Bring me to life

di Harley Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Smooth Criminal ***
Capitolo 2: *** Blow ***
Capitolo 3: *** Rolling in the deep ***
Capitolo 4: *** Creep ***
Capitolo 5: *** Total Eclipse of the Heart ***
Capitolo 6: *** Alone ***
Capitolo 7: *** Born to Die ***
Capitolo 8: *** Bring me to Life ***
Capitolo 9: *** A boy like That/Love will find a Way ***
Capitolo 10: *** It's all Coming Back to Me now ***



Capitolo 1
*** Prologo - Smooth Criminal ***


Nota introduttiva

(Ho iniziato a revisionare questa storia il 17/02/2019).
Questa breve long è nata senza grosse pretese, se non quella di essere scritta discretamente bene. È nata dalla mia crescente ossessione per la coppia Hans-Elsa. 
Il titolo della storia prende il nome da una delle canzoni che amo di più degli Evanescence, che nel testo ripercorre la storia dei due protagonisti secondo il mio punto di vista. 
I titoli dei capitoli sono presi da canzoni i cui testi e titoli mi sono venuti in mente prima o dopo aver scritto il capitolo; ogni capitolo sarà introdotto da citazione colte che mi hanno guidata nella scrittura della storia. Non saltatele, dicono molto di quel che succede nel capitolo. 

La prima canzone è Smooth Criminal; in particolare vi consiglio l’interpretazione del Glee Cast: Smooth Criminal, Glee
And…Here…We… GO!




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BRING ME TO LIFE

 
Capitolo 1
SMOOTH CRIMINAL


Ma ecco omai l’ora fatale è giunta
che ’l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s’immerge e ’l sangue avido beve;
e la veste, che d’or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve,
l’empie d’un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e ’l piè le manca egro e languente.
 
[…]
 Tremar sentí la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe, e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!


[La Gerusalemme Liberata - Torquato Tasso]
 
 
 
 
 
Aveva dieci anni Hans la prima volta che conobbe Elsa. Lei invece ne aveva solo nove, o forse otto e mezzo; la famiglia reale di Arendelle si era recata nel Regno delle Isole del Sud per celebrare un nuovo periodo di pace e alleanza militare e commerciale. Lei si era rifiutata di porgergli la mano e lui si era arrabbiato, perché da bravo principino doveva attenersi agli ordini del suo precettore, il quale gli aveva imposto di fare il baciamano alla graziosa principessa che si sarebbe trovato davanti. I suoi fratelli maggiori erano lì a guardarlo – a ridere alle sue spalle – e lui era solo un bambino, non capiva quando era il caso di lasciar perdere, così aveva insistito con lei, al punto afferrarle la mano con la forza.
Il padre di lei, il re di Arendelle, gli aveva detto di lasciar perdere perché la piccola Elsa era stanca.
"Porgere la mano non vuol dire correre per ore, stupida smorfiosa" aveva pensato il piccolo Hans, sentendo la rabbia montare dentro di lui. Rabbia che in realtà mascherava la delusione dell'ennesimo rifiuto da parte di qualcuno. 
Sentirsi rifiutato da qualcuno era una delle cose che odiava di più al mondo: proprio in quel giorno, infatti, erano passati ventisei mesi dall'ultima volta in cui i suoi tre fratelli appena più grandi
– Joseph, Edmund e Siegfried  gli avevano rivolto la parola.
Anche se non si erano più visti, perché lei da anni si rifiutava di intraprendere i viaggi con i suoi, non l'aveva mai perdonata per quell' umiliazione; si era spesso trovato a chiedersi cosa ci fosse di sbagliato in lei, o in lui, a giudicare da come lo trattavano tutti.
Non riusciva a dimenticare quel giorno, quegli occhi di ghiaccio che lo scrutavano intimoriti, come se temessero che Hans la potesse violentare da un momento all'altro. Non avrebbe mai dimenticato quel giorno anche perché quello fu il giorno in cui Siegfried gli rivolse (ahimè, finalmente) la parola urlandogli dall'altra parte del tavolo: "Visto Hans? Nemmeno la principessa Elsa vuole parlare con te!" seguito dalle risate di tutti gli altri.
Si era sempre chiesto per quale motivo lo odiassero tanto: aveva cercato una risposta nei suoi libri e aveva concluso, col passare degli anni, che semmai doveva essere lui ad odiare loro. E così fu. Sentiva che qualcosa si era definitivamente rotto fra lui e loro, e non avrebbe tentato di andar loro incontro mai più.
 
Arendelle era un piccolo regno, non abbastanza importante per le attenzioni dei suoi fratelli. Per questo avevano mandato lui a rappresentare la famiglia reale dei Westerguard alla cerimonia di incoronazione della nuova regina. Hans li aveva sentiti, li aveva sentiti cospirare alle sue spalle. Era arrivato leggermente in ritardo al Consiglio del re, suo fratello, e li aveva sentiti.
"Siamo stati invitati all'incoronazione della regina Elsa di Arendelle. Non posso permettermi di abbandonare il Paese. Uno di voi deve andare e rappresentare l'intera famiglia" aveva detto un fratello.  
"Non è un regno di grande importanza, non vale la pena perdere alcuni giorni lì. Non per una regina che non esce mai dalle mura del suo palazzo..."
Poi la soluzione era arrivata proprio mentre Hans arrivava trafelato davanti alla porta accostata.
"Perché non mandiamo Hans? Ce lo leviamo di torno per qualche giorno!"
E così era partito, da solo, e con un odio velenoso che gli infettava il sangue, la mente, le membra. Voleva andarsene dalla corte delle Isole del Sud. Trovarsi una principessa ereditaria, sposarsela e governare con lei. Per lei.
Doveva andarsene da quel posto. Queste erano le parole che come un 
macabro ritornello  si alternavano a "li odio" nella sua mente mentre scrutava famelico l'orizzonte dalla prua della sua nave in attesa di vedere la terra.
Aveva ricevuto un'istruzione esemplare: aveva tutte le capacità necessarie per diventare re, forse più di quelle di molti suoi fratelli.
Pensò che forse avrebbe potuto fare in modo di sciogliere il cuore alla regina Elsa, ma ricordò che quella donna... quella bambina... bionda, stranamente bionda, era stata la causa di un'umiliazione senza pari proprio perché inavvicinabile. 
Forse era cambiata nel corso degli anni... Forse adesso era più disposta a concedere la sua mano.

La principessa Anna si era gettata fra le sue braccia senza che lui dovesse fare alcuno sforzo, così decise che se non avesse funzionato con Elsa, Anna sarebbe stata la soluzione perfetta.
Capì che con la regina era una battaglia persa in partenza non appena la vide dopo dodici anni.
Non aveva potuto fare a meno di notare chela sua bellezza era fiorita in maniera formidabile, ma aveva conservato lo stesso sguardo triste ed estremamente freddo che ricordava.
Non era mai stato abituato a credere in sé stesso e nelle proprie capacità, per questo abbandonò da subito il piano iniziale, a malincuore, perché Elsa era davvero, davvero meravigliosa, bella come un sogno di paradiso, e quando l'aveva vista sorridere con la sorella, si rese conto di quello che stava per perdere. Ma non aveva né la pazienza né il coraggio per provarci con la regina, e non voleva rischiare di perdere anche Anna: voleva un regno, subito. 
...Così aveva cercato gli occhi di Anna, che scoprì bramosi dei suoi, e le aveva sorriso con tutta la dolcezza che era riuscito a mettere insieme e, a quanto pareva, aveva funzionato. Nel giro di tre ore si era ritrovato fidanzato con quella piccola, sciocca ragazzina.
Avrebbe sposato Anna e ucciso Elsa. Il piano all'inizio sembrava semplice ed elementare. Con il tempo avrebbe trovato il coraggio di avvelenarle la cioccolata calda, o di ucciderla nel sonno e dare la colpa a un servo... E avrebbe avuto il suo regno, la sua opportunità. 
Poi era successo l'impensabile: Elsa aveva mostrato in quel momento di collera i suoi poteri e Hans
– che vide finalmente ogni tassello andare a posto – si ritrovò in un battibaleno solo, a governare un regno interamente congelato, e con la consapevolezza che uccidere Elsa sarebbe stato più difficile del previsto, e non solo per i poteri che essa possedeva.
Avrebbe potuto lasciare che i sicari del duca di Weselton facessero il lavoro sporco per lui, ma era stato preso talmente di sorpresa vedendola quasi inerme, sotto la mira di quella balestra, che senza pensare che quei due gli avrebbero facilitato il tutto, deviò il colpo. Poi la riportò indietro, nel suo regno, e si rese conto che non avrebbe mai potuto uccidere quella donna. Era talmente confuso dai suoi sentimenti... Da una parte poteva giurare a sé stesso di averla salvata per un sentimento a lui completamente sconosciuto che aveva chiamato "simpatia", dall'altra sentiva l'urgenza di eliminare al più presto quell'enorme problema. 
Quando tutti avevano iniziato a indietreggiare intimoriti sussurrando la parola 'strega', lo sguardo terrorizzato di lei gli aveva ricordato quello di un bambino deriso da tutti, e aveva smesso di odiarla per quello che era successo anni prima.
Sentiva di essere attratto da lei, e che in fondo non erano poi così diversi
– poteri a parte. Sentiva di non essere più in collera con quella bambina che anni e anni fa lo aveva umiliato. Sentiva che se solo si fossero conosciuti un po', entrambi si sarebbero resi conto di quanto fossero simili. Però non aveva tempo per fantasticare. E nemmeno per innamorarsi.
Recise quei sentimenti sul nascere quando Anna si presentò al suo cospetto richiedendo un bacio. Un bacio d'amore.
Hans sapeva che non avrebbe potuto salvare Anna neanche se lo avesse desiderato.
La lasciò da sola a morire.
Ora sapeva quello che doveva fare. Le due sorelline gli avevano offerto la corona sul piatto d'argento: avrebbe incolpato una della morte dell'altra (ormai era questione di minuti). Avrebbe ucciso la strega 
– mi dispiace, Elsa  e poi il popolo lo avrebbe acclamato come salvatore di Arendelle.  Non aveva scelta.
O forse sì?!

 
* * *
 
Quando Elsa aveva conosciuto per la prima volta il giovane principe Hans si era sentita esattamente come si sentiva ogni maledetta volta che aveva a che fare con un qualsiasi altro essere vivente: inadeguata.
"Non vi preoccupate, principe Hans. Elsa oggi è un po' stanca” aveva detto suo padre poco prima di scoccare un'occhiata d'imbarazzo, impercettibile da chiunque
– tranne Elsa  alla sua consorte, lievemente arrossita per la vergogna.
Inadeguata e stupida.
 
Il giorno della sua incoronazione ricordava perfettamente quello che era successo anni prima con il principe Hans, per questo aveva fatto il possibile per non guardarlo negli occhi. E non voleva averlo come cognato: sarebbe stato imbarazzante. E poi Anna era troppo piccola per un passo del genere. 

Sapeva che anche lui ricordava: lo aveva capito quando i loro occhi si erano incontrati poco prima che decidesse di fuggire dalla festa.
 
"Tua sorella è morta per causa tua!"
Ecco, Hans le aveva rivelato ciò che temeva... e sapeva di aver fatto.
"Ti prego, Hans, uccidimi" aveva pensato in quel momento, mentre sentiva un vuoto mai percepito prima impossessarsi del suo cuore.
Tutto era diventato disperazione e oscurità per lei. Il mondo era finito, ecco perché la tempesta causata dal suo tormento interiore era cessata; Elsa si accasciò a terra senza nemmeno fare caso, anche se vedeva la sua ombra, ad Hans che sollevava la spada e la calava su di lei con una forza bestiale. Non si accorse nemmeno che Anna, viva e a pochi passi da lei, aveva visto tutto e si era gettata fra lei e il principe per cercare di salvarla.
 
Scoprì la vera storia solo dopo aver visto la sorella tirare un forte pugno in pieno viso al principe.

 
 * * *
 
Le due sorelle, ora ricongiunte, osservavano in silenzio l'allontanamento della nave che portava il vessillo del Regno delle Isole del Sud. La fissarono fino a quando non sparì sotto l'orizzonte, come se temessero che potesse ritornare indietro. O che Hans si tuffasse in mare per raggiungerle e far loro del male.
Di nuovo.
"Cosa gli succederà?" la voce di Anna spezzò il silenzio.
"Non lo so, Anna..."
Temeva che la famiglia reale non avrebbe gradito che il principe tornasse a casa incatenato come un criminale, o che non le avrebbero creduto, e lo avrebbero lasciato a piede libero.
"Spero solo che credano alla lettera in cui ho scritto quello che ci ha fatto quell'uomo." confessò alla sorella.
"Ci crederanno" ribatté Anna, con una strana sicurezza, e quando vide la sorella voltarsi verso di lei con sguardo interrogativo aggiunse con fare minaccioso alzando un pugno ancora fasciato
– la faccia di Hans non era fatta di burro, dopotutto – "o dovranno credere ai miei pugni".
Elsa sorrise, e per la prima volta da quando era tornata a far parte della vita di Anna, si sentì davvero rilassata. La prese a braccetto e insieme imboccarono la strada che portava al palazzo reale. 
"Sai, credo che nelle biografie e nei ritratti che faranno su di te suggerirò di chiamarti Anna la Guerriera"
"O l'Ingenua" disse con un sospiro.
Era forse un tentativo di dirle che aveva ragione? Anna non meritava la sua collera, anche perché, ad essere sinceri, Elsa aveva fatto qualcosa di molto più grave. Si limitò a sorridere e a sospirare un "anche" di conciliazione. Infine, dandole un bacio sulla guancia e stringendole forte la mano, concluse "Ma non parliamone più."

Sapeva che non era finita, non era un'ingenua, ma per un giorno, almeno per un giorno voleva credere che lo fosse davvero.




 

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Capitolo 2
*** Blow ***



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Capitolo 2

BLOW
 
“Le conseguenze delle nostre azioni ci prendono per i capelli, del tutto indifferenti al fatto che nel frattempo si sia 'migliorati'.”
[Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male]
 
 
 
 
In base alle leggi del Regno delle Isole del Sud, per tenere un processo contro un membro della Famiglia Reale era necessaria la presenza di tutti i testimoni dell'atto di tradimento, inclusa la regina Elsa. 
Quasi due mesi dopo aver rispedito Hans nel suo regno, Elsa aveva dovuto recarsi al cospetto della corte regia per presenziare al processo.
Quando le era arrivata la lettera che portava il sigillo della famiglia Westergard aveva avuto davvero paura, così Anna, cercando di non badare al freddo che si era impossessato della stanza, gliel'aveva strappata di mano e aveva letto per lei. Si era perfino offerta di accompagnarla, ma Elsa aveva rifiutato, convincendola che non potevano lasciare entrambe il Paese (visti gli inconvenienti passati che erano derivati da questa irresponsabilità) e per di più
– ma si era ben guardata dal confessarglielo  voleva proteggerla da Hans e dalla sua famiglia, qualsiasi cosa le avessero detto o fatto. Aveva notato quanto il tradimento di Hans l’aveva ferita, e sapeva che se i due si fossero trovati di nuovo faccia a faccia Anna ne avrebbe sofferto. 
 
Al suo arrivo era stata accolta come l'ospite d'onore, e forse lo era davvero; le avevano assicurato che l'idiota 
– scusatemi, Vostra Maestà, se chiamo così il mio fratello minore, ma suppongo che possiate convenire con me che questo appellativo gli si addica  era rinchiuso nella sua camera, sorvegliata da numerose guardie.
"Ha tentato di fuggire?" aveva chiesto Elsa incuriosita. 
"No, anzi: se n'è stato zitto e tranquillo per tutto il tempo..." rispose il principe di cui Elsa aveva già dimenticato il nome, poi aggiunse divertito "mio fratello, il re, dopo aver letto la Vostra lettera era furioso, dico sul serio. Non mi sono mai divertito tanto!"
Elsa lo guardò incredula, e cercando di capire perché la continuava a guardare. Forse si aspettava che gli chiedesse come lo avevano torturato? Quella famiglia non le piaceva per niente, soprattutto quando parlavano di Hans come se fosse l'ultimo bastardo capitato in quella famiglia; si chiese, e si diede della pazza per questo, se si sarebbe sentita più tranquilla se lo avessero difeso, anche se sapeva che Hans era indifendibile. Possibile che a nessuno fosse venuto il dubbio che lei stesse mentendo? Possibile che fosse tutto così semplice?
Scacciò quei pensieri dalla mente e trovò il coraggio per chiedere di vederlo. Forse era stata troppo arrogante, ma era stufa di ascoltare il blaterare fastidioso di George
– o qualunque fosse il suo nome. 
"È possibile? Magari prima del processo?" chiese ingenuamente. 
Il principe l'aveva guardata sbigottito, colpito dalla sua richiesta così insolita, balbettando che '''il protocollo non prevedeva una cosa simile, ma... ma...
'Scusate se non vi ho supplicato di rivelarmi come avete torturato Hans, se con la corda o con il fuoco' pensò Elsa, spazientita. 
"Principe", gli aveva sussurrato cercando di stare calma e di sembrare più convincente possibile "vostro fratello ha tentato di uccidere mia sorella... e me" aggiunse guardandolo con sguardo di accusa. "Voglio sapere solo se ha qualcosa da dirmi, e..." non era ancora abbastanza convincente "voglio leggergli la dichiarazione che ho scritto per il giudice, solo per assicurami che sia concorde con me su quello che è successo. Su quello che ha fatto."
Il principe ci pensò su per alcuni istanti con sguardo desolato, poi, disse con decisione "seguitemi."
 
Quando entrò nella stanza lo vide subito: era seduto sul davanzale della finestra esattamente davanti alla porta a fissare con interesse ciò che c'era fuori, come se dovesse imparare a memoria tutto ciò che vedeva; la testa dai capelli fulvi appoggiata al vetro.
"Sapevo che sareste venuta, Vostra altezza."
La voce che l'accolse era molto diversa da quella calma e suadente che aveva conosciuto i mesi prima. Sembrava molto più simile al tono accusatorio che aveva usato contro di lei per dirle che era colpa sua se Anna era morta, e questo la fece rabbrividire. E infuriare.
"Parlate come se mi conosceste” osservò lei con ostilità, intenzionata dal principio a erigere un muro di ghiaccio fittizio
– per il momento  fra sé e il principe.
“So più cose su di voi di quanto non pensiate...” le rispose con semplicità.
Elsa non voleva sapere cosa Hans pretendeva di sapere su di lei, ma non riuscì a trattenersi dal cercare di ferirlo, facendogli notare che evidentemente aveva avuto molto tempo per rifletterci su. Lui rimase a fissare il vuoto oltre la finestra, con un sorriso paradossalmente divertito. Seguirono alcuni istanti di silenzio, rotti da Elsa poco dopo.
“Principe Hans 
" incominciò, ma venne subito interrotta dal suono della voce di lui. 
"
...Non ancora per molto, non trovate?!" le disse in tono piatto, privo di amarezza, mentre si girava per guardarla.
Per un attimo si era aspettata di vederlo coperto di lividi, ma si diede della sciocca quando realizzò che lui non era un semplice cittadino, quelle cose non potevano fargliele. Era solo molto pallido, probabilmente a causa della reclusione forzata.
Rimasero a fissarsi per alcuni istanti e mentre lei sentiva il nervoso ribollirle nello stomaco, dovuto anche alla calma che lui ostentava, lo sentì continuare. 
"Quel che mi chiedo è... perché siete qui, potendo trovarvi... Che ne so, in una sala da ballo a civettare con qualche bel duca straniero...? Perché siete venuta da me, Vostra Altezza?"
Era vero; che ci faceva lì, a farsi prendere in giro da un arrogante, piccolo...Principe da quattro soldi?! Voleva solo chiedergli qualche spiegazione, ma, che sciocca, davvero credeva che lui sarebbe stato disposto a fornirgliela?
"Non lo so, per essere sincera." sbottò alla fine, e aggiunse "forse perché i vostri fratelli non mi vanno a genio più di voi." ripensando al principe che l’aspettava fuori.
"E quindi siete venuta da me. Sono commosso" disse fingendosi deliziato.
'Non mi piace per niente' pensò la regina, facendo un passo indietro. 
"Spero per voi che non siate qui in cerca delle mie scuse ufficiali..." continuò, tornando a fissare il vuoto oltre la finestra "non le avrete". 
"Non sono qui in cerca di scuse, principe" calcò l'appellativo cercando di inserirci tutto il disprezzo che sentiva in quel momento, poi con un sorrisetto beffardo aggiunse "...ma se desiderate farmele, accomodatevi".
Come se non l'avesse sentita, continuò a guardare fuori, e lei si chiese esasperata cosa ci fosse di tanto interessante che lo distraeva da lei. Passarono altri istanti, imbarazzanti per lei, colmi di noia per lui. Poi la voce acuta della regina ruppe il silenzio.
"Voglio solo capire. Aiutatemi, perché non ci riesco"
"Capire cosa?" disse divertito "perché un bambino maltrattato dai dodici fratelli più grandi, cresciuto nell'odio, e nel rancore..." la sua voce era tagliente, fastidiosa. "...Giunto nel Vostro regno, ha avuto la bella pensata di commettere una strage
– ahimè, senza successo?" con un movimento rapido scese dal davanzale, che gli arrivava ora alle spalle, provocando un tonfo che colse di sorpresa la regina, la quale fece un passo indietro, allarmata – azione che lui notò compiaciuto.
"Cosa vi ha detto la principessa su di me?"
Il pensiero di Elsa corse ad Anna. Non si poteva dire che la sua era stata una cronaca del tutto accurata su ciò che era successo in quella camera, davanti al focolare. Anna le aveva detto ben poco, e ad Elsa tornò in mente la voce stridula della sorella che diceva "è stato orribile", "cattivo", "...voleva ucciderti...UCCIDERTI!"
"Mi ha detto che desideravate ardentemente la mia corona. Che per averla sareste stato disposto a sposarla... E a uccidermi." disse Elsa imbarazzata, realizzando che forse Anna non le aveva detto proprio tutto.
"...Ha detto che vi sareste poi presentato come salvatore di Arendelle..." aggiunse, cercando di non dare a vedere il suo smarrimento.
"Ah, noto che Vostra sorella vi ha taciuto la parte più importante... La parte più umiliante per lei."
Pensieri orribili si offuscarono nella mente della regina. 
"Cosa le avete fatto?" sussurrò spaventata.
Un'altra risata più fredda e divertita la portò sull'orlo di perdere la calma. Era davvero insopportabile.
Rimase immobile Elsa quando il principe cominciò a girare attorno a lei come uno squalo pronto ad attaccare la sua preda.
"Non le ho fatto niente, state tranquilla" disse "le ho solo detto che non l'ho mai amata. Che nessuno avrebbe mai potuto amarla..."
"Le avete spezzato il cuore!" lo accusò subito senza aspettare che Hans finisse di parlare.
"Forse. Ho sentito dire però che si è consolata in fretta" commentò velenoso.
Elsa rimaneva immobile mentre lui le girava ancora intorno. Poi sentì quelle parole che le trapassarono il cuore da parte a parte, facendolo sanguinare di rimorso e rabbia.
"A proposito, devo correggervi: voi le avete spezzato il cuore, ricordate, Vostra Altezza?"
Boccheggiò udendo quelle parole crudeli. Si sentiva ancora in colpa per quello che aveva fatto, ma nessuno, nemmeno Anna le aveva rinfacciato questa faccenda; e lei aveva sempre sperato che nessuno lo facesse, non ad alta voce.
"È stato un incidente!" sentiva le lacrime bruciarle gli occhi, ma le ricacciò subito indietro: non avrebbe mai dato ad Hans la soddisfazione di vederla così...debole.
La risata le arrivò dalle spalle, così si voltò verso di lui, gli occhi verdi si scontrarono con quelli blu di lei, che improvvisamente si sentì la stessa bambina impaurita che aveva rifiutato di dargli la mano. Così piccola... Così debole... Un mostro.
Era pronta ad insultarlo, quando una guardia entrò senza bussare nella stanza per scortare la regina fuori.
"Il tempo è scaduto, regina Elsa"le disse guardando attentamente i due che si fronteggiavano a distanza di un metro l'uno dall'altra. 
"Datemi ancora un istante" sbottò lei, continuando a sostenere con notevole fatica lo sguardo del principe che aveva davanti, e quando si accorse di essere stata scortese aggiunse un "per favore" sbrigativo.
La guardia lanciò occhiate sospettose ai due e richiuse la porta dopo aver biascicato "cinque minuti" in un tono che non ammetteva repliche.
"Voi non avete il diritto di giudicarmi!" cominciò, sentendo la temperatura della stanza scendere.
"Scommetto che Anna ci ha messo una pietra sopra senza parlarne. Ma voi sapete che ho ragione." continuò lui, rigirando il coltello nella piaga: voleva vederla sanguinare.
"...È così?" vedendo che la risposta tardava ad arrivare, cambiò discorso.
"Comunque, non speravo di rivedervi solo per dirvi quello che voi non avete il coraggio di ammettere..." disse sempre alle sue spalle, e lei capì che era ora di allontanarsi da quel serpente a sonagli pronto a morderla. Fece qualche passo avanti, e mettendosi davanti alla finestra scorse finalmente quello che stava guardando il principe con tanto interesse: la finestra dava su un cortile interno dove un cavallo
– il suo cavallo  trottava libero e spensierato. Evidentemente per due mesi non aveva potuto fare altro che guardarlo da lontano.
"E cosa volevate dirmi?" chiese distratta.
"Ormai non ho più niente da perdere, ed essere sincero è l'unica cosa che posso fare" iniziò lui cauto, passando al tono gentile che ormai non gli si addiceva più.
"Quello che Anna non vi ha riferito
– forse per lo stesso motivo per cui non avete parlato del vostro 'incidente' – è che..." la sua voce si abbassò improvvisamente "io volevo voi, Elsa. Non lei."
 
Elsa passò tutta la vita a chiedersi per quale motivo si era voltata di scatto per guardarlo, per cercare di scorgere se nei suoi occhi riusciva a leggere un minimo di sincerità. Se l'era ritrovato davanti, pericolosamente vicino.
Si chiese anche come aveva potuto permettere che quell'uomo le afferrasse il viso e premesse le calde labbra sulle sue, perennemente fredde.
Il serpente aveva attaccato, e in un modo che l'aveva colta davvero impreparata. Era rimasta a subire l'attacco completamente inerme, con gli occhi sbarrati, finché non si era riscossa e gli aveva sferrato uno schiaffo in pieno viso.
“Come osate?” gli aveva urlato, arrossita in viso, mentre lui con una mano si massaggiava la guancia e rideva di gusto nel vederla così a disagio.
Poi Elsa lasciò la stanza di corsa, ma non prima di avergli augurato di andare all’inferno.
 
"State bene, Vostra altezza?"
Era sconvolta, e perfino la guardia che li aveva interrotti poco prima lo aveva notato. Aveva biascicato in preda all’ira che Hans l'aveva insultata, che meritava ogni punizione possibile... e per tutti era bastata questa risposta.
 
Aveva espresso il desiderio di trascorrere da sola il tempo rimanente, perciò si rinchiuse nella biblioteca reale per sistemare la dichiarazione che il giudice avrebbe letto di fronte alla corte durante il processo. E per pensare in pace a quello che era successo prima. Ma non ce la faceva a pensare: riusciva solo a rivedere quella scena a rallentatore, come se il mondo si fosse fermato in quei trenta secondi, destinati a ripetersi all'infinito.
'Ha abbassato la voce per non farmi sentire che si stava avvicinando'. Ripeteva a sé stessa, focalizzando l'attenzione su quell'aspetto del tutto superficiale di quello che era successo, per non dover pensare a quello che le aveva detto. Davvero voleva lei? E allora perché aveva messo in mezzo Anna? Perché?
 
"Io, regina Elsa I di Arendelle dichiaro, e giuro davanti a Dio, alla corte del regno delle Isole del Sud, e ai reali della famiglia Westergard che nei giorni successivi la mia incoronazione il principe Hans si è macchiato della colpa di alto tradimento, tentando di uccidere me e mia sorella, la principessa Anna, dopo aver appreso che quest'ultima, in seguito a un incidente che ha messo a repentaglio la sua vita, non avrebbe più potuto sposarlo.
Su queste dichiarazioni chiedo una punizione esemplare che sia congrua alla colpa da lui commessa.

In fede, Regina Elsa I di Arendelle.
14 ottobre 18-"
 
Il vecchio ministro della giustizia soppesò per alcuni istanti sulle ultime parole, per permettere che arrivassero a tutti, poi aggiunse:
"La Regina ha qualcosa da aggiungere?"
Elsa, che aveva passato tutto il tempo dell'apertura del processo e della lettura della sua dichiarazione a ripensare a quello che era successo poche ore prima, gettando occhiate ansiose ad Hans, seduto in mezzo alla sala sotto gli occhi inquisitori di tutti, e cercando disperatamente di dare un senso alle ultime parole che le aveva rivolto, non aveva capito che il giudice si era rivolto a lei.
"Dico, avete qualcosa da aggiungere!?" ripeté con una nota di fastidio nella voce.
"No..." si riscosse imbarazzata, in fretta "No." disse ora più decisa, notando il fantasma di un sorrisetto beffardo increspare il viso di Hans.
 
Il processo si concluse solo un'ora dopo: se Hans fosse stato un semplice popolano probabilmente il processo sarebbe stato più veloce, ovviamente se non fossero riusciti a freddarlo sul luogo del tentato omicidio. E fortunatamente i membri della sua famiglia non cercarono di trovare scappatoie, non si schierarono dalla sua parte, cosa che colpì non poco Elsa: era sicura che Hans avesse esagerato con il dire che lo odiavano. Pensava che stesse solo facendo la vittima, a dire il vero, e ne era ancora abbastanza sicura.
Hans, privato dei suoi titoli, dei possedimenti e delle terre che gli spettavano, sarebbe stato mandato in esilio in un piccolo regno a metà strada fra Arendelle e le Isole del Sud, l'unico regno i cui sovrani non erano imparentati né con Hans né con Elsa, dove avrebbe vissuto alla corte del re in qualità di "ospite indesiderato", a tempo indeterminato.
"Cioè fino a quando sarà abbastanza vecchio da non creare fastidi a nessuno" si disse Elsa compiaciuta.
 
Una volta terminata la seduta, tutti si alzarono ed Elsa li imitò, non del tutto convinta di quello che ora c'era da fare. Forse cenare? Non aveva fame.
Delle guardie prelevarono Hans dal suo posto per scortarlo nelle sue stanze in attesa del giorno in cui la nave lo avrebbe portato nel luogo dell'esilio. I loro sguardi si intrecciarono per alcuni istanti. Lei era quasi tentata di andare a dirgli qualcosa, forse chiedere una stramaledetta spiegazione per quel bacio, ma quando mosse un piede verso di lui e vide bene l'espressione abbattuta che gli caratterizzava il viso, arrossì violentemente e si bloccò.
"È completamente solo" realizzò. 
"Mia regina" la voce possente di uno dei tredici fratelli la ridestò dai suoi pensieri "per quanti giorni vi fermerete? Sapete che qui siete la benvenuta!"
Era bastata una giornata a contatto con quella famiglia per far precipitare tutte le sue certezze, ma di una cosa era assolutamente certa: non sarebbe stata lì un giorno di più.
"Perdonatemi, Vostra maestà, ma non posso trattenermi a lungo: ho un regno da governare..." cominciò con un tono dolce "...e ricostruire." aggiunse seria. "Partirò domattina. All'alba."
Poi, le venne un'idea: voleva avere la prova della veridicità su ciò che le aveva detto Hans sui suoi fratelli, cioè che non lo avevano mai amato, così aggiunse:
"D'altra parte, mio principe, sono convinta che le Vostre maestà vorranno passare più tempo possibile con il loro fratello, visto che non vi vedrete per molto tempo
"
La risata divertita che interruppe il suo discorso fu la prova lampante che aveva ragione. Hans aveva ragione a volersene andare da quella famiglia. E lei non sarebbe rimasta un minuto di più al loro cospetto, non dopo le orribili parole che seguirono la risata...
"Lo odiamo da quando è piccolo."
Insensibili.
"Non meritava la nostra simpatia."
E voi non meritate la mia.
"Sono sicuro che nessuno di noi andrà mai a trovarlo"
Disgustosi. 
"Perché? Cosa vi ha fatto di male?" lo aveva interrotto cercando di sublimare la sua furia con la curiosità.
"È per il fatto che esiste, non so se mi spiego." una voce era arrivata alle sue spalle. Principe Siegfried.
Idioti voi. 
Idiota io che mi preoccupo.
***
 
Partì all'alba, come aveva stabilito, e finalmente, mentre si trovava a prua della nave a osservare la nuova alba che sorgeva con il vento che le faceva muovere i capelli in una danza folle e disarticolata, si sentì serena.
Felice di tornare nel suo adorato regno, dalla sua adorata sorella.
Libera di poter esercitare i suoi poteri senza più nuocere a nessuno.
Sollevata dal peso sul cuore del pensiero di Hans e del suo processo.

…Ma in cuor suo sapeva che, forse il ruggito del vento nelle sue orecchie poteva impedire alle parole di Hans di entrare con tanta violenza nella sua mente, ma una volta a casa avrebbe dovuto fare i conti con tutto quello che aveva visto e sentito durante la sua breve permanenza nelle Isole.
 
 
 
 

NOTE AUTRICE: 
Questo capitolo non ha il titolo di una canzone in particolare. Blow significa “colpo”, “percossa”, “mazzata”… (cit. Google) Mi è sembrato carino e adatto.  
Nel primo capitolo ho adottato il punto di vista di Hans, ma come ho già detto a qualcuno che lo ha recensito, è stata un’esperienza davvero traumatica: mal di testa a parte, quell’uomo è un enigma troppo enigmatico per me!! Perciò da adesso il punto di vista sarà di Elsa.

La data scritta a metà: boh, nei romanzi ambientati nei secoli passati facevano sempre così gli scrittori, quindi volevo copiarli! *.* Francamente non so in quali anni sia ambientata la storia, penso intorno al 1805/10…? Boh. Voi che dite? Voglio cercare di rendere il più realistico possibile questa storia, e spero che lo apprezzerete.
Pur essendo un’appassionata di Storia, non so se è mai accaduta una cosa del genere (un principe che tenta di ammazzare le principesse di un altro regno). Ho pensato che i casi potevano essere due, visto che impiccarlo sarebbe stato sconveniente per tutti, me compresa: i famigliari del (deficiente) avrebbero potuto dichiarare guerra ad Arendelle per difendere l’onore del principe, oppure avrebbero potuto scegliere l’esilio. Di solito gli esiliati finivano la loro miserevole vita nell’indigenza (il pensiero corre a Foscolo <3), ma Hans è un principe. Quindi vivrà per sempre. E quindi ecco il regno sconosciuto che si fa avanti.
 

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Capitolo 3
*** Rolling in the deep ***


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Capitolo 3

ROLLING IN THE DEEP
 


Il sogno è l'infinita ombra del Vero.
[Giovanni Pascoli]
 
 
 
 
Due anni dopo.
 


