L'ultima freccia

di EmmaStarr
(/viewuser.php?uid=202309)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Di inseguimenti, banditi e bastonate ***
Capitolo 3: *** May I follow you? ***
Capitolo 4: *** D'un tratto, nel folto del bosco... ***
Capitolo 5: *** Di allenamenti, rivelazioni e visite inaspettate ***
Capitolo 6: *** Fightin' for his smile ***
Capitolo 7: *** Il primo giorno ***
Capitolo 8: *** Di compleanni, scommesse e regali improvvisati ***
Capitolo 9: *** We fight toghedar ***
Capitolo 10: *** La prova di sopravvivenza ***
Capitolo 11: *** Di temporali, rivelazioni e pericoli in agguato ***
Capitolo 12: *** The Worst Nightmare ***
Capitolo 13: *** L'arrivo ***
Capitolo 14: *** Di cene, leggende e maledizioni ***
Capitolo 15: *** We are brothers! ***
Capitolo 16: *** La Profezia ***
Capitolo 17: *** Di arrivi, combattimenti e guerre all'orizzonte ***
Capitolo 18: *** Stars are falling all for us ***
Capitolo 19: *** È una promessa ***
Capitolo 20: *** Di cappelli, offerte al Tempio e combattimenti corpo a corpo ***
Capitolo 21: *** Is it my fault? ***
Capitolo 22: *** Tre anni dopo ***
Capitolo 23: *** Di tende, arrivi e incontri emozionanti ***
Capitolo 24: *** Have you been adopted? ***
Capitolo 25: *** La battaglia ***
Capitolo 26: *** Di battaglie, strategie e situazioni da affrontare ***
Capitolo 27: *** Wherever we are ***
Capitolo 28: *** Un'altra nave ***
Capitolo 29: *** Di isole, trattative e vecchie conoscenze ***
Capitolo 30: *** Please don't go ***
Capitolo 31: *** L'ambasciatrice ***
Capitolo 32: *** Di prigionieri, evasioni di massa ed aiuti inaspettati ***
Capitolo 33: *** I'll save you ***
Capitolo 34: *** La grande battaglia ***
Capitolo 35: *** Di salvataggi, rivelazioni e corse contro il tempo ***
Capitolo 36: *** Because we are brothers ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

Un altro tuono squarciò l'aria.

La pioggia scendeva ormai torrenziale, limitando drasticamente la visuale dell'ambiente circostante e minacciando di continuare per tutta l'eternità.

La foresta era tutt'altro che silenziosa, con tutto quello sgocciolare, quindi fu comprensibile che Garp non si accorgesse dell'arrivo della seconda figura incappucciata.

– Sei in anticipo. – sussurrò il nuovo arrivato, stringendo al petto un fagotto di medie dimensioni.

Garp sbuffò, scuotendo la testa. – Sei tu che sei in ritardo. Allora, di che si tratta?

Si avvicinò al suo interlocutore, impaziente di tornare finalmente a casa, e vide di sfuggita che il contenuto del fagotto cominciava ad agitarsi. Impallidì, facendo un passo indietro.

– Lo sai, di che si tratta. –sibilò la figura, porgendo quello che era decisamente un bambino tra le braccia di Garp e facendo per allontanarsi.

– Aspetta! Perché? Che scherzo è questo? – gridò il vecchio, inseguendolo.

– Hai saputo della profezia, no? La distruzione dell'esercito di Atene per opera di una sola persona, sventura e morte sui nostri figli, eccetera eccetera. È lui, Garp. Questo bambino, mio figlio. È lui il mostro di cui parla la profezia, quello che, da solo, dovrebbe causare la disfatta del nostro esercito. Ho detto che l'avrei ucciso, ma non posso.

L'uomo sospirò piano, passandosi una mano sulla fronte.

– E io dovrei... – sussurrò Garp, iniziando a capire.

– Tienilo. Uccidilo. Fanne quello che vuoi. Io non ne voglio più sapere niente. Risparmiarlo stasera... Più di così non avrei mai potuto fare. – spiegò l'uomo.

Garp sbuffò. – Io di sicuro non posso occuparmene, ma conosco qualcuno che lo crescerà. Vivrà sulle montagne in cui siamo cresciuti noi. A Sparta. – Garp notò che l'altro sussultò leggermente. – Oh, non preoccuparti. Sparta e Atene sono alleate, non dimentico i giorni della Grande Guerra Persiana. Vivrà su quei monti, questo è tutto ciò che posso garantirgli. E se morirà... Sarà un incidente, che vuoi farci? – concluse, alzando le spalle.

– Allora addio, Garp. Non credo che ci rivedremo. Ah, un'ultima cosa...

Garp si voltò, infastidito. – Sì?

– Ace. Il suo nome è Ace. Buona fortuna. – Sussurrò l'uomo, sparendo subito dopo nella pioggia.

Il bambino cominciò a strillare. – Fortuna... – bofonchiò Garp, allontanandosi. – Ne avrò bisogno, altroché!

 

 

* * *

 

– Dove andiamo, nonno? – chiese una voce curiosa e soprattutto petulante.

– Te l'ho detto, Rufy! Finché tuo padre è in campagna militare, tu vivrai con me. E smettila di lamentarti, la montagna ti farà solo bene! – spiegò per l'ennesima volta il vecchio, trascinando con sé un bambino sui sette anni.

– Ma io mi devo allenare! – protestò quello, cercando di divincolarsi. – Tra un anno avrò l'età giusta per cominciare l'addestramento, e voglio essere il più forte di tutti!

Garp sollevò lo sguardo, come se stesse cercando qualcosa tra quelle montagne che tanto conosceva. Subito però una voce lo richiamò alla realtà. – Nonno!

Garp sbuffò sonoramente, strattonando ancora il povero Rufy. – Hai ragione, hai ragione, basta che fai silenzio!

Neanche a dirlo, il bambino non fece silenzio. – Credi che troverò dei ragazzi della mia età con cui allenarmi? Ci sarà qualcuno, dove stiamo andando?

Garp ci pensò un attimo su, poi ghignò sotto i baffi. – Qualcuno sì, penso proprio di sì.

Giunsero all'abitazione di Garp, e subito Rufy fu sistemato in una stanza piccola e accogliente.

– Allora, ragazzo. Ascoltami bene. – esordì Garp, prendendolo da parte. – Se vivi con me, le regole sono queste. Intanto, non ti voglio tra i piedi. Niente “nonno di qua” e “nonno di là”, grazie. In secondo luogo, te la devi cavare da solo: non andrò a ripescarti, dovunque tu sia finito, quindi adeguati di conseguenza. Infine... Per il cibo, rivolgiti a Makino. Sta alla locanda qui di fianco, abbiamo un accordo per cui puoi mangiare là. Tutto chiaro? – concluse fissandolo truce.

Il bambino annuì, serio. – E il qualcuno con cui posso allenarmi? – chiese, curioso.

Garp ghignò. – Ci dovrebbe essere un sentiero, oltre il campo qui davanti. Prendilo e sali sempre finché non finisce. Cerca da quelle parti, e può darsi che incontri qualcuno.

Rufy sorrise e si allontanò, correndo. – Torno presto! – gridò, ma già la sua voce si stava perdendo.

Garp, Garp... Ma dove l'hai mandato... si disse il vecchio, prima di stringersi nelle spalle e rientrare in casa.




















Angolo autrice:
Salve a tutti! Devo essere pazza,  ma appena finita una raccolta su Ace e Rufy appaio con una nuova storia. Boh, sono strana io.
COMUNQUE! In questa long il rapporto tra Ace e Rufy si evolverà con il tempo, calcolando che Sparta era un paese ben diverso dal vilalggio di Foosha, e che le regole di vita erano diverse da come le conosciamo.
Certe cose però è bene che siano chiare: non si tratterà di una shoen-ai (lo so, LO SO, in Grecia l'omosessualità era all'ordine del giorno, che ci volete fare? Ace e Rufy mi piacciono così <3) ma solo di tanta bromance.
Sabo apparirà, abbiate fede. Che dire? Spero che il prologo vi abbia incuriosito, ci vediamo mercoledì prossimo con il prossimo capitolo! ^^
Un abbraccio, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Di inseguimenti, banditi e bastonate ***


CAPITOLO 1





La cosa prese a Rufy più tempo del previsto.

Forse perché il sentiero non era oltre il campo, ma almeno mezz'ora di cammino più avanti.

Oppure perché non bisognava salire finché non finiva, ma prendere una marea di deviazioni in cui il bambino si perse infinite volte.

Alla fine, però, raggiunse una capanna che aveva tutta l'aria di essere quella che cercava – o almeno, l'unica nel raggio di chilometri.

Tutto soddisfatto, bussò alla porta. Ad aprirgli fu una signora davvero enorme, dai lunghi e ricci capelli arancioni. Il suo sguardo avrebbe potuto intimorire una banda di lupi feroci, ma non Rufy, che infatti sorrise e chiese: – È qui che abita un ragazzino della mia età?

La donna, dopo un attimo di sconcerto, rispose con un secco – No. – e chiuse la porta.

Certo, sarebbe stata più credibile se nel frattempo dalla suddetta porta non fosse appena sgattaiolato fuori un ragazzino poco più grande di lui, armato solo di un nodoso bastone di nocciolo.

– Ehi! – gridò Rufy, sorridente.

L'altro non si fermò.

– Aspetta!

Il nuovo arrivato continuava a correre senza voltarsi.

– Ehi, fermati! gridò Rufy, correndogli dietro. – Io mi chiamo Rufy, e tu?

Ma il ragazzino dallo sguardo truce era già sparito nel folto della foresta.

 

* * *

 

Quando, quella sera, Rufy tornò a casa, trovò Garp già seduto sulla poltrona.

– Non indovinerai mai cos'ho fatto oggi! – esordì Rufy, sedendosi di fronte a lui.

– Che buffo, non ricordo di avertelo chiesto... – borbottò Garp, ma già Rufy non lo ascoltava più.

– Prima di tutto sono andato a cercare il ragazzo che dicevi tu, ma mi ha aperto una signora enorme con i capelli arancioni che ha detto di non conoscere nessun ragazzino della mia età. Stava per sbattermi la porta in faccia quando è spuntato fuori un ragazzino un po' più grande di me. Sembrava simpatico, ma è scappato via senza dirmi il suo nome. Un po' l'ho inseguito, ma alla fine mi sono perso e quando ho sentito come un ululato sono tornato indietro. Poteva essere un lupo? – chiese sporgendosi in avanti, tutto preoccupato.

– È probabile. – ammise il vecchio, annoiato.

– Bé, menomale che non li ho incontrati, allora. Poi sono andato un po' in giro, ho conosciuto dei pastori davvero simpatici, pensa che mi hanno fatto persino tenere il bastone da pastore! Ho anche recuperato un agnellino che se ne stava andando, e ho fatto amicizia con un cane bellissimo. Poi ho aiutato una vecchia signora a zappare un campo, e in cambio lei mi ha dato una carota gigantesca! – Rufy allargò le braccia per sottolineare l'importanza di quel “gigantesca”, rischiando di sbilanciarsi e di cadere all'indietro.

– Ammirevole. – commentò Garp, senza dare l'impressione di ascoltarlo davvero.

– Ah, ho pranzato, cenato e fatto merenda alla locanda che dicevi tu. È davvero bella e si mangia benissimo, e Makino è molto simpatica! L'unica persona della mia età però era quel ragazzino che se n'è andato di corsa. – ricordò Rufy, pensoso. – Domani lo inseguirò sul serio, voglio almeno sapere come si chiama!

Garp sospirò pesantemente e si alzò dalla poltrona. – Si chiama Ace. – rivelò. – Il ragazzino che scappava, intendo. Ace. Domani, di' alla signora enorme che ti mando io, che sei mio nipote: vedrai se non ti fa entrare. E buona fortuna se hai intenzione di inseguirlo: pare che sia un osso duro!

Garp ridacchiò avviandosi verso la sua camera da letto, mentre Rufy rifletteva.

Ace.

Suonava proprio bene! Era deciso: sarebbero diventati amici.

 

* * *

 

Il giorno successivo, Rufy si alzò di buon mattino e prese senza indugi la strada che conduceva alla casa di Ace: non aveva certo intenzione di arrivare in ritardo per scoprire che era già uscito! Poi come lo trovava più?

Bussò alla casetta di legno che l'alba era spuntata da meno di un'ora, e ad aprirgli fu ancora la donna del giorno prima.

– Buongiorno! – sorrise Rufy, cordiale.

– Ancora tu! – muggì la donna (potete anche non crederci, ma Rufy è pronto a giurare che avesse muggito) facendo per chiudergli nuovamente la porta in faccia.

– Aspetta! – fece Rufy, bloccandola con un piede. – Mi chiamo Rufy, e sono il nipote di Garp! Mi manda lui!

La donna rimase interdetta per qualche istante, poi sbuffò. – Garp! Non mi dirai che ti ha mandato per vivere qui, vero? Bé, digli che un marmocchio basta e avanza, in questa casa! Non siamo certo delle stupide badanti, noi. – sputò poi, incrociando le braccia.

– Oh, no, io vivo in casa col nonno! Insomma, più o meno. Non è uno che vuole dei bambini fra i piedi, credo, quindi sono venuto a vedere se potevo diventare amico di Ace! – spiegò Rufy, entrando dalla porta. – È in casa?

La donna fece un verso a metà fra una risata e un gemito. – Per esserci c'è, ma se hai intenzione di diventare suo amico, la vedo dura... Sai, lui ha una maledizione. – spiegò, confidente. – Una maledizione oscura che gli rende praticamente impossibile ogni contatto umano. Vedi...

– Se dici un'altra sillaba ti spezzo le ossa, Dadan. – la interruppe una voce gelida proveniente dalle scale.

Rufy alzò lo sguardo, eccitato, e vide scendere proprio il ragazzino del giorno precedente.

La donna si tirò subito indietro e iniziò a balbettare delle scuse: – Oh... A-Ace, come ti s-sei alzato presto, oggi... No, ecco, n-non è come pensi, solo...

– Lui chi è? – chiese il ragazzino, ignorandola. – Cosa ci fa qui?

Rufy sorrise, ignorando Dadan che a gesti gli intimava di scappare. – Ciao, io mi chiamo Rufy. Vuoi diventare mio amico?

L'espressione di Ace si fece indecifrabile, e Rufy lo interpretò come un buon segno. Gli si avvicinò tendendogli la mano, ma non poté fare un passo verso di lui che il bastone di nocciolo dell'altro vibrò violentemente sulla sua testa, facendogli esplodere piccole luci attorno agli occhi.

Sentì solo confusamente la voce di Dadan che gridava – Cos'hai fatto! Garp ci ucciderà! –, perché si era reso conto che il ragazzo stava uscendo di corsa dalla porta.

– Ehi, aspetta! – si lamentò, tenendosi la testa con una mano e prendendo ad inseguirlo.

Ace non sembrava avere la minima intenzione di rallentare.

– Dai, non sarò un peso! Fammi venire con te! – continuò a gridare Rufy, rendendosi conto con orrore di star rimanendo indietro.

– I mocciosi come te sono sempre un peso. – puntualizzò Ace, stizzito, facendo un balzo e perdendosi nel fitto del bosco.

Quando Rufy raggiunse il punto in cui lo aveva perso, ormai Ace non si vedeva più...

Dev'essere qui da qualche parte, si ripeté. E in fondo, era arrivato più lontano del giorno prima, pure con la testa che gli pulsava.

Non appena lo realizzò, si sentì come la tempia trafitta da mille lame. Un pensiero confuso gli ricordò che avrebbe fatto meglio a sciacquarsi, perché l'acqua alleviava sempre il dolore.

Si diresse quindi verso un rigagnolo d'acqua che scorreva lì vicino – meno male che almeno le orecchie funzionavano ancora bene – e si inginocchiò per gettarsi un po' d'acqua sulla fronte.

Non appena la sfiorò, la testa prese a dolergli più di prima, e quando tirò indietro la mano la vide coperta di sangue.

Niente panico. Si disse, risoluto. Papà è in battaglia, quindi lui è capace di resistere a ferite molto più grandi e dolorose di questa.

Però, cavoli se faceva male. Cominciava a sentirsi girare la testa.

Decise che la cosa migliore da fare era tornare alla capanna e vedere se quella Dadan aveva un qualcosa per bendarlo.

In qualche modo raggiunse la capanna e bussò alla porta. Inutile dire che Dadan, insieme ad uno stuolo di assistenti che Rufy riconobbe confusamente come briganti (almeno, i vestiti erano quelli) si prodigò in mille cure, non mancando di ricordargli che “poteva raccontare a Garp come lei e i suoi ragazzi non c'entrassero niente con quell'aggressore di Ace, anzi volevano solo il bene del suo nipotino”.

– Ecco, questo è quello che succede quando si ha a che fare con quel demonio di Ace! – borbottò un brigante, fasciandogli la testa. – È già un miracolo che tu sia tornato qui tutto intero... Ma come hai fatto a reggere una ferita del genere?

Rufy si strinse nelle spalle. – Non ne ho idea. Non faceva tanto male. – assicurò, per poi balzare giù dal letto. – Grazie delle cure, dirò al nonno che siete stati gentili. Adesso vado a cercare Ace!

A quasi tutti i briganti, Dadan compresa, venne un attacco di cuore nel sentire quelle parole, ma Rufy non volle sentir storie e partì alla ricerca del ragazzo.

Inutile dire che non lo trovò da nessuna parte, anzi rischiò di perdersi nel bosco altre mille volte: ogni mattino Rufy si presentava alla capanna, e sebbene i briganti lo scongiurassero di non farlo Rufy si impuntava ad inseguire Ace, non importava cosa ne pensasse lui.

E ogni volta tornava puntualmente in quello stesso posto qualche ora dopo, in uno stato assolutamente pietoso, pronto per farsi medicare dai briganti, terrorizzati a morte da cos'avrebbe detto Garp vedendolo tornare così conciato.

– Smettila, non ce la farai mai a scoprire dove va tutto il giorno! – si lamentavano i briganti, stufi di quella routine insostenibile.

– Sì, invece! – si impuntava però Rufy. – Oggi sono arrivato un po' più lontano di ieri.

E questa, a onor del vero, era la pura verità: Ace faceva la stessa strada ogni giorno, e ormai Rufy la sapeva tutta a memoria. Ma ogni volta ne aggiungeva un pezzetto: di questo passo, si diceva, prima o poi riuscirò di sicuro a scoprire dove va, e allora vorrà di certo essere mio amico.

E infatti, quasi tre mesi dopo il loro primo incontro, in una calda mattinata di agosto Rufy raggiunse un'immensa radura: là Ace si era fermato.

Rufy non era nelle sue condizioni migliori: per raggiungere Ace era inciampato mille volte, aveva avuto un incontro ravvicinato con una specie di cinghiale (come era sopravvissuto, ancora se lo domandava) e la roccia che Ace gli aveva lanciato addosso lo aveva ferito sul braccio.

Un po' faceva male, ma Rufy quasi non si ne accorse: era arrivato! Ce l'aveva fatta!

Dopo tre mesi, tre mesi durante i quali gli era successo di tutto, finalmente aveva la possibilità di scoprire cosa aveva fatto Ace tutto quel tempo, e di diventare suo amico!

Oh, non stava più nella pelle.

Sorrise fra sé e sé e poi, incapace di trattenersi oltre, spuntò fuori dal cespuglio in cui si era ficcato per riprendere fiato. – Ace! Vuoi diventare mio am... Oh, wow! Ma è questo che fai tutti i giorni? – esclamò, estasiato.

Ace si voltò, sconvolto, e cercò di nascondere dietro la schiena quello che aveva in mano, ma era troppo tardi.

– E tu che ci fai qui? – sibilò, inorridito.

Rufy si strinse nelle spalle. – Ti ho seguito. Oh, Ace... Mi puoi prestare una di quelle lance? – implorò, gli occhi che brillavano.

Ace strinse gli occhi, infuriato nero. Sì, era questo il suo segreto: rubava le armi ai giovani Spartani che facevano finta di allenarsi con tutte quelle stupide arie da damerini con la puzza sotto il naso. E allora? Che cosa c'era di male?

Se ora quel piccolo pidocchio nipote di chissà quale persona importante credeva di arrivare e rovinargli i piani, allora...

– Aspetta, Ace, ascolta. Sono bravo con le armi, quand'ero a casa mi allenavo sempre in cortile, sul serio! Posso lottare con te? Voglio allenarmi, perché l'anno prossimo entrerò nell'addestramento vero e proprio! Posso, per favore, posso? Dai, ti prego, posso?

Ace non rispose. Oh, non che non gli sarebbe piaciuto gridargli in faccia tutto quello che pensava del suo starnazzare come un idiota, ma aveva sentito un rumore: se si facevano sentire, erano nei guai fino al collo.

– Allora, Ace, posso? Dai, sarò bravo, pos... – continuò Rufy, imperterrito, ma Ace gli si avvicinò e, fulmineo, gli passò una mano sulla bocca.

– Zitto o sei morto. – gli soffiò nell'orecchio, la voce grondante d'odio.

Il rumore si avvicinava, ma se rimanevano nell'ombra e in silenzio Ace non vedeva perché...

Rufy scelse proprio quel momento per morsicargli con decisione la mano. – Ahi! – Ace la ritirò, sconvolto.

– Ma che che succede? – chiese Rufy, il tono di voce troppo alto. Troppo, troppo, troppo alto.

Ace l'avrebbe volentieri strozzato, ma il rumore si era arrestato, e questo era un male. Poi riprese con molta più forza, e persino quell'idiota di Rufy doveva aver capito che si trattava di passi, e voci: erano fregati.




















Angolo autrice:
Sono tornata! ^^ Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Forse è un po' di passaggio, ma mi sembrava strano farli interagire subito. Rufy nel manga insegue Ace per quanto, tre mesi? Quattro? Povero piccolo testardo. Lo amo da impazzire <3
Comunque, siete curiosi di sapere cosa si sta avvicinando ai nostri prodi? No, non è ancora Sabo. Ok che è una rivisitazione del manga, ma qualcosa dovrò pur tenere in serbo per voi, no? Sarà una sorpresa! ^^
Grazie a tutti quelli che si sono fidati e hanno recensito il prologo, mi avete fatta molto felice! Spero che questo capitolo non vi abbia deluso!
Se invece siete nuovi, bé... se la storia vi è piaciuta, mi lasciereste una recensione? *.*
Grazie a tutti, ci vediamo mercoledì prossimo!
Vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** May I follow you? ***


MAY I FOLLOW YOU?



– Ma guarda un po' cos'abbiamo qui! Ecco dove ti nascondevi, allora!

Cinque, tutti sui tredici anni. Uniforme da soldati. Erano i ragazzi a cui Ace rubava le armi di continuo per allenarsi, e l'avevano trovato; tutto per colpa di quello stupido moccioso che ora guardava la scena senza capirci niente.

– Ce ne avete messo, di tempo. – sbuffò Ace, alzandosi. – Sono anni che va avanti così, eh?

Il più grande dei ragazzi gli si avvicinò, ringhiando. – E adesso pagherai per tutto quanto. – sibilò, crudele. – Tu, piccoletto – fece poi a Rufy, senza guardarlo. – Vattene, non intralciarci. Non hai nemmeno l'età dell'addestramento, vero? – Ridacchiarono, come se i bambini prima di entrare nell'esercito fossero una specie rara ed estremamente divertente.

Quella sarebbe stata la prima e unica volta in cui Ace si trovava d'accordo con quel tipo, bisognava ammetterlo. Se non altro, Rufy non sarebbe stato fra i piedi. Che liberazione.

– A-aspetta, che volete fare? – domandò il bambino, arretrando. – S-se volete fare del male a Ace, i-io non me ne vado!

Se la situazione fosse stata diversa, Ace l'avrebbe ucciso. Decisamente. – Vattene, Rufy. – sputò. – Non mi serve certo l'aiuto di un moccioso.

– Da' retta alla mammina, marmocchio. Un combattimento non è certo il posto per te. – ribatté il primo, infastidito. – Portatelo via, su. Io mi occupo dello sgorbio qui. – e spinse Ace con la punta della lancia.

Il ragazzo scivolò all'indietro per afferrare una spada con una mano e una lancia con l'altra. – Devi solo provarci. – soffiò.

Affondò, ma il suo avversario era decisamente più grande e imponente, e schivò con facilità. Dietro di lui, Rufy si dibatteva tra le braccia di un altro ragazzo. Meglio così, si ritrovò a pensare Ace mentre schivava un attacco e rotolava di lato.

Tecnicamente, lui non sarebbe dovuto nemmeno esistere, ricordò a se stesso. E in quanto ragazzino-fantasma, era ovvio che non avrebbe mai potuto combattere fra le schiere dell'esercito spartano. Eppure, il richiamo della battaglia era stato troppo forte: per questo aveva deciso di rubare le armi all'accampamento e allenarsi per conto suo. Era forte, più forte del suo avversario di tre anni più grande di lui. Poteva sconfiggerlo, lo sapeva.

– Ehi, capo, lo tengo io! – gridò una voce alle spalle di Ace. Il ragazzo non fece in tempo a sentirla che si ritrovò bloccato da dietro.

– Vigliacco! – gridò, frustrato. E adesso?

– No, Ace! – esclamò la voce di Rufy. Il bambino era nel panico, glielo si leggeva in faccia. Afferrò un sasso da terra e lo lanciò nella direzione del ragazzo che teneva Ace per le braccia, mancando ovviamente il bersaglio e colpendo Ace in testa.

– Ma dico! – esclamò il ragazzo, incredulo. – Da che parte stai?

Eppure, il patetico lancio di Rufy a qualcosa era servito: mentre il suo assalitore era occupato a ridere, Ace gli rifilò un calcio e riuscì a liberarsi.

Riprese a lottare con ancora più furia, e la forza che sentiva dentro di sé non faceva che crescere: già leggeva lo sconcerto negli occhi degli avversari.

Improvvisamente, però... – Fermo! – gridò un ragazzo da qualche parte alla destra di Ace. – Fermo o ammazzo il ragazzino!

Ace voltò piano la testa, in tempo per vedere Rufy fra le braccia assassine di un ragazzo. – Ace! Aiutami! Ace! – strillava. Spirito di sacrificio zero, eh.

– Adesso metti giù la spada e la lancia, Ace. – sogghignò il capo, alzandosi traballante da terra.

Ace non diede segno di spostarsi. – Aiuto, Ace!

Il capo ridacchiò. – Ma guarda, non te ne importa davvero nulla di questa pulce! Allora se la uccido non dispiacerà proprio a nessuno...

Ace aveva pochissimo tempo per riflettere. Se quel Rufy moriva, bé, era tutta colpa sua: nessuno l'aveva obbligato a rimanere, in fondo. E la testa gli faceva ancora male là dove l'aveva colpito il sasso, però... Però quel ghigno sulla faccia del suo avversario proprio non lo riusciva a sopportare.

Senza pensarci su, tirò la lancia dritto addosso al ragazzo che tratteneva Rufy e lo ferì alla spalla. – Dovreste prendervela con me, più che con un bambino della sua età. – ringhiò, mettendosi in guardia.

 

* * *

 

Erano scappati tutti, alla fine. Qualcuno portando in braccio un compagno svenuto, ma se n'erano andati. Ace li aveva battuti.

Aveva una ferita piuttosto profonda all'avambraccio, un occhio nero, probabilmente c'era una costola rotta e in più sentiva piccole ferite su tutto il corpo. Ah, già: c'era anche un bel bernoccolo là dove il sasso l'aveva colpito.

– Ace? Stai bene? Sei stato grandissimo, davvero!

E quella pulce era ancora lì. Ace l'avrebbe volentieri strozzato – per la milionesima volta in quel pomeriggio, probabilmente –, ma non era nella sua forma migliore. Anzi, era davvero stanco. Stava per aprire la bocca per insultarlo in tutte le lingue che conosceva, quando si sentì proprio mancare, e fu tutto buio.

Si risvegliò quelli che parvero cinque secondi dopo, ma il sole stava già calando: la camera era già in penombra... Un attimo: camera? Spalancò gli occhi, sorpreso. Era nella sua camera alla capanna dei banditi, incredibile!

Cercò di alzarsi, e nonostante il dolore al petto e al braccio le cose non andavano tanto male. Scoprì di essere stato bendato: com'era possibile? Inoltre, la testa faceva un male atroce. Se la tastò, cauto: c'era già il bernoccolo dove Rufy l'aveva preso a sassate, e... un altro bernoccolo ancora? Quello era un mistero. Alzò le spalle e uscì dalla stanza: tanto, una ferita in più, una in meno... Non è che facesse poi tutta questa differenza. Scese le scale con qualche difficoltà, e quello che vide lo lasciò letteralmente senza parole: a tavola con i banditi c'era quel marmocchio di Rufy, tutto sorridente che chiacchierava animatamente con Dadan e gli altri tra un boccone e l'altro.

– … E avreste dovuto vedere come combatteva! Anch'io ho fatto la mia parte, certo, però Ace era davvero bravo! – raccontava, enfatizzando le sue parole con ampi gesti delle braccia.

Dadan e gli altri sembravano davvero divertiti. – Ah, sì? E chi se l'aspettava, il piccoletto! – rise un brigante.

– Ace non è un piccoletto, lui è grandissimo! – ribatté Rufy, ostinato. – E adesso siamo amici, quindi non parlare così di lui.

– Mi raccomando, raccontalo a Garp! Ace è tuo amico e noi siamo ottime persone! – si premurò di ricordargli Dadan.

– Ace non è affatto tuo amico! – puntualizzò Ace, incrociando le braccia.

Tutti sembrarono terrorizzati dalla sua uscita; tutti meno Rufy. – Oh, che bello, allora stai bene! – gridò, eccitato. – Sono felice che tu stia bene! – il suo volto si aprì in un sorriso davvero gigantesco, tanto che Ace per un attimo si sentì mancare. Rufy stava sorridendo così... proprio a lui?

Cercò di fare ordine mentale. E a chi importava se un moccioso del genere gli sorrideva in quel modo? A lui no di certo.

Un bandito si alzò, la testa tra le mani. – Ace, non devi assolutamente alzarti dal letto, non nelle tue condizioni! Fila subito a dormire!

Ace avrebbe volentieri ribattuto che stava bene, anche se in effetti non è che stesse poi tanto bene, e che non aveva bisogno di dormire ancora, grazie tante.

Ma la testa gli girava davvero. E nel momento in cui Rufy balzò giù dalla sedia, lo prese per mano e lo condusse su, Ace si ritrovò incapace di spiccicare parola: era la prima volta che qualcuno gli dava la mano.

Rufy stava tranquillamente andando dritto, quando Ace ritrovò l'autocontrollo necessario per avvisarlo che la sua stanza era quella.

– Oh, scusa. – ridacchiò Rufy, ed entrarono.

Rimasero in silenzio per un po', mentre Ace aspettava che Rufy, una volta assicuratosi che era effettivamente arrivato al letto, se ne andasse.

Ovviamente, il bambino rimase fermo dov'era, quell'espressione allegra ancora stampata in faccia.

– Sai, potresti anche uscire. – gli fece notare Ace, piccato.

– No, sto bene qui, grazie. – replicò Rufy, fermo lì, in piedi.

Ace sbuffò. – Ma se ti dico che puoi andare!

– Non mi va! – Rufy gonfiò le guance, testardo.

– Insomma, vattene! – sputò Ace, tirandosi a sedere. Quel bambino era impossibile. Anche prima, anche prima non se n'era andato. Quando quel ragazzo gli aveva gridato di levarsi di torno, Rufy era rimasto. Va' a capire perché.

– Ho detto di no! – strillò Rufy con lo stesso tono.

Perché? – Ace lo sovrastava per altezza e tono di voce, ma Rufy sarebbe sembrato piccolo in ogni caso.

Il bambino sospirò piano, abbassando lo sguardo. – Io non voglio andare via. – sussurrò, appena udibile.

A quelle parole, Ace sentì un qualcosa di strano risalirgli nel petto. – Io...

– Ace, non mandarmi via! – Rufy alzò la testa di scatto, gli occhi luccicanti di lacrime. – I-io non ho nessuno con cui stare! E... e se poi tornano quei ragazzi? Io non v-voglio stare da solo, Ace... – sembrava sul punto di scoppiare a piangere, e Ace una cosa del genere non avrebbe saputo come gestirla.

Gli fece cenno di avvicinarsi, e Rufy obbedì. – Prima... – disse, concentrato. – Prima, con quei ragazzi, tu... Perché non te ne sei andato? – chiese, diretto. Doveva sapere.

Rufy tirò su col naso e lo guardò, fiero. – Io non faccio mai quello che mi dicono di fare. – affermò, deciso.

Ace alzò un sopracciglio. – Allora resta qui per tutti i giorni della tua vita, senza uscire mai da quella porta. – lo sfidò.

– Almeno finché non mi va di farlo! – precisò subito Rufy, sedendosi sul letto di Ace. – E non mi andava di scappare, prima.

Decisamente, era proprio uno strano ragazzino. Prima era lì lì per piangere, poi di colpo si metteva a scherzare. – E... sai dirmi come sono arrivato qui? – chiese ancora.

Rufy sfoderò un sorriso smagliante. – Sono tornato a casa di Dadan e ho fatto venire dei briganti! Prima ho provato a trasportarti, ma ti ho fatto sbattere la testa contro un sasso e- Ops, questo non dovevo dirlo. – arrossì, colpevole. Ecco svelato il mistero.

Ace alzò gli occhi al cielo. – Dovevo aspettarmelo... – sussurrò, scoraggiato, l'ombra di un sorriso sul volto.

– Non sei arrabbiato? – chiese Rufy, speranzoso.

– Visto che l'alternativa era rimanere lì e aspettare che quei tipi tornassero con i rinforzi... Diciamo che per stavolta lascerò correre. – sospirò Ace, passandosi una mano sulla fronte.

Ma il “grazie” implicito in quella frase era impossibile da non cogliere. Rufy sorrise. – Menomale! – ridacchiò, sollevato.

Ace si lasciò cadere sul letto, fingendosi sfinito. – E adesso lasciami in pace, che devo riposare.

Miracolosamente, Rufy obbedì. Era già sulla soglia, quando si fermò e si voltò indietro. – Ace?

– Sì? – rispose stancamente il ragazzo.

– Domani posso... posso inseguirti di nuovo? – chiese timido, quasi implorante. Ace sbuffò, un lampo di divertimento negli occhi, misto a qualcos'altro. Incredulità? Stanchezza? Ammirazione? – Se riesci a starmi dietro, ragazzino.

Qualcosa nello sguardo di Rufy faceva venire voglia di piangere e ridere allo stesso tempo, tanto sembrava felice. – Ci riuscirò! E quando sarò arrivato, ci alleneremo insieme! – ridacchiò prima di uscire di corsa dalla stanza, ridendo come un matto.

– Aspetta, non ho detto questo! – gli gridò dietro Ace, ma a dirla tutta non se la sentiva di fermarlo. Non se rideva in quel modo, andiamo: sarebbe stato crudele.

 





























Angolo autrice:
E rieccomi qua! ^^ Scusate se vi ho fatto aspettare, ma oggi proprio sono stata fuori tutto il giorno. Una giornata da dimenticare, proprio >.<
Allora, che ve ne pare del capitolo? La trama sta procedendo, e il rapporto tra i due sta lentamente migliorando. certo, le cose non saranno così semplici, anche perché senza Sabo che fa da mediatore (ve lo stavate cheidendo, eh? Manca ancora un po' prima del suo arrivo, abbiate pazienza! ^^) dicevo, senza di lui ogni minimo litigio può causare un disastro.
Eeeee non dico altro. Grazie di cuore a Akemichan e e anna_nalisi per aver recensito lo scorso capitolo! Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie anche a tutti quelli che seguono, ricordano e preferiscono "L'ultima freccia". Sul serio, mi scaldate il cuore <3
D'accordo, ci risentiamo mercoledì prossimo!
Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** D'un tratto, nel folto del bosco... ***


CAPITOLO 4

– Sono arrivato! Ace è già uscito?

Ogni giorno, ogni santo giorno, Rufy si presentava alla porta della capanna di Dadan con queste esatte parole. Di solito Ace era ancora in casa: ma a che ora si svegliava, quel bambino? Sulle prime Ace aveva cercato di alzarsi ogni volta più presto, ma la cosa si era rivelata talmente faticosa (e inutile, dal momento che in ogni caso Rufy lo intercettava lo stesso) che aveva ben presto smesso di preoccuparsi.

La maggior parte delle volte si limitava a cambiare percorso, o ad andare semplicemente più veloce. Era un buon allenamento, questo sì.

Ma quel giorno, per la prima volta dopo mesi, Ace si sentiva strano: in fondo, era come se avesse dato a Rufy il permesso di inseguirlo... Anzi, era andata esattamente così. Non poteva ancora crederci.

– No, è ancora di sopra, al solito. Guarda che non so se oggi uscirà, con quelle ferite... – rispose un brigante, incerto.

Ace sbuffò. Ma quanto erano scemi, quelli? Con un balzo scese dalle scale e imboccò la porta. – Ci si vede! – gridò, sogghignando all'espressione esterrefatta del brigante. Rufy esultò.

– Bravo, Ace! Ti sto dietro! – gridò, prima di mettersi a correre.

Ace ghignò. – Ah, sì? – accelerò, correva così forte che il vento gli fischiava nelle orecchie. – Vedremo.

E infatti, quando raggiunse il suo posto segreto, di Rufy non c'era traccia. Non sapeva se dirsi soddisfatto o... deluso? Bé, non era quello l'importante. Ora doveva darsi da fare per spostare tutte le armi che teneva nascoste in un altro posto, prima che quei ragazzi tornassero.

Sembrava che fossero già passati, ma non avevano trovato nulla: ovvio, Ace le cose le faceva per bene.

Stava per cominciare, quando... – Ace! Sono arrivato, sono arrivato! Ce l'ho fatta!

Ace voltò la testa, rassegnato. – Ce ne hai messo di tempo, Rufy. – commentò, una nota di scherno che il bambino non sembrò cogliere.

– Ora però sono arrivato! – disse infatti, correndogli allegramente vicino. – Ci alleniamo?

Ace inarcò un sopracciglio, confuso. Ce l'aveva fatta. Lo aveva inseguito e lo aveva raggiunto. E adesso? Lui aveva sempre fatto tutto da solo, sempre: non sapeva proprio come comportarsi.

Rufy continuava a guardarlo speranzoso e implorante, e Ace si sentì con le spalle al muro. Poteva dire altro? Se l'avesse scacciato, Rufy se ne sarebbe andato? La risposta era no ad entrambe le domande, quindi sospirò. – E va bene. Prima aiutami a spostare queste cose, però. Qui non possiamo più stare.

Rufy saltò di gioia. – Evviva! Evviva, evviva, evviva! Oh, grazie, Ace! Vedrai, sarò l'amico migliore della storia!

Ace lo zittì con un'occhiataccia. – Non siamo amici, chiaro? Per ora ti tengo con me, ma non siamo amici. Quindi non fare confusione e limitati a trasportare queste armi.

– Va bene. – disse subito Rufy, afferrando un arco. Cadde subito a terra, spinto giù dal peso dell'arma.

– Rimango folgorato dalla tua immenso potenza. – commentò Ace, sollevando un sopracciglio.

Rufy si alzò, spolverandosi i vestiti. – Mi ha colto di sorpresa. – affermò, deciso. – Adesso ci riesco!

Era davvero divertente osservare gli sforzi di quello strano esserino, decise Ace. Per quanto si sforzasse, Rufy riusciva a sollevare l'arco solo di pochi centimetri e per non più di un paio di secondi. Inutile anche solo pensare di tendere la corda.

– Non serve, non ce la puoi fare. – lo informò dopo cinque minuti di divertimento. – Quello è il più pesante che ho. – si avvicinò e lo sollevò con una mano sola apparentemente senza sforzo, poi incoccò una freccia e la fece partire. – Mi sono allenato un sacco prima di poterlo usare: rassegnati e porta qualcos'altro.

Rufy gonfiò le guance, offeso. – No, io voglio portare questo! Non importa quanto ci metterò.

Ace scosse la testa, infastidito. – Non ce la puoi fare, lascia perdere.

– Invece sì!

– Ho detto di no! – gridò Ace, furioso. – Vattene, non mi alleno con te. – Cosa stava pensando quando aveva permesso a quella fastidiosa pulce di accompagnarlo? Era solo un peso, un impaccio inutile e soprattutto fastidioso.

Rufy sembrava voler ribattere, ma un'occhiataccia di Ace bastò a farlo retrocedere. – M-ma Ace... Io...

– Tu cosa, capriccioso bambino? Vattene, ho detto! Mi alleno da solo! – Ace raccolse tutte le armi rimaste e corse via verso il nuovo posto in cui si sarebbe allenato in futuro. Se Rufy provò ad inseguirlo, comunque non lo raggiunse.

 

* * *

 

Il giorno dopo, Rufy non si fece vedere.

E nemmeno quello dopo.

E nemmeno quello dopo ancora.

Ace non era preoccupato, figuriamoci: anzi, era davvero un bel sollievo sapere di essersi finalmente liberato di quella pulce! Anche se gli sembrava tutto troppo semplice... Se n'era davvero liberato? Ace passò tutta la giornata ad interpellarsi sul perché quel bambino idiota non si fosse più fatto vedere. Per quanto provasse ad allenarsi senza distrarsi, il pensiero di Rufy e della sua sparizione non lo lasciavano in pace un secondo.

Quella notte, il ragazzino proprio non riusciva a dormire: ma andiamo, come aveva potuto pensare di potersi allenare con un moccioso del genere? Quant'era stato stupido! Non doveva nemmeno pensarci. Rufy? E chi è? No, scusate, Ace non conosceva nessun Rufy. Anzi, per colpa sua non si era nemmeno concentrato a dovere nell'allenamento.

Alla fine si decise: non riusciva a dormire? E allora? C'era la luna piena, la foresta era illuminata. Poteva uscire ad allenarsi ora, visto che nel pomeriggio non se l'era cavata un granché bene. Sogghignò. In fondo, perché no?

Scivolò giù dal letto senza far rumore e si avviò verso la foresta illuminata dalla tenue luce della luna. Sapeva benissimo dove dirigersi, anche senza vedere, quindi per lui non fu affatto complicato raggiungere il luogo in cui nascondeva le armi.

Eppure, qualcosa non quadrava: d'accordo che c'era la luna, ma... perché vedeva tutta quella luce?
Si fermò di botto. Un falò. Un falò pericolosamente vicino al luogo in cui nascondeva le armi. E drizzando le orecchie sentiva degli strani rumori, come gli sbuffi ostinati che faceva Rufy quando non riusciva a- Un momento. Rufy? Prese a correre, finché non raggiunse l'orlo di un piccolo precipizio (un metro al massimo) nascosto dai cespugli. Sotto di lui c'era il posto in cui si allenava, e la luce bastava per fargli vedere con precisione la scena che aveva davanti agli occhi: Rufy, proprio quell'idiota di Rufy, stava giocando con il suo prezioso arco.

Ace aggrottò le sopracciglia: giocando? Ma era lui che non ci vedeva bene, oppure lo stava... incoccando?

Effettivamente, Rufy era riuscito a tendere l'arco per quasi tre secondi prima di lasciarlo rimbalzare indietro, cadendo gambe all'aria. Si rialzò subito, felice. – Questa volta l'ho tenuto molto di più! – ridacchiò, soddisfatto. Ace rimase di sasso: parlava... da solo? Dovette resistere al feroce impulso di sbattersi una mano sulla fronte. – Ormai lo so sollevare anche con una mano sola, non è pesante. – si disse ancora il bambino, dando prova delle sue capacità sollevando l'arco senza sforzo. – E riesco quasi ad incoccarlo! Ace non saprà resistere e vorrà essere mio amico di sicuro!

Il primo, incoerente pensiero di Ace fu che quel bambino era davvero di una testardaggine ammirevole. Ma chi glielo faceva fare di impuntarsi così tanto? Lo faceva quasi sentire importante, comportandosi così! Subito dopo, gli venne una gran rabbia. Rufy. Aveva. Osato. Toccare. Il. Suo. Arco.

Stava per saltargli addosso – sgozzarlo, lapidarlo, strozzarlo, sminuzzarlo, l'importante era ucciderlo – quando un suono terribile gli fece schizzare tutti i sensi all'erta: possibile che...? Ma certo, con quel fuoco...

Ace fece appena in tempo a gridare – Sta' giù! – e a spingere Rufy a terra saltandogli addosso, che un lupo di montagna apparve dall'interno della foresta e saltò esattamente là dove Rufy si trovava un istante prima.

– Ace! – gridò Rufy, nel panico. Il maggiore mantenne il sangue freddo, e si voltò afferrando una delle spade sparpagliate sul terreno (evidentemente Rufy doveva aver tirato fuori tutto prima di arrivare all'arco) e si lanciò contro il lupo. – Tu scappa! – gridò rivolto a Rufy.

Il bambino si guardò intorno, terrorizzato, poi si arrampicò alla svelta su quel gradino da cui era arrivato Ace. Rimase lì a guardare, col fiato sospeso, mentre Ace conficcava la spada nello stomaco del lupo, lasciandolo accasciato al suolo. Morto.

Ace cercò di recuperare un respiro regolare, estraendo la spada dal cadavere del lupo. Rufy stava per scendere, quando avvertì qualcosa. Ace drizzò le orecchie nello stesso istante, ed entrambi capirono che non era ancora finita.

– Sono due! – strillò Rufy, nel panico. – Ce ne sono altri due!

Ace valutò rapidamente le alternative. Per quanto abile potesse essere, era consapevole del fatto di non poter affrontare due lupi famelici e assetati di sangue da solo, di notte, al buio. – Rufy, ascoltami bene. – gridò, preparandosi all'arrivo dei mostri. – Mentre io terrò impegnato quello più vicino, tu devi uccidere l'altro.

– Come? – Rufy sembrava sul punto di mettersi a piangere.

– Usa l'arco! Sei più in alto! – esclamò Ace, e Rufy non ebbe il tempo di ribattere che le bestie li raggiunsero. Questi erano ancora più grandi dell'altro, sembravano più cattivi.

Ace attaccò il primo, mentre il secondo appariva confuso. – Ora, Rufy! – gridò, sovrastando l'ululare rabbioso dei due animali.

Il bambino esitò. – N-non so se ci riesco...

– Sì che ci riesci! Datti una mossa! – ribatté Ace, schivando una zampata mortale e facendo un balzo indietro. Anche l'altro lupo gli si stava avvicinando. Se lottavano insieme, era nei guai.

Rufy tirò su col naso, alzandosi in piedi. – A-adesso ci provo. – affermò, serio.

– Non è che ci provi, tu ci riesci! – puntualizzò Ace, balzando indietro. I suoi occhi lampeggiavano d'odio. Rufy o non Rufy, lui non si sarebbe lasciato uccidere. Aveva una spada. Poteva farcela.

Il bambino sollevò l'arco che aveva in mano, concentrato. Aveva una sola freccia, lassù: non poteva sbagliare, non poteva! Altrimenti Ace... – Adesso va bene, Ace? – chiese, esitante.

L'occhiataccia del maggiore avrebbe fatto impallidire un fantasma. – No, ma che dici? Mi sto divertendo tanto, qui! Aspetta ancora dieci minuti, così ti rilassi un po'!

Rufy lo prese per un , e tese l'arco.

Era la prima volta che ci riusciva, era la prima volta che l'arco rimaneva così teso. Era duro, faceva male. Rufy quasi non ci vedeva più. Puntò la freccia in quella che sembrava la direzione giusta e, senza neanche il coraggio di respirare, scoccò.

 

* * *

 

Non aveva funzionato. Questa frase rimbalzava nella mente di Rufy come un disco rotto.
Insomma, c'era andato vicino. La freccia era partita, aveva addirittura preso il lupo a cui stava mirando, però... colpirlo non significava ucciderlo. La freccia l'aveva ferito, sì, ma non gravemente, alla zampa: il lupo era ancora vivo e vegeto, e decisamente arrabbiato.

Non potendo vedere Rufy, che si trovava in alto e in ombra, fece la cosa più ragionevole per un lupo nelle sue condizioni: si gettò sull'unico nemico che riusciva a vedere, ossia Ace.

– Idiota! – gridò il ragazzo, preparandosi a colpire. Sapeva di non potersi fidare di Rufy. – Alla gola, al ventre o alla testa! Se lo ferisci alla gamba non gli fai niente!

Era troppo arrabbiato per realizzare che, in ogni caso, Rufy era riuscito a tendere l'arco. Ma nemmeno Rufy stesso la vedeva come una grande impresa, a dire il vero.

Non aveva funzionato! E ora Ace poteva morire, morire! Doveva riprovarci, decise immediatamente. Certo, però... non aveva più frecce. Il suo sguardo saettò verso il basso, verso il prato scuro e illuminato dalle fiamme del suo falò. C'era una freccia, lì in mezzo, che sembrava chiamarlo. Era a metà strada tra lui e il lupo più vicino, ma Rufy doveva provarci. Era questione di un istante, un solo, singolo istante.

Il bambino saltò giù dal suo rifugio e prese a correre con tutto il fiato che aveva in corpo. Il lupo più vicino a lui si voltò immediatamente e, forse eccitato dalla nuova sfida, abbandonò Ace per correre ad inseguire la nuova preda.

Rufy aveva quasi raggiunto la freccia, e sentiva che sarebbe riuscito ad uccidere il lupo, questa volta lo sentiva, quando successe.

Inciampò.

Era a pochi passi dalla freccia, quando la sua faccia andò a sbattere contro il duro suolo, l'arco ancora stretto fra le mani e il lupo pronto a balzargli addosso.

Rufy gridò, ma sapeva che non sarebbe riuscito a fare niente, e Ace era impegnato, e... anche lui stava gridando?

Il lupo gli si accasciò addosso, morto. Rufy se lo scostò velocemente di dosso, per notare la grande spada conficcata nel fianco. Poco lontano, un Ace disarmato lo fissava come se non avesse ancora capito cosa stava succedendo.

– M-ma... Ace... – balbettò Rufy, un tono di voce impercettibile.

Il maggiore era ancora lì, nell'esatta posizione in cui si trovava l'istante precedente, senza più una spada in mano e con un lupo famelico addosso. L'immensità di quello che era appena accaduto colpì Rufy come un pugno. Lui stava per morire, e Ace aveva ucciso il lupo un istante prima che lo facesse fuori. Ora però si trovava disarmato davanti all'altro lupo! L'aveva fatto per salvarlo, solo per salvarlo! E adesso...?

Rufy scrollò la testa, deciso. Si lanciò verso la freccia a cui stava puntando prima, mentre Ace saltava all'indietro per schivare gli attacchi dell'ultimo lupo rimasto. – E muoviti! – esclamò il maggiore, stizzito.

Non serviva altro, e Rufy raccolse la freccia. Chiuse gli occhi, prese un respiro e tese l'arco. – Alla gola, al ventre o alla testa. – si ripeté, concentrato.

Spalancò gli occhi, una luce nuova e determinata nello sguardo. Prese la mira, e mentre Ace schivava un altro attacco, scoccò.

La freccia sembrò vibrare nell'aria per un lasso di tempo infinito, finché non si conficcò con precisione nel cranio del lupo, che crollò a terra con un ululato di dolore.

Rufy restò fermo per un po', poi si avvicinò, esitante. – È... è morto, vero?

Ace lo colpì alla testa. – Sei un vero idiota! – gridò, colpendolo di nuovo. Aveva il fiato corto, ma non sembrava ferito o comunque troppo affaticato. – Venire qua ad usare le mie armi... – lo colpì di nuovo. – Sbagliare a quel modo il primo tiro... – un altro colpo. – E inciampare così, sei stato il più patetico... – lo sbatté a terra. – Di tutti gli idioti! – concluse, piantando una spada nel terreno a pochi centimetri dal suo viso.

Rufy sorrise, sollevato. – Scusa, Ace. – ridacchiò.

Ace era vagamente sconcertato. E adesso perché stava ridendo?

Il bambino si alzò senza sforzo e di colpo, così, senza preavviso, gli si lanciò addosso, abbracciandolo con forza. – Grazie... – pigolò, e Ace realizzò quanta paura avesse avuto.

– I-io... – Non sapeva come reagire, non sapeva cosa fare. Non si era mai trovato in una situazione del genere, prima d'ora! Si morse un labbro, confuso, poi le sue braccia trovarono la strada da sole e si avvolsero intorno al corpicino tremante di Rufy nel suo primo, goffo abbraccio.

– Devi ancora farne, di strada, prima di sapere usare quell'arco come si deve. – commentò, serio. – E... ti serve qualcuno che ti insegni come fare.

Rufy alzò lo sguardo, quasi senza credere alle sue orecchie. – C-cioè...

Ace ghignò. – Ma sì, idiota. Sto dicendo che ci alleniamo insieme, tu ed io.

– S-siamo amici? – balbettò Rufy, gli occhioni spalancati.

Ace rifletté. Essere amico di qualcuno non era mai rientrato nei suoi piani. Amicizia significava fidarsi, significava essere disposti a dare tutto di sé. Gliel'aveva detto una volta il vecchio, tanto tempo prima. Era davvero pronto a... Ma poi ricordò. Pochi istanti prima, quando il lupo stava saltando addosso a Rufy, in quel momento era successo qualcosa. Insomma, era da pazzi rimanere disarmati davanti ad un lupo, quella era la prima regola. Eppure lui l'aveva fatto, si era praticamente annullato ogni possibilità di salvezza pur di non vedere Rufy morire.

E allora forse la risposta la sapeva già.

– E va bene, d'accordo. Sarò tuo amico.

Gli era mancato, dopotutto.














Angolo autrice:
Ehilà! Scusate il ritardo, oggi è stata una giornata faticosa... Oh, speriamo che venerdì la mia scuola faccia picchetto, perché altrimenti non so proprio quando fare i compiti. Aaaah... brutta cosa la scuola. Non badate a me, adesso mi ricompongo.
Bene. Non mi sembrava verosimile che Ace, senza l'intercessione di Sabo, non reagisse al primo litigio. Ed infatti è scoppiato subito, come vedete. Ci voleva qualcosa di più, un'altra esperienza vissuta insieme, e, bé... Rufy non è una cima in niente, in realtà. Ma siccome non potevo farlo allungabile, almeno un campo in cui era bravissimo dovevo metterlo, e il tiro con l'arco mi è sembrato un compromesso accettabile. Si comincia ad intuire qualcosa del perché del titolo della storia, eheheh...
Sabo farà una pseudo-apparizione nel prossimo capitolo, abbiate fede! Ormai manca poco ^^"
Grazie di cuore a tutti quelli che seguono, preferiscono, recensiscono e leggono soltanto! Ragazzi, mi fa davvero piacere che questa storia sia tanto apprezzata!
Ah, quasi mi dimenticavo. Il titolo del capitolo "D'un tratto, nel folto del bosco..." è una citazione di un romanzo che non mi ricordo, che ho letto mille anni fa. Era anche carino, ma proprio non saprei dire il nome dell'autore. In ogni caso non è mio, ecco. Solo, mi sembrava d'effetto ^^"
Un bacione, ci sentiamo mercoledì prossimo!
Vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Di allenamenti, rivelazioni e visite inaspettate ***


DI ALLENAMENTI, RIVELAZIONI E VISITE INASPETTATE



Passarono i giorni, le settimane, addirittura i mesi, e le cose andavano inaspettatamente bene.

Più trascorrevano tempo insieme, meno Ace si pentiva di averlo preso con sé: tanto per cominciare, da solo Rufy non avrebbe resistito nella foresta per neanche due minuti. Era già un miracolo che non fosse morto quando ancora non si frequentavano.

– Attento! Quello è velenoso, fermati!

– Oh, Rufy, ma come sei finito lassù?

– Non muoverti, se lo spaventi è finita!
Insomma, il suo era un lavoro a tempo pieno. Eppure non poteva lamentarsi, perché... perché tutto sommato era felice. Si divertiva. Non aveva mai avuto un amico, anzi: non aveva mai interagito con nessuno, a parte i banditi e il vecchio. Rufy era un tornado di allegria, un terremoto sempre in movimento e sempre col sorriso sulle labbra. Passare il tempo insieme a lui era così divertente... Piano piano, Ace sentiva che il muro che aveva costruito attorno al suo cuore in tutti quegli anni stava inesorabilmente crollando.

Si ritrovava a sorridere senza un motivo particolare, osservando Rufy che si intestardiva ad arrampicarsi su un albero troppo grande, o a ridere senza ritegno dopo avergli fatto uno scherzo malvagio. Rufy non si arrabbiava mai. Rufy rideva sempre. Ma soprattutto, Rufy non chiedeva assolutamente niente in cambio: non voleva sapere nulla del passato di Ace, o del perché ci fossero quei cosiddetti giorni no. Quando la consapevolezza di quello che era lo colpiva come un fiume in piena, e allora non aveva voglia di giocare, allenarsi o di fare qualsiasi cosa che non fosse starsene a letto a non fare nulla, gridando contro chiunque osasse avvicinarsi.

In quei giorni Rufy rimaneva seduto sul pavimento, zitto e fermo, ad aspettare. Capitava che rimanesse così per minuti interi, finché Ace non ne poteva più di vederlo così sofferente e decideva di alzarsi e uscire.

Rufy mandava via le nuvole, in tutti i sensi.

Insieme ormai facevano di tutto: quel petulante bambino spuntava fuori al mattino presto e se ne andava via a notte inoltrata, anche se ormai erano di più le notti che passava dai briganti che quelle in cui tornava a casa. Il nonno di Rufy non si preoccupava per niente, quindi nessuno si lamentava. E loro stavano bene, insieme.

Ogni giorno c'era qualcosa da fare, dall'andare a caccia all'esplorare parti sconosciute del bosco; dal costruire un fortino all'allenarsi a riconoscere le tracce. E Rufy rendeva ogni istante indimenticabile, con i suoi sorrisi e la sua voglia di vivere.

Certo, c'era il problema dell'allenamento: ogni giorno combattevano quasi cento volte, e ogni singolo incontro veniva vinto da Ace. Non che Rufy fosse poi tanto debole, ma contro di Ace non c'era storia. Era anche abbastanza noioso, dal momento che Rufy era seriamente convinto di poterlo battere. Ma ci credeva sul serio, eh! Ci andava talmente convinto...

– Non puoi farcela, Rufy. – sospirò Ace dopo l'ennesimo tentativo fallito del più giovane, che si ritrovava una spada puntata alla gola. – Seriamente, ma tu non ti stufi mai? Perché non ci alleniamo separatamente, ogni tanto?

– Uffa. – borbottò Rufy, sgusciando via e raccogliendo la spada che Ace aveva fatto volare lontano. – Sei stato fortunato. – proclamò, melodrammatico. – Ma questa è la volta buona! – esclamò subito dopo, con grinta rinnovata. No, non lo aveva nemmeno ascoltato. – In guardia, Ace!

Il maggiore aveva come l'impressione che quel fastidioso, piccolo e stupido bambino non si sarebbe mai e poi mai arreso, ma così certo non potevano andare avanti.

– Adesso ascoltami bene, Rufy. – disse, appoggiando la spada a terra.

– Non smetteremo mica di allenarci! – inorridì Rufy, arretrando. – Ace, guarda che io sono bravo, sul serio! A casa a volte vincevo, cioè, no, vincevo quasi sempre! Sei tu... – abbassò lo sguardo, un lieve rossore che gli si spargeva sul viso. – Sei tu che sei troppo forte, il più fortissimissimo di tutti. Sono fortunato ad allenarmi con te, così divento forte pure io! – aggiunse subito, con rinnovata energia.

Ace rimase per un attimo senza parole. Era... un complimento, quello? Scrollò la testa, deciso. – Non è questo il punto, lo so che sei bravo. Cioè, sei ancora indietro, però sei più bravo di molte persone che ho affrontato. Quello che volevo chiederti era un'altra cosa... Ti ricordi quella sera dei lupi, quando ne abbiamo sconfitti tre?

Rufy annuì, sorridendo orgoglioso: Ace aveva detto “abbiamo”, non “ho”. Era raro che condividesse i suoi successi, e Rufy era davvero felice. – Sì, mi ricordo! – affermò, allegro.

– Bene. Visto che a lottare con la spada contro di te mi annoio - lo so che sei bravo, te l'ho già detto, non interrompermi - dicevo, pensavo di cambiare ambito. Che ne diresti di allenarci un po' con il tiro con l'arco?

Gli occhi di Rufy presero a luccicare. Un arco. L'idea lo affascinava da morire! – Facciamolo! Facciamolo! – gridò, saltellando su e giù dall'eccitazione. Ecco, era questo che intendeva Ace: quel bambino era un vero e proprio tornado di allegria. Permise ad un piccolo sorriso di affiorargli alle labbra.

– D'accordo... – fece Ace tirando fuori un paio di archi e una faretra. – Cominciamo dalle basi.

– Ma scusa, io le basi le so! – si offese Rufy. – Possiamo tirare e basta? Per favore!

Ace avrebbe ribattuto, ma l'espressione implorante di Rufy era una cosa davvero troppo difficile da ignorare. Inoltre aveva eccezionalmente ragione: sapeva le basi. Sapeva tirare. Gli aveva salvato la vita, uccidendo quel lupo con una sola freccia, e questa era una cosa che Ace non poteva dimenticare tanto facilmente. – E va bene, ok. Cominciamo. – sospirò, mentre Rufy prendeva al volo l'arco che il maggiore gli passava. Accidenti a quel marmocchio, possibile che le avesse tutte volte? A volte Ace si chiedeva se non fosse un male. Cioè, si stava davvero rammollendo! Poi però guardava la felicità traboccante dagli occhi di Rufy e sapeva che non poteva esserci niente di sbagliato in quello.

– M-ma... Ace! Questo è l'arco che... – balbettò Rufy, una volta realizzato che cosa aveva effettivamente tra le mani. Era l'intoccabile arco che Ace aveva difeso con le unghie e con i denti, quello per il quale avevano litigato la prima volta, quello... Insomma, dai, quello!

– Sì, e allora? Ho pensato che ormai, dato che ti ci sei abituato... – fece Ace scrollando le spalle, senza neanche guardarlo.

– Ma dici davvero? Cioè, posso sul serio? Quest'arco? Sul serio? – Rufy stava saltellando dalla felicità, travolgendo qualunque cosa si trovasse sul suo cammino.

– Ehi, ehi, calma! – ridacchiò Ace, spostandosi per evitare la sua furia devastatrice. – Perché no? Ormai, visto che lo sai tendere... E poi è meglio se lo usi tu, io sono più per il corpo a corpo. L'arco non è proprio la mia arma. – spiegò, pratico. Sorrise fra sé e sé: era così appagante vedere Rufy tanto felice... Soltanto pochi mesi prima, non avrebbe mai e poi mai osato concepire un pensiero del genere. Si vedeva che era proprio cambiato.

– Grazie, Ace!

Però solo pochi mesi prima non avrebbe mai immaginato che si potesse essere così felici solo grazie al sorriso di un bambino.

 

* * *

 

– E hai visto com'ero bravo? Ero bravissimo, giusto? Ho fatto un sacco di centri, e tutti con l'arco più duro!

– Ma non dire scemenze, io ne ho fatti molti di più!

– No, questo non è vero, Ace! Li ho contati, tu ne hai fatti due in meno!

– Mai i miei erano più centrati, tu li facevi storti!

– Piantala, è una bugia!

– Ah, sì? Una bugia, eh?

– Ahi! Non vale picchiare, tanto ho ragione lo stesso!

Ace e Rufy erano di ritorno alla capanna dei banditi di Dadan, ridendo (soprattutto Rufy) e spintonandosi (soprattutto Ace) per tutto il tragitto.

Si erano allenati con l'arco finché c'era stata luce, dopodiché avevano ripiegato per la casa. – È un problema se mi fermo per cena? – domandò Rufy, sorridente.

Ace scosse la testa, rassegnato. Anche se fosse stato un problema, Rufy sarebbe rimasto lo stesso, era pronto a scommetterci. Ma tanto i banditi lo veneravano, Rufy si divertiva e il vecchio non ci badava.

Ace non aveva ancora detto nulla a Rufy sul fatto che in effetti conosceva bene il vecchio Garp, né gli aveva parlato del suo segreto più orribile, del perché ogni tanto si abbattesse in quel modo. Era un discorso difficile da affrontare, e ancora non si sentiva pronto.

Ma tutto stava per cambiare, anche se non lo sapeva ancora...

Quando entrarono nella capanna dei banditi, la trovarono stranamente silenziosa. – Dove sono tutti? – si chiese Rufy, corrucciato.

– Probabilmente sono già a mangiare. – alzò le spalle Ace, raggiungendo la sala da pranzo. Bé, in parte ci aveva azzeccato: erano tutti lì, fermi a tavola senza dire una parola.

– Ragazzi, ma che sta succed... Oh, ciao, nonno! – fece Rufy, alzando la mano in segno di saluto. A capotavola, ritto e impettito, stava proprio Garp.

– Rufy! Ace! Eccovi, finalmente! – tuonò il vecchio, allargando le braccia. – È tanto che non ci si vede, vero, ragazzo? – parlava guardando Ace, e Rufy voltò la testa, curioso.

– Ah, ma allora vi conoscete già!

Ace tirò un gran sospiro di sollievo: Rufy non era arrabbiato per avergli nascosto una cosa del genere! Bé, c'era da aspettarselo: Rufy si arrabbiava difficilmente, l'aveva già imparato.

– Come, non te l'ha detto? Noi ci conosciamo da tanto! Ma prego, sedetevi pure, non statevene lì impalati! – fece Garp, alludendo ai due posti accanto a lui.

I due ragazzini presero posto dove Garp gli indicava, e il pranzo cominciò.

Inutile dire che dopo pochi minuti era già tutto finito. – Ah, era delizioso! – ruggì Garp, soddisfatto.

– Davvero? Questo cinghiale l'abbiamo cacciato io e Ace! – rise Rufy, orgoglioso. – Cioè, un po' più Ace, ma io l'ho distratto mentre Ace lo colpiva! – gonfiò il petto, fiero.

Garp inarcò un sopracciglio. – Davvero? – commentò, come concentrato su qualcosa. Ace lo capiva: li stava valutando. Come se volesse essere sicuro di qualcosa, come se prima di compiere un passo importante volesse essere sicuro di non sbagliarsi.

– Allora, Garp! – esordì Dadan, impacciata. – Averti qui è sempre un onore, ma... Possiamo sapere il motivo della tua visita così inaspettata? – Era ovvio che, oltre che inaspettata, quella visita era anche sgradita.

– Il motivo, eh? – Ace deglutì, temendo la risposta: se le cose stavano come temeva, allora... – Ma certo! – tuonò il vecchio, alzandosi. – A breve inizierà la primavera! E quando farà abbastanza caldo, sarà il momento! Il grande momento! Sai di cosa parlo, vero, Rufy?

Il bambino inarcò un sopracciglio, confuso. – Eh?

– Ma dai, non dirmi che l'hai dimenticato! A Maggio compirai otto anni, e verrà il momento in cui comincerai l'addestramento! – fece Garp, infastidito dalla mancata reazione del bambino.

Lo sguardo di Rufy corse subito verso di Ace. – Ma... – balbettò, preoccupato.

– Come, non sei contento? – ghignò Garp, battendogli una mano sulla spalla. – Seguirai le orme di tuo nonno e di tuo padre, e ben presto potrai-

Rufy lo interruppe, gli occhi strizzati e i pugni chiusi. – Però viene anche Ace!

Ci fu un istante di silenzio.

– Come? – fece Dadan, sconvolta.

– M-ma, Rufy... – balbettò Ace, appoggiandogli una mano sulla spalla.

– Ti prego, nonno, può venire anche lui? Lo so che è più grande, ma tu puoi farlo! È fortissimo, è la persona più fortissima che conosco, sul serio! Può venire? Ti prego, ti prego, io voglio stare con lui! – implorò.

Ace non riusciva a capacitarsi dell'evolversi della situazione. Per quello che gli era sembrato di capire, Rufy non vedeva l'ora di cominciare l'addestramento: non faceva che allenarsi per quello, no? Non poteva negare di aver provato un pizzico di invidia, ogni tanto: lui, Ace, non sarebbe mai potuto entrare nell'esercito, non sarebbe nemmeno dovuto esistere. Questo pensiero era così orribile che Ace faceva di tutto per non pensarci, però... In fondo lo sapeva, sapeva che quel momento sarebbe arrivato. Rufy lo avrebbe dovuto lasciare, era logico.

In teoria, Ace era preparato ad affrontare la cosa. Però... non pensava che si sarebbe tanto affezionato a quella piaga umana, maledizione! Ormai non riusciva a concepire una vita solitaria e senza le continue follie del piccolo Rufy, tanto che segretamente aveva anche progettato di introdursi illegalmente nel campo dell'addestramento per poterlo vedere ancora.

Ma se adesso Rufy fosse riuscito a convincere il vecchio a dargli un'occasione... Anche solo una...

Entrare nell'esercito spartano sarebbe stato fantastico. Certo, era pericoloso, e non tutti sarebbero stati d'accordo: ma finché Atene e Sparta erano alleate non poteva succedere niente, giusto? Non era detto che quella profezia significasse... No, Ace non doveva pensarci, quindi smise immediatamente.

L'unica cosa che contava in quel momento era la risposta di Garp, solo quella. Se diceva che poteva entrare nell'addestramento spartano anche se era più grande, bé... Sarebbe stato perfetto!

Avrebbe combattuto e sarebbe stato con Rufy. Cosa desiderare di più? Certo, gli inconvenienti ci sarebbero stati per forza. Orari massacranti, lontano dal bosco che considerava la sua casa, tutta quella gente... Lui non era esattamente un tipo socievole, quindi la cosa poteva rivelarsi complicata.

Oh, ma che importava? Se c'era Rufy... E poi, se qualcuno lo avrebbe infastidito sarebbe bastato dargli una bella lezione.

– Uhm, sarebbe complicato... – rifletté Garp, concentrato.

– Ma non impossibile, giusto? – chiese subito Ace, al colmo dell'eccitazione. Era possibile, era possibile!

Garp si grattò il mento. – Anche se a Sparta sono un'autorità, non posso cambiare le regole da un giorno all'altro. L'addestramento si inizia a otto anni, e bisogna essere cittadini Spartani in tutto e per tutto. D'altra parte, suppongo di poterti presentare come fratello maggiore di Rufy. Conosco qualcuno in grado di preparare tutte le scartoffie necessarie, e poi in fondo vi somigliate parecchio. Questo non è impossibile.

Sembrava un sogno. Era decisamente un sogno, non poteva essere vero!

– Davvero? Davvero, nonno? Posso dire in giro che Ace è mio fratello maggiore? Davvero? – gridò Rufy, prendendo a saltellare per la stanza. – Oh, è stupendo! Stupendissimo! – affermò, ridendo.

– Sì, però c'è ancora il problema dell'età. – gli ricordò Ace, afferrandolo per un braccio e costringendolo a fermarsi. – O vorresti convincerli che, oltre che fratelli, siamo anche gemelli? – mise la faccia accanto a quella di Rufy, come a dimostrare che no, erano troppo diversi per poter essere scambiati per due gemelli.

– Questo no... Però c'è un modo per entrare ad un'età diversa da quella di base. Certo, è un po' complicato, ma da quanto ho capito le complicazioni non ti preoccupano, dico bene? – ghignò Garp.

Ace annuì, fiero. – Mai successo. – assicurò.

– Bene, allora ascolta. Se vuoi entrare, dovrai sconfiggere il più abile tra i ragazzi della tua età in una lotta senza esclusione di colpi. Pensi di farcela? – chiese Garp.

– E glielo chiedi? – fece Rufy, scandalizzato. – Per Ace non è affatto un problema, lui è fortissimo!

– Sì, voglio farlo. Se è tutto qui. Sarà un gioco da ragazzi. – confermò Ace, tranquillo. Si era aspettato qualcosa di molto peggio! Conosceva la forza media dei ragazzi più grandi di lui, ne aveva sconfitti diversi. Figuriamoci se non riusciva a battere un solo ragazzo, per di più della sua età!

Garp sbuffò, alzandosi in piedi. – Bé, se le cose stanno così verrò a prendervi tra due mesetti circa. Nel frattempo, godetevi il tempo che vi rimane! – fece per uscire, ma all'ultimo si voltò. – Ah, un'ultima cosa. – disse, mentre già Ace e Rufy stavano salendo le scale per la loro stanza.

– Che c'è? – chiesero in coro i bambini.

– Non avrò problemi con la faccenda dei fratelli... – sussurrò il vecchio a mezza voce, a metà tra il colpito e l'orgoglioso.

– Eh? Parla più forte, nonno! – lo sgridò Rufy.

– No, volevo dirvi chi è il campione in carica, quello che Ace dovrà sfidare! – fece Garp, già sulla soglia. – Il suo nome è Sabo!

E mentre Ace e Rufy lo fissavano confusi, Garp si chiuse la porta alle spalle, ridacchiando. Le cose cominciavano a farsi interessanti, per una volta.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Fightin' for his smile ***


FIGHTIN' FOR HIS SMILE



– È oggi, è oggi, è oggi!

– Piantala di agitarti, altrimenti giuro che non ti prendo a pugni finché non svieni! Allora starai zitto, spero.

Il grande giorno era finalmente arrivato: nel giro di qualche minuto Garp sarebbe venuto a prenderli per portarli all'addestramento. Quell'addestramento! Rufy non stava più nella pelle, e anche Ace doveva mettercela tutta per mantenere la sua maschera di indifferenza.

– Va bene, va bene, sto fermo. – fece Rufy, obbediente. Sarebbe anche stato credibile, se non l'avesse assicurato almeno altre otto volte nella stessa mattinata, salvo poi rimettersi a saltellare come un invasato dopo appena qualche secondo. E infatti... – Oh, Ace, ma è oggi! – gridò, al colmo della felicità.

Il maggiore ritenne saggio far valere la sua autorità infliggendo a Rufy una punizione esemplare.

Quando Garp fece il suo trionfale ingresso nella capanna dei banditi, venne travolto in pieno da un Rufy intento a scappare dalla furia omicida di Ace, che invece gli correva dietro brandendo un bastone, una luce inquietante negli occhi.

– Bene bene bene. – fece il vecchio, sollevando di peso Rufy e salvandolo dalla furia assassina dell'amico. – Vedo che siamo pronti e carichi. Su, venite con me.

I due obbedirono, e ben presto si incamminarono. – Addio! Anche se è durato poco, è stato un vero piacere! – si sbracciava Rufy, salutando i briganti. – Che fai, Ace, tu non li saluti? Guarda che poi non li rivedrai più...

Ace si strinse nelle spalle, infastidito. – E che mi importa?

Rufy sorrise, l'aria di chi aveva capito tutto. – Mancherete molto anche a Ace, solo che non ve lo vuole dire perché è orgoglioso! Però vi vuole bene!– strillò.

Ace gli tirò un pugno in testa, rosso come un peperone. – Ma che diavolo dici? Non è affatto vero!

Garp ridacchiò. – Su, su, poche storie! Forza, diamoci una mossa.

E prima che se ne potessero rendere conto, il bosco era sparito alle loro spalle, portandoli davanti ad una grande recinzione.

Erano arrivati.

 

* * *

 

– La vuoi piantare? Mi fai venire il mal di testa! – si lamentò Ace all'ennesimo “Uao!” di Rufy. Non ne poteva più: d'accordo che anche lui era eccitato, ma sarebbe stato meglio non darlo a vedere, no?

Garp sogghignava sotto i baffi, tutto sommato fiero di quella strana coppia di bambini.

Rufy non se la prese, anzi, sorrise ancora di più. – Scusa, fratellone! – rise, e Ace sentì il cuore allargarsi. Ovviamente non lo diede a vedere, anzi sbuffò e incrociò le braccia. – Allora, dove devo fare questa prova?

Neanche a dirlo, davanti a loro si materializzò un uomo che aveva tutta l'aria di essere un severissimo istruttore: muscoloso, uniforme regolare, sguardo truce. Esattamente il tipo di persona che Ace, forse memore degli anni passati a rubare armi provenienti da quel posto, disprezzava totalmente.

– Oh, Garp, quanto tempo! – tuonò l'uomo, stringendolo in un rude abbraccio.

– Vecchio mio! – rispose gioviale Garp. – Ti ho portato i miei nipoti, quelli di cui ti parlavo!

L'uomo si abbassò, squadrando da vicino sia Ace che Rufy.

Che hai da guardare? Avrebbe voluto chiedere Ace, ma si morse la lingua: almeno finché non era dentro ufficialmente, era meglio non esporsi troppo, quindi si limitò ad incrociare le braccia.

– Scusa, perché mi guardi così? Guarda che io sono fortissimo, cosa credi? – chiese Rufy, incrociando le braccia per imitare Ace.

L'uomo scoppiò in una fragorosa risata. – Lo credo bene! Tu devi essere Rufy, quello regolare. – Ace odiava quella parola. – Mentre tu... Ace, dico bene? Certo che tuo padre si è dato da fare, non sapevo che avesse un altro figlio!

– Sì, bé, voleva farvi una sorpresa. – sibilò. – Ora, dove devo andare per lottare contro quel Sabo? – meglio andare dritti al sodo, si disse.

Probabilmente quella di andare dritti al sodo era una qualità importante per uno Spartano, perché l'uomo lo squadrò con approvazione, poi gli fece cenno di seguirlo. – Da questa parte, su. Credo ti stia già aspettando.

Rufy li seguì zampettando. – Si può guardare? O è una cosa privata? – chiese con estrema delicatezza.

– Oh, se vuoi guardare nessuno te lo impedirà, giovanotto! In fondo è il tuo primo giorno, avrai tempo per spaccarti le ossa negli anni che verranno! – scoppiò a ridere, anche se Ace non lo trovava molto divertente. – Su, vieni, che ti faccio vedere come si combatte sul serio.

Rufy li seguì sorridendo a trentadue denti finché non raggiunsero un grande campo di terra battuta, circolare. Tutt'intorno un basso muretto delimitava il confine del campo. – È qui che si batteranno? – chiese, impaziente.

– Esattamente!

– E cosa faranno, di preciso? – si informò ancora Rufy.

Ace intanto era già entrato, e stava soppesando con lo sguardo le armi poste sul terreno. – Posso scegliere una spada? – gridò senza distogliere lo sguardo dalle armi.

L'uomo raddrizzò la schiena, orgoglioso. – Scegli quella che preferisci! Questo posto è famoso per le meravigliose armi che possediamo! – poi si rivolse a Rufy. – La prova si baserà sul combattimento corpo a corpo: spada, principalmente, ma in qualche caso si ha diritto ad un coltello. E per rendere il tutto più interessante ci sono delle armi sparse a terra, vedi? Volendo, le si può raccogliere. Se entro un'ora dall'inizio non si ha ancora finito, saremo noi allenatori e decretare il vincitore. Ma non credo che ce ne sarà bisogno, perché vedi, il campione di quest'anno è davvero... – ma si interruppe, sconvolto: Ace aveva scelto la sua spada e l'aveva lanciata contro un manichino imbottito di paglia che si trovava all'esterno del campo, poco lontano: l'aveva completamente spezzato a metà, lasciando che il contenuto si riversasse sul suolo del campo.

Mentre l'uomo rimaneva senza parole, Rufy ridacchiò, soddisfatto. – Sei fortissimo, Ace! – gridò. – Vincerai sicurissimamente tu!

– Bé, non è ancora detto, ti pare? – fece una voce alle sue spalle.

Rufy si voltò di scatto: alle sue spalle stava un ragazzino poco più grande di lui, dai corti capelli biondi. Sorrideva leggermente, le braccia incrociate dietro la testa.

Rufy sorrise e gli porse la mano. – Ciao! Io mi chiamo Rufy e quello è mio fratello Ace. – nel vedere l'orgoglio e la gioia scaturire da quelle parole, Ace sentì la sua forza aumentare a dismisura. – Io sono sicuro che vincerà perché è sempre stato fortissimo! Tu chi sei?

L'altro gli strinse la mano, allegro. – Ah, ho sentito parlare di te! Il nipote di Garp, giusto? – Rufy annuì. – Bé, Rufy, sono sicuro che tuo fratello sia davvero forte, però, vedi, non è ancora detto che vinca, no? – Rufy gonfiò le guance e fece per parlare, ma il ragazzo lo precedette. – Comunque io mi chiamo Sabo, piacere di conoscerti.

