Di cosa sono fatti padri e figli.

di lamogliediPaddy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando si sposa una figlia ***
Capitolo 2: *** Problemi elettorali ***
Capitolo 3: *** Vittorio ***
Capitolo 4: *** Zanna bianca ***
Capitolo 5: *** Una mezza disgrazia ***
Capitolo 6: *** Un maneggio ***
Capitolo 7: *** Un mondo di possibilità ***
Capitolo 8: *** Tempo di contraddizioni ***
Capitolo 9: *** La lettera ***
Capitolo 10: *** Dicerie ***
Capitolo 11: *** Mamma e papà ***
Capitolo 12: *** Lo scioperissimo fallito ***
Capitolo 13: *** Caffeina ***
Capitolo 14: *** Anno nuovo ***
Capitolo 15: *** Perchè? ***
Capitolo 16: *** Dalia ***



Capitolo 1
*** Quando si sposa una figlia ***


Spazio autore

Una brevissima precisazione: questa storia riprende alcuni dei personaggi di un'altra mia storia (Eravamo così giovani). Non c'è un legame vero e proprio, perciò potete tranquillamente leggere l'una o l'altra singolarmente. Ho voluto "riciciclarli" semplicemente perché mi piace approfondire delle questioni, o mostrarle da diverse angolature.

Inoltre è probabile che ci sia qualche (anche molte) imprecisione nella descrizione delle dinamiche burocratiche e tecniche dei meccanismi elettorali dell'epoca. Mi sono documentata ma non nei dettagli, sia per pigrizia che per materiale mancanza di tempo. Se mi farete notare questi errori ne sarò felice :)

 

 

 

 

 

 

 

 


Febbraio, 1921.

 

Quando si sposa il primo figlio la vita cambia, credimi!

Lui aveva risposto alle parole di sua sorella con un sorriso e una frase di circostanza, per poi tornare a dedicarsi agli altri invitati.

A tre mesi dal matrimonio di Dalia, la figlia maggiore, nella sua vita non è cambiato molto. La casa non gli sembra più vuota di prima dato che ci vivono ancora i due figli minori (Paolina di sedici anni e Luigi di dodici) e che con la neo sposa non ha mai avuto un rapporto particolarmente stretto. È sempre stata una di quelle ragazze molto femminili e nervose, continuamente alle prese con qualche intrigo, che complottano insieme alle amiche e piangono nella camera della madre. Troppo insofferente per restare a lungo in una casa insieme a due fratelli, si è fidanzata presto e sposata a ventidue anni: in novembre, che pessima idea. Si è giustificata dicendo di voler passare il Natale da sposata e il Capodanno in viaggio di nozze, giudicando la primavera più adatta a compiti seriosi come la sistemazione e l'organizzazione della nuov abitazione. Lui non ha insistito più di tanto per farle cambiare idea.

I suoi amici e i colleghi dell'ospedale invece reagiscono ai matrimoni delle figlie più o meno come ha detto sua sorella: si commuovono, si inorgogliscono e dicono che la casa e la vita non sono più le stesse. Inoltre raccontanto ciò che fanno i loro figli in continuazione e con enfasi, trasformando banali fatti quotidiani in aneddoti mirabolanti. Lui non lo ha fatto quasi mai: trova che i suoi figli non facciano niente di più o di meno di quello che fanno in genere i ragazzi della loro età. Li ama, certo, ma non tanto da avere la vista appannata. Forse dipende dal fatto che nessuno di loro gli somiglia caratterialmente? O forse il problema sono i ragazzi, che non hanno un grande carattere? È possibile che sia così perché lui non è una madre, ma solo un padre?

Sua moglie Rebecca invece ha un legame molto bello con i figli, e in particolare con Paolina. Se li porta dietro quasi tutte le volte che esce e se lui le propone di fare un viaggio senza di loro lei rifiuta. Gli capita di invidiarla, per questo. Ci sono momenti in cui anche lui vorrebbe avere un figlio prediletto, qualcuno che fosse come lui e che a lui guardasse per diventare qualcosa di meglio. Un essere umano verso il cui futuro nutrirebbe un interesse speciale, che andasse oltre l'apprensione che deriva dall'essere semplicemente padre, un futuro che un giorno diventerebbe il centro del suo.

Poi gli viene in mente che lei non ha altro che i figli in fondo, lui invece ha il lavoro e la politica. Entrambi gli forniscono spunti di energia e autorealizzazione, e quando è nel pieno di una di queste attività si rende conto che in nessun caso li baratterebbe con qualche stucchevole momento casalingo, e il suo menage familiare ideale gli appare come una sorta di palude.

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Capitolo 2
*** Problemi elettorali ***


Medico oculista di successo, ex combattente e uomo di cultura, un curiosto misto tra un patriota e un liberale: era stato quasi naturale che il suo nome fosse inserito nelle liste dei Blocchi Nazionali. Aveva buone possibilità di diventare deputato a maggio: nella sua circoscrizione poteva contare sul voto di un buon numero di pazienti, colleghi e liberi professionisti. Tutte queste persone lo stimavano personalmente oppure trovavano rassicurante la sua figura... Quello che gli mancava era il voto dei giovani e dei nazionalisti più accesi: un problema non da poco, che andava risolto in tempi brevi. Tuttavia qualcuno nel comitato elettorale aveva avuto un qualche tipo di idea a riguardo. Avevano in mente un paio di nomi...

L'ostacolo più grosso sulla strada per Roma comunque non sono i socialisti o i cattolici, ma sua moglie. Quando le aveva annunciato la sua candidatura aveva reagito bruscamente e lo aveva sgridato come un bambino: che idea trascurare il lavoro! E tutto per un'avventura! Aveva famiglia, si era scordato? Le avrebbe tirato un ceffone se i figli non fossero stati nella stanza.

Anche ora si rifiuta di dargli il suo appoggio, non lo sostiene nella sua campagna elettorale e non fa altro che lamentarsi con la figlia, che ora lo guarda con dispetto: è evidente che lo accusa di non curarsi di lei. Il che è ingiusto, dato che non le fa mancare nulla e che provvede alla sua istruzione in modo che sia completa: non solo scuola ma anche teatro, musica. Per il resto non saprebbe che fare. Per le confidenze ha già la madre e inoltre c'è quella sensazione onnipresente di non avere nulla da spartire. Lui potrebbe essere forse un genitori migliore se Paolina si sforzasse di essere una figlia diversa, se anche solo fingesse entusiasmo per lui e la sua avventura politica, e gli portasse dei fiori o delle ghirlande azzurre*...  Si consola pensando che forse il maschio crescerà diversamente.

Il pensiero torna al suo problema più urgente: la ricerca di nuovi voti. Il comitato aveva proposto il nome di un tale Vittorio, un fascista scalmanato caposquadra e caposezione, che aveva una certa presa sui giovani e un'oratorio infiammata. Una testa matta, però utile. Glielo presenteranno questa sera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* Il colore dei nazionalisti era l'azzurro.

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Capitolo 3
*** Vittorio ***


Più tardi in macchina ripensa agli ultimi disordini avvenuti nella zona: la sede di una cooperativa incendiata, un capolega a cui hanno sparato sulla porta di casa. Si chiede se sia davvero il caso di coinvolgere nella sua campagna elettorale (quindi ufficialmente) un simile elemento di disturbo. Naturalmente c'è chi apprezza il genere, ma sicuramente non è il grosso dei suoi elettori.


Senti, questo Vittorio non sarà mica un ex vaccaro che si è riciclato come politico? Uno di quelli che fanno i comizi in osteria su una botte rovesciata?

Ma no, no! Anzi, è figlio di un avvocato che abita qui vicino, a Xxx. È uno studente di legge...

Quanti anni ha? Venticinque, ventisei?

Meno, mi pare ventidue...