"Elsa."
Camminava colma di angoscia lungo un sentiero completamente buio, guidata da una voce che la chiamava per nome. Una voce che la spaventava, ma era la sua unica certezza in quell'oscurità.
"Elsa..."
Si avvicinò ad un lago ghiacciato, al centro del quale si trovava una piccola isola, poi vide tanta gente senza volto accorrere per vedere qualcosa. Si sentiva in ansia come alla sua incoronazione: avanzava verso l'altare con gli occhi di tutti puntati addosso, percepiva il loro odio.
Non riusciva ancora a vedere quello che c'era al centro dell'isola, desiderava ardentemente di sapere. La terza volta che sentì pronunciare il suo nome, vide l'ombra imponente dell'uomo che la chiamava sovrastare la sua.
Hans.
Le prese la mano con forza e lei, anche se temeva di congelarlo, non oppose alcuna resistenza.
Sei al tuo matrimonio, aveva realizzato con la stessa certezza con cui aveva capito che era stato lui a chiamarla
– guidarla – anche se non era sicura che quella voce gli appartenesse nella realtà.
Quando si accorse che Hans non stava guardando lei, ma l'altare, vide con sorpresa che qualcosa si era come materializzato davanti a lei: c'era qualcuno, una figura distesa, morta. Proprio in quel momento si accorse di avere in mano la spada di Hans, insanguinata.
E sull'altare c'era...
 
Elsa si svegliò di soprassalto e si ritrovò nel suo letto, immobile, spaventata. Sollevò il busto in fretta e tentò di scrutare se nell'oscurità della stanza c'era qualcuno.
Dov'è Hans? E Anna?
"Mi hai uccisa. Mi hai uccisa."
Queste parole le rimbombavano nella mente, come in un'eco senza fine. In quel momento si accorse che un sottile strato di ghiaccio ricopriva il suo letto. E stava piangendo.

 
* * *
 
Quella notte riuscì a dormire solo per tre ore (quelle che era riuscita a dormire prima che l'incubo la svegliasse), e la sorella Anna se ne accorse non appena mise piede nella sala da pranzo.
"Elsa, hai dormito?" chiese allarmata.
"Due o tre ore bastano come risposta?" rispose tentando senza successo di sdrammatizzare mentre prendeva posto accanto a lei.
"Ancora gli incubi?" le domandò Anna stringendole la mano, e, vedendola annuire completamente disarmata, continuò "Elsa, non devi permettere ai tuoi sogni di farti questo!"
Elsa cercò di non guardarla negli occhi: non voleva che capisse che aveva pianto tutta notte.
Non posso controllare questa cosa, Anna!” sbottò amareggiata.
Poi, capendo che la sorella voleva solo aiutarla, e che quindi non era giusto risponderle in quel modo, cercò di rimediare.
“Insomma, non capisco cosa c'è di sbagliato in me..." tentò di soffocare un singhiozzo, ma invano.
"Vuoi raccontarmi il sogno?" le chiese speranzosa la sorella, pensando che le sarebbe servito per calmarsi.
 
No. Non voleva raccontarle il sogno. Perché quando si fanno certi incubi, quelli che feriscono nel profondo, non si riesce neanche a raccontarli ad alta voce, perché parlandone si rivela una parte di noi stessi, segreta e sepolta sotto cumuli di paure e ossessioni che gli altri non devono conoscere. 
 Dopo il processo di Hans era tornata ad Arendelle, felice di poter finalmente vivere la sua vita in pace. Era riuscita a conquistare il cuore del suo popolo, era riuscita a sanare il rapporto con la sorella. Era anche riuscita a convincere il Consiglio Regio che poteva governare senza un re al suo fianco 
– ricordate Elisabetta I Tudor? – aveva ribattuto quando le avevano fatto notare che una donna non sarebbe riuscita a governare da sola. Avevano taciuto.
Era molto vicina al raggiungimento della felicità. Eppure appena si rendeva conto della sua serenità, ecco apparire gli incubi che le ricordavano quello che era in realtà, un mostro, e le ricordavano che aveva un conto in sospeso con Hans. Quando si erano visti per l'ultima volta, lui aveva fatto emergere con la forza il sui senso di colpa per aver fatto del male ad Anna, scavando con le unghie nel suo cuore, dissotterrando con poche semplici parole tutte le paure che era riuscita a mettere da parte in quei pochi mesi.
E quella strana, inaspettata dichiarazione, quel bacio...
Durante il giorno riusciva a trovare dei motivi per sorridere, e sapeva di averne molti, ma quando le luci si spegnevano, i suoi demoni erano in agguato sempre pronti per tormentarla.
 
Mise la testa fra le mani e si massaggiò gli occhi, e mentre Anna tentava di consolarla accarezzandole una spalla, si limitò a dire "c'era tanta... Tanta oscurità..."
Non aveva mai raccontato ad Anna quello che era successo tra lei ed Hans quasi due anni prima: si era concentrata di più sul processo, anzi, per quanto ne sapeva Anna, Elsa aveva visto Hans solo al processo. Non le aveva voluto dire niente in parte per non ferirla, perché avrebbe dovuto far riferimento a quello che lui le aveva detto su come aveva trattato Anna. Se Anna aveva deciso di non parlargliene, voleva rispettare la sua decisione. Inoltre si vergognava tantissimo per essere rimasta inerme, anche se sapeva che era successo troppo, troppo velocemente e che quindi non avrebbe potuto far niente per impedirlo.
Ma dopo vari incubi dove era costretta a rivivere quel momento, scoprì che non erano solo questi i problemi: una parte di lei, ancora fortemente attaccata alla dimensione inconscia, giurava che non le era dispiaciuto, dopotutto. E quando questa parte emergeva attraverso i sogni, la faceva stare forse più male di quando sognava di aver ucciso qualcuno.
E il sogno di quella notte era stato davvero troppo. Aveva toccato il fondo.
Quella notte, passata a piangere e a meditare, aveva preso la sua decisione: non poteva andare avanti così.
"Io devo parlare con Hans. Devo vederlo." concluse infine, asciugandosi le lacrime. Sentì la mano di Anna bloccarsi come se fosse stata congelata.
Non sapeva esattamente cosa avrebbe fatto
– e detto – una volta davanti a lui, ma sentiva che le doveva più di una spiegazione per il suo comportamento: era stanca di rivivere negli incubi il loro scontro avvenuto due anni prima, senza sapere cosa fosse.
 
* * *
 
Prima di ottenere una sottospecie di consenso da parte della sorella per partire, dovette sopportare una settimana di insulti, piagnistei e tentativi di dissuasione che la portarono quasi all'esasperazione, ma mai alla rinuncia di intraprendere quel viaggio.
Mentre osservava assorta seduta su un divanetto la servitù che le preparava i bagagli, Anna entrò nella sua stanza, sedette accanto a lei e cominciò a parlare.
"Se fossi io la regina ti farei rinchiudere in una camera finché non ritrovi la ragione" pigolò con tono lamentoso. Poi, accorgendosi della soluzione infelice, soprattutto per Elsa, sospirò "scusa..."
Elsa non si offese: le prese una mano e la strinse fra le sue e senza badare alle parole precedenti, le sorrise.
"Verrai a salutarmi domattina?"
"Ma certo" le rispose subito Anna, ma dopo un pausa a effetto aggiunse "Non sarà mai troppo tardi per farti cambiare idea."
 
L'indomani non tornò all'attacco. Forse la notte le aveva portato il buon consiglio di non insistere ulteriormente: si limitò solo a trattenere la sorella in un lungo abbraccio, mentre le sussurrava tutti gli insulti che avrebbe dovuto riferire ad Hans da parte sua.
"E non dimenticarti: 'smidollato' devi dirglielo dopo 'verme schifoso'!" le ricordò prima che si chiudesse la porticina della carrozza.
 
E fu così che partì verso la tana del lupo.
 
Il viaggio durò relativamente poco, dato che il regno era piuttosto vicino. Si trovava in ottimi rapporti con i sovrani, soprattutto con la principessa, diventata molto amica di Anna. In una delle sue prime visite ad Arendelle (dopo il Grande Gelo) aveva appreso che anche lei aveva avuto un triste passato di reclusione e per questo si sentiva più legata a lei che alle altre nobili con cui era in rapporti d'amicizia. Sentiva però che non sarebbe mai riuscita a sentirsi sua pari, perché la principessa Rapunzel era stata rinchiusa e abituata all'idea che il mondo era pericoloso, non lei.
 
Quando arrivò venne accolta con tutti gli onori che spettavano a un'ospite di così alto rango. Era stata trascinata subito a sorseggiare tè e a chiacchierare con le dame di corte sulle nuove mode provenienti da Parigi e da Vienna; venne informata che l'indomani avrebbe partecipato a riunioni di natura più politica. Non aveva intrapreso quel viaggio per niente, dopotutto: doveva rinnovare gli accordi sull’alleanza commerciale, e per questo avrebbe dovuto partecipare a riunioni con il re e la regina e i loro numerosi ministri. Le annunciarono che a metà della sua permanenza avrebbero dato un ballo in suo onore. Sarebbe rimasta una settimana.
Nessuno nominò Hans: nessuna allusione al fatto che in una delle stanze più separate dalla vita del palazzo era rinchiuso il principe esiliato.
Così, appena ebbe un momento di respiro chiese qualche spiegazione alla principessa.
"È a caccia" la informò "gli abbiamo accordato un giorno di svago all’aperto una volta al mese, inoltre ho fatto come mi avete chiesto: non sa che siete qui"
Elsa avrebbe voluto chiederle molte più cose su di lui: come si comportava, come viveva l'isolamento...come stava... ma non ci riuscì. Lo avrebbe chiesto a lui di persona, se non fosse riuscita a parlare di altro.
Disse alla principessa che desiderava vederlo in privato prima di sera. 
"Potete aspettarlo nella sua stanza!" esclamò la giovane "Non vi preoccupate, abbiamo delle guardie che lo sorvegliano in ogni istante: non vi farà del male..."
Ma non temeva il confronto con lui per questo motivo. Sapeva difendersi molto bene dagli attacchi fisici. Le aveva detto di conoscerla, e, anche se in maniera minima, aveva dimostrato di sapere qualcosa su di lei. Per esempio i divoranti sensi di colpa che la tormentavano. Chissà cosa le avrebbe detto a distanza di due anni. 

 
* * *
 
Il sole stava tramontando, notò Elsa guardando da una delle finestre della stanza di Hans, ma era ancora abbastanza alto per illuminare il mondo ancora per qualche ora.
Iniziò a camminare lungo la stanza, avanti e indietro, in preda all'ansia più logorante. Lui sarebbe arrivato da un momento all'altro, e lei non era ancora sicura di quello che gli avrebbe detto.
Per più volte si era diretta verso la porta maledicendo la sua stupidità, la sua avventatezza, la sua... la sua...
Una lettera sarebbe bastata! realizzò amareggiata infine. Ma prima che il cervello mandasse l'impulso alle gambe di uscire e mettere più distanza fra sé e quel covo di serpi, la porta si spalancò.
 
"Questa non me l'aspettavo." commentò Hans non appena la riconobbe. 
Elsa si era voltata ed era arrossita. 
"Questo potrebbe darmi un piccolo vantaggio su di voi?" le parole le uscirono dalla bocca senza che lei ci pensasse. Era il suo intento questo, quando aveva chiesto che lui non sapesse della sua visita nel regno.
"Ne siete certa?" la apostrofò avvicinandosi allo scrittoio alla sua destra e appoggiandoci su un libro.
Lei rimase in silenzio e seguì con lo sguardo i suoi movimenti, riconoscendo da lontano il libro che stava appoggiando, I dolori del giovane Werther, e per un folle attimo pensò che aveva un buon gusto in fatto di libri.
"Cosa volete da me?" interruppe i suoi pensieri con un tono astioso mentre si sedeva allo scrittoio e ci appoggiava sopra i piedi con naturalezza.
Eccolo lì, di nuovo a porre una semplice domanda, una domanda legittima, e ecco che ancora una volta Elsa non era in grado di rispondergli. Ma lui l'aveva capita prima che lei inventasse qualcosa di inutile, così aggiunse immediatamente "anzi, fatemi indovinare... Non lo sapete, è così?"
No. No. NO. Non voleva che il coltello dalla parte del manico lo avesse lui, non per la seconda volta, anzi, la terza.
"Anna vi manda tutto il suo disprezzo" iniziò ostentando una sicurezza che non le apparteneva, sicurezza che lui frantumò in tanti piccoli pezzi l'istante dopo.
"Bastava una lettera" commentò beffardo guardandola negli occhi.
"Ci ho pensato quando era troppo tardi" confessò di rimando, assumento una finta aria innocente. Lui scoppiò in una fredda risata, poi tornò serio.
"Non voglio trattenervi. Là fuori si staranno già chiedendo si vi ho squartata o strangolata. Tornate domani" disse con tono stanco, afferrando il libro e iniziando a leggere.
"Volete pensare a come ferirmi anche questa volta?" chiese adirata: la stava mandando via, stava vincendo. Ed era tutta colpa della sua stupida avventatezza, della sua incapacità di proferire parola.
"Vi do la possibilità di fare lo stesso" rispose senza staccare gli occhi dal libro.
Elsa rimase a fissarlo per alcuni istanti, mentre lui sembrava non curarsi in alcun modo della sua presenza. Alla fine si diresse verso la porta, infuriata.
"Alla fine si suicida." rivelò la regina prima di chiudere la porta alle sue spalle, sperando di infastidirlo almeno quanto lui aveva infastidito lei. E ci era riuscita, perché sentì alle sue spalle il tonfo di qualcosa che si schiantava contro la porta.
 
 
 

 


Note autrice:
Rolling in the Deep è una canzone (stupenda) di Adele e mi è sembrata adatta per introdurre l’inizio della fine.

L’incubo di Elsa: ho cercato di essere più realistica possibile, inserendo elementi tipici dei sogni: sensazioni e cose che cambiano, che appaiono all’improvviso, o che ci si accorge che c’erano da sempre. Immagino che tutti voi sognate, e sapete cosa vuol dire sapere qualcosa senza capire come facciamo a saperlo.
Inoltre, potrei dilungarmi nel raccontare quello che ha fatto Elsa alla corte di Rapunzel ma voglio incentrare la storia unicamente su Hans ed Elsa, quindi durerà poco, ma sarà molto intensa. In teoria.
Rapunzel non sarà un personaggio fondamentale nella storia, sia chiaro. (Anche se l’adoro <3)
Ringrazio di cuore chi mi sostiene per questa storia: questo fandom mi sta dando soddisfazioni inaspettate! *sorride commossa*

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Capitolo 4
*** Creep ***


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Capitolo 4

CREEP

 
«Caro mio, a che serve la precauzione? Il pericolo non è dove te l'aspetti.»
[I dolori del giovane Werther]
 
 
L'indomani le toccò trascorrere tutta la mattinata nella Sala del Consiglio per discutere di politica: partecipare a riunioni simili richiedeva una forte concentrazione, di conseguenzail pensiero di Hans non riuscì a infastidirla. Quando i primi accordi furono conclusi – fortunatamente con successo le fu proposto di fare un giro per i villaggi circostanti per conoscere il popolo di quel regno tanto felice. E così passò gran parte del pomeriggio.
Tornata nella sua stanza appurò che mancavano poco meno di quattro ore alla cena, perciò aveva un bel po' di tempo per sè stessa. E per Hans.
Era arrivata fin lì per una ragione e non doveva più rimandare.
Scrisse ad Anna per informarla del viaggio e di quello che aveva fatto fin'ora; scrisse a Kristoff per ricordargli di vegliare su Anna, anche se sapeva che in realtà non ce n'era bisogno; scrisse a Kai e ai ministri per informarli degli accordi presi quel giorno. Dopo aver passato un'ora a scrivere lettere per qualsiasi persona le vinisse in mente, si decise.
Via il dente, via il dolore, giusto? Si ripeté mentre camminava con decisione verso le due guardie che vigilavano davanti alla porta della stanza di Hans.
 
* * *
 
Si fissavano torvi davanti a un servizio da tè molto grazioso che però stonava decisamente con l'atmosfera della stanza. Entrambi aspettavano che fosse l'altro a parlare per primo.
Elsa non iniziava perché stava ancora ripassando mentalmente tutto quello che aveva da dirgli, soprattutto, pensava a come difendersi dalle cattiverie che le avrebbe detto. 
Hans invece aspettava che fosse lei a parlare: dopotutto era stata lei a chiedere di nuovo di parlare con lui, quel pomeriggio, quando era entrata accompagnata da un servo che portava tra le mani un vassoio carico di pasticcini e due tazze da tè. Gli aveva annunciato "dobbiamo parlare, Hans" calcando il suo nome per far sentire la mancanza di un appellativo di cortesia.
Però quando la vide afferrare la tazza più vicina, non riuscì a trattenersi. Dopo aver osservato per un po' le mani nude della regina, parlò. 
"Noto che non vi siete ancora maritata, Elsa"
Quelle parole le fecero andar di traverso il tè che stava bevendo. Quando riuscì a ricomporsi, decise che poteva anche essere sincera nel rispondere a quella domanda. 
"Non sono ancora sicura di poter stare con qualcuno senza fargli del male..." disse cercando di sembrare tranquilla. 
Era la verità.
In parte.
"...O temete che il fortunato abbia paura di voi, e che quindi non vi voglia" concluse Hans, con aria saccente.
Elsa abbassò il viso e sorrise amaramente, incassando il colpo. Insomma, era troppo pretendere che i suoi numerosi corteggiatori le dicessero un semplice "non ho paura di voi" al posto di spendere 
– sprecare  mille parole per elogiare la sua bellezza e poi arretrare appena lei porgeva loro la mano? 
Tutti ormai sapevano dei suoi poteri, e tutti la guardavano estasiati, ma da lontano. Li vedeva sudare quando gli si avvicinava, e questo le faceva ancora tanto male. I suoi ministri non la capivano, non si capacitavano dei suoi rifiuti. Perché Hans invece sembrava aver intuito subito quale fosse il vero problema? Era sempre riuscita a nascondere i suoi sentimenti a tutti – tutti!  mentre a lui bastava guardarla per capire cosa pensava, cosa la tormentava. E dimostrò questa capacità ancora una volta quando interruppe i suoi pensieri poco dopo.
"Ora capisco per quale motivo siete qui..." continuò cercando gli occhi di lei, proprio come quando le aveva chiesto di fermare l'inverno, ma questa volta con un sorriso arrogante che voleva solo farla sentire più piccola e debole. Elsa strinse la tazza fra le mani, aggrappandosi a essa come se fosse l’unico modo per non cadere. 
"...Vi siete resa conto che qualche anno di pace non è stato sufficiente per guarire le ferite di una vita, non è così?"
Elsa lo guardò sbigottita e si affrettò a squittire un "no!" che rivelò tutta la sua fragilità e insicurezza.
"Via, Elsa, non avrete fatto tutta questa strada per venire qui a mentirmi! Siate sincera, almeno con voi stessa, se proprio non volete concedere questo privilegio ad altri"
Suonò più come un ordine che come un invito.
"Io..." iniziò lei guardando ogni parte della stanza, ben atten ta ad evitare gli occhi di Hans "...può darsi..." ammise infine.
"E quale ruolo avrei io in tutto questo, di grazia?" chiese l'uomo con crescente arroganza, come se si aspettasse che lei dicesse qualcosa in più di una semplice ammissione.
“Quando mi avete detto che ho ucciso mia sorella mi avete ferita. Perché...Perché..." cominciò la regina, ma dovette fermarsi quando si rese conto che una spiegazione era necessaria.
"Perché non è vero" pensò, ma non riuscì a dirlo. 
Queste parole le morirono in bocca, perché sapeva che non era la verità. Vedendola in difficoltà, Hans portò un pasticcino alla bocca, sorridendo alla vista di quella piccola, tenera bambolina di porcellana prossima a frantumarsi. A causa sua.
“Me l’ha detto lei, sapete? L’avete colpita con i vostri poteri” le disse con arroganza, con la pretesa di sapere tutto, poi continuò “è la verità, e voi lo sapete.”
Elsa non riusciva a trovare una risposta per questo affronto. Aveva colpito Anna inavvertitamente, mentre cercava di proteggerla; non aveva mai voluto farle del male, eppure, come sempre, aveva finito per distruggere tutto ciò che toccava. Gli altri non si rendevano conto di quanto la facesse star male parlare della pericolosità dei suoi poteri, mentre lui sì, lui la capiva. Capiva quanto dolore le provocava quella parte di sé, e godeva vedendola soffrire per questo.
Avrebbe tanto voluto andarsene, ma non aveva intenzione di cedere, non questa volta. C'erano ancora molte domande senza risposta.
“Mi avete detto che non desideravate Anna, che non era nei vostri piani. Io lo ero. Queste dichiarazioni mi hanno…” cercò di trovare la parola più adatta “...incuriosita. Per non parlare di quanto quel bacio sia stato inopportuno…” non aveva ancora finito, ma Hans, ricordandosi del bacio che le aveva rubato, la interruppe.
"È stato solo un esperimento: volevo vedere come avreste reagito” le disse con un'alzata di spalle. 
Elsa lo guardò inacidita.
"...E cosa volevate dimostrare?”
Il principe la guardò negli occhi e sorrise.
“Che basta poco per mettervi in crisi” rispose candidamente. 
Aveva passato molto tempo a cercare di dare una spiegazione a quello che era successo: aveva perfino pensato che la sua volesse essere una pazzia di quelle che possono fare i condannati a morte, magari una ricerca disperata di amore… Ma mai aveva pensato che fosse un iniquo atto di cattiveria. Perché lo era, lo era eccome. Lei aveva cercato di difendersi, ma l'imbarazzo l'aveva fatta fuggire da quella stanza, dimostrando che era stata una debole, che era facile metterla in crisi, e forse era per questo che lui aveva la pretesa di capirla così bene.
Hans la vide rimanere senza parole e continuò, cambiando argomento.
“Comunque. Non mi sembrava che ci volessero ulteriori spiegazioni. Volevo voi, fin dal primo momento in cui ho intrapreso quel..." queste parole fecero ridestare la regina.
"Tutto questo non ha senso! Avete messo in mezzo Anna!" lo interruppe con parole che le frullavano per la testa ormai da anni, prima che lui terminasse il discorso.
"Ha fatto tutto da sola" tagliò corto il principe.
"Che significa?" chiese Elsa con una risata fredda, isterica "insomma, le avete chiesto di sposarvi! Se proprio desideravate me perché non..."
Le parole le morirono in gola non appena realizzò quello che stava per dirgli, ma lui capì al volo.
"Perché non ho cercato voi? Vi hanno mai riportato le voci che giravano sul vostro conto fino a due anni fa? Le voci sulla bella principessa che non esce dalla sua stanza da anni e anni e anni..."
Elsa lo guardò sorpresa. No, non le avevano mai detto niente. Era sempre stato tutto normale, tutti l'amavano, tutti la desideravano, mentre in realtà desideravano vederla solo per constatare che non fosse...
"Una strega. È questo quello che pensavano tutti” disse Hans. Poi, sporgendosi verso di lei, come se le stesse facendo una confidenza, aggiunse “…E non vi nasconderò che molti lo pensano ancora..."
La regina sentì qualcosa spezzarsi dentro di sé.
Era uno dei pensieri che aveva sempre cercato di scacciare dalla mente, ma lui era arrivato come un uragano e aveva forzato tutte le sue difese, sputandole in faccia quello che nessuno aveva mai avuto il coraggio di dirle.
Fece di tutto per controllarsi, ma avvertendo che la temperatura della stanza iniziava a scendere velocemente, dovette alzarsi in piedi, terrorizzata da quello che avrebbe potuto fare. Aveva fantasticato con Anna più e più volte sui vari modi per ucciderlo: congelarlo vivo, trasformarlo in una statua per i giardini reali… ma non era così che doveva andare. Lei non era un'assassina. Però sentirsi dire queste cose era troppo.
Non avrebbe potuto mai essere felice: quello era il succo del discorso. Tutti l'avrebbero sempre vista come il mostro e mai come una dolce regina, come una donna.
Guardò il fuoco nel caminetto a pochi metri dallo scrittoio: si era spento.
"Tornate a sedervi, non è questo il punto" le intimò Hans, vendendo che iniziava ad agitarsi. Elsa rimase dov'era, cercando di raccogliere tutta la forza che aveva in corpo per calmarsi.
Dando le spalle alla finestra e non ad Hans chiese con affanno "e qual è?"
"Il punto è che non avevo alcuna speranza di avvicinarvi" le disse alzandosi a sua volta, sforzandosi di domare i brividi di freddo che avvertiva "e lo sappiamo entrambi" aggiunse, cercando di raggiungerla, ma lei prontamente mise una mano davanti a sé intimandogli
– supplicandolo – di non avvicinarsi.
"Allora fate smettere questo gelo!" le urlò di rimando a denti stretti. Poi si voltò e, dandole le spalle si diresse tremante verso il camino e riaccese il fuoco.
Passarono alcuni minuti di silenzio, e appena la fiamma tornò a scoppiettare, il freddo iniziò a dileguarsi.
Elsa decise di rimanere comunque in piedi: non era sicura di essersi calmata, non era sicura che si sarebbe mai calmata.
"…Io non lo sapevo" rispose in ritardo all'affermazione precedente del principe, il quale fece una risata fredda, sarcastica e rispose di rimando.
"Andiamo, Elsa! Non avete parlato con vostra sorella per anni! Un principe venuto da chissà-dove avrebbe avuto qualche speranza?"
Perché non ci hai provato? Queste parole disperate presero forma nella mente di Elsa prima che potesse fare in modo di stroncarle sul nascere. Lo guardò spaesata, cercando le parole giuste per rispondere 'no, non vi avrei respinto' non tanto per lui: non avrebbe mai accettato i suoi tentativi di raggiro ora come ora, ma voleva dimostrare che non era così isolata come lui voleva farle credere. Ma era come prendere in giro sé stessa, più di lui. E non era sicura che Hans desiderasse di essere trattato come uno stupido, in quel momento.
Forse Hans si aspettava che gli dicesse qualcosa di simile, ma quando Elsa rimase in silenzio, continuò a sferrare i suoi colpi, sempre più profondi, sempre più dolorosi.
"La verità è che siete davvero il mostro che tutti temono. Siete una vigliacca, una codarda che ha sempre preferito scappare anziché rimanere e combattere..."
Non siate il mostro che tutti temono. Queste parole le tornarono in mente con violenza. Forse stava cercando di dirle la stessa cosa? Impossibile: ora voleva solo ferirla. Lo capiva dal tono di voce assolutamente privo di quella dolcezza supplicante con cui le aveva impedito di commettere una strage.
Mostro.
Con gli occhi colmi di lacrime di rabbia gli urlò "Non avete il diritto!"
"Il diritto di cosa?" rispose sempre più divertito, alzandosi una seconda volta dalla sedia e dirigendosi verso di lei "...di rivelarvi ciò che nessuno ha mai avuto il coraggio di dirvi?"
Poi continuò ad avanzare verso di lei, ormai in lacrime
– di rabbia o di consapevolezza, o di tutte e due  e a immergere le unghie nel suo cuore con le parole.
"Voi non meritate nessuno. Perché siete solo in grado di combattere contro gli altri e mai per gli altri!”
Ormai era a due spanne da lei.
'Sono gli altri che non hanno mai combattuto abbastanza per me' Voleva urlare a lui
– a tutti  ma non ci riuscì: era riuscita a celare questo suo pensiero così a lungo che non sarebbe certo stato uno stupido, arrogante principe a tirarglielo fuori.
Non aveva altre parole, riusciva ad aprire la bocca solo per cercare un po’ di aria. Stava forse sognando? Le sembrava di essere in uno dei suoi peggiori incubi, quelli in cui il suo intero popolo le dava la caccia attraverso i boschi neri neri, e lei vedeva le torce e i forconi avvicinarsi... Ma a quel punto si svegliava. Questa volta l'avevano presa, lui l'aveva presa.
Come in un dejà-vu, lei si trovò ad urlargli di nuovo "State indietro!" puntandogli contro una mano, disperata, sopraffatta.
"State indietro o io..." lo minacciò con voce rotta dal pianto, lui non si mosse e la guardò negli occhi con quieto disprezzo.
"Non mi fate paura!" disse ostentando una certa calma. 
Rimasero a fissarsi per alcuni istanti; lui si beava di quella vista: la regina Elsa completamente soffocata dalla disperazione, travolta dal dolore che le rivelazioni di quel pomeriggio le avevano arrecato rendendola consapevole che le sue paure erano reali, e non esistevano solo negli incubi.
"Voi" riuscì a dire infine con il respiro rotto dai singhiozzi "Non sapete- nien-te-di me."
"Eppure state piangendo..." osservò lui, provando un piacere perverso nel continuare a ferirla.
"È stato uno sbaglio venire qui" realizzò Elsa infine, appoggiandosi ormai priva di forze al vetro della finestra e portando una mano agli occhi per cercare di asciugare le lacrime. "Mi dispiace avervi rubato del tempo. Mi dispiace..." continuò parlando più a sé stessa che al suo interlocutore.
Si mosse in direzione della porta, ma Hans capì il suo intento prima che iniziasse a muoversi e l'afferrò per le braccia e la rispinse contro il vetro.
"Guardaci, Elsa! Siamo due mostri!" le disse a denti stretti, a pochi centimetri dalla faccia, come se cercasse di convincerla su un concetto elementare, e lei pensò follemente che avrebbe preferito se l'avesse baciata di nuovo.
"...Siete qui perché lo sapete anche voi!" faceva di tutto per guardarla negli occhi, come se fosse l'unico modo per convincerla, mentre lei, in egual maniera, faceva di tutto per evitare i suoi. "Ditemelo! Perché continuate a far finta di niente?"

Quando si capisce di aver superato il limite? Hans ormai l'aveva fatta a pezzi, ma continuava, continuava a colpire: voleva vederla farsi polvere.
Voleva solo trasmetterle un po' del veleno che gli infettava il cuore. Per non sentirsi solo. Ma lei non era ancora pronta ad accettare dentro di sé quel veleno, non era pronta a farlo diventare parte di sé. Ed Hans lo capì quando lei finalmente lo guardò, esausta, e gli disse con voce ferma che doveva andare via. Lo capì e la lasciò uscire dalla stanza. La lasciò andare, pensando che quella donna aveva dimostrato ancora una volta di essere una debole. Ma lui sapeva che in fondo non era così, che prima o poi sarebbe tornata da lui e gli avrebbe chiesto di insegnarle come si fa ad andare avanti. A fregarsene.
 
* * *
 
"Elsa, va tutto bene?" la voce allegra di Rapunzel interruppe i suoi pensieri. Più che pensieri erano le parole di Hans che le frullavano in testa come un ritornello interminabile, incontrollabile.
 
Dopo esser uscita
– fuggita  dalla stanza di Hans aveva voluto passare quel che restava del pomeriggio da sola. Si era fatta un bagno, e tra le lacrime non era riuscita a pensare ad altro se non a quello che le aveva detto, concludendo, con un sorriso amaro, che da adesso i suoi incubi si sarebbero sbizzarriti davvero tanto, anche se in due giorni non si erano ancora fatti vivi i fantasmi della sua mente.
A cena era stata molto silenziosa, ma un conto è rimanere in silenzio ed essere presente, un altro è essere completamente assente.
 
"Non so, davvero..." rispose in un sussurro.
"Va bene. Cosa vi ha detto quell'uomo?" si intromise Eugene, il novello sposo della principessa.
Poteva essere sincera con loro? Così l'avrebbero riempita di rassicurazioni sul fatto che non era un mostro, che lui si sbagliava. Certo, lui si sbagliava, ma gli altri? Era abbastanza sicura che non le aveva mentito dicendole che le dicerie su di lei non si erano ancora placate...
 
"Che non mi chiederà scusa per quello che mi ha fatto." ed era la verità, ma come al solito, in parte, perché non aveva specificato cosa le aveva fatto -e detto-.
Così incominciò il gioco del chi-insulta-di-più-Hans. A quanto pare non era stato uno spasso averlo intorno fin dal primo momento. In quei giorni non gli era permesso partecipare alla vita di corte a causa del soggiorno di Elsa, ma di solito gli permettevano per lo meno di sedere alla loro tavola. Dopotutto era un nobile.
Rapunzel e Eugene si divertivano nel ricordare aneddoti che vedevano il principe come protagonista, ai quali seguivano commenti offensivi. Non lo facevano con cattiveria: volevano solo far sentire meglio Elsa, la quale si limitava a sorridere, ad annuire e ad aggiungere un "avete ragione" ogni tanto.
Andava bene così.
 
I giorni seguenti passarono in fretta. La regina rimase non poco stupita del fatto che non ricordava i sogni che faceva in quei giorni. All'inizio pensava che non la stessero più tormentando gli incubi, ma poi qualcuno le disse che l'avevano sentita urlare nel sonno. Desiderava che nessuno si allarmasse, perciò disse di non farci assolutamente caso, che doveva essere la lontananza da casa a fare questi brutti scherzi.
Ad Elsa non passò mai, neanche per un solo istante, per la mente di tornare da Hans. Prese più volte in mano carta e penna per scrivergli una lettera per spiegargli i suoi comportamenti, per cercare di controbattere su tutto quello che le aveva detto, ma non riuscì mai ad arrivare a scrivere qualcosa di più dopo l'intestazione della lettera, e non era neanche sicura che 'Caro Hans' fosse un buon inizio.
Diedero il ballo in suo onore e, nonostante lo sforzo che dovette fare per ballare con almeno due o tre nobili, si divertì. Pensò che quella sera avrebbe desiderato avere accanto la sorella. Si sentiva in colpa per non averla ascoltata, per aver voluto fare di testa sua intraprendendo quel folle viaggio e permettendo così ad Hans di ferirla nel profondo. Ma dovette constatare che almeno lui le aveva detto la verità, verità che tutti cercavano di nasconderle.
 
La mattina dopo il gran ballo dato in suo onore, si svegliò senza ricordare il sogno di quella notte, ma con solo una frase in mente che l'accompagnò per tutta la giornata. Una frase apparentemente senza senso, ma che la faceva pensare solo a una cosa: lei che correva via dalla stanza di Hans in preda ai singhiozzi.

Il lupo non fa prigionieri.
 
Due giorni dopo sarebbe tornata ad Arendelle.
 

 
NOTE DELL’AUTORE:

Creep è la canzone perfetta come inno di questo capitolo: ascoltate la versione del Glee Cast e capirete! (cliccate sul link --> Creep - Glee
La frase finale. Vi spiego: vi capita mai di svegliarvi con in testa una parola, o una frase senza senso, ma che man mano che ci pensate lo acquista? Ecco, “il lupo non fa prigionieri” mi è uscita un po’ a caso, ma se ci pensiamo… un senso ce l’ha, se pensiamo ad Hans come a un lupo, come ci pensava Elsa… e lei non è stata fatta “prigioniera” da lui: l’ha completamente devastata! Va be’, compatitemi se non riuscite a capire… 

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Capitolo 5
*** Total Eclipse of the Heart ***


Nota introduttiva:
 (Oggi mi sento colorosa!)
Spero che amiate questo capitolo almeno quanto ho amato scriverlo.
In fondo al capitolo trovate una fan art (non so come chiamarla) che ha fatto per me e per voi tutti che seguite la storia nostra cara ElsaWestergard. (So che ora andrete a vederla prima di leggere)
Total eclipse of the heart è una canzone adorabile di Bonnie Tyler. Devo ammettere che mi piace un po' di più la versione GLEE, comunque sia, la trovo davvero davvero adatta per questo capitolo. La trovate qui: Total eclipse of the Heart-Glee
Anche la citazione di Dante la trovo perfetta. Prendela staccata dal contesto e capirete.

Ringrazio di cuore tutti coloro che stanno seguendo la storia, alcuni dei quali mi hanno già dato una fiducia enorme (folli!) mettendola tra i preferiti...E grazie ancora di più per coloro che recensiscono, che si fanno sentire! :D


Detto ciò…Buona lettura!
 