Rufy rimase sconvolto per un attimo, poi ritirò velocemente la mano e la nascose dietro la schiena. – Non ho fraternizzato col nemico, giuro! – esclamò, traumatizzato.

Sabo scoppiò a ridere. – Allora lo sai, che sarò io a combattere contro di lui!

Rufy sollevò il mento, fiero. – Ace ti batterà. – Decise. – Anche se sei simpatico. – aggiunse poi, come ripensandoci. Sabo ridacchiò, mentre Rufy sembrava preda di un dilemma esistenziale. – Si potrà fraternizzare con un nemico simpatico?

Sembrò rifletterci su, poi sfoderò un sorriso smagliante. – Sì, credo di sì, perché le persone simpatiche mi piacciono! Allora sono contento di averti stretto la mano!

– Sei uno strano bambino, Rufy, lasciatelo dire.

– Ace me lo dice sempre... – sospirò quello, prima di sfoderare un grande sorriso. – Bé, quando si comincia? Voglio vedervi lottare!

Sabo sembrò pensarci su. – Se Ace ha scelto la sua arma... Si aspetta che arrivino tutti e poi si comincia. Si sta già avvicinando qualcuno, vedi?

Rufy voltò la testa, eccitato, e vide arrivare altri ragazzi. Fra di loro, riconobbe alcuni suoi vecchi amici di quando ancora viveva in città. – Oh, allora è meglio se vado! – disse velocemente, saltellando sul posto. – Ciao, Ace! Mi raccomando, vinci, eh!

Si voltò e scappò via.

Sabo scosse la testa, sorridendo. – È davvero un personaggio interessante, eh? Ha fraternizzato col nemico senza pensarci due volte. – commentò in direzione di Ace, che sbuffò.

– È completamente idiota. – spiegò, senza guardarlo. – Però è mio fratello. – e non c'era esitazione nella sua voce mentre pronunciava quella che nemmeno sentiva come una bugia. – E se voglio stare con lui, devo batterti. Per il resto... dubito che ci sia qualcuno con cui quel piccolo pazzo non voglia fraternizzare. È fatto così. – alzò le spalle, stringendo saldamente la spada che aveva scelto e avvicinandosi all'avversario. – Io sono pronto. Quando si comincia?

Sabo sorrise, dando una pacca alla spada che teneva nel fodero appeso alla cintura. – Quando arriva il maestro Aghìas. Ormai dovrebbe mancare poco...

Facevano uno strano effetto, uno di fianco all'altro, le braccia incrociate e lo sguardo distante.

– Cosa c'è, Rufy? – chiese un ragazzino della sua età che Rufy aveva conosciuto da piccolo.

– Non so, non sembrano... amici, o qualcosa del genere? – chiese il bambino, alludendo ai due ragazzi nell'arena.

L'altro storse il naso, scettico. – Dici? In ogni caso sarà Sabo a vincere, e quest'altro tipo non lo vedremo più.

Rufy si voltò a guardarlo in faccia, sconvolto. – Ma che dici? Scusa, tu hai mai visto lottare Ace? Guarda che è fortissimo!

– Ma Sabo è qui da tre anni e non ha mai perso neanche una volta! – gridò l'altro, arrabbiato.

– In ogni caso sarà Ace a vincere!

– No, Sabo!

Il ragazzino sferrò un violento pugno sulla faccia di Rufy, e fu una rissa in piena regola. Abituato ai combattimenti con Ace, Rufy trovò di una semplicità abissale atterrare il ragazzino. – No. Ace. – sibilò tenendogli la faccia premuta verso il basso.

– Oh-oh, vedo che abbiamo una nuova promessa, quest'anno! – ridacchiò qualcuno.

– Se suo fratello è forte come lui, allora Sabo dovrà davvero darci dentro!

Rufy si tirò in piedi, sorridendo soddisfatto. Diede la mano al suo avversario per aiutarlo ad alzarsi, ma quello la respinse, soffiando. – Sei stato fortunato. – sibilò, offeso.

– Zitti, che comincia!

Non essendoci panche o spalti, tutti i ragazzi stavano ammassati oltre il basso muretto che circondava il campo da combattimento. Rufy si fece largo tra la folla, evitando un gruppo di ragazzi di tredici anni che gli sembravano pericolosi e sgusciando attraverso un folto drappello di energumeni che se non stavano attenti avrebbero potuto schiacciarlo, e alla fine si ritrovò in prima fila.

Un uomo vestito con l'uniforme dei soldati spartani si trovava al centro del campo, e di fronte a lui si trovavano Ace e Sabo.

– Bene arrivati, a tutti quanti! Se siete qui significa che avete già terminato la sessione di allenamento del mattino. Bravi... se scopro che avete imbrogliato verrete frustati, sono stato chiaro?

Almeno una decina di ragazzi sparsi scapparono via in silenzio.

– Ecco, così va meglio. – borbottò il maestro. – Bene, voialtri! Come sapete, oggi è in corso la battaglia per l'inserimento eccezionale di un nuovo soldato spartano! Se Ace, figlio di Dragon, figlio di Garp, riuscirà a superare questa prova, avremo la certezza che è un degno figlio di Sparta, e come tale otterrà il diritto di combattere al fianco degli altri spartani e di vivere con noi! Di morire! Sempre al nostro fianco. – i ragazzi esplosero in una boato di esultanza.

Rufy colse lo sguardo di Ace. – Meglio se non muori, però! – sillabò, e Ace afferrò il concetto, ghignando.

Il suo sguardo diceva “ci puoi scommettere”.

– Quindi... che la lotta abbia inizio!

Il maestro si ritirò di qualche passo, e Ace e Sabo iniziarono a lottare.

 

* * *

 

Il combattimento andava avanti da più di mezz'ora, e nessuno riusciva a credere a quello che vedeva.

Sabo era una furia, un guerriero di prima categoria: veloce e spietato, sapeva dove colpire e lo faceva senza tanti riguardi. Nella lotta, oltre alla spada, si era servito di un pugnale, due coltelli e quattro lance diverse; tutte armi con le quali se la cavava alla perfezione. Si era fatto ferire solo tre volte: alla guancia, alla coscia sinistra e sul dorso della mano destra. Eppure oltre a passarci sopra una mano per togliere il sangue non dava segno di essere in agonia come avrebbe fatto un normale essere umano, anzi! Lottava ancora con forza e agilità.

Ma la vera rivelazione dello scontro era e sarebbe sempre stata Ace.

Ace, un ragazzo che già aveva una reputazione come ladro e infiltrato da oltre cinque anni (ma l'originalità era sempre stata la caratteristica dominante della famiglia Monkey, in fondo). Con questa fama alle spalle e l'episodio dopo il quale cinque ragazzi erano tornati dalla foresta in fin di vita senza uno straccio di spiegazione meno di un anno prima, le aspettative di tutti erano difficili da realizzare. Ma Ace le aveva raggiunte e superate senza problemi.

Si muoveva così velocemente che era impossibile stargli dietro. Usava la spada con un'abilità che nessuno dei presenti avrebbe mai potuto raggiungere nemmeno dopo dieci anni di addestramento. Saltava, correva, affondava e schivava tutto nello stesso tempo: la luce nei suoi occhi non si spegneva mai, bruciava di una forza inestinguibile.

Riportava una sola ferita sull'avambraccio destro: Sabo l'aveva colpito in un istante di distrazione, quando Ace aveva distintamente sentito Rufy gongolare dal bordo del campo dicendo: “È mio fratello, sai?”

Ace non aveva toccato nessun'altra arma a parte la sua spada. Per libera scelta. Non che non fosse abile con la lancia, il pugnale o il coltello, e questo Rufy lo sapeva meglio di chiunque altro. Era quasi una provocazione: vediamo cosa riesci a fare contro di me che uso solo ed esclusivamente la spada, sembrava dire.

Non sembrava nemmeno affaticato, al contrario di Sabo che ormai aveva il fiato corto.

Alla fine, Ace spiccò un balzo verso l'alto, e l'altro subito lo imitò.

– Vinco io, Sabo! – gridò, euforico. Quello non era così stupido da non vedere l'evidenza, e si limitò a sbuffare, l'ombra di un amaro sorriso sul volto.

Con un abile colpo di spada, Ace disarmò l'avversario e lo sbatté al suolo, la lama a pochi centimetri dalla sua gola.

Ci fu un istante di silenzio attonito, dopodiché tutto il campo si riempì di grida di esultanza e di applausi, gente che si congratulava con Ace e gli dava pacche sulle spalle.

Ma il ragazzo non si rese effettivamente conto di aver vinto finché Rufy, decisamente su di giri, non lo travolse sbattendolo a terra e facendolo finalmente sentire felice.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il primo giorno ***


IL PRIMO GIORNO

 

Sabo si tirò in piedi, allontanandosi un po' dalla mischia. Che vergogna... sfoderò un sorriso amaro mentre un ragazzo lo spingeva indietro, preso dalla foga di raggiungere Ace e congratularsi con lui.

Anche Sabo l'avrebbe fatto, se soltanto ci fosse un po' più di spazio.

Non portava rancore: se era stato battuto la colpa non era certo di Ace, però... però era innegabile che si sentisse un po' ferito nell'orgoglio, ecco. In fondo, l'orgoglio era l'arma più importante per uno Spartano.

Si spolverò i vestiti e fece per dirigersi verso l'infermeria: magari se era una giornata buona rimediava una benda o cose del genere, la coscia iniziava a bruciare. Dopodiché, bé, chissà cosa c'era da mangiare quel giorno? Stava per andarsene quando si sentì fermare da dietro.

– Ehi, Sabo! – era quel ragazzino, Rufy, e sfoggiava un sorriso smagliante.

– Ciao. Rufy, giusto? – Sabo sorrise, stanco. – Alla fine avevi ragione, eh? Sarai contento che tuo fratello ha vinto.

Rufy inclinò la testa. – Bé, per forza. Però, oh, sei stato bravissimo, Sabo! – gli occhi di Rufy luccicavano dall'eccitazione. – Combatti in una maniera che... che... – sembrava a corto di parole. – Prima eri qui, poi, wooh, eri dall'altra parte, e non avrei mai pensato che esistesse qualcuno in grado di resistere così tanto, cioè, quando io provavo a lottare contro Ace lui mi disarmava in tre secondi, voi invece siete andati avanti mezz'ora! Ed eri così veloce, è stato bellissimo! – Rufy si lasciò andare ad un sospiro soddisfatto, adorante. – La giornata più magnifica di sempre. Sul serio, Sabo. – Il suo sguardo si fece serio. – Sei stato davvero bravo, eh? Un giorno diventerò bravo come te! No, perché lo so che Ace non si può raggiungere, ma voglio diventare come te! – sorrise ancora di più, e Sabo realizzò che forse quella non era stata proprio una giornata da buttare via.

L'istruttore gli si avvicinò per ristabilire l'ordine. – Bene, siamo d'accordo! Allora dichiaro ufficialmente Ace, figlio di Dragon, figlio di Garp, idoneo ad entrare nell'esercito Spartano! Fatti onore, giovanotto!

Un altro boato riempì l'aria, e Sabo pensò che Rufy sarebbe potuto scoppiare d'orgoglio da un momento all'altro.

– Adesso forza, tutti a pranzo. Poi potrete tornare a seguire l'addestramento.

Tutto il gruppo si riversò verso un grande edificio poco lontano da lì: Ace venne trascinato da alcuni ragazzi più grandi, e fece appena in tempo a lanciare uno sguardo di scuse a Rufy che venne portato via.

Il bambino alzò le spalle. – Bé, Ace è davvero richiesto! Per forza, è il più forte di tutti. – ragionò. – Senti, non è che c'è un posto dove ti curano? Sei un po' ferito. Ti accompagno! – propose, sorridente.

Sabo rimase un attimo sorpreso, poi sorrise a sua volta. – Oh, grazie! D'accordo, allora andiamo.

 

* * *

 

La giornata era stata vagamente massacrante, per Ace: dopo aver vinto l'incontro, si era automaticamente guadagnato la stima più totale di tutti i suoi compagni. Seriamente, tutti lo trattavano come se fosse un principe o cose del genere, tutti lo cercavano; Ace, che non aveva mai visto nessuno eccezion fatta per i briganti, Rufy e il vecchio, iniziava ad avere dei seri problemi di autocontrollo. Fu soltanto a cena che riuscì a vedere Rufy di nuovo, quando il bambino gli si precipitò addosso gridando il suo nome.

– Allora, Ace, mangi vicino a noi? – tentò di proporre un ragazzo. Ma l'occhiata del ragazzo fu sufficiente perché nessuno osasse separarlo da Rufy, e finalmente si ebbe un po' di pace.

Il maggiore sospirò, passandosi una mano sulla fronte. – Ancora non ci si crede, eh? – mormorò, stanco.

– Ma è fantastico! Ace, sei stato eccezionale, sul serio! E adesso staremo insieme per chissà quanti anni...

La faccia di Rufy era qualcosa di impagabile, decisamente. Ace sospirò, stanco ma tutto sommato felice. – E allora, come ti è andata la giornata?

Rufy sembrava non aspettare altro. – Oh, davvero bella! Oggi il mio gruppo si è allenato con la spada, e siccome facevo allenamento con te non me la sono cavata così male. Ho vinto nove combattimenti su dodici! Però solo perché ad un certo punto ero stanco... – arrossì un po', poi sembrò riprendersi. – Dopo abbiamo fatto ore intere di lotta corpo a corpo. C'erano anche ragazzi più grandi, ed è stata dura, anche perché non ci siamo fermati mai, eh! Sono sfinito! – sospirò, stiracchiandosi. – Menomale che ora si mangia!

Si tuffò letteralmente sulla sua porzione di cibo, grugnendo soddisfatto. Ace lo guardava, un misto di orgoglio e tenerezza dipinto sul viso. Scosse la testa con decisione: si stava mica rammollendo?

– Ah, e sai che ad un certo punto mentre lottavamo ho per sbaglio fatto rotolare un ragazzo in una pozza di fango? Era tutto marrone, come se fosse caduto in un mucchio di cacca di mucca! Sabo ha riso come un pazzo, poi mi ha raccontato che una volta lui...

Ace rischiò di strozzarsi. – Sabo? Quel Sabo? – chiese, per sicurezza.

Rufy annuì, confuso: – Sì, lui. Quello con cui hai lottato prima.

– Quello che ho stracciato prima. – puntualizzò Ace, sdegnoso.

Rufy mise il broncio. – Dai, non essere cattivo. È stato bravo, no?

– Uhm, bé, un po' sì. – concesse Ace. – Però non è il caso di difenderlo in questo modo, scusa. Sei felice che abbia vinto io, o sbaglio?

Rufy inarcò un sopracciglio. – Che domande, sì!

– E allora che ci facevi a parlare con lui? – ribatté Ace, incrociando le braccia.

– Con qualcuno dovevo pur parlare. – replicò Rufy con ovvietà. – Lui l'avevo conosciuto già prima della vostra lotta e avevo capito che era simpatico. Abbiamo fraternizzato, ricordi?

Ace annuì, scettico. – Quindi hai passato la giornata con lui.

– Sì.

– E siete amici.

– Esatto! Sai potresti essere anche tu amico di Sabo. È simpatico, e poco prima di combattere sembravate così affiatati, secondo me sareste davvero degli ottimi amici, sai? Pensa che oggi ad un certo punto mentre stavamo lottando per poco non facevo inciampare nel fango pure lui, e invece di arrabbiarsi Sabo mi ha raccontato che- – Ma Ace già non lo stava ascoltando più.

Insomma, era lui che si era sorbito le stramberie di Rufy fino ad ora, no? Era lui che lo aveva sopportato per tutto quel tempo, quando ancora vivevano sulla montagna. Credeva di avere un minimo di diritto in più rispetto agli altri di... insomma, perché Rufy doveva fare subito amicizia con le altre persone, accidenti!

– Non ho capito perché sei venuto a mangiare vicino a me, quando potevi sederti accanto al tuo nuovo amico Sabo! – lo interruppe, rabbioso.

Accidenti a Rufy. Ace non aveva mai avuto un... amico, prima di lui. Per quanto detestasse ammetterlo, era stato proprio quello strambo bambino dal sorriso eccessivamente ampio il suo primo amico al mondo. E se finché vivevano alla montagna erano solo loro due, bé... Adesso che Rufy passasse il suo tempo con Sabo proprio non gli andava giù!

Rufy aveva l'aria di un cane bastonato, ma si riprese in fretta: scosse la testa e sfoderò il suo solito sorriso. – No! Io voglio sedermi vicino a te! E puoi provare a spingermi via, tanto tornerò lo stesso qui! – minacciò, approfittando della distrazione del maggiore per rubargli parte della sua razione di cibo.

– Lo farò senz'altro, se continui a rubarmi il cibo! – lo aggredì Ace, spingendolo indietro e guardandolo male. – Su! Allontanati, forza! – gli intimò, già sapendo che Rufy non se ne sarebbe mai andato.

Dentro di sé, però, era sollevato: era tutto come al solito, tutto era tornato alla normalità. In fondo era ovvio, Ace era stato occupato tutto il giorno e Rufy aveva dovuto trovare un modo per passare il tempo. Ma era sempre lui il suo punto di riferimento, no?

Non aveva motivo di preoccuparsi.

 

* * *

 

– Cosa significa che non può stare qui?

– Significa che non può stare qui. Monkey D Ace, dormitorio due. Monkey D Rufy, dormitorio tre. Così sta scritto qui.

Rufy sembrava prossimo ad una crisi di pianto, e Ace aveva un'aria decisamente contrariata. Perché quell'idiota non si limitava a farli stare in dormitorio insieme e basta? Se di dormitorio poi si poteva parlare: più che altro si trattava di un ammasso di brandine messe a caso in un edificio che originariamente doveva essere stato una stalla o cose del genere. Data la qualità del posto e l'ordine e la pulizia che vi regnavano, Ace non ci avrebbe trovato nulla di strano nel far dormire Rufy nel suo stesso dormitorio. Tanto, uno più, uno meno... E invece no, quello stupido uomo in divisa stava trascinando Rufy verso un altro dormitorio, poco lontano da lì.

– Ma uffa! Io volevo dormire con Ace! – si lamentò Rufy, scalciando e strepitando. – Quando cambiano i dormitori?

– Ogni anno, quando certa gente arriva e certa gente va. – fu la risposta secca e un po' scocciata dell'uomo. – Quindi vedi di farti andare bene il dormitorio due per un anno. E smettila di discutere, altrimenti passerai la notte appeso per le braccia in cantina, mi sono spiegato?

Rufy stava per ribattere, offeso, ma Ace gli posò una mano sulla testa, come a zittirlo. – Su, non importa. – disse piano, senza guardarlo. – Ci vediamo domattina.

L'uomo annuì soddisfatto e si allontanò, mentre Rufy fissava Ace con gli occhi spalancati facendosi trascinare senza opporre resistenza. Faceva quello che Ace gli aveva detto di fare perché sapeva che Ace aveva sempre ragione, ma non capiva... Non lo voleva tra i piedi? Ace nemmeno lo guardò mentre veniva trascinato fuori dalla stanza, e sbattuto all'interno di un altro edificio del tutto identico a quello di prima, meno un insignificante dettaglio: Ace.

Improvvisamente Rufy si sentì molto piccolo, mentre si guardava intorno spaesato. Ma subito una voce lo fece voltare di scatto: – Rufy! Ma dai, sei in questo dormitorio?

– Sabo! – esclamò il bambino felice, voltandosi e ritrovandosi faccia a faccia con l'amico. – Che bello, come sono felice! Dicono che non posso stare nello stesso dormitorio di Ace. – confidò, sconsolato.

Sabo sorrise, mettendosi le mani sui fianchi. – Bé, spero comunque che ti troverai bene nel dormitorio due! Che ne dici di prendere il letto di fianco al mio?

Gli occhi di Rufy luccicavano di gioia. – Posso? Davvero, posso? Per dormire vicino a Ace ho implorato per settimane!

Sabo scoppiò a ridere. – Ace è davvero un bel tipo, eh? Anche se siete fratelli pare che tu abbia dovuto lavorare sodo, con lui!

Rufy annuì con forza. – Con Ace non c'è niente di scontato. – disse con aria di superiorità, sebbene non sapesse esattamente il significato di quella frase. Una volta aveva sentito Dadan pronunciarla, e gli era sembrato che suonasse bene. – Potreste diventare amici, sai? Quando lo conosci bene è una persona fantastica! – affermò, convinto.

– Ne sono sicurissimo, e mi piacerebbe molto diventare suo amico – assicurò Sabo, sorridendo gentile. – Dai, vieni qui che ti aiuto a sistemare le tue cose.

Rufy rise, correndogli dietro. – Arrivo!

 

* * *

 

Quella notte Ace non dormì quasi niente: era troppo preoccupato per Rufy.

Come se la stava cavando? E se i ragazzi più grandi lo tormentavano? E se non aveva trovato un posto per dormire? E se – orrore! – aveva fatto la pipì addosso, com'era successo giusto un mese prima?

Sul momento aveva pensato che se si fosse messo a questionare con un superiore, Rufy sarebbe finito in guai grossi: aveva preferito lasciar perdere, prima di vedere il bambino costretto a passare la notte appeso per le braccia in chissà quale cantina umida e buia, grazie tante.

Eppure, l'inquietudine era tanta. Rufy non era in grado di badare a sé stesso, Ace questo lo sapeva, maledizione! Alla fine, capì che in quel modo non avrebbe risolto assolutamente nulla, quindi prese una decisione. Si alzò facendo attenzione a non svegliare nessuno, aprì silenziosamente la porta ed uscì nell'accampamento silenzioso.

– Dormitorio due, dormitorio due... – mormorava Ace, sforzandosi di decifrare quei segni incisi sulla testata degli edifici. Dadan e gli altri non gli avevano mai insegnato a scrivere, e Rufy aveva delle conoscenze così frammentarie che era riuscito soltanto a confondere Ace con tutti quei segni strani. Eppure quello doveva essere un due, Almeno fin lì Rufy riusciva a capirci qualcosa: uno, due, tre. E quello era un due, Ace ne era sicuro... all'ottanta percento. Facendo molto piano, socchiuse la porta dell'edificio e scivolò all'interno, lasciando che i deboli raggi della luna illuminassero la stanza.

Non fu per niente facile realizzare dove effettivamente si trovasse Rufy: il disordine era tale – tra persone aggrovigliate, braccia che cadevano dalle brande, gente che dormiva direttamente a terra – che Ace poteva benissimo aver sorpassato Rufy da un'ora senza saperlo. E comunque, non era sicurissimo che quello fosse davvero il dormitorio due.

– Ace! Ace, sei tu?

Il ragazzo si voltò di scatto, lo sguardo truce. Quella voce era... – Sono Sabo! Ma che ci fai qui? Lo sai che se ti beccano ti-

– Dov'è Rufy? – lo interruppe Ace, avvicinandosi in un istante al suo interlocutore. Parlava a voce bassa, ma era come se l'avesse urlato.

– Si è appena addormentato. – sorrise Sabo. – Non ha fatto altro che parlare di te, sai? – indicò dietro di sé, nella branda accanto alla sua. Rufy dormiva sereno, rannicchiato su se stesso, l'ombra di un pallido sorriso sul volto.

Ace grugnì. Certo, era sollevato nel sapere che Rufy stava bene, ma... così non era giusto! Avevano parlato tutta la sera? E da quando Rufy e Sabo erano così in confidenza, eh?

– Sta bene? Nessuno gli ha fatto niente? – chiese, per sicurezza. Se quel Sabo non era in grado di prendersi cura di Rufy, lui...

– Per stare bene sì, sta bene. È terribilmente abbattuto perché non può dormire con te, questo sì. Ah, e vedi quel ragazzo là dietro? – fece Sabo, indicando un punto alle spalle di Ace. Quello annuì. – Non ha fatto che prenderlo in giro perché continua a starti appiccicato. Diceva che sembravate sposati o cose simili. Rufy non se l'è presa, ha alzato le spalle e basta, ma a me ha dato fastidio.

Un lampo di comprensione passò negli occhi dei due ragazzi nello stesso istante.

Il mattino successivo il ragazzo in questione si risvegliò in mezzo ad un mucchio di fango – era fango? – fuori dal dormitorio senza avere la minima idea di come fosse finito là dentro, e il cattivo odore gli rimase addosso per tre giorni.

Forse, decise Ace, quel Sabo non era poi così antipatico.

 








Angolo autrice:
Ciao a tutti! Ed ecco che Ace diventa geloso. Il mio arguto ragionamento mentale è stato che RUfy non poteva non fare subito amicizia con Sabo, mentre Ace sarebbe stato molto più diffidente.
Quindi la gelosia era d'obbligo, capite? Io adoro vedere Ace che si tormenta perché da un lato detesta Rufy con tutto il cuore, dall'altro lo vorrebbe tutto per sé.
Questo capitolo l'avrò riscritto milioni di volte, soprattutto perché l'idea di base era mettere Ace e Sabo in dormitorio insieme, mentre Rufy era nell'altro. Ma a parte il fatto che Rufy da solo come sarebbe sopravvissuto, avendo la stessa età Ace e Sabo avrebbero passato già tutto il tempo degli allenamenti insieme. Cioè, non sono degli sconosciuti. E poi, Sabo e Rufy nello stesso dormitorio non sono adorabili? :3
Detto ciò... Ah, no, un'altra cosa. La faccenda del saper leggere e scrivere. Mi sono documentata, ma non ho capito se dell'addestramento per un soldato faceva parte anche il leggere e scrivere. Considerato però che si iniziava a sette anni, che finivi solo da adulto, e che i soldati erano comunque persone ricche e nobili, dovevano pur imparare a scrivere e leggere, no? Magari boh, tra un combattimento e l'altro c'erano lezioni di qualche genere? Se sbaglio smentitemi, mi raccomando.
Ok, ora ho detto tutto. In ringraziamento speciale a cola23 e a OrenjiAka, che hanno recensito un sacco di capitoli in una volta sola. Ragazze, grazie di cuore!
A presto, e un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Di compleanni, scommesse e regali improvvisati ***


Di compleanni, scommesse e regali improvvisati





Passarono i giorni.

Ace faceva di tutto per passare il tempo con Rufy, e lo stesso valeva per il minore: essendo abituati a vivere insieme per tanto tempo, questa continua separazione li stava facendo penare.

Ma l'equilibrio era un traguardo che potevano raggiungere: ogni mattino facevano colazione insieme, raccontandosi le ultime novità, e passavano in compagnia anche il pranzo e la cena. In breve tempo, quelli erano diventati i loro momenti preferiti della giornata. Gli addestramenti erano quasi sempre separati, ma a volte Ace riusciva a staccarsi dal suo gruppo per unirsi a quello di Rufy, o viceversa: purtroppo per Ace, erano molte di più le volte in cui si allenava con Sabo che non quelle che poteva passare al fianco di Rufy.

Dopo quella famosa sera dello scherzo al ragazzo che aveva preso in giro Rufy, tra i due non era successo assolutamente nulla. Anzi, l'invidia di Ace cresceva ogni volta che Rufy parlava di Sabo: Sabo dice questo, Sabo fa sempre quest'altro, Ehi, lo sai che Sabo la pensa così?

Oh, Ace non poteva sopportarlo.

Trovava faticoso vedere Rufy così poco, era dura: inoltre, a differenza sua, Ace non era in grado di legare con le altre persone. Sì, tutti lo ammiravano, e non correva certo il rischio di rimanere da solo. Però un'amicizia vera, unica, salda come quella che – il pensiero lo infastidiva terribilmente – si era formata tra Rufy e Sabo, lui non l'aveva ancora trovata.

E Rufy, che continuava ad insistere che passassero il tempo tutti e tre insieme? Ace si opponeva con forza, affermando che il tempo che poteva passare con Rufy lo avrebbe passato con Rufy e basta, grazie tante, ma non serviva a niente. Quando Rufy si metteva in testa qualcosa non c'era niente e nessuno in grado di fargli cambiare idea. Ed ecco che Ace si trovava costretto a passare il tempo con Sabo, a ridere suo malgrado delle sue battute, a osservare con invidia quei due così in confidenza, mentre lui si sentiva – o faceva di tutto per considerarsi tale? – un estraneo.

Eppure, nonostante tutto, Ace doveva ammettere che Sabo era uno a posto. Era simpatico, divertente, con la testa sulle spalle. Non si capiva come uno come lui potesse decidere spontaneamente di passare il tempo con Rufy, assecondandolo in ogni sua strampalata richiesta.

Ormai Ace non riusciva a contare i tanti “Ma Sabo me lo fa fare!” o “Ma Sabo dice che posso!” che Rufy gli riversava addosso quando gli negava qualcosa.

Sì, va bene: Ace era geloso. Un po' di Sabo, che gli stava rubando Rufy. E un po' di Rufy, che aveva trovato un amico come Sabo mentre lui non era capace di legare con gli altri. Ecco, l'aveva ammesso.

E fosse stato solo quello. Evidentemente, Rufy non faceva che parlare bene di lui a destra e a manca, in particolare con Sabo. Di conseguenza, quello strano ragazzo dall'incrollabile spirito masochista aveva pensato che diventare amico di Ace sarebbe stato forte. Di conseguenza quando non era impegnato a chiacchierare con Rufy o a rincorrerlo in giro per l'accampamento, cercava di instaurare un rapporto con lui.

– Ehi, Ace, vieni qua!

– Ace, ci alleniamo insieme?

– Ace, che combinazione, anche tu qui?

– Senti un po', Ace, mi fai vedere la stessa mossa di prima, ma più piano?

– Aspetta, Ace, torna indietro!

Tutto ciò mandava Ace nella confusione più totale. Non sapeva nemmeno più cosa voleva davvero: essere amico di Sabo? Farlo scomparire dalla faccia della Terra? Nel dubbio, si comportava evitandolo come la peste e rispondendogli male ogni volta che lo incontrava. Le vecchie abitudini sono dure a morire.

Erano nell'accampamento da un mese e mezzo, e le cose iniziarono a cambiare.

 

* * *

 

– Ehi, Sabo, svegliati! È importante, sveglia, forza! Andiamo, è già mattina, su! Indovina che giorno è oggi? Eh? – Rufy non faceva che saltellare per il dormitorio, eccitato se possibile ancora più del solito.

Il maggiore sorrise, scompigliandogli i capelli. – Me l'hai già detto almeno cento volte, Rufy! Auguri, buon compleanno.

A quelle parole, Rufy emise un ululato di gioia che provocò dei benevoli borbottii da parte di tutti gli altri abitanti del dormitorio.

In poco tempo Rufy si era conquistato la simpatia di tutti, con i suoi modi di fare così buffi e assurdi e le sue dignitose capacità nel combattimento. Per questo tutti sopportavano di buon grado le sue stramberie, e anzi la maggior parte di loro sbadigliò un “auguri, piccoletto”, o un “buon compleanno, terremoto”.

– Quando è stato il compleanno di Ace, a Gennaio, gli ho regalato una scultura che avevo fatto con l'argilla del fiume! – raccontò Rufy, eccitato. – Cioè, quasi. L'argilla era tutta ghiacciata e così ho preso un po' di fango, praticamente è lo stesso. E forse un po' di argilla c'era davvero. E tanto se è ghiacciata sta su, no? Era una scultura di Ace che combatteva. Era bellissima, sai?

Sabo ridacchiò, alzandosi dal letto. – Non ne dubito. – affermò, accondiscendente.

– Quindi ora lui mi farà un regalo ancora più bello. – ragionò il bambino, che non stava nella pelle dall'entusiasmo. – Conoscendolo prima farà finta di non ricordarsi, poi alla fine salterà fuori con un regalo ancora più bello del mio! – ripeté, saltellando in giro per il dormitorio e raccontando a chiunque volesse ascoltarlo quanto fosse felice di essere nato.

– Così ho un compleanno! – spiegava, serio. – Pensa se non nascevo! Mi perdevo questa cosa fantastica che è il compleanno!

Sabo scosse la testa, divertito, ed uscì dal dormitorio. Il cielo era terso, luminoso: l'ideale per un compleanno. Poco lontano, dal dormitorio tre, uscì Ace stiracchiandosi. – Buongiorno! – lo salutò Sabo, cordiale.

Ace rispose con un'occhiataccia in grado di far allontanare i più, ma con Sabo, così come con Rufy, quella tecnica non funzionava. Ace avrebbe dovuto perfezionarla al più presto.

– Oggi è il grande giorno, eh? – continuò Sabo, avvicinandosi. Ok, questa Ace non l'aveva capita.

– E perché? Che succede, oggi? – chiese con diffidenza.

Sabo inarcò un sopracciglio. Ok che Rufy aveva detto che Ace avrebbe finto di dimenticarsene, ma che senso aveva fingere persino con lui? – È per via di Rufy, no? – chiese, circospetto.

Ace sbuffò. – Cos'ha combinato, stavolta?
No, Sabo aveva la netta impressione che Ace se ne fosse davvero dimenticato. – Tu non... non lo sai. – constatò, l'ombra di un sorriso sul volto.

– Che cosa non dovrei sapere? – ribatté Ace, ostile. Detestava quando la gente gli si rivolgeva in quel modo.

Sabo incrociò le braccia, divertito. – Se te lo dico adesso mi dovrai un favore, ricordatelo. – lo avvisò.

Ace lo fulminò con lo sguardo. – Per quel che mi importa...

– Oh, quindi è così ce risponderai quando Rufy arriverà tutto sorridente esigendo il suo regalo di compleanno?

Il tempo sembrò fermarsi. Ace poté giurare di essere rimasto immobile per interi minuti mentre metabolizzava la notizia. Che giorno era... Maggio, il quattro, forse il cinque... Sbiancò: il cinque Maggio! Era il cinque Maggio! E considerando l'espressione soddisfatta di Rufy quando gli aveva offerto quella specie di ammasso di fango tutto bitorzoluto al suo compleanno, ora si aspettava un regalo che, secondo i suoi canoni di perfezione, superasse addirittura quella roba là.

E lui non aveva preparato assolutamente nulla.

Si stava facendo prendere dal panico: cosa poteva dargli? Cosa poteva volere, Rufy? Non è che potesse dargli chissà cosa, nell'accampamento si usavano solo le armi e nient'altro...

Ed eccola, l'idea giusta. Armi, no? Bene, Ace avrebbe recuperato l'arma a cui Rufy teneva di più, quella che avevano dovuto lasciare laggiù sulle montagne, più precisamente nella capanna dei banditi sotto il letto di Ace, ma con un po' di fortuna poteva ancora recuperarla... L'arco. Quell'arco. Rufy ne andava pazzo, ma ufficialmente era ancora di Ace. E se fosse riuscito a prenderlo e portarglielo? Già immaginava l'espressione estasiata di Rufy.

– Allora? Non hai pensato proprio a niente? Perché se vuoi io- – attaccò Sabo, ma Ace corse via. Se doveva raggiungere la montagna allora non aveva tempo da perdere! Meno male, si ritrovò a pensare suo malgrado, che Sabo l'aveva informato prima. Se se ne fosse ricordato troppo tardi non avrebbe mai potuto fare in tempo...

Infastidito, si voltò a giusto quel tanto che bastava per vedere Sabo che gli correva dietro, gridandogli di fermarsi.

– Vattene, sono di fretta! – gli gridò. Ma chissà perché, quello non si fermò. Vivere a stretto contatto con Rufy, decise Ace mestamente, era fatale ai più.

Visto e considerato che correndo in quel modo avrebbero attirato troppa attenzione, a Ace proprio non se la sentiva di farsi notare da tutti i superiori proprio nel giorno in cui aveva in programma una fuga non autorizzata verso le montagne, il ragazzino sospirò e permise a Sabo di raggiungerlo.

– Vai da qualche parte? – ansimò quello, affiancandolo.

– Devo sbrigarmi a recuperare un regalo. – disse Ace in fretta, guardandosi intorno per assicurarsi di non avere adulti intorno. – Fuori di qui. – specificò.

Sabo sembrò aver capito, e gli brillarono gli occhi. – Torni sulle montagne? Rufy ne parla spesso. – si giustificò poi davanti all'occhiata sospettosa di Ace.

– Beh, sì, è così. – rispose l'altro, schietto. – E capirai che non è proprio qua dietro. Quindi, se vuoi scusarmi...

– Posso accompagnarti. – propose subito Sabo. – Conosco un punto da dove possiamo uscire senza che ci vedano.

Ace ridacchiò. – Fidati, ne conosco di più io. Entro ed esco da questo posto da quand'ero alto così. – e abbassò la mano all'altezza delle gambe. – E nessuno mi ha mai beccato.

– Ah, davvero? Senti un po', guarda che solo perché mi hai battuto una volta non significa che sei più forte di me, mi sono spiegato? Anzi. – gli occhi di Sabo luccicarono con aria di sfida. – Perché non la mettiamo proprio così? Il primo che raggiunge la montagna ha vinto.

Ace sbuffò, trattenendo una risata. – Ma come fai tu a sapere dove andare? Non l'hai neanche vista, quella montagna. E poi, scusa, dove dovremmo incontrarci?

– A casa di Dadan. – fu la pronta risposta di Sabo. Ace quasi si strozzò.

– P-prego?

– Ma dai, la famosa bandita! Ai tempi di mio padre era conosciuta in tutta Sparta. Ora è invecchiata. – spiegò Sabo, diretto. – Quando Rufy mi ha detto che avete vissuto con lei non ci potevo credere! Dovrei sapere dov'è casa sua, quindi... andata?

Gli porse la mano, e Ace dovette pensarci solo per una frazione di secondo prima di annuire, sogghignando. – E se arrivo prima io, tu cosa fai?

– Ammetterò la tua superiorità? – tentò il ragazzino, malizioso.

– E la smetterai di infastidirmi. – rilanciò Ace.

Sabo alzò le spalle. – Non ti rivolgerò nemmeno la parola. – confermò.

Ace sentì un groppo in gola, ma fu veloce a ricacciarlo indietro. – Andata.

– Se invece sarò io a vincere, sarai costretto a passare quel che resta del compleanno di Rufy anche con me. Tutto il tempo, noi tre insieme! – affermò Sabo, e senza nemmeno lasciargli il tempo di rispondere schizzò via. – Forza, che il tempo scorre! – gridò, scomparendo ben presto alla vista di Ace.

Ancora un po' confuso dall'accaduto, Ace si voltò e riprese a correre. Era ancora mattina, se si fosse sbrigato sarebbe riuscito a tornare entro pranzo...

Uscì dall'accampamento senza nessun problema, come aveva sempre fatto, e si ritrovò a passeggiare per i campi che separavano le sue montagne dalla città. Si chiese con scarsa convinzione se non avesse fatto meglio a correre... Rinunciò rapidamente: non ne valeva la pena, Sabo non sarebbe mai riuscito ad arrivare prima di lui. Oppure... Voleva che succedesse? Non ti rivolgerò nemmeno la parola. Era questo che voleva?

Scosse la testa, affrettando impercettibilmente il passo. Tanto Sabo non poteva sapere dove abitava Dadan.

Raggiunse la piccola baracca dei banditi che erano quasi le undici, e si guardò intorno. Di Sabo, neanche l'ombra. Poteva arrampicarsi dal tetto, scivolare nella sua stanza e uscire senza farsi vedere da nessuno con l'arco al sicuro tra le sue braccia, ma erano quasi due mesi che non metteva piede in quella capanna, dopo averci vissuto per dieci anni...

La nostalgia (no, no, la curiosità) prevalse, e si decise a fare un salto all'interno: chissà se Dadan aveva qualcosa sul fuoco. Appena spalancò la porta, però, realizzò che qualcosa non andava...

– Ehi, Ace! Ce ne hai messo, di tempo!

Possibile che... – Sabo! – esclamò il ragazzo, incredulo. – Come diavolo hai fatto?

– Rufy mi ha spiegato tutta la strada. – raccontò il giovane Spartano, seduto a tavola insieme agli altri briganti. – Centinaia di volte. – precisò. – Voleva essere sicuro che sapessi come andare a trovarvi casomai vi trovaste là... Certo che i tuoi amici sono davvero ospitali!

Dadan lo guardava come se volesse strozzarlo, e Ace non l'aveva mai ammirata tanto.

– Quindi... ho vinto. – proseguì Sabo, quasi riflettendo tra sé e sé. – Allora, manterrai l'accordo? – Ace lo fissò con disprezzo, avviandosi verso il piano di sopra senza dire una parola. – Eddai, Ace! Non è da te infrangere una promessa!

Il ragazzino esitò. Doveva davvero...? In fondo, si trattava solo di quella giornata. Scosse la testa con decisione: non poteva certo cedere così presto. Grugnì qualcosa di indefinito, salì le scale e recuperò l'arco dal suo nascondiglio: era ancora in ottime condizioni, constatò con orgoglio. Lo rinchiuse nella sua custodia, che si issò in spalla prima di scendere al pian terreno.

– Muoviti, che si saranno già accorti della nostra assenza. – sbottò, a metà tra lo stizzito e il rassegnato.

Sabo lo conosceva abbastanza per capire che “assenza di rifiuto esplicito” significava “d'accordo, lo faccio”. Quindi saltò giù dalla sedia e infilò la porta. – Ciao a tutti, grazie mille per la chiacchierata!

Il tono con cui disse “chiacchierata” fece venire i brividi a Ace, ma prima che potesse chiedere spiegazioni Sabo era già schizzato in avanti.

– Che c'è, vuoi perdere anche al ritorno?

– Non scherzare!

Ridendo, Ace lo rincorse lungo la discesa verso la città, verso l'accampamento, verso Rufy.

Un momento... – Ehm, Sabo... Ma Rufy lo sa che ce ne siamo andati?

Il volto del ragazzino sbiancò, mentre nelle loro menti l'immagine di un Rufy solo e confuso il giorno del suo compleanno rimbalzava in tutta la sua potenza.

I due rimasero fermi e zitti per un istante, prima di riprendere a correre a valle al doppio della velocità di prima, insultandosi a vicenda e gridando di fare in fretta.

Ma nonostante tutto, Ace non riusciva a non sentirsi assurdamente felice.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** We fight toghedar ***


WE FIGHT TOGHEDAR

 

Rufy non si era offeso, non sul serio.

Ace e Sabo l'avevano raggiunto che praticamente non si reggevano più sulle gambe per la corsa, dopo averlo cercato per mezzo campo.

– Eccovi qua, finalmente! – disse il bambino quando li vide arrivare, correndogli incontro con aria severa. – Dai, che è ora di pranzo!

Ace trovò profondamente ingiusto che nemmeno gli avesse chiesto “dove siete stati?”, ma quando si accorse che Rufy lo fissava con la massima intensità mentre credeva di non essere visto, sospirò, rassegnato. – Non serve guardarmi così, Rufy, tanto lo so cosa vuoi. – gli si avvicinò, scompigliandogli i capelli. – Buon compleanno, piccola peste. – gli occhi di Rufy luccicarono dalla felicità, mentre iniziava a raccontargli cos'aveva fatto per tutta la mattinata, con i suoi amici che lo avevano trascinato in lungo e in largo per l'accampamento per fargli gli auguri.

– … E vi sarete chiesti dove fossi, ma volevano tutti lottare con me il giorno del mio compleanno, e sapete che ho vinto quasi tutte le volte? Ogni tanto perdevo apposta così non demoralizzavo gli altri. – assicurò, andando avanti spedito verso la zona mensa. – Scusate se vi ho fatto preoccupare, mi avete cercato? – chiese poi, spaventato.

Ace cercò di suonare naturale. – No, io... non tanto, ecco... però, magari, la prossima volta avvisa... Insomma, sai, prima di sparire nel giorno del tuo compleanno facci un fischio, ma si può? Uno ti cerca, ti vuole fare gli auguri, pensa a che regalo farti e tu che fai? Scompari. Evapori. E la gente potrebbe anche preoccuparsi, ma tu no, che ti importa? Tanto hai degli amici, tu! Devi lottare, tu! E io questo regalo farei meglio a riportarlo dove l'ho preso, perché... – Sabo gli diede una gomitata, e Ace si zittì. Dovette ammettere di essersi lasciato leggermente trascinare. Oh, andiamo: sgridare Rufy era così naturale!

Ma il bambino, ben lontano dall'offendersi o quantomeno dal preoccuparsi, si illuminò tutto appena sentì la parola “regalo”.

– Un regalo? Per me? Davvero? Oh, Ace, davvero? Non posso crederci, che cos'è, che cos'è? – gridò, saltellando avanti e indietro. Ace sorrise, scuotendo la testa. Non si era ancora accorto della faretra che aveva in spalla? Se la sfilò, lanciandogliela in mano. Rufy la fissò come se potesse esplodere da un momento all'altro.

– È... – chiese, senza nemmeno il coraggio di terminare la frase.

Ace annuì, sbuffando. – Tutto tuo. Per quello che ci facevo, puoi anche usarlo qua. Tanto non-

– Grazie! – gridò Rufy, saltandogli addosso in un abbraccio da scimmia. Ace boccheggiò un attimo, preso alla sprovvista, poi si ritrovò a battere una mano sulla spalla di Rufy, imbarazzato. Sabo lo fissava ridacchiando.

– Grazie davvero, Ace! Oh, è il più bel regalo... È un po' il simbolo di come ci siamo conosciuti, di come... Oh, Ace, grazie!

A quelle parole, Ace congelò. Sabo era lì accanto a loro, e per lui Ace e Rufy dovevano essere fratelli... Stava già disperatamente cercando una scusa convincente, ma alzando lo sguardo verso Sabo vide che non gli stava prestando attenzione, impegnato com'era a salutare un suo amico che passava lì di fianco. Sospirò di sollievo, scostandosi da Rufy. – Su, figurati, non è niente di che. Adesso andiamo, che è ora di pranzo. Magari, visto che è il tuo compleanno, ti daranno del cibo in più. – ipotizzò. Non aveva bisogno di dire altro, e Rufy già stava correndo verso la mensa.

– Ah, Sabo! – gridò Rufy voltandosi di scatto, come se si fosse appena ricordato qualcosa di estremamente importante.

– Sì? – fece quello, che lo stava già rincorrendo insieme a Ace.

– E per il tuo regalo, sei riuscito a... – domandò Rufy, improvvisamente incerto.

Sabo sfoderò un sorriso smagliante. – È tutto a posto, ce l'ho fatta!

L'espressione di Rufy era così genuinamente felice che Ace detestò Sabo con tutto il cuore per essere stato lui a provocargli tutta quella gioia. – Davvero? Oh, davvero? Ma come hai fatto? – gli corse incontro e gli si lanciò addosso, facendolo cadere a terra dalla sorpresa. Ace sentiva l'impellente bisogno di prenderli a pugni tutti e due, ma si trattenne.

– T-te lo spiego dopo. – ansimò Sabo, facendo appello a tutte le sue forze per scrollarsi via quella specie di piccola scimmia, col risultato di appiccicarsela addosso ancora di più. – Potresti alzarti, per favore?

A Ace sarebbe piaciuto vedere come avrebbe fatto Sabo a liberarsi da quell'assillo vivente, ma il suo lato misericordioso prevalse. – Ehi, Rufy... Guarda che così perdi il pranzo. – suggerì, e in un istante Sabo fu libero.

– Hai ragione, Ace! Corriamo, svelti, svelti!

Sabo mimò un grazie che Ace finse di non vedere, distogliendo velocemente lo sguardo. – Tanto per la cronaca, qual era il tuo regalo? – chiese, mentre entravano in mensa e Rufy si scaraventava verso il bancone della carne dove, per sua somma gioia, gli venne servita una razione doppia.

Sabo sorrise, con l'aria di uno che la sa lunga. – Gli ho fatto una promessa. – disse, evasivo. – Ma lascia stare, non è importante...

Ace constatò stizzito che Sabo sapeva esattamente come incuriosirlo fino a farlo impazzire. – Dai, dimmi di che si tratta! – ordinò, perentorio.

– Va bene, va bene! – l'altro alzò le braccia, forse vagamente intimidito dall'espressione di Ace. Allora qualcuna delle sue occhiatacce funzionava ancora. Buono a sapersi. – Gli ho promesso che ti avrei convinto a, sai... a passare la giornata tutti e tre insieme. Hai presente la scommessa di prima? Rufy per il compleanno mi ha chiesto questo. Di... convincerti, ecco.

Ace ci mise un po' a recepire la notizia. – M-ma... Come facevi a sapere che mi avresti convinto? Se io non fossi andato a...

– Il mio intuito. – fu la risposta evasiva del ragazzo. – Insomma, sapevo che se fossi riuscito a strapparti una scommessa poi...

– E scusa, ma perché non l'ha chiesto a me? – continuò Ace, stizzito. – Pensava che non l'avrei fatto, se me l'avesse chiesto? Bastava che mi dicesse che per il compleanno voleva questo, e io mi sarei risparmiato una gita fino alla montagna!

Sabo ridacchiò. – Ma stai scherzando? Da te si aspettava un regalo che superasse la  montagnetta di fang- ehm, la scultura di argilla.

Ace non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. Quanto tempo era che non si faceva una risata del genere? Improvvisamente si materializzò davanti a loro Rufy, le guance piene di cibo, un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Li fissava così intensamente che Ace smise di ridere, vagamente a disagio.

– Cosa vuoi? – chiese, squadrandolo truce.

Rufy deglutì tutto quello che aveva in bocca prima di rispondere. – Niente, è che è bello vedervi ridere così! – rispose con la massima semplicità.

Ace e Sabo si scambiarono uno sguardo di massima comprensione e complicità. Quello di Sabo sembrava dire “ma davvero hai vissuto con lui per tutta la vita e sei sopravvissuto?”. Quello di Ace era una specie di “mio fedele compare, solo tu puoi capire quello che ho passato!”

Rufy interruppe questo scambio silenzioso com'era solito fare nei momenti meno opportuni: – Mangiamo?

 

* * *

 

– Un compleanno davvero eccezionale! – gridò Rufy, correndo avanti.

Sabo si lasciò al suo inseguimento, affiancato da Ace. – Ma non ti spegni mai? – ansimò, l'ombra di un sorriso sul volto.

Avevano seguito il programma della giornata al campo come tutti i giorni, ma quando avevano finito di lottare erano scappati fuori dalla recinzione prima del momento di ritrovo nel dormitorio, che si svolgeva intorno alle cinque (“già che ci puniranno per essere scappati stamattina, diamogli un motivo migliore per farlo!” aveva detto Ace, e gli altri gli avevano dato ragione). Si erano nascosti nel bosco, e appena si erano ritrovati nell'ambiente a loro più favorevole Ace e Rufy avevano raccontato a Sabo praticamente tutto quello che sapevano su animali, piante, tracce, rifugi e quant'altro. Insieme di divertivano, si divertivano da matti, Ace se n'era accorto quando ormai era troppo tardi. Non poteva tornare indietro.

Il tramonto tingeva il bosco di rosso e arancione, e in lontananza si sentivano già cantare gli uccelli della notte. – Sei lento, Rufy! – gli gridò Ace, sorpassandolo.

Sabo rise forte e lo seguì, lasciando Rufy per ultimo. – Ehi, aspettatemi! – gridò quello, ma gli altri non ci badarono e andarono ancora più veloce, sghignazzando.

Ace vide davanti a sé un ruscello poco profondo, con qualche roccia in mezzo. Pareva arancione per via del tramonto, ed era quasi un peccato infrangere quel miscuglio di colori tanto vivi e belli... Scrollando le spalle, il ragazzino proseguì la sua corsa tuffando direttamente le scarpe nell'acqua, fremendo di gioia al contatto col liquido fresco e scrosciante.

Dietro di lui Sabo seguì il suo esempio, gridando e schizzando acqua tutto intorno.

– Dai, sul serio, aspettatemi! – fece Rufy alle loro spalle. Il bambino saltò sulla prima roccia senza bagnarsi i piedi, poi passò alla seconda, ma mise male il piede e scivolò in acqua con tutti i vestiti. Ridendo come un matto si tirò su e riprese l'inseguimento.

– Non ci raggiungerà mai, vero? – chiese Sabo con un sorriso rassegnato.

– Ma scusa, non lo conosci? Non è il tipo che si arrende così. – proclamò Ace.

Proprio in quel momento infatti Rufy spuntò in mezzo a loro, ansante. – Eccomi qua! – disse, sorridendo.

Ace non poteva credere ai suoi occhi. – Rufy, sei tutto bagnato! Tutto bagnato! – gridò, allargando le braccia per enfatizzare quel tutto. – Come facciamo a riportarti all'accampamento, conciato così?

Sabo rise e spiccò un salto verso l'alto, passando in testa.

“Ah, no.” pensò Ace, sogghignando. Scattò lasciando Rufy indietro, correndo in avanti a tutta velocità.

Quando lo raggiunse, entrambi rallentarono un po' per permettere a Rufy di raggiungerli. Non fu niente di programmato, si capirono al volo. Quello che non capirono era che il piccolo Rufy aveva preso troppa rincorsa nel cercare di inseguirli, e quindi gli finì letteralmente addosso, mettendoli entrambi a tappeto.

Si ritrovarono tutti e tre sdraiati sull'erba, ancora mezzi sconvolti dall'accaduto. Ma Rufy rideva così forte, che ben presto anche gli altri due dovettero capitolare, ridendo come mai prima d'allora, finché non gli rimase più fiato. Allora restarono in silenzio, così sdraiati sotto quel cielo rosato che sembrava inneggiare alla libertà.

– Sono davvero felice, lo sapete? – sorrise Rufy dopo qualche minuto di silenzio.

– Anch'io. – disse piano Ace, più a se stesso che a loro due. – Non sono mai... non sono mai stato così felice di essere vivo.

Se quest'uscita suonò strana alle orecchie degli altri due, non lo diedero a vedere. Rimasero sdraiati in quella posizione finché il sole non tramontò e parlarono di loro, delle loro vite e delle loro aspirazioni, di quello che amavano di più e dei loro progetti per il futuro.

– Ormai si sta facendo buio. – commentò Sabo dopo un po'. – Dovremmo rientrare, che ne dite?

– Guarda, Sabo! Stanno spuntando le stelle! Ti prego, restiamo finché non vediamo una stella candente? Solo una! – implorò Rufy.

L'idea lo tentava, lo tentava eccome. Quindi quando Rufy congiunse le mani sussurrando “è il mio compleanno...”, Sabo si ritrovò a capitolare molto velocemente. – E va bene, solo finché non ne vediamo una.

Ovviamente, quando Ace giurò di averne vista una enorme e Rufy si offese perché invece lui non l'aveva vista, e rimasero lì. Quando poi Rufy gridò dallo stupore per aver visto una stella cadente gigante, gigantesca, Ace gli diede del bugiardo perché lui proprio non l'aveva vista, e non si mossero da quella posizione. Quando Sabo ne vide una che, chi l'avrebbe mai detto, gli altri giurarono che se l'era inventata, fu chiaro che sarebbero rimasti lì tutta la notte.

– Le vostre ve le siete inventate, io l'ho vista davvero! – si imbronciò Rufy, tenendo lo sguardo fisso sul cielo.

– Come no... – ribatté Ace, soffocando uno sbadiglio.

Rimasero in silenzio, aspettando. Rufy sentiva gli occhi chiudersi dal sonno, ma doveva rimanere sveglio ad ogni costo. – Il cielo... È davvero bellissimo... – mormorò, più per non addormentarsi che per altro.

– Già... – sbadigliò Ace, cercando con la mano quella di Rufy, per poi stringerla con forza. Rufy lo sapeva, che quella stretta equivaleva al più forte degli abbracci.

– È strano. – mugugnò Sabo, la voce impastata dal sonno. – È la millesima volta che guardo il cielo, ma non è mai stato tanto bello come stanotte.

– Se magari arrivasse una stella cadente come si deve... – borbottò Ace, il tono stizzito diluito dalla sonnolenza.

I tre sbadigliarono simultaneamente e chiusero gli occhi, troppo stanchi per poter resistere un istante di più. Rufy non sapeva se fosse sogno o verità, ma gli parve di scorgere una scia luminosa che accese il cielo per un istante. Forse era vera, forse c'era stata sul serio e aveva visto la stella cadente più bella di sempre.

O forse si era già addormentato.

 

* * *

 

– Ci uccideranno. Ci uccideranno di sicuro. – si lamentava Rufy, scuotendo la testa.

Ace sbuffò. – Adesso non lamentarti, eh! Sei stato tu a voler a tutti i costi guardare le stelle, ieri!

– Sì, ma era il mio compleanno! – ribatté il bambino, come se questo spiegasse tutto.

Oltrepassarono la recinzione, e Sabo decise che era meglio intervenire prima che si scannassero a vicenda (o che Ace scannasse Rufy, insomma). – Dai, lasciate stare. Adesso ci beccheremo la nostra punizione perché ce la siamo meritata, ma avreste preferito rimanere qua tutto il giorno?

Entrambi scossero la testa con decisione.

– Bene, questo è il prezzo da pagare. E visto che ne è valsa la pena, smettetela! – un sorriso tradì il tono serio che si era sforzato di usare. Sabo era felice, non c'era altro da dire.

Non aveva mai avuto dei veri amici, lì all'accampamento: era noto come il più forte, quello bravo ma solitario, quello che è bene non contraddire per non farlo arrabbiare, quello che bisogna evitare perché è strano, pare che a volte esca e se ne stia nel bosco per conto suo...

Ma da quando era arrivato Rufy, le cose erano cambiate. Quel bambino così assurdo e speciale l'aveva fatto sentire unico, l'aveva scelto come amico senza chiedere nulla in cambio (beh, nulla era una parola grossa, ma in generale...). E adesso era riuscito a legare anche con Ace, e sentiva di appartenere finalmente a qualcosa. Quasi come... una famiglia.

– Ehi, sono tornati!

– Ma allora sono vivi?

– Che ti aspettavi, c'era Ace con loro!

– E anche Sabo, non te lo scordare.

– Ma allora hanno fatto in tempo! Su, da questa parte, forza!

– Ancora non lo sapete, vero?

– Bisogna partire subito!

– La prova di sopravvivenza, la prova di sopravvivenza!

– Forza, muovetevi, la ramanzina ve la beccherete dopo!

– Sono proprio loro? Non erano stati sbranati dai lupi?

– Ma chi te l'ha detto?

– Boh, è una voce che gira...

– Forza, forza, venite qua!

Ace, Sabo e Rufy non ci capivano più niente, ma non ebbero il tempo di fare domande che un gruppo di ragazzi li spinse praticamente di peso verso un edificio in cui Ace e Rufy non erano mai entrati. – Dove siamo? – chiese il più giovane, leggermente preoccupato.

– Visto che è da ieri pomeriggio che siete scomparsi è ovvio che non lo sappiate. – disse un ragazzo più grande, sprezzante. – Oggi c'è la prova di sopravvivenza. Verremo lasciati nel bosco senz'armi e senza cibo, e dovremo raggiungere l'accampamento nord, quello dall'altro lato delle montagne. E siamo nella stagione degli orsi.

Rufy deglutì. – V-va bene. – disse ostentando una sicurezza che non aveva. – E posso...

– Ciascuno per conto suo. – disse subito il ragazzo, troncando ogni tentativo di obiezione. – Verremo lasciati in zone diverse. Ah, il primo che arriverà all'accampamento nord avrà un riconoscimento speciale... – il suo sguardo passò su ognuno dei tre ragazzini. – Voglio che vi mettiate in testa che sarò io, Marshall D. Teach, a vincere.

 









Angolo autrice:
Ehilà!
Arrivo all'ultimo, ma è pur sempre mercoledì. Sì. Dai, non facciamo i puntigliosi! >.<
Il titolo di questo capitolo si rifà all'opening 14 di One Piece, intitolato appunto "we fight toghedar", che se non l'avete visto siete formalmente obblicagi a vederlo. Lo trovate qui: We Fight Together
È la sigla di quando c'erano gli episodi di Ace, Rufy e Sabo, e si vede una scena che ho descritto in questa storia... su, che non è difficile!
Ed ecco che entra in gioco un altra complicazione: la prova di sopravvivenza. Cosa farà Barbanera? Davvero i nostri eroi sono rimasti senza punizione? Oppure i loro superiori hanno escogitato qualcosa di ancora peggiore per punirli? Come se la caverà il piccolo Rufy nella foresta senz'armi né cibo, lontano da Ace e Sabo?
Ci sentiamo mercoledì prossimo! ^^
Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La prova di sopravvivenza ***


LA PROVA DI SOPRAVVIVENZA



Ace non era nervoso, figuriamoci.

Stava girando per quel bosco da un sacco di tempo, e la situazione poteva dirsi stabile. Aveva ricavato una lancia (non il suo lavoro migliore, doveva ammetterlo) da un paio di rami e sassi, ed era riuscito a catturare un coniglio con una trappola come quelle che faceva sempre sui monti insieme a Rufy.

A giudicare dalla posizione del sole, si stava dirigendo a Nord. E se continuava a muoversi in quella direzione sarebbe arrivato all'accampamento in un batter d'occhio. Ma allora... perché era così nervoso?

No, no, lui non era nervoso. Era solo un po' teso. In ansia. Preoccupato. Ok, era nervoso.

Come stava Rufy? Dov'era? Era riuscito ad evitare i due lupi che Ace aveva scansato prima? Si stava muovendo nella direzione giusta? Aveva incontrato qualcun altro? A quanto Ace aveva capito, la prova riguardava solo i ragazzi dagli otto ai quindici anni, altrimenti il bosco sarebbe stato davvero troppo affollato. Quel ragazzo, Teach... aveva quasi sedici anni, Ace lo sapeva. E se Rufy si fosse imbattuto in qualcuno di quelli grandi? Ragazzi in grado di costruire lance migliori di quella di Ace? Gli ordini erano di non uccidere, certo, e chi mai avrebbe voluto uccidere un suo compagno d'armi? Eppure, Ace era preoccupato.

No, nervoso.

Oltrepassò un fossato e si imbatté in un coniglio appeso per le orecchie. Si immobilizzò immediatamente, ascoltando con la massima attenzione i rumori intorno a sé: da qualche parte, lì intorno, si trovava sicuramente qualcuno... che fosse Rufy? No, quella trappola era fatta troppo bene per essere di Rufy. Allora... chi poteva essere?

– Ace!

Il ragazzo scattò all'indietro, pronto a colpire, quando si ritrovò faccia a faccia con un ragazzino dall'aria sollevata. – Sabo! – esclamò, abbandonando la posizione di attacco. – Mi hai fatto spaventare, idiota!

Quello rise, sollevato. – Che fortuna incontrarti qui! Sai, temevo che fossi uno di quelli più grandi.

Ace scosse la testa. – Io non ho paura di quelli là. Più che altro, io sono preoccupato per Rufy. – ammise. Non l'avrebbe detto a nessun altro a parte Sabo, che fosse ben chiaro. Lui era l'unico che potesse capire, e infatti si limitò ad annuire.

– Anch'io, è ovvio. – disse, liberando con un colpo secco il coniglio dalla trappola e avviandosi verso una radura poco distante. Ace lo seguì. – Dove ti hanno lasciato?

– Subito dopo di te, un paio di minuti dopo il fiume. Rufy era ancora su quando mi hanno detto di scendere, non so dove l'abbiano lasciato. – spiegò velocemente il ragazzo.

Sabo si fermò davanti ad un piccolo fuoco e iniziò a spellare il coniglio. – È forte. Vedrai che se la caverà. Vuoi favorire? – propose alludendo al coniglio.

Ace scosse la testa. – Ho già mangiato.

– Ovviamente.

Rimasero in silenzio per un po'. – Tra poco si farà buio. Dove vuoi dormire? – chiese Sabo dopo un po'.

Il sole in effetti era già calato oltre la fitta boscaglia, aumentando le ombre e i pericoli che quel luogo conteneva. DI norma Ace non se ne sarebbe curato, ma il pensiero di Rufy solo là fuori... No, non doveva pensarci. Quel bambino non era un idiota, insomma, non del tutto: era forte.

Sabo ripeté la domanda, ridacchiando qualcosa a proposito del suo udito, e Ace si strinse nelle spalle. – Dove vuoi. Io direi su un albero. – aggiunse, pensando agli altri ragazzi in giro per la foresta. C'era da scommetterci che avrebbero girato tutta la notte. – Però svegliamoci presto, ok? Voglio raggiungere quell'accampamento prima di Teach.

L'altro ridacchiò. – Ti sta davvero così antipatico? – chiese.

– Certamente. Non hai visto come ci guardava? Non mi fido di quel tipo. Che poi, cosa ti importa di arrivare primo laggiù? Devi venire a dirlo a noi? Io non lo so... – sbuffò, scuotendo la testa.

Sabo finì di cuocere il suo coniglio e iniziò a mangiarlo. – Sicuro che non ne vuoi? Guarda che non è un problema, eh. – Ace alzò gli occhi al cielo e accettò un pezzo di carne.

– Se proprio insisti... – Vivere con Rufy aveva le sue conseguenze.

Finirono di mangiare che era già buio. – Fa' attenzione al fuoco, che non si spenga. – Con gli animali feroci non si scherzava, Ace lo sapeva. Sabo annuì, e lasciarono il fuoco acceso sotto l'albero su cui si erano arrampicati.

– 'Notte. – mugugnò Ace, scomodo come non mai, cercando di mettersi in una posizione più stabile.

– Buonanotte. – rispose Sabo, voltandosi di lato.

Ace sentiva un ramoscello pungergli la schiena. Sarebbe stata una lunga notte...

 

* * *

 

Il giorno seguente Ace si svegliò con tutte le ossa doloranti. Da quanto tempo non dormiva su un albero? A giudicare dalla posizione del sole, era appena passata l'alba. Si stiracchiò, sentendo scricchiolare ogni singolo osso, prima di tirare un calcio a Sabo. – Sveglia, è tardi! – gridò, acciuffandolo per un pelo prima che crollasse rovinosamente giù dall'albero.

– Ma sei fuori? Un po' di delicatezza... – gemette quello, muovendo braccia e gambe come se avesse avuto cent'anni o giù di lì.

Ace rise, saltando giù dall'albero con eleganza. – Forza, datti una mossa, non intendo arrivare dopo di Teach.

Sabo si limitò a borbottare qualcosa a proposito di dove Ace poteva mettere la sua allegria mattutina, ma quello non ci fece caso, iniziando a camminare di buon passo.

– Non abbiamo la più vaga idea di quanto lontano sia l'Accampamento Nord. Sappiamo solo che è a Nord. – ragionò Ace mentre camminavano.

– Potrebbero volerci giorni come potremmo impiegarci solo poche ore. – commentò Sabo, concentrato. – Oppure ci hanno mentito e l'accampamento non si trova proprio a Nord. Molto in stile Spartano, così dovremo girare questo bosco per intere settimane.

Ace rabbrividì al pensiero. – Quanto sarà poi grande questo bosco? Sei tu che vivevi da queste parti, io non mi sono mai mosso dalle montagne. Qui siamo dalla parte opposta. – si lamentò, saltando a piedi pari una radice sporgente.

Sabo inarcò un sopracciglio. – Non è che io abbia passato tutta la vita ad esplorare i boschi, sai: scappare da casa mia era parecchio complicato...

Ace sbuffò. – Va bene, va bene. Noi limitiamoci a proseguire verso Nord e... Un momento, guarda là!

Sabo si materializzò immediatamente al suo fianco. – Che c'è?
– Qui è stato fatto un fuoco. – Ace si chinò a sfiorare il terreno, e Sabo riconobbe subito le tracce di un falò. – Si dev'essere spento da poco...

Sabo esitò un attimo prima di parlare. – Pensi... pensi che possa essere di Rufy?

Ace si alzò. – Non ne ho idea. – ammise. – Rufy sa come fare un fuoco, anche se non alla perfezione, e questo non sembra molto elaborato. Però ci sono tanti bambini, in questo bosco... Non è affatto detto che sia il suo.

Sabo scrollò le spalle. – In ogni caso, se qualcuno si è messo a dormire da queste parti significa che sta andando in questa direzione: è già più probabile che sia la strada giusta. – disse con convinzione.

Ace annuì, anche se continuava ad essere preoccupato.

Continuarono a camminare per tutta la mattinata, e anche per parte del pomeriggio. Per due volte incontrarono degli altri ragazzi, ma questi correvano via appena li vedevano. – O pensano che li vogliamo far fuori, oppure chi arriva primo all'accampamento riceve un premio davvero grande. – commentò Sabo dopo che il secondo ragazzino si volatilizzò sotto i loro occhi.

– Potrebbero almeno scambiare quattro chiacchiere, no? – sbuffò Ace, arcigno. – Voglio dire, magari avevano visto Rufy.

Sabo era d'accordo con lui, ma conosceva abbastanza Ace per sapere che dargli corda, in situazioni come quella, era pericoloso. – Dai, guarda il lato positivo. Siamo sulla strada buona. Se continuiamo così saremo presto all'accampamento, e una volta lì cercheremo Rufy come si deve. Dai, è ovvio che in una foresta grande come questa non ci si incontri subito!

Ace sospirò. – Hai ragione, certo... – improvvisamente scorse un'ombra oltre un cespuglio. – Ah, no! Stavolta non mi scappi! – esclamò, balzando in quella direzione.

Sabo fu subito al suo fianco, e in due secondi lo sconosciuto era già immobilizzato.

– Ma che... ahi! Razza di idioti, volete farmi fuori? – Ace fu molto tentato dalla prospettiva di rimanere lì tenendo ancorato a terra il ragazzo che aveva davanti al naso; ma quando Sabo si tirò indietro dovette capitolare anche lui.

– Che vuoi, Teach? – chiese, ostile.

– Che voglio io? Siete voi che mi avete assalito in quel modo! – si offese l'altro, spolverandosi i vestiti.

Che buffo, Ace non riusciva a dispiacersene. – Sì, beh, ci servivano delle informazioni. Non è che hai visto mio fratello? – già si pentiva di averlo chiesto. Teach non avrebbe mai risposto, ne era certo!

Il ragazzo si passò una mano sul mento liscio, riflettendo. – Tuo fratello... Rufy, dico bene? Piccoletto, capelli scuri, molto possessivo quando si parla di cibo?

Ace annuì.

– L'ho incrociato ieri sera, dalle parti del fiume. Stava mangiando una specie di fagiano e quando gliene ho chiesto un pezzo se l'è ingoiato tutto intero, capite? Poi ha detto che non ce n'era più. – Teach scosse la testa, infastidito. – Dopo però mi ha detto che ce n'era un altro, se avevo voglia di spennarlo, perché a lui faceva schifo.

Ace spalancò gli occhi, sorpreso. – Dici davvero? E adesso dov'è? – chiese, impaziente.

– Ma non lo so! Stamattina siamo partiti insieme, ma lui continuava a parlare! Alla fine ho girato a destra mentre lui è andato a sinistra e chi s'è visto s'è visto. Credo che stia andando verso Est, al momento. Il suo orientamento è davvero pessimo, ci credereste?

Ace lanciò un'occhiata a Sabo: potevano fidarsi? O quel ragazzo gli stava raccontando solo un mucchio di scemenze?

– Di cosa ti ha parlato di preciso, mentre camminavate? – indagò Sabo.

Teach alzò gli occhi al cielo. – Devo farvi un resoconto dettagliato? Di voi due. Della casa in cui viveva in montagna. Di una capanna segreta sull'albero. Di come preferisce cuocere la carne. Scusate se dopo un po' ho smesso di ascoltarlo!

Ace non poteva sbagliarsi: era esattamente il genere di argomenti che Rufy avrebbe scelto di trattare in un ambiente e in una situazione del genere. – Dici che è andato a Est? – chiese, per essere sicuro.

Teach annuì. – Avete presente la radura con un grosso masso al centro? – i due annuirono: l'avevano passata alcune ore prima. – Ci siamo divisi poco più a Nord di quel punto. Bene, ragazzi, è stato un piacere parlare con voi, dico sul serio. Ci si vede! – si voltò e scomparve subito oltre la vegetazione.

– Potevi almeno ringraziarlo. – lo riprese Sabo. – Ace, ci è stato d'aiuto!

– Certo, sicuramente. Io non credo ad una parola di quello che ha detto. A Est, certo... Quello vuole solo arrivare per primo. Ti immagini la sua faccia se arrivassimo per ultimi perché abbiamo vagato a vuoto per giorni e giorni?

Sabo incrociò le braccia. – Quindi che facciamo? Andiamo a Nord verso l'accampamento, rinunciando a trovare Rufy prima di arrivarci? Cerchiamo Rufy a Est? A Ovest? Non puoi negare che Teach l'abbia visto, quel discorso era esattamente da lui. Ci ha almeno parlato, quindi qualcosa deve sapere.

Ace esitò. Lui voleva trovare Rufy, ma allo stesso tempo sentiva che sarebbe stato stupido ascoltare il consiglio di Teach.

– Oppure, – ragionò Sabo, – Teach ha detto il vero sapendo che non gli avremo mai creduto e che non saremo mai andati ad Est, quando invece è lì che si trova Rufy.

Ace era indeciso se sbattere la testa contro un albero o spingerci direttamente quella di Sabo, ma si contenne. – Concentriamoci. – ordinò, meditabondo. – Se tu fossi Rufy, cosa staresti facendo adesso?

La risposta era pateticamente ovvia. – Cercherei qualcosa da mangiare. – rispose Sabo a colpo sicuro. – Oh, e ovviamente cercherei di raggiungere noi. Te o me, non gli piace molto stare da solo.

– Esatto. Cibo, e noi. Siccome non ha la più vaga idea di dove trovare noi, immagino che si concentrerà sul cibo. – ragionò Ace. – Sa preparare delle trappole, certo, ma non è molto bravo. Quindi, siccome sa che ben poche avranno effetto, ne avrà messe tantissime.

Raccolse un bastoncino e tracciò a terra un grande cerchio. – Poniamo che questa sia la foresta. Siamo partiti lungo questa linea, e l'accampamento è dall'altra parte. – proseguì, tracciando una linea di partenza al limitare della foresta e segnando con una X il punto più a Nord. – Le strade che dobbiamo percorrere puntano tutte dalla stessa parte, e più si prosegue più c'è possibilità di incontrarsi. – tracciò varie linee che congiungevano un punto a caso della linea di partenza con l'arrivo. – Sabo annuì. – Ponendo che Rufy abbia anche deviato un po', l'unica cosa che dobbiamo fare adesso è muoverci lungo una linea che va da Est a Ovest, – proseguì Ace tracciando una linea parallela a quella di partenza che passava dal punto in cui probabilmente si trovavano loro. – So che è un po' contorto, ma sicuramente Rufy ha lasciato delle trappole per gli animali da qualche parte, qua in giro. Trovandole capiremo da che parte sta andando, se troppo a Est o troppo a Ovest o magari proprio in questa direzione.

Sabo sembrò rifletterci su, poi annuì. – Non è una distanza breve. – gli ricordò.

– Sì, ma quanto può aver deviato Rufy? Teach ha detto che fino alla radura con la roccia erano insieme. Se ha lasciato delle trappole, le troveremo in poco più di un'ora. Basta andare dritti da Est verso Ovest o viceversa.

Sabo sospirò. – Sai cosa significa, vero? Tu dovrai andare a Ovest e io ad Est. E quando avremo trovato le sue trappole? Dovremo inseguirle fino a trovare Rufy o sarebbe meglio tornare ad avvisare l'altro? Se tu trovassi Rufy e non avessi modo di farmelo sapere, io potrei cercarlo fino allo sfinimento, lo sai?

Ace si grattò la testa. – Potremmo... darci un punto di ritrovo. Vieni. – Si arrampicò su un albero, e Sabo lo seguì. – In direzione Nord... oh, guarda, quella radura va bene? È piena di fiori, è facile da riconoscere.

Sabo annuì. – D'accordo, andata. Quando tramonterà il sole, però, torna al punto di ritrovo, con o senza Rufy. – Sabo cercò lo sguardo di Ace e lo fissò negli occhi. – Mi hai capito? Lo cercheremo insieme, se questo piano non dovesse funzionare.

Ace ghignò. – Ti sembro il tipo da mancar fede ad una promessa? – Sul volto di Sabo si dipinse lo stesso identico ghigno, e senza che ci fosse bisogno di parlare entrambi alzarono il pugno e li avvicinarono uno all'altro. – Al tramonto, in quella radura. – saltarono giù dall'albero e si divisero, Ace verso Est e Sabo verso Ovest.


* * *

 

Ace camminava da quasi un'ora e ancora non aveva trovato niente. Se voleva tornare in tempo da Sabo avrebbe dovuto fare in fretta, lo sapeva. Eppure sentiva di esserci così vicino...

Improvvisamente si bloccò. Non era la prima volta che credeva di aver visto quello che poi si era rivelato un semplice gioco di radici e rami bassi, ma... – Rufy. – sussurrò Ace, abbassandosi a terra e sollevando la piccola cordicella fatta di rami e foglie intrecciate che reggeva tra le mani. Gli veniva da ridere: era fatta così male... Però c'era qualcosa che non andava. Era sporca. Cos'era, fango? No, realizzò Ace con orrore.

Era sangue.

Rufy!

 

* * *

 

Rufy aveva corso per un sacco di tempo.

Era da quella mattina che correva, in effetti. Si era fermato giusto un istante per mangiare, aveva piazzato qualche trappola con mani tremanti e poi si era fermato lì, cercando di riprendere fiato.

La ferita faceva male, oh se faceva male. Doveva curarla...? Come faceva, però, se non mangiava? Respirò piano, concentrato. Non era debole, lui, era forte. Ace si fidava di lui, era convinto che se la sarebbe cavata. Recuperò delle foglie, cercò di fermare l'emorragia. Faceva male, ma Rufy doveva tenere duro. Bevve un po' e si nascose in un cespuglio. Però faceva male... No, no, non è vero. Rufy non aveva paura, Rufy non sentiva il dolore, Rufy era forte. Strisciò fuori per vedere se la sua trappola aveva recuperato qualcosa, ma era ancora lì. Sospirando, si ficcò di nuovo nel suo nascondiglio e aspettò, cercando di non urlare perché faceva male, anche se no, no, no, a Rufy non faceva male proprio un bel niente.

Improvvisamente sentì qualcosa, come dei passi. Era di nuovo lui? Rufy si fece più piccolo possibile, là nascosto, cercando di non fare rumore.

– Rufy.

Era... Possibile che fosse... No, era troppo pensare che Ace fosse venuto fin laggiù! Rufy era abbastanza certo di aver sbagliato strada! Si stava convincendo che non era Ace e che avrebbe fatto bene a cercare di calmarsi e trovare qualcosa da mangiare quando lo sentì di nuovo.

Rufy!

Questa volta ne era sicuro, era davvero lui. E Rufy rispose. – A-Ace...

Il maggiore gli fu subito accanto, spostando con foga tutti i rami del cespuglio che li separavano. – Ma cosa... cosa ti è successo? – chiese, la voce strozzata.

Rufy non voleva fare la figura di quello che si lamentava e gemeva e piangeva, ma effettivamente stava perdendo parecchio sangue - si era fermato da quella mattina, il sangue? - e ora che Ace l'aveva trovato sentiva le forze abbandonarlo.

– Dimmi che è stato, Rufy. Devi dirmelo. – soffiò Ace, rabbioso.

Non ce l'ha con me...? pensò il bambino, confuso. Cercò di parlare, ma aveva la gola un po' secca.

– Chi è stato? Rufy, parlami. Resta con me, Rufy! – esclamò Ace, il tono di voce più alto.

– T-Teach... – sussurrò Rufy, prima di sentirsi girare la testa ancora più forte di prima.

Se Ace disse qualcosa, Rufy non se ne accorse, sprofondando sempre di più nel sonno. Non era più da solo. Era con Ace, e non c'era niente che gli facesse più paura.

… Non che Rufy avesse mai avuto paura, eh! Lui era forte.


















