Non dimenticare di amare te stessa

di SynEvra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Angolo autrici:
Buongiorno, cari lettori. Ritorniamo con una storia che è frutto di un esperimento venutoci in mente qualche tempo fa. L'abbiamo battezzato scrittura a mani incrociate ed è particolare. In pratica, consiste nello scrivere un racconto senza un minimo di traccia e, appunto, a mani incrociate: una scrive un pezzo e l'altra ne scrive un altro che sia collegato. Spero vi piaccia e che sia riuscito.
Buona lettura, al prossimo capitolo. ^^
Syn ed Evra.




Capitolo 1

 

Aprì gli occhi e si voltò. Non vedeva nulla, ma quella sensazione non voleva abbandonarla. Un suono lontano la raggiunse.

“Che cos'è? Da dove sta venendo? Ah, sì. Il telefono.” Lo tirò fuori dalla piccola tracolla che si portava ovunque andasse e guardò il display. Il suo cuore smise di battere per un secondo. Non era possibile. Il suo ex la cercava ancora nonostante quello che era successo.

Sbuffò e lo cacciò nella borsa. Non aveva voglia dell'ennesima litigata. Si lisciò il vestito e riprese a camminare. Ripensò alla sua vita fino a quel momento. Per colpa di uno stupido errore ora si era ritrovata senza un sostegno fisso e con molti problemi, tra cui doversi mantenere da sola. Se solo...

Scosse la testa energicamente e aumentò il passo. Non si sarebbe lasciata abbattere da questo. Aveva fatto una promessa e l'avrebbe mantenuta a qualsiasi costo. Questo era poco ma sicuro.

«Sareeya, ti prego, girati!»

Si bloccò. Era stata un sussurro, ma l'aveva riconosciuta; la sua era una voce impossibile da dimenticare.

«Sareeya.»

Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Voleva scappare, ma sapeva che l'avrebbe cercata ancora e ancora. Doveva affrontarlo, prima o poi. Ma non pensava così presto.

«Cosa c'è? Cosa vuoi ancora da me?»

«Ti prego, rispondi! Sono disperato. Non puoi lasciarmi così... Dammi almeno una spiegazione.»

Si morse un labbro e si guardò la punta delle scarpe. Era stato così difficile andarsene.

«Reeya, ti prego. »

Si voltò e alzò lo sguardo su di lui. Quando incontrò i suoi occhi verdi, provò una voglia improvvisa di rifugiarsi tra le sue braccia. Quelle braccia che le facevano dimenticare tutto, lasciandole nel cuore la voglia di stare con lui e lui soltanto.

Tutto era cambiato dalla litigata con i suoi genitori e da quando, sbattuta la porta alle sue spalle, li aveva sentiti continuare. Si era messa a fare le valigie e la voce tuonante di suo padre le giunse alle orecchie. Era sul punto di ritornare per il secondo round, ma un nome le aveva gelato il sangue nelle vene. Un nome che sperava di aver dimenticato, sepolto per sempre nel profondo della sua mente.

Sentì un calore sulla guancia e si riscosse dai suoi pensieri. Il suo ex la stava carezzando con dolcezza. Strinse la mascella e si scansò. Ora che si trovava davanti a lui, non era più sicura della sua scelta.

«Lasciami andare. Tu non sai quello che è accaduto.» 

«Cos'è di così tanto brutto da lasciarmi senza una parola?» 

«Mio padre... No, non ce la faccio...»

La prese per le spalle e la guardò negli occhi color cioccolato. «Sareeya, cosa ti spaventa?»

La giovane scosse la testa. «Non posso dirti nulla.» “Amore mio.” 

Si staccò da lui e lo guardò cercando di rimandare indietro le lacrime. «Dimenticami, Andrew. Fai finta che non sia mai entrata nella tua vita. Fallo per me, ti prego.»

Detto quello, gli voltò le spalle e se ne andò, sperando che non la seguisse. Altrimenti...

«È per caso... Cosa ti ha detto mia madre? Riguardo al bambino?»

Si girò, stupita.  “Come fa a saperlo?”

«Non mi guardare così. Sì, lo so. Mia madre se l'è fatto sfuggire e da allora non ho fatto altro che cercarti.»

Sospirò affranta. Con tutta la fatica che aveva fatto per nasconderglielo. Ora sì che non sapeva più cosa fare.

Andrew si torturò un labbro e la osservò con il cuore stretto in una morsa. Non gli era mai piaciuto vederla soffrire. Voleva abbracciarla, ma l'avrebbe respinto di nuovo. L'unica cosa che poteva fare era aspettare e giocare la sua carta vincente.

Fu lei a fare la prima mossa. Finalmente aveva capito che tutto quello che era successo non era un completo errore. La madre di Andrew si sbagliava. S'incamminò verso di lui, tirò la maglia verso di sé e lo baciò. Sfiorò le sue labbra delicatamente e si allontanò di qualche centimetro. Non voleva lasciarsi andare, ma quando incontrò i suoi occhi verdi, dimenticò tutti i suoi propositi. Gli carezzò una guancia e gli sorrise timida. Lui ricambiò il sorriso e le stampò un bacio sulle labbra, proprio come aveva fatto lei. Invece di allontanarsi, però, la prese tra le braccia e la baciò con una passione travolgente. Fu un momento magico che finì troppo presto. I due rimasero abbracciati per alcuni minuti, poi Andrew parlò.