 
 
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Capitolo 5
 
TOTAL ECLIPSE OF THE HEART
 
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
[Inferno V, 100-102]
 
 
 
 
Elsa si era appisolata sullo scrittoio, completamente esausta. Quel giorno era stato molto pesante per lei: aveva dovuto lottare con tutte le sue forse contro sé stessa per non addormentarsi in sede di consiglio.
Aveva ancora in mano la penna d'oca con la quale si apprestava a rispondere alla lettera di Anna, spalancata davanti a lei.
 
"Mia adorata Elsa,
Bel tentativo, ma non ti credo. Finché non ti riabbraccerò e non ti guarderò negli occhi, non crederò che va tutto bene. Rapunzel mi ha scritto che l'altro giorno ti ha trovata piuttosto provata dopo il tuo incontro con Lui.
Insomma, gli insulti che ti avevo detto di riportargli non sono bastati per zittirlo?
Non pensare di cavartela con me, quando tornerai.
Non vedo l'ora di rivederti.
Tua, Anna."
 
Aveva cercato di scrivere qualche riga di rassicurazione per la sorella.
"Carissima Anna,
Non preoccuparti per me: domani ti racconterò il motivo per cui ero triste; ti dico solo che Rapunzel non ha capito, non sa.
Il ballo di ieri è stato favoloso. Ho conosciuto tante persone deliziose. Ho indossato il vestito di nostra madre quando.......NO NO NO NO"
 
La lettera terminava con quei quattro 'no' scritti a caratteri cubitali sulle ultime parole. Non era credibile, non poteva pensare di darla a bere alla sorella con quella finta naturalezza.
 
Spalancò gli occhi non appena fu conscia di aver dormito; rilesse le parole che aveva scritto e, arrabbiata, diede loro il colpo di grazia tirando numerose righe su di esse. Poi prese un nuovo foglio e scrisse con la sua grafia elegante e sottile:
 
"Carissima Anna,
Quando ti ho detto che stavo bene, dicevo la verità. Hans è solo un maledetto antipatico. Ti dirò il resto una volta a casa.
Ti voglio bene,
Tua, Elsa"
 
Scrisse infine, convinta che leggere quelle parole su Hans avrebbe reso felice Anna.
Sembrava che tutti volessero solo che lei contribuisse a trovare nuovi modi per odiarlo ed insultarlo. Forse pensavano di farla sentir meglio così, facendo i ruffiani, mentre, in verità, non voleva proprio sentirlo nominare, perché ogni volta che sentiva il suo nome finiva per passare le ore successive a rimuginare su quello che le aveva detto, ed era stanca di questo.
Aveva passato il giorno dopo il loro ultimo incontro ad odiarlo con tutta sé stessa, fino alle lacrime. Le aveva detto cose terribili.
Il suo pensiero, però, mutò in quei giorni: si accorse dell’evoluzione che stava subendo quando si rese conto di essere infastidita dall'atteggiamento degli altri verso Hans, in particolare quando sentì delle critiche sui suoi capelli rossi. "Capelli del diavolo, parola mia." Insomma, nessuno si sforzava di fare critiche costruttive, per lo meno; nessuno si sforzava di capirlo. E pensavano che lei volesse sentir solo parlare di lui, che desiderasse la loro solidarietà.
La cosa che più l’aveva destabilizzata, dopo il loro incontro, era la sua convinzione che si somigliassero, in qualche modo. Ecco un altro grattacapo al quale non riusciva a dare alcuna risposta razionale, mentre il suo inconscio le urlava, attraverso i sogni, la sua convinzione.
Ha ragione. Razionalmente era arrivata ad accettare un può darsi.
Si chiese come faceva a capirla così bene, e, soprattutto, perché lei non capiva lui. La risposta arrivò a lei repentina.
Non ci aveva mai provato.
Cosa può spingere un uomo –un principe– ad uccidere le reali di un paese sconosciuto, solo per avere la corona? La follia! la malizia in cuore! erano le risposte che davano tutti, e lei con tutti, fino a quel momento.
Ma ora capiva che doveva esserci di più, qualcosa –o qualcuno– sotto quella maschera molto ben assortita di cattiveria ed egoismo. Forse un bambino estremamente solo? Sotto strati e strati di malvagità c'era forse dell'amarezza? dell'odio?
Un bambino maltrattato dai dodici fratelli più grandi, cresciuto nell'odio, e nel rancore…
Ricordava con esattezza quelle parole. Al momento sembrava che le stesse dicendo una bugia, solo per prendersi gioco di lei –e della sua bontà–, ma ora non stentava a crederci. Soprattutto perché i suoi fratelli le avevano dato la prova della veridicità delle sue parole.
Con uno sforzo ricordò anche di quella volta in cui si erano conosciuti da piccoli, e di come i suoi fratelli lo avevano guardato. Degli sguardi...soddisfatti. Come se non attendessero altro, un nuovo motivo per deriderlo. –o era solo un falso ricordo? –
Poteva perdonare un uomo, odiato fin da quando era bambino, per quello che le aveva fatto?
No. Era la risposta perentoria che le suggeriva il cervello. Non si può perdonare un uomo -un assassino- in base a un'idea probabilmente falsa che ci si è fatti di lui in pochi giorni.
Ma dargli un'altra opportunità?
Forse.
 
Questi pensieri l'accompagnavano da giorni. Ormai la sua permanenza nel regno di Corona stava per giungere alla fine; le sembrò che quei giorni fossero passati troppo velocemente. Non era pronta per tornare a casa: Anna l'avrebbe tormentata per sapere cosa era successo con lui, e non era sicura di volersi confidare con lei. Non le aveva mai spiegato esattamente per quale motivo aveva voluto incontrarlo, forse, in realtà non lo sapeva nemmeno lei, all’inizio; le aveva farfugliato che voleva solo vedere se era pentito per quello che aveva fatto, perché ...perché non le piaceva l'idea che 'se la cavasse' senza nemmeno fare delle scuse; Anna alla fine se l'era bevuta. Elsa però aveva capito che era lì da lui per scoprire cosa significassero quei sogni: lui aveva le risposte, lui sapeva cosa la tormentava, ma erano risposte che avevano dato vita ad altre domande sempre più complicate, le quali richiedevano uno sforzo enorme per trovarne la risposta. Non voleva più vederlo, anche se ne avrebbe avuto bisogno. Se solo avesse avuto davvero qualcosa da dirgli, così da non lasciargli tempo per parlare, per confonderla.
 
Dopo aver realizzato che forse anche lui poteva aver sofferto molto in vita, non riusciva più a vederlo come una persona unicamente malvagia. E si odiava per questo, perché sapeva che quell'idea, cresciuta in lei come un cancro, non l'avrebbe più lasciata vivere in pace.
Ma come fare per scoprire la verità? Se fosse stata una semplice nobile avrebbe potuto intraprendere un viaggio, interrogare i famigliari, gli amici, magari anche la sua balia per saperne qualcosa di più. Se fosse stata una semplice nobile avrebbe avuto il tempo per farlo. Ma era una regina, una regina che doveva far fronte ai mille problemi che si affollavano nel suo regno e all'estero, come le tensioni sempre crescenti tra Francia e Austria. In quei tempi c'era da stare molto attenti nel scegliere con chi allearsi, bisognava essere vigili e non perdere tempo in simili frivolezze. Anche lui, probabilmente, aveva passato una vita in isolamento, ed aveva risposto con l'odio, con la cattiveria, mentre lei si chiudeva in sé stessa. Come sarebbero riusciti a superare le loro paure, le loro ossessioni…Le loro ferite? Non aveva tempo per redimere un principe maledetto, in quel momento. Non aveva tempo per redimere sé stessa.
 
***
 
Passò l'ultimo giorno divisa fra incontri con i ministri e chiacchieratine frivole con le dame nei giardini del palazzo; quando pensava che la giornata ormai fosse giunta alla conclusione, Rapunzel la trascinò nelle stalle per farle conoscere Maximus, il cavallo che faceva capo all'esercito del regno. Elsa dovette constatare che era completamente pazzo, ma le strappò un sorriso, quel pomeriggio. Alla fine, tornò esausta nella camera, dove incontrò la servitù che le aveva preparato un bagno caldo e che si apprestava a finire i bagagli. Sarebbe partita il giorno dopo, in mattinata.
Dopo la cena, rimase per un po' nel salone dove tutti furono deliziati dal canto della principessa Rapunzel, alla quale si unì anche Elsa dopo l'ennesima supplica. Sembrava che tutti l'amassero, ma non riusciva comunque a evitare di sentirsi a disagio, sbagliata.
Finalmente, verso le dieci e mezza di sera, riuscì a chiudersi alle spalle la porta della sua stanza. Scivolò nel letto non appena la sua serva riuscì a scioglierle l'elaborata pettinatura che aveva dovuto sopportare tutto il giorno, e si addormentò.
 
E, dopo una settimana di pace, almeno su questo fronte, i demoni che erano rimasti in agguato in attesa di tormentarla, ricomparvero.
 
***
 
"Svegliatevi, Elsa!"
Una voce la chiamava, ma non capiva da che parte arrivasse. Non riusciva ad aprire gli occhi. Aveva troppa paura di quello che avrebbe visto se li avesse aperti: temeva che avrebbe scorto le loro facce, impregnate di odio. Aveva paura.
"Elsa!"
Aprì gli occhi, ma non vide altro che il buio che avvolgeva la stanza. Dopo un po' sentì dei respiri affannati, come se qualcuno fosse stato immerso in una vasca gelata, e la voce la chiamò di nuovo per nome.
Era lui.
Terrorizzata iniziò ad agitarsi nel letto urlando contro il suo tormentatore, che cercava di bloccarle le braccia e le urlava "stai tranquilla...Stai tranquilla Elsa!"
Ma lei continuò ad agitarsi, ancora distesa, fino a quando non sentì più le mani di lui, che voleva solo calmarla. Sentì raschiare qualcosa, finché non vide una piccolissima luce accendersi e andare a posarsi sulla candela appoggiata sul comodino vicino al letto, che illuminò i loro visi. Hans era in piedi davanti a lei, pallido come un cadavere che respirava a fatica e farfugliava qualcosa come "non voglio farvi del male...".
Elsa si guardò intorno, e in quel momento notò che un sottile strato di ghiaccio ricopriva l'intera stanza, e sul soffitto, proprio sopra di loro, si erano formati degli spessi stalattiti di ghiaccio.
"An-datevene" riuscì infine a proferire, in preda ai singhiozzi "o mi met-to ad-ad urlare."
"È da mezzora che state urlando." le rivelò lui, tornando a sedersi sul letto per guardarla negli occhi, che si erano di nuovo riempiti di lacrime. "Vi prego, vi prego lasciatemi sola..." lo supplicò ancora: non voleva farsi vedere in quello stato da nessuno, soprattutto da lui.
Vedendo l'aspetto confuso, disorientato e molto, molto spaventato di lei, Hans si alzò, ma invece di andarsene, si diresse verso il caminetto e incominciò a trafficare per accenderlo, proprio come aveva fatto cinque giorni prima. Lei lo guardò come in trance, realizzando in quel momento che lui non doveva trovarsi lì; non doveva proprio trovarsi in giro per il castello, ma non riuscì a dire niente. Si alzò seduta, e mise la testa fra le mani, afferrandosi violentemente i capelli. Soffocò l'ennesimo singhiozzo: ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva quei volti deformati dalla rabbia che la inseguivano, la torturavano. Osservò fra le braccia che le coprivano gli occhi le spalle dell'uomo che si affaccendava così laboriosamente per accendere il fuoco, e che dopo un po' ruppe il silenzio per cercare di dare qualche spiegazione "Le guardie... Si sono addormentate e ho colto l'occasione per farmi una gita per il castello di notte." La fiamma nel caminetto cominciò a tremolare. "Poi vi ho sentita urlare e sono entrato. Sembravate impazzita."
Elsa faceva finta di non ascoltarlo, ancora scossa, ma in verità era tutta orecchi. Cosa aveva fatto? Aveva pianto? Parlato? Urlato? E cosa aveva detto?
"Si può sapere cosa vi tormentava tanto?"
Tu. Voi. Tutti.
"Non sono affari che vi riguardano." Rispose avvolgendosi il corpo con le braccia, come per proteggersi da tutto. Da tutti.
Poi, vedendo che il fuoco ormai era acceso, si alzò e andò a sedersi sul divanetto di fronte a esso, spaventata dal ghiaccio che gravava sulla sua testa; Hans era in piedi di fronte a lei. "Vi ringrazio per il fuoco. Ora dovete andare." disse con voce ferma, convinta che prima se ne fosse andato, prima si sarebbe sentita meglio.
"Non così in fretta, Elsa."
…Ma non poteva pensare di convincerlo così facilmente. A quanto pareva, aveva urlato per molto tempo, e nessuno era accorso in suo aiuto, forse perché ormai erano tutti abituati a questi spiacevoli eventi durante la notte. Era sola, sola contro lui. Non voleva raccontargli il sogno –l'incubo– che aveva appena fatto, non se la sentiva, soprattutto perché lo riguardava. Scosse la testa ripetute volte, come una bambina ostinata, e temette di star per morire quando lui si sedette accanto a lei, ordinandole di dirglielo.
Si voltò dall'altra parte, dandogli le spalle, ricoperte dai lunghissimi capelli biondi. "No, non voglio."
"Elsa..." le disse, forse supplicandola, "Elsa, non potete tenervi tutto dentro."
Siamo due mostri. Le sue parole che le tornarono in mente con violenza. Erano davvero così simili fra loro?
Scoppiò di nuovo in lacrime, lacrime che si intensificarono –se possibile– quando sentì una sua mano accarezzarle dolcemente la testa "dimmelo Elsa, dimmelo. Dimmelo." Le ripeteva, ora tirandole i capelli " «Non fatemi del male» dicevi. Chi ti faceva questo?"
"Ero–" iniziò voltandosi verso il fuoco, con gli occhi sbarrati. "Ero...–" Ma Hans le chiese subito impaziente "Dove? Dov'eravate?"

"Alla caccia alla Strega." ammise infine con uno sforzo enorme.  Nascose il viso fra le mani, piegandosi su sé stessa. Sembrava che stesse per spaccarsi in mille pezzi.

Non aveva mai rivelato niente –niente– dei suoi sogni a nessuno. Nessuno aveva mai insistito tanto per saperlo...
Forse perché in fondo, a nessuno importava abbastanza di lei da costringerla a parlare.
Nessuno ha mai combattuto per me.
"Ed eravate voi la strega?" Attese che lei annuisse e continuò incalzante "Chi vi dava la caccia?"
"Tutti." non era abbastanza, non era un 'tutti' qualsiasi, e lui lo capì subito, perché le ordinò di specificare chi. Elsa non voleva dirlo: sentiva che se l'avesse detto ad alta voce, quella cosa si sarebbe avverata, ma in quel momento capì cosa stava facendo con lei: voleva solo che sentisse un po' meno il peso dell'incubo. Non voleva semplicemente farla soffrire di più. Voleva che si liberasse di quel peso.
"Il popolo, i miei genitori... Anche Anna. E tu..." non si era fermata in tempo. C'era Hans in quel sogno, ma non aveva lo stesso ruolo che avevano tutti.
 
Brancolava nel buio, sentendo delle parole sussurrate nelle orecchie "è lei!" "strega!" "al rogo!". Poi si guardò indietro e vide alcune luci. All'inizio cercò di andar loro incontro, pensando che erano lì per illuminare la sua strada, ma una volta avvicinatasi ad esse, scorse le facce arrabbiate, imbestialite del suo popolo, tra cui figurava anche sua sorella, e i suoi genitori. Allora cominciò a correre, ma più correva, più le sembrava che si avvicinassero a lei, imprecando contro la strega, contro il mostro. Alla fine si fermò: ormai l'avevano raggiunta. Li vedeva trasformarsi in statue di ghiaccio contro la sua volontà, i volti deformati ora dalla paura.  Anna, con una ferita sanguinante nel petto la fissava da lontano, senza fare niente, nemmeno quando Elsa la chiamò perché l'aiutasse.
Poi
arrivò, anzi, apparì dal nulla: lì dove lei stava per essere linciata, adesso stava il principe Hans, che la guardava mentre veniva inghiottito dalla folla, tornata a inseguirla.
Non ricordava in base a cosa era giunta a quella conclusione, ma era assolutamente sicura che si fosse sacrificato per lei, prendendo il suo posto. Gli raccontò il sogno, ma decise di omettere l’ultima parte, anche se ormai gli aveva detto che c’era anche lui.
 
“Anna vi vuole bene. Come fate ad essere così cieca?” le disse con decisione, con rabbia, come se odiasse il fatto che lei non capiva. Forse c’era un po’ d’invidia nelle sue parole: di certo non poteva dire lo stesso per i suoi fratelli. Poi tornò all’attacco, realizzando in quel momento che c’era anche lui nel sogno. “Cosa facevo io…?” ricominciò a tormentarla per saperne di più; le afferrò il viso con una mano, ormai calda, e affondò le dita nei capelli sulla tempia per  fare in modo che rimanesse ferma, per costringerla a guardarlo negli occhi "Cosa facevo io?"
"Mi hai salvata!" gli urlò mortificata, e sentì che finalmente l'abbandonava una parte del peso che le gravava sull'anima. Allora Hans capì. Finalmente ebbe la prova di quello che pensava su di lei già dal primo momento in cui se l'era ritrovata nella stanza. "È per questo che siete venuta da me?"
Ormai era del tutto inutile per Elsa inventarsi una scusa e continuare a fingere: con uno sforzo immane esclamò "Tu sai cosa vuol dire!". Finalmente era riuscita ad ammettere –e accettare– che dopotutto non erano così diversi fra loro. "Sai cosa significa sentirsi… così... in ogni... momento...sbagliati..." disse con il fiato corto. Ormai non era più in grado di calibrare con cura le parole che usava; Hans rimase in silenzio, beandosi delle parole che finalmente le aveva sentito dire.
"Perché avete tentato di uccidermi se mi volevate?" gli chiese subito dopo, cogliendolo di sorpresa per il repentino cambio di discorso. "Perché?" lo incalzò portando una mano a stringere quella che l'uomo aveva ancora sul suo viso, per paura che questa volta sarebbe stato lui a voltarsi per non risponderle. Soffocò un singhiozzo quando lui le chiese con astio "A voi cosa importa?"
"M'importa, Hans!" gli rispose lei di rimando, arrabbiata.
Ed ecco finalmente traboccare l'amarezza che aveva avviluppato il cuore di lui, nutrendosi di tutto quello che c'era stato di buono in esso. Dopo una breve meditazione, nella quale aveva guardato la regina con uno sguardo di pura indecisione e di odio, rispose con semplicità "è più facile odiare quello che non si può avere." disse, capendo che ormai Elsa era pronta per accettare un po' del suo veleno senza che lo respingesse come aveva fatto fino a quel momento. "E non venitemi a dire che è stata solo mia la colpa."
Elsa comprese che non si riferiva a quello che era successo due anni prima. Lui aveva iniziato ad odiarla quel giorno in cui gli aveva negato un gesto così tanto semplice che non era mai riuscito a capacitarsene, neanche quando aveva scoperto il perché di quel rifiuto. Perché lui non avrebbe mai avuto paura della Regina delle Nevi.
Dopo quella dichiarazione era giunta alla conclusione che desiderava davvero che lui avesse provato ad avvicinarla, ma non era colpa sua se non lo aveva fatto. Non è mai stata colpa di Hans, eppure era lui il mostro odiato da tutti, era lui quello solo. Quello senza lei. Comprese che era stata lei a sbagliare tutto nella vita, ma adesso no: adesso era nel posto giusto.
Pensò che si stava gettando nell'abisso infernale quando portò le mani a cingergli il collo e lo baciò. E mentre lui la stringeva a sé con una forza che le tolse il respiro, mentre le passava una mano fra i capelli e li tirava con foga, Elsa capì che meritava quell'inferno, lo meritava per aver lasciato che lui si sacrificasse per lei.
 
Sapeva che sarebbero arrivati a questo, quella notte passata a meditare e a piangere tutta sola?
No.
Forse.
In quel momento, mentre appoggiava la testa alla sua spalla e si addormentava cullata dalle sue carezze, era sicura che l'aveva sempre saputo.
 
***
 
Hans si voltò verso la finestra cercando di muoversi il meno possibile per non svegliarla. Il cielo cominciava a perdere un po' della sua oscurità: doveva tornare nelle sue stanze se non voleva farsi scoprire.
Si era dato ripetutamente del pazzo mentre cercava la sua stanza nei corridoi del palazzo: se lo avessero scoperto sarebbe stata la volta buona che lo avrebbero condannato a morte, come sarebbe dovuto essere.
Fai un altro passo falso e sperimenteremo su di te la ghigliottina. Era stato il saluto che il suo fratello maggiore aveva riservato per lui, due anni prima. Erano stati troppo buoni con lui, si era ripetuto spesso, anche se sapeva -come tutti- che il destino degli esiliati era quello di impazzire per la solitudine e, nel peggiore dei casi, suicidarsi, o finire con il fegato rovinato per l'abuso di alcool. Prima o poi sarebbe successo, tutti lo sapevano, tutti se lo aspettavano.
Ma doveva vederla, doveva vederla almeno una volta ancora, prima che partisse. Non era del tutto convinto di quello che avrebbe fatto, come si sarebbe comportato se l'avesse trovata a dormire tranquillamente. Forse sarebbe rimasto semplicemente a guardarla. Svegliarla era stato fuori discussione, almeno fin quando non la vide in quello stato.
Abbassò lo sguardo e la vide in tutta la sua bellezza mentre respirava tranquilla nel sonno, le mani che gli stringevano la camicia. A quella visione gli venne in mente un episodio accaduto quando doveva aver avuto quattro o cinque anni, uno dei suoi primissimi ricordi: la sua balia lo aveva portato a vedere una gatta che aveva partorito i cuccioli da una settimana; lui li aveva visti e aveva preso tra le mani un gattino bianco e se l'era portato al cuore, e quello, completamente terrorizzato, aveva piantato i suoi piccoli, deboli artigli nella sua camicia e nella pelle. La visione di Elsa glielo ricordò. Adorava vederla debole e spaventata, forse perché gli permetteva di sentirsi forte. Più forte di quello che era.
Si alzò cercando di non svegliarla. Avrebbe voluto far qualcosa per salutarla: forse lasciarle un biglietto, ma con scritto cosa?
Non le avrebbe mai dato la soddisfazione di farle sapere che quella notte aveva scoperto che sotto gli strati di rabbia, e di odio, e di rancore, c'era un cuore, un cuore che lei aveva fatto tornare a battere, anche se solo per poche ore. La odiava ancora, odiava lei perché era così, perché non aveva mai permesso a nessuno di avvicinarsi, ed ora era troppo tardi. Sia per l'imminenza della sua partenza, sia perché quella maledetta aveva aspettato troppo per rendersi conto che non tutti la temevano per i suoi poteri.
Gettò un ultimo sguardo verso la figura dormiente della regina che emergeva nell'oscurità e chiuse la porta alle spalle.
Le guardie che presidiavano il corridoio dove si trovava la sua stanza erano ancora addormentate: il vino che aveva offerto loro, custodito per mesi e mesi in attesa del momento giusto, era servito e aveva funzionato alla grande, tuttavia si affrettò ad entrare: non poteva permettersi di fallire proprio a quel punto.
 
Attese l'alba guardando angosciato alla finestra della sua stanza che dava sul cortile esterno al castello, aspettando di vedere la carrozza arrivare per prelevare la regina –la sua regina– e riportarla a casa. Passarono tre ore circa, e finalmente qualcosa si mosse: iniziarono a caricare dei bagagli. Ormai era questione di poco tempo, e l'avrebbe vista emergere dal portone. Proprio mentre realizzava che a breve sarebbe arrivata, qualcuno bussò alla porta.
È lei pensò speranzoso, così corse alla porta per aprire, ma davanti a sé non vide la donna che aveva stretto fra le braccia per tutta la notte, bensì una guardia, una stupida guardia che lo distoglieva dal suo tacito addio alla regina, una stupida guardia che gli tendeva un biglietto.
"Per voi, da parte della regina Elsa di Arendelle."
Afferrò subito il foglietto e chiuse la porta in faccia alla guardia biascicando un 'grazie'. Corse alla finestra e la vide. La vide mentre era costretta a farsi baciare la mano –rigorosamente guantata– ai nobili che assistevano alla sua partenza. La vide mentre veniva soffocata da un abbraccio della principessa Rapunzel. La vide mentre alzava gli occhi per cercare la sua stanza, la vide, ed era tanto bella mentre i loro occhi si incontravano. Aprì la lettera senza distogliere lo sguardo, e quando lo abbassò constatò che sperava di trovarci qualcosa in più di due semplici parole.
 
Mi dispiace.
 
Alzò gli occhi pieno d'ira e la vide salire sulla carrozza, pronta a partire, e capì che non l'avrebbe vista per lungo tempo. Forse era l'ultima volta che la vedeva. Quella notte nessuno dei due aveva sbagliato mossa, entrambi lo sapevano, ma una volta sorto il sole, bisognava guardare in faccia la realtà: era un amore impossibile, e se all'inizio era stata solo colpa di Elsa, ora la colpa era di entrambi.
 
"Addio" sussurrò, vedendo la carrozza scomparire davanti ai suoi occhi.
 
 
 

 
 
 
 
 


 
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La foto è ispirata al capitolo 2!

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Capitolo 6
*** Alone ***


Note introduttive:
Alone è una delle mie canzoni preferite in assoluto. È di Celine Dion, per chi non lo sapesse, e mi è sembrata adatta per descrivere l'attesa estenuante che hanno dovuto soffrire Elsa e Hans... Ecco, QUI trovate la canzone cantata dalla meravigliosa Celine, mentre QUI c’è il link della canzone di Glee, cantata da un uomo e una donna, che faremo finta che siano Hans ed Elsa. Comunque Celine tronerà a cantare per noi...Indovinate con che canzone...? *.*
Mi sento in dovere di ringraziare tanto tanto tanto chi mi sta seguendo, chi sta apprezzando la storia e continua (e spero continuerà) a darmi fiducia.
FINALMENTE HO TROVATO L’IMMAGINE DELLA STORIA!! CHE NE PENSATE? (trovata si Google)
 
Buona lettura!
 
 
 


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Capitolo 6

ALONE
 
"Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior."

 
Odio e amo. Come questo sia possibile mi sfugge
Ma lo sento, e sono in croce
.
[Gaio Valerio Catulluo]
 
 
 
 
Due settimane dopo
 
Hans giocava con il coltello facendoselo roteare fra le dita, immerso nei suoi pensieri. Era a tavola, e non si accorse che il re e la regina lo fissavano infastiditi e che a tavola, poco dopo, tutti a condivisero il loro sdegno.
La principessa Rapunzel, che con il suo buon cuore aveva sempre cer
cato di costruire con lui un rapporto almeno di rispetto, si estraniò dalla conversazione per rivolgersi al principe imbronciato che le stava di fronte.
"Non mi avete detto niente sulla visita che ha fatto la regina Elsa..." non appena Hans sentì nominare la regina, si ridestò, e, quando comprese la natura della domanda, si rabbuiò e rispose seccamente "Non sono affari che vi riguardano."
Rapunzel fece una smorfia: era la stessa risposta che le aveva dato Elsa l'ultimo giorno, ma con molta, molta più diplomazia.
"Elsa è una mia amica...–" cominciò, ma prontamente il principe le rispose brusco "Allora chiedetelo a lei." e si alzò. Non aveva intenzione di rimanere un minuto di più sotto processo, non di nuovo. Si rivolse all'intera tavolata e si congedò, biascicando delle scuse. Quando finalmente entrò nella sua stanza, si diresse verso lo scrittoio e, in preda all'ira, buttò a terra con violenza tutto quello che vi stava sopra.
 
*
*
*
 
Elsa giocherellava con un ciuffo ribelle di capelli uscito dalla sua lunga treccia, fissando il vuoto e meditando, senza accorgersi che tutto il Gran Consiglio di Arendelle la fissava in attesa di qualcosa.
"Mia regina, avete sentito?" si fece coraggio un ministro richiamandola alla realtà.
Si riscosse subito "Cosa? Oh sì, certo, potete dare il via per la costruzione di quella diga..."
"Ma... mia regina..." la guardò stupefatto e imbarazzato allo stesso tempo "Questa mozione è stata approvata mezz’ora fa!"
Adesso era lei ad essere imbarazzata. Da quanto tempo non ascoltava quello che succedeva nella Sala? Fece un rapido conto... Se mezz’ora prima aveva dato il permesso di iniziare dei lavori, e già non stava ascoltando allora, era da quasi due ore che si era completamente estraniata dalla conversazione. Istintivamente portò una mano alla testa e cercando di apparire stanca disse "Non mi sento bene oggi... Vogliate perdonarmi se mi ritiro nelle mie stanze..." si alzò.
Tutti la imitarono imbarazzati e balbettarono dei "ma certo". Quando Elsa si chiuse la porta alle spalle, si guardarono negli occhi. Era da due settimane che andava avanti così.
 
*
*
*
 
"Carissima Anna,
Ci ho provato, te lo giuro, ma Lui non si vuole confidare: si arrabbia e se ne va ogni volta che gli nomino tua sorella. Mi dispiace non esserti d'alcun aiuto. L'unico consiglio che posso darti è di continuare a insistere con Elsa perché........"
 
Anna strinse forte fra le mani la carta dove era scritta la risposta della principessa Rapunzel alla sua richiesta -supplica- di indagare su quello che era successo fra la sorella e il Verme Schifoso. Si diresse verso la stanza della sorella senza ascoltare i tentativi di dissuasione che le urlava Kristoff dall'altra parte del corridoio ed entrò come una furia, senza nemmeno bussare. "È ora di finirla, Elsa."
"Anna..." la supplicò Elsa, passato il primo spavento dovuto all’irruzione della sorella nella sua camera. "Cosa c'è?" chiese, distesa sul letto, facendo finta di non sapere qual era il problema.
"Kai mi ha detto che hai abbandonato il Gran Consiglio; di nuovo." le disse con una vocina acuta a pochi passi da lei.
"Non sto bene..." Tentennò di rimando, consapevole che, forse poteva darla a bere ai ministri, ma a sua sorella no, e la cosa fu dimostrata poco dopo.
Il problema era che da quando era tornata si comportava in modo troppo strano: alternava dei momenti di pura felicità a momenti in cui o si metteva a fissare il vuoto, persa nei suoi pensieri, oppure si chiudeva in sé stessa e non parlava con nessuno. Non aveva raccontato molto di quello che era successo durante il suo soggiorno nel regno di Rapunzel, o meglio, aveva raccontato tutto, eccezion fatta dei suoi incontri con Hans, su cui era stata molto vaga, dicendo che "Non valeva la pena parlarne", che "gli assassini non cambiano mai" e aveva liquidato il discorso con un "è finita." colmo di amarezza, che per lei assumeva un significato diverso da quello che avevano inteso gli altri. Tutti le avevano creduto, a parte Anna, che ancora insisteva per saperne di più.
"I casi sono due: o mi dici cos’è successo quindici giorni fa o andrò io stessa a chiederlo a chi di dovere" le ordinò, attenta a non nominare il nome di Hans.
Il fatto era che Elsa dava l'impressione che tutto fosse a posto, che tutto andasse bene, ma una volta Anna le aveva fatto notare che aveva voluto vedere Hans per qualcosa, e lei era scattata di rabbia ripetendole che era andata per ricevere delle scuse, scuse che non erano arrivate. Caso chiuso.


"Anna..." cominciò supplicante, ma vedendo lo sguardo impassibile della sorella, si alzò e andò a sedersi su una poltrona, accanto a lei. "Quante volte te lo devo ripetere? L'ho visto una sola volta e...–"
"Rapunzel mi ha detto che erano due le volte." Elsa perse un battito. Per un attimo aveva temuto che avrebbe detto tre, ma si ridestò subito e decise di assecondarla, senza iniziare a imprecare contro la sua curiosità e/o contro la lingua lunga di Rapunzel.
"Due, sì, ma la prima volta –il primo giorno– non ha voluto che restassi. Diceva di essere stanco, credo..." poi decise di inserire un insulto: sembrava che sentire il suo nome accanto a una parola poco gentile facesse sentire meglio gli altri. "che maleducato."
"E il secondo incontro? Non me ne hai mai parlato. Mai." Le disse sedendosi su uno dei braccioli della poltrona e afferrandole una mano. Quanto le voleva bene...
"Perché pensi che ti stia nascondendo qualcosa? Non ricordo parola per parola quello che ci siamo detti..." mentì: oh, lo ricordava eccome
"Elsa, io so che mi stai nascondendo qualcosa, altrimenti non si spiegherebbe il tuo comportamento. Sei strana, distratta...E lo sai!" tagliò corto in tono accusatorio.
Elsa fece per controbattere, ma Anna non glielo permise "Ti do ancora una possibilità, dopo di ché andrò io stessa a chiedere a lui cosa ti ha detto..."
Contaci che te lo permetterò. Pensò Elsa in un primo momento, poi sospirò, e capì in che doveva smetterla di comportarsi da bambina, doveva smettere di pensare ad Hans in ogni singolo momento. Anna era una vera testarda, e se diceva che sarebbe andata a parlare con Hans, anche a costo di scappare di casa, lo avrebbe fatto. Il problema era la risposta che lui le avrebbe dato: l'avrebbe respinta, raccontandole bugie come stava già facendo Elsa? Era piuttosto bravo con le parole: si sarebbe quindi inventato una scusa? Il volto di Elsa si tinse di una sfumatura di rosa quando realizzò, senza ombra di dubbio, che le avrebbe detto la verità, solo ed esclusivamente la verità. Unicamente per ferirla, proprio come aveva fatto con lei quando le aveva detto ciò che Anna aveva omesso di dirle sul motivo per cui lui non aveva voluto salvarla. Non aveva dimenticato lo sguardo colmo di ira che si era dipinto sul volto di lui quando lo aveva visto leggere il messaggio che gli aveva lasciato: continuava a chiedersi cosa significasse. Forse si era aspettato di leggere qualcosa in più, ma quando si era ritrovata davanti quel foglio bianco non era riuscita a pensare a niente di diverso di quel “mi dispiace” … per essere stata così cieca con lui, per averlo respinto così a lungo (non che lui si fosse impegnato molto per lei), e soprattutto perché doveva andarsene, e chissà quando si sarebbero rivisti.
No, non avrebbe permesso ad Anna di andare da lui. Anche perché le era sembrato che Hans serbasse molto rancore nei suoi confronti per essersi “consolata in fretta con Kristoff”.
Proprio da quest’ultima constatazione le venne in mente un'idea, un'idea grandiosa che avrebbe finalmente placato la sorella.
"Anna, vuoi proprio sapere quello che mi ha detto?" le chiese alla fine, esasperata. "Sì, Elsa, è da settimane che ti sto supplicando di parlarmene!" le rispose la sorella, a sua volta esasperata e trepidante al tempo stesso. "Va bene..." cominciò cauta "Ma non ti piacerà."
 
*
*
*
 
Dopo la minaccia di Anna si sforzò di cambiare atteggiamento sul serio. Decise che avrebbe potuto vivere la sua vita da regina indipendentemente dai sentimenti e dalle preoccupazioni che erano derivate dal suo ultimo incontro con Hans. Queste preoccupazioni erano libere di corrodere il suo cervello solo di notte, quando finalmente si poteva distendere nel letto, da sola, ma dovevano dissolversi non appena si alzava da esso.
All'inizio non era stato semplice, eppure, dopo alcuni giorni, riuscì davvero a confinare i ricordi di Hans in un angolo della sua mente che doveva rimanere in silenzio e nell'ombra durante il giorno.
 