Angolo autrice:
BUOOOOON NATALE!  Ciao a tutti, buone feste e felice Natale!
Scusate se ho fatto tardi, ma sono stata in giro tutto il giorno, tra pranzi, parenti, regali... Ho una stupenda Action Figure di Ace che mi guarda IN QUESTO MOMENTO con quel suo sguardo accattivante e ghignante e- SPOSAMI. Ho anche ricevuto la Perfect Ediction di Shaman King (oh, la Perfect Ediction! Ora c'è una fine *.*) e a breve (amazon del cavolo) avrò un'action figure di Rufy e una di Sanji. Ditemi, cosa si può desiderare di più dalla vita? Cosa?
Ok, ora torniamo alla storia, ehm ehm. E così Teach ha fatto qualcosa di oscuro e malvagio a Rufy... che motivi poteva avere per fare una cosa tanto idiota? Perché ne ha parlato con Sabo e Ace? Come reagiranno i due davanti alle condizioni di Rufy? Troveranno l'Accampamento Nord entro il 2014? Mistero.
Grazie a tutti quelli che mi seguono, spero davvero che questa storia continui a piacervi!
Ancora tantissimi auguri di BUON NATALE!
Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Di temporali, rivelazioni e pericoli in agguato ***


TANTI AUGURI, ACE! <3 <3

DI TEMPORALI, RIVELAZIONI E PERICOLI IN AGGUATO


 

Sabo passeggiava nervosamente avanti e indietro: mancava pochissimo al tramonto, e di Ace nemmeno l'ombra. Aveva cercato Rufy per più di due ore, poi però aveva dovuto arrendersi all'evidenza e tornare indietro. Sperava solo che Ace avesse avuto più successo di lui...

Il tramonto era un momento della giornata che Sabo adorava; anzi, probabilmente era proprio il suo preferito. Quei colori, quel senso di compiuto e soddisfatto, quella vaga malinconia che stempera le emozioni di una giornata... Il tramonto era quella calma che a volte mancava proprio nell'animo dei soldati spartani. Come in quello di Sabo, per esempio.

Oh, dov'era finito Ace? Niente da fare, era preoccupatissimo. E Rufy? Perché non tornavano e basta? Era ormai sul punto di decidere che se non si davano una mossa, beh, allora sarebbe dovuto andarli a cercare lui stesso, quando una figura parecchio affannata sbucò da oltre la foresta. Sembrava reggere qualcun altro in spalla...

– Ace! – gridò Sabo, correndogli incontro.

Più si avvicinava, più vedeva che qualcosa non andava: Ace non aveva molto spesso quell'espressione, e Rufy che non si muoveva era un evento più unico che raro. – Ace, cosa... – iniziò, ma la vista di un qualcosa di rosso scuro che impregnava la schiena del ragazzo lo fece bloccare.

– È ferito. – fu il commento di Ace, fermatosi affianco a lui e posando delicatamente il corpo di Rufy a terra. – Ha perso i sensi appena l'ho visto, io... Non sapevo come curarlo, e poi avevo promesso che sarei tornato qui... L'ho fasciato alla meno peggio con un pezzo del suo vestito, ma ha perso davvero tanto sangue.

Sabo lo interruppe. – Chi è stato? – domandò, duro.

– Teach. – Ace sputò quel nome con tutto l'odio che riuscì a racimolare. Che, per inciso, non era poco.

Sabo strinse gli occhi. – Te l'ha detto lui? – Ace annuì. – Per prima cosa, bisogna ripulire la ferita. Hai visto un fiume o qualcosa, qui vicino?

Ace ci pensò su. – No, non mi pare. Però domani pioverà.

Sabo inarcò il sopracciglio. – E tu come lo sai?

– È nell'aria. Entro l'alba pioverà... A quel punto penso che potremo curarlo meglio. – rispose Ace alzando le spalle. – Per ora, non è che puoi fasciarlo meglio? Io non sono pratico, sai...

Mentre Sabo svolgeva con la massima cura le approssimative bende che avvolgevano il corpo del bambino, Ace rimase immobile a fissare il volto pallido e privo di emozioni di Rufy. Perché Teach aveva dovuto fare una cosa del genere? Perché poi indicargli la via giusta? Rufy si trovava davvero a est. Se era stato lui a ferirlo, perché poi li aveva condotti a Rufy?

– È davvero strano. – Commentò dopo un po'. – È come se Teach avesse voluto aiutarci a trovarlo. Eppure ha cercato di ucciderlo.

Sabo scosse la testa. – Se avesse voluto ucciderlo, l'avrebbe fatto. Dubito che Rufy avrebbe potuto salvarsi.

Ace alzò lo sguardo, irritato. – Cosa intendi dire? Guarda che Rufy non è così-

– Aveva una spada. – lo interruppe Sabo accigliato. – Questa ferita... non la fai con un sasso o cose simili. Nessuno di noi aveva il permesso di tenere una spada... Teach sì. Guarda.

Ace si chinò subito in avanti, ad osservare il corpicino inerme di Rufy. Era un brutto taglio, sicuramente. Partiva dal fianco destro e risaliva fin quasi all'attaccatura del braccio. Fortunatamente non sembrava aver leso nessun organo vitale... Anche se Ace cominciava a chiedersi se fosse fortuna o se davvero Teach avesse scelto di ferirlo e basta, senza ucciderlo.

– Quindi tu credi che non volesse farlo fuori. – borbottò Ace, tirandosi indietro.

Sabo annuì. – Che motivo potresti avere per uccidere un tuo compagno?
– Che motivo potresti avere per ferirlo. – commentò Ace, irato.

– Riflettiamo. Teach lo ha ferito, poi l'ha lasciato andare e ha proseguito dritto per la sua strada, finché non ha incontrato noi. – Sabo strappò un pezzo di stoffa dalla sua tunica e iniziò a fasciare Rufy, che tremò impercettibilmente quando la carne viva entrò a contatto col tessuto. – Ci ha raccontato tutto quasi senza che glielo chiedessimo... poteva dire di non averlo visto, invece ci ha indicato persino la direzione giusta.

Ace annuì. – Voleva che lo trovassimo. – realizzò. – Lui sperava che arrivassimo da Rufy e lo curassimo.

– In fondo, non si uccide mica una persona così a cuor leggero.

– Ma non ha senso! – sbuffò Ace, esasperato. – Lascia stare il motivo per cui l'ha detto a noi. La vera domanda è perché ha deciso di infilzare Rufy! Perché non ha proseguito per la sua strada e basta! Che bisogno aveva di farci preoccupare così e fargli del male e farci perdere tutto questo tem... – si interruppe, come folgorato. – Tempo. – sussurrò.

Sabo capì al volo. – Ci sta facendo perdere un sacco di tempo. Domani sicuramente non potremo muoverci di qui.

Ace si alzò e prese a camminare. – Lui vuole arrivare primo, e noi eravamo avvantaggiati rispetto agli altri perché siamo tra i più forti. Quindi ha ferito Rufy e ci ha spinti in quella direzione perché perdessimo ogni possibilità di vittoria? Quello è pazzo! E se non ci avesse incontrati? Se non l'avessimo visto? Rufy sarebbe morto là da solo? Oppure pensi che Teach avesse intenzione di tornare indietro a cercarlo? Perché non mi sembra proprio il tipo! Oh, giuro che non la passerà liscia, una volta tornato all'accampamento! Come può pensare di...

Rufy tossì, aprendo di scatto gli occhi. Gli altri due gli furono immediatamente addosso.

– Come ti senti? – domandò gentilmente Sabo.

– Sta' calmo, però, non ti azzardare ad alzarti! – lo avvisò Ace, notando il guizzare dei muscoli delle gambe del bambino.

Rufy fece passare lo sguardo da Ace a Sabo un paio di volte prima di parlare. – Ho... – sussurrò, confuso. – Ho... dormito tanto? Vi sto facendo perdere?

Sabo sorrise, e Ace dovette fare appello a tutte le sue forze per non tirargli un pugno in testa. È ferito, non posso fargli tanto male, si ripeté. – Adesso non pensarci, scemo! Ci hai fatto preoccupare un sacco!

– Mi dispiace! Guardate che io ho tenuto alta la guardia come dite sempre, davvero! Quando è arrivato ero pronto, poi però mi sembrava simpatico e quindi ho iniziato a parlarci... Abbiamo camminato insieme per un sacco di tempo, non sembrava una persona cattiva! – il labbro di Rufy tremava, e anche se si sforava valorosamente di non piangere, si vedeva che doveva stare molto male.

Ace sospirò. – Non ce l'abbiamo con te, vero, Sabo?

Quello annuì con serietà. – Neanche un po'. – gli assicurò. – Ma non ti sei accorto che aveva una spada, con sé?

Rufy abbassò lo sguardo. – Non era una spada. Era piccolo, una specie di pugnale. Lo teneva addosso, non potevo saperlo! Non potevamo usare le armi, lo sapevate anche voi! Ha imbrogliato, vero? Se no avrei potuto batterlo.

Sabo annuì. – Vero. Ma... l'ha fatto così, improvvisamente? Non ti ha detto nulla, prima? Non ti ha spiegato perché ha deciso di colpirti?

Ace gli si fece ancora più vicino, fissandolo negli occhi. – Rufy, dicci la verità. Ha parlato di qualcosa in particolare?
Il bambino si morse il labbro prima di parlare. – Io... gli stavo raccontando della nostra casa sull'albero quando si è fermato di colpo. Allora mi sono voltato, e lui mi ha colpito, così! Ha fatto davveeeeero male!– allargò le braccia per evidenziare quel davvero, ma il gesto lo fece gemere di dolore e portò le mani alla ferita, stringendo i denti.

Ace si morse il labbro, frustrato. Avrebbe voluto fare qualcosa...

– E basta? Non ti ha detto niente? – chiese ancora Sabo, una mano sopra quella tremante di Rufy.

– Ha detto... ha detto... una cosa brutta... ma anche un po' vera... posso dirlo, Ace? – ansimò Rufy.

– Che cosa? – domandò il ragazzo. E adesso perché Rufy gli chiedeva il permesso?

Il bambino respirò profondamente, scosso dai tremiti, poi però riprese a parlare. – È scoppiato a ridere, poi... Mi ha chiesto perché dicevo a tutti che eri mio fratello. Diceva che non era vero. Voleva sapere chi era tuo padre. Io... ho detto che sei mio fratello. Ho continuato a dirlo, davvero! L'ho detto ancora e ancora e ancora, anche se lui continuava a dirmi che era una bugia.

Ace deglutì, bianco in volto. – Tu... hai detto sempre che sono tuo fratello, vero?

– Certo! Sempre. – rispose Rufy, convinto. – Allora ha sospirato e ha borbottato una cosa che non ho capito, poi ha ferito di nuovo e se n'è andato. Oh, poi mi ha gridato un'altra cosa! Ha detto: allora, se ci riesci, vedi di farti salvare da tuo fratello! Ha riso di nuovo, e faceva così: Zehahahahah! – rivolse lo sguardo verso di loro, esitante. – Non lo so chi gli ha detto quelle cose. E non ho avuto paura, eh! Non faceva neanche tanto male, dopo un po'. Ho corso tutto il giorno, sapete? Volevo provare a raggiungervi, però mi sa che mi sono un po' perso.

Ace sospirò, cercando di non far capire quant'era turbato.

Come faceva a saperlo? Continuava a rimbalzargli in testa questa domanda. Chi gli aveva detto... E poi, come aveva fatto a...

– Però aveva ragione, no? – sospirò Sabo. – Insomma, voi non siete fratelli di sangue. Per quanto poi... insomma, lo vedo che siete legati, non fraintendete... Ma avete genitori diversi, giusto?

Ace congelò, pronto a negare, negare con tutte le sue forze, quando Rufy lo guardò spaventato e sussurrò: – Non gliel'ho detto io, dico davvero!

Ace avrebbe tanto voluto picchiarlo. – Che stai dicendo? – domandò, stanco.

Sabo sospirò di nuovo. – Quella Dadan, a casa tua, ha detto una cosa del genere. Poi c'è stata la faccenda dell'arco, e quando Rufy racconta di voi due sembra riferirsi sempre all'ultimo anno, non va mai più indietro. Un giorno mi ha raccontato di una cosa con dei lupi, poi ha detto che da quel giorno vi siete allenati insieme.

Ace fulminò il bambino con lo sguardo, poi sospirò. – È vero. – disse semplicemente, sollevando il mento. – Non ho i suoi stessi genitori.

Rufy rise. – Che c'è? – sbottò Ace, frustrato.

– Non hai detto “non è mio fratello”. – rispose Rufy, felice. – Hai detto “non ho i suoi stessi genitori”.

Ace non stava arrossendo e non era felice.

Sabo sorrise. – Beh, per me non c'è problema. Non serve che tu mi dica di chi sei figlio...

– Non lo so neanch'io. – si intromise Rufy, e Ace lo fulminò con lo sguardo.

– … Dicevo, non mi interessa, davvero. – proseguì Sabo. – Ma se lo scoprono all'accampamento saranno guai. Sia per te che per tuo... cioè, per il nonno di Rufy. Come fa Teach a saperlo?

Rufy inarcò le sopracciglia, concentrato. – Magari se l'è inventato.

– Dici che bluffava? – domandò Sabo, riflettendo. – Non è da escludere... Qualcuno potrebbe aver avuto un dubbio, e quindi ha incaricato Teach di indagare. Lui ha scelto questo tipo di approccio, ostentando tutta quella sicurezza.

Ace si grattò la testa. – Sì, ma chi è che può aver avuto questo benedetto dubbio? Non c'è nessun che... – lasciò la frase in sospeso, mentre un'idea pericolosa gli affiorava alla mente. E se...? Abbandonò quel pensiero: non era possibile, non poteva essere lui.

Rufy strinse gli occhi, ansimando dal dolore, e Sabo fu subito accanto a lui. – Che c'è?

Rufy cercò di calmare il suo respiro, il volto imperlato di sudore. – Mi fa male... No, no, non è vero: sono forte, io, non mi fa affatto male!

Ace sospirò. – Ci conviene accamparci da qualche parte al sicuro...

– Sì, dopo piove. – commentò Rufy.

Sabo scosse la testa, incredulo. – Com'è che ne siete tanto sicuri?

Gli occhi di Rufy brillarono. – Me l'ha insegnato Ace! Sai, una volta eravamo nel bosco, e abbiamo visto degli uccelli che...

Ace sorrise impercettibilmente, mentre si allontanava per cercare una caverna o un luogo al coperto dove passare la notte. Che Sabo avesse scoperto il suo segreto non lo turbava più di tanto: in fondo era stanco di dover mantenere sempre il segreto in sua presenza... certo, che Teach presagisse qualcosa era già più preoccupante, ma finché Rufy non avesse parlato...

Io... ho detto che sei mio fratello. Ho continuato a dirlo, davvero! L'ho detto ancora e ancora e ancora, anche se lui continuava a dirmi che era una bugia.

La convinzione che Rufy aveva messo nel pronunciare quelle parole aveva scaldato Ace in un modo che mai si sarebbe aspettato. Lui voleva disperatamente essere fratello di Rufy, ecco la verità. Al di là di tutte le profezie, maledizioni, genitori e tutori che questo avrebbe comportato, sentiva di tenere a Rufy più che a qualunque altra persona... anche se Sabo era un caso a parte. Sabo era quella perfetta miscela di serietà e ironia che mancava a lui e Rufy; era calmo quando se n'era bisogno e aveva una pazienza infinita...

Se Ace avesse potuto scegliere, avrebbe voluto essere fratello di tutti e due.

– Ragazzi, qui va bene! – gridò, guidando gli altri in direzione di una piccola grotta. Sabo lo raggiunse poco dopo portando Rufy in spalla.

Il bambino aveva iniziato a tremare.

– Come va, stai bene? – domandò Ace, avvicinandosi subito.

Rufy annuì. – Non dovete perdere. – sussurrò, deciso. – Domani andiamo avanti.

Sabo scosse la testa con decisione. – Non ti farà bene, Rufy.

– Guardate che scappo da solo, eh! Non possiamo fermarci! – gridò Rufy, qualcosa di simile alla disperazione nella voce. – Non voglio essere un peso. – concluse, il tono di voce quasi impercettibile.

Ace lo capiva, lo capiva benissimo. Però... – Facciamo così. – disse, passandosi una mano sulla fronte. – Domani mattina puliamo la ferita con l'acqua, rimettiamo delle bende, vediamo se troviamo delle piante che vanno bene per curarti, pranziamo, e dopo mezzogiorno proviamo ad andare un po' avanti. Ma se stai male torniamo subito indietro, capito?

Rufy annuì, e Sabo sospirò. – Poi sono io che gliele do tutte vinte... – mormorò, ma si vedeva che non era arrabbiato.

– Vedo di accendere un fuoco qua dentro. – fece Ace. – Domani decideremo cosa fare.

Rufy sbadigliò. Era esausto, si vedeva. – Penso che farò un pisolino. – li avvisò, cercando una posizione comoda che non lo facesse stare male tutta la notte. – Svegliatemi presto, mi raccomando!

Sabo non fece in tempo ad annuire, che Rufy era già nel mondo dei sogni.

 

* * *

Era stata una notte orribile. Rufy aveva gridato tantissimo, agitandosi e disperandosi, e tutto quello che Ace e Sabo avevano potuto fare era stato tenergli la mano e pregare gli dei, finché non aveva iniziato a piovere e avevano potuto bagnargli la fronte.

Al mattino Rufy aveva finalmente smesso di agitarsi, e Ace ne aveva approfittato per cercare qualcosa da mangiare.

– Come sta? – domandò, infilando la testa nella grotta e sgocciolando tutto intorno.

Sabo voltò lo sguardo verso di lui, sollevato. – Ce ne hai messo, di tempo! Non si è mosso da quando sei uscito, ma il respiro è regolare. Non me la sono sentita di svegliarlo.

Ace sospirò, lasciando cadere a terra due conigli. – Erano in una tana. Non ho dovuto nemmeno controllare nelle trappole, quel buco si vedeva lontano un miglio. – disse, alzando le spalle. – Se togli la testa, il resto è buono.

Sabo annuì e iniziò a scuoiarne uno. – Che dici, oggi potremo andare da qualche parte?

– Non so. – ammise Ace. – Non è una tempesta, piove e basta. Volendo... Ma con Rufy in queste condizioni, come facciamo?

Non c'era soluzione, e rimasero in silenzio finché il cibo non fu cotto.

– Ehi, piccolo infortunato? – Ace scosse Rufy finché non emise un mugolio di protesta. – Il pranzo è pronto!

Queste parole bastarono a fargli spalancare di colpo gli occhi. – Cibo? – chiese, eccitato.

Sabo rise. – Su, mangia finché è caldo.

Rufy sembrava stare bene, e le ore di veglia di quella notte apparivano come un ricordo lontano. – È buonissimo! – gridò infatti, felice.

Ace e Sabo si scambiarono un'occhiata. – Che ne dite se faccio un giro in avanti per vedere se è sicuro? Così vedo se va tutto bene.

Ace capì che “va tutto bene” significava “ci sono altri posti come questo in cui fermarsi”.

– No, Sabo! Perderemo tempo! – cercò di lamentarsi Rufy, facendo per alzarsi.

– Stai fermo! – lo placcò Ace. – Guarda che nessuno uscirà oggi, visto che piove. – improvvisò.

– Davvero?

– Certo! Saremo gli unici, quindi possiamo anche andare piano! – gli diede man forte Sabo.

Ace gli scoccò un'occhiata significativa. – Sei sicuro di voler andare?

Sabo annuì. – Sì, è meglio. Vado e torno, in un'ora sono di nuovo qui! – assicurò prima di uscire.

Rufy cercò di lamentarsi un po', ma Ace non volle sentir ragioni. Alla fine il bambino si arrese al fatto che Ace non l'avrebbe portato fuori in spalla per rincorrere Sabo, e si mise a fissare il soffitto.

– Mi annoio. – disse dopo un po'.

Ace sbuffò. – Dormi. – suggerì, tornando ad attizzare il fuoco.

– Ma ho dormito tutta la notte! – sbuffò il bambino, lamentoso.

Ace avrebbe voluto aggiungere un beato te, ma si trattenne. Davvero Rufy non ricordava niente della notte passata ad urlare di dolore? Non che fosse un male, ma...

– Ace? – chiamò Rufy, interrompendo i suoi pensieri.

– Cosa c'è?

– Lo so che lo facciamo sempre e lo dobbiamo fare, ma... – iniziò Rufy. – Quando diciamo di essere fratelli... è una bugia?

Ace si bloccò di colpo, voltandosi piano verso di lui.

– Perché non è come quando dico che non ho finito io la carne o che ho fatto il bagno e so che è una bugia. – spiegò Rufy. – Io lo sento vero, capisci? – lo fissò, gli occhi colmi di apprensione. – È... è sbagliato?

Ace si sentiva un groppo in gola. – Rufy, io...

– Ace! – Sabo irruppe nella grotta, grondante d'acqua.

– Che succede? – chiese subito il ragazzo, alzandosi in piedi.

Sabo ansimò, appoggiando le mani sulle gambe. – Poco lontano da qui, a meno di un quarto d'ora di cammino, c'è un grande fiume. – comunicò, come se fosse un informazione terribile.

– E... è un male? – domandò Ace, confuso.

– Tu non capisci. – Sabo abbassò la voce perché Rufy non li sentisse. – Piove così forte... presto ci sarà una piena. Se non lo passiamo adesso, non lo passiamo più. Teach lo sapeva! – imprecò, gli occhi fiammeggianti.

Ace stava per ribattere, ma voltò gli occhi verso Rufy e rimase di sasso.

Dietro di loro il bambino serrò le labbra e strizzò gli occhi, il corpo contratto dal dolore.
































Angolo autrice:
Salve a tutti! Intanto... BUON ANNO! Sì, arrivo a pubblicare in extremis, ma perdonatemi! Oggi è stato un Gran Casino, tra pranzi e gite e "chi fa i compiti a capodanno fa i compiti tutto l'anno!", frase rigirata anche con "passeggia un po'", "passa il tempo con la famiglia" e mille altre cose che mi hanno tenuta lontana dal pc.
Che ne pensate del capitolo? ^^ Stavolta è stato un po' lento, ma volevo che la situazione fosse chiara. Le domande adesso sono: chi mai ha detto a Teach di indagare sulla presunta non-fratellanza di Ace e Rufy? Come faceva a sapere che avrebbe incontrato Sabo e Ace? Come ha fatto a tenere un pugnale con sé? Come pensa di farla franca, una volta tornato all'accampamento?
E i nostri eroi? Riusciranno a superare il fiume? Rufy guarirà? Raggiungeranno l'accampamento nord?
Ringrazio tutti voi per l'enorme supporto che mi date ogni volta; davvero, siete tutti incredibili! Grazie di cuore, e buon 2014!
Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** The Worst Nightmare ***


THE WORST NIGHTMARE



No, non andava per niente bene.

Ace si precipitò subito accanto a Rufy, prendendogli la mano con slancio. – Che succede? Riesci a sentirmi? – chiese, preoccupato.

Il bambino non rispose, agitandosi un po' più forte. – Prendo dell'acqua per la fronte. – disse subito Sabo, schizzando fuori.

Ace scostò le vesti di Rufy per esaminare la ferita, storcendo il naso alla vista del sangue incrostato. Non era messa bene, ma neanche male come quando l'avevano trovato... allora perché Rufy si lamentava così tanto?

– S... S... – Sembrava che Rufy stesse cercando di dire qualcosa. Ace gli si avvicinò. – Che cosa? – sussurrò.

Rufy parlò, gli occhi spenti e il tono di voce quasi impercettibile. – Sventura e disonore sulla casa di Atene, tremate e temete il nemico che viene...

Ace cadde all'indietro, tremando. Rufy stava dicendo... impossibile che stesse...

Rufy continuava a recitare la profezia, quella profezia, e ancora, ancora, ancora, quella rimbombava nella mente di Ace come una condanna spietata e inappellabile. Come poteva Rufy conoscere una cosa del genere, come?

Ace aveva voglia di vomitare. Artigliò la terra con le dita, desiderando solo sparire. Gridò, o almeno ci provò, perché dalla sua bocca non uscì neanche un suono.

– Ace! – Rufy smise di agitarsi e spalancò gli occhi, ansimando leggermente. – C-cosa... cosa è successo?

Il ragazzo non rispose, gli occhi colmi di paura fissi nei suoi. – Dove hai sentito quella profezia, Rufy? – chiese, piano.

Quello inclinò il capo. – Profezia? Quale... – il dolore lo fece stringere i denti per un attimo, poi prese un respiro e continuò. – Di che profezia parli, Ace?

Sventura e disonore... – attaccò Ace, atono.

– Ah, sventura e disonore sulla casa di Atene, intendevi questa. Me l'ha raccontata il nonno. – rispose Rufy, alzando le spalle. – A volte la ripasso la notte, è come una canzone. Il nonno dice sempre che sarà il segreto della nostra vittoria, anche se non ho capito bene cosa vuole dire. Ci ho pensato poco fa... me la ripeto quando ho la testa troppo piena di cose, capisci? Serve a farmi pensare ad altro. – spiegò il bambino, come se fosse una cosa normale.

Ace prese Rufy per le spalle e lo costrinse a fissarlo negli occhi. – Non devi pronunciarla mai più. Mai, hai capito?

– Ace, mi fai male! – protestò l'altro, cercando di spostarsi.

– Non una parola su questa profezia, non una parola! – insistette Ace. – È importante, non lo capisci? Devi tenere la bocca chiusa! Sono stato chiaro?

Un tuono rimbombò forte nell'aria, e Sabo fece ritorno. – Ace!

Il ragazzo sembrò tornare in sé, lasciando la presa su Rufy. – Ha... ha smesso di agitarsi. – disse velocemente.

Sabo gli dedicò una lunga occhiata indagatrice prima di concentrarsi su Rufy. – Come stai? – disse dolcemente, posandogli una pezza bagnata sulla fronte.

– Sto bene. – disse Rufy, imbronciato. – Dobbiamo andare avanti.

Ace e Sabo si guardarono. – Rufy... – attaccò Ace. Cosa poteva dirgli? A parte il fatto che era ancora sconvolto per la faccenda della profezia... c'era il problema del fiume. Non potevano guadarlo con Rufy in quelle condizioni, d'altro canto... Se non lo facevano in quel momento, non l'avrebbero più potuto fare.

– No, andiamo e basta. – si lamentò Rufy, alzandosi traballante in piedi. – Guardate che ieri ho corso tutto il giorno, capito? E stavo bene.

A questo sia Ace che Sabo avrebbero potuto ribattere in mille modi diversi, ma preferirono non questionare. Dirgli la verità? Rufy era troppo testardo, sarebbe voluto andarci a tutti i costi. Tenergli tutto nascosto? Ma Rufy dopo li avrebbe sicuramente odiati.

Bastò un'occhiata per metterli d'accordo: un Rufy vivo che ce l'aveva con loro era meglio di un Rufy morto che invece li adorava. – Facciamo così. Oggi stiamo qua, tanto se ne staranno tutti chiusi da qualche parte, poi domani, quando smetterà di piovere, andremo avanti tutto il giorno. – contrattò Ace, ignorando con forza il senso di colpa, e anche un po' l'orgoglio. Era per il bene di Rufy.

– Non voglio. – borbottò Rufy. – Voglio andare avanti. – ma usò quel tono di voce di quando si era già implicitamente arreso.

Ace tirò un sospiro si sollievo. – Su, che mezzogiorno è passato da un pezzo. Dormi un po'.

Rufy incrociò le braccia, sedendosi a terra con un sospiro. – Non ho sonno. – si lamentò. – Voglio andare in esplorazione. Io sono un forte soldato di Sparta, non un fifone qualsiasi!

Sabo annuì con forza. – Infatti i forti soldati di Sparta sanno obbedire agli ordini dei superiori. Vero o no?

Rufy borbottò un sì senza entusiasmo.

– Bravo. Ora resta buono qui, mentre noi facciamo un riposino. – affermò Ace che, non avendo chiuso occhio per tutta la notte, si sentiva crollare dal sonno. Anche Sabo doveva sentirsi più o meno nello stesso modo, perché annuì e si sdraiò a terra.

– Dovete proprio dormire? – si lagnò Rufy, sdraiandosi e sospirando con forza.

– Sì. – borbottò Ace, prima di sprofondare definitivamente nel mondo dei sogni.

Non l'avesse mai fatto.

 

* * *

 

Ace era solo, al buio. Era abituato a quella sensazione di gelo dentro, tutto il contrario di quando Rufy sorrideva, o di quando Sabo lo prendeva in giro. Era freddo e vuoto, ecco.

Sventura e disonore sulla casa di Atene

Tremate e temete il nemico che viene

Ancora quella profezia. Ancora una volta si intrufolava nei suoi sogni per straziare ancora un po' il suo animo. Cos'aveva fatto di male, lui, per meritarsi una cosa del genere? Era nato, tutto qua?

La profezia, pronunciata dalla bocca di Rufy, era cento volte più brutta. Lui se la ripeteva per addormentarsi, possibile? Se avesse saputo che riguardava lui, Ace... come avrebbe reagito? Il sesto verso, poi... Una furia feroce come fuoco incandescente. Anche questo sapeva Rufy. E cos'avrebbe pensato?
All'improvviso eccolo là, davanti a sé. Rufy, perfettamente in salute, sorridendo come sempre. – Ehi, Ace! Andiamo ad esplorare la foresta?

La sua voce suonava un po' distante, ovattata, ma Ace non se ne preoccupò. – Arrivo, aspettami. – sospirò, sorridendo.

Affrettò il passo per raggiungerlo, ma quando gli fu affianco Rufy prese a parlare, la voce calma. – Ehi, Ace... Perché ti dava fastidio che ripetessi quella profezia?

Ace deglutì. Poteva dirglielo? Poteva arrischiarsi a tanto? Teneva a Rufy più che ogni altra cosa al mondo, ma da qui a rivelargli questo segreto... – Ace? È qualcosa di grave? – il musetto di Rufy gli si parò davanti, genuinamente preoccupato. – Posso aiutarti?

Ace sospirò. Certo, quello era Rufy. Era sempre lì per lui, e non vedeva le cose come la maggior parte della gente faceva. Poteva fidarsi. – Senti, Rufy... È un po' difficile da spiegare, vedi, il fatto è che...

– Che cosa? – chiese quello, incoraggiante. – Dimmi, forza!

Ace prese un sospiro e parlò. – Sono io il ragazzo della profezia. – disse, tutto d'un fiato. – In realtà sono Ateniese. Volevano uccidermi, quindi sono stato portato su quelle montagne. Io non volevo dirtelo, perché, sai... – finalmente osò abbassare lo sguardo verso Rufy, e la vista lo lasciò senza fiato.

Il bambino aveva le lacrime agli occhi e un'espressione disperatamente tradita negli occhi. – C-che cosa? – mormorò, scuotendo la testa. – No, n-non è possibile, Ace! P-perché non me l'hai detto? È... È orribile!

– Rufy, aspetta, io... – disse Ace, cercando di prenderlo per le spalle.

– Lasciami! – strillò il bambino, scostandosi. Dopodiché alzò lo sguardo verso di lui animato da una luce nuova, diversa, che Ace non gli aveva mai visto prima. C'era odio, sul suo viso. – Lasciami. – ripeté, e Ace obbedì. – Mostro! – Gridò, scappando via con le lacrime agli occhi.

Ace cadde a carponi, ancora troppo scosso. Allora... allora era vero, lui era un mostro, solo un mostro!

La foresta della montagna intorno a sé sembrava improvvisamente un luogo orribile. Però... un attimo, lui non era sulla montagna. Spalancò gli occhi di scatto, immobile. Era stato... un sogno?

Il sollievo di quella consapevolezza lo avvolse come l'abbraccio più morbido, spazzando via in un istante tutto il dolore, tutta la solitudine e l'inadeguatezza che aveva provato fino a quel momento. Un sogno... Rufy non pensava quelle cose, Rufy non lo credeva un mostro! È impossibile descrivere a parole quello che provò: come se tutto il peso del mondo gli si fosse improvvisamente tolto dalle spalle. Per un solo, glorioso secondo, si sentì libero e felice come se niente potesse andare storto. Rufy era sdraiato accanto a lui, no? Non era scappato, non sapeva la verità.

Voltò lo sguardo verso il giaciglio di Rufy, e due secondi dopo stava già dando un calcio a Sabo per svegliarlo e si dirigeva di corsa verso l'uscita della grotta.

– Che succede, aspetta! – esclamò Sabo, la voce impastata dal sonno.

– Rufy se n'è andato. – rispose Ace, senza neanche voltarsi a guardarlo.

Un secondo dopo, correvano entrambi nella foresta sotto la pioggia alla volta del fiume.

 

* * *

 

Rufy fissava l'acqua con un'espressione a metà fra il terrorizzato e l'entusiasta.

Sì, Ace lo sapeva che sarebbe dovuto essere impossibile, ma era così che gli sembrava. Un po' terrorizzato e un po' entusiasta, come se nella sua mente si alternassero cori di “torno indietro!” e “proviamoci, sarà divertente!”.

Ace e Sabo lo placcarono da dietro, trascinandolo via prima che la parte di lui che voleva tuffarsi avesse la meglio. – Ma che stai facendo? – esplose Ace, furente.

– Voi dormivate! – si difese Rufy. – E io mi annoiavo tantissimo! Volevo solo andare un po' in esplorazione, poi ho visto il fiume! – abbassò la voce, cospiratorio. – Dobbiamo oltrepassarlo adesso. Altrimenti poi non potremo più provarci! Piove fortissimo. – disse con ovvietà.

Ace ritenne saggio prendere un profondo respiro prima di parlare. – Dobbiamo tornare indietro, Rufy. Non sei nella condizioni di guadare un fiume, e... Oh, dai! Non te ne sei neanche accorto? Stai sanguinando! – la benda che gli copriva il fianco era infatti sporca di rosso.

Il bambino abbassò lo sguardo, confuso. – Oh... – mormorò. Poi però rizzò le spalle. – Non fa niente, ce la posso fare! Dai, non ci vorrà molto, posso farlo! – mise su un'espressione ferita e implorante che avrebbe fatto impallidire quella di un piccolo cerbiatto (e Ace aveva sempre avuto un debole segreto per quei cosini quando sono appena nati), ma dovevano essere irremovibili.

– Ormai non si può, Rufy. – disse Sabo con gentilezza. – Vedi? L'acqua è già troppo alta. Probabilmente riusciremmo a malapena a tenere in naso fuori dall'acqua io e Ace... tu neanche toccheresti il fondo. E poi, guarda che corrente... – lanciò un rametto nell'acqua impetuosa. Quello prese subito a scivolare di gran carriera a valle. – Troppo forte. – concluse il ragazzo, incrociando le braccia. – Di qui è meglio non passare.

Rufy fece un passo indietro, l'espressione ferita. – M-ma così perderete...

Ace sospirò, cacciando indietro quella parte di lui che gridava esattamente la stessa cosa. – Mica è colpa tua! È stato Teach, no?

Rufy non rispose, voltandosi verso il fiume. – Guardate là! – esclamò, correndo verso la riva. Si fermò davanti ad un grande tronco mezzo cavo ancorato alla sponda. – Sembra una barca. – mormorò, estasiato.

Ace e Sabo si fissarono per un lungo, spaventoso istante. – No! – gridarono in contemporanea, avventandosi verso di lui. – Non ci serve una barca, Rufy! – gridò Sabo, cercando di afferrarlo. Rufy si ritrasse, arrampicandosi sul tronco.

– Sì, dobbiamo attraversarlo, questo fiume, non seguirlo! – aggiunse Ace, salendo a sua volta sul tronco per cercare di acciuffarlo.

Rufy si tirò ancora più indietro. – E che ne sapete? Dove va questo fiume? Magari va proprio a nord, e... Sabo! Tanto non mi prendi! – esclamò, spostandosi ancora più indietro. Un lento scricchiolio costrinse Ace a voltarsi indietro: si trovavano tutti e tre sulla “barca” di Rufy, e il fatto che il bambino si stesse agitando tanto non aiutava affatto.

– Adesso, senza fare movimenti bruschi... – disse piano, muovendo prudentemente un piede, – ...fate tutti un passo indietro.

Sabo comprese, e smise immediatamente di cercare di afferrare Rufy. Questo invece inclinò la testa. – E perché? Scusa, Ace, ma se io faccio un passo indietro finisco in acqua.

– Allora fallo in avanti, idiota! – sbottò Ace. – L'importante è che scendia... – si sbilanciò e perse l'equilibrio, cadendo addosso a Rufy e strappandogli un gemito. Il tronco si era mosso. Prima che Ace avesse il tempo di alzarsi e che Sabo potesse fare qualcosa, con un rumore orribile l'acqua prese possesso della loro piccola imbarcazione e presero il largo, nel mezzo del fiume agitato dalla tempesta.
















Angolo autrice:
Ok, questa non ve l'aspettavate, eh?
Già, quando c'è di mezzo Rufy non si può mai sapere. Come se la caveranno i nostri eroi a bordo di quella possente imbarcazione?
Avete avuto un primo assaggio della Grande Profezia, quella che tormenta Ace fin da quando era bambino. Dadan la chiamava "maledizione", ma è perché è una donna poco colta ù.ù Vedrete che presto l'avrete in tutta la sua lunghezza, e capirete anche perché Ace ne è tanto oppresso da non riuscire a sopportare Rufy che ne parla...
Grazie di cuore a tutti voi che avete letto e recensito la mia storia: siete davvero stupendi, grazie mille!
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto ^_^*
Ah, e scusatemi se pubblico sempre ad orari improponibili. Sono un disastro, ma cercherò di rispettare la scadenza settimanale meglio che posso!
Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** L'arrivo ***


L'ARRIVO

 

Ace e Sabo andarono nel panico più totale.

E adesso come se la sarebbero cavata? Non era possibile, ogni volta che Rufy provava a fare qualcosa succedeva un disastro! Il bambino, incurante del loro terrore, si lanciò ad una serie di grida di gioia.

– Guardate, andiamo velocissimi! – esclamò, fremente di entusiasmo.

Non fu per quello sguardo che Ace si trattenne dal picchiarlo, assolutamente no. È che non ci arrivava, proprio così. Era semplicemente troppo distante.

– Tieniti forte, Rufy! – disse invece Sabo, preoccupatissimo. – Mi raccomando, è pericoloso!

Effettivamente, data la corrente e la tempesta in corso, era già un miracolo se non venivano sballottati in acqua in quell'esatto istante.

Rufy non fece in tempo a finire di dire che figuriamoci, lui era perfettamente in grado di rimanere attaccato alla sua barca, che Ace dovette afferrarlo al volo prima che scivolasse giù.

– Perfettamente in grado. – ripeté poi, scuotendo mestamente la testa.

– Sì, beh, sto imparando. – gridò Rufy per sovrastare il rombo dell'acqua. La pioggia continuava a cadere, e loro non avevano il minimo controllo della direzione della barca di Rufy.

Sabo si fissò saldamente ad un ramo sporgente del tronco, e da lì sporse il corpo in avanti. – La corrente è forte, ma non siamo lontani dall'altra riva! – comunicò, sorpreso.

– Come? – fece Ace, incredulo.

– Ci siamo spostati verso l'altra sponda. – ripeté Sabo, che nemmeno ci credeva. – Dobbiamo aver preso un mulinello o che so io, perché ormai...

Rufy esultò di gioia. – Visto? Ve l'avevo detto che la mia barca ci avrebbe portati in salvo! Chiamatemi Capitano Rufy!

Ace lo colpì in testa. Perché quando è troppo è troppo. – Scordatelo! – dichiarò, risoluto. – Casomai il capitano dovrei essere io, perché sono stato io a mettere in moto la barca.

– Se vogliamo parlare di chi invece la sta guidando... – si intromise Sabo.

– Non stai guidando, stai guardando dove andiamo nella speranza che la nave... oh, che il tronco ci porti a riva! – lo riprese subito Ace, scandalizzato. – E poi andiamo, perché proprio tu dovresti...

Rufy ritenne saggio scegliere quel momento per gridare con tutto il fiato che aveva in corpo che il capitano sarebbe dovuto essere lui per il semplice fatto di essere il più forte, al che Ace gli si rivoltò contro e Sabo, nel tentativo di fermarlo, mollò la presa.

Tempo due secondi, si ritrovarono tutti e tre in acqua, sotto la pioggia battente e in balia della corrente. – Ace! – gridò Rufy, sputando un enorme quantità d'acqua. – Sabo!

– Stai bene? – gridò subito Ace, scuotendo la testa per liberarsi dell'acqua che gli appesantiva i capelli. Che freddo...

– Attenzione! – esclamò Sabo, indicando un punto poco dopo di loro. I tre riuscirono appena in tempo ad evitare una fastidiosa collisione con una roccia appuntita.

– Ace, ci tocchi? – gridò Rufy, pallido. Il ragazzo provò a puntare i piedi verso il basso, ma non incontrò altro che acqua e frammenti di roccia o rami.

– No, è troppo profonda! – rispose, cercando inutilmente di opporsi alla corrente.

– La riva non è lontana, dobbiamo raggiungerla! – gridò Sabo, stringendo i denti per sforzo.

Fu subito chiaro che era un'impresa ai limiti dell'impossibile. Continuavano a venire trascinati dalla corrente verso Est, e la riva sembrava non avvicinarsi mai.

Improvvisamente Ace si ritrovò di fianco a un Rufy pallido e teso dallo sforzo di restare a galla. – Rufy, resisti! – ordinò, afferrandogli una mano. Dall'altro lato del bambino, anche Sabo fece lo stesso.

Rufy muoveva molto velocemente le labbra, e Ace non voleva sapere cosa stesse cantilenando, davvero, quando all'improvviso... – Non ci credo! – esclamò Rufy, guardando alla loro sinistra. – Guardate là! Ma... è la mia barca!

La fortuna, decise Ace, seguiva quel bambino in maniera allucinante. Davanti a loro due grosse rocce molto vicine alla riva avevano fermato la barca di Rufy, cioè, il tronco, si corresse mentalmente Ace. E loro ci andavano proprio incontro.

– Non è possibile. – commentò Sabo, scuotendo la testa e sorridendo, eccitato.

Andarono a sbatterci contro, e in un istante furono tutti e tre di nuovo al sicuro, arrampicandosi alla svelta sul tronco fisso e stabile. Rimasero qualche secondo sdraiati così, a riprendere fiato. – La mia barca mi vuole davvero bene. – dichiarò Rufy alla fine. – È venuta persino a salvarmi! Ci vuole un bel nome, come posso chiamarla?

– Zitto, Rufy... – borbottò Ace, senza abbastanza forze per alzarsi e picchiarlo.

– Ti piace Going Merry? – propose Sabo.

Rufy drizzò la testa. – Suona bene. Che cosa vuol dire?

Sabo ridacchiò. – Non ne ho idea, è il nome di una barca che appariva in una storia che mi raccontavano da bambino...

Rufy si alzò in piedi, fiero. – Allora io battezzo questa nave Going Merry, primo membro della flotta di Monkey D. Rufy lo Spartano! E poi- oh, ma da qui si passa sulla riva camminando! Siamo attaccati alla sponda, Ace, guarda! – gridò, saltellando.

Ace alzò lo sguardo e notò che sì, era proprio vero: una delle rocce su cui si era fermata la Going Mer... il tronco era collegata direttamente con la riva su cui dovevano arrivare. Notò anche che Rufy, per quanto saltellante che fosse, si teneva il fianco con la mano.

– Passiamo in fretta, prima che la nave si spezzi. – affermò Sabo.

– È un tronco. – borbottò Ace, più a se stesso che a loro, alzandosi e raggiungendo l'amata sponda.

Non appena furono tutti e tre al sicuro, però... – No, Going Merry! – esclamò Rufy portandosi una mano alla bocca, dispiaciuto. Il tronco infatti si era appena spezzato, scivolando avanti trascinato dalla corrente. – Si è sacrificata per salvarci! – gemette, melodrammatico.

Ace sbuffò. – Era solo un tronco, Rufy... – ma una qualche parte di sé, una parte molto nascosta e profonda, provava una sorta di rispetto per quella specie di imbarcazione che, dopotutto, li aveva salvati.

Il bambino lo ignorò e si spostò sotto un albero per sfuggire alla pioggia. – Allora... – esordì, lasciandosi scivolare a terra. – Dove siamo?

 

* * *

 

La faccenda era questa: si trovava in quel bosco da più di quarantott'ore e l'unica persona che aveva incontrato era quel bastardo.

E non è che fosse stato un semplice incontro, eh! Si erano gloriosamente scontrati mentre cacciavano, un bastone con punta acuminata alla gola da una parte e un masso pronto a sfondargli la testa dall'altra. Esattamente il tipo di incontro che ci si poteva aspettare da due persone del genere, dopotutto.

Non si erano mai sopportati quando vivevano all'accampamento. Un anno di differenza, quattordici-quasi-quindici e quindici-puoi-anche-dire-sedici. Che fosse lui il maggiore proprio non gli andava giù, ma si consolava pensando a quei gloriosi sei centimetri e mezzo che gli permettevano di squadrarlo dall'alto in basso. Come se fosse facile, poi, fissare quella persona senza sentire un brivido su per la schiena. Era già di per sé un'azione degna di lode, quella.

Poi, però, si erano trovati faccia a faccia in quella che si potrebbe definire una situazione di impasse, e né l'uno né l'altro sembravano avere intenzione di cedere tanto presto.

Alla fine lui aveva abbassato il bastone, ghignando, e gli aveva proposto quell'assurda alleanza a cui, ancora più assurdamente, lui aveva risposto di sì.

Ed ora stavano marciando alla volta dell'accampamento Nord, continuando a lanciarsi insulti e frecciatine, spintonandosi e minacciandosi a vicenda di una morte atroce.

Non si erano mai sopportati, lo sapevano tutti. Eppure era una sensazione decisamente piacevole, quella di infastidirsi a vicenda e di insultarsi in quel modo.

Avrebbero aspettato la notte.

 

* * *

 

Ace, Rufy e Sabo ci misero ancora due giorni e mezzo per raggiungere l'accampamento.

Il minore sembrava stare decisamente meglio, insomma, la sua capacità di ripresa aveva dell'incredibile, ma Ace e Sabo rimanevano comunque preoccupati per la sua salute, obbligandolo a riposare più frequentemente di quando effettivamente volesse.

La faccenda del fiume li aveva rallentati un po', ma sorprendentemente, poche ore dopo essersi messi in marcia, Rufy aveva scoperto un sentiero. Era un po' abbandonato, ma lo avevano seguito perché puntava nella direzione giusta. Rufy continuava a dire che, avendolo scoperto, doveva essere lui il generale della spedizione, ma dopo una lunga scarica di pugni aveva desistito dall'impresa.

Il temporale era finito quasi subito, e quando finalmente spuntò il sole Rufy era al colmo della felicità. Dopo aver corso ed essersi agitato in tutte le maniere possibili, si era sdraiato a terra ed era rimasto lì, con le braccia aperte, inondato dalla luce del sole e con un sorriso che splendeva più che mai. Ace e Sabo rimasero a fissarlo per qualche secondo, prima di scuotersi e tirarlo su di peso.

Quando raggiunsero l'accampamento era quasi notte, ma Rufy non era affatto stanco.

– Siamo arrivati, siamo arrivati, siamo arrivati! – continuava a strillare, al colmo dell'eccitazione. – Saremo i primi?

Ace non rispose, limitandosi a sbuffare e a borbottare qualcosa sull'incapacità di Rufy di stare zitto per più di due secondi. Potevano essere arrivati primi? Il sentiero segreto che Rufy aveva scoperto, effettivamente, gli aveva fatto guadagnare tempo. Possibile che...

Raggiunsero le porte dell'accampamento con un grido di giubilo, esultando al pensiero di un giaciglio vero, cibo normale e servizi igienici non inesistenti. – Siamo arrivati primi? – chiese Rufy alla guardia che stava all'ingresso.

Questi lo squadrò come se fosse un fantasma, poi assottigliò lo sguardo come a cercare di ricordare qualcosa. Alla fine rispose con un'alzata di spalle. – Primi no... ci sono già due persone, sono arrivate verso mezzogiorno.

Rufy spalancò gli occhi, deluso. – Ma uffa, io-

– Piuttosto... che ci fate voi qui? Mi avevano detto che... insomma, non... Oh, pazienza, entrate. – concluse, sospirando. – Per la vostra età, avete fatto un buon lavoro. Se vi sbrigate trovate ancora un po' di cena.

Rufy, alla parola “cena”, schizzò dentro come un lampo, già dimentico della precedente delusione. Ace si avvicinò alla guardia, sospettoso. – Scusa, è così strano vederci qui? – chiese, sprezzante.

– No, affatto. Non è certo colpa vostra se... Oh, mi era stato riferito che sarei dovuto andare a cercarvi tra sei giorni, perché non sareste riusciti ad arrivare, ed ecco che vi vedo comparire tra i primi cinque! Chiunque sarebbe un po' confuso, no? – si indispettì il giovane.

Sabo corrugò le sopracciglia. – Ma scusa, come facevano a dire che non saremmo riusciti ad arrivare? Non siamo tra i più deboli né tra i più piccoli...

La guardia non aveva realizzato di aver detto troppo. Era ancora giovane, inesperta, si credeva immensamente importante ed era troppo sicura di sé: persone del genere Ace sapeva fin troppo bene come trattarle. Non ci volle molto prima che, toccando i tasti giusti, riuscissero a farsi raccontare tutta la storia.

– Ora è tutto chiaro. – sibilò Ace, duro in volto.

– Bene. Ah, un'ultima cosa... – chiese Sabo, facendo per andarsene. – Chi è arrivato prima di noi? Teach?

– Oh, no. – balbettò la guardia. – Non ancora. Ecco perché ero così stupito nel vedervi, no? Sono quegli altri due, Eustass Kidd e Trafalgar Law.

 














Angolo autrice:
Salve a tutti! ^^ Eccomi qua, alla fine. In qualche modo sono scampati alla fine nel fiume (scusate, ho appena rivisto la fine di Enies Lobby e- ma i pianti che mi sono fatta, MY FEELS ;_;)
COMUNQUE. Nuovi personaggi all'orizzonte! C'eravate arrivati, che era di loro che si trattava? Kidd e Law, come potevo non inserirli? Ah, e ricordatevi cosa vi ho detto dell'omosessualità, gnnnn. Era normale. Era segno di virlità. Boh. In ogni caso non poteva vincere Teach (scoprirete perché), ma far vincere Ace e gli altri mi sembrava un po' cliché- cioè, hann ocomunque perso la loro bella mezza giornata, no? Comuuunque...
Cos'hanno scoperto Ace e Sabo dall'incauta guardia?
Perché non sarebbero dovuti arrivare in tempo?
Cosa c'entra Teach con tutto questo?
E la profezia?
Ace temeva che ci fosse qualcuno dietro tutto questo. Di chi si tratterà mai?
... scusate, adoro fare questo tipo di domanda ad effetto. Mi aiuta a riordinare le idee ^^"
A presto, e grazie a tutti!
Un bacione
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Di cene, leggende e maledizioni ***


 

Ace era furibondo.

Non era sicuro che Sabo avesse capito tutto, ma per lui la faccenda era terribilmente chiara. Ora non doveva fare altro che recuperare Rufy, e si diresse senza alcuna esitazione verso la sala da pranzo.

L'Accampamento Nord non era molto diverso da quello in cui avevano vissuto per quasi tre mesi: c'era un'arena dove allenarsi, tre dormitori, una piazza con l'altare per i sacrifici e le cucine. Forse era un po' più piccolo, e vederlo così vuoto faceva una certa impressione: erano solo in cinque ragazzi, in fondo.

– Ace! Fabo! Da quefta parte! – Rufy si sbracciava da un tavolo in fondo alla sala, la bocca piena di cibo, e Ace notò con una certa inquietudine che non era solo.

– Oh, quindi sono loro i famosi Ace e Sabo? – domandò un alto ragazzo dai capelli neri e lo sguardo penetrante.

– Ace, Sabo, loro sono Kidd e Law. Ragazzi, vi presento Ace e Sabo! Sapete, non ce l'ho più con loro per essere arrivati prima di noi, perché in realtà sono molto simpatici! – confidò Rufy con un sorriso enorme.

Ace iniziava a preoccuparsi. Per quanto tempo erano rimasti separati? Mezz'ora? Possibile che Rufy fraternizzasse con le altre persone in un tempo così ridotto? E poi, quella non era gente con cui lui avrebbe volontariamente deciso di spendere il suo tempo, ecco. Trafalgar Law, quello che aveva parlato, pareva capace di squartarti a metà con la massima calma, senza perdere il suo sorrisetto supponente e quell'aria di superiorità appena accennata.

Eustass Kidd, d'altro canto, non era da meno: aveva la fama di aver sgominato da solo un'intera banda di briganti, e Ace non esitava a crederci. Aveva una stazza che faceva impallidire al confronto qualunque altro ragazzo: superava sicuramente i due metri. Era famoso per perdere le staffe molto frequentemente, specialmente in presenza di Trafalgar Law. E vedere Rufy in mezzo a quei due non è che lo sollevasse tanto.

– Mmmh... Quindi voi siete i famosi Ace e Sabo. – commentò Law, alzando lo sguardo su di loro. – Subito dopo di noi alla vostra età, siete stati bravi.

Rufy gonfiò il petto. – Anch'io sono tra i primi cinque, sai? – affermò, alzandosi in piedi per fronteggiarlo. La disparità di forze era così evidente che Ace sentì il forte impulso di sbattersi una mano sulla fronte, ma Trafalgar si limitò a sollevare un sopracciglio, sorridendo on indulgenza, mentre Eustass Kidd esplodeva in una risata sprezzante. – Sono sicuro – attaccò, ghignante – che hanno fatto tutto loro. Tu al massimo gli sei stato dietro.

L'offesa era tale che Rufy sarebbe potuto esplodere di rabbia da un momento all'altro. – Guarda che ti sbagli! – affermò, convintissimo. – Sono stato io a trovare il sentiero, quindi in realtà ero io il capo della spedizione.

Trafalgar, che fino ad allora aveva seguito la discussione solo superficialmente, si fece subito attento. – Sentiero? Quale sentiero?

Fiero di tutta quell'attenzione, Rufy recuperò il suo solito sorriso e iniziò a spiegare, orgoglioso. – Subito dopo il fiume. In realtà avevamo un po' deviato, perché la mia barca non poteva andare proprio dritta, poverina. Credo fossimo un po' troppo a... ovest?

– Est. – lo corresse Sabo con gentilezza.

– Esatto, a Est. – proseguì Rufy. – Poco lontano da lì ho scoperto il sentiero. L'ho scoperto io.

– E vi ha portati fin qui? – insistette Trafalgar Law, come se l'argomento fosse della massima urgenza.

Eustass Kidd sbuffò. – E che te ne importa, insomma?

Ma anche Sabo aveva iniziato a capire. – Pensi che possa essere... – soffiò, improvvisamente sconvolto.

– Che cosa? Che cosa? – chiese Rufy, arrabbiato perché nessuno gli spiegava le cose.

– Il sentiero maledetto. – rispose Sabo, scuro in volto. – Quello della volpe.

Ace sollevò un sopracciglio, per nulla impressionato. Per lui, maledizione più, maledizione meno... Rufy, invece, spalancò la bocca, gli occhi che brillavano. – Un sentiero maledetto? Forte! E l'ho scoperto proprio io! – saltellò allegramente per tutta la sala, gridando varie stupidaggini sul soldato più forte di Sparta e sul suo intuito fuori dal comune.

– Frena, frena! – lo richiamò Ace, afferrandolo per la collottola. – Che storia è questa? Sabo, potevi anche dircelo, sai!

Il ragazzo abbassò lo sguardo, confuso. – Non potevo pensare... Insomma, è vero che si diceva portasse fino a qui, ma non... Una leggenda, solo...

– Circa cento anni fa, – lo interruppe Law, allungando le gambe sotto il tavolo e portando le mani dietro la testa, – un manipolo di soldati doveva portare un messaggio all'accampamento Nord. Ai tempi, oltre alla strada lastricata che aggira direttamente la foresta, c'era una lunga rete di sentieri che la attraversava da dentro, proprio da queste parti. Era abbastanza comoda, ma il sentiero migliore di tutti era l'ultimo. Quello che chiamavano “sentiero della Volpe”.

– Si racconta che partirono in venti, quel giorno. – si inserì Kidd, i gomiti appoggiati al tavolo e lo sguardo fisso in quello dei ragazzi. – Nessuno raggiunse l'accampamento, quella sera. E quando andarono a cercarli... Non fu ritrovato nessun corpo.

– Si fecero molte ricerche, ma quel drappello di soldati pareva disperso nel nulla. – riprese Law. – Dopo un po' la faccenda fu dimenticata, e venne il momento in cui un paio di ragazzi in età da addestramento vennero mandati all'accampamento sempre attraverso la foresta. Di uno si persero le tracce, ma il secondo tornò indietro, completamente impazzito e ricoperto di ferite profonde.

Ci fu un attimo di pausa, mentre Law prendeva un lungo sorso di vino dal boccale. – Quella notte, – proseguì, gocce rosse che gli colavano dalla bocca, – morì nel suo stesso letto.

– Le uniche parole che pronunciava erano “la volpe” e “fuoco”. Il giorno seguente, quando tornarono per ricominciare le ricerche... Il sentiero era sparito.

– … Sparito? – ripeté Ace, confuso.

– Completamente. – assicurò Kidd, riemergendo dal suo boccale di vino. – La strada si interrompeva, c'era solo vegetazione. Se adesso andaste a cercare, dubito che lo ritrovereste ancora. Ben presto anche gli altri sentieri che venivano prima vennero abbandonati, e la vegetazione li avvolse. Nessuno sa cosa sia accaduto al sentiero della Volpe, ma pare che a volte ricompaia misteriosamente. Quando ciò succede... sono in pochi ad uscirne vivi. – concluse, sorridendo malefico.

– Un'ottima interpretazione, Eustass-ya. – commentò Law, annoiato.

Rufy sembrava sul punto di scoppiare di gioia. – Ma noi siamo sopravvissuti, significa che siamo i più forti! Raccontate davvero bene le storie, lo sapete? Oh, alla fine è stata davvero una bella giornata. Siamo sopravvissuti a un sentiero maledetto e siamo arrivati prima di Teach! – concluse, eccitato. – Ah, e ho anche mangiato tantissimo. – aggiunse poi, come ripensandoci.

Law inarcò un sopracciglio. – Sarebbe stato difficile arrivare dopo di lui. È tornato indietro.

Ace e Sabo si voltarono verso di lui, stralunati. – Prego?

– L'ho visto anch'io. – confermò Kidd, finendo di mangiare. – C'era un tipo a cavallo. Era vestito di nero, però sembrava molto ricco. Hanno parlato per un po'... quando sarà stato? Ieri?

– Il giorno subito dopo il temporale. – lo corresse Law.

– Noi eravamo già nel sentiero maledetto. – gli ricordò Rufy, sorridendo complice.

Kidd agitò una mano. – Sì, quello che è. Abbiamo visto Teach da lontano, e stava parlando con un uomo a cavallo. Non abbiamo origliato. – chiarì subito davanti all'occhiata di Ace. – Urlava. Sembrava parecchio scocciato, vero? – ghignò a Law, che annuì sadico.

– Non aveva nessuna voglia di fare come gli stavano dicendo. “Te l'ho detto, ne era convinto!” continuava a ripetere. “È un altro, non è quello che cerchi tu”. Quante volte l'avrà gridato? – chiese Law.

– Almeno una decina. – assicurò Kidd. – In ogni caso, sembra che alla fine l'uomo a cavallo lo abbia riaccompagnato indietro al nostro accampamento. Diceva che “dovevano aspettarli là”.

Ace deglutì, improvvisamente impallidito. Se l'uomo era chi pensava che fosse... Allora...

Rufy spalancò la bocca. – Davvero? Chissà cosa voleva dire! – esclamò, iniziando a rimuginarci su. – Oh, pazienza. – concluse tre secondi dopo. – L'importante è averlo battuto! Ace, Sabo, voi non mangiate?

I due scossero la testa, stanchi. – Andiamo a dormire, Rufy. – ordinò Ace, prendendolo per un braccio. – Ciao, grazie per la storia. A domani! – disse poi rivolto a Law e Kidd. Quelli non parvero dispiaciuti di dover rimanere da soli, e si limitarono a salutarli con un cenno della mano.

– A domani! – strillò Rufy, sbracciandosi. – Ricordatevi la promessa, eh! Ci alleniamo insieme!

Doveva essere la sua immaginazione, Ace ne era certo. Perché due soggetti come Kidd e Law non potevano essere divertiti da un tipo come Rufy. Sarebbero dovuti esserne infastiditi, o... Ma con Rufy, concluse con un sospiro rassegnato, non si poteva mai dire.

Raggiunsero il dormitorio in pochi minuti, durante i quali Rufy non fece che parlare dei suoi nuovi amici Kidd e Law, e di come avevano promesso di combattere con lui, e di come fosse forte la storia che gli avevano raccontato, e se era vera? Allora loro erano davvero sopravvissuti ad un luogo maledetto, e...

– Rufy. – disse piano Ace, prendendo un respiro. – E anche te, Sabo. Io... devo dirvi una cosa.

Ecco. Era il momento. Doveva dirglielo ora, perché Sabo sicuramente l'aveva già intuito, e l'uomo vestito di nero era una minaccia troppo reale perché potesse far finta di nulla. Ma... e se poi Rufy l'avesse disprezzato? E se l'avesse odiato, perfino? Oh, quel sogno... Ace aveva ancora i brividi quando ci pensava.

– Che cosa? – chiese Rufy allegro, saltando sui giacigli per decidere qual era il più morbido.

– È... una lunga storia. – cominciò Ace, mordendosi il labbro. – C'è una persona, da qualche parte, che... mi sta cercando. – iniziò, prendendola alla lontana.

Rufy smise di saltare, avvicinandosi a lui. – Una persona buona o cattiva? – chiese subito.

– Cattiva. – chiarì Ace, e Rufy assunse quell'espressione preoccupata che non presagiva mai nulla di buono.

– Non sarà... – iniziò Sabo, ma Ace alzò una mano.

– Lasciami finire. Allora... – il suo sguardo saettava da una parte all'altra della stanza, senza decidersi a fissarsi su Rufy e Sabo. Erano suoi amici, maledizione! Possibile che non riuscisse a fidarsi di loro?

– Ace. – iniziò Rufy, serissimo. – Se c'è una persona cattiva che ti dà la caccia devi solo dirlo. Vado là e lo faccio a pezzi, capito? Dimmi chi è, così vado e lo faccio nero, sono stato chiaro? – disse, incamminandosi furibondo verso l'uscita del dormitorio.

– Ma dove vai! – sospirò Ace, riafferrandolo e spingendolo su un giaciglio. – No, il fatto è che... Quella persona crede che io sia suo figlio. In realtà mia madre si è sposata con lui quando era già incinta di me, ma lui questo non lo sa. Però, per... un certo motivo... mi ha abbandonato sulle montagne. Io l'ho visto solo una volta, quando è venuto a trovare il vecchio Garp. È una persona molto importante, sapete, ha agganci un po' dappertutto. – spiegò molto velocemente.

Rufy annuì, serio. – Ho capito. – confermò. – Vai avanti.

Ace sospirò. – Non avrei dovuto partecipare all'addestramento. Insomma, Garp ha dovuto falsificare il mio cognome per permettermi di entrare. Ora... quell'uomo è venuto a cercarmi alle montagne, ma Dadan gli ha detto che mi hanno ucciso i lupi. – disse freddamente. – Avevamo pattuito di fare così. Lui però... non le ha proprio creduto, ecco. Quando poi ha sentito che all'addestramento c'è un ragazzo di nome Ace... Garp ha giurato che c'era un altro Ace, suo nipote legittimo. Ma quell'uomo voleva un'altra conferma. È molto probabile che sia per questo che... che ha chiesto a Teach di indagare. Dev'essere stato lui a dargli le armi. Quel ragazzo ha pensato di prendere due piccioni con una fava. Ha ferito te, Rufy, e nel frattempo ti ha chiesto di dire la verità su di me. A giudicare da cos'ha detto Law... sei stato convincente. – c'era un non so che nelle sue parole, che fecero sentire Rufy stranamente caldo nel petto. Era orgoglio, misto ad affetto. E da Ace non ci si poteva aspettare niente di più.

– Poi ha fatto in modo che noi lo trovassimo perché venissimo rallentati... aveva previsto la pioggia, come voi? – indovinò Sabo, incrociando le braccia.

– È molto probabile. – convenne Ace. – Però, nonostante tutto, quell'uomo ancora non si fidava. Aveva addirittura parlato a lungo con la guardia qui fuori, prima ancora che iniziasse la prova di sopravvivenza, perché pensava che sarebbe riuscito a individuarmi già da prima. Quando Teach ha deluso le sue aspettative... Non si è fidato, ecco tutto. Quindi gli ha chiesto di portarlo da me. E siccome non avevano previsto che superassimo il fiume con quel tronco...

La Going Merry. – lo corresse Rufy a bassa voce, testardo.

– Che superassimo il fiume con la Going Merry, – sospirò Ace – Sono giunti alla conclusione che siamo tornati indietro. E sono tornati all'accampamento.

– Ma perché si è portato dietro anche Teach? – chiese Rufy, confuso.

Ace sbuffò. – Un estraneo non può entrare nell'accampamento senza un buon motivo, lo sai anche tu! Immagino che abbia deciso di irrompere là fingendo di aver appena salvato Teach o che so io. – concluse, sentendo una piccola fitta al pensiero che stava nascondendo loro il dettaglio più importante, quello più nascosto e segreto. Perché quell'uomo lo stava inseguendo, perché gli importava tanto che non combattesse tra le file degli Spartani, un tempo alleati, ora nemici di Atene.

Sabo annuì, concentrato. – Quindi non sa che siamo qui. Abbiamo un po' di tempo per pensare ad una strategia.

– Che strategia, Sabo? – sbuffò Ace, alzando gli occhi al cielo. – Come faccio? Appena realizzato che non sono laggiù, cercherà un pretesto per venire qua. Magari lo vedremo già domattina. Lui mi ha visto in faccia, mi riconoscerà appena mi vedrà. E allora...

– Non preoccuparti. – sorrise Sabo, furbo. – Ho un piano. Dobbiamo solo convincere Kidd e Law ad aiutarci...

– Ci penso io! – strillò Rufy.

Ace ghignò. – Allora, di che si tratta?

 






Angolo autrice:
La faccenda si è fatta più chiara! Quasi tutti i punti sono stati svelati. Scusate se fino ad ora la storia è stata un po' intricata, prometto che d'ora in poi sarà quasi tutto molto più chiaro!
Scusatemi tantissimo se non ho ancora risposto alle vostre recensioni, lo farò il prima possibile. RIngrazio comunque di tutto cuore le persone che hanno speso parte del loro tempo per recensirmi! Grazie a tutti ^^
Ci sentiamo mercoledì prossimo con il prossimo capitolo! ^^
Un abbraccio
Emma

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** We are brothers! ***


WE ARE BROTHERS!

Rufy correva veloce, ridendo a crepapelle. – Muoviti, Ace! – strillò, saltando a piedi uniti una spada lasciata a terra.

– Fermati, Rufy! Quel cibo era mio, dai! – si lamentò l'altro, inseguendolo.

– Dovrai prendermi, se lo rivuoi indietro! Dai, io ho troppa fame! Per favore, Ace! – gridò di rimando Rufy, continuando a correre.

Il ragazzo sospirò: rincorrere Rufy era qualcosa di davvero innaturale. – Rufy, è meglio se ti fermi, sul serio! Da un momento all'altro potrebbe arrivare... – ma si interruppe bruscamente. All'ingresso dell'accampamento era appena apparso un uomo vestito di nero. Il ragazzo congelò sul posto: era già arrivato?

Anche Rufy sembrò accorgersene, perché mandò giù con foga tutto il cibo che aveva fra le mani e tornò di gran carriera al fianco dell'amico. – È...? – chiese, senza nemmeno finire di formulare la frase.

– Penso proprio di sì. – fu la secca risposta.

Stavano già per voltarsi con estrema calma per poi schizzare via, quando l'uomo vestito di nero si voltò. – Ehi, voi! – gridò.

Lanciandosi uno sguardo spaventato, i due ragazzi si incamminarono nella sua direzione. – Sì? – azzardò Rufy. – Dici a noi?

– Rufy, in quest'accampamento siamo in cinque! Con chi credi che stia parlando? – sospirò l'altro, alzando gli occhi al cielo.

– Ace, smettila di prendermi in giro! – si lamentò Rufy, salvo poi mettersi una mano sulla bocca. – Scusa, non dovevo...

– Fa lo stesso. – disse in fretta l'altro, lo sguardo fisso in quello dell'uomo. – Ora o dopo è uguale, tranquillo.

– E così tu saresti Ace. – disse l'uomo, squadrandolo dall'alto in basso.

– E io sono Rufy! – disse il bambino, saltellando su e giù per attirare l'attenzione.

L'uomo si voltò a guardarlo, corrucciato. – Il nipote di Garp?

Quello annuì. – Anche Ace è nipote di Garp. Il nonno è una brava persona, anche se picchia tantissimo e ride per cose che non capisco. E non vuole che si passi troppo tempo con lui. Però sa raccontare molto bene le storie dell'orrore, gli piace molto mangiare ed è davvero forte! – concluse con entusiasmo.

– Rufy! – lo rimbottò l'altro, dandogli una gomitata. – Mi scusi, mio fratello parla sempre troppo. Io sono Monkey D. Ace, come posso aiutarla?

Sostenne lo sguardo dell'uomo per quelle che parvero ore. Alla fine l'uomo si decise a parlare. – Ho sentito che ci sono altri tre ragazzi, qui all'accampamento. Posso vederli?

I due non batterono ciglio. – Allora, ci sono Kidd, Law e Sabo. Kidd e Law si stanno allenando a combattere, mentre Sabo è in infermeria perché si è ferito venendo qua. Il posto dove si combatte è più vicino, sta proprio là! Vieni, signore. – disse Rufy con allegria, precedendolo. – Ah, noi ci siamo già presentati, ma posso sapere chi sei tu?

– Vuoi sapere il mio nome? Io sono Sengoku, da Atene.

 

* * *

 

Per raggiungere l'arena non ci vollero più di due minuti. Kidd e Law combattevano completamente nascosti dall'armatura, ma dalla stazza era chiaro che si trattasse di loro. – Ehi, ragazzi! – gridò Rufy, sbracciandosi. – State andando benissimo, siete forti!

– Ace, Rufy... – salutò Kidd, prima di riprendere la lotta con ancora più furia.

– Si impegnano sempre tantissimo. – commentò Rufy, orgoglioso. – Prima lo facevano senza armatura, ma è così che Kidd si è guadagnato quella cicatrice sotto l'occhio e Law un osso spezzato. Quindi ora sembrano dei veri guerrieri, con l'elmo eccetera, fanno quasi spavento! Io diventerò ancora più forte di loro, sai?

Il signor Sengoku alzò le spalle, come a dire che quelle cose non gli interessavano. – E l'altro vostro amico, Sabo?

Il tono di voce di Rufy si fece più insicuro. – Signore, lui è ferito, non so se è il caso di...

– Esigo vederlo ora! Potrebbe trattarsi di... di un ragazzo che non dovrebbe essere qui. – si alterò Sengoku, ed entrambi i ragazzi fecero istintivamente un passo indietro. Emanava davvero un'aura di potere.

– M-ma cosa dice, signore? – chiese Rufy. – Sabo è uno Spartano.

– La sua famiglia serve questa città da generazioni. – diede man forte l'altro.

– Sì, ma potrebbe non essere lui. – ribatté l'uomo, voltandosi. – Conducetemi immediatamente nella vostra infermeria.

Rufy lanciò uno sguardo furtivo alle sue spalle, dopodiché si incamminò. – Cosa intende con “potrebbe non essere lui”? – chiese dopo un po', per spezzare il silenzio.come

– Mio figlio è... scappato di casa. – commentò lapidario l'uomo, anche se si capiva che non stava dicendo tutto. Altro che scappato di casa. pensò Rufy, arrabbiato. Ce l'hai cacciato tu, portandolo da Dadan! Anche se non sapeva bene perché.

– Ho il forte sospetto che si sia infiltrato qui. – proseguì Sengoku, senza nemmeno guardarli. – E tu, sì, tu che te ne stai zitto lì... Non sono sicuro che anche tu sia il vero nipote di Garp. Anche mio figlio si chiama Ace, non ti sembra una coincidenza un po' troppo evidente?

Il ragazzo si indignò. – Prego? Io sono il fratello di Rufy! E mi scusi, ma lei non dovrebbe almeno sapere com'è fatto suo figlio?

– Lo so, e infatti non ti somiglia per niente. Tanto per cominciare non è biondo, è moro. Poi sta sempre zitto e imbronciato, senza parlare con nessuno. Non saprebbe mai farsi degli amici e parlare come tu stai parlando con Rufy, qui a Sparta. È ateniese come me, sapete.

– Gli Ateniesi non sono in guerra con Sparta? – chiese Rufy con innocenza. Il suo compagno fece per tirargli un pugno in testa, ma Sengoku lo bloccò con un gesto della mano.

– No. – dichiarò, scuotendo categoricamente la testa. – Insomma, non ancora. – aggiunse poi, a bassa voce.

Camminarono ancora un po' in silenzio, e Rufy iniziò a sembrare agitato. – Mhhh... – mormorò, rallentando il passo.

– E adesso cosa c'è? – sospirò l'uomo, guardandolo storto.

– È che non mi ricordo bene da che parte bisogna andare. – confessò Rufy, arrossendo un po'.

Andò a finire che girarono mezzo accampamento, tra sospiri impazienti e minacce cruente. – Insomma, se non mi fate vedere all'istante in vostro amico Sabo, dovrò costringervi a farlo! – gridò Sengoku dopo quasi un quarto d'ora.

– È qui, è qui! È sicuramente qui! – assicurò Rufy, puntando verso un grande casolare. – Scusa, sai, questo posto è immenso e sono arrivato ieri sera... praticamente ho avuto solo ventiquattro ore per esplorarlo, e Ace continuava a dirmi stai calmo, non correre, vai ad allenarti... Lo sapevo! È proprio qui. Prego, entra, ma fai attenzione perché sta male. Forse dorme. Non parlare troppo forte, eh! Non disturbarlo per nessun motivo. Forse basta che te lo descrivo, che dici? Ha circa quindici anni, i capelli neri e la pelle abbronzata; poi ha un po' di barba nera sul mento, Ace dice sempre che è brutta ma a lui piace, e...

Sengoku sospirò pesantemente. – Sei davvero il nipote di tuo nonno, su questo non ci piove. Ora fammi vedere questo famoso Sabo.

Irruppe nella stanza solo per vedere un giaciglio occupato. Osservò con attenzione: il ragazzo che dormiva corrispondeva alla descrizione di Rufy, e sicuramente non si trattava di suo figlio Ace. Che Garp, Teach e tutti gli altri avessero detto il vero?

– Signore, dobbiamo uscire. – sussurrò Rufy, lanciando un'occhiata al ragazzo che dormiva e spingendo Sengoku fuori di lì. Questi si lasciò trascinare, riflettendo: forse era davvero troppo paranoico. Se ci avevano davvero pensato i lupi... meno problemi per Atene, no?

 

* * *

 

– Bene, è stato un piacere! – si sbracciò Rufy. – Se lo vedi, salutami il nonno! Ace, non saluti?

Il ragazzo si lasciò scappare un mezzo sorriso, alzando la mano in segno di saluto. – Arrivederci! – gridò.

Rimasero fermi finché il cavallo di Sengoku non sparì definitivamente all'orizzonte. Aspettarono qualche minuto per sicurezza, poi...

– Ce l'abbiamo fatta, Sabo! – gridò Rufy, saltando di gioia. – Siamo stati bravissimi!

Quello rise di gusto. – C'è cascato, da non crederci!

– Andiamo ad avvisare Ace e a ringraziare Kidd e Law. – ordinò Rufy, girandosi e prendendo a correre.

Sabo poté finalmente tirare un sospiro di sollievo. Il suo piano di per sé non era complicato: bastava fingersi Monkey D. Ace, dicendo di essere il fratello di Rufy. Sengoku doveva credere che esistevano due Ace, no? Interpretarne uno non era stato un lavoro tanto difficile. Meno male che avevano pensato anche all'eventualità che Sengoku potesse chiedere di vedere gli altri ragazzi! Come Rufy avesse convinto Kidd e Law restava ancora un mistero, ma in qualche modo ce l'avevano fatta. Certo, vedere Law interpretare le vesti di ragazzo ferito era stato quasi ridicolo... Ah, e che Rufy non fosse scoppiato a ridere in mezzo a tutto il processo era un vero miracolo!

– Ehi, Ace! Se n'è andato, tutto bene! – gridò Rufy, irrompendo nel dormitorio in cui Ace era rimasto per tutto il tempo.

Il ragazzo alzò la testa di scatto dal giaciglio. – Davvero? – chiese subito.

– Davvero. – rispose Sabo, sorridendo.

– E non ha sospettato niente?

– Niente. – affermò Rufy, sorridendo. – Sai? Sono felice che non sia davvero tuo padre. Ha una faccia antipaticissima. E poi diceva sempre “Esigo che mi portiate da lui! Lo esigo, lo esigo, lo esigo!” – allargò le braccia in una rozza imitazione di Sengoku che fece scappare a Sabo una risata. – Ma io dovevo fargli perdere un po' di tempo, se no Law non riusciva a togliersi l'armatura e mettersi le finte bende, quindi abbiamo girato l'accampamento per circa tre ore... O forse un po' di meno, però sembrava tantissimo tempo. E lui “Esigo andare da quel vostro Sabo!” Ne parlava come se fosse finto, però sapeva di sicuro i nostri nomi, perché sapeva che eravamo in cinque. Forse credeva che ci fossi tu travestito, in quell'infermeria! Però l'abbiamo convinto, e ormai non credo che tornerà indietro, sai?

Ace interruppe quel fiume di parole nella maniera più semplice: colpendolo in testa. – Piano, ehi... sicuri che se ne sia andato?

– Al cento per cento. – assicurò Sabo. – Ace, sta' tranquillo. L'ho capito anch'io che è forte, forse ancora più forte di quanto io possa immaginare, ma se l'è bevuta. Non può aver capito che era Law ad interpretare Sabo, non l'aveva ancora visto in faccia.

Ace si lasciò cadere sul letto, sospirando. – Non va bene. – borbottò.

– Che cosa, Ace? – chiese Rufy, che si massaggiava ancora la testa.

– Non va bene che abbiate dovuto fare tutto questo mentre io me ne stavo chiuso qui! Persino Kidd e Law hanno dovuto aiutarmi, e io cos'ho fatto? – si lamentò Ace.

Era una sensazione orribile. Sentirsi così in debito verso qualcuno... non gli era mai capitato, mai, in tutta la sua vita. A parte... beh, a parte quella volta, ecco.

 

Se non fosse stato per me a quest'ora gli Ateniesi ti avrebbero già ucciso!

 

Una ragione in più per odiare Sengoku.

Insomma, Ace detestava dovere qualcosa agli altri, anche se si trattava di Rufy e Sabo, peggio ancora poi se si stava parlando di Kidd e Law!

– Ace... – il volto di Rufy svettava sopra di lui, sorridente come non mai. – Guarda che non ti devi preoccupare. A me è piaciuto tantissimo aiutarti!

Forse fu quel sorriso. Forse fu quella strana sensazione nel petto, una specie di calore misto a voglia di piangere che lui non aveva mai sentito prima di incontrare Rufy e Sabo. Forse sentì che era semplicemente ora che succedesse. Quindi lo disse. – Ragazzi, lo sapete? – si alzò a sedere, sfoderando il suo ghigno migliore. – Ho sentito dire che se si beve dalla stessa tazza... si diventa fratelli. – la sera precedente aveva rubato del sakè dalle cucine, e decise che era il momento di tirarlo fuori.

Gli occhi di Rufy divennero luccicanti dall'entusiasmo. – Intendi... per davvero? Anche con Sabo? – a breve sarebbe probabilmente esploso dalle felicità.

– Esatto. Tutti e tre insieme. – dichiarò Ace, sorridendo smagliante.

Sabo sembrava a corto di parole. – I-intendi...

– Facciamolo, facciamolo subito! – gridò Rufy, afferrando la sua tazza e riempiendola fino all'orlo.

– Bene. – disse Ace, riempiendo anche le altre. – Allora è deciso. Siete sicuri, voi?

– Certo! – gridarono Sabo e Rufy.

– Non si può più tornare indietro, eh. Quando si è fratelli, lo si è per sempre. – li avvisò ancora Ace, sorridendo.

– Io non vorrei tornare indietro mai e poi mai, nemmeno se... nemmeno se in cambio mi dessero del cibo, o se mi minacciassero con la spada! – affermò Rufy, serio.

