Solitude is a bliss

di EmilyPlay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** On my own ***
Capitolo 2: *** Alone ***
Capitolo 3: *** Lonely ***
Capitolo 4: *** Far Away ***



Capitolo 1
*** On my own ***


Cracks in the pavement underneath my shoe
I care less and less about and less about you
No one else around to look at me
So I can look at my shadow as much as I please
 
Tutto è sfumato, tutto è così colorato…e che differenza può fare se le piastrelle sono lisce, pulite, allineate o se sono crepate e se tutto è sporco, se ci sono tante cose qui in giro, senza alcun ordine. Quello è l’esterno, l’esterno che non tocca minimamente ciò che all’interno si tormenta e poi dorme e poi si risveglia e forse un po’ fa male, ma ti accetta. Però, forse, tutti quei colori non ci sono, in realtà qui dentro si agitano ombre, continuamente. Come l’ombra che lui proietta e che nessuno in questa stanza buia vede. Anche perché qui non c’è nessuno che la possa vedere. O forse qualcuno c’è, ma è come se non ci fosse…dopotutto che differenza fa? Tutto ciò che conta è dentro di te. Ma a volte fa paura.
 

Gli dicevano che stava diventando insopportabile, ma lui non se ne curava. Che differenza poteva fare se qualcuno glielo facevano notare o meno? Lui era fatto così. Non se ne curava più di quello che gli diceva la gente, perché odiava quelli che parlavano di lui, che davano pareri, consigli…che poi non erano altro che giudizi. Lui non li aveva mai richiesti: era abituato a fare tutto di testa sua e ad agire in modo impulsivo. Come quello sputo, a quel concerto. Era esploso, in quel momento, e avrebbe voluto distruggere tutto ciò che lo circondava, tutto ciò che anche lui aveva creato. E ritirarsi in se stesso.
Così se ne rimaneva lì, nella sua camera, con la schiena appoggiata al muro, un muro che sembrava abbastanza solido da sostenerlo. E, se il muro poteva sostenerlo, allora non doveva preoccuparsi se il terreno sotto i suoi piedi si fosse sgretolato. Lui poteva rimanere lì, immobile, a guardare con curiosità indifferente le ombre che si portava dietro da sempre, crogiolandosene, perchè, anche se fosse precipitato, il muro l’avrebbe protetto.
 

All the kicks that I can't compare to
Making friends like they're all supposed to
 
Amici. Sapeva di averne avuti molti, un tempo. C’era sempre gente che gli girava intorno. Frequentava posti che erano pieni di gente. E lui si impegnava a conoscerla tutta, quella gente. “Ciao, mi chiamo Syd, suono la chitarra, dipingo. Preferisci i Beatles o i Rolling Stones?” Era una sorta di leggenda a Cambridge, lo dicevano tutti. Aveva strimpellato con chiunque sapesse muovere le dita su uno strumento, a Cambridge. E poi anche a Londra, con tutti quei locali, con tutta quella musica ovunque ti voltassi. Una band vera, alla fine, in cui lui scriveva i pezzi e cantava e incideva un disco. O due? Perché poi erano spariti? Perchè lui non si accorgeva più della loro presenza, perchè lui adesso aveva l’acido e i suoi colori, le sue immagini, i suoi suoni, un mondo in cui era già tutto lì a disposizione, senza che tu dovessi andare a cercare e a presentarti.
 

Aveva sempre fatto fatica ad approcciarsi agli altri. Non che non avesse amici: conosceva moltissime persone, suonando in una band, c’era sempre qualcuno con cui fare due chiacchere, provare qualche giro di accordi o prendersi una birra. Ma non aveva mai avuto un amico vero, di quelli con cui ti confidi, di quelli che sanno sempre come prenderti per tirarti su il morale. Né lui era mai stato qualcuno del genere per nessun altro. Rapporti molto esteriori, perché nessuno poteva penetrare le sue barricate.
Anche ciò che aveva ritenuto amore non si era rivelato nient’altro che un rapporto di quel tipo. Con Judy era giovane. Con Carolyne aveva creduto di trovare davvero il rifugio che cercava. Ma si sbagliava: d’ora in poi tutti gli errori, le paure, le incomprensioni le avrebbe portate sulle proprie spalle, senza alcun aiuto dagli altri. Avrebbe guardato i maiali volanti da un bunker solitario.
 