Oh Cristo. Un bambino. Si immagina uno di quegli studenti di liceo brufolosi e sgraziati, che hanno ancora la testa piena di storie di imperatori romani e sentono i ragazzi più grandi parlare della guerra. Saranno anche la speranza del domani, ma sono ingestibili e indisciplinati, infarciscono i loro discorsi di espressioni da ginnasio e non hanno senso pratico. Chi ha avuto l'idea di farlo caposezione e segnalarlo a lui deve essere un cretino. Dare bastonate è un discorso, fare politica è un altro: serve esperienza, serve sapersi intendere con la gente...

D'altronde quando ci si imbarca in questo genere di imprese non si può evitare di incontrare certa gente, è normale, e in ogni caso bisogna sforzarsi di piacere: una simpatia, una manciata di voti. Per fortuna le elezioni sono vicine: comincia ad essere stanco di tutta questa manfrina.




Due ore dopo è di nuovo a casa. Non si decide ad andare a letto ma nemmeno ha la lucidità per sedersi a scrivere o leggere: semplicemente vaga per le stanze, guardando prima da una finestra e poi dall'altra. Non sa neppure se la sua insonnia sia dovuta ad eccitazione o a disagio.

Vittorio non assomigliava al bambino che si era immaginato: nonostante gli knickerbockers* di tweed e le calze sgargianti non emanava la levità e l'energia tipica dei ragazzi della sua età. Gli aveva stretto la mano con un presa decisa ma ghiacciata e si era presentato semplicemente, con una voce roca quasi monocorde.

Dopodiché gli aveva spiegato concisamente e con lo stesso tono misurato come intendeva aiutarlo: sosteneva di non avere una grande influenza, ma di essere in grado di parlare con Arditi ed ex combattenti, oltreché con altri giovani, per convincerli a votare per lui. Non voleva un deputato comunista e i cattolici non gli piacevano.

Lui aveva notato che parlava senza quasi muoversi, ma che ogni tanto gli occhi neri e lucidi avevano un guizzo e il labbro superiore si contraeva leggermente. In più tossiva spesso. Gli aveva chiesto se stesse bene: si era sentito rispondere che chi aveva avuto la pleurite raramente si sentiva bene in febbraio.

Più che un bambino gli era sembrato una sorta di rettile, nevrastenico come tutti i malati di petto. E come tutti i rettili faceva venire voglia di toccarlo e prenderlo in mano nonostante la repulsione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* http://en.wikipedia.org/wiki/Knickerbockers_(clothing)    La scelta di immagini di mammawiki non è delle migliori, ma nel classico outfit anni '20 sono davvero adorabili!

 

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Capitolo 4
*** Zanna bianca ***


È pieno pomeriggio ed è a casa da solo: la moglie è uscita con Paolina, il figlio è al catechismo. Trovarsi solo nella propria casa in pieno giorno lo fa sentire di nuovo come quando era bambino e aspettava di essere solo per frugare negli angoli, dopo che si era stancato di mangiare quello che non doveva.

Ora è troppo cresciuto per frugare nei cassetti ma non è ancora così anziano da mettersi a rovistare in quelli della figlia per controllare che non abbia un moroso. Inoltre non ha motivo di dubitare di lei. Senza pensarci entra nella camera del figlio, una camera qualsiasi di ragazzino: un letto, una scrivania, una libreria per i suoi pochi libri e uno scaffale per la più numerosa paccottiglia. Buttata sul letto c'è una copia di Zanna Bianca consumata e sgualcita agli angoli: Luigi ha insistito molto per avere in regalo un cane e deve aver preso l'idea da lì. Aperto sulla scrivania c'è anche un libro che spiega come allevare cani da caccia. Gli fa piacere vedere che dopo aver ottenuto l'animale continui ad interessarsene, è un modo come un altro per allenarsi alla coerenza.

Non ci sono soldatini da nessuno parte, né libri che parlando di battaglie. Quando suo figlio sente qualcuno ricordare i tempi della guerra si fa assente e non fa domande come gli altri ragazzini: giustifica la cosa dicendo di voler vivere avventure diverse, viaggiare. In quei momenti lui si sente in dovere di essere severo, lui che la guerra l'ha fatta, e gli ricorda brutalmente che andare sotto le armi non è un'avventura ma un dovere.

Si chiede se anche il padre avvocato di Vittorio abbia combatutto e se ne parli col figlio. Si chiede se parli col figlio in generale, se sappia cosa fa e se lo approvi. Lo ha rivisto ancora dopo la prima volta al circolo: era con sua moglie, che lo aveva accompagnato alla fiera agricola per assistere alla scelta del cane di Luigi e assicurarsi che non fosse un animale mastodontico.

Un ragazzo con un fazzoletto rosso al collo si stava accapigliando con un tipo robusto in camicia nera, intorno ai due si era creato un capannello di persone che urlavano e schiamazzavano. Vittorio si era avvicinato lentamente ai due litiganti, aveva estratto la pistola dalla giacca e aveva sparato in aria, ottenendo il silenzio di tutti e immobilizzando i due litiganti. Il ragazzo col fazzoletto era scappato e il tipo robusto si era allontanato a passi furiosi dalla parte opposta. Vittorio lo aveva seguito lentamente dopo essersi scusato coi presenti per averli disturbati mentre lavoravano.

Nemmeno un'ora dopo lui e Rebecca avevano assistito a un suo discorso: cereo per il freddo, ma elegantissimo e perfettamente pettinato parlava senza scomporsi del paese e della sua redenzione attraverso il sangue, del diritto e dovere dei cittadini di difendere la patria dalle malattie che la corrodono dall'interno.

Rebecca gli aveva detto che aveva trovato davvero Zanna Bianca, ma lui non le aveva risposto perchè era come ipnotizzato.

Sarebbe curioso di conoscere l'avvocato e se si adatta bene al suo ruolo di padre dell'eroe o se è piuttosto il tipo remissivo che teme il figlio. Non riesce però a immaginarsi Vittorio nel privato, anche se deve per forza averee uno: farà sicuramente altro oltre a propugnare la redenzione nel sangue e sparare in aria. Probabilmente studia. Il padre avvocato però non dovrebbe farlo uscire la sera in febbraio, se veramente è stato malato. Deve essere una strana famiglia.

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Capitolo 5
*** Una mezza disgrazia ***


Marzo, 1921.


Vittorio appoggia una mano sulla sua: una mano da donna, sottile e gelida, col dorso ruvido e quasi squamoso a causa del freddo. È un marzo gelido. Lui la stringe  ricordandosi la raccomandazione che gli faceva la madre quando era bambino: se non hai le mani e i piedi caldi, il tuo corpo non può funzionare bene. Allunga automaticamente l'altra mano verso il volto di Vittorio e gli sfiora la guancia con due dita, è gelida anche quella. Il suo respiro solitamente affannoso adesso ha un ritmo quasi asmatico e ha pupille dilatate, è evidentemente in preda al panico ma in qualche modo riesce comunque a mantersi impassibile, scaricando la tensione nella stretta convulsa della mano. È successa una mezza disgrazia: il suo vicino di casa ha ucciso per sbaglio un altro ragazzo, un socialista, durante una rissa e ha nascosto il corpo in preda al panico. L'idea di sotterrare il corpo è stata sua. Nessuno li ha visti parlare col morto quel giorno e il corpo potrebbe non saltare fuori per anni. È andato da lui a chiedere un aiuto: conosce il prefetto, potrebbe parlargli?

È ingenuo e puerile pensare che basti una telefonata per risolvere una grana simile ma, del resto, di questi tempi potrebbe anche funzionare. Inoltre è vero che lui conosce il prefetto piuttosto bene: non potrebbe chiedergli di nascondere la cosa ma potrebbe chiedergli di lasciare fuori Vittorio. Si è rivelato un collaboratore prezioso per la sua campagna elettorale: non solo un buon oratore, ma anche una bella penna. All'inizio gli aveva chiesto di scrivere per lui alcuni discorsi e articoli di giornale più che altro per variare il suo repertorio, poi si era trovato genuinamente bene con il suo stile: periodi brevi ed eleganti che si prestano molto bene ad essere citati e ricordati. Confusamente aveva pensato anche che se lo avesse tenuto impegnato a scrivere sarebbe stato lontano dalle scorribande: aveva già una cicatrice sotto un occhio, regalo di una spedizione a Milano.

