con
nient’altro addosso che un costumino da bagno. Davanti a lui non l’avrebbe mai
ammesso, ma in cuor suo ringraziò Crocodile che le aveva messo addosso quel
cappotto così caldo; senza, sarebbe sicuramente morta per il freddo.
-Ce l’hai
messa tutta, Lilì. Contro Teach, a Marineford, contro Blackwood.- sussurrò il
pirata accarezzandole i capelli, la voce bassa rimbombò piacevolmente nel suo
petto, alle orecchie della ragazza. -Non è colpa tua, e nemmeno di Marco o di
Jaws. Smettetela tutti, per favore.-
Lilian
continuava a rimanere muta, a non credergli. Voleva alzarsi da quel nido di
calore che Ace le aveva creato, che non meritava, lei assassina, ma non aveva
la forza di strapparsi via da quella vasca. Era troppo debole, era troppo
bello.
-Non avrei
mai dovuto inseguire Teach. Almeno non la seconda volta.- disse il ragazzo. -È
stata colpa mia.-
Lilian scosse
piano la testa, respingendo quello che aveva sentito. Era lei, lei sola la
colpevole, il mostro, l’assassina. -Non è vero…- mormorò pianissimo,
guardandolo in volto con gli occhioni pieni di tristezza.
-Sì che è
vero.- sorrise macabro Ace. -Se non fossi partito di nuovo all’inseguimento di
Teach, tutto ciò non sarebbe successo. Se proprio vuoi prendertela con
qualcuno, prenditela con me… sono stato io a rimettermi sulle tracce di
Barbanera, è stata colpa mia se avete lasciato il Babbo a Foodvalten!-
Cosa credeva
quella testa calda, che per lui la situazione fosse facile? Suo padre era
morto, molti dei suoi fratelli erano morti, la sua ciurma decimata, e in ultimo
aveva scoperto che lei se l’era data a gambe e oltre al dolore che sembrava
dilaniargli il corpo ad ogni respiro, si era aggiunta l’apprensione di non
saperla al sicuro accanto a sé ma in fuga chissà dove.
Almeno un
problema, in quella vasca colma d’acqua calda in quel piccolo bagno, con l’aria
piena di dolce vapore, era risolto: Lilì riposava fra le sue braccia, e anche
se non era serena, era calma, il tepore dell’acqua e del suo corpo
l’avvolgevano e la stordivano, facendola scivolare in un oblio tranquillo e
protetto.
Alcune
persone della ciurma di Barbabianca erano propense a pensare che la
responsabilità fosse più di Ace che di Lilian, anche se di fatto nessuno dei
due poteva sapere che la propria partenza avrebbe portato ad un massacro.
-A
Marineford…- cominciò Ace. -Ho visto morire davanti ai miei occhi i miei
fratelli… sono morti davanti a me, erano venuti a prendermi… e adesso anche il
Babbo e gli altri, ecco perché so benissimo cosa stai passando! Non c’è notte
in cui non pensi che la colpa di tutto è stata mia.- sussurrò rabbioso. -Lo so
che è difficile. E che hai voglia di spaccare tutto!- le lacrime cominciarono a
scendere persino a lui, a farsi strada tra le lentiggini. -E proprio perché lo
so, da sola non ti ci lascio.-
Lilian lo
ascoltava immobile.
Rimasero in
silenzio per alcuni istanti, Ace si lavò via le lacrime con una mano.
Sospirò e riprese: -Marco ha detto che
quando gli hai gridato che secondo te era tutta colpa tua, poi sei sparita
all’istante e non gli hai dato nemmeno il tempo di risponderti. Voleva dirti…-
sospirò, pensando alle parole del fratello.
«Dille…»
aveva mormorato cupo il Primo Comandante. «Che ha ragione: Paul Blackwood ha
ucciso il Babbo e i nostri fratelli unicamente per arrivare a lei. Ma su una
cosa si sbaglia: la maggior parte di noi non è così cinica e irrazionale da
fargliene una colpa. Gliel’avrei detto io stesso quella sera, prima di
parlarti, ma è fuggita.»
Poi era
cominciato un discorso sulle sue, di colpe, però non era certo quello il
momento per parlarne con Lilian.
La ragazza aveva
sollevato il capo e guardava confusa il pirata. -Messa così… non sembro così
cattiva…- ragionò.
-Ma no che
non lo sei!- sorrise Ace. -Crocodile ci ha detto che Blackwood ha cercato di
rapirti al cimitero… Lilì, ma come accidenti puoi pensare che sia colpa tua?- sussurrò
basso Ace accarezzandole la testa, con un ghigno sghembo. C’era voluto un po’,
ma forse alla fine l’aveva convinta.
Lilian Rea
baciò il torace muscoloso del ragazzo e si lasciò andare in un sospiro
liberatorio. I muscoli delle sue spalle si rilassarono, la Jolly Roger di Barbanera sembrò persino distendersi un po’, e
finalmente le mani della ragazza, prima strette sul suo petto per non lasciar
scappare da sé nemmeno un granello di calore, scivolarono riluttanti sui
fianchi del ragazzo, stringendolo in un abbraccio che sapeva di casa. Ace
chiuse gli occhi e le baciò i capelli, mentre fuori dalla piccola finestra
ricominciava lentamente a fioccare.
-Bene, signor
Crocodile.- disse nel suo salotto Caro Vegapunk, che si era finalmente tolta
quei sudici vestiti di dosso a favore di un bel maglione lavorato ai ferri.
-Sir.- la
corresse l’uomo. -Mi chiami Sir, Caro.-
-Sir.- ripetè
paziente la donna. -Vuole cortesemente spegnere quel sigaro? Non vorrei
sembrarle villana, ma domani mattina ripartirò per Alexandra Bay e devo chiederle
di andarsene, per allora.
-Nessun
problema, milady.- rispose affabilmente l’uomo senza rinunciare all’amato toscano.
-Vado via con Portuguese e la mocciosa.-
-Oh,
davvero?- ghignò sprezzante Marco. -Questa cosa loro la sanno?-
-Ucciderò
l’uomo che ha osato sparare su di me, Fenice.- lo gelò Crocodile. -E che mi ha privato
della mia vendetta.
Dietro le quinte…
Si capisce che la prima parte, quella allineata a
destra e in corsivo, è qualcosa successa nel capitolo precedente, un piccolo
flash-back? E soprattutto, riuscite ad indovinare chi sia il misterioso
individuo che ha prestato gli scarponcini a Lilian?
Spero con questo capitolo di essere riuscita a
risolvere i dubbi delle lettrici che si domandavano -giustamente- “ma la colpa
non è di Ace?”. Allo stesso modo, per chi se lo chiedeva, spero che adesso si
sia capito un po’ meglio il ruolo che avrà Crocodile nell’intera faccenda ;)
La scena della vasca a lume di candela è molto
vagamente ispirata ad una scena della prima stagione de “Il Trono di Spade”.
No, niente spoiler: ho visto solo quella stagione! ^^’
Mando un bacione e un GRAZIE enorme alle ragazze che
recensiscono! Davvero, non so che dire, siete grandi! Grazie tantissimo!!
Yellow Canadair
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Capitolo 31 *** Flyin' high - eXtra! ***
[zipedit] FLYIN’ HIGH - EXTRA! Ospiti al Late Show with David Letterman Amelia e Charlie Lehired, Lilian Rea Yaeger e Paul Blackwood! Scusate il ritardo!! Ieri è stata una giornata campale e non sono riuscita a postare l’aggiornamento promesso! Signori e signore, questa settimana la serie fa una piccola pausa perché mi gira così, questa non è una democrazia ma la mia dittatura, però non vi lascio a becco asciutto! Interrompiamo le sparatorie per presentarvi, solo qui e solo stavolta, un capitolo dedicato interamente ai quattro nuovi personaggi di questa storia! La scena è ambientata nel nostro mondo, sulla Broadway a New York, precisamente all’Ed Sullivan Theatre dove viene registrato il “Late Show” con il presentatore David Letterman, trasmissione che esiste realmente negli USA. Potete trovare un sacco di video su Youtube, sono stati ospitati attori, cantanti e persino presidenti! Se questo universo alternativo vi spiace, siete liberi di non proseguire; non succede niente di inerente alla trama (anzi, quello che dicono non ha niente a che vedere con il loro comportamento negli eventi principali), solo qualche domanda indiscreta ai protagonisti, che dalla prossima settimana torneranno regolarmente al fianco del cast di One Piece!
Paul Shaffer concluse lo stacco della sua orchestra con un assolo di tastiere e David Letterman applaudì mentre la musica sfumava. -Wao! La grandissima orchestra della CBS!- esclamò. -Grazie a Paul Shaffer! Il maestro dell’orchestra accolse l’applauso a mani alzate. -Bene, adesso è il turno di quattro ospiti.- annunciò aggiustandosi gli occhialetti tondi. -La serie “Flyin’ High - il volo del Canadair” è quasi in dirittura d’arrivo, ma prima del finale di stagione abbiamo qui con noi Amelia e Charles Lehired, Lilian Rea Yaeger e Paul Blackwood! Dalla quinta di finti mattoni entrò Amelia seguita da Charlie; lei aveva un bellissimo abito turchese con la coda a sirena, il ragazzo portava un Borsalino, indossava una camicia bianca con la giacca nera e un paio di jeans. -Ciao ragazzi!- li salutò il conduttore stringendo la mano all’uno e facendo il baciamano all’altra. -Accidenti Charlie, è davvero meraviglioso vederti in piedi!- I presenti rumoreggiarono una risata. -Dico sul serio, nello sceneggiato sei sempre moribondo! Sono davvero contento di vederti così!- -Anche io, credimi!- sorrise smaliziato Charlie. -Le scene dove sono mezzo morto sono uno strazio!- -Perché? Dovrebbe essere facile… o almeno poco stancante!- -Perché ride!!- saltò su Amelia. -Ride e fa le battute mentre dovrebbe essere una scena tragica! Lui è a terra, io sono in lacrime su di lui e gli chiedo: “Oh Charlie, ti fa male?” e lui risponde come un cretino: “Solo quando rido!”- Charlie sghignazzava sulla sua poltroncina. -Avevi una faccia!- Anche Letterman rideva. -Siete fratelli anche nella realtà? -No.- rispose Amelia. -Siamo sposati.- affermò contemporaneamente Charlie, facendo voltare di scatto la ragazza. -Non è vero!!- lo contraddisse. -Dave, non ascoltarlo!- Il presentatore però ridacchiava come un matto. -Davvero siete sposati?- domandò ignorando le proteste della ragazza. -E come vi siete innamorati?- -Sul set.- rispose sognante il ragazzo prendendo la mano di Amelia, che ringhiava. -Io mi stavo cambiando i pantaloni, lei è passata in corridoio vestita da aviatrice, con la tuta arrotolata sui fianchi e il reggiseno nero in bella mostra…- -La tuta intera, giusto?- precisò l’americano. -Esatto… io la guardai, poi mi girai verso Marco che era con me, lo guardai negli occhi e dissi… -Oh, falla finita.- borbottò Amelia. -Flyyyy meeee to the mooon!- cantò il ragazzo rivolto a Letterman. -Let me play among the stars!!- si alzò in piedi, si tolse il cappello e continuò: -Let me see what spring is like!!- Paul Shaffer si voltò verso gli orchestrali e fece partire la base della canzone. Charlie si inginocchiò davanti alla ragazza e intonò: -On a-Jupiter and Mars! In other words, hold my hand! In other words, baby, kiss me!- Amelia lo ignorava deliberatamente. -Sai, potrei sbagliare.- le disse Letterman. -Ma credo che ti stia facendo la corte.- -La fa a tutte, anche morte finchè sono calde.- ribattè la ragazza mentre Charlie si inchinava al pubblico che lo applaudiva forte. -Ehi, Charlie!- lo richiamò il conduttore. -Ma tutto questo, all’epoca, non lo dicesti a lei, lo dicesti a Marco. Eri con lui, no? -All’inizio sì, poi però sono corso dietro ad Amelia!- ammise il ragazzo. -Te l’ho detto che fa la corte a tutti.- disse calma lei. -Beh, qui mi pare che manchino un paio di persone.- parve ricordarsi David. -Che fine hanno fatto Blackwood e Yaeger?- -Lilian doveva finire di truccarsi.- spiegò Amelia. -Così Paul è rimasto con lei e noi ci siamo avviati. -“Paul è rimasto con lei”?- -Non cerca di ucciderla anche fuori dal set!- scherzò la ragazza. Poi sospirò. -Già si truccava tantissimo gli occhi, ma da quando ha visto Trafalgar si mette un chilo di matita! Così è ancora più in ritardo di prima. -Trafalgar Law?- si stupì Letterman. -I lettori…- sfogliò alcune carte che stavano sulla scrivania ma non trovò quella che gli interessava -…pensavano che quelle fossero occhiaie… -Pff!- fece Amelia. -Tutta matita sciolta! Si trucca per far risaltare gli occhi grigi.- spiegò. -E quando Rea l’ha beccato con la matita nera in mano, è rimasta imbambolata a fissarlo! David fu distratto da un uomo con le cuffie che gli comunicò qualcosa senza microfono. Lo showman annuì. -Dalla regia mi dicono…- si voltò verso la telecamera. -Che trasmettiamo in diretta dalla Broadway, dalla strada qua davanti! Sono in arrivo Paul Blackwood e Lilian Rea Yaeger!!- Il monitor alle spalle di David Letterman si accese, era inquadrata una porzione di strada transennata con alcuni gorilla della sicurezza che non facevano avvicinare i curiosi. Poi dei raggi argentati sfilarono davanti alla telecamera: una bicicletta. Paul Blackwood, fasciato in un completo chiaro e con i capelli lunghi legati in una coda bassa, pedalava con eleganza su una meravigliosa bici “graziella” d’epoca, bianca, dalle ruote splendenti. Guidava sporgendosi a sinistra perché Lilian Rea era seduta in bilico sul manubrio, dandogli le spalle, vestita in un lungo abito da sera blu notte annodato sul collo che frusciava attorno alle sue gambe. «Ciaooo!!!» gridò agitando le mani appena vide la telecamera che la inquadrava. Perse leggermente l’equilibrio e si mantenne all’ultimo minuto alla spalla di Paul. «Non muoverti.» l’ammonì il pilota, sbandando di pochissimo. La bicicletta salì agilmente sulla rampa che permetteva di saltare le scale ed entrò nel teatro sparendo alla vista. -Stanno arrivando! Fateli passare!- ordinò David Letterman. Il pubblico in sala si sporse dalle poltroncine verso il corridoio centrale mentre gli omaccioni “security” camminavano su e giù per evitare che qualcuno intralciasse il passaggio della bicicletta. La graziella emerse dalla galleria d’ingresso con Lilian Rea, davanti, che sorrideva raggiante sbracciandosi a salutare tutti i presenti gridando, e Paul Blackwood, dietro, che faceva il possibile per non far cadere la bici, lui e quella scalmanata. -Ciao Dave!- lo salutò allegra la ragazza mentre Paul tirava entrambi i freni. Con un colpo di reni saltò giù dal manubrio senza aspettare il cortese aiuto del presentatore e atterrò senza danni sul tappeto rosso della sala. -Mettiti questi.- le disse Blackwood, sceso dalla bici, prendendo dal portapacchi posteriore un bel paio di sandali blu dal tacco altissimo. -Oh, già…- si ricordò Lilian prendendoli. -Grazie.- si sedette sul limitare del palco leggermente sopraelevato, e si allacciò con calma i sandali ai piedi. Intanto Paul aveva messo il cavalletto alla bici ed era salito sul palco. Strinse la mano a Letterman, aiutò Lilian a salire il dislivello tra platea e palco, la fece sedere e poi si accomodò anch’egli. -Vedervi così è stranissimo!- esclamò rapito Letterman. -Tra di voi vi comportate in maniera civile!- Blackwood accennò un mezzo sorriso, Lilian scoppiò a ridere. -Non parlarmene, Dave! Questa cosa sconvolge anche me! Un attimo prima mi minaccia, vuole fare esperimenti devastanti e fare stragi, l’attimo dopo “Ehi, Lilian, vuoi un caffè? Hai freddo?”- Blackwood sogghignò. -Così perdo credibilità, Lil.- disse. -E la bicicletta? Ve l’hanno noleggiata qui a New York? -No, viene dalla Rotta Maggiore!- spiegò Rea. -Ce l’ha prestata un amico! -A proposito, avete incontrato praticamente l’intero cast di One Piece! Sapete che un mucchio di fan della serie vorrebbero essere al vostro posto? -E come dar loro torto.- sospirò Amelia pensando a pettorali scolpiti e clima tropicale. -Com’è lavorare con loro?- chiese Letterman. -Pazzesco! Sono fantastici!- asserì Charlie. -Sul set si beve insieme, si mangia, facciamo scommesse e ridiamo dalla mattina alla sera! Poi è stato bellissimo lavorare con i ragazzi degli effetti speciali, le truccatrici, mi impiastricciavano sempre col sangue finto!- -Rilassante!- ridacchiò Amelia coprendosi la bocca con una mano. -Nessuno mi lascia muovere un dito, altro che pirati! Sono dei galantuomini! Non riesco a capire perché la ciurma di Edward abbia una nomea così pessima… sono bravissime persone! Sì insomma, razzie a parte.- -Lilian…?- la incoraggiò l’uomo, vedendola silenziosa. -Cos’è che ti piace di più sul set? -Oh… beh, a me piace che mi lascino andare in giro in bikini. E scalza.- rispose con sincerità lei. La platea rise. -E tu, Paul?- lo sollecitò il presentatore, vedendo l’ospite muto, leggermente ghignante. -Sei l’antagonista principale, com’è il rapporto con gli altri al di fuori dalle scene?- -Dai, diglielo che ti diverti.- lo stuzzicò Lilian tirandogli un pugno giocoso sul braccio. -È difficile mantenere la concentrazione, sono tutti molto espansivi e non ci mettono niente a mandare a monte una scena. Ma tutto sommato…- sogghignò in direzione di Lilian. -Arrivo soddisfatto alla fine della giornata.- -C’è un personaggio con il quale siete più in sintonia sul set? Lilian, tu hai praticamente tutte le scene con Portuguese D. Ace…- fece Letterman. -E invece sai che non è lui quello con il quale mi trovo meglio?- sorrise la ragazza. -Il migliore è Vista! Ciao!!- e lo salutò sventolando la mano verso la telecamera. -Sì, come no, ci stiamo credendo tutti.- le sussurrò Amelia in modo che però fosse udita bene dai presenti. -Oh my God, è l’uomo con la tuba della clip che mi hai mandato, vero?- domandò invece Dave. -Sì. Ma quella clip va mostrata, è successa davvero durante le registrazioni. -Ok, ce la puoi introdurre? -Certo.- rispose Yaeger. -È la scena in cui Lilian è sul suo gozzo, ed è depressissima perché teme che la colpa di tutto quello che è successo sia solo sua, inoltre non ha il coraggio di confessare ad Ace che Barbabianca è morto.- -Nella versione originale, Vista le fa un discorso sul fatto che lei si sia impegnata invece a difendere la loro famiglia, vero? -Esatto. Nella versione originale.- -Signori, la clip della scena come NON è andata in onda!- annunciò Dave mentre le luci in studio sfumavano. C’era la Castle, e sul ponte di poppa c’erano Lilian che piangeva seduta accanto a Vista. «Non ce l’ho fatta.» confessò la ragazza, senza osare alzare lo sguardo sullo spadaccino. «Volevo dirlo io ad Ace, ma…» e non terminò la frase. Due lucciconi si fecero strada sulle sue guance abbronzate. «A Foodvalten è stata tutta colpa mia… l’ho detto anche a Marco…» Santo Cielo. Che macigno si stava portando dentro, quel soldino di cacio? Vista le mise una mano sulla spalla, carezzandola gentilmente. «Sei stata coraggiosa.» cominciò garbato, scegliendo con cura le sue parole. «Hai fatto i salti mortali per aiutare mio fratello.» -E fin qui tutto bene.- azzardò David Letterman. -Solo fin qui.- promise Blackwood. -Ci abbiamo messo un’ora per farli smettere di ridere!- «Non è una giustificazione...» riprese Lilian nella clip. «Sono feccia di fogna. Anzi, peggio ancora: sono come il fungo che si nutre della feccia di fogna.» «No, peggio.» rispose inaspettatamente Vista. «Sei il pus che infetta la mucillagine, che deturpa il fungo che si nutre della feccia di fogna.» Lilian era visibilmente sorpresa, e tratteneva un sorriso, ma il Quinto Comandante era implacabile: «In fondo però… ti ringrazio.» si inginocchiò e le prese le mani. «Di amarmi così tanto. Per me è molto gratificante.» A quel punto la ragazza esplose in una risata irrefrenabile, poi cercò di tornare seria e disse fra le lacrime: «Ma io resto sempre un fungo!!» -Oh my God, ma è una scena di “Il matrimonio del mio migliore amico”!- Lilian rideva come una matta. -Vista è un grande!! Appena ho detto la battuta di Julia Roberts lui ha continuato da solo! Nemmeno fossimo d’accordo!!- -Non era fatto apposta!?- -No, certo che no!- boccheggiò Lilian. -Oh Dio che grande!!- David Letterman si rivolse al pilota in bianco. -Paul, tu fra di loro sei il più anziano, hai già recitato in altre serie, giusto? -Più che nelle serie, ho lavorato a lungo per il teatro.- spiegò l’uomo. -Poi ho fatto un’altra produzione minore, in cui ero sempre l’antagonista, “Full Metal Alchemist”. La conosci? -Non l’ho vista, ma ho guardato qualche scena proprio questo pomeriggio! Non credo di aver afferrato bene la trama, ma tu eri davvero un cattivo da brividi!- rispose il conduttore. -Ti diverti molto ad interpretare questi ruoli, vero?- -Sono in linea con la mia… natura.- rispose Blackwood assottigliando lo sguardo. -Alleanze, esperimenti, minacce… trovo questi ruoli decisamente più interessanti di quelli per bravi ragazzi che salvano mocciose in pericolo.- -Voi due invece?- domandò l’americano rivolto ad Amelia e Charlie. -Io sono aviere scelto.- rispose la donna. -Sono nell’Aeronautica Militare.- Un silenzio sorpreso seguì tale affermazione. -Infatti se non sbaglio il tuo Canadair, nella serie, è l’unico attrezzato in maniera particolare e ogni tanto emerge che tu sia una sorta di meccanico.- spiegò David, rompendo quel ghiaccio. Amelia sorrise compiaciuta mentre Charlie la guardava con ammirazione. -Sono anche ingegnere meccanico.- disse. -E il mio Canadair è attrezzato per le ricognizioni in notturna, fra i quattro sono l’unica che può viaggiare anche di notte.- -C’è qualcosa che non sai fare?- domandò serissimo l’americano. Amelia ridacchiò. -Sono una frana in cucina!- -Ehi voi!- gridò Letterman ai tecnici. -Un fornelletto elettrico e delle pentole! Adesso!- poi ridacchiò e si rivolse agli altri: -Anche voi tre sapete pilotare quei bestioni? O per le scene in volo ci sono le controfigure? -Io non lo so guidare!- confessò Charlie. -Non ho scene in volo, a parte… no, non lo posso dire, gli spettatori non lo sanno ancora!- si agitò verso la telecamera. -Scusatemi!!!- -Voi due invece? Paul e Lilian si guardarono a vicenda, poi fu l’uomo a prendere la parola. -Noi abbiamo dovuto seguire un corso.- confessò. -Le scene con noi a bordo erano parecchie, soprattutto per Lil.- -Addirittura!- si sorprese il conduttore. -Avete dovuto imparare altre cose per esigenze sceniche?- -Sapevamo già usare le armi.- spiegò Rea. -Quindi abbiamo evitato corsi ai poligoni di tiro… io per le parti ad Amazon Lily invece ho dovuto prendere qualche lezione di canto.- raccontò. -Sono un po’ intonata, ma quello era un concerto e non potevo fare figuracce! -Ti abbiamo vista anche a cavallo, all’inizio, quando bisognava trasportare il carburante all’aereo. -Sì, quello non è stato un problema… l’autrice avrebbe potuto evitare di scendere nei dettagli di quel viaggio, però le ho detto “senti, io a cavallo ci so andare, per me quelle scene si possono fare tranquillamente.”- -E Lilian Rea Yaeger si beccò la sua prima taglia proprio per furto di cavalli.- -Esatto.- sorrise la ragazza. David Letterman ghignò. -Posso farti una domanda?- si protese verso di lei poggiando l’avambraccio sulla scrivania. -Spara.- lo sfidò Lilian. -Nell’ultima puntata c’è stata una scena che ha colpito molto il pubblico…- -Continua…- -La scena della vasca da bagno.- -Eccolo là, lo sapevo che ci saresti arrivato!- -Eravate nudi davvero? O sotto la schiuma c’erano vestiti o costumi da bagno? Lilian esitò e Amelia prese la parola con noncuranza: -Erano nudi davvero, Dave. Nudi come vermi. E hanno chiesto proprio loro di girare quella scena così. -Amelia…- si protese Lilian verso la collega con un sorriso forzatissimo. -Che c’è? È vero! David ridacchiò. -Ma quindi tra te e Portuguese c’è davvero qualcosa, o l’avete fatto soltanto per professionalità? Lilian avvampò come una fiamma e balbettò: -Siamo… buoni colleghi… -Ottimi colleghi. E tanto per non sbagliare quella scena, l’hanno replicata varie volte in privato.- spiegò Amelia tranquillamente. -Credimi Dave, ho la stanza che confina con la loro. -AMELIA!!!- gridò imbarazzatissima Lilian. -Se vuoi, Amelia, ci penso io a farti coprire quei rumori…- si sacrificò Charlie sfiorandole il braccio nudo. -Lo fa già benissimo Jaws, grazie lo stesso.- asserì l’aviatrice senza nemmeno prendersi il disturbo di allontanare il ragazzo, che sbiancò in volto e allargò a dismisura gli occhi turchesi. Blackwood guardava i suoi colleghi con superiorità, David rideva come un disgraziato. -Ragazzi, ragazzi, basta! Per favore, siamo in fascia protetta, non potete dire queste cose!!- disse. I tre si chetarono, ma Lilian e Amelia non smisero di lanciarsi occhiatacce, mentre Charlie era emotivamente distrutto dalla tragica scoperta. -L’ora, Paul.- esclamò all’improvviso Lilian poggiando lieve la mano sul braccio del pilota. Blackwood estrasse un lucente orologio da taschino d’argento e lesse: -Le ventidue e quarantotto.- -Ok. Quattro minuti.- disse la ragazza, e Paul annuì. -Cos’è, un conto alla rovescia?- s’informò il conduttore. Si voltò verso i tecnici nascosti dietro le quinte, ma loro scossero la testa. Non ne sapevano niente. Mannaggia al produttore e a quando aveva messo le mani su “One Piece”. -Qualcosa del genere.- rispose vaga Yaeger. -Amelia?- -Siamo pronti.- -Ehi ragazzi, cosa volete fare? Abbiamo avuto qualche problema con Shanks e Teach ultimamente, non vorrei… -Non ci saranno rapimenti né ruberie.- promise Blackwood con una luce inquietante negli occhi. -Tranquillo, Letterman.- Il maestro dell’orchestra Paul Shaffer cominciò a preoccuparsi seriamente. Accidenti, per una volta che la puntata era partita bene e gli ospiti sembravano delle persone a modo! -Non sono affatto tranquillo, Blackwood!- protestò infatti il conduttore. -Che state combinando? -Due minuti.- misurò Lilian alzando un dito e abbandonando la poltroncina. Aprì la borsetta, estrasse uno specchietto e controllò che la matita nera con cui si era pesantemente contornata il lato inferiore degli occhi non avesse sbavato. Blackwood si alzò corrucciato scuotendo la lunga coda corvina; Charlie tese la mano ad Amelia per aiutarla a levarsi in piedi, e la ragazza accettò miracolosamente l’aiuto; estrasse dalla borsetta uno scialle di lana e vi si avvolse. -Ragazzi, non so chi stiate aspettando ma la sicurezza ha bloccato le uscite.- li avvisò l’americano. -Tutte le uscite?- sussurrò Lilian con un sorriso. -Un minuto.- disse Blackwood. -Tutte. Persino i tombini attorno al teatro. Tutte.- le assicurò Letterman. -Sarà... Paul Shaffer, il maestro dell’orchestra, si tolse la fede d’oro, l’orologio nuovo, il portafogli e gli occhiali da sole firmati di dosso e li nascose in un ripostiglio segreto sotto alla tastiera. Le luci si abbassarono in tutta la sala, David Letterman si guardò sorpreso attorno ridacchiando, un po’ divertito e un po’ arreso al fatto che i suoi ospiti prendessero sempre più il controllo sulla regia. -E ora che succede?- domandò il conduttore, ascoltando levarsi un coro di strilli femminili che arrivavano dalla strada. -Non è insonorizzato, questo posto?- si voltò Amelia, stranita. -Urla femminili eccitate. Non le puoi fermare neanche con il piombo.- fece Charlie con aria d’esperto. La regia si collegò con una telecamera che riprendeva l’esterno, mostrando agli ospiti in sala una marea di persone, soprattutto donne, che gridavano come ossesse, alcune di loro lanciavano reggiseni e magliette e tutte, tutte guardavano verso l’alto, verso il tetto del teatro. La polizia, che aveva circondato l’edificio, illuminò la cupola con un faro bianco, e dal buio apparve, accovacciato con i piedi sulla ringhiera dell’attico, un ragazzo alto, muscoloso, a petto nudo e con un gran cappello arancione da cow-boy. Ghignò sollevando leggermente la tesa, e guardò soddisfatto tutta la folla che c’era sotto di lui. Una calca così non c’era stata neanche a Marineford! -BUONASERA, AMERICA!!- esclamò gagliardo Portuguese D. Ace alzandosi e spiccando un gran salto circondato da fiamme. Atterrò agilmente sul selciato fuori al teatro, fece l’occhiolino alle fan facendone svenire cinque o sei e si precipitò di corsa nell’Ed Sullivan Theatre. -Signori!- annunciò David Letterman rivolto alle telecamere. -Abbiamo un’ospite a sorpresa! Secondo Comandante di Barbabianca, figlio naturale di Gol D. Roger… -Questo non fartelo scappare adesso che entra.- consigliò Rea. -…figlio naturalizzato di Edward Newgate, possessore del frutto Foco-Foco e detentore di una taglia che ha raggiunto i cinquecentocinquanta milioni... abbiamo qui con noi Portuguese D. Ace!! Due fiamme roventi si allungarono con furia lungo il red carpet che passava tra le due ali di poltroncine e apparve, sorridente e malandrino, Pugno di Fuoco. -Buonasera!- disse avvicinandosi, mentre l’orchestra di Shaffer suonava “House of fire”. -Ehi! Portate un’altra poltroncina!- ordinò Dave ai tecnici, ma il pirata scosse la testa. -Grazie ma rifiuto. Vado via subito.- disse con un lieve inchino. Lilian Rea intanto si era avvicinata al ragazzo. -Ehi!- sorrise raggiante lui. -E tu vai in giro vestita così?- ruggì basso prendendole la mano e facendole fare una piroetta su se stessa. Una grande fiamma azzurra illuminò la notte di New York avvicinandosi dall’alto del cielo nero, rischiarando la Broadway e planando tra i taxi e le limousine. Rallentò prima di toccare il suolo e si sollevò dalla picchiata, rivelando essere un enorme uccello dalle piume lunghe ed eleganti. Virò tra i palazzi con eleganza lasciando dietro di sé una lunga scia turchese e oro e sorridendo con sufficienza agli agenti di polizia che tentavano di fermarlo sprecando proiettili e lanciando lacrimogeni. S’infilò volando veloce come il vento nel corridoio d’ingresso del teatro ignorando la fiumana di persone davanti all’edificio che gridava eccitata e lo pregava di fermarsi un momento. Intanto, dentro, Letterman e i suoi ospiti dalla galleria dell’ingresso dov’erano passati in bici Paul e Lilian udirono degli strilli acuti, lasciando intuire una gran baraonda; gli uomini della sicurezza armeggiarono con le loro attrezzature, il pubblico di girava sui divanetti pronto ad un’entrata in scena che tutti avevano intuito. La fenice azzurra fece il suo ingresso trionfale nel teatro, liberando fiamme turchesi attorno a sé e planando con eleganza sul palco. -Signori e signore! Marco la Fenice!- presentò entusiasta David Letterman alzandosi in piedi per stringere la mano al nuovo arrivato. -Non ti aspettavamo, Marco! Come sta Edward?- domandò il conduttore. -Una meraviglia, Dave.- rispose lapidario il Primo Comandante. -Siamo pronti?- domandò Ace al fratello. -La barca è sull’Harlem River. Muoviamoci.- ruggì una voce profondissima alle spalle di Paul, Lilian, Amelia, David, Ace e Marco. -Jaws!- pigolò dolcemente Amelia abbracciando l’uomo di diamante comparso all’improvviso dalla quinta. Il Terzo Comandante le cinse le spalle con un braccio e si concesse un sorriso, per poi riassumere immediatamente la sua tipica espressione truce. -Beh, ormai il tempo a nostra disposizione è quasi finito.- esclamò David Letterman portandosi davanti al gruppo di ospiti e guardando verso la telecamera. -Grazie per essere stati con noi, signori! E soprattutto grazie a voi.- si girò verso i tre Comandanti. -Per non aver demolito il teatro…- tacque sulle ruberie passate per evitare di dare idee pericolose ai tre ragazzi. Le luci si spensero all’improvviso, tra i fischi e le urla del pubblico in sala. Era buio pesto. Risatine, uno scalpiccio veloce. Ace prese in braccio Lilian e Jaws Amelia, ma non c’era nessuna fiamma a rischiarare il palco, e la regia non accennava a far dissolvere le tenebre. -Shaffer…?- David Letterman chiamò il direttore dell’orchestra. -Almeno tu sei ancora lì? Una voce emerse dagli altoparlanti. -Benvenuti al Paul Letterman Show, signori.- Le luci si accesero. Seduto alla scrivania c’era Paul Blackwood che riordinava i fogli del conduttore mentre David era seduto sulla poltroncina alla sua destra. Gli altri erano spariti nel nulla. -Miravi a questo fin dall’inizio, vero Paul?- interloquì Letterman. -Non sei più tu il presentatore, David. Le domande le faccio io.- rispose tagliente l’aviatore. Poi si rivolse alle telecamere: -Ebbene sì. L’intera serie "Flyin’ High - il volo del Canadair" per me non aveva altro scopo che questo. È finita, signori. Buonanotte.- Buio.
