Unexpected

di Cherry__Strawberry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Tutto dall' inizio ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Novità ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Emozioni Nuove ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Come una calamita ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Debolezze. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - My Sun. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Roba da ragazze ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - It's cold outside ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Troppe contraddizioni ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Partenze e... arrivi. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Turning Page ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - In debito. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Anchorage. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Ghiaccio e neve. ***
Capitolo 16: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Unexpected

Bella' s PoV

18 Settembre

Erano ormai passati tre lunghi mesi dalla mia laurea. Malgrado ciò, quel pezzo di vita mi sembrava trascorso troppo in fretta.

L’ estate era venuta e se n’ era andata in un batter d’ occhio, senza avvisare nessuno. Ne avevo approfittato per tornare a casa, a Forks, per stare un po’ di tempo con mio padre, prima di iniziare a cercare un lavoro a New York.

Beh, a Forks, la città più piovosa d’ America, mancavano sia il clima caldo che il sole. Ma di certo la compagnia era buona.

Ed ora, eccomi nella Grande Mela, pronta per ricominciare tutto da capo, come all’ asilo.

Il mio più grande sogno era sempre stato quello di diventare una giornalista e, grazie alla borsa di studio che vinsi per Yale, adesso tutto questo era possibile.

Gli anni del college erano stati lunghi, ma in un certo senso mi mancavano. Ero troppo occupata a studiare, per preoccuparmi del futuro, allora.

E invece, quella bolla si era rotta, catapultandomi nella vita reale.

Ecco, Bella, ti stai incantando di nuovo!

La vocina nella mia testa mi risvegliò, ricordandomi che avevo ancora uno scatolone pieno di cose davanti a me, che aspettava solo di essere svuotato.

Sbuffai, iniziando a tirar fuori tutti i miei oggetti personali.

Io e la mia migliore amica, Alice, avevamo appena acquistato questo nuovo appartamento a Brooklyn, pronte per fiondarci nella vita newyorkese finito il college.

Lei era una stilista emergente, laureata in disegno, facoltà che l’ aveva aiutata nel desiderio di realizzare abiti. Come descriverla? Come un piccolo uragano formato gnomo, ecco come! Era minuta, magra, con dei capelli neri dal taglio sbarazzino che le incorniciavano il viso. Aveva la pelle piuttosto pallida, su cui i suoi occhi scuri risaltavano.

Ci eravamo conosciute a Forks, durante l’ ultimo anno di liceo, scoprendo che avremmo frequentato la stessa università. Da lì fu semplice diventare grandi amiche. Per quanto fosse troppo esuberante, quella piccoletta era una delle persone migliori che conoscevo.

Quando ci fummo laureate entrambe, scegliemmo di trovarci un appartamento. Fu facile sia trovarlo che arredarlo. Infatti, la madre di Alice, Esme, era una grande arredatrice d’ interni, famosa in mezza New York. E meritava tutto il suo successo. Aveva un gusto straordinario, faceva sembrare l’ arredamento una cosa semplicissima da scegliere. Riempiva una casa di mobili con la stessa facilità con cui si versa dell’ acqua in un bicchiere.

Era un appartamento di media misura, ma a me stava benissimo.

Entrando, c’ era un soggiorno pieno di luce, causata dalla finestra nella piccola cucina che lo affiancava, senza la presenza di porte.

Da lì si accedeva a tre stanze: la mia, quella di Alice e la “stanza bianca”.

Non sapevamo cosa farne, così la lasciammo in sospeso.

Io proposi di farci uno studio per Alice, così da facilitarle il lavoro. Lei, invece, pensava più in grande. Aveva tremila progetti, nessuno dei quali però fu realizzato.

-Ecco fatto! – esclamai, quando anche l’ ultima cosa fu riposta al suo posto.

Osservai il mio operato.

La mia stanza, anch’ essa arredata da Esme, era piccola e bianca, con i mobili in legno scuro. Semplice ed essenziale: proprio come piaceva a me. C’ era anche una piccola finestra, proprio sul muro davanti a cui era posta la scrivania con il mio inseparabile portatile.

Potei ritenermi soddisfatta.

-Finalmente hai finito! Credevo che sarei invecchiata prima di vedere la tua stanza pronta!

La voce cristallina di Alice giunse alle mie spalle.

Mi voltai e la vidi sullo stipite della porta, con un sorrisetto ironico sul volto.

Non avevo voglia di controbattere, così lasciai correre.

-Direi che dopo tutta la fatica che abbiamo fatto, ci meritiamo un bel premio. Che ne dici di ordinare una pizza stasera? – chiese, già pronta con il telefono in mano.

Era già così tardi? Guardai fuori dalla finestra e, effettivamente, era già sera. La luna e le stelle, per quanto poco si vedessero date le forti luci newyorkesi, facevano già la loro comparsa nel cielo buio.

-D’ accordo. – le risposi.

Non fece in tempo a digitare il primo numero, che il telefono squillò.

-Pronto? – disse tranquilla.

Qualche secondo dopo, un sorriso che andava da una parte all’ altra del suo viso mi fece capire chi era all’ altro capo del telefono: Jasper.

Jasper Hale, fidanzato con Alice da prima che la conoscessi, era uno stimato avvocato, per quanto la sua carriera fosse appena iniziata. Alto, biondo e dagli occhi chiari, era quasi impossibile vederlo lontano dalla sua pazza fidanzata.

Quest’ ultima, dopo avermi rivolto un’ occhiata sfuggente, si eclissò nella sua stanza, chiudendo la porta dietro di sé.

Sorrisi, scuotendo la testa.

Alice non sarebbe mai cambiata.

E questo era un colpo di fortuna, perché tutti la adoravamo così com’ era. Io in primis.

Ora che, nella mia lista delle cose da fare, la voce “casa” era stata prontamente cancellata, dovevo trovare un lavoro. E in fretta, per quanto possibile.

Non mi piaceva stare con le mani in mano e mai mi piacerà.

Di certo non potevo puntare direttamente alla mia più grande aspirazione: il New York Times. Quello era un sogno ancora troppo lontano …

Beh, meglio mettersi al lavoro da subito!  Pensai.


Notes
Dunque ... Ciao a tutti :)
Questa è la prima fanfic che scrivo su Twilight. O meglio, è la prima che scelgo di pubblicare qui. Questo non è un vero e proprio capitolo, più che altro è un' introduzione. Non sapevo come iniziare la storia, ho buttato giù la prima cosa che mi è venuta in mente.
Spero vi piaccia lo stesso e vi incuriosisca riguardo alla storia vera.
Le vostre recensioni sono più che benvenute ♥
Cherry

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Tutto dall' inizio ***


Ciao a tutti! Eccomi qui con il primo vero capitolo.
Vorrei ringraziare le 16 persone che mi hanno aggiunta alle storie seguite, chi mi ha aggiunta a quelle da ricordare e alle preferite.
GRAZIE!
Un ringraziamento speciale a chi ha recensito il capitolo ^_^


m_aljen: grazie! Spero che il nuovo capitolo ti piaccia :)

giova71: ciao! Ehehehe.... leggi questo capitolo e vedrai che troverà Bella xD Per il resto... dobbiamo un po' aspettare...

vanderbit: grazie per i complimenti :) Certo che Emmett e Rosalie ci saranno. Non si può scrivere una fanfic senza Emmett xD Mi hai preceduta di un capitolo, riguardo a questo argomento :) Sì, Alice è sorella sia di Emmett che di Edward. Non posso dirti più di questo, altrimenti mi metto a sciorinare tutta la storia, scusami!

Buona lettua a tutti :)





Tutto dall’ inizio

Bella’ s PoV

30 Settembre

-No, no e no! Non se ne parla nemmeno! – sbraitai.

-Andiamo, Bella, è un’ ottima occasione per te! – mi rimbeccò Alice, alzando leggermente il suo tono di voce.

-Bella, Catwalk è una delle più importanti riviste di moda di tutta New York, sii ragionevole! Ti può aprire milioni di porte. Non puoi pretendere subito un quotidiano importante come il Times, malgrado la tua bravura. E poi, mi sono impegnata moltissimo per farti avere un colloquio! Almeno provaci!

-Ma Alice, è… è una rivista di moda! – biascicai, in tono sofferente.

Tutto ciò che riguardava lo scintillante mondo dei grandi stilisti decisamente non faceva per me. Era come un universo alternativo.

Però Alice aveva ragione. Quella rivista avrebbe potuto offrirmi tantissime opportunità. Beh, magari potevo iniziare da lì la “scalata” verso quello che era il mio sogno.

Ogni giornalista che si rispetti si è sottoposto ad un minimo di gavetta, e così avrei fatto anch’ io. Anche se mi sarebbe costato lavorare nel bel mezzo di ciò che non sopportavo. E che non sopportava me.

-E va bene. – accettai.

-Sìììì!! – trillò felice Alice, iniziando a battere le mani come una bambina.

-Vedrai, non te ne pentirai per niente! – disse, sorridendomi a trentadue denti.

Annuii, pur non essendone molto convinta.

-Dovranno per forza assumerti, con tutte le buone parole che ci abbiamo messo io e Rose!

Rosalie, era la mia seconda migliore amica.

Avevo conosciuto anche lei al liceo, grazie ad Alice. Rose, infatti, era la sorella gemella del fidanzato di quella gnoma pazza. Come lui era alta, aveva dei lunghi capelli biondi e due occhi dello stesso colore di un cielo sereno.

Guardandola si poteva intuire subito che lavoro facesse: il suo fisico statuario mostrava chiaramente che era una modella.

Lei ed Alice avevano iniziato le loro carriere insieme. La prima, creando abiti; la seconda, indossandoli.

Smentiva però molti luoghi comuni sulle sue colleghe. Oltre ad essere bellissima, infatti, era anche molto intelligente.

Ovviamente, essendo mia amica, aveva parlato bene alla direttrice della rivista di moda che mi aveva concesso un colloquio.

Anzi, iniziai a credere che esso mi fosse stato accordato proprio grazie alle lusinghe di Alice e Rosalie.

1 Ottobre

Quella mattina mi svegliai pochi secondi prima che la sveglia suonasse, facendomi sobbalzare.

Mi alzai di malavoglia dal mio letto caldo, per dirigermi in bagno e concedermi una rilassante doccia.

L’ acqua calda rimosse per un attimo dalla mia mente il pensiero di ciò che stavo per affrontare. Quindi rimosse, momentaneamente, anche il terrore che avevo.

La mia paura non era tanto nel fatto che non mi avrebbero assunta, quanto nell’ ignoto del futuro.

Non sapevo cosa mi aspettasse. Cosa mi sarei ritrovata davanti. Non sapevo ancora niente della mia vita. Il mondo si stava affacciando ai miei occhi solo ora.

E questo mi rendeva ansiosa.

Mi avvolsi nell’ asciugamano e tornai in camera, cercando di scacciare i miei infantili timori.

Mi fermai davanti all’ armadio, con un dubbio asfissiante:

Cosa si indossa per un colloquio per lavorare in una rivista di moda?

Come già detto, quello non era per niente il mio ambiente. La mia filosofia era “comodo è bello”. Completamente in contrasto con tutto ciò che insegna lo stile, quindi.

Mi passai una mano tra i capelli, sempre più dubbiosa.

Decisi di bere un po’ di caffè, magari sarei riuscita a fare qualcosa di più che fissare l’ armadio con gli occhi sgranati.

Avviandomi verso la cucina, notai degli abiti ben ripiegati sul divano

Mi avvicinai, inarcando un sopracciglio, e notai che vi era appoggiato un biglietto.

"Ti conosco meglio di quanto lo faccia tu stessa!

Ho avuto come un flash, ieri sera, prima di addormentarmi. C’ eri tu, muta e immobile davanti al tuo armadio.

Così ho deciso di prepararti cosa indossare, onde evitare problemi a causa del tuo abbigliamento.

Diciamolo, questo è il mio campo.

Chiamami appena esci da lì, voglio essere la prima a sapere come è andata!

Buona fortuna.

Alice"

Alice, sempre la solita! Adesso era anche veggente…

Scossi la testa, sorridendo. Mi era stata davvero di grande aiuto, da sola non avrei saputo come uscirne.

Presi gli abiti tra le mani, per vedere cos’ erano.

Mi ritrovai tra le mani tre indumenti.

Il primo, era una camicetta beige a maniche corte con delle ruches dal ricamo marrone scuro, dello stesso colore dei bottoni.

Il secondo era un bolero, anch’ esso a maniche corte, di una tinta piuttosto scura di marrone. Sotto allo scollo, aveva un piccolo fiocco beige, che richiamava perfettamente il colore della camicetta.

In ultimo, vidi una gonna piuttosto corta, anch’ essa marrone.

Beh, poteva andarmi molto peggio, conoscendo Alice. Avrebbe potuto scegliere dei colori sgargianti e degli abiti strani, ma si era trattenuta, era evidente.

Certo, non amavo l’ idea di dover indossare una gonna, soprattutto così corta, ma dovevo adattarmi.

Devo ricordarmi di dire ad Alice che siamo in pieno autunno. Pensai.

Quell’ idea, però, sembrò un nulla quando vidi cosa c’ era accanto al divano: decolleté con un tacco molto, molto alto.

Deglutii a fatica.

Il mio equilibrio precario non mi consentiva di indossare calzature del genere. E lei lo sapeva benissimo.

Imprecai mentalmente ed andai a vestirmi.

Tutto sommato l’ effetto non mi dispiaceva.