– Io mi preoccuperei di più per la prima... tu, Sabo? – chiese Ace, un mezzo sorriso stampato in volto.

Lui si limitò a sorridere. – Sono sicuro. – disse, stringendo la sua tazza.

– Allora... non importa dove siamo nati o da chi. Non importa quanta strada ci dividerà in futuro, quali cammini prenderanno le nostre vite. In quanto fratelli, il nostro legame sarà per sempre indissolubile! – alzò le tazze, e i due lo imitarono. – Da questo momento in poi... – gridò Ace, euforico. – Noi siamo fratelli!

– Sì!

 

* * *

 

Erano almeno dieci minuti che Garp con interesse quasi maniacale il dispaccio che gli era appena arrivato. Recava la firma di Sengoku, e ormai il vecchio poteva dire di saperla a memoria.

Alla fine scoppiò a ridere, facendo sobbalzare i ragazzi che aveva di fianco a lui. – V-va tutto bene, signor Garp? – balbettò un giovane dai curiosi capelli rosa.

– E come no? Ahahahahah! – rise il vecchio, asciugandosi una lacrima agli angoli degli occhi. – Gliel'hanno fatta, eh? Presto, sellate i cavalli! – gridò poi, balzando in piedi. – Vado a fare visita ai miei cari nipotini. – sogghignò.

 










Angolo autrice:
Eccomi qua, puntuale come sempre!
Che ve ne pare del capitolo? Sabo le pensa proprio tutte, eh... Ma la vera domanda è: come ha fatto Rufy a convincere Kidd e Law ad aiutarli?
Inoltre... il famoso patrigno era Sengoku, chi di voi c'era arrivato? Ero molto tentata di mettere Akainu, ma alla fine ho optato per Sengoku. Ci voleva un legame anche con Garp, no? Inoltre avrà un ruolo interessante in seguito. Certo che, immaginarsi una Sengoku/Rouge... Brrrr.
Grazie di cuore a tutti voi che continuate a seguirmi, siete stupendi!
A presto, un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** La Profezia ***


LA PROFEZIA

 

Kidd non era mai stato un tipo molto paziente.

Se qualcuno fosse stato così pazzo da chiedergli un favore, era necessario che lo ricompensasse prima ancora di avanzare una qualsivoglia proposta, questo era risaputo. Ecco perché, quando Rufy era spuntato fuori chiedendo a lui e a Law di aiutarlo nel suo folle piano da quattro soldi, aveva seriamente rischiato di spezzargli l'osso del collo. Insomma, come si permetteva? Kidd doveva ammettere che quel moccioso ne aveva, di fegato.

– Eddai, non dovrete fare niente di complicato! – aveva sbuffato Rufy, incrociando le braccia. – Soprattutto tu, Kiddo!

Bofonchiando un “è Kidd”, il ragazzo gli si piazzò davanti in tutta la sua stazza. – Perché mai dovrei aiutarti, microbo? – sputò, mettendo su il cipiglio più spaventoso del suo repertorio.

– Perché siamo amici! – sorrise il bambino, per nulla impressionato. – Giusto, Torao?

Kidd era sull'orlo di un esaurimento nervoso. Inaspettatamente, Law scoppiò a ridere. – Ci sa fare, il piccoletto! – commentò, sorridendo. – D'accordo, io ci sto.

Eh? Stai scherzando, io... – iniziò Kidd, rosso in viso. Possibile che quel moscerino fosse riuscito a fondergli il cervello?

– A patto che, – lo interruppe Law, sollevando un dito, – tu ci spieghi chiaro e tondo perché questo famoso Ateniese ci tiene tanto a portare via Ace. Non è forse tuo fratello?

Rufy iniziò a muovere un piede sul pavimento, le mani nascoste dietro la schiena e l'espressione colpevole. – È... un segreto... – borbottò, senza guardarli.

– Ah, sì? – domandò Kidd, ghignando. – Se non ce lo dici non ti aiuterò mai, sono stato chiaro? Anzi, appena arriverà quel tizio gli spiattellerò tutta la verità!

Rufy spalancò gli occhi. – No! – gridò, terrorizzato. – Ok, ve lo dico, però voi promettete che mi aiutate?

Law annuì per tutti e due. – Andata. Adesso parla.

Rufy prese un profondo respiro. – Un anno fa, quando mio padre è partito per la guerra... – iniziò, lo sguardo perso.

– Stringi! Che me ne importa? – sbuffò Kidd, impaziente.

– E lascialo parlare! Eustass-ya, un po' di pazienza non guasta, sai? – lo stuzzicò Law, incrociando le braccia.

Rufy gonfiò le guance, offeso. – Se non lo volete sapere ok, non ve lo dico!

Kidd alzò gli occhi al cielo. – Che fatica... parla, moccioso, forza.

– No. Ormai non racconto più. – si impuntò Rufy, capriccioso.

Law allargò le braccia, fissando Kidd con aria stizzita. – Visto? L'hai fatto arrabbiare. Complimenti.

Andò a finire che, mezz'ora dopo, Rufy stava ancora raccontando. – … quindi non è che non sia mio fratello, cioè, non abbiamo gli stessi genitori, ma se io dico che è mio fratello e non la sento come una bugia, allora non è una bugia, no? – concluse, fissandoli preoccupato.

Law annuì, concentrato. – È una questione di punti di vista, sì. Ma non ho ancora capito una cosa...

– Che ci faceva Ace sulle montagne? – concluse Kidd, pratico. – Se davvero era ateniese, che motivo avevano i suoi stessi concittadini di sbatterlo quaggiù?

Rufy si grattò la testa, confuso. – Questo Ace non me l'ha mai detto, però... io penso di saperlo. Insomma, non si sarebbe arrabbiato tanto, quella volta, se non fosse stata una cosa importante. Il fatto è che...

 

* * *

 

Gli hai recitato la profezia?

Ace non era il tipo di ragazzo che si metteva a rincorrerti fin fuori dalla casa, gridando come un forsennato e brandendo una mazza ferrata come se avesse seriamente tutte le intenzioni di usarla.

Ma quando lo faceva, oh, era davvero spaventoso.

– Non avevo scelta! – gli gridò Rufy, che scappava a gambe levate. – Altrimenti non ci aiutavano, e dicevano tutto al signor Sengoku! – si arrampicò in cima ad una roccia poco lontano dal dormitorio, cercando di difendere la posizione meglio che poteva.

Potevi – scandì Ace, lanciandogli un sasso – Inventarti – un altro sasso – Una scusa – un altro sasso – Migliore! – con un ringhio lanciò la mazza ferrata che aveva in mano addosso a Rufy, che per evitarla fu costretto a scendere dalla roccia e a rimettersi a correre.

– Scusa, sai! Intanto siamo riusciti a mandare via il signor Sengoku, grazie per la riconoscenza! – sbottò il bambino, gemendo dopo il sasso che Ace gli aveva lanciato in testa.

Cominciò a girare attorno ad un tavolo, con Ace alle calcagna. – Ma ora loro... Rufy, mi spieghi come faccio a guardarli ancora? Sanno della profezia! – gridò Ace, rosso in viso. – Era un segreto!

Rufy gonfiò le guance, arrabbiato. – Ma se erano tutti eccitati! Siamo Spartani, Ace! È chiaro che siamo contenti di averti qui, no?

Ace non rispose, rimasto interdetto per un attimo. Effettivamente, da quel punto di vista... – E poi, – proseguì Rufy, ostinato, – tu non mi hai mai detto “Rufy, non lo dire a nessuno, ma io sono il ragazzo della profezia”. Non me l'hai mai detto!

Ace si bloccò di colpo, tanto che Rufy, che stava ancora correndo intorno al tavolo, gli finì addosso e crollò a terra. – A-Ace? – balbettò, confuso.

– Io... non te l'avevo detto, è vero... – mormorò il ragazzo, lo sguardo fisso davanti a sé.

Rufy si rialzò in piedi, sbuffando. – No. Non mi hai detto niente.

– E-eppure tu sapevi... come hai fatto a sapere che ero io? – domandò, incerto.

Rufy alzò le spalle. – Sei Ateniese... e poi ti dava fastidio che ripetessi la profezia. Sono intelligente, io, sai? – gonfiò le guance, offeso.

– E... e ti sta bene? – domandò Ace ancora più piano.

Rufy inclinò il capo. – Perché no?

Ace non era il tipo da pianti, abbracci e sdolcinatezze simili. Ma quel giorno, oh, quel giorno ci andò davvero vicino.

 

* * *

 

Spiegare la faccenda a Sabo fu meno complicato del previsto. Insomma, ormai erano fratelli: potevano dirsi tutto, no?

– Ma quanto sarà poi terribile questa profezia? – domandò Sabo, sdraiato a pancia in su sul pavimento.

Rufy si agitò sulla sedia. – Posso dirla, Ace? Non è che poi ti arrabbi, vero?

Il ragazzo esitò un solo istante prima di scuotere velocemente la testa. Va tutto bene, Rufy ha accettato la cosa senza nessun problema, si ripeteva. Era strano, davvero. Si sentiva così leggero che credeva di sognare. Aveva passato tutta la vita a tormentarsi per quella profezia, a chiedersi se, in fondo, non sarebbe stato meglio non essere mai nato. La sua completa esistenza era considerata uno sbaglio, un errore. Aveva vissuto così per dieci anni, e poi... poi arrivava quel bambino assurdo e completamente fuori di testa a rivoluzionargli la vita. Arrivava, e con un sorriso e due frasi in croce riusciva a fargli dimenticare l'ansia di non essere voluto, di essere un errore, un mostro.

Era giusto che adesso sapesse tutto anche Sabo, perché con lui il quadro si completava, e la sua nuova vita poteva iniziare.

– Ok, Sabo, fa più o meno così. – esordì Rufy. Prese un bel respiro e iniziò a recitare, concentrato.

 

Sventura e disonore sulla casa di Atene

Tremate e temete il nemico che viene

I nostri figli in catene, distrutti gli auspici,

La nostra città cadrà in mano ai nemici

Ma nascosto è l'orrore, serpente l'inganno

Dalle nostre case verrà il maggior danno

Tradisce il fanciullo, combatte la sua gente

Una furia feroce come fuoco incandescente

Sotto oscuri presagi nasce in inverno

E già si sporca le mani di sangue materno

Una vita si spegne, nell'incendio che viene

Tremate, il fanciullo nascerà qui ad Atene

 

Sì, Ace ne era convinto: sentirla recitata da Rufy era tre volte più inquietante del normale.

Il bambino fece saettare lo sguardo da Ace a Sabo, prudente. – Come sono andato? L'ho recitata bene? Alcune cose non so cosa significhino, come “auspici” o “oscuri presagi”. Però Torao ha detto che non si mangiano, peccato. Non... non suona male, vero?

Sabo sbatté un paio di volte le palpebre, colpito. – Insomma, Ace, quanto ancora pensavi di tenercelo nascosto? È geniale! – affermò sorridente, balzando in piedi.

– Tu dici? – chiese Ace sollevando un sopracciglio, scettico.

– Ma certo! Tu sei il prescelto, Ace, il ragazzo che sconfiggerà Atene e i suoi abitanti! – è impossibile descrivere come lo sguardo eccitato di Sabo facesse bene a Ace. – Lo sai che Sparta e Atene sono in guerra? Cioè, non ancora, ma ormai è praticamente certo. Piuttosto... come hanno fatto a capire che eri tu? – domandò, curioso.

Ace sospirò. – Sono nato in Inverno. – cominciò con ovvietà. – Poi, beh, mia madre... è morta mentre nascevo. Il verso del sangue materno, quello... Insomma, è andata così. Ma erano sicuri che fossi io per via di certi auspici... Insomma, ad Atene quando nasci consultano gli dei per cercare di scoprire qualcosa sul tuo futuro. Gli auspici alla mia nascita dicevano solo... – prese un respiro profondo. – Morte. – concluse, piano.

Rufy si stiracchiò. – Basta che non muori tu. – commentò, serafico. – O Sabo.

Questo ridacchiò, avvicinandosi a Ace e guardandolo fisso. – Tu non ti preoccupare. Sei a Sparta, adesso: qua altro che mostro, sarai un eroe! – sorrise, eccitato.

Ace sospirò piano, l'ombra di un sorriso sul volto. Per la prima volta da circa undici anni, si sentiva veramente in pace.

 

* * *

 

– Fatemi passare! Ma quale permesso? Che è, non mi riconosci? Io sono il famoso Garp, non dirmi che non hai mai sentito parlare di me! Ecco, bravo, adesso ti sposti. Ace, Rufy! Dove siete?

Poco lontano, impegnati in un allenamento, Ace e Rufy avvertirono una brutta sensazione su per la spina dorsale.

– Sei morto! – lo informò Ace annoiato, disarmandolo e puntandogli la lama alla gola.

Rufy ruzzolò a terra, poi alzò le spalle, sorridendo. – La prossima volta ti batto. – affermò, risoluto, rialzandosi. – Però mi fai vedere di nuovo come hai fatto, più piano?
Ace alzò gli occhi al cielo. – Rufy, è la stessa mossa che ti facevano vedere Kidd e Law l'altro ieri!

– Scusa, sai, l'hai fatta troppo in fretta! Guarda che ieri ho disarmato Kidd ben due volte!

– Sì, in tutto il pomeriggio! Quante volte ti avrà mai disarmato lui?

– Beh, non importa, perché io ho sei anni in meno, sai?

Ormai si trovavano all'accampamento Nord da quasi cinque giorni, e buona parte dei loro compagni era già arrivata. Tutti, ovviamente, non avevano mancato di fargli i complimenti per essere arrivati tra i primi cinque nonostante la loro giovane età. Ma l'unico che Ace avrebbe davvero voluto vedere non si era fatto vivo. Oh, quanto ci metteva quel Teach a saltare fuori? Ace gli avrebbe dato una lezione che non si sarebbe scordato tanto facilmente: la cicatrice sul fianco di Rufy si vedeva ancora.

– Piuttosto... – commentò, raccogliendo la spada di Rufy e passandogliela con fare rassegnato. – Non hai anche tu una strana sensazione?

Rufy inclinò il capo. – Tipo che faremmo meglio a correre? – tentò.

– Una cosa del genere... – rabbrividirono simultaneamente. – Rufy, non hai sentito niente?

– Come... una voce che ci chiama?

I due si scambiarono una fugace occhiata terrorizzata, ma prima che potessero mettersi a correre si sentirono chiamare dall'altro lato dell'arena in cui si stavano allenando. – Eccoli là, i miei cari nipotini! – ruggì una voce che entrambi conoscevano fin troppo bene. Tempo due secondi, e si trovarono sbattuti a terra con una spada alla gola. – Più riflessi, più riflessi! – gridò Garp, sbuffando. – Siete lenti, ragazzi!

– Ciao, nonno... – mugugnò Rufy, alzandosi e sbattendo via la polvere dai vestiti.

– Tu che fai, non saluti? – chiese Garp a Ace, alzando e abbassando la spada sulla sua gola.

Il ragazzo sbuffò, alzando gli occhi al cielo. – Che ci fai qui? – ringhiò invece.

– Ma come! Sono venuto a vedere come stavano i miei nipotini! Fra i primi cinque, mi hanno detto. Beh, perché non siete arrivati primi? – domandò, esigente.

– Ma uffa, nonno! – si lamentò Rufy. – Era la prima volta che ci provavamo, sai!

Garp gli tirò un possente pugno in testa. – Queste sono scuse. – stabilì, categorico. – Voglio che vi impegnate molto di più. – e si preparò a colpirlo di nuovo.

– Smettila di picchiarlo! – lo aggredì Ace, posizionandosi davanti al fratellino con le braccia spalancate. Garp scoppiò a ridere.

– Ace! Rufy! Tutto bene? – Sabo li raggiunse di corsa, squadrando il vecchio Garp con sospetto.

Rufy sorrise, rialzandosi da terra con allegria. – Sabo, ti presento il nonno Garp! Nonno, lui è Sabo, nostro fratello.

– Fratello? Un altro? Non ti bastava la piccola messinscena di te e Ace? – ghignò il vecchio, ilare.

Ace avrebbe tanto voluto picchiarlo, davvero. Non che non ci avesse mai provato, in passato, però... magari quella sarebbe stata la volta buona, chi poteva dirlo?

Rufy arricciò il labbro. – Non è una messinscena! Io, Ace e Sabo abbiamo bevuto insieme, quindi ora siamo fratelli a tutti gli effetti! E tu non puoi farci proprio niente! – concluse, sporgendo il mento con aria di sfida.

Perché glielo sta dicendo?, gemettero interiormente Ace e Sabo. – Non è il caso di parlarne qui. – decise Ace, lanciando occhiate preoccupate in giro. – Nonno, che sei venuto a fare qui?

Garp sbuffò, e i quattro si allontanarono leggermente dall'arena fino a raggiungere il retro del dormitorio. Il vecchio controllò che nessuno li stesse ascoltando, poi esordì.

– Ho ricevuto un dispaccio dal vecchio Sengoku. – disse, sedendosi su un gradino. I tre ragazzi deglutirono, spaventati.

– E..? – lo imboccò Ace, dal momento che Garp sembrava intenzionato a mantenere la suspance a tempo indeterminato.

Il vecchio sospirò. – Non era ancora convinto, ovviamente, ma ha detto che doveva rientrare ad Atene per degli affari da sbrigare. Dice di essere sicuro che tu, caro il mio piccolo infiltrato, ti nasconda tra le nostre file. – dichiarò, puntando il dito contro Ace. Il ragazzo indietreggiò, preoccupato.

– M-ma... allora cosa devo fare? – domandò, confuso. Doveva andarsene, scappare prima che Sengoku bussasse alla loro porta con un battaglione al seguito?

– Cosa devi fare? – Garp scoppiò a ridere. – Niente, ragazzo! Sebbene non l'abbiate convinto, siete riusciti in una grande impresa: impedirgli di portarti via. Non ti ha visto, quando è venutoa farvi visita, e non ha potuto portarti via con qualche scusa. Tieni presente che Sengoku non può mobilitare l'esercito ateniese, perché significherebbe ammettere che tu sei ancora vivo. – spiegò Garp, pratico. – Quello che voleva era evitare che tu combattessi nell'esercito Spartano, tutto qua. Dovevi vivere nell'ombra, sulle montagne, ecco. Ha paura che combatterai contro la tua gente.

Rufy sbuffò. – Se non volevano che combattesse contro di loro, bastava non mandarlo via! – commentò, logico.

Garp parve riflettere su quelle parole per qualche istante, poi ghignò, scompigliandogli i capelli. – Sei davvero mio nipote! – commentò, allegro. – Tu sì che sai come evitare i conflitti. Certo, se la profezia non fosse mai stata pronunciata non si sarebbe avverata. Ma, vedi, Sengoku e tutti gli Ateniesi hanno avuto paura. E per questo hanno già perso! – tuonò. – Noi Spartani... non ascoltiamo le profezie, quando sono negative. Prendi il grande Leonidas, nostro re. Gli auspici dicevano... insomma, non che gli sia andata poi bene, ma quel che conta è che si sia opposto al Fato, ecco la verità! – scoppiò a ridere. – Ero ancora giovane, ai tempi... Ah, Leonidas, lui si che era un grand'uomo. Partì... Ma la storia la sapete, non c'è bisogno che ve la racconti...

– Ai tempi però eravamo alleati con Atene, giusto? – chiese prudentemente Sabo.

– Qui vi volevo! – tuonò Garp, soddisfatto. – Esatto. Contro la minaccia dei Persiani, ci alleammo con Atene. Ai tempi strinsi amicizia con Sengoku, lottammo fianco a fianco. Figuratevi che per un certo periodo, da bambini, avevamo vissuto insieme... sì, sulle stesse montagne in cui sei cresciuto tu, Ace. Quando sei stato dichiarato il bambino della profezia, Sengoku ha pensato di portarti da me nella speranza che Atene e Sparta rimanessero alleate. – dichiarò, serio. – Ma ormai le cose sono cambiate. La Grecia è troppo piccola per due potenze del nostro calibro! Ma sono gli Ateniesi a volere la guerra. – concluse, funereo. – Se la stanno proprio tirando addosso.

Rufy si grattò la testa. – In che senso?

Garp sbuffò. – Ma cosa te lo dico a fare, non capiresti... Insomma, in giro per la Grecia ci sono alcune città che godevano della nostra protezione. Corcira, ad esempio, o Megara. A Corcira, gli Ateniesi hanno appoggiato una ribellione contro la nostra supremazia. È come dichiarare guerra a noi! E a Megara hanno posto l'embargo. – affermò, drammatico. Davanti alle facce stranite dei ragazzi, però, si precipitò a spiegare. – Intendo che... impediscono a tutti di commerciare con Megara. La sua economia è in frantumi. È un affronto, capite? Ma il peggio è che... hanno assaltato una nostra città. L'hanno invasa con tanto di esercito e cavalleria! E questo perché? Perché si era rifiutata di pagare tasse esagerate. L'assedio di Potidea, l'hanno chiamato. Insomma, se Sparta non reagisse ora, che figura ci faremmo? Ditemelo! – concluse il vecchio, incrociando le braccia.

Ace non era sicuro di aver capito tutto (embargo suonava ancora una parola misteriosa, ai suoi occhi), ma una cosa gli era chiara: se Atene e Sparta avessero mosso guerra l'una contro l'altro... Non aveva dubbi sulla fazione per cui combattere.

– Bene, ero passato giusto per salutarvi. – sospirò Garp, alzandosi in piedi. – È stata una bella chiacchierata, davvero. Mi raccomando, però, siate prudenti! Io cercherò di convincere Sengoku meglio che potrò, ma non posso impedirgli di irrompere da queste parti, se gliene venisse voglia. Insomma, se Sparta e Atene dovessero combattersi sul serio lui sarebbe impossibilitato ad entrare nel nostro territorio, però... non si può mai dire, ecco. Statemi bene! Rufy, vedi di diventare più forte, sei una vera schiappa. Tu, biondino, Sta' attento che non combinino troppi guai. E tu, piccolo Ateniese rinnegato, niente colpi di testa, sono stato chiaro?

I tre annuirono. – Staremo attenti. – promise Ace. – E, vecchio, attento a come parli. – aggiunse, incrociando le braccia.

– In che senso, scusa? – si voltò Garp, che stava per andarsene.

Ace ghignò, fissandolo negli occhi.– Io sono Spartano. – dichiarò, senza esitazioni.

 







Angolo autrice:
Ok, oggi sto pubblicando nel pomeriggio, qualcuno mi faccia una statua.
Ed ecco che la grande profezia è stata svelata! Che ve ne pare? Ovviamente il "sangue materno" di cui si parla è la morte di Rouge. La vita che si spegne nell'incendio... chissà?
Un'altra cosa: quando Garp spiega le motivazioni della guerra, lo fa come si spiegano le cose ai bambini. In realtà quelli erano più che altro dei pretesti, Sparta e Atene non vedevano l'ora di scannarsi a vicenda. E poi, insomma, Corcira (la prima città nominata da Garp, oggi credo sia Corfu) e Megara (l'altra, non ho idea di dove sia) erano sotto la sfera di Corinto, che era alleata di Sparta. Capirete che, se Sparta avesse voluto, avrebbe comunque potuto chiudere un occhio, ecco. Ma era propaganda, capite? Gli Ateniesi hanno fatto questo, questo e quest'altro, è un affronto e bla bla bla. Poi Garp, diciamo che per natura è uno a cui piace semplificare le cose.
Quindi niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto! ^^ A presto!
Un bacione
Emma

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Di arrivi, combattimenti e guerre all'orizzonte ***






– Ace! Ace!

Rufy correva affannato attraverso tutto l'accampamento. Ormai l'atmosfera si solitudine e di abbandono del posto era completamente sparita: in quegli ultimi giorni erano arrivati tutti, mancavano giusto un paio bambini circa dell'età di Rufy: si parlava di organizzare una missione di recupero o qualcosa del genere.

– Ace! Oh, ti ho trovato! – ansimò Rufy, raggiungendo il luogo in cui il fratello si stava allenando con le spade.

– Che succede? – sospirò quello, soppesando un'arma con sguardo critico. – Niente da fare, neanche questa va bene. – mormorò poi, quasi a se stesso.

Sinceramente, lui preferiva quando l'accampamento era semideserto. Solo lui, Sabo, Rufy, e al massimo qualche altra persona come Kidd e Law, che si facevano gli affari loro ma erano sempre disponibili se si trattava di allenarsi senza esclusione di colpi.

– È arrivato! – gridò Rufy, interrompendo i suoi pensieri. – È arrivato ieri sera, ma noi non l'abbiamo visto perché ha fatto il giro lungo, come quei tipi che l'altro giorno hanno fatto prendere uno spavento a Kidd. Però oggi c'era: è a pranzo, l'ho appena visto! – spiegò velocemente, senza quasi prendere fiato. – Non sapevo bene cosa fare, cioè, magari non era il caso di andargli addosso in mezzo a tutti, e poi è arrivato tra gli ultimi, non credo che fosse già tanto contento di suo, insomma... Non ho assolutamente avuto paura, eh, sia chiaro: volevo solo avvisarti che era arrivato prima di fare qualcosa, perché...

Ace strabuzzò gli occhi. – Frena, frena! È arrivato davvero? Teach? – domandò, la voce ardente dall'impazienza. Era una settimana e mezza che aspettava. E ogni notte passava ore ed ore ad immaginarsi cosa avrebbe fatto una volta messe la mani su quel bastardo.

Rufy annuì con forza. – Sì, era lui. Non credo mi abbia visto, ma sa di sicuro che siamo qui. E... – si passò istintivamente una mano là dove era ancora visibile la ferita che Teach gli aveva inferto. – E non ho avuto paura. – ribadì, la voce fioca ma densa di convinzione.

Ace sospirò, permettendo ad un sorriso rassegnato di fare capolino dalle sue labbra. Possibile che Rufy fosse così... non riusciva nemmeno a trovare una parola per definirlo. – Ok, ci credo, tranquillo. – disse, riappoggiando la spada che aveva in mano e dirigendosi a passo spedito verso la mensa.

– Ace, ma aspetta! – si lamentò Rufy, correndogli dietro. – Dobbiamo avvisare anche Sabo! Siamo fratelli, ricordi? – Il tono con cui pronunciò quell'ultima frase era esattamente lo stesso che avrebbe usato Ace.

– … Hai ragione. – affermò dopo una manciata di secondi, e deviarono alla ricerca di Sabo.

 

* * *

 

Ora basta! Adesso la smettiamo.

– Ace, non essere impaziente!

– Non è una questione di impazienza: se Sabo non c'è, andiamo solo noi!

– Ma cerchiamolo, no?

– È un'ora che lo cerchiamo!

– Adesso esageri, saranno...

– Esagero un corno! Sto morendo dall'impazienza.

– Ma avevi detto che saresti andato da lui con Sabo...

– Beh, doveva farsi vedere prima. Io adesso vado a cercare Teach, e mi occuperò di lui da solo!

– Non devi picchiarlo troppo forte, però, capito? Se no poi ti puniscono.

– Io lo picchio come mi pare e piace, stanne certo.

– Non dico che non devi farlo, solo... sta' attento. In fondo è uno Spartano, no?

– Beh, significa che stenderò uno Spartano.

– Dovrei essere io a picchiarlo, non tu! In fondo a te cosa ha fatto?

Ace abbassò lo sguardo verso Rufy, incredulo. Il bambino sembrava triste, quasi abbattuto. In fondo, si era fatto ferire. Sentiva l'orgoglio scalpitare al pensiero che un'altra persona, foss'anche Ace, avrebbe vendicato un torto fatto a lui.

Ace scosse la testa e piantò i piedi a terra, fissandolo negli occhi. – Cosa mi ha fatto? Ha ferito mio fratello, Rufy. – disse serio, scandendo bene le parole. – Ha fatto più male a me che a te.

Rufy aprì leggermente la bocca, troppo confuso e felice per poter parlare. – Ace, io...

– Zhehahahahaha! Ma chi ti credi di essere, sgorbio?

Ace e Rufy si immobilizzarono: davanti a loro era apparso Marshall D. Teach in persona.

Lo sguardo di Ace si fece improvvisamente cupo. – Com'è andato il viaggio? Ce la siamo presa comoda, vedo. Non eri tu quello che sarebbe arrivato primo? – chiese, beffardo.

Teach si incupì, e Ace capì di aver toccato un nervo scoperto. – Quello che ho fatto non è affar tuo, Monkey D. Ace. – ribatté, calcando bene sul cognome del ragazzo. Ace rabbrividì interiormente. – Vorresti darmi una lezione, quindi? Sai che è vietato combattere tra di noi fuori dagli orari. – ghignò, come se sapesse qualcosa che Ace invece ignorava.

Rufy prese la parola, avanzando di un passo. – Perché mi hai colpito nel bosco, allora? – domandò, le mani sui fianchi. – Anche quello era vietato! – si stava sforzando di mostrarsi coraggioso, dovette ammettere Ace. Per quanto fosse piccolo in confronto a Teach, per quanto fosse già stato ferito una volta, per quanto non avesse una minima possibilità di batterlo, non arretrava. Non tremava. Non abbassava neanche lo sguardo.

Ace ci mise qualche secondo a ricordare che faceva così perché era stupido.

– Mio fratello ha ragione. – disse, serio. – Avresti dovuto immaginare a cosa andavi incontro attaccando lui. Rufy, tu va' da Sabo. Qui me ne occupo io. – ordinò, senza staccare gli occhi dal volto di Teach.

– No, ehi, io non... – iniziò subito a protestare il bambino, ma Ace lo fulminò con un singolo sguardo. – Ora, Rufy. – disse, perentorio.

Il bambino esitò qualche istante prima di annuire piano. – Vado a cercare Sabo e torno. – assicurò, prima di lanciare un'occhiataccia a Teach e di allontanarsi.

Ace sospirò. – Meglio che non sia nei paraggi. Non gli piacerebbe quello che sto per farti. – lo avvisò, lo sguardo truce.

Teach scoppiò a ridere. – Non ti sembra di esagerare, marmocchio? Sei così melodrammatico... Ho attaccato tuo fratello, sì: e allora? Se hai incontrato il signor Sengoku avrai capito perché. C'era la possibilità che tu fossi Ateniese o cose del genere! Ho fatto ciò che mi è stato ordinato, tutto qua. Cosa vorresti fare, ora? Sfidarmi? Combattere con la spada all'ultimo sangue per una cosa del genere? Andiamo, sei ancora troppo giovane per simili idiozie. – Teach scosse la testa, ghignando. – Su, vattene via, e per stavolta chiuderò un occhio sulla tua insolenza.

Il pugno di Ace ci mise una frazione di secondo a raggiungere la mascella del ragazzo, che cadde a terra tenendosi la parte ferita. – Oh, adesso sì che sei nei guai, ragazzino. – soffiò, l'ombra di ogni divertimento scomparsa dal suo volto. – Aspetta di avere una spada in mano e vedrai, vedrai cosa ti succede.

Ace non aspettava altro, davvero. – Se ora non combattessi contro di te sarei un vigliacco. – sputò, serio. – Tu hai ferito Rufy, capisci? Potevi usare mille altri metodi per estorcergli la verità. Lo hai quasi ucciso e poi l'hai abbandonato, e questo non te lo posso perdonare. Perché, per quanto stupido e fastidioso, lui è mio fratello. – che gli voleva bene non lo diceva, però. A tutto c'era un limite.

Teach fece passare un dito sulla lama affilata della spada che portava al fianco, lo sguardo feroce. – Bene. Io ti avevo avvisato... Non venire a piangere da me, quando questa storia sarà finita. – sibilò, quasi parlando a se stesso.

Ace sfoderò la sua spada, che brillò per un istante riflettendo la luce del sole. Era pronto.

Stavano per incrociare le spade e dare inizio a quella che sarebbe stata una battaglia lunga, faticosa ed emozionante, quando una voce li interruppe. – Ace! Ace, fermati!

Il ragazzo si voltò, confuso, e fece qualche passo indietro. – Sabo? Che c'è?

Il ragazzo arrivò trafelato, seguito di corsa da Rufy. – Non combattete. – ordinò, mettendosi in mezzo. – È... è vietato, no? – Non convinceva nessuno, decisamente. – Oh, Ace, vieni via e basta. – ordinò con urgenza.

C'era qualcosa nel suo tono che fece presagire a Ace qualcosa di grosso. – Sai, Sabo, non è nel mio stile interrompere una battaglia. – sussurrò, senza staccare lo sguardo da Teach.

– Il ragazzo mi ha colpito. – dichiarò quello, serio. – Non sarei uno Spartano se non mi rifacessi su di lui.

Sabo e Rufy impallidirono. – Ti ha colpito... Con la spada? – chiese Rufy piano, esitando.

Ace sbuffò. – No, è stato solo un pugno, ma adesso... – si interruppe quando Sabo gli sferrò un poderoso quanto inaspettato pugno alla mascella.

– Ora siete pari. – affermò il ragazzo, categorico. Ace era ancora a terra, cercando di capirci qualcosa. – Noi ce ne andiamo.

Prima che Ace potesse proferire parola, Rufy e Sabo lo avevano già trascinato via. Gli ci volle qualche istante di stupore prima di riuscire a liberarsi dalla loro stretta e di impuntarsi. – Mi spiegate cosa diavolo succede qui? – gridò, esasperato. C'era dell'assurdo in quello che era appena successo: perché non avrebbe dovuto battersi con Teach?

Sabo lo spinse dentro l'edificio alle loro spalle (probabilmente la mensa), e lanciò una prudente occhiata all'esterno per assicurarsi che Teach non li avesse visti entrare. Sospirò di sollievo. – Menomale...

Cos'è successo? – esplose Ace, infuriato.

Rufy lo guardò fisso negli occhi, preoccupato. – Non devi gridare, sai? Se Teach ci sente verrà qui e dirà: “Continuiamo la nostra sfida!” Tu dirai: “Non mi tirerò certo indietro, bastardo!” E inizierete a lottare, e tu lo ferirai - lui vuole che tu lo ferisca, capisci - e poi dovrai andartene via! – concluse, un luccichio disperato negli occhi.

Ace rimase un attimo senza parole, poi sospirò. – Sabo? – chiese, nella speranza di una spiegazione più dettagliata.

– È come ha detto Rufy: Teach... Quello che ha fatto, lo ha fatto per conto di Sengoku. Quell'uomo ha parlato con i nostri superiori, ha detto loro cosa aveva intenzione di fare con Teach e loro... hanno acconsentito. – Ace spalancò la bocca, sconvolto.

– Hanno... acconsentito? – ripeté con un fil di voce. Avevano dato a Teach il permesso di fare di Rufy... quello che voleva?

Sabo annuì, funereo. – L'ho scoperto praticamente adesso: quando ho visto Teach a mensa sono corso a parlare con il generale, per sapere se poteva essere punito con dei metodi un po' più ortodossi... Non che vederti combattere con lui fosse una brutta cosa, ma non volevo che passassi dei guai, ecco. Mi ha detto di stare zitto. Mi ha detto che Teach aveva tutte le autorizzazioni per comportarsi come meglio credeva per estorcere a Monkey D. Rufy tutte le informazioni necessarie, ordini superiori. E non è tutto: se avessimo provato a vendicarci con lui per quanto aveva fatto a Rufy... avremmo dovuto risponderne a Sengoku in persona. – Ace impallidì, improvvisamente a corto di parole.

– È stata una sua idea? – domandò, la voce impastata. – Di Teach?

Sabo annuì. – Così mi hanno detto. Pare che abbia fatto espressamente questa richiesta... forse ha ancora dei dubbi. Forse Sengoku stesso ha ancora dei dubbi, non lo so. Però c'è una buona notizia. – aggiunse, sorridendo scaltro. – A quell'uomo non è più permesso entrare nell'accampamento. È guerra, ormai.

Il ragazzo ghignò, lasciando che l'immensità di quello che aveva detto penetrasse a fondo in Ace e Rufy. – C... Cosa? – balbettò il più giovane, incredulo.

– È guerra, così hanno detto i generali. Non avrei dovuto sentirli, insomma, però la porta era mezza aperta... L'aveva detto, vostro nonno: se fosse stata guerra, Sengoku non sarebbe più potuto venire qui. Probabilmente ha chiesto a Teach di farsi ferire apposta per poterti incontrare di persona... Menomale che abbiamo fatto in tempo. – concluse, sospirando. – Un pugno non è valido, in questo caso, specialmente se ne hai subito uno anche tu. Grazie al cielo non avevi ancora alzato la spada contro di lui.

Ace doveva ancora elaborare tutte quelle informazioni ricevute in un colpo solo. Aveva rischiato di finire in grossi guai, questa volta... eppure se l'era cavata, no? Non serviva a niente preoccuparsi per quello, ormai. La cosa che più lo interessava, al momento, era la guerra: era ufficiale, ormai c'erano! Al tempo della sua nascita nessuno avrebbe mai immaginato che Sparta e Atene, al tempo alleate, fossero destinate a combattersi. Cosa gli avrebbe riservato il futuro? La profezia avrebbe raggiunto il suo compimento?

Stranamente, per la prima volta in tutta la sua vita, quel pensiero non lo preoccupava più di tanto. In fondo, ormai lui era Spartano.

– Ace, perché sorridi? – chiese Rufy, saltellando.

– Io? Non stavo sorridendo. – rispose l'altro, facendo finta di niente.

– Non dire bugie, Ace! Sei felice perché non dovrai andare da Sengoku? – tentò Rufy, allegro. – Il merito è soprattutto di Sabo, ma guarda che anch'io l'ho aiutato, sai? Se non lo incontravo e non gli dicevo dov'eri, potevamo non fare in tempo! Sono stato bravo?

Ace sospirò, annuendo. – Grazie. A tutti e due.

Rufy e Sabo rimasero a bocca aperta per qualche secondo, increduli: era la prima volta che sentivano Ace ringraziare qualcuno.

– Non c'è di che! – rispose Rufy, sorridendo come non mai.

Sabo si limitò a cercare lo sguardo di Ace, e non ebbe bisogno di parole per fargli capire tutto ciò che andava capito.

 

* * *

 

Ace era seduto sul prato, il volto illuminato dalle stelle.

– Che ci fai qua fuori? – chiese ad un certo punto, senza alzare lo sguardo. – Potrebbero punirti, sai.

Sabo si sedette di fianco a lui, senza una parola.

Rimasero così per interi minuti, prima che Ace si decidesse ad aprire bocca. – Stavo pensando. – confidò. – La guerra... dovremo andare laggiù, vero? A diciassette anni. A combattere.

Sabo annuì. – Mancano sei anni. E Rufy...

– Per lui ne mancano ancora nove. – fece Ace, stiracchiandosi. – Spero che... che vada tutto bene, insomma... – già si pentiva di aver detto tanto. Quello che provava in quel momento lo lasciava davvero confuso: andare a combattere era quello che voleva, no? E allora perché, al pensiero di dover lasciare Rufy per tre anni ad allenarsi, lo faceva sentire così male?

L'altro ridacchiò, sbirciando nella sua direzione con sguardo malandrino. – Gli vuoi bene, vero?

– Sabo, a parlare troppo poi ci si ritrova senza lingua, solo perché tu lo sappia. – cantilenò Ace senza guardarlo.

Il ragazzino alzò gli occhi al cielo, trattenendo un sorriso. – Eddai, ammettilo. Lui lo dice senza problemi. “Oh, Ace, sei davvero forte!” “Ace, sei il massimo!” “Ace, ti adoro!” “Ace, ti voglio bene!”

Ace sperò che l'oscurità nascondesse il lieve rossore che gli si stava spargendo sulle guance. – È un perfetto idiota. – dichiarò. – E solo perché lui non si faccia nessun problema a dire queste cose imbarazzanti, beh, non significa che siamo tutti così stupidi. Sono solo... preoccupato per lui. Non ho idea di come possa cavarsela da solo.

Sabo sbuffò, incredulo. – Ma dai, fai sul serio? Ace, come dire... Rufy è un personaggio davvero particolare. Avrà mille difetti, ma stando con lui una cosa l'ho imparata: non è il tipo di persona da stare da solo. Attira gli altri senza neanche rendersene conto, ma una volta che lo conosci è impossibile evitare di affezionarsi a lui. Anche se noi non saremo lì insieme a lui... troverà degli amici, ne sono convinto. Fino ad allora, – si stiracchiò, alzandosi in piedi – vicino a lui ci saremo noi, pronti a rimediare ai suoi disastri e a tenerlo fuori dai guai. Chi lo sa, magari a quattordici anni, quando lo lasceremo, sarà un ragazzo serio e responsabile...

Ace rise. – Rufy? Stai scherzando? – disse, alzandosi a sua volta.

– Già, uhm, sarà difficile... – ridacchiò Sabo.

I due si allontanarono insieme verso i rispettivi dormitori. – Comunque hai ragione. Credo. Insomma, preoccuparsi ora non serve a nulla. – affermò Ace, le mani incrociate dietro la testa. – Ah, dimenticavo, un'ultima cosa... – si voltò verso Sabo e lo colpì al viso, facendolo cadere a terra. – Ti dovevo un pugno. – affermò, angelico. Poi, con tutta la calma del mondo, entrò nel suo dormitorio.

Sabo rimase a terra per un po', sorridendo. Ace non aveva nemmeno provato a fargli male.

 






 






Ok, ci sono, davvero.
Questo capitolo è stato un parto (noto che la sto un po' tirando per le lunghe: nella scaletta che mi ero fatta tutta questa roba doveva finire entro il capitolo 11... diciamo che mi sono fatta prendere la mano, ecco. La prova di sopravvivenza doveva durare un capitolo, io mi sento poco realizzata).
Detto ciò... E con questa Sengoku ha perso la sua ultima possibilità di trovarsi faccia a faccia con Ace, e si dev'essere rassegnato all'idea che o Ace è stato pappato dai lupi e ce n'erano davvero due... o ha fatto la ca**ata del secolo ad affidarlo agli Spartani e beh, peggio per lui, ormai.
Lo so che tutti temevate che Ace e Barbanera si sarebbero scontrati qui... ma non temete: la faccenda è soltanto rimandata, tranquilli! ;)
E niente, grazie a tutti quelli che, imperterriti, continuano a seguirmi e recensirmi. Vi adoro!
Un bacione, a presto, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Stars are falling all for us ***


 

CAPITOLO 18

 

Rufy era giunto all'unica conclusione possibile: la sua era la vita che tutti sognavano. Oh, andiamo, chi mai nella Terra poteva essere più felice di lui? Aveva praticamente tutto: amici, allenamento, Ace e Sabo...

La sua vita trascorreva felicemente, senza nessuna preoccupazione: con il sole o con la pioggia, nei giorni allegri e in quelli cupi, lui, Ace e Sabo erano insieme, sempre. Quanti pomeriggi passati a nascondersi nei boschi! Quante scappate, quante notti all'addiaccio, quante punizioni, anche! Loro tre ormai erano inseparabili, facevano tutto insieme. Si allenavano buona parte della giornata, ma la maggior parte del tempo la passavano sognando ad occhi aperti il loro futuro nell'esercito. Dopo innumerevoli suppliche e decine di scioperi della fame finiti non proprio bene (Rufy, poi, era solito cedere dopo appena un paio di minuti), erano riusciti a strappare ai superiori il permesso di stare tutti e tre nello stesso dormitorio. La notte i loro compagni erano soliti tenersi alla larga da quel continuo chiacchiericcio che immancabilmente proveniva dai loro giacigli vicini. Si addormentavano sempre insieme, uno addosso all'altro, nel bel mezzo di una dettagliata battaglia in cui Rufy, armato di un solo arco pesantissimo, era riuscito a sbaragliare una schiera di mille nemici dopo che Ace e Sabo avevano abbattuto un'intera armata nemica in meno di dieci minuti.

Non mancavano i litigi: Kidd e Law, quando avevano voglia di divertirsi un po', tiravano sempre in ballo la storia di quella volta in cui per poco a Rufy non erano scappate le origini Ateniesi di Ace e questo, per punirlo, lo aveva rincorso fin sulla cima di un albero. Ridevano ancora a ricordare gli insulti di Ace e le disperate richieste di perdono del fratellino... All'improvviso, però, Rufy aveva perso l'equilibrio e stava cadendo a terra. Allora Ace, che nonostante tutto non lo voleva morto, si era sporto per afferrarlo, col solo risultato di cadere giù con lui. Ignaro di quell'immintente capitombolo, Sabo si sbracciava sotto di loro per farli scendere. Quando si accorse di cosa gli stava cadendo addosso era ormai troppo tardi... Se la cavarono tutti senza ferite gravi, ma l'espressione di Ace e Sabo fu qualcosa di impagabile. Rufy, invece, si era spolverato i vestiti con aria spensierata, affermando subito dopo che lo spavento gli aveva fatto venire fame.

Cinque minuti dopo, Kidd era pronto a giurare di aver visto Rufy correre a perdifiato sul tetto del dormitorio, inseguito da Ace e Sabo: i due brandivano una mazza ferrata ciascuno.

Ovviamente i due negavano con forza, ma Kidd non smise mai di raccontare questa versione dei fatti a chiunque volesse ascoltarlo.

Era passato quasi un anno dalla famosa prova di sopravvivenza, e Rufy non sarebbe potuto essere più felice di così, decisamente.

– Ace! Non ho voglia di andare a dormire... Per favore, andiamo nel bosco? – chiese Rufy, riappoggiando a terra le armi.

Avevano appena finito di allenarsi, e già il tramonto tingeva il cielo di rosa. Tecnicamente, a quel punto sarebbero dovuti rientrare in dormitorio; eppure la voglia di uscire era tanta anche per Ace. Dopotutto era tanto che non facevano un'uscita come si doveva...

– E va bene, andata. – sbuffò, stiracchiandosi. – Va' a cercare Sabo e digli di venire. – Ovviamente, era scontato che avrebbe accettato.

Rufy sorrise. – Grazie, Ace! – ecco, per quanto potesse crescere, su quell'aspetto Rufy non cambiava mai: riusciva sempre a fare sentire Ace come se fosse al suo posto. – Vado subito!

Il ragazzo sospirò, vedendo Rufy allontanarsi quasi alla velocità della luce. Ormai erano quasi due anni che lo conosceva... e un anno che conosceva Sabo. Era strano, praticamente non ricordava come fosse la sua vita prima di averli incontrati. Davvero aveva vissuto tutto quel tempo da solo con i banditi? Se ripensava al periodo in cui Rufy l'aveva rincorso senza mai raggiungerlo... Oh, ai tempi lo trovava terribilmente fastidioso. Non che non lo fosse ancora, intendiamoci: però... sorrise impercettibilmente, iniziando con tutta calma ad inseguire Rufy. Conoscendolo, e conoscendo il suo senso dell'orientamento, sarebbe in ogni caso arrivato da Sabo prima lui.

 

* * *

 

– Come sarebbe a dire, eh? Hai solo dodici anni!

– Non è “solo”, Ace: è “già”. Ho già dodici anni: è normale che sia successo, no?

– A-assolutamente no! È pericoloso, te ne rendi conto, almeno?

– Sabo... non andare, per favore!

– Rufy, non capisci: devo andare, è mio dovere.

– Tuo dovere un corno! Di' prima che gli Spartani sono così disperati che devono mandare in missione dei ragazzini di dodici anni... e poi, perché tu sì e io no?

La situazione era critica, Sabo l'aveva capito fin troppo bene. Quando l'istruttore lo aveva preso da parte per parlargli, già sapeva che non ne sarebbe venuto fuori niente di buono. Non era la prima volta che succedeva, in fondo: essere chiamati per una missione era quasi all'ordine del giorno, di quei tempi. Certo, ragazzi della sua età non erano mai stati convocati, però... non poteva essere niente di impossibile, giusto? Si trattava di una semplice ricognizione, non era nulla di serio. E sarebbe stato in gruppo con un sacco di altra gente più grande ed esperta di lui... Capiva che Rufy fosse in apprensione, ma sinceramente, trovava la reazione di Ace fin troppo esagerata.

– Adesso cercate di calmarvi. – ordinò, sovrastando le varie proteste dei due. – Non sarà niente di complicato o di pericoloso, ve lo garantisco. Partendo domattina, dovrei essere di ritorno tra tre settimane... e poi sarà tutto come prima. Quante persone sono partite fino ad ora, Rufy?

Il ragazzino alzò lo sguardo, a metà tra il disperato e il rassegnato. – … Tanti? – azzardò.

– Esatto. E quanti sono tornati indietro? – continuò Sabo con gentilezza.

– Di quelli che conosco io tutti. Torao e anche Kiddo ci sono stati già tre volte... Però hai sentito di quel tipo che era partito con il secondo battaglione e non si è più visto tornare? Dicono che è morto, capisci? Proprio morto. E ce n'era anche un altro, uno che aveva già diciassette anni e... – continuava ad elencare Rufy, sempre più agitato.

Ace lo interruppe con un gesto della mano. – Possono anche essere tornati tutti illesi, per quel che mi riguarda. Trovo solo stupido mandare una persona della nostra età... Insomma, solo tu, poi!

Sabo inarcò un sopracciglio. – Non sarai mica geloso? Perché lo sai che io farei cambio con una qualunque persona, in questo momento. – il ragazzo iniziava a sentirsi leggermente irritato. Se non poteva farci niente, perché Ace doveva rigirare il coltello nella piaga? Anche lui non se ne sarebbe voluto andare, insomma... Sembrava quasi che Ace fosse invidioso di quello che invece era toccato a lui.

L'altro sospirò, mettendosi le mani sui fianchi. – Questo è ovvio, Sabo. Non è che vorrei essere al tuo posto, figuriamoci... Dico solo che mi sentirei più sicuro se ci fossi io, insieme a te. Non mi va di saperti laggiù senza sapere come stai.

– Ace ha ragione! – si intromise Rufy, avvicinandosi ancora di più, i pugni stretti e l'espressione convinta. – Se non puoi restare qui, allora vorrei poter andare con te! Ti prego, ci puoi portare? Non voglio... non voglio non sapere come stai per tutto questo tempo.

Sabo sospirò, un mezzo sorriso sul volto. Quelli erano i suoi fratelli, la fortuna più grande che gli fosse mai capitata. – Sapete che non si può, ragazzi. Persino con l'autorità di Garp... ormai hanno già formato il gruppo: partiamo domattina. E poi, Ace, è meglio che tu non debba andare laggiù: è così vicino ad Atene, siamo nel loro territorio... Per te sarebbe troppo rischioso. Quindi scusate, ma temo che stasera non potrò scappare con voi.

Rufy lo afferrò per un braccio, trascinandolo fuori. – Perché no? – domandò, risoluto. – Non ci vedremo per tre settimane. Devi partire con un bel ricordo! Questa volta... voglio vederla davvero, una stella candente. Voglio che la vediamo tutti e tre insieme.

Sabo capì che si stava riferendo alla prima volta in assoluto che erano scappati insieme, al precedente compleanno di Rufy. – Oh, a proposito! – esclamò, battendosi una mano sulla fronte. – Se non sbaglio, tornerò proprio il giorno del tuo compleanno, sai? Mancano tre settimane da adesso. – ricordò, sorridendo.

Rufy sorrise, estasiato. – Dici davvero? Ma dai, il fatto che torni è già un regalo strepitoso!

Sabo ghignò in direzione di Ace, con una faccia che sembrava dire “adesso prova a battermi, se ci riesci”.

Ace emise un verso sprezzante. – Sì, beh, quando vedrai il mio regalo dovrai ricrederti. Quello sarà decisamente migliore... quasi quanto quello che mi hai fatto tu, Rufy. – concluse, trattenendo una risata.

Quando era stato il suo compleanno, Rufy era riuscito a trovare un sasso arancione che, a sentir lui, aveva “la stessa forma della sua testa”. Ma Sabo non poteva prenderlo in giro, no, perché quando era venuto il suo turno Rufy aveva tirato fuori un glorioso scarabeo morto, affermando che portava fortuna. Sabo lo teneva ancora di fianco al letto, e Ace lo ammirava molto per questo.

– Allora andiamo, Sabo? Andiamo nel bosco? Sta diventando buio, andiamo?

Sabo sospirò, permettendo ad un mezzo sorriso di affiorargli alle labbra. – Andiamo. – concesse, e sgattaiolarono tutti e tre oltre la recinzione, verso il bosco ormai quasi totalmente in ombra.

 

* * *

 

– Pensi che sarà entusiasmante? Voglio dire, una missione... Kiddo dice che è un po' pericoloso, ma secondo te... ti divertirai?

Sabo sospirò. – Non lo so... non dovrò uccidere nessuno, lo sai, dobbiamo solo fare una mappa di un posto. Non suona molto divertente, ti pare?

Rufy si grattò la testa. – Mah. Però è comunque una missione che sarà utile per i soldati più grandi, giusto?

– Suppongo di sì, Rufy.

Il bambino sbadigliò, stiracchiandosi all'indietro e andando a colpire Ace negli occhi. – Ahi! – si lamentò quello.

– Eri distratto, Ace! Un soldato di Sparta dev'essere pronto a tutto! – lo canzonò Rufy, ridacchiando.

– Adesso ti faccio vedere io, razza di piccolo... – iniziò l'altro, facendo per saltargli addosso. Rufy si spostò addosso a Sabo, ridendo, e ben presto i tre si ritrovarono a terra senza fiato, testa contro testa ad osservare le stelle.

– Sono bellissime, vero? – domandò Rufy dopo un po', gli occhi sgranati. – Quasi come quella volta.

Ace sbadigliò. – Sì... Ma adesso non fate finta di non vedere, quando passa una stella cadente.

Sabo ridacchiò. – Siete voi che vi inventavate le cose. L'unica che c'è stata davvero, quella notte, è stata quella che ho visto io.

Rufy borbottò qualcosa di indefinito, girandosi su un lato.

– Eh? – chiese Ace, seccato. – Parla più forte, che non si capisce...

– No, no, niente. – mugugnò Rufy, rotolando sull'altro fianco.

Ace inarcò un sopracciglio. – Adesso me lo dici, ok?

– Va bene, va bene... dicevo, io forse ne ho viste due. – fece Rufy, fissando in alto. – Voglio dire, oltre a quella di cui sono sicuro e che voi non avete visto... Subito prima di addormentarmi, forse ne ho vista un'altra. Era enorme. Però mi sa che l'ho sognata, quindi lascia stare.

Sabo si sollevò sui gomiti, interessato. – Dici davvero? Subito prima di addormentarti?

– Perché, anche tu hai... – chiese subito Rufy, eccitato.

– Ehi, ehi, fermi tutti: guardate che probabilmente l'ho vista anch'io. – saltò su Ace.

Rufy rise. – Ma dai, allora ne abbiamo davvero vista una tutti e tre, quel giorno! Era enorme, vero?

– Quasi non ci credevo. – affermò Sabo.

– Pensavo fosse un sogno, avevo così tanto sonno... – aggiunse Ace, pensieroso.

Rimasero tutti e tre in silenzio per un po'. – È bello. – commentò Rufy alla fine. – Che l'abbiamo vista tutti insieme, intendo. È una cosa bella a cui pensare quando si è tristi.

Ace inarcò un sopracciglio. – Prego?
Rufy si precipitò a spiegare. – È una cosa che mi ha detto un tipo un po' più grande di noi, si chiamava... Cricket, o qualcosa del genere. Monblanc Cricket, sì. Dice che fissare una cosa in cielo tutti insieme è... come diceva? Romantico, Passionale. Dice che se due persone sono lontane, non devono essere tristi: basta che fissino la stessa stella quando viene la notte, e sarà come se fossero collegati! Quindi, visto che abbiamo visto la stessa stella cadente, possiamo dire di essere collegati anche se Sabo parte e sta via per tre settimane?

Ace alzò gli occhi al cielo, sorridendo, e Sabo allungò il braccio per scompigliare i capelli di Rufy. – Non sto mica andando dall'altra parte del mondo, sai! A breve sarò di ritorno. Ma se ti fa stare meglio... da oggi a quando tornerò, tutte le volte che vedrai una stella cadente puoi pensare a me.

Rufy sorrise, gli occhi luccicanti. – Davvero? E anche tu penserai a noi?

– Tutte le volte che ne vedrò una. Contento? Tanto, guarda che si tratta di tre settimane, non farne un dramma!

Era anche vero che non si erano mai separati per più di un giorno, ma Sabo preferì non toccare quel tasto. Se ci pensava troppo, rischiava di non riuscire più a partire, e sarebbero stati guai.

Rimasero tutti e tre in silenzio per un attimo, circondati solo dal suono dei grilli in lontananza.

– Va bene, va bene, allora è deciso. – sbadigliò Ace. – Cerchiamo solo di non addormentarci qui, che se Sabo domani fa tardi è un disastro. Andiamo?

Sabo annuì e si alzò, ma Rufy non diede segno di muoversi. Ace lo scosse un po' col piede, poi gemette. – Ma come, si è addormentato?

Sabo mascherò una risata con un colpo di tosse. – Ehm, è terribile. Sì, questo ragazzino è proprio senza speranza. Un caso disperato. Che vergogna. – commentò, tragico.

Ace alzò gli occhi al cielo. – Cosa parlo a fare, con te... Ehi, Rufy, sveglia! Muoviti, non ho nessuna intenzione di trasportarti fino al dormitorio in spalla, ci siamo intesi? Svegliati subito!

Per tutta risposta, Rufy mugolò nel sonno, raggomitolandosi su un fianco. – Oh, ma... andiamo, non... io però non... – si lamentò Ace, mordendosi il labbro. Doveva svegliarlo? Eppure aveva un'espressione così tranquilla... – Oh, ti odio, piccolo coso inutile e fastidioso. – borbottò, inginocchiandosi. – Sabo, dammi una mano a portarlo su. Con tutto quello che mangia, questo bambino peserà una tonnellata.

Sabo ridacchiò, aiutando Ace a trascinare il corpo addormentato di Rufy fino all'accampamento. – È stato divertente. La serata, intendo. Mi mancherà questo genere di cose, immagino. – commentò il ragazzino, sospirando amaramente. – Voglio dire, tre settimane non passano così in fretta.

Ace sospirò. – Lo so... ma non preoccuparti, tu fai solo quello che devi. A Rufy ci penserò io, e vedrai che in men che non si dica... sarai di nuovo qui. – sbatterono senza tante cerimonie il corpo addormentato di Rufy sul suo giaciglio, e si sdraiarono.

– Ace? – chiamò Sabo dopo un po'.

– Sì?

– Io... sono felice di essere vostro fratello.

Dietro di loro, Rufy sorrideva nel sonno.

 

* * *

 

Tre settimane sono lunghe. Specialmente se tuo fratello non fa che contare i giorni che mancano allo scadere del tempo, pretende che tu immagini con lui “cosa starà facendo Sabo adesso” ad ogni orario possibile e immaginabile, e ti trascini fuori ogni singola notte per vedere le stelle cadenti.

Per di più, anche Ace sentiva la mancanza si Sabo. Negli allenamenti che diventavano sempre più banali, la sera, quando parlavano, a pranzo, nel bosco... Gli mancava quella presenza sempre ferma e tranquilla, la sicurezza che Sabo emanava.

Alla fine giunse il giorno tanto atteso, e fu con somma gioia che Rufy si alzò dal letto, gridando un glorioso “È il mio compleanno!”, tanto che buona parte dei suoi compagni di dormitorio schizzò in piedi dalla sorpresa. Mentre un certo Bagy proponeva un'uccisione di gruppo (“una sola morte non darà certo fastidio a nessuno, insomma, non se ne può più!”), e la maggior parte degli altri si limitavano a ridacchiare e ad augurargli buon compleanno, Rufy si stava già dirigendo a gambe levate verso l'uscita, trascinando con sé un Ace ancora mezzo addormentato.

– È il mio compleanno, è il mio compleanno! Sai cosa significa? Eh? Lo sai? Oggi torna Sabo, torna Sabo! – ripeté, elettrizzato. – Aveva detto che sarebbe tornato di mattina, chissà cosa intendeva con “di mattina”? Pensi che possa essere già qui? Eh?

Ace sbadigliò, trattenendo una risata. Anche lui era contento. – Su, lo sai che non si può fare affidamento sugli orari che dicono: chissà cosa può succedere, durante il viaggio! Quindi mettiti il cuore in pace e... – ma già Rufy non lo ascoltava più, correndo verso l'ingresso dell'accampamento.

Ace assottigliò lo sguardo, concentrato. Possibile che fossero... Si ritrovò a correre prima ancora di essersene reso conto. Avevano fatto presto, allora!

Raggiunse Rufy e insieme corsero verso il gruppo di persone che stava entrando nell'accampamento, il cuore a mille: erano state le tre settimane più lunghe della sua vita, probabilmente. Con Rufy che non faceva che fargliele pesare, e l'inquietudine di non sapere come se la stava cavando Sabo... ora tutto sarebbe tornato alla normalità!

– Sabo! Ehi, dov'è Sabo? Sabo, siamo noi! – Rufy si sbracciava per attirare l'attenzione, saltellando eccitato.

Improvvisamente, Ace sbiancò: non poteva sbagliarsi, quella persona.... era appena entrata con tutto il gruppo! Ma allora Sabo era stato per tutto quel tempo in missione con... – Teach? – sputò con incredulità mista a disgusto. Povero, povero Sabo! Che fatica doveva essere stata, per lui!

Quando il ragazzo lo vide, scoppiò a ridere. – Zehahahahaha! Ci rincontriamo, vedo! Ma che ci fate qui? Non dovreste essere a piangere da qualche parte?

Ace e Rufy congelarono. No, no, quello non voleva per forza dire... – C-che intendi? – ebbe la forza di chiedere Rufy. Avevano temuto che qualcosa andasse storto, ovviamente, ma Sabo era forte, e...

– Ma come, non l'avete saputo? È stato orribile, orribile. – mormorò Teach, scuotendo la testa. – Più o meno cinque giorni fa, poco prima di metterci in marcia per tornare indietro... Nel posto dove stavamo, c'è stato un incendio.

Rufy era così pallido che Ace temeva potesse cadere a terra da un momento all'altro. – E... ma quindi Sabo è... – balbettò, sforzandosi valorosamente di non piangere.

– Sono scomparse tre persone, in quell'incendio. I corpi erano così sfigurati che nemmeno si distinguevano. li abbiamo sepolti laggiù. Il vostro amichetto era uno di quelli: era entrato là per cercare di salvare gli altri due, ma gli è andata storta. – spiegò Teach, tranquillo.

Il mondo smise di girare un attimo, per Ace. Rufy si voltò e scappò via, e Ace capì che stava piangendo, e avrebbe dovuto inseguirlo, ma non poteva, perché andiamo, non poteva essere, Sabo non poteva davvero essere... essere... – Perché non avete fatto niente? – ruggì, saltando addosso a Teach. – Perché non li avete... non li avete salvati, non... Un incendio... come è potuto...

Il ragazzo lo scansò con un gesto, schifato. – Non toccarmi! E osi anche incolpare noi? Guarda che lo sanno tutti, che se quel Sabo è dovuto venire in missione è stato per sostituire te. Esatto, te! Ha scoperto che saresti dovuto andare tu, in questa missione, e ha chiesto di fare un cambio. Credo che l'abbia ottenuto per intercessione di un certo Garp o che so io. Quindi, se devi incolpare qualcuno, incolpa te stesso! – concluse Teach, sogghignando. Poi si voltò e se ne andò.

Ace crollò a terra, cercando di metabolizzare tutto. Sabo... Sabo, il suo amico, suo fratello... Possibile che fosse morto, morto davvero? In un incendio, poi...

Improvvisamente, gli sovvenne alla mente un verso che sapeva a memoria da tantissimo tempo, un verso che lo terrorizzò come mai era stato terrorizzato prima d'ora:

Una vita si spegne nell'incendio che viene...

Sabo aveva fatto quello che aveva fatto per evitare che Ace si trovasse troppo vicino ad Atene, era andato in quella missione per sostituire lui!

Ma Ace non poteva pensarci adesso, perché un pensiero folgorante gli aveva appena attraversato la mente.

Rufy.



































Angolo autrice:
Mmmmmmh... l'angolo per uccidermi è in fondo a destra?
Argh, no, cioè, non prendetemi alla lettera! Questo passaggio della trama ce l'avevo in testa dalla prima stesura della storia, è importante. Sabo... insomma, come dire, ho iniziato a scrivere "L'ultima freccia" intorno ad Agosto, quindi non sapevo ancora niente di spoiler e simili (e ora è meglio se sto zitta), e quindi sì, Sabo è scomparso.
Non dico morto, in fondo neanche nel manga dicono morto, no? Però, insomma, è un brutto colpo. Sia per Rufy, che sembra crollare, che per Ace: povero, oltre alla perdita in sé ha anche il senso di colpa perché ritiene che Sabo si sia sacrificato per lui o cose simili... Però Ace non può crollare: ha Rufy a cui badare. E ogni volta che vedranno una stella cadente, immagino che penseranno a Sabo.
Ugh, sto diventando smielata? Quindi d'accordo, prendetevela con me per aver fatto fuori Sabo, ma abbiate fede! Le cose stanno per farsi interessanti: dal prossimo capitolo entreranno in scena alcuni personaggi interessanti... Staremo a vedere!
Grazie ancora a tutti quelli che mi seguono, davvero, mi fate impazzire! Siete stupendi, grazie :3 Ah, un'ultima cosa: a chi riconosce il titolo del capitolo do un biscotto. È un pezzo tratto da una canzone che adoro! *.*
Un bacione
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** È una promessa ***


CAPITOLO 19

 

Rufy piangeva davvero spesso, e questo era un dato di fatto. Ace l'aveva visto piangere di dolore quando ancora lo trovava solo un marmocchio irritante; di paura quel giorno in cui i ragazzi spartani li avevano trovati

e avevano rischiato di ucciderli; di felicità quando aveva promesso di allenarsi insieme a lui. Aveva pianto mille altre volte, per paura o per felicità o per dolore o per tutte queste cose insieme, quindi Ace immaginava di trovarlo in lacrime nascosto da qualche parte.

Non cercò nemmeno all'interno dell'accampamento, dirigendosi subito verso la foresta in cui avevano condiviso tanto, Rufy, Sabo e lui. Oltrepassò le radure in cui erano soliti ritrovarsi alla ricerca di un segnale del passaggio di Rufy, ma non trovò nulla.

Nella sua testa le parole “Devo trovare Rufy” si ripetevano come una confusa cantilena quasi priva di senso, utili solo a impedirgli di pensare, di sentire, di realizzare cos'era quel senso di vuoto, quella voragine silenziosa che si era aperta nel suo cuore dopo le parole di Teach. Doveva trovare Rufy, solo questo contava.

Ma Sabo è morto!

Devo trovare Rufy.

È colpa mia...

Devo trovare Rufy.

Dovevo andarci io.

Devo trovare Rufy.

Sono un mostro.

Rufy non lo pensa.

In questo modo Ace riusciva ad allontanare il dolore, ad affievolirlo, almeno. Doveva trovare Rufy, Rufy, non importava nient'altro.

Boccheggiò, inciampando in una radice sporgente. Il fiume... era arrivato al fiume. Era trascorso un anno, un anno esatto. E lui rivedeva in quel fiume le immagini di lui, Sabo e Rufy che correvano, incuranti degli schizzi, alla luce del tramonto. Erano così felici... Gli sembrava di sentirne le risate, gli sembrava di vedere la gioia di quel pomeriggio di un anno prima.

Scosse la testa, cercando di rimettersi in piedi, ma le gambe non lo sostenevano: lui non era lì, in quel momento. No, era a correre in mezzo al fiume con Rufy e Sabo, senza un pensiero, senza il peso della perdita ad opprimergli il cuore.

Ed Ace pianse, pianse tutte le sue lacrime, pianse il fratello perduto che non sarebbe più tornato indietro a sgridarlo o a ridere con lui, che non lo avrebbe più aiutato a rincorrere Rufy... Pianse per Sabo, urlando e battendo i pugni a terra, come non aveva fatto davanti a Teach.

Sabo, sì, Sabo era morto. Eppure in qualche modo era ancora lì, a metà strada fra gli spruzzi dell'acqua del fiume e la scia delle sue lacrime, lo sapeva. Lo sapeva perché, nonostante tutto, lo sentiva ancora ridere.

 

* * *

 

Rufy se ne stava accovacciato tra l'erba alta, la testa schiacciata contro il terreno. I morti vanno nell'Ade, diceva il nonno. Sottoterra. Poteva scavare abbastanza in basso? E se gridava con la bocca premuta contro il terreno, Sabo l'avrebbe sentito?

Immaginò un Sabo trasparente e incorporeo, dall'espressione triste e smorta, e si sentì stringere il cuore. Avrebbe decisamente scavato fin laggiù, poi avrebbe recuperato Sabo per i capelli!

Oh, ora che ricordava... il nonno non gli aveva raccontato la storia di un ragazzo che provava a riportare indietro un'altra persona dagli Inferi? Sì, era una specie di cantante, ricordò. Si chiamava Orfeo, e cantava benissimo. Quando sua moglie era morta, però, era diventato così triste che aveva deciso di andarla a recuperare negli Inferi... e poi? Rufy non se ne ricordava molto bene, però temeva che la storia finisse un po' male. Oh, ma non c'era problema, perché lui era molto più forte di questo Orfeo, e avrebbe recuperato Sabo in men che non si dica! E se l'avessero fatto cantare davanti al Dio dei Morti, Ade? Rufy sperava di no, perché lui non era molto bravo. Se cantava male, poi non gli restituivano Sabo?

Premette ancora di più la faccia verso il basso, sentendo il sapore della terra fra i denti. Non voleva. Non voleva che Sabo fosse morto, era troppo brutto! Se piangendo bagnava la terra, poi crescevano i fiori? Magari poteva portare questo, al Dio dei Morti, invece di una canzone: un rarissimo fiore cresciuto con le sue lacrime. Così capiva che era stato davvero triste e gli restituiva Sabo anche senza bisogno di cantare.

Però... però... Rufy non sapeva come si faceva crescere un fiore! E, tanto per essere precisi, non sapeva nemmeno dove scavare per raggiungere il Regno dei Morti! E se poi scavava dalla parte sbagliata? Chissà quanto avrebbe dovuto aspettare Sabo, e magari nel frattempo lui diventava vecchio mentre Sabo restava bambino... Ehi, così magari Rufy diventava il fratello maggiore. No, perché c'era comunque Ace... E poi era brutto lo stesso, lui voleva Sabo con sé in quel momento!

– È il mio compleanno. – sussurrò a contatto con la terra fredda. – Avevi promesso di venire, Sabo! È questo il regalo che hai deciso di farmi? Beh, perché fa schifo! – singhiozzò piano, prima di schiacciare ancora la faccia contro la terra. – Hai capito? Sei stato scorretto. Però ti perdono, perché lo so che non l'hai fatto apposta. Mi senti, da laggiù? Sabo... non voglio nessun regalo, basta che torni... Non per forza oggi, anche domani, se vuoi... però torna... – si interruppe, concentrandosi sull'operazione fiore: se voleva che crescesse in fretta, dopotutto, doveva pur innaffiarlo.

Improvvisamente, sentì una leggera botta sulla testa. – A-ace... – balbettò, senza bisogno di alzare la testa per riconoscerlo.

– Che stai facendo qui, razza di stupido! – sospirò Ace, rimanendo ritto in piedi accanto a lui. – Mi hai fatto preoccupare, scappando via in quel modo.

– M-ma Ace... – balbettò di nuovo Rufy, confuso. Ace non era triste come lui? In realtà, Rufy aveva già messo in conto che Ace lo avrebbe aiutato a scavare fino agli Inferi. Se invece non voleva, ci avrebbe messo molto più tempo, e nel frattempo chissà... Scosse la testa, triste. Neanche lui era così stupido: quelle imprese riuscivano solo agli eroi delle storie, lui era ancora così debole! Non era nemmeno abbastanza forte da essere mandato in missione con Sabo! – Ace... io voglio diventare più forte. – affermò, cercando valorosamente di trattenere il tremore nella voce. – Diventerò fortissimo, verrò mandato in missione dappertutto e sarò così potente che gli dei staranno a guardarmi, e non avrò bisogno di scavare fin sottoterra per ritrovare le cose che ho perso e che voglio riavere. Diventerò più forte. Molto, molto, molto, molto, molto, molto più forte. Perciò... Ace... per favore, non morire! – concluse, in quello che era evidentemente un singhiozzo mal camuffato.

Ace rimase un attimo senza parole. Dopo tutto quello che era successo, Rufy aveva visto il mondo crollargli addosso. E adesso aveva solo Ace, solo ed esclusivamente Ace. Gli sembrava quasi di sentire la voce di Sabo: prenditi cura di lui anche per me, ok?

Certo che ne aveva, di pretese. Sì che lo farò, Sabo, lo farò sempre, rispose mentalmente prima di colpire di nuovo Rufy con più forza, facendogli finalmente alzare lo sguardo. – Io non morirò! Non ti lascerò da solo, sei troppo scemo. Stavi mangiando la terra o cosa? Adesso alzati, o pensi che Sabo voglia vederti così? – Il fratellino lo fissò confuso, ma obbedì. Era un po' traballante, e davvero, era tutto sporco di terra, ma non sembrava sull'orlo del collasso emotivo o cose simili. Ace era sempre a disagio quando Rufy piangeva... – Ormai hai promesso che diventerai forte, e non puoi tirarti indietro. Diventeremo entrambi fortissimi soldati Spartani. È un patto, capisci?

Rufy tirò su col naso, incerto. – Un... patto? – poi la sua espressione confusa lasciò il posto ad una più determinata, e annuì. – D'accordo, allora è deciso. Ci stai ascoltando, Sabo? – gridò poi, alzando i pugni verso l'alto. – Diventerò così forte... così forte che te ne accorgerai persino tu, è una promessa! Ora prometti anche tu, Ace.– ordinò, allungando il pugno davanti a sé.

Ace sorrise soddisfatto e avvicinò il suo pugno a quello di Rufy. – Ovvio! Io sarò ancora più forte di te, piccoletto!

– Piccoletto a chi, io sono grande! – si offese Rufy, battendo i piedi a terra. – Non ascoltarlo, Sabo, il più forte sarò io!

Ace sentì il cuore allargarsi alla vista del fratellino nonostante tutto ancora pieno di vita. Il dolore della perdita c'era ancora, e non se ne sarebbe andato tanto presto. Eppure sentiva che in ogni caso non avrebbe più ceduto alla disperazione: Sabo gli aveva lasciato un compito, e lui l'avrebbe svolto occupandosi di Rufy fino al momento in cui non sarà in grado di cavarsela da solo.

– Ma dove vai, l'accampamento è dall'altra parte!

– Oh, hai ragione, di qua c'è la tana dei lupi, scusa...

Aveva molto lavoro da fare, realizzò con uno strano senso di sconforto misto a gratitudine.

 

* * *

 

– Ace! Ace! Svegliati, forza: che ci fai ancora a letto? È arrivato, è arrivato!

Ace si rotolò dall'altra parte del letto, mugugnando qualcosa che somigliava molto a “lasciami in pace o ti strangolo”, ma Rufy non parve farci caso.

Erano passati due mesi dal compleanno di Rufy, due mesi da quell'orribile notizia che aveva stravolto le loro vite. Nonostante cercassero di farsi forza l'un l'altro, per i due ragazzi era stata dura. Le prime notti Rufy pretendeva di dormire insieme ad Ace: aveva bisogno di sentirlo fisicamente vicino per evitare gli incubi. E a volte non bastava nemmeno quello. Ace, sotto sotto, ne era contento: aveva smesso di contare le volte in cui sognava ripetutamente la morte di Sabo, poi di Rufy, e quel senso di orribile oppressione al petto nel momento in cui arrivava la consapevolezza di essere rimasto solo.

Ace combatteva con più forza e più ferocia dal mattino alla sera, senza risparmiarsi. Rufy sorrideva un po' di meno, e quando scoppiava a ridere poi per un istante si sentiva in colpa.

Piano piano, però, questi sentimenti erano scemati. Il dolore c'era, e sia Rufy che Ace sapevano che l'avrebbero portato sempre con loro, in ogni momento. Ma potevano conviverci: Io sono contento di essere stato suo fratello, qualunque cosa sia successa! aveva affermato Rufy, convinto. E Ace gli dava ragione. Inoltre, avevano fatto una promessa. E quando i sensi di colpa attanagliavano Ace come una morsa di ferro indistruttibile, il pensiero della sua promessa di badare a Rufy riusciva a rendere tutto molto più sopportabile.

Rufy aveva ripreso a ridere e scherzare e parlare con tutti, e la vita scorreva più o meno tranquillamente, quando nell'accampamento iniziò a spargersi una voce: Shanks il Rosso, un valoroso comandante Spartano, sarebbe venuto a visitare l'accampamento e ad insegnare qualcosa alle nuove reclute. Si diceva che sarebbe stato lì per due mesi interi, e Rufy non vedeva l'ora.

Fu quindi con sommo sacrificio ed estremo amore fraterno che Ace si alzò quel giorno, trascinato da Rufy verso la porta del dormitorio. Il bambino, che ci crediate o no, continuava a parlare. – … E dicono che sia abbastanza forte, cioè, non forte come mio padre o i generali dell'esercito ma comunque un comandante, quindi immagino che sia forte. E ti immagini se mi insegnasse qualcosa su come tirare con l'arco? Io sono già il migliore della mia età, con l'arco, e probabilmente è merito dell'arco speciale che mi hai regalato tu, però vorrei migliorare ancora, capisci? E se lui è bravo magari mi può... Ace, mi stai ascoltando? – domandò, mettendosi le mani sui fianchi.

Ace scosse velocemente la testa, concentrato. – No, sì, uhm, ero attento.

– Davvero? – Rufy inarcò un sopracciglio, scettico. – Allora... chi è arrivato?

– Shanks il Rosso. – sbadigliò Ace.

– Io ne sono felice o triste?

– Felice.

– Perché?

– Perché... ha l'aria simpatica? – tentò Ace. Questo se l'era perso, in effetti.

Rufy sbuffò alzando gli occhi al cielo. – No! Ma se non l'ho ancora visto! Che poi potrà anche avere l'aria simpatica, io non lo so, ma non è questo che intendevo! Vedi che non mi ascolti? – borbottò, offeso.

Ace alzò gli occhi al cielo, esausto. – Ma mi sono appena svegliato! E poi, Kidd ha detto che era già venuto tre o quattro anni fa. Ha detto che non l'ha mai visto combattere seriamente, che è debole e non ha forza di carattere. – sbuffò, desideroso di farla finita al più presto.

– Ma non è detto, giusto? A Kidd non piace mai nessuno. Dice anche che Torao è antipatico e che ogni volta che parla fa venire voglia di prenderlo a sberle, invece non è vero. – si impuntò Rufy. – Secondo me invece questo Shanks sarà una persona simpatica. – pronosticò, sicuro.

– E come lo sai? Da quel che dicono in giro sembra più che sia una persona da prendere in giro, neanche tanto forte: non... e adesso che vuoi? – gemette alla fine, stufo di tutti quel gesticolare che Rufy faceva già da un po'.

Una risata lo raggiunse dalle spalle, e Ace congelò. No, dai, non era possibile che... – Ah sì, è questo che dicono di me?

Si voltò piano, sperando in un qualche miracolo che non avvenne, dal momento che si ritrovò faccia a faccia con un uomo che corrispondeva perfettamente alla descrizione che gli avevano fatto di Shanks il Rosso. – Oh, ehm, no, io... – balbettò, arretrando di un passo. Rufy rideva, e Ace gli avrebbe volentieri spaccato la testa, in quel momento.

– Su, guarda che so benissimo cosa si dice in giro di me, ora non fare quella faccia. Immagino che sappiate già chi sono, quindi potreste dirmi i vostri nomi? – sorrise l'uomo, affabile.

Sì, così andava dritto a chiedere una punizione esemplare per Ace... ma prima che potesse rifilargli un nome a caso, Rufy prese a parlare, allegro: – Piacere di conoscerti! Io sono Monkey D. Rufy, e diventerò il soldato Spartano più forte di tutti. Lui è mio fratello Ace: dice che diventerà più forte di me, ma tu non credergli. Senti un po', non è che sei capace di tirare con l'arco?

Shanks rise, e Ace pregò gli dei di farlo sprofondare: aveva come l'impressione che Rufy e quel tipo sarebbero andati molto d'accordo.

