Syringa.

di scapparsi
(/viewuser.php?uid=608482)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


 Prologo.
 
Il vento soffiava forte procurandogli qualche brivido su per la schiena.
Erano le 5:00 ed il parco era vuoto, non c’era nemmeno un’ombra in lontananza.
Mattia si chiese che cavolo era venuto a fare in quel posto che gli aveva sempre procurato dolore. Si ricordò del ginocchio sbucciato quando cadde dallo scivolo che ormai era stato quasi del tutto distrutto, e di quando portò la sua prima fidanzatina sotto quell’albero e lei lo lasciò. Si ricordò di tutte le volte in cui era venuto lì per fuggire e si era sempre lasciato andare in un pianto liberatorio o di quando la vide per la prima volta oltrepassare il cancello arrugginito e pieno di scritte sentimentali. Si ricordò del suo sguardo perso, del suo guardarsi intorno smarrita; anche lui si sentiva così: inadeguato.
 
Le persone incominciarono ad entrare e subito il posto tranquillo si trasformò in caos.
Di giorno il parco era pieno di gente: di madri che facevano andare i propri figli sullo scivolo e l’altalena, di fidanzati che si tenevano per mano oppure di ragazzi che si lasciavano; il parco era pieno di bambini che giocavano a pallone, di bambine che raccoglievano i fiori senza saperne il significato e di vecchi che rimpiangevano il proprio passato.
Le giornate passavano con monotonia e puntualmente nessuno faceva caso a Naomi, una ragazza pallida e minuta a causa della malattia con la quale conviveva da tre anni. I capelli biondi le cadevano disordinati sulle spalle spigolose e mettevano in mostra i profondi occhi castano chiaro che ad occhio superficiale sembravano non trasmettere alcun tipo di emozione.
Ogni mattina si sedeva su una delle tante panchine ed aspettava. Persone? Un amore? Un’assenza? La forza? Un consiglio? Il famoso “portone”? 
No, lei aspettava un ritorno. Il ritorno di sé stessa ed intanto il tempo passava e tutto era sempre uguale, nulla cambiava ma infondo era felice perché non era molto predisposta verso i cambiamenti. La cosa brutta è che quest’ultimi, molto spesso, avvengono senza preavviso e non hai neanche il tempo di prepararti psicologicamente. Così era successo per sua madre che anni prima si era suicidata: era depressa perché il marito l’aveva lasciata con una figlia piccola che non voleva
da dover crescere, le aveva sempre fatto pesare la sua nascita. Come se fosse colpa mia se l’avete fatto senza prendere precauzioni diceva sempre a bassa voce.
La ragazza prese con fatica un libro dalla borsa e sorrise leggendo il titolo, i suoi occhi si illuminarono leggermente ma solo il ragazzo che l’osservava dall’albero se ne accorse.
Dopo qualche minuto si avvertì una risata fragorosa e sia la ragazza, sia il ragazzo sull’albero si girarono per vedere chi era che rideva in questo modo; nel parco entrarono due ragazzi, si tenevano per mano e ridevano felici mentre il vento scompigliava i capelli biondi di lei. Il piccolo corpo di Naomi si irrigidì alla vista dei due e si alzò anche se con fatica; si diresse lentamente verso l’uscita mentre il ragazzo ancora la guardava dall’alto con i suoi chiarissimi occhi azzurri. Si morse il labbro e scese con un salto dall’albero. Andò anche lui verso l’uscita e, per l’ennesima volta si disse che le avrebbe parlato domani, ma ogni giorno era sempre meno convinto perché la ragazza della panchina (da lui così definita perché non conosceva il nome) amava quel ragazzo sfacciato che ogni giorno tornava al parco con quell’oca giuliva.
 
Naomi tornò a casa. Non c’era nessuno ad aspettarla. Come sempre.
Si era trasferita da un anno o più in quella cittadina quando aveva appena compiuto i diciotto anni. Mettere in atto quel cambiamento era stato non poco complicato ma alla fine era riuscita a voltare un po’ di più pagina. Sperava di poter andare all’università senza problemi ma anche lì c’erano ragazzi che la prendevano in giro torturandola per il fisico troppo gracile per una ragazza di diciannove anni, ma gli insulti le avevano insegnato ad essere una persona peggiore, a saper ignorare tutte le cattiverie che le venivano dette ogni giorno. “Sei talmente magra che le ossa ti hanno stritolato il cuore facendo uscire tutte le cose belle. Guardati: fai schifo e non ti amerà mai nessuno!” le ripetevano le ragazze magre ma non anoressiche con disgusto. Sembrava che nessuno si ricordasse che lei avesse dei sentimenti, tutti la trattavano come se fosse un oggetto da poter sfruttare a proprio piacimento. I suoi occhi chiedevano aiuto ma le persone non leggono i libri, come potrebbero leggere addirittura gli occhi?
La vita diventava sempre più dura ma le insegnò una cosa: le persone ti distruggono, non ti salvano. E quindi, con tanta fatica, aveva imparato a rialzarsi sempre da sola.
 