Passai un leggero velo di trucco sul viso e lasciai i capelli sciolti, facendo ricadere i boccoli castani sulle spalle.

Presi un bel respiro ed uscii di casa.

Arrivai alla redazione di Catwalk in taxi.

Era un tipico grattacielo dello skyline newyorkese, con le finestre che sembravano specchi e riflettevano la luce di quel mattino piuttosto assolato.

Controllai l’ orario e mi accorsi di essere perfettamente in tempo, così entrai nell’ edificio.

La visione che mi si parò davanti era sconcertante.

Gente che camminava in fretta, scambiando poche chiacchiere. C’ era chi era intento a parlare al telefono tramite un’ auricolare, chi discuteva con qualcuno, chi trasportava stand di abiti.

La luminosa stanza dalle pareti bianche, sembrava essere grande mezza New York. L’ unica note di colore era data dal tappeto rosso sul pavimento e dagli abiti delle persone che si trovavano lì.

Per un attimo trattenni il fiato, poi decisi di avviarmi verso la reception.

Arrivai davanti al grosso bancone tondo, dietro a cui c’ era una ragazza dai capelli scuri, intenta a digitare qualcosa su una tastiera.

-Mi scusi, sono Isabella Swan, ho un colloquio di lavoro con…

Oh cavolo, come si chiamava il capo redattore? Mi era completamente sfuggito di mente il suo nome.

La ragazza alzò momentaneamente gli occhi dallo schermo del computer, fissandomi in modo annoiato.

-Con il capo redattore. – dissi, salvandomi in corner.

-Bene. – controllò per un secondo un’ agenda accanto a lei – La signorina Stanley la aspetta nel suo ufficio, è al 35° piano.

-Grazie, buona giornata. – dissi, a voce bassissima.

La ragazza annuì velocemente, per poi tornare alla sua precedente occupazione.

Mi diressi verso l’ ascensore, cercando di ignorare l’ ansia che iniziava ad attanagliarmi lo stomaco.

Calma, Bella. Continuavo a ripetermi come un mantra.

Schiacciai il pulsante luminoso con il numero 35, battendo un tacco sulla moquette a causa della tensione.

Con un bip metallico, le porte si aprirono, portandomi davanti alla porta di un ufficio.

Bussai delicatamente, e una voce dall’ interno mi invitò ad entrare.

-Buongiorno. Sono Isabella Swan. Ho un colloqui con la signorina Stanley.

Una ragazza dalla liscia chioma bionda, seduta dietro una grossa scrivania di vetro, si voltò verso di me con un grande sorriso.

Ne accennai uno anch’ io, ma dubitai di esserci riuscita.

-Prego, siediti. Posso darti del tu, vero? Sono Jessica Stanley, la “capa” qui. Chiamami Jess. – disse, parlando a raffica e porgendomi una mano.

La strinsi delicatamente, per poi accomodarmi su una delle poltrone antistanti alla scrivania.

-D’ accordo, Jess. Ehm… chiamami Bella. – dissi, sperando di alleggerire la tensione che provavo.

Lei sorrise, per poi ricominciare a parlare.

-Bene, Bella. Cosa ti ha spinto a voler lavorare a Catwalk?

Ahi. Tasto dolente.

Beh, sai Jess, le mie due migliori amiche hanno fatto di tutto per farmi lavorare qui. Sono molto insistenti ed ho deciso di assecondarle. Ma non potevo certo rispondere così.

-Non lo so, a dir la verità. Il mio istinto mi ha portato qui ed ho deciso di seguirlo. – improvvisai, sperando ci cascasse.

Funzionò.

-Beh, lasciati dire che hai un ottimo istinto, allora! Questa è una delle migliori riviste di moda in circolazione, c’ è una fila di persone che vorrebbero lavorare qui.

Tranne me.

-Dunque, hai delle ottime referenze. Non tutti i giorni Rosalie Hale raccomanda qualcuno. Alice Cullen è ancora agli inizi come stilista, ma avrà un gran futuro. Sono tenuta a dirti che, già quando mi hanno parlato di te, ho deciso di assumerti. Sei proprio la persona che ci vuole, qui! Questa è più una chiacchierata per conoscerci.

Mi sentii leggermente più sollevata. Trassi un respiro di sollievo, lasciando che le mie labbra tese si rilassassero in un sorriso.

-Credo di doverti spiegare in cosa consisterà il tuo lavoro. Vedi, questa rivista esce una volta ogni mese, quindi ogni mese ci si prepara per il successivo. Ogni volta si indice una riunione di tutto lo staff, così si assegnano i vari compiti. Per il resto del tempo, si sta in ufficio o a fare quello che viene assegnato. Tu, essendoti presentata come giornalista, dovresti ricevere ogni volta un articolo su… qualcosa. Per me puoi iniziare a venire qui anche da domani, così ti ambienti un po’, è un posto enorme! La riunione per il mese di novembre si terrà la settimana prossima. Detto questo, sono felice di averti conosciuta. – concluse, senza smettere di sorridere un attimo.

-Grazie. Davvero, non pensavo che mi avreste assunta. Farò del mio meglio.

Lei annuì e mi congedò.

-Ah, Bella?! – mi chiamò, mentre aprivo la porta dell’ ufficio per andarmene.

-Sì?

-Bel look!

Arrossi leggermente, ringraziandola.

Dovevo trovare un modo per ripagare Alice.

Uscii da quell’ edificio leggera come una piuma e sorridendo come una bambina.

Decisi di chiamare la mia migliore amica, come mi aveva chiesto.

Dopo qualche squillo, rispose.

Le raccontai tutto, prima che mi fracassasse il timpano con un acutissimo urlo di felicità. La immaginavo mentre saltellava urlando per la stanza, tanta era la gioia.

Sorrisi.

Era come una sorella per me, anche se a volte mi faceva infuriare davvero.

-Sai che si fa adesso? Dobbiamo festeggiare! Stasera si va a cena tutti insieme e non accetto un “no” come risposta! – disse, sempre più allegra.

Non potevo negarglielo. Non dopo l’ aiuto che mi aveva dato.

Acconsentii, capendo che il “tutti insieme” si riferisse a me, lei, Rose, Jasper ed Emmett, fratello di Alice e attuale compagno di Rosalie.

Tornai a casa quando ormai era ora di pranzo.

Wow, ero sopravvissuta un’ intera mattinata sui tacchi.

Era una vittoria personale.

-Bella!!

La voce squillante di Alice che mi chiamava iniziava ad essere decisamente scocciante.

-Eccomi. – dissi, uscendo dalla mia stanza e trovandomela davanti.

Mi squadrò dalla testa ai piedi con un’ espressione alquanto disgustata in volto.

-Come ti sei vestita?! – mi chiese, con un tono a metà tra il dubbioso e il furioso.

Avevo semplicemente indossato dei jeans ed una maglietta. Cosa c’ era che non andava?

-Qual è il problema? – le chiesi, esponendole i miei pensieri.

-Non penserai di venire conciata così, vero?

Annuii, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Lei alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. Mormorò qualcosa che ricordava vagamente un “Devo fare tutto io!!” e poi si ritirò nella sua stanza.

Dopo meno di un minuto, la vidi uscire di nuovo con un abito in mano. Era un vestitino nero senza spalline, che arrivava poco più su del ginocchio.

-Indossalo. ORA. – ordinò con un’ intonazione che non ammetteva repliche.

Mi cambiai per la seconda volta, indossando l’ abitino datomi da Alice. Lasciai che i capelli mi cadessero tranquillamente sulle spalle e tornai da lei.

Capii che stava per propormi di indossare delle scarpe alte, così bloccai la sua proposta sul nascere, indossando delle semplici ballerine.

Osservai anche il suo abbigliamento. Indossava una blusa piena di volant di un rosa molto acceso, con in vita legato un nastro nero. Poi aveva dei jeans strettissimi e scuri e delle decolleté nere.

Prendemmo le rispettive borse ed uscimmo di casa, dirette al ristorante da lei scelto per l’ appuntamento.

Prendemmo un taxi, che ci portò fino ad un ristorante, sulla cui insegna brillavano luminose le parole “Il Sorriso”. Ristorante italiano. Uhm. Buono.

Il ristorante si trovava su una collina, che affacciava direttamente sulle sponde del fiume Hudson. Anche questo era campo di Alice.

Mentre ci avvicinavamo all’ entrata, sentii una forte voce alle mie spalle che mi chiamava.

Non feci in tempo a voltarmi, che mi ritrovai stritolata da un abbraccio fortissimo. Emmett.

Quando mi lasciò respirare, lo salutai.

Emmett era il prodotto di una fusione tra un orso ed un essere umano.

Malgrado l’ aspetto, però, aveva un cuore d’ oro. Ed era impossibile non divertirsi in sua compagnia.

-Che emozione, la nostra Bellina è diventata una giornalista seria! – disse, con finto tono commosso.

Capii che le malattie mentali erano comuni nella famiglia Cullen.

Arrivò anche Rosalie, che mi abbracciò sorridendo.

Come al solito, era stupenda. I lunghi capelli le ricadevano morbidi sulle spalle ed indossava un vestito rosso porpora, lungo fino al ginocchio, con le maniche piuttosto corte e di pelle nera.

Jasper, invece, si congratulò con una semplice stretta di mano.

Preferivo decisamente la compostezza degli Hale.

Entrammo e ci sedemmo. La sala era molto suggestiva. Sia le pareti che il mobilio tendevano verso colori caldi, creando un’ atmosfera rilassante e familiare. I tavolini erano disposti tutti lungo le due pareti, proprio sotto le varie mensole dei vini. La luce era data da piccole lampadine sul soffitto, che la rendevano piuttosto soffusa. Alice aveva scelto proprio un bel posticino.

Tutta la serata fu incentrata sul mio nuovo lavoro, o meglio, su di me.

Malgrado ciò, mi sentivo la … quinta incomoda.

Per quanto entrambe le coppie, quella sera, fossero tranquille, mi sentivo di troppo.

Certo, le dimostrazioni d’ affetto variavano.

Emmett e Rosalie erano molto più espliciti, mentre ad Alice e Jasper bastava solo uno sguardo per capirsi.

Forse li invidiavo.

Finita la serata, tornammo tutti alle rispettive case.

Io ed Alice ci cambiammo subito, decidendo però di restare sveglie ancora per un po’.

-Quindi inizi da domani? – mi chiese, una volta che entrambe fummo sedute sul divano.

-Credo di sì. Voglio vedere com’ è l’ ambiente.

-Sono così contenta per te! – disse, sorridendo.

Le sorrisi di rimando.

-Alice, non ti ho ancora ringraziato del tutto. Sia per il lavoro che per l’ abbigliamento di oggi…. – dissi, abbassando lo sguardo ed arrossendo.

-Per un’ amica questo ed altro. – disse – E poi vedrai che…

Ma non riuscì a terminare la frase, perché il telefono iniziò a squillare incessantemente.


Notes

Hahahah scommetto che volete uccidermi perché vi ho "appesi" ora xD In ogni caso, non fatelo, altrimenti rimarrete senza il continuo u.u

Chi sarà al telefono?

Chiedo scusa per il colloquio, ho inventato tutto. Non so come ci si comporta in certi casi, dato che per me è ancora presto!

Chiedo venia anche per la mia poca fantasia nella scelta del nome della rivista e per il mio pessimo senso estetico.

Detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto :) Le vostre recensioni sono sempre ben accette!

Abbigliamento Colloquio Bella

Abbigliamento Cena Rosalie - Bella - Alice

Cherry

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Novità ***


Novita'

Bella's PoV

-Pronto? – disse la mia amica, una volta preso il telefono di casa tra le mani.

La sua espressione mutò dalla curiosità alla sorpresa. Iniziò a sgranare gli occhi sempre di più, finché non mi accorsi che la smorfia del suo viso era totalmente furiosa.

-Tu! Sei sempre il solito idiota! Non ne combini mai una giusta! E non cercare di giustificarti con me, eh! Ti conosco meglio di chiunque altro, non mi freghi bello mio!

Stava quasi sbraitando, un comportamento alquanto insolito anche per lei.

Iniziai a chiedermi chi potesse esserci all’ altro capo del telefono.

Emmett? Nah.

Jasper? Possibile che litigasse in questo modo proprio con lui? Li conoscevo benissimo, non li avevo mai visti discutere. Scartai anche questa opzione.

Fui distolta dai miei pensieri quando sentii il telefono chiudersi.

Osservai la mia amica, che ormai era viola dalla rabbia.

Mi avvicinai a lei, per farla calmare.

-Ok, Alice, prendi un respiro profondo. Calmati e spiegami cosa è successo.

Fece come le avevo detto e il suo colorito ricominciò a tornare alla normalità.

Chiuse per un secondo gli occhi, prese un altro respiro profondo e poi iniziò a spiegarmi cosa era accaduto.

-Quell’ idiota di mio fratello si è fatto cacciare di casa dalla sua fidanzata.

Coooosa?

-Cosa? Rosalie ha cacciato via Emmett?! – chiesi, scioccata.

-Ma certo che no! – mi rassicurò, sorridendo – Neanche Emmett è così stupido! Sto parlando di Edward.

Giusto!

Oltre ad Emmett, Alice aveva un altro fratello un po’ più grande di lei. Di lui conoscevo solo il nome: Edward.

Non avevo mai avuto la possibilità di incontrarlo. Sapevo solo che Alice gli voleva un bene inaudito.

Per trattarlo così, quindi, avrà avuto i suoi buoni motivi.

-E perché l’ avrebbe cacciato?