«Lo sai, vero, che nonostante tutto, non ti lascerò mai? Ah... Non ho avuto modo di dirtelo, ma sono felice di questa situazione...» Era diventato tutto rosso, ma a lei non importava. Le sue parole l’avevano conquistata.

Si staccò dalle sue braccia e si allontanò. Voleva stare accanto a lui, ma aveva bisogno di schiarirsi le idee. Ora che lui sapeva del bambino era inutile scappare.

“Mi dispiace, Rosie. Non riesco a mantenere la mia promessa. Perdonami.”, pensò con una strana sensazione nel cuore.

«Sareeya, adesso non te ne andare. Torniamo a casa... nostra.» sussurrò lui.

«Casa nostra? Nostra? Che significa? Capiscimi, non sai quanto mi faccia felice, però cosa intendi?»

«Ho già fatto le valigie. Non voglio più vivere sotto lo stesso tetto con quell'arpia...»

Non riuscì a trattenere un sorriso largo quanto l'oceano Indiano e luminoso come il sole che stava per sorgere. Fece per saltargli tra le braccia, ma il suono trillante di un cellulare le fece rivoltare il cuore nel petto.

«Sareeya?» La voce di sua madre le fece ghiacciare il sangue nelle vene. Fece per chiudere, ma Andrew la fermò.

«Ascoltala.»

Lo guardò per un istante e poi avvicinò il telefono all'orecchio. «Cosa vuoi, Helene?»

«Stai bene?»

«Perché? Ti interessa?» La freddezza nella sua voce la stupì. Il comportamento dei suoi genitori l'aveva ferita profondamente, ma non pensava di poter diventare così indifferente.

«Capisco la tua rabbia, figlia mia...»

«Ah, ora sono di nuovo tua figlia? E poi, non capisci un bel niente. Se hai qualcosa da dire, dilla adesso, altrimenti...»

«Non ti abbiamo detto la verità su Rosaleen.»

Le parole che stava per dirle le morirono sulle labbra. Tutta la rabbia che sentiva svanì in un secondo.

«In... In che senso?»

«Non è morta... per il bambino ma...» Sentirla singhiozzare le fece venire un groppo in gola. Voleva sapere tutto, ma sapeva che non era ancora il momento giusto. Prese un bel respiro.

«Stasera ritorno a casa.» Non aspettò la sua risposta. Chiuse la telefonata e guardò Andrew. L'amore che aveva negli occhi le fece battere forte il cuore. Ricambiò il suo sorriso, finalmente felice.

«Sono fiero di te, Reeya.» Il giovane la abbracciò e la baciò con tutto l'amore che provava per lei.

«Adesso torniamo a casa, Rew. Poi andremo a prendere le valigie.»

«Aspetta... Ho la macchina e lì ho tutto perché...»

«Perché?»

«Il fatto è... Vivo in macchina da due giorni, cioè da quando a mia madre è sfuggito che ti ha fatto soffrire.»

«Allora andiamo.»

q

«Sei bellissima.»

Si voltò e gli regalò un sorriso. Aveva scelto quell'abito solo per lui ed era contenta della sua reazione.

Andrew si alzò dal letto e la cinse con le braccia. Il suo profumo alla fragola la avvolse con dolcezza. Le stampò un bacio sui capelli e le carezzò la pancia con una mano. Una sensazione di euforia gli solleticò il cuore e non riuscì a spegnere il sorriso sornione che aveva in faccia. Era più forte di lui. La amava come mai aveva fatto in vita sua.

«Dai, vestiti, così andiamo al ristorante.»

Le tenne la portiera aperta e poi salì anche lui. Uscì dal vialetto e prese la statale.

«Imiti Bryan di Fast and Furious?»

La guardò confuso. Lei sorrise. «Dovresti guardare la strada e non me.»

Andrew ricambiò il sorriso, sornione. «Scusa, ma non riesco a staccarti gli occhi di dosso.»

«Me ne sono accorta.»

Lui le fece la linguaccia e le carezzò una guancia. Per tutto il tragitto chiacchierarono del più e del meno. Arrivati al ristorante, scesero dalla macchina e qualcuno alle spalle disse: «I signori vogliano seguirmi, prego.»

Sareeya rimase di stucco; non si sarebbe mai aspettata un ristorante di lusso.

«Dove mi hai portata?»

«In un posto speciale per una persona speciale.»

«Ma quanto siamo dolci stasera...»

Un sorriso apparve sui loro volti e si bloccarono sulla porta.

«Scusatemi, ma dovreste entrare.»

«Ci scusi lei. Ci siamo distratti un attimo.»

