Lo strano caso delle Petrova

di missimissisipi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Like a stranger ***
Capitolo 2: *** You took me for granted ***
Capitolo 3: *** Be careful ***
Capitolo 4: *** Lost in a big confusion ***
Capitolo 5: *** Don't let me go ***
Capitolo 6: *** You're scaring me ***
Capitolo 7: *** Breath ***
Capitolo 8: *** Can I trust you? ***
Capitolo 9: *** Runaway bride ***
Capitolo 10: *** You worth it ***
Capitolo 11: *** Bad day? Bad life ***
Capitolo 12: *** Secret ***
Capitolo 13: *** Take back all the feelings ***
Capitolo 14: *** Talking time ***
Capitolo 15: *** Past always comes back ***
Capitolo 16: *** You don’t, you can’t ***
Capitolo 17: *** If I die young ***
Capitolo 18: *** Frenemies and lies ***
Capitolo 19: *** There's a dream where nothing bleeds ***
Capitolo 20: *** Too late for second-guessing ***
Capitolo 21: *** The Big Bang theory ***
Capitolo 22: *** So far from where we are ***
Capitolo 23: *** People help the people ***
Capitolo 24: *** Epilogo - Like a family ***



Capitolo 1
*** Prologo - Like a stranger ***


Lo strano caso delle Petrova

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Prologo - Like a stranger
 

“Oh mio Dio! Ma è un anello di Tiffany!” constata Bon Bon con gli occhi puntati sul mio anello. Le sue mani ambrate stringono la mia mano sinistra quasi come fosse di cristallo, a causa dell’enorme e costoso diamante da Tiffany che sarà costato, al mio fidanzato,…
 “…Un occhio! Sarà costato un occhio a Stefan!” urla Bonnie, portandosi le mani alla testa e continuando a guardare il mio gioiello con occhi sgranati. Sospiro, capendo la disperazione di Bonnie ed allora allungo la mano per osservare quell’enorme pugno nell’occhio per l’ennesima volta. Non posso assolutamente dire che non mi piaccia, sarei pazza, solo che… E’ strano, suona strano sentire che sono ufficialmente fidanzata, vedere questo diamante alla mia mano come se non fosse veramente mio. Probabilmente è solo shock pre-matrimonio, giusto? Prima bisogna credere davvero di stare per sposarsi e poi ci si immerge nei preparativi delle nozze, con la costante ansia e le preoccupazioni all’ordine del giorno.
“Ho visto Stefan uscire due minuti fa e sembrava avesse ancora entrambi gli occhi.” Annuncia sarcastica Rose, dopo essere entrata nella mia camera come se niente fosse ed essersi seduta sul letto come se stessimo facendo una normale riunione di amiche. “Comunque, congratulazioni bella.” Afferma voltandosi verso di me e lasciandomi un leggero bacio sulla guancia. Il sorriso di rimando è spontaneo, ma la verità è che, di spontaneo, non provo niente, nada, nothing.
Deve averli. Domani partiamo per Las Vegas, mi porta con sè in uno dei suoi numerosi viaggi di lavoro, perché vuole avermi vicina dopo la festa di fidanzamento di questa sera. Pensa che zia Jenna o voi due mi rapiate per la scelta della location o del vestito.” Annuncio con un sorriso, ma quasi annoiata all’idea. Averlo vicino sarà un bene, ma stiamo pur sempre parlando di un noioso viaggio di un avvocato.
“Non sembri felice.” Rose si rivolge a me, aggrottando le sopracciglia e spostando il ciuffo dalla fronte, lasciando che il suo sguardo e quello di Bonnie si soffermino su di me.
“Lo sono…” inizio incerta, ed è la verità, forse lo sono, sono felice dentro; in profondità, nel mio cuore, c’è la felicità, ma mi sembra così ben rinchiusa e nascosta che queste future nozze mi rendono solo scocciata, annoiata, e forse un po’ triste, ma felice no.
“Se tu lo fossi veramente, staresti saltellando per tutta la stanza, avresti un sorriso grande da un orecchio all’altro, guarderesti di continuo quella pietra gigante, e… devo continuare oppure ho reso il concetto?” quasi mi rimprovera Rose, e dopo queste parole giuro di odiarla. Perché è così intuitiva, perspicace, e mi deve conoscere così a fondo?  Non potrebbe essere una di quelle false amiche che non danno mai peso alle emozioni altrui? Sì, insomma, se Bonnie e Rose fossero altre due persone, in questo momento potrebbero non far caso a me, ma solo al mio anello. Ed è esattamente quello che vorrei adesso.
“Non sprizzi felicità da tutti i pori, Elena.” questa volta è Bonnie a parlare ed a esprimere il suo parere. “Quando io mi sono fidanzata ero totalmente fuori di testa, ricordi? Invece più ti guardo e più mi convinco che tu non voglia sposare Stefan.” Queste parole le sono uscite di bocca in una maniera così semplice che solo adesso giunge a quella conclusione. Quella conclusione giusta, eppure così sbagliata, perché no, non voglio sposare Stefan, eppure mi appare giusto il contrario e non voglio dirlo né pensarlo perché renderebbe l’idea qualcosa di reale, una convinzione.
“O mio Dio! Tu non vuoi sposarlo!” urla nuovamente Bonnie, questa volta con il dito puntato contro di me ed il suo sguardo totalmente spalancato, mentre Rose si limita a sospirare, come se già fosse a conoscenza di tale affermazione, solo avendomi osservata per qualche secondo.
“E’ davvero con lui che voglio trascorrere il resto della mia vita? Uniti per sempre da un vincolo così sacro ed indistruttibile? Vivere solo per lui?” domando esasperata, dando voce a quelle domande che da due giorni mi tormentano e mi offuscano la mente fino a farmi venire il capogiro. Ieri sera, ad esempio, mi sono rinchiusa in bagno cercando di capire cosa lo avesse spinto a farmi questa proposta. La nostra convivenza? Questo vivere insieme da poco più di due anni? Oppure sta pensando a metter su famiglia?  Magari presume che io aspetti un bambino da lui. Che so, i miei continui sbalzi d’umore possono avergli dato un’idea sbagliata. E se, dunque, volesse sposarmi solo per uno sbaglio del genere? Non me lo perdonerei mai. Per questo ho controllato accuratamente per tutta la casa, in caso qualcuno, o il destino, avesse depositato dei test di gravidanza, ma niente. Niente di niente. Anche perché sarebbero stati del tutto inutili: non sono incinta.
Se fosse solo… per amore?
“E’ tutto così affrettato, non pensate? Come ha…” cerco di domandare, ed allora sospiro cercando le giuste parole. “Perché adesso? Sì, e… me? Chi gli ha detto che voglio…” mormoro in preda alla disperazione, non sapendo nemmeno cosa dire, come esternare il vuoto ed il senso di pura instabilità che provo dentro, perché no, non sono semplicemente preoccupata per le nozze, sono terrorizzata, e non dai preparativi: da quel monosillabo che cambierà la mia vita per sempre.
Scoppio in un pianto isterico ed incontrollato, portando entrambe le mani agli occhi, coprendoli del tutto e tremando appena. Non voglio sposare Stefan.
Allora perché ho detto di sì?

 

 

“Non seguirò un caso del genere, Klaus! Voglio qualcosa di importante e che frutti qualcosa, non credi?” sbotto acida, con una punta di orgoglio nel tono di voce. Sono un avvocato di una certa fama, non posso né voglio seguire un caso che perfino dei principianti potrebbero risolvere.
“Katherine, questo serve per crearti una certa immagine, quella dell’eroina! Un avvocato come te che tra tutti i casi trova del tempo per la gente comune, perché ci tiene al popolo!” urla Klaus seguendomi, mentre io, invece, entro ed esco dagli uffici nella nostra struttura per lasciare delle pratiche ai segretari. Le sue parole, però, mi colpiscono particolarmente.
Non voglio essere un’eroina, ma una professionista.
“Niklaus Mikaelson!” urlo a mia volta, voltandomi improvvisamente e facendolo fermare dalla sorpresa. “Solo perché lavoriamo insieme non hai il diritto di dirmi cosa devo fare nel mio lavoro! Per tua informazione, sto già creando la mia immagine. Domani parto per Las Vegas, dove un povero miliardario ha fatto causa ad un casinò per esser stato raggirato. Sai quanto vale salvare un tipo del genere?” domando retoricamente. “Molto più di un uomo che vuole semplicemente divorziare!” rispondo senza dargli il tempo per ribattere. Mi infilo nell’ascensore prima che egli stesso possa valicare le porte, e continuo a spingere impazientemente la pulsantiera.
Mi lascio andare esausta alla parete specchiata, socchiudendo gli occhi per riposarmi.
Dopo anni di studio e lavoro sodo mi sono costruita una carriera di cui vado fiera, e per questo non voglio dedicarmi a dei semplici divorzi, ma bensì qualcosa per cui la mia famiglia possa essere orgogliosa di me, qualche lavoro serio ed impegnativo.
Las Vegas è la mia occasione: ovviamente è una città piena di casi del genere, ma un miliardario ha chiesto di me, e questo non è affatto poco. Certo, questa potrebbe sembrare la storia cliché di un film, dove la protagonista pensa solo al lavoro ed alla prima occasione lo mette a dura prova perché incontra l’amore, ma non è così. Io non penso all’amore, o ad una qualsiasi sistemazione: quello è l’ultimo tassello della mia vita, l’ultimo dei miei problemi.
Damon Salvatore ne è la prova.
Non avevo notato la sua presenza in ascensore prima di qualche secondo fa.
“Tutto okay? Questa volta tu e Klaus avete esagerato con le urla.” Afferma con le sopracciglia aggrottate, quasi voglia sembrare davvero preoccupato per me. Uomini, beato chi li capisce.
“Damon, la nostra è una relazione aperta. Ti ho mai chiesto se qualcosa fosse andato storto a lavoro?” domando retoricamente un’altra volta, la seconda nel giro di dieci minuti. Possibile che nessuno mi capisca? “Bé, ovviamente no. Noi due passiamo subito al sodo, e deve essere sempre così, quindi lascia queste stupide domande alla tua prossima preda, okay?” tiro le labbra in un sorriso di circostanza, e sparisco dalla sua visuale non appena raggiungo il piano terra. Se lui ha necessità o semplicemente voglia di una fidanzatina a cui fare domande futili, che se la cercasse! Io non ho intenzione di cambiare il nostro rapporto, tantomeno per inguaiarmi con frasi fatte e sdolcinate dal ‘Buongiorno’ alla ‘Buonanotte’.
Chiudo la porta alle mie spalle, e contemporaneamente rispondo alla chiamata in arrivo sul mio iPhone nero. “Sì?” domando svogliatamente.
Tesoro? Sono mamma!” subito cambio espressione, perché è pur sempre Isobel, mia madre, quella che mi ha donato la vita ma non un college prestigioso. La stessa che ha partorito solo me, figlia unica, nonostante avessi tanto desiderato un altro fratello o un’altra sorella.
“Ehi, mamma! Dimmi tutto” le dico, sorridendo istantaneamente ed addolcendo il tono.
Ho saputo che domani parti per Las Vegas, Kate. Perché non hai detto niente a me e a tuo padre?” alzo gli occhi al cielo, infastidita dalle solite domande che mi rivolge.
“Non ho avuto tempo, ultimamente. Perdonami.” Chiedo scusa, pur sapendo che non se la sono davvero presa, perché sono i miei genitori.
Lascia stare, l’importante è che tu faccia attenzione alla guida! Sii prudente!” Mamma si raccomanda sempre, sembrando anche oppressiva, alle volte. Lo ammetto, non ho un felice passato da guidatrice, sono stata coinvolta in qualche incidente di troppo da quando ho preso la patente, ma si tratta di raggiungere quella città con l’aereo, e poi di noleggiare un’auto. Niente di più.
“Lo sono sempre.” Ribatto convinta, alzando una mano per chiamare un taxi nero. Uno subito si avvicina ed io allora spalanco la portiera infilandomi dentro.
“Trafalgar Square, grazie.” Annuncio gentilmente al tassista che fa un cenno di assenso con il capo.
Farò finta che tu non abbia detto niente. John mi chiama, devo scappare. Ci sentiamo presto, ma fai attenzione!”
“Si, lo prometto. Ciao” concludo la conversazione scocciata. Farò attenzione, ho ormai ventisette anni, sono grande e vaccinata, non una sedicenne alle prese con la nuova macchina e la patente.
Attraverso i vetri dell’auto, osservo i grandi paesaggi di Londra: una città che mi ha sempre affascinata, e non solo per i numerosi monumenti, ma soprattutto per i piccoli posti, piccoli negozi o piccole esperienze che mi hanno indissolubilmente legata alla capitale britannica. Mi sono trasferita qui dopo il college assieme ai miei genitori, perché riuscissi a trovare un mestiere gratificante. Infatti sono nata a cresciuta a Mystic Falls, città nativa di mia madre e città nella quale mio padre ha vissuto da giovane.
Mi vedo circondata dalla fontana e dalla pubblicità di Trafalgar Square sempre gremita di turisti di ogni nazionalità, e, dopo aver pagato la corsa, scendo dall’auto raggiungendo il mio appartamento.
L’ultima luce della giornata, quella del tramonto, illumina la strada e la mia borsa LV. Quest’aria prettamente autunnale mi circonda ed io mi stringo maggiormente nel mio foulard. Siamo a metà settembre, ed il freddo inizia a far sentire la sua rigida presenza. Ma io resisto, lo faccio sempre.
In fondo, sono una Petrova.

-
Dico davvero, non so perché diamine sto pubblicando il prologo, questo prologo di questa long. Tanto per farvi capire, ho iniziato una long tempo fa, e ne sto scrivendo il sesto capitolo. Ad un certo punto mi manca l’ispirazione, ed allora apro la cartella con tutti i Prompt, ovvero tante mie fan fiction neanche iniziate, piene di prologhi, banner e appunti vari. Di una scrivo tipo tre capitoli, e mi escono di getto, capito? Neanche a programmarli! Di questa ne scrivo quattro in due giorni, sto proprio adesso finendo il quinto capitolo e sto letteralmente impazzendo. Sembra quasi che non riesca a scrivere senza pubblicare, ma ho voglia di pubblicare una long da fine luglio, in più ho bisogno del vostro parere, cari lettori.
Probabilmente aggiornerò una volta a settimana, e per le prossime quattro settimane i capitoli sono assicurati, ma sono piuttosto sicura di riuscirne a scrivere altrettanti in quest’arco di tempo… quindi siamo okay. Ma nulla è okay, perché io avevo intenzione di pubblicare un’altra long che amo… e vabbè, sarà per questo inverno. Sempre se ci riuscirò.
Non potete neanche immaginare quanto sia eccitata!
Il primo punto di vista è di Elena Gilbert, il secondo di Katherine Petrova. Alcuni nomi ed alcune relazioni sono state modificate per motivi che conoscerete leggendo, in più i punti di vista varieranno continuamente, ma dal prossimo capitolo scriverò chi delle due sta vivendo, perché arriverà un momento in cui impazzirete del tutto.
Sono entrambe a Londra, due sorelle gemelle separate alla nascita, ma non vi dirò di più…  Non adesso, perlomeno. E no, prima che lo pensiate, non si incontreranno per pura casualità e decideranno di vivere la vita dell’altra, no way.
Vi ho confuso abbastanza? Bene, era quello il mio intento ahah
Il banner l’ho fatto tempo fa, mi piace e spero piaccia anche a voi!
Cos’altro devo dirvi… uhm…
Ah si!

 Se vi piace la long, cioè il prologo, se volete darmi consigli, non fatevi scrupoli. Pubblico su questo sito per divertimento ma soprattutto per migliorarmi, dieci parole non sono nulla ma mi renderebbero felici come nessun’altro! 


Bene, dopo aver detto questo, sono sicura che nessuno recensirà, ma vabè, devo pur farmene una ragione. E sì, oggi sono particolarmente pessimista barra emotivamente instabile, btw fatevene una ragione anche voi già che ci siete.
Passate dalla mia OS, Give me love, è una Delena piuttosto diversa dalle altre ed io la amo.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2121817&i=1

 

Un bacio,

Fede aka missimissisipi

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Capitolo 2
*** You took me for granted ***


Capitolo primo

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You took me for granted

 

Elena

 

Las Vegas si trova oltre oceano, dall’altra parte del mondo. Se in un primo momento ero felice dell’idea di trascorrere un po’ più di tempo con Stefan, per schiarirmi le idee riguardo il nostro futuro insieme, adesso un senso di nostalgia mi invade. So che è un viaggio da niente, che torneremo a casa fra qualche giorno, ma già mi manca la mia quotidianità. Las Vegas non è una di quelle città da visitare assolutamente prima di morire, non è affatto comparabile con Parigi e New York, le mete dei viaggi per

eccellenza –almeno per me, che ho sempre vissuto a Londra - …La Las Vegas di Stefan è la città del casinò, che vive di notte e dove vite intere si rovinano in un non niente. Ed ecco che interviene lui, il grande avvocato Wasilewski*, a salvare carriere e famiglie pur di tener alto il suo nome.

Mi domando mentalmente se troverà mai tempo per me, se in questi due giorni lavorerà sodo come sempre, o se riuscirò ad osservare un luogo che non sia la mia stanza d’albergo. Pardon, la nostra.

“Allora, Elena, questa è la nostra camera. La… uhm, 726.” Striscia la carta facendo spalancare la porta, mostrandomi delle così lussuose stanza che, per un secondo, l’idea che questo non sia un Hotel mi sfiora la mente.

Mi limito a sorridergli, ravvivando leggermente i miei capelli arricciati più del normale, e sedendomi su di una poltrona in velluto rosso, così morbida al tatto da conciliarmi il sonno. “Ho bisogno di una doccia.” Esclamo prima che il sonno possa prendere il sopravvento su di me. “Anche tu?” gli chiedo, avvicinandomi al bagno e poggiando gli occhiali da sole su un mobiletto in legno.

“Non posso, devo lavorare. Anzi, sono già in ritardo.” Rivolge un paio d’occhiate al suo orologio da polso, per accertarsi che l’ora sia davvero quella –un orario a me sconosciuto- prima di lasciarmi un veloce bacio all’angolo della bocca e sparendo dalla mia visuale.

Nemmeno un bacio per bene, un saluto degno di due giovani in procinto di sposarsi. Neanche un “ciao”. Probabilmente è ancora scosso dal viaggio, forse aveva necessità di lavorare sin da subito. Tutte scusanti che non possono nemmeno lontanamente essere definite valide. Mi convinco del fatto che possa essergli sfuggito di mente, e anzi, neppure io l’ho salutato.

 “E va bene.” Mormoro a me stessa, chiamando la reception per ordinare una bottiglia di vino rosso per farmi compagnia. Stefan non se ne renderà conto, e non lo dico perché, probabilmente, al suo ritorno sarà vuota: per lui è come se fossi scontata, tutto quello che faccio o dico non gli importa a meno che non sia contro di lui. Come se, per esempio, gli dicessi di non volerlo sposare.

 

Metà bottiglia dopo, sono immersa nella vasca da bagno colma di schiuma. Una dolce melodia giunge da sottofondo al mio bagno di puro relax, mentre un bicchiere di vetro, con un po’ di liquido rosso, è poggiato alla mia sinistra su un tavolino bianco che sembra essere molto costoso. Mancano solo le candele accese per creare l’atmosfera tipica dei film.

Non sono ubriaca, o forse sì, essendo queste le parole che pronuncerei se lo fossi.

Stefan, ovviamente, non è ancora tornato, per questo cerco di rilassarmi mentre faccio amicizia con la nostra suite. Ho scoperto che lo fosse quando un ragazzo, che avrà avuto sì e no una ventina d’anni, mi ha portato la mia amata e costosa bottiglia. Ma non è stata questa la notizia peggiore. Insomma, non che soggiornare in una suite sia un brutto evento, è solo che Stefan si concede ogni tipo di lusso, ma non mi concede neanche un bacio o un saluto. Comunque sia, non è questo il punto.

Sono amareggiata per il modo in cui mi ha salutata quel giovane. Mi ha chiamata ‘signora’. Signora, io, a ventisette anni compiuti solo da qualche mese. Sto invecchiando oppure è stato solo formale? Perché, diamine, sono ancora giovane. Avrei dovuto mostrargli le mie gambe per fargli cambiare idea?

Il mio cellulare squilla improvvisamente, borbotto cercandolo con una mano sul tavolino bianco.

“Sì?” domando, senza neanche leggere il display e capire da chi è partita la telefonata. Poco male.

“Lena?” la voce calda di Bonnie mi fa sospirare. Se le raccontassi come si è comportato Stefan, reagirebbe male e lo stesso vale per Rose. Potrebbero spingermi a fare qualcosa di pazzo.

Ma, ehi!, lo sto già facendo, avendo detto di sì al mio futuro marito.

Dio, che schifo di vita.

“Mhm?”

“Lena? Sono Bonnie! Cosa stai facendo?”

Ignoro la sua domanda. “La vita fa schifo BonBon.”

Traccio con un dito delle linee immaginarie sulla schiuma.

“Sentiamo, cos’ha fatto Stefan?” domanda dopo un po’, sconsolata.

“Mi ha lasciata sola non appena siamo arrivati in Hotel. Non mi ha salutata, figurarsi baciarmi. In più, il ragazzo che mi ha portato la bottiglia di vino in camera, mi ha chiamata signora.” Gioco con una ciocca di capelli.

“Okay, la faccenda è grave. –sento che parla con qualcun altro. Rose, magari? – Lascialo, lascialo e lascialo! Anche se è Stefan, il ragazzo che hai conosciuto al college ed il tuo amore epico. Ahia, Rose! –appunto – Un secondo, Lena.”  La sento discutere con la mora per uno schiaffo al braccio. Sono così infantili alle volte, eppure sono due amiche fantastiche.

“Elena? Non ascoltare Bonnie. –esclama la voce di Rose, dall’altro capo del telefono – Mettilo alla prova. Sfidalo, cercalo. Non devi fargli capire che non vuoi più sposarlo, perché questo è ormai ovvio a tutti meno che a lui. Fai una sorta di… prova del nove, ecco. Se entro stasera non sarà il tuo Stefan di sempre,  allora non farti scrupoli a prendere il primo volo per Londra. Intese?” Ecco Rose, concisa e precisa. Lei è perfetta. Annuisco, ricordandomi che non può vedere ed allora “Intese.” le rispondo, seppure non ne sia del tutto convinta. Chiudo la conversazione dopo esserci salutate, e ripenso a tutti i miei momenti con lui. Il nostro incontro al College, le serate film trascorse insieme dove guardare il DVD era l’unica cosa che non si faceva, i nostri progetti futuri, i viaggi per il mondo che avremo dovuto fare insieme… Mi sembra pura fantasia. Poi ci sono stati gli esami, il lavoro, la nuova casa, le mie serate da sola, lui che ha viaggiato continuamente e da solo, la distanza creatasi fra noi. Sembriamo due coppie diverse, perché io un futuro come questo, all’epoca, non l’avrei mai immaginato. Stefan era tutto ciò che desideravo, il massimo, oltre ogni mio standard. Era perfetto. Ed io ero perfetta per lui, con i miei vestiti di H&M e Zara, i capelli legati in una coda alta per leggere, coda che lui scioglieva, perché per lui più bella e sensuale, le unghia tutte mangiucchiate e le mani abituate ad essere strette fra le sue. Da quanto tempo non mi prende per mano? Da quanto tempo non mi ama?

Quando è cambiato tutto quanto?

Esco dalla vasca coprendomi con un accappatoio bianco, legando i miei capelli in una crocchia disordinata. Sono asciutti e vaporosi. Mi stringo in quel calore che Stefan non mi da, né con un abbraccio né con delle parole dolci. Il bicchiere di vino in mano, pronta per la prova del nove, come l’ha denominata Rose.

Raggiungo l’ingresso, per accendere la tv nel frattempo che Stefan torni.

La porta principale della suite si apre, mostrandomi uno Stefan distrutto, una mano agli occhi, per stropicciarli, ed una ad allentargli il nodo della cravatta. Gli sorrido.

Non mi nota. Non mi guarda.

“Ehi.” Mormoro, incrociando le braccia.

Si guarda attorno, fino a che non scorge la mia figura nella quasi oscurità della stanza. “Ehi.” Mi rivolge uno sguardo prima di togliersi la cravatta e sbottonare i primi bottoni della camicia.

Mi avvicino a lui, gettandogli le braccia al collo. Poggia le mani alla base della mia schiena mentre mi lascia un bacio sulle labbra. E’ Stefan. Per un secondo mi sento a casa, fino a che il suo dannato blackberry squilla.

“Non rispondere.” Mormoro. “Baciami.” Mi ritrovo a chiedergli con tono quasi lamentoso.

“Elena, devo rispondere. Potrebbe essere importante.” Sposta le mie braccia dal suo collo per afferrare il suo cellulare ed iniziare a parlare di argomenti inutili e stupidi.

E baciarmi? Non è importante baciarmi? Baciare la donna che ami e che sposerai?

Mi mordo le labbra arrabbiata, andando in camera da letto ed iniziandomi a vestire, prendendo i primi capi che trovo. Per fortuna non ho disfatto la valigia.

Com’è che ha detto Rose? Se entro stasera non sarà il tuo Stefan di sempre, allora non farti scrupoli a prendere il primo volo per Londra. Ecco. Proprio questo. Per lui sono superflua, quasi come un giocattolo. Sono scontata. Perché Elena non si lamenta, Elena non dice o fa mai cose che potrebbero dargli fastidio, Elena non è un peso. Elena è scontata, c’è sempre, non se ne andrà.

Mettilo alla prova.

Trascino l’enorme valigia sino all’entrata della nostra suite, notando che sta ancora parlando al telefono. Non appena il suo sguardo si sposta su di me, spalanca gli occhi e chiude la telefonata. “Cosa pensi di fare?” domanda alzando il tono di voce.

“Prendo il primo volo per Londra, torno a casa, me ne vado. Al tuo ritorno i miei oggetti non saranno più a casa tua, non ti preoccupare.” Esclamo ironica, cercando di aprire la porta, ma lui si sposta di fronte a me. “Elena, per piacere. Metti quella valigia in camera da letto, non fare la bambina.”

Scoppio. “Io? Io la bambina? Stefan, non fare l’egoista! Non è questo lo Stefan di cui mi sono innamorata. Questa è una versione più adulta nei quali Elena è solo un soprammobile. Riflettici, quando è stata l’ultima volta che siamo stati insieme, abbiamo trascorso del tempo insieme come coppia, abbiamo visto un film, ci siamo baciati o tenuti per mano? Perché io non me lo ricordo! Ti ho quasi supplicata di baciarmi, ma hai rifiutato perché il lavoro è importante, il lavoro viene prima di tutto, non la donna che dovresti amare.” Il suo sguardo vaga nel resto della suite, soffermandosi in un punto ben preciso.

“Elena, hai bevuto. Sei ubriaca? Torna al tuo posto, va’ a letto.” Mormora passandosi una mano sulla fronte. Annuisco arrabbiata con il capo, torno indietro fino a prendere il mio bicchiere. Lo vuoto completamente in un solo sorso, aprendo la porta ed andandomene. Invio un veloce messaggio a Rose. “Sto tornando.”

“Non ti fermo solo perché non sei nulla senza di me. Tornerai, Elena... Tu torni sempre!” Urla mentre prendo l’ascensore.

Illuso.

Sciocco.

Stupido.

Egoista.

“Non questa volta.” Sussurro una volta giù, con le lacrime agli occhi. “Non questa volta.”

 -

Waa! Non sapete quanto sia eccitata nel postare questo capitolo! :)

Okay, non succede niente - questo è quello che pensate voi babbani -  è giusto un POV Elena che serve a far precipitare la sua relazione con Stefan, che non è molto ben visto e non lo sarà fino ad un certo punto aka verso la fine della fanfiction. Rivedremo Elena fra due capitoli, il prossimo è dedicato a Katherine ed un lato del suo carattere mai visto, ma capirete delle cose importanti su Elena fra ben tre capitoli. Ce la farete? Sì, dai, o almeno spero ahah

Spero che vi piaccia, io sto iniziando a scrivere il settimo capitolo se non erro, dove la situazione inizia pian piano a stabilizzarsi. Per cosa poi? Naah, non ve lo dico, lo scoprirete fra un po'. E sì, sono sempre così cattiva barra ansiosa barra con poca autostima barra eccitata.  E sì, mi piace dire 'barra' ed 'e sì'.

Forse inizierò, dalla settimana prossima, ad aggiornare di lunedì, dipende dalle versioni di Greco che la proffff mi assegna aka avrò tanti compiti e sto cercando un modo gentile per dirvelo. Btw non so, dipende da come va quest'altra settimana di scuola, comunque cercherò di essere sempre puntuale anche nello scrivere.

Grazie a tutte le persone che hanno recensito, mi fa davvero tanto piacere sapere che il prologo vi sia piaciuto, grazie a coloro che l'hanno messa fra le seguite e preferite! Spero di non deludere tutte le vostre aspettative! 

Vi invito a passare da altre mie fic, due OS in particolare. (potete cliccare sul titolo o sui banner, come volete)

Give me love

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 I fancy you

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Vi ringrazio in anticipo se lo farete, se leggerete, se ignorerete o se recensirete!

Vi invito, poi, a lasciarmi una recensione, che fa sempre piacere ed anche perchè mi aiuterebbe tantissimo nello scrivere e migliorare! :)

Un bacio, 

a presto!

Fede aka missimissisipi

P.S. In seguito vi aggiornerò su un'altra mia long, oggi ho iniziato a scriverla, prevedo che sia sui venti capitoli, è un giallo e mi sta prendendo tantissimo! Se la finirò prima di Lo strano caso, inizierò a postarla :)

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Be careful ***


Capitolo secondo

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Be careful

 

Katherine

 

Caroline è silenziosa. Troppo silenziosa. Anzi, la parola “silenziosa” non esiste nel vocabolario della mia amica. Nonostante stia guidando, mi volto nella sua direzione, al mio fianco, e l’osservo per un secondo.

“Care.”

“Eh?” E’ come se si svegliasse da un lungo flusso di pensieri.

“Caroline. –ripeto, pronunciando il suo nome con una dolcezza inaspettata- Tutto okay? Sei silenziosa.”

Caroline è la mia assistente, non vuole essere un avvocato indipendente, è ordinata, è brava, è spesso insopportabile, se si arrabbia assume le sembianze di una pazza maniacale, ma è la mia assistente e mi segue in tutto quello che faccio. E non la lascerò andar via facilmente, se si presenta l’occasione.

“E’ che… No, niente, lascia perdere.” Sorride incerta, ma io non me la bevo. “Caroline.” La riprendo, facendola sbuffare. “Okay, okay! Vuoi che ti racconti tutto? E va bene!” esclama facendomi sussultare. Cosa può essere successo? “Ma non sbandare con la macchina.” Si affretta ad aggiungere un attimo dopo, facendomi ridere. So guidare, ormai ho ventisette anni, sono prudente e tutto il resto.

“Sì, sì, dimmi adesso.”

“Be’, ecco, sono confusa.” Afferma gesticolando come il suo solito.

“Confusa?”

“Sì… sono uscita con un uomo queste sere. E mi piace, è divertente, gli piaccio molto, ha un carattere particolare, ma è sbagliato, la nostra relazione non ha futuro.”

Annuisco colpita dalle sue parole.

“Sei Caroline Forbes, per te niente è impossibile. Mi hai salvato in così tanti casi e situazioni che ormai ho perso il conto. Ti devo tanto, Forbes. Ma non riesco a capire perché non c’è futuro per te ed il tuo principe azzurro.” Termino ironica, facendola sorridere.

“Devi svoltare a destra, Kath.” Mormora ed io faccio come dice. Abbiamo noleggiato l’auto subito dopo essere atterrate, come previsto, ed ora dovremmo essere davvero vicine a Las Vegas.

“Lui è… NiklausMikealson” mormora velocemente. “Come? Non ho capito.” Rispondo.

“Be’, lui è Klaus, Klaus Mikealson.” Freno inaspettatamente, provocando quasi  un incidente.

“Attenzione!” urla Caroline.

“Cosa? Diamine, Caroline, ci sono milioni di uomini sulla terra! Perché proprio lui?” urlo a mia volta, sovrastando la sua voce adorabile quanto insopportabile. “Perché… perché mi corteggia da sempre ed ho ceduto, gli ho dato una possibilità, ed è dannatamente fantastico! Anche se può sembrare egocentrico ed egoista!”

“Ma è Klaus! Klaus!” enfatizzo il suo nome come se fosse ovvio che non può provare qualcosa per lui. “Andiamo, Kath! Solo perché non ti ha trattata nel migliore dei modi quando eravate quasi una famiglia non puoi odiarlo per sempre!”

Mi inumidisco le labbra pronta a ribattere. Ma mi blocco prima che le parole escano dalle mie labbra. Eravamo davvero quasi una famiglia? Per poco non lo dimenticavo, sembrano passati decenni.

“Era il suo modo di relazionarsi, Katherine. Ti vedeva come qualcuno di imponente, importante, che gli avrebbe allontanato il suo tanto amato fratello. Ma tu sei tu e non ti sei lasciata abbattere, dando inizio a questa serie di litigi inutili! E’ pentito, a modo suo, ma lo è.”

Pentito? Mi ha trattata come se fossi una nullità, mi ha insultata quando poteva, ha cercato in tutti i modi di farmi lasciare da Elijah… e alla fine ci è riuscito. La nostra relazione, quella che pensavo sarebbe durata a lungo, è terminata perché ero stufa di Klaus. Elijah mi diceva di non pensare alle parole del fratello, di essere superiore, ma non ci sono riuscita ed ho mandato tutto all’aria. Tipico mio, rovinare ogni qualsiasi cosa per puro egoismo. Non sopportavo le parole di Klaus, il suo atteggiamento, ma non ho pensato ad Elijah, solo a me e a quanto mi desse fastidio. Non ho pensato ad entrambi. Ed ho rovinato tutto.

“Fa’ quello che vuoi, Care. E’ la tua vita.” Le rispondo con tono tagliente.

“Katherine…”

“Dico sul serio. –la interrompo- Non posso costringerti a scegliere fra me e lui, perché è questo il punto, giusto? E perché sceglieresti senz’altro lui, l’amore della tua vita.”

“Non può funzionare con lui per causa tua, vero. Sarei costretta a scegliere, ma ho scelto te, non capisci? Altrimenti adesso sarei con lui, al diavolo te ed il mio lavoro, giusto? Ma io tengo a te più che ad un forte sentimento che provo per lui. Se scegliessi lui perderei te, il mio lavoro, forse anche lui stesso un giorno. Ma ho scelto te – mi guarda con tenerezza – e mi va bene così. Potremo stare insieme solo se un giorno risolverete tutti questi casini. Casini che, per l’esattezza, sono futili ed infantili.”  Caroline Forbes, la mia migliore ed unica amica.

Riprendiamo il viaggio con più tranquillità, accendendo la radio e canticchiando qualche canzone. Più lei che io, ovviamente.

“Lucky I’m in love with my best friend. Lucky to have been where I have been. Lucky to be coming home again…”  Sospiro profondamente, lasciando intonare il motivetto della canzone alla mia amica.

 

“Come ve la passate tu e Damon?” domanda lei dopo un po’, osservandomi guidare.

“Ce la spassiamo, se è questo che vuoi sapere.” –lei emette un ‘bleah’ come quello dei bambini a cui non piace la minestra nel piatto – Ma niente. Niente impegni, niente sentimenti. Per quanto mi riguarda, può spassarsela con centinaia di donne nello stesso arco di tempo. E’ una relazione aperta, la nostra.” Mi volto verso di lei per pronunciare queste parole. Incrocia le gambe, muovendo freneticamente le dita sulle sue cosce.  “Quindi se ti dicessi che Damon è stato anche con Rebekah tu non…”

“Oh! Ma davvero?” esclamo con un pizzico di gelosia.

“… proveresti niente?” termina la sua frase facendomi scoppiare a ridere, e lei dopo di me.

Okay, niente sentimenti, niente complicazioni. Però a Damon un po’ ci tengo. Certo, non lo amo né provo qualcosa per lui che non vada oltre la semplice attrazione fisica, ma non sono del tutto insensibile.

“Ci tieni a lui. Ed è un bene, Kate, soprattutto dopo la rottura epica con Mr. Ciuffo perfetto e tenendo conto del tuo odioso carattere.” Alzo gli occhi al cielo. “Per questo, mi domandavo… Perché non provarci seriamente con lui, per vedere se può nascere qualcosa? Hai ventisette anni, potrebbe essere l’età giusta per innamorarsi e sposarsi tra qualche anno.” Afferma osservando le sue unghie.

…probabilmente è vero ciò che dice, però… Però è Damon, non so cosa lui voglia e non sono nemmeno sicura di volerlo anche io. Il mio presente è la mia carriera, il mio lavoro. Le relazioni non sono fatte per me, anche se non ho dimenticato del tutto Elijah; come potrei farlo avendo trascorso con lui due splendidi anni della mia vita? Ma con Damon… con lui è diverso. Tutto è diverso. Non si possono fare paragoni.

“No, Care. Con Damon c’è solo questo legame, in più non penso a sposarmi ed all’amore da tempo. Per adesso c’è solo la mia carriera.”

Lei annuisce pensierosa, scrutandomi mentre stringo il manubrio con più forza.

Fra di noi cala un silenzio per niente imbarazzante, che fa riflettere me e probabilmente anche lei. Siamo umane, con tutti i nostri problemi e i nostri pensieri, con i nostri errori e le nostre scelte. Le nostre vite non sono affatto perfette, dobbiamo cavarcela fra carriera ed amore, fra ex ed ex cognati.

Sospiro, mentre svolto con l’auto verso una via periferica di Las Vegas.

Siamo quasi arrivate a destinazione.

“Oh mio Dio, Kate! La Torre Eiffel! E guarda quella cascata lì!” indica euforica un sacco di figure che mi fanno sorridere. A volte è anche peggio di una bambina.

Sbadiglio prima che lei attiri la mia attenzione, facendo focalizzare quest’ultima su un ponte bianco lussuoso ‘che sarebbe davvero romantico se non si trovasse a Las Vegas ma a Londra!’, secondo le sue testuali parole. Mi perdo un attimo ad osservarlo, perdendo la concentrazione con il volante e lasciando che una macchina, alla mia sinistra, si schianti a tutta velocità su di noi.

E poi nulla, se non il buio.

-

Capitolo cortissimo, sono di fretta e probabilmente la rete internet mi abbandonerà fra dieci secondi, quindi scusate se non mi dilungo abbastanza.

Forse si capisce qualcosa... forse no, forse sono solo io paranoica.

Piccolo appunto, Stefan non è Salvatore ma Wasilewski, ho dimenticato di scriverlo nel capitolo precendente.

Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, per me è fondamentale!

Grazie per le recensioni, per le seguite e preferite ;)

Un bacio, a presto!

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Capitolo 4
*** Lost in a big confusion ***



Capitolo terzo

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Lost in a big confusion

Elena

 

“La donna è stata investita ed ha perso conoscenza, purtroppo non portava con sé un documento o un telefono cellulare, quindi è impossibile identificarla al momento.”

“Potrebbe esserci qualche danno collaterale, una volta sveglia?”

“Be’, avendo sbattuto violentemente la testa, allora sì, potrebbe aver persino perduto la memoria, per recuperarla potrebbe impiegare addirittura qualche mese. Però aspettiamo che si svegli per tutti i controlli necessari.”

Due voci mi giungono ovattate alle orecchie, mugolo qualcosa ma non riesco a muovermi liberamente. Apro gli occhi, nonostante una notevole quantità di luce non mi permetta di aprirli come vorrei, e osservo le mie braccia collegate ad un mucchio di fili che non riesco a distinguere.

Le mie labbra sono secche, disidratate, ho bisogno d’acqua e la testa mi gira. Cerco di raddrizzarmi meglio, ma è impossibile notando dove mi trovo. Su un lettino. In…

“Signorina? Cosa si sente?” domanda un uomo con un camice bianco alla mia destra. “Dove mi trovo?” E’ tutto quello che riesco a dire, mentre una sensazione di vomito mi pervade.

“In ospedale. Ha avuto un terribile incidente. Qualche dolore? Mal di pancia? –scuoto la testa.- Mal di testa? Nausea?” Annuisco poco convinta, guardandomi attorno e cercando di ricordare l’incidente. Ma niente.

L’unica cosa che ricordo è Las Vegas. Siamo… siamo forse lì?

“Ricorda il suo nome? – stringo le labbra, aprendo la bocca per pronunciare qualcosa. Ma cosa? Assottiglio lo sguardo e scavo nella mia mente. Ma niente ancora. E’ come se ci fosse stato un blackout, tutto nero, tutto vuoto. – Signorina, lo ricorda?” domanda nuovamente quello che ricollego ad un dottore. La risposta è quasi dolorante. “Io… no, non lo so.” Mormoro mentre il mio sguardo si perde nel vuoto di fronte a me. “Mi dispiace.” Sussurro incerta all’uomo dai capelli bianchi. Questo scuote la testa, scrivendo su dei fogli.

Come mi chiamo? Dana, Candice, Nina, Kayla? Potrebbe essere un nome qualsiasi. Ed io non lo ricordo affatto. Perché?

“Il suo ultimo ricordo?” domanda ancora.

“Ehm… Io penso… Las Vegas. Una parte della città.”

“Bene, adesso guardi attentamente la luce. Così, brava” fisso costantemente la luce puntata nella mia pupilla. Prima in quella destra, poi nella sinistra. “Allora, la pupilla non reagisce correttamente… Potrebbe avere un trauma cranico, spiegato dalla botta ricevuta e che spiega, a sua volta, la perdita momentanea della memoria.” Annuisco pur non comprendendo a fondo tutto ciò che sta dicendo l’uomo.

“La lascio riposare… Magari qualcuno la sta cercando, magari possiamo identificarla.” Sorride flebilmente e sparisce dalla mia visuale. L’altro medico, sempre con un camice bianco, mi sorride e si affretta a chiudere la porta, ma una voce lo distoglie dal farlo.

 “Dottore, dottore! Sto cercando la mia amica, capelli lunghi, mossi, castani. Non mi vogliono dire dove si trovi, la prego! Mi aiuti!” sembra disperata, probabilmente è scoppiata in una crisi isterica, sta piangendo, riesco a sentirne i singhiozzi. “Ehm… io non posso fare niente, mi spiace.” Dice l’uomo.

“La supplico, è stato un incidente, un’ auto l’ha presa in pieno… e…”

“Un incidente? Ed è mora, con gli occhi scuri,…” elenca il dottore.

“… capelli lunghi e mossi! Sì, è lei! L’ha vista? La prego, sono preoccupata, è la mia migliore amica.”

Singhiozza ancora.

Sono vuota. Mi tasto la faccia con le mani.

Scruto le mie dita, le mie unghie. Chi sono?

Trattengo il respiro, al solo pensare la risposta. Chi diamine sono?

Non lo so.

La donna, però, si sporge nella mia stanza per poi sciogliersi in un sorriso caloroso, a cui non ricambio. Chi è?

“Oh mio Dio, Katherine! Stai bene? Sta bene?” domanda all’uomo in camice bianco. Fisso un po’ il dottore, un po’ la donna. Il mio capo ondeggia fra i due.

“La riconosce?” domanda sorpreso quest’ultimo. Già, mi riconosce? Chi è? Chi sono?

“C’è una sola Katherine Petrova, ed è lei! La riconoscerei fra mille! Kate…” mi accarezza i capelli mentre io la osservo. Bionda, occhi azzurri, bella… E’ la mia migliore amica? Sono Katherine Petrova? E’ così che mi chiamo? Non mi ricordo nulla. Balbetto qualcosa spaventata ed imbarazzata, cercando gli occhi del medico che osserva la donna al mio fianco, sperando che mi aiuti in qualche modo.

“Kate? Sono Caroline…” il suo sguardo si spegne notando che non rispondo.

“M-mi dispiace. Non so chi tu sia…” affermo flebilmente, prendendo fra le mani una sua ciocca di capelli, desiderando improvvisamente di voler ricordare. Scoppio a piangere istericamente, portando entrambe le mani agli occhi fino a coprirli del tutto, mentre uno strano senso di nostalgia mi riempie l’animo. Perché? Chi sono?

 

***

 

Mi chiamo Katherine Petrova. Sono figlia unica, ho vissuto a Mystic Falls fino al termine del college –ho frequentato il Whitmore*, a quanto sembra – e poi mi sono trasferita con la mia famiglia a Londra, per cercare più possibilità di lavoro, in quanto i miei genitori non sono esattamente benestanti e con un lavoro stabile. Sono diventata un avvocato, lavoro nello studio Mikaelson&Co, Caroline è la mia migliore amica, un certo Elijah è il mio ex, ed ho una quasi relazione aperta con Damon Salva e qualcosa. Siamo venute a Las Vegas per lavoro, ma una macchina ci ha prese in pieno, anzi, mi ha presa in pieno. Proprio per questo non ricordo nulla. Ho un amnesia totale post traumatica. Che potrebbe trasformarsi in stabile se non ricorderò mai più nulla.

Come… come faccio a ripartire da zero? E’ come se fossi nata a ventisette anni, come se dovessi fare tutto daccapo per la prima volta. E’ tecnicamente impossibile da superare.

Questo è quanto mi ha raccontato la bionda, cioè Caroline, cioè la mia migliore amica. Come farò a recuperare tutti i rapporti, le relazioni, un lavoro per cui non ricordo minimamente di aver studiato?

“Vuoi un po’ d’acqua?” domanda lei preoccupata. Siamo nell’Hotel in cui avremmo dovuto soggiornare per qualche giorno, ma non lo faremo, domani ripartiamo per Londra. Lei si è occupata di tutto, a quanto sembra è la mia assistente, ha spiegato al miliardario –non proprio a lui- la mia situazione, dunque sono assolta da questo impiego e dal mio lavoro per un po’. Secondo lei ed i medici sarebbe opportuno smettere di lavorare per qualche mese, trovare la confidenza perduta con familiari, amici, luoghi, colleghi, prima di tornare a salvare le vite.

“No, grazie.” Le rispondo con un sorriso, prima di osservare nuovamente la mia immagine riflessa in uno specchio. Io sono quella lì. Giusto?

A primo impatto sembra che Caroline tenga davvero a me, sembra che io lei fossimo legate da più di una semplice amicizia, da più di una semplice relazione lavorativa instauratasi fra un avvocato e la propria segretaria. In un certo senso mi fa piacere sapere che non fossi sola né una zingara o cosa, ma dall’altro vorrei dannatamente ed inequivocabilmente ricordarla. Il nostro primo incontro, il nostro primo giorno di lavoro insieme, le chiacchierate, lo shopping fra amiche…

Ma niente.

“Ti stai sforzando di ricordare, non è così?” la guardo spaventata. Che legga nella mente…?

Sorride di fronte alla mia espressione. “Be’, almeno sei la solita testarda di sempre.” Un sorriso amaro fa capolino sulle sue labbra. “Però non devi Katherine, i ricordi ritorneranno, prima o poi. L’ha detto anche il medico che non devi sforzarti.”

Annuisco spostando lo sguardo sulle mie mani. Mani che, prontamente, la bionda afferra e stringe.

“Ehi… - mi chiama, mentre gli occhi di entrambe si inumidiscono. Dio, mi imbarazza persino piangere di fronte a lei. E’ come se fossimo due sconosciute. – Andrà tutto per il meglio. Sei Katherine Petrova, non ti abbatti facilmente.” Scoppia a piangere cercando inutilmente di trattenersi. E se non ricordassi mai più? Non voglio pensarci. Ma d’altronde non ho altro a cui pensare. La mia mente è vuota, è stata svuotata; nessun ricordo, esperienza, sensazione,  immagine… niente.

C’è solo un’unica certezza.

Sono Katherine Petrova?

Sì. Lo sono.

 

 -

*Whitmore: College che, nella serie tv, frequentano sia Care che Elena.

-

Ah! lo so, questo capitolo è proprio cortissimo.

Forse qualcuno se l'aspettava... forse per altri è una sorpresa inaspettata. La vicenda si evolverà diversamente per Elena e per Katherine.

Nel prossimo capitolo si capirà cosa sia effettivamente successo ad Elena, che due capitoli fa litigava con Stefan. 

Non sarà facile per nessuna delle due, Katherine sarà più... ehm... svantaggiata, ecco, e questo si riprenderà a fine fanfiction. In questi brevi prossimi capitoli, poi, i loro caratteri sono apparentemente azzerati, ma si ricostruiranno pian piano. Non sottovalutate Caroline, sarà un personaggio importante, uno di quelli che più amo e sto cercando di rendere meglio. Questa storia non piace molto, l'ho notato dalle poche visite e recensioni. Volevo solo dire che questo è il mio primo progetto serio, l'altra mia fanfiction sospesa non conta, e mi dispiace tanto che non piaccia, soprattutto perchè ci sto mettendo anima, il mio tempo libero, la mia mente, tutto.

La porterò a termine comunque, nel frattempo sto lavorando ad altri progetti, fra cui fanfiction più serie e altre meno serie. 

Questi capitoli saranno più brevi, l'ottavo è molto lungo. Sto lavorando alla stesura del nono.

Come ho già detto, mi dispiace che non piaccia, io ci metto tutta me stessa. Proverò a migliorare il mio modo di scrivere, ad aggiustare la trama e la vicenda; so che non si può piacere a tutti, io però, voglio migliorarmi, proprio per questo pubblico su questo sito. 

Fatemi sapere cosa ne pensate :)

Grazie per le recensioni del capitolo precedente, per l'inserimento nelle seguite e preferite!

Grazie mille!

Un bacione enorme

A presto!

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Capitolo 5
*** Don't let me go ***


Capitolo quinto

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Don’t let me go

Elena

 

Caroline è una persona eccezionale. E’ forte, seppure so che una parte di lei sia molto fragile e sensibile, ama essere quello che è, e mi è stata accanto per tutto questo tempo. Non mi ha mai abbandonata da quando siamo atterrate a Londra. Si è persino trasferita nel mio appartamento a Trafalgar Square, per evitare di farmi stare sola, seppure un sacco di persone, compresi i miei apparenti genitori, vogliano farmi visita. Preferisco stare con lei, adesso, mi sento protetta e sicura anche se non ho la minima idea di come l’abbia conosciuta. Non ricordo ancora nulla, mi sento male per questo, ma perlomeno ho lei. Stanotte non ho chiuso occhio, ho pianto fino a che lei non è venuta nella mia camera ed ha dormito con me. Subito dopo, ho dormito come un bimbo. Questa mattina mi sono svegliata presto in compenso, ed ho riflettuto a lungo osservando Londra e l’alba.
“Ehi.” Mugugna Caroline dietro di me.
Mi volto verso di lei, sorridendole e legando, poi, i miei capelli in una coda.
La bionda mi guarda incredula. “Cosa c’è?” domando allora.
“Non ti ho mai vista con i capelli legati.” Ma non sembra darci molto peso,  sbadiglia e si porta una mano alla bocca. Io rimango perplessa… ma decido di non farci caso più di tanto, mentre un lieve mal di testa mi fa chiudere gli occhi per qualche istante.
“E’ tutto okay?” La voce della bionda è molto più vicina di prima, la sua mano accarezza la mia schiena ed un po’ di vento mi spettina i capelli. I miei gomiti sono entrambi poggiati sul davanzale della finestra della cucina, ed un raggio di sole che mi colpisce fa sì che stringa ulteriormente gli occhi.
“Sì… un po’ di mal di testa, niente di preoccupante.” La rincuoro, sapendo che il suo viso avrà assunto un’espressione a metà fra il preoccupato ed il non-so-cosa-fare-per-aiutarti.
Sto imparando a conoscerla, a conoscere molte delle sue infinite sfaccettature.
“Sicura di non volere un’aspirina?
“Sicura.”
“Okay… -sospira- hai già fatto colazione?” Riapro gli occhi, osservandola in tutta la sua bellezza. I capelli biondi spettinati e leggermente elettrizzati a causa di un plaid di lana sul letto, gli occhi grandi e la pelle candida e liscia. E’ proprio meravigliosa.
“Aspettavo solo te.” 