I momenti di disperazione totale per il loro distacco (forzato) avevano lasciato il posto allo smarrimento. Elsa era sicura di quello che aveva provato quando aveva deciso di mettere da parte i suoi dissidi con Hans e aprirsi a lui, ma si era chiesta più volte se lui provasse lo stesso. Una risposta secca e decisa tardava ad arrivare perché era troppo complicato: lui l'aveva ferita in ogni modo possibile, dicendole parole terribili, parole terribilmente vere, ma poi era stato lì, accanto a lei, a cercare di rimarginare le ferite che gli altri avevano inferto su di lei. E anche quelle che si procurava da sola, dovette ammettere, quando ricordò con quanto odio le aveva ricordato che Anna le voleva bene. Era stato lui a farla finalmente rendere conto di questa cosa, era grazie a lui se ora almeno gli incubi su Anna erano scomparsi. E poi le aveva fatto capire che non era sola, dopotutto. Aveva cercato disperatamente di farle capire quanto fossero simili. “Siamo due mostri” le aveva detto, colmo di ira, e lei all’inizio si era illusa che mentisse.
All'inizio credeva che lo rendesse felice vederla soffrire, indipendentemente dalla causa e dal tormentatore, però poi giunse alla consapevolezza che la sua sofferenza lo rendeva felice solo quando era lui la causa. Non sapeva ancora cosa significasse, e perché, soprattutto, ma ne era sicura, altrimenti non si sarebbero spiegate le parole che le aveva detto quella notte. Hans sembrava essersi beato dei momenti che l'avevano vista più debole, più indifesa, come la prima volta che l'aveva baciata. Se ci pensava, non poteva evitare di sentirsi ancora in collera, soprattutto per come lui aveva riso del suo imbarazzo. Era stato meschino, sotto ogni punto di vista, ma cosa ne sarebbe stato di lei se non lo avesse fatto? Probabilmente tutto era nato nel momento in cui aveva insistito per vederlo poco prima dell'apertura del processo. Era stato quello il momento in cui aveva venduto l'anima al diavolo, probabilmente.
 
*
*
*
 
I mesi passavano ad Arendelle e la sua regina continuava a rimuginare su Hans e si logorava ogni notte nel tentativo di capire qualcosa su di lui e sentimenti che poteva aver provato quella notte. Non ce la faceva più: doveva vederlo. Ma erano passati solo due mesi, e, purtroppo, non erano ancora abbastanza.
 
Sono ossessionata. Aveva concluso, quando si era resa conto che lui ha rischiato la vita introducendosi nella mia stanza, quella notte, ricordando quegli spuntoni di ghiaccio che gravavano sulle loro teste. Nessuno si era mai spinto così nel pericolo nel tentativo di salvarla. Nessuno a parte Anna, e lei ne aveva pagato le conseguenze. Anna… non meritava le bugie che le aveva raccontato una volta tornata. Non era giusto che si fosse convinta che Hans l'avesse chiamata sgualdrina. Non era giusto, no. Così aveva un motivo in più per odiarlo (mi dispiace, Hans.) e aveva anche capito per quale motivo Elsa non aveva voluto dirglielo.
Non era pronta per sapere la verità, cioè che Elsa si era smarrita in un amore impossibile e forse neanche contraccambiato: aveva fatto finta di niente quando lo aveva sentito sorridere trionfante sulle sue labbra, ma una volta a casa non riusciva a toglierselo dalla mente, come tanti altri suoi comportamenti, dopotutto.
Era tutto un enorme controsenso: spesso si trovava impegolata in ragionamenti contorti nei quali cercava di far luce sui comportamenti di Hans. Si era preso gioco di lei? Nessuno dei due aveva fatto all'altro dichiarazioni di nessun tipo, quella notte: si erano semplicemente addormentati beandosi del momento.
E poi aveva tentato di ucciderla e aveva ingannato Anna in un modo puramente malvagio, e questo rimaneva un atto di una gravità imperdonabile, soprattutto perché era sicura che sarebbe andato fino in fondo, sia che avesse dovuto sposare Anna, sia che gli fosse toccato calare la spada su Elsa. Lo stava facendo. Si era servito del più subdolo dei piani facendole credere che Anna fosse morta, facendo in modo che le sue debolezze, i suoi sensi di colpa le si ritorcessero contro. Forse stava facendo lo stesso per farla innamorare di lui, solo per ottenere la tanto bramata corona.
Ha importanza?
La voce della sua follia amorosa interruppe i suoi ripensamenti –del tutto ragionevoli– mentre camminava in direzione della camera di Anna per annunciarle che a breve sarebbe tornata nel regno di Corona.
Per una visita ufficiale, ovvio.
 
*
*
*
 
Tredici giorni dopo partì.
Aveva deciso di sfruttare ancora una volta l'effetto sorpresa non facendosi annunciare. Era partita molto presto, perciò arrivò in tempo per pranzare insieme alla Famiglia Reale. Presenziò pazientemente ad una seduta del Consiglio dei ministri e partecipò infine a un tè, tranquilla e posata, proprio come aveva dovuto fare per quei lunghi mesi, per tutta la vita.
 
Otto mesi e tredici giorni dopo quella lunga separazione, si trovava di nuovo nella sua stanza, di nuovo ad aspettarlo, di nuovo ad aspettarlo senza sapere che dire.
Sorrise, realizzando di essere completamente impazzita quando si rese conto che le sudavano le mani per l'ansia, ma era sicura di essere nel posto giusto, ancora una volta.
 
E ne ebbe la conferma quando sentì dei passi avvicinarsi e la voce delle guardie dire "c'è qualcuno per voi." E quando la porta si spalancò e sentì i suoi occhi increduli e subito dopo soddisfatti su di lei, che ricambiava lo sguardo.
Bellissimi occhi.
Ebbe la certezza che anche lui la stesse aspettando da tempo quando lo vide dirigersi a grandi passi verso di lei, e quando le cinse i fianchi con le braccia e la baciò. Aveva dimenticato quanto calore le trasmettesse quel contatto. Quel paradiso durò poco però: si sentì spingere violentemente contro il muro che stava fra due finestre, e quando aprì gli occhi increduli, si trovò davanti un volto cattivo, lo stesso di quando si erano incontrati prima del processo, i suoi occhi facevano trapelare la rabbia e la fissavano con arroganza; anni dopo capì che quella rabbia era solo frutto della solitudine, ma in quel momento rimase atterrita.  
"Sia chiaro." Cominciò a parlarle "Non vi porgerò mai le mie scuse." le disse ribadendole il concetto che aveva già messo in chiaro anni prima.
Elsa lo sapeva, e lo aveva accettato. Sapeva a cosa stava andando in contro quando aveva elaborato una scusa per far sì che la lasciassero tornare da lui. Hans non si sarebbe mai pentito per aver tentato di ucciderla, e lei non lo avrebbe mai perdonato per quello che le aveva fatto. Si era chiesta più volte se era possibile convivere con quella consapevolezza, e si era data della pazza per la risposta che si dava ogni volta.
Ripensando a quella risposta, alla sua pazzia, intrecciò il suo sguardo a quello del suo maledetto principe e sorrise.
"Ve le ho forse chieste?"
 
Non sapeva bene quali sarebbero state le conseguenze, ma non oppose resistenza quando, dopo essersi avvenato di nuovo sulla sua bocca, la sollevò da terra e continuando a baciarla con passione la depose sul suo letto.
Sapeva che non era normale che gli permettesse di farla sua. Non era normale perché non erano sposati, perché lei era una regina; non era normale perché lui aveva tentato di ucciderla.
Ma erano forse persone normali, loro? La Strega e il Traditore, i due mostri che si erano finalmente ritrovati, che stavano per diventare una cosa sola.
 
Mentre con mani incerte gli sfilava la camicia e scopriva il suo ampio petto, e lui scioglieva il nastro che le teneva stretta la treccia, Elsa si chiese cosa gli stesse passando per la mente. Era felice? Questo era sicuro. Ma per cosa lo era? Perché finalmente erano di nuovo insieme o perché stava ottenendo quello che desiderava da anni? Forse tutti e due, sperava che fosse per tutti e due i motivi.
Aveva una paura folle di quello che stavano per fare, ma lo aveva desiderato così a lungo che non riuscì nemmeno a trovare qualche argomento per impedirgli di slacciarle il corsetto. Non aveva mai provato quella sensazione, il calore, non si era mai trovata in una situazione del genere: non aveva mai amato nessuno, non in quel modo. Tutte le principessine prima o poi si innamorano di un qualsiasi ragazzino che gravita intorno al loro castello, il figlio del giardiniere o di qualche servo, il figlio di un nobile o di un re, ma lei no. A nessun bambino era mai stato permesso di avvicinarsi, e l'unico amore che conosceva era quello descritto nei libri.
Si sentiva bruciare viva mentre lui le sfilava i vestiti con una lentezza esasperante. Sembrava che le volesse dare il tempo per impedirglielo, ma al tempo stesso sapeva che lei non lo avrebbe fatto, e quindi voleva dimostrarle che stava vincendo lui.
Hai vinto.
Mentre si preparava al momento in cui insieme avrebbero superato ogni limite, si rese conto che, nonostante il dolore che sapeva che avrebbe provato, era felice. Ormai aveva capito che per lei l'amore non sarebbe arrivato su un cavallo bianco. Non sarebbe stato il Cavaliere Senza Macchia e Senza Paura a salvarla da sé stessa: solo una persona come lei sarebbe riuscita, per lo meno, a farla star meglio.
Ti prego, fai piano avrebbe voluto supplicarlo quando sentì che il momento ormai era arrivato, ma le parole le morirono in bocca quando realizzò che tanto lui avrebbe fatto ugualmente come voleva.
 
Faceva male, un male terribile che le fece lacrimare gli occhi, ma non riuscì a odiarlo per questo, non riuscì ad odiarlo nemmeno quando la strinse a sé guardandola con soddisfazione ed entrò dentro di lei.
Quel dolore non l'abbandonò fino alla fine. Non capiva se aveva fatto apposta a fare forte o se era proprio così che doveva essere fare l'amore per la prima volta, ma non aveva importanza, si disse, anche se aveva sperato che le dicesse qualcosa quando tutto fu finito e si abbandonò sopra di lei, esausto, e la guardò negli occhi.
Chiedimelo.
Lo guardò supplicante mentre la sovrastava ancora.
Chiedimi se sto bene.
Passò il pollice sulla sua guancia e asciugò una lacrima che le era scesa da poco. Fece per aprire la bocca, forse per dirle qualcosa, qualche parola di conforto, ma non uscì niente. Elsa, le cui braccia ancora circondavano le sue spalle, gli passò una mano dietro la nuca, gli accarezzò i capelli e lo attirò a sé per baciarlo.
Va bene così.
 
*
*
*
 
Mentre sedeva ancora sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera, osservava silenziosamente Elsa, che con le mani tremanti cercava di rifarsi la treccia guardandosi allo specchio, il vestito ancora slacciato sulla schiena.
"Perché mi hai permesso di farti questo?" la voce di Hans ruppe quel silenzio carico di tensione.
Elsa sussultò impercettibilmente, poi rispose, calibrando attentamente le sue parole. "In questi mesi ho avuto modo di riflettere su molte cose..." incominciò con calma.
"...E cioè?" le chiese alzandosi e muovendo alcuni passi verso di lei.
"Che mi sei mancato, per esempio."
Hans sorrise, la stessa risata complice che le aveva rivolto poco prima che accadesse tutto. Era ancora girata, e lui iniziò a trafficare con nastri e bottoni per chiuderle il bel vestito blu. Quando ebbe finito, dopo averle deposto un bacio su collo, le sussurrò "Questo lo avevo capito."
Si voltò verso di lui, e, incapace di guardarlo negli occhi per l'imbarazzo, balbettò "Hans, io..."
Non lo so. Forse perché mi fai sentire viva.
Lui capì –forse–, e la baciò con passione –per non farla continuare–. Non era sicuro di voler sapere per quale motivo era tornata, perché era certo che non sarebbe rimasta.
"Devo andare..." disse la regina quando si staccarono, gli occhi ancora socchiusi. Ormai era da più di un'ora che si trovava nella stanza di Hans, e le guardie probabilmente si stavano chiedendo che fine avesse fatto. Lui la superò senza rispondere e si diresse verso lo scrittoio, seguito dallo sguardo mortificato di lei; quando sedette, disse con noncuranza, incrociando le braccia sul petto "Quanto ti fermerai?"
Avanzò verso di lui e appoggiò entrambe le mani sullo scrittoio, come se si fosse trovata sotto processo. "Dieci giorni..." avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma non ci riuscì: non c'era niente da dire. Questa volta era lei a cercare gli occhi di lui, che sembrava stesse lottando contro sé stesso per dirle qualcosa. Infine Hans alzò lo sguardo, tornato impassibile, e chiese "Tornerai a trovarmi?"
Elsa abbassò il viso per un momento, come se dovesse leggere in fretta le battute che doveva dirgli "Troverò un modo." promise; poi aggiunse, per mettere in chiaro la situazione "Senza che nessuno lo venga a sapere." Un sorriso divertito che celava molto bene l'amarezza increspò il viso di Hans. "Arrivederci, allora."
 
*
*
*
 
Quando si chiuse alle spalle la porta della sua stanza, fu aggredita dalle mille domande che la sua follia aveva sapientemente tenuto lontano l'ora precedente.
Cosa diavolo le era saltato in testa? Come aveva potuto lasciarsi trascinare in un simile inferno? Perché, forse era stato paradisiaco farsi stringere dalle braccia di quell'uomo, ma una volta rimasta sola, doveva guardare in faccia la realtà. Gli aveva permesso di ottenere ciò che desiderava, ciò che bramava di più, senza nemmeno mettere in chiaro la situazione –non che fosse chiara, difatti– e non era sicura che questo aspetto le piacesse. Hans esercitava su lei un fascino che la deliziava, ma la spaventava al tempo stesso. Era stato l'unico uomo in grado di capirla davvero fino in fondo, a capire cosa la spaventava e cosa desiderava. Desiderava essere amata, e lui l'aveva amata, a modo suo.
All'inizio, mentre si stava rivestendo, le tremavano le mani per l'angoscia: mille domande iniziavano a prendere forma nella sua mente e premevano per avere una risposta. Forse per Hans era stato tutto un gioco, una recita. Aveva recitato così bene con Anna, perché doveva essere diverso con lei, si chiese con amarezza; forse durante quei minuti pesantemente silenziosi l’aveva fissata, soddisfatto per la sua ingenuità. Non lo seppe mai, perché non aveva osato guardarlo: aveva paura di quello che avrebbe visto. Poi però, quando le aveva chiesto per quale motivo gli permetteva di usarla così, e soprattutto, con quanta noncuranza le aveva chiesto se sarebbe tornata, era divenuto chiaro per Elsa che tutto sommato qualcosa di lei gli importava. Forse, quando le aveva asciugato quella lacrima voleva solo dirle che andava tutto bene, che il dolore sarebbe presto passato, ma non ci era riuscito non tanto perché non gli importasse, ma perché non era abituato a preoccuparsi degli altri.
Da queste ultime considerazioni, che la confortarono oltremisura, arrivò la domanda cruciale, quella che la fece tremare al solo pensiero. Cosa avrebbero fatto una volta terminati quei giorni? Rendere la loro relazione pubblica era assolutamente fuori discussione. Nessuno avrebbe mai compreso quanto per Elsa fosse giusta e sensata: tutti, ma proprio tutti, l’avrebbero etichettata come sbagliata, inopportuna e assolutamente insensata. Voleva solo sapere cosa significasse per Hans tutto ciò, e per questo avrebbe dovuto rivederlo.
 
Quella sera non le venne in mente nessun modo per aggirare le guardie, e pensò che sarebbe diventata pazza se le volte in cui lo avesse rivisto sarebbero state ancora una, massimo due, prima di iniziare a destare sospetti.
 
 
*
*
*
 
I colpi che qualcuno stava sferrando alla sua porta la fecero sobbalzare. Non si era resa conto che fosse già mattina. Entrò la serva che si occupava di prepararle l’abito della giornata, dicendo che era tardi e che a breve sarebbe stata servita la colazione. Prima però sarebbe arrivato qualcuno per informarla del programma della giornata.
Scelsero per lei un grazioso vestito verde, che le ricordò –con una fitta al cuore– quello che Anna aveva indossato per sua incoronazione. Non voleva pensare per nessun motivo ad Anna, perché pensare a lei voleva dire senso di colpa.
Quando fu pronta decise di uscire sul balcone che dava sul mare per prendere una boccata d'aria. In quel momento entrò un suo ministro, il quale l'aveva accompagnata per aiutarla a prendere certe decisioni, con in mano un foglietto di carta sul quale erano riportate le cose che avrebbe dovuto fare quel giorno. Lo invitò a parlare, rimanendo però sul balcone e dando le spalle al mare. Mentre l'uomo leggeva e commentava, il suo sguardo cominciò a vagare verso l'alto, si perse fra le torri del castello, numerose e molto vicine fra loro, finché non vide che qualcuno la osservava. Il cuore le balzò in gola quando si accorse che quel qualcuno aveva gli occhi verdi e il capelli rossi. Hans si trovava molto in alto, rispetto a lei, almeno a tre piani di distanza, dieci metri, come minimo, eppure... Eppure in quel momento si rese conto che c'era un modo per vederlo, quella sera. Senza fargli alcun cenno tornò nella sua stanza, lievemente arrossita per l'emozione che aveva arrecato la sua scoperta. Si sfregò le mani fra di loro e annunciò "Bene, che cominci la giornata!"
 
*
*
*
 
Ormai Hans si era messo a letto da un po'. Abbattuto, fissava il soffitto senza vederlo realmente. Per tutto il giorno aveva pensato a un modo per eludere la sorveglianza, ma non gli era venuto in mente niente di fattibile. Toccava a Elsa rischiare tutto, questa volta. Fosse stato per lui, sarebbe uscito dalla sua stanza senza farsi troppi problemi, e se gli avessero chiesto, avrebbe urlato a tutto il mondo quello che c'era fra i due. Lei però gli aveva fatto intendere che avrebbe preso un'altra strada, e, almeno questa sua decisione, l’avrebbe rispettata. Per il momento.
Contro la sua volontà cominciò ad assopirsi, così, con uno scatto di rabbia si alzò in piedi: non avrebbe ceduto al sonno finché non avesse trovato un modo per andare da lei. Si chiese per quale motivo quella mattina non aveva fatto niente per salutarlo. Forse si era resa conto della follia che stavano commettendo e aveva deciso di cancellare tutto quello che c'era stato fra loro... E lui che aveva fatto anche in modo di non farla rimanere incinta, sapendo che sarebbe andata in contro a più problemi di quanti non ne avesse già. Da mesi ormai aveva cominciato a credere impossibile l’idea che sarebbe tornata da lui, e poi era tornato nella sua stanza, un giorno come un altro, e l’aveva trovata lì, per lui.
Questi pensieri rischiarono di farlo impazzire sul serio. Ma proprio mentre un sentimento di odio nei confronti di quella donna si insinuava nel suo cuore, sentì dei leggeri tonfi alla porta. Si voltò verso essa, ma si rese subito conto che doveva esserseli immaginati, perché il legno della porta della sua stanza non faceva quel rumore, quando si bussava. Rimase in ascolto, immobile, guardandosi intorno spaesato, e il suo cuore perse un colpo quando, guardando verso la porta del balcone, vide che c'era qualcuno fuori.
Corse ad aprire e se la ritrovò davanti, avvolta nel mantello.
"Quanto ti ci vuole per aprire?" lo canzonò entrando velocemente nella stanza.
"Scusatemi tanto, Vostra altezza, ma non sono abituato a ricevere visite dal balcone." le rispose sentendo la rabbia e l'odio scemare via come erano venuti. "Come diavolo...?" aggiunse chiedendosi come avesse fatto ad arrivare fin lì; si sporse verso il basso, aspettandosi di vedere il vuoto, e quello che vide lo lasciò completamente senza parole. Una scala di ghiaccio perfettamente lavorata collegava il suo balcone a uno poco più un basso, e quello era collegato a sua volta ad un altro ancora, molto più giù. Questa scala era appena visibile, perché, essendo fatta di ghiaccio trasparente, prendeva il colore bruno che assumeva il castello di notte. "Non è pericoloso?" si lasciò scappare quando sentì la presenza di lei alle spalle. Ricordava ancora con notevole angoscia la fatica che aveva fatto nel salire la scala che portava al suo palazzo di ghiaccio, anni prima.
"So camminare sul ghiaccio." disse lei con una punta di orgoglio, tornando nella stanza con l'intenzione di farsi seguire.
"E se qualcuno ti avesse vista?" le chiese dopo aver chiuso la porta del balcone, togliendole in mantello blu scuro che indossava. "Avrei dato la colpa a te." gli rispose candidamente, voltandosi e cercando di zittire le sue proteste con un bacio.
Forse era giunto il momento di parlare di cose serie, come per esempio cosa l'aveva spinta a tornare da lui, o perché si preoccupasse così tanto che Elsa potesse scivolare e precipitare da oltre venti metri di altezza, ma avevano ancora nove giorni per parlare di cose serie. Adesso potevano ancora permettersi di essere folli.

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Capitolo 7
*** Born to Die ***


Note introduttive:
Ho dovuto spezzare questo capitolo da quello successivo: come noterete in seguito, ci sarebbe stata troppa carne al fuoco. Quindi i capitoli saranno in tutto DIECI (per la vostra gioia, spero…E pensare che dovevano essere 6... anzi, a dire il vero doveva essere una one-shot, all’inizio-inizio). Comunque sto ultimando il penultimo ho concluso stamattina il penultimo capitolo (l'ultimo è già concluso da prima che pubblicassi il primo).
Il finale di questo sarà molto triste, ammetto di aver piagnucolato un po' mentre lo scrivevo...Forse perché stavo ascoltando l'overture del Lago dei Cigni.
Prestate attenzione alla poesia che vi propongo. Nel capitolo precedente mi sono completamente dimenticata di mettere la citazione...L'ho aggiunta subito dopo, ma temo che molti non abbiano letto.
Finalmente sono riuscita a inserire la mia adorata Lana del Rey in un capitolo. Trovo che Born to Die sia l'inno perfetto per questo capitolo. So che a molti non piace questa cantante, ma sforzatevi di non linciarmi per questa scelta. Ascoltatela qui: Born to die-Lana del Rey
Alla fine vi ho messo una foto trovata su Google (credo che venga da Tumblr) sulla nostra amata coppia.
 
Buona lettura!
 
 
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Capitolo 7
 
BORN TO DIE
 
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
 
Da mi basia mille, deinde centum
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum,
Dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.

 
Viviamo, mia Lesbia, e amiamo, e i rimproveri dei vecchi severi non stimiamoli tutti neanche un soldo. Il sole può tramontare e ritornare: quando cade per sempre la breve luce della vita noi, dobbiamo dormire una sola interminabile notte.
Dammi mille baci, poi altri cento, poi altri mille, poi per la seconda volta cento, poi altri mille ancora, poi cento. Dopo, quando ne avremo dato migliaia, confonderemo il conto, per non sapere, o perché nessun maligno possa invidiarci, sapendo che esiste un dono così grande di baci
.
 
[Gaio Valerio Catullo- carme 5]
 
 
 
 
 
Formavano un quadretto davvero grazioso.
Dal lenzuolo che le circondava morbidamente il corpo si intravedeva un po' di pelle candida come l'avorio; i capelli sparsi sulle spalle e sul petto la facevano sembrare una dea. La dea del Ghiaccio. Stretti in un tenero abbraccio, sembravano pronti per posare per Canova in persona.
Ma poi, se si avesse aguzzato un po' la vista, ci si sarebbe resi conto della completa paradossalità della scena che si presentava davanti. Come era possibile che Elsa, la regina di Arendelle fosse seduta con la schiena appoggiata al petto di Hans Westerguard, l'esiliato, l'uomo che aveva tentato di ucciderla? Come era possibile che avesse la testa delicatamente adagiata su una sua spalla e gli permettesse di giocare con una ciocca dei suoi capelli? Come era possibile che sul volto di Elsa fosse stampato un sorriso beato?
Chiacchieravano amabilmente, parlando di loro, di cosa avevano fatto in quei lunghi mesi di separazione, e anche prima. Be', Hans non aveva un granché da raccontare, perciò si limitava ad ascoltarla.
Elsa adorava essere una regina, non avrebbe mai rinunciato ai suoi doveri. Dal giorno della sua incoronazione aveva abbandonato Arendelle solo quattro volte, e per pochissimi giorni. Donava al suo popolo tutto il suo tempo a disposizione da anni, ma non se ne lamentava più di tanto, anche se c'erano delle volte in cui avrebbe voluto davvero scappare per rintanarsi nel suo Castello di Ghiaccio, per staccare un po'. Hans non glielo avrebbe mai detto, ma adorava ascoltarla parlare delle sue occupazioni, dei suoi libri preferiti e dei suoi folli sogni di libertà. E parlavano di argomenti colti, come filosofia, letteratura, arte…politica. Stretti nudi in un abbraccio, discutevano di politica. Era il paradiso, entrambi lo sentivano.
Qualche volta parlavano anche di Hans, ma lui odiava parlare di sé stesso. 
 
"Non è mai venuto nessuno a trovarti?" finalmente Elsa trovò il coraggio di chiederglielo, sperando di non ferirlo. Lo sentì irrigidirsi dietro di lei. "No." rispose con astio, ma poi la sua voce mutò in un tono sarcastico che celava molto bene il rancore che provava "Non che ci tenga a vederli." continuò, senza nominare esplicitamente i suoi fratelli. "Non mi hanno condannato a morte perché significava darmi troppa importanza, così." concluse, calibrando molto bene il tono di voce, ma Elsa sentiva, capiva e lo lasciò sfogare. "Come fai a dirlo?" chiese, temendo di sapere già la risposta.
Sono sicuro che nessuno di noi andrà mai a trovarlo.
È per il fatto che esiste, non so se mi spiego.
"Me l'hanno detto in faccia." Elsa si sentì gelare dalla completa noncuranza con cui aveva parlato. Avrebbe voluto accarezzargli il braccio per confortarlo, ma temeva la reazione. Erano così rari i momenti in cui lui si apriva che non voleva fargli intendere che provava una compassione smisurata per quel suo aspetto, quello del bambino odiato e abbandonato da tutti.
"Allora avrai capito per quale motivo sono scappata nella tua stanza, prima del processo." gli rispose cercando di sdrammatizzare. "Quindi dovrei dire grazie a loro per averti qui?" commentò divertito.
"Per quello devi ringraziare la mia stupidità..." rispose, sperando che, assumendosi colpe che non aveva –non del tutto–, lo avrebbe distolto dai suoi malinconici pensieri.
Poi però non riuscì proprio a trattenersi e disse con la voce bassissima "Non ti meritano, Hans."
Ma se ne pentì subito di averglielo detto. Aveva esagerato: lo capì non appena le ringhiò all'orecchio "Come se a te importasse."
Aveva decisamente esagerato.
Passarono alcuni minuti di silenzio, minuti nei quali Elsa lottò contro sé stessa per non dirgli quanto le importasse di lui: non lo avrebbe fatto finché non fosse stata sicura che lui non l’avrebbe respinta.
Era sicurissima di aver avuto ragione nel pensare a quanto odio e rancore avevano sepolto il buon cuore di quel principe, e se non era ancora pronto per aprirsi come in parte aveva fatto lei con lui, non lo avrebbe forzato. Non era come lui: non lo avrebbe devastato come aveva fatto con lei, anche perché non era detto che avrebbe reagito come lei, piangendo come una bambina.
 
"Hans...?" lo chiamò con apprensione dopo un po' di silenzio carico di tensione. Quando lui con un grugnito le fece intendere che ascoltava, chiese "Non hai freddo?" temeva che la discussione precedente avesse provocato un abbassamento della temperatura, anche se la fiamma nel camino continuava a scoppiettare.
In tutta risposta il principe tirò un lungo, esasperato sospiro. "Passerai i prossimi sei giorni a chiedermelo ogni dieci minuti?!" "Anche ogni cinque, se sarà necessario." rispose lei diventando improvvisamente seria. Non riusciva a tranquillizzarsi nemmeno quando stava con lui: aveva troppa paura di fargli del male, di non farlo sentire a proprio agio a causa della temperatura del suo corpo. Lui le ripeteva che la sentiva calda, o meglio, tiepida, ma certe volte i peli rizzati sulle sue braccia lo tradivano, come questa volta. Gli afferrò il braccio che le cingeva la vita e disse scontrosa "Guarda!!" facendogli notare la pelle d'oca che aveva. Insomma, non si era fatto molti problemi a darle del mostro, della strega, a farla piangere... E non aveva il coraggio di dirle che aveva freddo a causa sua?
Forse per lo stesso motivo per cui lei non lo aveva rimproverato per quanto l'avevano fatta soffrire le sue parole.
"Non credi che sia semplicemente perché te ne preoccupi troppo?" le sibilò all'orecchio, con l'intenzione di chiudere la discussione seduta stante. Elsa rimase in silenzio. Quell'uomo trovava sempre un modo per ribattere e avere ragione.
"Arrangiati, allora." gli disse piccata.
"Lo sto già facendo." rispose lui divertito: non avrebbe mai dato a quella testarda, insopportabile, adorabile regina la soddisfazione di avere l'ultima parola.
Rimasero in silenzio per alcuni minuti, fin quando lei non si girò esausta verso di lui e gli disse che voleva dormire. Doveva essere l'una di notte passata. Hans si allungò verso la candela appoggiata sul comodino e ci soffiò sopra per spegnerla, poi si distese accanto a lei e la strinse in un abbraccio. Stava per chiudere gli occhi quando sentì la sua voce. "Domani sera arriverò tardi..." disse Elsa con la voce impastata dal sonno. "Per il ballo...?" Indagò lui, con una punta di tristezza nella voce. Non gli era permesso partecipare a nessun evento mondano da anni, ed Elsa lo sapeva, per questo esitò prima di rispondere con tono mortificato "Sì..."
Chiuse gli occhi, e prima di cedere completamente nelle braccia di Morfeo, lo sentì sussurrare "Ti aspetterò."
 
Quei primi quattro giorni erano stati meravigliosi per entrambi, anche se non lo volevano ammettere. Elsa finalmente aveva trovato un po' di pace tra le braccia di Hans, anche se sapeva che c'erano molte cose di cui non avevano discusso. Di sentimenti, per esempio. O del fatto che si era innamorata dell'ultimo uomo sulla terra con cui avrebbe dovuto avere qualsiasi tipo di rapporto. O, ancora più importante, non avevano parlato di cosa sarebbe successo quando sarebbero scaduti quei dieci giorni, che erano ormai a metà.
Il problema era che Elsa sapeva che una sua parola avrebbe liberato Hans dalla pena che gravava su di lui, ma non era ancora sicura che meritasse la libertà. Se solo le avesse dimostrato quanto teneva a lei, avrebbe trovato la forza di andare contro tutti e tutto, pur di stare insieme a lui. Aspettava da Hans un segno, un gesto, una parola, che tuttavia tardavano ad arrivare. Non dava ancora segni di cedimento, e questo significava o che stesse recitando bene, oppure che avesse paura anche lui di sbagliare mossa e allontanarla per sempre: sapeva che se avesse detto qualche parola sbagliata, come chiederle di farlo graziare, o anche un semplice ti amo l'avrebbe allontanata da lui. Aveva la paura folle che la stesse usando solo per arrivare alla corona, così, ogni volta che un ti amo premeva per uscire dalle sue labbra, lei lo bloccava.
Voleva assicurarsi che Hans fosse felice, ma non solo perché stesse ottenendo ciò che voleva. Aveva avuto i suoi segreti, le sue paure; aveva avuto lei, la regina, ma prima di dargli la corona doveva dimostrarle quanto l'amasse, e sopportare un po' di freddo non era sufficiente.
 
*
*
*
 
Osservava con distacco i preparativi per il ballo e la principessa Rapunzel che saltellava di qua e di là per fare in modo che tutto fosse perfetto. I numerosi nobili che avevano invitato stavano iniziando ad arrivare.
Questa volta le pesava il fatto di non poter andare al ballo con Hans. Durante il suo precedente soggiorno nel regno di Corona, aveva partecipato al ballo con entusiasmo, riuscendo a mettere da parte i pensieri che la opprimevano in quei giorni, ma questa volta, mentre la vestivano e la pettinavano, non faceva altro che pensare al fatto che non avrebbe ballato con il suo uomo.
Si mise i guanti, innervosita.
 
Quando fece la sua entrata nella sala da ballo, tutti si voltarono per accoglierla e applaudirla. Subito molti nobili si presentarono a lei e iniziarono a elogiarla per la sua bellezza, per la sua sorprendente bravura nel governare Arendelle. Le chiesero di Anna e di come avevano affrontato insieme la morte dei genitori.
Lei si è fidanzata con un montanaro, mentre io, quando avrete finito di stressarmi, correrò nella stanza dell'uomo che ha tentato di ucciderci. Va tutto bene.
Pensò con amarezza, e dovette ritirarsi in disparte per qualche momento per calmarsi. Odiava quando le parlavano dei suoi genitori: non avevano nemmeno trovato i loro corpi. Non li aveva salutati come doveva. Non li aveva abbracciati. Chissà, forse la stavano osservando da lassù, in quel momento, e chissà cosa stessero pensando di lei.
Quando tornò in mezzo alla gente, si scusarono con lei per le domande poco delicate, e, pensando con notevole acutezza che non desiderasse altro, iniziarono a parlare di Hans.
"Un vero mascalzone, non trovate, mia regina?" incominciò un duca alla sua destra. "Mi ricordo della giovane Anna: povera piccola, come deve aver sofferto..." si intromise una donna grassottella alla sua sinistra.
"Vedo che questa storia continua a essere sulla bocca di tutti..." commentò Elsa impassibile. Ormai era abituata a discussioni del genere, quindi si limitò ad assecondarli, cercando però di chiudere l'argomento il prima possibile.
 
"A parer mio, atti del genere dovrebbero essere puniti con la morte." decretò il giovane duca che le stava facendo la corte da tutta la sera. Quelle parole la fecero infervorare: il solo pensiero le faceva congelare il sangue nelle vene. Lo guardò con severità e disse in tono solenne "Il principe Hans ha fatto sbagli imperdonabili, ma non per questo merita ciò che voi sostenete così accoratamente. Sta già scontando la sua pena qui, e penso che non vedere nessuno da anni sia abbastanza..." disse calibrando la voce per non sembrare scortese "...perfino per lui. E ora, se volete scusarmi, c'è un cavaliere che mi aspetta per il prossimo ballo." disse infine, congedandosi e dirigendosi con rabbia verso un principe che le aveva chiesto di ballare ore prima.
 
Avrebbe ballato con lui, solo con lui, per tutta la notte, se solo... Se solo non avesse fatto idiozie. Pensò con crescente rabbia mentre veniva trascinata da ogni parte da quel damerino di cui aveva già dimenticato il nome.
 