Lui sa che Vittorio ha ucciso un uomo, forse due (a lui piace immaginare che lo abbia fatto solo per difesa) e inoltre per questa storia non rischia molto: perciò si spiega il suo crollo di nervi in questo frangente col fatto che è febbricitante, che anche se non è più malato non sarà mai sano.

Tra il rantolare e il tossire ha l'aria di stare per svenire. Forse dovrebbe fargli un'iniezione di calmante? Forse tra un paio di anni sarà morto, e tutta la sua retorica finirà con lui nella fossa. E del ragazzo brillante e violento sulla sedia davanti a lui non resterà neppure il ricordo: ci sarà una rivoluzione, ci saranno altri eroi. Ne parleranno forse i suoi coetanei. Che peccato.

Qualcosa si contrae nel suo basso ventre e gli fa dolere la punta delle dita: un istinto più forte di quello sessuale, l'istinto genitoriale, gli fa decidere che non finirà così affatto, perchè ci sarà lui a impedirlo.

Solleva Vittorio dalla sedia e lo prende fa le braccia sedendosi per terra: si dondola con lui e gli accarezza i capelli, provando una confortevole sensazione di protettività e amore, come non gli era mai successo.

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Capitolo 6
*** Un maneggio ***


Aprile, 1921.


Si è svolto tutto velocemente come in un incubo, ed è stato grottesco come un romanzo d'appendice: era una bella mattinata di domenica piena di sole quando il cane di un cacciatore, scavando nel terriccio, ha dissotterato la testa rinsecchita dell'uomo che l'amico di Vittorio aveva ucciso. Il morto aveva la testa sfondata ed era senza portafoglio, a parte questo non c'era alcun inidizio significativo. Nessuno lo aveva visto allontanarsi dal paese. Inoltre tutti sapevano che aveva l'abitudine di attaccare bottone con quelli che incontrava, anche con i mendicanti.

E tuttavia tutti sapevano che il morto era anche un socialista, che a sua volta sapeva di Vittorio e dei due uomini che aveva ammazzato, il quale a sua volta sapeva che qualcuno aveva prezzolato l'ucciso perchè chiedesse informazioni su di lui e scrivesse un articolo di denuncia. Nessuna prova dunque, ma una catena sommersa di informazioni che erano giunte all'orecchio del prefetto, obbligandolo a fare una telefonata che non avrebbe mai voluto fare.

Ma dall'altro capo del filo il prefetto aveva un interesse scarso o nullo verso la vicenda, e una figlia anemica in attesa del quarto figlio da pochi mesi, ed erano arrivati velocemente ad un accordo di cui nessuno era soddisfatto ma che veniva comodo ad entrambi: l'indagine ci sarebbe stata ma senza fare il nome di Vittorio, e la giovane madre avrebbe avuto un problema in meno.

Lui è un medico oculista è vero, ma un aborto all'inizio di una gravidanza è una procedura piuttosto elementare per lui e per Albina, l'infermiera più anziana ed esperta, una cinquantenne vedova con due figli da crescere e poco tempo per essere sentimentale.

Quando esce dall'ospedale per tornare a casa ciò che prova è sollievo: nonostante quello che è successo sia sbagliato per una serie infinita di motivi, non può fare a meno di sentirsi come qualcuno che ha scampato un pericolo e a cui l'unica cosa che resta da fare è dimenticare e guardare avanti. In fondo non ha fatto nulla di così grave, o che non venga fatto ogni giorno, a qualsiasi livello e per motivi ancora più meschini.

Dall'altro lato della strada c'è Vittorio ritto in piedi con le mani dietro la schiena, che si guarda intorno e lo aspetta per tornare a casa; il piacere e la sorpresa dell'incontro cancellano ogni sensazione sgradevole. Cenano fuori: Vittorio è meno nervoso del solito e sorride apertamente un paio di volte, alla fine si offre di pagare. Quando rientrano gli fa notare che è venuto buio presto e che andrà a dormire con le galline, poi gli porge scherzosamente la fronte da baciare.

"Saprò ricambiarle il favore"  aggiunge, questa volta senza sorridere.

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Capitolo 7
*** Un mondo di possibilità ***


Maggio, 1921.


La lista dei Blocchi nazionali ottiene complessivamente 135 seggi: 35 di questi vanno a deputati fascisti e uno va a lui. Andrà a Roma e potrà dire di aver preso uno dei treni che ha sempre visto passare dalla finestra, e di essere arrivato a destinazione. A dire il vero quella del treno non è tanto un'immagine sua quanto di Vittorio, è lui che dice spesso e volentieri che il loro è un paese di contadini dove l'unico spettacolo è quel treno che passa.

Rebecca ha esultato con entusiasmo per la sua vittoria e la sera ha indossato per lui una veste da camera, una cosuccia di veli rosa che andava bene per un bordello. La mattina seguente gli ha comunicato che non intende seguirlo nella capitale e gli ha tenuto un lungo e ragionevole discorso sulla fatica e l'inutilità di organizzare un vero trasloco e di spostare i figli in nuove scuole, quando basta prendere il treno per incontrarsi o venirsi a trovare. Da quel momento però ha smesso di essere ragionevole: la vede spesso girare assorta per la casa torcendosi le mani, o intenta a rovistare con aria assente tra le carte e le fotografie del suo cassetto delle memorie. Ha quasi sempre dei giornali per le mani e li sfoglia velocemente e saltando da una pagine all'altra come se sapesse esattamente cosa cercare. Gli chiede della politica e di cosa farà a Roma e ascolta le sue risposte come se fossero una lezione da imparare. In generale sembra essere in ansia per qualcosa, e allo stesso tempo risoluta ad affrontarla nel modo migliore.

Neppure la reazione di Vittorio è stata quella che si aspettava. Non è riuscito a vederlo che il giorno seguente a quello della vittoria: non ha partecipato alla festa formale del comitato ma ha festeggiato altrove, probabilmente in qualche bordello o peggio, con i camerati. È stato lui ha presentarsi a casa sua nel tardo pomeriggio in camicia nera e pantaloni alla zuava, scarmigliato e sudato ma con la solita espressione di nervosisimo contenuto. Ufficialmente per congratularsi con lui e accettare la sua proposta di seguirlo a Roma come segretario; ufficiosamente per consigliargli di lasciare i nazionalisti e passare al gruppo fascista. Come Rebecca anche lui gli ha tenuto un lungo discorso su quello che sarà il futuro del paese e il suo, per poi passare i giorni successivi in letargo passeggiando col padre e trascorrendo i pomeriggi su una sdraio in giardino, assorto nei suoi pensieri e quasi ignaro della presenza della fidanzata Liliana al suo fianco. A differenza di sua moglie però non sembra né ansioso né risoluto, ma semplicemente in tranquilla attesa e di qualcosa per cui avrà bisogno di tutte le sue forze.

La cosa che lo ha lasciato più perplesso però è stata la mancanza di euforia di Vittorio, un'anomalia per un ragazzo di poco più di vent'anni che sta per raggiungere il traguardo più ambito dei giovani come lui: Roma, soldi, forse il potere. Avrebbe voluto vederlo la notte della vittoria, capire se almeno in mezzo ai suoi camerati (che lo guardano come una specia di eore) gli era possibile perdere qualche ora la sua aria da angelo vendicatore ed essere normale. In ogni caso il fatto che a Roma vivranno insieme lo agita piacevolmente: intuisce che dietro Vittorio c'è tutto un mondo di possibilità e pensa che abbia ragione, che dovrebbe passare al gruppo dei fascisti.

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Capitolo 8
*** Tempo di contraddizioni ***


Novemebre, 1921.


Dentro si sè ha battezzato gli ultimi sei mesi della sua vita come "il periodo delle contraddizioni": un periodo breve in cui la sua vita è cambiata senza che esteriormente nulla cambiasse, un mutamento direttamente legato ai mutamenti storici. Se guarda avanti vede un futuro promettente e luminoso, ma ancora fatica a credere di avere resistito.