Entrarono seguiti da un cameriere sorridente. La prima cosa che saltò agli occhi di Sareeya fu l'eleganza della sala. Non era sfarzosa, ma semplice e creava un'atmosfera non troppo romantica. Proprio come piaceva a lei. Il cameriere li accompagnò a un tavolo decorato con tre calle bianche e una tovaglia grigio perla.

«Te lo sei ricordato.» Sfiorò i suoi fiori preferiti e fece per sedersi, ma Andrew la fermò. Con un sorriso le tirò la sedia e le fece cenno di accomodarsi. Una volta seduto anche lui, la fissò intensamente.

«Cosa c'è? Ho qualcosa in faccia?»

«No.»

«E allora perché continui a fissarmi?»

Per tutta risposta, lui si alzò, si avvicinò a lei e si inginocchiò. La giovane aggrottò la fronte, confusa.  “Non può essere... Non mi sta chied...”

Andrew mise una mano in tasca e tirò fuori qualcosa. La guardò negli occhi con serietà. Il cuore di Sareeya prese a battere all'impazzata.

«Reeya, ci conosciamo da tempo e, nonostante tutto quello che abbiamo passato, ho la certezza che tu sia la donna della mia vita. Ci ho pensato molto in questi ultimi tre giorni e...» Le prese le mani e le poggiò qualcosa sui palmi. «... penso che tu debba pettinarti i capelli, sono un po' scompigliati.»

La giovane abbassò gli occhi sul piccolo pettine che Andrew le aveva dato. Per due lunghi attimi non seppe cosa dire e poi scoppiò a ridere. Spinse il suo ragazzo e si mise a posto i capelli. «Grazie per avermelo detto. Non aspettavo altro.»

Il giovane si unì alla sua risata e ritornò al suo posto. In quel momento, il cameriere si avvicinò al loro tavolo con una bottiglia di vino e due bicchieri.

Quella fu la cena più buona che Sareeya avesse mai mangiato. Antipasti abbondanti, due primi da far emozionare, un secondo di carne squisito e il suo dolce preferito: la bavarese alle fragole, una vera bontà.

Ad un certo punto il cameriere tornò. «I signori desiderano altro?»

«No, grazie. Ci porti pure il conto.»

Sareeya lo guardò torva. «Potevi anche farmi portare un caffè.»

«No, no. Gli potrebbe far male...»

La giovane incrociò le braccia sul petto e gli tenne il muso per gioco. «Come no. Al massimo potrebbe far male a me...»

Andrew le sorrise e pagò la cena. «Su, andiamo, musona.» Si alzò e senza farsi notare da lei prese una calla dal vaso.

 «Dove andiamo?»

 «Segreto.»

La ragazza sbuffò e si voltò verso il finestrino. Le luci della città giocavano sul vetro e rendevano le strade del centro magiche e speciali. Ora che ci pensava, tutta quella serata era speciale e sperò vivamente di poter tornare a casa con un sorriso.

Andrew fermò la macchina e guardò fisso davanti a sé. Alla cena si era divertito da matti, ma ora era giunto il momento di essere seri. Sganciò la cintura e scese dall'auto. Quando Sareeya lo raggiunse, la prese per mano e passeggiarono sul sentiero che portava nel cuore del piccolo boschetto. Lì, un gazebo in ferro battuto li aspettava pigro e tranquillo.

«Ma questo...»

«Già. È dove ci siamo conosciuti.» Il cuore di lui partì in quarta. Cercò di calmarlo, ma l'emozione era troppa. La fece accomodare su una sedia e si inginocchiò di fronte a lei.

«Vuoi fare un altro scherzo?»

Lui sorrise e scosse la testa. Le porse la calla e aspettò la sua reazione.

Sareeya lanciò uno sguardo al fiore e al suo interno vi vide un piccolo solitario con un diamante blu notte. Sgranò gli occhi sorpresa e si portò una mano alla bocca. «Andrew...»

Il giovane prese un respiro profondo e le porse la domanda più difficile della sua vita. «Sareeya Edwards, mi vuoi sposare?»

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2


La sveglia cominciò a fare il suo lavoro e la macchina del caffè aveva ormai creato ciò che permetteva di affrontare la giornata.

Sareeya cominciò a svegliarsi, ma venne bloccata da un vassoio.

«Buongiorno, Reeya.»

«'Giorn... Wow, la colazione a letto?»

Andrew le sorrise e si sedette sul bordo del letto. Lasciò vagare lo sguardo sui capelli scompigliati della giovane e indugiò sull'anello che portava all'anulare sinistro. Un calore indescrivibile lo avvolse e lo rese euforico. «Sempre il meglio per la mia musona.»

Lei gli fece la linguaccia e diede un morso a una brioche gigantesca. Si portò la tazzina di caffè alle labbra, ma l'aroma forte del suo elisir di energia le fece venire una nausea senza precedenti.

«Tutto bene?» Non riuscì a trattenere una risata di fronte alla sua espressione schifata.

«Ridi, ridi. Tu non sai cosa significa rinunciare alla mia unica fonte di vita.» Gli porse la tazzina e affogò i suoi dispiaceri nella brioche.