 


















Angolo autrice:
Ciao a tutti! Ok, questa non ve l'aspettavate, vero? Come andrà avanti la situazione ora che è entrato in scena... Shanks?
Ace e Rufy paiono aver superato il trauma... un po' come nel manga, ma porteranno sempre Sabo nel cuore, non trovate? Aaaaah, sono troppo dolci, non ce la faccio >.<
La storia di cui parla Rufy è ovviamente il mito di Orfeo, che poi, effettivamente, non finisce affatto bene. Ma andiamo, che Rufy se la ricordasse tutta era un po'... inverosimile? xD
Grazie a tutti quelli che hanno recensito e che continuano a seguire la storia, davvero: non vi merito!
A presto, un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Di cappelli, offerte al Tempio e combattimenti corpo a corpo ***


CAPITOLO 20






Law si stiracchiò, vestendosi con lentezza, senza disturbare la figura che dormiva accanto a lui. Certo che non era stata proprio una brillante idea farlo nel deposito delle armi... Sogghignò piano, socchiudendo la porta e guardandosi intorno per assicurarsi che ci fosse via libera.

– Ehi, Eustass-ya, hai intenzione di restare qui tutto il giorno? – disse poi, senza voltare lo sguardo.

Un grugnito incomprensibile lo raggiunse dal basso. – Sta' zitto, ho sonno... – si lamentò il diretto interessato, girandosi su un fianco.

– Ma dai, non avevi promesso al marmocchio di allenarti con lui? – ghignò Law, voltandosi a guardarlo.

– Vorrai dire che lui ha preso la decisione di allenarsi con me avvisandomi solo a cosa fatta. – lo corresse Kidd, sbuffando e mettendosi seduto. – Volessero gli dei che la smettesse di tormentarmi...

– Non dire così, si vede che sei affezionato a lui. – lo riprese Law. – E ti ha pure battuto, quant'era, tre volte? Per un moccioso di sei anni in meno di te, deve bruciare parecchio...

Kidd alzò gli occhi al cielo, come a dire “stiamo ancora parlando di questo?” e si alzò in piedi. – L'ho fatto vincere apposta, altrimenti si demoralizzava. E comunque tre vittorie su ottomila combattimenti, insomma, ha un futuro. – ironizzò, alzando un sopracciglio e iniziando a rivestirsi. – E poi ha battuto anche te un paio di volte, se non sbaglio.

– Ma lo sai che a me piace lasciar vincere gli altri. – ribatté Law, una strana luce negli occhi. Kidd stava per lanciarsi in un'accorata arringa a favore della propria inclinazione alla vittoria e al fatto che Law con lui avrebbe sempre e soltanto perso, sia nell'arena che fuori e sicuramente non apposta quando Law lo zittì. – Su, smettila. Piuttosto... Hai sentito che ieri è arrivato quell'istruttore, Shanks il Rosso? È passato un bel po' di tempo, se non sbaglio.

Kidd annuì alzando gli occhi al cielo, finendo di vestirsi con uno sbuffo.

I due uscirono senza farsi vedere dal deposito e presero a passeggiare nell'accampamento: chiunque li avesse visti avrebbe ritenuto quantomeno strano vederli camminare fianco a fianco senza scannarsi vivi, ma al momento non se ne preoccuparono. – Sai che roba, è arrivato l'incapace. Piuttosto, quando torna il vecchio Kaido? Quello sì che era forte. Il Rosso? Tutto fumo e niente arrosto. Un bonaccione che non sa neanche tenere un'arma.

– A me non sembrava così male. – lo contraddisse Law, sorridendo supponente. – E sai la novità? Il moccioso stravede per lui.

Kidd borbottò un “c'era da aspettarselo” che Law decise di ignorare. – Me l'ha detto ieri. – confidò, incrociando le braccia dietro la testa. – Avresti dovuto vederlo, era così eccitato... insomma, più del solito. – Kidd alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. – E smettila di fare così, dovresti imparare a fare buon viso a cattivo gioco! Dicevo, era molto allegro. Dice di aver conosciuto il Rosso ieri mattina, e che lo trova semplicemente fantastico perché ride, gli dà ottimi consigli, ha un cappello bellissimo- parole sue, e poi, cos'altro era? Ah, ha detto che tratta bene Ace.

Kidd inarcò un sopracciglio. – Tratta bene... Ace?

– Ha detto così. – si strinse nelle spalle Law.

– E non gli importa che in sostanza non sappia combattere? Che non abbia mai impugnato un arma? Tutto quello che ha da dire è che ha un cappello bellissimo e tratta bene suo fratello?

– Evidentemente.

– Quel bambino è inquietante.

– Ha parlato...

– Come ti permetti, eh, brutto...

Quando Rufy, saltellando come di suo solito, li raggiunse gridando a squarciagola a Kidd di allenarsi con lui, li trovò impegnati in quello che Law si affrettò a descrivergli come un combattimento corpo a corpo. Molto corpo a corpo.

 

* * *

 

– Quindi è così che si fa... Ma bisogna per forza stare per terra? Ed è necessario stare così vicini? – domandò il bambino, curioso.

– Se no non si chiamerebbe combattimento corpo a corpo, Rufy. – ribatté in fretta Kidd, guardando da un'altra parte e pregando perché cambiassero argomento alla svelta.

– Ah, va bene. Senti... guarda che se volevi continuare a fare combattimento corpo a corpo con Law non c'era problema, eh! Io posso aspettare. Sembrava divertente... ehi, poi proviamo anche noi? – Kidd desiderò con tutte le sue forze di sprofondare a terra. – No, forse è meglio di no... tu sei troppo grande, mi schiacceresti. Lo farò con Ace! – Kidd inviò mentalmente le sue più sentite scuse a quel povero ragazzo.

Raggiunsero l'arena e Rufy iniziò a cercare un'arma che gli andasse bene. – Sono pronto! Allora, cominciamo?

Kidd sorrise sadico, mettendosi in guardia. – Quando vuoi, ragazzino.

Sotto sotto, allenarsi con quel marmocchio lo divertiva. Non aveva mai combattuto con molta gente, a parte Killer, Trafalgar e i vari istruttori, ma Rufy aveva uno stile tutto suo. Sebbene partisse sempre svantaggiato (sembrava quasi che lo facesse di proposito, alcune volte: ma quanto poteva essere scemo?), aveva quest'assurda capacità di rivoltare la situazione quando l'avversario aveva già abbassato la guardia. Con metodi anche assurdi -perché andiamo, uno sgambetto è sleale-, ma a volte sorprendentemente efficaci.

Era interessante combattere con Rufy, niente da ridire su questo. Ovviamente, era tutto il suo carattere che Kidd proprio non poteva sopportare e che, ne era sicuro, l'avrebbe portato alla pazzia.

Stavano per iniziare il combattimento, quando Rufy emise una sorta di squittio, spostando lo sguardo da qualche parte dietro di lui. – Shanks!

Kidd borbottò un “non ci credo” che Rufy o ignorò o non sentì proprio, correndo a gambe levate verso l'istruttore. – Shanks, buongiorno! – gridò, sventolando una mano.

L'uomo sorrise allegramente, rispondendo con enfasi ai saluti di Rufy. – Ehi, Rufy, ti trovo bene!

– Shanks, lui è Kidd: ogni tanto si allena con me. – spiegò poi il ragazzino, facendo le presentazioni con aria solenne. – E io l'ho battuto quattro volte!

Kidd era troppo infastidito persino per correggerlo. Squadrò l'uomo dall'alto al basso con aria critica: non indossava nemmeno un'armatura, ma una semplice veste di cotone. Al fianco portava la sua immancabile spada, ma Kidd non era nemmeno sicuro che fosse vera: qualcuno l'aveva mai vista sfoderata? Infine, tanto per completare il quadretto, in testa portava quel suo immancabile cappello di paglia degno del peggiore dei contadini. E non se ne vergognava neppure! – Oh, è davvero un onore. – sibilò, strascicando le parole. – Forse il grande comandante Shanks il Rosso vuole farci l'onore di mostrarci come si combatte nei ranghi spartani? – domandò, ironico.

Rufy inarcò un sopracciglio. – Non serve parlare così forbito, sai? Shanks non se la prende se gli parli normalmente. Vero? – sorrise, allegro, e l'istruttore gli scompigliò i capelli.

– Davvero, Kidd, giusto? Non preoccuparti. Oggi non mi sento particolarmente in forma, quindi declino l'invito, ma sarei felice di vedervi lottare. – disse cordialmente.

Rufy lo fissava con adorazione. Kidd grugnì, stizzito: non che si aspettasse qualcosa di diverso. – D'accordo, abbiamo perso fin troppo tempo. In guardia, Rufy!

 

* * *

 

– … E il combattimento con Kidd è durato molto più del solito, continuavo a saltare, attaccare e schivare, come mi hai insegnato tu, e all'improvviso ecco che woooh, ero dall'altra parte del campo! A destra, a sinistra, affondo! Oh, è stato stupendo: si è fermata un sacco di gente a guardarci, davvero! Alla fine ho perso. Però c'ero andato vicino, anche Shanks l'ha detto! E comunque lo so a cosa stai pensando, quindi smettila di dare la colpa a Kidd. Non l'ha fatto apposta a ferirmi, e ti dico che non mi fa male! Probabilmente era un po' arrabbiato perché voleva continuare il combattimento corpo a... Ahia! Fa' piano, Ace!

Si trovavano in infermeria. Ace aveva recuperato un Rufy dal braccio sanguinante dalle parti della cucina e l'aveva trascinato di peso nella tenda dove venivano curate le ferite da taglio. Al momento si trovava impegnato nella Grande Operazione di curare il braccio di Rufy e farlo tacere nel frattempo. E se la prima parte si stava rivelando relativamente priva di complicazioni, beh, aveva ancora parecchio da lavorare sulla seconda.

– Rufy, sta' zitto! – sospirò, strizzando un panno bagnato sulla ferita. – Ma scusa, quello Shanks era lì a guardarvi?

Rufy gonfiò il petto con orgoglio. – Sicuro! Ha seguito tutto il combattimento.

– E non ti ha detto di, non so, andare a curarti? – proseguì Ace, sollevando un sopracciglio. Badare a Rufy era compito suo, e infatti cercava di occuparsi di lui al meglio delle sue forze: si assicurava che non mangiasse troppo, che frequentasse gente affidabile (Kidd e Law erano un'eccezione, ma poco importava), lo curava se si faceva male... e se Rufy era giù per un qualche motivo, allora lo portava nella foresta a guardare le stelle. Si prendeva cura di lui, come aveva promesso a Sabo... ma soprattutto perché Rufy era l'unico motivo per cui ancora andava avanti a sorridere, superando i sensi di colpa di una profezia avverata nel modo sbagliato.

Dopo quasi tre anni da quando si erano incontrati per la prima volta Ace poteva dire di conoscere Rufy alla perfezione, e conosceva anche la sua immensa propensione a cacciarsi nei guai. Ormai c'era abituato, davvero, poteva proteggerlo. Avrebbe solo gradito un minimo di collaborazione in più da parte delle altre persone, specialmente se erano persone in cui Rufy riponeva tanta ammirazione.

– Oh, ma Shanks me l'ha detto. Solo che ho pensato che non ce ne fosse bisogno... – Rufy si grattò la testa, imbarazzato. – Scusa, Ace, ti ho fatto preoccupare?

Il maggiore sbuffò, permettendo ad un leggero sorriso di affiorargli alle labbra. – Sì, scemo! La prossima volta curati subito, sono stato chiaro? Ok, ecco fatto. – concluse, terminando la fasciatura e scompigliandogli i capelli. Rufy rise.

– Senti, Ace. – disse saltando in piedi. – Perché non andiamo a trovare Shanks? Aveva detto che mi avrebbe raccontato una storia sui pirati, se fossi andato da lui... dice di averne incontrati tanti, ci pensi? Io non ho neanche mai visto il mare. non vedo l'ora, non vedo l'ora!

Il maggiore esitò un attimo. Non che quello Shanks gli stesse antipatico, o almeno, non del tutto. Aveva un certo non so che in grado di catturarti: forse era come parlava, o direttamente l'aura che emanava. La maggior parte dei ragazzi, Kidd compreso, lo trovava semplicemente un'idiota finito chissà come al comando. Ace non la vedeva così, sentiva che in quell'uomo c'era qualcosa di più. Poi sopportava Rufy, anzi, con lui andava d'amore e d'accordo. Era evidente che il bambino lo divertisse, e finché Rufy stava bene con lui, anche Ace lo considerava un tipo a posto.

Però... Però aveva qualcosa di strano. Forse era come lo guardava: quando quel comandante Spartano lo fissava, era come se al suo posto vedesse qualcun altro. Sembrava sforzarsi di ricordare qualcosa, e quando questo accadeva Ace sentiva una gran brutta sensazione.

– Ehi... tutto bene? – Rufy gli si avvicinò, preoccupato. – C'è qualcosa che non va? Se stai male dillo, da Shanks posso andarci un'altra volta, eh! In fondo il mare lo vedrò di sicuro quando diventerò un forte soldato Spartano, quindi...

Ace scosse la testa, sorridendo leggermente. – No, no, sto bene. Andiamo pure, non c'è problema.

 

* * *

 

Shanks il Rosso era all'accampamento da quasi un mese, ed era stato ufficialmente eletto da Rufy come “l'adulto più simpatico che abbia mai conosciuto”: un traguardo che a suo dire era molto ambito.

A onor del vero, Rufy si impegnava davvero tanto a compiacere Shanks in ogni cosa. Lo seguiva, lo osservava e lo imitava quasi in tutto. Era arrivato persino a difenderlo con convinzione davanti agli altri ragazzi, e in più di una situazione Ace era dovuto intervenire di corsa per evitare il massacro del suo fratellino.

Shanks, dal canto suo, sembrava seriamente affezionato a quel bambino tanto estroverso e pieno di vita. Era abituato a non essere propriamente apprezzato dai ragazzi: quel Rufy era davvero una sorpresa, in tutti i sensi. Ogni tanto Shanks si divertiva a stuzzicarlo, giusto per vedere cos'avrebbe fatto il bambino sentendosi preso in giro, e trovava le sue reazioni sempre esilaranti. Davvero, Shanks non aveva mai incontrato nessuno come lui.

E poi... c'era suo fratello, quello dall'espressione sempre distante che non sembrava mai aprirsi completamente. Shanks non poteva crederci, la prima volta che l'aveva visto. Insomma, era uguale a- ma non poteva essere così, andiamo: lui non c'era più da troppo tempo, ormai, e non poteva aver avuto un figlio. In più, Ace era fratello di Rufy, l'avevano messo bene in chiaro tante di quelle volte... e Shanks lo vedeva, insomma, non stavano fingendo. Eppure...

Quella mattina Shanks era appena uscito dal suo dormitorio quando si scontrò proprio con Rufy- casualità? Oppure il bambino era rimasto lì ad aspettarlo da chissà quante ore? Sorridendo, si scusò per averlo travolto.

– Tranquillo, non fa niente! Dove vai oggi? – chiese Rufy allegro, saltellando sul posto dalla curiosità.

Shanks ci pensò su per un attimo, poi sorrise. – Oggi? Oggi vado a portare la mia offerta al Tempio di Ares, nella foresta in cima alla collina. Di' un po', ti va di venire con me? – Godette nel vedere gli occhi del bambino illuminarsi. – A meno che, ovviamente, tu non abbia paura di attraversare il bosco...

Rufy gonfiò le guance, mortalmente offeso. – Scherzi? Io ho passato più notti in quel bosco di quanto tu non possa... Oh, ehm, cioè, prima di venire all'addestramento, perché non è che io scappi la sera con Ace per andare a guardare le stelle, non- Sì, vengo volentieri! – concluse, sfoderando un sorriso vagamente forzato ma ugualmente ampio.

Shanks rise, incamminandosi. – In questo caso d'accordo, vieni pure. Se usciamo adesso siamo di ritorno per pranzo! – Conosceva Rufy abbastanza bene per sapere che la parola “pranzo” poteva avere effetti miracolosi su di lui.

Rufy annuì con allegria. – D'accordo, andiamo! Sai che non sono mai stato fin laggiù? Com'è quel Tempio, è grande? Ed è vero che l'altare di Ares è fatto con ossa di elefante? Law dice che gli elefanti sono animali enormi, più alti dell'albero più alto della foresta, e che hanno delle zanne così lunghe che- oh, aspetta, per poco non mi dimenticavo! Devo avvisare Ace che vengo con te, se no magari mi cerca e non mi trova! – esclamò, colpendosi la fronte con una mano.

Shanks annuì. – È giusto. Corri, che poi andiamo!

Rufy sorrise di nuovo e schizzò via.

Corse per tutto l'accampamento, cercandolo inutilmente -ma perché non si trovava mai nessuno, quando si aveva fretta?- finché non andò a sbattere contro una figura conosciuta. – Oh, Torao! – lo salutò, leggermente affannato. – Hai visto Ace?

Il ragazzo inarcò educatamente un sopracciglio. – No, perché?
Rufy sbuffò. – Devo avvisarlo che vado nel bosco con Shanks. Ma è tardi! Per favore, glielo dici tu? – implorò, saltellando sul posto.

– Ma io in realtà-

– Grazie mille! Ci vediamo per pranzo! – gridò Rufy, già schizzato via. Law rimase un attimo interdetto, poi si strinse nelle spalle e riprese a camminare: certo che ne aveva di pretese, quel ragazzino.

 

* * *

 

– Eccomi, eccomi, eccomi! – strillò Rufy, raggiungendo Shanks di gran carriera. – Andiamo?

L'uomo reggeva una sacca che probabilmente conteneva la libagione per il dio, e sorrise vedendolo arrivare. – Ok, se sei pronto andiamo. – affermò, seguito da un Rufy decisamente su di giri che gli trotterellava di fianco.

– Sai, – iniziò il bambino una volta fuori, – di solito non ci fanno mai uscire. Non dico che io esca di nascosto, eh! Però, intendo, dopo un po' stare sempre chiusi lì è noioso. Quando diventerò il soldato più forte di Sparta istituirò una regola per cui i ragazzi hanno il diritto di uscire e andare dove gli pare almeno una volta a settimana. – rivelò, soddisfatto.

Shanks ghignò. – Il soldato più forte di Sparta, tu? Intendi competere con me, allora!

– Esattamente! – Rufy ridacchiò prima di dedicargli una linguaccia e di correre avanti.

– Al tuo istruttore! – tuonò Shanks, inseguendolo.

Rufy si limitò a ridere ancora più forte, continuando a correre. – Non mi raggiungerai mai! Io sono velocissimo, persino Ace dice che... Ahi! – senza guardare dove stava andando, Rufy inciampò e ruzzolò a terra. – Sono le radici che mi fregano. Che siano maledette. – borbottò, melodrammatico.

Shanks rise di gusto, raggiungendolo in tutta calma. – Allora, soldato più forte di Sparta. – lo apostrofò scherzosamente. – Vedo che ne hai di strada da fare...

– Ridi, ridi! – si lamentò Rufy, rialzandosi in piedi. – Vedremo chi ha ragione! Aspetta solo un paio di anni, e poi...

Continuarono a battibeccare in quel modo finché non arrivarono al Tempio, e sul serio, Shanks credeva di non aver mai visto un ragazzino così. Se Ace somigliava spaventosamente a lui nell'aspetto, Rufy aveva tutto il suo carattere. A volte parlava esattamente come lui! Era una cosa che metteva i brividi, a pensarci bene. Eppure, Shanks non ricordava di essere stato così bene da... insomma, da quei tempi.

– Ok, tu ora aspettami fuori. – ordinò quando furono davanti alla porta.

– Ma no! – si lamentò Rufy, battendo i piedi per terra. – Volevo vedere le ossa di elefante...

– Sono uguali ad ogni altro tipo di ossa. – tagliò corto Shanks, spingendolo fuori. – E poi non è detto che siano davvero di elefante, è una diceria. – puntualizzò.

– Però io...

– Su, ora stai qui fuori e non disturbarmi, intesi? Ho bisogno di stare lì dentro per un po', quindi fa che non entri nessuno! È il tuo compito. – precisò. Sapeva per esperienza che dare un compito, anche stupido, ad un bambino è un utile stratagemma per fargli fare quello che vuoi tu.

– Il mio compito, eh? – ripeté infatti Rufy, concentrato. – E va bene, sei stato fortunato: in qualità di futuro soldato più forte di Sparta, proteggerò questo ingresso! Tu entra pure e mettici tutto il tempo che ti serve. – dichiarò, orgoglioso.

Shanks sorrise. – Grazie. – fece per entrare, poi si fermò un attimo. – Ah, senti... mi faresti un favore? Tieni un po' il mio cappello: non posso entrare portandolo in testa. Però mi raccomando, fa' attenzione: ci tengo molto. – disse con solennità, togliendosi il cappello di testa e consegnandolo a un adorante Rufy.

– O-ok, lo tengo io. – balbettò il bambino, emozionato. – Vedrai, non gli succederà niente!

Shanks annuì, sorridendo. – Lo so. – mormorò. Poi si girò ed entrò nel Tempio.

 

* * *

 

Ace correva a perdifiato per tutto l'accampamento. – Ehi, ragazzi! – gridò, scorgendo la testa di Kidd e Law in fondo all'arena.

– Sì? Se stai cercando Rufy... – iniziò subito Trafalgar, ma Ace lo bloccò.

– No, sto cercando Shanks, in realtà. L'hai visto? – chiese con urgenza. Aveva il fiato grosso e un'espressione preoccupata nello sguardo.

Law inarcò un sopracciglio. – Non l'ho visto, però...

– Accidenti, è un guaio! Bisogna trovarlo prima che esca, è importante! – si lamentò Ace, facendo già per voltarsi.

– Aspetta! – Law alzò gli occhi al cielo. – Se mi lasciassi parlare... Mezz'ora fa ho incrociato Rufy; ha detto che usciva con il Rosso verso il Tempio sulla collina, e che sarebbe stato di ritorno per pranzo.

Negli occhi di Ace balenava qualcosa di più della preoccupazione, ora: un vero e proprio terrore. – N-non può essere... – rantolò, in preda al panico.

– E perché? Cosa c'è che non va? Se il moccioso è con Shanks non credo che... – iniziò Kidd grattandosi la testa, ma Ace lo interruppe.

– No, no, non va affatto bene! Sta girando la notizia, lo sanno già quasi tutti: c'è un famoso gruppo di banditi in giro per la foresta! Stanno preparando una squadra di ricerca, ma nel frattempo è meglio non... Shanks aveva detto in giro che sarebbe uscito per pranzo, si pensava che avremmo avuto più tempo... Oh, e Rufy è in giro per la foresta da solo con quel tipo! Per carità, Shanks è simpatico, ma da solo contro un gruppo di briganti... Io vado a cercarli! – gridò, voltandosi e prendendo a correre.

Law lo fermò, mettendogli una mano sulla spalla. – Ehi, aspetta un attimo! – ghignò. – Non vorrai fare tutto da solo, spero.

– Ho sempre sognato di poter sbattere in faccia al Rosso la sua incapacità, già ce lo vedo! – gli diede man forte Kidd. – E poi, oggi pomeriggio Rufy aveva deciso che ci saremmo allenati insieme. E se mi dà buca adesso, dopo tutto il tempo che mi ha fatto perdere continuando ad insistere...

– Veniamo con te. – concluse Law con decisione.

Ace li guardò per un istante, poi annuì e ghignò. – Andiamo.




















Angolo autrice:
E insomma... Che ve ne pare? Tanto per cominciare, la Kidd/Law. Ditemi se vi sono sembrati OOC, io ce li vedo tantissimo a farlo nei posti più impensati, la notte- salvo poi fare come se niente fosse, pf. Figuriamoci, loro? Ma quando mai?
Ho sempre pensato che uno col carattere di Kidd avrebbe potuto interagire al meglio con Rufy. Insomma, RUfy fa impazzire i più, quindi perché non fargli torturare un po' la nostra cara testa rossa? Con Law di sfondo che sogghigna soddisfatto, oh, ce li vedo tantissimo ^^ Perché poi alla fin fine Rufy sa farsi voler bene, anche se questo Kidd non lo ammetterebbe mai.
Ace... beh, immagino che abbia un po' superato la fase di massima gelosia appena Rufy si attacca a qualcuno, cioè, da Sabo avrà pur imparato qualcosa, no? È maturato, è cresciuto: non ostacola Rufy quando si avvicina a Shanks, eppure... prova una strana sensazione nei confronti del Rosso che lo guarda in modo strano, perché, COME NOI SAPPIAMO, Shanks vede in Ace qualcuno in particolare... Nel prossimo capitolo avremo forse dei chiarimenti su questo punto?
Ed ora, i banditi... si tratta, se interessa a qualcuno, del famigerato bandito "Dick" che appare nel primo manga, quello che prende in giro Shanks e gli rovescia la birra addosso. ED ORAAAA cosa succederà con Rufy là fuori a fare la guardia? Ace, Kidd e Law (asdfghj) arriveranno in tempo?
Grazie ancora a tutti quelli che recensiscono questa storia; un ringraziamento speciale va ad __Ace che si sta imbarcando nell'epica impresa di recensire tutti i capitoli arretrati: sei una persona stupenda e io non ti merito <3
Ci sentiamo presto, un bacione!
Vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Is it my fault? ***


IS IT MY FAULT?





Un salto... Ancora uno! Più piano, più piano... Girati! Alle spalle! Lo vedi da lontano... Attacca! Affonda! Ancora un colpo e vai... A destra, sopra, sotto! E vincer tu potrai! – Rufy rise, concludendo così quella specie di balletto sconclusionato. Era una filastrocca che gli avevano insegnato alcuni ragazzi più grandi, e la si sentiva spesso nell'accampamento. Ad ogni strofa erano accompagnati dei gesti particolari, e Rufy si divertiva tantissimo a mimarla tutta.

Insomma, andiamo, erano ore che aspettava! Ormai aveva esaurito la sua scorta di passatempi con cui occupare il tempo: di solito, arrivato a quel punto andava a cercare qualcuno con cui parlare... ma non poteva certo andarsene, no? Aveva il compito di presidiare l'ingresso del Tempio. Fino al compimento dei quindici anni lui non aveva il permesso di entrare, quindi non poteva nemmeno andare a vedere a che punto era Shanks... sbuffando, si lasciò cadere a terra e si rigirò il cappello di Shanks fra le mani. Non lo aveva messo in testa, anche se avrebbe voluto. Non gli sembrava giusto farlo se non era Shanks a dargli il permesso. Lo osservò con attenzione. Era un po' sfilacciato, ma complessivamente in buono stato. Tastò con esitazione un paio di volte la spessa striscia rossa, e la trovò davvero piacevole al tatto. Tutto di quel cappello gli piaceva, in realtà.

– Uffa... mi annoio. – borbottò più a se stesso che a qualcuno in particolare. – Dovevo portarmi dietro Ace. Oppure quel ragazzino, Coby. Coby però magari avrebbe avuto paura, meglio di no.– ragionò, alzandosi e camminando avanti e indietro. – E invece ci sei solo tu, Cappello di Shanks. – gli puntò un dito contro. – Perché il tuo padrone ci mette tanto? Eh? – lo fissò con intensità e severità, quasi aspettandosi che fosse il cappello a rispondere delle mancanze del suo possessore. Sospirò, cercando di farlo roteare su un dito come faceva spesso Shanks. – Mi annoio. – ripeté, corrucciato, perdendo poi la presa sul cappello e facendolo cadere poco lontano. Sconvolto dall'aver permesso che un tale tesoro toccasse terra, corse subito a raccoglierlo. – Mi spiace, mi spiace, mi spiace! – gemette, accucciandosi a terra e osservando il sottile velo di polvere che si era depositato sulla tesa del cappello. Lo raccolse delicatamente e fece per spolverarlo, quando...

– Ehi, guardate! Moccioso, che ci fai qui da solo? È pericoloso vagare nel bosco senza un adulto, sai...

Rufy alzò la testa di scatto, preoccupato. Erano... banditi, quelli? No, lui non era preoccupato. Era un soldato spartano, cioè, quasi. Comunque gli Spartani non si facevano spaventare da simili sciocchezze. Aveva un coltello, nella cintura. E se quei banditi volevano disturbare Shanks... lui aveva un compito!

– Andate via! – ordinò, perentorio. Alcuni dei banditi risero, mentre il più alto e forte -probabilmente il capo- gli si avvicinò, spaventosamente grande e imponente.

– Ma tu guarda, sembri molto sicuro di te... – lo prese in giro, squadrandolo dall'alto in basso. Rufy fece per alzarsi in piedi, ma l'uomo lo schiacciò con una scarpa al suolo. – E resta lì, che i poppanti mi infastidiscono!

Rufy lo fissò con disprezzo. – Io non sono un poppante! – sbraitò. – Io sono il futuro soldato migliore di Sparta, aspetta e vedrai! – disse senza un filo di esitazione.

L'uomo rise, schiacciando ancora di più Rufy col piede. Il bambino gemette -solo un po', solo un attimo- prima di stringere i denti e resistere. – Non mi fai male. – mugugnò. – Non mi fai male per niente. – Il suo sguardo corse al cappello di Shanks che teneva tra le mani. Non poteva lasciare che lo prendessero, non...

– Capo, c'è qualcuno nel Tempio! – gridò un altro bandito, fuori dalla porta. Il capo ghignò, distogliendo la sua attenzione da Rufy e posandola su quello che aveva parlato. Il bambino rantolò -solo un po', solo un attimo- e si risollevò traballante in piedi.

– Non potete entrare. – mormorò, lo sguardo acceso di determinazione. – Non potete entrare! – gridò un po' più forte, stringendo al petto il cappello di Shanks.

Il bandito si voltò lentamente verso di lui, ghignando. – Ah, no? E di' un po', Moccioso, sarai tu ad impedircelo?

Rufy annuì con forza. – Non mi fai paura! – lo sfidò. Anche Ace diceva sempre così. Non mi fai paura, nonostante spesso l'avversario fosse più forte e più grande di lui. E lui era forse meno forte di Ace? Cioè, sì, ma non era quello il punto.

Ace non verrebbe mai meno ad un compito del genere!, ragionò Rufy, deciso più che mai a non farlo entrare nel Tempio. – Non mi fai paura e non ti faccio entrare. – chiarì poi, piazzandosi a gambe larghe davanti all'ingresso del Tempio. Non era un edificio molto grande, in realtà, ma curvava in modo che da lì Rufy non potesse vedere dove si trovava Shanks. Si ritrovò a sperare che facesse in fretta, dopodiché si diede dello stupido. Shanks non doveva vedere come faceva fatica a svolgere il suo unico compito.

– Ah, è così? – Quello sguardo non gli faceva paura, a-assolutamente no.

 

* * *

Ace aveva una brutta sensazione. Era lì, alla base dello stomaco, e non voleva sapere di andarsene via. Continuava a ripetersi che Rufy stava bene, doveva stare bene, perché era con Shanks, e andiamo, per quanto strano che fosse quell'uomo era un comandante, no? Sarà ben stato in grado di proteggere un bambino come Rufy, anche se un gruppetto di banditi come quello che si aggirava nella foresta. Eppure... Niente da fare: quella brutta sensazione proprio non se ne andava.

– Ace, la strada è lunga. Correre adesso ti farà andare più piano dopo. Cammina e basta. – cantilenò Law, annoiato.

– Scusa, sai, se mio fratello è da solo in mezzo ad una foresta dove... – attaccò Ace, stizzito.

Kidd agitò la mano, alzando gli occhi al cielo. – Ho capito che sei preoccupato, e va bene, davvero! Con quella peste bisognerebbe avere mille occhi, però seriamente, la stai prendendo troppo pesante. Piuttosto... chi ci dice che i briganti invece non li incontriamo noi? – i suoi occhi brillarono di una certa luce che inquietò vagamente Ace. Law invece ghignò esattamente allo stesso modo, e Ace si chiese con vaga preoccupazione se non fosse il caso di proseguire da solo.

– In quel caso, Eustass-ya, immagino che dovrai farti da parte e lasciare che io risolva la questione. Non mi ci vorrà più di un minuto. – commentò Law, in un evidente tentativo di canzonarlo e fargli perdere le staffe. Tentativo pienamente riuscito,  secondo il parere di Ace.

– Stai scherzando! – sbraitò infatti Kidd. – Se quei figli di puttana saltano fuori voi due ve ne state buoni a guardarmi fare piazza pulita, punto e basta!

Law lo ignorò candidamente, rivolgendosi a Ace. – Per quanto riguarda Rufy, sta' tranquillo. Non è detto che i briganti l'abbiano trovato. E se anche fosse, perché dovrebbero attaccare un bambino?

– Ok, però... – mormorò, rallentando leggermente il passo. Erano appena partiti, e sapeva che non ci avrebbero messo meno di mezz'ora, anche camminando molto velocemente. E in mezzora... quante cose potevano succedere?

E mentre Kidd urlava a Law di non ignorarlo, e quello si limitava a ghignare con supponenza, Ace ordinò alla sua brutta sensazione di lasciare la sua pancia all'istante.

Ma quella rimaneva lì, silenziosa e ineluttabile. Ace accelerò il passo.

 

* * *

 

Il sangue sgorgava dalla sua guancia e non voleva saperne di fermarsi. Rufy cercò in tutti i modi di non sporcare il cappello di Shanks, e sperò di avercela fatta. In realtà non ci vedeva molto bene.

– Adesso come la mettiamo, Microbo? Ci fai passare o no? – sghignazzavano i briganti.

Rufy fece un traballante passo avanti, premendo una mano sulla guancia. – No... e... poi... no! – si intestardì, fissandoli con odio. – Il mio compito è non fare entrare nessuno, me l'ha detto Shanks! – esclamò con furia. Non poteva permettersi che Shanks lo ritenesse un debole, assolutamente!

– Shanks? Intendi Shanks il Rosso? – chiese subito il capo dei banditi, quello di nome Dick. – Il famoso comandante? -- c'era un che di sarcastico nelle sue parole.

Rufy annuì piano, incerto. – È il mio compito. Me l'ha detto lui. Non devo... non devo fare entrare nessuno. – usciva tanto sangue. Tanto, tanto, tanto, tanto. Ma non faceva male, eh! Era peggio quando Teach lo aveva colpito. Ed era peggio quando Ace non voleva essere suo amico.

Dick rise. – E tu stai rischiando la pelle per un fallito simile? Dai, scommetto che ora si trova lì dentro! Ragazzi, abbiamo una preda facile, oggi! – risero tutti insieme, e Rufy sentì di odiarli.

– Smettetela! – gridò, arrabbiato. – Shanks è fortissimo, voi non capite niente! E lui... mi ha detto di... -- fece un gran sospiro. No, non sentiva male proprio da nessuna parte. -- Mi ha detto di non far entrare nessuno, quindi non entrate!

Era un ordine. L'aveva pronunciato come se fosse un ordine, senza un minimo di implorazione o di paura. Dick lo trovava estremamente irritante. – Dici davvero? – sibilò, avvicinandosi a passo pesante. – Non dovrei entrare? E saresti tu a fermarmi, immagino... – il bambino annuì con forza. – Non ti è bastato il graffio che ti ho fatto in faccia? – ghignò di nuovo l'uomo, sadico.

– Non mi fa male. – ripeté per l'ennesima volta Rufy, testardo. Dick lo stese con un calcio, schiacciandogli la testa contro la terra polverosa.

– Non ti fa male neanche adesso, piccoletto? – soffiò, ghignando.

– N-noo... – balbettò Rufy, ansante. Dick rise, ordinando agli altri uomini di entrare. Il terrore era leggibile negli occhi del bambino, che però non perse la testa: estrasse in fretta un corto pugnale e lo ficcò con decisione nella gamba dell'uomo, riuscendo a liberarsi. – Ho d-detto... – balbettò, la faccia tutta sporca di sangue e polvere, – … che non puoi... passare... – continuò, reggendosi a malapena in piedi. Uno sguardo al cappello lo rassicurò delle sue condizioni.

Dick si teneva la gamba in un lago di sangue, e lo fissò con odio. – Tieni così poco alla tua vita, pulce? – mormorò con odio. -- Desideri proprio morire, è così?

Rufy scosse la testa. – Non è vero. Io voglio tornare da Ace, stasera. – disse come se fosse ovvio. – Solo che devo rispettare il mio compito. E...

– … E devo dire che te la sei cavata egregiamente. – completò una voce dietro di lui.

Rufy spalancò gli occhi, emozionato. – Shanks! – gridò, felice.

L'uomo sorrise, poggiando la mano sui capelli di Rufy e scompigliandoli gentilmente. – Grazie per avermi tenuto il cappello. Sei stato bravo. – disse sorridendo, prendendogli l'oggetto dalle mani e calcandoselo in testa. – Ora resta pure lì seduto, ok?

Rufy non aspettava altro, e si lasciò cadere a terra, respirando piano. Non che la faccia gli facesse male, solo... No, andava tutto bene. C'era Shanks, adesso.

 

* * *
 

– È qui, Ace, li ho trovati! E... ok, è meglio se mi date una mano. – Kidd osservava la scena con un misto di disgusto e ammirazione: giacevano a terra almeno una ventina di banditi di montagna, tutti in condizioni più che pietose. Quello che era evidentemente il loro capo era sdraiato a terra in una pozza di sangue, e brandiva ancora una spada totalmente intrisa di quel liquido rossastro. Lì davanti, un Rufy disperato piangeva tra le braccia di Shanks il Rosso... ma era Kidd che non ci vedeva più bene o...

Ok, questo cambiava un po' tutto. Se Kidd fosse stato il tipo di persona che si ricrede sul conto di qualcuno, in quel momento si sarebbe dovuto ricredere sul conto di Shanks il Rosso. Perché far fuori tutta quella gente con un braccio...

– Dove? – chiese subito Ace, quasi gridando. Lui e Law stavano perlustrando la zona intorno, e lo raggiunsero in un istante. – Rufy... – mormorò poi, mordendosi un labbro. Perché la faccia di Rufy era così sporca di sangue? Cos'era successo?

– A-Ace... – balbettò Rufy, sollevando lo sguardo. – N-non sono stato capace di... non ho... mi veniva addosso, e... n-non riuscivo a... a muovermi! – balbettò, rimettendosi a piangere. – E adesso... Shanks, oh, il t-tuo...

E Ace comprese la terribile verità negli occhi colpevoli del fratellino, nella camicia di Shanks sporca di sangue, nella spada del capo dei banditi e in quel grumo di carne dove doveva esserci il braccio di Shanks. L'uomo sorrise e basta, limitandosi a stringere Rufy con l'unico braccio rimasto e a farsi inondare dalle sue lacrime. – Va bene lo stesso, Rufy. Ne ho... ne ho due, no?

Rufy pianse ancora più forte, e Ace gli si avvicinò piano. Kidd e Law lo seguirono da dietro. – Vi riportiamo all'accampamento. – dichiarò il ragazzo, serio. – Dovete essere curati, tutti e due.

Shanks lo guardò fisso, e Ace sentì l'impellente bisogno di scappare via. Perché sarà per il dolore, sarà per la stanchezza... Shanks lo fissava in un modo che non gli piaceva. – Roger... – mormorò l'uomo, fissandolo negli occhi.

Era un sussurro così fioco che Ace poteva averlo immaginato. Doveva averlo immaginato. Andiamo, non era possibile che... – Noi prepariamo qualcosa per trasportarli. – si offrì Law, mentre Kidd sbuffava.

– Devi sempre parlare per me, Trafalgar. – lo sentì lamentarsi Ace mentre si allontanavano.

– Dillo e basta che non vedevi l'ora di lottare con Rufy e sei arrabbiato perché non l'hai fatto. – lo canzonò Law. – Ti dovrai accontentare di me...

– Che palle.

– Zitto e arrampicati a prendere quel ramo.

– Perché io?

– …

– Ok, andata, però fa che sia quando Rufy non può vederci, altrimenti...

Ace scosse la testa, sedendosi semplicemente vicino a Rufy. Sentiva la spalla premere contro la sua, e assorbiva tutti i suoi singhiozzi. Un po' impacciato, gli posò una mano sulla testa. Rufy non smise di piangere, ma i singhiozzi diminuirono un po'.

 

* * *

 

– Devo parlarti. – esordì Ace, entrando in infermeria.

Rufy stava sdraiato a parlare con un chiunque gli capitasse a tiro, in quel momento un ragazzino dall'aria spaventata di nome Coby che schizzò via appena vide Ace.

Shanks invece riposava piano qualche posto più avanti: il moncherino che gli era rimasto al posto del braccio era così impressionante che Ace distolse lo sguardo.

– Ciao, Ace! – sorrise Rufy nel vederlo. – Io sto bene, hanno detto che non è grave, cioè, non mi fa più male sorridere. – lo informò il bambino, sostenendo la sua tesi con un sorriso quasi più enorme del solito. – Però pare che mi resterà una cicatrice! Sì, proprio così, una cicatrice molto grande sotto l'occhio, poi se vuoi puoi vederla!

Ace sospirò piano, sedendosi sul suo giaciglio. – Rufy... Shanks ti ha salvato?

Il bambino esitò un attimo prima di annuire. – Sì. – disse a voce quasi inudibile. – Shanks ne aveva atterrati tanti, era così forte e veloce che non te l'immagineresti mai! Cioè, è più forte di tutti gli allenatori che abbiamo qui messi insieme, dico davvero! Non combatte spesso perché... dice che è inutile, se non c'è un buon motivo. Ad un certo punto però, quello... il capo... stava per uccidermi. Mi veniva addosso. Shanks si è messo in mezzo e... il suo braccio... – singhiozzò piano, ma tentò comunque di mascherarlo con un colpo di tosse. – Ace... È c-colpa mia?

Il maggiore lo fissò negli occhi. – Non è una colpa lasciarsi proteggere. – dichiarò. – È peggio non farlo. – cercò di infondere in quelle parole più forza possibile, perché sapeva che da quello che stava dicendo dipendeva molto. Non voleva che Rufy vivesse per tutta la vita con un senso di colpa che non meritava. – Tu sei forte, ma andiamo, contro tutti quei banditi... Non è colpa tua. Tra cinque o sei anni, vedrai che li sbaraglierai tutti anche tu!

Rufy ridacchiò, triste. – Tu li avresti fatti fuori adesso.

Inutile negare, pensò Ace con un sorriso soddisfatto, orgoglioso e anche un po' vanitoso. – Senti, però, Rufy... dovevo dirti una cosa. – sospirò. Doveva farlo. Che Shanks avesse detto quel nome... beh, era un segno. Doveva dirglielo, punto e basta. – Hai mai sentito parlare di... Gold Roger? – chiese, esitante.

Rufy inarcò le sopracciglia. – Dici... il famoso Spartano che tipo ha lottato insieme agli Ateniesi? Nonno Garp a volte mi parlava di lui. Diceva che era una persona strana... – ridacchiò. – Beh, non c'è niente di male, no? Alcuni lo chiamano traditore, dice il nonno. Perché ha combattuto con gli Ateniesi e ha sposato una di loro, no? In pratica, nonno dice che è un po' odiato sia dagli Spartani che dagli Ateniesi. L'hanno ucciso loro... gli Ateniesi, dico, l'hanno ucciso loro. Ma c'è una cosa: sono tutti sicuri sul fatto che sia stato il più forte soldato Spartano di tutti i tempi. Era il più forte di tutti! Sì, quindi diciamo che voglio diventare come lui! – concluse, sfoderando un enorme sorriso. – Perché me lo chiedi, Ace? … Ace, stai bene? Ace, se non stai bene io... Ace... -- Rufy esitò un istante, poggiando la mano su quella del fratello. -- Piangi?

– Non sto piangendo, Rufy. – disse Ace sollevando la testa. E davvero, nei suoi occhi c'era una tale luce che è impossibile descriverla a parole. – Sono solo felice.

Da qualche parte dietro di loro, Shanks sorrise.

– Rufy... vedi, in realtà mio padre...

 

* * *
 

– Ace...

– Sì?

– Shanks è andato via.

– Tutto qui? Lo so, lasciami dormire.

– Ace...

– Sì?

– Guardami.

– …

– Come mi sta?

– Ma... Rufy! È il suo cappello, quello?

– No. È una promessa.














































Angolo autrice:
E ce la fa! Davvero, scusatemi, aggiorno sempre più tardi.
Allora... beh, diciamo che i miei tentativi di staccarmi un po' dal canon vanno di pari passo con la mia dieta. Della serie "comincio domani", mmmh.
Comunque sia... la canzoncina di Rufy. Ho letto una cosa del genere in un libro ambientato più o meno in quel periodo e mi sono detta massì, inventiamone una anche noi. Perdonate la pateticità delle rime, come dire, in queste cose faccio paura. E sì, Kidd si è dovuto ricredere su Shanks, anche se temo che sarà dura che lo ammetta xD E Ace... gliel'ha detto. A Rufy. Gli ha raccontato di essere figlio di Gold Roger, una cosa che non aveva mai avuto il coraggio di dire a nessuno. Come Rufy spiega le cose davvero è un mistero, ma non temete: la storia di Roger verrà chiarita in seguito. Vi ringrazio di cuore per le recensioni che continuate imperterrite a lasciarmi: scusate se non rispondo subito a tutte, a breve finirò, promesso!
Grazie anche a chi preferisce, ricorda, segue e legge soltanto: non merito nessuno di voi, davvero :3
Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Tre anni dopo ***


– Ciao, Ace! Fa' buon viaggio! Ci vediamo, d'accordo? – Rufy si sbracciava dalla porta dell'accampamento, osservando il fratello maggiore allontanarsi lentamente.

Erano passati cinque anni dal giorno in cui Rufy aveva ricevuto quel cappello che aveva sancito la sua promessa solenne, cinque anni da quando Shanks se n'era andato, cinque anni di sudore, fatiche, allenamenti e sorrisi. Rufy era cresciuto, e Ace anche: i continui allenamenti a cui si erano sottoposti avevano reso i loro fisici forti e slanciati, Ace soprattutto. E ormai era tempo che partisse per la guerra.

Qualche anno prima era stato il turno di Law, subito dopo Kidd lo aveva raggiunto in un'operazione che aveva poi avuto un successo strepitoso. E adesso, dopo tanta attesa, dopo tanti sforzi... Ace era pronto, ce l'aveva fatta: stava partendo.

Rufy si sbracciava per salutare il fratellone che era stato assegnato ad un'unità lontana, al confine Nord. Si mostrava felice, entusiasta, e in parte lo era davvero: per Ace, in fondo, quello era un sogno che diventava realtà. Avevano passato sei anni in quel campo ad addestrarsi, dopotutto, e ormai combattere contro dei manichini impagliati non bastava più.

Eppure, se Ace si trovava ormai pronto per partire, Rufy non lo era ancora. E non era preoccupato perché Ace venisse ucciso, no – Ace era forte –, ma piuttosto del fatto che da quel momento in poi le loro strade si sarebbero inevitabilmente divise. Ma era giusto così, eh! Ace avrebbe avuto il suo battaglione, Rufy il suo. Se poi si fossero incontrati, beh, meglio, ma... ma la loro vita insieme finiva quel giorno. Non avrebbero mai più trascorso le giornate fianco a fianco, condividendo ogni cosa (o almeno non fino ai giorni della vecchiaia, ma a questo tendevano a non pensare). Dopo sette anni passati vivendo a stretto contatto ogni singolo giorno, per Rufy era difficile immaginare una vita senza la costante Ace al suo fianco.

La notte prima, questi sentimenti stavano per sopraffarlo. Incapace di trattenersi, aveva chiesto a Ace di andare con lui a vedere le stelle.

– Davvero? Come quand'eravamo piccoli?

– Come quando c'era Sabo.

Col tempo, effettivamente, le loro uscite si erano fatte più sporadiche, limitandosi a cacciare animali e a combattimenti notturni più che vere e proprie notti passate e guardare le stelle sdraiati sull'erba. Eppure, quella notte, Ace non aveva replicato (possibile che avesse capito?), e al calare della sera erano sgattaiolati verso la foresta.

– Sono davvero tante, eh? – aveva commentato Rufy, sorridendo sognante. – Quanti ricordi, eh, Ace?

Il maggiore aveva sorriso, arruffandogli i capelli come ormai non faceva da tempo. – Già... Sai una cosa? Da piccolo non guardavo mai le stelle. Non l'avevo mai fatto, prima di... prima di conoscere te. E poi Sabo.

Rufy aveva sorriso ancora di più, allegro. – È il nostro segno, vero? Quando guadiamo una stella cadente, c'è anche Sabo che la guarda con noi. Ha promesso. E, Ace... – il suo tono si era fatto improvvisamente più sommesso, e lo sguardo più cupo. – Prometti di guardarle anche... dopo? Cioè, domani parti, e...

– Rufy...

– E ti prego, non dimenticarti di me, ok? Anche se incontrerai dei compagni più forti e ti dirai che gli allenamenti con me erano delle stupidaggini in confronto, e se i tuoi compagni di tenda mangeranno pochissimo e non dovrai lamentarti, in ogni caso tu non ti dimenticherai di me, vero? Guarderai lo stesso le stelle, vero?

Ace aveva sospirato, trattenendo un sorriso. Anche lui aveva tutti quei dubbi, naturalmente, e forse anche di più. Prima dell'arrivo di Rufy, la sua vita era stata letteralmente indegna di essere vissuta. Che senso aveva alzarsi tutte le mattine con la consapevolezza di essere un mostro, uno sbaglio? Poi, ecco che con la sua energia e la sua testardaggine era apparso Rufy. Era merito suo se ora aveva la possibilità di partire come soldato Spartano, era grazie a lui che aveva conosciuto Sabo. E grazie ai suoi fratelli aveva finalmente imparato a rivalutare la sua stessa esistenza, e poi a sopportare il peso di una profezia che, avverandosi, gli aveva portato via una parte di sé. Ma se era andato avanti era solo perché Rufy aveva bisogno di lui. Come se la sarebbe cavata, ora? Ace sentiva di doverlo proteggere, ancora, ancora, ancora, finché avesse avuto fiato in corpo il suo compito doveva essere quello: proteggere suo fratello. Come avrebbe potuto farlo, da lontano? Se a Rufy fosse successo qualcosa...

Ma suo fratello era forte, e in un modo o nell'altro era capace di farsi benvolere da tutti. No, forse Ace temeva, come Rufy, di essere dimenticato... ma se il suo fratellino credeva che il ricordo di una simile peste potesse essere rimosso tanto in fretta, si sbagliava di grosso! E stava a lui rassicurarlo: era o non era il fratello maggiore?

– Mi spieghi come ti vengono certe idee? – aveva domandato, lo sguardo che brillava nell'oscurità. – Tu ti dimenticherai di me, anche senza vedermi?

Rufy scosse la testa con decisione, e Ace si sentì interiormente meglio. – E allora come pensi che possa farlo io? Se può farti sentire meglio guarderò le stelle ogni notte, lo sai. E non fare quella faccia: sono io quello preoccupato, qui! Chissà in che casini andrai a cacciarti, quando non ci sarò...

– Non preoccuparti: io sono forte! – aveva subito ribattuto Rufy, gonfiando il petto con orgoglio.

Lo so. Lo so meglio di chiunque altro, è solo che... sei il mio fratellino, Rufy. Non te lo dimenticare. – Lo so. E tra tre anni potrai partire anche tu, raggiungere il tuo battaglione e lottare al fianco di tutti i più forti guerrieri spartani. Però devi allenarti ancora un po', altrimenti con che faccia di presenterai davanti a Shanks?

Rufy aveva riso dandogli ragione, ed entrambi si erano sentiti come liberati da un peso opprimente, che gli impediva il respiro. In quell'istante una folgorante stella cadente illuminò il cielo, ed entrambi ebbero la netta sensazione che Sabo stesse ridendo con loro.

Ecco perché in quel momento Rufy riusciva a sbracciarsi salutando suo fratello con un sincero sorriso che gli aleggiava sul volto: ormai aveva la certezza che Ace non lo avrebbe dimenticato.

Il maggiore si voltò indietro un'ultima volta e rispose sorridendo con un cenno della mano ai saluti entusiasti del fratellino; poi girò l'angolo e Rufy non lo vide più.

 

* * *

 

 

 

Caro Rufy,

come stai? Immagino che ti starai facendo leggere questa lettera da qualcun altro, visto che le tue conoscenze in fatto di lettura sono davvero minime. Io ho imparato solo di recente, me l'ha insegnato un mio amico... poi ti racconto. Quanto tempo che non ci vediamo, eh? Sono passati già più di tre anni! Sei partito da pochissimo, tu, ma le notizie volano: è vero che sei in battaglione con quel famoso cacciatore di taglie, Roronoa Zoro? Ho saputo che è merito tuo se ha deciso di entrare in un battaglione invece di continuare a vivere da ramingo, per un certo periodo non si è parlato d'altro.

Visto che tra qualche settimana passerete dalle parti di Sparta (me l'hanno detto alcuni messaggeri che passavano di qua) e noi ci troviamo nei paraggi, ho pensato di lasciare questa lettera da tuo nonno Garp. Immagino che sarà felice di vedermi. Cioè, lo spero. In ogni caso affiderò la lettera a lui, nella speranza che tu la riceva.

Come te la passi? Spero che tu e Roronoa vi troviate bene: ho sentito che è un tipo un po' ombroso e cupo, ma conoscendoti sarai già riuscito a trascinarlo in un milione di imprese spericolate. Come ti è saltato in mente di attaccare la base di Arlong, quell'eccentrico comandante Ateniese che vive su quell'isola sperduta? È davvero tipico da parte tua. Ho sentito che l'avete fatto fuori in quattro, partendo senza il permesso dei superiori, e che poi ti sei addossato tutta la colpa. Ti darei dello stupido, ma tutto quello che riesco a fare è scuotere la testa con un sorriso incredulo, Marco dice che sembro un idiota. Di Marco ti parlerò dopo, ok? Ah, se quei tipi, mi pare che si chiamassero Jhonny e Yosaku, non stavano mentendo... c'era di mezzo una ragazza. Chi è, la tua fidanzata? Guarda che prima devo approvare io, altrimenti non se ne fa nulla.

Che altro? Ah, già: ho incontrato Shanks, qualche mese fa. Passavamo vicino a dove era accampato il suo battaglione, quindi ho pensato di fare un salto. È praticamente uguale a quando l'abbiamo lasciato, ha solo qualche cicatrice in più in viso. È sembrato felice di vedermi, mi ha chiesto un sacco di cose su di te.

Sai, mi sembra di vederti. Scommetto che stai continuando a ripeterti quando inizierò a raccontarti come me la passo. Avrai sentito che sono entrato nel battaglione del comandante Barbabianca, vero? Insomma, all'inizio non è che mi andasse molto a genio, poi però ho capito che è un tipo a posto. Questo battaglione è confusionario e rumoroso, sono sicuro che ti piacerebbe da morire: siamo... una specie di famiglia, capisci? In parole povere, sono tutti pazzi.

Le persone con cui passo più tempo in assoluto sono poche: Thatch, Izou, Vista, e soprattutto Marco. Ti ricordi di loro? Per un certo periodo sono stati all'accampamento insieme a noi, il primo anno in cui ci trovavamo lì. Immagino di sì, perché tu praticamente conoscevi tutti. Sono stati gentili con me, all'inizio, e ora li considero persone davvero importanti. Abbiamo combattuto insieme tantissime volte, e dovresti vederli, sono fortissimi. Marco è uno stratega nato: se Barbabianca ha bisogno di un piano tattico per sorprendere l'avversario è a lui che chiede. Dicono che sia il più forte di tutto il battaglione, perché quando ci si mette è davvero una furia. Poi (c'erano dubbi?), ma solo perché Marco è qui da più tempo.

Lui è... come dire, è davvero una brava persona. Non si arrabbia, sorride sempre, è paziente all'inverosimile ed è il primo che mi si è avvicinato quando ancora ero nuovo, qui. E non ridere, ok? È solo che... è una brava persona.

Insomma, poi Marco è gentile con tutti. Davvero, non so come spiegarmi (ma lo sai da quanto sono qui a scrivere? Mi fa male la mano). Pensa che è stato lui ad insegnarmi, giusto qualche mese fa. Marco legge tantissimo, praticamente è l'unico che lo sa fare, ma non se n'è vantato neanche una volta.

Mi piacerebbe presentartelo, sono sicuro che andreste veramente d'accordo.

Noi ci stiamo muovendo verso Pilo, per liberarla dall'occupazione ateniese. Ho sentito che verranno inviate laggiù altri due battaglioni, è possibile che veniate voi. Ti immagini se ci vedessimo laggiù? Mi manchi, fratellino, ma ho come l'impressione che tu stia bene. Basta questo a farmi tranquillizzare, sai? E prima che tu me lo chieda, sì: guardo le stelle quasi ogni notte. Thatch ride e mi prende in giro, Marco invece a volte viene con me, si sdraia lì vicino e sta zitto. Quando passa una stella cadente e sorrido, non chiede perché. Però lo vedo che sorride anche lui.

E niente, è tutto. Stammi bene!

Tuo fratello

Ace

 

* * *
 

– Zoro! Sanji! Ragazzi! È successa una cosa strepitosa, bellissima, sensazionale!

Un piccolo terremoto rosso fece irruzione nella tenda che avevano appena sistemato. Sanji alzò la testa, sollevando un sopracciglio, e Zoro, che stava dormendo appoggiato ad una parete, aprì un occhio. – Che succede?

– Non ci crederete mai! – affermò il ragazzino, sfoderando un enorme sorriso. – Mi ha scritto! Ace, mio fratello Ace, mi ha scritto una lettera! – rivelò poi, sventolando con euforia un foglio tutto stropicciato riempito con una fitta calligrafia leggermente incerta.

Sanji lo guardò, scettico. – Hai un fratello? – chiese.

– Non ve l'ho mai detto? Si chiama Ace. – rivelò Rufy, allegro.

– Ace? Quell'Ace? – chiese una voce da fuori dalla tenda. Un ragazzo dal naso assurdamente lungo fece capolino nella tenda, vicino ad un ragazzino più giovane. – Quello del battaglione di Barbabianca? Quello che ha lottato contro Jimbe di Atene per cinque giorni di fila? Quello che quando combatte sembra una furia di fuoco e fiamme che...

Rufy annuì con orgoglio. – Sì, è lui. – confermò. – E mi ha scritto una lettera! Quanto tempo è passato...

Zoro si alzò e gli si avvicinò. – Tu sai leggere? – domandò, curioso.

– Un po'. Insomma, ho capito quello che c'era scritto. Sapeva di te, Zoro! Ha scritto il tuo nome. E sapeva anche di Arlong e di Nami. Ha detto che quello che abbiamo combinato era tipico da parte mia. Oh, davvero non ve ne ho mai parlato? Siamo stati per sei anni nello stesso campo d'addestramento, quello a Sparta. – Sanji, Zoro e Usop e Chopper venivano infatti da un accampamento minore, quello di Corinto.

Zoro sbuffò, trattenendo un sorriso. Se conosceva Rufy, sapeva che non sarebbe stato soddisfatto finché non gli avrebbe raccontato tutto. E infatti...

– … e pare che abbia fatto amicizia con un ragazzo, si chiama Marco. Io me lo ricordo vagamente, aveva i capelli assurdi ed era sempre molto gentile. Sono felice, avevo paura che se ne stesse troppo sulle sue... Ha lasciato questa lettera da mio nonno, sono appena stato a trovarlo! Non posso crederci, è passato tanto di quel tempo! – concluse, buttandosi sul suo giaciglio con un sospiro soddisfatto.

I suoi compagni di stanza non poterono fare a meno di essere felici per lui. Rufy era così: riusciva a trasmettere loro il suo stato d'animo senza difficoltà, senza una ragione particolare. Tutti loro avevano alle spalle una storia difficile, nessuno escluso. Ma Rufy aveva cambiato tutto, iniziando a trascinarli in una serie di spericolate avventure di cui lui era il capo indiscusso. Ma andava bene lo stesso, finché erano insieme e ridevano e scherzavano come se non avessero fatto altro per tutta la vita. Con loro c'era anche Nami, la ragazzina ladra che li aveva seguiti da Arlong Park fino a Sparta e che andava a trovarli regolarmente (di norma le donne non erano ammesse nell'accampamento, ma lei faceva eccezione). Insomma, erano una specie di piccola ciurma sgangherata, e a loro andava bene così.

Rufy si alzò di scatto e si mise a frugare in giro. – Devo subito rispondergli! Qualcuno ha dell'inchiostro? E una pergamena, magari? Non sono ancora troppo lontani, nonno ha detto che se affido la lettera ad un messaggero potrebbe fargliela avere entro un paio di settimane!

– Rufy, calmati! – cercò di fermarlo Sanji, prevedendo già la distruzione della loro tenda. Ci avevano messo quasi quattro ore per montarla: tra Usop che scappava terrorizzato al minimo “rumore sospetto” proveniente dalla foresta circostante, Chopper che continuava a scusarsi per ogni cosa, lui e il Zoro che litigavano per ogni minima incomprensione e Rufy che invece che aiutare ingarbugliava la tenda ancora di più, già era un miracolo che stesse in piedi. Era possibile che il merito fosse di Nami e dell'aiuto che aveva apportato introducendosi segretamente all'interno dell'accampamento, ma era difficile che lo ammettessero tanto facilmente.

Il succo del discorso era che, prima che Rufy la disintegrasse alla ricerca di un calamaio e di una pergamena che non c'erano, bisognava trascinarlo via. – Ovvio che non ne abbiamo, Rufy! Nessuno di noi sa leggere. – cercò di farlo ragionare. – Piuttosto, dove sarebbe ora tuo fratello?
Rufy si grattò la testa. – Mi pare... mi pare che stia andando a Pilo, perché?
– Perché sei hai tempo di aspettare due settimane, allora evita pure di scrivere una risposta. – sogghignò Sanji. – Il nostro battaglione si sta dirigendo proprio lì.

 





















Angolo autrice:
Ok, due righe veloci perché devo proprio scappare. Seriamente, ho avuto la settimana più occupata della storia, e volevo scrivere stasera, ma ho scoperto un'ora fa che saremmo dovuti andare a cena fuori. LA SFIGA. E così domani non avrò fatto la tavola di arte (e tanto non avevo idea di come si facesse quella cosa oscura) ma almeno ho scritto questa roba. Sinceramente, l'ho riletta una volta sola, se trovate errori ditemelo!
Abbiamo avuto un salto temporale abbastanza lungo: Ace sta partendo, e Rufy ha ancora da aspettare. Ho voluto mettere almeno questa scena perché, anche se nel manga è a malapena accennata, per me è davvero struggente. MA DICO, perché RUfy sorride tutto il tempo e non si mostra triste ma ERA triste, andiamo, Ace gli sarebbe mancato, lo sappiamo tutti. Però sorride lo stesso. Poi un altro salto, ed ecco che Ace rompe il silenzio con una lettera. Io mi sono sempre chiesta, in One Piece, come facciano a portare i giornali in mezzo al mare. Ma se sapete dove trovare i pirati trovateli, non dategli il giornale, no? Sono giunta alla conclusione che i gabbiani portagiornali vanno a zonzo per il mare (seguendo anche dei reticoli immaginari o che so io) e se vedono una nave danno il giornale, amen. Quindi spedirsi lettere per mare è impossibile. Ma se Ace avesse potuto farlo, sono sicura che l'avrebbe fatto! Ed ecco che Marco gli insegna a leggere (qui un doveroso ringraziamento va, di nuovo, a __Ace perché se non era per lei su Marco io avrei continuato a sputare in eterno, lei invece me l'ha fatto quantomeno prendere in considerazione).
Per quanto riguarda Nami.. ho voluto metterla comunque, anche se so benissimo che è difficile che le donne entrino nell'accampamento. Io immagino che abbia anche una vita, in giro per la Grecia (un lavoro, qualcosa) e che quindi segua il nostro battaglione per poter stare insieme ai ragazzi (la mia vena RuNami tenta di prendere il sopravvento, chiedo venia).
E Pilo... Quello che interessa a noi non è esattamente lì, ma se sapete qualcosa della guerra del Peloponneso forse il nome Sfacetria vi dice qualcosa... Tutto al prossimo capitolo! Cosa succederà nel grande incontro tra Rufy e Ace? Che battaglia si disputerà?
Ciao a tutti, a presto!
Vostra
Emma

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Di tende, arrivi e incontri emozionanti ***







 

La marcia durava da tantissimi giorni, ormai, tanto che Ace aveva perso il conto.

Fino ad allora la guerra non era stata particolarmente dura, in realtà: per tre anni non avevano fatto altro che avanzare, conquistando i territori circostanti, nella speranza che Atene si arrendesse. Occupavano città, sconfiggevano piccoli contingenti ateniesi, ma niente di più. Questa faccenda di Pilo sarebbe potuta diventare davvero interessante, Ace ne era sicuro. E chissà che non avesse incontrato anche Rufy, laggiù? Certo, la strada era ancora lunga: prima di raggiungere quella città ci avrebbero messo almeno due settimane, però... Oh, non stava più nella pelle!

Suonò una tromba. – Per oggi ci fermiamo qui, sta calando la sera! – gridò una voce, e Ace si lasciò cadere a terra, esausto.

– Meno male! Non ne potevo più di camminare. – commentò Thatch, stiracchiandosi.

Marco sollevò un sopracciglio, poi sospirò. – Siete proprio un caso disperato... forza, diamoci una mossa, che dobbiamo montare la nostra tenda.

Ovviamente “dobbiamo montare la nostra tenda” divenne ben presto “montate quella tenda o vi rincorro fino a Pilo con una spada in mano”, per trasformarsi in un “ma che state facendo? Non si fa così, quante volte ve l'ho spiegato?” e capitolare alla fine in un ben più umano “faccio io, voi combinereste solo un casino”.

Ace ridacchiò soddisfatto. – A buon rendere, Marco!

– Sì, sì... andate, qui me ne occupo io. Perché non date una mano in cucina?

Ace non se lo fece ripetere due volte, e Thatch lo seguì di buon grado: dopo aver camminato tutto il giorno avevano ben il diritto di mettere qualcosa sotto i denti, no?

Stavano assaggiando la zuppa (non sia mai che avesse un sapore cattivo, no? Sarebbe stata una tragedia, dovevano assicurarsi che fosse perfetta) quando sentirono una voce gridare fuori dall'accampamento. – Li vedo! È un altro battaglione, stanno arrivando i nostri!

Ace tirò su la testa di scatto, emozionato. Che fosse... quello di Rufy? Cercò di calmarsi: dopotutto, quante possibilità c'erano che con loro venisse proprio il battaglione del fratello? Avevano tantissimi battaglioni. E poi c'erano così tante cose da fare, tante città da occupare, tanti posti da conquistare... innumerevoli battaglioni si avvicinavano ad Atene, e solo due invece li raggiungevano a Pilo. Che fosse Rufy era... chiedere troppo? Già avergli potuto scrivere, una settimana prima, gli era sembrato quasi un sogno.

Cercando di scacciare quelle dannate false speranze, salutò Thatch con una scusa e uscì all'aria aperta, strizzando gli occhi per scorgere all'orizzonte il battaglione alleato.

Non c'era niente di particolare, niente che gridasse “in mezzo a queste persone vive Rufy”, ma Ace non riusciva a smettere di guardare.

Rimase semplicemente fermo lì finché il battaglione non arrivò, qualche ora dopo. Stava calando il sole, ma Ace doveva sapere se avrebbe visto Rufy oppure no.

Passò con lo sguardo ogni singolo componente. Sorrise nel vedere Kidd e Law marciare fianco a fianco, e li salutò con un cenno. I due si scostarono dal gruppo e gli si avvicinarono. – Quanto tempo, Ace! – salutò Kidd, assestandogli una poderosa pacca sulla spalla.

– Perdonalo, come sai il concetto di delicatezza gli è sconosciuto. – commentò Law, ghignando. – È un piacere rivederti. – continuò poi, educato.

Kidd stava già per ribattere con ira, ma Ace li interruppe. – Ehi, ehi! Ok, è fantastico rivedervi, davvero. Ne è passato di tempo! Sentite un po', per caso... per caso anche Rufy si trova in questo battaglione? – domandò, fremendo per l'impazienza.

– Nah. È una vita che non lo vediamo, in effetti. Speravamo che fosse qui... comunque manca ancora un battaglione, no? – disse Kidd alzando le spalle. – Muoio di fame, i nostri cuochi fanno davvero schifo. Da che parte è la cucina? – e si allontanò a passi larghi nella direzione indicata da Ace.

Law fece per seguirlo, ma si fermò un istante, voltandosi verso di lui. – Non so sinceramente quanto ti importi, ma... C'è anche lui nel nostro battaglione. Teach. Ti ricordi di lui, no?

Fu come una doccia fredda, per Ace. La delusione nello scoprire che Rufy non sarebbe arrivato quella sera fu momentaneamente messa da parte per lasciare spazio ad una rabbia fredda. Teach. Quanto tempo che non sentiva quel nome? Dai tempi dell'incidente alla prova di sopravvivenza, i loro rapporti si erano praticamente azzerati. Persino Rufy, che interagiva più o meno con tutti, si teneva alla larga da lui. Non che io abbia paura, eh! È solo che non mi sta simpatico, tutto qua. E non guardarmi così, Ace. Ace! Ahahah, non vale, Ace!

Il ragazzo scosse la testa, trattenendo un sorriso. La voce di Rufy era probabilmente la cosa che meglio ricordava di lui, sempre così allegra e costantemente eccitata...

Sospirò, cercando di non pensarci. Chissà se era cambiata, dall'ultima volta in cui si erano visti? A volte gli sembrava ancora di sentirla, era davvero da pazzi.

Insomma, la vita senza di Rufy non era stata così semplice, all'inizio: era difficile da ammettere, però si era ritrovato ormai quasi dipendente dal ragazzino, tanto che senza si era sentito quasi spaurito. Conoscere Marco, Thatch e gli altri aveva poi aiutato a mitigare quel senso di nostalgia e lontananza, ma a volte Ace sentiva ancora questa tristezza mista a dispiacere che lo avvolgeva senza via scampo. E allora focalizzava nella mente il sorriso di Rufy, e si convinceva che quello, quello non poteva essere cambiato in nessun caso.

Che Teach venisse pure, per lui non c'era problema: non era più un ragazzino, in fondo. Si voltò, ritornando alla sua tenda: chissà se Marco aveva già finito?

 

* * *

 

Marco sospirò, uscendo senza far rumore dalla tenda che condivideva con Ace e Thatch. E che, per inciso, aveva montato da solo. Non che la cosa lo infastidisse più di tanto: badare a quegli scapestrati era un po' il suo compito, lì nel battaglione di Barbabianca. Era o non era il più forte di tutti? Certo, c'era Ace, il ragazzino che appena arrivato aveva subito dato prova delle sue vertiginose abilità in mille modi. Marco si era particolarmente affezionato a lui, arrivando a considerarlo come un fratellino minore. Sapeva che Ace nascondeva qualcosa, l'aveva capito subito. E aveva come il sentore che anche Barbabianca sapesse. Ma fino al momento in cui Ace non avesse deciso di aprirsi con lui, beh, Marco avrebbe aspettato.

Scavalcò una spada lasciata in giro da chissà chi e si avviò in direzione della foresta circostante, per sopperire ad un bisogno fisiologico, quando si fermò di botto.

Quello era un rumore decisamente sospetto... Ace era ancora a dormire, giusto? E chi altri avrebbe potuto mangiare così velocemente?

No, tutti i suoi compagni erano a letto, ne era sicuro: poteva trattarsi solamente di un esterno. Che fosse una spia? Sfoderò velocemente la spada e si preparò ad attaccare. La figura però fu più veloce, e in men che non si dica estrasse un'altra spada e parò il colpo. – Ehi! – mugugnò la voce, alzandosi in fretta. – Stavo mangiando...

– Chi sei? – domandò Marco, attaccando di nuovo.

Erano in ombra, e non riusciva a vedere bene la figura con cui stava combattendo, ma una cosa l'aveva capita: era davvero, davvero forte. Si chiese come fosse mai possibile che qualcuno di così abile con la spada avesse fatto qualcosa di così idiota come mettersi a mangiare in un accampamento nemico.

– Io... ehi! Ma tu sei Marco! – esclamò la figura, smettendo subito di lottare. Lasciò cadere la spada e gli venne incontro, raggiante. Marco non ci stava capendo più niente.

– T-tu... – balbettò, vedendosi correre incontro un ragazzino dai corti capelli neri.

– Ti ricordi di me? Io ti ho riconosciuto subito, con quei capelli. – ridacchiò il ragazzino. – Sono Rufy, Monkey D. Rufy. Il fratello di Ace. – aggiunse poi, fissandolo con apprensione. – Ti... ti ha parlato di me? Mi ha scritto dicendomi che siete amici, no? Tu, e anche un altro tipo, Thatch. Mi ricordo anche di lui, era davvero molto simpatico! Il mio battaglione è accampato poco lontano da qui, cioè, sarà un'altra giornata di marcia, ma visto che c'ero ho pensato che potevate essere qui vicino e ho fatto una corsa. Seriamente, vi ho cercati per tre o quattro ore e avevo davvero fame, poi però ho visto i falò in lontananza e mi sono detto, vuoi vedere che Ace sta proprio lì? L'ho cercato per un po', ma qui siete davvero in tanti. È già arrivato anche il secondo battaglione, vero? Ad un certo punto ho trovato la cucina, meno male. Oh, è stata una gran fortuna trovarti! Potresti dirmi dove sta Ace? Sono passato solo a salutare, perché se voglio che non mi sgridino domattina devo essere di nuovo all'accampamento, e mi ci vorrà un po' per tornarci, quindi... sai dove sta?

Marco era semplicemente senza parole. Sospirò, lasciando affiorare un sorriso sul volto. – Sei esattamente come ti ha descritto Ace. – commentò alla fine, infilando di nuovo la spada nel fodero. – Mi ricordavo di te. Eri quel bambino che non faceva che correre in giro e parlare con gli sconosciuti, giusto? Quello sempre sorridente.

Rufy annuì convinto. – E tu? Sei diventato amico di Ace, eh?

Presero a camminare. Marco non gli aveva detto dove stessero andando, ma Rufy non lo chiese nemmeno: era troppo ovvio. – È naturale. È una brava persona, a saperlo prendere. – rispose, abbozzando un sorriso.

– È proprio vero! – rise Rufy. – E dimmi, è cambiato molto? Cioè, è cresciuto?

– Un po'. – rispose Marco, pensandoci su. – È diventato più alto, credo.

– Più alto... – ripeté Rufy, concentrato. Affrettò leggermente il passo, impaziente. – È passato un sacco di tempo, eh? Mi è mancato tantissimo.

Marco sorrise. – Anche tu gli sei mancato. Non lo dice sempre, però si vede. Ci sono giorni in cui davvero, si vede tantissimo.

Rufy sollevò il mento, orgoglioso. – Beh, è naturale: in fondo siamo fratelli. – affermò con convinzione. – È molto lontano?

– No, ci siamo quasi. Sta dormendo, però. – replicò l'altro. – Nella tenda siamo io, Thatch e lui. Di Thatch non devi preoccuparti, quando dorme neanche le cannonate possono svegliarlo.

– Ma neanche Ace ha il sonno tanto leggero! – ridacchiò Rufy. – È solo per questo che riuscivo ad inseguirlo tutte le mattine: perché si alzava tardi. Se fosse partito all'alba non so se... – si interruppe un attimo, poi cambiò discorso. – Non fa niente, in ogni caso io dico che sarà contento di essere svegliato.

– Su questo, – disse Marco, pensando a come Ace era rimasto fermo per più di un'ora ad aspettare l'arrivo del battaglione alleato, – non c'è nessun dubbio.

 

* * *

 

– Ace?

– …

– Ehi, Ace!

– Ancora due minuti, su...

– Sei proprio un caso senza speranza. Svegliati!

– Ho sonno...

– Lo sai che ho trovato qualcuno che dorme più di te?

– Impossibile...

– Invece ti dico che è così! Guarda che non ti conviene scommettere contro di me. L'ultima volta che l'hai fatto, se non sbaglio, alla fine hai dovuto cedermi metà del tuo pranzo per una settimana. E tu eri davvero convinto che non sarei riuscito a ingoiare quel rospo!

– Ma cos...

– Ho davvero trovato una persona che dorme più di te. È il mio amico Zoro, mi hai scritto di lui, ti ricordi? Dorme dappertutto, sul serio, è incredibile come faccia! Certo, quella volta in cui ti sei addormentato durante un allenamento è stata epica e non la batte nessuno, però se pensi che lì si tratta di una volta sola, mentre Zoro dorme praticamente sempre, allora...

Rufy!

Ace ci aveva messo un po' a realizzare che quel cicaleccio continuo che sentiva all'orecchio non era frutto della sua immaginazione. Ai vecchi tempi tendeva a dare poca importanza a quello che diceva Rufy quando usava quel tono, specialmente se si era appena svegliato. E in fondo, si sa: certe abitudini sono dure a morire.

Eppure... oh, ma era Rufy, era davvero Rufy! Che ci faceva lì a parlargli come se niente fosse? Ace spalancò gli occhi e se lo ritrovò col naso incollato al suo, un sorriso che andava da un orecchio all'altro.

Sì, il suo sorriso non era cambiato affatto.

– Ben svegliato, fratellone! – gongolò il ragazzo, che ormai pareva non stare più nella pelle dalla felicità.

E, a essere onesti, anche Ace non capiva bene perché non gli fosse già saltato addosso. Lo abbracciò come non aveva mai effettivamente fatto prima, stringendolo a sé e lasciandogli a malapena il fiato per respirare. Rufy dal canto suo non si tratteneva di certo, abbarbicandosi a lui con tutte le sue forze.

– Mi sei mancato un sacco, Ace! – sussurrò Rufy, il viso incassato nel petto del maggiore. Sì, era più alto. E muscoloso, anche.

– Anche tu, da pazzi. – confessò Ace, allontanandolo con dolcezza e squadrandolo dall'alto in basso. Entrando, Rufy aveva acceso una lampada, ed ora erano entrambi illuminati da una luce arancione e scoppiettante. – Ma guardati... sei cresciuto un sacco, Rufy! – commentò, studiandolo in ogni dettaglio. Sì, i suoi lineamenti si erano fatti più maturi, un po' meno rotondi, forse. Era decisamente più alto, ma in fin dei conti era sempre lo stesso identico Rufy, allegro e sorridente.

– E tu sei più alto. – ribatté il ragazzo. – Come aveva detto Marco. Non mi aveva detto che ti eri fatto così muscoloso, però! E perché vai a letto mezzo nudo, mmh? Fa freddo, Ace! È quasi Inverno!

Ace ridacchiò. – Io ho sempre caldo, dovresti ricordarlo.

– Certo che mi ricordo! – disse subito Rufy con impeto. – Mi ricordo, sicuro. Eri sempre caldissimo, anche quando fuori faceva freddo. Dadan diceva sempre che avevi la febbre e voleva farti stare a casa, ma tu non l'ascoltavi mai!

Ace rise con lui, beandosi del suono della risata di Rufy. Anche la voce si era fatta un po' più matura, ma non di tantissimo. Inutile dire che l'avrebbe riconosciuta tra mille. – Piuttosto... – commentò, realizzando pienamente il fatto che Rufy fosse e che a rigor di logica non ci sarebbe dovuto essere. – Come hai fatto ad arrivare fin quaggiù? Non dovresti essere col tuo battaglione, dovunque sia?

– Sì, ecco, in teoria sì. Ma vedi, siamo accampati a circa una giornata di marcia da qui e... – iniziò a spiegare Rufy, concentrato, ma Ace lo bloccò.

– Nel senso che siete nostri alleati?

– Esatto.

– E andate a Pilo?

– Così pare.

Ace impiegò qualche istante per metabolizzare la notizia. Troppa felicità poteva uccidere? – Ho ricevuto la tua lettera. – lo informò Rufy, abbassando lo sguardo, leggermente imbarazzato. – So leggere, sai? Ho imparato. E, ecco... grazie, è stato bello. Leggerla, dico, è stato bello. Mi sei mancato.

Ace si prese tutto il tempo necessario per guardare suo fratello e per imprimersi bene a mente la sua faccia e le sue parole in quel momento. Poi gli prese il mento e gli sollevò la testa, facendo in modo che i loro sguardi si incrociassero. – Anche tu mi sei mancato, mi sei mancato tantissimo, sai? A volte avevo paura di non farcela. Volevo vederti. Volevo tornare all'accampamento e portarti via.