Mattia arrivò a casa all’orario di pranzo.
Appena entrò sentì l’odore di pulito mischiato a quello del dolce che la madre preparava ogni Domenica mattina ma era troppo giù per assaporarne il sapore. Andò nella sua stanza e si sedette sulla scrivania, osservò il vuoto davanti a lui e prese un foglio. Incominciò a scrivere una lettera mettendo insieme un mucchio di parole.
 
Cara ragazza della panchina,
scrivere lettere ormai non va’ più di moda ma, sai, non sono uno di quelli che segue gli altri: vado controvento, io. Ti scrivo perché non trovo le parole giuste da dirti e quindi do’ un po’ di colore a questo neutro foglio bianco.
Ogni giorno vengo lì al parco e spero di vederti, di solito ci sei sempre con quel tuo sorriso stanco e quegli occhi pieni di un dolore in grado di sconvolgere chiunque, anche me che non sono un tipo facilmente impressionabile. Io ti vedo, ma tu no … sei troppo impegnata a vivere tra le pagine dei libri che ogni giorno porti con te, è come se i libri fossero la tua ombra: dove ci sarai tu ci saranno anche loro.
Vorrei che tu mi amassi come ami quelle pagine, che tu ti prendessi cura di me come fai con i libri. Ma io per te non sono niente, e non credo che lo sarò mai … ti ho dato il mio cuore ma tu non l’hai preso e hai fatto sì che cadesse al suolo.
 Sono sicuro che tu lo sai cos’è che si prova, ad amare qualcuno che non ci ama; a sognare una persona che ne sogna un’altra. Sono sicuro che tu lo sai che vuol dire essere come me. L’ho notato, sai? Ho notato come lo guardi, come sorridi quando lo vedi e come quel tuo sorriso gracile scompare quando al suo fianco vedi lei; i tuoi occhi si riempiono di lacrime quando li vedi insieme e vorrei tanto guardarti negli occhi e dirti che sei tanto più bella tu, ma mi spaventi.
Non sono terrorizzato da te, ma più che altro dall’effetto che mi fai. Quando si tratta di te il mio stomaco va in subbuglio e il mio cervello in tilt, impazzisce come un bambino alla vista di un nuovo giocattolo o come un cane quando lo accarezzi per bene. Insomma, hai presente ciò che provi quando incominci e finisci un libro? Ecco, io ho quella fottuta sensazione ogni volta che ti vedo. E questo mi spaventa: mi spaventa il modo in cui ti penso, in cui ti guardo, in cui spero di vederti sorridermi o il modo in cui sogno di averti finalmente qui accanto a me. Mi spaventa sentirmi così preso da una persona.
 
È strano, eh? È strano come il destino si diverti a giocare con la nostra ingenuità. Ogni cosa che desideri, non accadrà. Non vuoi amare ed ami, non vuoi soffrire e soffri, vuoi urlare ma non lo sai, cerchi di sorridere e finisci col piangere disperato. Il destino ci prende in giro: è come se amasse vederci impazzire per un vita che non è e non sarà mai come vogliamo. Questo mi fa incazzare. Io voglio essere l’unico padrone della mia vita ma non sono altro che una stupida marionetta di quel tale che si fa chiamare Dio. Lo odio, sai? Si crede chissà chi mentre ci guarda da lassù con quel suo sorrisetto di merda chiedendoci di fare un sacco di cose per lui quando per noi ‘sto tizio non fa un cazzo, se non rendere la nostra vita inutile: ci fa nascere e poi morire, ci fa provare l’amore e poi ce lo toglie, ci fa avvicinare alla felicità ma non ci permette mai di toccarla davvero, ci riempie e poi ci svuota, ci porta in alto facendoci cadere poi ancora più in basso di quel che eravamo già.
Non è orrendo? Non è orrendo non poter essere artefici del proprio destino, non poter scegliere la vita che vogliamo vivere?
Prendi me: vorrei solo potermi addormentare accanto a te e ritrovarti il mattino dopo, prepararti la colazione, svegliarti con baci e carezze e augurarti il buongiorno. Vorrei solo osservarti leggere uno dei tuoi libri mentre i tuoi occhi luccicano dall’emozione. Vorrei solo poterti portare al mare e ammirarti mentre la luce del sole mette in risalto i tuoi bellissimi occhi marroni. Vorrei solo farti perdere fra le mie braccia mentre guardiamo una delle solite commedie romantiche.
Da quando ti ho vista la prima volta colleziono sogni, desideri e speranze che resteranno tali perché sono uno stupido mortale che ha paura di affrontare la vita. Preferisco il mio piccolo angolino, lontano dal mondo, lontano dal resto, lontano da te. Ma, sai, voglio cambiare. Sono stanco, stanco, stanco e voglio lottare ma certe guerre non si combattono da soli. Ho bisogno di te, ma tu non ci sei. Il tuo cuore appartiene a lui.
-Il ragazzo dell’albero.
 