-Sinceramente non lo so. Avrà fatto una delle sue solite cretinate e… puff! – disse, enfatizzando il tutto con un gesto della mano.

-Deve aver fatto qualcosa di grave. – dissi, annuendo.

-No, Tanya è un’ oca. – disse, come se niente fosse.

-E adesso, cosa farà? – chiesi, preoccupata.

Nessuno meritava di fare la fine di un barbone.

-Non lo so. Gli ho detto di andare in hotel finché non troveremo una soluzione.

Ci pensai su per qualche secondo, poi ebbi un’ illuminazione.

-Alice, perché non lo ospitiamo qui? Almeno finché non trova una sistemazione più adeguata. Abbiamo la Stanza Bianca in cui farlo stare.

Lei sgranò gli occhi per la sorpresa. Era evidente che non le era passato minimamente per l’ anticamera del cervello.

Ci pensò per qualche minuto, con un dito appoggiato sul mento e la fronte corrugata.

Finalmente alzò gli occhi verso di me, anche se mantenne un’ espressione pensierosa.

-D’ accordo. Domani lo chiamo e glielo dico. Ora però vado a dormire, altrimenti mi scoppia la testa!

E, detto ciò, si ritirò nella sua stanza.

Io, sorridendo per la buona azione appena compiuta, mi diressi nella mia.

Poco prima di addormentarmi, fantasticai su Edward.

Conoscevo sia Esme che Carlisle, i genitori di Alice ed Emmett. Provai a mescolare tratti e caratteri, ma prima di riuscire a formulare un’ immagine, mi addormentai.

 

2 Ottobre

Il mattino seguente mi svegliai piuttosto dimentica degli accaduti del giorno (o meglio, della sera) precedente.

Mi alzai di malavoglia, come sempre, ed andai a farmi una doccia, pronta per il primo vero giorno di lavoro.

Non potevo negare di essere un po’ in ansia. Ma chi non lo sarebbe stato?

Ancora avvolta nell’ asciugamano, mi diressi verso l’ armadio.

In quel momento, capii che la scelta degli abiti mi avrebbe tormentata ogni singola mattina. Almeno finché avessi lavorato a Catwalk.

Alla fine, optai per una camicetta bianca a maniche corte, un pantalone grigio ed un cardigan nero. Ovviamente, come scarpe scelsi le mie affezionatissime ballerine.

Alice mi avrebbe picchiata, ma un’ altra mattinata a lottare con i tacchi l’ avrei passata il più tardi possibile.

In una scatola nel fondo dell’ armadio, trovai anche una cravatta nera, che decisi di indossare.

Mi chiesi da dove arrivasse. Mi venne in mente una sola risposta: Alice.

Una delle tante cose che avrà ficcato nelle mie scatole a tradimento.

Mi rimproverai mentalmente di essermi fermata troppo a pensare, come al solito.

Mi vestii in fretta e chiamai un taxi, che mi condusse fino al grattacielo di Catwalk.

Arrivai appena in tempo, così mi diressi verso l’ ufficio di Jessica, non sapendo dove fosse il mio.

La trovai intenta a digitare qualcosa al computer, così attesi che terminasse.

-Bene, Bella. Il tuo ufficio è il numero 123 al 3O° piano. Buona fortuna. – mi disse, sorridendo come il giorno prima.

Le alternative erano due: o era molto ottimista, o molto finta. Sperai moltissimo che si trattasse della prima.

Tornai all’ ascensore e pigiai il pulsante luminoso su cui spiccava il numero 3O°.

Beh, tutto sommato, cosa sarebbe potuto andare storto, quel giorno?

Decisi che avrei visto l’ ufficio, ci sarei restata un po’ e poi sarei andata in giro a vedere come funzionavano le cose lì.

Per quanto la moda non rientrasse tra i miei interessi, dovetti ammettere che il mondo che si nascondeva dietro quelle copertine satinate mi era sempre interessato.

Mi affascinava, in un certo senso. Forse, semplicemente perché non lo conoscevo.

Finalmente arrivai al piano giusto.

Iniziai a camminare per il lungo corridoio, osservando i numeri di vari uffici.

Dopo aver percorso una buona parte di corridoio, arrivai davanti una porta, sulla quale c’ era segnato il numero 123.

La aprii timidamente, quasi mi aspettassi che da lì dentro uscisse un terrificante mostro pronto a divorarmi.

Come era ovvio, non trovai nessuno. Né tantomeno il mostro che tanto temevo.

Era una stanza di media grandezza, dalle pareti chiarissime.

C’erano solo due sedie, una poltrona ed una scrivania, sulla quale era poggiato un computer.

La cosa positiva era la grande presenza di luce, offerta anche da una grande finestra, oltre che dalle pareti.

Wow, il mio ufficio. Pensai.

Gongolai per un millesimo di secondo, poi ripresi il mio solito contegno, andando a sedermi sulla poltrona.

Accesi il computer, non sapendo cosa fare.

Dopo un po’, però, decisi che era meglio esplorare l’ambiente che mi circondava, altrimenti avrei rischiato di perdermi.

Uscii dall’ufficio ed iniziai a girovagare per il mio piano.

Vedevo solo uffici simili al mio, quindi decisi di utilizzare l’ascensore e osservare qualche altro luogo.

Mi sarei annoiata molto, dato che la riunione più importante si sarebbe tenuta un’intera settimana dopo.

Visitai la gigantesca sala degli abiti (in cui Alice avrebbe voluto passare la sua esistenza), il pian terreno dove si trovava la reception e conobbi il direttore creativo, Angela Weber.

Era una ragazza gentilissima, dai lunghi capelli castani.

Fu la prima persona con cui pensai di poter stringere un qualche tipo di rapporto, malgrado Jessica si fosse comportata in modo impeccabile nei miei confronti.

La giornata che fu considerata la più lunga della mia vita, terminò.

Avrei dovuto passare un’altra settimana in quel modo…

9 Ottobre

Quella mattina ero tesissima.

Mi svegliai molto prima che la sveglia suonasse, restando al caldo nel mio letto, sperando di potermi risvegliare da quell’ incubo.

Ma purtroppo non fu così.

Fui costretta ad alzarmi e fiondarmi sotto la doccia.

Quella pazza di Alice, per aiutarmi, aveva di nuovo scelto il mio abbigliamento.

Un semplice vestito rosso, un cardigan marrone e delle ballerine in tinta.

Le fui grata di non avermi proposto tacchi vertiginosi.

Probabilmente si era accorta del mio nervosismo.

Mi vestii in fretta ed uscii: volevo che quella mattinata lavorativa terminasse il prima possibile.

Arrivai in ufficio. Ormai il grattacielo di “Catwalk” non era più così sconosciuto.

Andai dritta verso la sala delle riunioni, con il cuore che batteva all’ impazzata per il senso d’ansia.

Quando entrai vi trovai solo Jessica ed Angela, occupate a parlare di lavoro.

Entrambe si accorsero della mia presenza e mi sorrisero.

L’ espressione serena di Angela mi rassicurò non poco.

La redattrice, invece, mi informò che quel giorno sarei anche stata presentata agli altri membri che componevano lo staff del giornale.

Ovvio, non ero già abbastanza nervosa!

Dopo circa mezz’ora, la sala era completamente piena.

Eravamo tutti seduti intorno ad un gigantesco tavolo circolare.

Jessica iniziò a parlare velocemente, come suo solito, cercando di mostrarci idee e proposte per il numero del mese successivo.

Decisi di restare con le orecchie rizzate, ma in silenzio, per capire come funzionava tutto.

Quando la scaletta fu organizzata, si iniziarono ad assegnare i vari incarichi.

Fui una delle ultime a sapere cosa mi aspettasse.

-Dunque, ragazzi, lei è Bella. E’ una nostra nuova giornalista e punto molto su di lei.

Bella, dato che sei agli inizi, ti darò un articolo abbastanza semplice. Domani sera, come credo tu sappia, si terrà una delle sfilate di Alice. Sarai presente, in prima fila, e rappresenterai il nostro giornale. Mi aspetto un bel resoconto!

Sorrisi forzatamente.

Certo, sarebbe potuta andarmi molto peggio, ma l’idea di dover scrivere un articolo su una sfilata di moda…

Beh, per fortuna non dovevo occuparmi di critiche, altrimenti sarebbero stati problemi seri.

Fummo tutti congedati e lasciati liberi di tornare a casa, eccetto gli addetti agli abiti per i servizi fotografici.

Uscendo dalle porte automatiche, guardai il mio orologio per vedere che ore fossero: l’una.

Decisi di pranzare da qualche parte, poi sarei tornata a casa.

 

Scaraventai la mia borsa sul divano, gettandomici poi anch’io.

Eppure non avevo lavorato così tanto… perché ero esausta?

Mi diressi verso la mia camera, decisa ad indossare la mia amatissima tuta e le mie ancor più amate pantofole.

Il divano, poco prima abbandonato, tornò ad ospitarmi.

Chiusi per un po’ gli occhi, con l’intenzione di far riposare le mie povere sinapsi.

Non feci neanche in tempo a sistemarmi per bene, che il campanello di casa suonò.

Mi chiesi chi potesse essere, dato che Alice era troppo indaffarata per tornare a casa a quell’ ora.

Aprii la porta e ciò che mi si parò davanti agli occhi non aveva eguali.

Un ragazzo etereo, dai capelli ramati e due intensi occhi verdi come smeraldi mi stava fissando.

Ok, cosa ci faceva un fotomodello fuori al mio appartamento?

Aveva sbagliato campanello? Poco probabile.

Era venuto per conto di “Catwalk”? Nah, mi avrebbero avvisata.

Era qui per Alice? Impossibile, non c’ erano collezioni maschili.

Rimasi imbambolata per una buona quindicina di secondi, finché lui non iniziò a parlare.

-Ciao. – disse, sorridendomi e mozzandomi il fiato. –Tu devi essere Bella. Sono Edward, il fratello di Alice, credo che lei ti abbia parlato di me imprecando.

La sua voce angelica reggeva perfettamente il confronto con la sua immagine.

Mi porse la mano, che strinsi in modo titubante.

Quel breve contatto mi provocò una miriade di brividi, che provai ad ignorare.

Lo feci entrare, cercando di sorridere. Ero in completo imbarazzo.

Portò le sue valigie nella famosa “Stanza Bianca”, ora adibita a  “Stanza di Edward”. Esme era stata così gentile da sceglierne l’arredamento, qualche giorno prima.

Mi sedetti sul divano, cercando invano di calmare i battiti accelerati del mio cuore.

Oddio, che mi stava succedendo?

Quella meravigliosa creatura con cui ero “costretta” a vivere, uscii dalla sua stanza per parlarmi.

-Non so cosa avrei fatto senza te ed Alice, grazie davvero. O meglio, senza di te. Se fosse stato per quella pazza di mia sorella, adesso starei dormendo in un cartone!

-Non preoccuparti. – dissi, con la voce più acuta e fioca del solito, enfatizzando quelle parole con un gesto della mano.

Venne a sedersi accanto a me, facendomi assumere un colorito purpureo.

Nessuno dei due sapeva cosa dire, così per qualche minuto regnò il silenzio.

Scelsi di interromperlo, porgendogli delle domande.

-Come mai la tua fidanzata ti ha mandato via? – riuscii a pronunciare.

Mi voltai verso di lui, incontrando di nuovo i suoi meravigliosi occhi.

-Sinceramente, non lo so nemmeno io. Se lo chiederai ad Alice, ti dirà che avrò fatto una delle mie solite “bravate” ed è tutta colpa mia. Ma giuro che non è così. Credo che si sia molto semplicemente stufata di me, Tanya è molto volubile. – disse, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Non ci si può stancare di te… Pensai. Un momento… pensai cosa?!

-Mi dispiace… - fu tutto quello che riuscii a dire, malgrado non lo pensassi del tutto.

-Anche a me, forse.

-Perché “forse”? Non la amavi?

Distolse lo sguardo per un secondo, facendolo vagare nella stanza, poi tornò a puntare i suoi occhi nei miei.

-Una parte di me sì.

Annuii, non sapendo cos’altro fare.

-Ma non voglio importunarti con le mie rogne amorose. Alice mi ha detto che lavori a “Catwalk”. Non mi intendo di moda come lei, ma credo sia una rivista piuttosto importante.

-Io preferisco definirla piattaforma di lancio.

-Ho capito: non sei una patita di moda.

Annuii, sconsolata.

-Beh, fare la giornalista non deve essere semplice come sembra. Non immagino come sia scrivere articoli riguardo argomenti che non ti piacciono! – disse, ridendo.

-Te l’ ho detto, è una piattaforma di lancio. Sto aspettando il mio momento.

-A cosa punti, di preciso?

Presi un bel sospiro e gli risposi, confessandogli le mie speranze.

Lui si lasciò scappare un fischio d’ammirazione.

-E tu, invece? Lavori come..? – gli chiesi, per cambiare argomento.

Mi aspettavo che la sua risposta fosse “modello”, “attore” o cose del genere, invece mi sorprese.

-Mi sto specializzando in neurochirurgia.

Era il mio turno per i fischi d’ammirazione.

Dopo quel discorso, che mi sembrò sia troppo breve che troppo lungo, mi congedò, dicendo che doveva sistemare le sue cose.

Io cercai di riprendere un colorito umano, approfittando della sua assenza.

Diamine, Alice avrebbe potuto avvisarmi!

 

Edward passò tutto il pomeriggio nella sua stanza, intento a riordinare ciò che si era portato dietro.