Il suo arrivo a Roma infatti è stato traumatico: l'aula del Parlamento e la città stessa gli sono sembrate troppo vaste e per non rischiare di perdersi ha cercato di parlare o muoversi il meno possibile. Gli anni passati a fare la spola tra l'ospedale e il suo paese di provincia hanno impigrito la sua mente, non sapeva come muoversi nella vita sociale così poliedrica della capitale. Gli pareva che la sua figura di medico quarantenne risultasse patetica di fianco a quella di molti suoi colleghi: quasi tutti erano più giovani e spregiudicati di lui, o avevano cognomi blasonati e carriere di un certo peso. Per un momento ha creduto di essere troppo vecchio per imbarcarsi in un'avventura come quella politica e specialmente in tempi simili. Per reazione la sua tranquilla vita famigliare, con Rebecca e i due figli, gli tornava in mente come un paradiso sereno e pacifico: un pantano sì, ma un pantano confortevole. Loro venivano a trovarlo spesso e lui li portava a pranzo nelle osterie appena fuori dalla città, praticamente ai bordi della campagna, e immaginava di essere al paese.

Politicamente erano quanto mai confuso, si identificava come una nazionalista ma intuiva che qualificandosi come tale non avrebbe avuto molto peso: Vittorio aveva avuto ragione nel dire che i fascisti erano la nuova forza motrice della nazione. E tuttavia faticava ancora ad immedesimarsi in loro, specialmente dopo aver avuto un quadro più preciso della situazione. Episodi come quello di Sarzana* lo turbavano: nonostante non fosse una persona aggressiva non riusciva a condannare quel tipo di violenza. Civettava con quell'idea e per questo non si sentiva in pace con sè stesso.

Se Vittorio non fosse stato lì non avrebbe mai saputo come uscire da quell'impasse, se ne sarebbe semplicemente tornato a casa, tranquillo ma con svariati rimpianti. Ma lui era lì e la sua era una presenza fore abbastanza da spostarlo dal suo asse. In passato si era chiesto come potesse essere il ragazzo in privato: dopo poche settimane di convivenza si è domandato se non fosse pazzo, ma al posto di scappare gli si è affezionato ancora di più. In pubblico era il rettile di sempre, solo più elegante e sorridente: a quanto pare le sue gesta come comandante di una squadra d'azione gli avevano procurato una certa fama, usciva spesso a cena e frequentava molte case eleganti. In apparenza non era molto diverso dall'orda di giovani ambiziosi e arrivisti che si era riversata a Roma, ma quella era appunto l'apparenza. Il Vittorio reale era isterico e violento: scoppiava in singhiozzi rabbiosi se non riusciva ad annodare la cravatta o per un attacco di tosse, dopo aver letto un articolo su un giornale avversario, che lo prendeva garbatamente in giro per le sue pose da angelo della rivoluzione, aveva dato in escandescenze tali da avere una crisi respiratoria. Quando era in buona scriveva molto e bene, si interessava dell'imminente Congresso del movimento fascista e scriveva o telefonava spesso a casa, al padre o alla fidanzata. In altri periodi gli capitava di passare intere giornate su una poltrona davanti alla finestra, rifiutando di parlare con chiunque non fosse lui. In quei momenti capitava che gli venisse vicino e dicesse cose da gelare il sangue: Se morissi mio padre mi metterebbe nella cappella di famiglia, in una bella tomba di marmo nero. Se succederà mi verrai a trovare?

Quei momenti erano stati decisivi per il suo futuro: gli diceva che certe idee tetre non avevano senso ed erano dovute solo alla stanchezza, e per distrarlo parlava con lui di politica o lo seguiva nelle sue uscite serali. Era stato così che aveva avuto modo di conoscere la vera Roma, intelelttuali di vario tipo, i politici e veri fascisti, questi futuri padroni della nazione. Il quadretto idilliaco della sua vita famigliare era tornato ad essere, appunto, solo un quadretto.

Ora anche lui, come Vittorio, si prepara al Congresso del movimento fascista e alla sua trasformazione in partito. Prenderà una tessera.

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Capitolo 9
*** La lettera ***


La fine di novembre, 1921


Alle nove di sera il cielo è già nero, ma a Roma i caffé e i ristoranti non chiudono presto e la strada sotto la finestra è illuminata e trafficata, il paesaggio è punteggiato di luci traballanti fino a dove riesce a vedere. Dalla via sale il rumore di gente che passa e parla e si sente anche della musica: in un altro stato mentale avrebbe apprezzato l'insieme. Posata sul tavolo alla sua destra c'è la lettera della moglie, sdraiato sul divano alla sua sinistra c'è Vittorio, febbricitante, che dorme con una mano nella sua; la settimana del Congresso ha spossato entrambi (per motivi non del tutto simili) e il gelo di novembre ha fatto il resto. Si sente preso tra due fuochi.

La lettere di Rebecca è lunga ed è evidentemente il frutto di un momento di risoluzione di chi ha meditato a lungo, e ha finalmente trovato il coraggio di agire. La moglie inizia come sempre dandogli notizie dei figli e della casa, allegando alcune informazioni generiche su amici e conoscenti e sul loro prossimo incontro, per cambiare improvvisamente tono verso la fine: al posto dei saluti di rito ci sono quasi due pagine agitate di dicerie raccolte su Vittorio, considerazioni sul cambiamento della loro vita e inviti a lasciare perdere tutto e tornare a casa. E tuttavia non è una lettera patetica, e lui non può ignorarla: due omicidi e uno stupro (anche se di questo non è sicuro, e potrebbe essere solo un pettegolezzo maligno) non sono cose che può accantonare. Sa che Rebecca è una donna intelligente nonostante tutto e che ha molto pudore: se è arrivata a scrivergli cose simili, vale la pena di rifletterci. E non può negare di sentire la mancanza di una persona semplice, del buon senso di una come lei.

Così come non può negare, nonostante gli voglia bene ora più che mai, che in Vittorio ci sia un guizzo di follia, che derivi dalla malattia o da una tara ereditaria. I cinque giorni congresso si sono conclusi con un decina di morti o forse più, e innumerevoli scontri: il Partito ne è uscito rafforzato, le squadre d'azione ancora di più, poichè hanno deciso di inquadrarle in una milizia effettiva. Un'occasione di carriera molto opportuna per un ragazzo così brillante, come gli è stato fatto notare a una cena, si pensa per lui a una sistemazione in qualche organo di stampa. Vittorio ha scritto un articolo lungo e infiammato su quei cinque giorni di agitazione, giorni durante i quali lui lo ha visto solo da lontano in mezzo ai suoi camerati adoranti, e notti in cui non è mai rientrato a casa. Che ha passato bivaccando in qualche macchina, alla testa dei suoi o chissà dove, sicuramente armato...

Giorni e notti che ha passato al freddo, mangiando male e fumando troppo, e che lo hanno lasciato tramortito e febbricitante sul divano da cui non si vuole muovere. Nervoso e piagnucolante più del solito richiede più attenzioni di quante suo figlio, molto più piccolo, non ne abbia mai richieste. Ma lo incanta con la sua mente brillante, con la freddezza che non cambia che si parli di spedizioni o di tè nei salotti dei principi romani, con le sue manie, come suo figlio non ha mai fatto.

Rebecca e i figli lo raggiungeranno per qualche giorno prima di tornare definitivamente per le feste di dicembre: allora la porterà a pranzo con Vittorio. Vuole avere entrambi davanti agli occhi.

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Capitolo 10
*** Dicerie ***


Novembre, 1921.


Rebecca ha una cara amica in paese, Erminia, con cui ha frequentato la scuola delle suore da bambina e con cui si vede quasi giornalmente. Erminia è bionda, prosperosa e pingue, parla affetatamente e in falsetto e in generale ha modi piuttosto stucchevoli, che però compensa con una grande socievolezza e curiosità. Se non fosse per l'amica Rebecca non sarebbe così informata sulle vicende di paese, non tanto perché sia timida quanto per una certo pudore che le impedisce di fare troppe domande.