 
Posò la penna ed uscì consapevole che la ragazza frequentasse il parco a quell’ora. Arrivò lì con il petto che bruciava e il cuore che provava ad uscire. Entrò. Il tempo era nuvoloso ed erano pochi i bambini che erano riusciti a convincere le loro madri a farli giocare ancora un po’ sotto quel cielo che non prometteva nulla di buono. L’ansia cresceva dentro di lui sempre di più impedendogli di respirare normalmente, voleva scappare ma allo stesso tempo voleva dimostrare a quel Dio non più giusto che si sarebbe tracciato il suo destino da solo con o senza il suo aiuto. Si fermò prima di continuare verso la panchina. Fece un giro su se stesso e sentì la testa girare lievemente. Gli alberi intorno a lui presero le sembianze dei mostri che da piccolo restavano sotto al letto per non farlo dormire di notte. In quel periodo, però, comparivano soltanto quando quella ragazza era estremamente lontana dal suo sguardo protettivo e pieno di un non so cosa di strano. Un brivido gli percosse la schiena dandogli la forza di incominciare a correre; il vento gli dava piccoli schiaffi sulle guance rosate, lottò contro di questo che voleva rallentargli la strada ma non si fermò, o almeno finché non arrivò alla panchina. Era vuota. Lei non c’era e una lacrime scese per la sua guancia. Dio gli aveva messo di nuovo il bastone fra le ruote.
Rimase seduto per qualche tempo aspettando con ansia di vedere il suo viso in quello degli altri, ma non accadde e, affranto, si incamminò per andare lontano ma con sé non portò la lettera.
Lei non c’era. E non ci sarebbe stata più.
 

Salve a tutti i lettori di efp!
Questo è il prologo di una storia che avevo già pubblicato tempo fa, ho solo apportato alcune modifiche per renderla migliore quindi questo è quanto haha; non ho molte cose da dire, spero solo che vi piaccia e mi lascerete qualche recensione per darmi dei suggerimenti o cose simili...
A presto, o almeno spero, scapparsi☺

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


Capitolo due.