~
Fuori
all’Ed Sullivan Theatre faceva freddo. Non era ancora primavera ed era sera
tardi, non era rimasto più nessuno sul marciapiede davanti al portone. Lilian
scese le scale al braccio di Paul, stringendosi infreddolita al suo braccio. Le
dolevano i piedi, chiusi in sandali dal tacco vertiginoso, e camminava incerta. -Ferma.-
le ordinò Blackwood appena sulla soglia. Si tolse il soprabito chiaro con un
sol gesto e coprì la dama. -Sempre vestita troppo leggera, tu.- borbottò. -Ho
chi mi copre, accanto.- rispose la ragazza. L’uomo
fece un mezzo sorriso e non replicò. Le cinse le spalle e i due s’incamminarono
verso il fiume, in lontananza già si intravedeva la tinta vivace del Canadair. -Guido
io.- dispose Blackwood. Lilian si accoccolò sul sedile del copilota accanto a
lui, beandosi ancora nel suo soprabito. -Grazie.-
rispose con un sorriso dolce. Paul si girò verso di lei concedendole una rapida
occhiata in risposta, ma non disse nulla e si concentrò nel decollo.
Ben
presto dell’aereo non si videro altro che due lucine, una rossa e una verde,
che lampeggiavano nella notte. Poi il Canadair sparì nella notte newyorkese e
non tornò mai più in quello strano mondo dove le lumache non trillavano e dove
le bussole puntavano tutte nella stessa monotona direzione.
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Capitolo 32 *** Un alleato inatteso ***
Un alleato inatteso
«Grazie per
gli scarponcini.» aveva detto con un sorriso Lilian al nuovo amico di metallo
che viveva nel laboratorio di Vegapunk. «Te li restituisco, devo andare via.»
«Puoi
tenerli, pupa! Di già? Vai via con quel veliero arrivato ieri?» s’era
informato, con dei lucciconi prepotenti che ballavano in bilico sui bulbi
oculari.
«No, ho un
gozzo a motore.» rispose la ragazza.
«A motore?
Suuuper! E come lo alimenti?»
A Lilian era
suonato strano che qualcuno si interessasse il problema. «Con un preparato a
base di alga delle Sabaody.» aveva detto.
«Il
carburante più raro e costoso del mondo? Se vuoi te lo modifico!»
«Quanto mi
costa?» aveva domandato cauta Rea.
«Nulla, sorella!
Ci metto un attimo e non avrai più il problema del rifornimento… hai presente
la Coca-Cola? »
La Fenice
cincischiava sul divano, allungando di tanto in tanto le mani magre verso le
fiamme scoppiettanti del caminetto. Anche lui si era dovuto piegare al clima
gelido, e aveva lasciato sulla Seagreen Phoenix i calzoni alla pescatora e i
sandali dai lacci di cuoio in favore di ben più pesanti stivali e una gran
bella cappa foderata di lana grezza.
Accanto a lui
c’era Lilian, sprofondata nei morbidi cuscinoni e seduta ormai sulla schiena,
sembrava interessatissima alle mani del Primo Comandante che cercavano il
calore delle braci. Caro le aveva prestato dei vestiti adatti al clima
dell’isola, così aveva potuto restituire il cappotto a Crocodile con gran
sollievo di Pugno di Fuoco che era stufo di sentire l’odore dell’uomo ogni
volta che le si avvicinava.
Con quegli
abiti addosso, la ragazza era quasi irriconoscibile: pantaloni scuri infilati
in quegli stivali che aveva trovato chissà dove, un maglione in origine bianco
che le andava largo, arrivandole sotto il sedere lasciandole le spalle nude e a
coprirla un cappotto nero di panno lungo che dava l’impressione di un mantello,
con le maniche troppo abbondanti arrotolate e i gomiti rammendati. «Trattali
con cura.» aveva detto Caro, che glieli aveva prestati. «Sono abiti di quando
ero ragazza.»
Lilian si era
guardata allo specchio un po’ critica quando li aveva indossati per la prima
volta, non era abituata al vestiario pesante; il cappotto poi era una vera
novità. «Mi serve un cappello.» aveva detto mentre si rimetteva addosso le
armi. «Uno con la piuma, come… come quel tale che si era perso, ed era arrivato
all’hangar, ti ricordi? Quello con la croce sulle spalle e i baffetti.»
Caro Vegapunk
aveva sorriso e le aveva consigliato: «Chiedigli dove l’ha preso, se lo
rivedi!»
Quando il
sole, oltre le nubi basse e grigie, doveva essere alto, Ace uscì dalla cucina
deluso e affamato. Aveva rovistato in tutti i cassetti, aperto tutti i pensili
e buttato all’aria la credenza, ma non era rimasto nulla che potesse colmare il
cratere che aveva in pancia. -Ho fame!- protestò. Nella fretta di correre a
strappare Lilian dalle grinfie di chissà quale drago non aveva mangiato; Caro
Vegapunk nella sua lungimiranza non aveva dotato i Canadair di carrozza ristorante
né di frigobar.
-Qui non ho
molto.- confessò la scienziata, che ormai da mesi non metteva piede in casa
sua, essendo stata prima a lavorare ad Alexandra Bay e poi rapita. -In paese
c’è una locanda, se vi va di andarci. Anzi, se potete farvi vedere.- concluse,
ben conscia di essere accompagnata con ben cinque ricercati di taglia
milionaria. Barjimoa era molto piccola, ma c’era una piccola caserma con un
paio di graduati che, più che in servizio, ormai sembravano essere dei paesani
come gli altri.
Non l’ebbe
nemmeno finito di dire che Ace si era già precipitato sul vialetto del villino
senza curarsi di aspettare nessuno.
Marco fece un
mezzo sorriso. -Stavolta ha ragione.- si alzò puntando le mani sulle ginocchia,
e seguì il fratello nella gelida aria invernale stringendosi addosso il suo
mantello.
-Oh beh.-
sospirò Caro. -Immagino di dover andare anch’io, se voglio mangiare un boccone.
-E ti
conviene andare in fretta, prima che Ace distrugga qualsiasi cosa commestibile
sull’isola.- suggerì Lilian. -Come accidenti è sopravvissuto, ad Impel Down?-
domandò rivolta a Crocodile, che a colazione le aveva accennato alla permanenza
nella prigione col ragazzo.
Rea poteva
immaginarlo resistere ad ogni tipo di tortura o privazione, ma non costretto a
mangiare una scodella di brodaglia grigia due, o peggio, una volta al giorno.
L’ex flottaro
si strinse nelle spalle. -Testardaggine, forse.- rispose senza guardare la
ragazza. Si mise in bocca il sigaro e si abbottonò il cappotto con precauzione,
badando di non farlo strofinare troppo sulla fasciatura, poi varcò anche lui la
porta del villino in direzione del paese.
Lilian lo
seguì pochi minuti dopo, dopo essersi allacciata in vita le armi, con Caro al
braccio che si lamentava del fatto di dover condividere la tavola con quattro
pirati sanguinari. Ma nonostante le proteste, una volta a destinazione prese
posto senza esitazione a capotavola, tra Crocodile e Marco.
Pochi minuti
dopo, anche grazie al volto familiare della Vegapunk, l’improbabile gruppo fu servito
di ogni manicaretto tipico di Barjimoa.
-Ma… avete di
cosa pagare, miss Caro?- chiese cauto il padrone della locanda, guardando con
apprensione Ace che ingurgitava come una betoniera e aveva già alla sua destra
una pila pericolante di piatti vuoti.
-Rilassati,
Sung.- disse la scienziata rassicurando l’oste, che era anche suo amico perché
l’isola era piccola e si conoscevano tutti. -Metti tutto sul conto della
Marina, ci pensano loro.-
Persino Ace,
sentendo quelle parole, smise di mangiare per qualche secondo. Crocodile
addirittura ghignò divertito.
-Ne prendo un
altro allora.- richiese Lilian sorridendo e scuotendo il boccale vuoto.
-A pancia
piena si ragiona meglio.- si spiegò la donna.
Alla fine del
pranzo sponsorizzato gentilmente da Sengoku e soci, gli involontari coinquilini
tornarono alla villetta, dove Caro avrebbe preparato un bel caffè caldo per
tutti. Durante la permanenza in paese, la piccola guarnigione di stanza
sull’isola ebbe il buonsenso di non affrontare due pezzi grossi dell’ex Baroque
Works e della flotta di Barbabianca e non c’erano stati problemi.
-E adesso che
facciamo?- domandò Ace uscendo dalla cucina. Per amore dei presenti, che
rabbrividivano al solo guardarlo a petto nudo in tutto quel freddo, aveva messo
un pesante mantello scuro, ma nulla al mondo avrebbe potuto convincerlo ad
indossare altro, o a mettersi dei pantaloni lunghi.
Caro lo
seguiva reggendo un vassoio d’argento carico di tazzine da caffè.
-Ahia,
scotta!- si lamentò la donna. Il vassoio non aveva manici e si doveva reggerlo
dal basso. -Tienilo tu, Charizard.- ordinò al moretto.
-Agli
ordini.- sorrise Ace prendendo il vassoio e poggiandolo sul tavolino basso di
fronte al caminetto; a lui la stoviglia rovente non faceva nulla, mentre Caro
si strofinò le mani mezzo ustionate sulla schiena.
Si sarebbe
potuti ripartire immediatamente, propose Marco, ma la padrona di casa si rifiutò
nella maniera più categorica: avrebbe dovuto fare la tassista in aereo per
quegli scalcinati, ma l’avrebbe fatto alle sue condizioni, cioè dopo una notte
nel suo letto, fra le sue lenzuola, nel pulito e nel silenzio della sua casa.
-Io seguirò
Caro ad Alexandra Bay.- disse Lilian, scostando il lembo del cappotto dal
fianco e giocherellando con la pistola.
Ace, che si
era stravaccato sul divano accanto a lei, si girò di scatto. -Ma no, non vorrai
ripartire di già!- protestò. -Riesci a stare ferma un attimo?- sbuffò.
-Devo andare
a prendere una cosa che può salvare Amelia.- spiegò la ragazza.
-Ti ha già
usata per quegli esperimenti!- ringhiò Ace fulminando Caro con lo sguardo e
andandosi a mettere vicino al camino. -E se fosse tutto un trucco per
consegnarti ai Marine?-
-Bada a come
parli, sbarbatello!- s’inalberò la scienziata versando il caffè nelle tazze da
una moka enorme. -Sarà stata anche analizzata da me, ma non sono così
irriconoscente!
-Userete un
Eternal Pose, vero?- Marco la Fenice s’intromise distraendo Caro dal litigio
con il fratello.
-Naturalmente.-
sorrise la donna, compiaciuta dall’intuito del biondo. -Con un semplice Log
Pose non arriverei a destinazione nemmeno tra un anno.-
Erano gli
Eternal Pose, che puntavano sempre la stessa isola per tutta la loro esistenza,
che permettevano ai Marine di spostarsi rapidamente in quel vasto e pericoloso
mondo; come dipendente di quell’organizzazione, anche Caro era ben provvista di
quei preziosi gingilli.
-Per tornare
indietro te ne darò un altro lì, ad Alexandra Bay.- disse Caro.
Crocodile
stava presso la finestra, guardando oltre il vetro ghiacciato la distesa di
pini che separava la casa dal paesino; Das Bornes era seduto in poltrona
accanto alla stessa finestra, e sembrava o che fosse immerso in chissà quali
pensieri o che stesse dormendo; di sicuro faceva da guardia del corpo al suo
antico superiore. Marco intuiva che nonostante all’apparenza fossero distratti,
c’era da scommetterci che non si perdevano neanche un respiro emesso nella
stanza.
-Mocciosa.-
attirò infatti l’attenzione di Lilian l’uomo dall’uncino d’oro. Tutti si
voltarono verso di lui, che aveva ripreso il solito posto accanto alla
finestra. -Penso proprio che solo con quelle pistole non fermerai Paul
Blackwood.- non l’avevano fermato lui e Bornes, dove s’incamminava quel quarto
di donna?
-È l’unico
modo che rimane.- rispose tetra la ragazza.
-E Doflamingo
e Teach? Anche loro uccisi dai tuoi proiettili?- la provocò. Lilian non potè ribattere
e arrossì.
-Immaginavo.-
ghignò Crocodile. -E tu, piccolo Gol? Ti prepari ad un’altra Banaro? La terza,
giusto?
-Maledetto
stronzo…- s’infervorò immediatamente Ace al sentirsi chiamare in quel modo.
-Mio padre è Barbabianca! Pugno di…-
-Per favore,
la smetta.- lo pregò Lilian portandosi davanti a lui, scoraggiando all’istante
l’attacco di Portuguese. Quando però l’ex eroe di Alabasta puntò le iridi
dorate e fredde su di lei, arrossì e non trovò niente di meglio da balbettare
se non: -La prego, non… non dentro casa…-
Crocodile
sbuffò una nuvola dolce di fumo perla e riprese: -Ucciderò io Paul Blackwood, pidocchi.-
Ace stava per
replicare sputando fiamme e veleno, ma Lilian gli posò una mano sul braccio e
lo precedette: -Con lui c’è Teach con il Frutto Dark-Dark, ed è armato con
l’agalmatolite liquida.- disse preoccupata. -È pericoloso per tutti.-
Crocodile
considerò le ultime due parole, che erano state sottolineate. La mocciosa non
aveva torto.
-Ha preso
anche il Gura-Gura di nostro padre.- s’intromise sensatamente Marco.
-Cos’ha!?-
domandò Lilian, magari aveva capito male.
-Ha il potere
dei terremoti del Babbo.- ripetè Marco. -Non so come, forse dipende dalla
struttura del suo corpo… ma ha sottratto il potere di nostro padre subito dopo
che è morto.-
-Ma non è
imposs…- cominciò a domandare l’aviatrice.
-La sua
composizione fisica lo permette.- spiegò il Comandante, senza entrare di più
nei dettagli.
-Ragione di
più per ammazzarlo come un cane.- latrò Ace.
-Ragione di
più per non caricare lui e la sua ciurma a testa bassa.- lo rimproverò Lilian.
-E poi hanno ancora Amelia. Andrò io.- si voltò verso tutti i presenti. -Stanerò
Paul Blackwood e mi riprenderò Amelia.- affermò grave.
Nemmeno Ace
la prese sul serio. -Non vorrai lasciarmi a casa, piccola?- sogghignò.
-Piccola a
chi?- si voltò lei. -Nemmeno tu sei riuscito a sconfiggere Barbanera.-
-Figurati se
ci riesci tu.- la sfidò il pirata di fuoco, con le labbra ad un soffio dalle
sue.
-Abbiamo
ancora quella bottiglia su Doflamingo in sospeso.- sibilò Rea.
-Scusate, piccioni,
prima di partire per questa gita romantica avete idea di dove sia Blackwood?-
s’intromise Crocodile.
Lilian
arrossì a quelle parole e guardò per aria, Ace guardò interdetto l’uomo di
sabbia, indeciso se dargli fuoco o dargli ragione.
-No che non
l’avete.- ghignò Crocodile, allontanandosi dal davanzale e portandosi verso il
caminetto. -E non l’avrete mai, perché quello non è il tipo da lasciarsi
braccare facilmente. Figurarsi poi da due idioti che fanno casino ovunque
vadano.- allungò la mano verso il calore della fiamma.
-Ma…-
sussurrò girandosi verso i suoi interlocutori. -Con i contatti giusti, io potrei
venirlo a sapere.-
-E a meno che
non ti lasciamo collaborare con noi, non ce lo dirai.- completò Marco, al quale
piaceva sempre meno la piega che prendevano gli eventi.
Crocodile
scoppiò a ridere, una risata tetra e profonda che scosse Lilian, indecisa se
allontanarsi o fare un passo verso l’uomo.
-Sarete voi a
collaborare con me.-
-Mai!- gridò
battagliero Pugno di Fuoco arrivandogli quasi addosso, ma Crocodile non si
mosse, quasi compiaciuto dall’ira del ragazzo.
-Allora buona
ricerca, Gol.- rispose ironico, lasciandosi scorrere lentamente il fumo fra i
denti.
-FIAMMA SAC…
-Vengo io con
lei.- Lilian si frappose ancora una volta tra Ace e il suo obiettivo, spegnendo
all’istante le minacciose fiamme.
-Lilian, sei
impazzita!?- ringhiò Pugno di Fuoco. -Non abbiamo bisogno di nessun alleato,
possiamo farcela da noi!
-Ci scusi.-
disse Lilian rivolta a Crocodile, voltandogli le spalle e trascinando Ace in
cucina con lei.
Marco guardò
il duo allontanarsi, e quando Lilian chiuse con violenza la porta alle loro
spalle disse gelido: -Che gioco è, Crocodile? Prima cerchi di uccidere il vecchio
e poi ti allei con noi?
-Nemmeno per
sogno.- rispose l’uomo. -Al momento Barbanera e Blackwood sono ossi duri per
entrambi… e i proiettili di algamatolite non giravano nemmeno a Marineford, te
lo sei dimenticato?-
L’affronto di
quella pallottola nella spalla bruciava ancora, per Crocodile.
-Propongo una
tregua, uccellino.- sussurrò.
Marco
incrociò le braccia, schivo e diffidente. Caro lo guardò allarmata.
-Vogliamo
entrambi la testa di Teach e di Blackwood.- continuò il damerino.
-Collaboriamo, e poi… nemici come prima.-
La Fenice ci
pensò un po’. Crocodile era noto per tenere le mani in pasta un po’ dappertutto
nonostante il carcere, e poteva scoprire facilmente dove si nascondessero gli
obiettivi, lui di contro aveva le forze belliche per fermarli ma non quelle
tattiche per localizzarli.
Strinse con
vigore la mano piena d’anelli che Sir Crocodile gli offriva. -Ma se fai una
mossa falsa sulla mia nave o contro i miei fratelli…- cominciò minaccioso.
-Oh, lo so,
lo so. Mi consegnerai alla Marina, o mi farai ammazzare dai tuoi fratellini. Lo
so. E non ho nessuna voglia né di crepare né di tornare ad Impel Down,
tranquillo.- rispose scocciato Crocodile. Poi sogghignò, facendo scattare lo
Zippo e accendendosi il fedele toscano. -Pare proprio che dovrò giocare pulito
allora.-
-Sei
impazzita, Lilian!?- esclamò Ace in cucina. -Quello è Sir Crocodile di
Alabasta! Radiato dalla Flotta dei Sette per crimini contro il Governo, un
bastardo alla guida di un’associazione criminale, ha cercato di uccidere Rufy!!
E tu ti consegni nelle sue mani!?
Lilian lo
fissò muta e allibita. Alabasta?, si stupì rendendosi improvvisamente conto
della situazione. Aveva seguito vagamente quelle cronache, al tempo, ma non
ricordava esattamente i nomi delle persone coinvolte. Adesso che Ace le aveva
rivelato quel dettaglio invece le tornavano in mente gli articoli letti e le
foto pubblicate.
-Ah.- riuscì
solo a dire.