Io rimasi barricata nella mia, per paura di incontrarlo e fare la figura dell’idiota.

Iniziai a fare delle prove, per l’articolo. Guardai alcune sfilate su Internet e cercai di commentarle in modo personale. Avrei fatto leggere ad Alice le mie recensioni, per maggiore sicurezza.

Quest’ultima, tornò a casa quando ormai era sera inoltrata.

Salutò il fratello con sguardo stranamente furioso.

Lui non rimase a cena con noi, dicendoci di avere dei turni in ospedale.

Alice non proferì parola per tutta la serata. Sapevo che non era il caso di farla infuriare ancora di più, così rimasi in silenzio anch’io. Le augurai solo una buona notte, prima di andare a dormire.

3 Ottobre

Era il grande giorno: il giorno della sfilata.

Non ero l’ unica con i nervi a fior di pelle. Me ne accorsi quando salutai Alice che, tutta trafelata, usciva di casa.

Bevvi rapidamente un po’ di caffè, per poi recarmi in bagno e fare una doccia.

Quando aprii la porta, ciò che mi si parò davanti agli occhi mi fece cambiare colore.

Edward, che si asciugava i capelli, con solo un asciugamano addosso.

Spalancai la bocca come un’ ebete, per poi richiudermi la porta alle spalle con il cuore a mille. Lo intravidi soltanto mentre sgranava appena gli occhi.

-Scusa scusa scusa scusa! – urlai, da dietro la porta.

Non arrivò nessuna risposta.

Dopo vari minuti, che mi sembrarono infiniti, Edward uscii completamente rivestito.

Non ebbi il coraggio di rivolgergli alcuna parola, così mi catapultai all’ interno del bagno.

Quando ne uscii, con le idee più chiare grazie ad una più che rilassante doccia, lui se n’era già andato.

Sbuffai, per poi lasciare la casa in favore dell’ufficio.

 

Alice correva su e giù per la casa, senza arrestarsi mai. Sembrava un piccolo uragano senza meta.

Più volte avevo cercato di calmarla, ma non era servito a nulla.

Infine, riuscii a farla sedere sul divano e respirare. Continuava a tamburellare il piede sul pavimento, ma era già un passo avanti.

La abbandonai lì per qualche istante, per vestirmi con gli abiti scelti da lei. Era la sua sfilata, quindi un suo diritto.

Infilai lo strettissimo pantalone di pelle nera e la maglia bianca senza una manica. Fui più riluttante a mettere le scarpe munite di tacco che mi affibbiò, ma lo feci. Indossai anche una collana, presi giacca e borsa e tornai da lei.

Era nervosa, ma pronta per andare.

Non era la sua prima sfilata, ma la riteneva una di quelle di maggiore importanza. Come sua amica, non potevo fare altro se non starle accanto e cercare di rassicurarla.

Arrivammo al gigantesco salone, decorato da fiori con colori sgargianti.

Alice si diresse dietro le quinte, mentre io andai a sedermi al posto assegnatomi.

Erano le otto e trenta: mancava solo mezz’ ora all’ inizio.

Presi il blocchetto per gli appunti che, miracolosamente, era entrato nella mia borsa.

Scarabocchiai qualcosa, per far passare il tempo, ma fui interrotta da una soave voce accanto a me.

-Ciao. – disse quella voce inconfondibile.

-C-c-ciao. – mormorai, quando, voltandomi, incrociai i meravigliosi occhi di Edward.

Si sedette alla mia destra, senza mai staccare lo sguardo dal mio.

Colsi l’occasione per scusarmi.

-M-m-mi dispiace davvero tanto per quello che è successo stamattina. Mi ero completamente dimenticata di te. E non ho nemmeno bussato, scusami. – dissi, tutto d’un fiato.

Da quando balbettavo?

Lui mi sorrise gentilmente, scuotendo la testa.

-Non preoccuparti, può capitare. Eri sovrappensiero, probabilmente. Certo, anch’io sono stato un po’ stupido a non chiudere la porta… diciamo che non capiterà più. – disse, ridendo.

Una parte di me se ne dispiacque. Non era stata per niente una brutta visione.

Lo spegnersi delle luci mi fece tornare alla realtà.

Iniziò la musica, quando le prime modelle iniziarono a percorrere la passerella.

I miei occhi vagavano continuamente da loro ad Edward, per non so quale motivo.

Dopo che dodici magrissime modelle vestite da abiti stravaganti e sgargianti ebbero sfilato, comparve Alice.

Lei, piccola in mezzo a quelle ragazze altissime.

Indossava una camicia bianca, una cravatta nera, una gonna a righine e due altissimi stivali neri.

Creava un contrasto meraviglioso con l’insieme di colori di tutta la sala.

Accidenti, l’aveva pensata perfettamente!

Ci fu una miriade di applausi, poi la sfilata terminò, con il sorriso contento e soddisfatto della mia amica.

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Notes

*mossa alla Matrix per schivare i pomodori*

Scusatemi, scusatemi davvero. Questo ritardo è IMPERDONABILE. Sono passati quasi due mesi dall'ultimo capitolo, caspita!

Vi chiedo scusa, ma è ricominciata la scuola, che mi ha portato via tanto tempo. Quando ne avevo, invece, era l' ispirazione a mancare. 

Non so quando pubblicherò il prossimo, perché al momento ho poche idee.

Ringrazio le gentilissime persone che leggono questa storia.

Un ringraziamento particolare va a chi l'ha aggiunta tra le seguite, tra quelle da ricordare e, soprattutto, tra le preferite.

Rispondo alle recensioni qui in fondo, altrimenti vi avrei rovinato il capitolo ;)

poc: grazie! Eccoti accontentata!

m_aljen: no, non sei matta, fa ridere anche me! Eccolo qui Eddy ;) Bella l'idea del modello!

vanderbit:  grazie per i complimenti! Sì... era Eddy!! Mi fa piacere sapere che tu sia patita di moda. Io non lo sono per niente xD

giova71: ora sai chi era al telefono :)

fabiiiiiiiii: grazie!

Abbigliamento Bella 1

Abbigliamento Bella 2

Sfilata

Cherry

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Emozioni Nuove ***


Emozioni nuove
Bella' s PoV

Io ed Edward ci recammo dietro le quinte, per complimentarci con Alice per l’ ottimo lavoro svolto.

La trovammo intenta a rispondere alle domande di vari giornalisti, ovviamente col sorriso sulle labbra.

Mi faceva piacere che ricevesse tutte quelle attenzioni, se le era davvero meritate.

Quando le interviste terminarono, sopraggiunse anche Jasper, che la abbracciò sorridendole dolcemente.

-Complimenti, Gnoma che non sei altro. – le disse Edward, rivolgendole uno di quei suoi sorrisi mozzafiato.

Lei, in tutta risposta, gli fece una linguaccia. Stavolta, però, sembrava più affettuosa nei suoi confronti, rispetto ai giorni precedenti, in cui avrebbe potuto commettere un fratricidio.

Che lo avesse perdonato?

-Brava, Alice, la sfilata è stata meravigliosa! – le dissi io, abbracciandola.

-Grazie! Ci ho lavorato tanto, ma ne è valsa la pena. Posso ritenermi soddisfatta!

Dopo qualche istante, arrivarono a congratularsi anche Rose e Emmett. La prima, in modo pacato, il secondo, come sempre, fu più espansivo.

Dopo aver scambiato qualche parola con noi, Alice ci informò che avrebbe finito di prendere le sue cose, poi sarebbe andata da Jasper.

Edward si offrì di darmi un passaggio, dato che ero arrivata fino a lì in taxi.

Quando giungemmo alla sua auto, rimasi allibita.

Mi ritrovai di fronte ad una meravigliosa Volvo dalla carrozzeria argentea.

Fui convinta che la mia espressione imbambolata fece divertire il mio compagno di viaggio, perché lo sentii soffocare una risatina.

Mi aprii la portiera, facendomi chiedere ancora una volta quali malattie mentali dovesse aver avuto la sua ex per cacciarlo di casa.

Il tragitto fu breve e silenzioso. Anche pieno d’ imbarazzo, per me.

Appena aprii la porta di casa, mi fiondai nella mia stanza, per riprendere fiato.

Stare con Edward mi rendeva… nervosa.

Era una cosa a cui non ero per niente abituata.

Occupai il bagno prima che potesse farlo lui, provando a distendere i miei nervi attraverso una rilassante doccia calda.

Fortunatamente, funzionò.

Appena uscii, senza guardarmi intorno, mi diressi in camera, chiudendo la porta dietro di me.

Mi infilai sotto le coperte, pronta per dormire.

A quanto pare, però, qualcuno ce l’ aveva con me.

Non chiusi occhio quella notte.

Mi girai e rigirai nel letto, senza riuscire a mettere insieme un’ ora di sonno.

Era come se qualcosa mi tenesse in tensione, come se nell’ aria si fosse potuta respirare dell’ elettricità.

Capii che la causa di quel fenomeno aveva un nome e un cognome, e si trovava in una stanza a pochi metri dalla mia.

Mi passai una mano tra i capelli, abbastanza sudati, prendendo la decisione di restare a casa il giorno successivo.

Sarei riuscita a concentrarmi meglio per scrivere l’ articolo, lontana dall’ ufficio.

Lì, qualcuno sarebbe potuto tranquillamente entrare e vedere le cose che scrivevo. Ciò mi metteva ansia, non essendo molto convinta dei miei pareri in fatto di moda.

Quando ormai la luce del sole iniziava a filtrare dalla finestra, Morfeo mi prese tra le sue braccia.

11 Ottobre

Mi stiracchiai pigramente, ancora al caldo tra le coperte.

Aprii lentamente gli occhi, voltandomi verso il comodino, per controllare che ore fossero.

Li sgranai immediatamente, quando la sveglia mi comunicò che erano da poco passate le undici.

Mi alzai in fretta dal letto, andai a farmi una doccia ed indossai la mia fedelissima tuta, pronta ad iniziare una giornata all’ insegna del lavoro.

Quando tornai in salotto, munita del mio portatile, trovai qualcuno intento a leggere un libro sul divano.

Quei capelli erano inconfondibili.

E poi, chi altri poteva trovarsi in casa mia?

Appena mossi un passo, fui estasiata dal suono della sua voce.

-Siamo mattinieri, eh? – disse, ironico, quasi ridendo.

-Per favore, Edward, non infierire. Ho dormito pochissimo stanotte. – gli dissi, in tono lamentoso.

Lui tornò a rivolgere la sua attenzione al suo libro, mentre io cercai di prendere le distanze il più possibile.

Mi accoccolai nella parte opposta del divano, con il notebook sulle ginocchia.

Non avevo alcuna idea su cosa scrivere.

Iniziavo ad abbozzare qualcosa, poi cancellavo tutto, delusa dalle mie stesse parole.

Sbuffai, contrariata, iniziando a descrivere ciò che avevo visto la sera precedente.

Rileggendolo, mi resi conto che ancora non mi convinceva.

Feci per premere il tasto “cancella”, ma una grande mano prese il mio polso, bloccandomi.

I battiti del mio cuore aumentarono, anche se impercettibilmente.

-Ti prego, Bella, smettila di scrivere e cancellare tutto, è alquanto stressante. – disse, con sguardo scocciato.

Lo guardai con lo stesso sguardo di un cucciolo colto in flagrante dopo aver combinato qualche guaio.

-Scusa. Mi dispiace di averti disturbato, ma non riesco ad essere convinta nemmeno di una parola di ciò che scrivo!

-Secondo me hai troppi problemi di autostima. Fammi dare un’ occhiata.

Detto ciò, posò il suo libro e si avvicinò a me in modo spaventoso.

In qualche secondo, mi fu accanto.

Una parte della mia schiena era a contatto con il suo petto, mentre la mia testa era quasi appoggiata al suo collo.

Il suo profumo penetrava nelle mie narici, inebriandomi.

In quel momento, fui sicura che il mio cuore potesse esplodere. Sentivo i suoi battiti rimbombarmi forti nelle orecchie, e sperai vivamente che lui non se ne accorgesse.

Aggrottò le sopracciglia, a causa della concentrazione, iniziando a leggere.

Mi morsi il labbro, in preda al terrore della sua opinione.

Era raro che qualcuno leggesse ciò che scrivevo. Me ne vergognavo, di solito.

Mi distrasse, iniziando a parlare.

-Beh, non è male come credi. Se fossi in te, aggiungerei le emozioni che hai provato, guardando la sfilata. Certo, anche a me sembra strano, ma prova ad immedesimarti in qualcuno che legge la rivista.

Caspita, la sua voce, così vicina al mio orecchio, aveva su di me un effetto ancora peggiore del solito!

Cercai di riprendere lucidità.

La sua idea, però, era buona.

Dovevo immedesimarmi in un’ appassionata di moda e scrivere ciò che la sfilata trasmetteva.

Alzai appena la testa, trovandomi a pochissima distanza dai suoi occhi.

Fu difficilissimo parlare in quelle condizioni, ma ci riuscii.

-Grazie, Edward.

-Figurati. Almeno adesso potrò leggere in silenzio, senza il nevrotico ticchettio della tua tastiera. – disse, sorridendo.

Iniziai a credere che, accanto al gentleman che di solito mostrava di essere, Edward avesse anche un pungente lato ironico.

Quella mattina me lo stava dimostrando benissimo.

Aiutata dal suo consiglio, ripresi a scrivere.

Questa volta, però, fui soddisfatta del risultato.