Non immaginavo che potessi avere così tante cose nella dispensa. Innanzitutto abbiamo apparecchiato il tavolo, con delle deliziose tovagliette per la colazione simile a quelle americane. Poi abbiamo messo l’acqua a riscaldare su un fornello e Care ha fatto un po’ di caffè. Ci sono biscotti, cornetti, cupcakes, yoghurt, frutta… C’è di tutto. Mi sembra di essere tornata bambina perché mi sento felice quasi come Natale. Non che ne ricordi uno… ma suppongo di aver provato allora un pizzico di questa felicità.
“Non ricordavo che il tuo tè fosse così…” deglutisce, con un frollino al cioccolato fra le mani. “…Buono. Kate, verrò a fare colazione da te ogni giorno!” esclama facendomi sorridere.
“Abbiamo… abbiamo mai fatto colazione insieme?” domando. “Così? Come adesso?” La curiosità per un attimo mi invade. E’ la mia migliore amica… Di solito si fanno cose del genere assieme, no?
“Raramente. Non hai praticamente mai usato questa cucina. Eri una donna moderna, colazione al volo da Starbucks. O meglio, caffè al volo da Starbucks. – si corregge, mordendo il biscotto – Eri tipo… fissata con le calorie, i carboidrati, le proteine e tutte quelle cavolate varie. Non sai quanto sia felice di vederti mangiare.” Sorride prima si sorseggiare un po’ del suo tè alla fragola.
“Mhm… squisito.”
Con la tazza fra le mani osservo tutti i prodotti presenti sul tavolo. Mi sento sollevata… l’idea di essere migliorata, di rendere Caroline felice mi rende automaticamente felice. Eppure vorrei poter ricordare quando ho comprato questi cupcakes alla vaniglia, ad esempio. Oppure il cacao in polvere che Care sta mangiando direttamente dalla confezione.
Ma forse potrebbe essermi andata peggio. Ho perso la memoria ma non un’amica vera e sincera.
Non sono sola, non lo sono mai stata.
Sospiro, è una nuova giornata, un’ulteriore possibilità per ricominciare. E sta iniziando in una maniera per niente spiacevole.
Sorrido.
Un rumore proveniente dalla porta d’ingresso, però, ci fa improvvisamente sobbalzare e un’ansia mi assale. Un… ladro?
“Care…” mormoro alzandomi, mentre la mia amica prende in mano una padella e mi intima di fare silenzio con l’indice poggiato sulle labbra. Deglutisco annuendole.
Sembra che qualcuno stia armeggiando con le chiavi dell’appartamento. Vorrei scorrere nella mia mente, per ricordare a chi altro io le abbia date. O se io le abbia nascoste e qualcuno è a conoscenza del loro luogo. Ma nulla, ovviamente.
La porta si spalanca, ed io mi irrigidisco.
Un uomo entra nel soggiorno. Caroline lascia la padella e sbuffa. Chi è?
“Vedo che non hai cambiato il loro posto – agita una copia delle chiavi fra le mani- … sei in ottima compagnia.” È una constatazione, non sembra affatto sorpreso. Rivolge un sorriso che mi appare piuttosto tirato alla mia amica.
Ma chi diavolo è?
“Caroline…” la chiamo. Subito comprende che c’è qualcosa che non va. Ad esempio, non so chi egli sia…
“Oh, sì. Kate ehm… lui è Elijah. Te ne ho parlato.” Borbotta imbarazzata. Elijah il mio ex? Cosa diamine ci fa qui, allora? Gli ex non dovrebbero odiarsi ed evitarsi?
“Non ricordi chi sono?” domanda sorpreso. Si indica anche con la mano, ma io scuoto la testa. Inizia a vagare per la casa con le mani immerse nelle tasche dei suoi –sicuramente costosi- pantaloni. E’ anche troppo elegante per uscire di casa, insomma. Non distolgo lo sguardo da lui nemmeno per un secondo. E’ il mio passato. Due anni della mia vita stanno camminando per il soggiorno in un completo elegante ed in un ciuffo di capelli perfetto.
“Cosa ci fai qui, Elijah? E’ instabile al momento, ho esplicitamente invitato tutti a farle visita quando se la sarebbe sentita.” Il suo tono di voce è tagliente, una certa tensione è palpabile nell’aria. Ed io rimango immobile, come congelata. Non so cosa fare, se muovermi. Se avvicinarmi a lui per farmi raccontare qualche evento divertente sul nostro passato di coppia, se toccargli i capelli o se schiaffeggiarlo per essere giunto a casa mia come se nulla fosse.
“Dammi le chiavi.” E’ quello che dico, sorprendendo tutti e porgendogli la mano. Lui non smette di osservarmi per mezzo secondo, però lo fa. Poggia le chiavi sul mio palmo, delicatamente, ed io lo stringo. “Grazie.” Mormoro infastidita da lui e dal suo modo di osservarmi.
Cosa vuole vedere in me? Cosa pensa di trovarci? La mia memoria?
“Smettila.” Esclamo, lievemente in imbarazzo.
“Come?” sbatte le ciglia troppo velocemente.
E “Mi metti in soggezione.” rispondo vaga, cercando di evitare il suo sguardo profondo.
“Scusami, Katherine.” Ma non distoglie lo sguardo.
“Bene.” Mi mordo un labbro. “Hai altro da fare? Qualcun altro da importunare?” domando sgarbata.
“In realtà solo te.” Si avvicina di un passo a due, ma la distanza fra i nostri corpi è ancora molta.
“Scusami, Elijah. Temo di non desiderare la tua presenza qui.” Non so da dove provenga questa grinta. Il modo in cui ha sorriso a Care mi ha infastidita. Lui è piombato in casa all’improvviso. Lui che mi fissa e mi scombussola.
Alza le mani come per chiedere perdono, prima che la mia amica apra la porta per farlo sparire dal mio appartamento.
Sospiro, sedendomi sul divano. “Come stai?”
Scrollo le spalle, stropicciandomi gli occhi con una mano. Mordo l’interno guancia.
“Sei stata… fantastica, dico sul serio!” esclama prima di accomodarsi accanto a me.
“Non lo so… E’ il mio passato, giusto? Ed io non so neanche come comportarmi, cosa dire e cosa pensare. Tutto questo mi sta uccidendo e … ho pensato che dovesse andar via. Ma poi… ha continuato a fissarmi e mi ha fatta sentire… quasi in colpa, ecco, per non ricordare. E’ tutta una gran confusione.” Copro gli occhi con entrambe le mani. E’ un gran casino, ho davvero pensato di star bene?
Perché è impossibile.
Non posso star bene.
“Cosa diamine ho pensato? Star bene? Dopo… dopo tutto questo?”
“Katherine, sta’ calma.”
“Non sto calma, Caroline! E’ solo che ho perso tutto ma ho te. Chiunque tu sia, ma ho te. Ed ho… ho pensato che forse non ero sola. Che forse nulla era perduto! Ma dannazione! L’hai visto come mi guardava?”
Lei scuote il capo.
“Mi ha fatta sentire colpevole. Non lo ricorderò mai, probabilmente. E forse con lui ho trascorso i due anni più belli della mia vita.”
“Non dire così…” mi ammonisce lei, accarezzandomi la guancia con il dorso della mano.
La guardo. “Ah no? E cosa dovrei fare? Ho persino paura ad incontrare il vicino di casa! Che ne so… potrebbe essere importante. Sono tutti dei tasselli della mia vita…”
“Io non ti lascerò mai, Kate. Mettitelo bene in testa.”
“Okay, Caroline. Ma tu mettiti bene in testa che c’è una possibilità che non ricordi mai nulla su di te. Che il mio primo tuo ricordo sarà averti vista disperata in ospedale.” “Lo farò. Ma è una possibilità. Ce ne sono altre.”
Il suo tono di voce, il suo accarezzarmi come una bambina mi da alla testa.
Perché le mie parole non l’abbattono? Perché vuol mostrarsi forte?
“Come fai? –aggrotta le sopracciglia. – Come fai a non crollare mai? E’ una disgrazia. Una condanna vivere con me.” Incurva le labbra in un sorriso timido.
“Non lo so. Avrei potuto abbandonarti, potrei farlo. Ma ci tengo a te in un modo che non riesco neanche a spiegarmi. Eppure tu sei tu, con quel caratteraccio, quell’ambizione, quell’essere fredda che mi destabilizza. Che mi da ai nervi. Starti vicina fa bene ad entrambe, allora salviamoci a vicenda, Katherine. C’è ancora speranza. A volte è tutto ciò che ci fa andare avanti.”
La stringo forte, l’abbraccio, fino a che il suo profumo mi fa venire il voltastomaco, fino a che le mie mani non riconoscono alla perfezione la consistenza della sua pelle. Cosa ho fatto per meritarmi un’amica così?
“Non lasciarmi andare, Caroline, mai.”
“Mai.” Mugugna in risposta sulla mia spalla, mentre il suo maglione mi solletica il mento.
Mai. 

L’appartamento di Caroline si trova vicino ad Hyde Park e un po’ la invidio. La sua è una delle visuali più belle di tutta Londra, se possibile. Mi stringo nella mia giacca ed affondo il viso nella sciarpa, mentre un freddo quasi per niente autunnale ci avvolge sino a che non accediamo a casa sua. Casa che, a dirla tutta, mi ricorda vagamente qualcosa. Qualcosa che, ovviamente, non ricordo. Ma è un buon segno, no? Non glielo dico per non spezzare questo silenzio che ci accompagna da qualche minuto e che esprime tante cose, immagino. Ho avuto una sorta di ricaduta barra sfuriata, me la sono presa con me stessa ma lei mi ha aiutata, lei c’è e ci sarà sempre. E ci siamo chiarite, per un verso. Non so se ero una tipa di tante parole o troppo affettuosa, ma so che adesso stiamo entrambe bene. E non devo ricordarglielo nuovamente.
“Ti… piace?” domanda aprendo le finestre e strofinando, poi, le mani sulle cosce. Annuisco guardandomi intorno, non c’è altro luogo in cui vorrei essere. O almeno credo.
Trasmette un’energia indescrivibile, mi sento sicura e stranamente… a casa.
“Be’, vediamo un film?” chiede tutta contenta, con un sorriso smagliante a cui non so dire di no.
“Sicuro.”
Ci gettiamo sul divano, lei è alla mia destra. I nostri corpi sono avvolti da una serie di coperte di lana colorate, che mi fanno sorridere intenerita. Questa è casa di Caroline. Lo capisci dal momento in cui varchi la soglia della porta.
Tutto è Caroline, a partire dai divani, a terminare dalla striscia blu, sicuramente di un pastello, presente su un muro. I libri che ha letto, quelli che non ha letto: è Caroline.
L’atmosfera stessa urla il suo nome; il suo profumo, poi, aleggia nell’atmosfera e non posso fare a meno di inspirare profondamente, riempiendo completamente i polmoni del suo odore.
Probabilmente i suoi vicini hanno un arredamento simile a questo, ma che non assomiglia neanche lontanamente a quello della mia amica. Ed io vorrei aver percepito questa sensazione a casa, questa mattina.
O ieri, ad esempio. Ma non l’ho fatto.
Eppure io ci ho vissuto in quella casa. Per questo mi domando: cosa c’è di sbagliato?
Cosa c’è di diverso in me? Sono solo… confusa, frastornata?
Magari domattina percepirò sicurezza, quando inserirò le chiavi nella toppa. Starò bene al sol pensiero di poter stare a casa? Vorrei che la risposta a questi dubbi, a queste domande fosse sì.
Ma suppongo sia più difficile di così.

-

Allora, questo capitolo è corto, lo so, ma è importante. La perdita della memoria è un argomento delicato, sto cercando di non trattarlo superficialmente e spero di riuscirci, spero anche che le vicende non sembrino... surreali, ecco. Sono disposta ad accettare ogni tipo di consiglio se vorrete dispensarmene alcuni, tutto pur di migliorare. So bene che va trattato con profondità, ecco perchè Elena in questo capitolo è instabile. Non è facile, lei immaginava che tutto sarebbe andato per il meglio in quanto è stata subito trovata da Caroline e dunque non era sola, ma ecco... non è così. Katherine è più disperata, non c'è nessuno quando si sveglia e la paura di rimaner sola la sconvolge a tal punto di non riuscirsi a fidar di nessuno.

Elijah è di passaggio, Elena affronta il suo passato, o meglio, quello di Katherine. Che ve ne è sembrato? Nel prossimo di Elena ci sarà un altro personaggio -più o meno-! Damon verrà fra un po', lo so che lo volete tutti! ahah

Vi ringrazio per aver letto, recensito ed inserito la storia fra le seguite e preferite! Mi fa molto piacere!

Sono sempre ben disposta ad accettare consigli su come migliorare!

Vi esorto a passare da altre mie fic, due OS, ovvero Give me love, A long summer incentrata sull'episodio 5x01 ed infine la mia minilong, It's like you're my mirror

Verso dicembre posterò il primo capitolo di una mia altra long, che sto scrivendo da luglio, è molto lunga e impegnativa per me, non vi assicuro nulla, potrei postarlo anche la settimana prossima tenendo conto dei miei continui sbalzi d'umore e tutto il resto ahah (avete presente quella di cui vi ho parlato nel prologo? ecco) In quel periodo avrò scritto almeno una ventina di capitoli di Lo strano caso, il che significa che l'avrò quasi finita. (quasi, eh, sono più di venti) Ho intenzione di postarla in quel periodo in quanto mancherà poco alle feste di Natale = avrò tutto il tempo per scrivere tutte le fic che ho in corso haha Non so perchè stia elencando queste cose a voi ahah insomma, che cosa ve ne può importare?

Un bacio!

A presto!

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Capitolo 6
*** You're scaring me ***


Capitolo quarto

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You’re scaring me

Katherine

 

Non penso ci sia nulla di più spossante che svegliarsi in un ospedale, con delle profonde fitte alla testa senza nemmeno ricordarsi la propria identità. Non ricordando nulla, ma davvero nulla. Neanche un frammento di ricordo, di emozione, di un’esperienza passata. Niente di niente. Il vuoto totale.

Amnesia totale post traumatica.

Ridicolo, vero? Ho un’ amnesia per un incidente che non ricordo, causato per chissà cosa che ovviamente non ricordo, mi trovo in una città per me sconosciuta… ma soprattutto sono sola. Senza nome, senza cognome, e sola. O almeno questo è ciò che dicono i medici.

Ridatemi la mia vita.

“Signorina, come si sente?” domanda un dottore. Gli rivolgo un’occhiata truce. La sua presenza è inutile se non sa dirmi chi sono, se non riesce a restituirmi la memoria.

“Come stamattina.” Rispondo vaga, pur sapendo che sono una stupida ed infantile donna e che sto facendo del male a me stessa. “Dottore?” lo chiamo.

Quello che sto per chiedergli non farà altro che aumentare il pazzo giudizio che ha di me. Una pazza psicopatica sola scontrosa e lunatica.

“Possibile che… sì, insomma, che sia… sola?” E’ la mia domanda, che mi fa davvero paura. Anzi, ci sono così tante cose che mi fanno paura. Io stessa, in questo momento, mi faccio paura. Tornerò mai la me di prima? Avrò mai un nome, un lavoro, una casa? E se avessi dei parenti dall’altra parte del mondo?

O mio Dio, non voglio neanche pensarci.

L’uomo accenna un sorriso. “Stiamo facendo il possibile per trovare un suo parente, un conoscente che possa identificarla. Anzi, a dirla tutta ci sarebbe un ragazzo che forse potrebbe far parte del suo passato. Non gliel’ho detto prima per non illuderla.” Per un secondo gioisco. Ma mi rendo subito conto che… sarebbe strano,  piuttosto imbarazzante avere a che fare con qualcuno che sa chi tu sia, ma non il contrario.

“E per quanto riguarda i ricordi?” il mio tono, adesso, è apatico.

“I ricordi verranno da sé, torneranno con la stessa facilità con cui se ne sono andati. Non si sforzi, si fa solo del male.”

Si dilegua augurandomi un buon giorno, ed io vorrei domandargli ma che buongiorno, questo giorno non può essere buono, ho perduto me stessa e, per quanto mi riguarda, sarei potuta essere una barbona. Oppure il sindaco di una città. Una fotomodella. Una cassiera. Ma non lo so, non lo sono, perché adesso sono un’anima sola e sconosciuta ma soprattutto vagante.

Sono trascorse quasi due ore, e nemmeno l’ombra di qualcuno che mi conosca. Sono rimasta pressoché immobile per quasi tutto il tempo, milioni di dubbi e domande mi hanno afflitta, sono quasi scoppiata in una crisi di pianto, mentre un senso di vuoto incolmabile simile ad una voragine si è piantato proprio nella mia pancia, ed ho cercato una forza in me per evitare di urlare.

Sono sola.

Non sono nessuno.

Questo è uno di quei casi in cui ci si perde, e non fisicamente parlando. Mi sono persa, persa in me stessa e probabilmente qualche strana entità superiore fa sì che non possa mai trovare la via d’uscita a questo labirinto. Labirinto che, in fin dei conti, non so se sia la vita o i peccati, tutti gli errori che ho commesso. Uscendo cosa farò? Vivrò? Sarò in pace o tormentata da tutti i miei sbagli?

Ma al momento non è questa la domanda principale che mi pongo.

Più che altro mi chiedo se troverò mai la via di casa.

Perché mi sembra piuttosto ovvio che io l’abbia perduta.

Confusa. Sola. Frastornata, soprattutto. Ho perso tutto. Ho perduto tutto quello che ho costruito nella mia vita. Milioni di dubbi mi assalgono, milioni di domande a cui non so dare una risposta.

E’ meglio non ricordare? E’ positivo aver dimenticato tutto il possibile triste e tormentato passato?

E  se avessi una famiglia?

Quanti anni ho?

Sono bloccata. Ferma. Ferma in un punto tragico –strategico?- della mia vita.

Non ci riesco.

Ed è così che mi addormento, lasciando che i singhiozzi mi tengano compagnia durante la notte.

“Buongiorno.” Per un secondo vorrei non aver aperto gli occhi, vorrei continuare a dormire oppure svegliarmi e capire se ciò che è successo ieri sia tutto un sogno. Un incubo, più precisamente.

Mi metto a sedere e realizzo che non ho la minima idea di chi io sia.

“Buongiorno” allora mugolo in risposta al dottore che è già partito con le sue domande inutili, per capire i dolori che provo o se ricordo qualche cosuccia su di me, sul mio passato.

“Allora, ragazza, stamattina è giunto un uomo, alla ricerca della sua compagna. Pare che questa sia in ospedale e che lui abbia girato tutta Las Vegas pur di trovarla. Fra un po’ gli parleremo per mettere a confronto la descrizione della sua fidanzata con te. D’accordo?” Annuisco spaventata.

Oh… e se … e se fossi io? Sarei fidanzata? Quindi… in procinto di sposarmi?

E cosa sta provando il mio futuro marito? Come reagirà di fronte alla mia amnesia?

Scuoto la testa, cercando di non pensare, di non scavare nella mia mente o al mio costante mal di testa, che mi sconvolge da ieri mattina. Eppure sono così spaventata. E se non fossi io? Rimarrei sola a vita? Ho perso i miei ricordi, probabilmente i più belli in assoluto, per non parlare della mia famiglia, ma no… No, mi dico, non devo pensarci.

Senza rendermene conto delle lacrime scorrono sul mio viso, e cerco di eliminarle con entrambe le mani. Sembra che tutto quello che sappia fare sia piangere… E non mi piace, so che non mi piace, forse non ero abituata a farlo, o probabilmente sì, chi lo sa?

Prendo una profonda boccata d’aria, inspirando ed espirando, ripetendo questo più volte mentre il mio sguardo è perso nel vuoto di fronte a me. Non posso crederci. Forse sto per scoppiare a piangere…

Questi minuti trascorrono davvero molto lentamente, il tempo non scivola via facilmente e tutto questo non fa altro che farmi agitare e spaventare ancora di più. Inizio allora ad agitare una gamba, forse soffro qualcosa. Le vertigini? La paura di volare? A cosa sono allergica? Quali sono i miei hobby?

Non lo so, milioni di domande mi tormentano e non ho neanche una risposta, dire ‘Non lo so’ non chiarisce nessun dubbio in sospeso e tutto questo non fa che incrementare i miei sentimenti spiacevoli e dolorosi.

E poi arriva quel momento, in cui tutta la tua vita cambia. Lo sai perché te lo senti, ne sei quasi del tutto consapevole. Il mio arriva con un bussare alla porta della mia stanza d’ospedale.

“Signorina?” domanda il dottore.

“Sì?”

“Sono felice di annunciarla che ha trovato il suo fidanzato.” Esclama con un sorriso che va da un orecchio all’altro. Smetto di respirare. E adesso cosa si fa?

Si allontana con un cenno della mano, come per far passare qualcuno.

Oh, diamine! Sarà lui?

Mi mordo un labbro, mentre agito le mani in modo quasi eccessivo, da pazza maniacale. Per un istante mi blocco. Le parole pazza maniacale mi ricordano qualcosa, qualcuno… Ma cosa? Chi?

Poggio le mani alle tempie, massaggiandole e cercando un po’ di conforto… un ricordo. Mi guardo attorno spaesata. Non ricordo nulla.

Nulla.

Chiudo gli occhi.

Quando li riapro c’è un uomo di fronte a me, si massaggia la fronte e sembra essere davvero molto stanco. Se fossi io la donna che sta cercando? E se non lo fossi? Vorrei sapere cosa dire, cosa fare. Vorrei indietro la mia vita. Vorrei ricordare. Strizzo gli occhi lasciando cadere due lacrime che prontamente elimino dal mio viso.
I suoi capelli sono castano chiari, il suo fisico è tonico ed asciutto, un paio di jeans aderenti gli fasciano le gambe. Sopra poi, solo una maglietta bianca. Possibile che non mi ricordi nulla?
Nemmeno il suo profumo? Muschio, a quanto sembra.
Ma non mi dice nulla.

Improvvisamente alza gli occhi incrociando il mio sguardo. S’illumina.

“Elena?” domanda in un sussurro.

Evito il suo sguardo perforante, osservando le cose attorno a me: una sedia, un armadio, la finestra, un… mazzo di rose.
“Elena.” Afferma alzandosi e prendendo la mia mano fra le sue. Boccheggio ritraendola immediatamente. Ho paura.
“Non devi aver paura, io sono Stefan, il tuo fidanzato.” Sorride, ma io non ricambio.
“So… so che – prende la sedia e si pone alla mia sinistra – avevamo litigato prima che tu andassi via… Ma non volevo, mi dispiace, ero stanco e tu volevi delle attenzioni, come una bambina. Abbiamo sbagliato entrambi.” Elena… io… volevo delle attenzioni? Come una bambina? Con chi razza di tipo dovrei sposarmi? Non fa che spaventarmi di più.
“E hai detto delle cose orribili, mi hai ferito. Io voglio ancora sposarti, Elena. E so che anche tu lo vuoi.” Mi fissa ed io vorrei chiedergli un sacco di cose. Forse vorrei anche ricordarlo.

“Co-cosa mi è successo? L’incidente, i-intendo…” affermo balbettando, ignorando tutte le sue parole.

Sospira. “Sei andata giù, nella hall dell’albergo. Il portinaio ti ha vista piangere, e ti ha chiesto se stessi bene. Tu gli hai risposto di aver bisogno di un po’ d’aria, così sei uscita e … - si blocca prendendo una boccata d’aria. – e ha sentito un frastuono, è corso fuori e ti ha vista a terra, senza sensi. Ha chiamato un’ambulanza che ti ha portato in questo ospedale. Però i tuoi documenti erano nella valigia, per questo non sei stata subito identificata, una volta sveglia.” Spiega facendomi tremare appena. “Io dopo un bel po’ sono sceso, per vedere se fossi lì. Mancavi. Ed io ti amo Elena, e poi c’era la tua valigia, ho chiesto in giro e me l’hanno raccontato. E… ed io volevo essere con te, ho visitato due ospedali prima di giungere a questo, il più distante dal nostro Hotel.”

Accarezza i miei capelli, mentre io singhiozzo.
“Adesso è tutto okay, torniamo a casa e ci sposeremo. Saremo felici, lo prometto.” Sposarsi? Ma come posso dopo tutto questo? Niente è okay, io ho perduto la mia memoria e l’ultima cosa di cui ho bisogno è sposarmi con uno sconosciuto.

Allontano la testa dalla sua mano. “Ti prego, smettila…” mormoro.
“Di fare cosa?” domanda inclinando il capo.
“M-mi stai spaventando.” Esclamo facendo sgranare i suoi occhi. Ritrae la mano e si allontana leggermente con la sedia. “Torna a casa con me, a Londra. Staremo bene, recupererai la tua memoria e saremo felici.”
Spalanco gli occhi, recuperando un po’ di voce.
“Smettila!” urlo. “Smettila di dirmi questo! Non recupererò la mia memoria, rimarrò nel vuoto per sempre! Non voglio sposare uno sconosciuto!” Porto entrambe le mani agli occhi.
Un medico entra nella stanza allarmato, facendo allontanare Stefan e cercando di calmarmi.
“Non ti lascio qui, Elena.” Sussurra l’uomo, prima di sparire dalla stanza

Ho paura.

-

Stefan è proprio un babbano, ha paura ma non lo ammette. Molti di voi lo odieranno -wait, tutti lo odiano- ma capiremo meglio i suoi pensieri, il suo carattere fra un paio di capitoli. Non ho aggiornato ieri perchè sto avendo una crisi: sono rimasta un'ora e mezza di fronte alla pagina dell'11esimo capitolo. Non sapevo cosa scrivere, adesso è in fase di stesura ma ho un problema con la storyline di Katherine.

Passerà, almeno me lo auguro.

Ecco c0s'è successo ad Elena!

Cosa accadrà, secondo voi?

Per Katherine è più difficile, perchè se nel prossimo capitolo Elena è già a casa, lei non tornerà presto. Spero che il capitolo non risulti troppo noioso, dev'essere decisamente corto perchè questi capitoli sono di passaggio e fondamentali, anzi, più che di passaggio servono a stabilizzare la vicenda, l'equilibrio iniziale che ho prontamente stravolto.

Lasciatemi un parere se vi va! Mi farebbe davvero molto piacere!

Grazie a chi ha recensito, a coloro che seguono la storia e la inseriscono nelle preferite e seguite, ai lettori silenziosi!

Alla settimana prossima!

Un bacio 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Breath ***


Capitolo sesto

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Breath

Katherine

 

Mi guardo attorno quasi disgustata all’idea di essere in questa suite. Avrei preferito aspettare queste persone in ospedale. Mi viene il voltastomaco al solo pensare che da qui è partito tutto. Questo è il luogo in cui sono impazzita e di conseguenza ho perso la memoria. E non mi piace. Ho una brutta sensazione.

“Vuoi che dorma sul divano?” domanda la voce che riconosco essere di Stefan

Mi guardo attorno prima di rispondergli. Annuisco, non avendo voglia di pronunciare nemmeno una parola. E’ tutto così strano, ho un’ansia costante che mi martella nella pancia  e non mi fido neanche di lui.

Mi sento sola a tutti gli effetti, non ho nessuno di cui fidarmi. Ripongo un po’ di speranza in queste due persone a me sconosciute, come Stefan e tutti, d’altronde.

“Rose e Bonnie saranno qui domattina, probabilmente adesso saranno appena partite. Vuoi chiamarle o… non so…vuoi qualcosa da mangiare?”

Scuoto la testa schiudendo appena le labbra. Lo vedo sospirare, forse sconfitto, forse dispiaciuto. Un po’ mi dispiace, ad essere sinceri. Ma solo un po’. Poi mi rendo conto che mi ha terrorizzata a morte, che non volevo affatto sposarlo e mi convinco che è meglio non provare nulla per lui, neanche pena.

La mia pancia brontola. Stefan sorride a malapena.

“Non hai fame, eh?” biascica prendendo una coperta e poggiandola sul divano.

Apro la bocca per protestare, ma non esce nemmeno una parola: in più, sta già ordinando cinese con il suo cellulare, girando un foglietto da visita fra le mani.

Mi piace il cinese? Non ne ho idea. Ma ha preso in mano la situazione, suppongo. Forse vuole farsi perdonare. Ma meglio non pensarci.

 

Respira, Elena, respira. Mi sento stupida a pronunciare queste parole, come se qualcosa non andasse. Non devo respirare? Respira, Elena, respira. E’ come un mantra, un ordine imposto da me stessa per il mio bene. Respira, Elena, respira. Un volto ambrato fa capolino nella stanza.

Ecco, ho smesso di respirare. Perché così tanta paura?

I raggi del sole illuminano i suoi capelli scuri e per un secondo realizzo che la notte è passata in un battibaleno. Con un enorme mal di pancia per non aver mangiato, ma in un battibaleno.

“Testarda.” Mi ha definita Stefan. “Anche più di prima.”

“Ehi.” Pronuncia una donna. Mi ritrovo con uno strano sorriso sulle labbra, seppure mi senta ancora diffidente a fidarmi di apparenti sconosciuti. Il suo tono di voce mi è sembrato quello di una dolce madre.

Realizzo che non parlo da ieri mattina.

“Elena, tesoro.” Sorride avvicinandosi a me.

“Sono Bonnie, eravamo amiche, un tempo.” Una nota di nostalgia le fa incrinare il tono di voce. “Vuoi che ti racconti qualcosa? Che… ti abbracci? Che – ascolta il mio stomaco brontolare. Mi scruta con attenzione. – …Senti, facciamo colazione, io, te e Rose. Noi ti raccontiamo qualcosa, e tu, se te la senti, parli un po’.” Sorride ma sembra che si stia trattenendo dal piangere. “Ti va?”

 

Siamo sedute tutte e tre ad un tavolino interno di un bar nelle vicinanze. I muri sono colmi di quadri e foto, delle lampade bianche scendono dal soffitto fermandosi esattamente al centro di ogni tavolo, mentre un vocio ci avvolge. E’ accogliente, dopotutto.

“Brr.” Rose, se non erro, si sfrega le mani per produrre un po’ di calore. Il naso è rosso e le guance sono rosee. Ha un aspetto… tenero, sembra più giovane di quanto non lo sia, perché, se non ho sentito male, deve avere ventisette anni come me, come tutte noi.

Incurvo gli angoli della bocca verso l’alto, non ho niente da dire. Non saprei di cosa parlare con delle sconosciute che, paradossalmente, sanno tutto di me. “Come stai?” domanda allora Bonnie, guardando nella mia direzione. Spalanco leggermente gli occhi. Dice a me? Come sto?

“Sì, Lena, sto parlando con te.” Sorride.

Tossicchio inumidendomi le labbra ed aggrottando le sopracciglia. Già…

“Ehm… non so. Sono confusa.” Mi limito a dire, mentre loro annuiscono non del tutto convinte.

“Ma davvero?” esclama Rose, mentre Bonnie la rimprovera con una gomitata.

“No, Bonnie, lasciami parlare.” Il suo sguardo accusatorio si punta su di me, e deglutisco, non sapendo cos’altro fare. “Senti Elena… la fiducia non è qualcosa che si ottiene da un giorno all’altro. La fiducia si perde, è difficile riconquistarla. Ma credimi se ti dico che parlarci ti farà bene. So che ci prenderai per pazze, a meno che tu non l’abbia già fatto… ma sei più chiusa e testarda di prima, e no, non è un bene. Quindi apri quella dannata bocca e illuminaci.”

Osservo una coppia ridere e scherzare ad un tavolo. Sono mai stata felice con Stefan?

“Come stai?” ripropone la stessa domanda di qualche minuto fa la bruna.

Scruto Bonnie e Rose. Posso fidarmi?

“Ho perso la memoria, Bonnie. Come dovrei sentirmi?” chiedo retorica, facendo sorridere Rose.

Sto andando bene?

“Più che confusa.” Risponde questa.

“Più che confusa.” Ripeto annuendo. “Percepisco tutto in maniera differente.”

Entrambe allungano il collo verso di me, come per incitarmi ad andare avanti nel discorso. Apro la bocca ma non so cosa dire. O meglio, non so se voglio dir loro cosa mi passa per la testa.

“Andiamo!” esclama Rose.

“E’ tutto questo ciò che vuoi dirci?” Scrollo le spalle, facendola quasi infuriare. “Allora parlo io.”

Aggrotto le sopracciglia. Non sono pronta, psicologicamente parlando, a sapere tutto su di me. Non voglio rendermi conto di aver vissuto una vita triste, piena di disperazione, con uno come Stefan al mio fianco.

“Che ti piaccia o no.” Si affretta ad aggiungere. Bonnie incurva a malapena le labbra in un sorriso. In fondo, cosa può fare lei? Fermare Rose? Non credo proprio.

“Elena Gilbert, nata il ventidue giugno di ventisette anni fa.” Alzo gli occhi al cielo a metà fra l’infastidita ed il divertita. Fa sul serio? “La tua vita non è stata affatto triste o piena di preoccupazioni, ragazza mia. So che ci hai pensato.” Sgrano gli occhi, facendola ridere. “Tu sei sempre stata… felice. Ti sei sempre accontentata della vita che hai vissuto, i tuoi genitori hanno cercato di darti il massimo ma tu saresti stata felice anche solo frequentando un college non affatto prestigioso come Yale.”

Bonnie prende la parola. “Noi due ci conosciamo da sempre, da quando ho memoria.” Si tappa la bocca. Sembra quasi dispiaciuta. Mi inumidisco le labbra guardando per terra.

“Touchè.” Esclamo poco dopo, ironica, abbozzando un sorriso.

“Elena non-“ la blocco, deglutendo. “Continua.”

“Davvero, io non-“

“Continua.” Prende una boccata d’aria, mentre io mi stringo nella giacca di pelle nera. “Rose è stata l’amica del college, quella apparentemente perfetta che all’inizio odiavamo con tutto il cuore. –sospira, osservando l’amica.- Il resto è storia.”

“Non è storia, Bon. – la riprende Rose – Ci siamo conosciute ed abbiamo capito che non eravamo così male. Il resto, questo resto, è storia.”

“Comunque… - cerca di concentrarsi su di me. – Lì hai conosciuto Stefan, il tuo amore epico. O quasi…”

Alza gli occhi al cielo. “Eravate giovani, diversi, avevate altri progetti per il futuro. Avete incontrato difficoltà, avete superato ostacoli e affrontato la vita reale. Tu eri innamorata pazza di lui. E lui di te. Tutti desideravano un amore come il vostro. Oppure che assomigliasse anche lontanamente al vostro.”

“Ma poi c’è stato il lavoro, il suo, soprattutto. I suoi continui viaggi, le tue serate trascorse a casa, da sola. I dubbi, le domande senza risposta, non sorridevi quasi più.” Le ultime parole di Bonnie mi colpiscono. Mi manca, per qualche istante, il respiro.

“Abbiamo imparato a conoscerci. –sorride Rose- Ci conosciamo in un modo quasi…”

“Perfetto.” Esclama Bonnie.

“Stavo per dire inimmaginabile…”

“… quasi inspiegabile.” Termina nuovamente la bruna.

“Già. Anche quello che ha detto lei. Quindi credimi, Elena, quando ti dico che puoi parlare con noi. Perché, se volessi, potremmo elencarti almeno cinque sentimenti che provi in questo preciso istante. Ma tocca a te, questa volta, capirli e conoscerli. Ad affrontarli ci penseremo tutte assieme. Non sei sola.”

Bonnie sospira, avvicinandosi a me. “Come ti senti, Elena?”

Come mi sento? Non riesco a definirlo con esattezza. Persa. Strana. Confusa. Sola. Vuota. Insicura. Diffidente. Spaventata. Non lo so, è un mix che mi colpisce e mi sconvolge, mi fa riflettere quando non vorrei, non ho niente su cui basarmi. Non ho un passato a cui fare riferimento, ho solo un presente che mi spaventa, ecco tutto. Mi devasta.

“Illusa, come se il passato potesse tornare, la realtà mi logora, scava ininterrottamente in me. E’ come se tutti, con un uno sguardo, cercassero di entrare dentro me e trovare i ricordi che ho di loro. Tu, Bonnie, lo fai continuamente. Anche Stefan. Rose, invece… sembra non volerlo fare. Però è malinconica, ha paura. Ed io, anche io ho paura. Tanta.” Rivelo loro.

“Complimenti.” Sorride Rose.

Scuoto la testa, increspando le labbra. “Ho detto solo qualcosa…” mormoro, osservando il menù.

“No,no, non intendo quello. – guarda Bonnie, poi me. -Compimenti per averci ritratte.”

-

Lo so che questi capitoli sono proprio improponibili per la lunghezza, lo so. Ma sono di fondamentale importanza.

Katherine è una testarda di prima categoria, lo si nota in questo capitolo. Il rapporto con Stefan è proprio... irrecuperabile, il suo prossimo capitolo vedrà protagonisti proprio loro due, di Stefan si scoprirà qualcos'altro e spero piaccia.

In realtà spero che anche questo piaccia, non ne sono convinta ma boh, a voi il parere:)

Questo periodo è proprio pieno, fra compiti, compiti in classe, progetti da consegnare ed una specie di progetto artistico non catalogabile nei normali progetti che mi interessa e a cui devo tantissimo del mio tempo. Sto scrivendo molto di meno, ma scrivo. E' questo l'importante, no?

Poi boh, spero di portare a termine tutti gli altri scritti in corso, scusate se sono così pessimista ma domani ho un compito di Latino per il quale non mi sento preparata abbastanza. Spero vada tutto bene! Incrociamo le dita!

Come sempre vi esorto a recensire, vi ringrazio per il supporto che mi date e che per me è fondamentale! Vi esorto anche a passare da Underwater,una raccolta di OS riguardanti qualche episodio della quinta stagione. E' una cosa nuova e molto... diversa dalle altre cose che ho scritto. La scrivo nel pochissimo tempo libero che ho e potrebbe avere pochissimi capitoli, non ne ho idea.

Perdonate le parole ripetute, ho taaanta paura per il compito e quest'ansia non me la toglierò mai, proprio mai, è da quando sono piccola che mi preoccupo smisuratamente per tutto. 

Vi ringrazio per tutto, 

lasciatemi un parere se vi va!

A presto!

 Un bacio

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Capitolo 8
*** Can I trust you? ***


Capitolo settimo

 

Can I trust you?

 

 

Elena

Sospiro profondamente, tenendo gli occhi chiusi. La mia guancia destra percepisce qualcosa di fresco e morbido solleticarmi. Mi sento calda, coperta. Sto bene. Schiudo le labbra, sbadigliando e portandomi una mano alla bocca. “Ehi.” Una voce mi distrae. Non sono sola. Sono… apro gli occhi, ma li assottiglio immediatamente. Un momento, questi non sono i muri del mio appartamento. Né questo è il mio letto. Mi metto a sedere, portando una mano a scompigliare i miei capelli.

Sono…

“Ben svegliata.” Una voce femminile mi fa voltare. “Katherine.”
E’ solo Caroline, constato portandomi una mano al petto. “Non ricordavo dove fossi.” Ammetto imbarazzata, facendola ridere. “Solo perché hai perduto la memoria non significa che dovrai farlo tutte le mattine.” Ieri sera siamo scese ad un compromesso. Buttiamola sul ridere. Io ho lei, lei ha me. Io non sono sola. Lei non mi ha persa. Aiutiamoci a vicenda. Affrontiamo tutto con un sorriso.
“Touché.” Rispondo divertita, osservando la sua camera da letto. Ebbene sì, ci siamo nuovamente addormentate assieme… assomigliamo tanto a delle adolescenti. Sorrido.
Forse la mia adolescenza è stata divertente. Non so. Ma per il momento non è questa la mia priorità.
“Qual è il programma della giornata?”
Aggrotta le sopracciglia, forse non ci ha riflettuto. Mi mordo l’interno guancia, scostando le coperte ed alzandomi lentamente. Lei è già tutta pimpante… come fa?
“Io pensavo di andare in ufficio… Non so, te la senti?” Deglutisco a vuoto. Me la sento? Sono in grado di affrontare questo?
“Neanche io lo so.” Mi blocco. Cosa sto dicendo? “Cioè… intendo che forse…” mi osserva curiosa.
“Okay, perdonami, non è il caso. Chiamo Klaus, o Elijah…. – scuote la testa -O qualche altro per avvisare che mi prendo la giornata libera per stare con te. Non se ne parla a lasciarti da sola, non ti lascio sola. E non provare a protestare.”
“E’ il lavoro, Care, non puoi rimanere qui a farmi da babysitter!”
“Non ti lascio sola. E non protestare!”
Sbuffo, incrociando le braccia e poggiandomi alla testiera del letto.
“Te la sei presa?”
La ignoro. “Katherine, diamine, non farai sul serio! Ho scelto te, sto scegliendo te. Non farmi cambiare idea con questo tuo atteggiamento infantile.” Allora prende il suo cellulare e digita un numero di telefono, mentre la osservo di sottecchi.
“Sì, sono Caroline. Devo parlare seriamente. Passami qualcun altro, Elijah.” Alza gli occhi al cielo, mentre rabbrividisco al solo nome del mio presunto ex. Anzi, senza
presunto. Il mio ex.
“No, non Rebekah! Non Rebek- …Ehi.” la scruto curiosa. Il suo tono di voce è cambiato radicalmente. Se prima sembrava volesse prendere a pugni Elijah ed evitare a tutti i costi una certa Rebekah, adesso sta giocando distrattamente con il lenzuolo, attorcigliandolo fra le dita e sorridendo flebilmente.
Sospiro, realizzando di essere un’orribile persona. Sono una dannata egoista. Lei ha una vita, al di fuori di me. Una vita che comprende altri amici –possibilmente con memoria- , famiglia e, chissà, un fidanzato. E adesso si ritrova a farmi da babysitter. Non è giusto. Caroline non dovrebbe far tanto per me. Eppure continua a dirmi che ha scelto me, che ha bisogno di me nello stesso modo in cui io, senza lei, la necessito. Senza sono vuota e sola. La mia vita pressoché instabile e continuamente alterata da persone e ricordi che non possiedo e che continuano a tormentarmi, non sarebbe nulla senza la mia pseudo migliore amica. Dico pseudo per un mucchio di motivi. L’amicizia è un po’ come la fiducia. Si conquista pian piano, si perde con una facilità da far schifo e si riacquista con enormi difficoltà. Se passeggiassi per strada ed incontrassi uno sconosciuto, non potrei domandargli di essere mia amica. Certo che no. Amicizia è fidarsi, amicizia è un po’ come l’amore, si farebbe un po’ tutto per l’altro, forse si darebbe la propria stessa vita. L’amicizia si costruisce con fondamenta, devono esserci delle basi. Senza di esse, l’intero edificio crolla, senza di esse, l’intera amicizia si frantuma. E Caroline deve essere proprio affezionata a me, per andare avanti in questa missione quasi suicida. Oppure dev’essere una pazza. Forse entrambe.
Allo stesso modo, io so di poter confidarmi con lei, di poter contare su di lei… ma è come se me ne stessi approfittando, come se sfruttassi a mio piacimento una persona che non conosco e che prova un sentimento che va al di là dell’amicizia e del rapporto lavorativo nei miei confronti. Non è giusto. E con questo non intendo dire che non mi fido di lei, solo che… ecco, non affiderei all’istante tutta la mia vita a lei. Non al cento per cento, perlomeno.
La bionda annuisce con il capo, mentre afferma qualche “sì” distratto a colui –o colei- dall’altra parte della cornetta. “Senti… volevo avvisarti che prendo la giornata libera. Per stare con Kate. Non è ancora pronta ad affrontare altre persone, inevitabili sguardi e periodi interi della sua vita. Se sai cosa intendo.” I suoi occhi chiari si soffermano su di me, dolci, pieni di compassione e velati da una certa tristezza che non l’abbandona quasi mai, ma che lei, puntualmente, cerca di nascondermi. Come se potesse riuscirci, dopo essersi esposta così tanto con me. “Perfetto. Grazie, Nik.” Chiude la conversazione sospirando, muovendo il pollice sullo schermo, come per accarezzare un volto. Allungo il collo nella sua direzione, per vedere effettivamente cosa stia facendo.
Deglutisco. L’immagine di sfondo è una fotografia di un’apparente coppia. Un uomo ed una donna, di spalle, di fronte ad un tramonto. E’ bellissima, nella sua semplicità.
“Chi sono?”  Sembra risvegliarsi improvvisamente dal suo flusso di pensieri. Sgrana gli occhi, arrossendo e spostando l’iPhone dalla mia visuale. Turbata. Ecco, adesso lo è. E’
turbata. Lo capisco dai suoi sguardi che mi evitano accuratamente e dal suo allontanarsi da me.
“Nessuno.” Mormora, alzandosi dal letto e spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Non sono nessuno.”
“Caroline… non sono stupida. Puoi confidarti, se vuoi. Io ci sono per te allo stesso modo in cui tu sei sempre presente per me.”
Le mie parole la colpiscono, si inumidisce le labbra e sorride, incurvando leggermente un angolo della bocca. Batto la mano sul vuoto del letto accanto a me, e lei prende posizione proprio lì, nel caldo che ci ha accompagnate per tutta la notte. “E’ complicato.”
“Ho la mente più libera che mai.”
“Touché.” Ride.
“Abbiamo già affrontato questo discorso, anche se ti atteggiavi in maniera differente. Entrambe lo facevamo.” Aggrotto le sopracciglia, mentre si prepara a spiegarsi meglio. “Noi non ci dicevamo queste cose… del genere, ‘io ci sarò sempre’, ‘non ti abbandono ’ eccetera” Muove le mani, come a scimmiottare il comportamento di entrambe. Sorrido. “Va bene.” Rispondo, forse abituata al mio comportamento diverso; allora prende un respiro profondo.
La mia mente inizia inevitabilmente a riempirsi sempre di più, di nomi, schemi e situazioni; c’è Caroline ed il nostro collega barra suo amore, le scelte, il rapporto fra me, Elijah e Niklaus… Ci sono tutti.
Ed io, paradossalmente, non ci sono.
Non ci sono per niente. 

***


“Allora” inizia Caroline incrociando le gambe sul lenzuolo. “E’ complicato, sappilo.”
Stringe una mano nell’altra, ed assottiglia gli occhi come per cercare un punto di partenza. Ridacchio a quella visuale, lei mi rimprovera con un’occhiataccia ed io alzo le mani in difesa.
“Scusa.” Sussurro ironica, lei scuote la testa e sospira.
“La storia fra te ed Elijah è complessa. E’ iniziato tutto quando sei arrivata alla Mikaelson&Co. E’ stato un colpo di fulmine per lui, ma per te…” sorride inclinando il capo. “Be’, per te è stato difficile. Tutta ambiziosa e sicura di sé, bella e dannata, la tipica donna che non si lascia corteggiare da nessuno. Non gli hai concesso un solo appuntamento, neanche per un dannato e veloce caffè, per circa i primi tre mesi e mezzo in cui vi siete conosciuti.”
Spalanco la bocca. “Perché?”
Ridacchia. “Kate, tu sei così. Eri così. Lui ti ha fatto una corte spietata per un sacco di tempo, penso che ti abbia colpito il suo essere preciso e perfetto, elegante e puntuale, una sorta di versione migliorata al maschile di Katherine Petrova.”
Scrolla le spalle.  “Al primo appuntamento è stato impeccabile. Da quel momento avete iniziato ad uscire, a comportarvi come una normale coppia, perché eravate tale a tutti gli effetti.”

 
Sono in metropolitana, non so in che modo sono riuscita a convincere Caroline a farmi uscire, ma soprattutto, a farla andare a lavoro almeno nel pomeriggio. Sbuffo. Quella ragazza a volte è troppo… troppo tutto, troppo insistente, troppo buona, troppo pazza, troppo dolce. Però le voglio bene. Già, le voglio bene, in realtà. E’ difficile recuperare dei rapporti nelle mie condizioni, e quello che sto facendo con Caroline è a dir poco sbalorditivo. Le mani sprofondano nelle tasche, mentre mi confondo in un flusso di persone che si accinge a salire nel vagone. Prendo posto, sedendomi su un sedile giallo ed osservando la mappa della metro disposta in alto. So che quello che ho intenzione di fare mi rende una squilibrata, decisamente troppo squilibrata, ma mi sento in qualche modo in debito con lei.
E so benissimo anche quello che ciò comporterà alla mia sanità mentale piuttosto discutibile.
Ma devo farlo. Assolutamente.


“Klaus… ah, Klaus è Klaus. Klaus è come te. Se Elijah è la versione migliorata di te, be’, Klaus è la corrispondente versione maschile di Katherine Petrova. E’ legatissimo a suo fratello, non lo ammetterebbe mai, ma… è così, ed aveva paura che tu potessi portarglielo via. Per questo ha cercato di farti allontanare da lui, in due modi.
Colpire te, e colpire me.
Colpire te è stato facilissimo, una testa calda come Kate Petrova – mi indica – si arrabbierebbe per qualsiasi futile e subdola ragione. Colpire me… E’ stato più difficile. Sai, mi ha corteggiata tantissimo, voleva che tu rimanessi sola. Senza me e senza Elijah. Io non ho ceduto facilmente, come te, d’altronde. Ho ceduto solo quando fra te ed Elijah era finita, e lui continuava a provare interesse nei miei confronti. E’ ironico, alla fine si è davvero innamorato di me.” Scuote la testa, rannicchiandosi. “Klaus è andato giù pesante, con le parole e con i gesti. Il continuo stuzzicarti, l’insinuarsi fra te ed Elijah, vi ha fatto dubitare l’uno dell’altra… E’  persino piombato nell'appartamento in cui convivevi con Elijah con una ragazza... durante il vostro anniversario... è stato… terribile. Davvero terribile. Non ce l’hai fatta più e hai lasciato mister ciuffo perfetto. Ma da quel momento…” sospira. “Da quel momento sono iniziate le liti quotidiane in ufficio, avete spezzato un grande equilibrio, una pace. Avete costretto tutti a schierarsi. E così hai conosciuto Damon… Qual è il modo migliore per dimenticarsi di qualcuno? Insomma… tu eri ancora innamorata del tuo ex… Conosci il detto ‘chiodo schiaccia chiodo’ no?… anche se.. dubito che per Damon sia stato lo stesso…”

 

Il viaggio è lungo, le fermate sono molte e anche molto distanti dall’appartamento della bionda e dal mio. Per questo mi guardo attorno, quasi scocciata, come una bambina.
Prendo in mano il mio cellulare, sbloccandolo e ficcanasando fra i miei stessi dati. Che idiozia, eh?
Però lo faccio. Rovisto fra le foto, fra le chiamate, fra i messaggi.
Deduco di non essere stata una persona circondata da molti amici e non esattamente una persona che si definirebbe gentile. Eh no. Una donna che risponde al proprio ragazzo, –a patto che la mia relazione con… Com’è che si chiama? David, Daniel… Damon. Ah, sì, con Damon sia una relazione. Anzi, sia stata una relazione. – che ha domandato “Come stai, dolcezza?”, un “Va’ al diavolo” non è proprio la reincarnazione della generosità e umiltà.
E lui? Come l’ha presa? Caroline mi ha accennato al fatto che avessimo una relazione aperta. Ma poi, che senso ha? O ti impegni in un rapporto o non lo fai affatto, giusto? Quindi perché preoccuparsi tanto di dare un nome a tutto ciò? Scuoto la testa, al momento non è fra i miei problemi occuparmi dell’ ennesimo sconosciuto che ha avuto a che fare con me.
Occuparmene di un altro, però, è il mio scopo attuale. 

“Cosa intendi?” domando.
“Tutte supposizioni… te le racconterò un’altra volta. Quella è un’altra storia.”
“E la tua storia con Klaus? – chiedo – come va a finire?” Abbozza un sorrisetto, abbracciando un cuscino. “Va a finire che devo scegliere. Te, la mia migliore amica, la mia collega, il mio quasi capo, il mio punto di riferimento… o Niklaus, l’uomo che amo, che mi ha stravolto l’esistenza e quasi fatta impazzire.”
“Ed hai scelto…” deglutisco.
“Te. Ho scelto te, anche oggi ed anche domani.”

 Proprio per questo scendo a Canary Wharf, lasciando che il freddo quasi serale mi faccia tremare in modo pressoché visibile.
Mi faccio coraggio, prima di aprire la porta del maestoso edificio Mikealson&Co.

 Katherine

 “Elena, ne sei sicura?” sono piuttosto certa che questa sia la voce di Bonnie, la quale mi osserva mentre getto alla rinfusa tutti i miei abiti nella valigia. Prendo una profonda boccata d’aria. Lo sono?
“Sì, Bonnie. Ne sono sicura.” Pronuncio le parole con estrema calma, con una pace che non mi appartiene affatto tenendo conto che sono piuttosto nervosa.
Visibilmente, aggiungerei.
“Sono seria. I medici hanno detto che puoi rimanere in osservazione per qualche giorno, non è detto che tu debba rit-“
“Lo so” - la blocco- “C’ero anche io.”
Annuisce con lo sguardo basso, prima di sospirare ed aiutarmi nell’impresa.
Torniamo a casa, semplice.
A Londra. Non ha più senso rimanere qui… sarebbe, anzi, un puro controsenso. Rimanere nella città in cui  ho perduto la memoria, cercando di stabilizzare la situazione. Diamine, suona così ironico che non posso fare a meno di sorridere quasi amaramente e scuotere la testa.
So che è la scelta giusta tornare… Lo so, ma… ecco, ho un po’ di paura.
Io mi sento sola. Ci sono Bonnie e Rose, vero. Ma posso fidarmi?