-Era
prigioniero con me ad Impel Down.- le raccontò il ragazzo. -Non è persona con
la quale scendere a patti, Lilì… non lasciarti incantare dalla storia del
cappotto!
-Chiunque
sia, è grazie a lui se ora sono viva e non sono stata catturata da Paul alla
Tomba di Barbabianca! L’ha fermato mentre stava per spararmi, e mi ha portata
via da lì!
-Tu l’hai portato via da lì, e tu gli hai fatto da infermiera fino ad
ora.- sibilò Ace avvicinandosi alla ragazza.
Lilian si
fermò un secondo, guardando il pirata che stava cercando di trattenersi al
ridurre a tizzoni tutta la mobilia di legno bianco della spaziosa cucina
serrando i pugni. Era geloso? -Ehi… calmo.- sussurrò issandosi a sedere sul
tavolo per essere alla sua stessa altezza e prendendogli il viso tra le mani. -Lo
so che ti ha provocato e che non è un santo.-
-Non siamo
soli, stavolta!- le rivelò Ace prendendola per le spalle e sorridendo. -Verrà
Jaws e la sua flotta con noi, e anche Marco e Vista, Namiur, e Fossa, e Izou,
andremo tutti insieme!- gli brillavano gli mentre nominava i fratelli.
-E loro sanno
dov’è Paul?- avversò Lilian.
Pugno di
Fuoco dovette arrendersi. Crocodile, oltre ad essere un combattente di prima
categoria, aveva anche una formidabile rete di informatori.
-Caro ad
Alexandra Bay ha una cosa in serbo per noi.- gli rivelò Lilian abbandonandosi
con fiducia sul suo petto nudo e baciandogli dolcemente i pettorali caldi.
-Toglieremo il Gura-Gura dalle mani di quel porco.- promise cingendogli i
fianchi. -Impediremo a lui e a Paul di fare altre stragi di innocenti,
vendicheremo tuo padre e libereremo Amelia.-
Ace non potè
fare a meno di ricambiare quella stretta. Il pensiero del potere di suo padre
nelle mani di Teach gli dava il voltastomaco, era una sensazione quasi peggiore
del lutto stesso, gli si attorcigliarono le viscere nel tentativo di
controllarsi, di non rilasciare tutte le fiamme che gli divoravano l’animo, per
non bruciare la ragazza che gli si stringeva addosso.
-Non voglio
che ti succeda di nuovo come a Banaro. O come a Rainy Hollow.- continuò Lilian
accarezzandogli il tatuaggio sulle spalle. -Stavolta lasciati aiutare.-
Il ragazzo
espirò e la tensione che irrigidiva i suoi muscoli si allentò al tocco della
ragazza. Lei gli attirò la testa vicino alla sua accarezzandogli i capelli
morbidi di bagno e gli cinse il bacino con le gambe. -Blackwood ha degli
alleati pericolosi.- sussurrò Rea all’orecchio del pirata. -E io non voglio
perderti di nuovo.- ammise.
-Se mi
abbracci così.- rispose beffardo Ace accarezzandole le cosce tornite che gli
facevano diventare il cavallo del pantalone sempre più stretto. -Non c’è nessun
rischio.-
-Sei un maiale,
Portuguese.- gli sussurrò la ragazza sulle labbra, prima che Pugno di Fuoco la
avvincesse con passione facendole dimenticare aerei, nemici, scienziati e
soprattutto il pudore. Infine, dopo giorni e giorni di sensi di colpa che le
avvelenavano il cuore, si lasciò andare ad un bacio sincero e chiuse gli occhi,
abbandonandosi tra le atletiche braccia del suo pirata.
Ace
finalmente riconosceva la ragazza vivace che aveva lasciato a Foodvalten prima
di partire per il suo sconsiderato viaggio. La guardava negli occhi e riusciva
persino a dimenticarsi di essere il figlio di un mostro, con una taglia sulla
testa che faceva gola a mezzo mondo. Lilì di quella cifra se ne fregava, la sua
risata faceva in mille pezzi quei turpi pensieri su quanto sarebbe stato meglio
non nascere e non essere mai esistito che tanto l’avevano assillato da bambino
e in prigione.
Marco prese
la parola. Crocodile era galantuomo e difficilmente avrebbe messo le mani
addosso ad una donna intelligente e disarmata come Caro Vegapunk, ma la lingua
velenosa di lei cominciava a fargli scappare la pazienza.
-La mia
decisione non le piacerà, Caro.- disse la Fenice con piglio severo. -Ma prima
di lasciarla andare ad Alexandra Bay ho bisogno di tornare immediatamente dagli
altri Comandanti, quindi rientreremo a Korom Island.
-Sei
impazzito?- protestò la scienziata. -Voglio tornare immediatamente ad Alexandra
Bay, Sengoku deve sapere tutto il letamaio che ha fatto Blackwood!
-In modo che
la Marina lo intercetti prima di noi?- sorrise sprezzante Marco. -Saranno i
Comandanti di Barbabianca a distruggere Blackwood, non certo il vecchio caprone.-
Crocodile non
commentò la decisione dell’uomo, anche se avrebbe preferito sbarazzarsi
immediatamente della donna. Tuttavia vederla ringhiare di rabbia in ostaggio di
un drappello di pirati gli dava una certa soddisfazione.
-Torneremo
dove siamo di base, poi vi farò scortare ad Alexandra Bay da persone fidate.-
dispose Marco.
Ace sollevò Lilì
senza fatica e la adagiò sul tavolo, vi salì lui stesso e la ragazza,
trovandoselo addosso, rise leggermente e si aggrappò alle sue spalle. -Sei un
selvaggio.- mormorò al suo orecchio scendendo poi a leccargli il collo. -Hai
chiuso a chiave la porta?-
Con un agile
balzo Ace fu sull’uscio e chiuse rumorosamente la serratura, giusto per
assicurarsi che si sentisse lo scatto della chiave e Crocodile capisse cosa
sarebbe successo di lì a poco dietro quella porta. Lilian intanto si era tolta
il cappotto.
-Adesso sei
tutta mia.- sorrise Pugno di Fuoco abbandonando per terra il proprio mantello e
saltando sul tavolo con un balzo felino, tornando sopra la ragazza. La baciò di
nuovo sul collo e scese verso il petto, ma Lilì non gli lasciò incenerire il
maglione: Ace sembrò deluso, ma gli brillarono gli occhi quando l’aviatrice alzò
le braccia, un chiaro invito per farselo sfilare di dosso che il pirata accolse
all’istante, godendosi per qualche istante la vista che Lilian gli offriva. Le
baciò affamato i seni nudi ascoltando estasiato i suoi gemiti sommessi,
insinuando le mani sotto il bordo stretto del pantalone di lei. La ragazza
stava facendo altrettanto, piantandogli vogliosa le unghie nelle natiche e
avvicinando il bacino del pirata al suo. Quando però Ace le mise le mani sulla fibbia
della cintura la ragazza lo fermò. Gli sfilò il cappello dalle spalle e se lo
mise in testa, lo spinse con la schiena sul tavolo, gli montò a cavalcioni e gli
baciò pian piano il ventre; la V
scolpita sui bassi addominali del ragazzo sembrava un invito sfacciato.
-Adesso sei
tutto mio.- sussurrò.
Dietro le quinte…
Ehm! Sì, il rating non è arancione solo per tutte le mazzate che si
danno. No, non essendo rosso non posso scrivere oltre! Sono imbarazzatissima
(«Seee seee!» dice Moda)! Vi è piaciuto questo capitolo o la scena (inutile
specificare quale, porcelline!) è irreale?
Ace come vi sembra? È paradossale visto che è il personaggio che sta più
tempo in scena, ma proprio per questo ho paura di un suo OOC. Temo anche per
Marco.
E confermiamo quello che molte lettrici hanno indovinato! Ebbene sì,
Lilian ha incontrato proprio il buon Cutty Flam, alias Franky, che qui risolve
a modo suo (quindi in maniera brillante) il problema del carburante che ci
assilla fin dai primi capitoli! Caro Rayleigh mi dispiace ma hai perso una
cliente, ora si viaggia a Coca-Cola! Un bel bacione al nostro super
carpentiere!!
Ho letto e riletto, ma se ci sono delle incongruenze vi prego di
segnalarmelo… è stato un capitolo molto rimaneggiato.
Detto ciò ringrazio tutte le ragazze che stanno recensendo! Grazie di
cuore, non sapete quanto bene mi fa leggere che la storia vi piace, è stata
pubblicata un po’ per gioco, con tanta curiosità e un pizzico di paura!
A presto,
Yellow Canadair
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Capitolo 33 *** Ritorno ad Alexandra Bay ***
Ritorno ad Alexandra
Bay
Il mattino
seguente tornarono tutti in volo a Korom Island. Tutti tranne Marco in verità,
che avrebbe fatto in solitaria il ritorno con la Castle di Lilian. Non che la
cosa gli pesasse: certo ci avrebbe messo un po’, ma se quel viaggio era stato
semplice per una pivellina, per un lupo di mare come lui non era certo un
problema.
Caro Vegapunk
era furibonda: avrebbe voluto tornare immediatamente nella sua elegante
Alexandra Bay e non fare tappa in quell’isola piena di tipacci tatuati con le
facce a lutto! Per di più aveva dovuto cedere il posto di co-pilota a quello zotico
dal fuoco facile perché a lasciarlo nella carlinga con il Sir, avrebbero fatto
precipitare il Canadair alla prima litigata!
Giunti in
vista di Korom Island, Lilian fece abbassare elegantemente l’aereo fino a farlo
ammarare con precisione e maestria fra i velieri che si muovevano nelle onde
pigre del piccolo porticciolo improvvisato dagli uomini di Newgate.
Quando
sbarcarono, un uomo inferocito si fece largo a spallate verso il gruppetto che
scendeva sul molo. Fumava iracondo il suo sigaro e borbottava minacce tra i
denti.
-Levati dai
piedi.- ringhiò a Caro Vegapunk che camminava davanti a Lilian, lamentandosi
per il trattamento subito.
-Fossa…?-
mormorò la ragazza indietreggiando rapida verso l’aereo, ma l’uomo fu molto più
rapido di lei e le arpionò un braccio con la mastodontica mano impedendole di
fuggire o sparire.
-Come ti è
venuto in mente di scappare così!?-
Lilian rimase
muta, spaventata dall’omaccione che la stava sgridando e ben consapevole di
essere nel torto. Ace scattò in avanti per intervenire, ma Vista lo intercettò.
-Non le farà niente.- disse a bassa voce. -Ma lascialo parlare.-
-Non avevamo
guai a sufficienza!? Hai fatto preoccupare a morte Ace e tutti noi!!- tuonò
afferrandola per le esili spalle.
-È… è colpa
mia… Barbabianca…- balbettò con un groppo in gola.
-“Barbabianca”
che cosa?- la sfidò Fossa. -Ripetilo, avanti.-
-Barbabianca
è morto per colpa mia.- sussurrò la ragazza con un filo di voce. -E io ho
pensato che… che non potevo stare qui.-
-Ci sono già
abbastanza rogne senza che una mocciosa si faccia venire crisi isteriche.-
ruggì il pirata. -Nostro padre è morto perché un bastardo figlio di puttana ti
dà la caccia. Hai ordinato tu di uccidere il Babbo?
-No!- esclamò
spaventata Lilian.
-Hai rapito
tu quell’idiota di Ace a Rainy Hollow?-
-No, certo
che no!!- gridò di nuovo la ragazza.
-Allora
piantala di frignare!- ordinò.
Lilian
ammutolì all’istante.
-Ecco,
brava.- disse ancora il pirata abbassando la voce, assestandole due pacche
sulla testa e piantandola in asso, fumando il suo sigaro con ritrovata
serenità.
-Forza voi
due, non abbiamo di che parlare, adesso?- ruggì il Quindicesimo Comandante
passando vicino ad Ace e Vista. Infatti grazie al geniale colpo di testa di
Lilian i pirati non erano ancora riusciti a discutere di questioni urgenti con
i fratelli, e purtroppo all’ordine del giorno c’era il destino della Flotta di
Barbabianca.
-Aspettiamo
che torni anche Marco.- avversò il Quinto Comandante.
Il giorno
dopo, prima del previsto, la Fenice tornò, e i capitani si riunirono attorno ad
un falò, Marco presiedeva la riunione. Per tutti era ancora il Primo
Comandante, il luogotenente del padre, ed erano in molti a desiderarlo come
nuovo capitano.
La Fenice non
poteva accettare la carica: quello era il ruolo di Edward Newgate, nessuno
avrebbe soppiantato il padre, lui compreso. Per molti dei capitani presenti
però, tralasciando questioni di anzianità puramente anagrafiche, l’unico
successore riconoscibile era lui, il figlio maggiore. Ognuno di loro
intravedeva un incubo alla fine di quella riunione: quello di rimanere di nuovo
soli; il vecchio Newgate aveva dato loro una famiglia, dei fratelli, una casa.
Ma senza di lui, che casa era? In quella ciurma c’erano storie tragiche
risalenti a venti o anche trenta, quaranta anni prima: storie di trovatelli, di
bambini abbandonati dai genitori, di “figli della colpa” lasciati nelle ruote
dei conventi, di poveri piccini abituati a dormire sotto i ponti e nelle case in
rovina. Tra le flotte c’era chi aveva rischiato di finire nel giro del mercato
nero degli schiavi o degli stupefacenti, chi era stato strappato alla
prostituzione, c’erano persone che erano state ad un passo dal suicidio perché
non avevano trovato nessuno disposto a regalar loro un sorriso, c’erano fuorilegge
solitari che vagavano per il mondo distrutti dall’odio o dal dolore. Perdere
quella famiglia per molti significava tornare all’istante prima di conoscere
Barbabianca, come una crudele macchina del tempo che sembrava sull’orlo di far
girare i suoi polverosi ingranaggi.
Dividersi,
ognuno per sé? Molti furono percorsi da un brivido, ma non tutti. E le isole
sotto il controllo di Barbabianca? c’erano migliaia di persone che vivevano in
pace, senza l’incubo di essere assaltati, proprio in virtù della loro
protezione.
-C’è una
domanda da fare.- cominciò Marco con piglio deciso, incrociando le braccia.
-C’è tra voi qualcuno che vuole abbandonare la famiglia?
Silenzio.
Il Primo
Comandante continuò: -Niente dichiarazioni di guerra, niente astio tra noi.
Però ora che non c’è più il Babbo è innegabile che la famiglia non sia più la
stessa. Per questo vi chiedo: c’è qualcuno che vuole andarsene?
-“Parli ora o
taccia per sempre”- recitò Halta.
Nessuno
parlò. Nessuno voleva andare via. Qualche sorriso cominciò a spuntare su alcuni
volti: il timore più grande, quello di dividersi, era scongiurato.
Fossa si
strofinò il tatuaggio sul deltoide con una grossa mano irsuta, Halta sorrise
notando il gesto, Rakuyou, il Settimo Comandante, fissava assorto il simbolo di
Edward Newgate sulla bandana che si era tolto. Sarebbero rimasti insieme. Erano
i figli di Barbabianca, nessuno poteva sconfiggerli.
-Bene.-
sorrise Marco. -Allora rimaniamo gli stessi Sedici Capitani.-
-Quindici.- puntualizzò
Izou. Nessuno commentò quella precisazione. Mancava Satch. Mancava il Babbo.
Mancavano tanti fratelli.
-Marco.-
prese la parola Vista. -Ne abbiamo parlato fra noi.-
La Fenice
intuì dove volesse andare a parare il fratello, ma attese.
-Vorremmo che
prendessi tu il comando.-
Seguirono
interminabili secondi di silenzio. Marco guardava il Quinto Comandante negli
occhi con un’espressione indecifrabile; poi sospirò pesantemente, prendendosi il
capo tra le mani.
-Non posso…-
sussurrò la Fenice.
-Sì che
puoi.- ribattè Curiel. -Il Babbo si fidava ciecamente di te.-
-Sei al suo
fianco da più di un ventennio.- intervenne Speed Jill.
-E sei il
cervello della ciurma!- intervenne Ace. -Hai persino la licenza elementare!-
Strappò un
sorriso al fratello, che non potè fare a meno di pensare che aveva ben più
della licenza elementare.
-Blenheim…?-
si appellò Marco al fratello, il più anziano dei capitani.
-Eri tu il
Primo Comandante, nostro padre aveva scelto te.- scosse la testa l’uomo.
Marco si
prese il volto tra le mani. -Era il posto del Babbo…-
Comandare la
flotta? Probabilmente ne sarebbe stato all’altezza; la Fenice era scaltra, un
ottimo stratega e un punto di riferimento per tutti; difficilmente qualcuno
avrebbe avuto da ridire sul suo operato, era il braccio destro di Edward
Newgate, ma il problema per lui era proprio prenderne il posto.
-Abbiamo
bisogno di te.- mormorò Halta avvicinandosi.
Marco sollevò
lo sguardo, incrociando gli occhi della sorella. -Non ne sono all’altezza.- le
disse.
-Nessuno sarà
mai all’altezza del babbo.- rispose la voce argentina del Dodicesimo
Comandante. -Ma lui si fidava di te. Come noi.-
Marco
sospirò, guardò verso il terreno. I suoi fratelli gli lasciarono quei minuti di
riflessione. Il biondo non era mai stato tipo da compiere scelte azzardate, e
certo quella che gli avevano messo davanti era tutt’altro che semplice.
-Sarà
difficile. Sarà difficile per tutti.- ammise infine.
-E allora?
Non stai parlando con dei pivellini.- ruggì Atomos.
-Potrei fare
degli errori.- avversò il Primo Comandante.
-Te li faremo
notare tutti, dal primo all’ultimo, tranquillo.- promise Namiur ridacchiando.
-Potrei fare
stronzate.- provò ancora.
-Ti
raddrizzerò io al primo sgarro.- gli assicurò Fossa.
-D’accordo.-
sospirò Marco. -Fate di me il vostro Comandante.-
E si preparò
al gruppo di persone che gli andò addosso festante, facendolo franare oltre al
tronco dove stava seduto.
-Bene…-
osservò Vista spazzolandosi i pantaloni scuri con le mani. -E con il signor
Blackwood e il signor Teach come la mettiamo?-
-Quanto
manca?- gridò Ace, seduto pericolosamente sulla prua della nave, per sovrastare
il rombo dei motori della Castle.
-Già stanco?-
rispose di rimando Lilian, al timone nella piccola cabina, un attimo prima di
prendere l’ennesimo sorso di Coca-Cola dalla bottiglietta che teneva accanto.
-Ancora mezza giornata, come minimo.- alzò un po’ il volume della radiolina che
pendeva da un chiodo vicino all’Eternal Pose e assaporò con i piedi nudi il
parquet di legno della cabina; l’aria diventava via via più calda, e i vestiti
che le aveva prestato Caro cedevano man mano il posto a quelli estivi, senza
una logica precisa: i vecchi infradito avevano rapidamente sostituito gli
stivali donati dal super uomo di metallo nel laboratorio di Vegapunk (custoditi
gelosamente in un luogo segreto della Castle), ma il lungo cappotto riparava ancora
le gambe nude mentre le spalle erano coperte da una lunga camicia bianca.
-E dobbiamo
anche fermarci per la notte.- Continuò a dire la ragazza.
Lilian non si
azzardava a navigare al calar del sole, quando gli scogli affioranti e le
secche erano invisibili persino per la vedetta, e non avrebbe messo a rischio
l’imbarcazione e coloro che vi erano su.
Il mare azzurro
luccicava sotto il sole di mezzogiorno e abbagliava i naviganti, il vento
sfilava via veloce sui fianchi di legno scuro dello scafo, la vela era
ammainata e nascondeva il suo vessillo, ma sulla bandiera in cima all’unico
pennone la Jolly Roger baffuta
sventolava, allegra e fiera, ancora una volta.
Ace la guardò
pensieroso, con un sorriso malinconico, scese in coperta e si avvicinò a
Lilian. Prese la bottiglietta della ragazza dalla mensola sopra il finestrone a
tribordo e bevve un sorso di Cola. -Pensavo la togliessi.- disse avvitando il
tappo rosso.
Lilian capì
dal tono del ragazzo a cosa si riferisse; distolse per un attimo lo sguardo dall’ago
magnetizzato e dalla rotta e si girò a guardarlo come se avesse preso a
declamar versi in greco antico. -Sei pazzo?- esclamò. -Mai e poi mai!- con che
cuore avrebbe deprivato quel gozzo della bandiera di Barbabianca? Al massimo,
aveva pensato, sotto avrebbe potuto aggiungere un suo vessillo personale, più
piccolo, ma di togliere quello lì, baffuto e storico, non se ne parlava!
Il pirata
sospirò, sedendosi su una panca accanto al timone con la testa fra le mani. Lilian
abbassò gli occhiali da sole sulla bocca e lo guardò triste. Non sapeva con
esattezza cosa gli passasse per la testa, ma era sicura che stesse pensando al
padre. Staccò una mano dalla ruota di legno e accarezzò il capo del ragazzo,
avvicinandolo ai suoi fianchi e tenendolo così per un po’, coccolandolo
dolcemente. Inutile parlare; frasi scontate, le solite cose vere e fastidiose
da sentire. Meglio, molto meglio insieme, nella cabina del gozzo, a guardare il
mare davanti a loro e rimanere in silenzio ad ascoltare il vento, lo sciabordio
del mare e i mille cigolii del legno profumato di resina della barca,
dondolandosi appena per assecondare il rollio dell’onda. Ace abbracciò i
fianchi della ragazza appoggiandosi alla sua anca con la guancia. Chiuse gli
occhi, assaporando quel momento, perdendosi nel ricordo del padre e nell’odore del
pantaloncino di Lilian.
-Aspetta un
attimo.- sussurrò Rea al ragazzo, che si discostò appena. La ragazza aprì
un’anta del finestrone di babordo e gridò: -Vedetta!!-
-Superata l’Isola
di Fara, almeno due chilometri a tribordo!- rispose una voce squillante da
sopra le loro teste.-
-Grazie
Halta!- esclamò Lilian chiudendo la fessura e riprendendo a coccolare la testa mora
di Ace. Lui la strinse di più, affondando il volto sulla pancia della ragazza.
-Ehi, ehi…
sono qui, non scappo.- sorrise Rea.
Ace sollevò
la testa scoprendo solo gli occhi e la guardò con aria di rimprovero.
-Ok, ok,
diciamo che non scappo più.- si
corresse la ragazza. -Se tu non scappi di nuovo.- patteggiò. Pugno di Fuoco
tornò a dormicchiare soddisfatto, abbracciato alla sua vita.
Halta,
Comandante della Dodicesima flotta di Barbabianca, li aveva seguiti in quel
viaggio assieme al fratello Rakuyou, che cercava di attaccar bottone con Caro
Vegapunk intenta a godersi il sole sul ponte di poppa della Castle. La donna
rivolgeva al rumoroso pirata delle vaghe occhiate da sopra alla montatura
bianca degli occhiali da sole da diva, e non sembrava molto interessata ai suoi
discorsi. Rakuyou era il Settimo Comandante della flotta di Barbabianca, poco
meno alto di Ace e con una gran massa di dreadlock biondi trattenuti da una
fascia sulla quale spiccava il vessillo del padre; Portuguese era convinto che,
se non fosse stato per le perdite recenti, avrebbe provato senza pietà a
strappare un bacio alla burrosa scienziata.
Halta, che
indossava sempre degli abiti rinascimentali che la facevano assomigliare ad un
paggio, era l’unica donna tra i capitani di Barbabianca, ed era una spadaccina
formidabile. Siccome era piccola e leggera, Lilian le aveva chiesto se poteva
mettersi di vedetta sopra la cabina, che era il punto più sopraelevato della
barca, e lei aveva acconsentito senza remore.
Marco aveva
ritenuto saggio far scortare Lilian ad Alexandra Bay da più d’una persona
fidata e dalle comprovate capacità, e la scelta era caduta sulla spadaccina e
sull’uomo dai dreadlock biondi; il viaggio era rischioso e Alexandra Bay un
covo di Marine, ma la ragazza così avrebbe dovuto essere al sicuro, senza
contare poi la presenza Secondo Comandante.
La Fenice
invece aveva preso in custodia Crocodile e Das Bornes e con il suo vascello
dalle vele turchesi era rimasto sull’isola dove facevano base, Korom Island. Sir
Crocodile e il suo sottoposto erano trattati più come ospiti che come
prigionieri; ospiti da non lasciare soli nemmeno per un attimo e da cui
aspettarsi anche di essere accoltellati nel sonno, ma la ciurma di Edward
Newgate era più che all’altezza di un simile rischio, e l’ex flottaro non
sembrava aver fretta di uccidere nessuno; aspettava pazientemente il ritorno di
Lilian, fumava sigari e parlava con Mr.1. In quei giorni ebbe una sola
richiesta: una lumacofonata, cui seguì una risposta mezza giornata più tardi.
Il giorno
dopo la Castle fu in vista di Alexandra Bay.
-Andiamo,
forza.- disse Ace sul ponte di poppa di cattivo umore, indossando una camicia per
coprirsi le spalle.
-Dove vuoi
andare?- si voltò Caro riponendo occhiali da sole e crema solare in una sacca
di paglia.
-Non lascio certo
Lilì andare da sola in una base della Marina!- ghignò Pugno di Fuoco. -Un
centinaio di Marine o più per me non sono un problema.-
-Infatti
l’accompagno io.- spiegò una voce sottile che uscì dalla cabina.
Rakuyou
guardò la sorella e cominciò a sghignazzare così tanto che per poco non cadde
fuoribordo.
-Halta…?-
mormorò incredulo Ace. -Sei tu…?
-Certo che
sono io, mica siamo così tanti su questa barca!- il Comandante del Lancelot
aveva smesso i suoi abiti medievali in favore di una sobria, pulita, candida
divisa da Marine.
-Dove hai
trovato quella roba!?- riuscì a dire Rakuyou asciugandosi le lacrime.
-Gliel’ho
data io. In casa avevo qualche uniforme.- spiegò Vegapunk.
-Perché in
casa hai delle uniformi?- s’incuriosì Lilian al timone, ma non ebbe risposta
perché Ace a bocca aperta quasi urlò: -Anche tu!?!-, mentre il Settimo
Comandante per poco non si catapultava a mare per un eccesso di risate
guardando Rea, di schiena, con un cappellino che era inconfondibilmente quello
delle reclute.
-Quanto
chiasso per così poco!- protestò la scienziata. -Sono due ricercate, pretendevi
che le facessi entrare in una base della Marina senza precauzioni?-
-Nemmeno
avessi messo loro una maschera!- replicò Ace. -Il volto è scoperto.-
-Pfff!-
sbuffò con noncuranza Caro. -Nessuno si mette ad esaminare un Marine semplice.
Guarda.- disse facendo avvicinare Halta. -Con il berretto calato sugli occhi,
nessuno baderà a loro. E poi è solo per sicurezza, Lilian è in grado di
renderci invisibili, ricordi?