Suo marito non apprezza Erminia e la ritiene stupida e intrigante, così come trova stupida e intrigante praticamente qualasiasi forma di rapporto femminile. Il grande deputato, il medico di successo e patriota, nonostante tutta la sua cultura ed esperienza del mondo divide tutto in comparti stagni: ciò che è tipicamente femminile è generalmente stupido, casalingo o isterico. La sua è una visione del mondo ottusa: la rete di informazioni e supporto che lei, Erminia e le altre donne hanno creato tra loro è vivace e intelligente e va oltre il mero pettegolezzo, se non parlassero tra loro saprebbero molte meno cose e più di una famiglia sarebbe finita in un culo di sacco.

Quando è ripiombata nello stato di agitazione in cui l'aveva gettata la partenza del marito, che era scomparso nel vederlo insoddisfatto della sua avventura, è stata appunto Erminia ad aiutarla. Infatti quella che lui aveva giudicato una paturnia altro non era che paura, sbigottimento nel vederlo allontanarsi dalla famiglia e dalla sua vita per seguire un pazzo violento, nel vederlo avvicinarsi a qualcosa di pericoloso e triste. Forse era un'ignorante in fatto di politica e di guerra, ma vedeva chiaramente quello che lui fingeva di non vedere: e cioè che Vittorio aveva ucciso due uomini, che durante le sue spedizioni aveva violentato una donna e bastonato uomini in tutta la provincia... Che era un sadico e non perché fosse malato, ma perchè era cattivo. Forse matto.

Erminia aveva chiesto in giro, si era informata sulla famiglia del ragazzo, che non era affatto la normale famiglia ricca e provinciale che sembrava. La madre Zelia viene dal mantovano, da genitori ricchi: una zia, sorella del padre, era stata in manicomio e la madre soffriva di crisi nervose molto forti che le provocavano paresi temporanee. Si è sposata col marito Giulio che era già incinta. Il marito avvocato non ha niente di insolito se non una passione violenta e ostinata per le troie, cosa che gli ha rovinato la salute. Entrambi i coniugi hanno la passione delle armi e della caccia, attività in cui hanno sempre coinvolto il figlio sin dall'infanzia. Lui è comunque più socievole di lei, che frequenta poco il paese e spesso prende la macchina per andare a trovare le amiche milanesi (è stata in collegio lì). Comunque è una donna elegante e belloccia: non assomiglia al figlio nei lineamente e nei colori ma si muove nello stesso modo, come se fosse sott'acqua, e ha la stessa energia nervosa contenuta.

Nessuno dei due ha mai rimproverato il figlio per la sua condotta sebbene, secondo Erminia, non potessero non sapere quello che faceva. Sapevano tutti che la madre lo aveva accompagnato dal suo sarto per la divisa da squadrista, e che il padre aveva contribuito economicamente perchè la squadra di Vittorio si procurasse un BL*. Il che ovviamente non bastava ad accusarli di connivenza, ma era comunque strano che gli permettessero di rischiare così la vita sua e degli altri, sapendolo oltretutto di scarsa salute.

Così lei ora si torce le mani di nuovo e cammina sospirando per la casa. Sperando che la carriera del marito finisca in una bolla di sapone o che Vittorio si faccia ammazzare prima di rovinare tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* Il classico furgone scoperto usato per le spedizioni sia dai dagli squadristi che dai socialisti negli scioperi.

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Capitolo 11
*** Mamma e papà ***


Dicembre, 1921.


È molto tardi, quasi le tre del mattino, e dormono tutti: suo marito e i bambini, e anche Vittorio. Dalla strada non arriva più rumore della vita notturna di Roma, si sente solo qualche sporadico passante che rientra di fretta. È una notte gelida ma la cucina è calda e non sarà costretta a tornare subito a letto, dove non riuscirebbe comunque a prendere sonno per il nervoso e l'irritazione che le torcono lo stomaco. Si domanda se non abbia finalmente assaporato il famoso sapore amaro della sconfitta.

Non molte ore prima si preparava a uscire a cena col marito e Vittorio, pronta a dimostrare che era un pazzo. La sua lettera era stata presa sul serio e il suo arrivo a Roma era stato accolto con entusiasmo da suo marito, che era talmente di buon umore da voler portare in bambini in pasticceria (Paolina non è più una bambina ormai, ma era stata abbastanza matura da non polemizzare). Per quanto piacevole fosse stato il pomeriggio, la presenza dei figli non le aveva permesso di parlare col marito dell'argomento che le stava più a cuore: la sua carriera politica (che poteva finire) e la sua amiciza con Vittorio (che doveva finire). Nondimeno si era ripromessa di imporsi durante la cena, vincendo la sua timidezza per amore della pace della sua famiglia.

Senonchè il suo nemico l'aveva sconfitta prendendola il contropiede: si era presentato insieme ai genitori. Forse li aveva invitati con l'intento infantile di non sentirsi in disparte, o forse aveva maliziosamente intuito che lei gli era ostile ma che davanti ad estranei, non avrebbe avuto il coraggio di fare scandalo. In realtà non aveva avuto né lo spirito né il modo di fare assolutamente nulla: l'avvocato, il padre, aveva tenuto banco per la maggior parte del tempo. Probabilmente più benestante di loro, sicuramente meno provinciale, aveva viaggiato un po' e frequentato un certo tipo di società più mondana (e ambigua) che raffinata di cui gli piaceva parlare. Lei era quasi certa che le sue storie fossero gonfiate ad arte, nonostante ciò suo marito lo ascoltava rapito, preso nel più banale dei meccanismi: i figli della retta via si innamorano inevitabilmente dei loro opposti. Allo stesso modo il medico e deputato che si era sposato giovane e andava al casino più che sporadicamente, era entrato immediatamente in sintonia con l'avvocato che aveva sposato, già incinta, una donna più giovane di lui, era stato in Brasile ed era il padre di un assassino. La madre di Vittorio non aveva parlato granché: perlopiù aveva fumato e sparso in giro profumo. Si era limitata a qualche commento orgoglioso sull'avvenire del figlio in un'ipotetica ma probabile milizia, o su quanto sia piena di vita Roma. Il figlio le teneva la mano e le sorrideva, lei lo pettinava e vuotava il bicchiere di vino al posto suo, rimproverandolo bonariamente. Vittorio aveva parlato con moderazione e sorriso molto. Lei trovava che non gli si addicesse affatto e che avesse l'aria di una recita, ma suo marito gli sorrideva felicemente di rimando.

Nel complesso era stato come cenare con i personaggi di un libro, uno scadente oltretutto. Al rientro suo marito era entusiasta e aveva cassato il suo tentativo di riparlare della lettera dicendole che quello che aveva saputo erano solo pettegolezzi, che però capiva come avessere potuto prenderli seriamente a causa del clima di disordine che regnava da loro. Che non c'era motivo di preoccuparsi e che comunque ne avrebbero discusso ancora, e in ogni caso la sua avventura politica non era in discussione.

Passando davanti alla stanza di Vittorio lei l'aveva trovata aperta: nel silenzio della notte aveva avuto l'idea di aprire la finestra e farlo crepare di polmonite, ma aveva lasciato perdere.




Quando Vittorio gli ha presentato i genitori ne è stato felice: si possono capire molte cose di una persona quando si vede da dove viene. Conoscere sua madre e suo padre era un modo come un altro per confermare, o smentire, la lettera della moglie. L'impressione che ne aveva avuto leggendola si era affievolita giorni dopo averla letta e l'incontro con l'avvocato e la moglie aveva fugato i dubbi.

Innegabilmente non erano persone come lui e Rebecca e probabilmente era vera la voce secondo cui l'avvocato fosse un accanito puttaniere, nondimeno entrambi gli erano sembrati così vivi e liberi da fargli chiudere uno (o entrambi) gli occhi. Il padre di Vittorio aveva parlato a lungo e raccontato storie anche personali, con la tranquilla disinvoltura di chi sa che "tutto è puro per i puri". L'eccitazione che prende il figlio solo nei momenti d'impeto era sempre presente, smussata e più opaca, nel padre: come una contentezza di stare al mondo che mette le persone a proprio agio. La moglie è molto più simile al figlio di quanto avesse immaginato: bella e fredda, parlava poco ma in modo preciso e mirato. Non era gradevole quanto il marito, ma era una presenza che si sentiva.