Sono due complete sconosciute, per non parlare di Stefan. Tornare a casa potrebbe aiutarmi.
“Ti porto le altre cose?” chiede lei, retoricamente.
Annuisco, spostando una ciocca di capelli. Sorride prima di sparire dalla mia vista.
Un viso fa capolino nella stanza, mentre mi lascio cadere sul letto matrimoniale che ho usato per una sola notte.
Stefan.
“Ehi.”
Lo osservo senza batter ciglio, senza degnarlo di una risposta ed infatti aggrotta le sopracciglia, forse comprensivo.
“Giusto… Noi non parliamo. O meglio” – si affretta a correggersi, sedendosi accanto a me e facendomi, automaticamente, allontanare da lui, aumentando lo spazio fra noi due – “Tu non mi parli.” Soffia con gli occhi verdi un po’ spenti, sono molto chiari e riflettono il colore delle praterie nei libri di geografia.

Corruga la fronte, mentre sposto lo sguardo sul mio trolley.

“Elena…”

“Non ho voglia di parlarne.” Asserisco convinta, sempre non guardandolo.
Lo vedo con la coda dell’occhio, mentre si inumidisce le labbra, scuotendo appena il capo. “Certo.”

Scrollo le spalle, alzandomi ed incrociando le braccia.
“C’è tanto da fare...”
“Tolgo il disturbo.” E non posso fare a meno di pensare che forse sta soffrendo, lo si capisce dal sorriso finto e spento, un sorriso di circostanza così diverso da quello che aveva sulle labbra quando mi ha parlato per la prima volta in ospedale.

In fondo lui è Stefan, mi ha mostrato la parte peggiore di sé ed io stavo per sposarlo. Qualcosa si agita nella mia pancia.

Sto facendo la scelta giusta.

-

Questo capitolo preannuncia uno dei miei preferiti, lo ammetto.

Anzi, due dei miei preferiti. Il prossimo, Katherine's POV, ed il successivo ancora, Elena's POV. 

Si consolida l'amicizia fra Care ed Elena nei panni di Kate, un'amicizia che amo! Si preannuncia (o forse no) un altro rapporto.. Okay, sono enigmatica ahah Non sapete quanto mi sia divertita a scrivere il capitolo (Elena's POV)  undici, è così aiofdjfinojklsrt

Si ha, poi, un assaggio di quello che accadrà nel prossimo, che si intitolerà Runaway Bride... cosa pensate succederà a Katherine nei panni di Elena?

Vi ringrazio per il supporto, grazie davvero! 

A domenica prossima, si spera!

Un bacione :D

Vi lascio alcuni link:

Give me love 

Underwater

Ed anche una fan fiction ormai conclusa, Life as we know it, un AU/AH straordinaria, vi consiglio di darci un’occhiata perché vale davvero la pena:)

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Capitolo 9
*** Runaway bride ***


Capitolo ottavo

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Runaway bride

 

Katherine

 

Il divano è comodissimo, penso che sia una delle cose più morbide ed al contempo calde che abbia mai visto o provato. Quest’appartamento è nuovo, troppo nuovo per i miei gusti. Nuovo per una donna come me, ma si sa: quando si antepone la carriera ad ogni cosa è questo ciò che accade.

Tiro la coperta di lana verso il mio viso, godendomi questo tepore e chiudendo gli occhi.

Ci sono solo io. Io, una coperta, il divano, la tv in sottofondo, e l’inverno. Sospiro.

Sento la porta di casa aprirsi. Chi sarà mai?

Un uomo con i capelli scuri ed occhi chiari si avvicina a me, con il volto terribilmente dispiaciuto.

“Mi hai ingannato, Elena. Per tutto questo tempo. Io amo Katherine, solo Katherine.”

“Solo Katherine.” Esclamo a voce alta, svegliandomi e facendo preoccupare le persone al mio fianco.

Metto a fuoco lo sguardo. Sono in aereo. Mi ero addormentata. Che hanno da guardare tutti quanti? Bonnie, alla mia destra, mi rivolge un’occhiata piuttosto spaventata, mentre Rose, alla mia sinistra, si affretta a chiedermi come sto.

“Sto bene. E’ stato solo un sogno.” Affermo non guardandola negli occhi.

“O un incubo.” Mi corregge Stefan, con il viso voltato nella mia direzione. E’ seduto di fronte a tutte noi.

Gli lascio un’occhiata ambigua, non rispondendogli e sbadigliando.

“Dove siamo?” mugugno, con la voce impastata dal sonno, a Bonnie.

“Siamo davvero vicini. Manca poco.” Tiro un sospiro di sollievo, domandandomi il perché di quel sogno strano. Diamine, ci sarebbe bisogno di un dizionario capace di svelarne i significati. In più, quel tipo mi ha chiamata Elena. Ed Elena sono io. Che sia un ricordo? Eppure né Bonnie né Rose hanno mai nominato una Katherine riferita al mio passato. In più, le mie uniche relazioni amorose hanno coinvolto solo Stefan e Matt, a quanto pare mio amico di infanzia e commercialista a cui Rose  fa da segretaria. Tutto qui.

Sbuffo, coprendomi un occhio con la mano destra e spostando una sottilissima coperta dal mio corpo. Probabilmente il mio aspetto è terrificante per cui una rinfrescata al viso sarebbe di grandissimo aiuto prima di atterrare, in quanto, a detta di Bonnie, siamo piuttosto vicini a Londra.

“Vado in bagno.” Mi dileguo, portando la mia borsa, e cercando di non risultare troppo fredda. Il rapporto fra me e le ragazze, ad esempio, è lievemente migliorato. Però… è come se le avessi inquadrate, qualcosa in me spinge affinchè non mi fidi di loro. Come se fossi destinata a stare sola, a recuperare da sola la mia memoria. Loro non possono aiutarmi, non possono schioccare le dita e far tornare improvvisamente tutto come prima. Ma poi, che prima? Quale prima? Il prima che ho perduto?

E ne varrebbe la pena?

Stavo per sposare un uomo come Stefan… che mi tratta in un modo a dir poco spaventoso. Non metto in dubbio che sia carino, no… solo non  adatto a me. A quello che sento. Adatto alla mia situazione attuale. Non è in grado di stare al passo con tutto questo. Non è in grado di capire ed affrontare tutto questo.

Non è in grado di stare con me.

O forse il contrario.

 

Con un trolley fra le mani seguo Rose che sta cercando di chiamare un taxi.

“Senti… -inizio, scostandola – avrò perso la memoria ma so ancora come attirare una macchina di quelle.” Lei alza un sopracciglio, interdetta e divertita.

Mi avvicino alla strada, alzando una mano ma fallisco nella mia impresa.

“Ah sì?” domanda Rose. Lei è diversa. Lei ti sfida. Lei cerca di trovare il meglio in te e farlo venir fuori. Lei non è come le altre. Lei vuole solo il meglio per me, Elena. Ma non riesco a soddisfarla, credo... Forse è per questo che cerco di non stabilire nessun contatto con lei.

Lei ci riprova, e ci riesce, facendomi roteare gli occhi. “Fortuna.” Scrollo le spalle.

“Già, fortuna.” Mi scimmiotta con un sorriso.

 

La verità è che questa casa è decisamente troppo lussuosa. Troppo. E’ una villa distante dal centro di Londra, con un enorme giardino ben curato, con le pareti di un rosa salmone decisamente insipido, e l’arredamento che collego, seppure sia molto differente, a quello della regina Elisabetta seconda.  Non so che espressione abbia assunto il mio volto, fatto sta che qui mi sento fuori luogo. Chissà quanti ricordi ho vissuto proprio in questa casa, magari seduta tra il verde con un libro in mano… oppure sulle scale dell’ingresso, osservando il tramonto. Mi immagino le numerose feste stile Gatsby organizzate, cerco di figurarmi mentalmente il luogo e momento in cui Stefan ha chiesto di sposarmi… ma è tutta pura fantasia, sto vagando troppo con la mente; è inutile, mi sento a disagio, quasi come un barbone in quest’abitazione. Deglutisco.

Rose e Bonnie mi scrutano attentamente, mi osservano mentre mi guardo attorno. Che abbiano capito? Stefan, al contrario, si stropiccia gli occhi con una mano, non dando peso a me ed al mio disagio. Forse è comprensibile, ci siamo evitati per tutto il tragitto ed il nostro rapporto non è dei migliori. Ci siamo sopravvalutati, forse? Ci siamo persi di vista, o proprio perduti? Lui ama troppo il suo lavoro, ed io, invece? Io amavo troppo lui, o troppo il mio mestiere? Ero una stakanovista o troppo cieca? Non lo so, ovviamente, e per giunta rifletto che, anche se Stefan proprio non è l’esempio di uomo perfetto ed ideale, è il mio passato. E devo fare i conti con quello, quindi con lui, con Rose, Bonnie, e tutte le altre cose e persone che non ricordo.

Devo rimboccarmi le maniche.

“Cosa vuoi fare?” La voce di Bonnie cattura la mia attenzione.

Aggrotto le sopracciglia, confusa, mentre mi sento improvvisamente stordita. E’ il parlare troppo poco e pensare, invece, moltissimo? Fino a farmi scoppiare la testa?

“Cosa?”

Si inumidisce il labbro inferiore. “Be’, vuoi farti una doccia, mangiare qualcosa, fare il giro della casa o… non so, andar via?” Andar via? Andar via è una possibilità al momento? Scappare anche dal presente, dalla realtà? Non ho un passato, l’ho perduto e c’è una possibilità che l’abbia perduto per sempre. Cosa dovrei fare? Evadere anche dal presente, fuggire da Stefan e questa casa? O stabilire un presente?

“Non lo so.”

“Oh, sì che lo sai. –Rose si avvicina a me con il suo sguardo accusatorio – Devi solo ammetterlo a te stessa.” Ed è davvero così? Lo so già? Sono una codarda e non voglio pensarlo, non voglio ammetterlo. Non voglio farlo diventare realtà. “Cosa vuoi fare?”

E per un secondo la odio, Rose. La odio come si odia il caldo eccessivo in estate e il troppo freddo in inverno, come quando piove e non hai l’ombrello. Perché non voglio parlare, parlar loro, non voglio ammettere a me stessa le mie scelte, possibilità, pensieri ed emozioni. Ma sono una codarda. E questo lo ammetto.

Alzo le spalle. “Vorrei andar via.”

Lei sorride, ma per cosa? E’ riuscita a farmi parlare, ad averla vinta, o semplicemente odia Stefan ed ama il fatto che lo stia abbandonando?

“Perfetto.”

Stefan si volta nella mia direzione, lasciandomi uno sguardo che non comprendo. Cosa vuole? E’ felice, triste? Se non vuoi farmi andare via, convincimi a restare.

“Già.” Mormoro.

Convincimi a restare.

Rose, allora, apre la porta d’ingresso e mi fa cenno di uscire. Lascio che vada prima Bonnie, con la valigia. E’ un’idiozia, lo so bene. Andare senza neanche tentare, abbandonare Stefan e la mia casa. Solo perché mi sento a disagio. Sono un’idiota.

Convincimi a restare.

Rivolgo un’ultima occhiata all’uomo. Ha le sopracciglia aggrottate, è stanco e tutto, in lui, urla di farmi rimanere lì. Lui è ancora innamorato di Elena, quella vecchia e diversa.

Ma voglio sentire la tua voce.

Convincimi a restare.

“Allora… io vado.” Aggiungo un cenno con la mano, lento e forse inutile, stupido. Ma lo faccio. Perché sono un’idiota che compie idiozie.

Non risponde. E’ Stefan, l’ho imparato a conoscere. Lui è così. Per questo esco di casa, seguita da Rose che, dopo avermi lasciato un’eloquente sguardo, chiude la porta.

Sospiro.

Lei si mette al mio passo, mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio e rimaniamo in silenzio, muovendo le nostre valigie verso la strada.

“Aspetta!” una voce ci fa voltare improvvisamente. Accenno un sorriso.

“Non andartene…” la voce di Stefan ci arriva come in un sussurro… ma ho capito. Tutte noi l’abbiamo fatto.

Convincimi a restare.

Resto.

 

La valigia è in camera, ho fatto una doccia ed adesso siamo sul divano a mangiare qualcosa. Il divano non ha nulla a che vedere con il sogno di questa mattina in aereo, e da una parte ne sono felice. I sogni non hanno un significato. I sogni, semplicemente, non rispecchiano la realtà.

“Quindi…- l’uomo al mio fianco cattura la mia attenzione, improvvisamente, facendomi voltare nella sua direzione- come stai?” Mi mordo un labbro, spostando lo sguardo sulla vaschetta contenente yogurt bianco e frutti di bosco.

“Non ricordo ancora nulla, Stefan… Diciamo che sto e basta.” Concludo con un tono di voce che forse può ferirlo. Lui annuisce con il capo, ed io mi rendo conto che forse ho rovinato questa possibilità di chiarimento. Non devo. Non devo rovinare sempre tutto. Per un attimo mi balena in mente l’immagine di me, Rose e Bonnie intente a far colazione l’altro giorno. Mi hanno convinta a confidarmi, in un certo senso. Ma Stefan è diverso. Non riesco ad inquadrarlo. Al contrario di ciò che ho pensato prima. Lui fa la sua vita. Lavora. Lavora sodo. Lavora sempre. Ma poi si concentra su di me. Dopo che ho perso la memoria. E poi… e poi non fa nulla, semplicemente. Lotta ma si arrende. Mi fa rimanere ma pone le domande sbagliate. Non cerca di scavare dentro di me, non cerca di farmi vomitare parole non dette a più non posso come Rose.

“Senti… - inizio- Per me sei uno sconosciuto.” Vedo il suo sguardo spegnersi. “Come lo è Rose, come lo è Bonnie. Siete tutti sconosciuti. Sconosciuti che, però, sanno tutto di me. Avete imparato a conoscermi, in un modo o nell’altro. Siete parte della mia vita.”

Aggrotta le sopracciglia.

“Ma non è così facile. Non posso far finta che non mi sia accaduto nulla. Non posso né voglio interpretare la sposina per nulla felice. Non volevo sposarti… e adesso meno che prima, Stefan. La situazione è peggiorata, suppongo. E… ed io so che fa male. Farà male. Ma devi metterti nei miei panni. Fatti un esame di coscienza, nel frattempo che io faccio la bella addormentata nel bosco.”

“Stai cercando un modo gentile per dirmi che ti ho persa per sempre?” scuoto la testa, con un sorriso amaro sulle labbra.

“No, Stefan… Sto cercando di dirti che non ti sposerò. Non ti conosco. Non ti… amo, ecco.” Scrollo le spalle. “Al momento sono una persona diversa da quella di prima. L’Elena di prima è in pausa. Sto cercando di recuperarla, di recuperarmi. E non posso iniziare questo processo sposandoti.”

Stringe le labbra, osservando la televisione. “Dove ho sbagliato?”

“Non si tratta di questo, anche io avrò sbagliato. Forse più tu che io. O forse entrambi, entrambi ci siamo lasciati andare. Io non lo so… non sono la persona adatta a dirti questo. Non posso dirti dove e come cambiare, Stefan.”

“E quindi cosa? Cosa sei rimasta a fare, qui con me, stasera? Vuoi illudermi? Ferirmi?”

“So che ti sto ferendo, Stefan. Lo so. Ho perso la memoria, dannazione. Cosa vuoi che ti dica? Faccio scelte sbagliate, forse è stato un errore rimanere.”

“Già. E’ stato un grande errore.” Mormora, senza guardarmi negli occhi.

Mi mordo la lingua, alzandomi.

“Non capisci, Stefan.” Apro le braccia, ferita. Lui non capisce, diamine, perché? Perché non cresce, non matura? Per me non è facile. “Sei ancora attaccata all’Elena sciocca di prima. Lei non c’è più, mettitelo in testa. Lei è morta quando è stata investita, quando ha perso la memoria per colpa tua.” Ringhio.

Tutto si blocca.  Non avrei dovuto…?

“Ho capito. E’ tutto chiaro.”

“No, Stefan, aspetta…”

“Ho capito, non ti preoccupare!” esclama, facendomi spaventare.

Deglutisco, osservando il suo volto irrigidirsi per la rabbia. “No, tu adesso mi ascolti.” Ribatto con un dito accusatorio puntato verso di lui.

“Elena…”

“Ascoltami!” urlo. “Io non sono Elena. Non sono più quell’Elena. Devi solo lasciarla andare, fattene una ragione. E con questo non dico che dovresti abbandonarmi. So… so che hai- abbiamo iniziato con il piede sbagliato. Sbagliatissimo. Ma non puoi uscire dalla mia vita. Devi smettere di pensare a me come la donna che ami. Come la donna che avresti dovuto sposare per chissà quale motivo ed idiozia.”

I suoi occhi si inumidiscono. “Non posso lasciarti andare…”

Devi, invece.” Replico. “Quell’Elena non c’è più… lasciala andare.”

Sospira, trattenendo le lacrime. Io non so cosa stia facendo. So solo che lui è sbagliato per me, per questa nuova Elena. Ha fatto tanti errori ed in un certo senso è colpa sua se adesso ho perduto la memoria. Ma non ricordo ancora nulla.

Ed io devo lottare. Me lo devo.

E non posso farlo senza di lui.

“Lasciala andare…” ripeto, mentre lui scuote la testa con veemenza.

“Va’ via.” Aggrotto la fronte. “Va’ via, allora.” Ripete colpendomi nel profondo.

Ho bisogno di te, in qualche modo.

“Va’ via, Elena, ti ho detto di andar via.”

Lo guardo, vedo la sua paura negli occhi, le sue parole fra le labbra tremanti. Vedo le sue guance bagnate ed ascolto il suo tono di voce che vuole essere convincente. Ma non lo è.

Convincimi a restare.

-
Okay, che i giochi abbiano inizio.
Siamo ufficialmente entrati nella seconda parte della storia, con un Katherine's POV.
Katherine non adora Stefan, ha solo capito che ha bisogno della sua figura. Lei è una persona instabile, è insicura e guardate che fa: prima odia Stefan e poi vuole che la convinca a restare.
Capitolo dedicato al suo di personaggio, Stefan Wasilewski (cognome di Paul, btw mi piaceva accostato al nome Stefan) che ha perso la futura moglie e l'allontana bruscamente. Spero che i personaggi rientrino nell'IC, fatemi sapere se vi piace in generale come capitolo, se volete darmi consigli anche se è un periodo pienissimo anche per me che sono un po' bloccata con la storia.
Perdonate le frasi disconnesse, sono un po' stanca e tutto il resto.
Avete visto la 5x05? Io l'ho appena finita, ho adorato il rapporto fra Katherine e Nadia! A dire il vero ho sempre sperato di vedere sua figlia.... è emozionante!
Mi farebbe molto piacere se lasciaste un commento di dieci parole, comunque grazie per tutto, risponderò alle vostre recensioni quando ho un po' di tempo.
E sì, sono nella mia fase insicura barra malinconica.
Un bacio, a presto, spero!

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Capitolo 10
*** You worth it ***


Capitolo nono

 

You worth it

Elena

 

Cosa sto facendo? Dio, è sbagliatissimo, non posso parlare con Niklaus a proposito di svariate litigate che non ricordo, a causa di un fidanzamento che, ovviamente, non ricordo, tenendo conto che qui lavora tutto il mio passato; e con passato intendo, appunto, Damon, Elijah… Caroline. E chissà quante altre persone. Che cosa speravo di fare? Di rendere la vita di Caroline più bella... Ma io non ho più il coraggio di parlare con l’uomo che le piace.

Codarda, codarda, codarda.

Deglutisco, sentendo improvvisamente caldo, allora mi volto verso la porta d’uscita.

Codarda, codarda, sono un’orribile codarda. E forse anche egoista. Perché, se tutto andasse bene con Nik, lei trascorrerebbe meno tempo con me. Mi faccio schifo. Sto privando la mia unica amica della sua felicità e la sto condannando ad una possibile eternità al fianco di una ragazza persa e senza memoria.

Scuoto la testa, prendendo una profonda boccata d’aria. Incrocio le braccia, prima di osservare per qualche secondo l’interno del maestoso edificio. Caroline è qui, ed io anche, ma a sua insaputa. Mi mordo il labbro inferiore. Non ci sono aggettivi per descrivermi.

Una missione suicida. Ecco a cosa andavo incontro.

Una missione suicida che avrebbe reso felice Caroline, però. Tiro su con il naso, chiudendo gli occhi.

Ci sarà un’altra possibilità… c’è sempre una seconda chance.

Mi volto, aprendo la porta, mentre una ventata fredda mi avvolge e mi fa rabbrividire.

“Katherine?” Ed è in questo momento che mi blocco, mentre il sangue si raggela nelle vene.

Cosa diamine mi era passato per la mente?

Non sono pronta per tutto questo.

Mi volto verso la voce che mi ha chiamata, lentamente; la paura mi invade. Chi diavolo può essere?

“Ehm…” mugolo, aggrottando le sopracciglia.

Lo riconosco, impossibile non farlo, dopo aver visto tutte quelle foto.

“Niklaus.” Esalo, cercando di mantenere un po’ di calma e di contenermi.

Lui sgrana gli occhi, eppure è bello e non posso fare a meno di pensare che Caroline è proprio fortunata. Elegante, nel suo completo nero, nei suoi capelli corti biondo cenere e nel suo sorriso ammaliante. Gli occhi piccoli e chiari adesso mi scrutano attentamente, sembrano così carichi di parole non dette che penso potrebbero scoppiare da un momento all’altro.

“Ti ricordi di…” Sono le sue parole, parole che prontamente interrompo.

“No.” Forse ho alzato un po’ troppo il mio tono di voce. Le sue labbra sono dischiuse, la distanza fra i nostri corpi è tanta, eppure rifletto che in realtà siamo molto più lontani di così, e, tra l’altro, io non dovrei essere qui. Dovrei essere nel mio appartamento, molto più distante di questi quattro metri scarsi.

“Cosa ci fai qui?” domanda allora, mettendomi in soggezione, proprio come ha fatto anche Elijah. Diamine, sono proprio fratelli, hanno questa capacità di farti mancare il terreno su cui poggiarti, di farti aprir bocca senza pronunciar parola perché il coraggio se lo sono presi questi occhi, adesso chiari, adesso scuri e profondi.

“Non lo so. Volevo… - prendo una pausa, nella quale alzo le spalle e sposto lo sguardo un po’ dappertutto. – E’ stato un errore. – l’ansia ha poi la meglio su di me - Devo andare, non sono ancora…”

“Calma, calma.” Si avvicina a me ed io respiro ancora più affannosamente. Perché ho così tanta paura?

“Io non dovevo…” Scuoto la testa, mentre lui prende le mie mani fra le sue. “Sta’ calma.”

“Sta’ calma, Katherine, non ti mangio mica.” La sua ironia mi fa bloccare. Chiudo gli occhi. Inspiro, espiro. Glielo devo. Caroline se lo merita.

“Devo parlarti.”

 

Circa dieci minuti dopo, siamo ancora qui, nella Mikaelson&Co. E’ peggio di quanto pensassi. Siamo in disaccordo su tutto. Io volevo andar via, lui propone di rimanere qui, l’ultimo luogo nel quale vorrei essere. Io cerco di arrivare al dunque con molta calma, lui vuole sapere subito cosa io voglia.

Siamo due poli opposti, e questo mi disarma. Non mi fa arrabbiare,  come invece dovrebbe accadere. Mi destabilizza. E basta.

“Senti, Katherine, cosa volevi dirmi?” Mi perdo nel suo forte accento britannico, e ripenso alla lunga conversazione avuta con Caroline. Questo è uno di quei fattori che la fanno completamente impazzire. E suppongo in modo positivo.

“Caroline.” Affermo sicura, giocando con le mani. “Devo parlarti di Caroline.”

Lui alza gli occhi al cielo, passandosi poi una mano fra i capelli.

“Mi sembra che lei abbia già chiaramente scelto.” Schiocca la lingua sul palato, facendomi innervosire solo per un attimo.

“Che tu ci creda o no, io tengo a Caroline in un modo indescrivibile. E forse sbagliato. Ma non la priverò della sua felicità. Felicità che può avere con te.” Mi sposto una ciocca di capelli dietro l’orecchio, attirando la sua attenzione. Il suo sguardo, adesso, mi incalza e per qualche attimo dimentico cosa dire.

“Sono diversa rispetto a com’ero prima.” Alzo le spalle, puntando i miei occhi sulle mani che stringo. “Caroline l’ha notato, ed ho capito una cosa: se devo essere diversa, non voglio avere rimpianti. Voglio essere una persona buona e nuova, soprattutto.” Lui annuisce pensieroso: non penso che abbia mai avuto una conversazione civile con me. Eppure mi sembra che stia pensando ad altro. Altro, che non riesco a decifrare.

“Non la metterò alle strette. E’ una persona ordinaria ma allo stesso tempo fantastica: può trascorrere il suo tempo sia con me che con te.” Niklaus annuisce, muovendo il pollice sul suo mento. “Non contemporaneamente, possibilmente.” Mi affretto ad aggiungere, facendolo sorridere ed alzare gli occhi al cielo. “Su quello siamo d’accordo.” Il suo sorriso si amplia in un ghigno che mi fa incurvare le labbra. Non è così male. O meglio, mi correggo: abbiamo un punto in comune. Vogliamo entrambi Caroline, vogliamo che abbia entrambi ma lui non vuole me e viceversa. Non è un fantastico punto d’incontro?

“Bene.”

“Bene.” Ripete lui. “Abbiamo un accordo?”

Inclino il capo. Accordo? Così ingigantisce la questione. Ma subito penso che lui –ed io, fra l’altro- è un avvocato, quindi è abituato a questo gergo. E’ la cosa giusta per Caroline?, mi domando prima di dargli un’effettiva risposta.

Sì, mi dico. Sì, è ciò che Caroline vuole.

“Abbiamo un accordo.” Gli faccio eco io.

Lui si alza dalla sedia rossa, porgendomi una mano, che guardo incerta. Non penso che questo abbia a che fare con la bionda. Penso che questa stretta di mano sia una sorta di pace, un mettere fine a tutti i conflitti passati avuti. Devo stringergliela? Perché lo farei, se potessi. Ma se improvvisamente tornasse la memoria, e con questa tutti i litigi? Se scoprissi di provare per lui un odio così terribile da non poter mai e poi mai mutare?

Deglutisco, guardandolo negli occhi; i suoi, adesso, sembrano spaventati ma speranzosi. E’ incredibile come tutto, in quest’uomo, mi trasmetta qualcosa. Tutto in lui urla comunicazione, sprizza sentimenti da tutti i pori della pelle chiara.

“Io no-“ inizio incerta, ma vengo subito bloccata dalle sue parole.

“Ti prego, Katherine. Abbiamo entrambi bisogno di una tregua. Io ho bisogno di essere perdonato, e tu vuoi essere una persona migliore. Inoltre potrei aiutarti con parte dei tuoi ricordi.”

Sbatto le ciglia, perplessa. E’ questa la scelta migliore?

“Fallo per me, per te. Per Elijah. Per Caroline.” Muovo il capo, non sapendo scegliere.

Poi sbuffo, scocciata. Stringo la sua mano, facendolo sorridere.

“Adesso ho capito perché sei un avvocato. –sbuffo ancora, mentre lui assottiglia gli occhi – Sei così dannatamente persuasivo.” Mugugno scatenando una cristallina risata da parte sua, che mi coinvolge.

“Sì, non lo nego.” La mia espressione si irrigidisce. Fa sul serio?

“Modesto.” Esclamo sarcastica, alzando le sopracciglia.

Ride ancora. “Anche tu lo eri. Lo sei. Devi solo prenderci la mano.”

Le sue parole mi suonano terribilmente ironiche e non posso fare a meno di scuotere il capo. Mi sembra un’assurdità questo mestiere, seppure, in un certo senso, mi affascini. Non mi ci vedo, semplicemente.

Ma forse devo solo prenderci la mano.

Prendo la mia giacca, poggiandola sull’avambraccio ed avvicinandomi, con lui, all’uscita dell’edificio.

“Non torni dentro?” domando.

“Naah. –esclama, facendo sprofondare le mani nel suo cappotto- dovevo andarmene prima, ma ti ho vista ed… era strano, dopo quello che ti è successo a Las Vegas. Non so, sembrava quasi inusuale vederti viva e vegeta.” Il suo sguardo è fisso di fronte a sé, ed io annuisco, turbata dalle sue parole. E’ questo ciò che pensano e provano gli altri?

“Tutto okay?” domanda quasi con fatica, assottigliando lo sguardo.

Esito prima di rispondergli.  Non perché non sappia la risposta, solo… a volte hai solo bisogno di un po’ di tempo, nella vita. Si va sempre di fretta, se non sei abbastanza veloce perdi il treno, e sei costretto ad aspettare il successivo. E’ una giostra, dobbiamo solo smetterla di aspettare e salirci. Ma in questo momento ho bisogno di fare delle scelte, di vivere i miei istanti, i miei attimi, perché sono tutti importanti e perché, paradossalmente, non voglio dimenticarli.

Quindi no, non sto bene. Ma sì, sto provando a far andare le cose nel verso giusto.

“Starò bene.” Mormoro in risposta, annuendo con il capo.

Squilla il telefono, e mi rendo conto che è Care. Sbianco. Cosa dovrei dirle?

“Ehi.” Fisso con insistenza Klaus, quasi voglia che mi aiuti e mi stia accanto.

“Si può sapere dove diamine sei? Ho telefonato a casa tua, anche a casa mia, pensando che stessi lì! Ma no, e mi sono terribilmente spaventata. Dimmi che stai bene e non ti ucciderò con le mie stesse mani, Katherine.” La bionda urla troppo, troppo da far ridere anche Klaus.

“Sento una voce! Con chi sei? Dove sei? Sei in pericolo? Dannazione, Kate, rispondimi!” L’uomo cerca di trattenersi, mettendo una mano di fronte alla bocca e facendo ridere anche me.

“Sto bene. In realtà ero venuta a prenderti dal lavoro…” rispondo vaga, sperando di non farla arrabbiare.

“Cosa? Intendi uscire di casa, da sola, e venire a lavoro, sempre da sola? Ma ricordi di aver perso la memoria?” sbotta, prima di parlare ancora. “Aspetta, non intendevo dire quello che ho detto. Sto scendendo, dammi un minuto.”

E chiude la telefonata. Perplessa. Già sono… perplessa. Ed anche Klaus, suppongo. La sua risata si è subito trasformata in un non so che di strano.

“Sta venendo…?” domanda in un sussurro, come se si stesse confidando alla sua migliore amica. O migliore amico. Punti di vista.

Annuisco, incapace di parlare. Sgrano gli occhi. “Omiodio! Non puoi stare qui, va’ via!” esclamo tutto d’un fiato, come se mi stessi rivolgendo al mio amante. Scuoto la testa, via pensieri!

“E dove dovrei andare?” chiede divertito, con il suo solito ghigno. Non so rispondergli.

“Che c’è –prende la parola nuovamente- non vuoi che Caroline ci veda assieme? Non vuoi dirle che abbiamo chiarito?” ride sotto i baffi.

“A dire il vero – gli punto un dito contro-  non abbiamo chiarito. Affatto. E’ solo una tregua. E le tregue, si sa, durano anche pochissimo, alle volte. E’ un accordo di circostanza… Sì, chiamiamolo così. Accordo di circostanza.”

“Ma davvero?”

“A-ah.” Annuisco con il capo, sorridendo e cercando di essere convincente.

Convincente cosa, poi? Non so essere persuasiva come lui.

“Eppure non mi sembrava tale, quando hai espressamente detto che vuoi essere una persona migliore. Sembrava volessi per davvero una pace.” Assottiglio gli occhi.

“Mi stai provocando?” domando retorica. “No, perché sembra tu voglia davvero farmi andare fuori di testa.”

“Mhm… forse sì, forse no. Chi può saperlo?” Scuoto il capo. E’ ufficiale.

Niklaus Mikealson si lascia odiare facilmente. Ed in questo momento, seppure non tanto, io lo odio.

Eccome se lo odio, però.

“Chi può sapere cosa?” una voce squillante ci fa voltare. Caroline sorride, prima di rendersi effettivamente conto di guardare me e Klaus. Di fronte. L’uno all’altra.

“Cosa succede qui?” chiede allora, ed io mi inumidisco le labbra, già pronta a parlare.

“Abbiamo chiarito.” “Ho appena scoperto di odiarlo.”

Ci guardiamo: lui mi scruta divertito, io spalanco gli occhi.

“Ma davvero?” Caroline mi fa ridere, avendo pronunciato queste parole proprio come Klaus poco fa. Il tono incredulo, quasi la stessa espressione.

Gli occhi della mia amica si muovono fra la mia figura e quella dell’uomo accanto a me.

“La sto provocando.” “E’ una tregua momentanea.”

Ci ritroviamo a parlare daccapo contemporaneamente, facendo ridere Care.

“Andiamo, Kate?” annuisco, prima di rendermi conto di aver dimenticato una cosa importante. “La sciarpa…”

“Hai detto qualcosa?” domanda lei. Annuisco, poi lascio i due da soli e mi precipito all’interno.

Non posso crederci. Klaus mi ha distratta ed ammaliata fino al punto di dimenticarmi qualcosa di evidente come una sciarpa.

Scuoto la testa, prima di raggiungere la stanza in cui eravamo.

Ma la sciarpa non c’è. Com’è possibile?

“Cercavi questa?” chiede una voce suadente alle mie spalle.

Mi volto, con le labbra dischiuse ad osservare l’uomo a dir poco mozzafiato che è di fronte a me.

I suoi occhi mi scrutano divertiti, un po’ come quelli di Nik. Le sue labbra sono rosee e carnose, incurvate in un ghigno che mi fa balbettare qualcosa di impreciso. I capelli sono corvini e rigorosamente spettinati, diversi da quelli di Elijah, diversi da quelli di Klaus e da ogni uomo che abbia mai visto negli ultimi giorni della mia nuova vita.

Sgrano gli occhi, osservando la sciarpa nelle sue mani. E’ vestito totalmente di nero, i primi bottoni della camicia sono sbottonati, facendomi intravedere il suo petto marmoreo. Ma non devo pensarci. Non devo guardarlo.

“Sì. Ehm, grazie…” corrugo la fronte, mentre si avvicina a me, facendomi trasalire.

“…Damon.” Assottiglia gli occhi, come per vedere se il pronunciare il suo nome possa provocarmi qualcosa. Ed in effetti qualcosa succede. Penso che la mia carnagione si sia colorata –per non dire tinta completamente di un colore che oscilla fra il rosso ed il bordeux- e lui lo nota, infatti il suo sorriso si allarga. E’ lui, Damon. E’ lui…

“Damon Salvaequalcosa.” Mormoro imbarazzata.

 

 

 -

Tempo di chiarimenti!

Come vi è sembrato il dialogo fra Elena (aka Katherine) e Klaus? 

Abbiamo anche Damon!  Cosa pensate accadrà? 

Elena sta cercando di recuperare tutti i rapporti e lo si vedrà meglio nel suo prossimo capitolo, l'11. 

Scusate se sono di fretta, Internet se ne va ogni cinque secondi e sto impazzendo. Ho voglia di pubblicare nuove storie btw non ho voglia di scriver nulla . E'  un periodo nero ed ho lo stomaco in subbuglio per la rabbia. Sono stanca morta.

Spero vi piaccia!

Lasciatemi una breve recensione se vi va! :)

Un bacione, a presto!

Grazie per tutto!

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Bad day? Bad life ***


Capitolo decimo

 

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Bad day? Bad life

 

Katherine

 

E’ quasi ironico notare come un oggetto ritorni così spesso nel giro di poco tempo… Sto parlando del divano. In questo caso, il divano in questione è quello di Rose, seduta accanto a me e suppongo sia davvero molto preoccupata. Non presta attenzione al film, non fa che lanciarmi strane occhiate ed io non le ho neanche rivolto la parola da quando sono entrata in questa casa.

Riempio la mia mano di popcorn, contenuti, in grande quantità, in una scodella colorata.

Ridacchio appena ad una battuta del film “What women want”, prima che Rose prenda il telecomando e spenga il televisore.

“Ehi!” esclamo con la bocca piena.

Lei mi guarda preoccupata, non accenna ad una risata, né ironica o finta che sia, non sorride né mi rincuora.

Deglutisco, strofinando le mani per eliminare il sale presente su queste. Sposto una ciocca di capelli dietro l’orecchio e “Parla” affermo alzando le sopracciglia.

S’inumidisce le labbra. “Sono preoccupata per te.”

Sorrido ironica, alzando gli occhi al cielo.

“Elena.” Mi rimprovera ed io sbuffo.

“Brutta giornata?” No, Rose. Di peggio. Brutta vita, direi.

“Ho litigato con Stefan se è questo che vuoi sapere.” Scrollo le spalle, cercando di non dare importanza  alle parole che ho appena pronunciato, anche se non devo riuscirci nel mio intento, dato che lei apre la bocca e mi guarda dispiaciuta.

“Smettila di provare pena per me.”

Si acciglia. “Non provo pena per te, Elena. Sono tua amica, ciò che ti fa star male fa star male anche me.”

Muovo un sopracciglio, interdetta. “Stefan non mi fa star male.” Ribatto, spostando la ciotola sul tavolino di fronte al divano. La casa di Rose è esattamente come immaginavo. Arredamento piuttosto moderno, parquet, atmosfera tranquilla, talmente tanto tranquilla che è in grado di farti scoppiare, agitare, scombussolare; è quasi fastidiosa questa pace, e ciò riflette totalmente Rose.

I divani in pelle bianchi mi sembrano così freddi… eppure prima erano caldissimi.

“Ah no?” Perché, mi chiedo. Perché Rose vuole mettere tutto in dubbio, perché vuole farmi esternare tutti i sentimenti che cerco di nascondere?

Scuoto il capo, senza neanche guardarla. “Ho detto che non voglio sposarlo. Che non lo amo. Che non sono la stessa di prima.” Esalo, giocando con le mani. “Ma ho bisogno di lui, capisci? Perché è il mio passato e non voglio perderlo.”

Annuisce, portando una mano a spettinarsi i capelli. “Stefan è fatto così.” Afferma facendomi voltare nella sua direzione. “Lui cerca certezze, lui è uno di quelle persone che affronta i problemi degli altri ma non i propri. Tu l’hai scombussolato. Perché hai buttato all’aria una vita intera assieme. Dei progetti. Un futuro. Ed ha paura.”

“Anche io ho paura.” Mormoro sottovoce. Rose sorride.

“Lo so. Anche io.”

Deglutisco, non parlando più. Mi sono esposta troppo, come se adesso non avessi più altro da dire.

Il telefono di casa squilla, ed io mi chiedo perché lei sia sola. Perché non sia fidanzata, sposata o cosa. Lei si alza per rispondere, mentre io vado in cucina per prendere una vaschetta di gelato.

La sua cucina ha anche un’isola, e mi piace: penso che se dovrò comprarmi una casa, un giorno, voglio una cucina del genere, scura, elegante, moderna. Non come quella di casa Wasilewski.

“Ehi Bonnie.” La sento discutere, ed allungo l’orecchio nella sua direzione.

“No, no è con me. Sì… d’accordo. Salutamelo. Ciao” Apro un numero spropositato di cassetti per trovare un paio di cucchiaini, ed al quinto tentativo ci riesco.

Lei mi raggiunge. “Era Bonnie.”

“Mhm.” Rispondo, mentre tento di aprire la confezione fredda.

“Stefan le ha chiamato.” Sospiro, facendo finta che non stia parlando.

Sbatte il cordless sul tavolo. “Elena, mi ascolti?” urla facendomi bloccare.

“E cosa, poi?” esclamo. “Cosa dovrei dire? Voleva sapere dove fossi, dopo che mi ha cacciata di casa? Voleva sapere qualcosa da Bonnie che non mi riguarda?”

Stringe le labbra in una striscia sottile. “Stai bene?”

No, Rose, non sto bene. Non faccio altro che litigare con tutti, non faccio altro che buttare all’aria rapporti sociali che potrebbero aiutarmi nel riacquistare la mia memoria, non ho nessuno e questo mi fa infuriare.

“Domanda di riserva?”

Sospira. “Non c’è sempre una domanda di riserva, devi imparare ad affrontare le paure e sormontare gli ostacoli.” Sbuffo, spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio e concentrandomi sul gelato.

“Vedi?” –esclama facendomi voltare- “Non rispondi.”

Scrollo le spalle, la verità è che sono più confusa di prima. Vorrei chiarire un paio di punti, ho delle domande in sospeso –tante e da tantissimo tempo, per giunta- prima di potermi fidare di lei.

“Sei sposata?” chiedo con un filo di voce; ho paura della sua reazione.

“Divorziata, fidanzata?” aggiungo dopo, prima di togliere il coperchio della vaschetta ed infilzarci dentro il cucchiaio. Corruga la fronte, poggiando entrambi i gomiti sul piano dell’isola, scrutandomi attentamente. “E’ questo, quindi?”

“E’ questo quello che vuoi sapere?” si corregge l’attimo seguente, e non posso far altro che annuire.

“Sì, insomma… perché sei sola? E’ casa tua, questa, no?”

Annuisce con il capo, prima di sospirare ed iniziare a parlare. E’ stanca, davvero molto stanca. Sembra quasi che non ce la faccia più di tutta questa situazione. E sbaglia, fra l’altro. Perché sono io quella che non deve dormir la notte, non lei. Lei dovrebbe preoccuparsi come fanno tutti gli altri, non assumersi un sacco di responsabilità per nulla. Per qualcosa che non la riguarda pienamente.

“Stavo per sposarmi, l’estate scorsa. Trevor, l’amore della mia vita. – sorride amaramente – Ci eravamo conosciuti perché amici di amici; tipico, vero?” chiede retorica. Non rispondo. Mangio altro gelato. “Però lui mi tradiva, io l’ho scoperto, ci siamo lasciati un mese prima delle nozze e fine della storia.”

“Tragico.” Biascico ironica, con la bocca colma di cioccolato.

Mi rivolge un’occhiata ambigua. “Già.”

Aggrotto le sopracciglia. “Per questo odi Stefan?”

“Io non odio Stefan – afferma dopo qualche attimo di silenzio – Non sono una che prova rancore. Non sono una che amerebbe un uomo che non ricambia.” Afferra l’altro cucchiaio e lo immerge nel gelato. “E’ solo che… Io ti conosco. E conosco lui. E non vi vedevo sposati. Magari era giusto al college, magari qualche mese fa. Tu non sei stata in grado di dire di no, e lui ti avrebbe data per scontata per il resto della tua vita. Non era adatto per te.”

Annuisco distrattamente. Sospiro: “Me l’hai mai detto?”

Scuote il capo, osservando la cucina di fronte a sé. “Perché?”

Scrolla le spalle, mi sembra… triste. “Non lo so. Speravo lo capissi  da sola.”

“Non siamo tutti perspicaci e forti come te, Rose. Forse non l’avrei mai capito. Cosa avresti fatto? Avresti lasciato un’amica infelice per tutta la sua esistenza?” domando indicandola con il cucchiaio. Si volta verso di me ed i suoi occhi mi trasmettono malinconia. E’ come se stesse cercando di dirmi qualcosa, di urlarmela con il corpo, ma non la captassi. E questo mi fa terribilmente innervosire.

“Non lo so, Elena. Avrei trovato qualcosa, prima o poi.”

Mi inumidisco le labbra, annuendo e chiudendo, così, la questione per niente conclusa o risolta.

 

Mi sveglio solo quando percepisco dei raggi solari colpirmi il volto. Grugnisco qualcosa, prima di voltare il capo nella direzione opposta. Improvvisamente suona la sveglia… Per un attimo dimentico dove sono. Perché io non ricordo di avere una sveglia.

Oh, che sbadata. Non ricordo nulla.

Apro gli occhi lentamente, stropicciandoli con una mano, e sospirando. E’ la camera degli ospiti di Rose. Sono a casa sua. Le immagini di ieri sera passano in rassegna nella mia mente come in un film. La discussione, lei che mi ospita a casa sua sino a che le acque, con Stefan, non si siano calmate, la serata sul divano quasi fossimo due amiche di vecchia data… Ed in un certo senso lo siamo, con la sola differenza che io non ricordo nulla riguardo lei, riguardo il nostro passato: tutti i miei ricordi iniziano dall’ospedale.

Inspiro profondamente, mentre il programma della giornata fa capolino nella mia testa.

Qual è il programma della giornata?

 

“Ehi, dove mi stai portando?” domando alzando il passo, raggiungendo Rose che cammina tranquilla con un passo decisamente più veloce del mio.

“Lo scoprirai fra poco.” Si limita a rispondermi così, ed io sbuffo. Sto quasi correndo con i tacchi. Ed ho quasi –dunque- le vesciche.  Infilo le mani nelle tasche della giacca, giacca che, per l’esattezza, ho impiegato ore a scegliere. Sembra che prima fossi una specie di cieca con il senso della moda pari a meno centocinquanta. Mi appunto mentalmente di dover far shopping al più presto.

“Non sono molto paziente.” Borbotto facendo attenzione a dove metto i piedi.

“Ah si? – ribatte lei – Prima lo eri. E anche molto, direi.”

“Be’ – esclamo aggiustandomi il cappellino che ho in testa – le persone cambiano.”

Alza gli occhi al cielo, fermandosi un istante.

Siamo ad Hampstead Heath, o meglio, vicinissimi a questo enorme parco. Questa è la zona in cui vivevo, e anche quella in cui abitano Bonnie, suo marito e Rose.

North London è la parte più collinosa della città, ha un’atmosfera inusuale perché sembra che questo quartiere non faccia assolutamente parte di Londra. Sembra una minuscola città a parte, per niente collegata alla capitale.

Non è la strada che abbiamo imboccato appena usciti dall’aeroporto, quindi non stiamo raggiungendo l’abitazione Wasilewski-Gilbert.  Aggrotto le sopracciglia, confusa.

“Mi stai portando al.. uhm – metto a fuoco la vista, cercando di scorgere qualche insegna, qualche indicazione – all’Alexandra Park?”

Scuote la testa. “No, stupida di una Gilbert. L’Alexandra Park è nella direzione opposta.” Sembra quasi che io abbia detto un’eresia, dal modo in cui mi osserva.

“Ti sto portando in una galleria d’arte, okay?” sbotta alla fine, facendomi sgranare gli occhi.

“E perché mai?” chiedo retorica, mentre lei si avvia verso non so dove.

Si blocca. “Sarà dura.” Sospira.

 

Qualche minuto dopo siamo di fronte ad una galleria, come lei mi aveva preannunciato. La “Hampstead Gallery” è esattamente come ci si aspetterebbe che sia una galleria. Vetrate lucide e per niente opache, muri bianchi, dipinti posti in modo ordinato e preciso su questi, con delle piccole targhe su cui c’è scritto il nome dell’autore e dati del genere, non che mi importi e non che io ci abbia davvero dato uno sguardo.

La galleria sembra un luogo totalmente differente dai negozi accanto.

“Wow, grandioso.” Esclamo ironica. “La prossima tappa è uno Starbucks?”

Mi lancia un’occhiata truce, prima che un giovane ragazzo si presenti di fronte a noi.

“Rose” la saluta, mentre lei risponde con un cenno veloce della mano; il ragazzo è moro, alto, mi sembra d’averlo già visto ma non do peso a questa sensazione di deja-vù che mi capita sempre più spesso di provare.

“Ehi.” Si volta nella mia direzione, spalancando appena gli occhi, dunque io abbozzo un sorrisetto guardandomi attorno, fintamente interessata.

“Elena?” domanda, ed allora lo guardo. “Dovrei sapere chi tu sia? Perché se è così sappi che è tutta colpa di Rose, che non mi ha detto nulla” ribatto alzando le mani.

“Perdonala, è piuttosto scorbutica…”

“Io direi realista.”

“… più antipatica e scontrosa…”

“Restia a parlare con gli sconosciuti.” Esclamo inclinando il capo.

“… di com’era prima.” Finisce il suo discorso indicandomi.

“Be’… - il ragazzo alza le sopracciglia. – Se è così… Io sono Jeremy. Tuo fratello.”

E mi porge la mano come se non avesse detto nulla.

Spalanco la bocca osservando Rose, che ricambia lo sguardo divertita.

“Io…” deglutisco, non sapendo cosa dire.

Mio fratello? Ho un fratello? “E’ colpa sua, come ho già detto –esclamo afferrando la mano di Jeremy- non pensavo neanche di avere un fratello!”

Irrigidisce la mascella e subito mi rendo conto di aver detto una stupidaggine.

“Cioè non che l’abbia fatto di proposito, o meglio, non che io non possa volerti bene…”

“Elena…” – mi blocca facendomi sospirare. “E’ tutto okay. Davvero. Ti aiuterò, se vorrai.” Annuisco sovrappensiero, guardando un dipinto.

“L’hai fatto tu?” chiedo cambiando discorso. Tutti e due osservano ciò che sto guardando, Jeremy si avvicina a me e indica il lavoro con una mano.

“Lo vedi quello?” chiede retoricamente.

“Sì.” Rispondo.

“Be’… No, non l’ho fatto io.” Ah, fantastico: siamo venuti a trovare mio fratello nel luogo in cui lavora. Mi domando perché Rose non l’abbia detto prima, in fondo non è qualcosa di brutto, se si tiene conto che…

“Ma tu. Hai fatto tu tutto questo.” Spalanco gli occhi. Cosa?

Io non sopporto l’arte. Non ho proprio mai potuto fare cose del genere.

“E’ tua la galleria.”

-

Capitolo di fondamentale importanza per capire la vita di Elena e quella di Rose: abbiamo dunque visto che lei è un'artista, mentre Katherine non ha nessun rapporto con l'arte e lo si è notato anche nei capitoli precedenti!

Nel prossimo Katherine's POV scopriremo qualcosa in più su Bonnie :) Ci sarà una grande sorpresa e una scelta. Di cosa si tratta secondo voi?

Risponderò al più presto alle vostre recensioni, ringrazio chi legge e recensisce! :)

Sono un po' indietro con la stesura di questa fic e ciò mi spaventa, ho un paio di capitoli già pronti ma non sono molti e non cosa fare ahah

Sono terrorizzata dall'idea di rimanere a corto di capitoli ma sappiate che troverò un modo per evitare che la storia si blocchi/sospendi/elimini, cosa che non accadrà.

Vi invito a passare da altre fic!

Una mia long in corso, Acid rain, a cui tengo molto e mi piacerebbe che faceste un salto e lasciaste un parere :)

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Elena è uno statico quadrato che vive e lascia vivere, Damon è un cerchio che arriva e scappa (è ciò che meglio sa fare). Sono come due gas che, combinati chimicamente con l’acqua (l’inevitabile vita), danno origine a piogge acide.
Dal prologo:

Damon è una figura introspettiva dello spettacolo metaforicamente contorto che è la vita, non puoi dirgli “Ascoltami” e “Lascia che ti ascolti” nello stesso modo, non puoi pronunciare quelle parole senza aver conosciuto una parte di lui che non mostra affatto o che mostra, in realtà, spesso: le persone sono cieche ed i suoi occhi parlano troppo per i miei gusti.
E ora sono in piedi, in città, guardando il libro che mi ha regalato, perché “Non sono un tipo da fiori” mi ha detto, “Non so quale meta preferiresti visitare” ha aggiunto, e come regalo di compleanno –in ritardo, ma non ha davvero importanza- non c’è nulla di meglio di un libro scelto da un libro dalle mille sfumature in persona.

E I'm looking for happiness, una Delena splendida che merita! :)

Un bacio, a presto! :)

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Capitolo 12
*** Secret ***


Capitolo undicesimo

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Secret

Elena

 

“Sì. Ehm, grazie…” corrugo la fronte, mentre si avvicina a me, facendomi trasalire.

“…Damon.” Assottiglia gli occhi, come per vedere se il pronunciare il suo nome possa provocarmi qualcosa. Ed in effetti qualcosa succede. Penso che la mia carnagione si sia colorata –per non dire tinta completamente di un colore che oscilla fra il rosso ed il bordeux- e lui lo nota, infatti il suo sorriso si allarga. E’ lui, Damon. E’ lui…

“Damon Salvaequalcosa.” Mormoro imbarazzata.

 

“Damon Salvatore.” Precisa sorridendo, incurvando l’angolo sinistro della bocca. “Già.” Aggrotto le sopracciglia, gesticolando lievemente. Poi mi avvicino di un passo, in direzione della sciarpa, ma si avvicina anche lui, per questo mi blocco, confusa. E imbarazzata. Davvero imbarazzata.

Perché lui è- era una sorta di mio ragazzo. Se con Caroline inizialmente è stato difficile, e lo è ancora sia con Nik che con Elijah… non riesco ad immaginare come farò a recuperare il mio rapporto con lui.

Pronto? Non ricordo neanche di… di aver fatto quello che ho fatto con lui, come mi ha riferito Care.

“La sciarpa…” afferma sorridendo, anzi, ghignando sarebbe il termine corretto. Non fa altro che questo. Come se fosse divertente vedermi in questo stato. Perché mi sembra abbastanza ovvio che sappia che io so. O santo cielo, devo andarmene da qui, al più presto. Devo allontanarmi da lui se mi vergogno a tal punto di non riuscire a pensare una frase di senso compiuto.

L’afferro con una mano, accennando appena un sorriso ed allontanandomi senza salutare.