-E se sarete
invisibili, come farete a farvi aprire?- osservò Ace.
La scienziata
lo squadrò dall’alto in basso e dichiarò: -Io
sono Caro Vegapunk.-
Rakuyou
sorrise e alzò le mani all’altezza del volto, mostrando i palmi. “Ci affidiamo
a te, tesoro.” diceva quel gesto.
Occultata
dalla sua proprietaria, la Castle attraccò con precauzione in un porticciolo
solitario appena fuori Alexandra Bay; le ancore furono calate lì e le donne
furono aiutate a saltare sul vecchio molo. Ancora nascosti, Lilian salutò Ace e
Rakuyou sulla sua barca. -A presto!- sorrise mandando un bacio sulle dita al
pirata di fuoco. -E trattamela bene!!!- sussurrò gridando, scandendo il labiale
e indicando a due mani la barca in direzione di Ace.
-Andiamo,
forza.- disse spazientita Caro, incamminandosi.
Non poterono
entrare nel porto principale della città perché altrimenti, una volta lasciata
Lilian a terra, la Castle sarebbe stata di nuovo visibile, e i Marine di
vedetta avrebbero potuto facilmente intercettarla e inseguirla; invece lì nel
porticciolo dei pescatori nessuno avrebbe fatto caso ad una piccola barca che
si allontanava.
Caro Vegapunk
fece il suo ingresso trionfale in città scortata dai due falsi Marine, e il suo
volto noto fu in grado di aprire tutti i cancelli, come previsto dalla donna.
Lilian e Halta le stavano una a destra e una a sinistra, e quando un ufficiale
ordinò loro di congedarsi e tornare nei dormitori, Caro gli tenne testa e
protestò: -Nemmeno per sogno, sono la mia guardia personale, mi sono state
assegnate dal Commodoro Smoker!- e il Marine non osò opporsi.
-Caro, sei
sicura che Smoker possa fare una cosa del genere?- sussurrò Lilian appena
furono sole in un corridoio deserto. -E se lo chiamano per una conferma?-
-Mai una
volta che risponda al lumacofono, quello lì! Non potevo mica nominare qualche
cretino che sta sempre con la cornetta in mano.- rispose Caro.
-Dottoressa
Vegapunk!- corse loro incontro una donna in tubino bianco appena arrivate al
dipartimento scientifico.
-Non ora,
Sissy.- rispose imperiosa la donna. -Per favore, fissami un appuntamento con il
Grandammiraglio Sengoku. Urgente. Vado un attimo nell’hangar.
-Dottoressa,
veramente il Grandammiraglio non è più Sengoku…- protestò timidamente la
segretaria. Caro Vegapunk tornò sui suoi passi, Halta e Lilian si fecero
attente.
-Credevo lo
sapesse.- osservò stranita Sissy. -Ormai il Grandammiraglio è Sakazuki.-
Silenzio.
-Stai
scherzando?- la fulminò Caro.
-No
dottoressa, Akainu è il nuovo Grandammiraglio.-
-Allora
voglio parlare con Kuzan.- ovviò la scienziata.
-Veramente
ha… ha lasciato l’incarico…- balbettò la donnina.
-Allora
chiama immediatamente mio padre!! O è diventato un Drago Celeste e lo devo
cercare a Marijoa!?
-Nossignora,
vado subito.-
La segretaria
sparì nel corridoio e finalmente, ormai sola, Caro Vegapunk entrò con le due
ragazze nell’hangar.
-Ecco.- mostrò
loro. -Lo riconosci?- domandò a Lilian.
-Scherzi?-
sorrise lei. -È il Canadair di Charlie.-
Intanto i due
figli di Barbabianca stavano tornando a Korom Island.
-C’è odore
di… Cola in giro?- osservò stranito Rakuyou
giocherellando con i cerchi d’oro alle orecchie e scendendo dalla prua della
Castle all’entrata della piccola cabina, sul ponte di poppa.
-Non ci
crederai mai.- spiegò il fratello al timone, girandosi appena. -Ma questa barca
va a Coca-Cola.-
-Ahahah, ma
dai! Sei serio?-
-Guarda qui
sotto.- lo sfidò Ace allungando un piede e battendolo su una botola che
sembrava condurre nel punto più profondo della nave.
Il Settimo
Comandante, con gli occhi pieni d’incredulità, aprì lo sportello che gli veniva
indicato e trovò decine e decine di bottiglioni pieni della bevanda gasata e
dolce.
-Sicuro che
non se le scoli la piccoletta!?- esclamò scherzoso.
-No no! Ha
fatto amicizia con un tizio a Barjimoa, mi ha raccontato. Un vagabondo che vive
nei vecchi laboratori dei Vegapunk, e questo le ha messo un motore alimentato a
Coca-Cola.- spiegò Portuguese.
-“Vagabondo”
un corno allora! Bell’idea… economica e facilmente reperibile.- osservò il
biondo richiudendo la stiva. Poi si guardò attorno osservando l’interno della
Castle. -Era del babbo… molti anni prima che arrivassi tu, la usava ancora sai?
Non era ancora così alto, anche se per entrare qui dentro doveva chinarsi.-
ricordò con un sorriso e gli occhi velati.
Ace si sforzò
di sorridere, ma strinse solo più forte il timone. Il timone manovrato dalle
mani forti e possenti di Newgate, poi da quelle minute ma tenaci di Lilì, ora
dalle sue, serrate dallo sconforto, con le nocche bianche.
-Meno male
che qualcosa di papà è rimasta in mare… gli farebbe piacere saperlo.- affermò
l’uomo alle sue spalle.
I due uomini
rimasero in silenzio per lunghi minuti, un silenzio pesante e grave. Rakuyou
sapeva di aver toccato un tasto dolorosissimo per il fratello.
-È morto.- sussurrò
lugubre Ace.
-È ancora con
noi.- lo contraddisse Rakuyou posandogli una mano sporca e calda sulla spalla.
-Vive nei nostri tatuaggi, in quello che ricordiamo di lui, in quello che
racconteremo. Non lasciare che Teach cancelli quello che lui ha costruito,
quello che noi siamo non morirà mai. Il
nome di quest’epoca è Barbabianca, fratellino. -
Dietro le quinte: una lettera inviata da Alexandra Bay
Cara mamma, caro papà,
Sono Lilian. Sono viva, sto bene, mangio tanto e
faccio la cacca.
Lo so che avete letto il giornale, e che sapete quello
che è successo a Marineford. Mi dispiace di avervi fatto preoccupare così
tanto, davvero. E lo so che probabilmente non eravate così contrari
all’esecuzione di un pirata, o almeno non così contrari da mandare vostra
figlia a salvarlo. Quel pirata, Portuguese D. Ace, mi ha in più
occasioni salvato la vita, e non solo a me, anche a dei bambini (non miei). Mi
è stato vicino in momenti che non auguro a nessuno. Ho solo deciso che non sarei
rimasta ferma a guardarlo morire, il resto è venuto da sé.
Appena mamma smetterà di dare i numeri per questa
lettera, dirà che mi sono giocata la vita e la carriera con questo bello
scherzo! È vero. Ma avevo motivi validi che voi condividereste, e anche se mi
dispiace non dirò altro: non so se questa lettera sarà intercettata, quindi non
posso dire nulla di specifico o che riguardi dove sono stata e dove sono. Stessa
cosa vale per informazioni che la Marina non vorrebbe che divulgassi, e
provarci sarebbe un esperimento azzardato, non voglio che questa missiva
non arrivi.
Al momento mi trovo con persone meravigliose che mi
fanno sentire l’affetto di una vera famiglia, quasi come voi. Non
preoccupatevi troppo. Non sono sola e non sono entrata in giri di compagnie
pericolose: niente droga, schiavismo o prostituzione. Rimane solo una strada escluse queste. Ed escluse quelle per le quali serve una fedina penale pulita.
Cercherò di scrivervi quando posso, ma non tocco terra
molto spesso e ancor meno spesso entro in centri abitati. Sono ricercata,
ricordate?
Scusatemi per tutte le angosce che vi ho dato e che
continuerò a darvi con estrema convinzione. Cara mamma, lo sapevi che la Marina
non era la mia Rotta! Però ti ringrazio lo stesso perché pilotare un
aereo mi è servito.
Non a presto, ma nemmeno addio,
Lilian Rea
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Capitolo 34 *** Lezioni di volo ***
[zipedit] Lezioni di volo
Paul
Blackwood si affacciò pensoso alla finestra della sua camera da letto in
un’isola perduta del Nuovo Mondo. Con gli occhi sottili accarezzò la foresta
che cresceva ribelle e verdissima sotto di lui, valicava le mura in rovina del
castello, gli arbusti si arrampicavano anche sui bastioni e minacciavano di
soffocare le pietre scure.
Il vento gli
fece ondeggiare il soprabito bianco e riporre il cappello sul tavolino che
aveva lì di fianco; era inutile rischiare di farlo volare via e poi sprecare
tempo ed energie per recuperarlo.
Sospirò
affondando le mani nelle tasche e guardando il mare grigio davanti a lui. Era
un’alba rosa su quell’isola autunnale e i suoi rumorosi, scomodi, ingombranti
eppure fortissimi alleati ancora non si erano svegliati, ancora non avevano
cominciato a far risuonare di litigi e risate i vetusti resti in cui si erano
accampati.
Lilian Rea
Yaeger, si trovò a pensare. All’inizio del suo piano non avrebbe mai pensato
che sarebbe stata lei quella difficile da prendere. Non solo aveva scoperto
troppo prima del tempo e aveva preso il volo prima che lui avesse il tempo di
capire che era scappata, ma era stata anche più lesta e più brava (o
fortunata?) di lui a scegliersi gli alleati.
Aveva dovuto
liquidarli, per evitare che gli si scagliassero contro. Edward Newgate!,
sorrise. Aveva dovuto far uccidere l’Imperatore Bianco, pur di prendere la sua
cavia. Gli occhi di Van Ooger quando gli aveva messo in mano i proiettili di
agalmatolite erano da fotografare: un bambino in un negozio di caramelle. E
dire che era un tipo imperturbabile! Ma evidentemente ognuno ha le proprie
passioni. Uno spettacolo interessante, quel cecchino che decimava in pochi
colpi ufficiali e reclute del pirata. Non che gli altri compagni di Teach
fossero da meno. A parte la marmaglia di Impel Down, decisamente grossolana per
i suoi gusti, c’erano soggetti interessanti. Lafitte sarebbe stato un alleato
perfetto, la sua perfidia non conosceva limiti. Era un pregio ma assieme un
tremendo difetto: rasentava la pazzia.
-BLACKWOOD!-
la porta della camera si spalancò e Paul si voltò appena a guardare Marshall D.
Teach che faceva il suo ingresso.
-Bussa,
Marshall.- lo ammonì l’aviatore senza scomporsi.
-Il tuo
scienziato dà i numeri un’altra volta! Dice che la signorinella non gli basta
più!!-
Oh, la dolce
Amelia Lehired. Segregata nelle vecchie cantine dove si spremevano le olive per
far l’olio e usata come cavia.
-Sapevo che
sarebbe arrivato il momento.- sussurrò Blackwood rimettendosi il cappello.
-Purtroppo per ottenere l’Anti-Ambizione totale servono le quattro cavie. Io ci
sono, Charles l’abbiamo spremuto, Amelia è arrivata al limite… manca l’ultimo
piccolo tassello.-
-Il tuo
tassello ha rotto il cazzo ai miei per settimane…! E continua ancora! Mi auguro
per te che la ricompensa sia adeguata.
Blackwood
sorrise sprezzante. -Sarà ben più che adeguata… un’Ambizione unica, adatta al
nuovo Re dei Pirati.- promise.
-Non crederai
di farmi fesso, damerino?- ringhiò Barbanera.
-In netta
minoranza? Mi credi stupido, Teach?- rispose Paul, calmissimo. -Completiamo gli
esperimenti su Amelia, poi ripartiremo a cercare la mocciosa.-
Non era
importante, in fondo, che Marshall D. Teach venisse messo a conoscenza del
fatto che l’Anti-Ambizione potesse essere sviluppata unicamente su Paul
Blackwood o su uno degli aviatori. Era già tanto se gli avesse permesso di
metter le mani su munizioni di agalmatolite.
Due ore dopo
l’arrivo delle tre donne, il Canadair decollò da Alexandra Bay con a bordo
Halta e Lilian, che avevano esaurito la loro rapida carriera come Marine. Halta
si tolse il cappellino d’ordinanza liberando il caschetto rossiccio.
-Me lo fai
vedere di nuovo?- chiese a Lilian che pilotava tranquilla.
-Certo, è
dietro, nella sacca blu. Guarda che l’ho messo sotto ai panini!-
Halta tornò
ad appollaiarsi al posto del co-pilota con una scatoletta di alluminio stretta
tra le mani. Aprì lo sportellino e ammirò un proiettile di medio calibro.
-Caro ha
detto che è unico.- mormorò la figlia di Barbabianca.
La scienziata
era riuscita dopo lunghi e segreti esperimenti a stabilizzare l’agalmatolite
liquida e ottenere quel proiettile, e saggiamente non ne aveva informato Paul
Blackwood. Purtroppo le sperimentazioni erano state lunghe, difficoltose e
assai dispendiose, tutto ciò che ne era risultato era quel singolo colpo. Caro
in quelle due ore nell’hangar e poi nel suo laboratorio privato l’aveva
modellato sul calibro della carabina Winchester di Lilian. C’erano cecchini
migliori di lei nella flotta di Barbabianca, però di costoro non si conoscevano
le armi e c’era il rischio di ottenere un proiettile adatto a nessun fucile.
«Tanto lo so
che giravi sempre attorno al poligono.» aveva detto la giovane Vegapunk. «E
comunque, non devi per forza mirare preciso al cuore o in mezzo agli occhi;
basta piazzarglielo in corpo, ci penseranno gli altri a finirlo.» aveva
vaticinato.
-Non uccide
il possessore di un Frutto del Diavolo, ma ne cancella per sempre gli effetti.
Sempre che non riesca a piazzarglielo nel cuore, ovviamente.- completò Rea. -Paul
fino ad adesso ha previsto tutte le nostre mosse, ma di questo proiettile
ignora l’esistenza. Dovrebbe darci un po’ di vantaggio.
-Non lo
sprecheremo.- affermò battagliero il Comandante.
-Toglieremo
dalle mani di Teach il Gura-Gura di tuo padre e il Dark-Dark che ha dato inizio
a tutta questa sporca storia.- promise Lilian.
-Vendicheremo
anche Satch.- ringhiò decisa la piratessa. -Ma sarebbe stato più comodo se
avesse potuto anche ucciderlo, come i prototipi.-
Rea ghignò
tetra e si calò gli occhiali da sole sul naso. -Così ci sarà più gusto a farlo
a pezzi.-
Intanto sulla
rena di Korom Island i carpentieri della flotta di Barbabianca avevano messo su
in poco tempo alcuni moli per le navi e per i Canadair e qualche baracca dove
ripararsi dal sole e dall’umido della notte.
La spiaggia e
la radura che precedeva il bosco erano diventate una sorta di città in
miniatura dei pirati: capannoni di rimesse, una mensa enorme, lenzuola stese ad
asciugare tra albero ed albero in lunghe file colorate profumate di detersivo. Per
evitare che a bordo si scatenassero pericolose epidemie, era preciso compito di
ogni comandante vigilare che si facesse spesso il bucato.
I Canadair di
Charlie e di Amelia erano ormeggiati alle due banchine opposte, grossi e bassi
con le ali gigantesche che si facevano strada tra i superbi velieri, alcuni dei
quali ancora provati dalle ultime battaglie. Ora che il piccolo drappello era
tornato da Alexandra Bay e le orecchie di Caro Vegapunk erano ben lontane,
potevano cominciare a lavorare ad una strategia per fermare Paul Blackwood e
vendicare Edward Newgate e i suoi figli.
L’aereo di
Amelia era chiuso e silenzioso, su quello di Charlie trafficavano
un’improbabile maestra e un solerte allievo.
-Perché
sobbalza quando premo qui?-
-Non mi ricordo,
me lo spiegò Caro anni fa. Se premi quel bottone, sobbalza. Punto. Prendila
così.
-Se la
“prendo così” non ci capisco niente!- protestò la Fenice. Lilian mugolò
desolata, Marco aveva ragione, ma lei una spiegazione scientifica non l’aveva e
non voleva rifilare all’uomo qualche panzana inventata al momento, senza
contare che lui l’avrebbe scoperta solo guardandola in faccia.
Non ci si
riusciva in nessun modo. Marco sospirò avvilito e Lilian si afflosciò come un
vecchio pupazzo di segatura sul sedile del co-pilota. Pilotare un Canadair non
era facile, e non c’era verso di imparare in pochi giorni, serviva tanta teoria
e ancor più pratica, ma il tempo non c’era né per l’una né per l’altra.
Sir
Crocodile, grazie a quell’unica lumacofonata concessagli da Marco, era riuscito
tramite i suoi informatori a scoprire dove fosse nascosto Paul Blackwood: Athenry Valley. Ormai tutto era pronto, il piano per attaccare era perfetto, ma senza
uno dei due aerei sarebbe stato meno efficace.
-Ancora
niente, uccellino?- disse ironico Crocodile guardando nella cabina di
pilotaggio attraverso il finestrino di Marco. La banchina era fatta in modo che
le assi di legno arrivassero fin sotto al portello, così che anche i possessori
dei Frutti del Diavolo potessero montare agilmente a bordo. Il Primo Comandante
lo fulminò con un’occhiataccia.
-Lontano da
qui col sigaro, la prego.- disse Lilian scendendo dal Canadair e sedendosi sul
molo accanto alla carlinga.
-Blackwood
non rimarrà fermo ancora a lungo.- l’ammonì Crocodile.
Lilian era
nervosa e delusa. Inizialmente si era sentita molto orgogliosa che il piano
usato da lei a Marineford, scaricare tonnellate d’acqua sui possessori dei
Frutti del Diavolo, fosse stato così apprezzato da decidere di replicarlo con
due aerei contro la nave di Barbanera, però per pilotare due Canadair servivano
due piloti, e al momento era disponibile solo lei. Allora Ace aveva proposto:
«Insegna a Marco! Tanto lui è la Fenice, già vola di suo, che ci vuole?»
Che ci vuole.
Ci vuole
tempo, teoria, un istruttore decente e tanta pratica, non era come andare in
bicicletta. E sebbene Marco si stesse impegnando tantissimo, sebbene si
sforzasse di ricordare tutte le funzioni delle levette e dei bottoni che
governavano il velivolo, non c’era verso; fase di rullaggio, di manovra, di
salita, decollare, atterrare, ammarare, salire di quota, scendere, scansare
eventuali ostacoli, era troppo da imparare in meno di due giorni, persino per
un uomo intelligente come lui. Rea cercava di non prendersela e di essere
paziente, perché sicuramente la Fenice si sentiva ancora più frustrata di lei
in quel momento. Meno male che il Primo Comandante non sembrava più scocciato
del solito: in fondo, non poteva fargli davvero piacere essere l’alunno di una
maestra che aveva quasi la metà dei suoi anni.
Erano almeno
due ore che Lilian spiegava e Marco eseguiva, e gli stava solo spiegando come
far avanzare l’aereo sull’acqua senza nemmeno alzarsi in volo.
-Ricominciamo?-
chiese mesto il biondo affacciandosi dall’aereo e guardando Lilian.
-Un quarto
d’ora di pausa, Marco. Tanto, non ci cambia la vita.- disse immergendo i piedi nell’acqua
azzurro-verde del porticciolo improvvisato.
Rimanendo
seduta, si tolse la maglietta e il pantaloncino e scivolò nel mare, scomparendo
sott’acqua e riemergendo, sotto lo sguardo assorto di Crocodile e Marco, alcuni
metri più in là, verso riva, scansando gli ami dei pirati che pescavano e
beccandosi qualche imprecazione.
-Bisogna
prendere una decisione.- disse il Sir a Marco.
Il Primo
Comandante lo guardò infastidito, ma dovette dargli ragione. Non riusciva a
combinare niente su quel maledetto arnese volante, mentre il tempo stringeva.
Calò la notte
sull’isola, e i pirati di ronda si ritirarono nelle rispettive navi per montare
la guardia; anche se non era una rotta frequentata, abbassare la guardia
sarebbe stato da stupidi, e chi aveva l’Ambizione in modalità Percezione si
rese disponibile per monitorare le acque attorno all’accampamento; per la
Marina non sarebbe stata certo la prima volta organizzare un accerchiamento di
notte, a luci spente, ed era un’eventualità da sventare in ogni modo.
La parte
restante degli equipaggi invece sbarcò sulla spiaggia, attorno ad un falò fatto
ardere da Ace; la comodità del frutto Foco-Foco stava anche nel poter creare un
focolare in pochi secondi, senza raccogliere né legna né carbone. Marco, in un
gruppo sparuto di uomini che comprendeva i capitani e pochi altri, prese la
parola:
-Domani notte
partiremo per Athenry Valley. Useremo solo l’aereo di Lilian per neutralizzare
i possessori dei Frutti del Diavolo.
-Non c’è
stato verso, Marco?- mormorò delusa Halta.
-Purtroppo
no.- ammise la Fenice cupa. -Non ci sono riuscito.-
I compagni
rumoreggiarono delusi, ma senza addossargli alcuna colpa; Lilian l’aveva
spiegato da subito e con chiarezza che lei, con Caro Vegapunk come insegnante,
ci aveva messo più di un anno e mezzo perché le permettessero di alzarsi in
volo.
-Quindi
l’offensiva sarà lanciata solamente con il Canadair di Amelia.- spiegò Marco. -Invece
di un solo carico d’acqua ne farà due, così supplirà l’assenza del secondo
aereo.
-Si espone di
più al fuoco nemico però.- obiettò Fossa. -Quella sua diavoleria non copre il
rumore, giusto?-
-Più mi
espongo io, e meno voi avrete nemici da abbattere.- ribattè la ragazza, che
stava seduta in un angolo ad ascoltare i lupi di mare. -Barbanera ha con sé il
peggio di Impel Down, se riesco a neutralizzarli prima del vostro arrivo sarà
tanto di guadagnato.-
-Non andrai
da sola, Lilian.-
Una voce
stanca fece voltare tutti verso un unico punto: alcuni pirati lasciarono strada
e al cospetto di Marco comparve il malconcio Charlie, che camminava
appoggiandosi ad una stampella da un lato e la dottoressa Milly dall’altro.
Lilian si
alzò dal cantuccio e trottò verso il compagno di aviazione, sollecita. -Torna a
letto, Charlie, che ci fai qui?
-Piloterò il mio
Canadair per l’ultima volta.-
-Non ti
lascio muovere in queste condizioni…- disse la ragazza. -Andrà tutto bene, non
c’è bisogno che venga anche tu.-
-Hanno mia
sorella!- avversò il ragazzo, fermandosi per un attimo a riprendere fiato. -Non
posso rimanere qui mentre lei è in pericolo.-
-Stai troppo
male!- protestò Lilian.
-Mi resta
poco tempo!- le disse Charlie zittendola. -Sto per morire, Lilian. Fammi fare un’ultima
cosa.-
Rea prese
fiato per dire qualcosa, ma Marco le mise una mano sulla spalla e la
precedette. -Vieni con me, Charlie.- disse. Milly si fece da parte e il Primo
Comandante prese il suo posto nel sorreggere Charlie, che non riusciva nemmeno
a stare in piedi da solo.
Decisero di
partire la notte seguente; bisognava aspettare le tenebre per avvicinarsi
all’isola dov’era nascosto Paul Blackwood, se Lilian e Charlie erano in grado
di nascondere addirittura gli aerei, i Comandanti non potevano fare altrettanto
con le loro navi.
Alcuni
capitani tuttavia non furono molto d’accordo sulla sua partecipazione:
l’atmosfera era ancora pesante, la tragedia della morte di Edward Newgate era
ben lungi dall’essere superata e nell’aria c’era un sentore di lutto al quale
Lilian non apparteneva.
-Dovremmo
essere solo noi figli a portare a termine l’impresa.- avversò Curiel. -Nulla
contro di te, ragazza, ma è un affare di famiglia.-
-È a lei che
Blackwood dà la caccia! Nessuno ha più diritto di partecipare di lei!- la
difese Ace a spada tratta.
-Appunto,
Blackwood. Non Teach.- osservò calmo Namiur.
Inaspettatamente
fu Vista a prendere le difese della ragazza. -L’unico proiettile che può
fermare Teach è nel fucile della signorina.- disse obiettivo. -Un modello che
nessuno di voi ha, giusto?-
Non si levò
alcuna voce.
-Se volete.-
propose la ragazza, incoraggiata dall’autorità del Quinto Comandante -Potete usarlo
voi.- lo disse non senza una lieve difficoltà: certo, essere lei a piazzare il
proiettile in testa a Barbanera le sarebbe piaciuto, l’avrebbe riscattata dei
mesi di prigionia e soprattutto di quella colpa che si portava addosso, però
era anche una responsabilità enorme. E se avesse fallito? Inoltre, quello era
il suo fucile, l’arma che l’aveva sempre accompagnata e difesa da quando era
scappata dalla Marina; consegnarlo ad un’altra persona, seppur fidata, le dava un
certo fastidio.
Fossa, Izou e
Curiel fecero qualche tiro di prova con il Winchester, ma anche se tutti e tre
lo maneggiavano senza problemi, c’era comunque una leggera indecisione nel tiro
in confronto a Lilian, che adoperava quell’arma ormai da mesi e mesi, pratica
al punto da riuscire a colpire Garp da un aereo in volo. Anche Blenheim avrebbe
provato volentieri, ma le sue dita erano troppo grandi per premere il
grilletto, protetto dalla leva del caricatore.
Izou, esperto
in materia, consigliò di lasciare che fosse la ragazza a sparare; aveva più
probabilità di loro di fare centro, senza contare che era in grado di
eclissarsi completamente e sparire. Fossa le rimise in mano l’arma. -In questo
colpo ci sono tutti gli animi della mia famiglia.- ruggì basso, per non farsi
sentire da altri che da Rea. -Hai un solo tentativo.
L’aviatrice
afferrò il fucile, che rimase stretto tra la sua mano e quella ruvida del
pirata. -Allora basterà farlo fuori al primo colpo.- sorrise.
-Nemmeno per
sogno.- ringhiò il Secondo Comandante contro il fratello durante un’accesa
discussione in una delle sale della Phoenix.
-Ace,
rifletti per una volta! Siete gli unici due Rogia qui in mezzo, la punta di
diamante dell’attacco dovete essere voi!- ripetè Marco per l’ennesima volta.
-E Jaws?-
ribattè il pirata.