Il figlio di qui due, lo stesso Vittorio che a tavola stringeva la mano della mamma, non assomiglia al teppista della lettera. Del resto Rebecca non era mai stata in guerra e qualsiasi violenza, anche minima, per lei era qualcosa di spaventoso e una minaccia per i suoi figli. Lui sa che invece, per il bene della sua famiglia e del suo paese, è inevitabile ricorrervi quel tanto che basta.


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Capitolo 12
*** Lo scioperissimo fallito ***


 

Agosto, 1922*


Hanno detto che lo sciopero è finito ed in effetti sembra che sia proprio così: nella campagne la maggior parte dei braccianti è tornata al lavoro. Tuttavia ci sono ancora tafferugli qua e la, per questo Erminia si è fermata a dormire da lei con la figlia: il marito che è via per lavoro non si azzarda a prendere il treno. Comunque non le da fastidio anzi, l'ha fatta sentire più sicura avere in casa qualcuno in questi giorni di disordini, tanto più che suo marito pur essendo tornato da Roma è sempre a Milano, diviso tra l'ospedale e la politica. Le notizie che arrivano al paese sono frammentarie e discordanti, alcuni dicono che i rossi hanno devastato la città, altri dicono che i fascisti hanni riportato la calma e altri ancora che ci sono degli scontri in corso, ma che la situazione è sotto controllo. Questo stato di insicurezza ha snervato tutti e in particolar modo Rebecca: se Erminia e le altre donne che hanno gli uomini in città o lontani per lavoro possono consolarsi sapendoli trincerati in una pensione o una bottega, lei deve fare in conti con l'idea del marito in prima linea insieme a Vittorio. O almeno, così crede e non pensa di sbagliare molto.

Il fatto che lui non sia stato al suo fianco nei giorni precedenti, sostenendo che con Erminia in casa e in un paese piccolo come il loro non correva pericolo, aggiunge rabbia alla sua preoccupazione: due braccianti e un fascista sono rimasti uccisi, i carabinieri hanno presidiato le strade e lei ed Erminia si sono trovate senza cibo, e sono state costrette a uscire di casa e affrontare le vie semideserte del paese.

Dal suo viaggio a Roma la situazione non è cambiata quasi per nulla se non forse in peggio, e Vittorio continua ad essere una presenza costante nella vita del marito, che oltre ad avere preso la tessera del fascio ha iniziato a bazzicare frequentemente i circoli di ex arditi e sansepolcristi del ragazzo. A volte pensa che sarebbe stata in grado di farlo tornare casa se anche il mondo non avesse congiurato contro di lei: forse senza fascismo, senza lotte, senza tutto questo ad alimentarne l'ambizione, lui si sarebbe ritirato in buon ordine con la fine del suo mandato.

Nel silenzio del pomeriggio si sentono alcuni spari sporadici, sono i carabinieri che sparano alle bottiglie di vetro per passare il tempo. Rebecca sospira e si chiede come finirà tutto questo.

 

 


 

 

Il giorno in cui i socialisti hanno proclamato lo sciopero ad oltranza, Vittorio non si è scomposto e gli ha detto che quei fessi stavano facendo loro un favore, e che li avrebbero rimandati così al governo quanto prima. Un'opinione azzardata che in queste settimane si è rivelata azzeccata: lo scioperissimo si è dimostrato un grosso fallimento che ha logorato i nervi della popolazione e permesso alle camicie nere della futura milizia di dare una prova di forza non indifferente. La sconfitta dei rossi è stata schiacciante: in pochi giorni centinaia di leghe e sezioni del partito socialista sono state spazzate via, e inoltre hanno perso l'appoggio della popolazione, che teme il bolscevismo.

Questi i pensieri che poche ore prima lo hanno spinto ad uscire dall'ospedale dove era fermo da tre giorni a rammendare i feriti degli scontri, per seguire Vittorio fino al Municipio che le squadre dei capitani Forni e Vecchi avevano preso e che era ormai il centro dell'azione. Il Vate** avrebbe parlato dal balcone, non potevano mancare! Milano era presa, salda. Ripulita.

Così sembrava davvero: alcuni tram avevano ripeso a circolare, c'erano capannelli di uomini in camicia nera un po' dappertutto e in generale la situazione era calma. Camminare per le strade con un giovane in divisa, armato e inequivocabilmente reduce da uno scontro, non gli sembra pericoloso. L'atmosfera è quella di un trionfo. È inebriato da un misto di sensazioni: soddisfazione, sollievo, entusiasmo per quello che si prospetta un nuovo inizio. Vittorio è altrettanto svagato: dopo tre giorni di scontri ha abbassato la guardia, ha sonno e spera di tornare presto a casa, ora che ha fatto il suo dovere.

È quindi per un colpo di fortuna che alzando gli occhi si accorgono di due giovani con un fazzoletto rosso al collo e un fucile, e che li vedano prima di essere visti. Si infilano in un portone e si nascodono dietro a un muro. Vittorio lo tira per il braccio su per le scale: è una casa di ringhiera e una parte del corridoio da sulla strada, permettendogli di vedere tutta la via. Vedono i due socialisti camminare veloci e gesticolare in modo concitato e preoccupato, è probabile che vista la situazione stiano ripiegando. Dalla loro fretta si capisce come si stiano lasciando alla spalle qualcosa che li inquieta: altri fascisti probabilmente. Il che per loro equivale a un via libera.

Proprio mentre si decidono a tornare in strada succede qualcosa che li inchioda di nuovo al loro posto: i due socialisti incontrano a metà strada un ragazzo in camicia nera, che sembra molto giovane. Tutti e tre sembrano pietrificati: uno dei rossi ha spianato il fucile e il fascista ha alzato le braccia. Dall'alto non si riesce a capire se stiano parlando. Sembra che nessuno sappia cosa fare. Lui non sa che fare. Potrebbe urlare e farli fuggire, ma non è sicuro che funzioni. Sembra che il tempo scorra velocissimo e nello stesso tempo a rilento. Spera che i due non sparino al ragazzo davanti ai suoi occhi: non è che abbia paura di vedere un morto, solo odia sentirsi impotente.

Il tizio col fucile adesso è più agitato, gesticola e parla. Ma dalla sua posizione non riesce a sentire cosa stia dicendo. Perché non se ne vanno e basta? Se sparano attireranno solo l'attenzione di altri squadristi. Sarebbe un errore potenzialmente suicidia. Solo che il tizio non pare pensarla allo stesso modo, è probabile che le cose si mettano al peggio per il giovane in camicia nera. Il fucile torna in posizione contro di lui.

Papà non farglielo fare!

È Vittorio che ha parlato, e ha parlato a lui. Lo fissa pietrificato dal gradino su cui è seduto.

Non farglielo uccidere papà!

Gli si avvicina, gli sfila la pistola e la punta sul tizio col fucile. Non è un tiratore scelto, la distanza e l'agitazione sono contro di lui. Lo colpisce di striscio a una gamba ma tanto basta per convincere lui e il compagno a scappare. Anche il ragazzo in camicia nera scappa, sbandando un po'.

Lui e Vittorio tornano in strada e si affrettano verso il Municipio, tenendosi sottobraccio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


* Una lunga storia in breve: il governo Facta caccia i fascisti dal governo. I socialisti proclamano uno sciopero a oltranza fino a che non verrà restaurata la democrazia. Lo sciopero fallisce miseramente perché la maggiora parte dei cittadini è letteralmente terrorizzata dall'idea di una rivoluzione simile a quella russa, inoltre i fascisti possono contare sull'appoggio dell'esercito e in generale sono molto meglio organizzati. Il 3 di agosto i fascisti prendono possesso di Palazzo Marino e presidiano Milano per circa una settimana. Per farla ancora più breve: la forza acquisita dopo aver represso rivolte un po' in tutta la nazione li metterà in condizione di marciare su Roma ad ottobre. ** Gabriele D'Annunzio.