“Ehi…” mi chiama, ed io mi fermo, chiudendo gli occhi. Non potrebbe essere tutto più semplice?

Mi volto nella sua direzione, e non posso fare a meno di notare quanto sia effettivamente vicino a me. Con una manciata di passi la distanza fra i nostri corpi si è ridotta drasticamente, penso che fra il mio ed il suo petto ci siano appena venti centimetri. Deglutisco.

“Sì?” domando con un filo di voce.

“Katherine… - si inumidisce le labbra, sembra quasi… che stia per dire una cosa piuttosto ovvia. Ma cosa? – Stai bene? Sembri… spaventata.” E non so se è il tono che ha utilizzato per esprimersi o l’effetto che sembra avere su di me che mi fa scoppiare in una risata isterica.

“Io? No, affatto.”

Mi lancia un’occhiata di rimprovero. “Pensavo di aver… - mi incalza con lo sguardo mentre cerco mentalmente una scusa da rifilargli. Non posso certo dirgli: “Ehi! Mi imbarazzi tantissimo! Hai uno strano effetto su di me e per quanto tu  sia bello, non posso non pensare al nostro passato!” – perduto la sciarpa! Tutto qui.” Sorrido ma non sembro convincerlo.

“D’accordo…” corruga la fronte. “Pensavo… - fa una pausa nella quale mi scruta attentamente – possiamo fare colazione insieme, domattina.”  Sgrano gli occhi.

“Sempre se ti va.” Aggiunge un attimo dopo. Deglutisco ma non so cosa dirgli. Non so cosa fare.

“Kate?” la voce di Niklaus giunge alle mie spalle, e credo di aver chiuso gli occhi, sospirato e ringraziato Dio, Caroline e lui in almeno tre lingue.

“Io e Care stavamo andando a casa… vieni con noi? O, non so… rimani qui ancora per un po’?” formula l’ultima domanda con un sorriso malizioso sulle labbra, ed io vorrei solo prenderlo a schiaffi. Osserva per un attimo Damon.

“Ora vi raggiungo.” Gli sorrido, e quanto mi volto nuovamente verso Damon… lui è sorpreso. E quasi… triste? Indico con l’indice Nik.

“Devo andare.”

“Da quando vi parlate? – domanda di getto, senza neanche far caso alle mie parole. – E sorridete, e… comportate come se nulla fosse?” Aggrotto le sopracciglia.

“Scusa –esclamo con tono ironico – se sto cercando di metter ordine nel mio passato. Scusa – ripeto ancora – se ho bisogno anche di lui per recuperare la memoria che, fra parentesi, se non lo ricordassi, ho perduto.”

Si inumidisce le labbra, infastidito. “Be’, allora scusa se mi preoccupo per te. Scusa se io voglio aiutarti e non fai altro che allontanarti come se volessi ucciderti o cosa.” 

Senza rendercene conto, ci siamo avvicinati, e la distanza che intercorre fra i nostri corpi è di a malapena un passo. I suoi occhi, seppure chiari e costellati da pagliuzze quasi bianche, sembrano ardere incessantemente. Riesco quasi a leggere la sua rabbia, il suo fastidio… Ma non capisco perché reagisca così.

“Perché sei arrabbiato?” chiedo allora, forse ponendo la domanda sbagliata.

“Perché cerchi di scappare?”

Serro per un attimo le labbra. “Non si risponde ad una domanda con una domanda.”

Ride, una risata a metà fra lo spontaneo ed il sarcastico. “Chi ti dice che noi non discutevamo così? Posso saperlo solo io, e potrei dirtelo, se solo riuscissi ad interagire con te.” Agita le mani corrugando la fronte. Mi sta ricattando?

“Noi non discutevamo.” Affermo flebilmente, prima di rendermi conto di cos’abbia detto. Perché, ciò che ho detto, implica il saper che…

“Allora… – domanda con uno strano sorriso ad incurvare le sue labbra – cosa facevamo?”

Schiocco la lingua sul palato, agitando il capo. “Devo andare.” Il suo volto si rabbuia, poi si passa una mano fra i capelli.

“Katherine…”

Alzo le braccia, non so cosa dire, ha superato il limite. Avevamo imposto un limite?

Mi blocca il polso con una mano, che agito prontamente per scrollarmela di dosso. “Lasciami.”

“Katherine, non intendevo…”

“Lasciami. Andare.” E così fa, e per un secondo, mi ricordo di Elijah e mi sembra quasi scontato far paragoni. Due uomini del mio passato sono più simili di quanto immaginassi. Alza le mani come a chiudere scusa, e lo osservo un’ultima volta prima di andar via.

Alzo il passo, avviandomi verso l’uscita.

“Katherine… - mi chiama, ed io mi blocco – Lascia che ti aiuti. Vediamoci domani. A colazione. Nello Starbucks vicino al tuo appartamento. Se non verrai… -fa una pausa, nella quale me lo figuro mentalmente mentre scrolla le spalle mantenendo quel fascino che mi ha subito incantata – capirò.”

Inumidisco le labbra, e lascio l’edificio. Sospiro.

Cosa farò?

 

“Lo ricordavo meno…” inizia Caroline, fissando un punto indefinito di fronte a sé e storcendo le labbra in una smorfia. “Meno cosa?”

“Sfacciato? Stronzo?” propone Niklaus, mentre mi domando mentalmente perché sia qui con noi. Non poteva, non so… Andar via da solo? Aspettare un suo fratello? Prendere un taxi?

No. Deve prendere la metro con noi.

Con me e Caroline, ma soprattutto… deve intervenire. Deve irrompere fra conversazioni che dovrebbero riguardare solo me e la mia amica. E questo da ai nervi, senza ombra di dubbio.

Stringo le labbra in una striscia sottile, lanciandogli una languida occhiata che lo fa tacere seppure con un sorriso appena accennato sulle labbra. Tipico suo.

“Dovresti smetterla.”

“Smettere cosa?” si acciglia.

“Smettere tutto. Il tuo atteggiamento è così…” Alzo le spalle, concentrandomi per trovare la parola adatta.

“Inopportuno? Assolutamente ed incondizionatamente inopportuno?”

“Ecco. Se lo sai, sta’ zitto.” Lo rimprovero e mi concentro su Caroline. Cerco di non pensare alla sua risata quasi silenziosa che riecheggia nelle mie orecchie.

Le sorrido, come se non avessi mai avuto una conversazione con Niklaus. “Dicevamo?”

Lei sospira. “Damon. E’ come se vederti lo avesse risvegliato. Non capisco, perché arrabbiarsi? Perché sembrava quasi possessivo nei tuoi confronti?”

Sbuffo, facendo aderire la schiena al sedile su cui sono appoggiata. “Non lo so… vorrei capirlo.” Mi scocca un’occhiata curiosa.

“Hai intenzione di incontrarlo domattina?”

“Cosa? –sbotto alzando il tono di voce – No!”

Non sembro convincerla del tutto perché “Tu vuoi andarci!” urla, accusandomi con un dito puntato contro. Balbetto qualcosa in mia difesa, confusa.

“Sei arrossita! O santo cielo, dove siamo finiti? In un mondo dove Katherine Petrova arrossisce?”

Giro il capo nella direzione opposta a quella della mia amica, imbarazzata… ma incontro il volto sorridente di Niklaus e mi domando quale opzione sia la migliore. Discutere con Caroline e guardarla, oppure discutere – rispondere a tono? – con Niklaus?

Sbuffo sonoramente scatenando una sua risata.

“Okay, okay: per un attimo ho pensato che fosse la scelta migliore… -ammetto quasi intimorita dalla figura della bionda – ma ho cambiato idea.”

“Lo spero per te.” Ribatte lei, piccata,mentre incrocia le braccia.

Scrollo le spalle, assottigliando le labbra. “Perché – la domanda mi sorge spontanea- …perché lo odi?”

Sbatte le ciglia. “Non è che lo odi… E’ solo che non mi piace come ti tratta. Come ti ha sempre trattata.”

Alzo gli occhi al cielo. “Se ti stai riferendo al nostro passato, be’, siamo entrambi colpevoli. Da quello che so, non eravamo una coppia affiatata.”

“No, aspetta, Katherine.” Klaus scoppia in una risata. “Voi non eravate proprio una coppia, capisci? Dicevate di avere una relazione aperta. Sai che significa? Significa che vi ho visti darci dentro su una fotocopiatrice in ufficio, dal quale siete usciti qualche minuto dopo senza neanche assomigliare lontanamente ad una coppia. E’ questo il punto – mi osserva serio – avete sempre avuto questo atteggiamento freddo e distante. In un certo senso, comprendo Damon.”

Rimango colpita dalle sue parole. Le mie labbra sono dischiuse e non so cosa dire.

Sapevo –immaginavo- di aver avuto questo comportamento differente dall’attuale… Ma non so, non mi capacito di ciò: non realizzo di aver sfruttato quell’uomo a mio piacimento. Ecco, l’ho pensato.

E c’è qualcosa in preciso che mi colpisce del discorso di Klaus: non il fatto che ci abbia sorpresi assieme –fra l’altro, non avrei voluto saperlo – ma bensì che lui lo capisca, addirittura.

“Comprendi?”

“Si, sai… anch’io cercherei di recuperare un rapporto. Di migliorarlo. E’ come se avesse avuto la possibilità di ricominciare. Penso… - scrolla le spalle, spettinandosi i capelli con una mano- che ci tenga a te, in qualche modo a me sconosciuto. Altrimenti non avrebbe fatto quel che ha fatto… Non si sarebbe arrabbiato, né avrebbe cercato di aiutarti.”

Alzo le sopracciglia. Passo la lingua sui denti, intenta a riflettere. E’ vero ciò che dice Klaus? Quindi che Damon ci tiene a me? Oppure vuole solamente far finta che gli importi… Magari domattina non si presenterà nemmeno all’incontro ed io sono una cretina.

“Ma io non so chi sia…” sussurro con il capo fra le mani.

Caroline mi accarezza improvvisamente un braccio, mentre lui sorride, quasi impercettibilmente.

“Non conosci neanche noi…” mormora con un tono di voce basso, avvicinando il viso al mio quasi stesse parlando con una bambina. Sospiro, prima di sprofondare nei miei pensieri.

 

Il mio appartamento non mi è mai sembrato così vuoto ed invivibile. L’aria al suo interno è fredda, l’ordine regna su tutto e la mancanza di fotografie, quadri o dipinti sui muri o utilizzati come soprammobili, crea una sensazione di sconforto che quasi mi blocca il respiro.

Non riesco a percepire questi spazi come una casa… Perché anche se c’è una cucina moderna alla mia destra, un soggiorno con tanto di televisore a schermo piatto di fronte a me, e Trafalgar Square che si intravede dalle finestre… Non trasmette quell’emozione di sicurezza che si dovrebbe provare in un ambiente piacevole e rincuorante come la propria abitazione.

Ho convinto Caroline a stare a casa sua almeno per questa sera, ma dubito fortemente che sia davvero lì, in questo momento: suppongo che Klaus abbia colto al balzo quest’opportunità, facendola svagare e godendo dei suoi momenti con la mia amica.

E’ inutile dire quanto io mi senta sola in questo momento. Sarebbe come sottolineare più volte un errore in un compito in classe, indicare il sole a mezzogiorno quasi come fosse una novità, discutere sulla pioggia a Londra. Inutile, come ho già detto. Superfluo.

Passo una mano fra i capelli, stanca, togliendomi la giacca e poggiandola sulla poltrona di pelle nera. Osservandola, realizzo che il nero è un colore che si addiceva totalmente alla Katherine che ero prima. Donna elegante, di classe, egoista, arrogante, dedita al lavoro, con un passato amoroso difficile alle spalle… Sì, il nero è decisamente un colore adatto alla vecchia Katherine. Non è strano?

Non è strano che sia cambiata così tanto? Radicalmente?

Questa è una di quelle esperienze che ti cambiano la vita… anzi, proprio esperienza non lo è, è quasi una sorta di condanna, come se qualcuno ti mettesse a dura prova; ma non riguarda solo me: si tratta anche delle persone al mio fianco, in quanto devono avere a che fare con una persona differente. Si tratta anche delle emozioni che provo, che mi travolgono e mi fanno dubitare fortemente di essere stata così vile, così insensibile ed estremamente difficile. Quasi non ci credo.

Mi accascio sul divano posizionato accanto alla poltrona: ha lo stesso stile di questa, nero ed in pelle. Sono esausta. Sfinita. E sola, per giunta. Tutte queste emozioni mi consumano.

Rabbrividisco, mentre getto la testa all’indietro.

Non sono sola. Ci sono altre persone accanto a me, che mi sostengono ed affrontano gli ostacoli al mio fianco. Ma, in questo momento, ho lasciato andar via tutti.

Mi sento anestetizzata. A prova di emozione.

Vorrei solo provare qualcosa, un sentimento.

Che sia positivo, che sia negativo. Vorrei solo vivere quest’abitazione, farla mia e deporre in questa tutti i miei segreti, i miei pensieri, i miei sfoghi.

Mi mordo il labbro inferiore. Cos’ho? Cosa è veramente mio?

Il mio cellulare vibra. Un sms da un numero non memorizzato.

 

Vediamoci domattina, dobbiamo parlare.

 

Il tutto accompagnato da un nome che mi fa solo trattenere il respiro.

Che faccio?

-

Scusate per il ritardo, sono terrorizzata dai capitoli che non riesco a scrivere ahah

Questo è un capitolo abbastanza movimentato: cosa ne pensate? Che cosa farà Elena aka Katherine? Di chi è l'sms?

Vi ringrazio per il supporto che mi date, mi farebbe piacere sapere un parere su questo capitolo:)

Grazie per tutto, purtroppo è un periodo pienissimo e sono sempre senza internet, non riesco nè a scrivere, nè a rispondere alle recensioni, nè a recensire nè a postare in orario.

Chiedo venia per questo.

Vi lascio qualche link:

Una mia long in corso, Acid rain, a cui tengo molto e mi piacerebbe che faceste un salto e lasciaste un parere :)

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Elena è uno statico quadrato che vive e lascia vivere, Damon è un cerchio che arriva e scappa (è ciò che meglio sa fare). Sono come due gas che, combinati chimicamente con l’acqua (l’inevitabile vita), danno origine a piogge acide.
Dal prologo: 

Damon è una figura introspettiva dello spettacolo metaforicamente contorto che è la vita, non puoi dirgli“Ascoltami” e “Lascia che ti ascolti” nello stesso modo, non puoi pronunciare quelle parole senza aver conosciuto una parte di lui che non mostra affatto o che mostra, in realtà, spesso: le persone sono cieche ed i suoi occhi parlano troppo per i miei gusti.
E ora sono in piedi, in città, guardando il libro che mi ha regalato, perché “Non sono un tipo da fiori” mi ha detto, “Non so quale meta preferiresti visitare” ha aggiunto, e come regalo di compleanno –in ritardo, ma non ha davvero importanza- non c’è nulla di meglio di un libro scelto da un libro dalle mille sfumature in persona.

E I'm looking for happiness, una Delena splendida che merita! :)

Un bacio, a presto! :)

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Capitolo 13
*** Take back all the feelings ***


Capitolo dodicesimo

 

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Take back all the feelings

Katherine

 

  1. Trascorrere più tempo con Jeremy
  2. Visitare qualche galleria d’arte
  3. Pranzo in famiglia con Bonnie (devo proprio?)
  4. Tour di Londra con Rose
  5. Vacanza a Mystic Falls per Natale
  6. Cambiare aspetto
  7. Andare sul London Eye (aspetta, e se soffrissi di vertigini?)
  8. Riappacificarsi con Stefan
  9.                                               

 

Leggo questa lista per la centesima volta, soffermandomi in modo particolare sul punto otto e nove. L’hanno stilata Bonnie e Rose circa un’ora fa, sono azioni e scelte che dovrei compiere per imparare a conoscere la vecchia Elena, apprezzarla e modificarla, in meglio si spera.

Guardate il punto sei, ad esempio: cambiare aspetto. Ecco, non che io sia contraria –altrimenti l’avrei sbarrato con un tratto di penna deciso e ben calcato- questo mi spaventa ma è uno dei mali meno peggiori.

Un punto che odio –tanto per citarne uno- è l’otto. Otto che ho prontamente eliminato.

Sbuffo.

Chi l’ha scritto? Sono sicura al cento per cento che l’abbia fatto Rose. Ma no, non lo farò.

Dovrebbero essere spunti da accettare, dovrei continuare la lista ma in verità non so cosa scrivere. Tutto quello che mi passa per la testa l’hanno già appuntato le mie due amiche, non saprei cosa aggiungere e lo dimostra il fatto che guardo lo spazio adiacente al punto nove da più di mezz’ora.

Sì, dovrei decisamente trascorrere più tempo con mio fratello… Mio fratello, diamine, mi fa un certo effetto anche solo pensare di averne uno, immaginavo di essere figlia unica ma non lo sono. Siamo così diversi e questo mi spaventa, però riflettendoci, sono così diversa con tutti ed in tutto, soprattutto.

Sospiro, stringendo il foglio strappato da un vecchio quaderno a righi tra le mani.

Quando l’altro giorno ho scoperto di possedere una galleria tutta mia e di aver studiato arte a Yale, mi sono quasi sentita male nel dire a Rose e Jeremy che dipingere, far foto, disegnare, l’arte in generale non mi fa nessun effetto. Eppure l’ho fatto e mi dispiace.

Scuoto la testa, Rose e Bonnie hanno ragione: dovrei visitare Londra, qualche galleria o museo che sia.

Ma parliamo del punto tre: come ho infatti appuntato –Devo proprio?-  non sono esattamente incline all’idea di pranzare con Bonnie e la sua famiglia. Famiglia composta, a quanto sembra, da suo marito, sua nonna e suo padre. Niente pargoletti pseudo maghi, come la grande Bennett afferma sempre. Sembra, infatti, che la loro famiglia discenda dalle streghe di Salem, dunque Sheila ha tormentato per anni la nipote, credendo che si trattasse di un essere sovrannaturale.

Alzo le sopracciglia, come se mostri e roba del genere esistessero veramente.

“Sì, la sto convincendo…” afferma Bonnie scoccandomi un’occhiata truce. Sospira. “Non ti preoccupare. Sì… Ti amo anche io.”

La scimmiotto stendendo le gambe sul divano di casa Bennett.

“Ti amo anche io.” Lei alza gli occhi al cielo, stringendo il cellulare in una mano e passandosi poi, l’altra, fra i capelli.

“Quando sarai innamorata di qualcuno, capirai.”

Mi inumidisco le labbra, poggiando poi il foglio sul tavolino accanto al divano.

Certo, come no.

“D’accordo, streghetta. – scuote il capo forse pentendosi di avermi raccontato quella storia- Come pensi di convincermi?”

Si fa strada avvicinandosi a me, alza le mie gambe e le poggia sulle sue cosce, il profumo del suo bagnoschiuma al cocco riempie i miei polmoni e sorrido impercettibilmente.

“In realtà… Speravo di convincerti rivelandoti un segreto.” Il capo inclinato nella mia direzione è come un invito ad avvicinarmi e lasciare che si confidi con me. Sgrano gli occhi. Odio le sorprese… ma i segreti, ecco… quelli fanno tutto, alle volte.

Rovinano le persone, le famiglie, uniscono due amici e dividono una coppia con una facilità sbalorditiva.

I segreti mi affascinano perché non si rivelano a tutti, i segreti corrispondono al dare un frammento di noi a qualche altra persona, facendo promettere a quest’ultima di cucirsi la bocca.

“Dimmi tutto.”

Si morde il labbro inferiore. “Sono incinta” sputa all’improvviso, cogliendomi di sorpresa. Abbasso lo sguardo, senza che me ne renda conto, alla sua pancia, piatta e coperta da un maglioncino di lana bordeaux.

“Oh mio Dio. Santo cielo.” Mi copro la bocca con entrambe le mani, deglutisco e penso ad un sacco di cose. “E Rose lo sa? Tuo marito? E… tu come l’hai presa? Lo terrai, vero?” sorride incerta.

“Non ci posso credere!” esclamo prima che possa darmi anche solo una risposta, una spiegazione.

“Rose non lo sa ancora. E’ uscita e ci raggiungerà fra pochissimo.” Prende un respiro profondo.

“Mentre Kol… Non ancora. Ho paura della sua reazione.”

Sbarro gli occhi. “Paura della sua reazione? Stai scherzando, vero? E’ tuo marito – esclamo aprendo le braccia –tuo marito! Ne sarà sconvolto, probabilmente, ma no, Bon… non ti imporrà di abortire o roba del genere” agito una mano come per scacciare una mosca, assottigliando gli occhi. E’ davvero questo di cui ha paura una come lei, come Bonnie? Io me la vedo come madre, e non per il semplice motivo che lavora in un asilo. Lei è una madre provetta, ha quell’istinto materno che la caratterizza da quando la conosco, tende ad essere prudente e protettiva e non capisco le sue paure infondate.

Sembra nervosa, sorride incerta mentre sposta lo sguardo sulle mani. “E’ che … non so, davvero…” mi fa tanta tenerezza e se non la conoscessi potrei dire che potrebbe scoppiare a piangere da un momento all’altro. Gli occhi si muovono dalle sue mani a me, al mio sguardo che reggo prontamente, si martoria il labbro inferiore e d’istinto, forse anche troppo, l’abbraccio.

“Non lo so, Elena…” sorride sulla mia spalla. “Andrà tutto bene?”

Sospiro, passando la mano sulla sua schiena. “Certo Bon, andrà tutto bene.”

 

Rose va avanti e indietro per il soggiorno di Bonnie, una mano poggiata sul fianco sinistro e l’altra fra i capelli. Il parquet che sta calpestando ininterrottamente da più di quindici minuti è di una tonalità molto chiara, è coperto da un tappeto con motivi tribali e sospiro, quasi infastidita da tanto movimento.

Rose sbuffa. “Andrà tutto bene…” mormora la bruna alla donna in perenne movimento, colei che provoca un continuo spostamento d’aria che mi fa rabbrividire.

 Sogghigno, e “Non posso crederci.” esclamo scuotendo la testa.

Entrambe si voltano verso di me: “Insomma, Rose… E’ lei la donna incinta. –indico Bonnie. – Non tu. Quindi smettila di muoverti, ho l’ansia alle stelle per colpa tua.” Sibilo dura, ottenendo in cambio un’occhiata che non fa smettere alle due di comportarsi esattamente come qualche istante fa.

Alzo gli occhi al cielo.

“Rose. – la chiamo poco dopo. – Rose!” ma lei non mi ascolta, continua con il rumore dei suoi tacchi a contatto con il pavimento, continua nel suo camminare e continua nel non darmi ascolto.

“Rose!”

Sbarra gli occhi, quasi come appena svegliata da un incubo.

“Rose…” mi avvicino al suo corpo e la osservo meglio. Sta piangendo.

Sta… piangendo?

Bonnie si desta, proprio come me, si alza e Rose punta i sue due occhi sulla sua pancia.

“Ehi…” sussurra la donna incinta al mio fianco.

“Kol la prenderà bene, ha un temperamento burrascoso alle volte ma mi ama, e non sarebbe mai in grado di convincermi a non portare avanti la gravidanza.” Bonnie parla, è molto più tranquilla e rilassata di prima e stento a credere che sia la stessa di venti minuti fa, la stessa che è poi scoppiata a piangere e la stessa che sta, adesso, convincendo Rose che tutto andrà per il meglio.

Respira. Prende una profonda boccata d’aria e le sorridiamo, per confortarla. “Lo so” esala qualche minuto dopo, con il battito cardiaco non accelerato e seduta sul divano.

“Ho paura per te. Insomma, è come se fosse mio nipote”

Bonnie ride, poggiando entrambe le mani ambrate sul ventre, io sposto solo una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Bonnie e Rose sono davvero molto legate, è visibile il loro rapporto così solido e mi sembra quasi normale domandarmi se anche io fossi così… se anche io considerassi loro due come sorelle e non come due estranee quasi amiche come in questo preciso istante.

Se io fossi l’Elena di prima adesso starei nelle stesse condizioni di Rose, ansiosa, spaventata, tratterei il futuro figlio di Bonnie come un nipote. Ed in un certo senso, mi manca quella sensazione.

Non che io l’abbia mai provata, ma… ne sento la nostalgia.

Vorrei ricordare.

“E’ solo incinta.” Le mie parole sono quasi un sussurro. “Insomma, Bonnie è solo incinta.”

E vorrei tanto non aver pronunciato queste parole nel preciso istante in cui il futuro padre del bambino che Bonnie porta in grembo ha varcato la porta della sua casa.

“Cosa?”

Deglutisco.

 

“Ho combinato un casino.” Mi mordo il labbro inferiore mentre mi maledico in ogni lingua possibile ed inimmaginabile.

Rose, al mio fianco, sospira. “No, hai solo… anticipato qualcosa. Qualcosa che sarebbe dovuto accadere. Qualcosa che avrebbe dovuto dire Bonnie a suo marito. Magari in un momento di intimità.”

E non so se mi abbia appena lanciato delle frecciatine, fatto sta che la ignoro sentendomi comunque più in colpa di prima. Le mie mani sono nelle tasche della giacca.

“Bonnie mi odierà e… e Kol? Insomma, neanche lo conosco e forse gli ho rovinato la vita!” spalanco le braccia sedendomi su una panchina.

“Elena, fidati. Kol non la prenderà male. Ha 28 anni, è maturo ed in grado di essere un buon padre.” Mormora Rose, sospirando e giocando con le proprie labbra.

“Che mi succede?”

Deglutisco.

“Perché ho quest’ansia, quest’agitazione…”

Sorride. Ed allora mi blocco, fermo il flusso di pensieri. “Semplice, Lena.” Sorride ancora, sedendosi accanto a me. “Hai dei sentimenti. Hai paura. Ci tieni. Tieni a qualcuno. ”

Il mio battito accelera. “Ed è un bene?”

“Spesso sì.” – scrolla le spalle. – “Spesso no. Dipende tutto da te.”

“Come può dipendere da me?” esclamo quasi isterica.

“Rose… non capisci. Non dipende da me il desiderio di andar via da Londra, non è colpa mia se non mi piace l’arte neanche un po’, se non mi piace rimanere fermi di fronte ad un dipinto annoiandosi a morte... Non è colpa mia se ho perso la memoria.”

Alza un sopracciglio.

“La colpa è di Stefan?”

“Non lo so.”

“Ce l’hai con lui per questo?”

“Non lo so. Insomma, suppongo di no: ho cercato il suo aiuto…”

“Ho un’idea.” Prorompe all’improvviso. La incalzo con lo sguardo.

“Prenditi una vacanza. Va’ nel Cheshire, portati Jeremy e torna da Jenna e Ric.”

Sospiro. “Chi?! E… Bonnie? E te? E... Stefan?”

“Troveremo una soluzione.”

 

Elena

 

Rileggo il messaggio per una decina di volte. Devo solo auto convincere me stessa.

Sì, sto facendo la cosa giusta.

Quel nome corrisponde esattamente a quel nome di cui Care mi ha parlato. Devo andarci.

Un tassello per volta, giusto?

Ecco, ecco che il passato ritorna sempre. Un ‘al diavolo!’ a chi dice il contrario.

Il mio riflesso offre l’immagine di una donna avvolta in un vestito nero abbastanza aderente, ma semplice nel complesso. Non che la scelta sia stata vasta, insomma, in quel guardaroba enorme ci sono solo tubini neri, maglie e pantaloni neri, abiti eleganti e aderenti e questo che indosso mi è sembrato il più accettabile –o meno orrendo, dipende dai punti di vista.

Mi osservo per un’ultima volta, stringendo le labbra e colorandole con un rossetto rosa pallido. Sono Katherine, e pertanto devo cercare di assomigliare a lei: tornare al passato, migliorando il presente, il mio obiettivo.

Passo una mano fra i capelli mossi, incurvando le labbra e prendendo la borsa di pelle nera di Prada che ho trovato nel mio –ebbene sì, mio – guardaroba.

Lo squillare del mio cellulare mi richiama dal flusso di pensieri.

“Ehi” esclamo, uscendo dall’appartamento ed infilando le chiavi nella toppa.

“Kate, dimmi che non stai an-“ Caroline. Un giro, due giri. Fatto

“Devo, Care” la blocco comprensiva. “Senti, sto uscendo. Non puoi fermarmi. E sono in grado di farcela. Stiamo pur sempre parlando d-“

“Di l-” si blocca, prima di urlare “Ecco, appunto! Per questo non mi fido!”

“Care!” la rimprovero. “Sto dando una nuova opportunità a me stessa e agli altri. A tutti gli altri.”

“Lo so, diamine! Non ti facevo così… buona! Ma ascoltami: provasse a farti del male, a ricattarti…”

“Ricattarmi? Caroline, c’è qualcosa che devi dirmi? Qualcosa del mio passato che non so?”

“E’ una persona molto… istintiva. E protettiva, in un certo senso. Senti… Fa’ attenzione. Non esitare a chiamarmi se hai bisogno.”

“Lo so.” Sospiro. “Ci vediamo a pranzo da me?”

“Se non ti raggiungo prima...” borbotta con la bocca piena.

“Caroline” la rimprovero nuovamente.

“Lo so, lo so!” biascica in risposta.

Alzo gli occhi al cielo, sorridendo. “Buona colazione”

 

Con la borsa sull’avambraccio, osservo Trafalgar Square gremita di turisti e artisti di strada. Il sole è ancora basso, ma è una mattinata di ottobre ed è pressoché comprensibile. Un signore con un violino sulle spalle intona una musichetta che mi fa quasi rabbrividire. Un uomo scatta una foto ad una donna, probabilmente la sua fidanzata. E lei sorride, mettendo ulteriormente in mostra i suoi tratti orientali, incurvando le labbra fiera e facendomi riflettere.

Ma in fondo lo so, arriverà anche per me il momento in cui sarò finalmente felice.

Avrà la mia memoria, il mio lavoro, sarò una persona migliore e poi mi innamorerò. Mi sposerò.

Avrò la vita che ho sempre sognato.

Quella che un po’ tutti vogliono.

Facendo attenzione svolto per una stradina, mentre l’odore di caffè già mi inebria profondamente.

Sono appena le nove di mattina.

Lo starbucks ha appena aperto… ed io aspetto, non essendoci nessuno.

Apro la porta, provocando un tintinnio e sorridendo.

Aspetterò.

-

Ola, ola ola.

Perdonatemi il ritardo se potete. Linciatemi ed insultatemi.

Mi scuso terribilmente per tutto, a partire dal ritardo, alla mia non-risposta alle recensioni, alla mia mancanza di tempo per scrivere e per aver trascurato questa fic. Non ho molto tempo per scrivere, pensare, tutto il resto, è un periodo un po' no. Le vostre recensioni mi rincuorano sempre, davvero, siete gentilissime.

Il prossimo capitolo è già pronto e conto di postarlo la prossima settimana... così che in queste vacanze mi dedichi sia a Lo strano caso che ad Acid Rain, di cui ho scritto poco.

Grazie per tutto, un abbraccio forte!

Passate da queste storie se vi va: (potete cliccare anche sul banner)

-Acid Rain, per me sarebbe di fondamentale importanza.

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-Rules of a Gentleman, tre mie drabble su Damon ed Elena

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-I'm looking for happiness, una Delena!AU ambientata nei fantastici anni 80:)

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Capitolo 14
*** Talking time ***


Capitolo tredicesimo

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Talking time

Elena

 

Sorseggio il mio cappuccino stringendo la tazza fra le mani, spostando gli occhi in modo tale da osservare ogni qualsiasi persona si aggiri nello Starbucks. Ma niente.

Di lei ancora nessuna traccia.

E questo mi fa innervosire, di colpo l’immagine di Care che mi aveva avvisato ieri sera –quando stavamo parlando di Rebekah- si fa spazio nella mia mente, ricordandomi quanto sia stronza, alle volte.

Do una rapida occhiata all’orologio, spalancando appena gli occhi quando mi rendo conto che sono qui da mezz’ora passata: inutile dire che non verrà o che, se l’ha fatto, si è gustata la scena di una Katherine sola e confusa a causa sua e se ne è andata.

Mi lecco il labbro superiore eliminando tutta la schiuma bianca del latte, finendo con un breve sorso la mia bevanda e alzandomi. Quando si è troppo buoni ci si lascia abbindolare, no?

Scuoto la testa, chiedendomi cosa diamine mi aspettassi.

Che mi accogliesse a braccia aperte? Un “giurin giurello, adesso saremo amiche per sempre”?

Dovevo immaginare che fosse… come definirla? Una trappola? Una presa in giro?

Fatto sta che ho perso parte del mio tempo, avrei… che ne so, potuto…

Non voglio che quelle parole vortichino nella mia testa, urlando magari, e dicendo “Ehi, te l’avevo detto!”, oppure “Avresti potuto dare una possibilità a Damon” e “Ascolta Caroline per una buona volta”.

Il succo è quello.

Dov’è finita la Katherine delle seconde possibilità? Sicuramente è caduta in un tombino, forse proprio a causa di Rebekah, che voleva parlarmi riguardo… riguardo cosa, poi? Non me l’ha detto neanche nei messaggi seguenti. Quindi… perché ho voluto ascoltarla?

Non mi capirò mai.

Spingo la porta, mentre il freddo mi investe del tutto, affondando sul mio viso e pungendo come non mai. Rabbrividisco, mentre mi guardo attorno nella vana ed ultima speranza di scorgere una bionda –Rebekah Mikaelson – correre disperata verso di me chiedendo venia per il mostruoso ritardo.

Ma nulla, ovviamente.

“Aspettavi qualcuno?” una voce mi chiama, mordo il labbro inferiore voltandomi nel lato opposto.

Sì.

 

“Senti, non voglio che tu fraintenda…” tento di parlare, ma vengo subito interrotta da un suo gesto repentino della mano, che mi fa tacere ed alzare gli occhi al cielo.

Damon è seduto di fronte a me, agita una bustina di zucchero osservandomi negli occhi e mettendomi a disagio con lo sguardo limpido e così carico da farmi quasi arrossire.

Ma Katherine Petrova non arrossisce, Caroline dice così ed io le credo.

“Damon…” provo ancora.

“Katherine.” Pronuncia il mio nome con tono profondamente suadente, la voce quasi roca che incrocio le braccia e scuoto la testa.

“Aspettavo Rebekah.” Asserisco velocemente prima che possa interrompermi.

“Cosa?”

Mi inumidisco le labbra con la punta della lingua. “Hai capito bene” -  poggio i gomiti sul tavolino ed il mio viso sui palmi delle mani – “Avevo intenzione di incontrarmi con lei… non con te.”

“Perché sei ancora qui?” sputa quasi infuriato con le sopracciglia aggrottate.

“Mi sono sbagliata. Sai, su di lei, le mie scelte… Devo rivedere le mie priorità.”

Mormora un “mhm” prima di abbassare il capo e svuotare la bustina di zucchero nella sua cioccolata.

“Cosa volevi dirmi, allora?”

Alza lo sguardo per poi scoppiare a ridere, corrugo la fronte prima di capire cosa diamine gli succeda. E’… non so, lunatico? Bipolare? Un attimo prima quasi ringhia e quello successivo scoppia a ridere come se avessi fatto una battuta irresistibile.

Uomini.

“Cosa ti prende?” domanda lui, facendomi sgranare gli occhi.

“Cosa prende a me? Scherzi?!”

“Un attimo prima sei la solita egoista ed egocentrica Katherine, con il tuo ‘Devo rivedere le mie priorità’, l’attimo dopo sembri una bambina il giorno di Natale, con il ‘Cosa volevi dirmi?’”

Sta scherzando, vero?

“Sei tu… sei tu quello bipolare, diamine!” quasi urlo spalancando le braccia.

“Io?” ha il sorriso di uno che sta per scoppiare in una grande e grossa risata.

“Smettila di farmi impazzire!”

“Dannazione, non pensavo che bastasse così poco per farti innamorare di me! Sei stata molto rapida, se posso commentare…”

“Va’ al diavolo Damon, sempre se non sei già all’Inferno.”

Prendo la mia borsa, è la seconda volta che compio quest’azione in questo Starbucks, penso che qualcuno se ne sia accorto, insomma, mi hanno già catalogata come una pazza sclerotica senza ombra di dubbio.

“Kate…”

“Perché succede sempre così?” chiedo in sussurro, abbandonando di getto la borsa per terra e portando le mani ai capelli.

“Parliamo, tu mi provochi, mi fai impazzire, io vado e tu tenti disperatamente di farmi restare.”

“Andiamo…”

“No, giuro su tutto ciò che mi è rimasto che me ne andrò da quella porta e non ci sarà più nessuna possibilità per parlare e discutere se non mi spieghi il perché. Sai qualcosa che non so? Sai dirmi il perché? Ne ho bisogno, Damon. Ti prego”

“A fine giornata.” – esclama poco dopo – “Ti dirò tutto a fine giornata. Oggi trascorreremo un po’ di tempo assieme.”

Osservo il suo maglioncino di lana blu accarezzargli il corpo, i suoi occhi chiari che mi implorano di ascoltarlo ed i capelli spettinati che gli conferiscono un’aria prettamente sbarazzina. Le guance rosa, le labbra carnose e le ciglia lunghe. Un attimo, due attimi…

Le mani grandi che stringono la tazza, i miei piedi freddi e la pelle d’oca che ha ricoperto tutte le mie braccia.

Ho paura.

“D’accordo.”

Palla al centro.

 

Può mostrarmi tutta la città, tutti i suoi luoghi preferiti e raccontarmi di una vita che non ricordo. Può fare tutto ciò e non modificare minimamente la nostra esistenza. Ed io proprio non capisco, Klaus non ha ragione: come può voler iniziare tutto daccapo? Damon non riesco a comprenderlo, a inquadrarlo. Sorride e scherza, quando ti vede troppo lontana mette un freno e ti prega per restare senza mai espressamente dirlo.

Perché sei così complicato?, vorrei chiedergli, ma probabilmente risponderebbe con un “A fine giornata”. E non so proprio quale sia il suo segreto!

La motivazione, le sue ragioni, i suoi pensieri… ma a dire il vero non so nulla su nessuno.

“Seguimi… voglio portarti in un posto.” Afferma con un sorriso appena accennato, gettando le mani nelle tasche e respirando profondamente.

“Okay.” Pronuncio in risposta, inumidendomi le labbra e mettendomi al suo fianco.

Ignoro bellamente la chiamata in arrivo da parte della mia amica, sapendo che sta morendo dalla voglia –necessità?- di sapere come è andata con Rebekah.

“Non rispondi?”

“No.”

“D’accordo” alza le mani come in segno di resa, come se si fosse infiltrato in uno spazio che non gli riguarda affatto, ed io mi limito a scuotere la testa.

“E’ Caroline.” Vorrei …avere dei limiti e rispettarli. Vorrei riuscire a smettere di parlare, mettere un freno alle mie labbra e tenere per me ciò che è per me.

Mi osserva con lo sguardo accigliato. “Mhm”

“Sì, insomma, vorrà sapere qualcosa sulla colazione.”

“La nostra?”

“La nostra non è stata una colazione.” – ribatto puntigliosa – “Quella con… Rebekah.”

“La donna che ti ha dato buca... Devo ammetterlo, avere un due di picche da una signora è davvero orribile, soprattutto se lo sei anche tu”

“Damon”

“Okay, okay” scrolla le spalle in seguito al mio ammonimento. “Perché? Perché Rebekah?”

Schiudo le labbra e mi blocco per qualche istante, costringendo la gente che cammina attorno a noi a seguire una traiettoria differente, come un cerchio, schivandoci con maestria.

“Non lo so, pensavo di ripartire anche con lei” – mi inumidisco le labbra con la punta della lingua ed alzo il passo – “Sai, essere una persona migliore e tutto il resto.”

“Rebekah è così…” – sorride appena passandosi una mano fra i capelli – “Stronza, come me. Immagino che l’averti vista così fragile e vulnerabile le sia piaciuto, le abbia fatto acquistare quel potere che prima non aveva. Tu ed Elijah…” – agita le mani ed il tono di voce si affievolisce – “Avete stravolto la sua famiglia e tutte le amicizie a lavoro.”

Corrugo la fronte. “Già.”

“Posso, ehm… posso chiederti qualcosa? Del tipo, ‘com’erano i miei rapporti prima’?”

Si morde l’interno guancia mentre prendiamo una strada che nasce a Trafalgar Square e continua per qualche chilometro. Si esprime con un secco “Eri diversa e tutto era instabile” nel frattempo che attraversiamo la strada. “Cioè?” domando ancora. I dettagli sono ciò che mi servono, io ne ho bisogno, ne ho davvero bisogno.

“Come prima di Elijah. Lui… ti ha cambiata.”

Cos’ero, una psicopatica? Elijah una sorta di psichiatra, invece?

“E poi?”

“Siamo arrivati.”

 

Ammettiamolo: Damon non è un granché con le storie; piccolo appunto per il futuro, scoprire qualcosa di macabro del suo passato per poterlo ricattare in casi come questi: io voglio sapere e non riesco a fargli pronunciare qualche parola in più, come se il mio passato che ho dimenticato fosse un argomento off limits fra noi due.

Ma d’accordo, per il momento mi lascio guidare. Saprò altro entro la fine della giornata, me lo deve.

Siamo partiti da Trafalgar Square, dove abito, e siamo arrivati –più o meno- allo Starbucks lì vicino, per poi fermarci poco dopo, in un punto della città non meglio definito. Di fronte a noi un palazzone alto e dai muri color beige, accanto ad un Hotel che pare lussuoso e con le finestre ampie e rettangolari.

 

“Perché siamo qui?”

Sorride, e “E’ il luogo in cui ci siamo incontrati. O meglio, quello in cui ci siamo parlati per la prima volta.” mi risponde. Confusa scrollo le spalle: “Non capisco.”

“Festa di bentornato per Finn e Mikael Mikaelson, dopo un lungo viaggio di lavoro durato quasi sei mesi. Abbiamo prenotato un locale qui vicino ed abbiamo fatto le ore piccole. Tu avevi appena rotto con Elijah, la tua amica bionda era su di giri perché aveva l’incarico di organizzare tutto e Rebekah… è stata un ottimo passatempo.”

Schiocco la lingua sul palato. Ecco, è un… donnaiolo. Insomma, è lecito da uno come lui, coinvolto in un accordo come quello che avevamo, noto anche come ‘relazione aperta’. Dio, quanto sono illusa.

“Oh” mi limito a sussurrare, con lo sguardo che si posa su di un po’ tutto meno che nei suoi occhi cristallini che non lasciano, neanche per un secondo, me. Ed è quasi asfissiante.

“Sembra un secolo fa.” Sussurro alzando le spalle, guardandomi attorno ed osservandolo. Inclina appena le labbra, e mi appare quasi un sorriso sincero, dettato da quella compassione che tutti –meno Rebekah- sembrano provare nei miei confronti da quando ho perduto la memoria.

“Sono trascorse solo un paio di settimane.”

“Lo so.” Mormoro spostando i capelli dietro l’orecchio. “Vorrei poter andare avanti e ricordare questo come qualcosa di buffo, da raccontare a qualcuno e riderci su.”

“Non dovresti” esclama accigliato. “E’ la tua vita… te ne pentiresti.”

“Non lo so, perdere la memoria e svegliarsi all’improvviso, con una donna che dice di essere la tua migliore amica e che ti catapulta in un mondo che non si ferma per te. E’ sconvolgente… e spossante, e non so se riuscirò mai a raccontarlo come se fosse un dannato film”

“La vita non si ferma per nessuno.” Sospira. “Hai Caroline, Katherine: è una delle migliori persone che io abbia mai incontrato, che voglia ammetterlo o meno. Hai un sacco di persone accanto a te.”

“Ci sei tu” affermo con una nota di curiosità nella mia voce. Ho davvero lui?

“Ci sono io” ripete con tono pacato mentre pronuncia queste parole.

Annuisco con il capo.

“Andiamo a mangiare? Sto morendo di fame”

“Devo dare buca a Caroline… suppongo ci voglia un po’ di tempo.” Ride mentre mi da ragione e mi trascina da qualche parte, nel frattempo  chiamo la mia amica e cerco di attutire le sue urla.

 

Katherine

 

“Allora, com’è andata la visita al Victoria and Albert? Ho sentito che facevano una mostra sullo stile vintage” Sheila intavola un argomento che dovrebbe rendermi partecipe alla conversazione di una famiglia che ho quasi rovinato e di cui non faccio parte.

“Molto bella” commento annuendo con il capo ed agitando la forchetta. Sorrido cercando di risultare convincente quando Bonnie mi lancia un’occhiata furtiva, facendomi per un attimo scrollare le spalle come a dire ‘Che altro dovrei fare?’. Kol accenna ad un sorriso mentre chiacchiera con sua moglie e la futura madre di suo figlio. Quasi inutile dire che è tutto okay, lui l’ha presa molto bene anche se sembra nutrire un qualche odio nei miei confronti.

“Capisco… Bonnie mi hai detto che partirai per tornare da Rick e Jenna, nel Cheshire!” continua nonna Bennett, facendomi sorridere ancora e sono sicura che a fine giornata le mie guance proveranno così tanto dolore che non sorriderò più per i prossimi due mesi.

“Sì, ho il volo oggi pomeriggio”

“Così presto?” domanda Bonnie sembrando realmente sorpresa.

“Sì, Rose ha organizzato tutto. Ho bisogno di cambiare aria… e lei mi raggiungerà nel giro di uno o due giorni”

Cosa? Anche lei?”

“Abbiamo il compleanno di Jeremy e la festa di fidanzamento di Jenna… credo che si chiami così, no? Allora l’ho invitata, avrei fatto lo stesso con te ma avrei sicuramente disturb-“

“Nessun disturbo!” esclama ad un tratto interrompendomi.

Corrugo la fronte mentre tutti a tavola hanno smesso di parlare.

Okay, questo è imbarazzante.

“Intendo… per te non c’è nessun problema, Kol, vero?”

“Sei incinta, non dovresti prendere l’aereo”

“Oh, andiamo! Si tratta di Elena!” enfatizza il mio nome portandomi ad abbassare lo sguardo, con un sorriso di vittoria stampato sulle labbra. E’ inevitabile, Elena 1, Kol 0. Bonnie tifa per me.

“Un viaggio fra donne?” si informa pronunciando con una lentezza indescrivibile ogni parola.

“Esattamente!”

Scuote la testa. “Può essere pericoloso, non dimenticare che sei…”

“Incinta, lo so, non fai che ripeterlo.”

Bonnie si sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, protende il suo corpo verso quello del marito che mi odia e sbatte le ciglia sembrando… adorabile. Quasi come uno di quegli… animali. Già, animali. Con gli occhi grandi e lucidi, la lingua di fuori e la coda che si muove ininterrottamente e tutto il resto. Scuoto la testa, a cosa diamine penso?

“D’accordo, d’accordo”

“Avviso Rose!” urla alzandosi dalla sedia per raggiungere il telefono fisso. Sheila ci guarda ed inclina le labbra, prima di dileguarsi con un “Prendo il dolce”.

“Senti” – Kol mi indica con una mano e cattura la mia attenzione. Si inumidisce le labbra e sembra scegliere le parole adatte prima di parlare – “Abbi cura di lei, perché…”

“Lo farò” insorgo. “E’ mia amica. Mi sta accanto mentre non so chi sia… so che è difficile e glielo devo” Sospiro. “Lo farò” ripeto annuendo con il capo mentre lui sembra più sollevato.

“Bene” Deglutisco e muovo il capo in avanti, come per mettere una pietra sopra al nostro fraintendimento precedente.

“Bene” ripeto, alzandomi e aiutando Sheila in cucina.

-

Buon Natale e buon 2014!

Domani si ritorna a... a..., uhm avete capito, no?

Nuovo anno e nuovo capitolo, caso vuole sia il 14esimo aggiornamento ahah

E' un capitolo che mi piace e di pura quiete barra tranquillità, Elena discute con Damon e cerca di stabilire un rapporto con lui. Vi aspettavate Rebekah? Cosa pensate debba dire Damon a fine giornata? Lo si capirà nel prossimo capitolo, ma sarebbe bello se provaste a dare un parere:)

Piccola precisazione: Elena per ovvi motivi non può aver vissuto a Mystic Falls come Katherine ha fatto, quindi la sua ambientazione è nel regno unito, a Chester, nel Cheshire:)

E' importantissimo per chi scrive avere un parere, anche di poche righe, è fondamentale per capire l'andamento della propria storia, quindi vi prego ed incito a lasciarmi una seppure breve recensione, critica, neutra o positiva perchè sono tutte ben accette e perchè migliorare è il mio obiettivo:)

Vi lascio i link delle altre mie storie:)

Acid rain, On the road, How I met your fathers

ed anche I'm looking for happiness, di live__, una bellissima delena ambientata negli anni 80.

A presto, spero,

un bacione

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Capitolo 15
*** Past always comes back ***


abito Katherine

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Past always comes back

Katherine

 

Di sicuro è stata questa strana ed assurda idea di Rose, in quanto sono abbastanza certa che nient’altro sia in grado di sembrare così calmo e pacifico, così dolce e semplice… il viaggio in aereo è stato tranquillo, le hostess erano gentili e non ho perso il mio bagaglio, non ho riperso la memoria e tutto sembra andare alla grande.

Jenna, Rick e Jeremy –grazie a lui ho capito che cercavano me- sono venuti a prendermi dall’aeroporto e siamo arrivati a “casa” circa un quarto d’ora fa.

Avvolgo il mio corpo nell’accappatoio di panno bianco, friziono i lunghi capelli scuri con un asciugamano e sospiro pensando che prima di ripartire Bonnie ha espressamente ordinato di darci un taglio. E nel vero senso delle parole: a Londra tornerò come una nuova persona, con una nuova acconciatura.

Con la punta della lingua inumidisco il labbro inferiore, incrociando le braccia ed osservando quella che era la mia stanza, poggiata allo stipite della porta.

Così semplice ed essenziale, ordinata e che rispecchia perfettamente la villa Gilbert-Wasilewski; forse è proprio per questo che ero così vicina a Stefan? Ricordava la mia infanzia? Adolescenza?

Scuoto la testa, avvicinandomi al mio trolley, lo apro e prendo qualche abito con cui cambiarmi.

 

***

 

“…So di esser stato inopportuno… ma mi manchi, Lena, mi manchi per davvero.”

 

Cancello l’ennesimo messaggio vocale di Stefan e mi accingo ad ascoltare il successivo, seduta sul divano del salotto con le gambe stese sul tavolino di fronte a questo. Un impercettibile sbuffo accompagna i miei ormai meccanici gesti al cellulare.

Cosa pretende che faccia?

 

“Forse dovresti saperlo… E’ un duro colpo anche per me, sai… ci svegliavamo assieme la domenica mattina, facevamo colazione a letto e trascorrevamo la giornata come ai vecchi tempi… non riesco a stare senza di te, so che ti ho trascurata: ma io ti amo ancora. Torna da me, ti aiuterò volentieri”

 

Posso solo lontanamente immaginare come sia per lui questa situazione. Posso capire che un po’ mi amava… ma ho parlato chiaro, non so chi sia e quindi non può pretendere che io faccia finta di nulla… giusto?

Messaggio eliminato. Incrocio le braccia, pronta ad ascoltare il successivo.

 

“Ehi… è il quindicesimo messaggio che ti lascio. So che non vuoi parlarmi… ma io devo, devo farlo! Un giorno prima ci amavamo, c’è stato il viaggio a Las Vegas e da lì tutto è cambiato. Come è potuto succedere? Come ho lasciato che questo accadesse? Avevi ragione… da quanto tempo non ti dimostro il mio amore? Sono solo a casa, con un telefono sull’orecchio mentre parlo, quando potrei aggiustare la situazione. Probabilmente non me lo permetteresti ma io ti amo, Elena. Allo stesso modo in cui amo le tue mani sul mio viso, i tuoi vestiti sporchi di vernice ed il sorriso di quando terminavi un dipinto. Continuo ad amarti… non ho mai smesso. Proviamo ad aggiustare questo casino. Io ci sono per te”

 

Cancello anche questo mentre scuoto la testa e faccio per alzarmi, ma l’immagine di mio fratello che viene nella mia direzione mi fa repentinamente bloccare. E’ sorridente, quindi felice o perlomeno finge d’esserlo. Per lui è difficile? Per tutti lo è? Perché adesso non riesco più a pensare solo a me stessa, al mio tanto odiato punto di vista delle cose. Ci sono anche gli altri… e ne sono completamente circondata.

 

“Ehi” mormoro alzando una mano come per salutarlo, lui stende le labbra e si siede accanto a me, producendo un lieve tonfo.

 

“Stefan, eh?” Accidenti, questo sì che è imbarazzante. Un po’ come essere sorpresi con le mani nella marmellata, un po’ come essere beccati con il fidanzatino dai genitori a quindici anni.

 

Scrollo le spalle, cosa potrei fare?

“Il passato non va mai via” affermo ridacchiando appena, abbandonando il cellulare alla mia sinistra, voltandomi dal lato opposto, verso di lui.