La sveglia disturbò il silenzio del mattino per la seconda volta, firmando la sua condanna a morte. Sareeya prese il suo cuscino e lo lanciò sul comodino, ponendo fine a quel fracasso.

«Oggi cosa dobbiamo fare?»

«Beh, dobbiamo farti conoscere tuo figlio o figlia.»

«Ah, sì. Allora dobbiamo... Aspetta un attimo. Cosa? Allora...» Non riuscì a trattenersi. Si lanciò su di lei e l'abbracciò.

«Fai piano! Altrimenti non lo conoscerai.»

«Ok. Messaggio ricevuto.» Si staccò e sparì nell'armadio. Ne riapparve qualche secondo dopo vestito di tutto punto.

La giovane nascose un sorriso e si alzò. Si preparò anche lei e lasciarono l'appartamento. Durante il viaggio parlarono del bambino in arrivo e del desiderio di Andrew che fosse un maschietto, nonostante amasse molto le bambine. Sareeya lo ascoltava in silenzio e rispondeva solo quando lui gliene dava la possibilità.

«Quanto sei loquace, Rew.»

«Scusa. E' solo che... sono felice.»

«Si vede.»

Rew fermò la macchina nel parcheggio dell'ospedale e si fiondò ad aprire la portiera alla sua futura moglie.

«Grazie, tesoro.»

Le prese la mano e si diressero verso l'entrata. Su di lui vennero puntati tutti gli occhi delle infermiere e cominciò a sentirsi inadeguato.

Lei vide il suo imbarazzo. «Non ti preoccupare. Conoscono la mia situazione e non sono abituate a vedermi insieme a qualcuno. Soprattutto insieme a qualcuno così romantico.» E mentre lo diceva, gli strinse di più la mano.

Andrew le posò un bacio sulla fronte e fece per sedersi, ma un'infermiera li raggiunse. «Il dottore è pronto. Vi prego di seguirmi.»

I due entrarono in una stanzetta che odorava di disinfettante. Un uomo sulla cinquantina era appostato a una strana macchinetta e li guardava sorridendo.

Sareeya lo salutò e si preparò a stendersi sul lettino. Il dottore le spalmò un gel ghiacciato sul ventre e cominciò a sondarle la pancia. Sullo schermo apparvero immagini incomprensibili ai due giovani.

«Allora, ho una buona notizia e una cattiva.» L'uomo non staccò gli occhi dallo schermo neanche per un secondo, un'espressione corrucciata in viso. «Quale volete sentire per prima?»

I due si guardarono perplessi e preoccupati. «Quella cattiva, va.»

«Siete sicuri? Io partirei dalla buona.» Le loro facce lo spronarono a continuare e un sorriso gli illuminò il viso. «La buona è che questo bell'imbusto qui è accontentato, la cattiva è che sono due.»

«Due? Ma era uno lo scorso mese.»

«Alle volte non si vedono subito.»

«Due! Reeya, mi hai reso l'uomo più felice del mondo...!»

«Congratulazioni, mamma e papà.» e posizionando l'ecografo in modo che si vedessero le due figure, aggiunse: «Vi presento i vostri figli.»

Sareeya non sapeva cosa dire. La sua mente era bianca come la tela di un pittore e leggera come un palloncino. Non riusciva a capire se fosse felice o triste. Non sentiva nulla. Incontrò gli occhi verdi di Andrew e una sensazione dolcissima la avvolse con un'intensità tale da toglierle il fiato. Incurante della presenza del dottore, prese il suo fidanzato per la maglietta e gli stampò un bacio sulle labbra.

«Se volete, posso uscire e lasciarvi soli.»

Si staccarono e lanciarono un'occhiata all'uomo sorridente. Ricambiarono il sorriso e si strinsero la mano, felici.

Andrew la aiutò a sistemarsi mentre il dottore stampava qualcosa.

«Ecco a voi l'ecografia. Come potete vedere, si vedono entrambi.»

«Grazie. Grazie mille.»

Detto ciò, Sareeya riprese la mano del fidanzato, si diresse verso la porta, ma il dottore la fermò. «Posso parlarti un attimo a quattr'occhi?»

«Certo. Andrew, mi puoi aspettare fuori?»

Il ragazzo annuì.

«Cosa succede?»

«Volevo solo sapere se tutto si è sistemato visto che c'è lui e ti vedo felice.»

«Sì sì, non si preoccupi. Ora posso dire che sia tutto a posto.»

«Ricordati che lavorare troppo e non mangiare non fa bene e tu lo sai.»

«Sì. Lo sa anche Andrew. Gli ho raccontato quello che stava per succedere...»

Il dottore sorrise. «Sono felice per voi.» Con questo l'accompagnò alla porta e lei ricambiò il sorriso.

«Arrivederci, dottore.» Raggiunse Andrew e si diressero verso l'uscita. Poco prima di lasciare l'ospedale, un'infermiera li fermò tutta trafelata.

«Un momento, signorina Edwards.»

Sareeya si voltò e riconobbe la donna che l'aveva soccorsa qualche settimana prima. «Sì?»