Il sole era già alto quando uscì dalla sua stanza. La madre era intenta a lavare i piatti mentre canticchiava allegra. Oggi lui sarebbe tornato dopo un anno di servizio in Afghanistan; sarebbe tornato ad essere un uomo che ama sua moglie e le uniche figlie che gli erano rimaste.
Uscì. Il vento le scompigliò i capelli quel poco da infastidirla. Amava il vento perché era come se mettesse ordine nel suo cervello incasinato, ma allo stesso tempo creava caos all’esterno.
Le nuvole incominciarono a muoversi e a spostarsi coprendo il sole per poi farlo risplendere ancora e ancora …
Si sedette sul marciapiede intenta ad osservare le macchine che continuavano il loro percorso tranquillamente, senza preoccuparsi di fermarsi per qualche secondo permettendole di attraversare.
I suoi occhi caddero sulla vecchia panchina che si trovava esattamente di fronte a lei. Le venne voglia di leggere le scritte che c’erano, così si alzò e, appena ne ebbe occasione, andò dall’altro lato della strada. La panchina non era in ottime condizioni, a ricoprirla tante e tante frasi. Si fermò e immaginò quanti segreti custodiva: chissà di quanti baci rubati era stata testimone, o a quante promesse fatte e poi non mantenute aveva assistito.
La colpì molto una frase, era scritta in modo piccolo con una matita chiara e nessun’altra persona l’avrebbe notata: “Io non voglio che la nostra sia una relazione perfetta perché le cose belle finiscono prima o poi ed io non voglio che la nostra storia finisca. Io voglio una relazione imperfetta perché, si sa, quelle durano in eterno.”.
Sentì improvvisamente un vuoto pervaderle l’anima, accadeva spesso quando si fermava ad osservare qualcuno o una frase che lo descriveva. Alice si affezionava sempre a tutto e a tutti, ed era straziante incontrare una persona una volta soltanto; i dubbi le laceravano l’anima. Chissà che sta facendo quella vecchietta. Chissà se quella coppia ha fatto pace. Chissà se quella ragazza ha denunciato l’uomo che la picchiava. Chissà se quel bambino ha trovato il fiore che cercava per la sua mamma. Chissà se quella bambina prova ancora a volare, oppure si è arresa come ho fatto io. Domande che una volta fatte, la tormentavano. Odiava non trovare delle risposte e molto spesso immaginava un continuo non sempre bello, ma questo non la rendeva felice perché voleva rivedere tutte quelle persone che aveva incontrato nei diciotto anni della sua vita e faceva male sapere che non sarebbe mai accaduto. Ed ora, come sempre, si chiedeva se quella coppia continuava ad esistere negli anni, se lottava contro Dio che avrebbe fatto di tutto per separarli o se si erano lasciati andare, dando tutto l’amore che il loro cuore possedeva e scavarsi da soli la fossa. Perché quando ami troppo succede sempre che finisci con l’ucciderti senza accorgertene. Non c’è alcuna differenza tra l’amare e l’essere amato, in entrambi i casi la fine sarà sempre un passo prima di te.
 
«Scusa, posso sedermi?»
Alzò lo sguardo ed i suoi occhi s’incrociarono con quelli azzurri del ragazzo. Arrossì leggermente, come ogni volta che i suoi occhi guardavano fissi quelli di qualcun altro, ma stavolta non distolse lo sguardo com’era solita fare. Non si sentiva in imbarazzo, bensì al sicuro, come se quegli occhi le appartenessero, come fossero parte di lei.
«Sì, certo che puoi!» balbettò. Non le piaceva molto parlare con le persone, per Alice il silenzio era la cosa più bella del mondo perché l’aiutava a capire com’era fatta una persona.
Si sedettero entrambi sulla panchina lasciando che il silenzio li accogliesse. Il ragazzo picchiettava le dita sulla gamba e si guardava intorno quasi cercasse qualcuno, o forse qualcosa. Alice era tranquilla, continuava a guardare le cose e le persone con curiosità; ogni giorno sembrava vedesse il mondo per la prima volta, ma il fatto interessante era che puntualmente coglieva cose che non aveva colto in passato. Sembrava una bambina.
«Che … che facevi prima? Quando ti ho chiesto di sedermi, intendo.» sparò lui a raffica.
La ragazza si girò per guardarlo meglio. Aveva paura. Il silenzio lo spaventava. Le scelte erano due: ragazzo abituato a stare in compagnia o ragazzo abituato a stare da solo che voleva qualcuno che cambiasse quella situazione.
«Leggevo le scritte.» gli rispose lei come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Oh …» sospirò quasi «Anch’io ho scritto qualcosa qui sopra, una volta.».
Alice alzò la testa di scatto. I suoi occhi si persero in quelli del ragazzo seduto al suo fianco. Cercava delle risposte nei suoi, ma erano vuoti.
Non si dissero nulla, ma ormai quel silenzio sussurrava migliaia di parole.
«L’ho amata come solo un folle ama.» sussurrò lui quasi la sua voce disturbasse la quiete che si era impossessata dei loro cuori affranti.
Stavolta il suo sguardo non si alzò; rimase a fissare la terra. Le macchine, intanto, non passavano più, era tardi e di sicuro le persone erano tornate a casa per mangiare e riposarsi prima di rincominciare la propria routine.
«E’ dedicata ad una ragazza.» disse.
Alice aspettò paziente il continuo della storia, ma tardava ad arrivare e la curiosità le tormentava la mente che già immaginava situazioni assurde.
«Io la amo – incominciò a dire lui- e credo di non aver mai amato qualcuno come amo lei. È una ragazza meravigliosa ed ogni volta che la vedo è come se il mio cuore in mille pezzi si riaggiustasse per qualche istante. Quando c’è lei mi sento vivo.» la guardò per rigirarsi subito dopo.
«Perché hai usato il passato se ciò che provi esiste ancora. Avresti dovuto dire: “La amo come solo un folle ama”. Ma hai usato il passato, come se lei non ci fosse più.».
Il sole nel frattempo era tornato, ora riscaldava la loro pelle ed illuminava quella pallida della ragazza che guardava intensamente il ragazzo. Era perso nei suoi pensieri, l’aveva capito, di sicuro pensava a quella ragazza e non riuscì a non prendergli la mano.
«E’ strano, a volte mi capita di dire cose come per auto-convincermi; come se poi bastasse dire “L’ho amata” per smettere di farlo. Sono uno stupido.»
«Perché non vai da lei?»
Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime e fece per alzarsi, ma poi rimase seduto al suo posto. Voleva scappare, urlarle che non erano affari suoi ma quando si voltò vide in quella ragazza la salvezza.