*
*
*
 
Il ballo era stato dato in suo onore, perciò era dovuta rimanere fino alla fine. Erano le tre e mezza di notte quando finalmente poté congedarsi dalla sala da ballo. Quando entrò nella sua stanza corse subito verso il balcone, senza nemmeno rinfrescarsi il viso e senza cambiarsi (di solito andava da lui in camicia da notte), ma quando si tolse i guanti per permettere alle sue mani di costruire la scala, si bloccò.
Era davvero questo che desiderava? Voleva vederlo quella notte? Aveva passato le ore precedenti a maledire il suo nome in tutte le lingue che conosceva, trovandosi a maledire anche sé stessa per la follia in cui si era cacciata. Quelle persone, quei nobili per coinvolgerla nelle loro discussioni non avevano fatto altro che parlare di Hans. E lei cercava di parlare di politica. E loro le parlavano del regno delle Isole del Sud. E lei taceva e sentiva la rabbia montare furiosa dentro di sé, poi non era riuscita a trattenersi dopo l'intervento di quel maledetto so-tutto-io che aveva proposto la sua morte.
Se tutto fosse andato per il meglio, un giorno Hans sarebbe stato lì con loro. E cosa avrebbero detto di lei? Di lui! Li avrebbero sempre guardati come due pazzi, due persone non come loro. Non era giusto per lei, e neanche per lui. Non se lo meritava. Come aveva potuto pensare che insieme sarebbero stati felici?
Forse era meglio parlare chiaro con lui e chiudere quella relazione malata.
Ma non ci riusciva. Non riusciva a fare a meno di quel uomo e non riusciva nemmeno a dirglielo. Era l'inferno, e lei continuava a farli sprofondare sempre più giù, dove diventa freddo e tanto oscuro da far paura. Aveva paura, tanta paura di quello che sarebbe successo quando si sarebbero lasciati.
 
Alla fine decise di andare, glielo aveva promesso, e lui –ricordò con un tuffo al cuore– le aveva promesso che l'avrebbe aspettata.
 
*
*
*
 
Hans percepì il suo astio non appena mise piede nella stanza, non appena gli disse di essere stanca al suo tentativo di baciarle il collo. Forse aveva preso la decisione di andare ugualmente troppo in fretta. Forse avrebbe dovuto lasciarlo ad aspettare tutta la notte: la sua rabbia nel frattempo sarebbe sbollita e il giorno dopo gli avrebbe chiesto scusa.
"Com'è andato il ballo?" le chiese credendo –sperando– che ora gli avrebbe raccontato di come una dama imbranata aveva rovesciato del vino sul suo abito più bello, ma con sommo dispiacere non vide alcuna macchia di vino sul vestito turchese.
"Bene." rispose lei secca, allontanandosi velocemente da lui.
"Non si direbbe..." insistette, seguendola verso il camino.
"Non mi piace essere costretta a ballare con gente che non conosco, va bene?" iniziò lei, capendo che ormai gli doveva un po' di sincerità. Lui la guardò accigliato e capì dove voleva andare a parare: aveva sperato che non lo dicesse mai.
"La prossima volta chiederò il permesso al re per partecipare al ballo." commentò arrabbiato. Non doveva dirlo. Non doveva sbattergli in faccia il fatto che lui non poteva partecipare al ballo. "...Non ti credevo così fissata per gli aventi mondani." la canzonò, in un ultimo tentativo di sviare la conversazione.
Forse era stato quel tantino di vino che aveva bevuto, forse era perché se lo teneva dentro dalla sera prima, ma alla fine lo disse, e se ne pentì non appena le parole le uscirono dalla bocca.
"Volevo stare con te. Ed è solo tua la colpa, se non ho potuto."
Ormai era arrivato il momento di affrontare quel discorso spinoso, che lo volessero o no.
Elsa si voltò per guardare come avrebbe reagito. L’espressione del principe si deformò per la rabbia. "Allora cosa fai ancora qui?!" le sibilò contro, mantenendo la voce bassa per evitare l'irruzione delle guardie proprio in quel momento. Si avvicinò minacciosamente, ma lei rimase ferma: ormai erano passati i tempi in cui la sua vicinanza le incuteva timore. Rimase dov'era, a poche spanne da lui, e lo fissò negli occhi.
Possibile che non capisci?
"Hans." cominciò arrabbiata, ma quando lui la rimbeccò dicendole seccamente "cosa!?" si rese conto che lo aveva ferito. Niente del suo sguardo lo dava a vedere, ma se lo sentiva. Lo sentiva dalla rabbia che riversava contro di lei, rabbia che provava solo per sé stesso, in quel momento. Chissà quanto aveva sognato, quella sera, di trovarsi là, con lei, per tutte quelle ore in cui aveva sopportato il suono di un valzer lontano da lui, quanto aveva agognato di uscire dalla stanza, camminare deciso al centro della sala da ballo e invitarla a ballare con lui. E ora che era arrivata gli sputava in faccia tutto il suo rancore, e lo faceva sentire uno stupido.
 
Come diavolo faceva ogni volta a farla sentire in colpa?! Perché era entrata nella stanza convinta che finalmente avrebbe ottenuto le sue scuse, ed ora si ritrovava a cercare le parole giuste per riparare?
"Lo sai per quale motivo sono qui, Hans! Stavo solo dicendo che se...se tu... non avessi tentato di uccidermi non saremmo costretti a nasconderci così!" gli disse abbassando gli occhi. "Sarebbe tutto più semplice...!" ammise infine, ormai era troppo tardi per ritirare quelle parole.
"Sì, ho tentato di ucciderti." rispose secco "e questa cosa non cambierà, che tu lo voglia o no." le disse a un palmo dalla faccia.
"E non è detto che non voglia riprovarci" aggiunse infine, portando le mani sui fianchi di Elsa, con fare minaccioso.
La spaventò un po' quella stretta, dovette ammetterlo, soprattutto perché fu accompagnata da uno sguardo assassino, ma ormai si era abituata a quella presa, la stessa di quando poi la trascinava sul letto, perciò le parole che le aveva appena detto non la spaventarono, e nemmeno i suoi occhi verdi. Solo lei avrebbe potuto accorgersi che quei bellissimi occhi, in fondo, supplicavano per una tregua. E gliela concesse.
Appoggiò dolcemente le mani sulle spalle del principe, mantenendo però un contegno duro, rigido. "Ci tenevi così tanto a ballare con me?" la stuzzicò, tirandola più vicino a sé e prendendole una mano guantata.
Elsa rimase in silenzio. Era una domanda troppo delicata e troppo difficile cui trovare una risposta. Certo che ci teneva, era per questo che quella sera sentiva di odiarlo tanto, ma non era ancora pronta per dirglielo, come lui non era pronto per dirle che gli dispiaceva il fatto di non esserci stato. Siamo pari.
"A cosa pensavi quando hai sollevato la spada?" ruppe infine il silenzio, decidendo di non rispondere alla domanda che le aveva posto. Intrecciò lo sguardo al suo. Non gli aveva mai chiesto niente che riguardasse il suo soggiorno ad Arendelle, a parte quella notte in cui aveva finalmente capito di non poter stare senza di lui. Fino a quel momento non voleva nemmeno sapere cosa gli era passato per la mente, a dire il vero.
"Che sarebbe stato un peccato uccidere un cosino tanto carino come te." le sussurrò all'orecchio, iniziando a muovere dei lenti passi indietro. Lei lo seguì.
Entrambi si stavano mentendo, e lo sapevano, ma ormai questa era divenuta la loro normalità. Lei, quando non voleva rispondere, stava in silenzio o rispondeva con altre domande, mentre lui non si era mai tirato indietro dal rispondere a questioni spinose. Rispondeva con delle bugie oppure con una cattiveria, ma ormai lei era diventata brava a leggere fra le righe la verità che faticava ad uscire.
"Sei incredibile!" gli rispose divertita: non capiva come poteva permettergli di parlarle in quel modo, e soprattutto non capiva perché l'avesse divertita tanto quella macabra risposta. Aveva smesso di provare a capire tempo fa, ormai.
In quel momento le venne in mente un altro quesito. L'avrebbe uccisa, questo era ormai appurato, e ne stava pagando le conseguenze. Se ci fosse riuscito era sicura che avrebbe avuto la strada spianata verso la corona di Arendelle, ma se alla sua incoronazione non fosse successo niente?
"Avresti insistito per ottenere la mano di Anna?" chiese nervosa, sentendo un'insensata gelosia nascerle dentro.
 
In quel momento, mentre attendeva una risposta, si rese conto che stavano ballando un valzer al rallentatore. Gli occhi le si riempirono di lacrime di emozione; appoggiò la testa alla sua spalla per non farsi vedere. Era il suo modo tutto personale per chiederle scusa, e, per loro, contavano sempre più i gesti delle parole.
"Avrei insistito per scoprire il tuo segreto..." le rispose in un primo momento, poi aggiunse "e sono sicuro che poi ci saremmo trovati in questa stessa situazione, nascondendoci da Anna, però." queste parole la fecero vacillare. Alzò la testa e guardò se nella sua espressione era dipinta l'intenzione di prendersi gioco di lei.
Sarebbe stata capace di fare una cosa simile ad Anna? No, su questo era sicura al cento per cento, e glielo disse subito fingendosi arrabbiata.
"Allora è meglio così, ne convieni?" le disse fermandosi.
Sì, decisamente.
Dio solo sa quanto ti odio.
Non rispose, ma i baci che seguirono dopo sancirono la tregua tra i due.
 
*
*
*
 
Quella notte non chiusero occhio. Dovettero recuperare il tempo che Elsa aveva perso per il ballo...e per litigare. Come aveva sospettato la Regina, Hans la trascinò sul letto non staccando nemmeno per un attimo la bocca dalla sua.
Si accorse di essersi sbagliata il primo giorno a pensare che a lui non importasse nulla di lei: la faceva sua con una dolcezza che le faceva toccare il cielo con un dito ogni volta che se ne rendeva conto, ogni volta che realizzava di essere veramente sua, anima e corpo.
 
E tu sei mio.
Pensò col cuore colmo di emozione quando si abbandonò sopra di lei una volta concluso l'amplesso. Gli accarezzò i capelli con una mano nuda "avete i capelli del Diavolo, principe Hans." gli disse con un sorriso sognante. Lui le sorrise a sua volta.
Rimasero svegli fino all'alba, poi lei se ne andò quando il cielo iniziò a schiarire. Non potevano rischiare che qualcuno la vedesse arrampicarsi su una scala di ghiaccio alla luce del sole.
Fin dalla prima notte passata insieme, Hans rimaneva sempre a controllare che arrivasse sana e salva al suo balcone, pregando che non cadesse. Questo lei lo notò solo quel mattino, quando si voltò per puro caso verso il suo balcone. Si chiese perché lo facesse. Ci teneva davvero così tanto a lei? Cosa avrebbe fatto se fosse scivolata? Si sarebbe dispiaciuto perché la sua unica ancora di salvezza era morta o perché il suo amore era morto?!
Queste domande le impedirono di riprendere sonno quella mattina, che aveva interamente libera. Quando capì che non sarebbe riuscita a dormire, si alzò e iniziò a scrivere lettere per i suoi ministri, riportando con meticolosità gli accordi che erano stati presi in quei primi giorni. Quando finì, rimase a fissare per molto tempo la lettera di Anna che sembrava urlarle il desiderio di ricevere una risposta. Iniziò a scrivere, e, giurandole di non aver visto neanche una volta Hans, le raccontò quello che aveva fatto in quei giorni.
Quando terminò la riposta, scoppiò a piangere.
 
*
*
*
 
La notte successiva la sera del ballo arrivò nella stanza di Hans completamente esausta: non dormiva da quasi due giorni ormai, e si buttò sul letto dicendogli che non sarebbe riuscita a rimanere sveglia per molto. Lo supplicò, come se avesse temuto che avrebbe preso male quel rifiuto, ma lui, contro ogni previsione, non se la prese: le si sdraiò accanto, sistemò le coperte su di loro e la abbracciò da dietro, attento a non prenderle la mano fra le sue.
Non voleva ancora dargli la mano se non aveva su i guanti: non se la sentiva ancora, un po' per paura di fargli del male, dato che gran parte del suo potere era concentrato proprio sui palmi delle sue mani, un po' perché sarebbe stato un gesto che avrebbe rivelato i sentimenti che provava per lui, di cui non era ancora del tutto sicura. Lui l'aveva capito e non insisteva, per adesso.
 
"Hans..." lo chiamò a un certo punto con voce mesta. Era così stanca che tutti i dubbi e le paure che erano usciti prepotenti dalla sua testa quel giorno, vinsero la lotta contro il suo silenzio ostinato.
"Sì...?" le sussurrò. Era così vicino…
"Non ci lasceranno stare insieme..." disse cercando di controllare la sua voce tremante. Una lacrima silenziosa le bagnò il viso; tirò su con il naso.
Aveva paura di quello che le avrebbe risposto, ma desiderava comunque dirglielo. Avrebbe potuto arrabbiarsi, dirle che dipendeva tutto da lei, come era in realtà; avrebbe potuto ucciderla, se si fosse reso conto che era la pura verità: forse lei sarebbe stata in grado di fargli riacquistare i suoi titoli, ma non sarebbe mai riuscita a riscattare la sua reputazione. Come avrebbe fatto con il suo popolo? Con Anna! Non avrebbero mai capito, e lei non era in grado di spiegare. Non ancora... Attendeva ancora che lui compisse qualche gesto che rivelasse quanto l'amasse e quanto sincero fosse il suo amore. In realtà ce n'erano tanti, ma non era ancora abbastanza, e poi non si era accorta di tutti.
"Credi che non lo sappia?" le rispose infine, dopo un silenzio eccessivamente prolungato. La strinse forse a sé, non sapendo come consolarla diversamente, e come consolarsi.
 
Elsa riuscì a sorridere tra le lacrime. Almeno questa prova l'aveva superata.
 
__________
 
 
 
 
 
 
Piccola nota finale:
"Che sarebbe stato un peccato uccidere un cosino tanto carino come te."
Temo che in quel momento il Joker si fosse impossessato di me. E di Hans.

 
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Capitolo 8
*** Bring me to Life ***


Note introduttive:
Maledicete Trenord se non è da un'ora che state leggendo il capitolo. Sono tornata a casa alle 19:30!!

Questo è il capitolo centrale –e a mio parere più bello– di tutta la storia. La canzone è questa:
Bring me to Life

La citazione di Dante... Prendetela staccata dal contesto infernale e capirete.
 
Prima di leggere... Ricordatevi la prima scena del primo capitolo. Ricordata? Ok, ora potete leggere. Ci vediamo alla fine del capitolo!

 
 
 
 
 
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Capitolo 8

BRING ME TO LIFE
 

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.

[Inferno V, 103-105]
 
 
 
I giorni passarono con una furia inarrestabile. Avevano iniziato quella relazione all'insegna della spensieratezza –si fa per dire–, mentre ora passavano le poche ore che avevano a disposizione per loro con i cuori pieni di angoscia e disperazione.
La mattina dopo lo sfogo di Elsa si erano svegliati più o meno simultaneamente, e, senza quasi parlarsi, si erano salutati con un bacio che per tutti e due sapeva di fiele.
Non riuscivano a parlarsi, e, se questo all'inizio sembrava non pesare più di tanto, ora gravava su di loro come una cappa di piombo.
La sera stessa però, mentre Elsa osservava in piedi sul balcone i lampi che squarciavano il cielo, incurante della pioggia che iniziava a cadere, si impose di non essere triste, e così doveva aver fatto Hans, perché quando entrò nella sua stanza, iniziarono a chiacchierare delle solite cose, cullati dal suono della pioggia che batteva forte sulle finestre e dai boati della tempesta che imperversava fuori.
Fecero l'amore, ma questa volta con una certa urgenza di stringersi il più possibile, di sentirsi vicini. Erano disperati entrambi, ma si rendevano conto solo della loro propria disperazione, non di quella dell'altro.
 
La mattina dopo Elsa si svegliò per prima, e, voltatasi verso Hans, che ancora dormiva beato, non riuscì a fare a meno di fissarlo a lungo, persa nei suoi pensieri. Quando si rese conto che era giunta l'ora di andare, iniziò ad accarezzargli i capelli dolcemente: anche se solitamente era lui il primo a svegliarsi, giorni prima le aveva chiesto di svegliarlo prima di andarsene.
Sentendo quel tocco, Hans poco dopo aprì gli occhi, ancora offuscati dall'incubo che stava facendo. Lui, a differenza di Elsa, non si agitava mai nel sonno.
"Ho sognato che il tuo mostro di neve ti mangiava..." le disse con il sorriso sulle labbra. Non appena aveva incontrato i suoi occhi, la paura era scomparsa, lasciando spazio al divertimento per l'assudità del sogno. Lei rispose con una risatina divertita.
"Non lo farebbe mai!" commentò gettandosi fra le sue braccia e dandogli un leggero bacio sulle labbra.
"E tu cosa facevi?" chiese poi appoggiando la testa sul suo petto, sul cuore "Mi salvavi o lo incitavi?" aggiunse interessata.
Lui iniziò ad accarezzarle la schiena, e poi, tenendo gli occhi fissi sul soffitto della stanza, rispose "Veramente mi aveva già mangiato...". Subito dopo ribaltò la situazione e si mise sopra di lei, che lo guardò prima spaesata, poi incuriosita da quell'affermazione. Elsa portò le mani ad afferrargli i capelli, avvicinò la bocca al suo orecchio e ripeté con decisione "Non lo farebbe mai."
Hans sorrise soddisfatto e iniziò a baciarle il collo, stringendola a sé quando la sentì lasciarsi scappare qualche sospiro mentre a sua volta gli cingeva il collo con le braccia.
 
"Dovresti andare." disse Hans fermandosi improvvisamente e lasciandola di stucco. Non si curò dei suoi lamenti quando si alzò dal letto e si diresse verso il balcone per vedere se pioveva ancora, aspettando che si rivestisse.
"Ti odio." gli disse Elsa quando lo raggiunse poco dopo, mentre si allacciava il lungo mantello. A quelle parole Hans si voltò e con un sorrisetto beffardo la prese per i fianchi  "Quindi stasera non verrai?"  chiese accarezzandole le gambe da sopra la camicia da notte.
"Non lo so. Ci devo pensare." rispose lei fingendosi ferita, ma non riuscì a mantenere quello sguardo, così lo baciò e, prima di sparire nell'oscurità, gli disse "Addio" mandandogli un sorriso complice.
 
*
*
*
 
Ormai mancavano due giorni.
Quella mattina Elsa si vide costretta a intraprendere un viaggio verso un regno vicino per conoscerne il re e la regina e per sancire alcuni accordi anche con loro. Solitamente questo compito toccava ai diplomatici di Arendelle, ma per farsi accordare i dieci giorni nel regno di Corona dai suoi ministri si era assunta anche quegli incarichi, oltre ai soliti.
 
Una volta arrivata, accompagnata dal ministro che l'aveva seguita da Arendelle, fu accolta con molti onori. Il re e la regina di quel regno erano piuttosto anziani, e quando arrivò le annunciarono che prima di prendere un tè con i loro figli avrebbe dovuto partecipare al Gran Consiglio accompagnando l'informazione al vecchio proverbio "prima il dovere, poi il piacere." Accettò senza proteste, anzi, avrebbe preferito stare rinchiusa in quella Sala tutto il giorno piuttosto di dover socializzare con i due principi. Seppe in seguito che se tutto fosse andato per il meglio, quei due erano destinati a lei e ad Anna. Niente di più sbagliato, sia per lei che per Anna.
Quando si sedettero tutti insieme, e i due incominciarono a parlare di argomenti noiosi –con Hans non sembravano così noiosi–, la sua mente iniziò a vagare nella nebbia delle sue preoccupazioni.
"Vi sentite bene, vostra altezza?" le chiese Ludwig, il più grande dei due, ostentando un'eccessiva apprensione.
"Sì, certo." si riscosse subito Elsa, che si era incantata facendo girare distrattamente il cucchiaino all'interno della sua tazza.
"Bene, bene, allora, stavo dicendo..." ricominciò a blaterare, senza nemmeno preoccuparsi che stesse bene veramente.
Fortunatamente mezz'ora dopo andarono a chiamarla perché si congedasse per tornare nel regno di Corona.
 
Quando finalmente tornò nella sua stanza, ancora una volta era stravolta, ma questa volta più per la noia che aveva provato tutto il giorno.
Quando arrivò nella stanza di Hans sentì la stanchezza abbandonarla completamente, soprattutto perché lui non le diede nemmeno il tempo di raccontargli l'orribile giornata che si ritrovò schiacciata contro il muro con la bocca di lui vicina al suo orecchio. "Non avevi detto che non saresti venuta?" le chiese beffardo.
"Ho detto che ci avrei pensato." rispose lei poco prima di abbandonarsi completamente a lui.
 
Quella era destinata ad essere una lunga, tormentata notte, con tanto di sogni.
Che si tramutarono in incubi non appena si svegliò.
 
*
*
*
 
Hans venne svegliato dal rumore sordo di un tonfo. Per un attimo pensò che si trattasse di un tuono, dato che la stanza continuava a venir illuminata dai lampi e fuori pioveva a dirotto, ma quando realizzò che il rumore proveniva dall'interno di essa, si tirò su con il busto all'istante, temendo che qualcuno fosse entrato e avesse scoperto che non era solo nel letto. Si accorse di essere completamente in balia dei brividi di freddo, e abbassò il viso per controllare che Elsa stesse bene. Non c'era.
Cercò di scrutare se nella stanza ci fosse effettivamente qualcuno, e la sua attenzione fu colta da dei singhiozzi soffocati che provenivano dal fondo della stanza, vicino al camino.
"Elsa...?" chiese incerto. La risposta che arrivò gli fece raggelare il sangue nelle vene: con la voce rotta dal pianto la regina balbettava "Mi disp...Mi dispiace..."
"Che stai facendo?!" le chiese in un sussurro, alzandosi dal letto e tentando di raggiungerla attraverso la stanza impregnata di buio e di freddo. Quando riuscì a vederla grazie a un nuovo fulmine che illuminò la stanza a giorno, notò che indossava solo una sua camicia, che le stava molto grande, e non poté fare a meno di ammirare la sua bellezza, per un momento, perché poi dovette rendersi conto, tornando alla realtà, che uno strato di ghiaccio ricopriva gran parte del camino, e lei era scossa dai singhiozzi.
"Cosa hai fatto?" ripeté sforzandosi di non usare contro lei un tono di accusa, ma l'ora tarda e il risveglio improvviso rendevano i suoi pensieri più lenti, e quel freddo non aiutava.
Non poteva saperlo, ma usò le stesse parole che il padre le aveva rivolto quando aveva rischiato di mandare la sorella all'altro mondo, anni e anni prima.
Sentendo da Hans quelle parole, ancora impresse a fuoco nella sua mente, le gambe iniziarono a tremarle e andò a schiacciarsi contro il muro per avere qualcosa che la sorreggesse, per non frantumarsi in mille pezzi. Iniziò a parlare velocemente fra le lacrime "Stavo facendo un sogno...Quando mi sono svegliata stavi tremando...Volevo riaccendere il camino, ma...ma...–"
"–Elsa..." Hans cercò di lottare contro il freddo che gli stava entrando con violenza nelle ossa e di controllare la voce per non  angosciarla più di quanto non lo fosse già, ma la voce rotta che gli uscì rivelò il suo fallimento, e quando allungò una mano per sfiorarla, per calmarla, lei si scostò. "Elsa?!" la chiamò di nuovo, leggermente scioccato per quella reazione, ma lei rimase dov'era, ripetendo mortificata "Non ci riuscivo. Hans, non ci riuscivo!"
"Non importa. Non importa. Faccio io." le disse meccanicamente, dandosi dell'idiota perché non riusciva a trovare parole giuste per calmarla. Lei andò a sedersi sul letto, attenta a stargli lontana, continuando a tormentarsi le mani, temendo che la crisi non fosse ancora giunta alla fine.
Anche ad Hans tremavano le mani, e riaccendere il fuoco si rivelò più arduo del solito; per di più la sentiva piangere, e questo lo distraeva.
Quando finalmente riuscì a far brillare una tenue fiamma nel buio, le disse che poteva avvicinarsi, ma lei rimase dov'era, scuotendo il capo ripetutamente.
"Elsa, dai!" cercò di sdrammatizzare usando lo stesso tono che si usa con i bambini. "Vieni qui..." Non riusciva ancora a raggiungerla sul letto perché il freddo lo abbandonava con una lentezza esasperante. Passarono minuti carichi di tensione: Elsa smise di piangere, e questo avrebbe potuto essere ritenuto un buon segno, se non fosse stato che Hans, mandandole occhiate nervose dall'altra parte della stanza, notò che aveva incominciato a stringere i pugni con troppa forza.
 
"Vuoi raccontarmi il tuo sogno...?" si decise a chiederle quando si rese conto di poter controllare la voce. Non ricevette alcuna risposta, se non quella dei tuoni che iniziavano ad avvicinarsi. Quando il silenzio di lei iniziò a pesare, si alzò e mosse i passi verso di lei, anche se non si era proprio del tutto riscaldato, e avrebbe preferito starsene al caldo ancora per un po', ma lei era più importante.
Quando la raggiunse, si abbassò e si mise in ginocchio davanti a lei, che teneva il viso basso.
"Non costringermi ad obbligarti di nuovo." le disse con falso tono autoritario, sperando di strapparle un sorriso al pensiero di cosa era successo l'ultima volta che l'aveva costretta a raccontarle un suo incubo. Non poteva sapere che in realtà non era stato un incubo a spaventarla, ma la visione di lui sofferente per il freddo. Tentò di prenderle le mani, ma lei si ritrasse. "Non toccarmi." gli intimò in tono rabbioso, evitando i suoi occhi.
 
Hans rimase senza parole. Era la prima volta che si sentiva davvero ferito a causa di Elsa. Non erano state tanto le parole a ferirlo: gli aveva detto anche di peggio. No. Era stato quel tono impregnato di supplica, di rabbia e di...odio a ferirlo come mai prima.
Gli aveva donato tutta sé stessa, anima e corpo, ma ancora non voleva che lui l'aiutasse nei momenti più cupi. Non voleva essere aiutata e lo respingeva usando contro di lui la stessa arma di cui si serviva quando lei osava troppo. La cattiveria. 
Rimase in silenzio, ma la guardò cercando di trasmetterle tutto il rancore che provava. Lei non riuscì a sopportare quello sguardo e si alzò. "Me ne vado. Ci vediamo domani..." sussurrò dirigendosi verso il balcone.
Hans si alzò di scatto: non le avrebbe permesso di andarsene. Non aveva mai appoggiato la sua scelta di arrivare alla sua stanza servendosi dei suoi poteri, e adesso, poiché era instabile e spaventata, la pericolosità saliva alle stelle, e il nuovo boato che proruppe dall'esterno lo convinse ancora di più.
"Elsa..." la chiamò supplicante, vedendola dirigersi verso il balcone.
"Lasciami stare." tagliò corto lei, con un tono sempre più mortificante, continuando ad avanzare.
"La mia camicia." le ricordò avvicinandosi minaccioso e tendendo una mano verso di lei. Elsa lo guardò incerta, non sapeva se fosse meglio supplicarlo di lasciarla andare oppure accontentarlo: più stava in quella stanza, più lui acquistava potere sulla sua mente. Alla fine optò per la seconda soluzione: accontentarlo e andarsene da lì. Con uno sguardo colmo di odio lo superò e si avvicinò al letto per prendere la sua camicia da notte e il mantello, ignara dell'occhiata di puro odio che le gettò Hans prima di iniziare a seguirla.
 
Le si avvicinò velocemente: il rumore dei passi veniva coperto dal fragore dei tuoni, e quando lei, sentendolo vicino, si voltò, fu troppo tardi.
La spinse sul letto con una forza che le tolse il respiro e subito si distese sopra di lei, per tenerla ferma. Lo avrebbe congelato vivo? Non gli importava minimamente.
"Che fai? Lasciami!" gli sussurrò –ormai era abituata a tenere la voce bassa in ogni momento– e portò le mani sulle sue spalle per allontanarlo. Lui capì le sue vane intenzioni, così le afferrò i polsi e li bloccò sul letto. Poi cominciò a parlarle con un tono di odio che la fece smettere di lottare.
Ormai era arrivato il momento che mettessero in chiaro un paio di cose. Ancora si ostinava a respingerlo a causa dei suoi poteri. Non glielo avrebbe permesso, non a due giorni dalla sua partenza.
"Lo vuoi capire che non mi fai paura?" cominciò, e quando sentì i lamenti supplicanti di lei, con rabbia crescente la invitò ad ascoltarlo.
Gli occhi di lei si riempirono di lacrime "Non...Non è per questo..." tentennò evitando il suo sguardo,
"Allora spiegami!" le ruggì contro. "Cosa c'è che non va? Guardami. Guardami, Elsa!" le ordinò tenendole ancora più saldi i polsi e non facendo caso al 'mi fai male' che gli disse in un soffio.
 
Elsa finalmente si decise a guardarlo negli occhi. Quegli occhi che una volta con tanta gentilezza le avevano asciugato una lacrima sul viso e ora la guardavano con tanto odio. Ma l'odio non è forse composto per metà di amore? Paradossalmente lui non la odiava perché la vedeva come un mostro, ma perché lei non gli permetteva di farsi amare, e lei ancora non riusciva a capirlo.
Desiderava coprirsi il viso per non farsi vedere, ma lui non faceva che stringerle i polsi, in attesa di una risposta. Aveva paura di combinare un guaio per la paura che provava in quel momento: voleva andarsene.
Quando si era svegliata, le immagini del bel sogno che stava facendo erano scemate via in un lampo quando lo vide tremare. Si era chiesta come fosse potuto succedere, come era possibile che non potesse nemmeno fidarsi dei suoi sogni? Della sua felicità? Aveva cercato di calamrsi, consapevole che quel freddo dipendesse solo dalla sua preoccupazione, ma vederlo in quello stato l'aveva scossa oltremisura. Si era alzata, aveva cercato di rianimare il fuoco, ancora lievemente acceso, ma quando lui iniziò a lamentarsi nel sonno, perse il controllo. Come quando aveva colpito Anna alla testa.
E adesso le aveva ordinato di essere sincera con lui, di aprire il suo cuore. Come avrebbe reagito? Temeva che avrebbe riso di lei, ma decise di parlare lo stesso, tanto ormai era troppo tardi.
"Non lo sopporto. Non sopporto di farti del male. Soddisfatto?!" gli sputò in faccia quelle parole, come se avesse voluto ferirlo, come se l'unica cosa che le premesse fosse quella di fargli vedere a cosa si era ridotta per causa sua. Supplicare l'uomo che avrebbe dovuto odiare di perdonarla per quello che era.
Cercò con tutta sé stessa di fermare le lacrime per vedere l'espressione che aveva assunto l'uomo sentendo quelle parole, ma quello che vide fu solo l'immagine tremula di un volto arrabbiato.
"Cosa vorresti sentirti dire? Che mi fai schifo?" le chiese con disprezzo.
Elsa desiderava veramente che le dicesse queste parole; si sarebbe sentita più in pace con sé stessa e avrebbe finalmente saputo quanto di sbagliato c'era in quell'amore, quanto si era illusa che lui l'amasse veramente.
"Dimmelo. Lo so che lo pensi." gli rispose, probabilmente dimenticando tutto quello che c'era stato fra loro, tutto l'amore che lui aveva messo in ogni singolo gesto fin dal primo giorno in cui si erano rivisti.
 
Hans sbarrò gli occhi, scioccato da quelle parole, crudeli, perfino per lui.
"Dunque, è questo che pensi di me?" le chiese infine con rabbia, ferito nel cuore e nell'anima.
Non rispose Elsa, lottando contro sé stessa per non dirgli quanto desiderava che fosse il contrario, desiderava veramente che lui l'amasse, ma se dovevano finirla, era meglio un taglio netto. Non poteva pretendere che lui volesse rimanere con lei se non era nemmeno in grado di controllare i suoi poteri durante il sonno.
Almeno quanto Elsa desiderava allontanarsi da Hans, lui, in egual maniera, desiderava avvicinarsi a lei:
"Perché ti ostini a rendere questo poco tempo che ci resta un inferno?" le chiese rabbioso, esasperato.
Cosa stava cercando di dirle? Elsa era talmente fissata sulle sue paure ed errate convinzioni che non riusciva a spiegarsi perché le stesse dicendo quelle cose. La stanza cadde in un silenzio assordante, rotto dai singhiozzi della regina, che fu costretta ad ascoltare Hans che riprendeva a parlarle con rabbia crescente.
"Non m'importa quello che sei, Elsa! Non m'importa se mi fai svegliare di notte in preda ai brividi…–"
"Importa a me!" si lasciò scappare lei, completamente fuori controllo. Possibile che non capisse quanto male le faceva l'idea di essere un pericolo per chiunque si trovasse con lei?
"Mi prenderò un raffreddore, Elsa. Non m'importa." insistette, pronunciando di nuovo il suo nome per l'ennesima volta, come se non fosse stato sicuro che l'ascoltasse. E doveva ringraziare il forte temporale che quella notte coprì la sua voce, perché stava iniziando ad urlarle contro.
 
La regina cominciò a tornare in sé solo sentendo quelle parole. Sembrava totalmente sincero. Aveva capito da tempo che parlarsi con chiarezza non era da loro, aveva sempre letto la verità fra le righe, ma in modo molto scettico, eppure in quel momento il 'mi prenderò un raffreddore' sembrava veramente sostituire un 'perché non capisci che ti amo?'
Ma se glielo avesse detto a parole non gli avrebbe mai creduto. Per loro contavano le parole non dette. E i gesti.
Pian piano, impercettibilmente, allentò la presa sui suoi polsi, ed Elsa credette che si fosse deciso a lasciarla andare, che si fosse arreso, ma aveva fatto male i conti.
Con una lentezza esasperante portò le mani un po' più su e le avvolse intorno ai pugni di lei, ancora serrati ermeticamente. Lei capì all'istante quello che voleva fare, e li strinse ancora di più, se possibile, e cercò di allontanarli. Era pericoloso e non voleva. Non voleva.
Hans ricominciò a parlarle, questa volta con un tono più dolce "Non m'importa quello che sei." disse cercando di aprirle le mani con le dita.
"No…" protestò lei, con voce incerta.
Sta succedendo.
"Elsa, guardami." ordinò con lo stesso tono di prima, azzardando un sorriso. Quella sua stupida ostinazione iniziava a divertirlo, perché aveva capito quale fosse il suo problema. Sulle mani di entrambi si era formata da un po' una leggera brina, ma ciò non fermò la sua determinazione.
Lasciami...
"Elsa..." la scongiurò "Andrà tutto bene..." le promise supplicante.
A quelle parole allentò la stretta dei pugni. Come faceva a sapere che sarebbe andato tutto bene? Come si era convinto che qualora avesse preso le sue mani, lei non lo avrebbe congelato come aveva fatto con Anna?
"Elsa." le ordinò per l'ultima volta. Dalla sua bocca uscì una nuvoletta ghiacciata. La stanza era tornata ad essere completamente congelata, la fiamma nel camino tremava prossima ad estinguersi. La voce di Hans tremava, come tutto il suo corpo, e le mani, mentre cercava di spalancarle i palmi. Quella visione la spaventò a tal punto che dimenticò di lottare contro di lui, che colse l'occasione per intrecciare –con notevole sforzo– le dita con le sue.
 