-Lui è un
Paramisha.- spiegò paziente Atomos prendendo le difese di “Diamond”. -E
comunque, lui deve correre a prendere Amelia.- il Terzo Comandante sorrise
fiero, ma fu solo per un istante; poi tornò subito accigliato e agguerrito.
Crocodile
fumava in disparte con Bornes accanto, sfoggiando un sorriso canzonatorio. Il
moccioso aveva reagito malissimo, esattamente come si aspettava; il gallinaccio
azzurro si era rivelato invece un buon alleato: aveva abbastanza cervello da
convenire che certe strategie, seppur partorite proprio dal famigerato Sir
Crocodile, non erano da scartare, e faceva da intermediario tra lui e i
fratelli.
Ma Pugno di
Fuoco continuava a vomitare collera, finchè l’uomo di sabbia non aveva smesso
di ghignare e si era avvicinato maestosamente al ragazzo. -Ehi, moccioso.- lo
richiamò. -Basta. L’ultima Banaro ci ha portati dritti a Marineford, e
preferisco evitare.-
-Liquidare
Teach è unicamen- Ace svenne senza riuscire a terminare la frase, accasciandosi
al suolo poco distante dall’ex flottaro che però, seppur sorpreso, non si
abbassò certo a raccoglierlo. Gli altri Comandanti lo degnarono appena di uno
sguardo, abituati a simili spettacoli.
-Salperemo
stanotte.- dispose Vista, leggendo il suo orologio da taschino. -Gli aerei
quanto ci metteranno ad arrivare?-
Un sonoro
russare proveniva dal pavimento.
-Yaeger ha
parlato di venti minuti al massimo.- rumoreggiò Namiur.
-Frustrante,
a noi servono ore!- sorrise amaro Rakuyou scuotendo la testa, appoggiandosi ad
una parete e mettendo le mani nelle tasche del soprabito bianco. Lilian avrebbe
portato tutti a bordo dell’aereo, ma il numero e la stazza di alcuni capitani
impediva categoricamente l’ingresso in cabina.
Kingdew, il
Comandante dal caschetto biondo, afferrò Pugno di Fuoco per un piede e lo
trascinò al margine della stanza, perché era crollato nel mondo dei sogni
giusto al centro e ingombrava il passaggio. -Non ci badi, è narcolettico.-
spiegò all’ospite che lo guardava schifato.
Un tramonto
rosso e oro chiudeva quella giornata tiepida e apriva una serata di
preparativi; tutte le navi superstiti di Marineford e di Foodvalten avrebbero
attaccato il covo di Blackwood, ma la forza d’attacco principale sarebbe stata
nelle mani dei quindici capitani. Alcune delle navi sarebbero poi state
schierate a difesa dell’isola per prendere in contropiede l’arrivo di eventuali
rinforzi.
I Canadair,
“bombardieri d’acqua” avrebbero dato il calcio d’inizio all’operazione mettendo
fuori combattimento l’ammiraglia di Barbanera e chi aveva a bordo; trovarla nel
buio, con la strumentazione dell’aereo di Amelia, non sarebbe stato un
problema.
Ace si
svegliò di botto e notò che non solo tutti i suoi fratelli erano andati via, ma
era anche ora di cena, come gli ricordava il suo stomaco che gli stava facendo
un gran discorso in proposito in una lingua tutta sua.
Si stirò come
un gatto e raccolse il suo cappello che qualche anima pia gli aveva messo
vicino. Si sfregò gli occhi poi con uno scatto di reni si alzò in piedi e
s’incamminò verso la cucina.
Distrutte
tutte le portate che aveva davanti, si guardò attorno. -Non c’è Lilì?- domandò
a Namiur, l’uomo-pesce seduto vicino a lui. Ormai era abbastanza sicuro che non
sarebbe scappata più, però la ragazza non aveva abbandonato quel vizio di
eclissarsi a piacimento, e la Contro-Ambizione non c’entrava. Semplicemente,
ora era accanto a te e un minuto dopo era sott’acqua, o ad esplorare una
grotta, o a cincischiare in un aereo. “Hai
l’aria di una che sparisce facilmente”, le aveva detto quando ancora erano
ospiti di Trafalgar Law, e anche se all’epoca non poteva sapere quanto vera
fosse quella frase, mai definizione per Lilian Rea Yaeger era più azzeccata. A
quanto pareva aveva davvero una capacità innata di non farsi notare, seppur
spesso nascosta dalla personalità focosa e un po’ stravagante.
-Era qui in
giro stamattina.- rispose l’Ottavo Comandante. -Starà nel suo gozzo. Non ti
addormentare sul ponticello!- gridò al fratello che si allontanava prendendolo
in giro. Ace alzò la mano in segno di aver capito e si calzò il cappello sulla
testa mentre usciva dalla sala.
Il sole era
diventato un disco arancio scintillante che s’immergeva nel mare a ponente, e
l’aria fredda della sera calava rapida sull’isola. Fosse stata una zona estiva,
Ace non avrebbe avuto dubbi: Lilì sarebbe stata sulla spiaggia ad ovest,
intenta a fare un bagno in mare con l’ultima briciola di giorno che aveva. Ma
siccome il clima era primaverile lì e l’acqua era gelida, avrebbe potuto essere
ovunque, così controllò prima sui Canadair e poi si diresse alla Castle.
Mano a mano
che si avvicinava al molo dov’era ormeggiata sentiva sempre più forte il suono
della chitarra della ragazza. Trovata. Lilì non lo vedeva e lui non vedeva lei,
doveva essersi seduta a prua, sull’argano, mentre per scendere sul molo la
barca offriva la poppa. La Castle dondolava appena nell’acqua calma
dell’insenatura.
Il ragazzo sorrise,
affondò le mani nelle tasche e rimase un po’ sulla banchina a sentire quel
piccolo concerto.
SOL MIm
«…la canzone che io so
SOL MIm e che mai mi scorderò!
MIm DO
Viva Binks e il suo liquor,
SIm RE7 SOL
d'amore un elisir…»
Povero
liquore di Binks, pensò Ace. Doveva aver conosciuto chitarre accordate meglio. Aspettò
che le corde smettessero di vibrare e con un salto superò il ponticello che
collegava la Castle al molo, atterrando sul piccolo ponte posteriore.
-Ace? sei
tu?- trillò Lilian, riconoscendo il passo.
-Pronta per
stanotte?- sorrise il pirata.
-Eccome!- scherzò
la ragazza. -Mi tirerò la coperta sopra la testa e aspetterò che sia tutto
finito!
-Vorresti
perderti la gazzarra?- ghignò scanzonato facendosi schioccare le nocche.
-Io ho sonno
adesso, immagino come sarò ridotta tra qualche ora.- sbadigliò lei. -Qui fa
fresco, entriamo in coperta che si sta meglio.- disse stringendosi nel
maglioncino di Caro.
-Hai freddo?-
chiese preoccupato il pirata sedendosi accanto a lei sulla grande cuccetta e
cingendole le spalle con un braccio. Lilian lo strinse a sua volta, beandosi
del calore che emanava come un gatto col termosifone.
-Adesso no!-
rispose godereccia.
-Ehi, mi hai preso per un camino?- ghignò Pugno di Fuoco.
-Ogni tanto
faccio confusione.
Ace
ridacchiando si stese sul materasso e la trascinò con lui, stringendola
protettivo. Lei era minuta in confronto al suo largo petto, le mani erano esili
rispetto alle sue, forgiate dalle risse e alimentate dal frutto Foco-Foco, i
piedi erano così freddi che il pirata rabbrividì nel sentirli premere contro le
sue gambe, ma nonostante questo li prese fra i suoi polpacci, lasciando che si
riscaldassero.
Lilì chiuse
gli occhi, si strinse di più al suo torace spostando col naso le perle rosse e
lucide della collana, accarezzò il tatuaggio di Barbabianca sulle spalle
atletiche del ragazzo. Da un lato era esaltata da quell’impresa, che avrebbe
chiuso per sempre quel raccapricciante capitolo della sua vita intitolato a
Marshall D. Teach, avrebbe sconfitto Paul Blackwood. Dall’altro però non voleva
rivederli, una voce piccola piccola nella sua testa le consigliava di mettere
più chilometri che poteva tra lei e quei mostri. Quella voce diventava sempre
più prepotente man mano che il mattino si avvicinava. Solo il pensiero di
liberare Amelia e distribuire piombo a Paul e Teach la spingeva stoicamente
avanti.
Lei respirò
pesantemente. -Ho paura.- confessò con vergogna senza alzare lo sguardo su
quello del pirata. -E se cattura anche me? Non voglio tornare… nella nave di
Teach.- aggiunse a fatica.
Ace l’abbracciò
con trasporto. Davanti agli altri suoi fratelli era risoluta e decisa, seria
come si conviene ad un pilota della Marina, un cecchino preciso, coraggiosa
fino alla stupidità, fino a sfidare Doflamingo, e lui ne era orgoglioso. Con
lei la vita era stata decisamente più generosa che con la maggior parte della
gente che aveva attorno, e in virtù di questo Rea metteva a tacere qualsiasi
debolezza.
-Lo so che è
stato difficile, Lilì…- cominciò comprensivo il ragazzo.
-No! Scusami,
non volevo…- si pentì Rea. -Tu sei sopravvissuto ad Impel Down.- gli disse,
triste e ammirata al contempo. -Hanno cercato di cancellarti il tatuaggio di
tuo padre a frustate, a me… a me hanno tagliato i capelli! Non ti sembra quasi
divertente?- e si mise a ridere davvero, isterica, poi serrò la mandibola e
cercò di incastrare il suo pianto fra i denti per non farlo uscire.
Era stato disumano,
laggiù al Livello 6, persino per un pirata del calibro di Portuguese D. Ace. Notti
che inseguivano giorni sempre uguali, scanditi da torture cruente, insulti,
umiliazioni. Momenti di buio in cui aveva desiderato morire, di non essere mai
nato. Gli succedeva ancora di sognare quelle ore di sangue nella torre sommersa,
e di svegliarsi di soprassalto. Certe sere dopo la morte di Barbabianca Lilì,
nonostante avesse il proprio letto nella Castle, andava a dormire con lui per
non lasciarlo solo in un letto troppo vuoto e troppo freddo. Lei sapeva quanto
terribili potessero diventare i bei ricordi, quando tutti dormivano e nei
corridoi delle navi c’era solo un’irreale silenzio che faceva persino male ai
timpani. Le memorie si insinuavano nel cuore impedendo di riposare, annebbiando
la mente con dolorosi rimpianti e spingendo via il sonno. Si aveva la
sensazione di essere incatenati con le lenzuola alla realtà.
Ma Ace non si
era dimenticato che quella stessa ragazza che nel buio lo cullava e lo
accarezzava quando si svegliava sudato e ansante era stata pur sempre
prigioniera su una nave di uomini violenti. Anche lei era stata picchiata,
derisa, mortificata in ogni modo. A lui il tatuaggio l’avevano quasi scorticato
via, a lei invece l’avevano inciso sulle spalle. Aveva visto Lafitte picchiarla
fino a farla svenire, aveva visto Ooger spararle addosso mentre cercava di
salvarlo, aveva visto Teach sollevarla per il collo e prenderla a calci davanti
a lui, Lilì voleva minimizzare e spostare l’attenzione da quello che aveva
passato, ma stavolta doveva lasciare che fosse lui a consolarla e rassicurarla.
Le accarezzò
i capelli, coccolandola come una bambina spaventata.
-Tranquilla. Non
permetterò a nessuno di portarti via.- le promise.
Dietro le quinte... Ciao a tutti! Non posso dilungarmi molto... sono con una connessione abbastanza precaria (ecco perché ho anche alcune recensioni in sospeso... perdono!!)! Spero che questo capitolo vi piaccia :3 mi sono permessa di mettere allo scoperto il post-Impel Down & Foodvalten di Ace, spero non lo troviate troppo melodrammatico o esagerato... insomma, Secondo Ufficiale di Barbabianca a parte, è un ragazzo di vent'anni che ne ha passate fin troppe in pochi mesi. Vi lascio al box bianco delle recensioni ;) un bacione, Yellow Canadair che-va-di-fretta-e-speriamo-che-la-linea-non-cada
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Capitolo 35 *** I fratelli Lehired ***
I fratelli Lehired
Mezzanotte
a Korom Island, i preparativi per partire erano quasi ultimati e i pirati
avevano organizzato le squadre che sarebbero andate all’attacco, quelle
destinate alla difesa e quelle che, a malincuore, sarebbero rimaste a presidiare
l’isola.
Sir
Crocodile, sorvegliato a vista da un paio di pirati, fumava pensieroso il suo
sigaro seduto vicino al piccolo bar improvvisato sulla spiaggia; in realtà non
era altro che un misero tavolo di legno dietro al quale alcuni pirati di Ottava
e Undicesima divisione avevano radunato un bel po’ di liquori per preparare
cocktail con ciò che trovavano in giro.
Accanto
aveva il fido Bornes, che sorseggiava un alcolico forte appoggiato al bancone
in tutta tranquillità. Loro non si facevano certo coinvolgere nei preparativi,
e rimanevano quieti a guardare i filibustieri che sfaccendavano a terra e sulle
navi, alzando lo sguardo con sufficienza quando qualcuno di quegli uomini si
azzuffava con un fratello.
Lilian
aveva ultimato tutti i preparativi sui Canadair e fatto anche le prove di
trasmissione di radio e lumacofoni, messo in ordine le attrezzature, pulito i
finestrini, rassettato le mappe, lavato l’abitacolo e messo a punto
l’equipaggiamento di primo soccorso presente a bordo. Ad aiutarla c’era stato
Curiel, l’artificiere; perché riempire i Canadair di acqua, aveva detto, quando
li si può riempire di bombe?
Gli
occhi di Lilian a quelle parole si erano illuminati come quelli dei bambini la
mattina di Natale; bombe! Se l’acqua avrebbe fermato i possessori di frutti del
Diavolo, le bombe li avrebbero polverizzati! E l’idea di una versione esplosiva
di Marineford la seduceva come il canto di una sirena.
-Non
risultano esserci rogia, tra loro.-
aveva osservato l’uomo aggiustandosi le lenti dalla spessa montatura. -Quindi
possiamo farli esplodere tranquillamente. Ed eviteremo che qualcuno fugga
dall’isola.-
-È
da pazzi! Le vuoi riempire l’aereo di bombe!? E se poi se ne incastra una nel
serbatoio? Boom!- osteggiò Namiur aprendo di scatto i pugni per render meglio
l’idea.
-Te
la senti di bombardare la Black Fever?- le chiese l’uomo.
-Un
casino totale.- aveva sussurrato Lilian guardando ammirata il Decimo Capitano.
-Mi piace.-
Adesso
poteva decisamente prendersi qualche minuto di pausa nell’attesa che gli altri
fossero pronti a partire.
Das
Bornes la guardò annoiato mentre si arrampicava maldestra su uno degli sgabelli
alti del bar improvvisato; era così goffa che persino Crocodile si girò nella
sua direzione.
-Ciao
aviatore!- la salutò uno dei pirati che lavoravano al bancone. -Vuoi qualcosa?-
-Il
solito.- fece la ragazza mettendo sul fasciame un paio di monete brillanti. Il
filibustiere le prese e cominciò a trafficare con gli alcolici: quello che
aveva chiesto Lilian era un miscuglio di aranciata, amaro, Cointreau e poco
altro. Le piaceva immensamente, anche se le dava un po’ alla testa.
-Servite
alcolici ai minori, qui?- chiese Crocodile ironico al pirata che preparava il
cocktail.
-Non
sono così piccola.- mormorò Lilian arrossendo. Voleva bere qualcosa dopo aver
lavorato ed era andata dritta filata a quel bar, il fatto che ci fosse anche il
vecchio flottaro non l’aveva né spinta né fatta desistere dal suo proposito.
Solo, sapeva che non avrebbe potuto bere in santa pace senza essere tormentata
da quella sua assurda timidezza che la coglieva ogni volta che l’uomo posava i
suoi occhi gelidi e dorati su di sé. Non era la prima persona che la squadrava
con disprezzo o con schifo o sarcasticamente, però era la prima che la metteva
così in imbarazzo da parecchio tempo.
Decise
di mostrarsi professionale, chiedendo una cosa che in effetti non aveva ancora
capito e che le sarebbe servito parecchio sapere: -Che genere di isola è quella
dove s’è nascosto Paul?-
Crocodile
aspirò una boccata dal suo sigaro e pensò che la mocciosa avesse tutte le
ragioni per porgli un quesito simile; lui era pur sempre la fonte primaria di
informazioni, lì in mezzo, ed era stato lui ad indicare la destinazione finale
dell’operazione. Non aveva niente da fare, non ci perdeva niente ad insegnare
allo scarafaggio un po’ di geografia. Squadrò sprezzante la ragazza che beveva
il proprio cocktail arancione con una cannuccia alla luce delle candele che
ornavano il banco, ghignò guardando sovrappensiero il suo bicchiere di brandy e
cominciò a spiegare.
-Si
chiama Athenry Valley.- disse voltandosi verso la ragazza e appoggiandosi
l’uncino sulla gamba. -Un’isola autunnale, fredda. La sua forma ricorda una elle, al centro c’è un castello in
rovina e intorno una foresta. L’unico lato accessibile alle navi è la baia sud,
tra i due promontori.-
-Marco
me l’aveva accennato.- confermò Lilian.
-Nel
castello ci puoi entrare soltanto dall’entrata principale, io, te, Bornes e il
ragazzo passeremo di là. C’è un secondo accesso dalla scogliera a nord, da una
scaletta nella roccia, ma è difficile avvicinarsi e non è adatta ad uno sbarco
in massa.
-Dove
entrerà la squadra che recupererà Amelia.- completò Rea, attenta alla
spiegazione.
-Esatto.-
le concesse Crocodile. -Invece Blackwood mirerà a portare con sé i risultati
della ricerca, forse Caesar Clown, e scappare. Noi glielo impediremo assediando
il castello di notte e bloccando le uscite.-
-L’effetto
sorpresa.- sospirò Lilian.
-L’originalissimo
effetto sorpresa.- confermò con ironia l’uomo.
-Come
ha fatto ad ottenere queste informazioni sulle condizioni del castello?-
domandò la ragazza, inaspettatamente. -Qualcuno dei suoi ha raggiunto l’isola?-
-Non
siamo tanto scemi da mettere in allarme Blackwood in maniera così
sconsiderata.- soffiò irritato l’ex-flottaro. -Una volta scoperta l’isola, è
bastato cercare cosa fosse successo durante gli ultimi anni di vita del
castello per ottenere tutte le informazioni sulla sua struttura e sulle zone
crollate. E le cimici come te non dovrebbero bere così tanto.- la guardò infastidito,
facendola arrossire per l’ennesima volta.
La
mocciosa era un po’ nervosa, ma non sembrava avere paura. Meglio così,
considerò l’uomo. Addentrarsi in quel castello in rovina con Portuguese era già
seccante, ma trascinarsi dietro una donnicciola isterica o piagnucolante per il
panico sarebbe stato anche peggio.
In
quel momento, quasi si fosse sentito chiamare nei pensieri di Sir Crocodile, il
Secondo Capitano comparve sul molo dov’era ormeggiata la Seagreen Phoenix.
-A
dopo.- Rea salutò educatamente l’uomo dall’uncino d’oro e andò incontro al
ragazzo.
-Siamo
quasi pronti.- le sorrise gentile il pirata. -Ci vediamo ad Athenry Valley!- la
salutò.
Uno
dei Capitani si avvicinò alla coppia. -Ciao, aviatore!- esclamò cordiale; l’aspetto
era vagamente inquietante e Lilian si ricordò di non aver mai parlato con lui.
Si trattava di Blamenco, il Sesto Comandante, “Eta Beta”, come lo
soprannominavano i fratelli. A causa del Frutto che aveva mangiato infatti gli
erano spuntate due tasche ai lati del collo, che a dispetto delle dimensioni
avevano la capienza di un hangar.
-Ace,
hai dimenticato questo.- disse a Pugno di Fuoco pescando da uno delle sue
tasche il grande cappello arancione. -L’avevi lasciato in sartoria. Se ti si
scuciono di nuovo gli smiley puoi usare queste, così almeno non li perdi.-
spiegò, estraendo anche qualche spilla da balia dorata.
Il
Secondo Comandante sorrise e ringraziò il fratello, e Lilian fu colta da
un’idea. Approfittando che Blamenco non fosse ancora andato via, gli si
avvicinò timidamente e gli chiese una cosa in gran segreto all’orecchio. Il
Comandante, chinandosi, l’ascoltò.
-Lo
faresti sul serio?- gli si illuminarono gli occhi.
-Che
cosa?- intervenne Ace.
-Certo.-
sorrise Lilian. -Allora?- lo incalzò.
-Ne
ho una. Devo vedere dove l’ho messa! Però te la farò avere prima di partire.-
promise il pirata.
-Sarà
abbastanza grande?- si informò la ragazza.
-È
almeno cinque metri di lato!- rispose Blamenco allargando le braccia.
-Ma
che cosa?- insistette Pugno di Fuoco.
-Niente!-
sorrisero i due, già amici e già complici. Poi il Sesto Capitano tornò verso la
propria nave per cercare con tranquillità ciò che la ragazza gli aveva
richiesto.
Prima
che Curiel se ne andasse sul suo veliero però, Marco guardando le cuffie che il
fratello teneva sempre in testa per sentire la radio, ebbe l’ottima idea di
adattare lo stesso sistema per i lumacofoni.
-Fa’
mettere due lumacofoni sui Canadair.- ordinò la Fenice. -Ce la fai a collegare
un lumacofono ad una cuffia come la tua e farlo indossare da Lilian e da
Charlie?-
-Posso
fare tutto.- rispose il Decimo Comandante, quasi offendendosi del fatto che
Marco avesse dubitato delle sue capacità. -E ne darò uno anche a te,
miscredente!- concluse con una risata bassa. -Baby lumacofono o lumacofono
normale?- si premurò di chiedere prima di mettersi a lavoro.
-Baby.-
rispose svelto Marco. -È meno ingombrante, visto che se lo metterà in tasca.-
-La
trasmissione radio tra i due aerei però la lascio com’è.
I
pirati salparono e Lilian andò a tener compagnia a Charlie che ormai si stava
lentamente spegnendo: le infermiere stavano tentando l’impossibile, ma i
monitor davano risultati peggiori ad ogni due ore finché il ragazzo, triste,
non aveva chiesto loro di smettere di sfornare referti dodici volte al giorno.
-Mi
fanno diventare matto.- sorrise debolmente a Lilian dal letto in cui era
immobile. -Caro diceva sempre che quando si pilota… bisogna rimanere lucidi, ti
ricordi? Ci ingozzava di caffè quando facevamo le ore piccole!-
-Non
farlo, ti prego.- tentò ancora di convincerlo Lilian. -Posso farlo da sola, lo
sai. Possiamo usare bombe più potenti.-
-“Faccio
io, faccio io”- cantilenò il ragazzo. -Stai ferma, una buona volta... fai fare
qualcosa agli altri. Se non fossero tutti così battaglieri tu andresti da Paul
tutta sola, confessa!-
Lilian
sbuffò, sorridendo. Oh sì che ci andrebbe. Sparando all’impazzata e gridando
come un’ossessa, ma alla Tomba di Barbabianca non si era rivelata una grande
strategia. Se non fosse stato per Sir Crocodile e Bornes, sarebbe già sotto i
ferri di Caesar da un pezzo, e se Ace avesse voluto salvarla non avrebbe avuto
uno straccio di indizio da cui partire.
-Persino
Curiel ha paura di usare esplosivi troppo forti con noi a bordo… meglio
distribuire le bombe su due aerei…- mormorò il ragazzo.
Lilian
gli prese una mano, assorta, cercando di nascondere le lacrime. Non voleva che
Charlie la vedesse piangere, se ne stava andando fin troppo velocemente e
stavolta non sarebbe bastato sparare a Garp e far la doccia ad Akainu per
impedirlo.
Quattro
del mattino. Ancora buio.
Lilian
e Charlie, nel Canadair del ragazzo, fissavano il lumacofono in attesa del
segnale da parte di Marco. Con loro in cabina c’erano due dottoresse, Molly e
Cassandra, e due pirati di Settima e Dodicesima divisione che avevano aiutato
le donne a trasportare il pilota fin lì.
Charlie
era seduto al suo posto di guida, adagiato su un cuscino e con un’onnipresente
ago nella vena destra, appeso al gancio che sarebbe stato destinato alla
giacca.
-Se
hai qualche problema, comunicamelo subito via radio.- gli ordinò l’aviatrice.
-Anzi, chiama Marco. Ti viene a prendere in volo e ti porta fuori di qui.-
-Non
ti preoccupare…- cercò di rassicurarla Lehired con un sorriso smorzato dal
dolore. Cassandra gli asciugò il sudore che gli imperlava la fronte.
-Lascia
che venga almeno Molly, con te.- lo pregò Rea.
-Nessuno.
Sono aviatore…- una fitta. -Sono aviatore quanto te, Lilian.-
Lei
soffiò tra i denti la propria frustrazione.
Il
lumacofono accanto a loro trasformò le sopracciglia in due arcate perfette e
cominciò a trillare.
I
pirati di Barbabianca si avvicinarono da ovest all’isola per avere il favore
delle tenebre.
Namiur,
il Capitano uomo-pesce, scese lungo la fiancata del suo vascello, si immerse
nel mare profondo e nuotò in immersione fino a raggiungere quasi l’imboccatura
della baia. Sporse la testa oltre il pelo dell’acqua e, nascosto dai flutti, al
chiarore della falce di luna che si celava beffarda fra gli squarci lasciati da
pesanti nuvole, riuscì ad intuire il profilo dell’isola, la rocca fatiscente
del castello, il pizzicore dell’aria autunnale e capì di essere arrivato a
destinazione. Un’imponente veliero dallo scafo formato da tre alberi uniti a
formare un’enorme zattera era ancorato nell’antico porto, e batteva bandiera
dal triplice teschio. Ringhiò basso verso l’imbarcazione dell’assassino di suo
padre e s’inabissò.
Tornò
sul proprio vascello comunicò ai fratelli tramite il lumacofono: -Siamo
arrivati. Nessuna luce salvo una nel castello. La nave di Teach è nel porto.-
Marco
annunciò di rimando dopo un paio di minuti: -Lilian e Charlie pronti al
decollo. Capitani, pronti a partire al mio segnale.-
Ace
si mosse sul cassero, irrequieto. Non vedeva l’ora di menar le mani e si
rigirava tra le mani il suo coltello; uno sguardo della Fenice fu più che
sufficiente per farlo desistere dal conficcarlo nel legno del parapetto.
Crocodile
rimaneva nei pressi del Primo Comandante, a carpire ogni informazione di quei
suoi strani alleati. Das Bornes gli faceva da scorta, e nessun pirata si
azzardava ad interagire con la coppia.
-Lilian,
ci sei?- domandò Marco al ricevitore.