 
You will never come close to how I feel

There's someone in my head...
Questo brano mi ha sempre fatto pensare ai Pink Floyd e in particolare, ovviamente, a Roger e a Syd. Era da un po' che il lunatic in my head mi suggeriva di scriverci su qualcosa e alla fine gli ho dato ascolto.
La storia sarà divisa in tre capitoli, uno per ogni strofa della canzone.
Al solito, recensite, se vi va! :) ciauuu
Emily

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Capitolo 2
*** Alone ***


Space around me where my soul can breathe
I've got body that my mind can leave

 
Aria pura, limpida e incontaminata. Era tutto ciò che voleva attorno a sé e la volontà era così forte che si convinceva di trovarsi davvero in quella libertà da spazio aperto, da spazio infinito. E lì respirare a pieni polmoni. Era tutto ciò che voleva.
Il corpo? No, nessun problema, poteva dimenticarsi di quella materialità in ogni momento, perché era in grado di diventare il nulla nel nulla. Ciò che lo riguardava non aveva più a che fare con il corpo, da cui la mente si estraniava, ogni volta più facilmente, davvero. Poteva lasciarlo lì, su quel divano, il suo corpo, inutile, nient’altro che una costrizione e guardarlo distante (un ragazzo dal volto sciupato, gli occhi scavati, distanti, vuoti). Librarsi in alto, provare ogni minimo, minuscolo frammento di sensazione.

 
 
Chi gli stava intorno non era altro che un ostacolo, una fastidio opprimente e soffocante. Era forse da biasimare se sentiva il bisogno di respirare? Poi, cercando di distanziarsi dagli altri, aveva iniziato ad arrovellarsi il cervello con pensieri martellanti: era schifato e terrificato da tutto ciò che lo circondava. Guerre, masse manipolate, ideologie assurde, luoghi comuni, sentimenti falsi. Mille pensieri, odio e disperazione, perché lui era come loro, probabilmente, o anche peggio. E lui in risposta a ciò non sapeva che altro fare, se non isolarsi.
 
 
Nothing else matters, I don't care what I miss

Rick non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Lo aveva portato lui in sala prove. L’aveva portato come avrebbe potuto portare una chitarra o un amplificatore, perché lui era completamente inerme, assente, e quindi non aveva opposto alcuna resistenza. Ma ora se ne stava lì in piedi, con la chitarra a tracolla che penzolava. Le braccia abbandonate lungo i fianchi e i ricci che gli cadevano scomposti sugli occhi, che sembravano fissi su qualcosa che solo lui poteva vedere.
 Roger continuava a suonare, guardando fisso il suo strumento, stringendo con fin troppa energia la sigaretta tra i denti, Nick sembrava più indeciso ad ogni colpo e Rick si sentiva un vuoto prepotente allo stomaco, scorrendo distrattamente le dita sulla tastiera.
Ma veramente non ti interessa nulla di quello che stai perdendo, in questo modo, Syd?

 
 
Sbagliava, sbagliava, sbagliava come al solito. Sbagliava a stare lì a guardare fuori dalla finestra con gli occhi allucinati. Però allo stesso tempo sapeva che nessuno avrebbe potuto distoglierlo da quella occupazione e da quelle sensazioni e da quei pensieri che si concatenavano gli uni agli altri. Si allenava a trattenerle quelle scintille che sprizzavano per la sua mente, unirle, combinarle, partorire musica concettuale.
Un sorrisetto sghembo. Non c’era giusto e sbagliato, c’erano cose che importavano e cose che non importavano. E quello importava.
 

E in quei momenti lo sussurravano sottovoce:
Company's okay
Solitude is bliss
 

There's someone in my head...
Cambio programma: i capitoli saranno quattro, perchè ho deciso di dividere in due questa strofa (in realtà ho già scritto per l'intera la strofa, ma quello che ne è uscito mi è sembrato troppo lungo da pubblicare tutto insieme).
Bè, niente, ormai avrete capito che i versi si dividono in esperienza di Syd ed esperienza di Waters, due solitudini diverse e non contemporanee.
Ah, ho aggiornato con clamoroso ritardo, spero di essere più diligente in seguito ;)
Ciaaa!
Emily

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Capitolo 3
*** Lonely ***


There's a party in my head and no one is invited

Syd amava la bellezza, la bellezza che salverà il mondo. E quella bellezza avrebbe salvato lui? La voleva tutta la bellezza, la voleva tutta per sé. Sentiva di doversi scusare, a volte, perché teneva la bellezza tutta per sé, senza più condividerla con gli altri, come invece aveva sempre fatto, fino a quel momento. La chitarra ora suonava nella sua testa, i pennelli stendevano i colori all’interno dei suoi occhi.
Un bisogno troppo forte, aveva la necessità di custodirla tutta dentro. Una danza di bellezza, una festa solo per lui.