"Visto...?" le disse per farle notare che non era successo niente, ma la sua voce tramava e non poteva nasconderlo.
"Stai treman–" tentò di rispondere di rimando, ancora spaventata, ma non le fu permesso di continuare, perché Hans si avventò sulle sue labbra, facendo morire tutti i suoi tentativi di protestare.
Ma non lasciarmi.
Era successo davvero.
Finalmente era arrivato il gesto che aspettava da tempo, il gesto che la facesse rendere conto di quanto lui tenesse a stare con lei, anche a costo di rischiare la sua vita, e lei non poté fare altro se non abbandonarsi a quel bacio, senza però smettere di piangere. Non poteva ancora credere che si fosse spinto nel pericolo fino a quel punto: cercò di divincolarsi un'ultima volta, ma sentì le mani ghiacciate di lui stringere forte le sue.
E diventare calde.
La stanza si stava scongelando ad una velocità innaturale; la fiamma nel camino aveva ricominciato ad ardere luminosa, il corpo di Hans divenne caldo, come lo era sempre stato. Elsa diventò calda.
Per tutto il tempo che aveva passato con Hans, le era capitato di sentire la propria temperatura alzarsi, ma mai quanto adesso. Man mano che passavano i secondi, man mano che il bacio di Hans la riportava indietro dalla disperazione e la sparava verso l'estasi più autentica, si sentiva ardere sempre di più. Era questo che provavano le persone normali? Era questo l'amore? Ne era sicura: ora capiva veramente cosa significava ardere di amore per un uomo, per quell'uomo, per Hans, che le aveva rubato il cuore e l'anima.
E mi ama. Mi ama veramente. Pensò Elsa, sentendo quel calore impossessarsi di lei, delle sue membra, del suo cuore.
Tutto quello che c'era stato prima fra loro era stato solo un'illusione. Era come se un velo le avesse da sempre offuscato la vista, senza che lei se ne accorgesse, ed ora fosse stato tolto, facendole finalmente vedere tutto chiaro, facendole capire che aveva passato una vita a esistere senza vivere realmente.
Il calore che aveva sentito quando era stata insieme a lui i giorni prima era ghiaccio, se confrontato a quella fiamma che ora le bruciava nel cuore.
Un lampo squarciò di nuovo il cielo e fu seguito da un tuono fortissimo che la fece sussultare. Strinse le sue mani, sentendosi abbandonare dal folle terrore di fargli del male, e lo sentì staccarsi da lei.
Rimasero a guardarsi, senza dire niente, ascoltando lo scoppiettio della fiamma nella stanza e il rumore della pioggia che batteva violenta là fuori, lontana da loro.
Hans adorava dirle 'te l'avevo detto', ma non era ancora giunto il momento. Senza staccare gli occhi da lei, le lasciò una mano, che lei portò subito ad accarezzargli una spalla quando sentì la mano di lui accarezzarle il corpo. Completamente docile, lo lasciò fare quando le afferrò dolcemente una gamba e la portò a cingergli la vita.
Lo lasciò fare, come aveva sempre fatto, ma con una nuova, magnifica consapevolezza. La consapevolezza che lui lo faceva perché sentiva davvero di amarla, la consapevolezza che anche lei lo amava con tutta sé stessa, senza più paura e senza riserve.
La consapevolezza che ora sapeva cosa fare. Aveva capito che lui non era solo un passatempo, un capriccio che aveva voluto concedersi per chissà quale motivo, e lui pensava la stessa cosa per lei, chissà da quanto tempo. Ora finalmente vedeva chiaro: aveva bisogno di lui. Aveva bisogno di quel fuoco che illuminasse le lunghe notti impregnate di nero, e di ghiaccio, e di lacrime. Quel fuoco che solo lui era in grado di accendere. Hans era il suo fuoco, il suo fuoco che non aveva paura di quanto ghiaccio potesse uscire dalle mani della sua donna, non aveva paura nemmeno di svegliarsi di notte ricoperto di brina, perché in ogni caso si sarebbe rialzato e avrebbe dato vita a una nuova fiamma, più forte e più ardente di prima. Per lei. Solo e unicamente per lei.
 
*
*
*
 
"Hans?" chiamò la sua attenzione mentre le baciava il collo, quando dopo un'ora si fermarono per riprendere fiato, le mani ancora fortemente intrecciate fra loro. "Ho caldo..." gli disse facendo uscire le sue parole come un lamento.
 
"Sei insopportabile." le rispose fallendo nel tentativo di sembrare arrabbiato quando sentì la sua risata argentina.
Elsa dovette ammettere che forse aveva ragione. Non aveva meritato quel trattamento: era stata davvero ingiusta con lui quella notte –quei dieci giorni–, e sentì di amarlo ancora di più al pensiero che, nonostante tutto, nonostante il fatto che fosse insopportabile, lui non avrebbe mai rinunciato a lei.
Senza aggiungere parola ricominciarono da dove si erano fermati.
 
*
*
*
 
La mattina dopo si svegliarono insieme stretti in un abbraccio caldo e confortante. Avevano ancora le mani intrecciate fra loro. Elsa si era beata per tutta la notte di quel nuovo contatto, quindi lo aveva lasciato fare senza proteste.
(Non che Hans le avrebbe permesso di staccarsi da lui per un solo momento, ovvio.)
Appena fu sveglia si voltò verso di lui per guardarlo dormire, ma quando si girò, incontrò i suoi occhi verdi che la fissavano. Rimasero a guardarsi per un po' in silenzio, finché lei non lo ruppe. "Avete dormito bene, principe Hans?" gli chiese prima di portare una mano ad accarezzargli i capelli sulla fronte.
“Fin troppo.” Rispose prendendole la mano e ponendovi sopra un tenero bacio.
Da dove veniva tutta quella dolcezza? Entrambi lo sapevano bene. Sapevano esattamente cos'era successo quella notte, quando la stanza si era scongelata in un batter d'occhio, proprio come quando aveva fatto tornare il sole a splendere su Arendelle, anni prima.
 
Voleva chiedergli scusa per come si era comportata quella notte, dicendogli cose terribili, e soprattutto per averlo accusato ingiustamente di cose che non pensava –e non aveva mai pensato–, ma si era convinta che avesse compreso il suo goffo tentativo di dirgli ‘lo so, me l'avevi detto’ quando gli disse di avere caldo.
 
Era sicura che l'avesse già perdonata, eppure desiderava dirglielo ad alta voce lo stesso, perché ora sapeva che non l'avrebbe respinta.
"Potrai mai perdonarmi per quello che ti ho detto stanotte?" gli sussurrò facendosi seria. Lui le rispose con un sorriso di conciliazione, al quale lei rispose abbozzando un sorriso nervoso, che si spense non appena lo sentì parlare.
"Non lo so."
Si stava prendendo gioco di lei, lo capì subito.
"Ah sì?" disse tornando a sorridere.
"Forse..." azzardò Hans "se trovassi il tempo di venire da me questo pomeriggio..." le disse avvicinandosi un po’ a lei.
"Dopotutto non ci vediamo da dieci giorni...” rispose sentendo allargarsi un sorriso complice sul suo viso. “Credo che il Principe Hans gradirà prendere un tè con la regina di Arendelle." Concluse prendendogli la mano e poggiando un tenero bacio sulle labbra calde del suo principe.
 
Rimasero a guardarsi negli occhi per un po', accarezzandosi le mani e intrecciandole fra loro, finché Elsa non fece per alzarsi dal letto: ormai era ora di andare.
Lui la tirò vicino a sé con forza.
"Dove credi di andare?" le disse stringendola forte sopra di sé.
Rimasero insieme un'altra ora, rischiando di ritardare e lasciare che sorgesse il sole. 
Quando la lasciò andare –sotto minaccia–, si diedero appuntamento per quella sera. La loro ultima sera.
 
Quando Elsa tornò nella sua stanza, dopo essersi accertata che lui stesse controllando i suoi movimenti, si buttò sul letto, e lì rimase con un sorriso inebetito che le non l'abbandonò per tutto il giorno. Quando bussò alla porta per svegliarla, invitò la sua serva ad entrare con una voce fin troppo squillante. Si preparò ad affrontare la sua ultima giornata nel regno di Corona. Non vedeva l'ora di tornare a casa, ad Arendelle: finalmente sapeva da dove avrebbe trovato la forza per fare ciò che doveva esser fatto.
 
Avrebbe combattuto, questa volta. Avrebbe combattuto contro tutti.
Per lui.
 
 
 
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Allora, che ne pensate? Vi ha soddisfatto l'atto di amore di Hans?
Elsa è una rompiscatole, ammettiamolo. Ma, poverina, lei non è mai stata abituata a fidarsi delle parole che gli altri le rivolgono per tranquillizzarla. E poi svegliarsi di notte e vederlo soffrire per colpa sua, l'ha fatta andare completamente fuori di testa: ecco un'immagine che potrebbe farci vedere la sua reazione alla vista di Hans.

 
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Scusate se all'inizio sono stata troppo sdolcinata nel descrivere la scena del risveglio, ma volevo che si sentisse un forte contrasto fra quel momento e il loro incontro successivo.
 
Il prossimo capitolo...Vedremo cosa ne pensa Anna di tutto ciò. (Risata malefica)
 
Ecco qualche fan art per voi. Purtroppo ne avrei altre, ma sono un tantino spinte, quindi chi le volesse vedere, mi mandi un messaggio privato o lo scriva nella recensione.
Alla prossima!

 
 

 


 E…Ultimi, ma non ultimi… Ecco dei disegni che ha fatto per noi la nostra beneamata CleoCecyClass
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Capitolo 9
*** A boy like That/Love will find a Way ***


Note introduttive:
Questa cosa dovete proprio saperla: ieri, quando ho aperto il file per sistemarlo, ho SERIAMENTE rischiato di cancellare tutto, quindi onorate la Dea bendata (per chi non lo sapesse, la Fortuna) se non ho premuto 'salva le modifiche' dopo aver cancellato tutto. E se ora lo state per leggere, perché altrimenti lo avrei riscritto dopo settembre. Forse. Vi giuro, stavo per mettermi a piangere.

 
Comunque…
 
Questo capitolo inizialmente non era previsto, ed è stata una fortuna che abbia ascoltato questa canzone di West Side Story, perché praticamente mi ha dettato le parole che leggerete a breve…
Love Will Find a Way (presa dal Re Leone 2) mi ha dettato il resto. Tanto amore per quella canzone.  
È lungo tipo…il triplo del solito, quindi avrete molto su cui riflettere mentre io sistemo l’epilogo.
Se volete ascoltare le canzoni:

QUI (cliccate sopra il QUI) c’è A boy like That *.*
E QUI Love Will find a Way <3 (un po' di sana Disney non fa mai male)
 
Questo è praticamente l’ultimo: tra molti giorni (non meno di dieci, credo) pubblicherò l’epilogo, quindi avete tutto il tempo per recensire leggete con calma. E recensite.
 
 
Ci si vede alla fine del capitolo, sempre che ci arriviate.

 
 
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Capitolo 8
 
 
 
Parte prima
 
A BOY LIKE THAT
 
La notte è più buia subito prima dell'alba.
[Batman: The Dark Knight]
 
Erano ormai passati quindici giorni da quando Elsa aveva fatto ritorno nella sua patria.
 
"Promettimi..." aveva detto ad Hans portando le mani al colletto della sua camicia sbottonata, per sistemarglielo, "Promettimi che non farai stupidaggini."
Aveva il terrore che la nuova separazione lo avrebbe logorato a tal punto da commettere sciocchezze, come tentare di fuggire, o uccidere qualche guardia in un impeto di rabbia, o spifferare a tutti quello che c'era stato – e c'era ancora – fra loro. Le aveva raccontato quanto fosse deprimente la solitudine in cui versava… Ovviamente non aveva detto espressamente questo: si era limitato a dirle che c’erano stati dei giorni in cui avrebbe volentieri preso a pugni qualcuno, ed era stato facile per Elsa cogliere l'enorme sofferenza che doveva sopportare. E poi l'aveva spaventata quando, ovviamente con noncuranza, le aveva riferito le ultime parole che un suo fratello gli aveva dedicato, sulla ghigliottina.
"Quando tornerai?" le aveva chiesto a sua volta, prendendole le mani e stringendole fra le sue. Non le avrebbe mai promesso un bel niente.
"Non lo so..." mentì, in un certo senso: non gli aveva detto niente del suo piano per non illuderlo nel caso ci fosse voluto molto più tempo del previsto. E poi voleva che fosse per lui una sorpresa. "...Ma tornerò da te, prima o poi." concluse sorridendogli.
 
"Non avevi i capelli legati quando sei arrivata?" le chiese quando ormai erano sul balcone, mentre, appoggiato a parapetto con le braccia incrociate, la guardava far nascere la scala di ghiaccio, per l'ultima volta.
"Non riuscivo a trovare il nastro." rispose lei evasiva, senza guardarlo e continuando il suo lavoro. In verità lo aveva lasciato sullo scrittoio.
 
Si erano lasciati così. Elsa si era imposta di non piangere, e ci era riuscita; anzi, a dire il vero non aveva ancora versato una lacrima da quella notte in cui aveva deciso il proprio futuro… e quello di Hans.
 
Avrebbe parlato con Anna, poi lo avrebbe annunciato al Gran Consiglio di Arendelle, e poi si sarebbe presentata al cospetto della corte delle Isole del Sud e avrebbe avanzato la sua richiesta di scarcerarlo. Infine sarebbe corsa da lui e lo avrebbe fatto liberare dalla sua gabbia dorata. In teoria.
 
Passate due settimane sentiva di non essere ancora sicura di riuscire a sostenere una discussione del genere con Anna, e continuava a rimandare. In teoria, secondo i piani che aveva elaborato silenziosamente mentre beveva con Hans il tè che gli aveva promesso, in quel momento doveva già averlo accanto, da almeno quattro giorni.
 
Appena tornata ad Arendelle era stata sommersa da migliaia di compiti, al punto che non era riuscita a stare da sola con i suoi pensieri per più di cinque ore, ore che doveva usare per dormire. I dieci giorni nel regno di Corona non erano stati per nulla riposanti, specialmente gli ultimi.
Inoltre aveva dovuto dare udienza a molti suoi cittadini e a diplomatici di regni lontani e vicini che non erano a conoscenza del suo viaggio, e si erano accalcati a palazzo per attenderla.
 
Verso la fine della settimana era riuscita a ritagliarsi un pomeriggio intero, che utilizzò per farsi una gita al suo castello di ghiaccio, alla Montagna del Nord, dove finalmente riuscì a rimanere sola con sé stessa e decidere sul da farsi.
Ci era tornata solo un paio di volte, una delle quali per recuperare la sua corona, l'altra, qualche mese prima, per rimanere un po' da sola.
Aveva deciso di lasciare tutto come era rimasto quando Hans era arrivato e l'aveva portata via, una vita prima. Il lampadario di ghiaccio era ancora a terra, frantumato, e gli affilati pezzi di ghiaccio con cui stava per uccidere quei due soldati erano rimasti al loro posto, immobili, raccapriccianti. Non sapeva esattamente perché avesse deciso di non cancellare le tracce della sua mostruosità, all'inizio: forse perché voleva tenerlo come monumento per ammonirla su quanto pericolosa fosse ancora. Due anni non sono abbastanza per cancellare le ferite di una vita, giusto? Le ricordarono le parole di Hans. Quanto aveva avuto ragione, dovette ammettere mestamente.
 
Si sdraiò per terra in mezzo a quella stanza subito dopo essersi trasformata il vestito in puro ghiaccio argentato. Aveva dovuto dire addio anche a quell'aspetto della sua libertà: non voleva mettere in imbarazzo chiunque le si avvicinasse. E poi, pensò sorridendo, con Hans si sarebbe sciolto nel giro di pochi istanti, probabilmente.
 
Rimase a fissare il soffitto per molto tempo, cercando di svuotare la mente da tutte le preoccupazioni che aveva dovuto affrontare in quei giorni e lasciò che il pensiero di Hans si insinuasse lentamente dentro di lei. Doveva dirlo ad Anna.
Sapeva che la sorella sarebbe stata lo scoglio più difficile da superare, ma tutto il resto sarebbe partito solo da lei e dalla sua approvazione. Avrebbe dovuto calibrare attentamente le parole per dirle quanto amava quell'uomo; avrebbe dovuto trovare un modo per spiegarle che anche lui l'amava, stando però attenta a non scendere nei particolari. Non poteva, infatti, confidarle di essersi concessa a lui ogni singola notte dei giorni precedenti: come minimo non le avrebbe più rivolto la parola. Era elementare che lei capisse quanto quell'amore fosse giusto per i due: solo così le avrebbe permesso di portarlo lì, ad Arendelle. La convivenza sarebbe stata un inferno, ma questo era un problema del tutto secondario. L'avrebbe affrontato con lui, per lui. E poi non era detto che lui l'avrebbe seguita. Magari l'avrebbe ringraziata per poi intraprendere una strada diversa, il mare, forse, dato che lo amava tanto. Ma Elsa ne dubitava: era troppo forte il sentimento che li aveva stretti insieme.
In ogni caso sarebbe andata da lui senza la pretesa che la sposasse, nonostante tutto quello che avevano fatto. Voleva solo che lui fosse felice, il resto rimaneva solo un punto di domanda in mezzo al vuoto. E poi doveva ottenere la 'benedizione' di Anna prima di iniziare a pensare a matrimonio e a felicità.
 
Rimase nel suo castello finché non vide il cielo infuocarsi. Prese la strada per Arendelle ed entrò nel castello quando ormai calava la sera. Cenò con Anna e Kristoff in tutta tranquillità: le avrebbe parlato il giorno dopo, ora erano tutti troppo stanchi per affrontare discussioni del genere.
E poi doveva ancora studiare le parole che le avrebbe detto.
 
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Era un giorno soleggiato di primavera quello in cui uscì dalla Sala del Consiglio e, al posto di andare in camera sua per riposarsi, girò a destra e oltrepassò il portone che portava fuori dalle mura del castello.
Trovò la sorella mentre pattinava sulla pista di ghiaccio con Kristoff, che la sosteneva teneramente. A quella visione si chiese se, in un'altra vita, sarebbe stato quello che avrebbe dovuto vedere tutti i giorni, ma con Hans, al posto di Kristoff.
"Anna?" le urlò sovrastando con la voce i pensieri che le si erano appena formati nella mente come avvoltoi neri pronti a beccarle gli occhi.
"Sì?" le rispose dall'altro lato della pista, con la voce spensierata che assumeva quando Kristoff si trovava accanto a lei.
"Devo parl…–" le disse con una vocina che le morì prima di terminare la frase. "Devo parlarti." ripeté a voce alta. Non poteva crollare prima di iniziare: cosa avrebbe fatto Hans se l'avesse vista? Riderebbe di me, ovvio, si rispose all'istante.
"Certo, arriviamo!" le rispose dirigendosi verso di lei, seguita dal fidanzato.
"No. Solo...Solo con te devo parlare." le disse nervosa, gettando uno sguardo di scuse a Kristoff. Tanto presto lo avrebbe saputo anche lui, ne era sicura.
"Oh. Va bene, arrivo." le rispose guardandola spaesata, come per chiederle se andasse tutto bene.
"Ti aspetterò nella mia stanza." le disse dandole le spalle e tornando nel castello a grandi passi, come se stesse scappando. Anna rimase ancora qualche minuto con Kristoff, chiedendosi allarmata cosa fosse successo.
 
Elsa entrò nella sua stanza con il cuore in gola e il fiato spezzato: non riusciva a respirare per la quantità di angoscia che provava.
Si sforzò di pensare ad Hans e ai loro ultimi incontri per calmarsi, per trovare una spinta ad andare avanti. Per lui.
 
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“Non me lo dai un bacio?” le aveva chiesto con la voce troppo alta, a parere di Elsa. Lo aveva subito zittito mentre si versava il tè nella tazza con un sorriso divertito sulle labbra. Alla fine era riuscita a ritagliarsi un’ora del suo ultimo giorno nel Regno di Corona, per stare con lui alla luce del sole.
Quando finì di mettere lo zucchero – tanto zucchero – nella sua tazza, la prese fra le mani e si alzò. Quando si pose davanti alla porta, Hans la guardò esterrefatto – per un attimo temette che volesse uscire –.  La vide sollevare una mano contro di essa e congelare i cardini. Sorrise quando capì cosa stesse facendo: evitare irruzioni improvvise delle guardie o di qualunque altro rompiscatole. Geniale.
"Perché non lo hai fatto prima?" le chiese sospettoso, divertito.
"Non mi era venuto in mente." rispose in tono colpevole, dirigendosi verso lo scrittoio al quale erano seduti, ma, al posto di sedersi sulla sedia di fronte a lui, appoggiò la sua tazza accanto a quella del principe e gli si sedette sulle gambe. Gli prese il viso fra le mani e, prima che lui potesse ribattere, lo baciò.
Quando si staccarono, – dopo un bel po’, a dire il vero –, gli sussurrò, sorridendo radiosa “Quanto tempo!”. Lui la scrutò mentre si voltava tranquillamente verso il tavolino e versava del tè nella sua tazza. Quando gliela mise fra le mani, Hans, che non aveva staccato gli occhi da lei per un solo istante, ripeté “quanto tempo…” sorridendo a sua volta e stringendola forte a sé con un braccio.
 
Sussultò quando Anna fece irruzione nella sua stanza chiedendole di cosa dovessero parlare: il sorriso che le si era stampato sulle labbra a quel ricordo si dissolse all'istante.
"Siediti." le ordinò nervosa, almeno però la voce era tornata ad essere salda.
"D'accordo..." le rispose la sorella titubante. Elsa rimase in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro, cominciando col farfugliare "C'è una cosa che devi sapere...È da molto che vorrei dirtelo, ma temo di non riuscire a trovare le parole giuste per non..." farti arrabbiare, concluse nella sua mente.
"Elsa, sai che puoi dirmi tutto..." incominciò Anna, muovendosi inquieta sulla sedia. A quelle parole la regina si fermò a fissarla. Era davvero il momento giusto? Sentiva che stava per commettere uno sbaglio, uno sbaglio enorme parlandone con la sorella. Prese fra le mani la treccia e vide il nastro rosa che la teneva stretta. Quello blu che aveva sempre usato, in quel momento, si trovava in camera di Hans a miglia e miglia di distanza. Sentì un po’ di determinazione nascere dentro di lei quando realizzò che forse lo stava stringendo fra le mani, in quel momento…
"Ricordi quando ti ho detto che mi ero recata nel regno di Corona per ottenere delle scuse dal principe Hans...?" iniziò cauta, guardandola intimorita.
Sentendo nominare quel nome, Anna fece una smorfia disgustata, ed annuì.
"Ti ho mentito." continuò Elsa, ma poi, ripensandoci, aggiunse, per non aggravare la situazione di Hans "Cioè, no, non ti ho proprio mentito: desideravo davvero le sue scuse, ma...È successo qualcos'altro." concluse infine, tutto d'un fiato.
Le guance di Anna si arrossarono, e questo era un cattivo segno, soprattutto perché significava che iniziava a capire, e qualsiasi cosa avesse capito, non le piaceva. "Cosa?" le chiese in un soffio.
"Promettimi..." iniziò Elsa, mettendo una mano davanti a sé come per proteggersi. "Promettimi che qualsiasi cosa vorrai dirmi, ascolterai prima tutto quello che ho da dirti io." le disse guardandola negli occhi.
"Cosa è successo, Elsa?" insistette Anna alzandosi in piedi.
"Prometti!" le ripeté una seconda volta, impassibile, distogliendo gli occhi.
Si guardarono intensamente per alcuni istanti carichi di tensione. Sembrava che la principessa stesse per scoppiare, tanto era diventata rossa, ma alla fine si risedette e sentenziò: "Va bene, promesso. Ma ora dimmi tutto."
Elsa fece un respiro profondo, come se si stesse per gettare in acqua da mille metri di altezza. Il momento era giunto, e ora non avrebbe più potuto tornare indietro. Iniziò a parlare.
 
Le raccontò davvero tutto, dal loro primo incontro prima del processo fino a quella mattina di due settimane prima. Dovette omettere molte cose, come il fatto che l'avesse baciata contro la sua volontà, o che le avesse detto parole tanto orribili da devastarla completamente. Per quello si limitò a dire che lui aveva capito il senso di colpa che la logorava da anni.
Vedeva la faccia di Anna inorridire sempre di più ogni minuto che passava, ma continuò a parlare, mentre la sorella continuava ad ascoltare muta come un pesce. Elsa arrivò al loro primo incontro avvenuto di notte e le raccontò con quanta prepotenza le aveva ordinato di raccontarle il sogno, e di quanto questa liberazione l'avesse fatta sentire meglio subito dopo. Si impegnò con tutta sé stessa a non pronunciare la parola "amore" fino alla fine, anche se ormai, dopo averle detto per quale motivo aveva dovuto rivederlo di recente, tutto appariva chiaro. Quando le spiegò come aveva fatto a vederlo ogni notte, la vide tuffare il volto fra le mani, ma continuò a parlare, a dirle che avevano passato notti insonni parlando – dovette omettere tutti i lunghi intervalli di gemiti sommessi e lenzuola arruffate –. Arrivò infine alla penultima notte, quella in cui aveva capito quanto lo amasse, e soprattutto le rivelò la sua consapevolezza di essere ricambiata. Le spiegò quanto non avesse sopportato la vista di lui tremante e di come poi le aveva preso la mano senza temere i suoi poteri. Le spiegò tutto, per filo e per segno, sentendo il fuoco che si era acceso dentro di lei quella notte divampare dentro il suo cuore come se lui si fosse trovato lì, a guardarla mentre si firmava la condanna a morte parlando alla sorella di quell'amore folle che le aveva fatto perdere la ragione.
 
"Anna…Io lo amo." concluse infine, sedendosi accanto alla sorella che si ostinava a tenere il volto fra le mani, incapace di guardarla negli occhi. La stanza cadde nel silenzio più cupo ed assordante che fosse mai calato fra le due sorelle.
"Ora puoi parlare…" tentennò Elsa, imbarazzata oltremisura. Credeva che parlandone con Anna si sarebbe sentita meglio, ma il respiro affannato che la tormentava dimostrò il contrario. Per di più, in quel momento si accorse di aver perso giorni interi a pensare alle parole giuste per raccontarle tutto, ma non alle parole di risposta per un eventuale litigio.
 
Quando finalmente Anna alzò il viso e la guardò con durezza, le lacrime che aveva agli occhi ferirono la regina al punto che si chiese perché glielo avesse detto.
"Lo sapevo che non era una buona idea lasciarti andare da sola. Lo sapevo..." la sua voce ruppe il silenzio. "Come puoi farmi questo, Elsa? Sei mia sorella!" sibilò infine in un sussurro carico di rabbia.
"Anna..." la supplicò Elsa invano.
"No…No! Tu non puoi parlare sul serio! Sai cosa ha fatto quando gli ho chiesto di salvarmi?" incominciò con rabbia, interrompendo ogni suo tentativo di persuasione. "Ha spento il fuoco nel camino con l'acqua. Mi ha detto che nessuno mi avrebbe mai amata. Mi ha chiusa a chiave nella stanza dove un tempo giocavamo insieme. E tu... Tu mi dici che...Oddio mio, non riesco neanche a pensarci." disse alzandosi in piedi di scatto. "Come puoi farmi questo? Stava per ucciderti! Io l'ho visto!" ricordò infine, come se si fosse dimenticata di quel dettaglio. "Come puoi anche solo lontanamente pensare che un uomo del genere possa amarti? Come può essere capace di amare? E tu come...Come hai potuto?" ripeté per la terza volta portandosi una mano al cuore, come se lo avesse sentito spaccarsi.
"Anna, ti prego..." ricominciò Elsa, chinando il capo. Sapeva che non avrebbe reagito bene, ma sperava almeno che non se la prendesse anche con lei, non in quel modo.
"No no no, Elsa, tu devi essere impazzita. So quanto possa sembrare carino e dolce, io lo so. Tu non lo conosci." le disse in tono di supplica, ancora in piedi, senza guardarla. Elsa, alle sue ultime parole si ridestò.
"Perché, tu sì, invece? Credo di conoscerlo meglio di te, in ogni caso." disse con rabbia. Se c'era una cosa su cui potesse vantarsi era la convinzione di conoscerlo meglio di chiunque altro, proprio come lui conosceva lei.
"Ti sta solo usando!" le urlò con tutta la voce che aveva in corpo, tanto che Elsa socchiuse gli occhi e girò impercettibilmente la testa, come se avesse ricevuto uno schiaffo. "Vuole solo la tua corona, me l'ha detto. Me l'ha detto! Cosa pensi che farà una volta che l'avrà? Come puoi essere stata così ingenua?" Elsa sapeva che sarebbe finita col tirare in ballo la sua ingenuità, ma la sua risposta però fu troppo brusca.
"Credi che non abbiamo parlato anche di questo fatto? Mi credi così ingenua da cedere a lui come hai fatt -" bloccò le sue parole troppo tardi. Si mise una mano davanti alla bocca quando la vide scoppiare in lacrime. Aveva promesso che non le avrebbe più rinfacciato quella storia, ma non era proprio riuscita a trattenersi, e ora l'aveva ferita.
"Vedi cosa ti ha fatta diventare?" le disse con la voce rotta.
A quelle parole la regina iniziò a sentirsi in imbarazzo. Certo, all'inizio si era trovata spesso a pensare che fosse stata tutta colpa di Hans se entrambi si erano cacciati in quel pasticcio, ma era giunta alla conclusione che insieme lo avevano fatto, e forse su quel frangente era lei ad avere la colpa più grande. Era stata lei ad avergli permesso di entrare nella sua vita. Era stata lei ad andare da lui, a scappare ogni notte nella stanza dell'unico uomo in grado di capirla veramente. L'unico uomo che l'amasse veramente.
"Perché? Cosa mi avrebbe fatto diventare?" le chiese scontrosa. Non riusciva più a controllarsi nemmeno con sua sorella quando sentiva parlar male di Hans: si era ripromessa di non farlo, di lasciarla sfogare rimanendo in silenzio, ma non ce la faceva più a sentirsi dire che solo lui fosse il cattivo della storia.
 
"Non eri così… prima." disse iniziando a tormentarsi una treccia, piangendo senza riuscire a guardarla negli occhi. Poi però alzò il viso, e fu uno sguardo carico di odio a perforare il cuore a Elsa.
Sembrava essere uscita da uno di quegli incubi che faceva fino a otto mesi prima. Fino a quando Hans non l'aveva fatta ragionare. "Come puoi parlarmi in questo modo?" continuò con rabbia "È tutta colpa sua, ti ha riempito la testa di parole, e parole, e parole…" dopo aver ripetuto quella breve cantilena dovette fare una pausa. Sembrava che stesse trovando il coraggio per dirle qualcosa, qualcosa che l'avrebbe ferita di sicuro, ed Elsa ne ebbe la conferma quando concluse il suo pensiero puntandole contro un uno sguardo accusatore "e tu gli hai permesso di farlo!".
Elsa rimase esterrefatta. Fu come sentire una lama che le trapassasse il cuore da parte a parte. La sua sorellina, la sua adorata, piccola sorellina la stava sommergendo con tutto il rancore che provava per lei, che l'aveva delusa come mai prima, e che ora iniziava a pensare seriamente che non sarebbe riuscita a non affogare. Sentendo le parole di Anna, le sembrò, per un attimo, che avesse ragione. Che tutta la colpa fosse stata davvero di Hans. Ma aveva pensato così tanto a quello che stava facendo che non sarebbe certo stata lei a farle cambiare idea, almeno su quello che provava per lui.
"Non è così semplice..." iniziò con la voce tremante. "Se solo provassi..." continuò, incapace di dirle un'altra volta quanto lo amasse: ormai aveva capito che Anna non voleva sentirselo dire di nuovo.
 
“E non pensi ai nostri genitori?” le sputò in faccia queste nuove accuse con la voce rotta dal pianto. Elsa temeva che li avrebbe tirati in ballo; non sapeva come avrebbe potuto risponderle lucidamente, eppure in quel momento l’unica cosa che le venne in mente di dire fu la verità, niente poco di meno che la cruda, amara e triste verità.
“Anna... Loro non ci sono più.”
Se ci fossero stati ancora, lei probabilmente si sarebbe trovata nella sua stanza a sentire le suppliche della sorella di uscire. Niente corona. Niente Anna. Niente Hans.
 
Sentendo quelle parole la giovane principessa le gettò uno sguardo di rimprovero, come se non avesse potuto credere che Elsa lo aveva detto veramente. Poi le diede le spalle, voltandosi verso la finestra, incapace di proferire parola. Vide Olaf che correva allegro da una parte all'altra della pista da pattinaggio inseguendo una farfalla. Vide Kristoff da lontano che si avvicinava al castello. Voleva fuggire da lui in quel momento almeno quanto Elsa desiderava trovarsi accanto ad Hans, ma questo non poteva saperlo, non voleva saperlo.
 
"Cosa pensi di fare quindi...?" le disse infine, ancora girata, senza accorgersi che anche Elsa era ceduta ad un pianto silenzioso, derivato dalla sua ultima affermazione.
"Io..." incominciò la regina asciugandosi le lacrime che stillavano amarezza e sconforto. "Io...voglio solo...Stare con lui." disse infine in un soffio, sentendosi una perfetta idiota per aver pensato che quel desiderio fosse realizzabile. "Se solo provassi a capire..." riprovò a supplicarla, ma quando la sorella la interruppe, capì di aver avuto ragione a pensare che nessuno avrebbe permesso loro di stare insieme.
 
"In quanti lo sanno?" le chiese facendo finta di non aver sentito la sua risposta – la sua supplica –.
"Solo io e te, e ti prego di non dirlo a nessuno, se non a Kristoff, se ci tieni." rispose in fretta, aggiungendo la supplica, anche se sapeva che non lo avrebbe detto a nessuno, come se avesse dovuto tener ben nascosta la follia della sorella.
"E lui?!" domandò, chiedendosi come mai non avesse nominato Hans tra il novero di coloro che erano a conoscenza di questa storia.
"Non sa che te ne avrei parlato. Non mi ha chiesto di farlo." confessò Elsa, sperando che quest'ultima informazione l'avrebbe dissuasa che non era stata sua l'idea, che non era stato Hans a chiederle di compiere quella follia per lui. Infine aggiunse, sentendo il silenzio rimpadronirsi della stanza "volevo solo avere la tua approvazione." disse come ultimo tentativo disperato di farla ragionare.
 
"Be', non l'avrai." decretò Anna voltandosi, finalmente. Cercò di rimanere ferma e rigida davanti alle lacrime della sorella, ma la sua solidità durò ben poco e capì che era ora di andarsene. "Ora, se vuoi scusarmi, ho bisogno di stare da sola." disse infine, dirigendosi verso la porta. Prima di uscire disse con tono fermo delle parole che fecero precipitare Elsa verso il nero-pece dell'abisso della disperazione.
"Se vuoi, potremo far finta che non sia successo niente, oggi pomeriggio." e se ne andò sbattendo la porta, senza attendere una risposta, che non sarebbe comunque arrivata.
 
*
*
*
 
Non appena la porta si chiuse, Elsa scoppiò in un pianto colmo di sconforto. Anna sembrava essere veramente arrabbiata, soprattutto con lei, più che con Hans. Be', lui ormai lo odiava incondizionatamente, quindi non poteva far altro se non prendersela con chiunque si fosse frapposto fra il suo odio e lui. L'aveva presa sul personale, e questo la demoralizzò ancora di più, perché così le possibilità di riappacificarsi sfumavano sempre di più. E con loro la possibilità di rivedere Hans.
Si alzò tremante e andò alla finestra. Vide Anna uscire dal castello e correre verso Kristoff, ormai vicino, prenderlo per mano e trascinarlo dentro l'edifico. Piangeva.
Aveva sbagliato tutto con lei: non avrebbe dovuto dirle quelle cose, ma non era proprio riuscita a trattenersi. Forse avrebbe dovuto aspettare di essere più pronta per affrontare una discussione del genere, infatti, quando le aveva nominato i loro genitori aveva perso del tutto il controllo.
Si accasciò sul pavimento e si afferrò i capelli violentemente. Del ghiaccio affilato cominciò a prendere forma intorno a lei. Non poteva muoversi e non voleva farlo. Sarebbe rimasta lì anche per tutta la vita, aspettando che Hans riuscisse a fuggire ed entrasse in quella stanza per salvarla.
Ma le ore passavano e lui non arrivava – non arrivava! – e nemmeno i ricordi di qualche sua parola, di qualche bacio riuscirono a confortarla.
 