Un
attimo di silenzio. Ace trattenne il fiato affacciato alla balaustra del ponte
di poppa, ansioso. Poi, finalmente, la voce: «Ti sento forte e chiaro, Marco!
Decollo regolare da Korom Island, Charlie mi segue a duecentocinquanta metri di
distanza, visibilità zero, altezza seicento metri!» recitò.
-Che
vuol dire “visibilità zero”?- chiese immediatamente Ace.
-Che
è ancora notte e non vede niente, rilassati.- rispose Vista. -Giusto, Lilian?-
«Esatto,
Capitano!» confermò la ragazza. «Ma il Canadair di Amelia è costruito per le
ricognizioni in notturna. Saremo da voi tra un quarto d’ora al massimo.» in
sottofondo c’era il rumore dei motori dell’aereo.
Marco
chiuse la lumacofonata e aggiornò i vascelli alla fonda accanto al suo della
situazione; in breve tutti i Comandanti seppero che dovevano tenersi pronti: in
quindici minuti sarebbe cominciata l’operazione.
Ben presto si cominciò a sentire in lontananza il rombo dei
Pratt & Whitney. Più di un sorriso impavido e impaziente si fece strada tra
i volti rudi e barbuti dei pirati. All’orizzonte comparvero le luci
lampeggianti rosse e verdi delle ali dell’aereo di Lilian, e subito dopo di
quello di Charlie.
-Non ha messo la Contro-Ambizione.- notò Ace.
-È inutile.- rispose Crocodile. -Blackwood li vede comunque.-
Eccoli, gli aerei in avvicinamento con il loro assordante
fragore sorvolarono i vascelli, illuminati dalle proprie luci di posizione.
Vedendosi passare sulle teste il Canadair guidato da Lilian però i pirati
trattennero a stento un boato di giubilo, che sarebbe sfociato in un applauso
sfrenato quando la ragazza virò sfilando davanti ai velieri, quasi ad offrire
il proprio spettacolo: legata alla coda dell’aereo infatti sventolava fiera una
bandiera nera dall’inconfondibile jolly
roger di Edward “Barbabianca” Newgate, prestatale da Blamenco.
-La solita sbruffona.- commentò sardonico Charlie alla radio,
mentre faceva rotta sulla nave di Barbanera.
-Pensa a pilotare.- lo rimbeccò Lilian con un ghigno,
guardando verso est: il sole cominciava a sorgere, e si abbassò sul naso gli
occhiali da sole squadrati.
Il Canadair di Lilian si allontanò dall’armata di Barbabianca
diretto verso la baia dell’isola dove riposava la Black Fever. L’aviatrice
aveva le dita ornate di anellini d’argento che fremevano sul pulsante di apertura
delle cisterne.
Curiel, dal proprio vascello, non staccava gli occhi di dosso
al primo aereo, a malapena respirava, concentratissimo. “Ancora un po’, Lilian… ancora qualche metro…”
-Scarica, Lilian!! Adesso!!- urlò finalmente nel lumacofono
il Decimo Comandante.
Click
I piccoli confetti neri solcarono il silenzio del cielo
notturno che presto avrebbe ceduto il passo all’alba.
Buio.
E poi l’enorme nave fu travolta in un gigantesco fuoco d’artificio
di scoppi ed esplosioni, gli alberi della nave si piegarono su loro stessi, le
vele presero fuoco nonostante fossero in parte bagnate, lo scafo si spezzò e la
bandiera dal triplo teschio fu inghiottita in quell’inferno di fiamme.
-Charlie!- invocò la ragazza alla radio. -Forza Charlie,
tocca a te! Poi ce ne torniamo tutti a casa!!
-Marco…- salì invece la voce flebile dell’aviatore. -Appena è
salva… mi puoi mettere in contatto con Amelia, per favore?-
Intanto, al lato nord dell’isola, due vascelli si
avvicinarono silenziosamente e a luci spente all’alta scogliera bianca; Jaws e
Rakuyou furono calati in una scialuppa e raggiunsero con precauzione delle
antiche scalette scavate nella roccia. I pirati dettero una mano al Terzo
Comandante che non poteva assolutamente toccare l’acqua del mare, e i due si
issarono tra le rocce ormai fuori dalla portata della spuma.
-Ci sei?- domandò l’arzillo Rakuyou al fratello.
-Certo.- ruggì Jaws. -Muoviti.-
Bisognava andare a prendere Amelia prima che scoppiasse il
finimondo su quella maledetta isola.
Jaws salì gli scalini a due a due infischiandosene del
rischio di scivolare, si trovò davanti ad una porticina secondaria sbarrata dal
catenaccio arrugginito dal tempo e dalla salsedine; non si fermò nemmeno, la
polverizzò con un cazzotto ed entrò nel maniero in rovina, atterrando allo
stesso modo tutte le porte e tutti i muri che si trovava davanti con un pugno
di diamante.
-Aspettami, Jaws!- lo fermò Rakuyou, il capitano dai biondi
rasta.
Il Terzo Comandante si voltò e lo guardò storto, sembrava
dire: “Fermarmi? Sei matto? C’è Amelia qui da qualche parte.”
-Tu guarda nelle porte a destra, io in quelle a sinistra!-
propose invece l’altro. -Devi sbrigarti!-
“Diamond” Jaws distruggeva le porte a pugni, Rakuyou invece
usava la sua palla da demolizione; insieme erano inarrestabili.
Amelia era nel seminterrato buio, in una stanzetta lercia e
senza finestre, seduta sulla pietra fredda di quella prigione improvvisata.
L’umidità le penetrava fin dentro le ossa. Era incatenata ad un antico
frantoio, non poteva fare altro che tenere le braccia sollevate perché le sue
catene erano fissate alla pesante mola, posta ad almeno un metro da terra. Non
aveva la forza di sollevarsi, le gambe non la sostenevano già da due giorni.
Tremava di freddo e di paura. Caesar Clown le aveva ripetuto
per tutta la mattina di essere stato delicato e gentile con lei perché era una
ragazza, ma i lividi che aveva sulle gambe, e le braccia dilaniate dal bisturi
e dall’ago per i continui prelievi di sangue e tessuti, fasciate con bende
logore, testimoniavano ben altro.
Jaws… Jaws, dove sei?
«Sciocca ragazzina!» l'aveva apostrofata una volta Paul
mentre lei era legata sul tavolo operatorio dello scienziato. «A quei predoni con i quali vivevi non importa di te. Smettila di
pensarci. Non verrà nessuno, rassegnati... proverai meno dolore.» poi Blackwood aveva
preso una siringa. «L’ultima volta che ti abbiamo messo questo nelle vene hai
urlato parecchio…» sussurrò. «“Jaws”, dicevi. Chi è, uno di quelli che
andavano dietro a Newgate?»
Cominciò a piangere. Le braccia le facevano male, non
riusciva a muovere le dita, la catena le bloccava quel poco sangue che le era
rimasto. Aveva freddo, la camicia che la riparava, una volta sterile ma ora
piena di strappi e macchie di sangue, non serviva a niente, era come se fosse
nuda. Nuda e dimenticata in quell’angolo buio di mondo.
-Cerchi la tua puttanella, Jaws?- ruggì Jesus Burgess
parandosi davanti ai due. -Lei rimane qui con noi… magari quando a Blackwood
non servirà più mi ci potrò divertir-
Un enorme, fulmineo e dolorosissimo pugno allo stomaco
interruppe il discorso del sottoposto di Barbanera, che però si riprese subito,
arretrò di un paio di passi e caricò il proprio attacco: -SURGE ELBOW.-
-Non provarci, Burgess.- tuonò Jaws afferrando quel pugno con
la sua manona di diamante. Strinse la mano frantumando le ossa di Jesus,
imprigionate senza scampo nella sua morsa litica.
-Ball and Chain!- esclamò Rakuyou. La
pesante palla da demolizione sparata a tutta velocità atterrò sulla nuca
dell’omaccione stendendolo a terra senza sforzo.
-Non guardarmi così, lo so che lo avresti picchiato per ore…
ma non c’è tempo!- sorrise complice.
Rumori? No, non di nuovo… basta… basta…
Arrivarono finalmente davanti alla porta del seminterrato di
Amelia, serrato da un grosso catenaccio che Jaws distrusse come fosse fatto di
filo di cotone. Rakuyou accese una fiaccola e la ragazza riuscì a scorgere,
attraverso il velo delle lacrime, la sagoma sua e quella mastodontica di Jaws.
Allucinazioni. Erano cominciate pure quelle.
Il Terzo Comandante le andò vicino e si inginocchiò davanti a
lei, le accarezzò una guancia tentando di essere più delicato che poteva. Gli
occhioni della ragazza erano sbarrati e pieni di lacrime, paralizzata davanti a
quella che doveva essere una visione. Jaws allora spezzò le catene che la
legavano e Amelia si afflosciò su se stessa. L’uomo però era pronto a
prenderla, e lei si ritrovò sollevata da terra, stretta al petto del pirata.
-Jaws!- lo richiamò Rakuyou togliendosi la giacca bianca di
dosso. -Mettile questa! Sta morendo di freddo.-
-Jaws…- pigolò debole mentre due lacrime le sfuggivano verso
le tempie, finalmente consapevole che quella era la realtà, nessuno si era
dimenticato di lei. Il biondo le mise sulle spalle l’indumento caldo e il
capitano di diamante se l’accomodò in braccio, pronti a correre via per
metterla al sicuro.
-Va tutto bene, Amelia.- tuonò il Comandante con le labbra
piegate in un sorriso timido. -Sono tornato.-
Rakuyou mentre correvano di nuovo alla scogliera ripescò
dalla tasca del proprio soprabito un baby lumacofono. -Marco, mi senti?-
trasmise. -Abbiamo la ragazza! Amelia è viva ed è con noi!-
«Perfetto ragazzi.» si complimentò la Fenice dal ricevitore.
I due Canadair, finito il bombardamento. ammararono nella
baia dietro alla Seagreen Phoenix e Lilian saltò su una scialuppa che la
condusse a terra, assieme agli altri pirati.
Jaws portò Amelia sulla propria nave e in quel momento Marco,
sotto forma di una sfavillante fenice azzurra, atterrò sul ponte recando con sé un
baby lumacofono collegato ad una cuffia.
“Diamond” ringhiò, Rakuyou più diplomatico protestò: -Marco,
la signorina è a pezzi, aspetta…-
-È urgente.- rispose mesto l’uomo.
La voce di Charlie salì stentata dal ricevitore nelle mani
tremanti della sorella: «Scusami Amelia… ti voglio bene… te ne vorrò sempre.»
E un Canadair si alzò di nuovo in volo.
Dietro le quinte…
Questo capitolo rischiava di non vedere la luce. Il
piano d’attacco è stato visto e corretto innumerevoli volte, e spero che tutto
fili liscio… il mio ringraziamento più sentito va al mio ragazzo nonché
storyboarder, che inventa, corregge e rivede le scalette con una pazienza
infinita!
Il cocktail che sorseggia Lilian esiste davvero e si
chiama Alabama Summer.
Il soprannome di Blamenco, “Eta Beta”, è preso
gentilmente in prestito da un personaggio Disney, Eta Beta appunto, un alieno
amico di Topolino dotato di un gonnellino dalle cui tasche usciva letteralmente
di tutto, dallo spillo alla sua astronave. In nessuna SBS Oda ha precisato che
nel mondo di One Piece gli albi di Topolino non ci siano.
Ringrazio infine tutti coloro che seguono la storia
dalle preferite, ricordate o seguite! Grazie, grazie di cuore! E grazie a
coloro che recensiscono, davvero, grazie!!
Alla prossima settimana,
Yellow Canadair
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Capitolo 36 *** Uomini senza paura ***
[zipedit] Uomini senza paura soundtrack link: UltimatuM - Destiny of Mankind - ASAP (Extended Mix)
La rocca di Athenry Valley, dal fascino sinistro e inquieto,
si stagliava fosca sulla sommità di una dolce altura, attorniata da un lato da
foreste verdi ubriache d’acqua e dall’altro da un villaggio fantasma di
pescatori in rovina presso la spiaggia. Dal borghetto partiva un tratturo ormai
quasi inghiottito dalla vegetazione e dai rovi che conduceva all’antico
castello fatiscente e ormai quasi del tutto privo di tetti. La strada si snodava
fra gli alberi della collina e arrivava a costeggiare le mura grigie del
castello dai possenti blocchi di pietra, umide di pioggia e mangiate dal
muschio, alcuni dei quali giacevano sparpagliati al suolo dopo i numerosi
crolli susseguitisi nei decenni d’abbandono.
Qui i figli di Barbabianca, al sicuro dallo sguardo dei
nemici ancora dentro il maniero, si erano asserragliati in attesa di quei pochi
di loro che avevano aspettato l’atterraggio degli aerei. Si guadavano l’un
l’altro nel silenzio e si scambiavano parole sussurrate nell’attesa, sperando
che i fratelli non tardassero troppo e il chiarore del sole, seppur non ancora
sorto e soffocato da nuvole temporalesche che circondavano l’isola, non
tradisse la loro presenza. Non pioveva, ma l’avrebbe fatto presto. L’aria era
elettrica.
Lilian corse a perdifiato sul sentiero con gli scarponcini
che la proteggevano da rami e sassi e con i vecchi pantaloni cargo di Marco che
le aveva permesso di accorciare a difenderla dai rovi. Era equipaggiata contro
il freddo dell’isola, appesantita dalle armi ma raggiunse sul limitare della
boscaglia Ace, Crocodile e un drappello di uomini della seconda divisione.
Riunitisi, corsero subito dai fratelli asserragliati fuori alle mura in loro
attesa.
-Non è uscito nessuno.- assicurò Izou.
-Blackwood poteva essere invisibile.- ribattè Lilian.
-L’unico posto da cui poteva uscire è il portone principale,
ma non si è aperto. Non ci sono altre uscite, tutta l’ala ovest del maniero è
crollata, è rimasta in piedi solo parte di quella sud, davanti a noi, e quella
nord, che sovrasta la scogliera.- spiegò Blenheim che era andato in
esplorazione, indicando con una mano. -E c’è una catena umana che circonda il
castello.- disse. -Nessuno può uscire senza toccarla.-
I pirati si scambiarono uno sguardo sanguinario ed eccitato
nell’oscurità. Le armi erano affilate, le bocche da fuoco cariche, i tatuaggi
dal vessillo baffuto ghignavano tetri. Ace stava facendo uno sforzo sovrumano
per non esplodere in una bomba di fiamme, Blamenco si sporcò le mani di polvere
di magnesio per impugnare meglio il suo martello, Izou si acquattò pronto a
scattare, Kingdew fece schioccare le nocche ai suoi pugni, Bornes mutò il
proprio corpo in lame taglienti, Lilian si posizionò tra Ace e Crocodile pronta
a lanciarsi all’attacco.
Vista si levò in piedi e sguainò le spade: -ANDIAMO!- gridò.
-PER BARBABIANCA!-
-PER BARBABIANCA!!!- gli fecero eco gli tutti i fratelli.
-Charlie… dove vai?- mormorò confusa Amelia guardando l’aereo
del fratello che volava verso l’isola, seduta tra i pirati che le portavano
solleciti coperte e latte caldo lì sul ponte dove si era fermata.
«A distruggerli.» una risata stanca. «Rimarrò sempre con te,
ricordatelo. Passo e chiudo, Amelia.»
L’aviatrice scattò in piedi, quasi ad inseguire l’aereo
giallo che si allontanava dirigendosi verso il castello cupo arroccato sul
colle. Ancora debole però incespicò e sarebbe caduta sul fasciame del ponte se
Rakuyou e Jaws non fossero stati pronti ad afferrarla al volo.
-CHARLIE!!!- gridò piangendo. -CHARLIE NOOOO!!!-
Gli uomini di Barbabianca si lanciarono all’assalto del
castello, riempiendo il piazzale tra le mura e il portone alla luce rosate
dell’alba e gridando e correndo con il desiderio di rivalsa inciso nel cuore.
Ma erano appena a metà strada quando una raffica di
artiglieria spazzò il cortile, ferendo alcuni di loro e costringendo i più a
rifugiarsi tra i ruderi di pietra che erano sparsi lì attorno.
Un gruppo però, protetto da Lilian e dalla sua
Contro-Ambizione, riuscì a superare la seconda metà del cortile e corse a
perdifiato verso l’ingresso.
-PUGNO DI FUOCO!-
ruggì Ace riducendo in cenere il portone ed entrando dentro, seguito da Crocodile,
Lilian, Bornes e una buona manciata di fratelli.
Si ritrovarono in un salone dal soffitto scoperto, crollato
chissà quanti anni prima, attorniati da mobili antichi coperti da polverosi
teloni una volta bianchi.
-Cerchiamoli!- ruggì Ace.
-Fermo.- lo ammonì Crocodile. -È troppo vasto, potrebbe
scapparci di mano. Lilian.- chiamò. -Mi senti?- non la vedeva, ma sapeva che
non doveva essere lontana perché aveva l’ordina di rimanere con loro due, che
sarebbero andati dritti da Barbanera. -Dobbiamo riuscire a stanarlo. Si sarà
rifugiato nella parte meno danneggiata del castello per poi cercare di
sconfiggerci. Dobbiamo portarlo qui nel cortile interno.-
-Lilì.- la richiamò Ace guardandosi attorno. -Cercati un
posto riparato da cui sparare e tieniti pronta.-
La ragazza ricomparve per mostrare un cenno d’assenso al
Comandante. Tuttavia un attimo prima di sparire di nuovo, un rumore la fece
voltare di scatto.
-Il Canadair?- mormorò confusa. Alzò la testa vide sfilare la
robusta fusoliera gialla e rossa, con i numeri che identificavano il pilota
Charlie Lehired.
Volò oltre il torrione nord. Dal rumore dei motori, i pirati
intuirono una virata.
-Sta tornando ind…-
Un terribile boato scosse il pavimento del castello, una
deflagrazione dilaniò l’aria seguita da molte altre, una nube di calcinacci
avvolse i duellanti, il cielo lugubre fu illuminato come se fosse spuntato il
sole di mezzogiorno: l’aereo di Charlie aveva sorvolato l’isola per poi andarsi
a schiantare, pieno di bombe, contro l’ala nord del castello, l’ultima ancora
completamente in piedi, che doveva contenere i laboratori dentro i quali si
erano consumati tutti gli orribili esperimenti su Amelia e dove certamente
erano conservati i macchinari per estrarre l’Ambizione e per neutralizzare i
Frutti del Diavolo.
Ace scattò in avanti per proteggere Lilian col proprio corpo,
Crocodile innalzò un muro di sabbia per isolare la parte del castello che ormai
rischiava di crollare loro addosso, gli altri pirati indietreggiavano schivando
schegge e brandelli di muro che crollavano dall’alto.
Charlie Lehired sorrise e chiuse gli occhi. Sospirò prima di
lasciarsi andare nello sfavillio dell’aereo che già bruciava e pensò che in
fondo la sua sorellina era ormai al sicuro e che lui non avrebbe potuto fare
niente di più.
Lilian, per terra con le mani sopra la testa, sbiancò in volto
guardando il castello venir giù oltre le spalle di Ace e oltre la cortina di
Crocodile, e immaginando il Canadair accartocciarsi contro la parete nord del maniero
e prendere fuoco, ed esplodere, e l’amico diventare di fiamma, e morire.
Strinse il fucile, incapace di formulare un pensiero. Si portò una mano alla
cuffia collegata al lumacofonino e mormorò: -Charlie…?-
Ma ormai non rispondeva più nessuno.
Il Primo Comandante planò sulla propria nave e trovò Amelia
scossa dai singhiozzi nascosta in una coperta tra le braccia di Jaws.
-Che ci fai qui?- balbettò l’aviatrice . -Forse è ancora
vivo… se voli lì forse lo possiamo salvare…!- lo pregò avvicinandosi.
-No, Amelia.- scosse mestamente la testa l’uomo.
La ragazza si pietrificò. -Tu lo sapevi!- esclamò. -C’erano
delle bombe a bordo!!-
-L’ha scelto lui.-
-NO!- si alzò in piedi incredula e shockata, ma Marco
l’afferrò per le spalle tentando di farle coraggio: -Gli rimanevano poche ore!
Ha voluto darci un’opportunità in più per fermare Blackwood!-
-NO! NO!- gridò la ragazza sconvolta, al punto che Marco per
bloccarla la strinse a sé, tranquillizzando il fratello con uno sguardo grave.
-Lo so.- le concesse, basso e calmo tenendola vicina a lui.
-Lo so che è difficile.- ci era passato, Marco. Anzi, ci stava ancora passando.
Amelia senza staccarsi dal petto caldo e forte della Fenice
scoppiò in un pianto inconsolabile, davanti al quale i pirati, commossi, si
tolsero il cappello guardandola comprensivi e tristi.
Jaws si avvicinò ai due e la ragazza si spostò dal Primo
comandante al Terzo, andando a scomparire tra le sue braccia nerborute mentre
l’uomo, truce, le accarezzava la testa riccia.
-Dobbiamo andare.- fece Marco rivolto a Rakuyou, che annuì
deciso. Fece un fischio alla sua palla chiodata da demolizione, che lo
raggiunse, e si avviò alle scialuppe per sbarcare.
Paul Blackwood li guardava dall’alto della sua postazione,
un’apertura che una volta era una porta tra una stanza e l’altra ma che ora
sembrava una finestra sul vuoto. Maledizione, pensò. Secondo i suoi piani, era
impossibile che qualcuno li trovasse, stavolta. Aveva preso Charlie, poi
Amelia, mancava solo Lilian, ma non aveva previsto che lo rintracciasse così
presto, e soprattutto non aveva previsto che riuscisse a trascinarsi dietro
quel branco di pirati e persino un ex membro della Flotta dei Sette; aveva una
capacità di stringere alleanze pericolose quasi pari alla sua. La guardò
stringere il fucile. Curioso, notò: lei maneggiava due armi gemelle, le pistole
che l’avevano ferito alla Tomba di Barbabianca.
-Ehi Blackwood, hai ancora molto da pensare? O vogliamo
aspettarli qui e farci intrappolare come topi?- sbottò Barbanera, che non
vedeva l’ora di uccidere come cani quelli che una volta erano i suoi fratelli
che gli avevano decimato la ciurma con un attacco aereo.
-Certo che no.- sussurrò Blackwood. -Tu occupati degli uomini
di Newgate, io sistemerò Yaeger.
Intanto buona parte dei pirati di Barbabianca si era fermata
sul piazzale; Marco in volo perlustrava la zona ma gli era difficile capire da
dove venissero gli spari, dall’alto e in mezzo a tutta la boscaglia smeraldina
che copriva l’isola.
Van Ooger era nascosto fra i miseri resti di una torre di
guardia poco distante dall’entrata del castello, e sparava tranquillo ai pirati
che si avvicinavano al portone d’ingresso. La situazione era di stallo: se
qualcuno si arrischiava ad uscire allo scoperto, un bel regalino a base di
piombo e agalmatolite era assicurato, dritto al cuore.
Bisognava fare il giro ed entrare da dove erano passati Jaws
e Rakuyou, ma come aveva fatto notare Halta, sarebbe stato necessario usare una
nave e ci avrebbero messo troppo tempo; e poi non potevano lasciare scoperta
quella via di fuga per Blackwood.
-Dove vai, Izou?-
sussurrò Blenheim.
-Spara da quella vecchia torre.- rispose esperto il Sedicesimo
Comandante. -Copritemi.-
-Ti ammazza se ti scopri!
-Ci penso io.- si offrì Curiel,
arrivato da poco con Rakuyou. Si tolse dalle spalle uno dei suoi potenti bazooka
e sparò un colpo nella direzione dalla quale venivano i colpi.
Izou approfittò del diversivo e corse allo scoperto fino ad
arrivare all’altura dalla quale venivano gli spari; lui non aveva la
Contro-Ambizione ma nonostante il vestiario appariscente sapeva benissimo come
non farsi notare. Stringendo le sue pistole in pugno raggiunse la torre
diroccata e si avventurò dietro di essa strisciando tra la vegetazione senza
fare il minimo rumore. Arrivò alle spalle dell’avversario arrampicandosi tra le
pietre crollate.
Van Ooger si voltò. Era un cecchino, riusciva a percepire
l’avvicinarsi di una persona alle spalle.
Sfortunatamente per lui, anche Izou lo era: la pistola
sinistra lo disarmò e una frazione di secondo dopo la pistola destra esplose il
colpo che piazzò un proiettile in mezzo agli occhi.
Il sangue colò tra i capelli biondi dell’uomo e il suo
miracoloso fucile smise di cantare.
Izou ripose le pistole nella fascia di seta che teneva legata
in vita, si ritoccò il rossetto e sospirò, guardando la manica del chimono
forata e che cominciava a sporcarsi di rosso cupo.
-Dannazione.- imprecò. Si strappò la manica rivelando un
braccio muscoloso e tutt’altro che femminile e con la stoffa medicò alla meno
peggio la ferita, per poi tornare dai fratelli che ormai dovevano essere
entrati nel covo del nemico. Si era salvato grazie ai suoi riflessi
straordinari, che potevano competere con l’occhio di falco del pirata di
Barbanera.
Izou corse verso il castello gridando il via libera, e i
Capitani si riversarono nel castello. Atomos gridò ad un drappello dei suoi:
-Tredicesima Divisione, rimanete nelle retrovie! Difendete l’uscita!
-Dodicesima!!- strillò Halta cercando di sovrastare i vocioni
dei fratelli. -Circondate il castello! Non deve uscire una mosca!!
La polvere sollevata dall’esplosione si era posata e la
battaglia infuriava nel piazzale del castello e nell’androne diroccato, i
capitani si battevano contro i pirati di Barbanera, irosi per essere stati
sconfitti a Foodvalten e desiderosi di vendetta e di rivalsa.
Fossa, ormai non più costretto dall’oscurità, accese il suo
sigaro, con la brace fece prendere fuoco alla spada e si lanciò all’assalto. Corse
sulle scale di pietra che conducevano al secondo piano ma dall’alto un uomo
avvolto in un pastrano militare grigio cupo saltò dalla balaustra cercando di
coglierlo di sorpresa.
Le due armi si scontrarono, i loro proprietari, fumatori, si
guardarono negli occhi.
-Shiryu della Pioggia.- lo riconobbe il figlio di
Barbabianca.
Parate rabbiose e affondi letali si susseguivano rapidi e
senza pause.
-E tu saresti un Comandante del vecchio?- soffiò
l’avversario. -Non c’eri nemmeno, a Foodvalten.- esclamò sprezzante.
-Rimediamo adesso, figlio di puttana!- rispose minaccioso
Fossa andando all’attacco.