Le prese la mano e la guardò negli occhi. «Si ricordi quello che le ho detto l'ultima volta. Lotti per quello in cui crede.»

La giovane annuì e la salutò, trascinandosi dietro un Andrew perplesso.

«Cosa significa?»

«Segreto.» Si allacciò la cintura e si perse a osservare la città fuori dal finestrino.

«Dove vuoi andare a festeggiare?»

«Festeggiare?»

«Sì. Il fatto che sono due... e che ci sposeremo.»

«Quindi, se dici così, vuoi invitare anche i nostri genitori?»

«I miei no di sicuro.» Andrew scosse la testa energicamente.

«E poi, pensavo a una cosa un po’ più intima.»

«Ah, allora facciamo così: stasera cucino tutti i tuoi piatti preferiti e una sera andiamo a festeggiare con tutti, ok?»

«Va bene.»

«Mi vuoi spiegare quella cosa?»

Scosse la testa. «Non è nulla per il quale ti debba preoccupare.»

Rew socchiuse gli occhi, combattuto. Non sapeva se insistere o aspettare che fosse lei a dirgli tutto. La osservò per un secondo. La luce del sole le illuminava il viso e carezzava i suoi morbidi ricci castani. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e la sua bellezza gli faceva battere il cuore.

Riportò lo sguardo sulla strada. Aveva fatto la sua scelta. «Va bene.» Si morse la lingua per impedire ad altre parole di uscire dalla sua bocca. «Qual è il prossimo impegno, signor comandante?»

Sareeya gli sorrise riconoscente. «Farmacia.»

«Farmacia? E perché mai?» Si fermò al semaforo e la guardò visibilmente preoccupato. «C'è qualcosa che non va?»

«Nulla di grave, tranquillo. È finita la scorta di cerotti e poi...»

«Poi...?»

«Beh, questo lo scoprirai una volta lì.» Si girò verso di lui con un sorriso da gatto.

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Andrew accostò e si volse con una faccia indescrivibile.  «Ora però basta. Sono troppi i segreti che si stanno accumulando.»

Il sorriso di Reeya sparì. Il giovane si sentì in colpa per quello scoppio, ma non era riuscito a trattenersi. Aveva rischiato di perderla una volta, non voleva che succedesse di nuovo. Non l'avrebbe sopportato. Sì, ok, si era ripromesso di aspettare, ma non ce la faceva. Era più forte di lui. Voleva sapere cosa stava succedendo, anche a costo di rovinare l'atmosfera che si era creata tra di loro.

«Rew...»

«Reeya, so di averti fatta soffrire così tanto da non meritare il tuo perdono, ma credo di esser stato punito abbastanza, non credi?»

Lei si morse un labbro e abbassò lo sguardo. Aveva ragione, davvero. Era solo che... Non riusciva a dimenticare. Quello che era successo l'aveva segnata più di quanto avesse immaginato. Avrebbe dovuto metterci sopra una pietra. Già. Avrebbe dovuto. Il problema era che non ci riusciva. Qualcosa, dentro di lei, la spingeva a essere così.

«È quello che ti hanno detto i tuoi su Rosaleen, vero?»

Sareeya alzò lo sguardo. Come pensava, sentire il suo nome le faceva ancora male. Chiuse gli occhi.

«Reeya...» La abbracciò dolcemente e rimase in attesa.

La ragazza si abbandonò al calore che le infondeva il suo corpo. Non ci voleva pensare, ma i ricordi ritornarono in superficie prepotenti. Rammentava ancora le parole di suo padre. Quanto dolore aveva provato nel sentirle. Tutto il mondo che conosceva non esisteva più. Anzi, non era mai esistito.

Dopo un tempo simile a un'eternità, parlò. «È morta di cancro.» A quelle parole, Rew la strinse più forte. «Aveva perso il bambino e... Non voleva più lottare. Era la sua unica speranza di vita, Andrew. Capisci? Non aveva più nessuno oltre a lui. L'unica cosa della quale mi pento è averla abbandonata. È anche colpa mia se ora non c'è più. Se solo...»

«Non è colpa tua, piccola. Non potevi saperlo.»

Il silenzio cadde nell'abitacolo della macchina. Un silenzio che nessuno dei due aveva il coraggio di rompere.

Finalmente, Sareeya buttò fuori tutto quello che aveva dentro. «Ti ho lasciato anche per quello, Rew. Prima di dirle addio, le avevo promesso di non lasciarmi ferire da nessuno. Nemmeno da te. Mi dispiace.»

Si staccò e la guardò negli occhi. Aveva tante di quelle cose da dirle, ma una sola parola uscì dalla sua bocca. «Grazie.» Le posò un leggero bacio sulle labbra e mise in moto la macchina.

«Comunque, non ti sentire in colpa, sei già stato perdonato.»

Rew le prese la mano e le stampò un altro bacio nonostante gli occhi fissassero la strada.

q

«Lo sai che sei sempre più bella?»

«Grazie. Lo stesso non si può dire di te.»

La guardò con gli occhi di un cucciolo e lei si intenerì subito. «Sai che scherzo, scemo!» 

«Sì, sì...»