Qualcuno andò a chiamarla per informarla che il pranzo era pronto, ma lei gli ruggì contro, portandosi una mano al petto, "Lasciatemi stare." e non udì più una sola parola, un solo rumore per le ore che seguirono.
Quando giunse l'ora di cena, però, cercò di calmarsi. Si alzò in piedi sorreggendosi al muro, e in quel momento realizzò, al pensiero di dover rivedere Anna, che, forse era stata ingiusta con lei, ma lo sarebbe stata ancora di più verso sé stessa se si fosse arresa così. Dopo tutto quello che aveva fatto per lei, Hans non meritava che si arrendesse, eppure, al momento non riusciva a vedere la fine di quella sofferenza. Non riusciva più a vederlo.
 
*
*
*
 
"Allora, mi vuoi dire cosa è successo?" chiese Kristoff spazientito quando entrarono nella stanza di Anna. Gli era corsa incontro in lacrime e aveva farfugliato che dovevano parlare da soli. Lo aveva trascinato in silenzio fino alla sua stanza, e ora si trovavano faccia a faccia seduti su un divanetto.
"Ha detto che si è innamorata di Hans." rispose con rabbia, omettendo tutta la storia che le aveva raccontato Elsa.
"Elsa?" chiese pregando che rispondesse di no, ma tutte le sue speranze si spezzarono non appena la vide annuire. "Ma... Come? ...Quando?" chiese scioccato. Gli stava a cuore Elsa, non quanto Anna, ovviamente, ma l'aveva sempre trovata una donna dolce e assennata, e non riusciva a credere a quello che le stava dicendo la sua fidanzata.
Gli raccontò brevemente quello che le aveva detto la sorella, ben attenta a mettere tutto sotto una cattiva luce, soprattutto Hans.
"Insomma, io voglio bene ad Elsa, lo sai, ma come ha potuto farmi una cosa del genere?" gli disse infine ricominciando a piangere.
Kristoff non aveva assolutamente parole. Era stupito del fatto che Anna desse contro a sua sorella in quel modo, con quella rabbia: in parte la capiva, perché sapeva quanto l'incidente con Hans l'avesse ferita, ma una piccola parte di lui non poteva fare a meno di sentirsi vicina ad Elsa. Se aveva deciso di dire alla sorella una cosa del genere, allora doveva essere davvero importante per lei.
Queste considerazioni le tenne per sé, per il momento. Si limitò a consolarla e a dirle qualche parola di conforto contro Hans, ma non contro Elsa. Non poteva che essere d’accordo sulla follia della regina, ma non riusciva a condannarla del tutto.
 
Si diressero insieme verso la sala da pranzo, e un servo annunciò loro che la regina non ci sarebbe stata e raccontò il breve dialogo che aveva avuto con lei. Era scioccato perché erano anni che la regina non si comportava così, ma Anna lo rassicurò dicendogli che doveva essere stanca.
Il pomeriggio passò per loro in un lampo.
Quando fu il momento di cenare, insieme si diressero verso la sala da pranzo. Anna era nervosissima all'idea di dover rivedere la sorella, ammesso che si sarebbe fatta vedere, ma aveva Kristoff con lei, e questo la confortò moltissimo. Quando Elsa fece la sua entrata, non poterono fare a meno di notare il viso devastato che aveva, ma tennero gli occhi bassi e consumarono tutti la cena in silenzio. Perfino i servi rimasero in imbarazzato silenzio quando notarono la tensione che vi era fra i tre.
Quando terminarono la cena, Elsa si congedò e tornò nella sua stanza in fretta.
 
Passarono i giorni, e ancora le due sorelle non riuscivano a parlarsi se non per cose banali. Erano troppo imbarazzate: Elsa si sentiva una sciocca ogni volta che ripensava a quanto fosse stata convinta che avrebbe presto rivisto Hans, giorni prima, mentre Anna era imbarazzata perché la vedeva triste, e sapeva il motivo, e sapeva come fare per renderla felice, ma non avrebbe fatto niente per cui avrebbe dovuto pentirsi. Ogni volta che i loro occhi si incontravano, le parole di Hans le entravano con prepotenza nella testa. Se solo qualcuno ti amasse davvero. Come era riuscito a ingannare anche lei? Come?
 
*
*
*
 
Passarono quasi tre mesi da quella calda mattina di aprile. Anna vedeva Elsa sfiorire ogni giorno di più; tutti, a palazzo, lo avevano notato e le avevano chiesto il motivo: rispondeva sempre evasiva, dicendo che non lo sapeva e azzardando l'ipotesi che fosse semplicamente stanca.
Metteva tutte le sue energie nei compiti che doveva svolgere, ma era distante, come se si trovasse da un'altra parte. Anna sapeva dove fosse la sua mente, e ogni volta che ci pensava la guardava con tanto di occhi, incapace di nascondere la sua delusione.
A volte chiedeva di avere un pomeriggio o una mattinata liberi. Non potevano negarglielo, non dopo tutto quello che faceva per il suo Paese, e così si incamminava verso la Montagna del Nord, ci rimaneva per quattro o cinque ore e poi tornava, e ricominciava a fare la Regina, che tutti amavano ma che nessuno si sforzava di capire.
 
Di solito c'era sempre qualche ospite sia a pranzo che a cena, oltre a Kristoff, quindi era facile non cadere in silenzi imbarazzati. Un giorno però si trovarono da sole, a pranzo.
"Come va con Kristoff?" Elsa ruppe il pesante silenzio fissando il contenuto del suo piatto con finto interesse.
"Bene." rispose subito la sorella. "Oggi mi ha lasciata sola perché doveva fare un lavoro…" aggiunse dopo una estenuante pausa di silenzio carica di tensione.
 
"Mi dispiace." sussurrò Elsa tenendo il viso basso. Dopo aver pronunciato quelle parole, però, alzò gli occhi. Non si riferiva di certo alla notizia del viaggio di Kristoff, ed Anna lo capì all'istante. Alzò gli occhi e vide quelli blu di Elsa che la osservavano tristi, ma senza traccia di lacrime. Scosse la testa.
"Se solo…" incominciò cauta, col fiato corto per l'agitazione che avevano portato le parole della sorella. Allungò una mano verso la sorella, lontana da lei in tutti i sensi, come se avesse voluto afferrarla e riportarla indietro da qualunque luogo in cui si trovasse da tre mesi a quella parte "tornassi...da me..." concluse in un soffio.
Elsa non abbassò gli occhi, come aveva sperato che facesse.
"Non ci riesco." le rispose semplicemente, con voce atona; gli occhi le si riempirono di lacrime, che però non scesero, non ancora.
Anna non riuscì a sopportare quello sguardo, così si alzò e, dicendo di non sentirsi bene, si congedò da quegli occhi che la distruggevano. Fu allora che Elsa scoppiò in un pianto sommesso.
Alla sera non si fece vedere a cena, e quando Anna passò davanti alla sua stanza, poggiò una mano sopra al legno della porta. Era congelato.
 
***
***
***
 
 
Parte seconda

LOVE WILL FIND A WAY
 
Mi ha salvato, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata.
[Titanic]
 
"Non credi che abbia già sofferto abbastanza?" le disse Kristoff il giorno dopo quando gli raccontò con quanto imbarazzo aveva dovuto abbandonare la tavola, iniziando a imprecare contro l'ostinazione della sorella.
Stava camminando avanti e indietro per la stanza, la stessa nella quale Hans l'aveva lasciata a morire. Trovarsi lì con Kristoff le faceva provare una sorta di piacere perverso. Entrambi lo provavano. Perché Kristoff odiava quell'uomo, e su questo non aveva dubbi.
"Cosa vorresti dire?" gli chiese fermandosi improvvisamente, come se si fosse trovata davanti un muro invisibile.
"Be’…" iniziò il ragazzo portandosi una mano dietro la schiena, evasivo "non ti sembra che tua sorella stia…Male?" disse infine, iniziando a temere la reazione della fidanzata.
"E sarebbe mia la colpa?" chiese piccata: avrebbe pensato dopo a dispiacersi che il suo promesso sposo non si fosse schierato dalla sua parte.
Kristoff non voleva litigare con lei per nessun motivo, ma non ne poteva più di vederle così infelici, soprattutto Anna, che non faceva altro che lamentarsi della sorella e della sua follia.
"Certo che no!" le rispose in fretta, poi però decise di dirle quello che pensava: si sarebbe arrabbiata, ma prima o poi avrebbe capito, ne era sicuro. "…Ma sai come mettere fine a questa fredda guerra fra voi due."
"Dovrei… Dovrei permetterle di rovinarsi la vita per sempre?" rispose diventando rossa in viso, proprio come Kristoff aveva temuto. Rimasero a fissarsi per un po', finché il ragazzo non si decise a concludere il suo pensiero.
"Come fai ad essere così certa che non possa farla felice? Anche per me è una follia, lo sai, ma, insomma l'hai vista?!" disse sbarrando gli occhi, come se fosse evidente davanti a tutti la sofferenza della regina.
A queste parole Anna indietreggiò finché non trovò il muro, come se le parole del suo uomo l'avessero colpita così forte da farle male fisicamente. "Come puoi dirmi una cosa del genere, Kristoff?".
Lui rimase in silenzio, arrossendo a sua volta per l'imbarazzo che provava per non essersi schierato dalla parte della sua adorata fidanzata. Sperava che quel silenzio l'aiutasse a pensare seriamente a quanto male stesse facendo ad Elsa, e invece lei, piuttosto di ascoltare la sua coscienza, cominciò a inveirgli contro.
"Hans ha cercato di ucciderci entrambe!” cominciò a urlargli furente “Ero proprio lì, seduta dove sei seduto tu adesso! E mi ha detto che avrebbe ucciso Elsa, per la sua corona. Ti rendi conto che se la lascio fare, lui avrà solo ciò che desidera? Non potrò più proteggerla. Non potrò proteggere nemmeno me stessa! Nemmeno te! È questo che vuoi? È questo?" urlò dall'altra parte della stanza.
Kristoff si sentì rimpicciolire a quelle parole, ma rimase fermo sulle sue convinzioni.
"Elsa è una donna adulta. Saprà lei cos'è bene per sé stessa..." continuò quasi senza fiato.
"È questo che pensi? Che sia io a sbagliare?" gli disse avvicinandosi minacciosamente.
 
"Io penso che tutto sia possibile!" rispose accorandosi, ma poi riacquistò subito la calma "Come… Come è stato possibile che una principessa si innamorasse di un montanaro cresciuto nella solitudine… e… lo accogliesse nel suo castello senza dare importanza al rango sociale…" concluse abbassando il viso. Non l'avrebbe mai ringraziata abbastanza per quello che aveva fatto per lui. Non gli andava a genio l'idea di rivedere Hans, né di avercelo come re, ma credeva in Elsa, e questo bastava. E poi era davvero stufo di vederle perennemente tristi, perché Anna era triste, anche se non voleva ammetterlo. I primi tempi faceva l'arrabbiata, ma adesso era sempre così nervosa che si vedeva lontano un miglio quanto le mancasse la sorella maggiore.
 
A quelle parole, Anna si lasciò cadere sul divano accanto a lui e gli prese una mano. Quell'uomo aveva il potere di calmarla in ogni occasione, anche quando era lui stesso a farla arrabbiare.
"Tu vali molto più di lui." gli disse scuotendo la testa e stringendogli la mano.
"Questo credo di saperlo anch’io." le rispose ritrovando il sorriso. “Solo che… Credo che dovresti cercare – sforzarti – di capirla…” concluse prima di prenderle il viso fra le mani e gettarle uno sguardo pieno di amore. Anna lo guardò ancora titubante, ma quando incontrò i suoi occhi si rese conto che aveva ragione. Posò le labbra su quelle di Kristoff e si abbandonarono in un tenero bacio che sancì la loro pace, ammesso che fosse un litigio quello che avevano appena avuto.
 
“Promettimi che ci ripenserai.” le disse quando si staccarono e lei si abbandonò fra le sue braccia.
“Non prometto niente.” rispose prima di dargli un altro bacio, consapevole che ormai era troppo tardi per non far caso alle parole che le aveva rivolto quel pomeriggio.
 
*
*
*
 
A cena, fortunatamente, c’erano diversi ospiti, altrimenti sarebbe stato divertente vedere Elsa, Anna e Kristoff gettarsi occhiate nervose a vicenda: c'era tensione nell'aria, ma un duca e una duchessa, con i rispettivi figlioletti, resero l'aria per lo meno respirabile. Anna adorava i bambini, e insieme a Kristoff e a Olaf li fece giocare per tutto il tempo, mentre Elsa pensò a parlare di affari.
 
Quando Anna, dopo aver salutato Kristoff, si ritirò nella sua stanza, cominciò a pensare alla discussione di quel giorno, e a quella del giorno precedente con Elsa.
 
Ormai era da troppi mesi che non si parlavano. Non che prima si parlassero molto, comunque: da quando aveva fatto ritorno dal primo viaggio nel regno di Corona si comportava in modo strano, e ora capiva il perché.
Quando era andata a chiamarla sulla pista da pattinaggio aveva sentito che c’era qualcosa che non andava. Aveva temuto che fosse scoppiata una guerra, e quando lasciò la stanza della sorella si era resa conto che lo avrebbe preferito. Non si era proprio aspettata, neanche per un istante quello che le aveva confidato, nemmeno quando le accennò che era successo qualcos'altro. Aveva creduto che avesse tentato di nuovo di ucciderla e che per il suo gran cuore avesse deciso di mettere la storia a tacere. Per tutta la durata del racconto aveva cercato con tutte le sue forze di aggrapparsi alla speranza che iniziasse a parlare di una spada, o di un pugnale, ma quando le disse che aveva deciso di rivederlo dopo otto mesi perché gli mancava, perché non ce la faceva più a stare lontana da lui, dovette rassegnarsi.
 
Lui. Era entrato nelle loro vite come un uragano, le aveva devastate entrambe, e quando finalmente si era convinta che tutto fosse acqua passata, Elsa l'aveva chiamata per informarla che quell'uomo aveva continuato a cospirare alle loro spalle, restando però nell'ombra, in attesa di colpirle di nuovo. Perché non riusciva a credere che Elsa – la sua Elsa – si fosse davvero innamorata di Hans.
Non aveva fatto che chiederle come avesse potuto farle questo, ma poi si era resa conto che il vero problema era che lo stesse facendo a sé stessa. Come poteva anche solo lontanamente pensare che quell'uomo potesse renderla felice? Come poteva essere convinta che lui non fingesse di amarla?
Sperava che fosse solo un semplice capriccio, uno di quei capricci che prima o poi passano. Sperava anche che fosse davvero di lui la colpa, ma lei si era ostinata a difenderlo in tutti i modi possibili. Non aveva nemmeno voluto pensare ai loro genitori. Non le importava più di nulla, ed era solo colpa di Hans se la stava perdendo. Di nuovo. Anzi, ormai l'aveva già persa, realizzò ripensando a quello che le aveva detto il giorno precedente.
Non ci riesco.
Non era nemmeno in grado di fare lo sforzo di dimenticarlo per lei.
 
E ora anche Kristoff si era messo in mezzo per difenderla.
 
Rimaneva distesa sul letto a pensare e ripensare alle parole che le aveva detto quel pomeriggio. Possibile che nessuno, nemmeno lui, si sforzasse di capirla?
Col tempo era giunta alla conclusione di non aver mai amato Hans, anche se temeva che se non fosse successo nulla, avrebbe giurato fino alla morte di amarlo sul serio, e questo pensiero aveva continuato a logorarla per mesi, ma Kristoff l'aveva aiutata ad andare avanti e a dimenticare il passato – prendendola anche un po' in giro –.
“Te l’avevo detto di non fidarti di uno di cui non conosci il numero di scarpe…” Le aveva detto sorridendo quando gli aveva confessato i suoi timori, e l’aveva fatta tornare a sorridere una volta per tutte.
Come avrebbe potuto proteggere Elsa se lo avesse introdotto alla loro corte? Lei non avrebbe voluto essere protetta, glielo aveva fatto capire chiaramente dicendole che non ci sarebbe stato bisogno “perché lui mi ama!”.
Era così convinta dei suoi sentimenti che Anna temeva che pur di non difendersi contro di lui, piuttosto si sarebbe fatta uccidere, e questo aspetto la terrorizzava ancora di più dell'idea che lui la stesse usando solo per arrivare alla corona.
 
Poi, le parole di Kristoff entrarono nella sua mente e non le diedero pace finché non si decise a dar loro ascolto.
Non credi che abbia già sofferto abbastanza?
Oh, lo credeva bene; dopotutto, la follia non era di certo una malattia da sottovalutare, aveva pensato in un primo momento. Ora però, distesa nel letto al buio e immersa nel silenzio, la sua coscienza – che di certo non si faceva intimidire dal buio – le suggeriva che forse Kristoff non si riferiva solo a quell'episodio. Si riferiva a tutte le sofferenze che aveva dovuto affrontare per tutta la vita. Da sola.
Entrambe – e anche Kristoff – sapevano che, fra le due, quella ad aver sofferto più in vita era stata senza dubbio Elsa, da sempre costretta a fingere, da sempre costretta a vivere nella solitudine, nell'esclusione da qualsiasi rapporto con il prossimo. Non aveva mai avuto alcun contatto con il mondo fin quando non aveva lasciato che la sua frustrazione esplodesse. E ora sembrava che ci volesse solo una parola di Anna per vederla tornare a sorridere. Possibile che quell'orribile uomo fosse divenuto la sua unica ragione di felicità?
E poi, cosa significava tutto quell'entusiasmo nel dirle che lui le aveva preso la mano? Non c'era niente da ridere, niente per cui essere felici. Elsa dava a tutti la mano.
Be', non proprio a tutti, dovette ammettere, ma non riusciva a capire la portata di quel gesto, non fino in fondo.
In quel momento avrebbe voluto tanto poter parlare con Hans, solo per sentire cosa avesse da dire su quella disgraziata faccenda, ma il solo pensiero di poterlo vedere la fece tornare al punto di partenza.
 
"Non ci riesco" le aveva detto guardandola con gli occhi colmi di disperazione. Se le avesse permesso di stare con lui, sarebbe tornata ad essere la solita Elsa? Era sicura di no: forse per i primi tempi, ma lui prima o poi si sarebbe mostrato per quello che era in realtà, ed Elsa sarebbe tornata triste come lo era adesso, forse di più, se possibile. Quegli occhi, però, sembravano gridarle sul serio il contrario.
Forse si era sbagliata. Insomma, dopotutto aveva conosciuto Hans solo per un giorno e lo aveva sopravalutato per certi aspetti, proprio come lo aveva sottovalutato per altri. Diceva di conoscerlo Elsa, di conoscerlo bene. Che fosse vera tutta la storia del bambino con il cuore pieno di rabbia?
 
C'era solo un modo per scoprirlo. Se lui l'avesse seguita ad Arendelle, cosa che avrebbe fatto sicuramente, perché era quello che lui desiderava, avrebbe avuto modo di parlarci, e allora avrebbe saputo la verità, perché lei non si sarebbe mai più lasciata abbindolare dalle sue parole.
 
Rivoleva la sua Elsa, e per riaverla decise che sarebbe stata disposta a rischiare.
 
*
*
*
 
Dopo numerosi ripensamenti si decise ad alzarsi dal letto. Ormai l'ora era molto tarda, ma pensò di provare comunque a controllare se Elsa fosse stata sveglia e disposta a parlare.
Lasciò la sua stanza in camicia da notte e si diresse verso quella della sorella. Quando vi arrivò davanti, notò che c'era una luce molto tenue che filtrava attraverso la fessura sottostante della porta. Bussò piano, incerta.
"Chi è?" sentì la voce della sorella uscire ovattata dalla porta, inconfondibilmente spaventata.
"Sono io…" rispose di rimando. Sperava con tutta sé stessa che la mandasse via.
"Sto lavorando..." le disse Elsa con voce incerta.
Anna rimase per un po' di tempo lì, immobile e silenziosa, pensando seriamente di andarsene, ma alla fine decise di entrare senza rispettare il tacito ordine della sorella di andarsene.
 
La vide in vestaglia seduta allo scrittoio, illuminato da una candela prossima a spegnersi, aveva in mano una penna con cui stava firmando delle missive. Quando alzò il viso la guardò con un misto di curiosità e paura e le ripeté che stava lavorando.
"Non smetti mai di lavorare?" le chiese accennando un sorriso divertito, che però Elsa percepì come compassionevole.
"No." rispose tornando sulla sua lettera, facendo finta che non ci fosse nessuno lì con lei. Anna rimase a fissarla per due minuti pieni, indecisa se mostrarsi offesa da quel trattamento oppure invocare il suo perdono.
O andarsene.
Stufatasi di quel comportamento, si decise a parlare con la voce bassissima.
"Lo ami davvero?" aveva il cuore che le martellava nel petto. Temette che Elsa lo potesse sentire quando alzò il volto e le rispose.
"Lo sai." rispose scuotendo impercettibilmente la testa, come se non riuscisse a capacitarsi del fatto che Anna le chiedesse una cosa tanto elementare. Rimase a fissarla per alcuni istanti, poi abbassò di nuovo il viso e tornò a leggere la lettera, facendo finta di esserne interessata.
No, non lo so. Pensò Anna sforzandosi di rimanere calma.
 
"E lui ti ama?" parlò di nuovo, senza temere di infastidire la sorella, che, bloccò la lettura, rimase a fissare la pergamena per un po' senza alzare lo guardo e le rispose con un monosillabo.
"Sì."
Rimasero in silenzio per molto tempo: Anna la guardava ancora incredula, mentre Elsa continuava a far finta di essere impegnata nella lettura della lettera – di cui aveva completamente dimenticato il contenuto –.
"Come fai ad esserne certa?" le chiese esasperata, con una certa urgenza, rompendo il silenzio con la voce alterata per la rabbia e per la delusione.
Dopotutto, lei non poteva saperlo. Non poteva capire il significato che avevano assunto per Elsa i gesti che lui aveva fatto per lei. Anna non poteva capire quanto per Elsa fosse stata importante la loro penultima notte. Non aveva capito per quale motivo le era tremata la voce quando le aveva detto "Mi ha preso le mani, capisci?". Solo Elsa poteva capire, così, quando sentì la domanda di Anna, alzò il viso e disse semplicemente "Lo so e basta."
Passarono altri lunghi istanti di silenzio, durante i quali non staccarono gli occhi l'una dall'altra.
 
"Spero di poterlo capire, un giorno." disse infine Anna, distogliendo lo sguardo e portandosi una mano fra i capelli sciolti che stavano già iniziando ad arruffarsi. Elsa non capì subito che quell'affermazione la stava facendo avvicinare ad una specie di approvazione, perciò abbassò il viso.
"Puoi lasciarmi lavorare, adesso?!" chiese con la voce tremante.
Anna si accorse che non aveva capito, e continuò, facendo finta di non aver sentito la richiesta della sorella. "Magari sarà lui a farmi capire…"
Elsa sollevò il volto velocemente, mostrando una lacrima silenziosa che aveva iniziato a rigarle il viso; voleva accertarsi che quelle parole fossero uscite davvero dalla bocca di sua sorella.
"Che significa…?" chiese cauta, sforzandosi di non illudersi, ma non ci riuscì, perché sul viso della sorella si aprì un sorriso che non poteva significare altro se non ‘hai capito bene’.
Poi Anna, vedendo la sorella ancora smarrita, decise di accompagnare quel sorriso a qualche spiegazione in più.
"Questa situazione mi uccide… E uccide anche te, Elsa. E se lui ti rende..." cominciò ricordandosi le parole di Kristoff di quel giorno "felice – disse facendo una smorfia – allora fai quello che vuoi." continuò, prima di concludere "puoi chiamarla approvazione, se proprio ci tieni."
Elsa si alzò di scatto con il cuore che le impazzava nel petto; si avvicinò alla sorella la guardò attentamente prima di comprendere che diceva sul serio, così l’abbracciò e cominciò a piangere e a ripetere dei grazie a raffica. Anche Anna si commosse: Elsa le era mancata più di quanto pensasse, e vederla tornare a sorridere la fece pentire di averla trattata male per tutti quei mesi. Non l'aveva mai vista così felice, dovette ammetterlo: sembrava un fiore appassito tornato ad essere splendente e colorato dopo esser stato innaffiato e messo al sole. Si strinse ancora di più a lei, e tra le lacrime le disse "Lo faccio per te, non per lui, voglio che lo sappiate entrambi."
Elsa, dal canto suo, non poteva certo biasimare questa affermazione, così la ringraziò ancora e le promise che glielo avrebbe riferito. Quando lo avrebbe visto. Perché lo avrebbe rivisto. Ora ricominciava a vederlo farsi strada fra la nebbia tetra della sua disperazione.
"Ti voglio bene." le disse infine, colma di gioia.
 
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"Cosa farai adesso?" le chiese il giorno dopo durante la colazione, quando cadde il silenzio fra le due, che erano rimaste sveglie tutta notte sdraiate sul letto di Elsa a chiacchierare amabilmente del più e del meno, di tre mesi di pensieri che non si erano dette.
Elsa sapeva che Anna da sola sarebbe stata un ingente ostacolo, ma sapeva anche che il Gran Consiglio di Arendelle lo sarebbe stato altrettanto, almeno però aveva Anna dalla sua parte. E Kristoff. La sorella alla fine le aveva raccontato che era solo grazie a lui se quella sera aveva cambiato idea, e lei non poté fare a meno di abbracciarlo non appena lo vide entrare nel castello, ignaro del cambiamento che era appena avvenuto.
Le riferì gran parte del suo piano, che avrebbe ripreso quel giorno stesso, subito dopo la riunione giornaliera con i suoi consiglieri. Le ricordò che essi non avevano gradito la menzogna del principe sulla morte di Anna, e soprattutto quella sul loro matrimonio improvvisato.
"E loro gli hanno creduto!?" chiese scioccata la principessa, che non aveva mai saputo di quella parte.
"Credo che li convincerò proprio rinfacciando loro questa ingenuità." rispose subito Elsa, temendo che Anna cambiasse idea dopo aver scoperto quella storia, ma quella non disse nulla: ormai le aveva dato la sua approvazione, e vedere Elsa così raggiante la distraeva da tutto il resto.
 
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I consiglieri accettarono, alla fine, la possibilità che Hans Westerguard avrebbe fatto ritorno ad Arendelle.
Avrebbe dovuto farsi perdonare pubblicamente, e ovviamente il resto dell'approvazione sarebbe derivato dai suoi comportamenti successivi. Elsa accettò questo accordo di buon grado, anche se temeva che convincere Hans a scusarsi pubblicamente non sarebbe stata una passeggiata, ma le scuse doveva farle ad Arendelle, non a lei, dopotutto.
 
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Mancava solo una tappa, anzi, due: doveva recarsi nelle Isole e richiedere che la sentenza punitiva del principe venisse revocata, e andare da lui. Partì di notte, accompagnata da un solo ministro che avrebbe dovuto garantire la sua sanità mentale davanti alla Corte delle Isole. Aveva inviato una missiva dove accennava il motivo del suo viaggio e le avevano risposto che di certo sarebbe stata la benvenuta, ma che temevano che si stesse sbagliando, insomma, che fosse impazzita.
 
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L'estate ormai si era inoltrata da giorni quando l'attenzione di Hans fu colta dall'agitazione dell'intero popolo di quel regno, soprattutto dei servi del palazzo. Quando con noncuranza chiese il motivo di quella confusione, la serva che si occupava di sistemargli la stanza sussultò: il principe non parlava con nessuno da mesi, ormai.
"Arriva la regina Elsa di Arendelle!" gli rispose la donna, senza smettere di spolverare la libreria del principe, e credette per un folle momento che la stesse per uccidere quando lo vide voltarsi di scatto verso di lei, alzarsi e avvicinarsi. "Quanto si fermerà? Lo sapete?" le chiese con una certa urgenza afferrandola per le spalle e iniziando a scuoterla.
"Due giorni. Forse. Oh, lasciatemi!" Urlò terrorizzata la povera vecchina. Le guardie fecero irruzione all'istante, temendo il peggio, e quando Hans le vide, lasciò la donna tenendo le mani alzate. "Non sto facendo niente." disse con astio quando gli puntarono contro le baionette.
"Allora allontanati." rispose uno dei due.
Fece come gli avevano ordinato: tornò a sedersi sul divano e riprese tra le mani il libro che stava leggendo e che aveva fatto cadere. Le guardie rimasero a controllarlo su supplica della serva, e lo zittirono quando chiese loro quando sarebbe arrivata la regina.
Hans fece uno sforzo enorme per controllare la sua rabbia, in quel momento. Incurante di quello che avrebbero potuto pensare vedendolo così iperattivo dopo aver ricevuto quella notizia, si alzò e si avvicinò a grandi passi alla finestra che dava sull'entrata del castello, quella da cui una vita fa l'aveva vista salire su una carrozza e andarsene.
Si chiese il perché di quella visita tanto breve, e soprattutto perché avesse lasciato passare così poco tempo. Anche se per lui ogni ora lontano da lei sembrava passare con una lentezza incredibile, dovette ammettere che tre mesi erano davvero pochi.
Non aveva molti elementi su cui rimuginare, perciò iniziò ad agitarsi presto. Chissà per quale motivo questa volta gli avevano detto che lei era in procinto di arrivare. Anche se la risposta poteva sembrare evidente a molti, lui non riuscì ad afferrarla, e arrivò a pensare che il motivo fosse che Elsa volesse fargli sapere che sarebbe arrivata, ma non per lui.
 
Quel giorno non arrivò nessuno, e temette di impazzire sul serio. Si mosse dalla sua postazione solo quando lo avvertirono che era atteso per la cena. Raggiunse la Sala quasi correndo, e sedette di fronte a Rapunzel, come al solito, ma questa volta felice di poter chiacchierare amabilmente con lei.
Di Elsa, per esempio.
 
Rapunzel sapeva tutto, non nei particolari, ma conosceva il motivo dell'arrivo della regina di Arendelle; forse il giorno prima avrebbe interpretato le domande incalzanti che le poneva Hans come maleducate e morbose, ma in quel momento le etichettò come completamente folli. Gli disse solo che sarebbe arrivata il giorno dopo, nel pomeriggio. Primo pomeriggio, dovette dirgli infine. Nient’altro.
 
Hans, dal canto suo, dovette sforzarsi di smetterla di porre domande, perciò si chiuse in un silenzio cupo a metà cena, incurante degli sguardi d'intesa che si lanciavano Rapunzel e Eugene.
Quando tornò nella sua stanza, corse allo scrittoio, e da un cassetto prese il nastro che lei aveva dimenticato. Lo strinse fra le mani finché le nocche diventarono bianche.
Si abbandonò ben presto sul letto, pieno di amarezza, e si addormentò poco dopo, ma nel cuore della notte si svegliò e allora non ci fu più verso di dormire.
 
Quella mattina si limitò a fare un'abbondante colazione, poi non mangiò per tutto il giorno: temeva che avrebbe vomitato per l'angoscia.
Si mise in piedi davanti alla finestra ad osservare il movimento di gente davanti a sé, e dopo tre ore dovette prendere una sedia perché non si reggeva in piedi. Mancavano più o meno altre tre ore al primo pomeriggio, e decise di camminare avanti e indietro per la stanza per fare un po’ di movimento.
I minuti passavano e parevano ore, anzi, anni.
 
Quando la vide arrivare, bellissima ed elegante come sempre, per un istante si sentì sollevato, ma poi realizzò che, forse, non era lì solo per lui, – o non era lì per lui affatto – e sarebbe passato molto tempo prima che l'avrebbe vista. Decise che se prima della sua partenza non si fosse fatta vedere, fatto una di quelle stupidaggini che lei lo aveva pregato di non fare.
Ripensò a quanto si fosse sentito male quella notte che aveva passato ad aspettarla, e lei non arrivava.
Poi però è arrivata, gli suggerì una vocina incerta nella sua testa.
Sì, ma le cose non accadono mai due volte allo stesso modo. Si rispose, e ricominciò ad odiarla proprio come quella volta.
 
Sentiva il respiro intensificarsi ogni istante che passava. Quell'attacco di ansia durava ormai da quando aveva sentito il suono delle trombe annunciare il suo arrivo, ed erano solo le due di pomeriggio.
 
Sentì le campane della torre battere le quattro. Si accasciò a terra, esausto. Ancora qualche minuto e avrebbe commesso una pazzia sul serio.
 
*
*
*
 
Elsa intanto era arrivata al cospetto del re e della regina di Corona, che insieme a Rapunzel attendevano una spiegazione più soddisfacente di quella contenuta nella lettera che aveva inviato loro. Spiegò che aveva avuto modo di parlare con Hans e giurò che si fosse pentito, che fosse cambiato. Essi alla fine cedettero, anche perché non dipendeva da loro la decisione di lasciarlo andare, e la missiva dalle Isole del Sud che accordava la scarcerazione del principe parlava chiaro: dovevano lasciarlo libero quando sarebbe arrivata la regina di Arendelle.
 
Con Rapunzel poi, in privato, spiegò un po' meglio la faccenda, senza però raccontarle di come lo aveva visto di notte durante il suo ultimo viaggio: non voleva mancare di rispetto a nessuno come avrebbe sicuramente fatto raccontando il modo in cui aveva raggirato le guardie per diverse notti. Si sentì lusingata quando la principessa le raccontò il comportamento del principe della sera prima, e non fece caso al tono lievemente disgustato che assunse. Rapunzel le chiese come l'avesse presa Anna, ed Elsa dovette perdere tempo a raccontarle per filo e per segno quei mesi colmi di disperazione che avevano affrontato le due sorelle.
 
"Voglio vederlo. Potete mandarlo a chiamare?" disse infine, calibrando la voce per non far trapelare la trepidazione.
"Mandate a chiamare il principe Hans." ordinò la principessa a una guardia che presidiava il corridoio. Quello si mosse agli ordini e sparì poco dopo.
“Sei sicura che…?” cominciò titubante la principessa. Non era ancora convinta, nessuno lo era.
“Non mi farà del male.” decretò la regina sentendo allargarsi un sorriso beato al pensiero che a breve lo avrebbe rivisto.
 
Lo attese all'ingresso, e iniziò a sentirsi male per l'ansia. Ma la sua ansia non valeva niente – niente – in confronto a quella che aveva dovuto soffrire Hans, e lo realizzò quando lo vide arrivare scortato da due guardie: la guardò con occhi folli, le occhiaie che gli contornavano i begli occhi verdi erano così scure che ci si poteva perdere dentro.
Gli chiese – davanti a tutti – se voleva accompagnarla per una passeggiata nei giardini reali, e quello, titubante, scioccato, spaesato, accettò, imponendosi di starle lontano per non destare sospetti.
 