 

La testa le girava e si aggrappò ad uno dei pochi mobili che aveva per sorreggersi, ma le forze le mancavano. 
“Mangia” le diceva una vocina; “Non mangiare” ne diceva un’altra. 
Naomi era come un piccolo fiorellino dove bastava un filo di vento per essere spazzata via.
Da piccola voleva essere una margherita, ma crescendo decise di diventare una rosa perché queste sono superbe, arroganti, si mostrano dolci, belle, perfette ma in realtà sono false e quando stai per scoprirlo ti pungono con le loro spine.
La bellezza copre la bruttezza che si ha dentro. E lei dentro aveva tanti piccoli demoni da voler nascondere. vedeva ragazze che dicevano: “Ho fatto amicizia coi mostri che avevo sotto al letto” e si chiedeva perché i suoi fossero così poco socievoli. “Perché a me? Perché a me?” si chiedeva senza potersi dare delle risposte. 
Si prese la testa tra le mani e la voglia di arrendersi cresceva a mano a mano che il tempo, inesorabile, scorreva rendendola sempre più debole.
Le lacrime scesero così, senza chiedere un permesso, senza darle la forza di dire che no, non era il momento per piangere. Lasciò che queste le bagnassero il viso pallido e scavato che odiava tanto. Voleva che gli altri cambiassero, ma alla fine era cambiata lei; era diventata un mostro, lo stesso mostro che di notte la tormentava non permettendole di dormire. 
Pianse, urlò e se avesse avuto le forze avrebbe anche incominciato a correre.
Quando era piccola lo faceva sempre: correva, correva via dal dolore, dai problemi, dai ricordi che le facevano notare che ciò che c’era prima, non ci sarebbe stato ora e non ci sarebbe stato più. Per questo odiava il passato, passava ma intanto l’anima la trapassava e non c’era una via di fuga; non si può fuggire dal destino.
Cadde, ma trovò la forza per alzarsi. Uscì traballando dal suo appartamento cercando un aiuto che non si affrettava ad arrivare; le persone la vedevano ma per lei non facevano niente, non capivano che stava per crollare definitivamente, non capivano il suo sguardo smarrito e continuavano la loro vita guardandola come se fosse invisibile, le passavano accanto mentre i suoi occhi gridavano aiuto perché la voce le si era bloccata in gola.
Si appoggiò ad una panchina ma non riuscì a sorreggersi. Stavolta non si alzò.
Vide un ragazzo che la guardava preoccupato e che cercava di prenderla in braccio. Poi. Il buio.

 
 

Salve lettori... scusate per il ritardo ma, ehm, avevo gli esami e davvero ho passato tutto questo tempo sui libri! Un'ansia pazzesca, fortunatamente è andato tutto abbastanza bene!
Comunque sia, ecco il secondo capitolo che, vi chiedo scusa, non è molto lungo; non mi sono ancora ripresa dagli esami, ma mi sembrava davvero il caso di aggiornare! Ciò che ho scritto mi piace, non tantissimo, ma non lo trovo orripilante haha spero che la pensiate allo stesso modo. ☻
Lasciate qualche recensione, mi interessa sapere la vostra opinione^^
xxscapparsi☺

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


Capitolo tre.

 
Ludovica adorava andare al parco per giocare, ma era molto difficile relazionarsi con i bambini perché rispetto agli altri era un po’ diversa e non riusciva a capire le cose che loro potevano.
Lei non capiva cosa le dicevano le persone; non capiva come si giocava o come poteva relazionarsi con gli altri. Ludovica non capiva cosa voleva dire “cambiamento di umore” e odiava quando intorno a lei c’erano troppe persone; non riusciva a capire, tutto intorno a lei girava: le persone significavano caos totale.
Non aveva nessun problema in particolare, è solo che il mondo proprio non le piaceva! Era così strano, bizzarro, folle.
Solo sua sorella non lo era, Alice, che però lei chiamava Lice. Lice era l’unica che la capiva e che capiva, forse perché era un po’ come lei: cercava di rendere magico ciò che non lo era.
 