 

“Potrei aver ascoltato una parte del messaggio… questo mi rende una persona che non si fa i fatti propri?” azzarda sorridendo ancora. Ricambio mentre mi stringo nelle spalle.

 

“Come stai? Voglio una risposta vera” prendo una profonda boccata d’aria, mi lascio andare, facendo aderire completamente la schiena al divano.

 

“Io… non saprei. Sono così confusa! Sto facendo la cosa giusta? Ho fatto la cosa giusta?” inizio “Aver rotto tutti i ponti con Stefan mi rende una persona insensibile? Lui è parte di me, del mio passato. Io l’ho semplicemente mandato via.”

 

“Non accade di perdere la memoria tutti i giorni” sdrammatizza strappandomi un sorrisetto vero “Ma è comprensibile: sei spaventata, Lena. Fidarsi, non fidarsi? Perdonare, fingere che nulla sia successo? Io non saprei cosa fare… ma tu sei qui, sei una persona forte. Lo sei sempre stata. Vedrai, tutto avrà presto un senso”

 

“Voglio tutti i miei ricordi indietro. Non so neanche come facevo colazione! Io… Ho perso tutto”

 

Sospira: “Lo so. Sappi che io ti voglio… bene, ecco. Rimani comunque mia sorella”

 

Probabilmente la mia vita non era così male, tralasciando l’ultimo periodo con Stefan. Avevo una famiglia e delle amiche spettacolari, un lavoro che amavo e sorridevo, andavo avanti nonostante tutto. Stefan mi amava, mi ama ancora ma fra queste due affermazioni c’è un oceano di azioni che ci hanno portato al limite, agli estremi di una relazione.

 

 “Grazie, Jeremy. Per essere qui con me, adesso”

 

Si lascia andare ad una risata che suona imbarazzata, poggia le mani sulle cosce e si alza, dirigendosi verso la cucina.

 

“Jer?” lo richiamo, prima che quest’atmosfera possa infrangersi per sempre.

 

Si volta. “Sì?”

 

“Buon compleanno”  sorrido infine, mormorando appena queste due parole.

 

***

 

La festa organizzata da Jenna per l’annuncio del suo fidanzamento con Alaric si tiene nella nostra abitazione, la stessa in cui mi trovavo qualche ora fa e la stessa in cui sono nata ed ho vissuto, prima di andare al college e sistemarmi a Londra. I miei genitori erano di qui, a quanto sembra, anche se altri parenti si trovano a… ugh, in un altro piccolo paese sperduto del mondo.

Chester è una città accogliente ed elegante, non c’è che dire.

Le strade sono pulite, non c’è traffico per le strade, e la mia è una famiglia a dir poco importante, dato che numerosissimi invitati sembrano entusiasti alla sola idea di partecipare ad una festa di fidanzamento dei Gilbert.

L’abito che indosso è bianco, aderente, quasi in pizzo, con una lieve scollatura a barca. Mi arriva a metà coscia e lo adoro, è l’unico vestito di cui mi sia innamorata a prima vista quando ho aperto il guardaroba per la serata. E’ decorato da fiori bianchi, ed è stretto in vita da una cintura sempre dello stesso colore.

 

“Champagne?” una voce mi fa voltare, sorrido ed afferro il bicchiere con la mano sinistra.

 

“Grazie” Jeremy è avvolto in un elegantissimo smoking nero, sospira stanco e prende un grande sorso di bollicine.

 

“E’ assurdo” esclamo ad un punto, scuotendo appena il capo e sorseggiando la bevanda.

Si acciglia mentre mi affretto a spiegare. “E’ solo una festa di fidanzamento… cosa indosseremo al matrimonio? Come ci comporteremo? Io indosso un vestito che… o mio dio, non mi sembra neanche vero che possa toccarlo”

 

“Benvenuta fra i Gilbert, sorellina”

Scuoto la testa divertita, sorseggio altro champagne mentre una coppia si avvicina a noi sorridendo.

 

“Elena, Jeremy! Da quanto tempo!” la donna ha capelli biondi che le arrivano appena sopra le spalle, una camicia in raso giallo limone infilata in una gonna di pelle nera a vita alta. L’uomo si gratta il collo con noncuranza, sorridendo appena e salutandoci.

 

“Andie, Logan” pronuncia mio fratello a mo’ di saluto.

 

“Dio, Jenna mi ha detto dell’incidente – si rivolge a me con un’espressione dispiaciuta – tutto okay, tesoro?”

Mi limito ad annuire e non sembrare scortese, lei sembra apprezzare il mio gesto e cambia totalmente mimica e tono di voce pronunciando altre parole.

“Ma ti riprenderai presto con queste feste sbalorditive, non è così, Logan?”

 

“Sicuramente – si affretta quello a rispondere – Sono più che certo che in meno di un mese ci arriveranno gli inviti per la tua nuova mostra d’arte!”

Ridiamo in quella che mi sembra una terribile risata di circostanza, i due poi ci salutano con due baci  sulle guance ed un’amichevole pacca sulla spalla di Jer.

 

Dio, non mi sento affatto abituata a tutto questo.

 

“I primi due sono andati – esordisce mio fratello accompagnato da un sonoro sbuffo – ne mancano una trentina”

 

Sgrano gli occhi prima di bisbigliare: “Aveva una clutch di Alexander McQueen!”

 

 

Elena

 

Chiudo la portiera nera del taxi con gli occhi ancora spalancati producendo un lieve tonfo. Essere sorpresi è un eufemismo. Mi stringo nella mia giacca; non sono mai stata più felice di tornare a casa. O meglio, a casa della mia amica Caroline.

Supero una coppia con un carrozzino respirando l’aria pulita di Hyde Park, e giungendo finalmente sotto casa della bionda.

Dopo il suono del citofono che indica l’apertura del portone, faccio di corsa i primi due piani di scale e, affannata, scorgo una Caroline in pigiama allo stipite della porta.

“Sai che dovrai raccontarmi tutto?”

 

“Cosa?” esclamo entrando in casa ed affondando sul divano. Non sono neanche certa di aver capito cosa intenda.

 

“Quella faccia spiega un sacco di cose ma non rivela niente, fiorellino” Sbuffo, togliendo le scarpe dai piedi ed allungando le gambe sul tavolino.

 

“E’ colpa di Damon” esalo ad un certo punto, coprendo gli occhi con le mani mentre Caroline si siede al mio fianco.

 

“Lo sapevo!” sbotta indicandomi con l’indice. “Cosa ha fatto? Cosa ha detto? L’hanno finalmente investito-“

 

“Caroline!” la blocco ridendo. Rotea gli occhi al cielo. “Okay, okay… dimmi

 

“Mi ha rivelato una cosa… sconvolgente, il motivo di tutto quello che ha fatto, fa e farà”

 

Caroline alza i sopraccigli, interdetta. Prende alcuni popcorn sul divano e li lancia dietro di sé.

 

“Sono psicologicamente pronta, puoi dirmelo” si avvicina a me, e prendo un respiro profondo.

 

“Lui è innamorato di Katherine. Di me… Per questo è diventato mio amico, per questo ha iniziato quella pazza relazione, decide di starmi accanto ed è protettivo e geloso! Tutto per stare accanto a me…”

 

“Lo immaginavo” risponde secca lei, muovendo una mano e schiacciando la schiena al divano.

 

“Un secondo” volta la testa nella mia direzione “Se tu sei arrivata così a casa, significa che… omiodio, Kate! Sei scappata!”

 

Alzo le spalle: “Cosa avrei dovuto fare? Dirgli ‘grazie’ nello stile di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany?”

 

“Santo cielo, dovresti parlargli! Spiegare la situazione! Hai bisogno di lui!”

 

“Da che parte stai?” domando schietta, spostandomi con nervosismo una ciocca dietro l’orecchio.

 

Sorride. “Dalla tua, come sempre. Ma hai bisogno di lui, Kate…”

 

Sbuffo. “Mhm”

 

“Okay?”

 

“Okay… domani andrò da lui”

 

Mi abbraccia di slancio, stringendomi a sé. Inspiro il suo profumo e “Care?” domando con un tono di voce basso.

 

“Mmm?”

 

“Posso dormire qui?”

 

“E me lo chiedi?!”

_____________________________________________________________________________________________________________

Capitolo di passaggio, davvero molto leggero e probabilmente anche noioso.

Nel caso qualcuno si sia chiesto dove io fossi andata, c'è da dire che scuola e mancanza di un vero e proprio stile -parlando di scrittura- mi han spinta qui, in questa patetica condizione, a procedere lentamente nella stesura dello strano caso e a pubblicare dopo tanto tempo. Spero che qualcuno si ricordi di me, a questo punto hahaha

Ecco scoperto il segreto di Damon: nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle, in più avremo anche qualche flashback/assaggio della loro discussione. Abbiamo uno stralcio della vita di Elena, quella fatta di feste e di lusso, quella della sua famiglia a Chester, nel Cheshire (Inghilterra).

Sopra ho messo il link dell'abito nel caso qualcuno volesse vederlo, mi sono innamorata a prima vista quando l'ho trovato su tumblr quindi okay ahah

E' davvero importante per me sapere cosa ne pensiate, a questo punto: sì, è un capitolo noioso e blabla, ma, oltre a fare davvero piacere, sprona me a scrivere, dandomi carica e consapevolezza di non star sbagliando tutto. so che posso migliorare, quindi non esitate a farmi notare errori e sviste, se ce ne sono:)

grazie davvero a tutti coloro che hanno recensito e seguito/ricordato/preferito la fic, vi abbraccio forte!!

spero a presto, un bacio

ps. se vi va, passate dalla mia ultima OS, Assenze: ci terrei moltissimo!:) potete cliccare sul nome o sul banner per darci un'occhiata

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Capitolo 16
*** You don’t, you can’t ***


Capitolo quindicesimo

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You don’t, you can’t
Elena
Se qualcuno mi avesse visto, in quello stato pietoso e conciata in quel modo affatto ordinato ed elegante, mi avrebbe con facilità scambiata per una pazza. I capelli scompigliati, un vecchio maglione di Caroline largo e in grado di elettrizzare tutti i miei capelli, calzini ai piedi e gli occhi contornati dal trucco sciolto, sia perché avevo dimenticato di struccarmi, sia perché, stropicciandoli continuamente con una mano, il risultato non sarebbe potuto essere differente.
“Buongiorno, fiorellino” esordisce Caroline addentando un croissant vuoto, con quel suo sorriso sincero stampato sulle labbra, e con quel suo alone di energia che la accompagna costantemente, entrando in me e facendomi quasi disgustare.
Tanta positività da farmi male. Tanta vitalità. Troppo tutto.
“Mhm”
“Andrai da Damon, ricordi?”
Agito una mano: “Come dimenticarlo”
Stringo le labbra mentre sbatto le palpebre per abituarmi a quella luce, lei sembra comunque soddisfatta della mia risposta –forse perché non ho cambiato idea- e continua la sua colazione tutta contenta.
Io sono… stanca, svuotata da ogni sentimento, nessun accenno di felicità, solo una strana e particolare apatia che mi avvolge e mi fa rabbrividire. Mi stringo nel maglione, spostando i capelli all’indietro con una mano prima di afferrare qualche biscotto.
***
Quando busso alla porta del suo appartamento, quasi desidero scappar via e volatilizzarmi prima che possa aprire e notare la mia figura. Sono fifona, lo so, ma sono anche imbarazzata e lievemente orgogliosa per parlargli. Insomma, cosa si aspetta? Ho avuto paura, lo ammetto, anzi, è stato così palese che qu-
“Katherine?”
Improvvisamente la sua voce mi sveglia dai miei pensieri, deglutisco e apro bocca, mentre constato che si è appena svegliato. I capelli arruffati, la barba incolta, gli occhi socchiusi e le labbra dischiuse ne sono la prova, accompagnati dal suo abbigliamento: una semplice t-shirt chiara (fra l’altro è autunno e si gela, quindi come riesce a indossarla?) e dei pantaloncini blu.
“Disturbo?” domando sorridente, osservando il suo volto e tutte le emozioni che rilascia muovendo i muscoli facciali. Alza un angolo della bocca all’insù, poi si fa indietro e mi lascia entrare.
Mormora un ‘prego’, che mi fa sorridere per cortesia. Siamo così distanti eppure così vicini, mentre tentiamo di salvare un rapporto che non c’è mai stato, mentre abbassiamo le difese e corriamo via, impauriti.
“Oggi non vai a lavoro?”
Si passa una mano fra i capelli, mentre sbuffa, quasi infastidito.
“No” risponde, arricciando il naso “ho chiesto a Klaus qualche giorno di ferie”
Aggrotto la fronte. “Problemi?” e mi mordo la lingua subito dopo, perché sì, di problemi ce ne ha ed anche uno di fronte a lui, a dire il vero. Più stupida non potrei essere.
“Scusa, intendevo… di salute”
Mi correggo un attimo dopo chiudendo gli occhi, poi li riapro vedendolo sorridere appena. Ma è un attimo perché quell’accenno scompare con la stessa facilità con cui è apparso, quasi non dovesse esserci, quasi non potesse permettersi tanto in mia presenza.
E fa male, realizzo, fa male non poterlo far felice.
“Mhm” replica solamente, aggiungendo una smorfia con le labbra secche e carnose su cui il mio sguardo si posa.
Scuoto appena il capo, puntando lo sguardo sul resto del suo appartamento.
“Bene”
E’ vagamente ironica la mia presenza qui, contando che per lui non ha assolutamente senso, e, ad essere sincera, non sono neanche io così tanto sicura di questa e degli argomenti da affrontare.
“non sono innamorata di te, scusa per essere scappata. A proposito, vuoi che ti misuri la febbre?”: troppo da soap opera e troppo surreale, non da me e inadatto per mettere quelle tanto fastidiose fondamenta per questo legame di cui ho bisogno.
Damon continua a guardarmi, ed io continuo a spostare il mio sguardo sui primi oggetti che incontro nell’ambiente di sua proprietà che ho invaso con il mio corpo ed i miei troppi pensieri, i miei rimorsi e le parole che non riesco a pronunciare.
“Per quale motivo sei qui, Katherine?” e queste parole sono come delle pugnalate lente ed inaspettate, alle spalle ed in grado di ucciderti lentamente. Lo guardo come si guarda il nemico che ha procurato il dolore, con gli occhi traboccanti di domande e il dolore appiccicato sulla pelle, nell’aria e sulle mie labbra, tant’è che rispondergli fa così male.
“Per scusarmi, Damon” scrollo le spalle “per scusarmi”
Ride di una risata amara e che temo, “tu sei Katherine Petrova: non ti scusi mai”.
Il suo sguardo si fa più serio, mentre rispondo con una punta di acidità nel tono di voce, cosa che non posso permettermi: non voglio, semplicemente, allontanarci ancora di più, se possibile.
“Eppure lo sto facendo. Ma sai, sembra che Katherine Petrova non facesse un bel niente”
Alza i sopraccigli e mostra i palmi delle mani, alzando queste e socchiudendo gli occhi.
“Scusi, mademoiselle”
Schiocco la lingua sul palato. “Non ti chiedo di dimenticare la Katherine di prima… ti chiedo di accantonarla e basta. La qui presente si scusa, ha delle amiche e indossa abiti diversi”
“Lo sei tu” pronuncia con nostalgia “sei diversa, vero. Ma non ti ho chiesto nulla, dovresti capirlo. Non ti ho chiesto di amarmi, di essere mia amica. Hai esagito risposte. E ti ho accontentata”
Sbatto le ciglia.
“Fine della storia?”
“Sei scappata, e adesso sì, fine della storia”
Poggio le mani sui fianchi. “Sei ferito, io capisco, solo che-“
“Capisci? Ferito? Dio, Katherine, non puoi… non puoi proprio presentarti qui e pensare cose e…” deglutisce “Forse dovresti andare”
“Non volevo scappare, avrei dovuto capirlo. Ma io non mi aspettavo-“
“Che potessi amarti?” ride amaramente.
Scrollo le spalle: “Non si tratta di te… ma di me. Non pensavo qualcuno potesse farlo, Damon. Non sei come cerchi di dipingerti”
Il tono è duro adesso, “Il sentimento non è ricambiato, ho afferrato il concetto. Ho solo risposto ai tuoi dubbi, Katherine, sta a te decidere se continuare questa… cosa che abbiamo”
“Non ho mai voluto mettere un punto a nulla”
Schiocca la lingua sul palato. “Come vuoi”
Sbatto le ciglia, perplessa. “Cosa posso fare, Damon?”
Semplicemente scuote il capo giocando distrattamente con le mani. “Non so a cosa tu ti riferisca”
“A questo” – ribatto subito dopo – “Come posso far andare le cose per il verso giusto? Come posso eliminare quel tuo tono? Come posso curare le tue ferite?”
Ho così tante domande e tanti propositi, non ho nessuna risposta e sapere che lui non me ne sa dare non mi rincuora affatto.
“Non lo fai”
***
“E mi ha detto ‘non lo fai’, Caroline! Come se potessi davvero riuscirci!”
La barista inclina le labbra in una smorfia, passa lo strofinaccio sui bicchieri lucidi e continua a guardarmi male. E non posso farci nulla!
“Celeste” ribatte aspramente, ed inutilmente, aggiungerei, mentre mi ripassa la bottiglia di bourbon che mi ha accompagnata nell’ultima ora.
“Capito, Celeste?” ripropongo allora la domanda, mentre butto giù in un solo sorso il contenuto dell’ennesimo bicchiere.
“Ha ragione” allora pronuncia quella, la pelle ambrata ed i capelli raccolti in una treccia laterale.
Sospiro e “Non ha ragione!” quasi urlo, guardandola di sbieco per poi stringermi meglio nel giubbotto di pelle che indosso.
Adesso mi sento così nuda e vulnerabile che tutti, con un solo sguardo, potrebbero osservarmi e leggermi dentro, e questo mi causa così tanta ansia e dolore che mi consola il provarmi a nascondere in una giacca ed in una sciarpa.
“Senti Elena…”
“Katherine” – la correggo – “Ho detto di chiamarmi Katherine”
Rotea gli occhi al cielo stringendo le labbra, per poi continuare il discorso guardandomi con sufficienza. “D’accordo, Katherine… Comprendo la tua storia, non hai fatto altro che ripeterla da quando hai varcato la soglia del mio bar, ma adesso è meglio se torni a casa, prima che il tuo stato di dubbia sobrietà mi spinga a cacciarti”
Scrollo le spalle, e se anche fosse? “Non saranno due bicchieri di bourbon a farmi ubriacare, Caroline”
“Celeste” biascica scocciata.
“Quello che è”
Allora sbuffa rumorosamente, andando a servire altri clienti affacciati al bancone.
Il punto è proprio questo: non c’è un punto, ma un’infinita serie di virgole e punti e virgole che non mettono mai una fine a questo strano rapporto fatto di tiri e molla e di liti venutosi a creare fra me e Damon.
Semplicemente siamo entrambi troppo orgogliosi per ammettere le nostre colpe e sofferenze, tendiamo a generalizzare tutto ciò che è successo, ma non riusciamo ad affrontarlo e rimettere le cose a posto. Impensabile è, poi, la possibilità di fingere che nulla sia accaduto. Io non voglio dimenticare, non più, ma non sono neanche in grado di sopportare il dolore che lui mi provoca.
Dolore, dolore, dolore.
Chi avrebbe mai pensato che uno sconosciuto sarebbe stato in grado di mettere il mio intero mondo in discussione per la seconda volta?
“Altro giro?” propone allora Celeste, la bottiglia in mano e uno strano sorrisetto malizioso sulle labbra.
Annuisco con il capo, sicura che i giri non sarebbero finiti lì.
“Stai bene?” Un’improvvisa fitta alla testa mi fa bloccare repentinamente al centro della strada. Poggio una mano sulla fronte e allungo un braccio per acquistare più equilibrio.
Damon, al mio fianco, corruga la fronte e mi pone una domanda stupida quando la risposta è più che evidente.
Scuoto il capo, inspirando profondamente e schiudendo le labbra.
“Katherine, come posso aiutarti?”
“Non puoi” ribatto solamente, prima di gemere per il dolore e di espirare con tranquillità quando non sento più la strada, sotto di me, tremare.
Una sua mano alla base della mia schiena mi distrae e mi fa sgranare gli occhi, ma, quando realizzo che è di lui che si tratta, il mio respiro continua a tranquillizzarsi.
“Lo so” esclama poco dopo.
Boccheggio, “No, io… Non è quello che intendevo”
Sorride ma sembra che gli faccia così male, stira le labbra e quasi ci leggo l’amarezza di quel sorriso.
“Non sono mai riuscito ad aiutarti”
Inclino il capo, mentre lo incalzo con lo sguardo, mentre la gente scorre accanto a noi, mentre a Londra è buio e le luci si accendono, mentre la giornata volge al termine e so che una promessa non verrà infranta.
“Tu sei sempre stata indipendente e te la sei sempre cavata da sola: credo che tutto sia accaduto per questo”
“Cosa… non capisco”
Scrolla le spalle: “Non volevi risposte?”
Annuisco.
“Mi sono innamorato di te, Katherine”
Sorseggio altro alcool mentre la gola brucia e gli occhi pizzicano. Potrei quasi affermare con sicurezza che, nonostante tutto ciò che ho ingerito questa sera, la mia gola sia secca e comunque deglutire mi sembra così difficile da fare. Celeste, di fronte a me, sorride come non l’ho vista fare da subito.
Ha dei denti bianchissimi ed è così affascinante che mi gira la testa.
E anche forte, aggiungo.
“Dolcezza” esclama ondeggiando con il bacino a ritmo, seguendo la musica di sottofondo che contribuisce al mio mal di testa. “Quei due lì ti stanno osservando da un po’…”
Allora mi acciglio, corrugo la fronte e mi volto a vedere chi siano le due figure.
Sbatto le ciglia.
“Cosa ci fanno qui?” domando confusa e con un tono di voce infantile.
Katherine
“Sveglia, sorellona! Lena? Lena?”
Mugugno qualcosa in risposta poi una velata di freddo m’investe, facendomi urlare.
Stringo gli occhi, percependo un’industriale quantità di luce nella mia stanza.
“Ma cosa…”
“Sveglia!” urla ancora la voce.
Faccio sprofondare la testa nel cuscino, prima di borbottare ed imprecare contro quella che è – l’ho capito dopo un po’ – la figura di mio fratello Jeremy.
“Cosa vuoi?”
Sbuffa divertito, lo percepisco, poi risponde brevemente: “Le tue amiche sono qui”.
Ed è allora che scatto, lanciando il cuscino dall’altro lato della stanza e precipitando a terra per la fretta e l’assoluta mancanza di equilibrio.
“Aiutami invece di ridere” ribatto divertita, ma con una punta di acidità ad incrinare il mio tono di voce. Jeremy mi da una mano a rialzarmi, ridacchiando e borbottando qualcosa riguardo il mio pigiama.
“L’ho sempre odiato” spiega poi, indicando l’elefante viola sulla maglia bianca.
“E’ l’unico che ho trovato qui che mi andasse”
Scrolla le spalle: “Niente di personale, ma era uno di quei regali che facevano gli amici di mamma e papà in occasioni stile compleanni e Natale. A loro non è mai importato di noi, sono solo… pensieri, come se regalare un maglioncino ad un bambino di cinque anni farà tornare indietro i propri genitori”
Deglutisco, mordendomi il labbro inferiore.
È quello che è successo a lui?A noi?
“Ma… lascia stare, andiamo da Rose e Bonnie”
Sorrido, incrociando le braccia e scendendo al suo fianco, verso il piano terra e l’ingresso.
“Sai che Bon è incinta?” domando trotterellando.
Stringe le labbra. “Mhm”
Mi blocco improvvisamente, lui mi sprona a muovermi con un gesto della mano ma io rimango lì.
Sbuffa.
“Cosa?”
“Cos’era quel mhm?”
“Un normalissimo mhm
“Certo che no” – ribatto sarcastica – “era un mhm non-posso-dirti-quello-che-penso-ed-anzi-non-voglio”
Scoppia a ridere, assottigliando lo sguardo. “Elena, era un normalissimo…”
“…mhm, l’hai già detto e comunque non ti credo”
“Senti” – inizia poggiando le mani sulle mie spalle – “è tutto okay, devi credermi”
“Me lo dirai un’altra volta, d’accordo”
Sospira pesantemente, allontanandosi da me e biascicando qualcosa simile a ‘quando è diventata così persuasiva?’
***
“Non credo sia una buona idea” esclamo mentre il sole caldo di Chester illumina i nostri volti. Qualcuno del gruppo sbuffa, ma Bonnie mi riprende.
“Andrà tutto bene, Elena, è solo un gioco”
Già… un gioco. Solo un gioco. Certo, facile, comprensibile. Detto da una donna incinta che non ha perso la memoria e non ha un pennello in mano ed una strana paura dovuta al proprio passato, che è facile, si che è un gioco.
“Dobbiamo solo pitturare questa cosa
“Questa cosa, Rick” – esclama mio fratello gongolando – “E’ una tela.”
Alaric e zia Jenna sbuffano divertiti, stringendosi la mano come una dolce coppia e ridendo come se fossero profondamente innamorati. La festa dell’altra sera è stata un successo, Jeremy non mi ha lasciata sola neanche per un istante e abbiamo incontrato un sacco di persone. I miei zii si sposeranno la prossima estate, credo, o il prossimo autunno. Giù di lì, insomma, ed io non potrei essere più felici per loro.
Non li conosco, okay, ma sono felici e rendono felici Jeremy.
Quindi mi sta bene.
Rose si avvicina a me, poggiando la mano alla base della mia schiena.
“Ce la puoi fare, sei Elena Gilbert” esclama divertita. “Resisti, lo fai sempre”
E non so perché queste parole mi ricordino qualcosa, ma io sorrido rincuorata, con il cuore e la testa che mi pizzicano, quasi stessero suonando un campanello d’allarme, quasi dovessero avvisarmi di qualcosa.
“Può darsi” ribatto fintamente piccata, avvicinando la punta del pennello alla tavolozza dei colori.
Io sono Elena Gilbert. Resisto. Lo faccio sempre.
E sto tornando ad essere me.
bonjour! eccomi dopo più di un mese! spero qualcuno si ricordi ancora di me... e della storia.
comunque sia, questo capitolo è un po' riassuntivo ed un po' movimentato, d'altronde come gli altri a seguire! i prossimi due sono già pronti, mentre il terzo è in fase di stesura:) questa settimana volevo dimostrare a me stessa che potevo terminare una storia, che questa non era così male come credevo e sono tornata a scriverla con la stessa velocità -voracità?- dell'inizio, di quando scrivevo due capitoli al giorno ahah by the way ecco il segreto di damon ed ecco che le vite delle due si stabilizzano! volevo precisare che questa storia si basa su due valori, quello della famiglia e dell'amicizia. sì, l'amore c'è, ma è messo in secondo piano rispetto ai due già citati: quindi se è dovuto a questo il calo di interesse, ci tenevo a dirlo, in quanto è la mia prima long seria (al contrario di IES che ho cancellato, fra l'altro), nonchè l'unica che sto portando a termine. ho deciso appunto di basarla su quello che è una vita un po' contorta, fatta di dilemmi che potrebbero persino fare un baffo a Beautiful.
spero che il capitolo sia piaciuto, e sprono i lettori silenziosi a farsi avanti, perchè la storia sta cambiando e voglio sapere cosa ne pensiate!
grazie comunque a tutti coloro che recensiscono (<3<3) e a coloro che mettono la storia nelle seguite-preferite-ricordate.
Vi lascio due spoiler del prossimo capitolo!
“Sono Elena. Elena Gilbert. E voi i miei genitori.”
__________________________________________
Aggrotto le sopracciglia. Ecco…
“Credo che abbiate sbagliato pianerottolo, i Lockwood sono al piano inferiore, si sono trasferiti poco tempo fa”
L’espressione di quelli muta improvvisamente.
“Oh, no… no! Ehm, Katherine?”
Mi blocco immediatamente. “Dovrei sapere chi voi… siate?”
un bacio e a presto!

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Capitolo 17
*** If I die young ***


Capitolo sedicesimo

 

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If I die young

 

Katherine

 

Dicono che gli inizi siano sempre difficili, che non è mai facile iniziare qualcosa. Come il primo giorno di scuola, le prime parole di un tema e la prima domanda ad un compito in classe. Il primo esame e il primo amore, la prima cotta e la prima notte nel letto da soli.

Gli inizi sono sempre complicati e complessi, non si può trovare un modo semplice per sormontare il problema. Allo stesso modo non si evitano le paranoie, e neanche tutta la preparazione del mondo può aiutare a cancellare e mascherare quell’ansia da inizio.

Gli inizi son così, non si possono spiegare. E’ come quando si va per la prima volta a mare dopo un inverno freddo, e l’acqua è a dir poco ghiacciata. Però noi proviamo lo stesso a bagnarci, quando poi la pressione e l’ansia son troppe ci gettiamo a capofitto, respirando a malapena.

E’ così, non possiamo spiegarcelo. Ci diciamo che la prossima volta andrà meglio, che faremo meno errori e che andremo preparati all’impatto.

Tutte scemenze.

Non si può mai essere preparati alla caduta, ad un inizio.

Fa davvero molto freddo e siamo a fine ottobre, quasi novembre; mi stringo infreddolita nella mia giacca di pelle, nella vana speranza di andare incontro ad un calore inesistente, ma lo definirei meglio effimero. Non so se questo sia davvero un inizio – la visita ed il viaggio di ritorno organizzati per questa giornata: so solo che non si può decidere cosa succederà, come mi muoverò. Accadrà e basta, come degli inizi. In fondo so che c’è una parte di me che vorrebbe –vorrebbe- davvero definire questa giornata un inizio, così da giustificare i miei pensieri e le mie parole, i miei ragionamenti e le mie azioni.

Le evidenti occhiaie sotto gli occhi scuri mi raffigurano più stanca di quello che in realtà io sia. Ho solo bisogno di risposte – tante, direi – e di  certezze.

Non ho dormito.

Ecco spiegati gran parte dei miei pensieri.

Non ho dormito.

Non ho dormito, ecco tutto. Non ho chiuso occhio, troppo presa a divincolarmi nel buio, da sola, cercando di capire cosa succedesse, cercando di decifrare i miei sogni. Ma sarebbe stato tutto molto più facile se –lo ammetto- avessi ingerito un qualche sonnifero o medicinale. Tutti mi vietano assolutamente l’assunzione di quei cosi, io comunque ho qualche pillola nella mia borsa e nella valigia. Insomma, non si sa mai.

Avrei voluto dormire e non per questione di ore a cui consegue l’apparente tranquillità. Ma perché quello che ho visto, quello che è successo, nel sonno, mi ha così destabilizzata da lasciarmi un segno, da marchiarmi fino a farmi male.

Non riesco a pensare ad altro.

Chi era? Chi era quella donna? Ed io? Io dov’ero?

Erano tutti così in pace con se stessi, non c’era nessuna Elena… sembrava che io fossi di troppo, io che neanche c’ero.

Ma Bonnie, Rose, Jeremy, Alaric, Jenna e Kol – persino Kol! – parlavano con questa donna, di cui non riuscivo a intravedere alcun tratto somatico. Solo una folta chioma castana. Ed io… io ero lei, in un certo senso.

Ma non lo ero.

Tutti l’accerchiavano, tutti che le sorridevano e ridevano in sua presenza, le tenevano le mani e si congratulavano,  e credo ci fossero anche persone a me –attualmente- sconosciute.

“Sei pronta, Lena?”

Prendo un respiro profondo, dettato dalla paura di ciò che sto per fare e non tanto dal sogno –incubo- che ho avuto e che mi ha fatto sorgere numerosi dubbi.

E’ l’ultimo giorno prima di partire, siamo nella periferia di Chester, oggi ombreggiata e nuvolosa, e con me ci sono tutti, ma proprio tutti; Rose, Bonnie, Jeremy, Jenna e Rick, che dopo questa tappa ci accompagnerà all’aeroporto per tornare alla solita caotica e rumorosa Londra.

Una folata di vento ci spinge mentre camminiamo e raggiungiamo un punto a me sconosciuto, fino a che non scorgo due nomi familiari: Miranda e Grayson Gilbert. I miei genitori.

Jeremy è già chino, con un braccio a mezz’aria, quasi volesse tastare con i polpastrelli quelle lettere, ma non riuscisse nell’intento. Data di nascita… data di morte… tutta la loro vita, tutti le loro buone azioni, i loro momenti felici e tristi sono racchiusi in così pochi segni, in date e lettere.

Il resto è deposto nella memoria di chi li ha conosciuti e amati, di chi li ha odiati e di chi sembra non averli mai visti ed avuti nella propria esistenza. Ogni riferimento a me è ovviamente e puramente casuale. E vorrei averlo fatto, mi ritrovo a pensare, perché loro mi hanno dato la vita e io non so nemmeno chi siano.

C’è solo un cognome a legarci, a tenerci uniti, un vincolo indistruttibile che ho, in qualche modo, varcato, che Las Vegas ha varcato, che mi ha permesso di dimenticare tutto ciò di caro che avessi.

Tutti passano una mano sulle mie spalle, quasi carezzandomi e quasi dandomi un dolce buffetto, mentre si allontanano da me e dalla figura di mio fratello nel quasi più totale silenzio, rotto dal suono flebile del vento.

“Com’è successo?” chiedo con voce roca, sbattendo le ciglia e sedendomi di fronte ai loro nomi, accanto a mio fratello che tira su con il naso.

“Incidente stradale” risponde alzando i sopraccigli. “Erano di ritorno da uno dei loro soliti viaggi… A Mystic Falls, una stupida città della Virginia”

“Virginia?”

Scrolla le spalle. “Mezzo mondo per una dannata vacanza. Ci andavano spesso ed…anzi,” adesso sorride. “mi dicevano sempre che eri stata concepita lì” si passa la lingua sulle labbra. “Ma ero un bambino, non so con esattezza se fosse vero”

“E’ tutto okay, Jer” è quello che so dire, mentre mi faccio piccola e mi stringo a lui.

“No, Lena, non lo è” risponde mentre  passa un braccio attorno alle mie spalle.

Mi mordo l’interno guancia. “Penso sarebbero fieri di te, della persona che sei diventato. Guardati, Jeremy” lo osservo, mentre ricambia lo sguardo. “Guardati, qui, forte, mentre mi parli dei nostri genitori che non ricordo e sono deceduti quando eravamo troppo giovani. Guardati, Jeremy. Respiri, sei grande ed hai superato tutto questo. Io sono fiera di te, per quanto possano valere le mie parole”

E ride, adesso, assottigliando gli occhi e lasciando scorrere le lacrime sul suo viso.

Vederlo qui, fragile, piccolo, piangere… è da brividi. Lui è qui, dopotutto, lui è qui per me, lui sta cercando di esser forte ma è solo un uomo, un uomo a cui i genitori sono morti troppo presto.

Il suo respiro torna ad essere quello di qualche minuto fa, deglutisce e si passa una mano sugli occhi, eliminando tutte le lacrime.

“Ti  lascio sola”

Sorrido mentre incrocio le gambe ed abbasso lo sguardo.

La sua figura scompare e prende posto assieme alle altre che non vedo, molto probabilmente tutte dietro me, distanti qualche metro e tutte silenziose. Fredde. Immobili.

“Miranda, Grayson” alzo le spalle. “Sono Elena”

Sbuffo.

“Adesso ci riprovo”

Tossicchio, scuotendo il capo e chiudendo gli occhi.

Una volta aperti, cerco di sorridere.

“E’ bello rivedervi… credo” inclino il capo “anche se non ricordo chi voi siate non significa che non possa capire l’importanza di un genitore, non è così? Per questo propongo di riprovarci”

Tocco i loro nomi, il mio cognome e mi stringo nella giacca.

“Sono Elena. Elena Gilbert. E voi i miei genitori.”

Scrollo le spalle. “E non chiedo di vegliare su di me, affinchè ritornino i ricordi… no. Non chiedo questo. Perché… ho realizzato che se anche non lo facessi ci sarebbero un sacco di brave persone al mio fianco. Io chiedo solo che Jeremy stia bene. Lui ne ha più bisogno.” - prendo una pausa – “E’ tutto quello che voglio adesso...”

 

Mi rialzo, passando una mano sui jeans per ripulirli.

“A presto”

***

 

“Vada per Bas!”

“Bas?” aggrotto la fronte. “Bas chi?”

“Sebastien, Lena!” Bonnie allarga le braccia e sbatte le ciglia rapidamente. Dovrei ricordare chi questo Bas sia? Perché, se non ricordo male, colei che ha perso la memoria sono proprio io.

“Il parrucchiere!” esclama Rose, di fronte al mio sguardo confuso.

“Sì, certo, adesso ricordo” ribatto sarcastica, incrociando le braccia e lasciando che sia mio fratello a portare il mio trolley verso il taxi.

L’aeroporto è quasi completamente deserto, ci siamo noi e poche altri uomini. In più, all’uscita, qualche macchina nera è pronta a portarci a destinazione, ossia il salone di bellezza di Bas perché, come diceva la lista stilata dalle due mie amiche qui presenti, devo cambiare esteticamente. “E’ fondamentale” aveva detto Bonnie più tardi, “dare un taglio al passato, che rimane tale e non deve influire sul presente”. E Rose aveva continuato, seppure la mia espressione non era delle più propense a riguardo, “Quando si termina una storia o un capitolo della propria vita, la maggior parte delle donne cambia taglio o colore dei capelli. E’ un cliché, Lena, ma in un certo senso… aiuta, fidati”

Ed allora avevo borbottato qualcosa, chiaramente contraria, ma avendo riletto velocemente gli altri punti segnati sul foglio, era lampante il fatto che fosse il minore dei mali.

E’ così è stato. O meglio, e così sta accadendo.

Francis Road, pavimento bianco laccato, ambiente ampio e luminoso, affollato, se non si considera un angolo riservato… a me.

A me?

Seduta, comprendo un sacco di cose; e non riguardano il fatto che sia schifosamente stanca, con schifose occhiaie e capelli quasi schifosamente spenti e non lucenti.

Sono… altre informazioni. Bas è un uomo sulla cinquantina – “Mi sei già simpatica, Helena!” “E’ Elena!” – calvo, montatura scura dai vetri più grandi dei suoi occhi scuri. E’ palesemente gay – “Non che tu non possa piacermi, Katherine…” “E’ Elena, dannazione!” “…ma io abito sulla strada parallela a questa, comprendi?”- ed è un classico parrucchiere: estroverso, fin troppo curioso, chiacchierone e ciarlatano.

Ma Bonnie e Rose lo adorano: ridono ad ogni sua battuta –non c’è che dire, ha una risata fin troppo rumorosa – e lo osservano con la luce negli occhi, poi pendono dalle sue labbra mentre dispensa a noi poveri e comuni mortali consigli su creme e balsami. È ufficiale: lo odio.

 

“Nadia!” esclama allora, con un sorriso smagliante e con le mani poggiate alla poltrona che occupo. Lo osservo mediante il riflesso nello specchio di fronte ad entrambi, piccole lampadine ai bordi di questo e un sacco di prodotti sulla mensola su cui è poggiato un giornale ed il mio cellulare.

“E’ Elena, per l’amor del cielo”

Ma non sembra far caso alle mie preghiere –lamentele-: sorride mentre mi scruta attentamente.

“Già deciso il taglio?”

 

Elena

 

Sorseggio altro alcool mentre la gola brucia e gli occhi pizzicano. Potrei quasi affermare con sicurezza che, nonostante tutto ciò che ho ingerito questa sera, la mia gola sia secca e comunque deglutire mi sembra così difficile da fare. Celeste, di fronte a me, sorride come non l’ho vista fare da subito.

Ha dei denti bianchissimi ed è così affascinante che mi gira la testa.

E anche forte, aggiungo.

“Dolcezza” esclama ondeggiando con il bacino a ritmo, seguendo la musica di sottofondo che contribuisce al mio mal di testa. “Quei due lì ti stanno osservando da un po’…”

Allora mi acciglio, corrugo la fronte e mi volto a vedere chi siano le due figure.

Sbatto le ciglia.

“Cosa ci fanno qui?” domando confusa e con un tono di voce infantile.

 

Due figure sorridenti perdono la loro felicità osservandomi: il sorriso di lei è sfumato in paura, quello di lui è morto e le sue labbra sono stese e rilassate, schiuse. Ma gli occhi di entrambi sono posati su di me, ed improvvisamente mi sento così nuda e sporca, così fragile e vulnerabile.

“Katherine? Cosa ci fai qui?” la voce squillante di Caroline mi rimbomba nelle orecchie, assottiglio gli occhi e mi sfioro una tempia con le dita.

“Io…”

“Kate? Sei ubriaca?” Ha più paura, adesso, con gli occhi spalancati, mentre il suo corpo è stretto in un top bordeaux e in un paio di jeans neri aderenti. Sbatto le ciglia e gli occhi diventano troppo umidi, son troppo liquidi e mi sembra di essere una bambina colta sul fatto dalla propria mamma.

“Katherine?” la voce che odo adesso è maschile, un po’ roca, un forte accento ad impregnarla. Mi volto verso Niklaus, messo in tiro per quest’appuntamento con la mia amica e spaventato almeno la metà di quanto lo sia la bionda apprensiva.

“Sei da sola?” lui si avvicina, mentre io mi sposto impercettibilmente indietro: sfioro con la schiena il bancone di Celeste, non so perché percepisco questa tensione nell’aria, ed il fatto che sia a dir poco terrorizzata mi destabilizza ulteriormente.

Annuisco con il capo e gli occhi puntati verso terra. Klaus parlotta con Caroline, e poi non ricordo più nulla, se non il buio, mentre voci, musica e rumori tempestano la mia mente.

 

 

“Le ho preparato un po’ di tè caldo… tra qualche minuto la svegliamo”

Un sospiro: “Sta bene, Caroline, ha solo bevuto e la situazione è degenerata”

“Lo so”

“Ora è casa”

“Ma io sono ancora preoccupata”

Entrambi si ammutoliscono, se solo non fosse per uno schiocco pressoché inudibile di labbra, come se lui avesse appena sfiorato la fronte di Caroline e, per qualche breve attimo, me li immagino nella mente.

Mugugno qualcosa sia per palesare il mio essere sveglia, sia perché, appena mossa, una fitta terribile colpisce il mio capo. E so già che non è per il sole – ho dormito così tanto? – che filtra attraverso le tende nel soggiorno del mio appartamento, so che non è per altri futili motivi se non per la mia incoscienza e infantilità, il non voler prendersi cura di me stessa, fiondandomi appunto sull’alcool come un’adolescente alla sua prima sbronza.

“Ehi”

La voce della bionda giunge da lontano, una flebile parola appena sussurrata che si perde nell’aria se non fosse per il silenzio quasi imbarazzante calato nello spazio che ci circonda, il quale mi permette di udire benissimo tutti i minimi suoni.

“Come stai?” e detto questo si avvicina, noto che i suoi vestiti son gli stessi della sera scorsa e poi occhiaie lievi circondano i suoi occhi sempre vivi e sorridenti.

Mi dispiace, mi dispiace un sacco essere la causa di tutti i suoi mali. “Mhm”

“Hai bisogno di andar in bagno? Perché ho preparato del tè alle fragole, proprio come piace a te”

“Grazie” mormoro, “voglio solo sciacquarmi il volto”

“D’accordo”

Aiuta ad alzarmi e le sorrido, è un attimo e scorgo Nik lontano da noi che fa lo stesso, sorride, anche se timidamente, in modo quasi impacciato. E’ preoccupato. Tutti lo sono quando si tratta di me.

Ma giunta in bagno l’ansia sale e mi invade, così come un senso di disgusto che mi spinge a rigettar tutto vomitando l’anima.

 

 

Caroline è una di quelle persone che, in casi estremi come quello di un’ora fa, ti tiene i capelli mentre getti te stessa in un water. Anche se preoccupata ed arrabbiata, soprattutto, dice “Andrà tutto bene, ehi, calmati, tranquilla, andrà tutto bene”. Ed io vorrei crederle, davvero, vorrei farlo sul serio e sarebbe tutto più semplice.

Poi mi sono calmata, ho reso la mia persona presentabile mentre entrambi sono andati a fare commissioni per la sottoscritta, del genere “aspirine per il dopo sbronza”, “qualcosa da mangiare per rimettersi in sesto!”, “piccole sorprese per trascorrere la giornata assieme!”, testuali parole della mia amica bionda.

Così mi ritrovo su una poltrona, un plaid a coprirmi, pelle color del latte e capelli legati in una coda alta.

Intenta ad aspettare.

Non voglio neanche immaginare cosa accadrà domani, come mi alzerò dal letto e come cercherò di cavarmela a lavoro, tornandoci dopo tanto tempo. Non se ne parla di rimanere a casa e deludere Caroline, essere un peso per lei e blablabla. Sono adulta, posso farcela.

Devo farcela.

Il campanello trilla improvvisamente e sobbalzo, prima di alzarmi con un po’ di fatica ed aprire la porta d’ingresso.

“Ciao”

“Ehi” mormorano le voci dei due contemporaneamente.

Aggrotto le sopracciglia. Ecco…

“Credo che abbiate sbagliato pianerottolo, i Lockwood sono al piano inferiore, si sono trasferiti poco tempo fa”

L’espressione di quelli muta improvvisamente.

“Oh, no… no! Ehm, Katherine?”

Mi blocco immediatamente. “Dovrei sapere chi voi… siate?”

Un uomo ed una donna mi scrutano ma il loro sguardo è perso, quasi vacuo, come se potessero legger oltre il mio corpo. Lui ha una giacca di pelle nera e capelli chiari, le labbra strette mentre lei… oh, lei sembra sull’orlo di una crisi, sembra stia per scoppiare in un pianto isterico.

Deglutisco.

“Mi dispiace, insomma… credo sappiate, no? Posso… aiutarvi? Aiutarvi in qualche modo?”

Kate, siamo…”

“John ed Isobel Petrova, è permesso?” l’uomo prende coraggio e mi spiazza con quelle parole.

Sbatto le palpebre un paio di volta prima di aprire la porta per facilitare il loro ingresso, con un “accomodatevi” al seguito.

 

 

E’ mezzogiorno e a Londra ha piovuto, le strade sono bagnate e Caroline è bloccata nel traffico, imbottigliata assieme ad altre decine di automobili che non le consentono di esser qui. Mi ha inviato un sms scusandosi dell’assenza e come avrei potuto dirle di loro qui? Non l’ho fatto, semplice. Siamo seduti in soggiorno da una dozzina di minuti, interrotti da qualche rumore del piano superiore e dai mezzi di trasporto in movimento a Trafalgar Square.

Definire tutto questo strano ed imbarazzante è un eufemismo.

“Si sta… bene qui? L’appartamento è… confortevole?” Isobel tira su con il naso, osservandomi senza soffermarsi troppo sui miei occhi, vagando poi, di continuo, sul resto della casa.

“Si, niente di speciale”

“Mi fa piacere” afferma allora, un mezzo sorriso sulle labbra, “Ci fa piacere”

“Sei tornata a lavoro dopo l’accaduto? I medici lo hanno sconsigliato” Adesso John pone una domanda, stringendo le mani e poggiando i gomiti sulle ginocchia.

Arriccio le labbra: “Ci sono stati dei miglioramenti, per cui io e Caroline pensavamo di andarci, giusto per osservare un po’ di sana vecchia vita”

“Hai parlato con qualche dottore?”

Scuoto la testa.

“Ne sei sicura? Sarai al sicuro?”

Scrollo le spalle. “Caroline sarà con me. E anche se è il primo approccio con tanti apparenti sconosciuti, penso sia ora di uscire di casa e inoltrarmi nella mia vita, se voglio riprendere le redini di questa. E’ il primo passo, è difficile, ma… non sarò sola”

“D’accordo”

D’accordo” ripeto io, sussurrandolo, con alcune ciocche di capelli fra le dita.

Cala nuovamente il silenzio fra noi, e, stranamente, le loro domande quasi invasive non mi hanno recato alcun fastidio, non sono sotto pressione per questa loro presenza e ciò mi calma.

In fondo sono i miei genitori.

“E quell’uomo,” chiede Isobel qualche minuto più tardi “quel tuo amico, uhm… ti è d’aiuto?”

“Damon?”

“Non ricordo il nome… solitamente lo chiamavamo amico, tesoro. Ti sta aiutando?”

 Deglutisco, aggrottando la fronte. “Certo, certo! E’ un amico, no? Perché non dovrebbe?”

“Già, hai ragione”

Sono in allerta, adesso, con il nome di Damon accennato ed inserito nella conversazione. Sono più agitata ed i miei ormoni – ne sono certa – sono in fibrillazione, in continuo movimento.

Eppure non c’è nessun altra loro domanda, solo un nuovo silenzio e qualche sguardo a me indirizzato, mi osservano di tanto in tanto quasi per capire come io stia realmente senza chiederlo. E gliene sono grata.

I respiri di John si fanno lievemente più rumorosi, lei si inumidisce le labbra e sembra voglia parlare ma non sa come e da dove iniziare. E questo continua per un po’, io che li osservo con la coda dell’occhio e loro di sfuggita.

 “Penso di parlare anche a nome della mamma – di Isobel, volevo dire Isobel… quando dico che speriamo davvero che tu stia bene, Katherine.” Sorrido intenerita a quelle parole, allora annuisco con il capo, stringo la coperta in plaid con una mano.

“Lo so” alzo le spalle “e vi ringrazio, so quanto debba essere difficile per voi altri”. Isobel si alza, all’improvviso, lo sguardo un po’ perso ed uno strano fare materno che l’accompagna nei passi. Si blocca, poi, a un metro di distanza da me.

“Sei nostra figlia, noi non vogliamo perderti”

“So anche questo, perché io non voglio perdere voi”

E allora si fa ancora più vicina, e, titubante, accarezza lentamente una mia guancia, ed io mi lascio cullare da quel tocco che sembra mancarmi, quel tocco familiare ma così estraneo e così lontano da me.

Un rumore di chiavi fa aprire la porta, e poi una folta chioma bionda inonda tutto.

“Scusami tanto, Kate, ma come ti ho detto c’era traffico e--- oh, uhm, ciao” si gratta il collo con una mano, per poi rivolgermi un’occhiata quasi accusatoria.

“Scusate! Davvero! Cioè… Io non volevo affatto disturbarvi… intendo che, insomma, se avessi saputo che voi foste--”

John sorride e la interrompe: “Non preoccuparti, stavamo giusto andando via” Poi si alza e inizia ad avvicinarsi al confine che è l’ingresso dell’appartamento. Osservo di sfuggita Care: la mia amica ha le guance rosse per l’affanno e la corsa, forse anche per un po’ di rabbia –giusto un po’- in corpo che adesso scatenerà contro di me. Ne sono quasi certa.

“E’ stato un piacere, allora” dico, tossendo e schiarendomi la voce.

“Anche per noi” Isobel sorride, “A presto, Katherine”

E spariscono dalla mia visuale, richiudendo la porta alle loro spalle. Caroline attende qualche secondo poi sbraita, “Ma sei impazzita?”

Inclino il capo, confusa.

“Sconosciuti, familiari, tu, postumi della sbronza, io lontana, John, Isobel?!”

Rido. Ed ecco che lo tsunami inonda tutto.

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Hola mishamigos (chi vede/ha visto supernatural capirà:) )

perdonate il ritardo nell'aggiornare! ho avuto problemi di connessione ed in più poco tempo per scrivere, e tra l'altro l'ho impiegato per la stesura di una minilong che ho in mente da davvero un sacco di tempo (in realtà ne sto scrivendo due, una di 7 e l'altra di 10 capitoli). Ma non ho intenzione di pubblicarle, almeno per ora -- facciamo per un bel po'.

Forse il capitolo è un po' più lungo degli altri, forse la parte inziale può sembrare "stupida", banale, scritta senza una reale ragione: è davvero necessaria, in più il percorso delle due, qui, è piuttosto simmetrico perchè ci sono i genitori come punto fisso.

Nel POV di Elena ci sono degli spazi qua e là, dovuti principalmente al fatto che non si trova in uno stato di salute stabile, è ubriaca-in post sbronza, motivo per cui ho cercato di riprendere il suo pensiero, poichè, a mio parere, sarebbe sembrato totalmente inopportuno lasciarla ragionare benissimo, compiendo azioni e pronunciando frasi di reale senso compiuto.

Katherine completa pian piano la sua lista: cosa ne pensate? nel prossimo capitolo posterò un'immagine del suo nuovo taglio! :)

grazie per tutto l'amore che ricevo con le vostre parole, con i lettori silenziosi! è davvero importante e molto ma molto bello per me, non immaginate quanto!

spero che questo capitolo vi piaccia e interessi! a voi l'ultima parola:)

vi lascio con uno spoiler, a presto!

“Katherine… come sei vestita?”

“Ciao anche a te, Care”

Si appoggia alla scrivania come me, imitandomi e controllando l’orario.