Le due spade cozzarono scivolando fino alle guardie, i volti
dei due uomini si avvicinarono ma Shiryu sputò il suo sigaro addosso
all’avversario, che si scansò bruscamente chiudendo gli occhi d’istinto, e l’ex
secondino di Impel Down gli assestò un poderoso pugno al volto che lo fece
arretrare di alcuni passi, ma Fossa era un incassatore formidabile e non batté
ciglio.
-Ma dai.- disse il carceriere riprendendo il cubano. -Non mi dire che
volevi rispettare il galateo.-
Fossa, iroso, gli andò incontro con la spada tratta come a
voler lanciare un affondo fatale, ma quando Shiryu parò il suo attacco, un
calcio lo colse dritto fra le gambe lasciandolo senza fiato.
-No, non ne avevo minimamente l’intenzione.- rispose Fossa
alla domanda, e con l’avversario a terra, lo disarmò della katana e cominciò a
girargli intorno.
Shiryu estrasse una pistola dalla tasca del cappotto militare
ma Fossa aveva già calato la sua spada nella gola del nemico.
Ravvivò la brace del sigaro e borbottò: -Brucia all’Inferno…
non siamo più ad Impel Down, dove nessuno può reagire.-
Vista stava per correre avanti a cercare Teach, ma un animale
bloccò il suo percorso.
-Coff…! Non si può scappare… nessuno può scappare…-
Un membro della ciurma avversaria gli aveva sbarrato il
passo; era avvolto in una grande pelliccia scura e aveva l’aria sofferente,
lassù sul suo destriero anch’esso malconcio. Quei due erano un lazzaretto
ambulante.
-Doc Q.- sorrise lo spadaccino. -Sempre più morto che vivo,
noto.- e con uno svolazzare di petali rossi fece roteare le proprie spade.
-Molto meno morto di te… coff! …fra un istante.- svolse
l’involto che portava sulla sella rivelando un’enorme falce a doppia lama. -Sei
un uomo sfortunato, comandante.- disse debolmente.
-Tu dici?- rispose Vista. -Possiamo scommettere, se vuoi.-
Un rombo di terremoto scosse il pavimento, facendo cadere da
cavallo Doc Q e costringendo tutti, figli di Barbabianca e non, a interrompere
il combattimento.
Il volto minaccioso di Edward Newgate quando sferrava i suoi
attacchi tellurici attraversò la mente dei capitani. Forse qualcuno, in un
angolo remoto della propria mente, sperò che fosse tornato da loro, ancora
vivo.
Ma il Frutto Gura-Gura aveva ormai un nuovo proprietario.
Un uomo imponente si affacciò dallo scalone diroccato che una
volta conduceva ai piani superiori. Sorrideva sdentato davanti al panico che il
terremoto in corso aveva scatenato, il maniero non avrebbe retto ancora a
lungo. Si grattò eccitato il petto villoso e scoppiò in una risata divertita.
-Zeahahaah! Ciao, fratellini!- tuonò Marshall D. Teach.
Ace ghignò, il suo fuoco si fece ancor più rovente
dall’eccitazione. -Beh, Coccodrillo.- disse. -Sembra che finalmente si siano
aperte le danze.-
Crocodile si tolse il sigaro di bocca con aria di
sufficienza, scambiandosi un’occhiata d’intesa con Bornes che andò a coprirgli
le spalle dall’altro lato dell’enorme cortile.
-Adesso ti mostro com’è che si combatte, ragazzino.-
-Divisioni di Barbabianca!- tuonò Ace rivolto ai pirati nel
castello. -Portate via i feriti, allargate le file!-
-Ciao, Comandante Ace!- berciò Teach. -Non te la sentivi di
venire solo, stavolta? E chi abbiamo qui? Sir Crocodile, è grazie ai tuoi
fallimenti che sono entrato nella Flotta dei Sette, te l’hanno detto?
-Non ti lascerò sfuggire di nuovo, Teach.- proferì Ace.
Nonostante fosse stato già duramente sconfitto dal suo ex subordinato, non
c’era ombra di paura nei suoi occhi neri, che riflettevano le fiamme che aveva
intorno.
-Io invece penso di sì, comandante!- latrò l’uomo. -Sei uno
che non impara mai! ISOLA DI ROCCIA!-
Era uno degli attacchi del babbo, i figli lo riconobbero
all’istante.
-GIRASOLE DEL DESERTO.-
tuonò Crocodile facendo franare il pavimento sotto Marshall.
-COLONNA DI FUOCO!
Lilian si era presa qualche minuto in più per allontanare del
tutto lo shock che la morte improvvisa di Charlie le aveva causato, ma ora le
lacrime erano state asciugate e lei, coperta dalla Contro-Ambizione, era in
ginocchio tra i merli del torrione dove si era appostata per sparare e stava
prendendo la mira per uccidere Teach.
Fece scattare il caricatore del Winchester e chiuse l’occhio
sinistro, puntò il destro sulla canna e trattenne il fiato.
-Bello spettacolo, vero?- sussurrò una voce alle sue spalle.
Dietro le quinte…
Accidenti, ci avviciniamo al finale! Ormai è da agosto
2013 che questa storia va avanti, non sapete quanto mi dispiaccia che stia
finendo. Volevo solo dire… grazie! Grazie a tutti coloro che l’hanno letta,
seguita, ricordata e preferita, grazie a tutte voi che avete recensito, siete
state delle lettrici d’oro, mi avete incoraggiata incessantemente, capitolo
dopo capitolo, e questo mi spinge a continuare a scrivere! Un grazie
particolare va a coloro con le quali, recensione dopo recensione, son venute
fuori intere conversazioni su quello splendido universo che è One Piece… e il
vostro! Davvero, siete fenomenali! Siete fighe come Sanji quando si accese la
sigaretta con El Thor, e non so come altro ringraziarvi!
Ma ora basta parlare di me, egocentrica che non sono
altro, parliamo del capitolo! Come avrete notato, Lilian su quel torrione non è
sola: avete capito con chi è che sta per fronteggiarsi?
L’attacco “Isola di Roccia” è davvero di Barbabianca,
però compare solo in un videogioco: non è colpa mia, a Marineford si è limitato
a sparare cazzotti!
Dare luce a tutti e quindici i capitani era
difficilissimo, ma spero di essere riuscita almeno a far capire la baraonda e
la confusione che regnavano ad Athenry Valley; le scene di lotta sono sempre
state un casino, se non avete capito qualche passaggio, mi raccomando,
chiedete! E se avete qualche consiglio, non abbiate remore! *^* grazie!!
La locandina, si nota dallo stile grezzo e dai personaggi
messi da cani e palesemente copiati stile vetro/finestra, è fatta da me: mi
raccomando, non la guardate troppo a lungo se no notate tutti gli errori. Se
volete sovraesporvi al rischio, la trovate qui (passate il mouse sopra la
scritta “qui”, è nascosto un link).
Ciao Charlie. Insegna agli angeli a schiantarsi contro
il laboratorio del super-cattivo.
Ora la smetto di delirare! Grazie ancora ragazze, alla
prossima settimana per il finale di
Flyin’High - Il volo del Canadair
Yellow Canadair
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Capitolo 37 *** Paul Blackwood ***
Paul Blackwood soundtrack: UltimatuM - Man of Steel (Extended Mix)
Lilian non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi, Blackwood con
il calcio di una pistola le sferrò un potente colpo alla nuca facendola franare
a terra e le prese il Winchester.
-Hai
un solo tentativo.
-Me lo farò bastare.
-Ma guarda… un attentato a Marshall con una comune carabina?-
sussurrò l’uomo.
Lilian si rialzò con un ringhio, le si gelò il sangue nelle
vene, sentì la rabbia salirle dal diaframma e irromperle nel petto e nella gola
come un’armata di guerrieri urlanti. Davanti aveva Paul Blackwood, elegante e
composto, fasciato in quel maledetto completo chiaro che non mancava mai di
chiedersi come accidenti facesse a non sporcare. Sfoderò una delle sue pistole
gemelle che teneva nascoste sotto l’ampia camicia da uomo che indossava e la
puntò contro l’avversario, il quale però alzò il fucile contro di lei.
-Buttalo a terra, Paul.-
-Se spari, sparo anche io.- l’ammonì l’aviatore. -Sei così
affezionata a questo vecchio fucile?-
-Gettalo.- ordinò Lilian.
-E se invece sparassi?- la provocò Paul.
L’uomo sparì.
Un colpo dilaniò l’aria e il ventre di Lilian.
Un proiettile si conficcò nel cappello di Blackwood, facendolo
volare giù dal torrione.
Lilian sentì le viscere roventi, si appoggiò contro la
balaustra di pietra e poi crollò a terra.
-Non sei stupida, Lilian. -disse il rivale ricomparendo. -Sei
una ragazza intelligente, lo sai che per uccidere Marshall il piombo non serve.
Ma dovevi prevedere che questo lo so anche io.- aprì la carabina e studiò con
interesse la sede dell’innesco.
-Male… maledetto stronzo…- sputò fuori la ragazza rantolando
per terra.
-Suvvia, niente di personale.- le sussurrò dolcemente l’uomo;
s’inginocchiò accanto a lei nella pozza di sangue in cui giaceva e gettò la
pistola nella tromba delle scale che li avevano condotti lì. Afferrò con una
mano le braccia che Lilian teneva convulsamente premute all’addome, quindi
gliele bloccò sopra la testa, e con l’altra mano prese dal panciotto una siringa,
con la quale le prelevò il sangue che sgorgava dalla ferita.
-Ecco fatto.- parlò pianissimo mentre Lilian quasi non lo vedeva.
-Ormai tu non mi servi più… e nemmeno l’isola. Potrei anche lasciarvi
combattere tra di voi ma è meglio fare piazza pulita di tutta la feccia,
giusto?-
Imboccò le scale che conducevano giù dal terrazzino, si voltò
facendo ondeggiare sinuosamente la lunga coda nera e bisbigliò: -Addio, Lilian
Rea. Salutami Barbabianca.-
-Salutamelo tu.- estrasse l’altra pistola e sparò.
Marco stava per tuffarsi in picchiata sul grande cortile
interno del castello, pronto a supportare il fratello che se la stava vedendo
nera contro Teach, quando il suo baby lumacofono cominciò a pigolare
sconsolato. Attivò la cuffia e a mala pena riuscì a cogliere il rumore che
saliva dal ricevitore.
Un respiro spezzato. Gemiti. Il suo nome sussurrato tra
lacrime e rantolii.
-Lilian!- gridò l’uomo. -Dove sei? Lilian!-
-Ciao, Lilian.- un soffio nell’orecchio, due mani adunche e
fredde le schiacciarono la testa per terra. -Via questo.- mormorò ancora la
voce, e la cuffia fece un volo, lontano, dopo essere stata frantumata. Un pugno
nello stomaco le tolse il fiato. Fu afferrata per la testa e sbattuta sul
pavimento.
Lilian accartocciata su sé stessa in mezzo ad un lago di
sangue che si allargava sui lastroni non riusciva nemmeno a pensare di
difendersi, aprì appena gli occhi e davanti a lei apparve il sorriso di Lafitte.
E sangue, tanto sangue da appannarle la vista.
-Maledetta merda…- ringhiò la ragazza.
-Ma come siamo maleducati.- osservò tranquillo il pallido
uomo. -Quando eri nostra ospite eri molto più silenziosa.-
-Tu sei ancora… lo stesso stronzo.- ribattè Lilian. Sparò un
colpo, ma il filibustiere evitò il proiettile alzandosi in volo e il rinculo la
fece gemere per il dolore.
-Così non vale, piccola Lilian.- con un calcio le strappò
l’arma di mano. -Ti preferivo reietta e indifesa.-
Lafitte la sollevò tenendola per il collo e la immobilizzò sopra
uno dei merli, facendole guardare solo le nuvole minacciose. -Adesso vediamo di
imparare un po’ l’educazione.- sussurrò all’orecchio della ragazza, con gli
occhi spalancati e il sorriso sadico accentuato dal rossetto cupo.
Un vortice di fiamme azzurre travolse Lafitte strappandolo
dalla ragazza e facendolo cadere rovinosamente giù dalle scale; Marco afferrò
il nemico per il collo e prima di fargli capire cosa fosse successo gli assestò
un vigoroso pugno nei denti, mandandolo a rovinare tra un mucchio di barili
marci che si sgretolarono sotto il peso del pirata.
-Speravi che nessuno venisse quassù a fermarti? Non puoi
certo uccidere i pulcini e poi salvarti dall’aquila!- disse arrogante la
Fenice, con il corpo di uomo e le ali azzurre che illuminavano l’angusto
interno della torre.
-Comandante Marco.- sorrise affabile Lafitte perdendo
copiosamente sangue dal naso e dalla bocca, che si spandeva sulla camicia di
seta. I vestiti gli esplosero addosso, liberando un corpo niveo e sinuoso: un
cigno dal becco nero. -Sarà delizioso farti a pezzi.-
-Sono venuto per lo stesso motivo.
E si buttò contro l’avversario con gli artigli che rilucevano
fra le fiamme azzurre. I due si sfidavano in un superbo duello aereo a suon di
beccate, artigliate e cazzotti micidiali senza esclusione di colpi,
infischiandosene del giocare pulito e puntando solamente ad uccidere il rivale.
Volando e inseguendosi i due risalirono le scale della torre e
sbucarono sopra Lilian nel cielo nuvoloso e carico di pioggia. All’improvviso
però il cigno bianco scansò un affondo del biondino, lo afferrò per il bavero e
lo guardò negli occhi.
Edward Newgate scaraventò Marco a terra colpendolo al volto con
un pugno grosso quanto un pallone da calcio. -VERGOGNA, MARCO.- tuonò l’uomo.
-Hai ucciso Satch!-
La Fenice scosse la testa, spaesato. Che accidenti…?
-No!- si difese. -Non sono stato…-
-Non ti chiamerò mai più “figlio”!!- decretò Barbabianca.
Lafitte lo trascinò con sé in una picchiata vertiginosa, e ritornò
umano quei pochi istanti che gli bastarono per estrarre un bastone da passeggio
dal folto piumaggio, rivelando uno stocco affilato, e trafisse Marco con la
lama di algamatolite.
Il dolore al petto trascinò il figlio di Newgate alla realtà.
-Ahi ahi, Fenicetta… non voli più adesso?- rise Lafitte spettrale.
Marco guardò le proprie ali tornare braccia e mani e dita, e
il manico del bastone da passeggio, l’elsa della spada nemica, bloccata fra le
sue costole mentre il sangue scorreva dalla ferita mortale.
La Fenice e il suo avversario precipitarono sul terrazzino
del torrione, e il Comandante si ritrovò schiantato per terra con Lafitte a
cavalcioni sul ventre con le mani lunghe e pallide a bloccargli i polsi. Sorrideva
perverso godendo nel far muovere la lama della spada conficcata nello sterno
della sua vittima, sadicamente fiero del sangue che colava e dei denti serrati
del Comandante che si ostinava a non dargli la soddisfazione di un gemito. Pazienza,
pensò Lafitte, arriveranno anche quelli.
-Allora, Capitano!- trillò felice il carnefice scandendo bene
le sillabe. -Ti è piaciuto rivedere il tuo papino?
-Vaffanculo!
-Da dove comincio a farti a pezzi?- Studiava con attenzione
il corpo della vittima immobilizzata sotto di sé. -Ti potrei cavare gli occhi?
O iniziare dai capelli? Oh, no… da qui.- dal petto, dal tatuaggio di Barbabianca.
Marco vide il volto di Lafitte pietrificarsi in una smorfia
di dolore e sorpresa e lo scintillio della vita abbandonò i suoi occhi. Lilian
gli aveva conficcato con forza il pugnale dalla lunga lama tra le scapole; lo
estrasse fulminea puntellando le spalle dell’uomo con un piede e un gran fiotto
di sangue uscì copioso dalla coltellata letale dell’uomo. -Comincia… dalla tua
lingua, Lafitte!- sussurrò prima di accasciarsi a terra col pugnale nella mano
ghiacciata.
Mentre la vita di Lafitte scivolava via, Marco gli assestò un
calcio per spingerlo lontano, e il cadavere cadde di lato. Si stese di fianco,
trattenne il fiato, strinse con la destra la lama che lo trafiggeva e tenendo
l’altra premuta contro la ferita, estrasse lo stocco che era quasi arrivato a
trapassarlo. Quando dopo lunghissimi istanti la punta fu uscita, le vampe
azzurre tornarono a saettare attorno alla sua figura e la ferita sparì in un
attimo, ma lui era già saltato in avanti per raccogliere quel poco che rimaneva
di Lilian. Gli bastò meno di uno sguardo per capire che la situazione era
disperata; la prese in braccio e stava già per planare via quando lei lo
trattenne.
-Marco…- gemette la ragazza aggrappandosi alla sua camicia.
Le bruciavano le viscere, sentiva l’odore di sangue nella sua bocca, sui suoi
vestiti.
-Calma Rea, non ti muovere.-
-No! Ascoltami…- sussurrò debolmente Lilian. -Paul… non gli
serve più…- la stoffa colorata le scivolò via dalle dita, qualcosa la
trascinava verso un fondo buio. -Marco…- invocò spaventata.
La Fenice si inginocchiò sul lastricato con Rea fra le
braccia, fissandole le palpebre semichiuse e le iridi quasi rovesciate
all’indietro. -Sono qui! Guardami! Che ha detto?- avvicinò l’orecchio alle
labbra di lei.
-L’isola non gli serve… non gli serve più.-
-Basta così, tranquilla- le arrivò da un luogo lontanissimo
la voce dell’uomo. -Andrà tutto bene, ti porto via.
Ace e Crocodile si mantenevano sempre l’uno davanti e l’altro
dietro al nemico per non dargli modo di attaccarli simultaneamente con troppa
forza; era difficile combattere una persona in grado di toglierti i poteri con
uno schiocco di dita, ma nemmeno impossibile. Non in due. Non con la voglia di
rivalsa che li infervorava. Gli altri della sua ciurma che non erano colati a
picco con la nave venivano tranquillamente tenuti a bada dagli altri capitani.
Chi l’aveva detto che San Juan Wolf fosse un’inaffondabile corazzata gigante?
Certo abbatterlo era stato impegnativo, ma nulla che Atomos non potesse fare.
I terremoti continuavano ad infuriare e le crepe si aprivano
nell’aria come sui muri di un’antica casa, bombe di oscurità esplodevano ad un
soffio di distanza dai due combattenti che non sempre riuscivano ad evitare i
colpi quando venivano privati dei poteri di rogia. Ma si rialzavano, si
pulivano il sangue dagli occhi e continuavano ad attaccare come tori. Bisognava
muoversi, prima che Marshall trovasse un sistema per farli fuori
definitivamente.
Crocodile corse nella direzione opposta ad Ace scomposto in
una folata di sabbia, l’altro si portò sui gradini di marmo che una volta
portavano ai piani superiori. -FIAMMA SACRA… FOSFORESCENZA!!!-
Ma Teach non si scompose, e berciò: -Finiamola qui ragazzi,
ho un aereo da prendere! GORGO OSCURO!!-
Tutti gli oggetti della stanza mulinarono attorno al gruppo,
richiamati dalla terribile forza di gravità. Pugno di Fuoco tentò di
dissolversi in fiamme, ma si rese conto che le vampe erano già nel corpo di
Teach. Anche il Sir, poco distante, era stato depredato.
-Zeahahah! È finita, Comandante Ace!- il pirata era stato
risucchiato dal Gorgo Oscuro quasi sotto al naso del suo antico sottoposto, che
gli vomitava addosso quella fiumana di parole dal lezzo alcolico. -Manderò te e
la tua ragazza nelle mani di Caesar Clown, voglio sentirvi urlare finché non lo
pregherete di uccidervi.- e gli assestò un pugno in pieno plesso solare che lo
mandò a rotolare fra la mobilia consunta della sala.
Barbanera lo afferrò per il collo e lo sbattè contro il muro
di pietra, tenendolo sollevato da terra e attaccandolo con una scossa di
terremoto che fece sputare sangue al ragazzo e quasi sgretolare il muro dietro
di lui.
-Non puoi vincere, Teach.- sussurrò Ace testardo e sorrise
feroce: -Il nome di quest’epoca è Barbabianca, ricordi?-
E prima che Marshall potesse effettivamente ricordare, l’uncino
avvelenato di Crocodile gli si piantò in corpo. -Ti sei divertito ad uccidere
il vecchio?- domandò calmo. -Fine del bel sogno.-
La forza di gravità tornò normale, le fiamme tornarono ad
ardere nelle mani di Ace e la sabbia di Crocodile mulinava di nuovo attorno al
suo vero padrone.
Marco planò giù dal torrione con la ragazza in braccio; non
poteva volare perché avrebbe dovuto trasformare interamente le braccia, ma
poteva almeno controllare la caduta scendendo rapidamente dalla torre. Gridò
nella propria cuffia: -Curiel! Fa’ ritirare tutti!! Blackwood vuole far saltare
l’isola! Ritirata! RITIRATA!!
Era vero? Non era vero? Marco decise che non poteva
concedersi il lusso di rischiare, con tutta la sua famiglia sull’isola.
Blackwood aveva detto a Lilian che l’isola non gli serviva più. E cosa fai con
una cosa che non serve più? La butti. O la distruggi.
Fossa corse verso di lui notando il sangue scorrere, e rimase
a bocca aperta. -Che diavolo le è successo!?! Lilian!!!- tuonò protendendo le
mani senza osar toccare la ragazza cerea come un cadavere.
-L’isola sta per saltare!!- gridò concitato il biondo. -Fa’
ritirare tutti, al diavolo Teach!!- e corse via verso il porto.
-RITIRATA!!!- urlò Fossa sovrastando tutte le voci.
Paul Blackwood intanto corse attraverso la foresta protetto
dalla Contro-Ambizione tenendosi ben strette in tasca le provette con il sangue
di Lilian Rea. Quella viperetta era riuscita a ferirlo, vedeva il sangue scuro
macchiargli il completo bianco sulla spalla, doveva muoversi prima che qualcuno
di quei pirati notasse le tracce e decidesse di seguirlo. I pirati per scappare
avevano rotto le file serrate permettendogli di evadere dal castello, stupidi!
Le bombe dovevano ancora essere innescate!
Si inginocchiò in una radura, si tamponò la ferita che
grondava sangue e fece uscir fuori da un nascondiglio di rami e foglie un
congegno elettrico i cui fili colorati andavano a seppellirsi nella terra,
scomparendo in direzione del castello. Collegò i cavi di rame e con un rumore
metallico si accese un minuscolo schermo che mostrava un contro alla rovescia.
Con sollievo vide in lontananza il giallo del suo aereo tra
le frasche, saltò a bordo e sorrise vittorioso facendo prendere quota al suo Canadair.
Aveva vinto. Caesar Clown era scomparso, forse datosi alla fuga, ma poco
importava; aveva portato con sé il macchinario perfezionato per estrarre
l’Ambizione e ucciso l’alleato. Stupida Yaeger. Era stata la sua spina nel
fianco, ma finalmente era riuscita ad estrarla e distruggerla.
Ace ghignò, godendo del pandemonio che si era scatenato
mentre il pavimento tremava e tremava e cadevano calcinacci e antiche colonne,
e disse spavaldo: -Mi spiace Teach… ma proprio non posso permetterti di
scappare. Non dopo quello che hai fatto a Satch, a Lilian, a mio padre e ai
ragazzi.-
Si scambiò uno sguardo d’intesa con Crocodile, che alzò gli
occhi al cielo a sentire quelle parole.
-GROUND DEATH.-
pronunciò Crocodile.
-IMPERATORE FIAMMANTE!!
Le fiamme e la sabbia avvolsero Marshall D. Teach, che
tentava di assorbirle col potere dell’oscurità ma il potere dei due rogia
combinati e scatenati al massimo era troppo forte persino per quel frutto da
lui tanto cercato.
La rena e le fiamme circondarono l’avversario e lo coprirono
in due dense spirali che correvano furiose verso l’alto, e quando cessarono di
mulinare l’uomo, annerito dal fuoco e mezzo svenuto a terra per la
disidratazione, era rinchiuso in un’enorme bolla di vetro rovente spessa,
fumante e pressoché infrangibile.
Crocodile e Portuguese si scambiarono un’occhiata, e il
galantuomo si accese l’ennesimo toscano.
-Preparati al colpo di grazia, Teach.- promise aspirando una
boccata mentre il ragazzo si preparava ad attaccare.
In quel momento Marco tornò da loro; la sfavillante fenice si
trasformò in uomo e gridò verso il fratello: -VIA! VENITE VIA, L’ISOLA STA PER
SALTARE!!-
-Marco!?- esclamò stravolto Ace. -Sei ferito!?-
La Fenice era completamente sporco di sangue, quasi
irriconoscibile se non fosse stato per l’inconfondibile ciuffo e le ali
turchesi.
-Non è mio…- balbettò il Primo Comandante, indeciso su come
dargli la notizia. Poi dichiarò: -Lilian è stata colpita! È sulla Seagreen!!
Forza, via di qui!!!-
L’affermazione ebbe l’effetto sperato: Pugno di Fuoco corse
via dal castello più angosciato che mai, diretto verso il porto, e lo seguirono
anche Crocodile e Marco.
-La mocciosa è stata presa!?- tuonò l’ex flottaro correndo al
fianco della Fenice.
-Un colpo al ventre.-
Il Sir ringhiò. -Chi è stato?-
-Blackwood. Con il proiettile di agalmatolite.- rispose Marco
prima di spiccare il volo.
Izou si sbracciava per contare i fratelli e controllare che
tutti fossero sui vascelli in partenza, Halta correva avanti e indietro per
radunare i suoi visto che per questioni biologiche la sua voce era condannata a
non sovrastare mai quella degli altri Comandanti, Namiur essendo mezzo pesce
pattugliava la spiaggia nell’acqua bassa per controllare che nessuno fosse
rimasto indietro; in caso di esplosioni sarebbe sparito sott’acqua e si sarebbe
allontanato guizzando veloce come un barracuda, Blenheim e Atomos si caricarono
ciascuno di almeno sei feriti e con loro in spalla corsero verso le navi.
L’infermeria era piena, le ancore salparono, le vele si
gonfiarono del vento freddo dell’isola e in quel momento un terremoto scosse la
terra radendo al suolo ciò che restava del castello e sollevando un’onda che
superò le navi appena nata per poi prender forma di maremoto a molte miglia di
distanza.
-S’è liberato.- soffiò Crocodile col sigaro in bocca passando
lo zippo a Fossa.
Ma prima che anche il Quindicesimo Comandante si accendesse
il toscano, una bomba esplose nel lato est dell’isola, poco prima del
promontorio, e poi a catena altri scoppi, altre deflagrazioni, un fuoco
continuo di boati ed esplosioni che coronarono con uno schianto assordante che
fece salire in cielo una colonna di fuoco che si allungò oltre le nuvole cupe;
cominciò a piovere ma la tempesta di fiamme non si placò, e con altri tuoni
inghiottì il castello, e lingue di vampa si mangiarono le mura e la spiaggia.