«Dai, non fare così.» e nel mentre lo abbracciò.

«Fai piano! Sento la pancia premere su di me.»

«Ok, ok, non faccio più nulla.»

«No, continua, ma dobbiamo stare attenti.»

«Va bene, paparino.» Lo strinse leggera e poi si staccò da lui. Mosse qualche passo verso la macchina, ma un dolore improvviso le avvolse una caviglia. Non ebbe neanche il tempo di accorgersi cosa stesse succedendo che si ritrovò per terra, di fronte l'insegna della farmacia.

Andrew scattò e si chinò su di lei. «Stai bene?»

Sareeya annuì e fece per alzarsi, ma il suo cuore smise di battere per un'eternità. Tra le sue gambe una macchia di sangue stava diventando sempre più grande.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3


Parcheggiò la macchina proprio davanti al cancello. La casa in cui era cresciuta le mancava moltissimo, ma non ci poteva fare nulla.

Stava per scendere, ma il mal di testa che l'aveva accompagnata per tutto il viaggio, era diventato insopportabile. Inclinò lo schienale alla ricerca di una posizione più comoda. Appena chiuse gli occhi, un ricordo indesiderato bussò alla sua mente. Era passato già qualche tempo da quel litigio, ma non era riuscita a dimenticare. Le parole di suo padre le rimbombavano ancora nelle orecchie. «Devi abortire. Adesso.» 

Come allora, una sensazione di nausea le salì in gola. Anche solo immaginarlo le faceva venire i brividi. Come avrebbe potuto farlo? Era il suo bambino, una parte di lei della quale non sarebbe stata in grado di sbarazzarsi come un sacco della spazzatura.

Scosse la testa per spazzare via quelle immagini, ma non servì a nulla. La voce di sua madre non le abbandonava la mente.

«Non accetterò mai questo bambino. Mai. Se non te ne liberi, non sarai più nostra figlia.»

«No, mamma, siete voi a non essere più i miei genitori. Né ora, né mai.» Detto quello, se n’era andata sbattendo la porta e ora… Ora era qui, con il cuore in gola e la testa che non aveva ancora smesso di pulsarle.

Non voleva abbandonare quell’ambiente poco ostile, ma doveva sapere ciò che era successo a sua sorella. Rosaleen era la persona che più la capiva e che le voleva bene al mondo. La sua perdita l’aveva segnata molto. I suoi genitori erano riusciti a darle la colpa pure di quello.

Aprì la portiera, decisa a entrare a testa alta, senza rimpianti. Si sistemò il vestito e s’incamminò verso il portone. Era morbido, ma un po’ attillato per sottolineare la pancia che cominciava a farsi vedere. L’aveva fatto apposta. Era fiera della sua condizione e non voleva farne un segreto.

Suonò il campanello e prese un respiro profondo. Quando la porta si aprì, il viso tirato di sua madre le spazzò via tutta la sicurezza di prima. Ora che era davanti ai suoi occhi, non riusciva a essere fredda e distaccata. Si sentiva in colpa per quello che aveva detto l’ultima volta, ma non era stata l’unica a dimenticare cosa fosse la gentilezza. Anche i suoi genitori l’avevano fatta grossa.

«Ciao, mamma.» Non aspettò l’invito a entrare. Varcò la porta e si diresse verso il salotto. Lanciò un’occhiata a suo padre e si accomodò sul divano di fronte a lui, un sorriso zoppicante in viso.

Impassibile come sempre, la guardava con fare curioso e l'occhio gli cadde sulla mano appoggiata sul ventre. Accennò un sorriso veloce, ma che fu percepito lo stesso dalla figlia. Si stupì di quel gesto, ma non ci fece troppo caso perché era troppo presa dalla casa. Rosaleen era dappertutto, le sue foto avevano invaso quasi tutte le superfici. Quello che la sorprese davvero erano le sue foto insieme a lei, quelle che dopo la litigata aveva buttato. Era come se... No non capiva più niente.  

«Reeya, come stai? Sono felice di vederti e di sapere che stai bene...»

La ragazza si girò di soprassalto colta di sorpresa.

«Mmh… Grazie…» Si sistemò i capelli, un po’ imbarazzata. «Anche voi non sembrate stare male.»

Non l’avrebbe dovuto dire. Sua madre si sedette vicino a lei e cominciò a piangere in silenzio, lo sguardo basso. Da quando era entrata non l’aveva guardata in faccia neanche una volta.

«Mamma…»

«Sareeya.» Suo padre si alzò e si perse a guardare una delle tante foto.

«Sì, papà?» La sua voce cominciò a tremare. Si sentiva come sull’orlo di un precipizio, sul punto di cadere e sparire per sempre.

«Mi dispiace.»

La giovane lo guardò meravigliata. Era la prima volta che sentiva quelle due parole uscire dalla sua bocca. Cercò di dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Rimase quindi in attesa.

«Ti ho incolpato ingiustamente.» Si girò e la fissò negli occhi. «Rosaleen aveva un cancro al cervello.»

«Cosa?» Come poteva essere possibile? Non ne sapeva nulla.