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Capitolo 13
*** Caffeina ***


29 ottobre 1922, Milano*

 

 

Nella sede del fascio in via san Marco l'atmosfera è un misto di euforia e ansia febbrile: il re ha convocato Mussolini e la buona riuscita del colloquio è quasi sicura, tuttavia Milano è ancora in fermento. Le ultime notizie dicono che le squadre del capitano Forni hanno preso l'Avanti. Vittorio è il comandante di una delle squadre e avrebbe voluto partecipare ma il comando ha preferito averlo lì insieme ad altri ufficiali, nel caso in cui ci fosse la stata la necessità di coordinarsi o di trattare con le altre autorità. Necessità che in ogni caso non sembra profilarsi: le telefonate da Roma (e non solo) sono cautamente ottimiste. È molto probabile che tra un paio di giorni avranno un nuovo governo.

Lui ha seguito Vittorio in questi due giorni di trambusto in duplice veste: deputato e medico, sempre in caso di bisogno. Per la prima ha volta lo ha visto incespicare sotto il peso dei suoi ventidue anni appena e della sua scarsa salute: in mezzo agli altri ufficiali si sente evidentemente fuori posto per la sua inesperienza, sa cosa sta succedendo senza saperlo del tutto, ed è in fondo la prima volte che i suoi uomini  (in realtà anche loro poco più che ragazzi) compiono una vera e propria azione fuori dalle loro campagne. Dopo due giorni di ansia, freddo e quasi nessun riposo è ridotto ha una fascio di nervi tremanti.

Per questo decide che è ora di tornare a casa: la loro presenza lì non è più strettamente necessaria. Il passare delle ore non fa che confermare il successo del partito. Ed è mentre sono quasi all'uscita, con i cappotti già addosso, che due degli squadristi di Vittorio entrano di corsa scompigliati e sudati ma con l'aria molto seria: gli annunciano che due camerati e compaesani sono appena morti all'ospedale. Lui si comporta come dovrebbe fare un capo: li abbraccia e ascolta i loro resconti, dopodiché provvede a telefonare al comando dei carabinieri del paese, perché avvertano le famiglie.

Poi gli chiede un bicchiere d'acqua, ne beve un sorso e crolla a terra.

 

 


 

 

È per uno scherzo del destino che la famiglia di un ragazzo ucciso vive nella loro via: le urla della madre risvegliano Rebecca nel mezzo della notte, facedole venire il batticuore e tremare le ginocchia.

Mezz'ora dopo altre urlano finiscono per svegliare l'intero vicinato: una macchina frena davanti al suo cancello talmente forte da far urlare le gomme, ne escono due tizi in camicia nera e suo marito, con una specie di involto tra le braccia. Il trambusto si perde in giardino e sul retro della casa, dove c'è una rimessa che veniva usata come ambulatorio. Nessuno entra o viene ad avvisarla e dalla sua posizione alla finestra non capisce cosa stia succedendo, decide perciò di scendere a controllare. Nel suo stato di agitazione si rende conto solo all'ingresso della presenza della figlia al suo fianco.

L'involto che suo marito reggeva in realtà è Vittorio: è avvolto in una coperta di lana e sembra morto. In un primo momento aveva creduto che gli avessero sparato ma ora nota che le chiazze scure sulla camicia e i pantaloni sono rispettivamente vomito e piscio. Suo marito, cieco e sordo al mondo che lo circonda, gli tiene il polso e controlla il battito del cuore mentre i tizi in camicia nera hanno espressioni ridicolmente compunte e uno dei due continua a fare domande ansiose: è vivo? che ha? cosa gli inietta?

Caffeina, risponde lei. Ha riconosciuto il flacone. Suo marito conferma e dice che è per il cuore, che non batte abbastanza velocemente e ha provocato il collasso. Vittorio sbatte un paio di volte le palpebre e si rianima quel tanto da mettersi a sedere e vomitare di nuovo, tra il panico dei camerati e lo sgomento di suo marito.

Rebecca prende la mano della figlia e torna in casa, non c'è più niente da vedere. Le chiede se lo spettacolo l'ha impressionata, se la nottata l'ha agitata.Paolina le risponde che sperava che quel pezzo di merda morisse. Lei non ha la forza di rimproverarla e la guarda in silenzio mentre torna in camera sua: persa nello stupore si chiede da dove abbia tirato fuori un'opinione così decisa su Vittorio.

Quanto all'espressione non si preoccupa molto, sa per esperienza di prima mano che le scuole per signorine sono una fonte inesauribile di improperi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Marcia su Roma: etc, etc, etc.

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Capitolo 14
*** Anno nuovo ***


Dicembre, 1922

 

Quando Rebecca aveva tredici anni la quiete del paese era stata sconvolta dall'arrivo di una donna, un personaggio su cui la gente avrebbe favoleggiato per anni: la signorina Fabrizia. Gli adulti, specialmente gli uomini, ne parlavano ridacchiando e la definivano bella, anche se lei la ricorda piuttosto anonima: alta e bionda ma con i lineamenti marcati, il naso aguzzo e le palplebre pesanti. Stava in una villletta nuova ai limiti dell'abitato insieme al figlio, un bambino biondo come lei. Per le pulizie aveva una domestica a ore e si faceva la spesa da sola: vestiva abbastanza elegantemente e spesso di nero, anche se il suo nero per qualche motivo sembrava diverso da quello di vedove e anziane.

La signorina Fabrizia si faceva notare specialmente per la sua situazione personale: era uno strano ibrido tra una mantenuta e una seconda moglie. Il padre di suo figlio era sposato con un'altra donna, ma aveva riconosciuto il piccolo e lo andava a trovare spesso. La moglie sapeva dell'esistenza di questa famiglia succursale ed era disposta a tollerarla, purché se ne stesse lontana

Gli uomini del paese la pensavano a riguardo principalmente in due modi: alcuni invidiavano il fortunato possessore di due donne, altri sostenavano che il carattere ufficiale delle due relazioni togliesse pepe alla cosa, trasformando le due donne in una moglie divisa a metà. Le donne aggiungevano che forse erano proprio l'amante e la moglie a sentirsi divise a metà: dovevano accontentarsi di mezzo marito.

Questa vecchia storia le è tornata in mente perchè al momento anche lei sente di avere metà marito; l'altra metà è presa a fare la spola tra la casa di Vittorio (ancora malato, anche se in via di guarigione) e le varie federazioni e sedi di partito. Inoltre è divisa anche internamente, la parte di lei che ha lottato contro la nuova vita del consorte le sembra ora estranea: le cose si accomodate in modo da non nuocerle più e il suo prolungato risentimento le sembra ora inutile. Suo marito infatti ha rinunciato a Roma, in quanto dopo gli eventi di ottobre è necessario che il partito abbia uomini su tutto il territorio e lui è l'uomo ideale per questa zona. Continuerà a fare politica ma localmente, in posto relativamente pacifico e in una posizione secondaria, che gli permetterà di fare il medico e il padre.

Vittorio ormai non è più un pericolo perchè la sicura creazione di una nuova milizia, e un suo probabile incarico in relativo organo di stampa o simili, significano che l'era delle scorribande e delle sparatorie per lui è finita. Che suo marito continui a frequentarlo non è più un problema: non sarà che un compagno di partito. Inoltre è troppo malato per essere una minaccia in qualsiasi senso, ha avuto modo di vederlo le poche volte in cui è andata a fargli visita (avrebbe evitando potendo, ma sarebbe stato troppo visibilmente scortese). Accomodato sul divano di casa, senza divisa e senza camerati di contorno non le ispira nulla più che una sorta di pietà e un rimasuglio di fastidio per il tempo che il marito gli dedica. A lei ora pare solo un ragazzetto comune e anche i suoi genitori, senza lo sfondo dello sfarzoso ristorante romano, hanno perso il loro fascino ambiguo.