– Io una volta ho provato a scappare. – confessò Rufy, ridacchiando. – Non ce la facevo più e volevo raggiungerti. Sono tornato indietro prima di sera... avevo fame. E comunque, non avevo idea di dove fossi.

Ace rise, permettendo a Rufy di abbracciarlo di nuovo e facendosi trascinare fuori dalla tenda, perché insomma, era davvero troppo tempo che non guardavano le stelle insieme.





































Angolo autrice:
Ma salve! Tra un'ora e mezza non è più mercoledì, e io spunto fuori adesso con questo capitolo. Pazienza, è stata una giornata difficile, voi mi perdonate, vero? Di recente mi sto riducendo a scrivere i capitoli all'ultimo, mmh. Se trovate errori ditemelo, mi raccomando!
Ed ecco che arrivano Marco e gli altri... come vi è sembrato l'incontro tra Rufy e la nostra Fenice? Insomma, Rufy non stava proprio più nella pelle: doveva vedere Ace. E il loro incontro... Lo so che ad Alabasta non fanno tutte queste scene, insomma, ho cercato di romanzare un po' la cosa. Voglio dire, non sto cercando di renderli tutti affettuosi e vomitevoli, ma un minimo di affetto e di emozione ci stava, non trovate? Sono tre anni che non si vedono, dopotutto. E non hanno neanche la possibilità di vedere le taglie, leggere i giornali, insomma, mi è piaciuto molto far chiedere a Rufy se Ace fosse cresciuto, o far immaginare a Ace se la voce del fratellino fosse cambiata nel frattempo. Sono quei dettagli che, se non puoi vederti per molto tempo, contano.
E ok, ho già scritto troppo.
Grazie di cuore a tutti quelli che leggono e recensiscono questa storia, davvero, mi fate troppo felice! ^^
Un bacione, e a presto!
Vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Have you been adopted? ***


– Piano! Insomma, fate più piano! Ragazzi, sul serio, siete rumorosi come un branco di cinghiali!

– Va bene, va bene, ma ti prego, non picchiarci! Ti supplico!

– E smettila! State più calmi, voi due, che solo battendo i denti fate più rumore tu di un intero esercito Ateniese!

– Non è che tu faccia molto più silenzio, però...

– Ehi, cerchi rogne, cuoco?

– Ah, io non mi tirerò certo indietro!

– Basta, tutti e due! Oh, ma non lo capite che la situazione è tragica? Se Rufy non torna immediatamente al nostro campo, lo puniranno per bene! E chi di voi vuole che succeda di nuovo?

Nessuno rispose, e Nami sospirò passandosi una mano sulla fronte. – E menomale che sono passata a vedere come vi eravate sistemati... Adesso lo troviamo e lo riportiamo indietro senza fare rumore, intesi?

Sanji e Zoro si squadrarono in cagnesco senza dire nulla, mentre Usop e Chopper stavano praticamente piangendo implorandola di avere pietà di loro. Sì, quella donna gli faceva paura, e allora? Se Nami fosse stata uomo, sarebbe stata probabilmente il soldato più temibile dell'esercito.

– Ma, mia cara Nami, non sarebbe più opportuno lasciare qui quest'imbecille? Per colpa sua ci siamo già persi otto volte, e all'alba manca pochissimo! – cercò di convincerla Sanji, ricevendo un colpo allo stinco da parte del compagno.

– Chi è che dovreste lasciare qui? – ringhiò infatti il ragazzo, gli occhi di fuoco.

– Hai sentito benissimo, testa di legno. – sibilò Sanji, già pronto all'ennesimo battibecco.

Usop iniziò a piagnucolare istericamente, mentre Nami si passava una mano sulla fronte, sconsolata. – Ma chi me lo fa fare... – meditava, quando all'improvviso sentirono delle voci che gli fecero rizzare i capelli.

– C'è nessuno? Chi è là? – chiese qualcuno.

Passi, e un vago clangore di spade. Una seconda voce rispose alla prima con un sussurro cospiratorio che di sussurrato aveva ben poco. – Hai sentito qualcosa, Ace?

– Mi sembravano delle voci... Tu sta' indietro, Rufy, qui ci penso io.

Dai rumori, sembrava che si stessero strattonando a vicenda. Uno di loro -e Nami non dovette faticare a capire di chi si trattava- pareva aver puntato i piedi a terra con decisione. – Non esiste, io ti voglio aiutare! Sono diventato fortissimo, sai? E non è che...

Nami, ormai sicura delle identità dei due ragazzi, sospirò di sollievo: che spavento che si era beccata... Se fosse stata una guardia o cose simili, se la sarebbero davvero vista brutta! Si sbracciò per farsi vedere. – Rufy! Ehi, non attaccate! Siamo noi!

Le due figure gli si fecero più vicine. Ormai era chiaro quale fosse Rufy: nel vederli aveva sfoderato un sorriso dalle dimensioni incredibili, e stava trascinando per un braccio un altro ragazzo poco più grande di lui. Questo doveva essere sicuramente Ace... Nami dovette sforzarsi di non spalancare la bocca. Non è che non fosse abituata a vedere ragazzi mezzi nudi (frequentava il battaglione di Rufy da parecchio tempo, ormai), ma questo... Oh, e andiamo, chi non sarebbe rimasto indifferente? La definizione di “pettorali scolpiti” sembrava insufficiente.

Rufy li raggiunse, raggiante. – Ragazzi, vi presento mio fratello Ace! Ace, loro sono Zoro, Nami, Usop, Sanji e Chopper, quelli di cui ti avevo parlato! Ma... ehm, che ci fate qui? – domandò poi, inclinando la testa.

– Come sarebbe, “che ci fate qui”? – scattò Nami, le mani sui fianchi. – Siamo venuti per riportarti indietro! Tra poco sarà l'alba, e se non sarai all'accampamento non pensi che si arrabbieranno? Grazie agli dei a Zoro è venuto in mente di cercarti quaggiù... Hai idea della corsa che abbiamo dovuto fare? – sbuffò, esasperata. – Su, muoviamoci. Tanto se tutto va secondo i piani entro domani sera i vostri battaglioni si uniranno ufficialmente, no? E pensare che avevo pagato un'intera nottata in quella fattoria, e non ci dormirò neanche un'ora! Giài costate una fortuna, e nemmeno mi lasciate riposare in pace!

Rufy ridacchiò. – Hai ragione, scusa. Però, mi spieghi una cosa? – proseguì, grattandosi la testa. – Come mai sei venuta stanotte? Non dovevamo incontrarci direttamente a Pilo? Non che non mi faccia piacere, eh! – aggiunse subito dopo, sorridendo smagliante.

Ace ghignò impercettibilmente, mentre Sanji iniziava a gridare addosso a Rufy che se la divina Nami aveva deciso di scendere fra loro divini mortali, beh, dovevano solo inginocchiarsi al suo cospetto senza porre domande. Zoro sbuffò qualcosa che suonava come “idiota”, e Usop e Chopper corsero subito ai ripari tentando di sedare la lite prima che scoppiasse in mezzo ad un accampamento in cui non sarebbero dovuti essere.

– ... Perché la mia carrozza ha fatto più presto del previsto, tutto qua. – rispose Nami con indifferenza. Ma l'esitazione che aveva lasciato prima di iniziare a parlare lasciava ancora qualche dubbio.

– Oh, va bene! – Non a Rufy, ovviamente. – Beh, ragazzi, grazie di essere venuti! Ora torno indietro. Ace, ci vediamo domani, ok? – Rufy sorrise smagliante, facendo per allontanarsi.

– È stato un piacere conoscerti, Ace! – salutò Usop, già in procinto di correre via.

– Sì, a presto! – salutò anche Sanji, cordiale.

Uno alla volta tutti quei ragazzi che non lo avevano mai visto prima d'ora (e che, come Rufy aveva confessato senza un briciolo di vergogna, non avevano sentito parlare di lui fino ad un paio di giorni prima), lo salutarono come si saluta un vecchio amico. Erano davvero amici di Rufy, non c'era storia.

Ace rispose con qualche istante di ritardo, alzando il braccio e gridando un saluto. Rufy sventolò a sua volta la mano e poi scomparvero nel buio fuori dall'accampamento.

 

* * *

 

– E così, quello è tuo fratello.

– Sì, Thatch.

– Ed è... allegro.

– Sì, Thatch.

– Insomma, non è scontroso, non se la prende se lo fissi troppo a lungo, sorride tutto il tempo, fa amicizia con chiunque, e ho già detto che sorride?

– Sì, Thatch.

– No, perché secondo me c'è qualcosa di strano. Voglio dire... Rufy è così estroverso e socievole e aperto... Ed è tuo fratello.

Sì, Thatch!

– Sei stato adottato. – concluse il ragazzo, sdraiandosi nuovamente a letto.

Ace nascose un brivido lungo la schiena (se c'era andato vicino, l'idiota!) e si limitò a buttarlo giù dalla brandina con uno strattone. – Smettila di dire scemenze! E poi, scusa, ci hai parlato per meno di cinque minuti.

– Per forza! Non mi avete svegliato, l'altra notte. – borbottò il ragazzo, alzandosi con aria offesa. – Marco c'era. Marco può andare in giro a dire di averlo incontrato anche prima di te. Marco ci ha parlato per un sacco di tempo. Ma questo tuo presunto fratello così socievole e allegro da quando è arrivato qui col suo battaglione non fa che girare da tutte le parti: prima ha passato mezza giornata con quei due che conoscevi anche tu, Trafalgar qualcosa e l'altro. Non so come si chiamano.– Ace rise interiormente all'idea di cos'avrebbe detto Kidd sentendosi chiamare così. Thatch continuò l'elenco, concentrato. – Poi ovviamente vi siete imboscati da qualche parte a parlare, e lui ha sempre dietro quel gruppetto assurdo... Li conoscerai bene, ormai, no? Alla fine un'ora fa si è tuffato nelle cucine e sul serio, credevo che tu fossi un mostro, ma lui... È andata a finire che ci ho parlato per cinque minuti, hai ragione. Ma sono stati sufficienti, non ti credere! E ora dimmi in che cosa, esattamente, sareste fratelli. – concluse, incrociando le braccia.

– In cosa saremmo fratelli? – ghignò Ace, alzandosi in piedi con lentezza. – Scommetto che so dirti quale sarà la prima cosa che dirà quando arriverà qui tra due minuti.

Thatch sollevò un sopracciglio. – Come fai a dire che arriverà tra due minuti?

– Tu fidati. – ribatté Ace.

Era noto in tutto il battaglione quanto Thatch fosse irriverente e orgoglioso. Simpatico, divertente e ironico e allegro fino all'inverosimile, niente da ridire su questo, ma anche incredibilmente testardo e cocciuto. Che ammettesse di avere torto era praticamente un fatto più unico che raro.

Ma quando il giovane Rufy sbucò in quella tenda giusto un paio di minuti dopo, avvisando Ace che, anche se lo avevano cacciato via dalla cucina perché aveva mangiato troppo, lui aveva ancora fame (come Ace aveva predetto), Thatch dovette ricredersi.

Quei due erano fratelli, non c'era nessun dubbio in proposito.

 

* * *

 

– Sanji, sono stanco! – sospirò il ragazzino per quella che doveva essere l'undicesima volta... in quel minuto, almeno.

– Non darmi fastidio, Rufy. – rispose l'altro in un tono quasi meccanico. Quante volte ancora doveva ripetere quella frase, quante?

– Ma dai, camminiamo da ore! – continuò a lamentarsi il ragazzo.

– È normale che sia così, siamo in marcia! – sbottò Sanji, esasperato. – Aspetta un'ora e sarà ora di accamparsi. – Sapeva cosa voleva Rufy, oh, lo sapeva bene, ma non gliel'avrebbe dato. Nossignore. Era per la sua Nami, lo teneva da parte per lei, e...

– Sanji, sono stan...

E va bene! Prenditi tutto il cibo che ho, basta che mi lasci in pace! – esplose il ragazzo, estraendo dal bagaglio una coscia di coniglio dei più pregiati. Per lui la preparazione delle razioni dell'accampamento era inconcepibile: abituato com'era a mangiar bene, non appena era entrato nell'esercito aveva preso l'abitudine di andare a cacciare qualcosa per conto suo e di cucinarsi qualcosa quando aveva fame. Inutile dire che, non appena aveva conosciuto Rufy, quella sua abitudine era diventata un'abitudine condivisa da tutto il gruppo.

E non una volta che potesse mangiare in santa pace.

– Strozzatici. – si raccomandò, mentre gli occhi di Rufy si ingrandivano dalla felicità.

– Sanji, sei il migliore. Sanji, sei meglio di Ercole, Teseo, Perseo e tutti gli altri messi insieme! – affermò con convinzione il ragazzino, inghiottendo tutto in un sol boccone.

Sanji stava per dire che grazie, ma i complimenti non riempivano lo stomaco della sua Nami, e che se Rufy credeva di rabbonirselo così aveva proprio capito male (anche se in fondo, ma solo in fondo, un po' di soddisfazione quell'idiota gliela dava), quando una voce li interruppe.

– Ma guarda un po' se questo non è Rufy! Ehi, che coincidenza trovarti qui!

Il ragazzo si irrigidì di colpo, cambiando completamente atteggiamento. – Ciao, Teach. – disse piano, sollevando lo sguardo. Non mostrava paura, realizzò Sanji, solo... una specie di disprezzo misto a quella confusione di chi non ha davvero idea di cosa abbia intenzione di fare l'altro. Sanji aveva come l'impressione che, se il ragazzone che si trovava davanti avesse dato segni di amicizia, Rufy sarebbe stato pronto ad assecondarlo. Se invece si fosse dimostrato ostile... beh, Rufy sembrava sul punto di esplodere da un momento all'altro, e Sanji non sarebbe certo rimasto a guardare.

– Cos'è quella faccia, adesso? Ce l'hai ancora con me per quella volta? Ma lo sai che non intendevo davvero farti male, su, sono passati anni! – rise il ragazzo, e Rufy inclinò la testa.

– Non ce l'ho con te, io. Tu, piuttosto. Credevo di non starti molto simpatico. – osservò, pratico. Sanji inarcò un sopracciglio: quella non era certo una frase che Rufy diceva spesso.

Il ragazzo stava per replicare, quando intervenne un'altra figura. – Lascialo stare, Teach!

Rufy voltò il capo. – Ace!

Sanji fece appena in tempo a vederlo arrivare che Ace gli si parò davanti, protettivo. – Cosa vuoi da lui?

– No, Ace, davvero, non ce n'è bisogno! – cercò di convincerlo il ragazzino. – Dai, è successo un sacco di tempo fa, non pensarci più...

Il ragazzo di nome Teach sogghignò. – Hai sentito il ragazzino? È acqua passata, Ace, su. Anzi, sai una cosa? Ero qui per cercare una riappacificazione. Insomma, mi sono detto: il piccoletto è qui? E allora questa è la volta buona per metterci definitivamente una pietra sopra! Tu che dici, Rufy: ti va? Nessun rancore?

Rufy sorrise, allegro. – Nessun rancore, non preoccuparti!

Ace si voltò a guardarlo, stizzito. – Ma, Rufy...

– Andiamo, il piccoletto ha parlato: ormai non c'è niente di cui discutere. Ah, mi sono tolto un peso! Ci si vede! – e, detto questo, se ne andò.

Sanji guardò Rufy come in cerca di una spiegazione, e questo espose la faccenda in un paio di frasi. – … quindi vedi, se stiamo tutti bene non è il caso di portare rancore per... – stava concludendo, quando Ace lo interruppe.

– Rufy, non mi va che tu dia tanta confidenza alla gente. – disse, secco.

Sanji mascherò una risata con un colpo di tosse. – Ehm, scusa, ma... voglio dire, Rufy è fatto così. Se non avesse dato confidenza allo spadaccino dalla testa verde, anche se tutti dicevano di non farlo, dove sarebbe a quest'ora? Giusto per fare un esempio. – chiarì.

Ace sospirò. – Questo lo so... – Vale anche per me, avrebbe voluto aggiungere. Dove sarei io se non mi avesse dato confidenza, ai tempi? Forse aveva ragione lui, in fondo: era una faccenda vecchia di anni, e Teach stava solo eseguendo degli ordini, al tempo.

– Non... non devo parlargli? È questo che vuoi? – chiese Rufy, esitante. – Se vuoi lo evito, eh. Posso riuscirci. L'ho evitato per quasi due anni, prima che se ne andasse, e qui si tratta di un paio di settimane. Se vuoi...

Ace sospirò. – No, insomma, fa' come credi. Non evitarlo solo perché te lo dico io, va bene comunque. – gli scompigliò i capelli e riprese a camminare. – Su, che siamo rimasti indietro.

Gli altri due annuirono, quando improvvisamente tutti e tre i battaglioni si fermarono.

– Che succede?

– Un'imboscata?

– Dove sono le sentinelle?

– State tutti bene, lì davanti?

– Dei fumi?

– Si vedono dei fumi!

– Un accampamento nemico, il nemico!

– Ma siamo lontani da Pilo, no? Quanto manca, ancora?

– Che succede, che succede?

– Il nemico è appostato oltre la montagna!

– Ma è sicuro?

– Una sentinella li ha visti!

– Non erano tre?

– Due sono state uccise!

– Quanti sono?

– Dove si trovano?

– È una bella complicazione!

– Oh, che disastro...

– E le sentinelle?

– Credo siano morte.

– Cosa facciamo?
– STATE CALMI! – La voce di Barbabianca, il comandante del primo battaglione, si fece sentire in mezzo a tutte le altre calmando anche i soldati più preoccupati. – È stato avvistato un enorme accampamento Ateniese sulla strada verso Pilo. Ormai... – deglutì, facendo un passo avanti. – Ormai non è più possibile evitarlo. Ragazzi miei, temo che dovremo entrare in scena un po' prima del previsto! Stanotte ci accamperemo poco più avanti da qui: c'è una radura, non è molto grande ma in questo modo riusciremo a proteggerla meglio da eventuali attacchi. E quando sorgerà il sole...

Ace e Rufy si scambiarono un unico, singolo sguardo carico di eccitazione.

– Intende dire che...

– Che domani noi...

– COMBATTEREMO! – concluse Barbabianca, sollevando il pugno verso l'alto. Tutti e tre i battaglioni esplosero in urla di giubilo.

Sanji sospirò, trattenendo un sorriso. Avrebbero venduto cara la pelle, su questo non c'era alcun dubbio. E poi, se avevano dalla loro parte due individui come Ace e Rufy, cosa poteva andare storto?





























Angolo autrice:
Ci sono, ci sono! Alle solite dieci e mezza, ma ci sono. Il titolo di questo capitolo "Have you been adopted?" e una simpatica citazione al signor Thatch, che con la sua lingua lunga ha dato del filo da torcere al nostro Ace. Ma il fiammifero gliel'ha fatta vedere, no? Sappiate che Thatch mi piace troppo. È un amore che è stato lento a nascere, ma sul serio, lo adoro.
Seriamente, è tardissimo e mi sto sicuramente dimenticando mille cose importanti che dovevo dire, ma che posso farci? Ho sonno.
Grazie a tutti quelli che hanno recensito, messo tra le ricordate, preferite e seguite!
Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** La battaglia ***


LA BATTAGLIA



Non che il Grande e Possente Usop avesse paura o cose simili, eh. Figuriamoci: lui era un invincibile guerriero Spartano famoso per la sua incredibile forza bruta. Quindi davvero, non stava gironzolando per l'accampamento immerso nel silenzio perché non riusciva a dormire a causa della paura, assolutamente no.

Era solo un po' teso.

Ma neanche tanto, eh! No, la verità era che si stava preoccupando per quei poveri Ateniesi. Già, proprio così! Loro al momento erano quelli messi peggio. Per quanto potessero avvalersi di una minima superiorità numerica, insomma, gli Spartani erano immensamente più forti e veloci e abili. Se non avesse avuto al suo fianco personaggi come Rufy, Zoro, Sanji e anche quell'Ace ecco, allora sarebbe stato leggermente spaventato. In questo caso invece non ce n'era bisogno, f-figuriamoci!

Iniziò come un cupo mormorio, praticamente impercettibile: Usop se ne rese conto solo pochi istanti più tardi, che non erano semplici rumori notturni.

No, quello era il suono di un esercito in movimento.

 

* * *

 

Ace si svegliò di soprassalto tra le urla e le macchie di fuoco che si intravedevano oltre la tenda. – Che succede? – gridò a Marco, alzandosi e afferrando la sua spada in un movimento praticamente istintivo.

– Ci attaccano. – replicò quello, già sulla soglia.

– Di notte?

– Lo so! – gemette l'altro, lasciando trapelare in quelle due parole lo sconforto e l'incredulità che pervadeva tutti, nell'accampamento: non era così che funzionava. Nessuno attaccava di notte, non erano quelle le regole! E se gli Ateniesi erano venuti fin laggiù significava che avevano un piano. Gli Ateniesi avevano sempre un piano.

Ace non perse tempo e raggiunse il fianco di Marco, la spada sollevata. – Fin dove sono arrivati?

– Fin qui, non più avanti: questa è solo una minima parte dell'esercito, il grosso deve ancora arrivare... Se ne sta occupando Thatch, per ora. Credo che si muovano verso... verso la tenda di Barbabianca.

Ace impiegò qualche istante a metabolizzare la notizia. Quasi cinquecento soldati Ateniesi contro trecento soldati Spartani in quell'accampamento in cui, sostanzialmente, avevano tutti i loro averi e i loro rifornimenti. Se la battaglia fosse continuata laggiù, in ogni caso avrebbero avuto la peggio: già molte tende stavano iniziando a bruciare.

– Dobbiamo spingerli fuori. – concluse, fissando dritto davanti a sé. – Verso la pianura.

– Ne sei sicuro? Saremo in svantaggio numerico. – lo avvisò Marco, dubbioso.

– Ne sono sicuro! Se rimaniamo quaggiù persino Barbabianca sarà in difficoltà. Spostiamoci dove possiamo muoverci liberamente. – insistette Ace. La questione era seria, e Ace non era tagliato per la strategia e cose del genere, ma una cosa l'aveva capita: gli Ateniesi volevano combattere lì nel loro accampamento. E lui detestava fare quello che dicevano gli Ateniesi.

Marco sospirò. – D'accordo. Riferisci gli ordini agli altri battaglioni, chiunque ti stia a sentire! Dobbiamo spingerli all'esterno! – gridò, iniziando a correre e a colpire soldati Ateniesi.

Ace non se lo fece ripetere due volte, gettandosi nella mischia a capofitto. Forse gli Ateniesi avevano creduto di avere più possibilità sfruttando l'effetto sorpresa; e i cadaveri di molti dei suoi compagni stesi a terra forse confermavano quest'ipotesi. Ma in quel momento le sorti della battaglia sarebbero cambiate, ne era convinto: non avrebbe permesso ad Atene di portargli via tutto quello che aveva conquistato in quegli anni, mai e poi mai!

In fondo, si era allenato per questo.

E mentre abbatteva un altro nemico il pensiero dell'allenamento ne portò con sé uno ancora più urgente ed importante, che gli fece spalancare gli occhi dall'orrore. Rufy.

Doveva trovare Rufy.

Ora.

 

* * *

 

– Svegliati, Zoro, forza!

– Mmf, che vuoi, Rufy...

– Ci attaccano! Li ha sentiti Usop, ci attaccano!

In un istante i ragazzi erano tutti in piedi, pronti alla battaglia. – Ma... di notte? – chiese Chopper, incredulo e spaventato.

– Di giorno o di notte, sono comunque in grado di batterne più di te, idiota! Smettila di dormire e comportati da uomo, no? – sbuffò Sanji dando un calcio a Zoro, che sembrava essersi appisolato di nuovo.

– Idiota a chi? – scattò subito quello, saltando in piedi come una molla. – Potrei ammazzare più Ateniesi di te anche con gli occhi chiusi, se...

Rufy ridacchiò e Usop prese a strillare. – Ma non capite la gravità della situazione? Ci stanno attaccando, siamo sotto attacco anche se è notte! E a breve supereranno le sentinelle e ci invaderanno, daranno fuoco alle tende e...

Zoro sospirò, afferrando le sue spade. – Hai ragione. Andiamo?

– Sì, sì, forza! Non vedo l'ora di provare l'arco di Ace. Dite che me lo posso portare? Cioè, oltre alla spada, ovvio. E poi... – attaccò Rufy, ma fu interrotto da un rumore fragoroso: l'ultimo posto di blocco era caduto.

Gli Ateniesi erano entrati.

 

* * *

 

– Dobbiamo cercare di portarli nella pianura, sono ordini superiori! E non.. oh, bel colpo. – si complimentò Ace, fermandosi per un istante. Kidd aveva decapitato due soldati Ateniesi contemporaneamente, con una mossa così veloce che Ace aveva a malapena visto la spada muoversi.

– Merito degli allenamenti con tuo fratello, no? – ghignò Kidd, baldanzoso. – Di' un po', non è che hai visto quell'idiota di Trafalgar? Non lo vedo da un po'...

Ace scosse la testa, e vide balenare negli occhi di Kidd qualcosa che somigliava molto alla preoccupazione. Ma doveva esserselo immaginato...

– No, mi spiace. Rufy? – chiese, urgente.

Kidd si grattò la testa. – Combatteva con i suoi amici sul bordo della foresta. È diventato... Uh, è diventato abbastanza forte, in realtà. Non me l'aspettavo. Fossi in te non mi preoccuperei.

– Anche Law è forte. – affermò Ace, lanciandogli uno sguardo che sapeva di ironia mista a comprensione. – Buona fortuna! E avvisa tutti di spingerli verso la pianura, ok?

Kidd grugnì qualcosa che somigliava ad un insulto nei confronti di un deficiente di sua conoscenza e borbottò un assenso. Ace proseguì.

Sapeva che preoccuparsi era inutile. Insomma, Rufy era forte. Non come lui, ovviamente, ma forte abbastanza. Però... oh, saperlo coinvolto in un attacco del genere lo metteva in ansia, davvero. Voleva assicurarsi che stesse bene. E poi, saperlo vicino alla foresta... Era la zona più pericolosa, perché da lì arrivavano i nemici, era da lì che andavano rispediti indietro. Affrettò il passo.

I soldati Ateniesi gli si paravano davanti senza quasi che se ne accorgesse, preso com'era nella sua ricerca, ma il terrore che vedeva nei loro occhi rifletteva le fiamme che divampavano tutt'intorno, e un po' si spaventò.

Una furia feroce come fuoco incandescente.

Scosse la testa con decisione – Il fuoco si era preso Sabo, non avrebbe permesso che portasse via anche Rufy o lui stesso – e proseguì. Alla fine scorse la testa scura di Rufy oltre la boscaglia. Stava lottando contro un Ateniese piuttosto famoso, Ace dovette strizzare gli occhi per realizzare di chi si trattasse: era Crocodile.

Ace congelò. Crocodile era famoso per essere spietato, crudele e immensamente forte. Più forte di quanto Rufy poteva sperare di essere, perlomeno. Eppure eccolo là, il suo stupido fratellino, a combattere contro di lui mentre i suoi compagni erano impegnati a sfidare alcuni tra i tirapiedi più famosi di Crocodile.

Era già pronto a buttarsi nella mischia, prendere suo fratello per un orecchio e trascinarlo via di lì quando dovette abbassarsi all'ultimo secondo per schivare un attacco sicuramente mortale: voltò la testa di scatto, pronto a risolvere la questione in pochi secondi.

– Guarda un po' se questo non è il famoso Ace.

Il ragazzo strizzò gli occhi: era... era un soldato Ateniese abbastanza conosciuto nella zona di confine, ma non riusciva a ricordarne il nome. Avrebbe fatto in fretta. – Togliti di mezzo e per questa volta ti lascerò stare. – lo sfidò, ghignando.

Per tutta risposta l'uomo sollevò la spada, fissandolo con astio. – Ho sentito parlare di te. Si dice che tu sia un mostro assetato di sangue capace di sgominare un intero esercito con un solo colpo di spada.

Oh. Davvero, così forte? Beh, Ace era colpito. – Cos'altro dicono? Se continui così finirò per non ucciderti. – lo schermì, giocherellando con l'elsa della spada.

– Vattene, ragazzino. La guerra lasciala ai grandi. – ringhiò l'uomo. – La giustizia è dalla parte di Atene!

Ace sollevò il capo, sprezzante. – Giustizia? Proprio voi venite a parlarmi di giustizia? – Era giusto cercare di uccidere un bambino per colpa di una profezia? Era giusto condannarlo ad una vita come sarebbe stata la sua se non avesse incontrato Rufy?

Assottigliò lo sguardo, sfoderando un ghigno che, lo sapeva, faceva invidia a quelli di Kidd e Law nei loro momenti peggiori. – Facciamo un gioco. – propose. – Vediamo quante delle cose che dicono su di me sono vere.

 

* * *

 

Spandam. Ecco come si chiamava. Spandam. Ace sorrise soddisfatto: ora aveva un senso. La spada di quell'uomo era abbastanza conosciuta, ma non aveva stile. Era stato facile, andiamo.

E ora... ora doveva pensare a Rufy! Chissà come stava andando, e se era rimasto ferito? Ace lo cercò con lo sguardo, ma la bolgia che si era creata gli impediva di vedere. Stavano seguendo tutti il suo suggerimento, spingendo i nemici verso la pianura: ormai l'accampamento era praticamente deserto, e buona parte dei soldati si trovava già nel grande spazio aperto oltre la striscia di foresta che li separava dalla pianura.

Ma dov'era Rufy?

Continuò a combattere abbattendo i nemici come mosche, e a volte gli sguardi ammirati dei suoi compagni lo rendevano quasi orgoglioso. Ma doveva trovare Rufy. Lo cercò dappertutto, quando all'improvviso si imbatté in una figura familiare... – Uosop? Sei Usop! – esclamò Ace, afferrandolo per un braccio.

– Ah! N-non farmi del male, sono dalla tua parte! – strillò il ragazzo, dimenandosi come un forsennato.

Ace sospirò. Tutti Rufy se li doveva trovare, quelli strani... – Sta' calmo, ok? Dimmi solo se sai dove posso trovare Rufy.

Usop sembrò riacquistare un minimo di ragione. – Ha detto che ti stava cercando, no? Diceva di averti visto di sfuggita prima, ma siccome era impegnato a combattere con Crocodile non ti aveva potuto salutare come si doveva. Non si sarà perso, spero! Zoro e Sanji finiranno per combattere tra di loro, se nessuno li ferma, e Chopper è sull'orlo del collasso! Ah, menomale che ci sono io, con loro...Guardali, sono tutti laggiù. – concluse, indicando un punto poco distante da lì. I tre stavano combattendo non troppo distanti l'uno dall'altro, e Ace sentì distintamente Zoro gongolare un “trentacinque” mentre Sanji sputava un “trentaquattro” abbattendo un avversario nello stesso tempo.

– No, io non l'ho ancora visto, ma non penso che si sia perso, lui... ma aspetta un attimo, questo vuol dire che Rufy ha... vinto? – chiese dopo un secondo di smarrimento. Crocodile era tra i sette soldati Ateniesi più forti di tutti, questo lo sapeva. Più forte di loro c'erano solo i tre comandanti e, beh, e Sengoku. Lui stesso una volta aveva combattuto con uno dei sette, Jimbe, e la sfida si era conclusa con un pareggio. Gli bruciava ancora, tanto per la cronaca. E Rufy aveva... vinto?

– Certo, perché ti sorprendi? Rufy è fortissimo. Voglio dire, non l'ho mai visto perdere contro nessuno, anche se quel Crocodile era così forte e spaventoso e... – Usop scoppiò in un risolino nervoso. – Non che io fossi spaventato o niente di simile, sia ben chiaro, eh!

Ace sospirò di sollievo, sentendosi immensamente più leggero. Rufy era diventato grande, aveva dei compagni che lo rispettavano e che contavano su di lui. Sentiva che non si sarebbe più dovuto preoccupare per lui.

– Ehi, Ace! – gridò una voce. Il ragazzo si voltò giusto in tempo per venire travolto da un piccolo terremoto scuro. – Ace, ti ho trovato! Santo cielo, non ti trovavo più! Hai visto Kidd per caso?

Ace riuscì ad articolare un “sì”, ancora leggermente sconvolto dall'improvvisa apparizione del fratellino.

– Oh, menomale! Traffy lo stava cercando. Sembrava preoccupato. – confidò Rufy, ridacchiando. – Tu come stai? Non sei... non sei ferito, vero?

Ace inarcò un sopracciglio. – Ti pare? – commentò, altezzoso. – Tu, piuttosto... Non ti sembra di essere conciato un po' male?

Rufy si diede una lunga occhiata, quasi come se non si fosse accorto delle numerose ferite che riportava dappertutto fino a quel momento. – Oh. No, ma sto bene, davvero... Oh, sono tutti nella pianura, dobbiamo sgridarci! – gridò subito dopo, trascinando Ace con sé.

In effetti, praticamente tutti erano ormai passati dall'altra parte. Ce l'avevano fatta. Ora bisognava vedere cosa sarebbero riusciti a combinare lontano dalle luci dei fuochi dell'accampamento...

 

* * *

 

Marco combatteva senza trattenersi, spingendo tutti gli Ateniesi rimasti verso la pianura. Certo che, pur di vincere, se le inventavano tutte: non gli bastava quel vantaggio numerico esorbitante (trecento contro cinquecento, sul serio?). Dovevano addirittura cercare l'effetto sorpresa, attaccandoli tre ore prima dell'alba? Marco non aveva in simpatia il popolo Ateniese già da prima della guerra. Ora, davvero, avevano toccato il fondo.

Se le loro flotte potevano causargli alcuni problemi, nel combattimento a terra i più forti erano e sarebbero sempre stati gli Spartani. E lo stavano dimostrando anche quella notte, buio o non buio.

Attraversò la foresta quasi correndo, finché non gli si aprì davanti lo scenario della pianura illuminata dalla luna e dalle stelle.

– Marco!

– Thatch!

Lo raggiunse, felice di riconoscere un volto amico, e chiese subito: – Come stiamo andando?

L'altro sorrise, battendogli una mano sulla spalla. – Alla grande! L'idea di spingerci tutti verso la pianura è stata geniale, geniale! Ora abbiamo il pieno controllo. Il fratellino di Ace, Rufy, ha steso Crocodile. Non è che l'abbia proprio ucciso, ma gli ha impedito di continuare a lottare, è già qualcosa, no? E Ace... Quel ragazzino, dovresti vederlo, è qualcosa di incredibile: sta praticamente rovesciando le sorti della battaglia da solo! Dovresti vederlo: fa fuori i nemici come se fossero cavallette, è una vera forza della natura. Ha eliminato da solo la maggior parte dei capi degli Ateniesi, ormai è solo questione di... Oh, merda.

L'espressione inorridita di Thatch convinse Marco a voltare la testa, molto lentamente.

Da una tenda dell'accampamento Ateniese era appena uscita una figura che entrambi riconobbero all'istante: quello era Sengoku.

 










Angolo autrice:
Ok, chiedo umilmente scusa. Sono stata una persona orribile e mi vergogno tantissimo, ma non ho proprio potuto aggiornare, mercoledì: era... rullo di tamburi... il mio compleanno, e sono stata fuori tutto il giorno. Spero che comunque il capitolo non vi abbia delusi, e mercoledì prossimo ricomincerò ad aggiornare come al solito! ^^
Scusatemi, ma vado un po' di fretta. Grazie ancora a tutti quelli che mi seguono e che recensiscono, io non vi merito! Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Di battaglie, strategie e situazioni da affrontare ***


DI BATTAGLIE, STRATEGIE E SITUAZIONI DA AFFRONTARE



Marco boccheggiò per qualche istante, come pietrificato: cosa ci faceva il più forte generale Ateniese in quel campo di battaglia?

Si sentivano innumerevoli storie sul suo conto, nessuna delle quali faceva ben sperare. C'era chi diceva che fosse in grado di sterminare un intero esercito con una sola mano. Che lanciasse fiamme dagli occhi. Che persino gli dei si inchinassero al suo cospetto. Che la sua spada non lasciava scampo neanche ai più valorosi. Che fosse figlio di un dio. Una cosa era certa: era esattamente il genere di avversario capace di rovesciare le sorti di una battaglia che stava andando per il verso giusto e trasformarla in una vera e propria tragedia.

Marco deglutì. – Dobbiamo avvertire Barbabianca. – decise, anche se riluttante. – Tra tutti noi è il solo ce può sperare di... insomma... – era inutile che continuasse: se Sengoku combatteva, avevano tutti pochissime speranze di farcela.

Thatch annuì, funereo, e schizzò via. Intanto Marco scandagliò il campo battaglia intorno a sé nella speranza di riconoscere la figura di Ace: averlo al proprio fianco sarebbe stato d'aiuto, in una situazione simile... Però, per quanto si sforzasse, non lo vedeva da nessuna parte.

 

* * *

 

– Sicuro che da qui non ci possa vedere?

– Ah, non lo so, mi metti ansia!

– Rufy, è una cosa seria! Non mi vede, vero che non mi vede?

– Io non vedo lui, quindi immagino che lui non possa vedere te, però... Ace, calmati! Ahia, attento!

Ace ritirò la mano, dispiaciuto: in tutta la sua fuga si era scordato che Rufy era rimasto seriamente ferito dallo scontro con Crocodile, ma non riusciva a smettere di strattonarlo. Oh, insomma, ma era possibile? C'era Sengoku! Proprio lui! Ace sentiva che sarebbe potuto morire dallo spavento, sì. Vederselo spuntare fuori così era stato un colpo: appena si era reso conto di chi avesse effettivamente davanti non ci aveva pensato due volte ad afferrare Rufy per il braccio e a spingerlo giù, fra gli arbusti: infatti non erano ancora completamente usciti dalla fascia di foresta che separava l'accampamento dalla pianura.

– Ace, va... va tutto bene?

Ovviamente non andava tutto bene, ma Rufy appariva troppo preoccupato perché Ace gli riversasse addosso tutta l'ansia che provava. – Non lo so, io... – sospirò, ordinando a se stesso di abbandonare quell'espressione così preoccupata e di assumerne al più presto una tranquilla e sicura di sé. Non che il risultato fosse qualcosa di decente, ma sperò che Rufy apprezzasse il tentativo. – Non so cosa farei se mi dovesse vedere. – ammise, grattandosi la testa.

Rufy sembrò pensarci su, poi sorrise. – Magari si spaventa così tanto che gli viene un colpo e muore! – propose, eccitato.

La sua espressione era così assurdamente convinta che Ace non poté fare a meno di sorridere. – Magari...

– Quindi che facciamo? Stiamo qua oppure andiamo? – domandò Rufy.

Ace esitò un istante. Voleva combattere, lo voleva con tutto il cuore, ma... – Come sono messi, a parte Sengoku, laggiù?

Rufy sembrò pensarci su. – Erano cinque battaglioni. Uno lo comandava Crocodile, a questo punto mi sa che un altro è di Sengoku. Gli altri tre erano Vergo, quello che viene dall'est, un certo Spandam... penso che l'abbia sistemato tu, quello. – ridacchiò e proseguì. – Poi ce n'era un altro, Polchemy, se non sbaglio. Me l'ha detto Law, quindi penso che sia giusto.

Ace prese un profondo respiro, cercando di mantenere la calma. Ancora due generali Ateniesi in grado di combattere... senza contare Sengoku. Non poteva semplicemente rimanere a guardare, ne andava del suo orgoglio! Eppure...

– Guarda, Ace, guarda! – Rufy saltellava con eccitazione sempre crescente. – Oh, ma allora siamo salvi! C'è il vecchietto, Barbabianca: sta combattendo con Sengoku, lo tiene occupato!

Ace si precipitò ad osservare vicino a Rufy, che gemette piano, portandosi una mano al fianco. – Non importa, non fa male. – lo sentì sussurrare fra sé e sé, concentrato. Ace cercò di essere più delicato e sporse la testa per osservare il combattimento.

Era proprio vero, non era un'illusione! Barbabianca era sceso in campo, lottava contro Sengoku. Ace rabbrividì: come combattevano... quasi non riusciva a vederli muoversi, tanto erano veloci. Erano decisamente a un altro livello.

– Perfetto. – commentò, ghignando. – Rufy... ce la fai a combattere?

Il ragazzino annuì, convinto. – Certamente! Sono forte, sai.

– Perfetto. – affermò Ace, alzandosi e facendo un passo avanti. – Allora andiamo.

 

* * *

 

E con un allegro “cinquantatré” Zoro abbatté l'ennesimo nemico, ghignando soddisfatto.

Le cose stavano andando piuttosto bene, osservò. Sengoku era occupato a combattere contro Barbabianca da un sacco di tempo, ma non si preoccupava: il vecchio era forte, e in ogni caso era come se avessero già vinto. Andiamo, praticamente tutti i generali Ateniesi erano già fuori gioco, no?

Rufy aveva sistemato Crocodile, anche se per un attimo aveva avuto paura che non ce la potesse fare. Ace aveva fatto fuori quello Spandam senza praticamente battere ciglio, e aveva visto Kidd e Law, gli amici di Rufy, far fuori quel gigante di Vergo dopo una battaglia davvero memorabile. Rimaneva solo quel Polchemy, e lo sapevano tutti che, una volta sistemati i generali, la loro inferiorità numerica non sarebbe più stata un problema. Se di inferiorità numerica ancora si poteva parlare: con tutti i nemici che stavano abbattendo...

– Ehi, ho sentito male o hai detto proprio “cinquantatré”? – domandò una voce divertita di fianco a lui.

Zoro si voltò appena in tempo per vedere Sanji abbattere quello che -maledizione!- era il suo cinquantaquattresimo avversario. – Non sarà che ti sei rammoll... – Sanji si interruppe bruscamente, e Zoro sentì un brivido di paura salirgli su per la schiena. Cos'era quella brutta sensazione?
Si voltò a guardare nella direzione in cui puntava lo sguardo di Sanji, e il suo cuore perse un battito nel vedere Rufy, ferito e disarmato, ai piedi di un Polchemy che sorrideva trionfante.

– Ma che sta facendo? – ringhiò Sanji, colmo di frustrazione.

– Dopo come era stato ridotto da Crocodile, era già un miracolo che si reggesse in piedi! – imprecò Zoro iniziando subito a correre, seguito a ruota dall'altro. Ma sapevano che non avrebbero mai fatto in tempo, che Rufy (quel pazzo, pazzo, pazzo ragazzino senza il quale vivere in quell'accampamento sarebbe stato semplicemente intollerabile) era praticamente spacciato, ormai.

Polchemy gridò qualcosa e fece per abbassare la spada.

Rufy lo fissava con un lieve sorriso sulle labbra.

 

* * *

 

– Perché hai sorriso, quella volta?

– Uh?

– Hai sorriso. Stavi sorridendo. Quel Polchemy stava per ammazzarti e tu stavi... sorridendo. È strano.

– Ma io sapevo che saresti venuto a salvarmi, Ace!

– E come sapevi che...

– Lo so e basta!

 

Ace aveva un Brutto Presentimento, uno di quelli che, per quanto cerchi di ignorare, ti stanno addosso. Una terrificante sensazione che lo avvolgeva con le sue spire e non lo lasciava più andare. L'ultima volta che aveva provato un Brutto Presentimento di quella portata risaliva a tanti anni prima, quando Rufy era stato attaccato dai Banditi della Montagna e Shanks aveva dovuto sacrificare un braccio per salvarlo.

Aveva perso di vista Rufy da appena qualche minuto, ma aveva come la sensazione che si stesse mettendo nei guai.

 

– Anche tu avevi sentito qualcosa, però...

– Certo! Ero preoccupato per te. Ti reggevi a malapena sulle tue gambe e nonostante tutto combattevi come se niente fosse.

– È che sono un forte soldato di Sparta, no?

– Comunque sia... avevo un Brutto Presentimento.

– Quanto brutto?

– Tanto da farmi correre in giro a cercarti, scemo.

– Poi però mi hai trovato.

– E appena in tempo!

 

Ace vide la spada di Polchemy alzarsi contro il suo fratellino un istante prima che succedesse l'irreparabile. Sentì una scarica di adrenalina in tutto il corpo, e balzò in avanti prima ancora di aver pienamente realizzato cosa stesse succedendo.

Con la spada bloccò il colpo che stava per porre fine alla vita del fratellino e subito sferrò un calcio a Polchemy per allontanarlo da lì. Si assicurò che Rufy stesse bene -almeno, relativamente bene- e si concentrò sull'attacco.

Polchemy non poteva essere un avversario troppo difficile da gestire, insomma, non era neanche lontanamente famoso come Crocodile o Vergo (chissà che fine aveva fatto quello, poi?). Al pensiero di Crocodile e di come si era ridotto Rufy per sconfiggerlo sentì salire la rabbia: possibile che quel ragazzino non sapesse mai quando fermarsi? E Polchemy, lui stava... Il pensiero che Rufy sarebbe potuto morire lo mandò in escandescenze. Attaccò con ferocia il generale Ateniese, facendolo arretrare senza riserve: a malapena riusciva a parare i colpi! L'avversario tentò qualche affondo, ma con un velocissimo colpo di spada Ace riuscì a colpirlo al fianco, poi lo disarmò.

 

– Sono stato bravo, vero?

– Uffa, anch'io l'avrei sconfitto subito, se non fossi stato ferito!

– Sì, e infatti non avresti dovuto attaccarlo. A proposito, perché gli sei andato addosso?

– Mi ha provocato! Insultava Sparta, i soldati, te, e...

– Me?

– Sai, in giro dicono un sacco di cose strane su di te. Ti descrivono troppo forte e troppo cattivo. Antipatico, anche.

– Troppo forte non direi...

– Ma smettila! E... Ace?

– Sì?
– Grazie... per essere venuto.

 

 

* * *

 

 

Quando Rufy si ricongiunse con Sanji e Zoro, Ace temette che i suoi sforzi per salvarlo fossero stati vani.

– Ma ti è andato di volta il cervello?

– Rufy, nelle condizioni in cui eri saresti dovuto ritornare all'accampamento!

– Lo spavento che ci hai fatto prendere!

– Perché non pensi mai, prima di agire?

Rufy ridacchiò, imbarazzato. – Mi dispiace... – li guardò con fare di scuse, e gli altri due sospirarono in simultanea. Ace in qualche modo si sentiva più tranquillo: allora non era l'unico a preoccuparsi in quel modo per Rufy! Certo, quel pazzo ne combinava sempre una, ma sapere che c'erano altre persone pronte a riprenderlo ogni volta che commetteva una sciocchezza lo rincuorava non poco.

– Quindi... tutti i generali sono stati fatti fuori. – commentò Rufy, spolverandosi i vestiti. – Ormai abbiamo vinto, no?

– Non esattamente. – lo corresse Kidd, magicamente apparso vicino a loro. Sembrava piuttosto ferito, ma la sua espressione era fiera e arrogante come non mai. Ace notò che tutta la preoccupazione di poco tempo prima era svanita... che c'entrasse qualcosa il ragazzo che combatteva poco lontano da lui? – Manca ancora Sengoku.

Quel nome riportò bruscamente Ace alla realtà: come se la stava cavando, il vecchio? Se Sengoku avesse vinto...

Rufy iniziò a saltellare per vedere se riusciva a trovare nella folla qualcuno di sua conoscenza che avesse notizie del combattimento tra Sengoku e Barbabianca, e... – Marco! Marco, vieni qui! Marco! – gridò, sbracciandosi.

Ace guardò in quella direzione e si sentì subito più tranquillo: con Marco le cose si sarebbero fatte più semplici, lo sapeva. – Rufy! Ace! Oh, menomale, siete qui. È un sacco di tempo che non vi vedo, state bene?

Ace alzò le spalle. – Tutto a posto... – Rufy annuì con forza. – Piuttosto... come vanno le cose tra Sengoku e Barbabianca?

– Sta vincendo il vecchio, vero? – chiese subito Rufy, impaziente.

Marco si passò una mano sugli occhi, esausto. – È dura... stanno lottando da un'eternità, e non sembra prevalere nessuno dei due.

– Ma ormai è vinta, no? – si intromise Sanji, schietto. – Voglio dire, tutti i loro generali sono stati sconfitti, e li abbiamo praticamente dimezzati. Abbiamo vinto noi, no?

– Non è così semplice. – sospirò Marco. – È ancora una questione di onore. Se Sengoku non viene sconfitto... non dico proprio ucciso, basterebbe che Barbabianca lo ferisse. In questo caso i soldati rimasti credo che lo porterebbero via, se ne andrebbero tutti. Ma finché continuano a lottare, c'è ben poco da fare. Noi continuiamo qui, e speriamo che Barbabianca non...

Ma Ace già non li ascoltava più, correndo in direzione di Sengoku. Bastava che venisse ferito. Cos'aveva detto Rufy? Che magari se Sengoku l'avesse visto si sarebbe preso un colpo.

– Ace! Ace, dove vai? – Rufy gli correva dietro, preoccupato. – Avevi detto che non...

– Funzionerà, Rufy! Basta che mi veda. Se mi vede... non credo che morirà dallo spavento o cose simili, mi basta solo che... che si distragga, ecco. – spiegò velocemente, senza smettere di correre. – Mi vedrà, si distrarrà e Barbabianca riuscirà a ferirlo. In questo modo i suoi soldati lo porteranno via e noi avremo vinto, capisci?

Rufy lo raggiunse, fissandolo negli occhi. – Ma a te... a te va davvero bene così, Ace? – domandò, esitante.

Ace sospirò. Certo che, se avesse potuto, avrebbe preferito evitare una simile scenata. D'altra parte... – È giusto, va bene così. E poi, è l'unico modo. Ci siamo!

Avevano infatti raggiunto il luogo in cui i due uomini lottavano. Tutto intorno era pieno di soldati che tifavano per l'uno o per l'altro generale, e tra loro Rufy riconobbe Usop e Chopper. Oh, almeno stavano bene, era preoccupato.

Si fecero strada tra la folla spintonandosi e infilandosi in ogni spazio disponibile, e alla fine giunsero proprio davanti ai due combattenti. Era il momento. Ace sapeva cosa doveva fare: bastava gridare qualcosa, alzare le mani, catturare l'attenzione di Sengoku in qualche modo, ed era fatta. Quell'uomo non lo vedeva da anni, ma era sicuro che non aveva dimenticato il suo volto. Si chiese confusamente come avrebbe reagito. Avrebbe avvertito tutto il mondo dell'esistenza della profezia? Avrebbe cercato di ucciderlo? E se sì, come?

– Ace? – lo chiamò Rufy, inclinando la testa. – Se non vuoi credo che non...

Ace scosse la testa con decisione. – Devo farlo. – no, non esattamente. – Voglio farlo. – Si era nascosto, quella volta, all'accampamento Nord. Aveva permesso che Rufy e Sabo mentissero per lui, che addirittura Kidd e Law lo aiutassero a nascondersi. Ora era il momento della sua rivincita, di dimostrare quanto realmente valeva. Mise le mani a coppa davanti alla bocca e gridò. – Ehi, Sengoku, quanto tempo!

Quello voltò lentamente la testa nella sua direzione, e Ace raddrizzò la schiena per mostrarsi in tutta la sua statura davanti all'uomo che aveva popolato i suoi incubi per anni. Ghignò, spalancando le braccia. – Di' un po', ti sono mancato? – chiese a gran voce. Poteva vedere Rufy ridacchiare di fianco a lui: stava sicuramente pensando all'ultima volta in cui aveva avuto occasione di parlare con Sengoku.

L'uomo spalancò la bocca, troppo incredulo anche solo per muovere un muscolo. Ace lo vedeva, lo stava riconoscendo! Era quasi esilarante studiare l'espressione di Sengoku in quell'istante: in fondo, per lui, era un incubo che diventava realtà...

Quello che successe dopo rimane nella memoria di Ace qualcosa di molto confuso. Sengoku a terra in un lago di sangue, i suoi uomini che intervengono e lo portano via. Poi urla, grida di gioia, bandiere, stendardi, trombe... ma fu solo quando Rufy lo abbracciò saltellando di gioia e gridando “Abbiamo vinto!”, che riuscì a sentirsi veramente soddisfatto del suo operato.

All'orizzonte stava sorgendo il sole.

 
















Angolo autrice:
Mi. Vergogno. Davvero, mi spiace tantissimo, sono stati giorni impegnativi e-e-e sono qui un'altra volta di venerdì. Scusatemi! >.<
Credo sia ufficiale: scrivere scene di battaglia non è esattamente il mio forte, ma tant'è... E così va concludendosi quest'arco narrativo. Per chi se lo stesse chiedendo, questa battaglia non corrisponde a Marineford, figuriamoci: potrebbe essere paragonata piuttosto ad Alabasta, ecco. Ace e Rufy si incontrano in questo posto, ma non siamo ancora ai livelli della Grande Battaglia che, abbiate fiducia, arriverà tra poco.
Poi ovviamente ho mischiato il tutto in cose che con Alabasta non c'entrano una beata cippa, ma che volete farci... Kidd e Law che insieme sconfiggono Vergo è una cosa che volevo vedere *.* Ah, ma io farò uno spin-off di questa storia solo KiddLaw, vedrete se non lo farò Ehm ehm.
Un'ultima cosa, che poi devo scappare... Rufy sorride prima di essere quasi-accoppato da Polchemy (altro che qui non c'entrava niente, ma non so, volevo metterlo). Potete vederlo perché sapeva che sarebbe arrivato Ace, certo, ma anche come fanno tutti i signori portatori della D che muoiono col sorriso. Una delle due, insomma.
Chiedo perdono per non aver risposto alle recensioni, prometto che rimedierò presto!
Martedì parto (Umbria, aspettami *.*), e non so davvero se troverò internet laggiù dove vado, quindi se non mi sentite non preoccupatevi per me. Sabato al massimo sarò di ritorno!
A presto, un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Wherever we are ***


Capitolo 27 - Wherever we are



Chopper sospirò, stanco: non ne poteva proprio più. Lui in fondo qualche rudimento di tipo medico ce l'aveva -oh, va bene, più di qualche rudimento. Eppure non era possibile che toccasse sempre a lui rimettere in sesto Rufy quando finiva in quelle condizioni! Davvero, era troppo anche per lui.

Quando il ragazzo gli si era presentato davanti era praticamente più morto che vivo -e aveva combattuto tutta la notte, il folle-, seriamente, era un miracolo che ancora respirasse. Ormai Chopper aveva fatto il possibile, occupandosi del corpo inerme del suo amico per tre giorni consecutivi, ed era piuttosto tranquillo: le sue condizioni erano buone, insomma, si sarebbe ripreso. Chopper continuava a dire agli altri che davvero, non c'era bisogno che lo lodassero tanto, e c-che lui non aveva fatto p-proprio niente di speciale, ma sotto sotto tutte quelle attenzioni lo facevano stare bene. Ora non rimaneva che aspettare che Rufy si svegliasse autonomamente...

Non appena la situazione lo permise, il giovane medico andò a cercare Ace per informarlo dello stato di salute del fratellino. Chopper aveva come la sensazione che, se per lui e gli altri ragazzi Rufy era praticamente invincibile (Zoro e Sanji non lo dicevano esplicitamente, ma Chopper sapeva benissimo che era così), beh, per Ace la faccenda era un tantino diversa. Lui conosceva il Rufy giovane e inesperto, quello che -assai presumibilmente- non faceva che cacciarsi nei guai. E Chopper aveva paura che stesse davvero in pena, sapendo in quali condizioni si trovava Rufy!

Andò quindi a cercarlo con tutte le intenzioni di rassicurarlo a dovere: un po' si sentiva a disagio a camminare in mezzo a tanti soldati Spartani forti e possenti come quelli che aveva intorno -il battaglione di Barbabianca contava solo combattenti di altissimo livello, Chopper non sapeva neanche da che parte guardare!-, ma la sua missione gli impedì di fare dietro front seduta stante: doveva trovare Ace e dirgli che Rufy stava meglio, che presto si sarebbe svegliato, che era forte; tanto forte da riuscire a trascinare in ogni avventura un ragazzino debole e inutile come lui, tanto forte da atterrare in quattro e quattr'otto Wapol, il ragazzone che l'aveva tormentato dal primo momento in cui aveva messo piede nell'accampamento. Tanto forte da guidare quell'assurdo gruppetto scalcagnato che erano lui e i suoi compagni.

Gli parve di intravedere la testa scura di Ace poco lontano da lì, e si affrettò a raggiungerlo: che fortuna, trovarlo così presto!

– … non dico che devi essere preoccupato, sto solo facendo notare che...

– Marco, ma che problema c'è, me lo vuoi spiegare? Sto mantenendo il controllo meglio io di te, non capisco cosa...

– È che... è tuo fratello, andiamo! Non sei preoccupato? Nemmeno un po'? Con me puoi parlarne, lo sai. O mi stai dicendo che non te ne importa niente?

Non è che Chopper stesse effettivamente origliando, eh. Solo... il discorso gli interessava: si era sbagliato? A Ace non... non importava nulla che Rufy stesse meglio?

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. – Certo che mi importa, no? È ovvio. Ma non sono preoccupato: se la caverà, non c'è niente da temere. Rufy è un idiota, e si caccia sempre nei guai, e se non lo so io... Ma è forte. – lo disse con un sorriso, come se stesse ricordando qualcosa di divertente -o qualcosa di bello.

Marco borbottò un “ok, in questo caso...” e Chopper ridacchiò tra sé e sé, pronto per fare la sua apparizione. Si era sbagliato sul conto di Ace: conosceva la forza di Rufy, forse la conosceva meglio di chiunque altro. Purtroppo per lui, era chiaro che conoscesse in modo così approfondito anche la sua stupidità.

 

* * *

 

Usop passeggiava avanti e indietro davanti alla tenda, inquieto. – Perché ci mette tanto? – si lamentò, sbuffando per l'ennesima volta. – Ha detto che si sarebbe svegliato oggi, è il terzo giorno...

– Perché Rufy è un idiota. – rispose senza tanti preamboli Sanji, appoggiato al bordo della tenda di fianco a Zoro. – Combattere in quelle condizioni... Mi sorprende che non ce ne abbia messi trenta, di giorni, per rimettersi.

– Già, è completamente pazzo. – confermò lo spadaccino, sbuffando.

Ace annuì, continuando a camminare. – Ne so qualcosa... – sospirò, e gli sguardi di Usop, Sanji e Zoro grondavano di compassione mista a reverenza: uno in grado di convivere con Rufy tanto a lungo meritava sicuramente ogni tipo di ammirazione.

– Ci siamo! Si è svegliato, gente! – esclamò il giovane Chopper, uscendo dalla tenda e passandosi una mano sulla fronte, esausto. – Se la caverà con un po' di riposo, ma per carità, cercate di non farlo muovere troppo! Adesso potete entrare. – concluse, sospirando soddisfatto.

I quattro si fiondarono dentro, neanche fossero inseguiti da un branco di lupi.

– Rufy!

– Sarai contento, adesso.

– Ci hai fatti preoccupare, idiota!

– La prossima volta, dopo aver combattuto a quel modo, evita di strafare!

– Come ti senti? Ma che fai, non alzarti!

– Guai a te se muovi un dito, ok?

– E non fare mai più una cosa simile!

Rufy ridacchiò, posando lo sguardo su ognuno di loro. – Ciao, ragazzi! – sorrise, allegro. – Ah, che dormita... quanti giorni sono passati? – domandò, inclinando la testa.

– Tre. – sospirò Usop, passandosi una mano sulla fronte.

Rufy sbarrò gli occhi. – Ma sono...

– Sì, sono quindici pasti, lo sappiamo. – lo anticipò Ace alzando gli occhi al cielo. – Ma ormai le cucine sono chiuse, dovrai aspettare l'ora di cena!

Il tono che aveva usato suggerì agli altri che Ace fosse più che abituato a quel bizzarro conteggio di pasti, e scossero tutti la testa con commiserazione.

L'espressione disperata di Rufy lasciò presto spazio ad una più tranquilla. – Pazienza! Penso di poter aspettare. Abbiamo vinto noi, vero?

E mentre Usop iniziava a gloriarsi delle sue eroiche imprese, Sanji e Zoro battibeccavano su chi avesse ucciso più nemici (i cavalli contavano doppio o non contavano affatto?) e Chopper non faceva che correre a destra e a sinistra implorandoli di fare meno confusione dato che il suo paziente era ancora convalescente, Ace fece un lungo sospiro. Rufy ne aveva passate tante, a volte anche peggiori di quella. Ma da quando si erano separati aveva sempre provato una specie di velata ansia: non era propriamente preoccupazione, no... eppure, si ritrovava a chiedersi se Rufy avrebbe mai trovato dei compagni adatti a lui. Bisognava avere mille occhi e un gran spirito di sacrificio personale per avere a che fare con un tipo simile. Ma adesso che vedeva i suoi compagni ridere, scherzare, litigare con lui, lanciargli occhiatacce e battergli pesanti pacche sulla schiena, Ace era decisamente più tranquillo.

Come aveva detto Sabo una volta, Rufy non era il tipo di persona da stare da solo. E aveva degli ottimi compagni di cui fidarsi, quindi cosa poteva andare storto?

 

* * *

 

Marco passeggiava per l'accampamento, controllando le condizioni dei feriti e delle tende: certo, non erano messi benissimo, ma il combattimento aveva sicuramente avuto un esito positivo, quindi non c'era di che lamentarsi. Avevano deciso di rimanere in quel luogo ancora una settimana prima di proseguire la marcia verso Pilo per permettere ai feriti di recuperare le forze, e Marco era stato particolarmente attento ad assicurarsi che il fratellino di Ace potesse rimettersi completamente. Davvero, quel ragazzino lo incuriosiva: sconfiggere un soldato del livello di Crocodile era un'impresa da pochi, tuttavia... era fratello di Ace, non bisognava dimenticarlo.

Gli sembrò di scorgere Thatch poco lontano, e decise di raggiungerlo: era bene fermarlo prima che sparisse a bere da qualche parte insieme ad alcuni compagni di altri battaglioni -c'era quel ragazzo, Marshall D. Teach o cose del genere, col quale Thatch sembrava avere un'intesa particolare. – Ehi, non starai cercando di filartela, voglio sperare! Guarda che il tuo compito è quello di aiutare a rimettere a posto le tende, non... – iniziò a richiamarlo, ma il volto di Thatch pareva piuttosto preoccupato. – Che... che succede? – che fosse successo qualcosa a Ace, o...

– Ricordi quel ragazzo, Teach? – rispose lugubre l'altro, avvicinandoglisi in fretta. – Beh, è sparito. Non c'è rimasto secco in battaglia, sono sicuro di averlo visto vivo e vegeto dopo la fine, ma... Non è più da nessuna parte. Sono sparite anche tutte le sue cose.

Marco drizzò le orecchie, teso. – Disertore?

– Molto probabilmente. – sospirò l'altro. – Bisognerà avvisare i piani alti, sai che fatica?

Marco permise ad un sorriso rassegnato di fargli capolino tra le labbra. – Questo sarà il minimo... Mi sa che dovremmo avvisare Ace. Muoviti, andiamo!

Non sapeva perché, ma aveva come il presentimento che il ragazzo non sarebbe stato molto felice di ricevere questa notizia.

 

* * *

 

– Com'è potuto succedere? – Akainu battè un pugno sul tavolo, colmo di frustrazione. – Il piano era perfetto. Li avevamo in pugno.

Sengoku aveva tutta l'aria di poter esplodere da un momento all'altro, ma si trattenne.

– Dobbiamo decidere cosa fare dei prigionieri. Possiamo usarli come merce di scambio. – Kizaru, comodamente seduto di fronte a loro.

– Mi spiace deluderti, – mormorò Aokiji, lo sguardo perso nel vuoto. – Dragon l'ha fatto di nuovo. Lui e il suo gruppetto di Rivoluzionari o come si fanno chiamare hanno fatto irruzione nelle prigioni, ammazzato le guardie, forzato le porte, e... Non abbiamo più prigionieri. Era un po' che non si faceva vedere, dico bene? Da quando ha liberato tutti gli schiavi Spartani, qualche anno fa...

Sengoku si alzò in piedi, tremante di rabbia. – Non possiamo più perdere contro Sparta. – dichiarò, secco. – Per il momento, ritiriamo le nostre truppe da Pilo: dobbiamo rimetterci in forze. Dopodiché, quando l'esercito Spartano sarà già lontano, riproporremo un assedio ancora più feroce e avremo la città in pugno. Una volta fatto questo, con le risorse del porto di Pilo sposteremo la battaglia in mare, e allora nessuno ci potrà fermare. Obiezioni? – chiese, fulminandoli tutti e tre con lo sguardo.

– Io ho una domanda. – sorrise Kizaru, sollevando una mano. – Che mi dici della spia? È riuscita a scappare?

Sengoku sospirò. – Sì, anche se a mio parere è stato uno spreco: sarebbe potuta rimanere un po' più a lungo tra le file Spartane. Ma ormai è più utile dalla nostra parte. Si è già unito al battaglione di stanza a Pilo, quindi ci raggiungerà non appena ripiegheremo le forze.

Non che Sengoku si fidasse completamente di Teach -gli aveva mentito, Ace c'era, Ace c'era-, ma non poteva spiegarne i motivi ai suoi comandanti. – Potete andare. – annunciò, e subito i tre uomini uscirono dalla stanza.

Sengoku si ritrovò solo: cosa poteva fare? Avrebbe dovuto dire la verità a tutto il popolo? No, sarebbe dilagato il panico, assolutamente no. Il battaglione di Barbabianca, addirittura! Cercare di arrivare ad un suo componente significava mettersi contro tutto l'esercito Spartano! Sengoku scosse la testa, stanco: aveva bisogno di tempo, più tempo.

Un'idea gli attraversò la mente, e sul suo viso si fece spazio un ampio ghigno. Oh, quel ragazzo non avrebbe mai mosso un'unghia contro la sua città, questo era poco ma sicuro.

 

* * *

 

– E così... te ne vai? – Ace fissava ansiosamente le fasciature di Rufy, che nascondevano ferite ancora in via di guarigione.

– Beh, Pilo è stata liberata anche senza di noi... un po' mi dispiace, anche perché non vedevo l'ora di arrivare, ma... – iniziò l'altro, sorridendo.

– Ma hai già fatto il pieno di battaglie, per questo mese! – si intromise subito Usop, scuotendo la testa. – Grazie al cielo ci hanno pensato gli Ateniesi a sgomberare il campo, perché altrimenti ci avrei pensato io: in meno di un minuto sarei riuscito a sgominare ogni soldato presente sul campo di battaglia con una sola occhiata!

Rufy ridacchiò, mentre il giovane Chopper osservava Usop con occhi luccicanti. – Davvero? Oh, Usop, sei un mito! – esclamò, eccitato.

– Allora... i nostri battaglioni si separano. – sussurrò Rufy, abbassando leggermente lo sguardo.

Ace sorrise. – Ehi. Guarda che è normale, non si può stare sempre attaccati. Vorrà dire che ti darò ancora un po' di vantaggio. Impegnati per diventare il soldato più forte di Sparta o quello che era, perché penso che anch'io ti darò del filo da torcere!
– Hai ragione! – sorrise Rufy, decisamente più rincuorato. – Vedrai, la prossima volta che ci rincontreremo sarò un vero soldato di Sparta, più forte di quanto tu possa mai immaginare! – Sollevò il pugno, e Ace fece altrettanto.

– È una promessa!

 

 

 

 

Angolo autrice:

Salve a tutti! Io davvero, davvero, non ho parole per scusarmi. Sono stata via senza un briciolo di wi-fi né di tempo per studiare fino a sabato sera, dopodiché la scuola mi ha fatta prigioniera fino ad oggi. Ma non preoccupatevi, davvero, i periodi turbolenti sono finiti: ho già pronta una meravigliosa scaletta con tutti i capitoli e sono a buon punto con il prossimo, quindi abbiate fede, non sparirò.
Che ve ne è sembrato del capitolo? Lo so, è decisamente di passaggio, ma dovevo introdurre alcune informazioni fondamentali... e così, Teach se n'è andato (guarda caso, nel battaglione di Pilo... rispunterà fuori?). Immaginarlo così vicino a Thatch mi sconvolge, vi prego, ditemi che non sono stata l'unica a pensarlo. Ho già deciso cosa fare di lui, ma non vi dirò niente! E poi, quale sarà l'idea di Sengoku?
Grazie ancora a tutti quelli che seguono e recensiscono questa storia, davvero, non mi stancherò mai di ringraziarvi tutti!
Un bacione, vostra
Emma ^^

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Un'altra nave ***


 

Caro Ace,

Come stai? Scommetto che ricevendo questa lettera non crederai ai tuoi occhi, ah! Te l'avevo detto che ho imparato a scrivere. Cioè, in realtà sto ancora imparando, per cui questa lettera me la sta correggendo Nami. Ma l'ho scritta praticamente tutta da solo, chiaro?

Intanto, devi sapere che in quest'ultimo anno sono diventato fortissimo. Ho guadagnato molti nuovi compagni, ti piacerebbero un sacco! La prima si chiama Robin: ti ricordi Crocodile? Beh, era una sua sottoposta, ma prima era Spartana: quindi l'abbiamo liberata, e adesso vive insieme a Nami. Le vediamo molto spesso, in realtà!

Poi ho trovato un compagno fortissimo, lui lo devi assolutamente conoscere: si chiama Franky. È un tipo davvero simpatico, mi fa davvero ridere! E adesso fa attenzione: ti ricordi la faccenda del sentiero della Volpe? Ce l'avevano raccontato Kidd e Law il giorno della nostra prima prova di sopravvivenza, ti ricordi? Beh, Franky dice che la leggenda si è leggermente ingigantita col tempo: non è successo cent'anni fa, ma venti. E non è scomparso un battaglione intero, si trattava di una piccola pattuglia mezza ubriaca. Il fatto è che c'era questo soldato Spartano, Franky, appunto, che aveva iniziato a costruire armi fin troppo pericolose, e quindi era stato cacciato. Allora si è costruito un rifugio proprio nel sentiero della Volpe, ci crederesti? E l'ha camuffato in modo che non ci si potesse più arrivare. Poi man mano altri soldati che volevano unirsi a lui l'hanno raggiunto e si facevano chiamare Franky Family. Sono un gruppo di pazzi, quindi siamo subito andati d'accordo, non ti preoccupare. Mimetizzavano il percorso così bene che per forza che nessuno l'aveva mai trovato! Franky si ricordava del giorno in cui eravamo passati noi: ha detto che lo avevamo fatto ridere con la faccenda della barca (la Going Merry! Ti ricordi?), e che ha voluto aiutarci un po'. L'ho conosciuto quando ho lottato contro Lucci, il generale Ateniese di stanza ad Anfipoli: per farla breve, perché Nami ha detto di non scrivere troppo, anche Franky era stato catturato da lui. Dico anche perché Lucci aveva preso Robin, ma questa è una faccenda troppo lunga da spiegare. Insomma, abbiamo liberato Franky e lui ci ha raccontato la sua storia (mi ha riconosciuto subito, ci crederesti? Mi ha chiamato “Quello della Going Merry”. E tu che mi prendevi in giro!), dopodiché ha accettato di unirsi a noi.

E non è tutto! Hai presente Gekko Moria, uno dei sette generali, come Crocodile? Quando l'ho sconfitto ho ottenuto un altro compagno. Si chiama Brook ed era suo prigioniero: unico sopravvissuto di tutto il suo battaglione, una storia orribile. È un tipo simpatico, sa suonare ogni tipo di strumento e così possiamo fare festa tutte le sere!

Ho tanti amici, ma tu mi manchi comunque moltissimo. Se penso che solo un anno fa combattevamo insieme sulla strada verso Pilo! Ho saputo tutto, eh: Atene ha di nuovo dichiarato lo stato di assedio, ma questa volta ha stanziato così poche truppe che la faccenda è stata affidata solo a un battaglione. E così vai a Pilo senza di me, eh? Mi raccomando, divertiti! Siccome vai fin laggiù passerai per Sparta, quindi lascio la lettera qui: sono solo di passaggio, siamo tornati da poco perché Franky doveva incontrarsi con la Franky Family. Sono persone davvero simpatiche, quando torniamo a Sparta dobbiamo ringraziarli come si deve, eh?

Salutami tanto Marco e Thatch, e per quanto riguarda quella cosa... non ci crede nessuno, sta' tranquillo. Voglio dire, sei la persona più Spartana che conosca, il fatto che un nemico come Sengoku vada in giro a dire che sei Ateniese senza nemmeno spiegare come o perché suona finto persino a me! Cioè, qui da me dicono tutti che Sengoku è un bugiardo e che non sa più che pesci pigliare, e anche a Sparta sono dello stesso avviso. Pensa che nonno Garp si è inventato milioni di aneddoti sulla nostra infanzia! Pare che quand'eri piccolo mi prendevi sempre per le gambe e mi facevi penzolare a testa in giù per farmi un dispetto, ma io invece di piangere mi mettevo a ridere. Allora tu mi scuotevi ancora di più, e io ridevo ancora più forte. Un giorno mi hai scosso così forte che ti sono scivolato di mano e ho sbattuto la testa sul pavimento. Avrò avuto due o tre anni, nonno finge sempre di non ricordare con esattezza i dettagli, e tu ti sei preso uno spavento terribile: sei corso da tutte le parti chiedendo aiuto perché io avevo smesso di ridere e sembravo come morto. Poi però mi sono messo seduto tutto sorridente (nonno dice “con la sua solita faccia da ebete”) e tu hai fatto finta di non esserti preoccupato per niente. Poi però quella sera sei rimasto a dormire con me chiedendomi in continuazione se mi facesse male la testa. Questo è il mio preferito, perché sembra molto vero, non trovi? In ogni caso sono tutti più che convinti delle tue origini, tranquillo.

Cos'altro? Oh, una cosa importantissima! Come ho fatto a dimenticarmi, come? Ascolta, ascolta, non ci crederai mai! Cinque o sei mesi fa ho incontrato un ragazzo della tua età del terzo battaglione, quello con anche Kidd e Law. Era da quelle parti in missione con altri due o tre ragazzi, e abbiamo iniziato a chiacchierare: è saltato fuori che la sua prima missione l'ha avuta a dodici anni. E io gli ho detto, così presto? Anche una persona che conoscevo è andata in missione a quell'età. Non ho detto “fratello”, perché con tutta questa storia di te che sei o non sei Ateniese non volevo creare ancora più casino, ma in ogni caso ho detto che si chiamava Sabo. Lui ha strabuzzato gli occhi e mi ha chiesto di che missione stessi parlando e io gliel'ho detto. Erano insieme, Ace! È andato nella stessa missione in cui Sabo... Ovviamente gli ho chiesto di raccontarmi tutto, e lui mi ha detto che quel giorno Sabo gli era sembrato strano. E indovina? Aveva appena parlato con Teach. Quando l'edificio in cui si trovava è bruciato non c'era nessun motivo apparente, era andato in fiamme come per magia, e Teach non si vedeva da nessuna parte. Ma non è tutto, eh! I corpi. Gli ho chiesto se li avessero seppelliti e come, e lui ha detto che i resti erano così carbonizzati che non hanno trovato niente, a parte qualche dente e poche tracce di ossa carbonizzate. “Per quello che ne so”, ha detto, “Potrebbero essere tutti della stessa persona”. Teach ha detto che i cadaveri erano tre. Ora salta fuori che potrebbe essere solo uno o due. E non so tu, ma io vorrei tanto insomma, sperare non e se fosse vivo, noi ok, sono calmo. Ace, vero che Sabo era un fratello fantastico? I fratelli fantastici non smettono mai di esserci, anche se non li vedi più. Soltanto... mi piacerebbe. Molto.

Quindi niente, spero che tu riceva questa lettera al più presto, e che stia bene! Salutami tutti, libera Pilo e continua a guardare le stelle per me. Ci rincontreremo di sicuro!

Rufy

 

* * *

 

Ace si passò una mano sugli occhi, stringendo a sé il foglio pieno di sbavature e cancellature che Garp gli aveva consegnato borbottando qualche lamentela su come fosse ormai trattato peggio che un'agenzia postale o cose del genere.

Rufy gli aveva scritto. Dopo un anno, ecco che aveva notizie di suo fratello. E ne aveva fatta, di strada! Sconfiggere tutti quei generali Ateniesi non doveva essere stato un lavoro da poco (e Rufy non gli aveva neanche detto tutto: Ace aveva sentito anche di un certo Ener, se non ricordava male). Sorrise: stava davvero tenendo fede alla sua promessa, niente da ridire.

E tutti quei nuovi compagni... sapeva per certo che, se avevano accettato di stare al fianco di Rufy, dovevano essere gente fuori dall'ordinario. E davvero, per come Rufy li aveva descritti Ace non aveva niente di cui preoccuparsi. Uno in grado di gestire una storia come quella del Sentiero della Volpe poteva fare qualunque cosa! Davvero, Ace all'inizio non poteva crederci. Poi aveva chiesto conferma a Marco: quando questo gli aveva confermato che sì, la voce del Sentiero della Volpe era nata vent'anni prima o giù di lì e che ogni volta che la sentiva raccontare apparivano informazioni inedite, fu costretto a capitolare. Eppure ripensare a quei giorni gli aveva messo addosso una certa malinconia... non che sentisse nostalgia della Going Merry, che fosse chiaro.

Per quanto riguardava le voci di Sengoku, ecco, Ace sentiva un groppo in gola ogni volta che ci pensava. “È Ateniese”. “È scappato”. “Non è uno di voi”. “Non fidatevi”. Le voci false si diffondono a velocità doppia di quelle vere, era risaputo. Ma se tutti quelli che avevano conosciuto Ace avevano preso la cosa con il dovuto scetticismo, per molta gente invece quelle voci avevano una solida base di verità. In fondo, si diceva nei villaggi, ha iniziato l'addestramento tre anni dopo gli altri. E ha un'aria un po' distante, strana, diversa. E se fosse vero? E se non fosse di qui?
 

Gli innumerevoli successi bellici del giovane avevano in parte sedato queste dicerie (perché dovrebbe combattere i suoi compatrioti? È Spartano, non ci piove. Avete visto come somiglia al fratello, quello che ha sconfitto Lucci? Sì, e ha gli stessi modi del vecchio Garp, senza dubbio. È Spartano, è Spartano).

Ma ogni volta, non appena passava un po' di tempo dall'ultima battaglia, le voci ricominciavano.

Gli unici a conoscere la verità erano Marco e Barbabianca. – Dillo a tutti. – aveva proposto Marco un giorno, stufo di dover fulminare con lo sguardo i cenciosi ragazzini che gridavano davanti all'accampamento “a morte l'Ateniese”. – Diglielo. D'accordo, avete ragione, sono Ateniese. E sapete perché mi hanno cacciato? C'era una profezia che diceva che avrei distrutto il popolo Ateniese, pensa un po' che coincidenza. Ma siccome sembra che non vi importi me ne vado, tranquilli. Li sconfiggete da soli, ok?

Ace aveva sospirato. – Non è così semplice, Marco... – Aveva imbrogliato per poter entrare nell'accampamento Spartano, molti anni prima. Se si fosse saputo... e nonostante tutto, nonostante le rassicurazioni di Marco, nonostante l'amore incondizionato di Rufy, nonostante la consapevolezza di essere nel giusto, Ace non ci riusciva. Non riusciva a rivelare al mondo l'esistenza della profezia, era una ferita ancora troppo aperta. E poi, il destino, ognuno lo decide da sé. O no?

 

* * *

 

– Ace! La smetti con quella faccia imbambolata e ti dai una mossa? – sbuffò Thatch, cogliendolo alle spalle e strappandogli di mano la lettera di Rufy. – Mmmhhh, adesso finalmente scoprirò cos'è questa roba che ti porti dietro da tutto il viaggio... Caro Ace, come stai? Oh, ma è di.... di Rufy, dai, non ci credo! Vediamo un po'... – evitando con maestria i tentativi di omicidio di Ace, scorse velocemente la lettera. – Ma quanto scrive, quel ragazzino? Sì, ricordo, aveva una parlantina così sciolta... Oh, dice di salutarmi, che carino! E chi è questo Sabo? Avevi un altro fratello? – Ace riuscì nell'impresa di strappargli di mano la lettera, assestandogli contemporaneamente un pugno sul naso.

– Sei soddisfatto, adesso? – grugnì, ripiegando con cura il figlio stropicciato. Sabo. Sì, aveva un altro fratello, e con questo? Rufy aveva ragione, non era il caso di farsi false speranze. Assolutamente no. Eppure...