Salvai il mio lavoro, per poi inviarlo via mail a Jessica.

Ringraziai ancora una volta il mio “salvatore”, che rimase deluso di non poter leggere il lavoro completo.

-Dai, in fondo ti ho aiutato! Non merito almeno una piccola occhiata?

Fu difficile resistere allo sguardo che sfruttò, ricordandomi la sorella, ma negai con tutta la forza che avevo.

Sbuffò, contrariato, tornando alla sua lettura.

 

12 Ottobre

Quella mattina sarei andata al lavoro.

Ero eccitata, nervosa e, allo stesso tempo, curiosa di conoscere il giudizio di Jessica sul mio articolo.

Mi svegliai presto e feci tutto molto in fretta, in modo da arrivare al lavoro il prima possibile.

Infatti, all’ esatto scoccare delle nove, ero già in ufficio da qualche minuto.

Per l’ ennesima volta, salii fino all’ ufficio del mio capo.

Bussai, ricevendo l’ invito ad entrare.

Jessica, con la sua solita espressione ottimista, era seduta alla sua scrivania, intenta a revisionare delle pagine per la rivista.

-Bella! – esordì – Volevo proprio congratularmi con te per l’ articolo! Non mi aspettavo che la moda ti appassionasse così tanto, davvero! E’ fantastico, un ottimo inizio.

Arrossii, ringraziandola per tutti quei complimenti.

Mi congedò in fretta, dicendo di avere molto lavoro da sbrigare.

Acconsentii, dileguandomi.

Come una bambina, appena seduta sulla sedia girevole del mio ufficio, iniziai a ruotare su me stessa, dalla gioia.

Non ero mai stata molto convinta delle mie parole.

Sapere che qualcuno le apprezzava era… bello.

 

Giunta l’ ora di pranzo, tornai al piano terra, intenzionata a mangiare altrove.

La mia sfortuna, però, aveva deciso di farmi compagnia quel giorno, offesa dai complimenti di Jessica.

Una ragazza stava trasportando uno stand con degli abiti per un servizio fotografico.

Quando passai accanto a questo, non mi accorsi che c’ era un pezzo di metallo alquanto sporgente.

Avvertii solo un forte dolore al braccio sinistro.

Mi voltai a guardare la ferita, rimanendo allibita.

Il leggero copri spalle che indossavo, si era strappato per qualche centimetro.

Da quella fessura, si poteva vedere chiaramente un taglio sanguinante.

Sangue.

Sangue, sangue, SANGUE.

Calma Bella, cosa potrà mai essere un po’ di sangue?

Purtroppo per me, non era affatto poco.

Iniziai già a sentire il forte odore di rame che contraddistingueva quel liquido, facendomi venire un senso di nausea.

Decisi di guardare quella ferita il meno possibile, per il mio bene.

Invece di risolvere la cosa con qualche garza, però, mi ritrovai davanti una Angela pietrificata, che mi spedì direttamente all’ ospedale.

Le dissi che non ce n’ era bisogno, ma non volle ascoltarmi.

Ed ecco che mi ritrovavo al pronto soccorso, seduta su un lettino, ad aspettare un’ infermiera.

Diciamo che mi capitò qualcosa di meglio.

Dopo qualche minuto di attesa, vidi arrivare davanti a me l’ unica persona che non mi sarei aspettata di vedere in quel momento: Edward.

La sua visione, in camice, era quasi paradisiaca.

Immediatamente arrossii, alla sua vista.

Anche la sua espressione diventò alquanto confusa.

-Bella? Che ci fai tu qui? – mi disse, esponendomi i suoi dubbi.

Con un cenno, indicai il mio braccio sinistro, ancora sanguinante.

Lui annuì e si avvicinò a me, dopo aver preso un carrellino con vari strumenti medici.

Li guardai inorridita. E anche un po’ spaventata.

Iniziò a pulirmi la ferita con dell’ ovatta.

-Cosa è successo? – mi chiese, continuando a disinfettarla e pulirla.

-Ho urtato uno stand malconcio… - dissi, arrossendo per la vergogna.

Gli scappò un risolino.

-Che c’è da ridere?! – chiesi, irritata.

-Niente. E’ che solo tu sei in grado di procurarti un taglio del genere in questo modo! – disse, tra una risata e l’ altra.

Sbuffai, mostrando un’ espressione offesa.

-E tu, invece, che ci fai qui? Non mi hai detto che ti stavi specializzando in neurochirurgia?

-Sì. Qualche volta, però, mi tocca anche stare al pronto soccorso. Questione di turni.

Annuii, rendendomi conto che la ferita era ormai pulita.

-Ora mettiamo un paio di punti, poi potrai tornare a casa.

Impallidii a quell’ affermazione.

Punti.

Ago.

Filo.

Deglutii rumorosamente.

Avevo sempre odiato gli aghi, sin da piccola.

Evidentemente Edward se ne accorse, perché mi osservò con sguardo interrogativo.

-Non mi piacciono gli aghi. – dissi, abbassando lo sguardo.

Iniziai a mordermi il labbro, nervosissima.

-Stai tranquilla, farò in fretta. – disse, accarezzandomi appena il braccio.

Quel contatto veloce e improvviso mi riempì la pelle di brividi.

-Non ci riesco, a stare tranquilla, intendo. E’ più forte di me, ho paura. – confessai, sussurrando.

Lui sospirò, per poi alzarmi il viso con due dita.

I nostri volti erano ad una distanza millimetrica.

Mi sembrava di poter affondare in quei due occhi color smeraldo, tanto erano vicini.

Per non parlare del suo respiro sulla mia pelle, che fece aumentare a dismisura i battiti del mio povero cuore.

-Tu guardami. Non distogliere mai lo sguardo da me. Concentrati su di me e non pensare alla ferita. Prendi un bel respiro, ok?

Annuii, anche se impercettibilmente.

Feci come mi aveva detto.

Mi risultò la cosa più semplice del mondo.

Rimasi incantata nell’ osservare la concentrazione sul suo viso.

Lo rendeva ancora più bello, in un certo senso.

Il momento migliore fu quando le sue labbra si aprirono in un meraviglioso sorriso.

Rialzò lo sguardo verso di me, facendomi di nuovo specchiare nei suoi occhi.

-Ecco fatto, ho finito. – disse, sorridendo con aria tronfia.

Cercai di riprendermi da quel momento di estasi, riguardando il taglio sul braccio, ormai ricucito.

-G-g-grazie, Edward. – gli dissi, infondendo quanta più gratitudine potessi nel mio tono di voce.

Lui scosse la testa, svalorizzando il suo aiuto.

-Beh, io devo andare. Ci vediamo stasera a casa! – disse, allontanandosi.

Prima di farlo, però, mi diede una veloce carezza sulla spalla.

Il mio cuore reagì a quel gesto, battendo all’ impazzata.

In cosa mi stai trasformando, Edward Cullen?

____________

Notes

Ta- daaaaan!

Eccomi qui con il nuovo capitolo. So di averci messo, per l' ennesima volta, un' eternità, ma vi ho detto che era difficile. Diciamo che questo è un capitolo di...  transizione. Beh, dovete ammettere che, però, ho impiegato meno tempo rispetto all' altra volta. ù.ù

Dunque...

In questo capitolo vediamo come si inizia a sviluppare il rapporto che c'è tra Bella ed Edward. Come si evolverà? Lo scoprirete nel prossimo episodio! *musica da ending* No, scherzo. Ovviamente, si evolverà un po' in ogni capitolo. Ma come andrà a finire? Non ve lo dico. Mica sto qua a fare spoiler u.u

Grazie mille a tutti i pazzi che leggono questa storia. Davvero, non so come facciate! Risponderò alle vostre recensioni grazie alla nuovissima (e fantastica, secondo me) impostazione del sito!

A presto... spero!

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Come una calamita ***


Come una calamita

Bella' s PoV

20 Ottobre

I giorni passavano, ma la convivenza con quell’ angelo caduto direttamente dal Paradiso Terrestre non diventava più semplice.

Non per me, almeno.

Ogni volta che ci trovavamo nella stessa stanza, non riuscivo a mantenere un colorito da essere umano.

Balbettavo, tenendo in continuazione lo sguardo basso, pur di non incrociare il suo.

Certo, mi costava un po’ distogliere la mia attenzione da quegli occhi ammalianti, ma sapevo che, se non l’ avessi fatto, ne sarei rimasta stregata.

Neanche il mio cuore poteva più stare tranquillo.

Ogni volta che avvertivo la sua presenza, anche senza vederlo, iniziava a battere come un forsennato, quasi come se mi volesse uscire dal petto.

Per mia fortuna, però, Alice non sembrò accorgersi di quei miei piccoli cambiamenti.

Era strano, ma comprensibile.

Aveva tanto di quel lavoro da fare che era a casa solo la sera.

Al giornale, invece, procedeva tutto tranquillo.

Tra poco più di dieci giorni, sarebbe uscito il nuovo numero.

Con il mio primo articolo.

Ancora non riuscivo a rendermene conto.

 

Erano ormai passate le cinque.

Si era conclusa un’ altra giornata di lavoro e, finalmente, stavo tornando a casa.

Mi sorpresi quando, aprendo la porta, trovai Alice intenta a svuotare la sua borsa.

Corsi ad abbracciarla, dato che vederla a quell’ ora era ormai diventato rarissimo.

-Sono stancaaaaa! – disse, con voce stridula, stritolandomi.

-Povera gnoma, ti stanno distruggendo! – dissi, sorridendo.

Lei annuì.

Nei suoi occhi si poteva leggere chiaramente l’ amore per ciò che faceva. Ma ora, accanto a quello, si poteva scorgere un velo di stanchezza.

-Ho addirittura chiesto a Jasper di venire qui, stasera, perché non ho la forza per uscire! Sto diventando un vegetale! – si lamentò.

-Suvvia, non essere così melodrammatica. Se tu sei un vegetale, io sono… un sasso! – dissi, inarcando un sopracciglio.

Riuscii a strapparle un sorriso, che le illuminò, anche se per poco, gli occhioni stanchi.

Si lasciò scappare uno sbadiglio. Sembrava proprio una bambina, in certi momenti.

-Vai a riposare un po’, non vorrai mica che Jasper ti trovi così, vero? – dissi, facendole l’occhiolino.

Annuì, risoluta, andando a rinchiudersi nella propria camera.

 

L’ orologio da parete segnava ormai le otto, quando il campanello iniziò a suonare.

-Vado ioooo! – trillò Alice, facendomi immaginare che Jasper fosse arrivato.

Era vestita benissimo, anche se doveva passare una semplice serata in casa.

Beh, era di Alice che stavo parlando…

Indossava un abitino dal busto bianco e la gonna nera, con una cintura abbinata in vita.

Sul polso sinistro si vedevano dei luminosi bracciali, mentre al collo spiccava una catena d’argento, legata dietro da un fiocco di raso nero.

La cosa più sorprendente, però, erano le sue scarpe. Altissime.

Alice era l’unica pazza che conoscevo capace di indossare dei tacchi per una serata casalinga.

In confronto, i miei leggins scuri e il mio lungo maglione bianco sembravano un pigiama.

La calorosa accoglienza della mia amica nei confronti del suo fidanzato mi  riportò alla realtà.

Decisi che li avrei lasciati da soli, barricandomi nella mia camera.

Rivolsi un cenno della mano a Jasper, a mo’ di saluto, che lui ricambiò subito.

Ecco cosa mi piaceva di lui: era calmo, tranquillo e pacato, l’esatto opposto di Alice, insomma.

Stavo proprio per dirigermi nel luogo in cui avrei passato la serata, quando un suono di chiavi che si rigirarono nella serratura della porta di casa, mi fece voltare.

E ciò che vidi, come sempre, mi lasciò senza fiato.

Edward era rientrato dall’ ospedale.

Aggraziato come un felino, si richiuse delicatamente la porta alle spalle.

Mi salutò con il più smagliante dei suoi sorrisi, facendomi sentire a qualche centimetro da terra.

-Cavolo, Edward, perché rovini sempre i miei programmi?! – sbuffò Alice, contrariata.

Il fratello, per tutta risposta, aggrottò le sopracciglia, finché non vide spuntare Jazz dalla cucina.

-Dai, Alice, ceniamo tutti insieme!– le propose quest’ ultimo – E’ da una vita che non vedo Edward!

Come ogni volta che lui le chiedeva qualcosa, quel piccolo uragano dai capelli corvini si sciolse, acconsentendo.

Dato che, tra le qualità di Alice, non si poteva annoverare la bravura in cucina, decisi di aiutarla a preparare la cena per tutti.

Mentre lei apparecchiava il tavolo del salotto, più grande rispetto a quello piccolo e quadrato della cucina, iniziai a guardare cosa c’era nel frigo, sperando che mi venisse in mente qualcosa.

Poi, ebbi un’ idea.

Dato che il nostro frigo era stracolmo di verdure, decisi ispirarmi alla Francia, preparando una ratatouille.

Sorrisi, iniziando a tagliare le varie verdure, ripensando al topino del film Disney. Probabilmente cucinava meglio di Alice!

Presi una grossa padella, vi versai dell’ olio e aggiunsi le cipolle.

Con l’ aiuto di Alice (che si ostinava a voler fare qualcosa), aggiunsi anche carote, melanzane e le zucchine.

Chiesi alla mia “piccola assistente” di tagliare un paio di pomodori, mentre io tenevo d’occhio la padella. Avevo paura che, affidando a lei quel compito, non solo avremmo bruciato la cena, ma anche la casa!