“Lice, Lice!” urlò la bambina incominciando a correre verso la sorella che era intenta ad osservare dei passerotti che si erano fermati qualche metro più in là.
Trovava assolutamente interessanti gli uccelli, e a volte li invidiava tanto! Loro potevano andare lontano, viaggiare, scappare quando volevano e nessuno avrebbe potuto fermarli; potevano girare il mondo quante volte volevano e riposarsi nel posto in cui stavano meglio; le sarebbe piaciuto essere come loro, volare via da quel posto crudele insieme alla sua sorellina e cercare insieme a lei la vera “casa”.
La sorella si mise davanti a lei ed incominciò a saltellare finché non ebbe la sua attenzione.
“Guarda che cos’ho trovato!” strillò.
Alice prese il foglio che le porse la sorella tra le mani  e lo osservò attentamente, come ogni cosa che si poneva sotto il suo sguardo attento ma dolce. Era una lettera.
“Dov’è che l’hai presa?”
La bambina sorrise maliziosa e Alice capì che aspettava ansiosa quella domanda, quindi si alzò e dopo averla presa per mano si incamminarono verso il posto evidentemente adorato dalla piccola.
Camminarono per qualche minuto, l’aria era fresca e pulita e l’odore dei fiori invadeva l’aria rilassando entrambe. Adoravano i fiori e quando potevano li studiavano, così potevano parlare attraverso il loro significato senza che gli altri capissero; era il loro modo di comunicare ed era un modo per rendere felice Ludovica: amava le cose che agli altri non piacevano, i suoi genitori invece di chiamarla “piccola principessa” la chiamavano “piccola rivoluzionaria” e lei lo adorava.
Ludovica indicò il posto contenta.
Alice lesse la lettera, e fu trasportata ad un paio di giorni prima come per magia.
 
“Perché non vai da lei?”
Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime e fece per alzarsi, ma poi rimase seduto al suo posto. Voleva scappare, urlarle che non erano affari suoi ma quando si voltò vide in quella ragazza la salvezza.
Le raccontò tutta la storia che aveva saputo da una vecchietta che frequentava il parco; il paesino in cui abitavano era abbastanza piccolo e le voci giravano abbastanza velocemente.
“Eh, quella povera ragazzina! 19 anni, chiusa in ospedale, attaccata ad una macchina.. che brutta vita!” diceva uno; “Si dice che la madre è morta e il padre non le dava da mangiare.” Diceva un altro; “Era una brava ragazza, sempre gentile e sorridente!” dicevano altri ancora, anche se nessuno le aveva mai realmente rivolto la parola; lei era una ragazza che stava sempre sulle sue, e avevi paura addirittura di passarle accanto pensando che potesse distruggerti con quel suo sguardo perso.
“Mi dispiace” commentò semplicemente Alice non sapendo cosa dire. Sapeva semplicemente cosa passava il ragazzo, ma proprio non sapeva che fare perché il dolore viene vissuto in maniera diversa e cambia da persona a persona.
Tra loro calò di nuovo un silenzio, stavolta imbarazzante. Non sapevano che fare, erano persi entrambi chissà dove, come se non ci fosse un punto di ritorno.
Alice si alzò e guardò a destra e a sinistra per attraversare.
“Dove vai?” chiese lui alzandosi e imitando i suoi gesti.
“Torno a casa, e poi mia sorella sta per tornare da scuola e i miei sono fuori a pranzo.”
“Vuoi compagnia?”
La ragazza si girò verso di lui, e lo guardò come si guarda un alieno.
“È meglio non essere mio amico,- disse- fidati quando dico che non ne vale la pena.”
Un paio di auto si fermarono e lei attraversò senza girarsi per guardarlo una seconda volta, sarebbe stato meglio così per entrambi.
 