«Volevamo dirti tutto, ma lei aveva preferito non rivelarti niente. L’aveva scoperto durante la gravidanza e l’aveva tenuto nascosto a tutti. Poi…» Prese un respiro profondo. «… quando aveva perso il bambino, si era arresa e non aveva voluto fare quella dannata operazione.»

Sua madre singhiozzò. «Ci dispiace tanto, Reeya. Avevamo paura che la stessa cosa potesse succedere anche a te. Non vogliamo perderti.»

Sareeya chiuse gli occhi. Ora cominciava a capire. La testa le scoppiava ancora, ma il cuore si sentiva un po’ più leggero. Asciugò una lacrima che era sfuggita al suo controllo e sorrise.

«Dopo il rifiuto e la litigata con te ha cominciato a peggiorare a vista d'occhio e non c'era nulla che la facesse stare meglio, così abbiamo finito per addossarti la colpa, nonostante lei ci dicesse sempre che tu non avevi fatto niente. Noi sappiamo che non è colpa tua e te lo avremmo voluto dire un secondo dopo le brutte parole che ti abbiamo urlato contro quella sera.»

«Perché mi volevate far abortire?»

Sua madre a quella domanda non riuscì più a dire nulla perché iniziò a piangere.

«Vedi, la paura inconscia che ti potesse succedere la stessa cosa ci aveva talmente spaventati che pensavamo solo a quanto quel bambino le avesse fatto male e non volevamo che riaccadesse tutto di nuovo.»

«Reeya, non per cambiare discorso ma per cosa avete litigato?»

«... Beh... di una cosa stupida. Il giorno prima Andrew e io avevamo litigato e lei mi ha spronato a non abbattermi in modo quasi aggressivo, talmente aggressivo che io me la sono presa e ho cominciato a urlarle contro.»

I suoi genitori si zittirono. Non sapevano cos’altro dire. Guardarono la giovane, in attesa di un qualcosa che neanche loro sapevano definire.

Sareeya sospirò piano, cercando di mandare via dalla mente quello che aveva detto sua sorella. Si pentiva ancora, soprattutto perché erano state le sue ultime parole.

Si morse un labbro e si arrese al ricordo. Era una lontana giornata di inizio inverno ed era passata a trovare Rosaleen per un saluto e per sfogare la rabbia che provava verso Andrew. L’aveva vista così bella e in salute. Non poteva assolutamente immaginare quello che sarebbe successo dopo. Voleva fermarsi qualche minuto, ma si era trattenuta più del necessario. Se solo non l’avesse fatto.

«Non piangere, Reeya. Non se lo merita, non credi?» La sua voce era stata così dolce e gentile.

«È più forte di me, Rosie. Questa volta l’ha fatta grossa. Sto così male.» le aveva risposto tra un singhiozzo e l’altro.

Sua sorella si era alzata dal divano e l’aveva abbracciata. Amava stare tra le sue braccia, riuscivano a calmarla e a farle dimenticare ogni problema. «Oh, Reeya, Reeya.» Le diede una pacca sulla spalla. «Perché ti lasci ferire così da un semplice ragazzo? Perché non lo lasci?»

La giovane l’aveva guardata meravigliata. «E perché dovrei? Senza di lui non sono nessuno.»

«Da quando in qua la mia sorellina si lascia mettere i piedi in testa? Non ti merita, Sareeya. È inutile continuare a soffrire così.»

«Non mi lascio mettere i piedi in testa.»

«No?» Il tono sarcastico della sua voce le aveva fatto saltare i nervi.

«No.»

«Strano.» Rosie si staccò da lei e ritornò sul divano. «A me non sembra. Ha mai sofferto? Ti ha mai chiesto scusa? Ti ha mai cercata dopo ogni litigata? Ti ha mai…» Si bloccò con le lacrime agli occhi.

Reeya la guardò. «Sai cosa? Non riesco a capire se stai parlando di me o di te.» Si alzò, decisa ad andarsene.

«Sto solo dicendo di non lasciarti distruggere da uno che non sa cosa sia l’amore.»

«Stai tranquilla, sorellina. Non tutti sono come Jake. E io non finirò mai come te: sola e in attesa di un bambino che non è desiderato da nessuno.» Era arrabbiata. Tanto arrabbiata. Così tanto da dire una cosa che non era assolutamente vera. Ma allora era troppo accecata dalla rabbia per far funzionare il filtro del cervello. Le aveva lanciato un’ultima occhiata e le aveva voltato le spalle, diretta verso la porta. Poco prima di uscire, le ultime parole di sua dorella l’avevano fatta sentire terribilmente in colpa.

«Non dimenticare di amare te stessa, sorellina.»

Aveva cacciato indietro le lacrime e se n’era andata via, ignara che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista in vita.

«Reeya.» La voce di sua madre la riportò alla realtà.

«Sì?»

«Cosa farai con il bambino?»

«Lo terremo e cresceremo.»

«Cresceremo? Tu e chi?»

Sareeya sorrise dolcemente. «Andrew e io.»