– Certo che sei violento! – si lamentò Thatch, massaggiandosi il naso. – Sei proprio uno Spartano, eh... Guarda che un po' della filosofia Ateniese ti farebbe solo bene! È questo il segreto della vita, caro mio: prenderla con filosofia. Chissà cosa ci riserverà il futuro? E se io morissi domani, come ti sentiresti ad avere questo pugno sulla coscienza?

Ace lo fulminò con lo sguardo. – Correrò il rischio. – sibilò, categorico. Dopodiché si alzò in piedi e ripose la lettera di Rufy nella sua saccoccia. – Allora, per cosa mi cercavi?

– Oh, sì: Marco dice di aiutarlo a smontare la tenda di Barbabianca. Domani dobbiamo imbarcarci e il vecchio si riduce sempre all'ultimo... – sbuffò Thatch, incamminandosi di malavoglia.

Per raggiungere Pilo bisognava oltrepassare un piccolo tratto via mare, costeggiando l'isola di Sfacetria. Superato questo, si sarebbero ritrovati proprio di fronte a Pilo. E allora...

– D'accordo, arrivo. – sospirò Ace, affiancandolo. In fondo, di cosa si preoccupava? Con gente del genere al suo fianco, niente poteva andare storto.

 

* * *

 

– Allarme! È un attacco, tutti gli uomini sopracoperta!

Ace sapeva a malapena cosa significasse stare “sopracoperta”, e non aveva la più pallida idea di cosa fare. Era l'alba, e quelle grida lo avevano letteralmente buttato giù dal letto. Incontrò Marco nel corridoio che correva verso il ponte, e subito dietro vide Thatch. – Che succede? – gemette, affiancandoli.

– Nami Ateniesi. Ci aspettavano, ci vengono addosso!

Ovvio. Detestava ammetterlo, ma dal punto di vista navale gli Spartani non potevano competere contro le immense flotte Ateniesi. Dovevano riuscire ad attraccare prima che fosse troppo tardi, altrimenti... Oh, avevano sperato fino all'ultimo che gli Ateniesi non li intercettassero! – Cosa possiamo fare? – chiese Ace non appena messo piede sul ponte. Strabuzzò gli occhi, non riuscendo a credere a quello che vedeva. E tutte quelle navi da dove arrivavano? Erano almeno una decina, contro le tre navi Spartane.

– Ai cannoni! – urlò qualcuno, e subito Ace si diede da fare accaparrandosi una posizione. Iniziò a fare fuoco, ma fu subito chiaro che non sarebbe bastato: la flotta nemica era troppo potente, le loro tecniche di navigazione troppo avanzate, le loro navi troppo numerose. – Ci hanno colpiti!

La nave precipitò nel caos più totale. Grida, secchi d'acqua, sudore, scintille, calore. Anche le altre due navi Spartane non sembravano passarsela altrettanto bene. – Di questo passo affonderemo! – gemette Thatch.

– Va bene. – disse solo Ace.

Marco strabuzzò gli occhi. – Va... bene? Ace, ma sei impazzito?

– No, ascolta. Non arriveremo mai a Pilo in queste condizioni. Però c'è un'altra terra su cui fermarci, se lasciamo la nave proprio adesso. – alzò lo sguardo e indicò il grande ammasso roccioso che gli si stagliava davanti. – Dobbiamo andare tutti a Sfacetria.

Thatch dallo stupore lasciò andare la corda che aveva in mano, causando le grida irate di un loro compagno che si trovò a dover reggere il doppio del peso. – Vuoi... abbandonare la nave?

– Non è che ci sia un granché da abbandonare. – gli fece notare Ace, alludendo all'incendio che ormai divampava senza pietà. – Abbiamo due possibilità. Rimanere su questa nave in più possibile e, una volta affondati, non avere nessuna possibilità di raggiungere una o l'altra riva. Oppure calarci in mare adesso e raggiungere Sfacetria. Possiamo combattere da lì. Via mare non abbiamo speranze. – concluse Ace, sbrigativo. Non c'era tempo!

Thatch si grattò la testa. – Potresti davvero essere Ateniese, sai? Questa strategia non è mica da poco.
Ace lo ignorò e si rivolse a Marco, impaziente. – Cosa ne dici?

Il ragazzo lo fissò per un tempo interminabile, preoccupato. Poi sospirò. – Hai ragione tu, è l'unico modo. Preparate delle scialuppe! Io vado ad avvisare Barbabianca.

Un'altra nave che affonda, Rufy... pensò Ace, in procinto di abbandonare quella che per un solo giorno è stata la sua imbarcazione. Chissà se anche questa sarà così gentile da salvarmi?

E probabilmente fu solo la sua immaginazione, ma per un istante gli sembrò di sentire chiara nella mente la risata allegra di Rufy. Dipende. Come si chiama? Il nome è importante. Moby Dick. Lo farà.













NdA
Salve a tutti! In perfetto orario come al solito (pffff) eccomi qui! Un altro capitolo un po' di passaggio per quanto riguarda la parte iniziale, ma... colpo di scena! (?) Sfacetria. Questo nome vi dice qualcosa? (ovviamente no. ma io ho ripescato il libro di storia di prima liceo quindi mi sento terribilmente intelligente, assecondatemi). Intanto, Sabo. Chi segue il manga ogni settimana SA, ma per il resto non mi vorrei pronunciare. Rufy ha completato la sua ciurma, e questo vi dovrebbe far capire a che punto della storia siamo... Ah, per quanto riguarda il piano di Sengoku non disperate: non si limitta soltanto a spargere voci in giro (anche se, diciamolo, un po' ha fatto il suo effetto). C'è dell'altro, abbiate fede.
Grazie ancora a chi legge e recensisce: a breve risponderò a tutte le recensioni, ve l'assicuro!
Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Di isole, trattative e vecchie conoscenze ***


DI ISOLE, TRATTATIVE E VECCHIE CONOSCENZE





Rufy era sdraiato nel centro della tenda, gli occhi puntati sul soffitto. – Zoro...

– Cosa vuoi? – borbottò l'altro, aprendo pigramente un occhio.

Rufy aspettò un attimo prima di parlare. – Non senti anche tu qualcosa di strano? Come se... stesse succedendo qualcosa.

Zoro inarcò un sopracciglio. – E che cosa?

– Qualcosa di brutto. – rispose Rufy a bassa voce, girandosi dall'altra parte. – Non so perché, solo... oh, lascia stare. – Sicuramente non era niente di importante, perché di punto in bianco dava retta a sensazioni del genere? Probabilmente aveva solo mangiato qualcosa di troppo pesante, sì.

– Su, sta' tranqullo. – sbuffò Zoro, aprendo tutti e due gli occhi e posando lo sguardo su di lui. – Nessuno di noi è in pericolo da quando hai sconfitto Moria. E in ogni caso, siamo insieme. Cosa potrebbe andare storto?

Rufy annuì, leggermente rassicurato, e tornò a guardare il soffitto.

Ace, cosa sta succedendo?

 

* * *

 

– Attenzione, attenzione!

– A dritta, insomma, da quella parte: adesso!

– No, remate più in fretta: se diminuiamo il ritmo...

– Così, così!

– Siamo praticamente arrivati, è fatta!

Ace si voltò, la fronte imperlata di sudore: la Moby Dick, la nave su cui aveva viaggiato fino a quel momento, era stata abbordata dalla flotta Ateniese. Se fossero rimasti lassù un secondo di più, sarebbero stati catturati senza possibilità di scampo. C'era anche da dire che la fortuna era stata dalla loro parte: se la nave fosse stata in una posizione migliore, l'inseguimento sarebbe stato disastroso per il battaglione di Barbabianca. Invece sembrava che la Moby Dick fosse ormai ingovernabile, e questo diede il tempo a Ace e ai suoi di sbarcare a terra. La situazione era troppo assurda per essere vera, ma Ace indirizzò comunque un pensiero di gratitudine a quella nave che li aveva in qualche modo protetti. Sentiva una strana affinità con le imbarcazioni, ora che ci pensava. In un'altra vita, forse, la carriera del pirata lo avrebbe anche potuto allettare...

– Quante armi ci sono rimaste? – sentì gridare Marco poco lontano da lui. Ace si guardò intorno: su quella immensa spiaggia erano riuniti poco più di duecento soldati, una buona metà dei quali disarmati. Thatch imprecò.

Poco distante da loro, Ace avvistò Barbabianca. Il vecchio gli si avvicinò con aria risoluta e subito Ace si sentì meglio, più tranquillo. – Allora, uomini. – esordì, mettendosi le mani sui fianchi. – Cosa proponete di fare?

– Addentriamoci nell'isola. – prese la parola Marco, risoluto. – È abitata: chiediamo asilo per qualche giorno, poi cercheremo di trovare un compromesso anche con la flotta Ateniese.

Ace la trovò una buona idea, e anche Barbabianca annuì soddisfatto. – La situazione non è semplice, ma possiamo cavarcela. Anche gli Ateniesi sanno che prendere prigionieri uomini disarmati è disonorevole. Possiamo trattare. Anche se siamo bloccati qui, non consideratevi dei prigionieri! Siete Spartani! Con chi credono di avere a che fare, eh?

Un ruggito partì dai soldati, e Ace non si era mai sentito più fiero di appartenere a quel battaglione.

Si incamminarono tutti lungo l'unico sentiero che conduceva al paese, e Ace iniziò a chiedersi quanti rifornimenti potessero aspettarsi da una popolazione così ridotta, quando Marco lo prese da parte. – Ace, Thatch. – disse, afferrando anche l'altro per il braccio. – Ho bisogno che andiate avanti voi due.

Ace inclinò la testa da un lato. – Perché noi, scusa?

– Non... non sono sicuro che sia tutto a posto, ok? Gli Ateniesi circondano l'isola con le navi, ma alcuni di loro sarebbero potuti sbarcare ed andare ad aspettarci laggiù in qualunque momento. Ho paura che... non siano tanto legati a cose come l'onore, ormai. Se potranno catturarci come prigionieri, lo faranno. – Ace deglutì. Il battaglione di Barbabianca? Sengoku non si sarebbe fatto problemi ad infrangere ogni legge sull'onore esistente sulla faccia della Terra.

– Cosa dobbiamo fare? – chiese Thatch, spiccio.

– Andate avanti e controllate che non ci siano Ateniesi ad aspettarci al varco. Chiedete in giro se hanno armi o al limite una nave in grado di trasportarci fino agli Ateniesi ancora in mare per trattare. Mi raccomando: se vedete qualcuno di sospetto tornate immediatamente indietro. Niente colpi di testa, Ace, intesi? – gli lanciò un lungo sguardo indagatore prima di assumere un'espressione più calma, quasi rassegnata. – Siete gli unici che possono sperare di andare e tornare indietro tutti interi, nel caso di un agguato.

Ace annuì. – Marco...

– Sì? – si voltò quello, che già faceva per andarsene.

– Come facciamo se gli Ateniesi ci stanno aspettando? E se non vogliono trattare? – La loro situazione, per quanto potessero dirsi forti e senza paura, non era delle migliori. C'erano cascati, inutile negarlo: per raggiungere Pilo era necessario attraversare quelle acque, e gli Ateniesi lo sapevano. Forse erano stati un po' imprudenti, ma... erano Spartani, insomma! Preparare ordite strategie non era il loro forte, no? Ora non erano sufficientemente armati per reggere uno scontro, e isolati laggiù le speranze di sopravvivere a lungo senza contatti con l'esterno non erano molte. Tutto quello che potevano sperare era che gli Ateniesi si decidessero a trattare per la loro libertà. Ace non si faceva troppe aspettative: in ogni caso, anche nel più roseo, Pilo non l'avrebbero vista. Sengoku era stato proprio astuto! Piazzare meno battaglioni a Pilo, così che gli Spartani mandassero meno uomini e fosse più semplice isolarli in mare. Forse non si erano aspettati che approdassero su Sfacetria, ma era questione di tempo prima che la situazione precipitasse. Cosa potevano fare?

Marco sospirò, passandosi una mano sulla fronte. Quando la ritrasse, però, il suo sguardo era determinato e fiero. – Combatteremo. Anche qui, anche con meno armi. Finché ne avremo la forza, noi combatteremo. Siamo Spartani, no?

Ace ghignò. – Ovvio.

Poi lui e Thatch si incamminarono verso la foresta.

 

* * *

 

– Ehi, Sanji. Hai mai la sensazione che stia per succedere qualcosa di brutto senza sapere cosa fare per impedirlo?

Il biondo voltò lo sguardo, incuriosito. – Prego?

– Insomma, sì. – spiegò Rufy, lo sguardo perso per aria. – È da stamattina che mi sento strano. Ho una specie di presentimento. – alzò lo sguardo verso di lui, preoccupato. – È una cosa strana, non so cosa fare!

Sanji alzò le spalle. – Ne hai parlato con Zoro?

– Lui dice che non devo preoccuparmi. – rispose Rufy, mordendosi il labbro. – Dice che non c'è niente che io stia sbagliando, ora come ora. Però... mi sento in ansia... Sta per succedere qualcosa di brutto.

Sanji sospirò. – I tuoi poteri da veggente mi inquietano, Rufy, giusto perché tu lo sappia.

Rufy gonfiò le guance, offeso. – Non è così! Ho solo paura che... oh, non so. – Tirare in ballo il nome di Ace sarebbe stato troppo, senza contare che l'avevano tutti visto in azione: credere che un tipo come lui fosse nei guai era troppo assurdo, andiamo! Eppure...

– Oh, non preoccuparti. – disse all'improvviso Sanji. – Voglio dire, ora come ora, qualunque cosa accada, non puoi fare un bel niente. Non puoi impedire ciò che sta per succedere. – gli brillarono gli occhi. – Però, ecco... se avessi voglia di prendere dei provvedimenti in seguito, e avessi bisogno di una mano... devi solo chiedere, lo sai.

Rufy chiuse un attimo gli occhi, beandosi di quella certezza: non stava viaggiando da solo. E neanche Ace, non doveva dimenticarlo. – Grazie, ragazzi. – mormorò a mezza voce. E comunque, andiamo, non era mica detto che sarebbe successo qualcosa, no? Era decisamente troppo suggestionabile. Era quasi sicuramente colpa di quello che aveva mangiato la sera prima.

 

* * *

 

Marco stava aspettando da decisamente troppo tempo. Quando aveva mandato Ace e Thatch in ricognizione si era aspettato di vederli spuntare dopo un'ora, al massimo due. Ora ne erano passate quasi tre, e davvero non sapeva più cosa fare. Dirigere tutto il gruppo alla cieca verso il paese era un'idea: l'ipotesi più probabile infatti era che i due fossero stati catturati dall'esercito Ateniese, dopotutto, e non potevano certo rimanere con le mani in mano. Ma prima di spedire tutti i suoi uomini disarmati e provati contro un nemico in forze e ben attrezzato voleva avere la certezza che Ace e Thatch non fossero semplicemente in ritardo. E infatti, pochi minuti dopo...

– Scusa! Scusa, scusa, scusa, scusa! Ho fatto tardi, mi spiace, mi sono addormentato! Thatch è già qui? – chiese Ace, spuntando da oltre la fitta boscaglia.

Marco balzò in piedi. – No, e non sai quanto mi avete fatto preoccupare! Cos'avete visto? Dov'è finito Thatch? Ci sono dei nemici? Quanti? Se li aggiriamo potremmo...

Ace sollevò le mani, ancora leggermente ansimante per la corsa. – No, non... non c'erano nemici. Io e Thatch ci siamo divisi alla ricerca di armi, provviste e una nave. Armi non ne hanno, mi spiace, sono un popolo molto semplice. Qualche contadino ha una vecchia spada arrugginita, ma per rifornire un esercito... – scosse la testa, mordendosi il labbro. – La nostra unica speranza è che gli Ateniesi ci consentano di tornare indietro.

Marco annuì. – È una questione di onore. Se il nemico è disarmato, non si combatte. Non ci faranno certo andare a Pilo (non siamo neanche nelle condizioni, ormai), ma potremo tornare a Sparta. E da lì organizzare di nuovo l'attacco. Per ottenere questa permissione dovremo andare a trattare. Avete trovato un mezzo?

Ace annuì di nuovo. – Era il mio compito. C'è un certo Crocus che ci offre il suo grande peschereccio. E dovresti vederlo, è un peschereccio enorme! Ci stanno dentro più di venti persone! – gongolò, soddisfatto. – Thatch aveva detto che si sarebbe occupato dei viveri... non è ancora tornato?

Marco scosse la testa, le labbra strette. – Tu va' a cercarlo. Nel frattempo io, Barbabianca, Izou, Vista e qualcun altro andremo verso le navi Ateniesi. È bene che siano i più forti a combattere, non si sa mai. Tu e Tatch però rimanete qui a controllare tutto, mi sentirei più sicuro. Assicuratevi anche che tutti gli uomini mangino, intesi? – disse, facendo per alzarsi.

– Si potrebbe andare. – mormorò Ace, lo sguardo fisso a terra. – Con il peschereccio. Si potrebbe andare a Pilo, Marco! Un po' per volta, di notte. Le armi le ruberemo là, non è questo il punto. – alzò lo sguardo, feroce. – Non ci sarà alcuna trattativa. Ci vogliono prendere prigionieri tutti quanti.

Marco rispose al suo sguardo con altrettanta determinazione. – Loro potranno aver dimenticato cosa sia l'onore, ma noi no. Non scapperemo da quest'isola alla spicciolata come un branco di ladri.

– Ma è l'unico modo per arrivare a Pilo! – sbraitò Ace, furente.

– Non possiamo, Ace. – decretò Marco, serio. – Vorrei... Barbabianca non ce lo permetterebbe, lo sai.

Ace sbuffò, arrabbiato. Lo sapeva, certo che lo sapeva. – Allora, buona trattativa. – borbottò, incrociando le braccia. – Vado a cercare Thatch. – e si allontanò di buon passo.

 

* * *

 

– Su, adesso mi dici che cos'hai? – Usop inclinò la testa, confuso. Era raro che Rufy non si divertisse a vedere le imitazioni che lui Chopper facevano -anche con grande sforzo, Usop avrebbe puntualizzato.

– Eh? Oh, niente, davvero. – si precipitò ad assicurare Rufy, sorridendo imbarazzato. – Ho solo... una stretta allo stomaco.

Usop annuì con aria da intenditore. – È che mangi troppo, te l'ho sempre detto! – spiegò con tono saputo. – Devi sapere che mangiare lentamente...

– No, non è per quello, è più... una strana sensazione. – cercò di spiegare Rufy. – Come se... – cercò il paragone adatto. – Come se sapessi di aver lasciato un sacco pieno di carne in mezzo all'accampamento e me ne fossi andato senza sapere se qualcuno ne ha preso un pezzo, o quanti ne sono stati portati via... – si grattò la testa. – È complicato.

Usop trattenne una risatina. – Scusa, ma se anche fosse? Ti basterebbe andare da chiunque abbia osato mettere le mani sulla tua carne chiederne dell'altra in cambio, no?

– Certe cose però non si possono sostituire. – borbottò Rufy quasi a se stesso.

 

* * *

 

Erano passate ore. Il sole stava già per tramontare e Ace non era per niente tranquillo, proprio no. Aveva cercato Thatch in lungo e in largo per l'isola, ma sembrava essersi volatilizzato. Cosa gli era successo? Si era imbattuto in qualcuno di pericoloso? Come stava? Ace non poteva dimenticare la situazione in cui si trovavano, dopotutto. E Marco con Barbabianca e gli altri non erano ancora tornati! Ma quanto ci voleva a trattare? Ace immaginava che le cose non stessero andando troppo bene.

Fece irruzione per la decima volta nella stessa trattoria (l'oste lo guardò con un misto di compassione e fastidio) quando gli parve di sentire una risata conosciuta. Congelò sul posto. – Mi scusi... – azzardò, rivolgendosi all'oste. – Potrei salire un attimo? Penso di aver riconosciuto un... un mio amico. – sputò con un certo disgusto. L'uomo annuì con riluttanza, indicando la rampa di scale con un cenno del capo.

Ace salì i gradini quattro per volta, fino a raggiungere una porta socchiusa. La spalancò con tutte le forze che aveva, preparandosi ad affrontare l'uomo che più odiava sulla faccia della Terra, subito dopo Sengoku. – Quanto tempo, Teach. – ringhiò, squadrandolo con odio.

Quello lo fissò quasi incredulo. – Non posso crederci, Ace! – rise con la sua forte voce tonante. – Stavamo appunto parlando di te, vero?

Ace si guardò intorno: un'accozzaglia di individui della peggior specie stava intorno a Teach come se fosse il loro capitano o qualcosa di simile. Ma l'inferiorità numerica non era mai stato un problema, per lui. – Cosa avete fatto a Thatch? – chiese, ignorando l'uscita di Teach. Che fosse opera loro era evidente, e Ace aveva una gran voglia di menare le mani, al momento.

– Ah, intendi il biondino di prima? Chissà. – ghignò Teach, gli occhi che brillavano.

Ace non ci vide più e gli sferrò un potente pugno sul viso. L'aveva già fatto una volta, molti anni prima, ma adesso dava ancora più soddisfazione.

– No, fermi. Me ne occupo io. – gridò Teach ai suoi compagni, già pronti a saltare addosso a Ace. – Voi statene fuori.

Ace lo fissò con odio. – Ditemi subito cos'avete fatto a Thatch!

Invece di rispondere, l'altro uscì dalla stanza e Ace lo seguì, imprecando: possibile che quell'uomo fosse così calmo in ogni circostanza? Era inquietante. Ma Ace non si sarebbe certo fatto intimorire da quello, figuriamoci!

Appena furono all'esterno Teach prese un profondo respiro. – Ah, non trovi anche tu meravigliosa l'aria di quest'isola? Gli Ateniesi mi hanno fatto stabilire qui un paio di giorni fa, nel caso che riusciste ad approdare. Certo che sono previdenti, eh? Chissà come stanno andando le trattative.

Ace gli sferrò un altro pugno, ma questa volta Teach lo evitò. – No, dai, questa volta facciamo le cose per bene. – sussurrò, ghignante. Ed estrasse la spada.

Ace non se lo fece ripetere due volte e sguainò la sua, pronto al combattimento. – Non appena le trattative saranno finite torneremo a Sparta! – gridò Ace parando un fendente. – Dopodiché torneremo qui, e vi sconfiggeremo!

Teach rise, abbassandosi per schivare un colpo di Ace. – Ci credi davvero? – sghignazzò. – Non vi permetteranno mai di fuggire. Il vostro destino è segnato! Non li vedi, come tornano con la coda tra le gambe?

Erano vicini alla spiaggia. Ace voltò lo sguardo appena in tempo per vedere la piccola nave degli Spartani staccarsi da quella imponente degli Ateniesi, e ritornare alla volta di Sfacetria. Teach approfittò di quella distrazione per ferirlo al braccio. – Non significa niente. – sputò Ace, ignorando una fitta di dolore. – Ti sconfiggerò ugualmente!

Teach sghignazzò. – Loro possono tornare indietro. Questi sono i patti. I rappresentanti che stanno su quella barca possono tornare a Sparta. Tutti gli altri, invece... – Ace schivò un altro fendente, allibito.

– Non è possibile. – sussurrò a mezzavoce. – Come lo sai?

– Non è ovvio? – sospirò Teach, alzando platealmente gli occhi al cielo. – Tu non eri su quella nave. Se ci fossi stato, ormai non saresti più qui a raccontarlo. La prima cosa che avrebbero fatto una volta tra le loro mani... – e si passò con eloquenza un dito sulla gola. – Invece così hai salvato i tuoi amichetti, bella mossa. Loro torneranno in patria, mentre tu rimarrai su quest'isola e sarai fatto prigioniero insieme agli altri.

Ace attaccò con una furia rinnovata, colpendolo di striscio alla spalla. – Barbabianca non accetterà mai! – gridò, furente. – Non accetterà mai di partire abbandonando qui il suo battaglione!

Teach sorrise. – O questo, o io ricevo l'ordine di far fuori tutti i vostri soldati.

– Tu? E di grazia, come sconfiggeresti centottanta soldati Spartani? – chiese Ace, scettico.

– Centottanta disarmati e denutriti soldati Spartani contro dieci tra i più potenti soldati Ateniesi perfettamente in forma ed equipaggiati? Non saprei, ma il numero delle vittime tra le vostre fila mi sembra comunque molto alto, non vi pare?

Ace deglutì. – M-ma così...

– Oh, meglio prigionieri che morti, no? Il vecchio ha un cuore tenero, non vi manderà al macello tutti quanti. Si inventerà qualcosa come “li salverò tutti non appena avrò riformato un esercito” o cose del genere e se ne andrà. Inutile ricordarti che l'obiettivo di tutto sei tu... E che tutto questo sta avvenendo a causa tua.

Ace sentiva la rabbia prendere poco per volta il controllo del suo corpo. Stava per lanciarsi addosso a Teach con tutte le sue forze quando si sentì chiamare dal mare.

– Ace! Ace, ma sei tu?

Teach voltò la testa di scatto, sconvolto, e Ace fece altrettanto: la piccola nave contenente i principali soldati del Battaglione di Barbabianca era vicina alla riva quanto bastava perché le loro voci si sentissero. – Ace, raggiungici, forza! – gridava Marco da laggiù. – Andiamo, se nuoti puoi farcela!

Ace vide tutto con estrema chiarezza. Doveva solo interrompere il combattimento contro Teach e mettersi a nuotare, e sarebbe stato libero. Con Barbabianca, Marco e gli altri avrebbe potuto riorganizzare l'esercito in breve tempo e correre al salvataggio degli ostaggi in meno di una settimana. Doveva solo interrompere il combattimento contro Teach.

Piano, lentamente, voltò le spalle al peschereccio. – Ace! – gridò anche Barbabianca. – Vieni subito qui!

Ma il ragazzo non si voltò.

– Ace, non fare pazzie! – lo scongiurò Marco, sporgendosi dal parapetto della nave. – Interrompi il combattimento e vieni!

Ace lo sapeva, quello era un gran colpo di fortuna. Sengoku non si sarebbe mai aspettato che Ace si trovasse in una posizione tanto vicina alla spiaggia nell'esatto momento in cui la nave passava lì davanti. Poteva fuggire, ma... – Io non interrompo mai un combattimento! – gridò, irato. – Specie contro individui di questo genere! Ha tradito l'intero esercito Spartano!

– Sì, però... – iniziò Marco, disperato. La nave si stava già allontanando.

– Non vi preoccupate, tra un istante ho finito. Vi raggiungo subito! – gridò Ace, rivolgendo la sua attenzione a Teach. – Sentito? Farò in fretta. – lo avvertì, ghignando.

Teach rise. – Potevi salvarti, e hai scelto di venire distrutto. Preparati.

 

* * *

 

Rufy si svegliò di scatto, la fronte sudata. No, fare un sonnellino non aveva aiutato affatto: che sogno orribile, così realistico...

– Ace. – mormorò, la voce strozzata.

Era ufficiale: si stava davvero preoccupando. Cosa gli stava succedendo?






























Angolo autrice:
Puff... puff... è ancora mercoledì! Sì, lo so, scusatemi. Intanto il capitolo è molto più lungo del normale, eee... ne succedono, di cose! A Sfacetria, recita il mio libro di storia, furono fatti prigionieri 180 soldati a causa di una politica molto più aggressiva da parte degli Ateniesi nata proprio in quegli anni... e tra quei 180 c'era anche Ace. Ho cercato di mantenermi in parte fedele con l'originale, quando Ace potrebbe rinunciare alla vendetta e restare con la sua ciurma (in questo caso andare a ricostruire l'esercito) e invece rimane indietro a causa di Teach. Cos'è successo a Thatch, vi chiederete tutti? Uhm... mistero...
Grazie a tutti quelli che recensiscono, davvero, siete eccezionali! Un bacione, e a settimana prossima!
Emma

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Please don't go ***


PLEASE DON'T GO




Usop correva da ore in giro per la città, ansimando come un forsennato: dove si erano cacciati quei due? Sapeva che Zoro aveva un pessimo senso dell'orientamento, ma sperava che con Rufy... Oh, ma chi voleva prendere in giro, li aveva già dati per persi nell'istante in cui si erano allontanati. Eppure doveva dirglielo, Rufy doveva sapere che...

– Li avete trovati? – ansimò, incontrandosi con Sanji e Nami all'angolo della strada.

– Non ancora. Forse Franky però aveva visto qualcosa, lui e Robin sono andati verso la montagna. – rispose Nami, preoccupata. Abbassò lo sguardo. – Non posso ancora crederci... – mormorò, affranta.

Sanji si passò una mano sulla fronte. – Lo so, è assurdo, ma non ci sono dubbi. Dobbiamo dirlo a Rufy prima che lo scopra nel modo sbagliato.

Usop annuì con forza. – Andiamo verso la montagna?

Sanji fece un secco cenno d'assenso e si misero tutti a correre verso la direzione indicata. Non potevano crederci, eppure... Dovevano immediatamente trovare Rufy e Zoro, dovunque fossero.

 

* * *
 

– Ancora una, per favore, Makino! – rise Rufy, alzando il bicchiere vuoto.

La donna rise, servendolo subito. – Eccomi, eccomi! Non sei cambiato affatto, Rufy!

– Ma cosa dici! Guarda che ormai sono molto più forte di quand'ero piccolo! – si imbronciò lui, per poi scoppiare a ridere subito dopo. – Sei tu che cucini benissimo come al solito!

Erano a Sparta da qualche giorno, ormai, e quella era la loro prima giornata libera. Siccome nessuno dei suoi amici aveva mai vissuto là (provenivano tutti da città alleate), Rufy aveva deciso di presentargli Makino e il paesino in cui era cresciuto insieme a Ace. Gli altri, chissà come, si erano persi strada facendo, ma non era importante: era solo mattina, avrebbero avuto tutto il tempo di rifarsi più tardi.

–Mangiavo qua quasi sempre, se io e Ace non avevamo cacciato qualcosa di commestibile. È tutto buonissimo, vero? – sorrise Rufy, allegro.

Zoro annuì, buttando giù il contenuto del suo bicchiere in un colpo solo. – Davvero buono. Di solito le osterie così piccole servono cose immangiabili. – dovette ammettere.

– Poi ti porto a conoscere Dadan, vedrai, ti piacerà un sacco! Il suo è un covo di banditi, ma sono brave persone, non ti preoccupare. – si affrettò ad aggiungere, sorridendo incoraggiante. – Se poi recuperiamo anche gli altri, magari, non...

La porta si spalancò di botto. Un uomo dalla corporatura massiccia e dai corti capelli scuri si avvicinò al bancone in mezzo al silenzio più tombale, senza staccare gli occhi dal tavolo di Rufy e Zoro. – Mi scusi, potrei avere del saké? – chiese, sempre continuando a fissarli.

Makino obbedì in fretta, preoccupata, e l'uomo quasi le strappò di mano la bottiglia prima di sedersi con un colpo secco al tavolo di Rufy. – Posso? – chiese, malizioso.

Rufy aggrottò leggermente le sopracciglia, ma non disse niente.

– Tu sei Monkey D. Rufy, dico bene? – intsistette quello, avvicinandosi un po' di più.

Rufy annuì lentamente, e Zoro fece passare una mano lungo una delle sue spade. – Perché lo cerchi? – chiese, ostile.

– Oh, non lo stavo cercando, passavo di qua per caso! – chiarì subito l'uomo, sollevando le braccia con aria accondiscendente. – Sono andato a trovare il vecchio Garp per una questione... politica. Puoi chiamarmi Kizaru. – aggiunse poi, tendendogli la mano.

Tutti, nel salone, sobbalzarono vistosamente. In molti già l'avevano riconosciuto: il famoso Borsalino, detto Kizaru, uno dei più potenti generali dell'esercito Ateniese. Cosa ci faceva, lì? In tempi di guerra non... – E chi saresti, scusa? – domandò Rufy, inclinando il capo.

Zoro gli tirò uno scappellotto, fissando ostile l'Ateniese. – Cosa ci fai qui? E cosa vuoi da noi?

– Da voi? Oh, assolutamente nulla, figuriamoci! – rise l'uomo. – Il vero favore me l'ha fatto tuo fratello... se così lo possiamo chiamare. – aggiunse, facendo un cenno a Rufy. – È a causa sua se ci troviamo qui, oggi. – puntualizzò, sornione.

Rufy si irrigidì visibilmente. – A-Ace? In che senso, scusa?

Kizaru sogghignò. – Come, ancora non lo sai?

La porta si spalancò e fecero irruzione tutti i compagni di Rufy, ansimanti. Il ragazzo si voltò nella loro direzione, ma prima che quelli potessero anche solo aprire bocca Kizaru ridacchiò. – Tuo fratello è stato catturato dall'esercito Ateniese qualche settimana fa sull'isola di Sfacetria, dopo essere stato clamorosamente sconfitto in duello da Marshall D. Teach, detto Barbanera. La sua esecuzione è fissata ad Atene tra cinque giorni.

 

* * *

 

Ace si svegliò di soprassalto, la fronte madida di sudore. Ancora quell'incubo, ancora quella risata. Nulla di quello che vedeva intorno poteva rassicurarlo, rinfrancarlo. Guardandosi intorno non c'era niente che gli dicesse che il suo sogno era stato, appunto, solo un sogno. Teach che rideva. Teach che lo fissava con euforia prima di sferrare l'ultimo attacco, quello decisivo. Non era solo un sogno, realizzò alla fine. Era vero: Ace era stato catturato.

Aveva disobbedito a Barbabianca e agli altri, era rimasto a combattere contro Teach sicuro della propria supremazia ed era stato sconfitto. Ricordava poco di come era arrivato fin laggiù, un terribile viaggio, una marcia forzata che l'aveva quasi ucciso e che aveva condannato molti dei suoi compagni.

Non aveva visto Thatch da nessuna parte.

Adesso si trovava in un'umida cella senza la più piccola finestra, piena di paglia puzzolente e di topi sempre pronti a rosicchiargli le dita dei piedi. Il cibo non c'era, e se c'era era guasto e immangiabile. Gli mancava l'aria, le ferite bruciavano, la gola ardeva. Ma non era niente, niente, paragonato al suo orgoglio ferito.

Cos'avrebbe detto Rufy, vedendolo in quelle condizioni? Rufy, che lo considerava un eroe. Rufy, che vedeva in lui l'incarnazione stessa della forza e del coraggio. Rufy, che aveva sempre creduto in lui.

Ace si passò una mano sulla fronte: era bollente. Le ferite non rimarginate stavano probabilmente facendo infezione, e ormai iniziava a delirare nel sonno. Avevano chiamato un medico (“non vogliamo che muoia prima del dovuto!”, avevano sghignazzato le guardie) e il dolore si era un po' alleviato, ma non era sufficiente.

Voleva uscire, voleva sentire il vento tra i capelli, voleva vedere le stelle, gli alberi, il cielo.

Se si sforzava riusciva quasi a sentire il rumore del ruscello poco lontano dall'accampamento, dove era solito andare insieme a Rufy quando avevano voglia di staccare un po'.

Aspettami! Ace, aspetta!

La voce di Rufy c'era sempre. Prima di addormentarsi, nel dormiveglia, ogni istante: la sentiva vicina, il suo solito chiacchiericcio soffuso e costante lo cullava quasi senza che se ne accorgesse. Tutti i discorsi che Rufy gli aveva fatto, tutte le risate che gli aveva riservato, Ace le aveva conservate. E ora, in qualche modo, lo sentiva ancora vicino.

Andrà tutto bene.

No, non è vero, no.

Ace, tu sei forte!

Non lo sono stato abbastanza.

Sì, invece! Non è finita, combattiamo ancora!

Non voglio, sono stanco.

Ace, forza, vieni!

No...

Un giorno sarò forte come te!

Non volevo questo...

Sarò così forte che dovrò essere io a venire a salvare te, un giorno o l'altro!

No, non venire... Non venire, Rufy!

Ma io ti voglio bene.

Non è giusto!

Ace... non morire!

Non morire.

 

– Ehi, il prigioniero delira di nuovo!

– Che dice, stavolta?

– Dice “va bene” e “non succederà mai” e “te lo prometto”. Continua a ripeterlo, come se qualcuno lo stesse scongiurando di non fare qualcosa.

– Forse sta sognando la sua ragazza che gli chiede di non tirare le cuoia!

– In ogni caso se sta troppo male è un guaio, e se schiattasse prima dell'esecuzione?

– Andate a chiamare il dottore, su. – la guardia ghignò, passando il dito sulla lama del coltello che aveva in mano. – E visto che ci siamo, per il momento approfittiamone per farlo stare un po' zitto noi.

 

* * *

 

– C-come hai detto?

Gli occhi di tutti erano puntati su Rufy. Il ragazzo sembrava svuotato di ogni energia, come se la luce fosse scomparsa improvvisamente dai suoi occhi.

– Andiamo, non è possibile, Ace non... – iniziò Zoro, scettico, ma Sanji scosse la testa con decisione, intimandogli di fare silenzio: era vero, nelle taverne di tutta Sparta non si parlava d'altro.

– Oh, non lo sapevi? Scusami tanto, temo di averti rovinato la sorpresa. Ah, nel caso ti interessi, le trattative sono saltate. A Sparta non ci sono abbastanza battaglioni disposti ad una missione suicida come una marcia verso Atene per salvare un solo uomo. Ace morirà. E... Sengoku ha intenzione di rivelare a tutti la verità. Oh, non far finta di non capire, ragazzino. – ridacchiò, mellifluo. – Grazie per il sakè, era delizioso! – disse, alzandosi rumorosamente in piedi. Lanciò un sacchetto tintinnante di soldi sul bancone e uscì, facendosi spazio tra i compagni di Rufy.

Questi si precipitarono subito al suo fianco: il ragazzo era bianco come un cencio. – Rufy, sta' calmo, non è ancora detta l'ultima parola. – cercò di incoraggiarlo Usop. – Tuo fratello è forte, riuscirà sicuramente a fuggire, o...

– E in ogni caso, – intervenne Chopper con sussiego, – se vuoi andare fin laggiù devi solo chiedere, ok? Noi ti seguiremo!

Tutti annuirono con convinzione. Rufy fece passare lo sguardo su ognuno di loro, e ad ogni secondo la sua espressione si faceva meno preoccupata. – Avete ragione: Ace è forte, solo... è stato catturato tutto il battaglione di Barbabianca?

Brook scosse la testa. – I generali più forti sono riusciti a fuggire. Ora si trovano nelle vicinanze, poco lontano da Sparta.

Rufy si alzò in piedi con decisione. – Andiamo da loro. Sicuramente hanno già un piano. So che Ace è forte e tutto, però io... – abbassò lo sguardo, concentrato. – Ho una brutta sensazione.

– L'ultima volta che ha avuto una brutta sensazione stavano catturando suo fratello. – sbuffò Sanji, alzando gli occhi al cielo. – Speriamo che stavolta le cose vadano un po' meglio.

I nove uscirono in tutta fretta dalla locanda verso quello che restava del battaglione di Barbabianca, senza sapere che un'ambasciatrice Ateniese molto particolare stava per compiere il loro stesso identico percorso.

 

* * *

 

Marco camminava avanti e indietro, preda dell'ansia.

Cinque giorni. Nel giro di cinque giorni Ace sarebbe stato ucciso. Anche partendo immediatamente, le possibilità di raggiungere Atene in così poco tempo erano scarse, ma in ogni caso nessuno degli altri battaglioni li avrebbe affiancati. Loro non si facevano problemi ad andare da soli, certo, però... Oh, maledizione! Perché Ace doveva essere tanto stupido?

E nemmeno sapeva se Thatch era ancora vivo...

– Si può? – la testa di Izou fece capolino da oltre la tenda. – È già arrivata l'ambasciatrice Ateniese?

Marco scosse la testa. – Eppure Kizaru è qui da stamattina... Ma mi hanno detto che è una che se la prende sempre comoda.

Izou entrò e fece passare lo sguardo su ogni lato della stanza prima di posarlo negli occhi di Marco. – Tu come stai? – azzardò, piano.

– Come sto? – Marco sospirò, passandosi una mano sulla fronte. – Tutti i miei uomini sono prigionieri ad Atene. Il battaglione di Barbabianca è stato mezzo sterminato, e nessuno ci appoggia nella missione contro Atene. Come se non bastasse, se non facciamo qualcosa subito, Ace...

Izou annuì, comprensivo. – Hai provato a chiedere al fratellino di Ace, quello che ha sconfitto Crocodile e Moria? Non mi è sembrato il tipo da lasciare suo fratello in difficoltà.

Marco annuì. – Ci ho pensato, ma... se lo chiamassi, suo fratello poi mi ucciderebbe. È così orgoglioso che, insomma, farsi aiutare dal fratellino minore... – ammise con un sospiro. – E il suo battaglione non ci aiuterà, quindi chiedergli di venire con noi sarebbe chiedergli di andare contro ogni regola, voglio dire... meglio che ce la sbrighiamo da soli. Abbiamo altri alleati su cui fare affidamento, ci sono delle città che ci devono alcuni favori. – concluse, pratico. – Intanto vediamo se l'ambasciatrice riesce a farci guadagnare qualche giorno di tempo prima dell'esecuzione...

Izou annuì. – Come vanno bene gli incontri diplomatici a noi, a nessuno. – dichiarò, riuscendo a strappargli una risata. – Oh, meno male. Pensavo che con Ace ti avessero rapito anche il sorriso! – ammiccò, facendo per uscire. – Ah, una cosa: com'è che si chiamava l'ambasciatrice? Giusto per non fare figure nel caso mi compaia davanti.

Marco si concentrò. – Mi pare... Boa Hancock, o qualcosa del genere.

Izou annuì e uscì dalla porta, lasciando Marco ancora una volta solo nei suoi pensieri.










Angolo autrice:
E rieccomi qua! Stasera temevo di non farcela invece guardatemi, all'alba delle otto sono già qui a pubblicare! *feeling powerful*
Allora, come dire, in questo capitolo scopriamo ciò che già si sospettava (maledetto canon), ovvero che Ace è stato sconfitto da Barbanera ed ora si trova prigioniero ad Atene. L'apparizione di Kizaru però vi ha sconvolti, eh? Avevo bisogno di qualcuno che introducesse la cosa, e in questo modo abbiamo sbrigato anche la saga di Sabaody (?) Sì, stiamo andando veloci, abbiate pietà: questa cosa dei parallelismi col canon arriva dopo, perché cerco di soffermarmi di più sul rapporto che c'è comunque tra Rufy e Ace: da quando sono cresciuti è sempre più nascosta come cosa, però davvero, si vogliono un bene dell'anima, questi due.
Ah, il titolo viene da "Illusion" dei VNV Nation. È una canzone che ho conosciuto grazie ad un AMV su Ace che vi consiglio: https://www.youtube.com/watch?v=TSqop-6pcYw
Quindi... che ne è stato di Thatch? Cosa succederà con la famosa ambasciatrice Boa Hancock (chi se l'aspettava dica io)?
Grazie a tutti, ci sentiamo presto!
Un bacione
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** L'ambasciatrice ***


 

– Ci diamo una mossa o no?

Rufy rideva sguaiatamente per una battuta di Usop, Franky mostrava ad un adorante Chopper una nuovissima mossa di combattimento e Sanji e Zoro non la smettevano di litigare. Come se non bastasse, Brook aveva appena ricominciato a darle fastidio, e Robin si limitava a ridacchiare. Nami davvero si chiedeva come avrebbero fatto tutti quanti senza di lei. – Devo ricordarvi il motivo per cui stiamo camminando da più di un'ora?

Rufy si ricompose immediatamente, calcandosi bene in testa il cappello di paglia. – Hai ragione, dobbiamo trovare Marco e gli altri e salvare Ace. Ragazzi, più in fretta, più in fretta!

Nami sospirò, passandosi una mano sulla fronte. Non poteva dire di non essere preoccupata. Vivendo tanto tempo con Rufy e gli altri aveva imparato a conoscerli, e sebbene non li seguisse proprio in ogni loro missione -spesso era impossibile per lei viaggiare tanto lontano-, ne sapeva abbastanza di loro per poter affermare che erano forti. Tanto forti da battere Arlong, e Crocodile, e tutti i seguaci di Lucci e così via. Eppure, qui si stava parlando di Atene. Della grande città di Atene, immensa e inespugnabile. Cosa poteva un pugno di soldati contro una tale forza armata? E Ace... Nami ricordava benissimo quel ragazzo, così come ricordava la sua forza. Se davvero esisteva qualcuno in grado di batterlo, che possibilità potevano avere Rufy e gli altri?

– Nami? Tutto bene? – Rufy le si avvicinò, inclinando la testa.

– Eh? Oh, sì, non preoccuparti. – fece subito lei, sorridendo.

Usop li raggiunse trotterellando. – Guardala, teme che il Grandissimo Usop non riesca a sostenere la tensione di una battaglia così insignificante! Che illusa...

Nami cercò di protestare, ma furono subito raggiunti da Sanji e Zoro. – Non temere, amatissima Nami, comunque vadano le cose io non potrei mai lasciarti! – si precipitò ad assicurarle con enfasi il primo, tentando di metterle un braccio intorno alle spalle.

Zoro sbuffò. – Che idiota... Anzi, che idioti tutti e due. – si corresse, guardando di sbieco anche Nami. – È ovvio che ce la faremo.

Rufy ridacchiò. – Giusto! L'ha detto anche Ace, sapete? Quando ci siamo visti. Hai dei buoni compagni, mi ha detto. Sono molto più tranquillo, adesso. E ha detto che sapeva che sarebbe andato tutto bene. – tacque per un attimo, perso nei suoi ricordi. – Oh, si sta facendo tardi! Se facciamo in fretta raggiungiamo l'accampamento di Marco prima di sera! Avanti, forza!

Nami sospirò, rassicurata. Avevano ragione, finché erano insieme non c'era nulla da temere. Era davvero contenta che Rufy avesse dei compagni al suo fianco: era chiaro che se così non fosse stato non sarebbe rimasto così calmo. Nami sapeva quanto Rufy tenesse a Ace, e saperlo in pericolo doveva essere davvero doloroso, per lui. Non riusciva neanche ad immaginare quanto stesse soffrendo, considerato la misura in cui Ace era stato importante nella sua vita. Eppure... erano insieme, erano insieme e sarebbero riusciti a superare qualsiasi ostacolo.

Nami sorrise e si mise a rincorrerli. – Ehi, aspettate!

 

* * *

 

Marco si alzò di scatto e uscì dalla tenda. Un po' di ritardo era consentito, ma così si esagerava! Due ambasciatori, da Atene a Sparta in via del tutto eccezionale. Questi erano i patti. E Marco sapeva benissimo quanto fosse importante che Hancock parlasse con loro: le trattative con Kizaru erano già fallite, quindi tutto dipendeva da quell'incontro.

Sperava solo che la donna non avesse incontrato Kizaru lungo la strada: aveva sentito che il generale Ateniese aveva deciso di tornare in patria da solo lasciando indietro la scorta, ed era possibile che i due si fossero incontrati. Se Kizaru avesse fatto direttamente cambiare idea all'ambasciatrice senza nemmeno permetterle prima di parlare con loro...

Uscì dall'accampamento e si guardò intorno: niente, nessuna traccia di portantine o di calessi all'orizzonte. Marco stava per voltarsi e tornare indietro, quando gli parve di vedere qualcuno sbucare dal folto della foresta: erano sicuramente loro! Euforico, iniziò ad andargli incontro. Era ormai a portata d'orecchio quando iniziò a sentire delle voci provenienti dal gruppetto che si avvicinava.

– I-io non so come ringraziarti, davvero, s-sei...

– Non ce n'è bisogno, davvero, è stato un piacere!

– Sì, tranquilla, a lui piace atterrare i briganti tanto per divertimento, gli hai fatto solo un favore.

– Non è per divertimento, è che quando ero piccolo un gruppo di briganti...

– Sì, sì, conosciamo la storia. In ogni caso non serve che ci ringrazi... come hai detto che ti chiami?

– Hancock. Io mi chiamo Hancock, e t-tu sei...

– Oh, Hammocock? Che strano nome. Boh, comunque io sono Rufy.

– Rufy, lascia questa dea in pace! Oh, divina! Oh, somma! Oh, sublime! La tua sfolgorante bellezza illumina le mie fosche pupille, e...

– Smettila, ti stai rendendo ridicolo!

– Scusali, Hancock, fanno sempre così.

– In ogni caso, Hammocock... Sono felice che tu non ti sia fatta male!

– …

– Non serve che arrossisci, davvero, è solo stupido. Sorride così a tutti.

– B-beh, ecco... io comunque vorrei...

– Oh, Marco!

Rufy sventolò forte la mano, interrompendo un'imbarazzata Hancock dal suo balbettante tentativo di ringraziamento. Marco li raggiunse, confuso. – Cosa... cosa ci fate voi qui? – chiese, esitante.

Zoro sbuffò. – Abbiamo saputo di Ace, e questo qui ha deciso di venire a parlare con voi. – spiegò in fretta, alludendo a Rufy con un cenno della testa. – Quando partite?

Marco sbarrò gli occhi. – I-in che senso, scusa? Non potete, il vostro battaglione non...

Rufy strinse i pugni. – E allora? Non ho intenzione di stare qui a non fare niente, chiaro? E se mi bandiscono, pazienza! Possono bandirmi da tutti i battaglioni che vogliono, possono anche esiliarmi, se gli va! Io non mi tirerò indietro: voglio andare a salvare mio fratello! – gridò, arrabbiato.

La donna di nome Hancock ebbe un sussulto a quella frase, e Rufy parve ricordarsi solo allora della sua presenza. – Ah, Hammocock, ti presento Marco. Marco, lei è Hammokock. Dei briganti la stavano assalendo, e io li ho stesi tutti.

Usop annuì con convinzione. – Stavano per farla fuori, ma Rufy è spuntato dal nulla e li ha conciati per le feste! Ha messo a repentaglio la sua vita per salvare quella di Hancock.

– È stato favoloso! – confermò Chopper, emozionato.

Hancock si limitò a fissarsi i piedi, sorridendo imbarazzata.

– Vedi? Sono forte. Fatemi venire con voi a liberare Ace! – implorò Rufy, le mani congiunte.

Marco sbatté un paio di volte le palpebre. – O-ok, però... non è il caso di dire tutto davanti ad un'ambasciatrice Ateniese, vi pare? – commentò debolmente.

Nove paia di occhi strabuzzati si voltarono verso Hancock. – Cioè tu saresti Ateniese? – chiese Rufy a bassa voce.

La donna si coprì il volto con le mani. – Rufy, davvero, io non avevo idea che quell'Ace fosse tuo fratello! Oh, adesso mi odierai di sicuro! – gemette, rovesciando la testa all'indietro con fare melodrammatico.

Rufy la prese per le mani, fissandola negli occhi con un'espressione completamente seria dipinta in viso. – Non è che ti odio. Però ti prego, devi aiutarci a salvarlo!

A Marco servivano due secondi per realizzare cosa diavolo stesse succedendo. Rufy e tutto il suo scalcagnato gruppetto erano arrivati fin là per offrirgli il loro aiuto nel salvare Ace, meglio di quanto avrebbero mai potuto sperare. Certo, Ace li avrebbe sicuramente uccisi tutti per il solo fatto di aver permesso a suo fratello di venire coinvolto, ma a quel punto non poteva permettersi di fare troppo lo schizzinoso. E non era tutto! Evidentemente la famosa Boa Hancock, nota per aver infranto più di un milione di cuori, fredda e spietata come poche donne Ateniesi, si era presa una cotta per quel ragazzino altruista e sorridente. Questo... questo sì che sarebbe potuto essere d'aiuto!
– Se permettete, – esordì con un sorrisetto scaltro, – potremmo iniziare le trattative da subito. Abbiamo sentito che il generale Kizaru ha già espresso la sua opinione in merito, ma forse lei potrebbe ancora mettere una buona parola... Rufy, ovviamente se vuoi assistere alle trattative puoi farlo. – concluse, ghignando.

Rufy spalancò gli occhi, eccitato. – Puoi farlo? – chiese a Hancock.

Lei arrossì un po' prima di sorridere e mormorare: – C-certamente.

 

* * *

 

Ace sfregò le mani tra di loro per cercare di mitigare il freddo intenso. Non era possibile, lui era sempre caldo! Cosa gli stava succedendo? Un altro brivido gli scosse il corpo, mentre si rannicchiava ancora un po' contro la parete, lo sguardo rivolto verso il muro.

Probabilmente fuori c'era il sole. Probabilmente era bel tempo, insomma: erano in Primavera, no? Eppure là dentro faceva un freddo terribile, un freddo che lacerava l'anima, un freddo che scendeva dalle ossa fino al cuore.

Ma come: tu sei sempre caldo, Ace!

Una volta era così, ricordò con un sospiro. Ricordava che Rufy si lamentasse di quanto fosse sempre caldo, quasi infiammato. Ricordava di come Dadan si preoccupasse per lui, temendo che avesse la febbre. Ricordava, ma non serviva a niente: aveva freddo, davvero molto freddo.

Non si sarebbe mai abbassato a chiedere qualcosa ai suoi carcerieri, anzi. Continuava a non rispondere alle loro provocazioni, limitandosi a congelarli con lo sguardo. Qualunque angheria gli infliggessero, qualunque insulto gli rivolgessero, Ace non rispondeva mai. E ben presto tutti avevano smesso di dargli fastidio, iniziando a guardarlo con un misto di paura e disprezzo. Un mostro, un demone. Gli sembrava di essere tornato bambino, ostile al mondo. Ovviamente, sapeva che non sarebbe durata: la sua esecuzione era fissata, e se l'era anche andata a cercare. Aveva vissuto una bella vita, dopotutto, non poteva propriamente lamentarsi.

Avrebbe solo voluto poter salutare Rufy un'ultima volta.

E magari rivedere Sabo... ma forse c'era più vicino di quanto pensasse, in fin dei conti.

Si stiracchiò -aveva tutti i muscoli indolenziti e le ferite ancora urlavano di protesta ad ogni spostamento-, quando avvertì una presenza alle sue spalle.

– Sei... Ace?

Si voltò, stupito: era una donna, una donna sola. Ace si chiese cosa ci facesse senza un accompagnamento di qualche genere: insomma, era o non era un pericoloso criminale?

– Sono Boa Hancock, non ho molto tempo: ho pagato le guardie perché mi facessero avere un colloquio con te. – D'accordo, era una bella donna, e allora? Non era certo di questo che aveva bisogno, anzi, era probabilmente uno scherzo delle guardie. Ace si voltò di nuovo dall'altra parte, non prima di averla fulminata con lo sguardo: non c'era niente che valesse la pena di disturbarlo. – Mi manda tuo fratello.

Fu come se il mondo avesse smesso di girare. Ace rimase paralizzato, e in cuor suo fu estremamente grato di essere voltato di spalle: non avrebbe mai voluto che ci fosse qualcuno in grado di vedere la sua espressione in quel momento.

Rufy.

– Ci siamo incontrati a Sparta. Lui... e i suoi compagni, e anche quel che resta del tuo battaglione, stanno venendo a salvarti. – proseguì la donna, parlando a bassa voce. – Io ho ottenuto una proroga per la tua esecuzione: è stata spostata tra due settimane. Ho cercato di fare di più, ma Kizaru... – sospirò. – In ogni caso, stanno radunando un esercito: pare che Barbabianca abbia molti alleati in giro per la Grecia, anche se nessun battaglione di Sparta si è deciso a fornire il suo aiuto. – Hancock esitò un attimo prima di continuare. – Tuo fratello dice... che ti salverà assolutamente. Dice di resistere, perché presto sarà qui. Nel frattempo mi preoccuperò che le tue condizioni qui siano...

– No.

Era un sacco di tempo che non parlava, e la voce gli uscì più roca del previsto.

– Come, scusa? – fece Hancock, inarcando un sopracciglio.

Ace si voltò piano verso di lei e scandì: – No. Non deve venire. Non deve venire nessuno. – Si sentiva quasi una bestia feroce, ed era sicuro che i suoi occhi dovevano dare più o meno quell'impressione.

Hancock non si scompose, limitandosi a sfoderare un sorrisetto ironico. – L'aveva detto, che ti saresti arrabbiato un sacco. – commentò.

Ace sentiva la rabbia montare ancora di più. – Perché? Perché vogliono venire qua? Non... è colpa mia. Non capiscono che...

Hancock scosse la testa, incredula. – Uomini. Siete tutti uguali. Cioè, a parte lui... – arrossì un po' e continuò. – Il tuo amico Marco mi ha detto di dirti questo, quindi apri le orecchie e ascolta. Cosa credi, che a nessuno importi se vivi o muori? Capisce che tu ti senta indegno, ma ti chiede di cercare di vederla dal loro punto di vista: se morissi, sarebbe una vera seccatura. Quindi verranno a salvarti, che ti piaccia o no! Sinceramente, erano tutti convinti che ti saresti opposto. Insomma, cercano di salvarti, non di ucciderti. – alzò le spalle. – Senti, a me non interessa se vivi o muori. Però so che se muori Rufy sarà triste. – fece una pausa e proseguì fissandolo con fiera determinazione. – Tu devi solo provare a ferirlo, e rimpiangerai le pene di queste segrete! – tuonò.

Rimasero a lungo in silenzio, dopodiché Ace prese un lungo sospiro. – Digli di non venire.

Hancock sospirò a sua volta e fece per andarsene. Quando fu sul punto di voltare l'angolo, però, si voltò di nuovo. – Verrà lo stesso, lo sai. – mormorò prima di sparire.

Ace rimase in silenzio per un lasso di tempo interminabile prima di sussurrare a mezza voce: – Lo so.

Sarà stata solo un'impressione, ma la cella non sembrava più così fredda.













Angolo autrice:
E tutti i Mugiwara vanno verso Marineford, cosa andrà mai storto?
Scusate, ma era il mio più grande sogno -non vedere solo Rufy per cento episodi o giù di lì ma saperlo vicino alla sua ciurma in un momento del genere, io NE AVEVO BISOGNO.
Comunque. Cosa ve ne pare dell'entrata in scena di Hancock? Ho tagliato la scena in cui la conoscono, ma sappiate che Rufy tende a minimizzare: è stato davvero eroico, tanto che la fredda Hancock è rimasta vittima del suo innato fascino! E quiiindi... abbiamo guadagnato del tempo, e possiamo fare rotta verso Atene.
Scusatemi tantissimo se non ho aggiurnato ieri, da adesso ricomincerò con il mercoledì!
Grazie a tutti quelli che seguono, leggono e recensiscono!
Un bacione
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Di prigionieri, evasioni di massa ed aiuti inaspettati ***


DI PRIGIONIERI, EVASIONI DI MASSA ED AIUTI INASPETTATI




La porta crollò con un fragore terribile, tanto che per un istante sembrò quasi che l'intera cella dovesse distruggersi da un momento all'altro. – Ma che...

Il ragazzino si guardava intorno con aria tesa, impaziente. – È qui? – chiese, agitatissimo.

Cos'aveva da urlare tanto? – Di chi parli, marmocchio?

Quello sfoderò un sorriso solo leggermente incrinato dall'ansia e dalla fatica. – Cerco mio fratello Ace. Non era qui? Mi avevano detto che... – strabuzzò gli occhi, riconoscendo alla fine il suo interlocutore. – Ma tu sei Crocodile! Che ci fai in una prigione Ateniese?
L'interessato si limitò a stringersi nelle spalle, infastidito: per loro sette generali le regole erano molto ferree, e un errore come quello che aveva commesso lui non veniva perdonato tanto facilmente. Senza contare che c'era stato un problema per quanto riguardava quel suo colpo di stato in Africa, e... Dopotutto, non è che fosse l'unico, no? – Se cerchi Ace arrivi tardi, l'hanno già portato via. – mormorò lugubre il suo compagno di cella, Jimbe.

Il ragazzino, Rufy, si lasciò cadere a terra, privo di forze. – Non ho... fatto in tempo? – sussurrò, come svuotato.

Crocodile trattenne a fatica uno sbuffo: possibile che dovesse farla così tragica? Gli avevano detto che gli Spartani non si arrendevano mai. – È appena uscito. – lo informò quasi di malavoglia. – Se ti muovi lo riprendi. Anzi, già che siamo qui ti propongo un affare. – ghignò, notando come gli occhi del ragazzino si accendessero al solo accenno di una possibilità per salvare suo fratello. Gli Spartani di quella risma erano così semplici da manovrare... – Tirami fuori di qui. Posso portarti al luogo dell'esecuzione senza farci notare. Conosco Atene e dintorni come le mie tasche. – si offrì, ben deciso a filarsela alla prima occasione buona: bastava che lo liberasse da quei ceppi che aveva intorno ai polsi e alle caviglie, e se la sarebbe svignata senza tanti ripensamenti.

Il marmocchio stava già per accettare con impeto, quando Jimbe decise di rovinare tutto. – Porta anche me! Stimavo molto tuo fratello, e se posso fare qualcosa per lui ne sarei solo felice: ti aiuterò ad uscire di qui.

Perfetto: contro Rufy avrebbe anche potuto farcela, ma contro Rufy e Jumbe? Escluso. E fu così che Crocodile si ritrovò costretto ad aiutare effettivamente il moccioso che gli aveva rovinato la carriera e la vita, quello tra i suoi nemici che più aveva maledetto da quando era in quella cella: lo aiutò a superare i primi blocchi che gli Ateniesi avevano posto a difesa della fortezza, continuando a chiedersi cosa mai avesse fatto di male per meritare questo.

– Sei venuto da solo, Rufy? – chiese Jimbe in un momento di calma.

Il ragazzino sorrise, scuotendo la testa con decisione. – Oh, no! Ci sono tutti i miei compagni, ma ci siamo separati: loro si occupano di liberare tutti gli altri soldati Spartani catturati con Ace. Sai che sono almeno centottanta? Con loro facciamo sicuramente in tempo a salvare Ace. Marco e gli altri, invece, sono rimasti a lottare contro Magellan fuori dall'ingresso: contavamo di incrociarci lì, se... ecco... – sospirò piano, passandosi una mano sulla fronte. – Abbiamo radunato un esercito, sapete? Un sacco di alleati stranieri, Barbabianca stesso è partito settimana scorsa per andare a chiamarli: ormai dovrebbero essere vicinissimi. Tutto per salvare Ace. Quindi lo salveremo, giusto? Cioè, ce la facciamo, no? – Crocodile sperava solo che quel ragazzo per cui gli Spartani si davano tanta pena e di cui conosceva a malapena il nome morisse e basta, così da farla finita con tutto quel casino.

Jimbe annuì, rassicurante. – Non mi aspettavo che Sparta tirasse su un tale putiferio per un solo uomo. Voglio dire, ad Atene non sarebbe mai permesso.

Rufy sorrise, smagliante. – Vero? Noi Spartani non ci capiamo molto di strategia o cose varie -a parte Ace, lui davvero fa paura-, ma in quanto a menar le mani non ci batte nessuno!

Crocodile era indeciso se essere ammirato o sbattersi una mano sulla fronte.

Optò per la seconda.

 

* * *

 

– Rufy, ci hai messo una vita!

– L'hai trovato? Era lì?

– Ragazzi, è arrivato Rufy!

Erano tutti lì ad aspettarlo, notò Rufy con sollievo. Non che fosse preoccupato per loro, eh, ma era sempre rassicurante vederli uno affianco all'altro, sorridendo e alzando gli occhi al cielo a causa di qualche suo casino.

– Non c'era. – comunicò in fretta, gli occhi bassi. – In compenso ho trovato loro due: dicono che ci aiuteranno ad arrivare al luogo dell'esecuzione! – comunicò, fiero.

Sanji inarcò un sopracciglio. – E come contate di fare? Le mura sono praticamente impenetrabili. Dalla nostra abbiamo Hancock, è vero, ma...

Crocodile sbuffò. Non che morisse dalla voglia di aiutare quello scalcagnato gruppo di pazzi, ma se rimanevano lì c'erano serie possibilità di farsi ammazzare: volevano andare ad Atene? E che ci andassero: una volta entrati, lui sarebbe stato libero di raggiungere i suoi uomini e filarsela il più lontano possibile. – C'è un ingresso meno sorvegliato degli altri. È un po' distante da Atene, dal momento che le mura si estendono ben oltre la città, ma se andate veloce dovreste fare in tempo. – rivelò, stanco. – Posso informare i miei uomini e fare in modo che predispongano l'ingresso cosicché sia possibile passare. Se anche la vostra amica ha dei contatti all'interno...

Rufy aveva l'aria di uno che non riesce a credere alle sue orecchie. – Davvero?

– Ci sarà da fidarsi? – iniziò a preoccuparsi Usop. – Non dimenticare che quest'uomo è un'Ateniese! E se fosse...

Ma Rufy agitò una mano. – No, davvero, non c'è problema. – e sorrise. – Mi fido di lui!

Sanji e Zoro annuirono e non mossero obiezioni, e anche Usop e Chopper si misero il cuore in pace. – Allora andiamo, o faremo tardi, fratelli! – gridò Franky, alzando le braccia in direzione di tutti i soldati appena liberati.

– Siamo pronti? Oh, che emozione! Andiamo, andiamo, non c'è tempo! – fece Brook, portandosi in testa alla comitiva e iniziando a correre allegramente.

Crocodile inarcò un sopracciglio. Aveva intuito che Rufy fosse un po' il leader del gruppo, ma da questo a fidarsi di uno sconosciuto come lui, per giunta ex-nemico... Oh, meglio così. Ignorò quella strana sensazione in fondo al petto e si limitò a seguire il gruppo di pazzi lungo i corridoi di quel carcere che, con un po' di fortuna, non avrebbe visto mai più.

– Ah, Rufy, quasi dimenticavo. – ghignò Zoro. – Indovina un po' chi altri abbiamo trovato?

 

* * *

 

Marco infilò la spada nel fodero, soddisfatto. Di tutto il battaglione di Barbabianca erano rimasti in meno di venti, ma contro Magellan e i suoi subordinati erano stati più che sufficienti: non ci avevano messo più di un'ora. Chissà a che punto erano Rufy e i suoi compagni? Sperò con tutto il cuore che non avessero trovato complicazioni: già irrompere nel carcere più inespugnabile di tutta la provincia di Atene era stata un'impresa pressoché impossibile... Erano arrivati fin lì solo grazie a Hancock, che li aveva guidati per i sentieri meno battuti e gli aveva mostrato le zone più sicure in cui passare per entrare nel territorio di Atene senza farsi riconoscere. Il fatto che fossero solo in trenta aveva aiutato, ma senza di lei non ce l'avrebbero comunque mai fatta. Il carcere dove era rinchiuso Ace distava da Atene poco più di un'ora di marcia, quindi si trovavano davvero vicini al luogo dell'esecuzione. Sperò che Barbabianca e i suoi alleati arrivassero presto: anche se Rufy fosse riuscito a liberare Ace, in ogni caso uscire dal territorio di Atene senza farsi catturare sarebbe stata un'impresa a dir poco strabiliante.

– Qui abbiamo finito? – chiese Izou, affiancando Marco in pochi secondi.

Quello annuì. – Andiamo a vedere come se la cavano Rufy e gli altri, potrebbero aver bisogno di aiuto per... – ma si interruppe: erano lì, stavano uscendo! E Ace...

– Marco! Marco! – si sbracciò Rufy, sorridendo.

– L'avete salvato? È qui? – chiese subito lui, avvicinandosi al gruppo di soldati che usciva dal carcere.

Il volto di Rufy si adombrò subito. – No, l'avevano portato via poco prima che riuscissimo ad arrivare. – Parlò con un tono così colpevole, così affranto, che chiunque avrebbe capito quanto vicino si trovava il ragazzino allo scoppiare a piangere. – P-però... però possiamo entrare ad Atene! Crocodile ci farà strada, dice di conoscere un ingresso poco controllato e che i suoi uomini possono farci entrare. – proseguì con rinnovata determinazione. – Con l'aiuto di Hancock penso che riusciremo ad entrare, e poi volevo dirti un'altra cosa. – sorrise, smagliante. – Indovina chi abbiamo trovato, in una cella al quarto piano?

E da oltre le sue spalle fece capolino una figura che Marco conosceva fin troppo bene, e che neanche sperava più di rivedere. – Ehi, vi sono mancato?

Il giovane strabuzzò gli occhi, trattenendo a stento l'emozione. – T-Thatch?

– Proprio lui! Lo tenevano prigioniero, non era morto! – rise Rufy, prendendo a saltellare. Appena si accorsero del nuovo arrivo anche gli altri generali del battaglione di Barbabianca si fiondarono addosso a lui, sommergendolo di insulti, pacche sulla spalla e cose di questo genere. Dopotutto, erano pur sempre Spartani: piangere sarebbe stato troppo poco virile, su.

 

* * *

 

Inaspettatamente, le cose non andarono troppo per le lunghe: Thatch non ci mise più di due secondi ad afferrare il succo della situazione, tant'è vero che appena la vide iniziò a fare una corte spietata alla bellissima Boa Hancock, ricavando nient'altro che un sonoro schiaffo in fronte.

– Puoi aiutarci, Hancock? – chiese Rufy, trepidante.

Lei, dopo essere arrossita a dovere, promise che avrebbe recapitato gli ordini di Crocodile ai suoi sottoposti (era sempre stata in buoni rapporti con quella che si faceva chiamare Miss Double Finger), e che nel giro di un'ora sarebbe riuscita a liberare l'ingresso.

– Ma come facciamo? Siamo a malapena duecentodieci uomini! Finché non arrivano gli alleati non siamo assolutamente in grado di resistere a tutte le forze armate di Atene, senza contare che centottanta di noi sono disarmati! – gemette Usop.

– Per le armi possiamo passare dalla mia residenza: l'armeria non è ancora stata svuotata, e ci sono armi in abbondanza per ben più di duecento soldati. – si offrì Jimbe.

Per Rufy quella fu ovviamente una soluzione più che sufficiente, e nonostante Usop non fosse completamente convinto (anche Jimbe era Ateniese, qualcuno se l'era dimenticato?), si optò per agire in quel modo, nella speranza che l'esercito degli alleati arrivasse in tempo.

– Dobbiamo solo tenerli occupati ed impedire che Ace salga su quel patibolo. – fece Marco, raggruppando intorno a sé tutti i generali, oltre che Rufy e i suoi compagni. – Scateneremo il panico, quindi potremo sfruttare anche questo vantaggio: non si aspetterebbero mai di vederci arrivare in blocco in una città considerata inespugnabile, specialmente dopo che nessuno dei battaglioni regolari ha deciso di venire quaggiù. Certo, bisogna evitare che la notizia dell'evasione si sparga troppo in fretta, ma... – lanciò un'occhiata a quel che rimaneva del corpo di guardia del carcere. – Direi che per ora è un problema che passa in secondo piano. Qualcuno resti qui per avvisare Barbabianca e i suoi del luogo da cui possono entrare! – scelse due uomini a caso dei centottanta evasi e li incaricò di occuparsene. – E ricordate: dobbiamo stare uniti, perché la loro forza è nel numero: ora come ora saremo uno di noi contro cento di loro, e se ci isolano è la fine. Tutto chiaro?

I compagni di Rufy sospirarono, pensando che imporre a Rufy di non fare di testa sua era come pretendere che l'acqua di un fiume scorresse all'incontrario, ma decisero di non farlo notare a Marco.

– Allora andiamo, no? Forza, Ace ci aspetta! – gridò Rufy e, seguito a ruota dagli altri, fece per mettersi in marcia verso Atene.

– Fermo lì! – gridò però una voce a lui ben nota.

Rufy congelò sul posto, mentre Marco e gli altri si voltavano, sconcertati. – Ma che...

– C-ciao, nonno. – disse Rufy incerto, voltandosi giusto in tempo per vedere la figura irata di Garp afferrarlo per la collottola e trascinarlo via.

 

* * *

 

– Ma nonno, Ace è...

– Non mi interessa! Hai tradito il tuo battaglione! Tu e i tuoi compagni...

– Cos'avrei dovuto fare, lasciare che lo uccidessero?

– L'obbedienza...

– Ma Ace è mio fratello!

– Quindi vuoi avere un fratello ma non un battaglione?

– Cosa me ne faccio di un battaglione se so che Ace è morto e io non ho fatto niente per salvarlo?

Gli altri, incerti sul da farsi, esitavano poco distante da lì. Se Garp era venuto per aiutarli, beh, avrebbe seriamente potuto fare la differenza: d'altra parte, non è che sembrasse davvero propenso ad offrire il suo aiuto, impegnato com'era a picchiare ferocemente il nipote.

– Ah, niente da fare, sei sempre la solita testa dura. – affermò alla fine il vecchio, sconfortato. – Mi chiedo perché tocchi sempre a me rimediare ai tuoi disastri.

– Ahia, nonno! In che senso rimediare, scusa? – si lamentò Rufy, confuso.

Garp sbuffò. – Ho ottenuto il permesso di organizzare questa... missione di salvataggio, o come la volete chiamare. Tu e i tuoi amici siete sotto il mio controllo, mentre gli altri sono del battaglione di Barbabianca e finché al vecchio sta bene non ci sono problemi. – Rufy e gli altri esultarono, ma l'espressione di Garp era molto seria. – Rufy, devo parlarti di una cosa molto, molto importante. – affermò. – Sarà questione di pochi minuti: vieni con me.

Rufy annuì, dubbioso, e lo seguì. Nessuno dei presenti avrebbe mai potuto immaginare la straordinaria rivelazione che il ragazzo stava per ascoltare, ma una cosa era certa: se fossero sopravvissuti tutti alla guerra, molte cose non sarebbero mai più state come prima.

 

* * *

 

Sengoku camminava nervosamente avanti e indietro. – Ma quanto ci mettono? – domandò per l'ennesima volta, irato.

– Dalla prigione a qua ci vuole quasi un'ora, non mi sembra il caso di agitarsi. – cercò di rassicurarlo Aokiji, l'aria leggermente annoiata. – Piuttosto... hai intenzione di ucciderlo e basta, o vuoi dire a tutti la verità?

Sengoku voltò la testa di scatto, sconvolto. – E tu come sai che... – aveva fatto attenzione a non rivelare mai a nessuno la vera identità di Ace: come poteva Aokiji sapere la verità?

Aokiji sventolò un foglio di pergamena. – È arrivato un dispaccio urgente da parte di Garp, e l'ho letto. Dice cose interessanti anche a proposito di un certo Gol D Roger...

Sengoku gli strappò di mano il foglio e prese a leggere febbrilmente. – Impossibile... – mormorò alla fine, turbato.

– Cioè, tua moglie è stata con Gol D Roger prima di morire? Questa sì che è una rivelazione. – commentò il generale, prima di venire fulminato da un'occhiataccia.

Sengoku richiuse il dispaccio, nero in volto. – Ah, è questo che vuole? E va bene. Avvisa il boia che l'esecuzione durerà un po' più del previsto: ci sono un paio di cose che dovrò assolutamente riferire al pubblico.

 


















Angolo autrice
E va bene, ditelo: dov'è Ace? ç.ç
Mi spiace, ma in questo momento avevo bisogno di concentrarmi più sulla grande opera di salvataggio. Ho dovuto a malincuore eliminare l'idea di Iva, perché a parte che un piccolo night club fra i livelli di una prigione greca mi stonava un po', non avevo proprio idea di come rendere il suo simpatico doping in un'epoca del genere. Mi spiace, sarà per la prossima volta!
E poi... Thatch è tornato! Chi di voi sta festeggiando dalla gioia? Vi dirò, l'idea originale era che morisse. Poi però ha fatto di testa sua ed è rispuntato fuori, comprendete la potenza di questo personaggio? Bah. Thatch, sei tutti noi. Quindi, Crocodile e Hancock ci faranno entrare in città. Il concetto è che le mura di Atene oltre a collegare Atene, che è piuttosto nell'entroterra, col mare (e quindi ad essere in pratica un lungo corridoio vuoto), sono piene di ingressi, capite? E ad ognuno stavano di guardia un tot numero di persone. Se Crocodile e Hancock riuscivano a metterci persone a loro fedeli sarebbe stata fatta, dal momento che una volta aperte le porte il caos regna sovrano. Spero di essere stata chiara, se non avete capito qualcosa chiedete pure! ^^"
Grazie a tutti quelli che seguono e recensiscono, un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** I'll save you ***






– Più in fretta, più in fretta!

– Shh, fate piano!

– Centoundici... centododici...

– Non puoi contarli tutti, andiamo, sono più di duecento!

– E se qualcuno rimane fuori? Per salvare Ace abbiamo bisogno dell'aiuto di ogni singolo soldato!

– Per carità, fate silenzio, se arrivano le altre guardie sono guai!

– Oh, andiamo, chi vuoi che ci sia in giro a quest'ora? Saranno tutti andati a guardare l'esecuzione di Ace...

– Non dirlo, non dirlo!

– Centotrenta, centotrentuno...

– Se non la smetti giuro che ti picchio.

– Ragazzi, noi iniziamo ad andare!

Un esercito di bufali impazziti avrebbe fatto meno rumore, constatò Marco con un sospiro rassegnato. Eppure non riusciva a smettere di sentirsi speranzoso: si stavano impegnando tutti così tanto... ce la potevano fare, ne era certo. Avrebbero salvato Ace.

La villa di Jimbe, poco fuori città, fu ben presto svuotata di qualunque cosa fosse anche solo lontanamente paragonabile ad un'arma, e l'esercito sembrava più pronto e attivo che mai. Marco lo sapeva, che sotto sotto nessuno riusciva ad odiare Ace, che tutti lo consideravano un compagno prezioso, indispensabile. Sapeva che tutti in realtà morivano dalla voglia di rendersi utili in una missione del genere, e persino lui faticava a trattenere l'emozione.

Si guardò intorno alla ricerca di Rufy e dei suoi compagni, ma non riusciva proprio a trovarli. Leggermente preoccupato, chiese a Thatch se per caso li avesse visti in giro. Quello inclinò candidamente il capo. – Ma come, non te n'eri accorto? Se ne sono andati.

Marco sbatté un paio di volte le palpebre. – Andati? – ripeté, per essere sicuro.

– Ma sì, andati. Prima che entraste nella villa di Jimbe. Rufy ha detto che, visto che loro le armi ce le avevano già, sarebbero andati avanti. Si sono portati dietro Crocodile per farsi indicare la strada e se ne sono andati. – comunicò l'altro, alzando le spalle. – Io ho pensato che, beh, come prima linea loro erano i più adatti, tu non c'eri e...

L'hai lasciato andare avanti? – Marco lo afferrò per le spalle, scuotendolo con decisione. – Se Ace scopre... Se Ace viene solo a sapere di cos'abbiamo... che dico di cos'abbiamo, di cos'hai fatto... Ci ucciderà, capisci? – gemette.

Thatch sembrò cogliere la gravità del fatto, e iniziò a balbettare. – M-ma non è che... insomma, s-se anche li avessi voluti fermare i-io non...

– Dobbiamo raggiungerli. Prova solo ad immaginare cosa succederebbe se succedesse qualcosa a Rufy! Recupera Garp, spiegagli la situazione e mandalo avanti, magari riuscirà a riportarli indietro prima che sia troppo tardi. Poi raduna i soldati, ci muoviamo immediatamente! – gridò Marco, iniziando a muoversi. Oh, Ace l'avrebbe ucciso.

 

* * *

 

– Avremo fatto bene ad andarcene così? – si domandò Sanji, grattandosi il mento. Stavano correndo in direzione di Atene, e tra i gemiti di Usop e Chopper, i gridolini eccitati di Brook, gli esaltatissimi “Super!” di Franky e gli insulti a mezzavoce di Zoro, Sanji iniziava a credere che avrebbero fatto meglio ad aspettare Marco e gli altri. Rufy non aveva ancora aperto bocca, concentrato sulla corsa. Come se non bastasse, quel Crocodile non faceva che sbuffare e lamentarsi.

Rufy lo guardò come se fosse pazzo. – Dobbiamo arrivare in tempo, no? – Oh, almeno sapeva ancora parlare.

– A destra. – sospirò Crocodile controvoglia, indicandogli la strada giusta. Sanji lo fissò di sbieco: sembrava che volesse essere dappertutto tranne che lì, ma le circostanze lo costringevano a restare con loro. Non sapeva quanto fidarsi di un tipo del genere, in realtà, ma se a Rufy andava bene...

– Manca molto? – chiese subito Rufy, ansioso.