“Ludo, torniamo a casa -disse improvvisamente la sorella- devo fare una cosa importante.”
La piccola non fece capricci e seguì Alice fino a casa, era curiosa di cosa doveva fare la sua “Lice” ma non chiese nulla perché sapeva che le davano fastidio le persone che chiedevano troppo: “Le persone devono capire tutto dagli sguardi e dai gesti, Ludo, non fidarti di chi parla troppo! Ricordi cosa diceva la nonna? Chi cchiu' penza 'e sape' cchiu' e' 'gnurante: una persona che parla e pensa troppo, molto spesso non conclude mai nulla. Non scordare mai questo.”
Continuò a fissare la sorella che velocemente prendeva la borsa e tutte le cose che le sarebbero potute servire, dopodiché le diede un bacio sulla guancia ed uscì.
Chiamò un taxi e dopo che fu arrivato si diresse all’ospedale.
“Buongiorno- salutò con cortesia la donna che era alla segreteria- potrei vedere Naomi Clark?”
“È una parente? Sennò non posso farla entrare!”
“Sì, ehm, sono una cugina ma non di primo grado..”
La donna la guardò di sottecchi, si mise a scrivere al computer e dopo averla guardata storto sussurrò: “Entri, ma non dica nulla.. cerchi un certo Andrea: è mio nipote e si sta occupando lui della ragazza”
“Grazie mille, le sono molto riconoscente” quasi urlò dirigendosi verso la cosiddetta “zona risveglio”.

 

Un paio di ore prima …
 
Gli occhi si aprirono lentamente e ci misero del tempo prima di abituarsi alla luce.
Aveva la gola secca e una forte emicrania, le girava tutto e non riusciva a  capire dove si trovava.
La stanza era piccola e non molto accogliente: le pareti bianche e le lenzuola blu sporco rendevano quel luogo sconosciuto ancora più “spaventoso”. Non le piaceva per niente quel posto, non lo conosceva e si sentiva a disagio perché l’avevano trasportata lì senza che lo sapesse.
Non ricordava molto di quello che era successo, vedeva solo sé stessa che piangeva e un ragazzo che la prendeva in braccio, niente di più, niente di meno.
“Ti sei svegliata..” sussurrò un ragazzo entrando nella stanza.
Naomi si girò e quando lo fece sussultò e le pupille si dilatarono. Lui. Non poteva crederci.
“Tutto bene?” le chiese sedendosi accanto al suo letto.
La ragazza non rispose, incominciò semplicemente a sorridere come una cretina perché non poteva crederci che lui era lì con lei, ma soprattutto non poteva credere che le stesse parlando.
“Suppongo tu sia un po’ stanca.. hai dormito per una settimana. Sai, ti ho trovato per terra in mezzo alla strada! Ero uscito con la mia ragazza e ti ho visto in lontananza che cadevi sbattendo la testa, mi sono preoccupato e sono corso subito per aiutarti” disse per incominciare la conversazione, ma Naomi continuava a restare in silenzio. Succedeva sempre così quando lo vedeva: le brillavano gli occhi e restava senza parole di fronte “quello spettacolo”.
“Acqua?” chiese lei girandosi intorno.
Andrea si alzò, uscì dalla stanza e tornò subito con una bottiglina e del cibo ma lei prese solo l’acqua.
“Che ha fatto la tua ragazza?”
“Be’, si è preoccupata ed innervosita allo stesso tempo perché è dovuta tornare a casa da sola, ma non ti avrei mai lasciata lì!”
Si guardarono per qualche secondo senza dire nulla, nessuno dei due sapeva che dire ma a Naomi quel silenzio non dispiaceva, secondo lei in quel modo poteva “contemplarlo” meglio.
Ma, quella tranquillità fu interrotta dalla ragazza di lui che entrò con sfacciataggine fregandosene dei medici che le dicevano: “Signorina, non può entrare!”
“Amore! - urlò lei saltandogli addosso – mi sei mancato!”
Andrea ricambiò l’abbraccio, e la ragazza si fece ancora più piccola di quel che era già: vedere quelle scene era ogni volta estremamente doloroso. Lei lo sentiva suo ma in realtà non lo era e sicuramente non lo sarebbe mai stato; un ragazzo come lui non poteva mai scegliere Naomi, come se una star famosa si mettesse con un barbone.
“Sono stanca, lasciatemi sola” disse interrompendo quel momento di dolcezza fra i due con durezza; non aspettò neanche una risposta che, lentamente per i forti dolori, si girò verso la finestra mentre sentiva gli occhi che si riempivano di lacrime.
Andrea voleva controbattere, dirle che se la presenza di Sara le deva fastidio poteva cacciarla via: avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.. era una ragazza adorabile, diceva lui. Non le aveva mai parlato, ma a scuola stava sempre al centro dell’attenzione dato che era “la sfigata” preferita, avrebbe voluto difenderla un sacco di volte, portarla via da quelle persone cattive e dirle che lui l’avrebbe sempre difesa ma poi era restato al suo posto perché così le cose sarebbero solo peggiorate.
“Va bene.. quando posso torno a farti compagnia, per ora riposati un po’ che domani sarà una giornata pesante.” Le disse dolcemente mentre le accarezzò una guancia; Naomi rabbrividì al contatto e la pelle pallida divenne più rosata e Andrea sorrise notando quel cambiamento.
Sara lo prese per mano e uscirono dalla stanza, dopodiché lei si addormentò.