“No, sul serio… non ti ho mai vista con qualcosa di bianco, prima non ho fatto neanche caso”

Annuisco, “E’ stata l’unica cosa chiara che ho trovato nel guardaroba! C’erano solo capi neri e vestiti da prostituta”

***

C’è qualcosa nel suo modo di fare, quello di vestire e atteggiarsi, così come quello di camminare che mi destabilizza: sto cercando di capirne il perché, i risvolti, le cause; ma tutto questo invano, tutto questo porta inevitabilmente ad un vicolo cieco impossibile da evitare.

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Capitolo 18
*** Frenemies and lies ***


Elena: http://www.polyvore.com/cgi/set?id=117407660&.locale=it

 

Capitolo diciassettesimo

 

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Frenemies and lies

 

Elena

 

“Un caffè macchiato per Rebekah, un frappuccino per Vicky, un caffè nero per Elijah e… oh, Caroline! Desideri qualcosa?” sorrido alla mia amica, stretta in un tubino grigio scuro elegante. Nota la mia presenza dopo che l’ho palesata, essendo lei troppo indaffarata con le sue scartoffie per rendersi conto di me.

Siamo in mezzo al corridoio, io con le ordinazioni per gli altri miei colleghi e lei che stava per raggiungere la sala fotocopiatrice.

“Ehi, Kate! No, grazie, ho già ingerito troppa caffeina per il caso Jefferson, senza contare tutti i cioccolatini al caffè e le mentine che ho mangiato più tardi… penso che vomiterò prima della pausa pranzo… ma rimanderò tutto perché devo assolutamente contattare gli altri legali”

“D’accordo” rispondo, ma è già sparita, già volatilizzata per poter ascoltare la mia risposta.

Primo vecchio-nuovo giorno di lavoro, un abito bianco e nero a fasciarmi il corpo, Jimmy Choo nere – saranno costate metà stipendio! – ed un blazer.

“Katherine?”

Mi volto verso la voce, ed ecco un Damon Salvatore in camicia bianca e pantaloni neri. Neanche a farlo di proposito, siamo vestiti come se dovessimo partecipare ad uno stupido prom di liceali: coordinati. Abbiamo gli indumenti coordinati.

Raschio la gola, e “Ciao” dico, sbattendo le ciglia e facendo attenzione a non far volare il foglio con “le ordinazioni” dalla mia mano.

“Desideri qualcosa?” chiedo poi, sforzandomi di essere gentile dopo il nostro ultimo incontro.

“No, grazie” alza le spalle “il caffè della macchinetta fa schifo, l’ideale sarebbe passare da Costa, alla girata… ma dubito tu vada lì”

“Allora dubiti male” esclamo, incrociando le braccia. Assottiglia lo sguardo, sbottonando i polsini e alzando, di conseguenza, le maniche sino al gomito. E’ un bell’uomo, non c’è che dire.

“Il tuo incarico consiste nel fare la segretaria che ha appena ottenuto il lavoro?” quasi scherza, mentre si avvicina a me, per poi fermarsi e poggiarsi ad una colonna.

Sussulto, poi schiocco la lingua sul palato: “Non posso permettermi di affiancare qualcuno, sono tutti troppo impegnati per perdere tempo con una quasi stagista che non ricorda nulla”

“Potresti,” gioca con le labbra, quasi impaziente “affiancare me

Spalanco di poco gli occhi, stringendo il foglietto nella mano fino a farlo scomparire, e inclinando il capo “Dubito che tu abbia tanto pazienza”, replico.

Sorride sghembo, “Allora dubiti male” ed allarga le labbra.

“Passiamo da Costa, tu prendi i caffè per gli altri, io prendo il mio… nel frattempo ti parlo del caso che mi è stato assegnato da Finn, era uno dei tuoi” propone, infilando le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni.

Stai calma, Katherine, mi dico, sta solo facendo il bravo collega, niente di più.

“D’accordo, mi hai convinta”

“Prendo la giacca”

 

 

“La cliente è il direttore creativo della rivista Elle, la cui madre è deceduta due mesi fa. Con questo sperava di ottenere l’eredità, e dunque i soldi ed i beni necessari a concludere il divorzio con il secondo marito e a comprare il nuovo appartamento nei pressi di Kensington Road, che aveva affittato un po’ di tempo fa, ma ovviamente le mancano i contanti per continuare a pagare… Mi segui?”

Aggrotto le sopracciglia e alzo il passo per stare al suo fianco, “Credo di sì”.

“Bene, piccole procedure legali e potrà avere l’eredità che le spetta, procedure e tecniche che, qualche volta, mi hai insegnato tu”

Scoppio a ridere, “Stai scherzando?”. Attraversiamo la strada poiché il semaforo segna il verde per i pedoni, quindi camminiamo a passo svelto mentre un po’ di sole fa capolino attraverso le nuvole che oggi hanno completamente oscurato il cielo londinese.

Osservo il suo profilo, mascella, barba, sguardo attento ed intenso, capelli rigorosamente spettinati ed infine un forte profumo che si percepisce anche all’aperto, anche fra decine di altre persone.

“Pensi che menta?”

“Penso tu dica un sacco di sciocchezze”

Schiocca la lingua sul palato, “Perché dovrei?” e ride, nel frattempo, i denti bianchi che spiccano fra il rosa candido della pelle ed il nero della barba incolta che lo rende ancora più… bello maturo.

“Per ingigantire il tuo ego” affermo allora, mentre noto che il caffè Costa è di fronte a noi.

Stringe le labbra e poi apre la porta come un gentiluomo, lasciando che entri prima io, e lui a seguito. Ma è un secondo e mi prende il polso, mi ferma ma la stretta non è forte, è lieve ed assolutamente indolore. “Non ho bisogno di certi giochi per ingigantire il mio ego, mi basta molto meno”

 

 

“Ecco il tuo frappuccino” porgo il bicchiere a Vicky, seduta di fronte ad un laptop accesso.

“Katherine, ehi!” poi inclina il capo e continua con una strana espressione, “ti ringrazio ma… io non ho chiesto nessun frappuccino”

“Me l’ha detto Elijah…” commento con la gola completamente asciutta.

“Penso che lui abbia chiesto un frappuccino per la sua collaboratrice, Vicky, non per me, Meredith…”

Sgrano gli occhi: “O mio Dio, quindi tu sei… non…”

“E’ tutto okay, davvero” poi si alza e scompare dalla sua postazione, facendo roteare la sedia su cui era accomodata. “Fantastico” mormoro fra me e me sarcastica.

“Che succede, ragazza del caffè? L’ordinazione era sbagliata?”

Mi volto verso la voce ironica alle mie spalle, riconoscendo una chioma bionda ed una figura smagliante.

“Lo era la persona, Rebekah… ecco a te, caffè macchiato, giusto?”

Inserisce una pila di fogli in una cartellina di plastica blu, “…giusto” poi dice, prima di afferrare il bicchiere e sorseggiare per qualche attimo.

Faccio per andarmene ma mi blocco quando richiama la mia attenzione: “Katherine?”

“Sì?”

“Grazie per aver sostituito la nuova arrivata, in effetti ci sono meno urla e meno caffè sbagliati… in fin dei conti potresti ritornare a questa fase della tua carriera, non credi?”

Scrollo le spalle, avvicinandomi a lei, lievemente stuzzicata dal suo atteggiamento scortese: “Probabilmente, e sarei comunque eccezionale anche nel servire bevande… a differenza di qualcun altro”

Ridacchia, scuotendo la testa e allontanandosi, “Ricordati, Petrova: lavori alla Mikaelson&Co ed io sono una Mikaelson… mai metterti contro di noi”

La scimmiotto con le labbra quando si volta ed entra in una stanza alla fine del corridoio, palesando la sua presenza con un ‘buongiorno’ udito da lontano.

“Idiota”

Decido di godermi il frappuccino di Vicky dato che non ho la più pallida idea di come sia fatta fisicamente, e, prima che si freddi, è meglio che mi prenda una pausa e lo gusti io.

Damon deve sbrigare una faccenda e tornerò ad affiancarlo fino a fine giornata, ignorando la palpabile tensione che si instaura in me quando parla, respira, fa battute e si avvicina quando non dovrebbe. Facile, in fin dei conti, no?

“Katherine… come sei vestita?”

“Ciao anche a te, Care”

Si appoggia alla scrivania come me, imitandomi e controllando l’orario.

“No, sul serio… non ti ho mai vista con qualcosa di bianco, prima non ho fatto neanche caso”

Annuisco, “E’ stata l’unica cosa chiara che ho trovato nel guardaroba! C’erano solo capi neri e vestiti da prostituta”

Scoppia a ridere continuandomi ad osservare con uno strano cipiglio sul volto.

“Probabilmente, ma sono ancora piuttosto restia nel riconoscerti” sospira. “Comunque, pranzi con me fra trenta minuti? La mia pausa è ristretta ma sarebbe bello avere un po’ di compagnia”

Mi mordo la lingua, chiudendo gli occhi. “Non posso”

“Non puoi o…”

“Non posso”

Appoggio il bicchiere sulla scrivania, puntando lo sguardo sulla mia amica, il tubino grigio che sembra farla soffocare e i capelli lievemente sfatti, senza la messa in piega di questa mattina.

“Damon si è proposto perché io lo affianchi”

Sgrana gli occhi, sbatte le ciglia e si regge al bordo del tavolo dietro di noi. “Cosa?”

“Lo so, lo so credimi… ma è stato l’unico disponibile a lavorare con me a fianco, io che non ci capisco nulla di cause legali e capacità di trattare con la gente”

Alza un sopracciglio, “D’accordo”.

La mia amica spara-sentenze si ammutolisce, e so che molto probabilmente si sta solo concentrando per non sputarmi tutte le sue convinzioni, tutta la sua frustrazione e l’odio nei confronti di Damon e dell’atteggiamento recente – alla fine le ho parlato della discussione nel suo appartamento – e passato.

“Non capisci? Lo ha fatto di proposito, è un tale… Cielo, sei così ingenua! Adesso cadrai nella sua trappola, non è così? Ti adulerà e sedurrà!”

Sbuffo sonoramente, passando una mano sulla fronte, esausta. Come non detto…

“Ti prego, Care, lascia che lui mi aiuti, lascia che io sbagli… ci sarai tu, poi, a fine giornata a dirmi che me l’avevi detto… ora ho solo bisogno di fare le mie scelte, di ritornare in carreggiata”

“Ne sei così sicura?” sbotta, spalancando le braccia.

Un attimo e le mie paure vacillano. Ne sono così sicura? Perché io voglio che lei ci sia, senza Caroline… non c’è più nulla.

“Tu sei un’amica fantastica” esclamo, scuotendo il capo.

“Già” risponde incurante, “forse mi preoccupo troppo per te”

 

 

“Pratiche legali, Katherine”

“Mhm?”

“Si tratta unicamente di questo”

“Mhm”

“Cosa c’è, adesso?”

Rilasso le labbra prima di proferir parola: “Nulla”

Damon Salvatore chiude un fascicolo con un lieve tonfo, inforca una matita HB e posa, per la prima volta da due ore circa, lo sguardo cristallino su di me.

“D’accordo”

Scrive qualcosa sul foglio a righi bianco di fronte a lui, spingendone altri sino a farli arrivare sotto il mio sguardo, adesso sulla scrivania subito sostituita superficialmente da una pila di A4.

“Credo di aver litigato con Caroline” insorgo qualche attimo dopo, costretta da una strana voglia di dirgli l’accaduto, di esprimermi come se il suo modo di fare me lo imponesse.

“Credi?”

“Non lo so,” borbotto, “forse l’ho solo delusa”.

“Forse” riprendo poco dopo, “dovremmo soltanto goderci una serata fra donne, sedute sul tappeto del suo open space con la compagnia di una bottiglia di vino decente, non quelle acquistate da Tesco o dal Whole Foods di Adelaide Road.”

“Cosa ti blocca, allora?” è la sua domanda, che pone prima di mordersi l’interno di una guancia mentre assume un’espressione da psichiatra assieme alla sua peggior paziente.

Tu

E la scioltezza usata nel dirlo, la rapidità e l’assoluta irrazionalità mi spingono a deglutire a vuoto, a raschiare la gola per poi sbattere le ciglia un paio di volte, perché, insomma, è tutto vero? Che ho combinato?

La risposta di Damon non tarda ad arrivare, se solo non fosse per me e per la tranquillità che metto nell’interromperlo mentre, forse, vuole dirmi che sono un’assoluta bipolare che dovrebbe seriamente far visita al miglior psichiatra in circolazione. Ho tanti di quei problemi, e sono più che certa che il suo sguardo più stretto e le labbra appena schiuse mirino solo a farmelo intendere. Tanto per citarne uno, il mio respingerlo, andarlo a cercare, chiedergli scusa e palesare un qualcosa che assomiglia ad un vago mio interesse nei suoi confronti.

“Perdonami” investo così il vuoto quasi interrotto dalle sue parole, “sono stata inopportuna. In più volevo scusarmi per l’altro giorno… mi sono presentata a casa tua con chissà quali intenzioni e propositi, quindi dico solo che non avrei dovuto”

Chiudo gli occhi, tornando a guardare immagini che non mi trasmettono nulla e fingo di leggere fra righe piene e parole in un Times New Roman un po’ sbiadito.

“Domani sera, Tottenham Road, 56, vino rosso e Billy Joel di sottofondo”

 

Katherine

 

C’è qualcosa nel suo modo di fare, quello di vestire e atteggiarsi, così come quello di camminare che mi destabilizza: sto cercando di capirne il perché, i risvolti, le cause; ma tutto questo invano, tutto questo porta inevitabilmente ad un vicolo cieco impossibile da evitare.

Eppure ci sono altre strade, mi dico, ma no, invece: tutte le strade portano ad un punto fermo, nessuna svolta possibile, niente manovre da effettuare tranne che quella consistente in una marcia indietro.

Chiudo il registro delle visite sul bancone della mia galleria, la Hampstead Gallery, ritenendomi una totale idiota.

“E’ un’idiozia” esclamo poi, mettendo a posto il registro per prendere quello direttamente precedente, il manuale del 2009.

Nessuna Katherine, nessuna traccia di questa donna che sogno sempre più spesso, che ho sognato anche il giorno prima di visitare il cimitero a Chester. Non la vedo, non so com’è fatta: ha solo una folta chioma castana ed un fisico da urlo, un modo di camminare simile a quello di Miranda Kerr e tutti la chiamano Katherine. Punto.

Barbara Palvin non può essere, la Kloss neanche, la Dunn neanche se volessi… non è una modella. Non è la Cruz, la Roberts o qualche altra attrice.

In un attimo l’idea mi viene in mente: e se fosse un uomo? Uno travestito? Se fosse un’anziana impossibile da riconoscere?

Scuoto la testa: impensabile, non posso sognare certe persone…

Dopo le prime pagine, scorrendo il dito su e in giù alla ricerca di una Katherine senza evidenti risultati, decido che c’è altro che posso fare per trovarla: devo solo prendere elenchi telefonici e agende dal mio ufficio.

Per cui mi rintano nella stanza interna alla galleria, una scrivania, delle sedie e una libreria al suo interno. Dai cassetti estraggo qualche quaderno e qualcosa che può aiutarmi.

Io devo trovarla.

Devo capire perché io la sogni così spesso, che ruolo ha nella mia vita.

È strano, nessuno sembra conoscerla ma quando chiudo gli occhi interagisce con tutti coloro che conosco, nessuno sembra ricordarla eppure so che una funzione ce l’ha.

Ma nulla: Kara Newman dell’Inteview, Korinne Cumberbatch dell’agenzia pubblicitaria, Agnese Cartwright dello studio di fotografia, Hayley Marshall del volti e risvolti, e persino il numero per il takeaway cinese. Sfoglio altre pagine, e scorgo altri nomi, altri numeri di cellulare e mestieri improbabili. Ci sono solo Catherine, Karenina, e Caitylin. Nessuna Katherine.

Lo stesso vale per l’elenco telefonico.

Sono seriamente impazzita.

 

“Elena? Sono Liv!”   una voce mi richiama, e presa dalla paura di essere scoperta – non che stia facendo chissà cosa di illecito – chiudo ogni libro e quaderno aperto, passando rapidamente le dita fra i capelli, districando qualche nodo per aggiustare la mia figura in disordine.

“Ehi, Liv” Ecco che mi alzo e mi paro di fronte alla bionda, una ragazza sulla ventina che mi aiuta a tenere in ordine la galleria quando non posso o non ci sono. I capelli biondi e mossi incorniciano il suo volto, mi saluta con la mano per poi lasciare la sua giacca di pelle nera su una poltrona.

“Ho sentito Jeremy questa mattina, mi ha detto che saresti passata di qui -- Ehi… hai fatto qualcosa ai capelli?”

Mi osserva curiosa, adesso, mentre io sorrido imbarazzata. E questo mi fa sentire a disagio, come se imbarazzarsi fosse da matti.

“Accorciati, sì…”

“Non fare la vaga!” mi rimprovera bonariamente “Ci sono anche delle ciocche rosse… O sbaglio?”

“Non sbagli” ridacchio, “In fondo è quello che avrebbe fatto Elena se avesse voluto rivoluzionare il proprio aspetto, no?”

“Sì” annuncia, “è quello che avresti fatto un po’ di tempo fa, conoscendoti” e non so perché mi sento terribilmente stupida ad aver parlato della vecchia me come se fosse totalmente un’altra persona.

“Comunque… è per caso arrivato qualche acquirente?”

Scuoto la testa, incrociando le braccia. “No, affatto, è stata una giornata così tranquilla da farmi quasi scocciare” ridacchio per apparire esclusivamente una donna annoiata e stanca di essere tale, e lei sembra crederci.

“Okay, adesso controllo gli appuntamenti per questa settimana… o l’hai già fatto tu?”

“Non ho la più pallida idea di dove mettere le mani”

Ride. “D’accordo, Lena, se hai bisogno di me, sono qui”

Annuisco con il capo sorridendo appena, portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Posso provare a parlare con lei, in effetti… perché no?

“Senti Liv… per pura curiosità… uhm,” gira il capo verso di me con il telefono in mano.

Corruga le sopracciglia, schioccando la lingua sul palato: “Dimmi tutto”

“Sto cercando di fare una mappa mentale di tutte le persone del mio passato… per caso, che tu sappia… c’è una qualche Katherine? Una mora, alta, bel fisico eccetera?”

Emette un mhm che può significare soltanto ed unicamente una cosa: sta riflettendo.

Il che equivale ad un punto per Elena, significa che non sto inventando tutto e che una donna con quel nome e quell’aspetto c’è, esiste, è entrata nella mia vita in qualche modo e che i sogni sono dei pezzi di puzzle che, lentamente, prendono forma.

“Non credo… non credo proprio. Cioè, oddio, potrebbe anche esserci, ma se c’è stata non è stata fondamentale, comprendi? Un’ombra che è subito scomparsa”

Il mio castello di sabbia si frantuma e si sgretola con quest’onda inaspettata di Liv, una bionda davvero troppo giovane nella mia galleria.

“Ti ringrazio” rispondo. “Credo che andrò a prendere un po’ d’aria… E se qualcuno mi cerca, non rispondergli, non voglio essere… rintracciata, sai… ho bisogno di qualche attimo”

“Sicuro!”

 

 

Nascondo parte dei miei capelli sotto un orribile cappello di lana trovato nel guardaroba, utilizzandolo per il semplice freddo quasi invernale che questa mattina ha investito parte di Londra.

Infilo le mani nelle tasche e accelero il passo: se non mi sbaglio, ad un paio di isolati, riuscirò a trovare l’Alexandra Park. Se prendo un taxi, poi, arriverò a casa di Stefan –casa mia- nella quale non metto piede da un po’ di tempo.

L’appartamento di Rose è accogliente e grande abbastanza per entrambe, ci sto bene, abitiamo assieme e non credo che Stefan, in fin dei conti, mi manchi. Ogni tanto mi invia ancora messaggi vocali, mi chiama e lascia e-mail che cancello prima ancora che possa leggerle.

Il telefono squilla e ci metto un po’ a capire che è il mio e che devo –sì o no?- rispondere.

“Jeremy?”

“Lena! Liv è passata?”

Tossisco, “Certo”

“Mhm… bene… sei, uhm, ancora lì con lei?”

Aggrotto la fronte, “Sì, ovviamente

“Già… sarebbe davvero brutto interrompervi con la mia presenza?”

Sgrano gli occhi: “Si! Assolutamente!”

Lo percepisco deglutire.

“Sto scherzando, Jer! Intendo solo dire che… preferisco rimanere sola. Sola con lei. Clima… lavorativo fra donne, sì”

“Oh, certo, nessun problema… ci sentiamo domani, allora?”

“Vada per domani”

“Ciao, Elena”

“Ciao, Jer”

 

 

“Brad” lui mi saluta con un cenno del capo, sorride come se non fossi mai andata via di casa. E’ il nostro portiere –era?- quello di casa Wasilewski-Gilbert, che mi lascia accedere all’edificio che è la mia vecchia abitazione con la banale scusa di prendere le mie cose, adesso che Stefan è a lavoro e non tornerà prima di un’ora.

Se io non posso trovare Katherine, significa che avrò bisogno di un aiutino.

E non mi importa mentire a tutti, il fine non giustifica forse i mezzi?

Beh, qualsiasi sia la risposta, io la vedo solo ed unicamente affermativa.

Entro nello studio del mio ex futuro marito, è tutto perfettamente ordinato, dalla fotografia di me e lui assieme sulla scrivania ad ogni quadro esposto, ad ogni libro sugli scaffali non polverosi. E’ tutto decisamente da lui… da noi, dal noi di prima.

“Dove possono stare?”

Mi mordo le labbra e mi guardo attorno: dove potrebbe mettere i fascicoli dei suoi clienti?

Perché è questo il punto: lui ne ha tantissimi di clienti, molti fogli e documenti forse saranno persino all’agenzia, motivo per cui potrei infiltrarmi lì un giorno e fare una davvero molto casuale visita.

Apro vari cassetti, faccio attenzione a chiuderli con cautela e a comportarmi come se fossi un ladro, perché non voglio che Stefan sappia, che si renda conto dell’intrusione di qualcuno.

E Brad non deve aprir bocca riguardo me.

“Stefan, dannazione!” impreco quando scopro che gli armadi e le ante non custodiscono quello che sto cercando.

“Diamine, diamine, diamine!”

Ho voglia di buttare tutto all’aria, di strappare ogni dannato foglio.

Speravo fossero qui…

“Stai cercando qualcosa?”

O mio dio.

“Elena?”

“Stefan?”

 

 

“Stai scherzando, vero? Hai fatto irruzione nel mio ufficio, hai rovistato fra i miei documenti alla ricerca di un fascicolo circa qualcuno la cui esistenza non è neanche sicura?”

“Senti, non mi aspetto che tu capisca… ho sbagliato, okay. Mi dispiace, buona serata” Mi alzo e sbuffo, prendo la mia borsa volendo lasciare questo posto. Cosa credevo di fare?

Si inumidisce le labbra: “Elena…aspetta”

Sorrido istantaneamente, mi volto verso di lui. “Posso spiegarti ogni cosa” esclamo, lui si tocca il mento e schiocca la lingua sul palato. “Dimmi tutto”

“Sono sicura che questa Katherine abbia a che fare con la mia vita, sento… un collegamento con lei. E’ importante, lo so” scrollo le spalle “ma nessuno sembra a conoscenza della sua esistenza… ed io ho iniziato a cercarla, grazie anche ai sogni che ho fatto… Si chiama Katherine, è bruna, capelli lunghi… quasi come i miei lo erano prima, poi… ha un bel fisico e sono anche abbastanza sicura che sia un donna”

“D’accordo”

“… e ho provato a controllare le agende ed i registri in galleria, ho chiesto a Liv ma nulla…”

“Può bastare, Elena”

“… quindi mi son detta perché no? E sono giunta qui”

“Elena” mi blocca, la sua voce calma e calda e lo sguardo quasi neutro.

“Pensi davvero che sia importante?”

Annuisco, “Più che certa”

Sbuffa, alzandosi dalla sua poltrona e sbottonando i polsini della camicia con fare disinvolto. Si toglie la giacca e si passa una mano fra i capelli, stanco.

“D’accordo, ti aiuterò a cercarla”

Sorrido, cosa? Lui… mi aiuterà?

“Cosa?”

“Ma ad una condizione: dovrai ascoltarmi quando sarà necessario”

“Dici sul serio?” la mia voce deve suonare davvero divertente perché scoppia a ridere, è tranquillo, è sorridente come credo di non aver mai visto.

“Dico sul serio, Lena. La troveremo, troveremo questa Katherine, costi quel che costi”

E che i giochi abbiano inizio.

______________________________________________________________________________________________________________________

Okay, sono piuttosto emozionata (non tanto per il capitolo quanto per un episodio speciale di una serie tv che mi ha praticamente commossa e fatto piangere) quindi eccomi qui... già... okay-- passiamo al capitolo! E' uno dei miei preferiti, credo, scriverlo è stato rapido nonché piacevole: spero piaccia anche a voi!
Abbiamo del Delena (ci sarà anche nel prossimo capitolo, tanto per dirne una) e capiamo la storyline di Katherine! Ecco la sua sorpresa, il suo piano! Spero sia chiaro il suo personaggio ed il suo punto di vista in questi ultimi due capitoli: semplicemente non ha iniziato a ricordare, non mediante dei sogni, ma ha in mente una persona (non sa che è lei!) e vuole trovarla, convinta in tutti i modi che possa aiutarla con il proprio passato!:)
Il prossimo capitolo sarà più movimentato ma comunque rilassante/piacevole (o almeno spero ahahah), vedremo le due navigare nei panni dell'altra, sentendosi quasi completamente a loro agio!
Se avete domande, dubbi, o varie... chiedete, sono certa di aver peccato in qualche punto, tipico mio!
Vi ringrazio davvero tanto per il supporto datomi con le recensioni, con le letture (grazie grazie grazie a voi lettori silenziosi!) e l'inserimento nelle seguite/preferite/ricordate! Se volete farvi avanti con un brevissimo parere, è sicuramente e certamente ben accetto!

al prossimo aggiornamento, un bacio!
vi lascio lo spoiler:

“Facciamo quest’ultima prova,” mi dice “andiamo a Canary Wharf dove ho qualche altro contatto, e se i risultati sono positivi significa che avremo trovato ciò che cercavamo. Se sono negativi…”

Prende un respiro profondo, mentre passa il suo biglietto per la metro: “… significa che avrai un motivo in più per far shopping in una delle zone con molte delle principali aziende del Regno Unito, c’è persino un centro commerciale e ci sono centinaia di negozi. L’idea ti alletta?”

Trovo la forza di rispondergli dopo un minuto o due, perché per quanto la sua proposta mi alletti, il solo pensare di non riuscire a trovare Katherine e concludere questa faccenda che mi disgusta e spaventa.

Alla fine ci riesco, con tanto di sorriso abbozzato. “Non sai quanto”

e vi prego di passare dalla mia ultima one shot, a cui tengo particolarmente! mi farebbe davvero davvero davvero piacere leggere un parere! 

Way to say (I love you)

Federica

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Capitolo 19
*** There's a dream where nothing bleeds ***


Capitolo diciottesimo

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There’s a dream where nothing bleeds

 

Katherine

 

Sono le dieci di mattina e, per fortuna, non piove. Le previsioni del meteo, però, non avevano dato grandi speranze questa mattina: avevo guardato almeno due telegiornali, poi c’è stato quello in macchina di Stefan e, adesso, nel bar in cui ci troviamo nel centro di Londra –centro! Non ci credo nemmeno io – c’è uno schermo piatto da almeno trentadue pollici, raffigurante un uomo sulla cinquantina mentre sorride e spiega a noi londinesi di star in costante allerta, con tanto di ombrello al seguito. Come se non lo si facesse di continuo,  smetto di ascoltarlo e mi concentro sulla cioccolata che Stefan ha ordinato al mio posto, mentre il mio sguardo vaga ancora su e giù per il menù poggiato sul tavolo che occupiamo.

E’ presto per un menù, per un pranzo, lo so, eppure lui ha ordinato per me e non so se esserne sorpresa o arrabbiata: avrei, probabilmente, voluto scegliere io cosa mangiare –se i muffin alla vaniglia o quelli ai mirtilli- e cosa bere, soprattutto, - se un tè oppure un caffè al volo – eppure non è successo nulla di tutto questo; cioccolata e brownies, ecco il verdetto, alla faccia delle calorie e delle diete senza carboidrati.

Non che ne abbia mai fatta una, ne deduco: credo che Stefan abbia, in qualche modo, voluto sorprendermi, scegliendo alimenti che mi piacciono – o almeno credo che mi piacessero- non facendomi neanche sillabare un ‘si’, un ‘no’… e d’accordo, allora, attenderò con pazienza – o forse no.

“Quando ieri sei andata via ho iniziato a fare delle chiamate e delle ricerche” inizia, porgendomi dei fogli estratti da una cartellina arancione. Arriccio il naso alla vista di quel colore, troppo acceso per una londinese, troppo acceso per una donna a cui sembrano non piacere affatto sfumature che vadano in una gradazione che non comprende il bianco o il grigio scuro – a meno che non si tratti di Chanel, di abiti bianchi ma che non potrei mai permettermi… credo.

“Nessuna Katherine fra i miei clienti, ma qualche mio amico mi ha gentilmente fornito dati su altre donne dallo stesso nome e che potrebbero corrispondere a quello che era il tuo identikit”

Scrolla le spalle nel momento in cui assottiglio lo sguardo per osservare i volti stampati sui fogli e i dati corrispondenti… nome: Katherine Plec, nata a Sheffield il 28 maggio 1978… no.

Passo all’altro foglio aguzzando la vista, mentre riprende a parlare: “Inoltre, se non la trovassi fra questi fogli, sappi che mi sono comunque procurato dati su donne il cui nome è davvero simile a quello di Katherine”

Annuisco, grata, per la prima volta da questa mattina. Ieri sera –notte- mi aveva contattata perché voleva parlarmi (vedermi), quindi ho trascorso una notte più o meno insonne e delle prime ore giornaliere piena d’ansia ed al contempo esausta, poi mi sono preparata bevendo caffè ed indossando i meno orrendi vestiti nella valigia posta nella camera degli ospiti di Rose.

Vado in galleria,” le ho detto mentendo, ancora una volta, mentre lei sorrideva contenta ed io ho subito raggiunto l’auto di Stefan che mi condotta qui, ad un Costa in pieno centro metropoli.

“Grazie, Stefan” sussurro con un rapido sorriso, quando questi istanti di pace instauratasi fra noi vengono rotti da un profumo adorabile di cioccolato e una donna bionda dal sorriso smagliante.

“Ecco le vostre ordinazioni! Buona colazione!”

“Dovere” replica Stefan quando la cameriera è lontana, prima di addentare un croissant alla crema.

Stringo le labbra e sbatto le ciglia. Inspiro un secondo dopo e l’odore inebriante di cioccolata mi riempie le narici.

“Non… ti piace?”

Azzarda con un tono preoccupato, anzi, preoccupato con una punta di oh-dannazione-sto-sbagliando-tutto. Mi affretto a rispondere agitando le mani e ostentando nervosismo.

“No! Cosa dici” esclamo poco prima di schioccare la lingua sul palato. “Stiamo parlando di cioccolata…”

La sua espressione assurda mi convince ad afferrare la tazza. “Ovvio che mi piace. E’ cioccolata. Non mi importa affatto delle calorie che contiene la cioccolata. Ho già detto cioccolata?”

Deglutisce, mandando giù quello che, a prima vista, sembrava un terzo del croissant.

“Cioccolata più brownies” esclama quando ha finito “Uguale te, Elena. Hai sempre adorato questa coppia”

“Ovviamente” rido quasi istericamente, afferrando un coso marrone e mordendolo con una voracità che non mi appartiene, o che sembra non appartenermi più.

“Alla salute” ridacchia, mentre il quarto telegiornale della giornata è trasmesso in televisione.

 

 

“Credo di conoscere almeno i tre quarti delle Katherine di Londra”

A Stefan scappa una risata, adesso che attraversiamo Bond Street e do una rapidissima occhiata alle vetrine di Bulgari, Jimmy Choo e Ralph Lauren. Fingo, poi, che il negozio di Tiffany&Co. dall’altro della strada non esista perché, se c’è una cosa che Rose mi ha confessato in una serata fra amiche, è che il tanto adorato anello di fidanzamento (non ho idea di dove sia) regalatomi da quest’uomo da un negozio di quelli gli è costato un occhio quasi-per-davvero. Scuoto la testa, “Non è davvero possibile”.

“Dai,” mi consola “non è detta l’ultima parola”

Sbuffo: “Cerca di essere realista, Stefan, ho spiato fra dati personali di moltissime donne a cui non avrei nemmeno dovuto aver accesso e non c’è traccia di questa Katherine” alzo le spalle mentre accelero per stare al suo passo veloce “credo proprio che la mia Kate non esista, fra l’altro non ho mai visto neanche il suo volto in sogno… so solo qualche piccolo dettaglio”

“Facciamo quest’ultima prova,” mi dice “andiamo a Canary Wharf dove ho qualche altro contatto, e se i risultati sono positivi significa che avremo trovato ciò che cercavamo. Se sono negativi…”

Prende un respiro profondo, mentre passa il suo biglietto per la metro: “… significa che avrai un motivo in più per far shopping in una delle zone con molte delle principali aziende del Regno Unito, c’è persino un centro commerciale e ci sono centinaia di negozi. L’idea ti alletta?”

Trovo la forza di rispondergli dopo un minuto o due, perché per quanto la sua proposta mi alletti, il solo pensare di non riuscire a trovare Katherine e concludere questa faccenda che mi disgusta e spaventa.

Alla fine ci riesco, con tanto di sorriso abbozzato. “Non sai quanto”

 

Elena

 

Caroline, questa mattina, mi ha sorriso, a lavoro, e mi ha chiesto se potessi portarle del caffè. Ho preso le solite ordinazioni e sono andata a Costa, quello vicino all’edificio dei Mikaelson.

Però da sola. Senza Damon. Ho fatto in fretta, ho consegnato tutto a tutti, tutto ai rispettivi clienti, Meredith mi ha sorriso e ho conosciuto Vicky. Elijah me l’ha presentata con un mezzo sorriso sulle labbra, quasi abbozzato, quasi contento di vedermi lì. Non so cos’abbiano tutti con me, questa mattina.

Credo che dipendi tutto dal modo in cui ci alziamo dal letto, no? I buoni propositi contribuiscono ad avere un’ottica positiva, i cattivi e la voglia di non abbandonare quelle lenzuola connotano ogni minima cosa negativamente.

Caroline straparla come il suo solito, è tranquilla, rilassata, il cappuccino fra le mani e la manicure fatta, mi parla di Klaus ed io la sto a sentire. “Questa sera mi passa a prendere per una serata speciale” annuncia infatti, spostando i capelli sulle spalle prima di bere un sorso.

“E’ top secret d-”

“E’ top secret sapere dove” ribatte quasi piccata. “Quindi questa sera ti lascio sola”

Scuoto il capo. “Forse no”

“Katherine?” inclina la testa, abbandona il cappuccino e si fa più curiosa.

“D’accordo, potrei aver acconsentito ad… uno pseudo appuntamento con Damon”

“Katherine!” Sgrana gli occhi ed ormai la sua bevanda è dimenticata, completamente dimenticata sul bordo di una scrivania piena zeppa di fogli, perenni cartacce e matite mangiucchiate.

 “Lo so, so cosa pensi… ed è…” alzo gli occhi al cielo, incapace di argomentare qualcosa a riguardo. “Okay, posso riprovare? Mi ha invitata a… uhm, Tottenham Road? Cos’è, un ristorante?”

Morde il labbro inferiore, prende un respiro profondo. “Non ne ho idea, ma conoscendolo potrebbe essere un hotel o, perché no?, anche casa sua”

“Idiota” ribatto, “non mi porterebbe mai a casa sua, perché dovrebbe, poi?”

“Che sciocca” esclama con tono sarcastico “ovvio che lo farebbe per giocare a Monopoly come dei nerd il venerdì sera, perché non ci arrivi?”

Non ho neanche il tempo per controbattere con delle argomentazioni più che convincenti, subito si volta ed esclama qualcosa come «ci vediamo per la pausa pranzo fra quarantacinque minuti!» e si volatilizza in un battito di ciglia.

 

 

Questa zona di Canary Wharf non l’avevo mai visitata… credo. Non so con esattezza cosa ci facciamo qui, all’interno di un Whole Foods gremito di persone, Caroline che mi avverte su cosa fare e dire questa sera in fila con me per acquistare due insalate. Damon non è venuto a lavoro, oggi, credo che faccia solo un salto di pomeriggio e ci vediamo poi più tardi. Ed è buffo, davvero, perché mi ricorda vagamente ciò che si fa ai matrimoni, anzi, agli addii ai nubilati e celibati, quando il promesso sposo non può vedere la promessa sposa prima della cerimonia del giorno seguente.

Quasi rido: io sposata? E’ come pensare a Caroline completamente tranquilla, sempre, che non si preoccupa per gli altri, per me, che non frequenta Niklaus-- una completa utopia.

Non appena il sole bollente ci colpisce dopo che varchiamo la soglia del Whole Foods, decidiamo di tornare subito alla Mikealson&Co per pranzare, non avendo altro tempo da spendere in chiacchiere e passeggiate da amiche. 

“Come hai detto che si chiama questo posto?” domando alla mia amica con ai piedi dei tacchi esageratamente alti mentre camminiamo verso destinazione.

“Non l’ho detto” precisa puntigliosa, sorridendo e sorridendomi. Scuoto il capo, “E’ solo che potremmo venirci, una mattina di queste… sai, il cosiddetto shopping fra amiche, eccetera eccetera”

Si apre in un sorriso brillante, stringendo fra le mani la busta marrone di carta.

“Dici davvero?”

Annuisco.

“Bene, Katherine Petrova: la meta di questo weekend è questa, Cabot Place West!”

 

 

Katherine

 

Cabot Place West è il luogo in cui ci troviamo, in cui passeggiamo con già qualche busta sugli avambracci e meno pensieri per la testa. Inutile dire che le previsioni erano davvero azzeccate, facendo del sarcasmo, perché un sole caldo almeno la metà di quanto lo è, di solito, in estate, ci degna della sua presenza, motivo per cui tanti, troppi londinesi fanno un giro fra i negozi più o meno accessibili.

Zara è una tappa di centinaia di donne, e potrei aver trascinato lì Stefan. Potrei, inoltre, aver indossato una decina di vestiti ed averne acquistati altrettanti.

“Sai,” mormora Stefan mentre la commessa mi passa la busta scura “mi piace cosa hai fatto ai capelli… prima non ho avuto tempo per dirtelo… cioè, non ho trovato il momento adatto”

“Con prima intendi anche ieri?” chiedo, lui si gratta il collo e sorride. Annuisce, poi, ed io lo ringrazio contraccambiando lo stirare delle labbra. Inforco gli occhiali da sole e li indosso, lui mi guarda ancora e mi chiedo cosa si provi. Cosa si provi a vedere la donna della propria vita, quella che si ama e si deve sposare, mentre se ne costruisce un’altra. Come se stessi provando a rimettere i mattoni nel proprio posto, uno sopra l’altro, questa volta per bene, con lui lontano e non invitato ad entrare.

“Come sta Bonnie?”

“Bene, anche se non la sento con la stessa frequenza di Rose” faccio presente, la voce calda e il pensiero che subito si rivolge a lei, quest’ultima, poi vaga sino alla donna con il futuro pancione e la loro intesa, la complicità di ogni loro sguardo, di ogni parola: quel rapporto che ho sempre invidiato.

“E Jeremy?”

“E’ possibile che nasconda qualcosa? Del tipo sono interessato a Bonnie ma non lo ammetterei mai?”

Scoppia a ridere, infilando le mani in tasca. “Non te l’ha detto, eh?”

“Dirmi cosa, per l’appunto?”

Inclina il capo prima di rispondere ad un dubbio che mi assale da un po’, a dire il vero. Non può essere, vero? … cioè che lui… e lei ci è…

“Lui ha sempre avuto una patetica cotta per la migliore amica di sua sorella, quella che lo vedeva esclusivamente come un ragazzino utilizzato come paziente nel loro gioco di dottoressa e assistente, il ragazzino che a tredici anni Bonnie provava a baciare per esercitarsi…”

“Stai scherzando?”

Ride: “Ho la faccia di uno che scherza?”

Alzo un sopracciglio in risposta, scatenando la sua ilarità: “Probabilmente non vuole che si venga a sapere… non da me, poi. Però… non è andato al suo matrimonio, anche perché, se non ricordo male, ci hanno anche provato un’estate; ma a settembre Bonnie ha trovato lavoro ed il suo vero amore, dimenticando una storiella estiva con un ragazzo con cui non avrebbe mai potuto funzionare.”

Ecco allora spiegati i vari uhm del nostro discorso, il non parlare mai di lei in mia presenza, gli sguardi a Chester e Bonnie che, nella mia testa, avrebbe potuto formare una coppia stupenda con lui.

“Mio fratello… santo cielo! E’ anche peggio dei miei dubbi, di una soap opera!”

“Jeremy è sempre stato protettivo nei confronti delle persone che ama, ha sempre lottato per loro, per difenderle, per continuare ad averle al suo fianco” spiega, gli occhi che si perdono di fronte a sé come quella volta in ospedale “è un bravo ragazzo, nonostante le cazzate commesse, e anche se si è innamorato di una come Bonnie… un’insegnante dell’asilo troppo, fin troppo buona, la lascerebbe andar via purchè sia sicuro che quella sia la sua strada: poco importa se è l’opposta alla sua, in amore contano anche i sacrifici… no?”

 

 

Elena

 

Una volta ho parlato a Damon del tappeto tribale che accarezza il pavimento dell’appartamento di Caroline, quello nell’open space che mi piace tanto e che le invidio con altrettanta intensità.

Sullo stesso ci andrebbe, decisamente, la sua compagnia ed una bottiglia di vino decente: noi due spaparanzate lì, con la tv accesa e le persone in quel quadrato che parlano e straparlano, noi due e le risate dovute all’alcool; parleremmo con tanta confidenza interrotta dalla brutale realtà capace di spezzare i nostri discorsi vaghi e a volte senza senso. In vino veritas, con tanto di amiche al proprio fianco e la mente libera da ogni pensiero opprimente che, ce lo mettiamo in testa, deve andar via ogni mattina, deve tornare rinchiuso in un piccolo scompartimento della propria mente, quasi in castigo, quasi obbligato a non farci visita neanche per un momento della giornata, se non per la sera, per la notte: si sa che, arrivati ad una certa ora, tutto torna, quasi meccanicamente. E allora, in vino veritas, spunterebbe senza far male, in modo innocuo a tal punto da non rendersene conto.

Non so perché gliel’abbia detto – in modo confidenziale e totalmente spontaneo, come mi capita spesso quando parlo con lui. Fatto sta che, con altre parole, sintetizzando la questione, lui sa cosa vorrei fare per la mia amica, sa cosa sarebbe bello organizzare solo per qualche ora di pace, di comprensione, di libertà.

 

Sono piuttosto agitata quando, giunta a Tottenham Road, capisco che c’è un ristorante.

I dubbi e le domande di Caroline non hanno fondamenti, non ci sono colonne a reggere le sue paure, le stesse che mi ha trasmesso parlandomi. Damon non è come gli altri pensano che sia: non è quello stronzo che utilizzerebbe me, non è quello stronzo senza cuore che si ostina a fingere d’essere. Caroline non ha ragione, per una volta.

Lo vedo all’entrata, che cammina a passo lento senza spostarsi molto, facendo qualche passo in avanti per poi tornare alla postazione iniziale. Non so spiegare questa paura che mi smuove qualcosa all’altezza del petto: so solo che ce ne ho, anche molta ad esser sinceri.

 

“Ciao”

Si volta di scatto al mio saluto, inclina le labbra verso l’alto e le schiude.

“Ciao”

Sorrido alla sua vista,  socchiudo le palpebre per contemplarlo meglio: lui ed i suoi occhi magnificamente azzurri, lui ed il suo profilo, le guance un po’ rosse e le labbra carnose e dello stesso colore, ora lievemente schiuse e in procinto di muoversi per lasciarmi udire la sua voce ancora per un po’. Mi stringo nella giacca, cercando quel  calore che lui potrebbe benissimo darmi –ne sono certa- se solo glielo chiedessi: non so—rettifico, non ricordo – cosa significhi amare una persona, darle tutto e ricevere tutto dall’altro: ma sono certa che se l’amore della tua vita ti chiedesse di stringerlo un po’, tenerlo al sicuro, riscaldarlo dal freddo insistente… tu lo faresti. Io per prima lo farei. Eppure non lo chiedo: sono a qualche passo di distanza da lui, e l’unica cosa che posso chiedere è come sarebbe essere fra le sue braccia, non metaforicamente parlando. Sentire le sue braccia stringermi, tenermi contro il suo petto, ad odorare il suo profumo.

Passa una mano dietro il collo e aggrotta le sopracciglia. “Inizialmente avevo pensato di cenare qui, perché è capitato più di una volta che facessimo così… sai, hai sempre detto che non ti piacciono i posti chiusi, come le abitazioni, come gli appartamenti e per questo hai sempre evitato di passarci del tempo” inizia a parlare con voce calma ed un tono quasi basso, mentre io rimango senza parole e sbatto le ciglia.

“Però non ho voluto dar nulla per scontato, quindi hai due opzioni: rimanere qui oppure andare da quel take away lì…” si blocca per indicarlo con una mano, al che io mi volto per seguire la direzione del suo braccio “…e passare a mangiarlo a casa”.

Annuisco con il capo, incrociando le braccia sotto il petto.

“Io credo…”

“Vada per la seconda?”

“Esatto”

 

“C’è qualcosa di basicamente malato in te, Damon”

Smetto di ridere e sposto lo sguardo sulla scatola dei biscotti della fortuna del tavolino di fronte al divano tre posti.

“Ah sì? Solo perché sono stato un George Zinavoy* per tutto il liceo e per i primi anni di college?”

Alzo i sopraccigli, “esattamente”

“Beh” schiocca la lingua sul palato, occupando una posizione migliore sul divano. “allora ti sbagli di grosso, non puoi giudicare una persona unicamente per il proprio modo di pensare”

Rido, “eri uno scansafatiche cronico”

“No” esclama, puntandomi un dito contro: “ero un fatalista”

Getto la testa all’indietro, fintamente scocciata e realmente divertita, poi il suono del suo cellulare mi riporta drammaticamente alla realtà: era bella la sensazione di poter giocare con lui, fingere di essere la sua Sally Howe** per qualche ora, alleggerendo, così, la tensione creata a causa del patetico imbarazzo iniziale fra noi due.

“Non rispondi?”

Storce le labbra, “Appaio terribilmente stupido se dico che le parole Numero privato mi innervosiscono?”

Alzo le spalle: “Sì, Damon, ovvero scansafatiche cronico

“Cosa hai detto?”

“Terribilmente stupido?”

Sbuffa sorridendo, poi sfrega le mani una contro l’altra e propone: “Allora, questi biscotti della fortuna?”

 

 

Incoming call, 00.51

 

“Pronto?”

“Damon?”

“Ehi… sei arrivata?”

“Sì, ho appena chiuso la porta alle mie spalle.”

“Mhm, quindi sono il tuo primo pensiero?”

“…”
“Katherine? Sto scherzando. Ti ho chiesto io di chiamarmi.”

“In realtà me l’hai imposto.”

“In realtà mi hai imposto di non riaccompagnarti a casa.”

“Volevo fare una passeggiata”

“Volevo sapere se fossi viva.”

“Sto bene”

“Anche io”

“Sono—sono stata bene”

“Anche io”

“Hai intenzione di rispondere con queste due parole per sempre?”

“Anche i—oh, hai cambiato discorso?”

“Damon”

“Katherine”

“Hai sonno?”

“No. Tu?”

“No.”

“Bene, significa che possiamo parlare”

“Cosa ti dice che io voglia parlare con te?”

“Non mi hai chiuso ancora il telefono in faccia. O perché sei stata bene. O perchè non hai sonno. O perché sono estremamente affascinante. O tutte e quattro.”

“Damon”

“Katherine”

“Cosa stai facendo?”

“Potrei aver vuotato il tuo bicchiere di vino… era intatto, non hai assaggiato neanche una goccia.”

“Odio ubriacarmi.”

“Non ti avrei fatta ubriacare… o forse sì”

“Odio bere”

“Avrei voluto vederti durante la tua ultima sbronza, allora”

“Io non voglio ripetere quell’esperienza”

“D’accordo, cambiamo discorso… cosa indossi?”

“Damon…”

“Che c’è? Potresti aver cambiato abiti, potrei non averti osservata abbastanza da ricordare nitidamente i tuoi abiti, perché poi ti avrei certamente-- credo, uhm, di dovermi fermare… questa conversazione stava per raggiungere un rating ros-“

“Quanto hai bevuto?”

“Te l’ho detto: quel bicchiere. Il resto è l’effetto della tua presenza. E della tua assenza.”

“Damon”

“Katherine”

“Damon?”

“Sì?”

“Credi che potremmo –“

“Qualsiasi cosa tu voglia. Sono a tua completa disposizione.”

“ – essere amici?”

“…”

“Damon?”

“Non ho bevuto abbastanza per mentire con una risposta affermativa. Non sto dicendo che dovremmo strapparci i vestiti di dosso – anche se sarebbe un’ottima idea per passare il tempo – ma no, Katherine, non potremmo mai e poi mai essere amici”

“E cosa…”

“Cosa siamo? Siamo… in bilico.”

“In bilico? Davvero?”

“Sì, il passato ci ha portati ad un presente complicato, stravolto, il futuro è incerto e tutto può cambiare. Anche se alcune cose rimangono per sempre… siamo diversi, nuove persone, tu lo sei, ed io con te. Mi… stravolgi. Da quando sei tornata, sei diversa: questo mi influenza, mi colpisce, mi fai essere una persona diversa.”

“E… Ti piace la persona che stai diventando?”

“Non lo so. Potrebbe essere migliore o peggiore della precedente”

“Non avere aspettative così basse di te”

“Non avere aspettative così alte di me”

“Damon?”

“Uhm?”

“Credi… non so, credi che… no, davvero, lascia stare”

“Puoi dirmi quello che vuoi”

“Lo so”

“D’accordo”

“Riempi un altro bicchiere di vino. E vuotalo. Quello che sto per dire è davvero pazzo, sconclusionato e contraddittorio. Ho bisogno che tu perda lucidità.”

“Mi basti tu a perdere lucidità”

“Damon? Hai bevuto qualcos’altro?”

“No, sono quasi del tutto sobrio – ops, non dovevo dirlo”

“Bevi. Davvero”

“Vuoi farmi diventare alcolizzato?”

“No!”

“Vuoi dirmi che mi ami?”

“Non hai ancora il bicchiere in mano?”

“D’accordo, ora lo prendo… aspettami in linea”

“Damon? Ci sei?”

“…”

“Damon?”

“…”

“Credi che potresti baciarmi la prossima volta che ci vediamo?”

“Okay, non l’ho riempito fino all’orlo… anzi, è più che altro una goccia, ma potrei aver mentito a riguardo. Insomma, chi ti dice che non abbia bevuto del bourbon prima che mi chiamassi?”

“…”

“Stai – stai bene? Hai il respiro mozzato”

“E’ che – nulla, insomma, non posso credere di averlo davvero detto”

“Detto cosa?”

“Non hai sentito?”

“Sentito cosa?”

“Lascia stare il bicchiere… non berlo più, non voglio essere responsabile di alcolismo fra adulti”

“Uomo innamorato”

“Cosa?”

“Sono un uomo disperato”

“Damon? Cosa hai detto?”

“Non sono un adulto… ma un uomo impulsivo”

“La parola che hai detto finiva in ato

“Fucilato? Organizzato? Stremato?”

“Sei stanco?”

“No. Sto ancora parlando con te, fino a prova contraria.”

“Vuoi che attacchi?”

“Tu cosa vuoi?”

“Bac—ballare. Tanto

“Anche io voglio baciar—ballare. Davvero. Io sono un tipo che balla.”

“Siamo troppo ubriachi per continuare questa conversazione.”

“Io ho bevuto. Tu no.”

“Non sono ubriaca di alcol”

“E di cosa?”

Ricordi quando ho detto ‘Quello che sto per dire è davvero pazzo, sconclusionato e contraddittorio’? Ho bisogno che tu perda lucidità. Davvero questa volta.”

“Sì, ma … a proposito, non me l’hai più detto!”

“Damon”

“Katherine”

“Bevi”

“Baciami”

“…”

“Non lo intendevo davvero…”

“Cosa hai detto? Mi era caduto il telefono…”

“Lo sto bevendo…”

“Di te.”

“…” “Allora? Non mi hai detto la prima cosa pazza e sconclusionata né di cosa sei ubriaca”

“L’ho fatto. Entrambe le volte.”
“Ma cosa…?”