Quando me lo portò, aggiunsi anche quello all’ insieme di dadini di verdure presenti nella padella.

Dopo aver girato le verdure, aggiunsi la quantità adeguata di sale e posi un coperchio sulla padella, aspettando che tutto si cuocesse.

-Sono sicura che sarà buonissimo! – trillò la vocetta di Alice, ancora di fianco a me.

-Lo spero! – aggiunsi, sperando di non avvelenare nessuno.

Quando le verdure furono cotte, io e la mia amica riempimmo i piatti, sedendoci insieme agli altri al tavolo del salotto.

-Dato che stiamo mangiando in questa casa, scommetto che non l’hai preparato tu, Alice! – disse Edward, che nel frattempo si era cambiato, ridendo.

La sorella, in tutta risposta, gli rivolse una linguaccia.

-Senti chi parla… - la sentii borbottare.

Non avevo mai assistito a battibecchi così esilaranti. Forse solo in presenza di Rosalie ed Emmett.

La cena andò avanti tranquilla, immersa in un’atmosfera completamente familiare.

Dopo aver ricevuto –secondo me, anche troppi! – i complimenti dei miei amici, io ed Alice iniziammo a sparecchiare, per poi andare al fianco dei ragazzi, sul divano.

O meglio, Alice si piazzò, ovviamente, accanto a Jasper, io poco distante da loro e Edward, all’ altro capo del divano da quattro posti.

La pazza decise che avremmo passato la serata guardando un film tutti insieme e, a questo scopo, iniziò a scorrere i DVD presenti nella videoteca sotto il televisore.

I miei occhi assunsero un’ espressione terrorizzata, quando mi accorsi del sorrisetto sadico presente sul suo volto.

Si girò di nuovo verso di noi, brandendo tra le mani il suo film preferito.

-No, Alice, ti prego, non di nuovo “Il diavolo veste Prada”! – implorai.

Quando Alice amava qualcosa, te lo faceva capire palesemente.

Nel caso di quel film, lo vedeva ogni qualvolta fosse possibile.

-Oh, andiamooooo! – disse, con la voce più acuta del solito.

E fu in quel momento che sferrò la sua arma micidiale: gli occhioni da cucciolo e il labbro tremolante.

Nessuno sapeva resistere a quel faccino, nessuno.

Tutti ci arrendemmo, concedendole di vedere per l’ennesima volta quel film.

Ebbi la sensazione che anche Jasper lo conoscesse bene.

Quella peste che mi ritrovavo come amica, spense le luci, andando a prendere posto fra le braccia del suo fidanzato.

I titoli iniziali iniziarono a scorrere sullo schermo, non riuscendo però ad attirare la mia attenzione.

E non solo perché conoscevo quel film come le mie tasche.

In quel momento, avevo una capacità di concentrazione pari a zero.

Alla mia sinistra, vi erano le persone più innamorate che avessi mai visto.

Erano lì, abbracciati e in silenzio. Non si scambiavano alcun tipo di effusione. Non si guardavano negli occhi, che in quel momento brillavano ad entrambi.

Sorridevano felici, nient’ altro.

Quel sentimento così intenso mi costrinse a voltare lo sguardo altrove.

Grosso errore.

Al contrario, alla mia destra, c’ era qualcosa di paradisiaco.

Edward, completamente rilassato, una gamba appoggiata all’altra, aveva il gomito destro appoggiato al bracciolo del divano, reggendosi il viso con una mano.

Sembrava un modello pochi istanti prima dello scatto del fotografo.

Perfetto. L’ unica parola che riusciva a definire abbastanza adeguatamente quella meraviglia.

I suoi occhi verdi come smeraldi splendevano anche nell’ oscurità.

Il ritmo del suo respiro era lento e regolare, quasi a voler infondere sicurezza e tranquillità.

L’ esatto opposto della mia situazione quindi, dato che ero tesa come una corda di violino.

Ero appoggiata rigidamente allo schienale del divano, con le gambe accavallate.

Cercai di concentrarmi, almeno per un po’, sul film.

Se avessi passato qualche altro secondo a guardare Edward, sarei andata a fuoco.

Tutti i miei tentativi, però, furono vani.

I miei occhi non riuscivano ad abbandonare la sua figura. Era come se il suo corpo contenesse una calamita con il mio nome inciso sopra.

Studiavo ogni suo singolo movimento, ogni sua reazione a ciò che gli stava intorno.

Guardava il film e… rideva.

Rideva in un modo che doveva essere ritenuto illegale, per quanto mozzafiato.

E, involontariamente, quelle sue risate facevano spuntare un piccolo sorriso anche sulle mie labbra.

Persa nella sua contemplazione, quasi non mi accorsi che si stava voltando nella mia direzione.

Feci appena in tempo a spostare la mia attenzione sul film, rossa come un peperone.

Qualche altro secondo e mi avrebbe scoperta ad osservarlo con uno sguardo di pura adorazione.

 

Dopo un tempo che mi sembrò eterno, il film terminò.

Me ne accorsi unicamente perché Alice riaccese le luci. Ero troppo impegnata a fissarmi la punta delle scarpe da quando Edward mi aveva quasi sorpresa a guardarlo.

-Sono stanchissima… - disse Alice, stiracchiandosi – credo che andrò a dormire. ‘Notte Bella, ‘notte fratello!

E, detto ciò, si diresse nella sua stanza, seguita a ruota da Jasper.

Con la coda dell’ occhio, potei notare Edward irrigidirsi.

-Qualcosa non va? – gli chiesi, dando voce ai miei stupidi pensieri.

Non era affar mio.

Lui sembrò risvegliarsi da uno stato di trance, perché mi guardo disorientato.

-Scusa, non stavo ascoltando. – mi disse, pentito.

-Non fa nulla, non dovrei impicciarmi degli affari altrui.

Feci per alzarmi, ma lui mi trattenne per un polso.

Potevo sentirmelo bruciare, sotto le sue dita.

-Davvero, Bella, ero distratto. Non preoccuparti, dimmi pure. – disse, quando mi fui seduta di nuovo.

-Mi chiedevo perché ti fossi irrigidito così tanto, all’ improvviso.

Lui si illuminò, probabilmente perché aveva capito a cosa mi riferivo.

-Oh, credo di aver capito. Niente, questioni tra fratelli. E’ strano pensare che Alice sia già così… cresciuta. Credo che non mi ci abituerò mai… - disse, con uno sguardo dolcissimo – Non fraintendermi, Jasper è uno dei miei migliori amici e mi fido di lui, ma è… strano.

Sorrisi.

In quella situazione, da fratello preoccupato, era tenerissimo.

Trattenni lo strano impulso di abbracciarlo.

Da quando ti viene voglia di abbracciare le persone all’ improvviso, Bella?

-Vorrei poterti dire che ti capisco, ma non è così. – dissi, sorridendo.

-Non hai fratelli o sorelle?

Scossi la testa, in risposta, mentre lui annuì.

Portò lo sguardo sull’ orologio da parete, accorgendosi dell’ ora tarda.

-Beh, vado a sfruttare queste ore di sonno. Buonanotte, Bella. – disse, alzandosi dal divano e sfiorandomi un braccio, per salutarmi.

-Buonanotte. – riuscii a dire, miracolosamente, senza balbettare.

Era strano, dato che ero scossa dai brividi.

Mi rifugiai anch’ io nella mia camera, sperando di dormire.

 

25 Ottobre

In ufficio mi informarono che il numero di novembre sarebbe uscito il giorno 3.

Ero terribilmente in ansia.

Praticamente, la mia unica lettrice ero sempre stata io.

Fatta eccezione per Edward, che aveva sbirciato il mio articolo.

Edward

Quel nome risuonava dolcemente tra i miei pensieri, come un’ eco.

Troppo spesso, ultimamente, mi capitava di averlo nella mente.

Iniziavo a dubitare della mia sanità mentale.

Forse, la causa era la troppa vicinanza con la famiglia Cullen, che ne mancava abbastanza.

Fu la voce del portiere del palazzo dove si trovava l’appartamento a risvegliarmi.

Il silenzio della casa era… rassicurante.

Dopo una mattinata passata nel trambusto della Grande Mela, oserei dire che era proprio l’ideale.

Andai a posare le mie cose, notando che la porta della stanza di Edward era socchiusa.

Proprio mentre toglievo il cellulare dalla borsa, mi accorsi di un messaggio di Alice:
“Bella, dici a quell’ idiota di mio fratello che il telefonino non è un optional!

Ah, digli anche che domani sera Emmett e Rosalie hanno organizzato una cena a casa loro e lui, ovviamente, è invitato.

Grazie mille,

-       Alice”

Ero contenta di rivedere i miei due amici, dato che entrambi erano super impegnati negli ultimi tempi.

Bussai delicatamente alla porta socchiusa, non ricevendo risposte.

La spalancai appena, per vedere se realmente lui ci fosse.

Mi guardai attorno, avendo visto pochissimo quella stanza.

Le pareti erano di colore scuro, probabilmente grigio. Non riuscivo a vederlo bene, dato che la persiana della finestra era quasi del tutto abbassata.

C’ erano un armadio e una scrivania stracolma di fogli e oggetti vari, entrambi bianchi.

E poi c’era… un letto.

Un letto su cui Edward era placidamente addormentato.

La testa mi diceva di richiudere la porta ed aspettare che si svegliasse, perché non avevo il diritto di entrarci.

Ma, come al solito, non potei resistere e mi intrufolai nella camera.

Mi avvicinai al letto, guardando l’ angelo assonnato che vi dormiva.

La sua espressione era completamente rilassata, segno che stava avendo un sonno tranquillo.

Probabilmente, i turni all’ ospedale erano stancanti.

Mi avvicinai ancora di più, abbassandomi all’ altezza del suo viso.

Sorrisi a quella visione.

Era così…

Non c’erano parole adeguate, per descrivere come fosse.

Feci del mio meglio, ma non riuscii a reprimere l’ istinto di spostargli una ciuffo ribelle dalla fronte. Delicatamente, lo riportai al suo posto, lasciando che la mia mano indugiasse per qualche secondo tra i suoi capelli. Erano morbidissimi, mi sembrava di avere della seta tra le mani.

Ritirai la mano immediatamente, quando vidi che si mosse.

Fui terrorizzata dal fatto che potesse svegliarsi, ma non accadde.

Rimasi a contemplarlo per qualche altro secondo, per poi abbandonare quella stanza satura del suo odore.

                                                                                                   

________

Notes

*me schiva in maniera magistrale le verdure della ratatouille che avete preparato apposta per lanciarmi*

Vi prego, PERDONATEMI! Sono orribile, sono passati quasi DUE MESI! Dovreste uccidermi - non fatelo però! - !

Ci sono state tante cose contro di me, però. Per la prima settimana dopo lo scorso capitolo, non ho avuto idee. Poi ci si è messa la febbre. Quando mi è venuta un'illuminazione, ho iniziato a buttare giù il capitolo.

Ma era orrendo. L' ho scritto miliardi di volte. Iniziavo a scrivere, poi cancellavo tutto. E' stato un periodo pessimo. Soprattutto durante le vacanze natalizie.

E quest'ultima settimana, non ho avuto nemmeno un attimo di respiro!

Tre interrogazioni e un compito in classe so' tosti!

Il capitolo l'ho scritto oggi e l' ho postato, tutto d' un fiato, insomma. L' ispirazione è tornata da pochissimo. Però sono soddisfatta e spero che piaccia anche a voi.

Ora parliamo del capitolo, però.

E che si può dire?

Alloooora. La ricetta mi è venuta in mente proprio dal film Disney, così l'ho cercata su internet e l'ho inserita. 

Ci ho tenuto a sottolineare il fatto che Alice non sia brava in cucina perché mi diverte moltissimo!

Il nostro Edward... beh, è Edward ù.ù

Io sono in adorazione per l' Eddy addormentato *w*

Bella, invece, è un po' scombussolata da tutti questi cambiamenti improvvisi nei suoi pensieri. Se poi aggiungiamo l'ansia pre-pubblicazione dell'articolo, come non capirla?

Beh, cercherò di farmi venire in mente qualcosa, per pubblicare prima. Ci metterò tutta me stessa, giuro u.u

Ah, come sempre, grazie a tutti voi che leggete e a quelli che recensiscono. Vi adoro ♥

Abbigliamento Alice

Cherry

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Debolezze. ***


Debolezze

Bella' s PoV


23 Novembre

Due brillanti occhi di smeraldo erano incatenati ai miei.

Il mio respiro si faceva sempre più corto e veloce, mentre la distanza tra i nostri volti diminuiva all’ inverosimile, fino a diventare inesistente.

E poi sentii le sue morbide labbra che si appoggiavano delicatamente sulle mie.

A quel punto fu inevitabile andare in iperventilazione.

Portai le mani tra quei capelli ramati che tanto avevo desiderato, scompigliandoli ancora di più, mentre le sue andavano a posizionarsi sui miei fianchi.

Un brivido percorse l’intera lunghezza della mia spina dorsale, facendo disegnare un sorriso sulle mie labbra, ancora appoggiate alle sue.

Sbattei violentemente le palpebre, ancora frastornata.

Appena mi resi conto di essere al buio, da sola e nel mio letto, i battiti del mio cuore iniziarono a riprendere un ritmo regolare.

Mi sfiorai appena le labbra con le dita, memore di quello che il mio subconscio aveva elaborato.

Con un pesante sospiro, tornai a stendermi tra le coperte completamente disordinate.