 
Camminava per i corridoi dell’ospedale mentre la colpì una forte malinconia: pensò alle persone che stavano male, a come potessero sentirsi dopo un risveglio o a come potessero sentirsi mentre delle macchine li tenevano invita, o come potevano sentirsi i parenti a dover scegliere per la loro vita: spengo o no la macchina? La stacchiamo questa spina?
Vide un ragazzo in lontananza, era abbastanza alto, aveva gli occhi verdi e i capelli ricci castani e parlava con un’infermiera di certo più esperta di lui.. intuì che si trattasse di Andrea, ma prima di avvicinarsi si soffermò davanti una stanza: c’era un signore anziano che aveva portato dei fiori ad una signora che, evidentemente, era sua moglie.
“Salve- la salutò l’uomo- è un’infermiera?”
“No, sono qui per far visita ad una mia amica..”
“Oh, io sono qui per mia moglie invece. È stata investita e si è risvegliata dopo un mese di coma” rispose mentre accarezzava i capelli dell’anziana che ancora dormiva.
“E ora come sta?”
“Bene, ma non si ricorda di me”, gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime mentre pronunciò quelle parole ma poi sorrise rispondendo: “Ma non fa niente, perché io di lei mi ricordo e ben presto le racconterò la nostra storia  e forse si ricorderà di ciò che siamo stati fino a qualche mese fa.”
“Oh, è una cos-..”
“Che ci fa lei qui?” la interruppe un ragazzo, Andrea.
“Sono, ehm, qui per Naomi.. sono una sua amica e mi manda ehm..”
“Si è appena svegliata, seguimi”
Raggiunsero presto la stanza di Naomi, era seduta sul letto d’ospedale che leggeva un libro; era molto piccola per essere una ragazza di diciannove anni, e il viso pallido e scarno la faceva sembrare un piccolo fantasma. Appena sentì i rumori, la paziente si girò e, Alice guardandola quasi trattenne un urlo, gli occhi marroni erano ancor più messi in evidenza dalle occhiaie violacee che aveva, mentre i capelli erano distrattamente legati in una coda di cavallo.
“Chi sei?” riuscì a dire con fatica.          
“Ciao, mi chiamo Alice, ho urgenza di parlarti” disse semplicemente la ragazza non aggiungendo altro. Parlò con lo sguardo, che per lei era molto meglio che utilizzare delle parole.
Naomi la guardò prima con paura, non la conosceva e la sua presenza le trasmetteva tensione, stava quasi per mandarla via quando i loro occhi si unirono e fu come se stessero parlando.. gli occhi di quella ragazza che era improvvisamente entrata nella stanza le sussurravano parole dolci e gentili, e la sua presenza divenne più piacevole.
“Dimmi” disse aspettando che incominciasse a parlare.
Alice non aprì bocca, bensì le passò un foglio, la lettera, che lei lesse subito.
Alzò lo sguardo e con gli occhi lucidi sussurrò: “Voglio vederlo.”


Naomi (foto)
Alice (foto)
Ludovica (foto)
Sara (foto)
Mattia (foto)
Andrea (foto
 


Salve lettori, dopo un altro estremo ritardo ho finalmente pubblicato il terzo capitolo! Olèè
Allora, devo dire che non so se vuole piacermi o meno haha, ci sono alcune parti che adoro mentre altre un po’ meno!
Comunque, come si può ben capire Naomi è anoressica, sono abbastanza informata sull’argomento, ma lo tratterò solamente nei prossimi capitoli essendo che questa malattia è abbastanza complicata preferisco parlarne in modo adeguato e non con superficialità.
Questo è semplicemente un capitolo di passaggio, ma lo trovo importante per lo svolgimento dei fatti …  sta solo a voi dire se vi piace uhuh
Per la lunghezza credo che ci siamo, ci ho messo un sacco per scrivere di più ma alla fine ci sono riuscita!
Lasciatemi qualche parere, dai!
Un bacio,
xxscapparsi☺

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2651939