“E comunque indosso un asciugamano. Sto per farmi un bagno.”

“Katherine…”

“Damon”

“Di che colore? Di… cotone? E come è annodato? Può cadere per terra facilmente?”

“Siamo troppo ubriachi per continuare questa conversazione.”

“Lo hai già detto… anche se non ho capito perché”

“Buonanotte, Damon. Sogni d’oro”

“Notte”

 

01.27

 

 

*e **: Personaggi del film “L’arte di cavarsela”, in cui George è un adolescente fatalista che crede fermamente nel fatto che tutto sia futile perché si è mortali, si nasce e si muore da soli, ragion per cui ogni cosa svolta dagli altri umani è un inutile passatempo, come, ad esempio, svolgere i compiti per casa. Per questo la battuta ironica su Damon. Sally, poi, è la ragazza con cui instaura un rapporto di “amicizia”, mostrandogli la sua vita, una New York diversa, aspetti come appunto l’amicizia e l’amore, ed ecco il riferimento di Elena.

 

 

Okay, questo capitolo non mi piace. La parte finale l’ho scritta e riscritta varie volte, ma il risultato è questo e non mi soddisfa. Avrei voluto scrivere un capitolo più “bello”, più “vivo”… ma non ci sono riuscita. Spero di non aver deluso le vostre aspettative! Inoltre vi comunico che il numero di capitoli mancante alla fine è cinque, epilogo compreso. Quindi sono 24 in totale. Solo il prossimo è già pronto, perché ultimamente non ho avuto molto tempo per scrivere, fra gare, compiti, test e varie.

La settimana prossima l’aggiornamento salta perché sono in gita e torno domenica, quindi non avrò tempo per postare, sia perché sarò stanca sia perché al massimo scriverò il ventuno/ventidue! J

Passando al capitolo…

Spero che la telefonata vi sia piaciuta. Ho voluto scrivere solo i loro discorsi perché avevo necessità di mettere a freno i pensieri, almeno per una mezzoretta (dalle 00.51 all’1.27).

Per il resto… cosa pensate accadrà nel prossimo? Damon? Elena?

Vi lascio con il solito spoiler:

 

“Risponde la segreteria telefonica di Caroline Forbes! In questo momento non sono disponibile per ricevere telefonate, per cui lasciate un messaggio acustico dopo il beeep!”

 

“Ehi, Care. Sempre io, Katherine… si può sapere dove sei finita? Stai dormendo e non puoi rispondere al telefono? Alzati dal letto, allora, pigrona!”

 

Grazie per il supporto datomi, grazie per tutto!! Mi fa piacere sapere che la storia, fino ad ora, vi piaccia!!

A presto, un bacio!

 

Passate dalla mia oneshot, Way to say (I love you) 

E dalla long scritta a quattro mani con _valins, To bet is to get

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Capitolo 20
*** Too late for second-guessing ***


Capitolo diciannovesimo


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Too late for second-guessing

 

 Elena

 

9.08

 

“Risponde la segreteria telefonica di Caroline Forbes! In questo momento non sono disponibile per ricevere telefonate, per cui lasciate un messaggio acustico dopo il beeep!”

 

“Ciao Care, sono Katherine… dove sei? E’ da qualche ora che ti cerco! Richiamami quando ascolti questo messaggio, ho solo voglia di parlarti. Dovevamo dedicarci alla nostra giornata fra amiche… a dopo, allora”

 

9.46

 

“Risponde la segreteria telefonica di Caroline Forbes! In questo momento non sono disponibile per ricevere telefonate, per cui lasciate un messaggio acustico dopo il beeep!”

 

“Ehi, Care. Sempre io, Katherine… si può sapere dove sei finita? Stai dormendo e non puoi rispondere al telefono? Alzati dal letto, allora, pigrona!”

 

10.27

 

“Risponde la segreteria telefonica di Caroline Forbes! In questo momento non sono disponibile per ricevere telefonate, per cui lasciate un messaggio acustico dopo il beeep!”

 

“Ho provato a chiamare a casa ma non ci sei, penso anche di aver rotto il citofono per aver premuto con troppa forza… dove sei? Mi preoccupo, Care… richiamami, ti prego”

 

11.01

 

“Risponde la segreteria telefonica di Caroline Forbes! In questo momento non sono disponibile per ricevere telefonate, per cui lasciate un messaggio acustico dopo il beeep!”

 

“Mi stai evitando? Cosa… cosa è successo, Caroline? Dove sei? Stai bene? Ti prego, Care, richiamami non appena prendi il cellulare in mano”

 

11.09

 

“Risponde la segreteria telefonica di Caroline Forbes! In questo momento non sono a casa, nel mio appartamento, nel mio bellissimo appartamento, per cui siete pregati di lasciare un messaggio acustico dopo il beeep!”

 

“Non sei neanche da Nik! Si può sapere dove diamine sei? Cosa stai facendo? Rispondi, dannazione! Caroline, richiamami. Ti --”

 

“Ti sto evitando!” sbotta la sua voce dall’altro capo del telefono, infuriata, aggressiva.

Aggrotto la fronte, mentre la mia muore in gola.

 

“Cosa? Care, non-”

 

“Oh, no! Non ci provare, bella! Ho bisogno di stare sola, al diavolo le tue domande ed il tuo finto perbenismo. Al diavolo, Katherine, Elena, o chi diavolo tu sia. Lasciami in pace, d’accordo?”

 

“Cosa stai dicendo? Caroline? Io non-”

Un singhiozzo. “Ti prego, smettila” quasi la vedo seduta con una mano a coprire gli occhi, quasi la vedo un attimo infuriata ed il successivo sull’orlo di un pianto isterico.

“Smettila, è da ieri sera che non posso non pensarci… Chi sei? Io… non capisco, mi hai chiamata mentre… lasciami stare, d’accordo? Voglio solo stare sola, adesso”

“Caroline, io non ti ho chiamata! Cosa succede?”

Un’automobile sfreccia all’incrocio, poi un’altra ed un’altra ancora e non mi rendo conto che il colore del semaforo è cambiato, è rosso e non è più il mio momento, il mio tempo.

Infilo una mano in tasca, nel trench nero che indosso.

“Caroline, non so cosa stia succedendo. Sono Katherine, sono tua amica… lascia che io ci sia per te”

Ride, di una risata a metà fra l’amara e l’isterica.

“Ma non capisci? E’ proprio per questo che non posso. Non sei Katherine, non sei mia amica, non puoi esserci per me… puoi solo sparire per un po’, me lo devi”

La sua voce si incrina nel finale, chiudo appena le palpebre e stringo le labbra; è flebile ma al contempo dura, dura nella sua convinzione che questa pazza ed irrazionale decisione possa avere un po’ di coscienza alle spalle.

“Non ti devo nulla, Caroline” esordisco poco dopo, stringendo la presa sul cellulare. “Ma lo farò”

Prende un lungo respiro, “Non sei tu”.

“Pensa quello che vuoi”

 

Siamo seduti su questo divano da mezz’ora. Il profumo quasi fastidioso di Bourbon nell’aria e lo sbattere del bicchiere di vetro su quel tavolo che ieri era pieno di felicità e spensieratezza, coperto da takeaway e biscotti della fortuna.

“E’ tutto vero?” ha domandato prima di lasciarmi accedere al suo appartamento. Non ho capito, non capisco tuttora ciò che è accaduto e sta accadendo.

Ma sono dentro. Sono rannicchiata sul divano che ieri ci accoglieva gioioso.

Passo le braccia attorno alle gambe: ho paura.

Lui è sulla poltrona, una mano a coprire gli occhi e un’altra con il bicchiere che trema appena.

Ho paura. Non ho mai visto Damon così, non ho mai sentito Caroline così.

“Presto otterrai quello che hai sempre voluto” diceva il biglietto del biscotto cinese. Ma cosa? Cosa ho sempre voluto?

Poggio il mento sulle ginocchia. La mia mente è così piena di ipotesi ma al contempo è così vuota, al punto che non so più cosa fare, non so più come comportarmi e mi dimentico di dove sono, mi dimentico di Damon che si alza all’improvviso e si inumidisce le labbra.

“Allora…” esordisce iniziando a camminare lentamente, mi innervosisce perché è tutto così calmo mentre la sua testa sta per scoppiare, Caroline è scoppiata ed io sono sulla buona strada per riuscirci.

“…chi sei, esattamente?”

“Come… chi sono, Damon?” scoppio arrabbiata. “Sono io quella senza memoria, dannazione, non tu, non tutti voi”

“Davvero?” lascia il bicchiere. “Dire che siamo confusi è riduttivo, dolcezza”

Sprezzante, abbasso lo sguardo verso terra.

“Confusi, confusi, confusi, ma cosa ho fatto?”

“Non lo so, è questo il punto. Cosa hai fatto? Cosa ricordi? E Las Vegas?”

“Stai scherzando, vero?” Prendo un respiro profondo.

“Sono sempre io, Damon, la persona con cui ieri parlavi, ridevi e stavi sul serio bene… dov’è finito tutto quello?”

“È per questo che voglio capire, cazzo!”

Deglutisco.

“Perché chiami Caroline e parli di Elena, della memoria, perché le ricordi cose fatte insieme e poi torni così, eh? Spiegamelo, perché giuro che sto impazzendo!”

“Io non ho chiamato nessuno, Damon, ero con te ieri, ricordi?”

“Caroline non è pazza!”

“Non lo sono neanche io!”

“Be’, ne sei sicura?”

“Ne sono più che sicura!”

Mi alzo, passo rapidamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Sai cosa, Damon? Prendetemi per pazza, per quella che non sono. A me non importa più, tanto valeva lasciarmi in quel dannato ospedale”

Impreca sottovoce, poi urla, facendomi tremare. “Importa a me!”

Stringo le labbra, lo guardo per un’ultima volta. “Forse è proprio questo il problema.”

 

 

Katherine

 

“Pronto?”

“Santo cielo, qualcuno che risponde! Damon non se ne parla, spero non sia troppo intimorito dal numero privato”

“Ma chi parla?”

Sbuffo. “Io, Katherine. Chi, altrimenti?”

“Katherine? Non eri con Damon?”

“No, cosa?… Caroline, ascoltami attentamente: non ricordo tutto, ma so cosa è successo a Las Vegas. E quella che si spaccia per me non è me. Non è Katherine. Si chiama Elena, Elena Gilbert. E rivoglio la mia vita indietro.”

“Katherine, cosa stai dicendo?”

“Sto dicendo la verità, Caroline. Parlammo di Damon e di Niklaus quel giorno a Las Vegas, no?”

“Kate…”

“No, Caroline?”

“…Sì. Non capisco… Che succede?”

“Succede che torno a casa, Caroline.”

“Sei a casa”

“Non è così”

“Chi sei?”

“Katherine”

“Non è vero, Kate è con Damon, questa sera, sono a casa sua e…”

“Adesso si prende anche il mio ragazzo?”

“Non è il tuo ragazzo, era il tuo amico, il tuo conoscente, non… ti prego”

“Mi credi?”

“…”
“Mi credi, Caroline? Devo raccontarti del libro che ti ho prestato e non mi hai mai restituito? Della Torre Eiffel dell’Hotel a Las Vegas? Dei nostri piani? Di quel poco che speravamo?”

“Non è vero”

“Senti, Stefan ed io siamo spaventati, confusi… lui è sbalordito, letteralmente senza… parole. Non l’abbiamo detto a nessuno. Manterrai il segreto?”

“Chi è Stefan?”

“Manterrai il segreto?”

“Non sei la mia Katherine”

“Caroline… sai cosa significa per me, questo? Sai cosa ha significato per me? Che c’è…” tiro su con il naso. “C’è un’altra me? Che qualcuno mente? Che ho perso tutto per la seconda volta? Care, almeno tu…”

“Non posso crederti, non posso e basta…”

“Ho vissuto in una famiglia non mia, e abbracciato il fratello che non ho mai avuto, e…” mi manca il respiro. Non… non pos—non è possibile che sia accaduto. “ho bisogno di te nella mia vita, ho un dannato bisog..”

“Katherine, non piangere…”

 

 

Elena

 

C’è un breve momento, quando ci si sveglia, nel quale siamo totalmente vuoti: incoscienti di noi stessi e dei nostri pensieri, drammi, problemi. E quel momento –nella mia vita, ora come ora- si sta estendendo, non è più un rapido e fuggente attimo, è un periodo nel quale l’unica reazione del mio corpo e della mia mente è il nulla. E’ l’apatia più totale. E’ il non saper rispondere. E’ il non aver più controllo della propria esistenza.

Come stai? Dove stai? Mi dispiace. Importa a qualcuno?  Non a me, non oggi, non con questo nulla addosso, con questo vuoto a colmare i miei vuoti, dirompente e che fa male.

Il tragitto verso il mio appartamento appare più lungo di quanto abbia mai creduto. Londra è trafficata, nel pieno della propria vita, piena di vitalità, mentre tutto scorre, mentre tutto conclude il proprio ciclo.

Trafalgar Square sarebbe a qualche fermata di metropolitana dall’appartamento di Damon, sarebbe a una decina di minuti di taxi se ne chiamassi uno, una ventina di minuti a piedi se solo avessi forza per porre una gamba davanti all’altra, un passo dopo l’altro.

Chiudo gli occhi.

Forse non dovrei provare nulla – o forse dovrei provare tutto – ma non ci riesco. Mi sento divorata dal senso di solitudine. Mi sento divorata dal nulla – il nulla che mi invade e mi fa sentire, paradossalmente, meno sola – ed ho paura. Sono un controsenso e, chissà?, forse anche uno scherzo della natura, come se fossi nata il primo aprile e fossi una di quelle battute senza gusto, scialbe, che non fanno ridere. Sono contraddittoria: è l’aggettivo più vicino alla normalità che potrei affibbiarmi, meglio che sola,  meglio che vuota, e meglio che umana.

 

Il solito giro di chiavi nella toppa e poi sono dentro, a respirare un’aria che pare non appartenermi più, fra un mobilio troppo scuro per la mia anima che credevo fosse più pura ed un calore familiare che si percepisce ancora di giorni e giorni fa.

Ed è il solito, potrei dire, con una voce che non riesce ad uscire dalla mia bocca, se solo non fosse per un dettaglio quasi inaspettato: uno specchio.

Deglutisco a vuoto, la paura di venti minuti fa può essere solo la punta dell’iceberg.

Il terrore è quello che mi fa compagnia adesso.

Lo specchio ha i miei occhi. Ed il mio corpo. E la mia voce.

“Tu devi essere Elena”

 

 

Katherine

 

Cabot Place West era il luogo in cui ci trovavamo: buste di shopping e racconti famigliari a parte, c’era qualcos’altro a fare da sfondo alla nostra complicità.

 

“Nessuna Katherine…”

“D’accordo, me lo aspettavo: dov’è il nostro shopping?”

Stefan mi sorride appena, inumidendosi il labbro inferiore.

“…Perché la nostra ricerca aveva un errore di base, Elena…”

Inarco le sopracciglia. “Cosa stai dicendo?”

“Ho chiesto di questa Katherine, mora, alta, bella, bel fisico, belle forme, sì, mi dicono, si chiama Katherine… ma il suo vero nome è Katerina”

“Non capisco, Stefan”

“Katerina Petrova, avvocato, identikit che corrisponde… potrebbe essere la tua anima gemella?”

Ride in un modo accennato, come se la sua felicità consistesse nell’avermi aiutato ed aver segnato. Stefan contro Destino, 1-0.

“Potrebbe…”

“Bene” unisce le mani e le batte. “Vuoi conoscerla? Vederla?”

Non sono pronta a questo. Sbatto le palpebre, il suo sguardo è ancora lì, di fronte al mio, incastrato al mio. Lo regge.

“Sì.”

“Bene, il mio amico ha detto che lavora nell’altro edificio, qui accanto, una certa… Mikaelson&Co”

No, Stefan, aspetta. Non sono pronta a questo. Mi ero preparata ad una delusione, al peggio, l’animo era già in pace quando sei sceso da me, nonostante il sorriso. Non sono pronta a trovare il mio sogno, il mio incubo, a capire perché sia così ossessionata da questa Katherine. Come se potrebbe ridarmi il mio passato, ciò che ho perduto.

Ma sì, Stefan, ce la posso fare se lo volessi sul serio.

Ed io lo voglio?

“Cosa si fa?”

“Mettiamo che a quest’ora è in pausa pranzo. Noi vaghiamo per i tuoi amati negozi e poi l’andiamo a trovare, vuoi?”

“Andata”

 

Sospiro. Ci sono stati i camerini, i vestiti acquistati, i discorsi su Jeremy e Bonnie, sulla famiglia… poi c’è stato il ritorno alla Mikaelson&Co.

 

Vestiti e vestiti dopo, parole e parole dopo, riusciamo a varcare la soglia di questo imponente edificio.

Mikealson&Co, studio di avvocati qualificati, tutto perfettamente in ordine e un vago senso di completezza mi invade.

“Salve” Stefan precede la mia voce ed i miei pensieri: sorride ad una donna mentre il mio sguardo si sposta per tutta la stanza, per tutto l’arredamento moderno ed elegante.

“Per l’ufficio Mikaelson?”

“Sì, allora… prendete l’ascensore, proprio lì,  e... anzi, Vicky!” chiama una donna dai lineamenti dolci e dai capelli lunghi e ondulati.

“Puoi condurre i signori all’ufficio Mikaelson? Grazie”

Questa ci osserva, poi sgrana appena gli occhi scrutandomi e sorride: “Kate, quando hai tagliato i capelli?”

Mi guardo attorno, spaesata. “Dici a me?”

“Katherine, sì…” il suo sguardo vacilla.

“Lei è Elena” prorompe Stefan, un tantino confuso.

“No, no” ribatte “sono abbastanza certa che tu sia Katherine, lavori qui, hai quegli occhi da cerbiatta, stavi con Elijah, litigavi con Nik… sei Katherine.” Ride come se la stessimo prendendo in giro.

“In realtà, cercavamo Katherine… Katherine Petrova, avvocato, mora, alta…?”

Stefan continua nella descrizione, io sono immobile, non riesco nemmeno a muovere gli occhi da lei definiti da cerbiatta.

“…intendi lei” Vicky o qualcos’altro mi indica, adesso, con una mano, sotto lo sguardo basito di Stefan, al mio fianco.

“Lei è Elena.”

“Mi state prendendo in giro, vero? Katherine, dì a quest’uomo che non è divertente”

Inspiro.

“Katherine?”

“Elena?”

“Io sono Elena, Vicky. Sono Elena Gilbert, nata a Chester il ventidue giugno di ventisette anni fa. Chi è Katherine?”

“Tu” ribatte convinta “sei tu Katherine”

Poi porta una mano alla bocca,  sgrana gli occhi e mi fa preoccupare.

“Non avrai—o, santo cielo!”

Scuote il capo, “Non avrai perso la memoria un’altra volta?”

“Un’altra? Chi sei tu?” La voce di Stefan ha perso la convinzione di qualche minuto fa.

Cosa penso? Cosa… cosa posso anche solo lontanamente pensare?

“Sono Vicky.” Piccata, continua imperterrita. “E tu, tu sei Katherine – saliamo e te ne darò la prova”

 

Vicky mi ha detto tutto. Vicky mi ha spiegato la mia storia. Vicky mi ha aperto gli occhi. Ha detto che Elena –quella che si spaccia per me- non c’era, era via con Caroline, allora siamo andati via e le ho fatto promettere di tenere la bocca chiusa riguardo me.

E’ come se si fosse accesa una lampadina – è stato strano.

Poi un rumore di chiavi, Elena di fronte a me… è spaventoso.

Ma mi faccio coraggio, mi faccio forza. Io sono una Petrova.

 

“Tu devi essere Elena”

 

 
___________________________________________________________________________________________________

Buon sabato a tutti!
E' da una vita che non aggiorno, lo so, ma per una ragione o per l'altra ho continuato a rimandare.
Questo è un capitolo importante, ho tentennato per un bel po' circa il postarlo o meno, ma la verità è che doveva accadere. E' accaduto. E' una sorta di capitolo di passaggio perchè non si capisce nulla, ma al contempo si capiscono un paio di cose, almeno per quanto riguarda il POV di Katherine.
vi elenco qualche spiegazione, magari ci ripensate e non mi linciate:
1. Non ha ricordato tutto, infatti nei flashback (quelli in corsivo) lei stessa dice che ricorda alcuni aspetti importanti della sua vita, ma questo si approfondirà nel prossimo capitolo
2. il primo flashback di katherine è la telefonata che ha con caroline, e la petrova fa riferimento al fatto che damon abbia rifiutato/non risposto la/alla chiamata, cosa che avviene con elena nel capitolo precedente
3. Per chi non avesse compreso la collocazione dei POV di Katherine, appunto, bisogna far riferimento al capitolo precedente: lei e Stefan parlano di Katherine: se la trovano è bene, altrimenti si daranno allo shopping maniacale. In questo si precisano altri aspetti di questo loro "viaggio". Il secondo flashback/secondo pov katherine è da collocarsi prima dello shopping del capitolo precedente. prima, perciò,
dei camerini, dei vestiti acquistati, dei discorsi su Jeremy e Bonnie sulla famiglia. Quando quello è successo, nel capitolo precedente, loro sapevano che, molto probabilmente avrebbero trovato la loro "katherine". Infatti dopo tutto quello vanno alla mikaelson&co e succede la fine del mondo ahahah
spero di essere stata abbastanza chiara, ma ne dubito ahahah
per ogni evenienza chiedete, spero di riuscire a rispiegarvelo!
ecco i link per il nuovo hairstyle di katherine, dimentico sempre di inserire le immagini ma ora ci sono riuscita! cliccate sulle "x":  x, x, x
dopo il finale di stagione che elucubrazioni mentali, spoiler, still promozionali e tumblr mi hanno indotto a pensare da tempo, credo che julie plec si divertirà nella prossima stagione! sono felicissima per rick ed enzo, spero per una svolta steroline perchè l'aver pianto sia per theloveofmylife sia per bonnie (aka due personaggi meravigliosi) deve essere compensato in qualche modo.
non vedo l'ora che sia ottobre!
vi lascio con lo spoiler del prossimo capitolo (siamo in tema oramai):

“Perché l’hai chiamata?”

“Chi?”

Alza le spalle. “Perché hai chiamato Caroline?”

“E’ tutto quello che ho.”

Scuote il capo. “Non posso fidarmi di te.”

“Mi dispiace, Elena, ma non hai altre opzioni”

“Dimmi perché siamo uguali.”

“Non so spiegarmelo.”

“Non posso fidarmi di te” ribadisce con un sorriso stanco.


grazie per tutto, per il supporto ricevuto con le bellissime parole, per le visite e per l'inserimento nelle varie sezioni! per me è fondamentale e poi, sapere di giungere alla fine della mia prima long in questo modo, mi rende felice:)
a presto, un bacione!!

Fate un salto qui, se vi va!
-la mia os, way to say, che mi sta particolarmente a cuore
-la nuova long scritta a quattro mani con _valins, To bet is to get

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Capitolo 21
*** The Big Bang theory ***


Capitolo ventesimo

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The big bang theory

 

Katherine

 

James Peebles disse che l’essenza della teoria del Big Bang sta proprio nel fatto che l’universo si stia espandendo e raffreddando. Non si parla di un’esplosione, ma bensì di come il nostro pianeta si evolve, non di come esso iniziò. Se potessi in qualche modo paragonare me ed Elena a questa teoria, lo farei. Non ho la benché minima intenzione di spiegare come è iniziato tutto, come si siano improvvisamente invertite le nostre vite –seppure, ne sono certa, lei meriti una qualche spiegazione- ma voglio discutere del fatto che ho bisogno di riavere tutto indietro, ho bisogno di spedirla dall’altra parte di Londra, dall’altra parte che abbiamo entrambe abbandonato.

Non capisco un sacco di cose, mi mancano numerosi dettagli per inquadrare finalmente la nostra situazione, ma quel che ho mi basta, ora come ora. Ed io che, fino a poco tempo fa, credevo che i ricordi fossero superflui tasselli della nostra intera esistenza (patetico destino).

“Tu devi essere Elena”

Lei si blocca, pare quasi paralizzata, ghiacciata, impossibilitata a muoversi. Il colorito olivastro passa ad una gradazione più chiara, quasi color latte, mentre le guance rimangono rosee, in netto contrasto con il resto della sua pelle.

Abbandona le chiavi per terra, in un gesto involontario che produce un lieve tonfo. Il silenzio è calato da quando ho aperto bocca, lei ha le labbra appena aperte, ma cosa dire?

Incrocio le braccia sotto il petto, avanzando verso di lei, lentamente.

“Come possiamo essere identiche?”

Credimi, sto cercando di capirlo anche io.

La sua è una giusta quanto curiosa domanda, posta con un tono che lascia trasparire la sua totale mancanza di convinzione.

“Possiamo passare ad un altro quesito? Non sono ancora in grado di risponderti.”

Serra le labbra e sembra pian piano riprendersi, almeno il necessario per indurire la mascella e spostare di poco il capo, quasi per non guardarmi, infastidita dalla presenza di una totale sconosciuta.

Poi riporta il suo sguardo su di me, lo fa subito, come se avvertisse la patetica necessità di continuare a scrutarmi e capire se siamo davvero identiche, davvero due gocce d’acqua.

“Senti, prima che possa formulare altre sciocche domande, sono stupita quanto te, ma, a differenza tua, posso chiarirti le idee… almeno un po’. Hai intenzione di ascoltarmi?”

“Chi sei?” ribatte incurante delle mie parole. Testarda. Quasi quanto me.

“Katerina Petrova. O Katherine Petrova, se preferisci.”

Sgrana gli occhi, facendosi un passo indietro e toccando il tavolino nero come se fosse l’unico appiglio a tenerla ancora viva di fronte a me.

“Immagino sia difficile, Elena, ma se ascolti quello che ho da dire sono certa che l’idea che questo sia il tuo reale nome non sarà poi così lontana da credere”

Mi scruta ancora, sbattendo le lunghe ciglia di tanto in tanto.

“Ti prego, Elena, sto cercando di mantenere la calma” il mio tono piatto rompe nuovamente il silenzio che si crea perché lei non risponde a ciò che dico, parla solo quando le pare e piace, quando ha la stupida forza di porre domande idiote.

“Proviamo così, allora: puoi scappare ancora, puoi svenire sul pavimento del mio appartamento e sappi che in quel caso ti sbatterei fuori da casa mia, oppure puoi accomodarti sul mio bellissimo divano, sicura che sarà di tuo gradimento, almeno quanto la storia che muori dalla voglia di ascoltare”

Si inumidisce le labbra e si siede senza che io parli più, senza nemmeno sfiorarmi con gli occhi scuri che tanto somigliano ai miei.

“Brava ragazza”

 

 

“Cioccolata e brownies vanno bene?”

Aggrotta le sopracciglia e annuisce appena, stendendo le braccia nella mia direzione, pronte a prendere la tazza piena di cioccolata calza ed il piattino sottostante, su cui ho poggiato alcuni dei pasticcini che Stefan credeva mi piacessero tanto.

Sorrido quando capisco che sì, ci ha azzeccato e che, ho azzeccato anche io: ma stiamo pur sempre parlando di Elena. Ed io sono Katherine. Lo sono.

“Stavi parlando di alcuni tuoi ricordi…” mi riprende, mormorando vaga. Annuisco di rimando e continuo il discorso iniziato una decina di minuti fa.

“A dire il vero non posso affermare con tranquillità di aver ricordato ogni cosa. Però questo mi basta, in un certo senso, capisci? E’ stata Vicky a gettarmi questo secchio d’acqua gelata addosso, metaforicamente parlando”

Scrollo le spalle, persino dimenticandomi della sua esistenza per qualche attimo.

“Ha parlato di me, della vita che prima ero cosciente di vivere e di quella che hai continuato tu ad insaputa di entrambe, delle mie relazioni e dei miei colleghi. E si è accesa una lampadina, la mia lampadina. Io ero questa. Io sono questa persona. I ricordi sono arrivati dopo, dopo la lampadina. Ho iniziato a vedere i dettagli, a mettere a fuoco la vista. Sono tornati. Come se nulla fosse mai andato via.”

“Cosa ricordi? Prima dello scambio, intendo…”

Beve un breve sorso e torna a guardarmi con la stessa intensità che quegli occhi grandi e scuri possono trasmettere.

“Qualche pomeriggio passato a studiare a casa, a Mystic Falls, in Virginia. Quando ho scritto la lettera di ammissione per il Whitmore, quando ci siamo trasferiti a Londra, io, John ed Isobel. Quando ho conosciuto Caroline. Elijah. Quello che è successo prima di Las Vegas, la sfuriata in ufficio ed il tragitto in macchina con lei…”

“Perché l’hai chiamata?”

“Chi?”

Alza le spalle. “Perché hai chiamato Caroline?”

“E’ tutto quello che ho.”

Scuote il capo. “Non posso fidarmi di te.”

“Mi dispiace, Elena, ma non hai altre opzioni”

“Dimmi perché siamo uguali.”

“Non so spiegarmelo.”

“Non posso fidarmi di te” ribadisce con un sorriso stanco.

Poggia la tazza sul tavolo basso di fronte al divano, sfrega le mani togliendo da queste ogni briciola di brownies rimasta e poi mi guarda, assottigliando lo sguardo.

“Non siamo un qualche gioco della natura, una cosa chimica, no? Non è come “Lo strano caso del dottor Jekyll e mr. Hyde”, noi siamo vive.” Ribatte inarcando le sopracciglia. “Deve esserci un qualcosa, una ragione che adesso non notiamo.”

“Perché sei così calma?”

Ride appena, con le punte delle labbra verso l’alto. “Perché, tu non lo sei?”

“Dovresti odiarmi. Dovresti urlarmi contro qualcosa, dovresti piangere, sbraitare, cacciarmi… io sono scoppiata.”

“Beh, correggimi se sbaglio, ma non sembra affatto”

Inclino il capo. “Ho detto che l’ho fatto, non che lo mostro. Non che l’abbia mai mostrato a qualcuno.”

“Hai abbandonato tutta la mia famiglia?”

Il modo in cui pronuncia quelle parole fa zittire entrambe per un po’.

“Sei scappata quando l’hai saputo?”

“E’ esattamente il mio modo per dire che sono scoppiata. Cento punti per la bravura, copia di me stessa”

Mi alzo improvvisamente, sospirando e cercando un modo per liberare la mente.

“Li hai chiamati la tua famiglia. Mi credi, allora?”

“Non lo so. Ma è… è come se qui non ci fosse più posto per me” Elena parla alle mie spalle, affievolendo il tono di voce.

“Ecco, volevo parlarti di questo…”

“Non me ne andrò sino a quando non avrò risposte” chiarisce prima che possa continuare il mio discorso.

“Hai un fratello, degli zii fantastici, due amiche strepitose ed un ex futuro marito che ti aspettano. Sono scappata, dubito che Stefan abbia parlato con loro e dubito ancora più fortemente che qualcuno non abbia notato la tua assenza. Sei il loro centro del mondo, Elena, devi andare da loro.”

“Devo andare e cosa? Iniziare la mia vita daccapo? Ancora? Lasciando te qui, in balia delle persone che mi hanno accompagnato nell’ultimo mese e mezzo?”

“Io sono a casa” puntiglio arrabbiata.

“Non chiamarmi Elena” ribatte con la stessa furia.

Ci stiamo guardando, adesso, e non ho neanche idea di cosa fare. Cosa dirle? Questo è il mio posto, è la mia casa e lei è di troppo.

“Hai chiamato i tuoi genitori?” domanda innocentemente, le mani poggiate sulle cosce e il volto inclinato verso destra. Mi guarda con una punta di preoccupazione, che subito si evolve in consapevolezza.

“Credi che noi sia-”

“No, Elena. Non possiamo essere sorelle.”

Ride con velata ironia, portandosi le mani alle tempie. “Hai qualche altra idea, allora?”

Io che abito a Mystic Falls.

Jeremy che mi parla di come Elena sia stata concepita lì.

Noi che siamo identiche.

“So solo che non possiamo esserlo, d’accordo? Nulla è certo. Potranno essere i peggiori genitori del mondo per come mi hanno cresciuta, ma sai cosa? Loro non mentirebbero a riguardo. Non su questo, perlomeno. Sanno… sanno quanto ho sofferto, okay? Sanno quanto avrei voluto un fratello, una vita migliore, frequentare il college più prestigioso dell’America. Non hanno potuto far nulla, non sanno prendersi cura di me… ma questo no. E’ troppo persino per loro.”

“Loro tengono a te, sono venuti a trovarmi”

Scuoto la testa, “Ah, sì? Dopo quante settimane?”

Si alza dal divano e tentenna un po’, incrociando le braccia e mi fa paura. Per la prima volta da quando siamo qui, la osservo. La osservo è capisco che è me, che è come me, che siamo fatte della stessa pasta e che i pezzi si stanno congiungendo.

Io che abito a Mystic Falls.

Jeremy che mi parla di come Elena sia stata concepita lì.

Noi che siamo identiche.

La nostra stessa testardaggine.

“Importa davvero quanto dopo? Sono venuti e basta”

“Sì, sì che importa – spalanco le braccia, possibile che non veda l’evidenza? – Non hanno saputo crescermi, hanno sempre avuto paura che fossi fragile, che potessi spezzarmi con un nulla. Mi hanno allontanata da loro, volendo che fossi diversa da entrambi. Io me ne sono accorta: sanno di non essere granché. Hanno lasciato che commettessi tutti gli errori possibili, hanno lasciato che Caroline si prendesse cura di te. Cosa pensi di questo, Elena?”

“Che ti vogliono bene, nonostante tutto e nonostante tutti.”

“Non mi hanno mentito. Non possiamo essere sorelle, dimentica ogni cosa. Devi andartene, ho bisogno della mia vita.”

Il cuore batte forte, lei rimane immobile, ferma ma diversamente da quando è entrata a casa.

“Katherine…”

“E’ stato bello conoscerti, Elena Gilbert. Vai nella direzione opposta dell’Alexander Park. Raggiungi Hampstead Heath, c’è la tua galleria nelle vicinanze. Tuo fratello ti troverà, stanne certa.”

 

***

 

Raggiungo Hyde Park, con la speranza che Caroline abiti ancora lì e sia rinchiusa in quell’appartamento piccolo, troppo turbata dalla mia chiamata e da due ragazze troppo simili per essere vere per uscire da lì e per darsi alla pazza gioia (o forse per buttarsi giù dal Tower Bridge).

Suono con insistenza il citofono, spingo più e più volte, però non mi giunge nessun cenno di vita.

Provo a chiamarla, a lasciarle un messaggio vocale e rimpinzarla di notifiche su WhatsApp.

“Caroline, so che non è il miglior momento per parlarti… ma giuro di essere Katherine. Lascia stare Elena e l’ultimo mese e mezzo trascorso con lei. Posso spiegarti quasi tutto se solo rispondessi. Richiamami, ti prego”

Con insistenza, mi dedico ancora al suo cognome al citofono. Continuo a suonare, ma nulla: suono altri nomi ed altri cognomi, nella vana speranza che qualcuno apra il dannato portone, anche solo erroneamente, anche solo supponendo che sia una stupida postina o una sciocca fioraia.

“Chi è?”

“Salve! Sono Forbes del terzo piano, ho dimenticato le chiavi… potrebbe--”

Ecco il suono che tanto aspettavo. Sorrido.

“Grazie mille!”

Raggiungo subito il suo pianerottolo, e ad ogni passo che compio sento che mi sto avvicinando sempre più a quella che, un tempo, era la mia normalità, la mia quotidianità, il mio presente, la vita che mi appartiene.

Busso.

Nessuno apre.

Attendo qualche minuto, fino a che non sento dei passi avvicinarsi all’uscio della porta. Abbasso lo sguardo per terra: ce la posso fare.

“Sì?”

“Caroline” esordisco allora, ma lei sgrana gli occhi e fa per chiudermi la porta in faccia.

“No, aspetta, Barbie” sospiro “se non vuoi sentirti in colpa per il resto della tua vita per avermi fatto amputare una gamba, apri questa porta e ascoltami parlare”

Lei rimane così, ferma, la mia gamba bloccata ed il suo sorriso spento che intravedo nonostante il buio regni nel suo soggiorno.

“Katherine…” prende un respiro profondo. Il modo in cui ha pronunciato il mio nome, in modo strascicato e stanco, non lascia presagire nulla di buono.

 “…dio solo sa quanto vorrei che fossi tu. E se lo sei, allora d’accordo, potremo parlare. Ma non ora” scrolla le spalle, tirando verso sé la porta e mostrandosi a me, seppure in uno stato pietoso.

“Ho bisogno di tempo per metabolizzare il tutto, comprendi? Se quello che mi hai detto al telefono è vero allora diamine, che ho bisogno di allontanarmi da te! Ho voluto bene ed aiutato una sconosciuta, lei mi ha aiutata ed è stata mia amica forse più di quanto lo sia stata tu per me prima. Non è un rifiuto, non prenderla sul personale… penso che tu debba prenderti qualche giorno di ferie da lavoro. Per me, per Damon, per Vicky, per Nik, per Elijah… domani dirò loro ogni cosa. Abbiamo solo bisogno di tempo, non puoi tornare e fingere che vada tutto bene. Devi reintrodurti pian piano nelle nostre esistenze e noi dobbiamo psicologicamente esserne pronti.”

Sospira. “Mi prenderò io cura di Damon.”

Immobile, lascio scivolare via la mia unica certezza.

Risoluta, lei chiude ogni contatto con me.

 

 

 

Elena

 

A: Damon

“Possiamo vederci?”

 

Da: Numero sconosciuto

“Non so chi tu sia, mi dispiace”

 

A: Damon

“Sono Elena”

 

A: Damon

“Sto per andare via, Katherine è ritornata alla sua vita. Non sono pronta a conoscere la mia famiglia. Ho bisogno di un volto amico.”

 

A: Damon

“Ho detto più di quanto tu ricordi in quella telefonata. E non potrai mai fare ciò che ti ho chiesto perché sono stata troppo codarda per pronunciare quelle parole quando tu c’eri, l’ho fatto mentre prendevi uno stupido bicchiere.”

 

Da: Numero sconosciuto

“Cosa stai cercando di dirmi?”

 

A: Damon

“Ho imparato il tuo numero di cellulare a memoria. Volevo che tu mi baciassi. Ero più vicina a te di quanto entrambi credessimo. Libero di non credermi, so che non ci rivedremo più. Sei una parte di me che non voglio dimenticare. Il presente mi aspetta e tu non ne fai parte.”

 

Sono divenuta troppo codarda: non riesco a chiamare né a lottare per la persona che mi ha resa, seppure non sappia come e quando, quella che sono adesso. Sono diventata un cliché e qualcuno facile da modellare, semplice da buttar giù, come è successo con Caroline, come è successo con Katherine e come è successo, poco meno di un minuto fa, con Damon.

Ed io non posso semplicemente credere che tutto questo stia accadendo. Tutte le persone a cui ho voluto bene nell’ultimo periodo mi hanno dato le spalle, una sconosciuta identica a me mi caccia da quella che era ed è la sua vita, dicendomi che gliel’ho strappata e che per qualche strana e contraddittoria coincidenza lei ha vissuto la mia.

Mi sento intrappolata in uno stupido gioco, in un incubo: vivo della sola speranza che qualcuno mi svegli. Come posso essere andata via quando Katherine me l’ha imposto? Perché non sto lottando? Dove dovrei andare? Dove dovrei essere adesso?

Importa?

E’ davvero fondamentale conoscere da dove veniamo, per poter andare avanti? Il passato è solo un tassello della propria esistenza, è come l’esempio negli esercizi, che serve unicamente a dare un imput, un punto di partenza. Ma cosa conosciamo? Dei ricordi, delle abitudini? E sono davvero importanti per sopravvivere? Woody Allen una volta ha detto “Cosa conosciamo? Cioè cosa siamo sicuri di conoscere, o sicuri che conosciamo di aver conosciuto, se pure è conoscibile? Possiamo conoscere l'universo? Mio Dio, è già così difficile non perdersi a Chinatown...

Ed io vorrei averlo capito un po’ prima, sono come Chinatown ed i ricordi si perdono come turisti in un numero pressoché spropositato di volte. Mi stringo nel maglione di lana bianco, mentre getto nell’enorme scatolone del passato tutti gli errori commessi.

Possiamo scegliere dove andare solo dal presente in poi.

E nessuno, per ora, sembra farne parte. Ci sono solo io.

 

Incoming call, 18.21

 

Il nome di Damon lampeggia assieme al mio cellulare.

Rifiuto la chiamata.

 

Incoming call, 18.21

Damon.

 

Rifiuto. Ancora.

 

Nuovo messaggio. Da Damon. Ancora.

Dove sei? Recita il testo di due sole parole, un punto di domanda e non so quanta preoccupazione alle spalle. Che qualcuno ci tenga a me, nonostante io non sia nessuno?

Ammettere anche solo per un secondo che io abbia un’immensa e spropositata paura mi terrorizza più del terrore stesso. Ammettere di non essere nessuno, di aver perso identità e affetti in meno di una giornata mi spaventa. Ammettere di essere sola, nel freddo di una città che sto imparando a detestare mi apre un varco nello stomaco.

Non posso tornare in quella che l’altra me giudica casa mia. Non ho idea di come sia fatta la mia vita, ammesso che ne avessi mai avuta una.

Non posso… semplicemente non posso.

 

Dove sei? Ti vengo a prendere.

 

Io ho paura, Damon.

Ne ho così tanta da non capire più quale sia la cosa giusta da fare.

Scoppio in un pianto liberatorio.

 

Trafalgar Sq.

 

Il mio cuore batte forte, l’ansia riempie ogni mio punto morto e vuoto, sono immersa in lei tanto da sentirmi quasi anestetizzata.

Non muoverti da lì. Arrivo subito.

 

Deglutisco.

 _____________________________________________________________________________________________________

Finalmente il tanto atteso capitolo con le due petrova a confronto!

Come vi è sembrato? attendo pareri perchè è una scena davvero delicata, come fra l'altro, le successive: sia quella che coinvolge Elena e Damon, sia quella con Katherine e Caroline. Il capitolo è un po' lungo, mentre il successivo no, ecco perchè spero mi perdoniate:)

Non ci sono note nè appunti sul seguente capitolo, se non una. Comunque sia, se avete bisogno di chiarezza basta chiedere e risponderò volentieri! Katherine ed Elena sono confuse eppure alle volte si definiscono appunto Katherine o Elena. Non sono bipolari e non perdono nuovamente la memoria, no, solo che sono ad un passo dal convincersi circa la loro reale identità, e credo che in una situazione come quella ci siano costanti dubbi e nuove certezze in continuazione. Qualcosa si spezza e si allontanano da un'idea o viceversa. Insomma, spero di essere stata chiara.

Vi  lascio con il solito spoiler:

“Voglio che rispettiate le mie scelte. E la mia scelta è non parlare di Katherine, non nominarla, non pensarla, non averla qui. Ha già fatto troppi danni.”

Damon scoppia: “Questo ha fatto tanti danni, io li ho fatti, Katherine e te non potete averne fatti. Non nelle vesti dell’altra.”

“Non proteggerla solo perché sei innamorato di lei!” sbraito io

Grazie per il supporto datomi!

A presto, un bacio!

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Capitolo 22
*** So far from where we are ***


Capitolo ventunesimo

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So far from where we are

 

Elena

 

Damon cambia marcia con un gesto secco, inumidendosi il labbro inferiore e continuando a guardare di fronte a sè. E’ sera inoltrata ed il buio fa compagnia ad una città troppo viva e troppo grigia, riflettendo i miei stati d’animo, il miscuglio di sentimenti non identificati che mi bloccano il respiro se mi ci soffermo troppo.

Stringe il manubrio con una presa non salda, le nocche sono del loro solito colore e le mani sono quasi completamente distese. Smetto di guardare lui ed il suo profilo, i suoi movimenti e, per un secondo, mi ritrovo a pensare a quello che sento, per cui volto il capo di fronte a me e decido che devo distrarmi.

Parlare non pare essere un’opzione, sono troppo scossa per dire qualcosa a riguardo e indecisa se scusarmi; d’altra parte lui ha reagito non nel migliore dei modi, mostrandosi vulnerabile e non so dire se questo è un bene o un male. Mi sono sentita attaccata durante la nostra ultima discussione, e, inoltre, l’unico aggettivo con cui riesco a descriverlo è (di nuovo) vulnerabile. Vulnerabile forse perché tiene a me, all’altra me, a sé stesso o semplicemente alla sua sanità mentale.

“Elena… giusto?”

Sobbalzo al sentire la sua voce, per lungo tempo ho ascoltato solo i miei pensieri e poi, sentirlo così calmo e apparentemente pacato dopo quel discorso, sembra essere un’assurdità.

“Credo… credo di sì.”

“Dov’è Katherine?” tamburella le dita sul volante lasciando trasparire ansia da quel questo innocente.

“Suppongo a casa.”

“Avete parlato?” mi rifila l’ennesima domanda da interrogatorio, mettendomi a disagio più di quando credevo fosse possibile.

“Sì.”

“Perché siete identiche?”

“Lei dice di non saperlo.”

Stringe le labbra, lo noto con la coda dell’occhio. “Io l’ho chiesto a te… a meno che non possediate il dono della telepatia, oltre quello della magia che vi permette di essere due gocce d’acqua”

Tagliente, pronuncia queste parole. Sospiro.

“Credo che abbiano a che fare i nostri genitori. Non so dire se i suoi o i miei, ma mi sembra un’impossibile coincidenza che due persone senza alcun legame siano identiche.”

“Perspicace. Hai parlato con quelli di Elena, Elena?”

“No” ribatto secca.

“E perché, se posso chiedere?”

“Perché implicherebbe l’andare da dei perfetti sconosciuti. Ed io ho-”

Mi blocco, mi mancano le parole e Damon, accanto a me, si irrigidisce. Stringe la mascella e smette di  parlare, di porre domande lecite ma apparentemente inopportune e guida con il silenzio nell’abitacolo.

Ho paura. Ho troppa paura. Ecco cosa, inconsciamente, stavo per dire.

In un modo che suona terribilmente patetico, adesso, sento che non riuscirei più a parlare con lui come accadeva prima. In un qualsiasi momento, razionalmente o meno, gli avrei confidato ogni cosa, senza conoscere la reale motivazione del mio gesto. Ora invece no.

Ora, invece, mi sento inopportuna. Come le mie parole.

“Ti posso accompagnare io.”

“Ma non vuoi farlo” replico un attimo dopo, pentendomi di quelle parole.

“Non puoi dirlo.”

Prende un respiro profondo e continua a parlare. “Sei sola. Senza memoria, per giunta, Elena. Per quanto tu sia una sconosciuta per me, sono ancora un essere umano. So che è la cosa giusta da fare.”

“D’accordo” ribatto, rilassandomi sul sedile. “Portami da loro.”

“Adesso?”

“Prima lo farai, prima ti libererai di me.”

Elena

Il suono della sua voce mentre pronuncia quel nome che non sembra appartenermi del tutto non fa altro che testimoniare il voler allontanarsi da me. Eppure è qui, così vicino. E’ distante con le parole ma a qualche decina di centimetri con le promesse.

“M’importa.” Esclama non sbottonandosi troppo con i suoi pensieri.

“Lo hai già detto.”

Le sue nocche diventano quasi bianche. “Ma tu non sembri capirlo”

I miei occhi sfuggono innervositi dal suo controllo, dall’unione con i suoi e, improvvisamente, quest’abitacolo sembra stringersi sempre di più fino a far scomparire tutto l’ossigeno presente.

Deglutisco, buttando giù un groppo in gola di quelli davvero dolorosi.

Insistente e famelico il suo sguardo indugia sulla mia figura, poco dopo ritorna di fronte a sé, sulla strada, nel momento esatto in cui stringe le labbra ed una nuova consapevolezza prende possesso del mio animo.

Un dejà vu.

Una sensazione già vissuta precedentemente. Le luci delle macchine attorno a me. I rumori della strada e il pensiero quasi sfuggente che l’essere stata investita possa ritorcersi contro me.

Stringo gli occhi, riducendoli a due fessure, nella speranza che la destinazione non sia così lontana.

 

***

 

Non è difficile arrivare ad Hampstead Heath e scorgere l’unica e quasi fuoriposto galleria nelle vicinanze. A differenza di quanto lei ha detto, non c’è nessuno ad aspettarmi. In fin dei conti, sarebbe stato anche un po’ surreale cercare qualcuno semplicemente aspettando. O, per la peggiore delle ipotesi, nessuno si è accorto di questa mancanza.

Damon, al mio fianco, avanza di qualche passo e raggiunge la porta d’ingresso. Ovviamente è tutto buio, è notte e non è possibile sperare di trovare qualcuno a quest’ora. Ma lui è più furbo di me, è più lucido di me e, quasi paradossalmente, quei pochi passi di differenza fra me e lui sono più significativi di quanto credessi. E’ davvero lontano da me. E per quanto io corra per raggiungerlo, per quanto avanzi nella spasmodica voglia di essere al suo fianco, non ci riesco.

“Ci sono dei recapiti telefonici” insorge qualche attimo dopo, “Credi che risponderà qualcuno?”

Alzo le spalle, “Provare non costa nulla, no?”

Guarda la vetrata lucida e poi sposta lo sguardo sul suo cellulare, in un movimento che mette ancora più in risalto il suo profilo ed i suoi lineamenti da capogiro.

“Ehm, pronto?”

I miei occhi scattano nella sua direzione, sui suoi, che adesso mi osservano con insistenza.

“Sono con Kat- Elena” inspira. “Ad Hampstead Heath

Sbatte le lunghe ciglia e ascolta una voce che non riesco ad udire. “Non sono un maniaco né un serial killer” ribatte sarcastico.

“Arriviamo subito.”

 

Siamo seduti nel grande salotto di casa Wasilgilbert, non molto ampio ma con un arredamento elegante e raffinato (e costoso, aggiungerei, ma non tutto quel che luccica è oro… anche se, qui, non ne sarei tanto certa). C’è un caminetto in marmo bianco sul muro più grande dell’intera stanza, di fronte al quale sono disposti tre divani color latte attorno ad un tavolino basso pieno zeppo di vasi con fiori, le cui tonalità variano dal bianco al lilla.

I divani tre posti sono arricchiti con semplici cuscini quadrati con strisce più scure; l’ambiente è luminoso e le tende panna sono tutte chiuse, mettendo in particolare risalto un pianoforte nero disposto in un angolo dell’intera stanza.

Accanto a me ci sono solo persone sconosciute, due donne per l’esattezza, che mi lanciano qualche occhiata più spaventata che felice di rivedermi. Sul divano di fronte a me c’è Damon, che tamburella le dita sulla sua coscia e sorride a metà fra il sarcastico e lo scocciato. Accanto a lui due uomini, uno dei quali visibilmente giovane. Siamo qui, intenti a… far nulla? Scrutarci? Aspettare che torni la memoria?

“Quindi tu sei… Elena.”

Lo dice una bruna con la pelle ambrata, la quale spera che forse io sappia più di lei. Alzo le spalle, perché in fondo, cosa ne posso sapere io?

“Ma l’uomo al telefono ha detto che lo eri.” Ribatte poco dopo, assottigliando lo sguardo.

“La verità è che nessuno lo sa. Tranne Katherine... forse.” Subito volto la testa nella sua direzione, Damon che prende la parola; sono quasi catturata da quel nome, come se mi appartenesse ancora. Come se fosse mai stato mio.

“Katherine?” dice l’altra mora al mio fianco.

“La Katherine di Stefan?” continua un istante dopo.

Damon serra le labbra e indurisce la mascella. Io lo guardo. Sembra voglia ribattere. Sembra voglia specificare che Katherine non è di Stefan. Non lo è mai stata. Perché Katherine è sua.

Questi annuisce, con lo sguardo basso e perso nel vuoto di fronte a sé.

“Tu sei… Stefan.” Esclamo allora, e tutti mi osservano con gli occhi sgranati. “Lei ti ha nominato. E anche… il fratello.”

Damon rotea gli occhi al cielo, in un gesto che sa di esasperazione e stanchezza. E’ troppo per lui? E per me?

“Non è quell’Elena” parla Stefan, posando lo sguardo su di me, chiaro e colpevole, ferito e perso.

“L’ultima che abbiamo avuto qui.”

La prima mora scrolla le spalle. “Non puoi saperlo”

“Sì che posso.” Stefan mi indica. “Elena ha tagliato i capelli. I suoi sono lunghi.”

Divento, in poco tempo, il polo dell’ attenzione di tutti i presenti.

“Cosa sai di Katherine?”

Rido istericamente. “Pensavo di esserlo. Lo penso ancora, se non rifletto. Sono così abituata alla sua vita al punto che tutto questo non mi piace. Voglio tornare lì, a casa.”

“Ma sei a casa” ribatte il giovane che non ha aperto bocca.

Scuoto la testa, stanca. “Non ho idea di chi io sia, se Katherine, Elena o chissà chi altro. Non ho idea di quale sia il mio posto, ma lì sono stata bene. Mi hanno voluta bene.”