Infine, questo nuovo stato di cose è decisamente più sopportabile.

 


 

Dopo un anno di tempesta finalmente ora si preannuncia un periodo di calma, sotto ogni punto di vista. Rebecca si è tranquillizzata da quando le ha detto che non sarebbe tornato a Roma, scegliendo di collaborare col partito restando lì, ed è magicamente tornata la donna di prima. Nonostante sotto la sua calma si intravedano ancora delle onde di inquietudine e irritazione è evidente che la rassegnazione, o la razionalità, hanno comunque il dominio. La sua avversione per la politica si è spenta, così come la sua antipatia per Vittorio... Forse ha finalmente capito che non ha proprio nulla da temere. La pace ritrovata e l'imminenza delle feste rendono la casa un luogo particolarmente accogliente, il rifugio ideale dalle lotte di fuori.

Politicamente il nuovo anno sarà un anno di riforme. Il partito e Mussolini hanno dato la prova di forza necessaria, ciò che è necessario fare ora è consolidare le proprie basi. Non sarà un problema, ne è sicuro. Sarà un duro lavoro questo si, dovranno impegnarsi molto perché ci si abitui all'organizzazione e alla disciplina, ma il lavoro non lo spaventa.

Vittorio sta meglio: il suo malore di ottobre non è stato che una conseguenza della stanchezza e del riacutizzarsi della tosse, per il freddo preso. Pur essendo meno grave di quello che si pensava si è rivelata necessaria una lunghissima convalescenza, a causa della sua costituzion non forte e del suo carattere nervoso. In questi mesi ha avuto modo di passare molto tempo con lui, e diversamente dai giorni di Roma non c'è stata la distrazione della politica. Ha visto Vittorio per quello che era: cioè qualcosa di sfuggente e indefinito, con un nucleo freddo e dolce. Durante la malattia non ha perso nulla di ciò che lo aveva impressionato all'inizio, senza la divisa non è cambiato, è solo diventato più intensamente Vittorio. Suona il piano, qualche volta suonano insieme. Leggono il giornale, lo aiuta a scrivere i suoi articoli. È venuto a cena da loro coi genitori un paio di volte, sono state serate piacevoli.

Inizia finalmente un nuovo anno.

 

 

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Capitolo 15
*** Perchè? ***


Pensare che la giornata è stata buona: non ha fatto freddo, il matrimonio è stato allegro, nonostante la mancanza di Filippo e Rebecca sono riuscito a divertirmi. Merito del vino va bene, ma che importa. Talvolta si ha bisogno di avere la testa leggera, vino e stanchezza sono la combinazione migliore e per questo sono stato contento quando chi mi ha accompagnato mi ha lasciato all'imbocco del paese che era buio: pochi passi e sarei stato a casa, al caldo e presto a letto.

Non so, forse questa voglia di sentirmi leggero è la mia dannazione, se quel giorno a Milano non ci fosse stato Filippo sarei finito in bocca ai socialisti. Ma è inevitabile per me, non sono abbastanza forte e non ho la resistenza di un buon soldato. È un bene che non abbia dovuto fare la guerra, anche se probabilmente sarei stato riformato. Che umiliazione. Ma la Rivoluzione è stata una seconda occasione accettabile e ho fatto ciò che ho potuto.

Resta il fatto che avrei dovuto fare più attenzione, ma chi ha paura dei passi di una donna quando si trova proprio vicino a casa? Non è l'ora migliore che possa scegliere una donna sola per essere fuori casa, ma del resto loro non hanno orari: ci sono sempre un parente un bambino malato da visitare, un medico o una vicina da allertare. La faccia sotto al lampione poi non mi era neanche nuova, chi se ne frega. Ho solo perso tempo a cercare di idenficare la treccia bionda, e non ho fatto caso al movimento inequivocabile del braccio sotto la mantella, specialmente quando ho riconosciuto Paolina.

Del resto niente accade più rapidamente dello sparare a qualcuno, quando si è decisi. Il rumore è stato minimo, quello di una latta schiacciata, perciò la pistola doveva essere uno di quei giocattolini da tasca col calcio in madreperla. Ma abbastanza per gettarmi a terra. Non riesco a localizzare il dolore né a capire se mi abbia perforato un polmone o semplicemente spezzato la clavicola... Nessuno esce di casa, nessuno si affaccia alla finestra. Forse non hanno sentito, forse hanno visto me e hanno lasciato perdere... Casa di Filippo non è lontanta, potrei trascinarmi fino lì. Penso di gridare e chiamare aiuto... Magari aspetto che il dolore mi stordisca e provo ad alzarmi...

È assurdo, non ha senso. Tra tutti, perché Paolina? La conosco a stento...

Tra poco mi alzo...

Tra poco, adesso... riposo...

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Capitolo 16
*** Dalia ***


Mio padre è chiuso nel suo studio da nove giorni: troppi. Mamma è preoccupata, i miei fratelli sono troppo piccoli per sapere cosa fare e chiamare i vicini è fuori questione; dopo i numeri fatti da papà nell'ultimo anno non è proprio il caso di fare altro rumore. Perciò ha chiamato me anche se, a parte chiedere a mio marito di sfondare la porta, nemmeno idea ho idea di come agire. Da quando sono sposata avrò visto papà una quindicina di volte e anche prima non avevo con lui tutta questa confidenza. So che genitore è, ma quanto alla persona...

Quando ho saputo di Vittorio ho immaginato che l'avrebbe presa male ma non immaginavo questo, pensavo che avrebbe pianto più che altro.  Deve averla presa peggio di quanto pensassi. Io ho assistito al funerale comunque, naturalmente per obbligo: non si sa chi l'abbia ammazzato, perciò tutto il paese si è sentito in dovere di partecipare per dimostrare di  essere innocente o ignaro. È stata una cerimonia pacchiana*: canti, bandiere, marce... E la bara aperta per tutto quel tempo, che orrore con quella bambola di cera coperta di fiori. Vittorio non aveva un aspetto vitale neanche da vivo, figurarsi a un giorno e mezzo dalla morte.  Ci ho parlato poche volte a casa dei miei e ho avuto l'impressione che fosse un po' tocco: ti parlava con quella vocetta monotona e ti fissava fino a che non gli prendeva una specie di spasmo alla bocca. Non aveva per niente l'aria del picchiatore o di uno che prende una donna a forza, però così dicevano e probabilmente era vero. Eppure aveva una fidanzata... Un po' sciapa poveretta, ma chi se lo pigliava quello.

La vicina mi è piombata in casa nove giorni fa senza neanche bussare, cosa che mi ha scocciata non poco perché stavo facendo l'uncinetto e siccome sono negata, se vengo interrotta finisco per annodare tutto e dover buttare via i miei centrini storti. La notizia però valeva il centrino: avevano trovato Vittorio ferito per strada erano corsi a chiamare mio padre, solo che quando lui era arrivato Vittorio non era ferito ma stecchito, e anche da parecchie ore. Così è andato via senza dire una parola. Poi mamma mi ha detto che non ha parlato neanche a casa ma ha preso le scale e  si è chiuso nel suo ufficio. Apre uno spiraglio di porta solo per far passare il vassoio col pranzo e la cena ma per il resto non collabora molto.

Mamma non vuole che far sfondare la porta e le ore passano.  Decido di fare un estremo tentativo e scrivo un biglietto per papà, glielo passo sotto la porta: sopra c'è scritto che Luigi è suo figlio ed è ancora vivo, e di mostrare un po' del coraggio che lui e quell'altro predicavano. La porta si apre quando sono già in giardino.

 

Paola, tuo padre forse ha smesso di dare di matto. Se Dio vuole si torna alla normalità.

Bella roba Dalia.

Allora sposati e vattene ahahah

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Ebbene si: all'inizio la gente comune trovava i primi funerali fascisti teatrali e pacchiani, perchè troppo diversi da quelli stadandard e formali. ** TU CHE mi fai salire a manetta il contatore di alcuni capitoli senza commentare: mi metti ansia. Magari stai leggendo qualcosa che ti ha preso male? Dammi un segno

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