«Chi? Quel disgraziato? Può scordarsi di prendere la mia bambina!» Suo padre si era alzato in piedi, rosso in viso.

«Caro…»

«No, Helene… Non ci penso nemmeno per sogno. È tutta colpa sua, l’hai già dimenticato?» 

«Papà…»

«Non lo accetterò mai!»

«Papà…»

«È davvero un…»

«Papà!» Si alzò e lo guardò negli occhi. «Ora basta. Ti ricordo che sono adulta e vaccinata e decido io della mia vita. No, ora vorrei essere ascoltata io. Quello che è successo con Andrew è stato tutto un malinteso. L’unica colpevole è sua madre. Lui non ne può nulla, più o meno. E comunque, sì, lo cresceremo io e lui insieme. Punto.»

L’aveva detto tutto d’un fiato e ora si sentiva meglio. L’uomo che l’aveva cresciuta era rimasto senza parole. Si grattò il naso e si lasciò ricadere sul divano a fiori.

«Sono felice che abbiate fatto pace.» Sua madre le prese la mano. «L’unica cosa importante è che tu sia felice, Sareeya. »

La giovane sorrise. «Grazie.» Qualcosa sfiorò l’altra mano. Era suo padre.

«Tua madre ha ragione. Soprattutto, siamo felici che tu non sia sola e in attesa di un bambino che non è desiderato da nessuno.»

A quelle parole, sbarrò gli occhi, sorpresa. Di fronte ai visi sorridenti dei suoi, scosse la testa e ricambiò, abbracciandoli. «Mi dispiace per tutto. Siete dei genitori fantastici.»

«Neanche tu sei male.»

Le due ore successive passarono tra chiacchiere e allegria. Giunta l’ora di tornare a casa, Sareeya si alzò e salutò i suoi genitori. «Grazie. Mi siete mancati tantissimo, soprattutto quando ho rischiato di perdere il bambino.»

I visi dei due sbiancarono all’istante. «Cosa?»

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«Mi dica, dottore, farà male?»

«No.» L’uomo le sorrise enigmatico. «Non quanto quando metterà al mondo il suo bambino.»

«I miei bambini. Sono due, maschio e femmina.»

Il sorriso del dottore si allargò e si preparò a metterle la flebo. Alla vista dell’ago, Sareeya sgranò gli occhi. Istintivamente allontanò il braccio.

«Ha paura di una punturina?»

«No.»

«A me non s…» L’ambulanza frenò all’improvviso, facendo sbilanciare l’uomo. «Non mi abituerò mai a ‘sto coso.»

Le porte della vettura si aprirono e un’equipe di infermieri la trasportarono al pronto soccorso.

«Reeya!» Un Andrew trafelato la raggiunse. «Tutto bene?»

«Sono ancora viva, non preoccuparti. Non capisco perché hai insistito a chiamare un’ambulanza.»

«Così saresti arrivata prima all’ospedale, no?» Si chinò su lei e le stampò un bacio sulla fronte. In quel momento, un infermiere gli indicò di spostarsi.

«La preghiamo di aspettare qui, signore.»

Rew lanciò un’ultima occhiata a Reeya, prima che sparisse dietro le porte d’acciaio dell’ascensore, con una strana sensazione nel cuore.

Un’ora dopo erano di nuovo insieme, molto più tranquilli di prima.

«Mi raccomando, riposo assoluto.»

«Certo, dottore.»

«Inoltre, stia attenta allo stress. Uno dei due feti è più basso del normale e se non presta particolare attenzione, potrebbe rischiare di perdere la gravidanza.»

Andrew divenne ancora più bianco di quello che già era. «E tutto quel sangue? È preoccupante?»

«Per ora no. È causato dalla posizione del feto. È normale.»

«Normale… Non è stata la caduta?»

«No, l’incidente non ha provocato danni, ma anzi è stato d’aiuto per scoprire questa situazione. Non preoccupatevi e stia a riposo. Contatti anche il suo dottore di fiducia.»

«Ok. Grazie mille. È stato gentilissimo.»

Una volta rimasti soli, Andrew la guardò preoccupato.

Sareeya sospirò. «Non guardarmi così. Non è come la scorsa volta. Stai tranquillo.»

«Lo spero. Sei stata un’avventata ad andare a lavorare e non mangiare per tutto il giorno.»

«Lo so, lo so. Questa volta starò a letto tutto il giorno tutti i giorni.»

«Promesso?» Lui sorrise.

«Promesso.» Lo prese per la maglia e lo baciò con passione. Andrew rispose e posò una mano sulla pancia.

«Ah, a proposito. C’è ancora una cosa che non mi hai detto.»

«Quale?»

«Cosa intendeva l’infermiera di oggi?»

Sarreya nascose un sorriso. «Semplicemente le ho raccontato quello che è successo con mia sorella e lei mi ha incoraggiata.»

«Capito.» Le carezzò una guancia e la baciò.

«Ehm, ehm.»

Un colpo di tosse li fece sobbalzare. Si staccarono e si voltarono verso la porta.

«Mamma! Papà! Che ci fate qui?»

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