Erano settimane che andava avanti così.

I sogni, il cuore che batteva all’ impazzata ogni volta che i suoi occhi incrociavano i miei, il respiro che mi si mozzava ogni volta che mi sorrideva…

Non sapevo se definirla una situazione meravigliosa o tragica.

Malgrado tutto, il mio cervello rifiutava di incamerare le informazioni che il mio corpo continuava a mandargli. Rifiutava, forse, anche l’ ovvio.

Già, perché che Edward, almeno, mi piacesse, era ovvio, per me.

La dea bendata, però, doveva essere dalla mia parte, perché lui sembrava non notarlo.

Su Alice nutrivo ancora dei dubbi.

Ero sicura che lei, a differenza di suo fratello, avesse notato le mie guance che diventavano color porpora più spesso del solito, o il mio improvviso balbettare in sua presenza.

Notando che il sonno non pareva essere disposto a tornare, mi alzai, decisa a bere un bicchiere d’acqua.

Cercai di fare il minimo rumore possibile.

Arrivai in cucina in punta di piedi, senza accendere alcuna luce.

Mentre iniziavo a versarmi dell’ acqua, sentii uno strano rumore.

Drizzai le orecchie, rimanendo immobile.

Il buio mi avvolgeva completamente, non sapevo cosa aspettarmi.

Sapendo che prevenire era molto meglio che curare, afferrai la prima cosa che mi capitò a tiro, ovvero un cucchiaio.

Iniziai a dirigermi verso il soggiorno, da cui il rumore sinistro era appena giunto.

Vidi una sagoma muoversi nell’ ombra, allora non ebbi più dubbi che si trattasse di un ladro.

Come un’ idiota, sollevai il cucchiaio, quando improvvisamente la luce si accese, rivelandomi l’identità del presunto “ladro”.

La dea bendata era dalla mia parte, ho detto? Beh, mi sbagliavo completamente.

La dea bendata mi aveva messa sulla sua lista nera!

-Edward?

-Bella? – disse, esattamente mentre pronunciavo il suo nome.

-Che stavi facendo?

Un passo avanti Bella, sei riuscita a non balbettare!

-Sono appena tornato dal lavoro. – rispose, stancamente – Cosa ci facevi tu con un cucchiaio in mano?

-Questo? – risposi, sollevando la mano in cui lo tenevo – Niente… - mentii, con molta nonchalance, passandomi una mano tra i capelli – Conosci l’uso delle chiavi? Mi hai fatta terrorizzare!

-Sì, lo conosco benissimo. Sono loro che non conoscono il fondo delle mie tasche. Ho dovuto quasi scassinare la porta! – ammise.

Sollevai un sopracciglio, scettica.

-Lunga storia, il college insegna molte cose. – disse, facendomi l’occhiolino.

Lentamente, tolse il cappotto.

Non potei notare, oltre all’ eleganza, un’ enorme stanchezza nei suoi gesti. Ormai avevo imparato a conoscerlo: sapevo che non era dovuta al lavoro.

-Qualcosa non va? – gli chiesi, comprensiva, avvicinandomi.

Lui prese un lungo sospiro, per poi puntare i suoi occhi nei miei.

Intimai mentalmente al mio cuore di mantenere la calma.

-Vecchie cicatrici che si riaprono. Cicatrici che anche il migliore dei medici non sarebbe in grado di curare. – rispose, con un sorriso triste ed amaro sul volto.

Dovetti usare tutta la forza che avevo in corpo per non avvicinarmi ancora di più a lui ed abbracciarlo.

-Ti va di parlarne? – gli chiesi, a voce talmente bassa che pensavo non fosse riuscito a sentirmi. Forse sperai che non ci fosse riuscito.

Grandioso Bella, ora penserà che sei una ficcanaso!

-Solo se a te va di ascoltarmi. – rispose.

Annuii, convinta, quando lui mi invitò a sedermi sul divano.

-Oggi ho ricevuto un messaggio da Tanya.

Capii immediatamente a chi si riferisse, dato che Alice l’aveva nominata, in precedenza.

-Oh, capisco... più o meno. Spero di non sembrarti indiscreta, ma… non mi hai mai raccontato cosa è successo tra di voi.

-Non sei indiscreta. Vivo in casa tua, mi sembra una domanda piuttosto lecita. Dunque…

Rimase qualche istante a fissare il vuoto, meditando, alla ricerca delle parole giuste.

-Conobbi Tanya un anno e mezzo fa, tramite degli amici che avevamo in comune. Sebbene i nostri interessi fossero completamente diversi, c’ era una certa affinità tra noi. Io volevo semplicemente concentrarmi sul mio lavoro, lei invece puntava ai riflettori delle passerelle. Interessi diversissimi, come ti ho detto. La prima a manifestare delle particolari attenzioni, però, fu lei.

-Iniziò così, un anno fa, una storia fatta di incontri saltuari e irregolari. Ma, sai com’è, dopo un po’ si tende ad affezionarsi all’ altra persona, che lo si voglia o no.

Avrei voluto rispondere che, invece, non sapevo per niente com’era.

Le mie uniche storie risalivano ai tempi del liceo, e a malapena le ricordavo.

Era inevitabile, però, che uno come lui avesse dei trascorsi amorosi molto più numerosi ed intensi rispetto ai miei.

-E così è stato per me. – continuò – Non posso dire di essermene innamorato, sarebbe un’eresia. Ma c’era qualcosa di forte che mi legava a lei, qualcosa che, in un certo senso, continuava a tenerci uniti. Fino a quando mi resi conto che era solo da parte mia, questo pseudosentimento.

Notando il dubbio insinuarsi nei miei occhi, si affrettò a rispondere alla mia muta domanda.

-Il giorno in cui chiamai Alice, la trovai in casa con un altro. Tanya non è mai stata una che cerca di ammorbidirti la pillola, la schiettezza è sempre stata una sua qualità. Mi spiegò subito come stavano le cose. Disse che il nostro rapporto era diventato noioso, che aveva bisogno di emozioni nuove. Mi sentii impotente, tanto impotente da non riuscire a controbattere. Dai suoi occhi capii che quella casa era stretta perché ci stessimo entrambi e, ovviamente, quello che doveva andarsene ero io. Inoltre, non credo che sarei riuscito a resistere ancora a lungo in quella casa, dopo ciò che era accaduto.

-Oggi, però, mi ha inviato un messaggio dicendomi che, forse, tutto quello che è successo tra noi è stato un semplice errore. Un malinteso, ha detto. Mi sono sentito così… debole. – concluse, dirigendo lo sguardo in un’ altra direzione.

Questa volta non ce la feci, non potei trattenermi.

Allungai una mano, fino a stringere la sua, stretta in un pugno.

Capii quanto fosse doloroso, per lui, rievocare quei ricordi, seppure in modo tanto superficiale. Ero stata una stupida. Una stupida impicciona.

-Scusami. Io… non avrei dovuto chiedertelo.

-Non fa niente, anzi, avevo bisogno di parlarne con qualcuno. Almeno così sai che la versione di Alice è tutta della sua malata testolina. – sorrise, abbassando lo sguardo, che si posò sul cucchiaio che tenevo ancora stretto nell’ altra mano.

-Cosa pensavi di fare con quel coso? – disse, prendendomi in giro e tornando l’ Edward che avevo imparato a conoscere e che, per quei minuti, mi era terribilmente mancato.

-Volevo aggredire chiunque fosse entrato. Non sottovalutarmi mai! Né me, né la mia forza! E nemmeno quella del cucchiaio, perché ogni oggetto può diventare un’arma.

-Specialmente tra le tue mani… - concluse, ridendo.

In un certo senso, fui contenta di averlo fatto ridere.

L’ ombra scura che si era impossessata dei suoi occhi durante quel racconto non mi era piaciuta per niente.

Era come un coltello che veniva infilato direttamente nella mia schiena, trapassandomi il cuore.

Improvvisamente, sentii che fu la sua mano a stringere la mia. Le sue dita si intrecciarono alle mie, come se quello fosse il posto in cui erano destinate ad essere da sempre.

Fu come andare a fuoco, pensai di poter bruciare da un momento all’ altro.

-Cosa pensi che dovrei risponderle?

Il suo gesto cercava forza, oltre che un consiglio. E, dopo avergli fatto raccontare tutto, non potevo negargli nulla, soprattutto un consiglio.

-Quello che provi. Nient’altro che la verità.

-Allora le dirò che, adesso, sono io a non volerla più vedere.

-E questa è la verità?

-Sto facendo in modo che lo diventi.

Annuii impercettibilmente.

-Grazie, per avermi ascoltato. Non pensavo che ne avrei avuto tanto bisogno. Ora però, credo sia il caso di andare a dormire, per entrambi. Buonanotte, Bella.

E compì il secondo gesto inaspettato della serata, senza aver ancora abbandonato la mia mano.

Avvicinò il volto al mio, posando delicatamente le labbra sulla mia guancia.

Il suo profumo mi invase completamente.

Se prima stavo andando a fuoco, ora ero diventata cenere.

Il respiro era talmente veloce da sembrare assente.

-B-b-buonanotte. – riuscii a rispondere, quando si allontanò.

Mi osservai la mano, credendo che sarebbe esplosa da un momento all’ altro.

Mossi le dita lentamente, sentendo come un vuoto. Capii che quel vuoto era causato dall’ assenza della sua, di mano.

Forse era il caso che il mio cervello iniziasse a riconsiderare le sue idee…



Notes

Io vi AMO. Perché siete dei pazzi, voi che continuate a seguire questa storia e la sua squinternata autrice. Aggiorno una volta ogni milletrecento anni, con dei capitoli pressoché inutili. Dovreste odiarmi, ma non lo fate. E ve ne sono grata. Ma tanto tanto.

Non sto qui a spiegarvi le cause della mia assenza, perché in primis non interessano a nessuno e, in secundis, sono sempre le stesse.

Ho voluto scrivere questo capitolo per dare a molte di voi quello che cercavano: la storia tra Edward e Tanya. Ovviamente, moltri altri dettagli si scopriranno col passare del tempo. 

Essendo a corto di idee, ho deciso di anticipare questa parte, spero di aver chiarito un po' di dubbi :D

Alla prossima, se il tempo e l' ispirazione mi aiutano!

Ah, vi ricordo che, se le vostre recensioni non sono più lunghe di dieci parole, verranno inviate nella mia casella dei messaggi. Tanto le leggo e vi rispondo comunque, era giusto per avvisarvi u.u

Cherry

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - My Sun. ***


My Sun
Bella' s PoV

Giovedì 27 Novembre

-Bellaaaaaaaaa! Sbrigati, non te l’ ho regalato il bagno!

La cristallina voce di Alice mi perforò i timpani nello stesso istante in cui il mio piede stava entrando in una delle scarpe che la mia cara amica aveva gentilmente scelto di farmi indossare.

Uno sbuffo contrariato uscì dalle mie labbra, quando ripensai per la milionesima volta a quanto fosse dispotica riguardo alla scelta dei miei vestiti.

Ovviamente, grazie alla sfortuna - che sembrava aver puntato i suoi riflettori su di me - avevo anche il suo stesso numero di scarpe.

Iniziai a percorrere a piccoli passi il grande bagno della sua camera, per testare quanta difficoltà trovassi nel camminare su quei malcelati trampoli. Mi stupii, notando che non era complicato come mi aspettavo.

Mi sorpresi, osservando il mio riflesso, quando arrivai davanti al grande specchio che ricopriva tutta la parete di fronte alla porta. Quasi non sembravo io, quella donna.

Due grandi occhi color cioccolato mi fissavano sorpresi, circondati da lunghe ciglia scure rese più voluminose dal mascara.

Le labbra, socchiuse in una muta espressione di sorpresa, erano piene e leggermente rosate.

Il viso, dall’ accennata forma a cuore, era contornato da lunghi boccoli castani, che ricadevano delicatamente sulle spalle.

Portai una mano a sfiorarlo, sempre più sconvolta, e notai lo smalto rosso con cui Alice mi aveva precedentemente dipinto le unghie.

Un piccolo sorriso nacque involontariamente sul mio volto, illuminandomi anche gli occhi. Quest’ ultimo non poté che accentuarsi ancora di più, quando mi concentrai sull’ abbigliamento che indossavo.

Una aderente giacca grigia, che rendeva elegante la mia figura, era sovrapposta ad una candida camicia. Le mie gambe erano fasciate da degli strettissimi jeans scuri, che le facevano apparire incredibilmente lunghe, addirittura più di quanto non fossero in realtà. Due giri di perle rosse mi avvolgevano il collo, richiamando il colore delle scarpe e dello smalto sulle dita.

Con lo stesso sorriso a trentadue denti, mi diressi fuori dal bagno, ritrovandomi nell’ altrettanto enorme e rosa stanza di Alice.

-Era ora! Per qualche secondo ho temuto che fossi svenuta nella vasca o annegata nel water!

La solita paranoica con un innato senso dell’ umorismo.

-Mi dispiace doverti deludere, Alice, ma sono viva e vegeta! – le dissi, facendole l’ occhiolino.

-Questo lo vedo. – rispose, con il sorrisetto di chi la sa lunga sulle labbra.

Non rispose alla mia espressione interrogativa. Si limitò a darmi una pacca sulla spalla, passandomi di fianco.

Notai che il suo abbigliamento era, come sempre, impeccabile.