– La città è già in vista. Spera solo che non ci siano posti di blocco. – rispose seccamente Crocodile.

Rufy annuì e continuò a correre leggermente più veloce. Sanji cercò il suo sguardo, e così fecero anche gli altri: non l'avevano premeditato, semplicemente sentivano che Rufy aveva bisogno di loro adesso, in quel preciso momento. Il ragazzo li fissò uno a uno sorridendo appena, e mormorò qualcosa che alle orecchie di un estraneo sarebbe risultato solo un borbottio indistinto, ma a tutti loro suonò limpido e chiaro. – Grazie.

Non so come farei se non foste con me.

 

* * *

 

Ace camminava a stento, le mani imprigionate dietro la schiena: era il momento. Stava camminando verso la sua esecuzione.

Non si sentiva teso, non esattamente. Ovviamente non andava incontro alla morte con serenità: aveva molti rimpianti, la maggior parte dei quali riguardavano Rufy e la promessa che, ricordò con vago orrore, gli aveva fatto da bambino. Eppure non era spaventato. Il dolore, il digiuno, il tempo passato in carcere avevano, se non spento, almeno soffocato il suo fuoco interiore, rendendolo come una bestia feroce troppo stanca per continuare a ringhiare.

Un altro passo verso il patibolo.

Io non morirò mai!

Un passo un po' più breve.

Tuo fratello sta venendo qui.

Un altro passo, ancora più corto del precedente.

Ace, lo sai che ti voglio bene, vero?

Ace rallentò così tanto che una guardia lo dovette pungolare alla schiena con la lancia per farlo muovere. Ace chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Sentiva il cuore straziato, e non voleva ricordare la voce di Rufy, non in quel momento, non ce la poteva fare.

Via, vattene, lasciami stare. È stata solo colpa mia, non venire: io sono felice, ho avuto una bella vita.

Ho avuto te.

Riaprì gli occhi. Era uno sguardo un po' più determinato, un po' più triste. Forse un po' più spento. Riprese a muoversi con ancora più forza di prima, camminando a grandi passi verso il patibolo: era pronto.

 

* * *

 

Sengoku ripassò con lo sguardo l'esercito Ateniese schierato davanti a lui: era tutto pronto per il grande giorno, niente sarebbe stato più lasciato al caso. Ah, se ripensava a quei giorni lontani in cui andava a trovare Ace dai banditi, a Sparta! Come sembrava inutile preoccuparsi di lui, ai tempi. Così lontano da Atene, che male avrebbe potuto fare?

Oh, se avesse saputo che non era figlio suo l'avrebbe ucciso seduta stante, che fosse ben chiaro. Ma la ragione era stata eclissata dai sentimenti, un errore che mai Sengoku avrebbe ripetuto la seconda volta.

Ma ai tempi era più giovane, e aveva fatto l'errore di lasciare Garp a crescere il ragazzo. Il vecchio si era sicuramente affezionato a quella peste e aveva deciso di difenderlo, permettendogli di addestrarsi come soldato Spartano. E quell'altro ragazzino, il nipote di Garp! Se Sengoku ripensava a come l'avevano messo nel sacco, anni prima, ancora sentiva un'ira bruciante. Però aveva creduto che Ace fosse morto, ed era rimasto con questa convinzione fino all'Inverno precedente. Il colpo, quando l'aveva visto! Sengoku era rimasto così sconvolto che si era fatto colpire da Barbabianca, e non avrebbe mai perdonato Ace per questo, mai.

Si impose di non pensarci più: erano alla resa dei conti. Adesso si sarebbe visto quanto poteva una sciocca profezia contro l'intera città di Atene.

Ace avanzò in direzione dei patibolo, e Sengoku sentì il cuore fremere dall'impazienza. – È tutto pronto. – sussurrò una guardia. – Procediamo con l'esecuzione, o vuole prima dire qualche parola?

Sengoku sogghignò. – Lasciami parlare: mi ci vorranno solo pochi minuti.

Ace sgranò gli occhi ma non disse nulla, limitandosi a rimanere inginocchiato sul patibolo. Era una piccola piattaforma rialzata di qualche metro sulla piazza, in modo che tutti i cittadini venuti a vedere potessero avere una buona visuale.

– Ateniesi! – esordì Sengoku, rivolgendosi alla folla. – Sapete tutti chi è l'uomo che ora è in ginocchio davanti a voi. Ace lo Spartano è tristemente noto per le sue malefatte nei confronti dei soldati Ateniesi. Quante vostre famiglie piangono il lutto per colpa sua? Quante lodevoli vite ha spezzato l'uomo che ora si trova dinnanzi a voi, privo di dignità, a terra nella polvere, peggio di uno schiavo? Lo so, lo so. – continuò poi, alzando le mani per fermare il gran vociare che si stava facendo sentire dal pubblico. – E verrà punito, statene certi. Ma questo non è il suo unico crimine, né il più grave. – si prese una pausa ad effetto, notando con piacere che Ace tratteneva il fiato. – Di' un po', giovane sterminatore di Ateniesi. Chi era tuo padre?

 

* * *

 

Rufy correva sempre più forte.

Non poteva permettere che Ace... insomma, non dopo quello che gli aveva raccontato il nonno! Se solo l'avesse saputo prima! E adesso... Ace non poteva morire: era tutta la sua famiglia, tutto quello che gli restava da quando Sabo... Si impose di non pensarci, correndo ancora più forte. Doveva fermare tutto, doveva fare in modo che Ace non morisse.

Ancora più veloce, più veloce.

Aspettami, Ace!

 

* * *

 

Ace alzò la testa come se qualcuno l'avesse chiamato, voltandosi alla ricerca della fonte del suono che aveva sentito. – Eh?

– Ti ho chiesto chi è tuo padre. – ripeté Sengoku, leggermente infastidito.

Ace fece un gesto stizzito con la testa, come a farlo tacere: non stava certo parlando con lui. Aveva sentito la voce di Rufy.

– Non rispondi, eh? Allora ve lo dirò io!

 

* * *

 

Ace, non morire!

 

* * *

 

– Suo padre... era Gol D Roger!

 

* * *

 

Sto arrivando, resisti!

 

* * *

 

– La donna che l'ha concepito è riuscita con l'inganno a mascherarne le origini, e l'ha partorito qui, ad Atene! Ma non è tutto: è stata pronunciata anche una profezia sul suo conto...

 

* * *

 

Non è colpa tua, Ace!

 

* * *

 

Silenzio.

Tutta la piazza era sprofondata in un terribile, opprimente silenzio più denso della nebbia. Ace sentiva le parole di Sengoku solo di sfuggita, come se provenissero da miglia e miglia di distanza. Stava raccontando ogni più oscuro segreto della sua vita, e quindi? Ace lo sentiva solo un un orecchio. Era più concentrato sulla voce di Rufy che sembrava chiamarlo da dietro di lui, appena fuori dal suo campo visivo.

Gol D Roger non era la sua famiglia, per quanto Sengoku potesse ostinarsi ad affermarlo: l'unica persona ancora in vita da meritare questo titolo era Rufy, solo ed unicamente Rufy. Forse il vecchio poteva essere stato una sorta di surrogato paterno, e Dadan certe volte era quasi sopportabile, ma non si era sentito a casa come quando viveva con Rufy e Sabo, i suoi fratelli.

Che Sengoku continuasse a parlare di Gol D Roger, profezie e quant'altro, se gli faceva piacere. Ad Ace bastava immaginarsi la voce di Rufy che lo chiamava, sentirla vicina come quando, da piccoli, dormivano nello stesso letto.

– Ace!

In questo modo, sì.

– Siamo qui!

Ehi, era davvero reale...

– Fermatevi!

Ace spalancò gli occhi. Anche Sengoku aveva smesso di parlare, inorridito: dal fondo della strada erano apparsi Rufy e altre sette persone, affannati e armati fino ai denti.

– Cosa ci fanno qui? – urlò Akainu dalle fila degli Ateniesi, saltando in piedi. Kizaru sbadigliò e Aokiji sollevò un sopracciglio.

– Siamo venuti a salvarti, Ace! – gridò ancora Rufy, correndo verso di loro. Alle loro spalle, molto lontano, a Ace sembrò di vedere un esercito in movimento.

Furono molte le emozioni che lo pervasero, in quell'istante. Confusione: che ci facevano lì? Sgomento: solo loro contro un intero esercito? Paura: se a Rufy fosse successo qualcosa... Terrore: perché erano venuti tutti laggiù? E infine l'ira: se fosse sopravvissuto, Marco gliel'avrebbe pagata molto cara per aver permesso a Rufy di arrivare fin là.

 

 













Angolo autrice:
Io mi prostro ai vostri piedi alla disperata richiesta di perdono. Cioè, cinque giorni in più vi ho fatto aspettare. Mi avrete data per dispersa, invece sono dovuta partire: siamo andati in campeggio da mercoledì a ieri, e io avrei voluto aggiornare martedì scorso, ma tra bagagli, pigrizia, oratorio estivo e quant'altro ho finito per non cavare un ragno dal buco, e mi sento molto una cacca.
Ma ora sono qui, e come vedete alla fine manca davvero poco, quindi tenete duro che siamo al punto cruciale dell'opera (?)
Intanto: Marco è assolutamente convinto che Ace lo scannerà (e a ragione, se posso permettermi). Ovviamente Ace è contentissimo di sapere che il suo Marco è venuto lì per lui, non fraintendete, lo ucciderà solo perché ha permesso a Rufy di andare a salvarlo E IN PIÙ di andare avanti a tutti. E non dite niente, è colpa di Marco perché sì.
Speriamo che Barbabianca con i suoi alleati arrivino presto, perché qui siamo duecento Spartani contro tutti i battaglioni Ateniesi di 'sto mondo...
Ah, avrete notato che continuo a mettere Crocodile anche se lui non vorrebbe starci. Questo perché? Così, perché per quanto possa sembrare assurdo quel Coccodrillo è uno dei personaggi che più preferisco e perché ho visto un amv Rufy/Crocodile che mi è sorprendentemente piaciuto ma shhh, è un segreto.
Sengoku ha rivelato a tutti le origini di Ace (senza ovviamente dire che credeva fosse figlio suo, eh. UN TALE l'ha fatto scappare, cose così). Casomai non aveste voglia di cercarla nei vecchi capitoli, vi riporto qui la profezia completa. Così, perché sono cose che possono servire.

Sventura e disonore sulla casa di Atene
Tremate e temete il nemico che viene
I nostri figli in catene, distrutti gli auspici,
La nostra città cadrà in mano ai nemici
Ma nascosto è l'orrore, serpente l'inganno
Dalle nostre case verrà il maggior danno
Tradisce il fanciullo, combatte la sua gente
Una furia feroce come fuoco incandescente
Sotto oscuri presagi nasce in inverno
E già si sporca le mani di sangue materno
Una vita si spegne, nell'incendio che viene
Tremate, il fanciullo nascerà qui ad Atene


Detto ciò... scusate se ancora non ho risposto alle recensioni, oggi sono arrivata a casa alle sette e dovevo ancora scrivere tre quarti del capitolo, quindi non so davvero come sia venuto: perdonate gli errori di ortografia che sicuramente saranno saltati fuori. Grazie ancora a tutti quelli che mi recensiscono, siete favolosi e io vi adoro tutti! A breve risponderò a tutti.
Un bacione, e scusate ancora per il ritardo!
Vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** La grande battaglia ***


La grande battaglia





 

E fu il finimondo.

Ace, dall'alto del suo patibolo, riusciva a malapena a seguire il corso degli eventi: Rufy e i suoi amici si erano buttati a capofitto nelle file nemiche, mentre i civili terrorizzati fuggivano lasciando il campo libero per i soldati Ateniesi, che si avventarono in direzione degli intrusi. L'esercito che si intravedeva in lontananza si cominciava a distinguere più facilmente, e Ace ipotizzò che si trattasse di duecento, massimo trecento uomini, non di più. Le forze Ateniesi, gliel'aveva detto Sengoku, ammontavano a circa diecimila uomini. Certo, non erano tutti lì in quella piazza dalle dimensioni ridotte: si trovavano tutti intorno, anche nella campagna circostante. Dopotutto, non è che le esecuzioni si svolgessero nel centro della città, no? Ma anche così...

Ace era semplicemente infuriato: perché si tuffavano in quella missione suicida? Perché erano venuti lì a morire? Perché non avevano semplicemente chiuso gli occhi?

Vide Rufy sferrare un potente calcio ad un uomo che lo stava attaccando da dietro, mentre combatteva con un generale Ateniese che ben presto si ritrovò a terra in un lago di sangue. E subito il suo fratellino riprese a lottare, eliminando nemici come formiche, avanzando, avanzando sempre verso di lui. I suoi compagni gli coprivano le spalle, e tutti loro facevano l'impossibile per non essere sommersi dal fiume di soldati che non diminuiva mai, mai, mai. Ace non ce la faceva più a guardare: aveva il terrore che ogni istante fosse quello giusto, ogni lama alzata contro Rufy fosse quella che l'avrebbe spezzato per sempre. Strinse gli occhi in un disperato tentativo di non vedere, non sapere. Oh, perché era venuto fin lì?

– Non perdere tempo! Che fai lì impalato? – sbraitò Sengoku in direzione del boia. – Uccidilo, prima che arrivino gli altri!

Ace spalancò gli occhi. Non poteva finire così: Rufy avrebbe visto...

– No! Ace! – gridò infatti il ragazzino, sollevando lo sguardo verso di lui.

È tutto a posto, avrebbe voluto dirgli quello. Non essere triste. Io starò bene. Ma tutto quello che riuscì a fare fu sorridere leggermente, preparandosi all'inevitabile.

 

* * *

 

Sospirò, passandosi una mano sulla fronte: doveva sempre fare tutto da solo, giusto?

Conosceva bene ogni angolo di quella piazza, ogni parte di quella città: si sarebbero pentiti, adesso, di averlo cacciato! Che fosse ben chiara una cosa: quel Rufy e i suoi compagni gli stavano sulle scatole in una maniera impressionante. Erano caotici, rumorosi e fastidiosi, ed era colpa loro -colpa sua, colpa di Rufy- se era caduto in disgrazia agli occhi degli altri Ateniesi.

Ma in quell'istante non pensò a quanto sarebbe stato devastante per gli Spartani se Ace fosse morto, no: riuscì solo a pensare che, una volta eliminato il nemico straniero, Sengoku avrebbe ridacchiato soddisfatto. E quell'immagine proprio non poteva sopportarla.

Calcolò velocemente la distanza: lanciare una spada era escluso, ma forse, con una lancia... Ghignò: si poteva fare. Assestò un poderoso fendente al soldato che stava combattendo -lo conosceva, era stato nel suo battaglione, una volta!- e gli rubò la lancia. Fece qualche passo avanti e si arrampicò su un portico lasciato incustodito. Prese la mira e scagliò.

 

* * *

 

Franky rimpiangeva spesso di essersi aggiunto così tardi a quello sgangherato gruppetto di pazzi. Insomma, nessuno gliel'aveva mai fatto pesare, ma ogni tanto gli sembrava di rimanere indietro, quando parlavano di cose che lui non capiva o non conosceva. Il momento in cui ritrovarono Crocodile in quella prigione fu uno di questi: non aveva mai visto Rufy lottare contro di lui, non sapeva che l'avessero già affrontato.

Ma di nome, oh, di nome lo conosceva eccome. Crocodile l'Ateniese era già forte quando Tom era vivo, e Franky aveva spesso sentito parlare delle sue grandi opere e di come avesse sterminato i Persiani quando avevano cercato di invadere la Grecia. Lo si ricordava soprattutto per la sua abilità con la lancia: feroce e preciso, si diceva che avrebbe potuto centrare un granello di sabbia a vari metri di distanza. Letale e calcolatore, per questo se lo ricordava tanto bene. Era stato un colpo scoprire che Rufy stesso l'aveva già battuto una volta, e ancora più sconvolgente fu il fatto che avesse accettato di seguirli!

Quando Sengoku dette l'ordine di procedere con la decapitazione del condannato, Franky temette che fosse troppo tardi. Poi però vide Crocodile agire con una velocità fuori dal comune e scagliare quella lancia in direzione del patibolo. Usop, Chopper e Brook trattennero il fiato, terrorizzati, ma Rufy sospirò di sollievo: sapeva che Crocodile non avrebbe mancato il bersaglio, e lo sapeva anche Franky. Il boia crollò a terra in un lago di sangue, la lancia conficcata nel cranio, e Rufy sorrise.

Prima che Sengoku potesse riaversi dalla sorpresa, alle loro spalle sentirono un boato terrificante: i duecento uomini capeggiati da Marco erano arrivati.

 

* * *

 

Perché addirittura Crocodile lo aveva aiutato? Come diavolo faceva Rufy ad assicurarsi l'appoggio incondizionato di tutti? Ace non ci capiva più niente, davvero. Sapeva solo di essere ancora vivo, e che l'espressione di Sengoku era semplicemente impagabile.

Poco più in basso, vedeva Rufy salutare allegramente Marco e gli altri. – Oh, siete arrivati! Ci avete messo un po', eh...

Marco sembrava a corto di parole, e Ace non riuscì a trattenere un sorrisetto. Oh, l'avrebbe ucciso comunque, eh, che fosse ben chiaro. – Barbabianca sta arrivando. – sentì dire da Marco a Rufy. – Li abbiamo visti all'orizzonte, È questione al massimo di un quarto d'ora, venti minuti, dopodiché saremo abbastanza per liberare Ace! Dobbiamo solo tenerli impegnati.

Rufy e gli altri annuirono, mentre la testa di Ace girava sempre di più. Barbabianca? Gli altri? Quanti ancora dovevano morire per lui?

Stava per mettersi a gridare, quando udì delle voci parlare poco lontano da lui. – Sembra che ci sia una bella gatta da pelare, eh?

– Ah, l'avevo detto, io, che sarebbe stato meglio rimanere a casa...

– Adesso smettetela: dobbiamo andare laggiù e combattere!

A Ace si gelò il sangue nelle vene nel vedere i tre Generali Akainu, Aokiji e Kizaru alzarsi tranquillamente in piedi. Poco lontano, apparvero anche alcuni tra i più forti combattenti Ateniesi: Donquihote Doflamingo, Gekko Moria e Mihawk “Occhio di Falco”.

Ace sprofondò nel panico. Come avrebbero fatto i suoi amici, come? Appena videro arrivare i nemici, Rufy, marco e gli altri si misero in posizione d'assesto. Ace non li sentì parlare, ma ciascuno sembrò indirizzarsi verso un avversario, in modo da permettere a Rufy di continuare ad avanzare verso di lui.

Ace tenne gli occhi incollati su Marco, che con la ferocia che solo in battaglia sapeva tirare fuori sferrava un potente affondo al fianco di Kizaru, costringendolo ad arretrare. Era un combattimento all'ultimo sangue e dall'esito incerto, perché entrambi erano più o meno allo stesso livello: Marco schivò un fendente potenzialmente letale e attaccò il Generale dal fianco sinistro. Ma Kizaru non era un novellino qualsiasi: la sua velocità era incredibile, leggendaria. Non per niente veniva paragonato ad un lampo di luce. Shivò l'attacco e ridacchiò. – Ma bene, vedo che siamo determinati. Mi domando cosa farete quando quel ragazzino verrà ucciso. – Tentò di attaccarlo, ma Marco parò con la sua spada e restituì lo sguardo determinato.

– Domandati piuttosto con che faccia racconterai ai tuoi cittadini che vi siete lasciati sfuggire il più pericoloso criminale in circolazione. – suggerì, ogni energia volta ad impedire all'avversario di vincere quello scontro.

Poco lontano, Rufy continuava ad avanzare. Avanzava ancora, ancora e ancora, ma mentre superava l'ennesimo blocco avversario la sua attenzione fu attratta da una figura seminascosta dall'oscurità. Riconoscendola, evitò una freccia scagliata da un soldato e la raggiunse, ansimando. – Hancock! Che ci fai qui? È pericoloso! – disse, sorpreso.

La donna passò qualche secondo di estasi al pensiero che Rufy si stesse preoccupando per lei, poi si ricompose. – Ce l'ho fatta, Rufy. Ecco a te. – rivelò, aprendo la mano e mostrando, in bella vista sul palmo, un paio di pesanti chiavi arrugginite.

– Sono... – iniziò Rufy, raggiante.

Hancock annuì. – Le sue manette. Insomma, è stato facile, non serve che... – iniziò a schermirsi, ma Rufy l'abbracciò di slancio.

– Oh, grazie, grazie! Sei stata fantastica, davvero! – continuò, stritolandola. – Allora io vado! E fa' attenzione, ci sono soldati dappertutto! – la avvisò prima di voltarsi e correre via.

Hancock rimase immobile, portandosi lentamente le mani al viso, emozionata. Rufy l'aveva... abbracciata?

Quando Rufy rientrò nel campo visivo di Ace, questo capì subito che era successo qualcosa: suo fratello aveva un'espressione più felice, più determinata, più sicura. Appeso alla cintura, quel mazzo di chiavi scintillava piano.

 

* * *

 

– Com'è possibile che non li abbiate ancora eliminati? Sono due contro cento! – esclamò Sengoku irato, battendo un piede sul pavimento con rabbia. – È colpa di quel ragazzino, vero? È lui che crea tutta questa confusione! – continuò, riferendosi a Rufy.

Fece per scendere giù dal patibolo, intenzionato a chiudere la questione una volta per tutte. Ace inorridì. – Aspetta, non pui farlo! – gridò, fuori di sé: contro un tipo del genere, Rufy non aveva nessuna possibilità.

– Ah, no? Beh, prova a fermarmi, allora! – rispose l'uomo, sarcastico.

– Faresti meglio ad ascoltare il ragazzino, Sengoku! – disse però una voce alle loro spalle.

Ace voltò la testa così in fretta che temette di essersi slogato il collo. Ma quello era... – Nonno? – disse, incredulo. – Cioè, il vecchio? – si corresse subito dopo, mordendosi la lingua. Se pensava a tutte le volte che aveva rifiutato di chiamarlo “nonno”... se fosse sopravvissuto, gliel'avrebbe rinfacciato di continuo, accidenti a lui.

Garp -perché è di lui che si trattava- scoppiò a ridere. – Oh, ce l'abbiamo fatta, alla fine! Ti trovo bene, giovanotto. Sengoku, ti spiacerebbe smetterla con questa tua mania omicida verso i miei nipoti? Mi farebbe molto piacere se la smettessi di prendertela con loro.

Sengoku strinse gli occhi fino a ridurre le palpebre a due fessure. – Garp. – lo salutò freddamente. – Non voglio combattere contro di te, quindi spostati!

Il vecchio rimase fermo davanti a lui. – Non ti permetterò di ucciderli. Se quell'idiota di mio nipote ha scelto di venire fin qui ignorando gli ordini del suo battaglione solo per salvare questa testa calda – e alluse a Ace col mento –, chi sono io per impedirgli di avere successo? Guarda come si sta impegnando, su.

Effettivamente, Rufy era a più di metà strada tra l'inizio della piazza e il patibolo, e combatteva con una foga che Ace non credeva possibile, davvero. Il suo fratellino... era diventato grande.

Si sentiva come in una bolla di sapone. Tutti i suoni erano lontani, le immagini sbiadite. Rufy lottava come una furia, ma sembrava muoversi al rallentatore, lontano, distante. Garp e Sengoku avevano spostato la loro battaglia poco distante da lì, e le loro grida erano così soffocate che Ace non riusciva nemmeno a distinguerne le parole. Marco, Izou, c'era anche Thatch? Oh... quella era una buona notizia... Eppure era tutto lontano. Sentiva il bisogno di lasciarsi andare, di farla finita. Perché erano tutti lì per lui? Perché? Perché?

– Aspettami, Ace! Sto arrivando, tieni duro!

La voce di Rufy aveva sempre avuto l'irritante capacità di svegliarlo, in qualunque posto e in qualunque momento. Sorrise.

Tranquillo, non mi muovo.

 

* * *

 

E gli alleati arrivarono.

Erano più di cinquemila, e irruppero attraverso il passaggio che gli uomini di Crocodile avevano lasciato libero, distruggendo anche un bel pezzo di muro nella foga.

Barbabianca guidava l'esercito con forza e determinazione, e non appena fecero irruzione nella grande piazza Marco pensò seriamente che avrebbero avuto una possibilità. Insomma, andiamo: Sengoku era occupato con Garp; Mihawk e Moria erano in qualche modo tenuti a bada dai compagni di Rufy, Crocodile e Doflamingo sembravano nel pieno di una discussione in piena regola. Barbabianca si stava occupando da solo di Akainu e Aokiji, e Rufy sembrava libero di avanzare. Aveva notato le pesanti chiavi appese alla sua cintura, e poteva addirittura permettersi di sperare...

Successe in un istante. Un secondo prima Rufy stava correndo verso Ace e nessuno su quel patibolo sembrava intenzionato a fermarlo, e un secondo dopo ecco spuntare un soldato Ateniese dal nulla, afferrare la spada dal cadavere di colui che avrebbe dovuto uccidere Ace e alzarla sulla sua testa.

Sgranò gli occhi, terrorizzato: era un soldato semplice, in un duello con chiunque di loro non avrebbe avuto nessuna possibilità, eppure... eppure erano tutti impegnati, dannazione! Che fosse un altro dei piani di Sengoku, mettere qualcuno pronto per ogni evenienza in modo che, anche una volta ucciso il boia, Ace venisse giustiziato ugualmente?

Cercò di scappare, ma Kizaru con un risolino divertito gli impedì la fuga. – Restiamo a guardare, dai! – lo invitò, beffardo.

Anche Barbabianca, notò Marco con la coda dell'occhio, cercava inutilmente di liberarsi dalla pressa dei due Generali, e Rufy era troppo, troppo distante... era la fine? No, non poteva essere, non così!

Garp ruggì di frustrazione e Sengoku ghignò. – È troppo tardi, vecchio mio.

 

* * *

 

Dal centro della piazza, Rufy vide tutto con estrema chiarezza.

Da quando erano arrivati gli alleati, avanzare era stato molto più facile: ora non era circondato solo da nemici da cui guardarsi, ma anche da alleati che gli coprivano le spalle. Eppure non era bastato, non era bastato, non era bastato.

Ace stava per morire.

E le sue mani erano troppo piccole, le sue gambe erano troppo deboli, i suoi polmoni troppo poco resistenti, le sue braccia troppo fragili. Come poteva fermarlo? Come poteva impedire che accadesse un disastro del genere? Perché un mondo senza Ace... un mondo senza i suoi sbuffi e i suoi ghigni e le sue lentiggini e i suoi occhi e la sua risata era semplicemente intollerabile.

Pensare troppo non era da Rufy, non era mai stata una sua prerogativa. Però in quel momento ricordò che aveva già provato quelle sensazioni, tanti, tanti anni prima. Ace aveva già rischiato la vita davanti a lui una volta: la notte in cui erano stati aggrediti dai lupi. Anche il quel momento era come se il mondo avesse smesso di girare, ricordò.

E lui aveva usato l'arco. Quel giorno, per la prima volta. E se...?

Senza pensarci due volte, raccolse l'arco di un soldato caduto in battaglia vicino a lui. Non era bello come il suo -se avesse avuto più tempo se lo sarebbe portato dietro, ma la sua era stata una partenza un po' improvvisa- e afferrò una freccia dalla faretra. Era l'ultima, e in giro non ne vedeva altre.

Prese un profondo respiro: da piccolo, aveva sbagliato una volta. Ora non poteva permetterselo.

Doveva farlo per Ace.

Non morirò mai!

Ace, che l'aveva sempre salvato.

Teach ha ferito mio fratello. Ha fatto più male a me che a te.

Che c'era sempre stato.

Sabo manca anche a me, ma non vorrebbe vederci in questo stato!

Che era la sua famiglia.

Ti voglio bene!

Riaprì gli occhi e scoccò. La freccia partì veloce, e davanti agli occhi disperati di Marco, Thatch e tutti gli altri percorse la sua ampia parabola fino al patibolo, colpendo in pieno petto il soldato che stava per abbassare la lama su Ace.

Per un istante l'intera piazza rimase in silenzio a guardare. Poi Rufy riprese bruscamente a respirare, mentre gli altri Spartani si lanciarono in folli urli di gioia. Anche a Rufy scappò un sorriso, mentre riprendeva a correre. Continuò ad andare avanti attraverso le file nemiche finché non riuscì a raggiungere il patibolo: ancora non gli sembrava vero! Sorrise -il suo primo, vero, immenso sorriso da quando aveva scoperto dell'esecuzione di Ace- e piantò lo sguardo in quello del fratello. – Scusa se ti ho fatto aspettare. – ridacchiò passandosi un dito sotto al naso, poi estrasse le chiavi che Hancock gli aveva dato e le fece tintinnare. – Andiamo.

 


























Angolo autrice:
Due parole, che tra circa sei secondi devo uscire (ma chi voglio prendere in giro, io e la puntualità, ma da quando?)
Ehm. A breve saprete anche cos'è il gran segreto che Garp ha detto a Rufy, non preoccupatevi. E nel prossimo capitolo arriveranno due personaggi che non vedevamo da un po'!
Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono, ci sentiamo presto!
Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Di salvataggi, rivelazioni e corse contro il tempo ***


CAPITOLO 35

 

Rufy ci mise qualche secondo per infilare le pesanti chiavi arrugginite nei ceppi che circondavano le mani di suo fratello (quante ferite, quanti graffi, quante escoriazioni in ogni parte del corpo... Dovette farsi forza per proseguire senza tremare).

Ace sembrava fremere dall'impazienza, Rufy lo vedeva: quelle ferite non bastavano certo per fermare il suo spirito ardente... lo diceva sempre anche Sabo, che Ace sembrava costantemente infiammato. Rufy si impose di evitare di pensare all'argomento Sabo (la sconvolgente notizia che Garp gli aveva dato ancora risuonava nella sua testa) per concentrarsi solo sulla battaglia imminente.

Le chiavi girarono e i pesanti ceppi caddero a terra con un tonfo sordo. Poco lontano Garp ghignò, mentre il volto di Sengoku si fece scarlatto. – No! – esclamò, furente, ma Garp gli impedì di spostarsi.

Ace si alzò in piedi, massaggiandosi i polsi con un enorme ghigno stampato in faccia. – Certo che non sei proprio cambiato, fratellino. Fai sempre di testa tua, dico bene?

Rufy ridacchiò, permettendo a Ace di scompigliargli i capelli. – Scusa, ma non ce la facevo proprio a restare a guardare!

Ace sospirò, passandosi una mano sulla fronte. – Sempre il solito... E chi l'avrebbe mai detto che un giorno saresti stato proprio tu a salvarmi? – sorrise, probabilmente il primo, vero sorriso da varie settimane, posando affettuosamente lo sguardo sul ragazzino che aveva dato tutto per andare al suo salvataggio. – Grazie.

Rufy sgranò gli occhi -poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui Ace l'aveva ringraziato prima d'ora- e sorrise, in procinto di dire qualcosa di terribilmente imbarazzante e fuori luogo, quando un dardo sfrecciò nella loro direzione, mancandoli di un soffio e riportandoli bruscamente alla realtà: non era ancora finita. – Ce la fai a combattere? – azzardò Rufy, lanciando un'occhiata alle ferite del fratello.

Quello si limitò a dargli uno scappellotto in testa. – E me lo domandi? – gli occhi dardeggiarono su tutta la piazza, probabilmente alla ricerca della via di fuga più sicura. – Dammi solo una spada.

Rufy annuì massaggiandosi la testa, recuperò la spada con cui il soldato Ateniese aveva cercato di uccidere Ace e gliela passò. – Ah, Ace... Dovrei dirti una cosa. – cantilenò, evasivo, senza guardarlo.

Entrambi saltarono giù dal patibolo e iniziarono a lottare. – È una cosa brutta? – chiese Ace, atterrando un nemico che gli si parava davanti.

– Mmmh, no, cioè, non esattamente. È quel genere di notizia che vorresti avere avuto prima, ecco. – cercò di spiegare Rufy, schivando un colpo potenzialmente mortale e dirigendosi verso il centro della piazza.

Ace piantò la spada nel petto di un Ateniese che si trovava sul suo cammino e si guardò intorno: erano circondati. Senza dire una parola si portò schiena contro schiena con Rufy e, insieme, iniziarono a combattere come mai avevano fatto prima d'allora. Vide un soldato avventarsi contro la schiena di Rufy e lo bloccò appena in tempo. – Ehi, tu: quello è il mio fratellino. – lo avvisò, disarmandolo con un colpo secco. – Faresti meglio a lasciarlo stare.

Continuarono a lottare senza che avessero l'occasione di continuare quel discorso -Ace si sentiva leggermente in ansia, ma conoscendo Rufy poteva anche essere qualcosa di stupido e futile per cui non valeva la pena preoccuparsi. All'improvviso vide un soldato che reggeva in mano una grossa mazza ferrata cadere dietro di lui, e Rufy rifoderare la spada lì vicino. Comprese che il fratellino gli aveva parato le spalle come lui aveva fatto prima e sorrise: ormai era diventato grande.

Ripresero a correre verso la fine della piazza, evitando nemici e aiutando gli alleati appena se ne presentava l'occasione. – Senti, a proposito di quella cosa di prima... – ansimò Rufy non appena furono di nuovo abbastanza vicini per parlare. – È una cosa importantissima. Ci sono due concetti base. Vuoi sentire prima quello che riguarda Sabo o quello che riguarda la Profezia?

Per poco Ace non inciampò nei suoi stessi piedi, strozzandosi con la sua stessa saliva. Sabo? La Profezia? Cosa diavolo voleva dirgli Rufy? – A-aspetta. Cosa... cosa c'entra, adesso? Sabo... – protestò debolmente Ace, pregando che fosse solo uno scherzo di pessimo gusto.

Rufy si morse il labbro. – Non so come dirtelo in maniera delicata... il nonno ha detto di essere delicato. Allora, il fatto è questo: Sabo è ancora vivo. Ed è il ragazzo della Profezia.

 

* * *

 

Ma come, nonno! Ace ha detto di essere lui, ne sono sicurissimo! Guarda che stiamo perdendo tempo: se non ci sbrighiamo Ace non...

Garp lo trattenne per un orecchio, ringhiando. – Lasciami finire! – abbaiò. – Quando è nato Ace, tutti erano convinti che fosse lui il ragazzo della Profezia, è vero. Sua madre era morta, gli auspici erano negativi, era nato in Inverno. Sengoku lo nascose e disse a tutti che era morto, e le ricerche finirono lì. E menomale, perché in questo modo, quando, pochi mesi dopo, nacque il vero ragazzo della Profezia, nessuno lo venne a sapere. – fece una pausa, passandosi una mano sul volto. – A parte quello scellerato di tuo padre.

Rufy sgranò gli occhi. – C-come...

Il ragazzo nacque l'ultimo giorno d'Inverno, quando tutti si credevano al sicuro. Bada che con “tutti” intendo solo i capi del Governo, gli unici a conoscenza della Profezia. Non era certo di dominio pubblico, eh! In ogni caso, nacque in una famiglia amica di tuo padre quando lui era nei paraggi. La madre morì dandolo alla luce, e un sacerdote che non sapeva nulla della Profezia si limitò a riferire al padre che gli auspici erano molto, molto negativi. Quell'uomo era a conoscenza della Profezia, e aveva visto con i suoi occhi gli auspici di Ace. Capì che non c'era paragone, e che suo figlio era il vero ragazzo della Profezia. Non poteva tenerlo ad Atene: lo affidò quindi a tuo padre nella speranza che lo portasse lontano, in una delle sue campagne militari. Ovviamente lui fece di testa sua. – Garp storse la bocca, infastidito. – Sapeva benissimo di Ace, sapeva che lo stavo crescendo io, ma non mi disse nulla: dal momento che si era fatto l'errore di scambiare Ace per il ragazzo della Profezia, decise di sfruttare la cosa a suo vantaggio. Pensaci: Sengoku non avrebbe mai ucciso suo figlio, mentre non si sarebbe fatto nessun problema ad uccidere il bambino di cui ormai si era preso la responsabilità. Mio figlio pensò che fosse meglio se Sengoku avesse continuato a credere che fosse Ace il ragazzo della Profezia. Decise quindi di non dire nulla a nessuno, e lo affidò ad una famiglia Spartana che gli doveva un grosso favore perché lo crescesse come un figlio. In questo modo l'avrebbe potuto tenere sotto controllo meglio che se l'avesse mandato in un paese straniero. Poi... non lo so, ho come l'impressione che sperasse che, in qualche modo, Ace e questo ragazzo sarebbero diventati amici. Sarebbe stato più difficile da odiare, penso. Hai capito tutto? – concluse poi, con sguardo indagatore.

Rufy annuì con forza. – Quindi Ace non è il vero ragazzo della Profezia! – si grattò la testa, confuso. – Ma allora... allora chi è?

Sono stato sorpreso anch'io quando Dragon mi ha rivelato tutto. – sospirò Garp, stanco. – A vederlo, non sembrava questo gran pericolo. Il ragazzo è nato l'ultimo giorno d'Inverno, il 20 Marzo. Ti ricorda qualcosa?

Rufy parve confuso per un attimo, poi portò le mani alla bocca, sconvolto. – Non sarà... – sussurrò, incredulo.

Te li sei andati a scegliere bene, i tuoi fratelli! – rise Garp, battendogli affettuosamente una mano sulla spalla. – Proprio lui. Sabo.

Rufy scosse freneticamente la testa. – Ma... se anche fosse, cosa importa? È morto. Sabo... Sabo è morto quasi dieci anni fa, ormai.

Ti sbagli di nuovo. Ti avevo detto che Dragon lo teneva d'occhio, no? La sua prima missione, insomma, cose grosse... L'ha seguito insieme ad un gruppetto di reclute. Quando hanno visto l'incendio, si sono subito messi in azione e l'hanno tirato fuori da lì prima che fosse troppo tardi. Non mi hanno spiegato tutto, ma sembra che Sabo avesse avuto una grande disputa con la spia, Teach. Essere creduto morto era l'unica maniera per evitare di essere ucciso da lui o dai suoi alleati. Si è allenato lontano, in Asia, ma ora... sta tornando. Ha saputo di Ace e sta tornando qui.

Rufy spalancò gli occhi: non poteva crederci. Non poteva, non poteva... era troppo bello per essere vero, insomma! Sabo, suo fratello, Sabo... – Però... non so dirti come la prenderà Ace. – disse, cauto. – Voglio dire, io non vedo l'ora di rivederlo, non importa se è il ragazzo della Profezia o se è stato lontano tutto questo tempo, ma Ace...

Temi che se la prenderà? Beh, è normale. Ha vissuto tutta la vita sapendo che... – iniziò Garp, comprensivo, ma Rufy lo interruppe.

Per la Profezia, dici? Ma no! Cioè, Ace non se la prenderà mica per questo, voglio dire, Sabo non ha alcuna colpa. E quella storia Ace l'ha superata da un pezzo, credo. – si precipitò a spiegare.

Garp inarcò un sopracciglio. – Ma allora, perché...

E me lo domandi? Sarà furioso. – il volto di Rufy si aprì in un sorriso stanco, il sorriso di chi ha già visto fin troppe volte la stessa scena e sa già come andranno a finire le cose. – Sabo era vivo e non ci ha detto niente. Si è allenato lontano da noi per anni lasciandoci credere che fosse morto, e non si è mai preoccupato di avvisarci. Ace... immagino che se la prenderà a morte per questo.

Garp scoppiò a ridere. – Ah, beh, mi sa che gli toccherà farsene una ragione! Dragon mi ha detto che arriveranno entro poche ore, sperando che facciano in tempo. Allora a Ace glielo dici tu, d'accordo? E mi raccomando, sii delicato!

Rufy annuì, convinto. Sinceramente? Non aveva nessuna idea su come avrebbe reagito Ace, ma ora sapeva di avere un motivo in più per salvarlo: non poteva permettere che morisse senza sapere niente di quella storia.

 

* * *

 

– Delicato. E tu questo lo chiami essere delicato.

Rufy poteva quasi sentire la voce di Garp che lo rimproverava.

Di fianco a lui, Ace boccheggiò. I suoni della battaglia sembravano svanire intorno a lui, mentre ogni sua certezza veniva ribaltata e spazzata via. Per tutta la vita si era tormentato credendo che... E adesso, solo adesso scopriva...

Rufy ridacchiò, nervoso. – Beh, insomma... – schivò un fendente potenzialmente mortale e riprese a correre. – Capisco che tu sia sconvolto e tutto, però... Però è una bella cosa, no? Non sei felice?

Ace esplose. – Felice? Felice? Rufy, ho passato tutta la vita a sentirmi dire che non sarei neanche dovuto nascere, sono stato cacciato dalla mia città natale, ho vissuto da solo, sono stato quasi ucciso e ora salta fuori che non... non... – fece un profondo respiro. – Non puoi sperare che io sia felice, andiamo.

Rufy si imbronciò. – Hai appena scoperto che nostro fratello è vivo. – borbottò. – Potresti cercare di sembrare meno incline a volerlo uccidere.

– Non ho detto questo. – si offese Ace. – Semplicemente, la prima cosa che farò quando lo vedrò sarà prenderlo a pugni.

Rufy scosse la testa. – Ma non sei mai contento! Ace, se Sabo è il ragazzo della Profezia e sta venendo qui... Insomma, è vivo: non sei felice? -- chiese di nuovo, fissandolo intensamente. Doveva tenerci molto, a questa storia.

Ace chiuse un istante gli occhi, concentrato. La sua testa in quel momento era un tale groviglio di pensieri, una tale confusione... Non era il ragazzo della Profezia. Più ci pensava, più scandigliava quelle parole alla disperata ricerca di un senso, più quelle sembravano vuote, inutili, prive di senso. In fondo, cosa cambiava? Non si sentiva più un mostro, non da quando Rufy lo aveva accettato per quello che era. Non sentiva nessuna liberazione, era... normale, almeno credeva. Per quanto normale potesse essere in una fuga disperata come la loro nel bel mezzo di Atene, ecco.

Non era il ragazzo della Profezia. Finalmente quelle parole iniziarono ad acquisire un senso: era libero. Libero di fare quello che voleva. E sapeva anche che quello che voleva era combattere contro Sengoku e Atene, Profezia o no. Quindi... alla fine non era cambiato niente, a parte quella strana sensazione di leggerezza in fondo al petto. Ma quella poteva anche essere dovuta al fatto che, beh, era appena stato salvato da morte certa. Di una cosa era certo: non ce l'aveva con Sabo per essere il ragazzo della Profezia, di quello non aveva nessuna colpa. Non poteva saperlo, andiamo!

Che però Sabo fosse vivo... La rabbia e il sollievo si mescolarono dentro di lui senza che potesse farci niente. Perché non li aveva avvisati? Perché gli aveva fatto credere di essere, insomma, arso vivo? Se Ace ripensava a quanto Rufy era stato male sentiva ribollire il sangue nelle vene. D'altra parte... saperlo vivo, dopotutto, gli aveva come liberato un gran peso dal cuore, come risanato una ferita ancora dolorante.

Oh, insomma, erano pur sempre fratelli, no? E visto e considerato che il ragazzo della Profezia era proprio Sabo, Ace avrebbe dovuto sostenerlo e stargli vicino, no? Piuttosto... se non era riferita a Sabo, a chi poteva essere attribuita la frase “una vita si spegne nell'incendio che viene”? A lui? Oppure -e gli si gelò il sangue nelle vene-, a Rufy?

Scosse la testa, deciso: non doveva pensarci. Vide Rufy sorridergli timidamente -aspettava ancora una risposta?- e fece per parlare: voleva dirgli che sì, era felice, era felice di sapere che Sabo era vivo e stava bene, felice di avere degli amici che erano venuti a salvarlo e felice di avere un fratellino come lui, ma la voce gli morì in gola quando si ritrovò davanti la figura cupa e spaventosa del generale Akainu.

– Di' un po', dove speravate di andare? – li apostrofò, scuro in volto.

Marco, ancora impegnato nel combattimento con Kizaru poco lontano, sbiancò. – Ace, scappa! – gridò.

Il ragazzo non si spostò di un millimetro. – Ace, andiamo! – sussurrò Rufy con voce strozzata.

– Togliti di mezzo, Akainu. – disse invece il ragazzo, gelido.

– Ma certo, che bravi. Arrivano, prendono quello che volevano e se ne vanno, proprio come dei conigli. Tutti così, voi Spartani. – commentò l'uomo, sprezzante.

Ace ringhiò. – Osa ripeterlo!

Rufy lo strattonava, e Marco continuava a gridargli di andarsene, ma lui proprio non poteva: con che faccia si sarebbe presentato di nuovo nel Battaglione di Barbabianca se fosse scappato adesso?

Akainu ghignò. – Dimenticavo: voi seguaci di Barbabianca non avete un briciolo di spina dorsale, giusto? Insomma, capeggiati da un relitto del genere... Quel vecchio è buono solo a tirare le cuoia, ormai!

Ace non ci vide più. Dardeggiando con gli occhi, sfoderò la spada e si lanciò contro Akainu. – La pagherai! – urlò, tentando subito un affondo sulla destra.

Il Generale schivò con naturalezza e sfoderò a sua volta la spada. – Nessuno di voi uscirà vivo da qui. – sibilò, preparandosi a lottare. Stava già per attaccare nuovamente Ace, quando lo sguardo gli cadde su Rufy: debole e stremato dalle mille fatiche che aveva sopportato per arrivare lì, si reggeva a stento in piedi. Ghignò: avrebbe inflitto a quello sciocco Spartano ogni dolore possibile, prima di portarlo alla morte. Se la Profezia che gli aveva rivelato Sengoku era vera, non poteva certo permettere che sopravvivesse! Né lui, né la sua famiglia. E quel Rufy aveva già fatto anche troppi danni.

Senza pensarci due volte, ferì Ace alla spalla, dopodiché lo scavalcò per puntare dritto su Rufy, che guardava la scena come paralizzato. Dalla sua bocca uscì un singolo suono strozzato (che poteva suonare molto come “Ace”), ma non si mosse: non ne aveva evidentemente più le forze.

Era fatta, pensò Akainu ghignando, e sollevò la spada.

 

* * *
 

Rufy non riusciva a muoversi.

Questo era l'unico pensiero che continuava a rimbalzargli nella mente, martellante. E se non si alzava, se non si fosse alzato in quell'esatto istante... Vide con la coda dell'occhio Ace alzarsi e correre verso di loro, e qualcosa nel profondo della sua mente urlò un “No!” così forte da farlo quasi spaventare. Non doveva permettere che Ace... oh, non riusciva neanche a pensarlo!

Fece forza sulla braccia, implorando il suo corpo di obbedire, ma era tardi, troppo, troppo tardi.

Ti chiami Ace, vero? Aspettami, voglio venire con te!

Conosceva Ace da tanto, tantissimo tempo. Una vita, praticamente.

Allora... allora vuol dire che ci alleniamo insieme?

Non avrebbe mai potuto sopportare di vederlo stare male.

Guarda! Una stella cadente!

Era più che un amico: un vero e proprio fratello, avrebbe dato tutto per lui.

Da questo momento in poi... noi siamo fratelli!

Una vita senza Ace era troppo brutta, troppo, troppo, troppo brutta da affrontare. Anche se c'erano i suoi compagni, li vedeva lottare tutto intorno: sapeva che erano lì per lui e che si erano dati da fare al meglio delle loro possibilità. Eppure... Ace non doveva morire, non in quel modo, non per lui!

Aveva promesso...

Lo vide chiaramente, correre verso di lui. Non avrebbe fatto in tempo a spostarlo, né a deviare la traiettoia della spada che, fatale, si stava abbattendo su di lui.

Poteva solo mettersi in mezzo.

Rufy non riusciva neanche a chiudere gli occhi, mentre ogni fibra del suo corpo pregava perché fosse solo un incubo, un brutto sogno dal quale si sarebbe presto risvegliato, sgattaiolando poi nel letto di Ace per farsi rassicurare.

Morire ad Atene, poi! Sarebbe stato troppo terribile, troppo brutto, troppo cattivo. Cos'avevano fatto perché gli dei li punissero in quel modo?

Singhiozzò, piano, impercettibilmente. Pregò che Ace non facesse in tempo, che quella benedetta spada si abbattesse su di lui prima che il fratello giungesse a mettersi in mezzo.

Successe molto, molto velocemente.

Un istante prima non c'era niente a parte Akainu e Ace dietro di lui. E subito dopo ecco un mantello svolazzare davanti al suo campo visivo, una spada sguainata e un sorriso che avrebbe riconosciuto tra mille: possibile? No, non era possibile che fosse... E allora perché stava già piangendo?

Anche Ace, dietro di loro, si bloccò. – Sabo... – sussurrarono insieme a fior di labbra.

– Questi sono i miei fratelli. – affermò il ragazzo, sorridendo davanti ad un incredulo Akainu. – Ti sarei grato se li lasciassi in pace.

E piantò con decisione la spada nel cuore del Generale Ateniese.

 

 





























Angolo autrice:
Ehm, uhm, sì, beh... colpo di scena? *viene sommersa da una scarica di pomodori*
Beh, andiamo: non ve l'aspettavate proprio, giusto? E così il ragazzo della Profezia non è Ace, ma Sabo! Ed è ancora vivo (questo mi sa che l'avevate già intuito). Spero di essere stata abbastanza chiara nella spiegazione di come Dragon abbia deciso di agire riguardo al piccolo Sabo: Garp era di fretta e Rufy è una testa vuota, quindi spiegazioni troppo dettagliate non mi sarebbero sembrate troppo IC. Se avete dubbi non esitate a chiedere!
Le reazioni di Ace a quelle notizie saranno state incomprensibili, ma ho cercato di renderle più semplici possibile: per lui essere il ragazzo della Profezia non era più un peso né un problema da quando i suoi fratelli l'avevano accettato, quindi per questo alla fine arriva alla conclusione ch non gli interessa: combatterà in ogni caso contro gli Ateniesi, c'è solo un leggero senso di libertà in più.
Per quanto riguarda la fine... Della serie: come sarebbe dovuta andare Marineford xD
Per Akainu... uccidere una persona mi sembra sempre molto brutto, e sappiamo bene che in One Piece non muore praticamente mai nessuno (Proprio per Ace queste eccezioni, no?). Insomma, non è che avrei voluto uccidere Akainu, ma in un Universo come quello di Sparta e Atene mi è sembrato doveroso mettere un po' di sangue (e se doveva morire qualcuno diciamocelo, È LUI).
Vi devo avvisare che questo è il penultimo capitolo... ebbene sì: con il prossimo "L'ultima Freccia" si concluderà!
Colgo l'occasione per ringraziare di cuore tutti voi che mi avete seguita fin qui. Un abbraccio enorme!
Vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Because we are brothers ***


Era un sogno. Rufy non era mai stato tanto certo di sognare in vita sua.

Oh, andiamo, non poteva essere vero! Era... non era chiedere troppo?

– S-Sabo. – sussurrò Rufy, alzando lo sguardo con cautela, quasi si aspettasse di vederlo scomparire da un momento all'altro. – Sei Sabo, vero? – Un sogno, un sogno, è solo un sogno. Doveva continuare a ripeterselo.

Così quando mi sveglierò farà meno male.

Il ragazzo si voltò verso di loro, spolverandosi velocemente i vestiti. – Scusate se ho fatto tardi. – disse calmo, l'ombra di un sorriso sul volto. – Sarei voluto venire appena ho saputo, ma ci sono state delle... complicazioni. – sorrise apertamente, raggiante di gioia. – Sono così felice di vedervi!

Rufy non ce la faceva più, le lacrime spingevano per uscire: d'accordo, era sicuramente un sogno. Oh, forse era morto! Sì, questo avrebbe spiegato tutto: era morto e stava sognando. Se lui era morto, allora Ace non aveva fatto in tempo a mettersi in mezzo, e quindi era ancora vivo. Sospirò di sollievo: Ace era vivo e lui era morto e stava sognando Sabo, quindi non si poteva dire che le cose fossero andate male, giusto?

– Ma sentilo! – esplose Ace, furente. – Dopo tutto questo tempo... Tutto quello che hai da dire è “sono così felice di vedervi”? Nove anni, Sabo! Nove! E tu...

Sabo alzò le mani, facendo un passo indietro. – Ace, non potevo tornare! Teach...

– Ci avremmo potuto pensare insieme! O non ti fidavi di noi? Non credevi che fossimo abbastanza forti o abbastanza furbi per...

– No, non è assolutamente così, io... – una freccia mancò per pochi centimetri il viso di Rufy, che ritenne saggio alzarsi traballante in piedi. La testa girava da fare schifo, e davvero, si aspettava che morire fosse leggermente meno doloroso di così. Di questo passo, avrebbe smesso di credere che si trattasse di un sogno, e a quel punto, oh, che gli dei l'aiutassero.

– Dobbiamo andare. – decise Ace, un velo di preoccupazione ad ombreggiargli il viso. Era come spaccato a metà: una parte di lui voleva prendere a pugni Sabo, l'altra si stava ancora commiserando per aver permesso a tutta quella gente di venire lì per lui, a rischiare la vita.

Rufy e Sabo annuirono, seri, e si lanciarono di nuovo nella battaglia. Sabo era diventato così forte... Rufy gli si affiancò in battaglia, desiderando stargli il più vicino possibile. Era stanco e a malapena si reggeva in piedi, ma finché si trattava di soldati semplici non aveva problemi ad abbatterli come mosche.

– Sei diventato forte, Rufy. – sussurrò Sabo, sorridendo.

Il ragazzino morse a sangue le labbra per non piangere. – Mi sei mancato... – sussurrò a mezza voce.

Fu uno strano abbraccio, quella cosa rude e frettolosa che li unì mentre ancora stavano combattendo contro quel fiume di nemici, ma era un abbraccio ed era Sabo e Ace stava bene e Rufy non avrebbe potuto chiedere di più, davvero.

Erano già a più di metà della piazza quando raggiunsero Marco, che aveva interrotto il suo combattimento con Kizaru per cercarli. – Ace, stai bene? – fu la prima cosa che chiese.

Il ragazzo sbuffò, roteando gli occhi. – Io sì. – attaccò, inarcando un sopracciglio. – Mio fratello però è stato quasi ucciso. – E Marco comprese che l'ostacolo più pericoloso della giornata gli si era appena piazzato davanti.

Rufy si precipitò in difesa del povero malcapitato. – Ace, sono stato io ad obbligarlo a portarmi, lui non voleva! E poi, Marco non c'era quando Thatch mi ha dato il permesso di andare per primo...

Gli occhi di Ace dardeggiarono, e a Marco fu tragicamente chiaro quale sarebbe stata la prossima vittima dell'incendio che sembrava scoppiato in Ace. – E lui chi è? – chiese per sciogliere la tensione, alludendo a Sabo con la testa.

Rufy sembrava non aspettare altro... da nove anni, almeno. – Lui è Sabo, nostro fratello! – rivelò, la voce grondante di orgoglio.

Marco lanciò a Ace un'occhiata stralunata. – Un altro? – chiese, incredulo.

– Sì, beh, diciamo pure che due bastavano già, grazie. – si intromise Thatch, sbucato dal nulla. Ace si sarebbe buttato su di lui all'istante, davvero, e per il povero Spartano le cose non sarebbero andate tanto lisce, ma al momento c'erano cose più importanti a cui pensare. – Dobbiamo andarcene da qui. Sono libero: avvisiamo Barbabianca e usciamo dalla città. – affermò, deciso.

Marco annuì e ordinò la ritirata di tutte le truppe, alleate e non.

– Ace... – Rufy gli toccò gentilmente il braccio.

– Mh?

– Quella cosa che dicevamo prima... – fece Rufy, guardando per aria. – Sai, il fatto di essere felice eccetera... – abbassò il tono di voce, concitato. – È Sabo! Per favore, mostrati un po' più felice! Ci ha salvati, sai.

Ace fece un profondo respiro. – Lo so. Prima usciamo di qui, poi chiariamo. Promesso.

Rufy sorrise, e Ace si sentì un po' meglio. Insomma, per Rufy era facile. Perdonare, sorridere, e tutto come prima. Ace non ci riusciva, non sapeva quanto del Sabo che conosceva lui fosse rimasto in questo ragazzo che ora gli correva vicino.

Il ragazzo della Profezia, per di più.

Oh, ma era assurdo! Cosa doveva succedere ancora? Atene sarebbe stata distrutta da Sabo, certo, era evidente come una città tanto immensa si sarebbe disfatta tra le mani di un soldato Spartano fuggito all'età di dodici anni per chissà quale allenamento segreto... Ad essere sinceri, quel discorso si sarebbe adattato bene anche a lui: Ace non aveva mai pensato a come avrebbe distrutto Atene, ma sapeva che l'avrebbe fatto. Ora... non era più il suo compito, tutto qua.

Evidentemente, però, Atene non sarebbe stata distrutta quel giorno: sarebbe stato già bello riuscire a fuggire illesi, si disse con un sospiro. Ma non c'era fretta, avevano tempo. L'importante era che lui, Rufy e Sabo sopravvivessero, riusciva a pensare solo a questo.

Al contrario, la mente di Rufy era concentrata unicamente sul continuare a correre, anche se piccole chiazze scure gli danzavano davanti agli occhi. Già da quando era uscito dalla prigione si reggeva a malapena in piedi, e da allora non era stato che un susseguirsi di combattimenti, corse, rischi, ferite e cadute. Aveva salvato Ace (era abbastanza certo che il suo contributo fosse stato qualcosa di utile, e non poteva sentirsi più orgoglioso di così), era arrivato Sabo e da quel momento aveva semplicemente smesso di pensare.

– Rufy!

Il ragazzo dovette concentrarsi abbastanza per mettere a fuoco il gruppo di ragazzi che gli veniva incontro. Sorrise, sbracciandosi per salutarli. Non importava se faceva male: erano lì, i suoi compagni, c'erano tutti. – Ragazzi, state bene? – chiese subito, ansioso.

– Noi? Tu, piuttosto! – fece Sanji, stizzito. – Come fai a camminare, conciato così?

Prima che qualcuno potesse dire alcunché, Rufy si precipitò incontro a Sabo. – Sabo, loro sono i miei compagni: Zoro, Sanji, Usop, Chopper, Franky e Brook! Ah, e che ne è stato di Crocodile? Ricordatemi di ringraziarlo, quando lo vedo... Ragazzi, lui è Sabo: mio fratello. – concluse con evidente orgoglio.

Ace sbuffò.

La reazione di Usop fu un po' meno esplicita di quella di Thatch, ma altrettanto disperata (ma possibile che i tuoi fratelli non finiscano mai?), mentre gli altri accettarono la cosa senza tanti problemi. Uscirono di corsa dalla piazza, rincorsi da qualcosa come l'intero corpo di forze armate di Atene, scapicollandosi verso l'ingresso da cui erano entrati.

Solo quando furono tutti fuori, Ace realizzò effettivamente quanti fossero. I duecento che erano arrivati per primi scomparivano davanti ai tremila alleati che Barbabianca aveva portato, però... c'era un sacco di altra gente!

– E loro chi sono? – domandò Rufy, inclinando il capo. – Ci stanno aiutando a scappare, ma non li ho mai... – si interruppe, portandosi una mano alla bocca. Alla guida del più grande dei battaglioni stava Monkey D. Dragon, urlando ordini ai suoi sottoposti. Sabo sorrise. – Sono gli uomini del nord, dove mi sono allenato con tuo padre, Rufy. – spiegò, calmo. – I suoi battaglioni privati, così li chiama. Abbiamo pensato che avreste avuto bisogno d'aiuto, e così abbiamo portato tremila uomini.

Tutti per salvare Ace.

Adesso si spiegava perché fossero riusciti a scamparla: sarebbe stato assurdo fuggire dalla città di Atene -Atene!- in così pochi.

Davanti alla porta che avrebbero sfruttato per uscire stava una specie di capanna di legno, messa lì probabilmente come posto di guardia. Rufy e tutti gli altri si preparavano ad oltrepassarla, quando la porta si aprì con un tonfo sordo.

La reazione alla persona che uscì dalla porta furono diverse: Rufy spalancò bocca, senza parole. Ace assottigliò lo sguardo, preda di un'irrefrenabile voglia di farlo a fette. Sabo sogghignò, lo sguardo nascosto dal cappello. – Teach. – disse ad alta voce. – Ne è passato, di tempo.

Il ragazzo scoppiò a ridere, gli occhi brillanti di malignità. – Ma chi si vede! Pensavo di averti fatto fuori, l'ultima volta... Anzi, se non ricordo male ho già dato una bella lezione ad ognuno di voi tre! – esclamò, indicando in ordine Rufy, Sabo ed Ace.

– Spostati da lì. – ordinò Ace, incrociando le braccia. Siamo più di seimila, e voi siete una decina. – concluse, scorgendo dietro di lui le stesse persone che aveva già notato a Sfacteria.

Teach ghignò. – Perché ne vedi solo dieci non significa che qua fuori non ce ne siano altri. Ebbene sì, ho evitato di prendere parte alla battaglia! Sapevo che quando ci siete voi in mezzo non si può mai predire come andrà a finire. Tutti i battaglioni di mia competenza sono schierati qua fuori. E voi non volete perdere tempo ad affrontarli, con il grosso dell'esercito alle calcagna, vero? – ghignò. Ace deglutì, arrabbiato: eppure, aveva ragione! Non avevano tutto quel tempo. Teach però lo sorprese ancora. – Ma non vorrei che mi faceste un'altra brutta sorpresa, quindi... perché non facciamo un duello? Provate a sfidarmi! Se riuscirete a battermi dirò anche ai miei uomini di lasciarvi andare. Se però perdete... Ace resta con noi. – concluse.

– Ace non va da nessuna parte! – gridò Rufy, arrabbiato.

– Quindi sarai tu a sfidarmi? – fece Teach, giocherellando con la lama della spada. – Non è che abbiate molto tempo...

Ace spinse Rufy indietro. – Ma se neanche ti reggi in piedi! Hai già fatto già troppo, oggi. – aggiunse con dolcezza. – Ti affronterò io!

Ma anche Sabo aveva fatto un passo avanti. – Lascia che faccia io. – disse con forza. – No, fermo, aspetta. – aggiunse poi, quando vide che Ace stava per protestare. – Quando avevo dodici anni, quell'uomo mi ha aggredito e piazzato in un edificio in fiamme. Per colpa sua non vi ho potuti vedere per nove anni interi. – la sua voce tremava leggermente mentre stringeva l'elsa della spada. – Lascia che mi prenda la mia vendetta. E poi, – aggiunse con un tono di voce talmente basso che solo Ace e Rufy riuscirono a sentirlo, – c'è la Profezia. La vita che si spegne potrebbe essere sua. E io non dovrei morire prima di aver distrutto Atene o cose del genere.

Ace non sembrava molto convinto, e incrociò le braccia. – Sei sicuro? – chiese, inarcando un sopracciglio. – Non...

– ...Non morire sul serio adesso che sappiamo che non sei morto per finta! – terminò Rufy con apprensione, esprimendo abbastanza bene il concetto che aveva Ace in testa.

Sabo gli diede un buffetto in testa e annuì. – Farò del mio meglio. – promise. – Voi difendete le retrovie, casomai il grosso delle forze Ateniesi ci attaccasse da dietro!

Ace e Rufy rimasero con i piedi ben piantati nel terreno a fissare Sabo che si avvicinava a Teach a grandi passi. – Buona fortuna! – non riuscì a trattenersi dal gridare Rufy. Sabo sorrise come non sorrideva da circa nove anni. – Ehi. – sibilò Rufy, dando una gomitata a Ace. – Digli buona fortuna anche tu!

Ace praticamente aspettava solo che Rufy lo obbligasse a farlo. – In bocca al lupo. – gli augurò sorridendo.

Non è che lo stesse perdonando -era ancora arrabbiato, grazie tante!-, ma vedere Sabo così grande... era davvero bello, niente da fare.

Sabo annuì con forza, e si fermò davanti a Teach. – Combattiamo.

– Ah, prima di cominciare... – ghignò Teach, – Abbiamo inventato una tecnica che mi è stata ispirata proprio dai tuoi fratellini, vuoi vederla?

Sabo sgranò gli occhi quando, dall'altro lato delle grandi mura che difendevano la città di Atene, iniziarono a piovere centinaia di frecce infuocate dirette sulle forze Spartane. – Frecce, come il piccoletto. Fuoco, come l'indemoniato. Ti piace?

Sabo saltò indietro per evitare una freccia che si conficcò appena di fianco a lui. L'erba prese a bruciare intorno a lui, e tutti gli Spartani sollevarono gli scudi per cercare di difendersi alla meno peggio, strizzandosi quando alcuni ne erano sprovvisti. Ace e Rufy si nascosero insieme agli altri, trattenendo il fiato.

– Un po' troppo scenografico. – giudicò alla fine Sabo, spolverandosi i vestiti. – Cominciamo?

Alle loro spalle la capanna di legno da cui era uscito Teach prese a bruciare come fosse una torcia. – Ovviamente.

 

* * *

 

Era davvero una cosa incredibile. Rufy si chiedeva dove Sabo avesse imparato a lottare così bene: si muoveva ad una velocità tale che sembrava non avesse fatto altro che combattere per tutti gli anni in cui non si erano visti. Lui e Teach combattevano da quasi dieci minuti, e il tempo stringeva: già l'avanguardia degli Ateniesi provenienti dalla città era entrata in conflitto con la retroguardia Spartana, e il combattimento era spietato. Senza contare la valanga di frecce che si era riversata su di loro: ormai sembravano terminate, ma l'incendio divampava in tutte le direzioni: se non si fossero sbrigati...

Improvvisamente Sabo e Teach si trovarono costretti a spostarsi sempre più vicini alla capanna infuocata. – Non entreranno là dentro... – sussurrò Rufy a mezza voce, terrorizzato.

Ace cercò di tranquillizzarlo, ma la verità era che l'idea spaventava a morte pure lui. E sembrava che Sabo volesse entrare lì! Con un colpo di spada alla fine spinse Teach all'interno, costringendolo ad arretrare, e poi non furono più visibili.

– Ma la casa è pericolante, potrebbe crollare da un momento all'altro! – si spaventò Rufy, facendo per andargli dietro.

Ace lo fermò, trattenendolo per la collottola. – Ragiona! Sabo l'ha fatto apposta. Ora possiamo passare, nessuno ci può fermare! Usciamo da qui, affrontiamo il battaglione stanziato fuori e torniamo a casa! – gridò.

Le truppe lo ascoltarono, iniziando a riversarsi fuori. Rufy però non si mosse, rimanendo attaccato al fianco del fratello. Quando anche la retroguardia fu uscita dal portone, Rufy si azzardò a parlare. – Ace...

L'altro annuì. – Ovviamente.

Senza bisogno di un'altra parola, si tuffarono entrambi nella capanna pericolante. Furono subito aggrediti dalla puzza di fumo e dalle fiamme che gli bruciavano gli occhi. Rufy tossì, e Ace gli fece vedere come coprirsi il viso per evitare di intossicarsi troppo. – Da che parte saranno andati? – chiese Rufy, saltellando per il calore del pavimento. Da fuori sembrava più piccola, accidenti! Evidentemente era una casa abitata da chi rimaneva lì a fare da vedetta, anche più di dieci persone contemporaneamente.

I due tesero le orecchie, ma non c'era nessun rumore di fondo. – Proviamo su? – propose il più giovane, tanto per dire qualcosa. Ace rifletté che, siccome sembrava sul punto di crollare, era meglio controllare il primo piano prima del pianterreno, e annuì.

Salirono quindi le scale in fretta e furia e raggiunsero una grande stanza avvolta dalle fiamme (probabilmente un dormitorio), e sbarrarono gli occhi: accasciato a terra in un lago di sangue, Teach sembrava più morto che vivo, dall'altro lato della stanza un Sabo ferito e ansimante, ma decisamente cosciente. – Sabo! – gridò Rufy, andandogli subito vicino. Quello sbarrò gli occhi, confuso di vederli lì.

– Ha respirato un sacco di fumo. – diagnosticò Ace, pratico. – Ce la fai ad alzarti?

Sabo mugolò qualcosa, cercando in tutti i modi di tirarsi su. Ace sospirò e lo prese per un braccio. – Sei stato bravo. – concesse. – L'hai battuto. – con qualche effetto collaterale, pensò osservando le sue ferite, ma preferì tacere. Sorrise: Teach era stata la loro spina nel fianco da un sacco di tempo, in realtà. Fin dalla loro prima prova di sopravvivenza, Ace aveva sempre desiderato dargli una lezione, eliminarlo dalle loro vite. E adesso... Sabo, proprio lui, ce l'aveva fatta.

Uno scossone li riportò alla realtà: – Qui crolla tutto! – esclamò Rufy, facendo velocemente spazio tra le macerie perché sia Ace che Sabo potessero passare.

Quando scivolarono davanti a Teach, però, quello aprì gli occhi. – P-per favore... – ansimò.

A Ace bastò squadrare le sue ferite per capire che non aveva possibilità di rimettersi, quindi voltò lo sguardo. Rufy però non sembrava intenzionato a proseguire. – Ace...

– Starai scherzando. – sbottò l'altro, incredulo.

– Era uno Spartano! Eravamo nello stesso campo! – insisté l'altro.

Ace sospirò, indeciso sul da farsi, quando uno scossone li fece quasi cadere a terra. Senza che Rufy o qualcun altro potesse fare niente, Teach scivolò giù insieme a cumuli di macerie, rimanendone seppellito.

Grandi crepe si aprirono nel pavimento mentre il fuoco continuava a mangiare il legno sotto i loro piedi, e mentre Rufy gli tornava di fianco Ace perse la presa sul corpo di Sabo, che scivolò verso il niente sotto di loro.

* * *

Vista da fuori, la situazione era praticamente assurda: metà della casa era crollata su se stessa, bruciata fino alle fondamenta. Un piccolo pezzo ancora restava in piedi, e da quel pezzo penzolava un ragazzo biondo, trattenuto per un braccio da Ace e per l'altro da Rufy, che si sforzavano di non lasciarlo cadere.

Sabo sorrise, chiudendo gli occhi per un istante. Eccolo là, in bilico tra la vita e la morte. Ed ecco i suoi fratelli. Per nove anni non si erano visti, e a volte aveva avuto paura che si scordassero di lui. Quante stelle aveva guardato nella speranza di sentirli più vicini? Quante lacrime aveva speso? Quanti tentativi di fuga aveva messo in atto? Ed ora, quando aveva creduto che tutto fosse perduto e che la sua ora fosse giunta, erano arrivati per lui, prendendolo al volo, tirandolo in salvo. Come si poteva essere più felici di così?

Lo issarono di nuovo sulla casa pericolante e scesero insieme, tenendosi stretti l'uno all'altro.

Uscirono praticamente correndo e superarono le grandi mura attraverso la porta lasciata aperta: le forze Spartane li stavano aspettando per scappare. – Eccoli! – gridò entusiasta Usop, saltando come un matto. – Sono loro, sono loro!

Marco sospirò di sollievo e Dragon annuì compiaciuto: avevano vinto, vinto, vinto.

Ace, Rufy e Sabo si lasciarono cadere sull'erba, ancora stretti gli uni agli altri, e per quanto si sforzassero non riuscivano a smettere di ridere.

 

* * *

 

– … e poi siamo tornati a Sparta. Questo è quanto. – concluse Rufy, soddisfatto.

Kidd e Law annuirono, concentrati. – Quindi non era Ace. Bel colpo, eh? – commentò Kidd, solidale. – Di' la verità, ti piaceva troppo essere l'eroe di Sparta o cose così.

Ace sbuffò, trattenendo una risata. – Come no, certo.

– La cosa strana, – lo interruppe Law, – è che entrambi siete nati ad Atene. Lo capite che se foste rimasti lì, Sparta non avrebbe avuto nessuna possibilità di vittoria?

Rufy ridacchiò. – Meglio per noi, no? Insomma, io sono felice che sia andata così!

Ace e Sabo si guardarono per un attimo. Erano passate due settimane dalla grande battaglia di Atene, e in tutta Sparta non si parlava d'altro: loro erano improvvisamente diventati gli eroi della Patria. Ed erano insieme. Rufy affermava che questa fosse la cosa più importante, e né Sabo né Ace avevano intenzione di contraddirlo.

– Beh, è stato un piacere rivedervi, ragazzi! – rise Rufy, sventolando la mano per salutarli: ormai era calata la sera, e dovevano tornare all'accampamento dove risedevano i loro battaglioni.

In quel periodo erano successe tantissime cose, tanto che Rufy si sentiva girare la testa al solo pensiero. Grazie al cielo nonno Garp stava bene, così come suo padre. Aveva parlato con tutti e due, facendosi picchiare dal primo e lodare dal secondo per la sua buona capacità in fatto di scegliersi i fratelli. Avevano poi riguardato insieme a Ace e Sabo la Profezia, e sebbene fossero tutti abbastanza certi del fatto che la “vita che si spegne” fosse quella di Teach, ancora non sapevano come interpretare il resto. – C'è tempo. – aveva stabilito Dragon, ed era quello che Rufy aveva sempre sognato.

Ace e Sabo si erano chiariti: dopo una scazzottata, un abbraccio e una lunga serie di insulti finita con un “mi sei mancato, deficiente”, “anche tu, testa vuota”, avevano ricominciato come se non si fossero mai separati.

Dopodiché Ace aveva allegramente aggredito Marco e thatch per "aver permesso a Rufy di rischiare la vita" e per "aver dimostrato una sconsideratezza immensa", concludendo col ringraziarli per essere venuti per lui. Marco e Thatch lo preferivano quando li insultava, e glielo dissero.

Ora l'aria era fresca, le cicale cantavano e la strada verso l'accampamento non era lunga. Il giorno dopo sarebbero ripartiti tutti verso destinazioni diverse, ma quello non era certo un addio: si sarebbero rivisti, era naturale. Non potevano stare lontani troppo a lungo.

– Ehi, ragazzi, è ancora presto, in fondo. – azzardò Rufy dopo un po'. – Dite che potremmo...

Gli altri due sorrisero in contemporanea. Il cielo non era mai stato così bello.

– Andiamo a guardare le stelle. – confermò Sabo, felice, e Ace annuì con convinzione.

Sgattaiolarono nella foresta dove andavano sempre da bambini, e raggiunsero il posto che li aveva visti per innumerevoli notti. – Quanti ricordi... – mormorò Sabo.

– È bellissimo. – affermò Rufy con convinzione.

– Certo che lo è. – concordò Ace sdraiandosi sull'erba, presto imitato dagli altri due.

Rimasero in silenzio per un po', a contemplare il cielo stellato sopra di loro. – Mi siete mancati così tanto. – sussurrò Sabo alla fine. – E quando ho temuto di non fare in tempo...

Ace lo zittì. – Sei tornato, è questo che conta.

– E poi, anche tu ci sei mancato da matti, sai? Anche Ace piangeva, quando pensava che non lo vedessi. – si intromise Rufy. Ace cercò di picchiarlo, ma il ragazzino schivò agilmente.

Va bene, in ogni caso... Grazie. A tutti e due. Per essere venuti, dico. – mormorò Ace.

Sabo annuì. – Grazie a voi... per avermi aspettato.

Voltarono lo sguardo verso Rufy, che sembrava ormai già piombato nel mondo dei sogni. – Grazie... – mormorò però quello, aprendo gli occhi. – Per essere i miei fratelli. – concluse con un enorme sorriso. – Sono così felice di avere voi!

Sopra le loro teste, passò sfavillante un'enorme stella cadente che li lasciò per un istante a bocca aperta.

Sorrisero contemporaneamente, troppo pieni di gioia per parlare: ora sapevano che, qualunque cosa fosse accaduta, niente al mondo li avrebbe mai separati.

Perché erano fratelli.

 











































Angolo autrice:
Eeeeee... ok, è finita. Andata. Conclusa. Ragazzi, mi sento strana! È stato bellissimo scrivere questa storia ogni mercoledì (facciamo finta che) con le vostre stupende recensioni. Siete stati fantastici e io non merito nessuno di voi, grazie per aver accompagnato Ace, Rufy e Sabo in questa storia!
Ora sparirò un po' dalla circolazione, vado in campeggio e poi in Grecia e trovare Internet e computer sarà una faccenda leggermente complicata, ma aspettatemi per Settembre con tante altre nuove storie su One Piece! ;D
Ora vorrei ringraziare di cuore tutti quelli che mi hanno seguito, preferito, ricordato e soprattutto... recensito!

Grazie ad Akemichan: sei stata incredibile, i tuoi giudizi sempre tanto accurati e gentili mi hanno davvero dato la carica per continuare! Sono felicissima che questa storia ti abbia presa, spero che l'ultimo capitolo non ti abbia delusa!

Grazie a Luffy_Mugiwara: sei stata gentilissima a recensirmi, grazie di cuore per l'incoraggiamento! Spero che l'ultimo capitolo ti sia piaciuto!

Grazie a _Firestorm_: grazie per avermi recensito, spero che questa storia ti sia piaciuta!

Grazie a Kamisama_Nikij: sono davvero felice che la mia storia ti sia piaciuta, grazie per avermi lasciato le tue recensioni sempre divertentissime!

Grazie a cola23: i tuoi commenti sono sempre una cosa meravigliosa, sei stata gentilissima a passare, ogni tanto! Spero davvero che questa storia ti sia piaciuta e che l'ultimo capitolo non ti abbia delusa!

Grazie a Monkey_D_Alice: come avrei fatto senza di te? Grazie per esserci sempre stata, mi hai davvero fatta felice! Spero che anche l'ultimo capitolo ti sia piaciuto!

Grazie a afro_chopper_jr: sono felice che questa storia ti sia piaciuta, grazie di cuore per l'incoraggiamento!

Grazie a _Meyor_: grazie di cuore per essere passata, sono felicissima che questa storia sia stata di tuo gradimento ;) Spero che apprezzerai anche il finale!

Grazie a New Red Eyes: Sei stata davvero gentile, grazie per avermi lasciato il tuo parere! Sono felice che questa storia ti sia piaciuta!

Grazie a I_S_Aquamarine: grazie per esserci sempre stata, i tuoi commenti mi hanno sempre fatto tantissimo piacere, sei stata incredibile! Spero che anche questo capitolo ti piaccia!

Grazie a OrenjiAka: sono davvero felice che tu abbia deciso di recensire parte della mia storia, grazie di cuore per i commenti sempre stupendi!

Grazie a Yellow Canadair: davvero, come avrei fatto senza di te? Grazie per esserci sempre stata, per avermi letto e recensito: ogni volta che vedevo il tuo nome sullo schermo era una gioia per gli occhi! Spero che anche quest'ultimo capitolo non ti abbia delusa!

Grazie a _Ace: che tu mi abbia recensita è già di per sé un miracolo, ma volevo dirti grazie di cuore per essere passata e aver lasciato il tuo segno: sono davvero felice di averti conosciuta, grazie di cuore per tutto, davvero! A breve passerò anche da te, abbi fede. Grazie ancora per tutto!

Grazie a Hiken no Bibi: grazie di cuore per essere passata, sono felice che questa storia ti prenda! Sei davvero gentile, spero che l'ultimo capitolo non ti deluda!

Grazie a Kurosaki Roronoa: Sei stato/a davvero gentile, grazie per avermi lasciato il tuo parere! Sono felice che questa storia ti sia piaciuta!

Grazie a Leluchan: grazie per la recensione, sei stata davvero gentile! Spero che l'ultimo capitolo ti piaccia!

Grazie a perseusjackson: sono felicissima che la mia storia ti sia piaciuta, grazie di cuore per tutto! Sei stata davvero gentile, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

Grazie a: Sayan_lover: grazie mille per essere passata, sono felicissima che questa storia sia stata di tuo gradimentoti sia piaciuta! Spero che apprezzerai anche il finale!

Grazie a: Siria_Ilias: grazie mille, sono felice che questa storia ti sia piaciuta! Grazie di avermi lasciato una recensione così bella! ;)

Grazie a Emma_Sirius_Potter: seriamente, come faccio in così poche righe a dire quello che le tue recensioni significavano per me? Grazie di essere passata, grazie di avermi recensita e resa una persona felice! Grazie per le tue considerazioni stupende e per la pazienza nel seguire una come me!







Insomma, siete tutti meravigliosi. Un grandissimo abbraccio a tutti, ci sentiamo presto!
Un bacione, vostra
Emma ^^

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2237466