La boscaglia prese fuoco e tutti i pirati affacciati ai casseri delle proprie
navi non poterono fare altro che contemplare in quale inferno fosse andato a
seppellirsi quello che una volta fu un loro fratello.
Da dietro alle esplosioni e a ciò che rimaneva dell’isola si
levò un rombo che i filibustieri avevano imparato a riconoscere. Il Canadair.
-No!- ruggì frustrato Ace ascoltando i due Pratt &
Whitney che si allontanavano nel cielo plumbeo. Lanciò una cortina rovente più
lontano che potè, ma il velivolo era già un puntino distante. Crocodile, dietro
di lui, accese frustrato il toscano che si era spento. Maledetto Blackwood.
Ma il Canadair all’improvviso scartò violentemente a
sinistra, sollevò il muso e infine esplose. Le ali si staccarono sotto lo
sguardo allibito dei figli di Barbabianca, una nuvola incandescente avvolse la
carlinga e l’aereo in fiamme precipitò in mare con un boato che investì l’isola
pochi secondi dopo.
Al largo, lontano dalla costa, un elegante brigantino
veleggiava seguendo il vento; sul ponte di poppa c’era un uomo alto, biondo e
con un curioso soprabito di piume rosa.
-Nessuno prende per il culo Donquijote Doflamingo.- e posò su
un tavolino, fra i bicchieri vuoti di Pink Mojito, un telecomando nero.
…
Grazie a Eiichiro Oda, per i meravigliosi
personaggi.
Grazie al mio ragazzo, per i suoi aviatori,
per la trama, il piano d’attacco e per la scena finale con Doflamingo di questo
capitolo.
Grazie a te, che sei arrivato fin qui.
Davvero ragazze, grazie mille per tutti
questi capitoli insieme!
Appuntamento alla prossima settimana per
l’epilogo di
FLYIN’HIGH
- IL VOLO DEL CANADAIR
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Capitolo 38 *** Epilogo: l'atterraggio del Canadair ***
Epilogo: l’atterraggio del Canadair
-È dentro?- domandò sottovoce Marco ad una delle infermiere.
-Se non l'avessimo fatto entrare avrebbe fatto solo schiamazzi! Lo
sai com’è fatto.- sospirò la donna. -Si è messo lì quieto, finché non tenta di
svegliarla o di muovere i tubi può rimanere.-
Le crocerossine di Barbabianca erano riuscite a sgombrare un
ripostiglio per assicurare alla ragazza una saletta vicino all’infermeria ma
separata dai rumorosi uomini che si lamentavano e raccontavano le proprie
gesta, e lei dormiva anestetizzata, protetta da un paravento bianco. La porta era
lasciata socchiusa, e qualcuno avrebbe giurato di aver scorto persino Crocodile
gettare un occhio per sincerarsi delle condizioni del moscerino, come diceva
lui sprezzante, ma erano sicuramente calunnie.
Se tenere Pugno di Fuoco fuori dalle operazioni chirurgiche
era stato un puro miracolo ed era dovuto intervenire Jaws, sperare che
rimanesse anche fuori dalla stanzetta dove Lilian dormiva stordita dagli
anestetici e intubata da far paura, era una follia.
Ormai erano passati due giorni dagli scontri ad Athenry
Valley, e le donne dall’uniforme cipria avevano finalmente decretato per la
ragazza il fuori pericolo, facendola uscire dalla terapia intensiva, con grande
sollievo di tutti ma soprattutto di Ace, che alla notizia si era praticamente
lasciato andare contro una delle paratie della nave ed era scivolato fino a
terra, sedendosi con la testa tra le mani con un gran sospiro.
-E poi è meglio se al risveglio avrà vicino qualcuno di
familiare.- continuò seria la donna guardando il pirata moro seduto su uno
sgabellino accanto al letto bianco, con una mano della ragazza tra le sue. -Non
le piacerà il catetere sulla succlavia. E nemmeno il sondino naso-gastrico.-
Marco apparve pensoso. La sua interlocutrice continuò il suo discorso:
-Poco prima di anestetizzarla le abbiamo detto di tenere duro…-
raccontò esitante l’infermiera. -E lei ci ha mandate a quel paese… anche se in
altre parole.- abbassò la voce lievemente piccata.
Marco ghignò; decisamente la testardissima Yaeger aveva ancora qualche asso nella manica, e non si sarebbe dichiarata sconfitta per qualche proiettile in corpo.
~
Il suo respiro, lento e faticoso. Gabbiani, gabbiani nel
cielo rosa. Sua madre. Aerei che esplodevano, amici che sparivano per sempre.
Paul chino su di lei che le tagliava la pancia con un coltello, estraeva un
pallone lasciandola vuota, e la buttava via.
Odore di disinfettante. Clavulanico augmentin, formule
magiche? un due tre stella, io me ne vado a Samarcanda e tu rimani qui. Amosillicina.
Amo… Amossicina. Sillamocina?
Odore di sigaro e di dopobarba. Una grande mano sulla sua
fronte. Crocodile che le metteva il cappotto addosso, Caro che le portava il
caffè dopo una ricognizione, il cigolio del legno di una nave, la realtà che
tornava sottoforma di lunghe linee di sole che filtravano dalle tende accostate
della sua cabina. Dolore! Dolore! Il ventre in fiamme! Socchiuse le labbra, la
lingua accarezzò qualcosa di freddo che le scendeva giù, giù in gola, le ferite
la fecero gemere sommessamente. La sillamocina, era di sicuro colpa sua.
Tentò di respirare più forte, ma una fitta al grembo le
arrestò i movimenti. Era viva. Cercò di portarsi una mano al capo, dove
qualcosa le stringeva la fronte e i capelli, ma trovò il suo braccio
immobilizzato da un ago all’incavo del gomito.
-Calma, calma. È tutto a posto, non ti muovere.- la voce del
Primo Comandante la fermò, una mano salda ma lieve si posò sulla sua spalla
tenendola al letto.
Lilian aprì appena gli occhi appiccicati di mascara messo
ormai un giorno prima, forse anche più. Forse anni prima. C’era qualcosa che
faceva rumore, ritmicamente, come un orologio, ma andava troppo piano… ecco,
ora accelerava un pochino… che strani secondi.
-Tranquilla, sei sulla Phoenix ed è tutto finito.- le disse
subito la Fenice. Poi negli occhi di Lilian dovette dipingersi il panico,
perché immediatamente la macchina che monitorava la frequenza cardiaca partì al
trotto, allora Marco si avvicinò ancora di più, le sfiorò i capelli cercando di
essere meno spiccio che poteva e disse basso: -Sei fuori pericolo. In bocca hai
un sondino, ti sta aiutando a non vomitare altrimenti si riapre la ferita.- le
sfiorò il catetere poco sotto la clavicola. -Questo andrà via tra un paio di
giorni, non puoi ancora mangiare.-
Lilian guardava Marco e sentiva la sua voce fluire nell’aria.
Chissà cosa le stava dicendo. Era così spedito!
-Pure lui è vivo, anche se non sembra.- e l’uomo guardò
accanto a lui, verso i piedi del letto. Seguendo il suo sguardo Lilian mise a
fuoco, più o meno all’altezza del proprio fianco, la testa di Ace sprofondata
nel materasso, il suo russare tranquillo soffocato appena dal lenzuolo.
-Alzati, idiota.- fece il fratello maggiore dando un colpo
leggero a di Pugno di Fuoco che grugnì senza destarsi. -Voleva rimanere sveglio
finché non avresti riaperto gli occhi.- spiegò alla ragazza.
-Quanto tempo…?- sussurrò Lilian impacciata dal sondino,
facendo uno sforzo sovrumano per riuscire ad articolare quelle parole.
Marco alzò le spalle, riflettendo. -Stai dormendo da almeno
due giorni.- disse. -E lui è crollato più di un’ora fa.-
-Amelia…?-
-Sta bene, è sulla nave.
Lilian sospirò, e con sguardo sollevato allungò le mani verso
Marco, davanti a sé. Per qualche istante l’uomo non capì. Poi si chinò su di
lei e si lasciò abbracciare, sorpreso.
~
Dieci giorni dopo Ace e Lilian erano insieme sul ponte della
Seagreen, era un tramonto rosso e oro, guardavano il sole che si inabissava
piano nel mare lucente, mentre ad est era già notte, su quel vasto mare che
loro, dall’alto della nave, sembravano dominare. Lei era seduta sul parapetto,
al riparo da un possibile tuffo dietro al sartiame che si arrampicava verso
l’alto. Indossava una maglietta da uomo e una lunga e ariosa gonna bianca che
ondeggiava nel vento e profumava di detersivo. Il pirata la reggeva contro di
sé, stringendola cercando di fare più piano che poteva: Josephine non le aveva
ancora tolto i punti e le fasce, e quella era la prima volta che le permetteva
di allontanarsi dalla cabina, seppur solamente in braccio a qualcuno.
Ace la fece appoggiare con delicatezza contro di lui; aveva
paura di aver commesso un’imprudenza, a farla uscire dal letto. Si fosse
trattato di lui, non avrebbe esitato a mettersi nei guai, fasce o non fasce, ma
era in gioco Lilì, così piccola e indifesa in quel momento da risvegliare un
istinto di protezione che raramente gli era capitato di provare. Insomma,
l’ultimo con cui l’aveva provato era stato Rufy, ma la situazione era
completamente diversa!
«Non metterle pressione, nel chiederglielo.» gli aveva
suggerito Marco. «Se vuole rimanere con noi, dovrà arrivarci da sola. Forzarla
non solo sarebbe ingiusto, ma per quel poco che la conosco potrebbe produrre
l’effetto opposto. Lasciala libera.»
Libera.
Ed Ace, che su quella parola aveva costruito l’intera sua esistenza,
decise di aspettare, anche se a malincuore. Fretta? No, niente fretta. Nel suo
caso si trattava di foga, ma la mise a tacere.
I piedi nudi di Rea ondeggiavano nel vuoto, vicino alle ginocchia
di Ace, e lei si strinse piano al pirata che l’abbracciò a sua volta,
sfiorandole i capelli con le labbra e posandovi un bacio. Rea sollevò la testa
per baciarlo a sua volta, ma un forte dolore la fece fermare subito, e si portò
una mano all’addome.
-Ehi! Ti ho fatto male?- mormorò preoccupato Ace, allentando
un po’ la presa. -Vuoi tornare a letto?-
-No... no, sto bene, tranquillo.- lo rassicurò la ragazza.
-Mi sono mossa io.- sospirò.
-Cazzo, lo sapevo che era presto per strapazzarti così.-
-Ha parlato quello che se ne andava in giro con un ago da
sutura appeso al braccio.- lo punzecchiò Lilian. Gli sfilò giocosa la collana
di perle rosse e l’indossò, anche se per lei era decisamente troppo grande.
Portuguese mormorò una risata, la sua mano cercò quella che
Lilian teneva in grembo, quasi a difenderlo, e le loro dita si intrecciarono
sulle fasce bianche che cingevano il ventre della ragazza. Lei chiuse gli occhi,
stanca ma serena.
-Lilì…- mormorò il ragazzo passandosi indeciso una mano sulla
nuca. -Cosa farai adesso? Voglio dire, dove andrai?-
Lei sospirò debolmente, guardò in basso. -Non lo so.- ammise.
-Prenderò la Castle e forse tornerò verso il Sud. O magari in Oriente, pare che
siano zone più tranquille.-
-Oh…- borbottò Pugno di Fuoco. -Hai già fatto il tuo piano,
vedo.- e si sforzò di sorridere.
-Un piano chiaro e ben ponderato.- ribattè Lilian. -A Sud. A
Oriente. Mete precise, non c’è che dire.-
Riuscì a strappare un riso sarcastico al pirata, che però chiese
ancora: -Perché non rimani con noi, invece?
Ciao consigli di Marco, ciao.
La prima volta che lui gliel’aveva chiesto, lei aveva praticamente
rifiutato perché non avrebbe riconosciuto Barbabianca come suo padre, purtroppo
però le cose erano cambiate.
Lilian si voltò speranzosa verso di lui, ma poi un pensiero
sembrò riportarla con i piedi per terra. -Sarebbe bellissimo.- disse. -Ma tu conosci
i tuoi fratelli, e conosci me: non ne sono all’altezza, lo sai. Posso fare la
sbruffona su un aereo, ma non ho più nemmeno quello. Non preoccuparti per me… sopravvivrò
in qualche modo.- sorrise amara.
-Lilì.- la pregò prendendole il volto fra le mani. -Smettila
di scappare, sono mesi che corri e voli per mezzo mondo per salvarmi il culo! Vuoi
rimanere qui?
-Sono troppo debole…
-Infatti non ti ho chiesto quanto sei forte. Ti ho chiesto se
vuoi rimanere.-
Lilian sospirò. Guardò il mare e poi le vele della Phoenix.
Seguì con lo sguardo i filibustieri che, lontani da loro, sbrigavano le proprie
faccende. -Sì. Sarebbe bello.-
Poi guardò com’era conciata. -Ma sono troppo debole. Il problema
poi è che… sono ricercata, non ho nessun posto dove andare e… ma non ti
preoccupare, sono problemi miei, sbarcherò alla prima occasione, troverò…-
-Lilì. Basta sparire.- la rimproverò dolcemente il pirata. La
fissò negli occhi scuri e ancora lucidi e le domandò: -Sono problemi nostri. Tuoi, miei, di Marco, di Jaws,
di Vista e di tutti gli altri. Va bene, i tuoi tentativi di aiutarci sono stati
un disastro. Però ci hai provato, e questo lo sanno tutti. Secondo te, ci vuole
più coraggio a lanciarsi in battaglia con un potere come il mio.- lingue di
fuoco saettarono attorno ai due. -O con due pistole, come te?-
-E un fucile. E un coltello. E la Contro-Ambizione.- completò
Lilian.
-Allora lo vedi che non sei così indifesa?- la prese in
contropiede Ace con un ghigno strappando un’espressione indispettita
all’aviatrice. -Ma devi esserne convinta. Non farlo perché te lo sto chiedendo.
Non farlo perché ti senti in obbligo. Se vorrai, ti faremo sbarcare su una
delle nostre isole, sarai al sicuro, nessun Marine verrebbe mai a cercarti.
Potrai ricominciare tutto daccapo.-
Ad Ace pesava dirle quelle parole. Ma era un’alternativa
reale, e lui non voleva costringere nessuno a far parte della flotta, men che
meno Lilì.
-Non mi chiudo in un’isola per il resto della mia vita!- si
voltò verso di lui, lasciando che il vento le portasse sul volto i capelli mori
che le ricrescevano disordinati. Sospirò e si prese qualche attimo prima di
continuare. Poi puntò lo sguardo negli occhi ardenti del pirata e
assottigliando gli occhi affermò grave: -Credo proprio che verrò con te,
Portuguese D. Ace.-
Il figlio di Roger sospirò, sfiorò una guancia della ragazza
e con le dita le accarezzò i capelli dietro la nuca. -Non farlo solo per me…
sono un mezzo demonio, potrei farti del male.
-Oh beh.- alzò le spalle Lilian. -In quel caso, signor
demonio, andrò a spiattellare tutto a Fossa. Lui ti troverà. E ti ucciderà.-
concluse serissima e un po’ inquietante.
No, farle prendere sul serio le proprie origini era
impossibile, pensò Ace, però Lilì riusciva in qualche strano modo a farle
prendere meno gravemente anche a lui, almeno per un po’.
-Volevo dire…- si spiegò meglio. -Non rimanere solo per me.
Siamo pirati, lo sai; tocchiamo terra quando capita, rapiniamo e uccidiamo. Devi
giurare fedeltà alla bandiera e al nome del babbo.
-Non “del babbo”.- lo corresse. -Di “Edward Newgate”.-
-Edward Newgate.- ripetè Ace paziente. In fondo, se lei aveva
un padre, era ingiusto chiederle di considerare tale Barbabianca. E adesso,
purtroppo, anche inutile.
-Sei sicura?- insistette però il ragazzo.
Lilian lo guardò dritto negli occhi e sussurrò: -Secondo te,
con la mia faccia che ha fatto il giro del mondo sopra la scritta “novantanove
milioni”, a terra da sola quanto duro?-
-Ma tu guarda.- ghignò il ragazzo. -C’è un nuovo pericoloso filibustiere
qui!- la abbracciò più delicatamente che poteva e le stampò un gran bacio in
piena bocca mentre la ragazza ridacchiava. Poi si lasciò andare anche lei a
quel bacio, chiuse gli occhi e accarezzò le labbra di Ace con le sue, godendosi
quel momento che si negava da ormai troppo. Immerse le mani fra i capelli mori
del ragazzo e lo solleticò con la lingua. Il pirata sorrise e rispose a quel
gioco, poi aprì lievemente gli occhi per guardarla. Lilì gli restituì lo stesso
sguardo. Eccola. Stanca ma sorridente, ferita ma felice. E profumata di marsiglia,
grazie alle infermiere. -Benvenuta a bordo, Yaeger.- ghignò.
Lo sguardo della ragazza si velò di paura. -Reggimi!- lo
pregò.
-Shhh, sono qui.- mormorò Portuguese stringendola con
trasporto. Un giramento di testa, ormai ci era abituato. Erano dieci giorni che
le stava vicino, come un cagnolone da guardia, baciandola nonostante il sondino
e coccolandola facendo lo slalom tra i tubicini che la circondavano, stupendosi
della tranquillità con cui si faceva somministrare l’antibiotico direttamente
in vena. «Ma le ragazze non hanno paura del sangue?» si era chiesto
guadagnandosi un’occhiataccia di sdegno da parte di infermiere e dottoresse: «E
noi cosa siamo, capre!?»
-Torniamo dentro?-
propose scacciando la visione delle crocerossine sul piede di guerra.
-No!- rispose capricciosa Lilì, facendolo ridere. Lei si
abbandonò fra le sue braccia atletiche, lasciando che il calore del torace del
ragazzo la avvolgesse. Chiuse gli occhi, assaporando l’odore di brace del compagno
e accarezzandogli i capelli neri.
-Sicuro che non sono troppo… troppo fragile per rimanere?
- Ho deciso. Sei nella mia divisione!- le mormorò il
Comandante ignorando del tutto la mozione. -Stasera ne parliamo agli altri!-
~
-Nella tua divisione? E perché?- sorrise furbo Marco a cena.
-Non ha mai funzionato così con i novellini.-
Ace era interdetto. Accidenti, non ci aveva pensato!
-Se tutti decidessero dove andare, la divisione di Izou
conterebbe un solo membro.- disse Rakuyou, guadagnandosi una pallottola del
fratello ad appena un millimetro dai preziosissimi baffi.
Ace ci rimase male, ma era un comandante anche lui e non
poteva non comprendere la situazione.
-Hanno ragione.- ammise Lilian, presente a quella riunione
che la riguardava nonostante le proteste delle infermiere superstiti, che
avrebbero voluto tenerla tranquilla nel suo letto e prima o poi ce l’avrebbero
inchiodata, per sicurezza. -Ma davvero mi date il permesso di entrare?-
bisbigliò a Fossa, che era vicino a lei. -Siete tutti mostruosamente forti, io sono
una frana.
-E infatti noi siamo i Sedici Comandanti, tu no.- tuonò
l’uomo senza scomporsi. -Forza signori! Chi appoggia la candidatura?- si levò
in piedi, che di iniziazioni di nuovi membri ne aveva viste tante e sapeva a
memoria come dovevano svolgersi le cose. Tolse il cilindro di testa al fratello
Vista e declamò: -Chi se la prende? Lilian Rea Yaeger, cecchino e aviatore!-
Di solito era Barbabianca a far entrare nuovi membri, ma
spesso succedeva che fossero i figli a chiedere che questa o quella persona
entrasse nella famiglia. In questi casi, in assenza dell’Imperatore, c’era un
Comandante che proponeva il nuovo acquisto, e perché questi fosse accettato
bisognava che la candidatura fosse appoggiata almeno dalla metà dei Capitani;
se veniva raggiunto il numero minimo, poi tra questi Capitani veniva estratta a
sorte la divisione di appartenenza.
-Sembra selettivo, ma è necessario.- spiegò Halta alla
ragazza. -Te lo dico come Comandante… non prendertela, ma una nuova recluta è
anche una grossa responsabilità.- disse.
Lilian guardò gli uomini che parlottavano tra loro.
-Ogni pirata deve sì lavorare e giurare fedeltà, però un
Comandante ha il dovere di difenderlo, e se questa recluta combina qualche
guaio, la colpa ricade sul capitano.
-Ecco perché Ace ha voluto a tutti i costi giustiziare
Teach.- capì Lilian. Era una questione di onore per lui, ma anche una forma di
dovere, di fedeltà a quanto giurato entrando nella flotta di Barbabianca.
-Esatto.- sussurrò la Comandante. -Purtroppo non posso
appoggiarti, Lilian.- si scusò la donna. -La mia divisione è stata decimata,
non ce la sentiamo di far entrare nessuno, al momento. Se però arrivi solo fino
a sei voti, ti aiuterò.- promise.
La situazione sul Lancelot era diventata incandescente:
troppi lutti tra quegli uomini che avevano sofferto particolarmente a
Marineford e a Foodvalten, troppo dolore su quella nave che proprio non sarebbe
riuscita ad accettare un nuovo arrivato.
Oltre ad Halta, alcuni non appoggiarono la candidatura: la
colpa diretta non era di Lilian, ma lei rimaneva la causa per la quale il Babbo
era morto. Accogliere la ragazza nella propria ciurma avrebbe significato
renderle la vita un inferno, e la questione non riguardava solo il capitano ma
anche la ciurma sotto di lui. Senza contare il fatto che con le sue azioni
spesso impulsive Rea aveva dimostrato di essere molto recalcitrante ad
accettare ordini, e questo per un suo futuro capitano poteva diventare un
problema.
Rea si sentì un po’ mortificata, ma bastò un sorriso di Vista
e un pollice alzato di Rakuyou a rassicurarla, senza contare la presenza di Ace
al suo fianco.
Serviva il favore di almeno sette comandanti salvo colui che
aveva avanzato la proposta. Il primo nome a finire nel cilindro di Vista per il
sorteggio fu come promesso quello di Fossa, seguito quasi subito dal fratello
Rakuyou. La Fenice sospirò, scrisse il proprio nome su un foglietto e
sorridendo in direzione di Lilian lo tuffò nel cappello.
Poi toccò a Jaws, che sebbene non fosse del tutto convinto lo
faceva per Amelia: la ragazza gli aveva chiesto di fare di tutto per prendersi
cura dell’amica.
-Ah già, serve anche il mio per il sorteggio.- si ricordò
Pugno di Fuoco, e Vista gli passò carta, penna e calamaio.
-Scrivi decentemente, analfabeta!- lo punzecchiò Vista
vergando con precisione il suo nome su un foglietto. -L’ultima volta per capire
che era il tuo cartiglio abbiamo dovuto tirare fuori tutti gli altri!
E anche i nomi di Ace e Vista andarono a far compagnia agli
altri.
Altri due. Lilian guardò preoccupata Halta, che rispose con
un impercettibile cenno del capo; voleva dire “tranquilla, se si candida almeno
un altro, mi faccio avanti anche io”.
-Un tiratore, uhm? Può servire.- tuonò il gigantesco
Blenheim, il più anziano dei capitani, dall’angolo della stanza. -Ma
t’insegnerò a colpirli dal davanti, i nemici.- promise severo.
-Grazie.- sussurrò Rea intimorita.
Silenzio.
Ace si guardava attorno deluso… certo, anche a lui era
capitato di non appoggiare una qualche candidatura ma… andiamo! Era Lilì! Aveva
combattuto con loro, per loro, era stata coraggiosa e forte fino a rischiare la
morte! Certo, a braccio di ferro avrebbe perso contro chiunque, e non aveva
fatto altro che prendersi batoste da Teach, Doflamingo, Borsalino a Marineford,
Lafitte, Blackwood, ma era caparbia ed era sempre andata avanti come un panzer!
Oh, se ci fosse stato Satch! Il buon vecchio Satch l’avrebbe quotata
all’istante, ne era sicuro!
Halta aprì la bocca per parlare. -Appog…-
-L’appoggio io.- disse un uomo.
Speed Jill si era alzato e sorrideva pacifico. -Va bene,
piccola Lilian.- proferì. -Benvenuta in famiglia… mostraci cosa sai fare.-
~
A Lilian tremavano le mani, i capitani la guardavano curiosi.
Ace avrebbe tanto voluto sentire il suo nome e vedere i suoi occhi cercarlo, ma
le probabilità erano basse, lo sapeva. Non era preoccupato però: sapeva che in
qualsiasi divisione fosse andata, i suoi fratelli l’avrebbero protetta come
avrebbe fatto lui, si fidava di loro completamente.
La ragazza tuffò la mano magra e abbronzata nel cilindro di
Vista e rovistò un pochino fra i bigliettini che le solleticavano le dita. “Prendi me, prendi me!” sembravano
bisbigliare frenetici.
-Cinque sacchi che rimarrà delusissima. - puntò Speed Jill
aggiustandosi il fez.
-Sei che scoppia a piangere.- ribatté Izou chiudendo il
ventaglio con uno scatto stizzito. -Lo sanno tutti che avrebbe voluto entrare
nella Seconda Divisione.
-Quattro che viene da me.- tuonò Jaws.
Lilian srotolò il cartiglio con dita tremanti, poi guardò verso
uno dei Capitani.
-…Vista.-
FINE
Bene signori, stavolta è finita davvero!
I personaggi di questa storia appartengono ad Eiichiro Oda, eccezion
fatta per Lilian Rea Yaeger, Paul Blackwood, Amelia Lehired, Charles Lehired e
Caro Vegapunk.
Un grazie particolare a Legasy (tra l’altro) per il personaggio di Paul
Blackwood.
Grazie a Sherry21 per tutte le spiegazioni su operatorio e
post-operatorio!! Purtroppo non ho potuto mettere tutto, scusami!! Spero di non
aver fatto gaffe!
Grazie a tutti voi che avete sostenuto questa storia!
Un ringraziamento speciale a tutti coloro che hanno speso un minuto per
recensire i capitoli, grazie, grazie davvero!
...
Mia cara Rani,
ho quasi finito. Ormai la Contro-Ambizione è quasi pronta. Con essa potrò
liberarti e cancellare per sempre la tua presenza. Ti porterò via da
quell’inferno e farò in modo che nessuno si ricordi nemmeno della tua esistenza.
Solo così, Rani, sarai libera.
Niente più dolore. Niente più Impel Down. Potrai iniziare la nuova vita
che hai sempre sognato. Non più schiava del tuo potere. Non più isolata dalla
Marina.
Sorella mia, resisti ancora per un po’. Ancora pochi giorni.
Sto venendo a prenderti.
Paul Blackwood
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