“Possiamo amarti allo stesso modo.”

“Non ci capisco più nulla!”

“Come possono essere identiche?”

Quanto mi manca Elena.”

La famiglia dell’altra me –ammesso che io sia Katherine – pronuncia queste frasi nel medesimo istante.

“Katherine ha ricordato. Non tutto, perlomeno.” Damon prende la parola, sfregando piano le mani. “Che voi sappiate, Elena è stata a Las Vegas ultimamente?”

Tutti si incupiscono, c’è chi abbassa lo sguardo e chi lo punta su Stefan.

“Stefan?” chiedo io, mormorando appena il suo nome. Lui sembra riprendersi – come se quella voce gli sia mancata, come se fosse un ricordo che prende vita, come se fossi la sua Elena.

“Sì, con me. Dopo che le ho chiesto di sposarmi.”

Damon deglutisce. “Bene, cosa è successo? Perché la mia Katherine ha avuto un incidente.”

Pronuncia duro queste parole, in modo quasi tagliente, ferendomi appena. Come se avessi appena avuto una fitta all’altezza del cuore. La mia Katherine. La donna che ama.

“Abbiamo discusso. Lei aveva… lei…”si copre la fronte con una mano, prima di proseguire. “Lei aveva bevuto. Ed io ero stanco, arrabbiato da come si stava comportando. Quando si è allontanata non ho provato a seguirla. E’ stato—“ adesso mi guarda negli occhi, mentre i suoi sono quasi lucidi. “E’ stato stupido da parte mia. Ma ero furioso. Hai… hai fatto un incidente. Ti ho trovata ore dopo, in un ospedale piuttosto lontano dall’Hotel. Perdonami, Elena.”

Damon ed il ragazzo al suo fianco mormorano un coglione sottovoce, quasi nello stesso momento.

Si guardando di sottecchi.

Katherine non ha ragione: la mia teoria sembra essere perfetta.

“Ricordo Las Vegas.” Inizio incerta. “La mattina in ospedale… prima di Caroline, c’era Las Vegas. Me lo ricordo. E’ l’unica cosa che abbia mai ricordato da quella mattina sino ad oggi.”

“L’Hotel con la torre eiffel?”

Damon ha un briciolo di speranza negli occhi azzurri. Lo sa, sa che Katherine era lì con Caroline quel giorno. Me l’ha detto la bionda una volta. Damon sa che, se io rispondessi di sì, sarei la sua Katherine.

Ma se la mia risposta fosse no, tutto ciò che abbiamo vissuto è stata una bugia. La mia vita è stata una bugia. E questa sarebbe, molto probabilmente, la mia famiglia.

Non sono pronta a mandarlo via, ad azzerarmi daccapo.

Però lo faccio – scuoto la testa, rassegnata, un po’ triste, mentre la speranza si allontana da entrambi.

“Dobbiamo parlare con Katherine.”

“Non la voglio qui” blocco Stefan facendo saettare il mio sguardo su di lui.

“Elena…”

“Non la voglio qui. Voglio solo chiarezza. E lei non può darmi ciò che voglio.”

La odio.

“Voglio che rispettiate le mie scelte. E la mia scelta è non parlare di Katherine, non nominarla, non pensarla, non averla qui. Ha già fatto troppi danni.”

Damon scoppia: “Questo ha fatto tanti danni, io li ho fatti, Katherine e te non potete averne fatti. Non nelle vesti dell’altra.”

“Non proteggerla solo perché sei innamorato di lei!” sbraito io.

Tutti si ammutoliscono.

Damon chiude gli occhi. Sospira.

“Domattina sarò di nuovo qui, in compagnia. Niente idiozie del cazzo, dovete esserci tutti.”

La sua voce è atona, vuota di ogni minimo sentimento che non riveli un’apparente rabbia e frustrazione.

Va via, prendendo la sua giacca e lasciandomi in balia di ciò che temo di più.

Non rispetta le mie scelte, non mi ama, mi odia e basta.

Mi sento incredibilmente vuota.

 

 

Katherine

 

Caro diario,

il mio psicanalista diceva che avrei fatto bene ad averne uno.

Quanto lo odio.

Solo adesso lo sto ascoltando. E non so nemmeno il perché. Okay, probabilmente lo so. E’ che non ho più nessuno, adesso. Nessuno.

 

Mi rendo conto dell’idiozia che ho appena scritto e strappo l’intera pagina.

 

Caro diario,

tutto bene.

Tutti mi parlano, non c’è nessun problema.

 

Accartoccio anche questa pagina.

 

Sto bene.

 

Aggiungo la data di oggi e ripongo il quaderno sul letto del mio appartamento.

 

Sorseggio un po’ di caffè, questa mattina mi sono svegliata terribilmente male e dire che non sono riuscita a dormire, questa notte, non credo nemmeno renda il concetto.

Il liquido scuro e bollente è nella mia tazza colorata, in quella che ho sempre usato.

E’ strano a dirsi – a sentirsi, a pensarsi: essere a casa.

Eppure lo sono: i miei muri sono questi e mi circondano, mi proteggono da quello che c’è fuori.

Sono passate delle ore da ieri, delle ore da quando ho cacciato Elena di qui, da quando Caroline ha chiuso con me e con lei Damon, Nik, Elijah, Vicky – persino Vicky.

E non sto bene, per quanto voglia mentire a me stessa. C’è una parte di me che sperava in un ritorno ai vecchi tempi non del tutto ricordati, un ritorno a casa, con amici, Damon, Elijah, ai litigi, al mio lavoro, alla mia famiglia.

Ma nulla di tutto questo è accaduto: sono più sola di prima.

E riesco a pensare solo una cosa da quando mi sono svegliata (come se avessi mai chiuso occhio).

Un qualcosa di assurdo che non vorrei mai e poi mai fare.

Eppure c’è una parte di me che lo sa, sa che lo farei, sa che ne sono in grado perché prima era prima, sa che potrei fare del bene. Nuoto da tempo senza sapere di non poter stare a galla, di non potermi muovere perché vivo in agonia, ho sempre chiuso gli occhi ed evitato di aprirli, di guardare e capire cosa avevo e cosa perdevo.

Ma ora lo so: e non è da me (ma chi sono io?), affatto. Ma me lo devo.

Prima a me stessa.

Poi ad Elena.

Ma io resisto, lo faccio sempre.

In fondo, sono una Petrova.

___________________________________________________________________________________________________________

Buonsalve! Eccomi qui, con un nuovo capitolo dello strano caso:)

se vi state chiedendo il perchè di questo ritardo... niente, ho finito di scrivere la storia e mi sento davvero incompleta, credo che l'epilogo sia a tratti delirante e a tratti totalmente diverso dalla "serietà" presente nei vari capitoli. Okay, ma passiamo alle note di questo capitolo!

1. Hampstead Heath: è l'ambientazione della vita di Elena, ma, se qualcuno volesse saperne di più, è qui su wikipedia:)

2. https://www.youtube.com/watch?v=2v2_VQxUxmc  questa è la magnifica canzone da cui il titolo prende nome... credo che la conosciate tutti per ovvie ragioni, in più io amo Birdy e molte delle sue canzoni/cover hanno fatto da sottofondo musicale a tvd (vedete il funerale di Bonnie con "without a word" o quello di jenna con "skinny love" etc)

3. questo capitolo, a mio parere, è pieno di dettagli Delena, ma credo siano difficili da scovare. Questo è il punto di vista di Elena,  questo è quello che pensa lei e quello che vede lei, ma c'è sempre l'altro lato della medaglia... e qui mi riferisco a una frase in particolare:) non vi dico altro perchè altrimenti vi rovino la lettura/vi anticipo quello che accadrà nell'ultimo capitolo!

4. cosa ha in mente Katherine secondo voi? anche perchè vi dico che qui finisce ufficialmente il suo percorso, il resto sono dettagli o piccoli eventi che seguono a quanto accade qui!

5. ecco il salotto di casa Wasilgilbert! 

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6. so che il capitolo non è molto lungo, ma è importante, a cavallo fra il precedente e ciò che accadrà nel successivo, dove verrà spiegata e chiarita ogni cosa, dalla storia delle gemelle a tutto il resto:)

per qualsiasi altra cosa, basta chiedere!

vi dico grazie perchè mi sopportate/supportate, nonostante io spesso impazzisca, nonostante la mia insicurezza e nonostante questa storia non sia il meglio che io abbia mai dato. grazie infinite per tutto quanto, davvero! sarebbe bello capire cosa pensaste anche di questo capitolo, so che avreste voluto qualche passo in avanti fra Damon ed Elena, eppure per quanto mi riguarda io vedo molto di loro qui!

vi lascio con lo spoiler e qualche link!

-la mia long fortunata ad essere ancora su efp, acid rain
-la mia os, way to say, che mi sta particolarmente a cuore
-la nuova long scritta a quattro mani con _valins, To bet is to get

Dal capitolo 23:

Alza le spalle. “Le cose nelle nostre vite non vanno bene da un pezzo”
“Lo so”
“No” esclama, “Tu non lo sai davvero, Elena… tu hai un fratello, stavi per sposarti ed avevi tutto. Io ho sempre navigato nel mare dell’incertezza.”

//
“Lo chiedi a me?”
Ride appena, scrollando le spalle e mi sento totalmente stupida per aver parlato con lui.
“Scusami… dimentico che, beh, tu sei Stefan”

//
“Il problema” inizio io, “è che non so più di cosa si tratti”
“Il problema” continua lui, “sei tu, Elena”

a presto ed un bacio!

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Capitolo 23
*** People help the people ***


Capitolo ventiduesimo

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People help the people

 

Katherine

 

“Quasi non ci credo che abbiamo avuto la stessa idea” Damon incurva le labbra in un sorrisetto sincero, che mi spinge a pensare e a riflettere, e subito giungo ad una patetica conclusione. Siamo cambiati.

Siamo cambiati velocemente e senza rendercene conto: dallo stare sulle nostre a rimuginare o unicamente a pensare a noi stessi, adesso siamo insieme per aiutare qualcun altro.

Osservo la facciata principale della casa che mi ha ospitata per tanto tempo, il luogo che è stato il mio rifugio quando credevo che quelle persone che mi circondavano fossero la mia vera famiglia.

Ci voltiamo quasi simultaneamente verso la sua Camaro celeste, parcheggiata in fondo al viale, dopo il grande giardino della casa di Stefan. Due persone sono all’interno, hanno gli occhi bassi e non credo parlino più di tanto: lo stretto necessario l’hanno detto durante il viaggio fin qui; nessun “come stai?”, nessuna spiegazione, niente di niente: credo siano sensi di colpa.

“Li chiamiamo?” domanda Damon ed io annuisco, chiudo la portiera alle mie spalle e lo guardo per un attimo.

“Aspetta, Damon”

Lui mi guarda e mi pare essere passata un’eternità da quando i suoi occhi chiari si sono posati su di me.

“Non dire nulla, ho capito” abbozza un sorriso che sa di dolore ma anche di comprensione. Non l’ho mai visto così, giuro, mai così forte e così masochista.

Grazie.

“Posso farti una domanda, prima che tutto cominci?”

Lui annuisce e torna a scrutarmi attento e con lentezza, soffermandosi sui miei occhi e mi sento, per la prima volta dopo tempo, vulnerabile soprattutto perché lui mi conosce, mi ha conosciuta ed è qui nonostante tutto, nonostante tutti.

“T’importa davvero tanto di lei?”

Adesso ride con il viso voltato verso destra e le fossette agli angoli delle labbra appena accentuate. Chiude la portiera della Camaro e schiocca la lingua sul palato.

E’ questo il punto, credo, e non penso che Elena l’abbia capito. Lui d’altronde non ha fatto che girarci intorno, evita il problema ma non si vuole allontanare da questo perché è quello che lo rende vivo e come è adesso.

“Non dire nulla, ho capito”

Scuote la testa, quasi rassegnato: “Non ci capisco più nulla”

“Abbiamo portato loro qui per una ragione”

“Lo so” afferma, “Lo so”

Sospiro. “Bene. E’ tempo di entrare.”

 

***

Gli occhi di Elena saettano nella nostra direzione: sono vispi, accesi, contornati da occhiaie e sembra, per la prima volta, così piccola, indifesa, così diversa da me.

Ha i lunghi capelli legati in una coda alta che mette in mostra il viso a cuore, una felpa blu di almeno una taglia più grande che l’avvolge e dei pantaloncini grigi piuttosto corti e, mi permetterei, piuttosto amati dal Damon al mio fianco.

Sorrido quando la vedo, accenno ad un saluto con la mano ma la sua espressione rimane impassibile e anzi: cammina oltre evitandoci e andando in quella che credo essere la cucina.

“Non voleva vederti…” Damon mormora sottovoce, io scuoto lievemente la testa e “E tu me lo dici solo adesso?” esclamo.

Mi rivolge uno strano sguardo, “Andiamo, Katherine, cosa ti aspettavi?”

E non lo so, vorrei dirgli, non ho la benché pallida idea di cosa mi aspettassi.

“Ehi tu” la voce dell’uomo al mio fianco richiama un giovane… Jeremy.

“Jeremy” parlo io, lui si volta verso me e sgrana gli occhi. “Elena?” domanda con voce bassa, ma io scuoto la testa e incrocio le braccia.

“Possiamo accomodarci? Abbiamo visite”

“Prego”

 

***

“Non voglio nessuno di loro qui”

Elena sbuffa e si lascia andare contro lo schienale del divano. Si trova all’estremità, ha Jeremy accanto che la osserva di tanto in tanto. Credo sia l’unico di cui si fidi.

Non so se gli altri siano felici di non avermi più tra i piedi, confusi per mandarmi a quel paese o delusi dal fatto che non abbia parlato con loro – probabilmente tutte e tre le opzioni.

Damon al mio fianco si irrigidisce, così come John e Isobel. Per me è già tutto meno strano, è come se avessi accettato il mio destino – come se fossi più leggera e senza un peso sullo stomaco, come se quando Damon mi ha proposto di andare con lui ed i miei genitori da Elena tutto fosse divenuto incredibilmente più chiaro. Ho avuto la stessa idea, e se ci ripenso forse ci rido sopra.

E’ tutto molto confuso, senza chiarezza ma pieno di ombre e dubbi: per me c’è luce perché quando i miei hanno accettato si è sciolto già un dubbio. E sì, scusami Elena perché non ti ho creduta, ma adesso i nostri ruoli sono invertiti e sembra che sia tu, adesso, a dovermi delle scuse.

“Ascoltiamo cos’hanno da dire” propone Jeremy, sorridendo cauto ad Elena che, ammutolita, non fa nulla: non acconsente, non nega, non si muove minimamente. L’unico spostamento del corpo è dato dai suoi occhi che si poggiano sulle figure di due adulti con una coscienza non esattamente pulita.

“Grayson e Miranda sembravano i genitori perfetti: una casa con giardino, una grande e benestante famiglia, un amore incondizionato verso i bambini.” John sorride ed il suo sguardo vacilla nel vuoto: attratta nel peggiore dei modi dalle sue parole, lo osservo come gli altri nella stanza.

“Venivano spesso a Mystic Falls, dove abitavamo, ricordi Kate? Avevano una casa delle vacanze, bianca, elegante e sorridevano sempre quand’erano in città.”

Annuisco con il capo, in modo quasi impercettibile.

“Non era un periodo molto felice, ma nonostante tutto noi avevamo la nostra gioia: Isobel era incinta, ci divertivamo a cercare i nomi più belli per la nostra bambina… quando, al terzo mese di gravidanza, successe tutto. Noi… scoprimmo di aspettare due bambini. Non uno. Non poteva essere vero. Le nostre condizioni economiche non erano promettenti, ma decidemmo comunque di tenerli entrambi. Avere un bambino rende migliore la vita di un genitore, averne due… è tutt’altra cosa. Emozioni raddoppiate.”

Abbasso lo sguardo per terra, stringo le labbra, aggrotto la fronte.

“E’ stato – è stato dopo aver perso il lavoro a cambiar tutto quanto. Per quanto io cercassi di trovarne uno, eravamo senza via d’uscita: due bambine in arrivo e nessun futuro per loro, una vita che si prospettava senza risvolti per le persone più importanti della nostra vita…”

Elena incrocia le gambe, Bonnie accarezza il pancione.

“… quando ho partorito” inizia Isobel con lo sguardo vuoto “abbiamo portato a casa le bambine.

Grayson e Miranda volevano tanto un figlio, lo desideravano così tanto che avrebbero fatto di tutto per averne uno. Adottarono una mia bambina. Non ricordo come successe, io…”

“Grayson era un medico, falsificò il certificato di nascita delle mie figlie: risultava ne avessimo solo una. Così avremmo potuto garantire un futuro ad entrambe… Miranda desiderava fortemente che noi scegliessimo il nome della piccola…”

“Elena” continua Isobel, “Elena perché significa scintilla, una persona splendente. La bambina sarebbe cresciuta bene, sarebbe stato un fuoco che non avrebbe mai smesso di ardere… Poi c’è stata Katerina, lei significava purezza. Era quello che serviva a noi, quello che volevamo essere: puri. Noi ti abbiamo sempre voluta bene, Elena, ed ogni qualvolta Grayson e Miranda venivano a farci visita ci informavano su di te, sulla tua salute, sulle prime parole che pronunciavi. Poi smisero di farci visita… e tornarono dopo qualche tempo… Miranda era incinta e voleva farcelo sapere… dio, era così felice…” Isobel si passa una mano sugli occhi.

“Jeremy… l’avrebbero chiamato così. Ed Elena avrebbe avuto un fratellino con cui giocare. Dissero che era entusiasta all’idea, che rideva e aveva una famiglia strepitosa. E noi ti abbiamo vista da lontano, ti abbiamo voluto bene da lontano, Elena…” John guarda Elena negli occhi, lei un po’ trema e ha gli occhi che preannunciano una caduta psicologica.

“Dopo un po’ ottenni un lavoro. Kate iniziava a crescere ed avere esigenze maggiori, cercava di ottenere il massimo in tutto quello che faceva, credo per… onorarci. Alla fine del liceo aveva scritto diciotto lettere per l’ammissione ai college più importanti del posto… Diciotto… eri così ambiziosa, volevi andartene da Mystic Falls e diventare qualcuno di importante, ma alcuni rifiutarono la richiesta, alcuni non potevamo permetterceli…”

“Ed andai al Whitmore, a sole due ore da casa…”

John mi osserva. “Già… Ma volevamo credere in te, ti davamo il possibile… ti davamo un pezzo del presente che stava vivendo tua sorella. Lei era stata ammessa al King’s College e tu non avevi nemmeno una borsa di studio… fu l’ultimo viaggio di Miranda e Grayson, ci dissero questo, passarono un buon momento di coppia a Mystic Falls e… l’incidente.”

“Poi ci siamo trasferiti a Londra” inizio io. “E poi c’è stato tutto il resto”

Vedo Stefan fermo, immobile. Damon ha gli occhi puntati verso lei, Jeremy sui nostri genitori.

Cala il silenzio.

Un conto è pensarlo, immaginarlo… un altro sentirlo, capire che è tutto vero. Che non ho mai avuto il massimo nella vita perché me la sono cavata da sola, che ho creduto per anni di essere figlia unica mentre un fratello o una sorella era ciò che più desideravo. È vera la storia di Elena, lei che ha avuto quello che io sognavo, lei che è cresciuta bene.

Lei che adesso non ha ricordi di queste sue vite, di quei genitori che le hanno dato la vita, che l’hanno cresciuta. I nostri ruoli sono ironicamente invertiti… e se non fosse stato per Stefan? O per me, non prudente alla guida? Non ci saremmo mai incontrate?

“Ho bisogno…” Jeremy si alza ed Elena lo segue con lo sguardo, punta gli occhi grandi e scuri sulla figura del fratello che abbiamo entrambe amato come se fosse stato nostro consanguineo.

Poi c’è Damon che aggrotta la fronte, si agita quando è seduto, guarda un po’ qui, un po’ lì, sfrega le mani e poi le allontana bruscamente.

Rose guarda la pancia di Bonnie e Bonnie guarda la sua pancia.

Isobel e John non guardano nessuno che non siano loro o i loro figli, pardon, la figlia che hanno dato in adozione facendole del bene.

“Katherine, possiamo parlare?” Elena mi chiama ed io mi volto, tutto è così strano perché sembriamo accettare i nostri nomi, le nostre vite e qualcosa che fino a poco tempo fa era incertezza e buio.

“In privato, magari?”

 

 

Elena

 

“In privato, magari?”

Lei annuisce e si alza dalla sua postazione, mi volto e sento i suoi passi dietro la mia figura. Arrivo in cucina, poggiando i palmi di entrambe le mani sul tavolo di lavoro lucido e chiaro, percependo il fresco a contatto con le dita bollenti.

“Cosa volevi dirmi?” domanda con le braccia incrociate, si guarda poi intorno come se questa zona della casa non l’avesse mai vista. “Oh, aspetta” muove un indice ed indica tutto quello che ci circonda, “non mi avrai portata qui per uccidermi, no? Con i coltelli e tutto?”

Accenno un sorriso e scuoto la testa. “Sarebbe stata un’idea…”

Sgrana gli occhi.

“…ieri. Ma oggi ho capito una cosa. Anche molto importante.”

“Sentiamo, principessa dei poveri, cosa hai pensato?” si siede su uno sgabello e si sporge verso di me.

Alzo le spalle. “Non pensi che sarebbe bello vivere questo valore? Ottenere questa intimità?”

“Non ti seguo”

Sbuffo. “Katherine, per quanto sia strano ammetterlo… tu sei la mia famiglia. Non ti vedo nemmeno di buon occhio, e dio solo sa perché…”

“Io un’idea ce l’avrei”

“…ma siamo una famiglia, per quanto non ti sopporti, per quanto non abbiamo avuto modo di conoscerci”

Inclino il capo e la guardo, mentre non ha ancora compreso la questione. I capelli sono abbastanza corti e le incorniciano il capo. Non riesco ancora a credere che siamo davvero uguali. Io vedo lei… e non penso a me.

“Sto cercando di dirti che dovremmo essere unite. Che tu hai recuperato gran parte della tua vita, che entrambe sappiamo il nostro passato. Ma tu sei un passo più in avanti di me. Ed io… sono sola. Dietro. In svantaggio.”

“Non è un gioco, Elena, lo sai, vero?”

Scuoto il capo. “E’ più difficile di quanto immaginassi… allora, ricominciamo. Quello a cui ho pensato è… questa casa è grande. E’ così grande. Ed io non ricordo nulla, non so nulla di quelle persone in soggiorno. Se non di coloro che mi sono stati vicino nell’ultimo periodo.”

“Damon” ribatte lei, incrociando nuovamente le braccia.

“Damon, sì, ma anche Caroline, Klaus, persino Vicky ed Elijah! Perciò, io mi chiedevo se almeno tu volessi rimanere qui per un po’ di tempo. So che Caroline ti reclamerà, perché lei è così, è un vulcano-”

“No” mi blocca, “Caroline non mi parla.” Deglutisce. “Vuole metabolizzare il tutto. Io sono… sola, ecco”

“Quindi…”

“Quindi vuoi che accetti per giocare a fare le sorelle? Vuoi che ti dia una mano a sopravvivere, vuoi che ti porti notizie dell’altra parte di Londra?”

Nego con il capo. “Io voglio che questo sia reale, di noi due sorelle. Voglio imparare a conoscerti, ad apprezzarti, e chissà, a fidarmi di te. Voglio provare a far andar bene le cose.”

Alza le spalle. “Le cose nelle nostre vite non vanno bene da un pezzo”

“Lo so”

“No” esclama, “Tu non lo sai davvero, Elena… tu hai un fratello, stavi per sposarti ed avevi tutto. Io ho sempre navigato nel mare dell’incertezza.”

“Ed è per questo che ti sto dicendo questo” esclamo cercando di non alzare il tono di voce, “Ci sto dando una possibilità”

Si alza e si porta una mano sugli occhi, stanca. “Vado a casa”

Stringo le labbra, ci avevo davvero sperato? Sento il peso della stanchezza sulle mie palpebre, nei vestiti di Jeremy che indosso, nei capelli senza vita che ho legato in una stupida coda di cavallo. Fantastico, benvenuta nella tua nuova vita, Elena.

“Non ci vorrà molto, prendo il minimo indispensabile e torno”

Cosa?

“Ed, ah! Elena?”

I miei occhi incollati sulla sua figura. “Non ti preoccupare, non guido io. Mi faccio dare un passaggio da qualcun altro… se sai cosa intendo” rotea gli occhi in un gesto che dovrebbe dirmi un paio di cose ma, in realtà, non ci capisco nulla.

 

***

 

Seduti sulle scalinate che danno sul giardino, io e Stefan guardiamo la sera che incombe sulla periferia di Londra. E sì, ho capito cosa intendesse Katherine una decina di ore fa quando diceva “se sai cosa intendo”… ma no, non sono stata in grado di parlare con Damon, perché lei, chiaramente, non si è fatta dare un passaggio da lui. Ma da Rose.

E sì, ci siamo anche evitati tutto il giorno, perché sì, io mi sono comportata decisamente male, perché sì, lui è evidentemente ancora innamorato di quella Katherine, quella vera che non ha nulla a che vedere con un’inconsapevole agiata e artista lontana dal suo mondo.

Lui sospira, credo che sia finalmente libero, lo vedo più tranquillo rispetto a ieri… ed ha comunque un’aria più rilassata. Non ho idea di cosa gli passi per la testa.

“Stefan, quando dovevamo sposarci?”

Lui mi guarda, aggrotta le sopracciglia. “L’estate prossima. A giugno. Era quello che programmavamo sin dal college… un matrimonio in estate”

“Mi piace l’estate”
“Lo so”

“Ma credo di amare l’inverno”

Spalanca gli occhi, credo che non si aspettasse questa affermazione. Poi prende parola.

“Io credo, invece, di doverti delle scuse” si volta nella mia direzione e alza le spalle. “Semplicemente per il modo in cui mi sono comportato negli ultimi mesi, o forse anni… ti sei disinnamorata di me da tempo, ma sono stato troppo impegnato per vederlo, sono stato troppo stupido per capirlo”

“Stefan… non ricordo nemmeno” ma lui continua, imperterrito, non gli importa, sa che capirò comunque.

“No, Elena, arriverà il momento in cui ricorderai e questo avrà un senso… sono stato il peggiore dei coglioni, il fidanzato che nessuno avrebbe mai voluto. Non sei stata la mia priorità per lungo tempo, ed ho sbagliato, lo so, ma spero ancora che, non oggi, né domani, tu potrai perdonarmi”

“D’accordo”

Poi cala di nuovo il silenzio, io spalmo la mia schiena sul muro, e, se presto attenzione, posso ascoltare la voce di Bonnie e Rose che mangia pop corn. Posso sentire Jeremy e Katherine dibattere su un videogame. E’ questo che intendevo, prima – la mia famiglia. Voglio sentirmi a casa. Voglio che anche lei ci sia, nonostante tutto. Ed è forse proprio per questo (il nonostante) che le ho fatto quella proposta.

“Posso chiederti una cosa?”

Stefan domanda dopo un po’, ed io annuisco.

“Lui… l’uomo che ti ha accompagnato qui ieri… cosa è per te?”

Nessun ti piace?, nessun mi hai già rimpiazzato? per quanto inopportuno sarebbe stato, solo una curiosità.

Sospiro.

“Io… non lo so. Quando sono con lui… dimentico di essere Elena, non sono più neanche la Katherine che lui pensava io fossi. Credo che insieme siamo stati diversi. Lui mi ha apprezzata ugualmente, lui mi ha scelta ugualmente, non sempre ha rispettato le mie scelte… lui è la persona sbagliata, nonostante non mi abbia mai data per scontata. Sembra che con lui sia ritornata l’Elena del college, da quanto mi avete detto. Credo che mi piaccia… è sbagliato?”

“Lo chiedi a me?”

Ride appena, scrollando le spalle e mi sento totalmente stupida per aver parlato con lui.

“Scusami… dimentico che, beh, tu sei Stefan”

“Sai che sei ancora in tempo? Nel senso, sai che non è ancora partito, no?”

“Come, scusa?”

Sorride. “E’ nell’altra stanza. Credo che Katherine abbia portato qualche vestito in più… o che aspetti te”

 

***

 

“Non so se l’ho mai detto, ma io amo quella macchina”

Un tonfo e lui chiude il portabagagli.

La Camaro azzurra è illuminata dal chiarore della luna e delle luci della casa.

“Hai intenzione di sgridarmi?”

Incrocio le braccia. Scuoto la testa. “No. Scusa per ieri, non so cosa mi sia preso”

“Bene.”

“E grazie per essermi venuta a prendere a Trafalgar Square, per avermi accompagnato fin qui. Lo apprezzo molto.”

“Bene.”

“Hai intenzione di ripeterlo per ogni cosa che dirò?”

Alza le spalle. “Hai molto altro da dire?”

“Non lo so. Non programmo le cose”

Bene

“Perché sei ancora qui, Damon?”

Mi gela con i suoi occhi dello stesso color del mare.

“Vuoi che me ne vada?”

Scuoto la testa. “Non credo di aver detto questo”

“Bene”

“Mi dispiace, okay? Quante volte dovrò ripeterlo?”

Lascia stare la sua macchina e si avvicina a me, mantenendo comunque molta distanza fra i nostri corpi.

“Non lo so, Elena, perché continui a seguirmi, a parlarmi e a comportarti come nulla fosse quando pensi che sia chiaramente innamorato di Katherine? Perché un attimo prima sembra che ti importi e l’attimo dopo no?”

“Di cosa stai parlando, Damon?”

Non lo so, dimmelo tu”

“Il problema” inizio io, “è che non so più di cosa si tratti”

“Il problema” continua lui, “sei tu, Elena”

Deglutisco e serro le labbra dopo le sue parole. Ha ragione? “Vuoi che me ne vada?”

“Il problema” alza le spalle, ignorandomi bellamente  “è che non vedi quanto sei insicura, non hai la minima idea di cosa ti passi per la testa. Il problema è che un attimo prima mi sembri una bambina, il successivo una donna sicura di sé.”

“Qual è il punto, Damon?” Mi stai ferendo.

“Esserti vicino mi fa impazzire, e non esserti vicino mi fa impazzire”

La sua fronte è aggrottata ed io non ci sto capendo più niente. Inizia a soffiare del vento fresco e il cielo è più blu di qualche minuto fa.

“Adesso sono davvero confusa…”

“Bene”

Mi avvicino a lui, una manciata di passi riescono a colmare il vuoto fra noi due.

Mi alzo in punta di piedi, sfioro con la mano la sua maglia grigia. Sfioro le labbra di Damon.
Un bacio.

Un tocco lieve e così inaspettato che sembra non essere mai successo.

Poco dopo torno sulle quelle labbra, più disinibita, e allaccio le mani al suo collo quando la mia irruenza incontra la sua. Così come le nostre confusioni, i nostri malintesi, il fatto che ora sembri così sbagliato baciarlo.

“Perché l’hai fatto?” è la domanda che sibila qualche attimo dopo, a pochi millimetri dalle mie labbra.

Il suo sapore è ancora su di me, respiro lui ed il suo profumo.

“Ho avuto una giornata di merda e ne avevo bisogno”

“Bene”

E non mi da nemmeno il tempo di ribattere che ritorna su di me, a sovrastare il mio corpo, le mie labbra e la mia aria. Schiaccia il mio corpo contro il muro e contro sé stesso, ora è impossibile muoversi ma, a dire il vero, non ne ho affatto voglia.

Sfiora il mio collo e alcune ciocche di capelli disordinate e fuoriposto e torna a baciarmi con intensità.

Mi perdo in lui, offusca la mia mente e sì, lo confermo: sono anche più confusa di prima.

“A cosa era dovuto questo?” chiedo io con gli occhi quasi socchiusi, aperti il necessario per godermi il suo sorriso.

“Ho mantenuto la tua promessa”

__________________________________________________________________________________________________

Salve a tutti!

Avevo detto che avrei postato prima di una settimana… giusto perché finalmente si sarebbe capito qualcosa di Katherine ed Elena, ma avrei potuto far di meglio: solo sei giorni dal capitolo ventuno.

Okay, a mia discolpa posso dire che… uhm… ero alle prese con le idee per una nuova long? E che non riesco più a scrivere data la fine dello strano caso? Ecco, sì.

Va bien, passiamo al capitolo!

a) spero che la vicenda sia chiara, ormai! Due gemelle separate alla nascita perché john e isobel non riuscivano economicamente (e non solo) a mantenere due bambine e dare loro il futuro che meritavano. Ora so che molti di voi avevano delle ipotesi, per cui mi scuso se non è all’altezza delle vostre aspettative, mi scuso di avervi fatto penare ventidue capitoli per sapere una storia semplice e a tratti banale!

b) Il percorso di Katherine terminava nel capitolo precedente, l’avevo detto ed era una sorta… di anticipazione, nel senso che lei ha fatto quel che doveva, quel che poteva e nel frattempo è cambiata. E con questo non dico che sarà tutta pace e amore d’ora in poi, non sarebbe né da lei né da me, ma nel processo ha appreso nuove cose, ha nuove certezze e ne vuole altre, motivo per cui fa una cosa buona per Elena (convocare damon, isobel e john da elena)

c) (d)Elena: vi ho fatto penare sempre ventidue capitoli per un loro incontro ravvicinato, lo so! Ma prima mi sembrava affrettato, sbagliato: nella versione originale della storia (ovvero la mia prima idea) damon ed elena avevano un incontro molto ma molto ma molto ravvicinato nel capitolo dove adesso c’è la loro conversazione al telefono. E da lì lui avrebbe capito che quella lì non era la sua Katherine. Forse più realistico? Non so, ma non li vedevo pronti né abbastanza uniti/vicini per passi del genere.

Elena ha comunque nutrito un certo interesse per Damon almeno negli ultimi capitoli, l’ha desiderato almeno quanto lui che ha imparato ad amare Elena da… uhm, credo il capitolo 14, il loro viaggetto per londra? Comunque, credo che parlare con stefan fosse necessario: sa la sua storia, sa che ha amato quell’uomo ma adesso non è più così… ha ventisette anni e si sente come un’adolescente alla sua prima cotta con Damon perché lui l’ha stravolta mai dandola per scontata. Ditemi i vostri pareri!

d) il titolo fa riferimento ad una canzone, della quale Birdy ne fa una cover.

e) avete presente Elena con la coda di cavallo? No? Beh, datele un’occhiata: è meravigliosa.

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f) due spoiler per l’epilogo, il solito scritto… ed un’immagine. Vi avviso che ci sarà solo un punto di vista, che è ambientato un bel po’ in avanti rispetto ad adesso, e che può risultare pazzo e a tratti surreale perché non è triste, non è intriso di queste vicende… ma è quasi felice, il mio esatto opposto quando l’ho scritto.

Un personaggio indosserà questo vestito: chi? Si accettano scommesse!

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Adesso la smetto e vi ringrazio davvero molto per tutto ciò che fate per questa storia. per me è tantissimo, e significa altrettanto. Grazie davvero, in più vi sprono a lasciarmi un parere su questo capitolo fondamentale!:)

Un bacione e a presto!

 

Dall’epilogo:

“Che c’è?”

“Elena… stai davvero dando di matto.”

//

“Da quand’è, esattamente, che non andate a letto, voi due?”

shameless selfpromo
-la mia long fortunata ad essere ancora su efp, acid rain
-la mia os, way to say, che mi sta particolarmente a cuore
-la nuova long scritta a quattro mani con _valins, To bet is to get

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Capitolo 24
*** Epilogo - Like a family ***


Lo strano caso delle Petrova

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Epilogo – Like a family

 

Elena

 

“Quella bambina è sempre così vivace?”

Bonnie alza la testa, “Chi, Katherine?”. Scuoto la testa, alzando di poco le spalle. “Intendo Elena”

“Sai che non la vedo da una vita… ma credo di sì, insomma, è identica al cugino da piccolo!”

Rido.  “Sì, probabilmente…”

Mi accerto che nessuno mi veda e tolgo delicatamente le scarpe col tacco dai miei piedi.

“Non le sopporto più!”

Bonnie sgrana gli occhi, “O mio dio, Elena! Ti rendi conto che siamo ad un matrimonio? E devo anche ricordarti di chi sia?”

Sbuffo, “Andiamo! La sposa non penserà affatto a me!”

Lei mi rivolge un’occhiata fintamente arrabbiata e inclina il capo di poco, costringendomi a sbuffare e rimettermi le scarpe, tutta dolorante.

“Ti odio, Bonnie Bennett, non hai idea di quanto mi facciano male”

Continuo a lamentarmi anche una volta infilate le Jimmy Choo color verde acqua, e, quando Bonnie inizia a straparlare della sua vita coniugale –e di dettagli che, lo giuro, non dovrebbero essere ascoltati nemmeno sotto tortura- io scappo via, ottenendo una Bonnie Bennett non-più-di-tanto infuriata e dei piedi che urlano in tutti i modi quanto mi odino per gli sforzi a cui li sto sottoponendo.

La sposa volteggia nel suo costoso abito bianco, è davvero mozzafiato ed il marito – un uomo che io ho visto, eccome se ho visto – lo è altrettanto. Mi invade un moto di tristezza, io ed il mio insipido vestito verde acqua (nemmeno avesse scelto Caroline i vestiti delle damigelle… oh, un momento: l’ha fatto) ci consoliamo con dello champagne (o è forse del prosecco?) servito da alcuni camerieri davvero carini incitati a sorridere dalla stessa bionda pazza ed impulsiva che ha organizzato l’intero matrimonio.

Mi accascio stanca su una sedia di un tavolo qualsiasi, male che vada conosco comunque tutti gli invitati… credo.

Scorgo Stefan al mio fianco e mi rilasso impercettibilmente.

“E’ il quinto bicchiere che bevi… e non siamo nemmeno alla torta”

“Ti prego” esclamo sarcastica “non dirmi che adesso metterò in cattiva luce la sposa dicendo idiozie”

Lui scoppia a ridere, nel suo smoking nero e nella camicia bianca e in perfetto stato.

“Elena… sei tu la sposa”

“Divertente” rido ironica, vuotando il bicchiere in pochi istanti.

“Odio la nostra famiglia” e così dicendo mi tolgo –per l’ennesima volta – le Jimmy Choo dai piedi. “Ci sono troppe nascite e troppi matrimoni.”

“Intendi…”

“Il matrimonio di Jenna e Rick, il tuo, quello della sposa, l’anno prossimo avremo anche quello di Caroline e dio, dio!, non voglio nemmeno pensarci" afferro la sua forchetta e mangio quello che aveva infilzato.

“E’ buono… cos’è?”

“Non ne ho idea” scoppia a ridere e lo seguo a ruota.

“Ma davvero, per non parlare degli addii a nubilato, le feste di fidanzamento, gli anniversari, i compleanni dei bambini, lo scegliere la sala, il vestito, il bouquet e tutte quelle altre cose… odio i matrimoni”

“Non è vero!” sbotta lui, “Li ami!”

“Li amavo” lo correggo. “E amavo anche i bambini un tempo”

“Potresti ancora amare tutto” esclama a un punto “Se solo, ad esempio, Jenna non avesse chiamato sua figlia Elena… e Bonnie e Kol la loro bambina Katherine”

“Esatto!” affermo continuando a mangiare dal suo piatto.

“Bonnie vuole anche un secondo figlio! Per non parlare del tuo matrimonio! Caroline deve assolutamente smetterla di organizzarli, perché diamine, ho davvero odiato i tovaglioli blu ed i fiori rosso College!”

“Ehi” mi richiama “non me l’hai mai detto!”

Alzo le spalle, “Siamo stati insieme, Stefan, non potevo dirtelo né mettere a tacere Care… e poi pensa a questo matrimonio, Katherine è così bella… ed io sembro un pallone gonfiato. Il brutto anatroccolo. Non ho idea di cosa combinerà al suo, di matrimonio!”

Stefan mi lancia un’occhiata strana.

“Che c’è?”

“Elena… stai davvero dando di matto.”

“No, no! Io ho amato te e Rose insieme, davvero, non me lo aspettavo ma sì, state bene! Io vi voglio anche bene, Stefan...”

“Elena”

“E pensare che Elijah ci ha provato con me! Nel senso… quando ero Katherine, ricordi? Ed adesso si è sposato con lei!”

Elena

 

Sono trascorsi otto mesi da quando io e Katherine abbiamo perso la memoria: eppure qualcosa di positivo è accaduto in quest’arco di tempo. Ad esempio, infatti, la mia gemella ha riallacciato i rapporti con Caroline, che prima era decisamente impazzita, al punto da indossare due scarpe diverse per andare a lavoro. Oppure, tanto per dirne un’altra, lei ha fatto chiarezza sul suo presente, ha ricevuto una promozione ed ha avuto qualche appuntamento con Elijah. Di nuovo.

Stefan è tornato quello di un tempo, anzi, del tempo di cui non ho ancora memoria, infatti tutti sembrano felicissimi di aver ritrovato il loro vecchio amico, quello che lavora di meno, vede più partite con Jeremy e Matt, beve birra e prova anche a frequentare donne. Per il momento, sembra che nessuno abbia fatto breccia nel suo cuore.

Ed ora sono alla Mikealson&Co, per consegnare a tutti i nostri conoscenti barra membri della nostra enorme famiglia gli inviti per il battesimo a cui segue una festa di pochi intimi  (se solo qualcuno conoscesse ancora il significato di questa parola), quelli della piccola Katherine, la figlia di Kol e Bonnie.

Eppure mi blocco quando due mani mi cingono i fianchi, spaventandomi e facendomi bloccare.

“Elena…”

Damon?”

Lo sento imprecare e mi viene quasi da ridere per ciò che dice. “Non dirmi che sei Katherine…”

Scoppio in una fragorosa risata perché alcuni ancora ci confondono, nonostante il taglio di capelli diverso, i nostri vestiti e piccole abitudini che ci rendono davvero due persone che non hanno quasi nulla a che vedere con l’altra.

“Sai che mi distrai se vieni a trovarmi a lavoro?”

Ed io annuisco perdendo pian piano la facoltà di intendere e volere, soprattutto quando il suo respiro caldo si infrange sul mio collo.

 

Caroline e Bonnie giungono al nostro tavolo, con uno strano cipiglio in volto.

“Si può sapere che succede? La mia migliore amica si è sposata, mentre l’altra, nonché identica alla prima sta urlando e stramazzando!”

“Elena, tesoro…”

“Ho litigato con Damon”

“Cosa?” Bonnie.

“Ecco, lo sapevo” Caroline.

Stefan sospira.

“Potremmo aver discusso riguardo matrimoni e bambini…”

“Non ci credo!” Bonnie ha le mani sul viso.

“O mamma mia!” Caroline alza i sopraccigli.

Stefan sbuffa.

“E guardate com’è bello con quel completo nero.” Seguo la figura di Damon con lo sguardo e tutti mi imitano, persino Stefan. “Mette in risalto gli occhi chiari ed il viso che urla Baciami! Baciami!”

“Da quand’è, esattamente, che non andate a letto, voi due?”

“Stefan!” Caroline.

“Non sono domande da fare!” Bonnie.

“Che c’è?” sbotta lui “L’ultima volta che è successo Elena è impazzita, abbiamo litigato ed ha perso la memoria!”

“Stefan!” quasi urlo io “santo cielo, sei identico a Rose! Quanto vi odio! E poi, fra l’altro, non l’ho nemmeno più recuperata, stronzo!”

Adesso tutti mi guardano male, persino mia sorella in mezzo alla pista da ballo. Potrei aver urlato… .

Sbatto le ciglia, sorridendo amorevolmente a tutti. “Tutto bene! Piccoli ex crescono!”

Qualcuno mi rivolge un’occhiata strana, alcuni borbottano circa il mio comportamento ed una sola persona – il cui viso urla Baciami! Baciami! -  ridacchia divertita.

“Scusate” lascio il mio trio inseparabile “il mio quasi fidanzato ride di me”

E, mentre mi allontano, ascolto Bonnie e Caroline che sgridano Stefan perché “non si chiede a una donna da quando non va a letto con il suo uomo!” e “credevo non si chiedesse solo l’età”.

Camminando, mi rendo conto di aver dimenticato le scarpe al tavolo… stringo le labbra e spero vivamente che Caroline non lo noti.

Damon sorride lasciando tutte le bambine senza parole, e forse anche qualche zitella ora totalmente affascinata da un uomo che, se non avessimo litigato, non potrebbero nemmeno nominare. Mi metto al suo fianco ad osservare mia sorella e mio cognato.

“Bellissimi tacchi”

“Ti ringrazio”

Sorride, sorseggiando del vino rosso.

“Da quando a Stefan interessa la nostra vita sessuale?”

Damon!” lo rimprovero io “Non puoi origliare le conversazioni altrui!”

“Posso se riguardano me, la mia donna e se il tuo amorevole ex urla”

Incrocio le braccia, inspirando e continuando ad osservare mia sorella.

“Quindi, tu ti stai comportando così solo perché noi non facc-”

Tappo la sua bocca con una mano, voltandolo nella mia direzione e scoppiando a ridere.

“Damon!”

Muove i sopraccigli nel modo che mi fa ridere e dovrebbe sembrare malizioso. “Elena

“Mi sto comportando così perché ho litigato con la persona che amo”

“Abbiamo litigato, Elena, perché speravi che ti chiedessi di sposarmi dato che, nella tua famiglia, sono tutti convolati a nozze”

“Pensavo che volessi lasciarmi!”

Scuote la testa, “Io non potrei mai lasciarti, Elena… e sai che non sono tagliato per i matrimoni, per quanto ami la mia donna”

Alzo le spalle, “Lo so… senti, adesso devo andare perché… credo di dover fare il discorso da sorella barra damigella della sposa”

“Fantastico, sei scalza e su di giri perché non sobria”

Rido e intreccia una sua mano con la mia.

“Siamo ancora nella fase “abbiamo litigato?”, mhm?”

Scuote la testa ed io sorrido come la piccola Katherine. O la piccola Elena.

“Dopo facciamo pace… o dovrei dire facciamo felice Stefan?”

Sbatto le ciglia e lui sorride sghembo, mi allontano senza dir nulla e faccio per arrivare al tavolo di Stefan per prendere i tacchi… altrimenti sia Caroline che Katherine mi fanno fuori.

“Elena” sussurra Bonnie, ed io spero vivamente che nessuno mi rimproveri.

“Sì?”

“Sono io o Damon ha in mano una di quelle scatolette?”


Okay, okay, okay. Sono pazza. Molto.

Dovrei dire un sacco di cose, ma la verità è che adesso non me ne viene in mente nemmeno una. Non dovevo nemmeno aggiornare oggi, essendo il mio compleanno, ma ho deciso che volevo renderlo speciale mettendo fine ad una storia che per me ha un grande valore.

Ma prima di passare a questo, parlo del capitolo. Di questo finale un po’ così. Katherine è la sposa, Katherine ha fatto pace con Caroline ed è abbastanza OOC. Non parlo di lei, non si parla di come si sia riappacificata con Elijah e varie, ma, come vi ho detto nel capitolo precedente, non è tutta pace amore e rock’n’ roll. E’ un epilogo ambientato un po’ in avanti, non specifico quando perché non importa, importano loro ed il fatto che siano cambiati e maturati nonostante la grande età che ho utilizzato per loro. Non ha una relazione con Stefan perché, per quanto sarebbe piaciuto a me e forse alcuni di voi, non vado pazza per i finali semplici, per quelli scontati e superficiali. Sarebbe stato un “si sono innamorati del ragazzo dell’altra” e non mi andava affatto. Però la situazione si è ribaltata un sacco dal prologo, ed ho voluto sottolineare questo cambiamento, il fatto che adesso è Katherine la fortunata, sposata, con un lavoro, felice. Elena è felice, certo, e con Damon va tutto a gonfie vele – o quasi. Discutono su bambini e matrimoni, e bisogna contare che qui avranno almeno ventotto-ventinove anni, tenendo conto che durante tutta la storia ne avevano 27. Elena non è incinta e il suo comportamento dipende dal fatto che abbia bevuto e litigato con Damon.

Elena ha un finale un po’ aperto – non ha la memoria, e questo perché sin dall’inizio sapevo che una delle due non l’avrebbe recuperata. E’ solo che la vita, a volte, non va come previsto, c’è chi recupera la memoria e chi no, come in questo caso; non sa se si sposerà, perché Damon non è un tipo che fa queste cose, o per lo meno io non ce lo vedo, non con il percorso in questa fan fiction. Infatti lascio a voi la possibilità di pensare se Bonnie abbia visto o meno una di quelle scatolette! :)

Ma Elena è felice, è felice con Damon e come non lo è mai stata da inizio storia. E questo è il suo obiettivo, dopo tutto. E sono felice per lei, lei che l’ha finalmente raggiunto!

Poi c’è stata una cosa un po’ azzardata, nonostante io sia per le coppie un po’ strane, ovvero Stefan/Rose. Per quanto sia una Steroline shipper, Care aveva già una storia non del tutto approfondita con Klaus, per cui non volevo stravolgerla! Do una possibilità anche a loro due di essere felice, cosa ne pensate? Vi dico che, dalla mia prossima storia, avranno un sacco di possibilità ahahahah spoiler alert!

Per il resto penso di aver detto tutto su questo capitolo… ma passo alla storia in sé.

E’ stata molto più di un parto, e non solo perché sia durata più di nove mesi! Ma perché avevo scritto di getto un prologo l’estate scorsa, mettendoci il mio meglio (infatti amo amo amo scrivere prologhi ed epiloghi, non so perché ahah), ma non è stato così facile. E’ stata dura, ho portato a termine la mia prima storia, ho dimostrato a me stessa che ce l’ho fatta e ce la posso fare ancora!

E mi dispiace avervi fatto penare con le mie paranoie, i miei dubbi, i miei ritardi ed i miei blocchi. Potevo dare molto di più, ci sono un sacco di difetti in questa fic, a partire dalla trama, mi sarebbe piaciuto scrivere qualcosa di meno serio ma più reale: lo strano caso mi sembra a tratti superficiale ed irreale, e nulla toglie che un giorno possa rivederla e correggere piccole cose, ma non riuscirò mai a riscriverla o stravolgerla!

Ma ringrazio davvero di cuore chi c’è stato sempre, sempre e sempre! Chi ha recensito così, senza sapere che mi ha resa felice e gioiosa per tantissimo tempo, chi mi ha dato pareri, consigli, opinioni! Ringrazio davvero tutti, ed in particolare chi c’è stato sempre! Da everlily a _valinspoi Lapam8842, MissElenaGilbert, ed infine SorayaDelenaNian.

Vi invito a passare dalle loro storie, che meritano davvero davvero molto! Ringrazio voi per tutte queste recensioni, ringrazio voi che l’avete letta silenziosamente, ringrazio le venti persone che l’hanno inserita fra le preferite, le due fra le ricordate e le quarantasei nelle seguite!

Ringrazio tutti voi perché senza la storia non ci sarebbe stata!

Mi auguro di ritrovarvi alla long che scriverò in seguito e spero di pubblicare su efp!

Grazie mille davvero J

 

Shameless self promo

-La mia minilong  As time goes on

Elena è una fioraia di Brooklyn, ha un'idea tutta sua dell'amore e ogni storia, a detta sua, dovrebbe durare cinque appuntamenti, non uno di più né uno in meno. Damon di anni ne ha ventitré e alle relazioni non crede più, eppure da una chance al pazzo, insano metodo della bella Elena.
[...] “Voleva arrivare in terza base”
“Bene”
“Al primo appuntamento”
“Touchdown” rise Stefan, sorseggiando il suo caffè. “Touchè, intendevo touchè” 
[...] 
“Non credi di essere un po’ troppo dura con questa regola degli appuntamenti?”
“Scherzi, Care?” Stefan sarcastico... Davvero? 
“Non sono mai uscita con qualcuno che abbia fatto le scelte giuste alla prima uscita” 

AU!AH minilong

 

-Un’ AU in corso scritta a quattro mani con la bravissima valins! To bet is to get

Due cose accomunano Elena Gilbert e Damon Salvatore: la prima è che devono lavorare assieme per lo spettacolo invernale della scuola. La seconda, invece, è una semplice scommessa che nasce a causa del ragazzo dagli occhi azzurri, come dimostrazione che la bella Gilbert è un divertimento come altri.
Dal testo: “No, no, io ho qualcosa di meglio.” L’espressione di Klaus mi intimorisce per mezzo secondo.
Cos’ha in mente?
“Dimmi, allora.” Borbotto scocciato.
“Dimostraci che non ti importa minimamente di lei.”
“Come?” è la mia domanda.
“Semplice: scommettiamo.”
-
Storia scritta a quattro mani da _valins e missimissisipi

 

Grazie davvero per tutto, grazie ancora! Vorrei davvero sapere cosa pensaste di questa fine! So già che premendo il tasto completa la mia vita sarà incredibilmente più triste e vuota, consapevole di aver rovinato il mio compleanno ahahah un bacio! Grazie per tutto!

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