 

Si strinse la testa tra le mani, serrando al contempo le palpebre. Perché, dannazione, la situazione gli stava sfuggendo di controllo. Cos’era quella confusione incontrollabile che rimbalzava da una tempia all’altra?
Riaprì gli occhi, si asciugò il sudore sulla fronte con il dorso di una mano e con l’altra afferrò la penna, stringendola in modo spasmodico e calcò su un frammento strappato di carta: “Oh, full of scorpions is my mind, dear wife”. Il Macbeth. Un secondo dopo aveva cancellato violentemente la parola scorpions, bucando il foglio, e sotto aveva tracciato cinque lettere: worms.
Con calma, poi, prese un foglio intero, bianco e scrisse un brano in cui chiedeva aiuto, in cui capiva che forse non poteva stare solo, ma in cui non era sicuro che ci potesse essere speranza. “And the worms ate into his brain”.
Appoggiato allo schienale della sedia, si picchiettò la testa con la penna. “Ci sono i vermi che fanno la festa, qua dentro”
 
 
And you will never come close to how I feel

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Capitolo 4
*** Far Away ***


Movement doesn't flow
Quite like it does when I'm alone
I'll be the one who's free
You and all your friends
Can watch me, today


C’era musica. Gli facevano ascoltare musica.
“Che cosa ne dici? Bisogna ancora aggiustarla un poco… Rick dice che non è soddisfatto della sua parte…” una voce gentile.
Il nastro non girava più ora. Syd rimase a guardalo come prima. Silenzio.
“Se vuoi lo facciamo ripartire, così lo riascolti…” era un’altra voce, delicata.
“Perché? L’abbiamo appena sentito”

 
 
Cercò di proteggersi con il cinismo, quell’arma che, lo sapeva, era così affilata, ma, allo stesso tempo, così fragile. Una lama di ghiaccio.
“è stato lui a ridursi così, poveraccio”
Ma non poteva trattenere le sue mani dal tremare incontrollate. I cinici sono solo coloro che normalmente provano dei sentimenti talmente trasportanti che temono di perdercisi dentro e allora cercano di proteggersi.
E lui lo sapeva che quel viso devastato, quel corpo sovrappeso, quell’atteggiamento di chi si sente perso in una situazione senza avere idea di come esserci capitato…quegli occhi, quegli occhi non erano solo una responsabilità personale del loro proprietario.
Erano passati ormai sei anni dall’ultima volta che aveva messo piede lì dentro e ne era uscito silenziosamente e lieve. Ed ora ci tornava così, come per caso. Perché? Perchè diamine aveva varcato l’ingresso, perché l’avevano fatto passare? Perché era arrivato a sbattergli in faccia tutto quello che gli rodeva dentro sempre con maggiore insistenza man mano che il tempo trascorreva da quel tragico 1968?
E, come al solito, davanti alle sue paure, fuggì. Fu gentile, come gli altri, ma distaccato, come se avesse avuto a che fare con un qualunque semplice conoscente.
E poi, lui, magari, stava bene così. Vivere in solitudine senza preoccuparsi di nulla, se non di quella spesa, che stava nel sacchetto di plastica appoggiato in un angolo.
Essere libero, Roger, magari è proprio questo. Ci hanno parlato con così tanta convinzione dell’amore, della solidarietà, della natura e della spiritualità. Ma tutto ciò aveva cominciato a scricchiolare ora. La società correva nella direzione opposta. E allora almeno essere individualisti in toto.
Alla fine quale maggiore libertà di non avere bisogno di nulla, se non di una bistecca nel piatto e dei merdosi canali di un televisore a colori.
Te ne andavi via da quello studio Syd, e tutti avremmo preferito che la tua ultima immagine nella nostra memoria fosse stata una camicia colorata, una Esquire a specchi, la tua energia e genialità, il tuo brillare. Ma non sarebbe nemmeno stato giusto. E lo sappiamo bene noi appartenenti a questo gruppo che non è mai in grado di affrontare i propri problemi, che lo guardava uscire e stava da schifo, senza che nessuno lo ammettesse.
Non avrei mai potuto risarcirti per tutti gli errori e la tristezza che avevamo costruito, tanto non lo avremmo neanche mai capito davvero, però nel frattempo una briciola l’avevo lanciata:  ti avevo appena donato una canzone. Tu, in cambio, mi avevi mostrato tutte le mie ossessioni, alla fine vergognosamente nude.
Ecco con cosa avrei avuto a che fare per molto.
 
Don't ask me how you're supposed to feel
You will never come close to how I feel

There's someone in my head...
Alla fine l'ho completata!
Ciò che è effettivamente accaduto durante la visita di Syd ad Abbey Road è tratto dall'autobiografia di Nick Mason: il nastro che non viene fatto ripartire, il suo aspetto fisico e psichico, le borse della spesa e anche le bistecche e la televisione a colori.
Ciau!
Emily
 
 

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