Entrarono nel giardino fiorito in silenzio, sotto gli occhi di tutti, ammutoliti a loro volta. Quando finalmente si persero tra la vegetazione, Elsa si voltò all'improvviso e si diresse verso Hans, che si trovava a cinque o sei passi da lei. Lui lo notò, ma prima che potesse realizzarlo, la regina gli cinse il collo e poggiò le labbra sulle sue. Rimasero immobili in quella posizione così a lungo che il tempo sembrava essersi fermato. Furono minuti che permisero ad Hans di riacquistare la sua lucidità e ad Elsa di scacciare via i timori che lui non volesse più vederla, derivati dalla visione di quel folle Hans che aveva avuto sotto gli occhi fino a quel momento.
Quando si staccarono, dopo uno lasso di tempo che sembrò durare un intero giorno – di sole –, Hans iniziò a fare domande a raffica, chiedendole come, cosa, quando, perché fosse tornata così presto. Lei in tutta risposta gli prese la mano e lo trascinò un po' più avanti, bloccandosi dopo una decina di metri per rituffarsi fra le sue braccia.
Erano vicini a un salice piangente, sotto il quale era stata scolpita una panchina nella pietra, si avvicinarono in quella direzione.
“Elsa, rispondimi.” le ordinò subito dopo essersi seduti. Sembrava che tutti avessero stretto un accordo che prevedeva il prendersi gioco di lui, e non era dell'umore adatto per questo.
Gli mise in mano una pergamena, beandosi in silenzio della vista del suo principe. Lui, quando vide che portava il sigillo della famiglia Westerguard, la prese con mani tremanti e iniziò a leggerla velocemente, temendo che si trattasse di una condanna a morte, mentre in realtà c'era scritto che aveva riacquistato i suoi titoli nobiliari e le sue terre e che era… libero. Quando ebbe finito chiese "Che significa?" senza staccare gli occhi da essa, cercando tra le lettere lo scherzo, la condanna.
"L'ho detto ad Anna…–" incominciò la regina con dolcezza, ma lui a interruppe subito chiedendole 'cosa' le avesse detto.
"Di noi! Le ho detto tutto." gli rispose con ovvietà, ma lui sembrò non capire ancora: "per 'tutto'...intendi...?"
"No!” rispose subito arrossendo “insomma, hai letto!” gli disse strappandogli dalle mani la pergamena e ricominciando a parlare. "Lei all'inizio non era molto felice… puoi immaginare… Non mi ha parlato per tre mesi. Ma poi mi ha aiutata ad arrivare a questa." disse sventolandogli la lettera davanti al naso; poi, per farla breve, dato che sembrava non capire ancora, disse con tono solenne "Siete libero, principe Hans.”
 
Capì solo in quel momento, dovette ammetterlo: quei due giorni avevano messo a dura prova i suoi nervi, più di quando si era ritrovato a governare Arendelle da solo, perciò era molto sospettoso e… lento. A quel pensiero pensò a cosa avrebbe significato per lui essere libero, e non sapeva se l'idea gli andasse totalmente a genio. Si era spesso trovato a fantasticare sul giorno in qui sarebbe stato perdonato, ma non era come se lo era aspettato, forse perché, in realtà, non ci aveva mai creduto veramente. Si rese conto che nessuno lo avrebbe mai più guardato senza pensare a quello che aveva fatto. Ed essere libero significava tornare nelle Isole, tornare da alcuni suoi fratelli…
Si alzò in piedi di scatto, scacciando quei pensieri con violenza. Rimase davanti a lei a fissarla mentre a sua volta lo guardava raggiante. Cosa voleva dire tutto ciò? La sua mente era talmente offuscata dalla stanchezza e dalla confusione che non riusciva a scorgere la luce in tutto quello che era successo dall'arrivo di Elsa.
Alla fine ruppe il silenzio, non era di certo il tipo che scappa davanti alla difficoltà. Iniziò dalla domanda 'quando': al 'dove' ci avrebbero pensato dopo.
"Quando hai deciso che…? Come?" balbettò, incapace di chiederle direttamente come aveva capito di potersi fidare di lui.
In tutta risposta, Elsa gli prese le mani fra le sue, senza guanti. "Secondo te?" chiese alludendo a quella notte che nessuno dei due aveva – e avrebbe – mai dimenticato.
Hans a quelle parole e al ricordo di quella notte si accasciò sulla panchina accanto a lei. Allora anche per lei era stata importante. Non ne era stato del tutto convinto fino a quel momento. Rimase in silenzio per molto tempo, silenzio nel quale, forse in un’altra vita, si sarebbe gettato ai piedi di quella donna e avrebbe iniziato a piangere, invocando il suo perdono. In un’altra vita, certo, se non fosse stato che da piccolo aveva versato tutte le lacrime che possedeva, rendendo il suo cuore una pietra impermeabile ad ogni sentimento che richiedesse il pianto. Gioia, dolore, amore...Niente. Non una sola lacrima: tutto veniva inglobato nella rabbia pulsante che aveva alimentato il suo cuore per così tanti anni che ormai ne aveva perso il conto.
“Sei sicura che me lo meriti?” chiese infine guardandola dritto negli occhi, cercando di metterci tutta l'arroganza che riusciva, come se avesse desiderato a tutti i costi che lei tornasse ad essere la stessa regina che lo aveva incontrato colma di ira tre anni prima. E lui lo stesso principe che non si era mai pentito di aver cercato di ucciderla, lo stesso principe che non meritava la felicità perché altri lo avevano deciso per lui.
 
“Sì.” gli rispose con semplicità stringendogli le mani fra le sue. Sentendo quel monosillabo Hans distolse lo sguardo, e finalmente la maschera del principe arrogante e malvagio lo abbandonò. Non ce la faceva proprio a capire come quella donna avesse potuto fidarsi così ciecamente di lui: era l'unica persona che lo conosceva veramente, che lo capiva, per questo lo aveva fatto, perché sapeva che in fondo lo meritava per davvero. Ma lui non ne era sicuro. Gli aveva detto che nessuno li avrebbe lasciati stare insieme, eppure ora lo guardava raggiante, come se tutto andasse bene. Come se lui fosse una brava persona. Come avrebbe fatto a conquistare la benevolenza di tutti? Come avrebbe fatto a farsi amare da altri che non fossero lei?
"Non ce la farò… Non… Ce la faccio…" balbettò tenendo gli occhi bassi, realizzando subito dopo che probabilmente lei non avrebbe capito a cosa si riferisse, ma non sarebbe riuscito a confidarle tutti i pensieri che in quel momento gli stavano passando per la testa. Gli sembrava di essere tornato lo stesso bambino deriso dai fratelli che tentava di nascondere tutto l'imbarazzo che aveva provato per essere stato rifiutato. Solo che questa volta non era stato rifiutato, e la mano che avrebbe dovuto lottare contro di lui per allontanarlo gli accarezzò il viso e lo costrinse a guardare la donna che gli stava davanti, non più la bambina spaventata che aveva passato una vita a odiare, ma la donna della sua vita, la donna che lo amava.
 
"Non da solo." Sussurrò – promise – Elsa, ponendo fine ai suoi dubbi.
 
Sorrise Hans, e capì che quelle parole significavano che non sarebbe dovuto tornare nella sua patria, se non lo desiderava. Sarebbero stati insieme, avrebbero affrontato insieme la tempesta che stava per abbattersi su di loro. Perché era inevitabile, entrambi lo sapevano.
 
Poco importava se tutti, in ogni regno, lo avrebbero guardato come un criminale. Poco importava se avrebbe dovuto fare delle scuse pubbliche al popolo di Arendelle: era bravo con le parole e avrebbe trovato quelle giuste.
Poco importava se quando emersero dal giardino con le dita intrecciate fra loro, tutti li guardarono increduli, disgustati, delusi; nessuno tentò di comprenderli, nessuno a parte Rapunzel, che non appena li vide comprese all’istante a cosa si stesse riferendo Elsa quando le aveva detto di amarlo.
Poco importava se ci sarebbero voluti anni prima che si rimarginassero le ferite di una vita. La sua vita.
Aveva lei, e gli interminabili giorni passati a scrutare l'orizzonte nella speranza di vederla arrivare erano finalmente giunti alla loro fine.

 
 
 
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Eccomi qui!
Chiedo scusa se questo capitolo risulta più lungo degli altri (sono 11'356 parole XD): spero comunque di non essere stata troppo veloce, ma spezzarlo in due non mi andava proprio.
 
Spero di non aver deluso nessun. Come vi accennavo sopra, è stato un po’ improvvisato, e so già che appena lo pubblicherò, mi verranno in mente altre mille idee migliori.
 
Non avete idea dell’ansia che è venuta anche a me mentre descrivevo l’ansia di Hans. Povero cucciolo. Vi è piaciuto alla fine? Io credo nel lieto fine, e credo nei principi Disney – tutti i principi (a parte il principe Giovanni, ma anche lui è simpatico *mamma!!* –.
 
Kristoff… Be’, non è che nel film abbia una gran parte, se ci pensiamo… Anche se mi sta un po’ sulle scatole (in inglese è doppiato da Jonathan Groff, e chi guarda Glee sa chi è.) ho pensato di dargli praticamente la parte fondamentale in tutto il capitolo. Credo che Hans gli debba almeno stringere la mano per questo, ma non lo farà neanche sotto tortura. (me l’ha detto in un orecchio mentre gli facevo leggere il capitolo per ottenere la sua approvazione).
 
Anna…Spero vivamente che nessuno l’abbia odiata: secondo me la sua reazione è stata sacrosanta, anzi, non so come abbia fatto a rimanere in silenzio per tutto il tempo del racconto di Elsa…
 
Il Gran Consiglio di Arendelle: ma porca di quella v***a, ogni volta che riguardo il film mi chiedo COME DIAVOLO HANNO FATTO A CREDERE AD HANS?? Ok, sono calma, sono calma. *cit. Ade*
 
 
Ci metterò un bel po’ di più per pubblicare l’epilogo perché voglio che sia perfetto si avvicini alla perfezione.
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno messo la storia fra le preferite e la stanno seguendo con assiduità. E voglio ringraziare di cuore che continua anche a farmi sapere attraverso le recensioni quanto apprezza la storia. Grazie grazie grazie <3
 

Un'ultima cosa: mentre attendete con trepidazione l'epilogo (sorridete e annuite), potreste leggere questa meravigliosa one-shot “Less Than Just a Spare" (se la magia ha funzionato, ci cliccate sopra e vi porta alla storia. Ma visto che non mi fido delle mie capacità informatiche, ecco qui il link http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2604031 ). Come ho detto all'autrice, per me potrebbe anche fare da prologo alla mia storia.
E se per caso siete fan di Pirati dei Caraibi o Batman, fate un salto sul mio account e leggete le mie storielle. (Odio fare pubblicità, ma tutto il successo che ha ottenuto la storia mi sta già dando alla testa).

 
Un bacio a tutti!

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Capitolo 10
*** It's all Coming Back to Me now ***


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Epilogo
 
IT’S ALL COMING BACK TO ME NOW

 
“Ditemi quanto l'amate.”
“Come un contagio e la sua cura insieme…”
“…Come la pioggia e il sole.
Come il freddo e il caldo.”

 
[Shakespeare in Love]
 
 
 
C’era una volta, in un regno molto lontano, una bellissima principessa di nome Elsa. Fin da piccola era stata costretta a convivere con un segreto, il segreto del ghiaccio che viveva in lei e che essa era in grado di produrre contro la sua volontà. Tutti, intorno a lei, pensavano che si trattasse di una maledizione, e quando una notte non riuscì a controllare il suo potere e lo usò inavvertitamete contro la sua dolce sorellina, anche lei se ne convinse. Da quella notte non le più più concesso di essere una bambina: dovette crescere in fretta e apprendere che pur di preservare l'incolumità di chi amava avrebbe dovuto sacrificare la propria felicità, e fu così che si rinchiuse in un mondo di solitudine triste, e cupa, e logorante.
 
Era stato un anno freddo, quello in cui la sua vita si intrecciò con quella di un principe malvagio di nome Hans. Anche lui, come Elsa, era stato abituato fin da piccolo a sentirsi un mostro, e alla fine se n'era convinto. E lo diventò per davvero.
Il giorno in cui divenne regina, Elsa dovette fare i conti con le sue paure più grandi, e fu così che quell’estate calda e dorata si tramutò in inverno. Quello stesso giorno arrivò nel suo regno il principe, il quale, nel corso della vita, aveva cercato di aprire il proprio cuore, ma vi erano entrati solo rabbia e odio che riversò prima contro la dolce sorellina di Elsa, e poi contro la regina stessa. Ma, come in ogni storia che si rispetti, il cattivo – il male – venne annientato e condannato all’esilio, alla solitudine, come è giusto che sia.

Con la condanna del principe, le paure della regina non svanirono: era perennemente perseguitata da incubi che continuavano a gridarle quanto di mostruoso ci fosse in lei e nei suoi poteri, e soprattutto quanto quel principe maledetto fosse simile a lei. Una notte prese la decisione di andare da lui.
Quando si incontrarono, Hans le disse cose cattive. La chiamò strega, la tormentò con parole tanto velenose che la fecero star male per giorni, ma lei riuscì a scorgere negli occhi del principe la tacita supplica di essere salvato da quel mondo in cui era stato costretto a rinchiudersi.
All’inizio non riuscivano a parlarsi e finirono solo per a ferirsi a vicenda, perché questa volta il vero nemico era il rancore che albergava nei loro cuori, irrefrenabile, maledetto da anni e anni di solitudine. Poi una notte, poco prima che Elsa tornasse nel suo regno, quel muro di ghiaccio che entrambi avevano eretto fra i loro cuori andò in frantumi, e lei gli permise di trascinarla nell’inferno più tetro, che si rivelò essere il Paradiso. Il loro Paradiso.
Vivevano solo di notte, nuotando controcorrente contro il mondo. Si amavano, si amavano da impazzire. E lui era dannatamente abile a trovare i punti deboli della donna, a graffiare e graffiare, fin quando non la vedeva sanguinare. Allora iniziava a leccarle le ferite ad un ad una, per vederla tornare a star bene. Rischiarono di affogare, ma alla fine riuscirono a riemergere dal fango in cui erano stati costretti da tutti. Credevano che il loro mondo sarebbe andato a pezzi di lì a breve, e invece, una notte, il letto del principe esiliato prese fuoco. Hans prese la regina per mano e la trascinò verso la luce. Tutto improvvisamente diventò bello, giusto, sensato… e la ruggine graffiante che li circondava diventò oro, luce, calore.
Allora lei seppe cosa avrebbe fatto.
Confessò alla sorella, che ancora servava tanto rancore per Hans, l’esistenza di quell’amore malato, e, quando ottenne la sua approvazione, partì per salvare il suo principe, proprio come lui aveva salvato lei mesi prima.
Si presentò al cospetto dei fratelli di Hans e chiese loro di lasciarlo libero. Essi, in un primo momento, non vollero accettare. Le dissero che il loro fratello non era degno di essere felice. Le dissero che si sarebbero opposti a quella folle richiesta fino alla morte. Ma alla fine le concessero ciò che voleva: preservare il regno da un congelamento perenne era sempre più importante della felicità del fratello minore.
Così era corsa da lui e lo aveva liberato dalla sua prigione dorata, e gli promise che insieme sarebbero riusciti a liberare il suo cuore, tanto dolce e tanto buono, dal filo spinato che lo teneva stretto nelle sue spire.
Tornarono insieme nel regno della regina, e, insieme, trovarono la forza per combattere contro tutti.
Il principe fece delle scuse pubbliche per il suo comportamento, scuse che vennero ben presto accettate, ma solo ufficialmente, perché in fondo nessuno era ancora pronto per permettergli una seconda occasione. A volte un pettegolezzo o un commento malizioso possono ferire molto più di una spada, e questo lo sapevano entrambi, ma non si arresero mai, e alla fine il loro amore venne premiato, perché tutti meritano una seconda occasione. Pian piano, nel giro di una manciata di mesi, il principe cominciò a essere amato dal popolo di quel regno lontano come se in vita non avesse mai fatto nulla di male, così si decise a chiedere alla regina di diventare sua moglie. Lei accettò, felice, e gli permise di diventare il suo re.
 
 
 
…E da quel giorno vissero per sempre felici e contenti.
 
 
*
 
*
 
*
 
Amo i tuoi capelli quando si spargono sul mio petto e mi fanno il solletico per tutta la notte. Amo l’imbarazzo che tinge le tue guance di rosso quando, appena sveglia, cerchi di sistemarti la massa aggrovigliata che hai in testa, sperando che io non ti veda in quello stato. Amo le tue mani quando cercano le mie mentre facciamo l’amore, o quando graffiano la mia schiena, e forse ancora di più quando ti svegli di notte – in lacrime – e inizi a stringere le mie come se fossero la tua unica ancora di salvezza – e forse lo sono davvero –. Amo come si curvano le tue labbra quando ti chiedo di ballare con me, finalmente davanti a tutti, o quando durante un ballo ti propongo di fare una passeggiata in giardino – perché capisci che ho bisogno di baciarti – Amo le tue labbra. Le amo quando percorrono il mio petto e poi vanno a posarsi sulle mie, l’unico posto dove vorrei che stiano per sempre. Amo il tuo divertimento quando mi vedi bisticciare con Anna, ancora sospettosa nei miei confronti. Amo i tuoi occhi. Ormai sono la prima cosa che vedo al risveglio da mesi, e sento che non potrò mai più farne a meno. Una volta mi hai detto che il colore verde delle mie iridi ti ricorda la primavera, e tu ami la primavera, anche se non l'hai mai vista veramente. Allora tu sei il mare, il mio mare calmo sempre pronto a farmi riprendere il fiato dalla burrasca della mia vita.
Ti ringrazio per aver passato una mano intorno al mio braccio irrigiditosi per l'ira, e per aver risposto – con più diplomazia di quella che avrei usato io – alle provocazioni del re delle Isole del Sud. Di mio fratello. Perché la collera mi ha sempre dato tanta forza, ma stava per distruggermi, un’altra volta. Scopro che sono qui con te solo grazie a una minaccia; sento la rabbia crescere dentro di me per questa umiliazione, e quando siamo soli la riverso su di te, e tu rimani lì a fissarmi e, chissà per quale folle motivo, a subire le mie parole avvelenate, finché io non sento la rabbia sbollire, e mi accorgo che in fondo non m'importa. Non m'importa più niente di quello che pensano i miei fratelli perché ho avvertito la loro delusione nel vedermi felice, e questa è per me una vendetta sufficiente. Ti ringrazio perché hai creduto che meritassi la felicità nonostante io avessi rinunciato a crederlo da tanto – troppo – tempo.
 
Ti amo perché non hai più avuto paura di mostrarmi la parte più nascosta di te, che ritieni orribile, mostruosa, ma io l'ho amata dal primo momento, e cerco ogni giorno di farti capire che è un dono, non una maledizione, come tutti ti hanno abituata a credere, come tu ti sei abituata a credere. Ti ho amata infinitamente quella notte in cui eri talmente spaventata da te stessa da permettermi di entrare una volta per tutte nella tua vita. Perché prendermi un raffreddore una volta al mese è infinitamente meglio che passare una vita senza te. Ti amo ogni volta che ti svegli per prima e inizi a muoverti goffamente facendomi svegliare. E sono i tuoi occhi a strapparmi da quell’incubo che mi perseguita ancora oggi, quello di perderti, di svegliarmi e ritrovarmi in quella stanza isolata e buia, senza di te. Ti amo perché ti sei sempre schierata dalla mia parte, anche quando ero indifendibile, anche quando i primi tempi qui ad Arendelle non perdevo l'occasione per sentirmi superiore a te, facendoti crollare con poche parole e poi sorreggendoti poco prima che toccassi il fondo. Mi piace vederti debole e indifesa come quando sei tornata da me dopo il processo, e inizio a pensare che forse anche a te piace questa situazione, perché ti fa sentire in qualche modo protetta.
Ti amo anche se mi hai dato del bastardo quella volta che ti ho detto come ti avrei uccisa se tutto fosse andato per il meglio (per il peggio, mi ritrovo a pensare – a correggermi – da qualche mese). “Avrei messo del veleno nella tua cioccolata calda.” Ti avevo confessato. Ti amo perché dopo avermi dato quell’appellativo hai continuato a baciarmi – e a ingozzarti di cioccolata –.
Anna non ha mai accettato l’idea che ti amassi: non appena ho messo piede ad Arendelle mi ha liquidato con un “stammi alla larga”. Si è ostinata a non rivolgermi la parola per i primi due mesi, evitandomi in ogni momento; non che me ne sia dispiaciuto, a dire il vero, e mi beavo della sua espressione contrariata quando ci vedeva emergere da un corridoio buio e isolato, e vedeva apparire dei segni rossi sul tuo collo, segni del mio passaggio. Ha fatto finta che fossi invisibile – e so delle scenate che ti ha fatto su di me – fino a quando le hai fatto una scenata a tua volta, una sera in cui io ero in ritardo per la cena. Avrei voluto esserci: sarebbe stato divertente vederti litigare con tua sorella per me.   
Oh, certo, è stato divertente spargere zizzania fra di voi fino a quando non mi sono reso conto di amarti sul serio. Be', a dire il vero lo sapevo già, altrimenti non sarei qui, ma un giorno mi sono reso conto di essere pronto per fare un passo avanti. Saranno stati i tuoi occhi, o le tue mani, o i tuoi capelli, che quel giorno mi sono sembrati ancora più belli, ma quel pomeriggio ho chiuso tua sorella e Kristoff in una stanza e ho detto loro in faccia quello che non sono mai stato in grado di dire a parole neanche a te, li ho costretti ad ascoltarmi e ho chiesto loro scusa per tutto, e nel giro di un giorno quel rancore bruciante l’ha abbandonata. Anna ha ricominciato a parlarmi come se non fosse mai successo niente, perché alla fine ha capito.
Tu ti sei arrabbiata guardando quel repentino cambio di atteggiamento e ci hai chiesto cosa fosse successo fra noi: ti sei arrabbiata e hai congelato la stanza in cui stavamo litigando.
“Che cosa pensavi che fosse?” ti ho chiesto divertito quella sera, sdraiato supino sul letto, guardandoti mentre ti scioglievi la treccia in tutta calma. Tu non hai risposto, e io, per la prima volta, non ho insistito; perché so quanto possa far male aver paura di essere abbandonati, ancora e ancora. Ma io non ti abbandonerò mai, e te l'ho detto – ovviamente dandoti della stupida.
È affascinante il tuo modo di rendermi le cose sempre più semplici. La verità è che stavo cercando il coraggio per mettermi in ginocchio davanti a te, e lo avrei fatto davvero, per te, solo per te. Ma tu e la tua insicurezza non mi avete dato altra scelta, così, senza neanche dover perdere tempo per dirti quanto ti amo, ti ho urlato che le avevo chiesto il permesso per chiederti di sposarmi. E tu hai pianto (a dire il vero, stavi già piangendo). E mi hai detto che cominciavi a credere che non ti avrei mai fatto la proposta di matrimonio.
 
Ti amo, e lo dico al mio confessore il giorno prima del nostro matrimonio, e sento che forse anche Dio mi ha perdonato per quello che ho fatto. Ho vacillato quando ti ho vista avanzare attraverso la navata centrale della cattedrale. Sembrava che stessi volando verso di me, volevo volare anch’io, ma rimasi saldo sulle mie gambe e ti guardai trionfante quando scoppiasti in un pianto liberatorio pronunciando le parole “nella buona e nella cattiva sorte.” Perché non è forse racchiusa in queste parole, la storia della nostra vita? Ti amo, e sento che se quel giorno ti avessi uccisa per davvero, mi sarei ucciso subito dopo. Perché non riesco più a immaginare come sarebbe stata la mia esistenza senza di te. Mi hai concesso una fiducia che nemmeno io mi sarei dato, e, ti amo, ti amo, ti amo.
Ti amo e inizio a dirtelo, ma solo quando dormi, solo quando ti vedo agitata nel sonno e voglio riportarti da me. Ti amo e mi piacciono queste parole, e sento che sono sempre più vicino a dirtelo anche quando hai gli occhi aperti. Sento che ogni giorno che passo con te mi abbandona quella rabbia bruciante che mi portava a ferirti in ogni singolo istante. Forse perché, in fondo, non c'è alcun bisogno di ferirti per sentirmi un grande. Per questo, ora mi basta tirarti i capelli e scompigliarteli ogni notte quando una scarica di elettricità pervade i nostri corpi uniti in un amplesso. Mi basta stringerti più forte fra le mie braccia per sentirmi un dio.
 
Ti ho amata anche quando sei svenuta fra le mie braccia durante il ballo dato in onore dei tuoi ventisei anni. Il 21 dicembre era, il giorno in cui vacillai di nuovo e dovetti lottare contro me stesso più di ogni altra volta per non mettermi ad urlare – o a piangere – mentre aspettavo fuori dalla nostra stanza che uscisse il dottore per dirmi come stavi. Nel castello avevano già iniziato a girare le voci che ti avessi avvelenata… eppure tutti avevano assistito alla scena patetica del re che, in preda al panico, inizia a urlare il tuo nome cercando di farti rinvenire.
Nessuno ti aveva avvelenata. Aspettavi un bambino. Me lo hai detto alzandoti dal letto e correndo verso di me quando finalmente mi hanno permesso di vederti. Ti abbracciai e sentii di essere felice come mai prima. Anna entrò poco dopo – l’avevo supplicata di tornare lei al ricevimento, di lasciarmi qui – e mi diede uno spintone per poterti abbracciare anche lei, ma tu non hai smesso di guardarmi, e dal tuo sguardo riuscii a percepire che quella felicità collettiva non era riuscita a soffocare del tutto la tua paura.
 
“Dovrete starle vicini, tutti voi." aveva detto il medico a me, ad Anna e a tutto il resto della corte. “Sapete quanto la regina sia emotiva…” emotiva… La parola che usò per dirci che temeva come avrebbe reagito il bambino in un corpo perennemente ghiacciato. Io comunque ho fatto come ha prescritto il medico: ti ho amata in ogni singolo istante. Ti amavo quando mi lasciavi sempre da solo in sede di Consiglio perché dovevi far fronte al malessere tipico dei primi mesi di gravidanza. Ti amavo quando mi svegliavi nel cuore della notte dicendomi di avere paura.
E se fosse come me?” mi hai chiesto una volta trattenendo a stento le lacrime. Allora io ti ho abbracciato, ho accarezzato il pancione, dove stava crescendo il nostro bambino, e ti ho detto “Spero proprio di no. Un’altra piccola testarda come te non riuscirei a proprio sopportarla.” E tu sei tornata a sorridere, anche se non ti ho detto quello che pensavo in quel momento, quello che pensavo dal quel 21 dicembre, cioè che avrei amato quella creatura quanto amo te.
Quella è stata la prima volta in cui ti ho toccato la pancia. Mi sono stupito nel sentirtela calda, calda come le tue mani quando facciamo l'amore, e mi son chiesto il perché, e l’ho chiesto anche a te. Era come se il mio amore – il nostro amore – si fosse insinuato dentro di te per proteggere in qualche modo nostro figlio dal freddo. Volevo crederci. Ci credetti e te lo dissi, e forse anche tu ci hai creduto, perché dopo quella notte ti tranquillizzasti.
 
Ti amo perché sei migliore di me, lo sei sempre stata, e me lo dimostri ancora una volta oggi, non ridendo di me quando mi vedi entrare nella stanza del parto dopo che mi sono venuti a chiamare – a cercare per tutto il castello – informandomi che nostro figlio è nato. E tu stai bene. Tutti stanno bene, tranne me, che non sono riuscito a sentirti gridare il tuo dolore e sono scappato per mettere più distanza possibile fra me e le tue urla, perché sentirti – vederti – soffrire sentendomi inerme fa troppo male, e allora mi sono accasciato in un angolo buio, mi sono afferrato i capelli e ho atteso che tutto finisse.
Entro e sento il nostro bambino piangere, e sento su di me lo sguardo di Anna, incredulo per la mia vigliaccheria, ma io ho gli occhi solo per te, e tu non ridi di me. Tu hai imparato a conoscermi e sai che non merito di essere deriso. Non merito di essere trattato come io ho trattato te per tutti questi anni. (Nemmeno tu lo meritavi, e giuro che appena riprendo fiato te lo dico, forse).
 
Sei lì, distesa sul letto, mentre culli quella creatura – la nostra creatura – fra le braccia, e sei così bella che mi sembra di non averti mai vista veramente.
Ora riesco a realizzare, sedendomi con cautela sul letto e guardandoti ancora scioccato mentre ti preoccupi che io stia bene, che è giunto il momento di smettere di soffrire. E quando mi proponi di prenderlo in braccio, e, senza avere il tempo per rispondere, mi ritrovo quell’esserino fra le braccia, non riesco più a trattenermi.
 
“Ti amo, Elsa.” ti sussurro, per la prima volta, senza sentirmi un idiota.
“Lo so.” Mi rispondi avvicinandoti a me con notevole sforzo e prendendomi il viso fra le mani, ancora tremanti, ma calde, meravigliosamente calde. “Ti amo anch'io.” mi sussurri prima di baciarmi.
Mi baci e io non ho più paura. Forse è il tuo viso caldo così vicino al mio, forse è il nostro piccolo che inizia subito a farsi sentire e reclama la sua mamma, forse è perché in questo momento sento di amarti come mai prima, ma capisco solo ora che è giunto il momento di essere felici, di tornare a vivere per davvero, insieme.
 
Perché tu sai – e anche io lo so – che sarebbe stato sbagliato, dannoso, catastrofico recidere quel bellissimo fiore nato dal fango che sgorgava dalle ferite dei nostri cuori.
­­­­­
­­­­­ ­­­­_____________________
FINE
 
 
C’erano notti in cui il vento era così freddo
Che il mio corpo si gelava nel letto
Se solo lo ascoltavo
Mentre soffiava fuori dalla finestra.

C’erano giorni in cui il sole era così crudele
Che tutte le lacrime diventavano polvere
E sapevo che i miei occhi non avrebbero più pianto.
 
Ho smesso di piangere nel momento in cui te ne sei andato
E non ricordo come, quando o perché
E ho rimosso ogni ricordo di me e di te.
 
Ci sono state quelle finte minacce e sciocche bugie
E ogni volta che hai cercato di farmi male
Io ti ho ferito anche di più
E molto più profondamente

C’erano ore che sembravano giorni
Quando alla fine da soli contavamo tutte le opportunità
Che avevamo perso per sempre.

Ma quando mi tocchi così
E mi stringi in quel modo devo ammettere
Che ricordo tutto
Quando ti sfioro in questo modo
E ti stringo così
È così difficile crederci ma
Ricordo tutto.
 
[It's All Coming back to me Now]
 
 
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Alcune noticelle finali:
Tanto per citare l’uomo di cui porto il cognome, in seguito a una sfortunata e del tutto imprevedibile serie di circostanze che non hanno a che fare in alcun modo con me… Ho dovuto ritardare l’aggiornamento. Chiedo venia e spero vivamente che sia piaciuto.
La canzone che dà il titolo all’epilogo è la mia canzone preferita, e credo che si adatti molto bene alla nostra storia.
It's All Coming back to me Now
Ho scritto che tutti pensavano che fosse una maledizione: ovviamente è in senso figurato, dato che, a quanto dicono nel film, non è una maledizione, ma ciò non toglie il fatto che Elsa lo pensi.
Il compleanno di Elsa: mi piace pensare che sia nata il giorno del solstizio d’inverno, anche se, ripensandoci…Se lei viene incoronata d'estate, vuol dire che compie gli anni di estate… Licenza! Licenza poetica!
La scena in cui lei sviene…Mi sono ispirata al meraviglioso film con Romy Schneider sull’imperatrice Sissi (1956) *.*
“Ha il filo spinato, intorno all’anima” citazione di Kronk, compatitemi. (Tanto amore!)
Ho deciso di far avere a Elsa e Hans un bambino... Non so come si chiama, so solo che non ha i poteri di Elsa, che Hans lo vizierà come non mai e che riverserà su di lui tutto l'ammmmòre che gli è stato negato in vita.

 
 
 
 
 
E ora…. RINGRAZIAMENTI!!!
 
Ringrazio di cuore Hans Westerguard ed Elsa di Arendelle che si sono prestati per questa storia.
Ringrazio Kristoff per aver fatto ragionare Anna.
NON ringrazio i fratelli di Hans per averlo fatto diventare così. Ma, dopotutto, non tutto il male vien per nuocere, quindi GRAZIE anche a voi, idioti.
Ringrazio la Walt Disney Company che ha prodotto Frozen e mi ha fatto innamorare di Hans. (Innamorare è dir poco)
Ringrazio Walter Elias Disney che mi ha sempre fatto credere nel lieto fine. (Ora Hans ed Elsa potranno cantare “Io canto per te” o “So chi sei vicino al mio cuor…” in tutta allegria.
Ringrazio Celine Dion, Lana del Rey, Adele, Hans Zimmer e il Glee Cast che hanno cantato e suonato per me mentre l’idea della storia prendeva forma nella mia mente, mentre la scrivevo e mentre la rileggevo per migliorarla. (se vi fa schifo, date la colpa a loro che mi hanno distratta!)
Ringrazio Joker ed Harley Quinn che sono stati fonte d’ispirazione per la caratterizzazione di Hans ed Elsa. (“Oh, Mr. J., hai sentito?” “Sta’ zitta tortina, e aiutami a far esplodere questo ospedale!”)

 
Ringrazio voi che avete letto la storia.
Ringrazio chi andrà a leggere la flash fic (Helsa, of course) che ho pubblicato qualche giorno fa e mi lascerà un commentino.
Ringrazio chi ha recensito ogni singolo capitolo, o anche solo alcuni. Chissà perché gli ultimi risultano i più graditi...O.o
Ringrazio sia chi si è fermato a metà strada, inorridito, sia chi si limiterà a recensire solo adesso.
Ringrazio anche chi ha deciso di rimanere nell’ombra senza dirmi cosa pensa della storia… Rilascerò il Kraken e verrà a cercarvi fino ai confini della terra! Muhahahh.
Ringrazio chi ha amato la storia.

 
Ringrazio qualunque persona sulla faccia della terra che creda che la coppia Hans/Elsa sia una cosa buona e giusta.
 
Ringrazio chi mi odia per aver scritto una Helsa.
Ringrazio chi mi odia perché vorrebbe che Hans stia con Kristoff e che Elsa stia con Frost...O con Anna (?!). (Queste coppie non sanno da fare, lasciatevelo dire!!)
Ringrazio chi si è offeso per quello che ho appena scritto e sta imprecando contro il computer. Era mia intenzione offendervi.
Ringrazio tutti coloro che dopo aver letto la storia si sentiranno spronati per scriverne una migliore. (Dobbiamo soffocare le Jelsa!) (Will you join in our crusade? Who will be strong and stand with me?)
Ringrazio chi ha letto fino a qui: ho quasi finito.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno messo Bring me to Life tra le preferite e/o tra le ricordate. Spero che non ve ne siate pentiti leggendo l'epilogo.
Ringrazio chi deve ancora arrivare e chi mi lascerà una recensione fra mesi (io sarò sempre qui pronta a rispondere a qualsiasi insulto/critica/elogio/dubbio!)

 
Ringrazio (in ordine di non so cosa)
Saitou Catcher
Yukiko_99
White_Fang
CleoCecyClass
Princess Elsa
Amberly_1
Lizzie Pazzotta
Hera85
ElsaRoby
ElizabethSwann666
Dimonions_Unidos
CrazyDreams
Captain Swan
Halley Silver Comet
FedeStayStrong
Adrienne Riordan
Kikkaisasherlocked
Bad Dragon95
Quindici
SaraRocker
 
 
Vi mando un enorme bacio. (Siete adorabili, soprattutto voi che continuate a seguirmi!)
 
 
 
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Aspettate! Devo sparare una bomba prima di salutarvi per sempre!
 
Avrete notato che ho scelto un bel finale a lieto fine (“bel”…decidete voi!), però devo dirvi che sono stata tentata di far finire la storia la loro prima notte di nozze con una pugnalata nel cuore di Elsa e le parole “Oh, Elsa, se solo qualcuno ti amasse davvero.” Ma non c’era gusto nel fare una cosa del genere, dato che poi non avrei visto le vostre facce! :P Ooook, basta.
Il fatto è che in questi giorni ho letto in inglese qualche Helsa che mi ha a dir poco scioccato.

 
ADDIO!!
Anzi, godetevi qualche fan art…

E ascoltate It’s All Coming Back to me Now!

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Questa l'ha fatta Princess Elsa! :)

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