Portava un vestitino chiaro a rose dalla gonna scura. Un fiocco dello stesso colore della gonna si trovava sulla spallina sinistra dell’ abito, rendendo il tutto non solo elegante, ma anche divertente. Dal suo polso destro pendevano vari bracciali di perle, tutti di colori che richiamavano i toni del vestito. Il tutto era completato dalle sue – ovviamente – altissime scarpe.

Uscii dalla sua stanza, dirigendomi al piano inferiore di casa Cullen.

Io e la mia amica avevamo deciso di passare la festa del Ringraziamento a Forks, la nostra città natale.

Purtroppo, però, gli impegni da sceriffo di mio padre gli avevano impedito di unirsi alla serata in famiglia.

E così, i Cullen mi avevano invitata a trascorrere quella ricorrenza in loro compagnia. Non avrei mai potuto rifiutare.

In primis, perché Alice sapeva essere davvero insistente e convincente. E, inoltre, perché volevo troppo bene a tutti loro per declinare tale invito.

Nel grande salone arredato dalla maestria di Esme, trovai solo Jasper immerso nella lettura di un libro.

Avvicinandomi, mi accorsi che si trattava di una raccolta di sonetti di Shakespeare.

Jazz era sempre stato un tipo piuttosto taciturno e riservato, sin dai tempi del liceo. Anzi, dai tempi delle elementari.

Tornai indietro con i ricordi, rendendomi conto che io e lui eravamo amici da sempre.

Ovviamente, al liceo si persero un po’ i contatti, perché iniziarono a cambiare i giri di amicizie, gli interessi e il tempo libero a disposizione non coincideva mai con quello degli altri.

Fu proprio grazie a lui che, al terzo anno, conobbi quel tornado dai capelli corvini noto ai più come Alice Cullen.

-Deve corrompere un giudice particolarmente intransigente o solo la sua matta fidanzata, signor Withlock? – scherzai, andando a sedermi di fianco a lui sul divano.

-Opterei per la seconda, signorina Swan. – mi rispose, sorridendo.

-Siamo in vena di romanticismo, eh?

-A dir la verità, questo è di Edward. – disse, sollevando appena il piccolo libro.

Cercai di trattenere ogni genere di reazione quando quel nome fuoriuscì dalle sue labbra.

-Uhm… è da un po’ che non ti vedo girare mezzo nudo per casa. Devi farti perdonare qualche guaio? – continuai a prenderlo in giro, sapendo che mi avrebbe appoggiata.

-Solo il fatto che siamo entrambi troppo presi dal lavoro, niente di preoccupante. E tu, invece? Fatichi ancora ad adattarti al tuo?

-Inizio a farci l’ abitudine, credo. Sai che, per quanto Catwalk sia una rivista di grande importanza, quel mondo non mi appartiene.

Annuì, capendo perfettamente a cosa mi riferissi.

-Esme è in cucina? – gli chiesi, ricordando di non averla ancora incontrata quel giorno.

-Suppongo di sì. Sai quanto ci tiene alle cene di famiglia. – rispose, scuotendo il capo divertito.

-D’accordo, la raggiungo allora. A più tardi, Jazz.

Mi salutò con un cenno della mano, tornando a concentrarsi sulle sue poesie.

Uno stuzzicante profumo mi guidò fino in cucina, dove Esme era impegnata a dare gli ultimi ritocchi ad una torta alla zucca.

Non appena si accorse della mia presenza, corse verso di me per abbracciarmi.

-Felice Ringraziamento, Bella. – mi disse, sorridendomi dolcemente e sciogliendo l’ abbraccio.

-Grazie mille Esme, anche a te. – risposi, con lo stesso sorriso.

I Cullen, fin dal primo momento in cui li avevo conosciuti, erano sempre stati come una seconda famiglia per me.

Dalla prima volta in cui incontrai Alice, quella diventò un po’ la mia seconda casa.

L’ unica persona che, in tanti anni, non avevo mai conosciuto, era proprio Edward, sfortunatamente.

-Posso aiutarti in qualcosa? – le chiesi, volenterosa di donarle il mio aiuto.

-Beh, credo sia quasi tutto pronto. Però... nel salone è ancora tutto da preparare. Mi daresti una mano ad apparecchiare?

Annuii, felice di poter finalmente fare qualcosa.

Esme mi sorrise, per poi tirare fuori da un cassetto della cucina una grande tovaglia bianca con dei ricami arancioni e dei tovaglioli abbinati.

-Bella, vado a prendere posate e bicchieri. Potresti mettere tu questa?

-Certamente.

Dopo aver finito con la tovaglia, sistemai i piatti che erano in cucina e i tovaglioli. Poi, Esme mi raggiunse con posate e bicchieri. Non ancora soddisfatta, da amante dell’ eleganza quale era, pose una composizione di fiori dai toni caldi nel centro della tavola.

Tutto era finalmente perfetto.

Poco dopo le otto, il campanello suonò, informandoci dell’ arrivo di Emmett e Rosalie.

Dedicai un caldo abbraccio alla mia amica, che non vedevo da troppo tempo, ormai.
A causa del suo lavoro da modella, c’ era stato poco tempo per incontrarsi.
Non potei fare a meno di notare quanto diventasse ogni volta più bella.
Il suo corpo era fasciato da un aderente abito viola scuro, senza spalline. Indossava poi una lunga collana d’ oro, che riprendeva il colore delle sue alte scarpe.

L’ accoglienza più calda, però, fu quella che Emmett, come suo solito, mi riservò, stritolandomi tra le sue forti braccia.

-Sì, Emm, anch’ io sono felice di vederti, ma se non mi lasci respirare ci perderemo entrambi la cena di Esme! Io perché sarò morta stecchita e tu perché mio padre ti avrà rinchiuso in prigione prima del tempo! – lo schernii, provocando una risata generale.

Mancava soltanto una persona, per rendere quell’ istante un vero sprazzo di Paradiso.

-Ma dove saranno mai Carlisle ed Edward? – esclamò Esme, lievemente spazientita dal ritardo dei due.

-Rilassati mamma, mi ha appena chiamato Edward. Stanno arrivando! – la solita euforica Alice.

Mamma Cullen sembrò tranquillizzarsi, perché si diresse in cucina, dicendo di dover dare “gli ultimi ritocchi” alla cena.

Fu alle nove in punto che il suono del campanello rispecchiò il martellare del mio cuore.

Alice, quasi volando, aprì la porta, lasciando intravedere a noi che eravamo nel salone solo il volto di Carlisle e un ciuffo di capelli ramati.

Calma, Bella, non puoi svenire proprio ora. Mi ripetei mentalmente.

Fu ridestata dai miei pensieri dal saluto del Dottor Cullen in persona.

-Bella! E’ una vita che non ti si vede qui a Forks! Felice Ringraziamento! – disse, abbracciandomi. – E Charlie? Sempre chiuso in centrale?

-Ehm… sì. Questo è un paese di criminali, no? – gli dissi, sorridendo.

Lui annuì, sorridendo e andando a salutare sua moglie.

Fu allora che i miei occhi caddero su di lui.

Così meraviglioso che vederlo faceva male. Sì, il mio cuore soffriva profondamente a quella visione.

Edward se ne stava lì, a parlare con Jasper, senza sapere che, proprio in quel momento, mi stava provocando un infarto.

Indossava una stretta giacca di un blu piuttosto scuro, aperta su una camicia bianca.

Respira, Bella, respira.

Poi i suoi occhi incrociarono i miei.

Fu come se fossimo soli, in quella grande stanza. Ebbi anche la sensazione che Jasper parlasse a vuoto, ormai.

E infatti…

-Bella, - disse, venendo verso di me, con un’ espressione felicemente sorpresa – non sapevo che ci fossi anche tu. Buon Ringraziamento!

E mi abbracciò.

In meno di un secondo, fui assalita dal suo dolcissimo profumo.

Oddio

Pensieri di senso compiuto, addio per sempre. E’ stato bello passare tanti anni insieme.

-Buon Ringraziamento a-anche a te, Edward. – gli risposi, grazie a non so quale forza superiore.

Per una frazione di secondo mi sembrò di sentirlo esitare, ma poi – troppo presto, per i miei gusti – sciolse quell’ abbraccio.

-Ma quand’ è che si mangia? – esclamò Emmett, con la sua proverbiale allegria.

Quella frase ci spinse tutti verso la grande tavolata allestita da me ed Esme.

Ovviamente, l’ unico posto che capitò libero per Edward fu quello alla mia destra.
Con la coda dell’ occhio notai una Alice sorridente nella mia direzione.
Quella gnoma maldetta… ma come aveva fatto a capirlo? Forse era veggente davvero.

I miei pensieri furono interrotti dall’ arrivo del tacchino, che fu preceduto da un ottimo profumo.

-Evviva! – gioì Emmett, facendo ridere tutti, quando davanti a lui fu posata una porzione di tacchino con contorno di verdure.

-Non cambierai mai. – disse Edward, al mio fianco, scuotendo la testa divertito.

-Che vuoi capire tu, non hai tutti questi muscoli da mantenere! – sbuffò l’ orso, fintamente indignato.

Dopo una mozzafiato risata di Edward, iniziammo tutti a mangiare.

Per quanto il tacchino fosse squisito, qualcosa – o meglio, qualcuno - alla mia destra riusciva sempre a portare la mia attenzione altrove. Ogni gesto, anche il più insignificante, riusciva a scatenarmi dentro una tempesta.

Bastava che ridesse, che parlasse o che semplicemente si passasse una mano tra i capelli, per far delirare la mia povera mente.

-Bella, Alice ci ha parlato del tuo nuovo lavoro. – disse, ad un certo punto, Esme.

In quel momento, riuscii a distinguere perfettamente due occhi color smeraldo puntati su di me.

Il mio cuore perse un battito.

-Beh, è un giornale molto importante e mi fa piacere scrivere articoli miei. Però devo ringraziare Alice e Rosalie. Se non fosse stato per loro, probabilmente non avrei ottenuto nulla. – dissi, sorridendo in direzione delle mie due migliori amiche.

-Non dire sciocchezze, Bella. Sei una giornalista fantastica, avevi solo bisogno di un incoraggiamento. – mi disse Rose, sorridendo gentilmente.

Alice, invece, aveva uno sguardo talmente commosso che sarebbe saltata sul tavolo solo per venire a strangolarmi in un abbraccio.

Non potei fare altro che abbassare lo sguardo, pensando a quanto volessi bene a entrambe.

Dopo una fenomenale torta alla zucca preparata interamente, la cena si concluse.

Emmett e Rosalie se ne andarono via immediatamente, poiché lei, il mattino successivo, sarebbe dovuta partire per delle sfilate in Francia.

-Appena torno a New York, voglio una serata tutta per noi, ragazze! – disse, salutando me ed Alice.

Quest’ ultima, invece, si rintanò in camera sua con Jazz.

E’ il momento di mettere in gioco Shakespeare, amico mio. Pensai.

Lo stesso fecero Carlisle ed Esme, sparendo silenziosamente.

Tutt’ a un tratto, mi ritrovai nell’ ingresso sola con Edward, che però si dileguò, affermando di essere stanchissimo.

Rimasi ancora qualche istante nell’ immenso salone di villa Cullen, prima di decidere di salire al piano superiore.

Dato che tutti gli abitanti di quella casa stavano dormendo o erano impegnati in faccende personali, decisi di togliermi le scarpe, per fare meno rumore.

A piedi scalzi, salii tutte le scale.

Tuttavia, mi ricordai che dovevo dormire nella stanza degli ospiti, per non disturbare i due piccioncini.
Ecco, questo sì che era un problema. Qual era la camera degli ospiti?

Mordicchiandomi il labbro per il nervosismo e con le scarpe in mano, iniziai a percorrere il lungo corridoio del secondo piano, chiedendomi in quale stanza sarei dovuta entrare.

Mi fermai davanti ad una porta, che non riconobbi né come la camera di Alice né come quella di Esme e Carlisle.

Aprii delicatamente la porta, che non emise alcun cigolio.

Purtroppo, però, quella camera non era vuota.

Davanti ad una grande vetrata che affacciava sulla foresta, c’ era Edward, con le spalle rivolte alla porta.

Per quanto silenziosa fossi stata, si accorse della mia presenza, voltandosi verso di me.

-Ehi. – mi salutò, sorridendo nel buio.

-Scusa, cercavo la stanza degli ospiti, ma mi sono persa. Non volevo disturbarti…

-Figurati. – mi disse, tornando a rivolgere il suo sguardo alla buia notte fuori dalla vetrata.

Non so cosa mi diede la forza e il coraggio per farlo, ma mi avvicinai fino a trovarmi al suo fianco.

Aveva tolto la giacca, rimanendo solo con la camicia.

Lui si girò verso di me e sorrise, vedendo le scarpe che tenevo dietro la schiena.

-Opera di Alice? – mi chiese, a bassa voce, per non disturbare nessuno.

-Sì. Non le avrei mai scelte di mia spontanea volontà. Per me non essere un metro e ottanta non è un problema. – dissi, anch’ io a voce bassa, sorridendo.

-C’ è un cielo meraviglioso, stasera. – disse, assorto, cambiando discorso.

Curiosa, mi soffermai anch’ io sul paesaggio che si vedeva dalla vetrata.

Un manto scuro tappezzato di tanti piccoli diamanti faceva bella mostra di sé. Poi, a sinistra, si poteva notare una meravigliosa luna piena.

Uno spettacolo mozzafiato.

Certo, all’ altezza dell’ uomo alla mia sinistra.

-Mi è sempre piaciuto osservare il cielo di notte. – sussurrò, ad un tratto – Soprattutto da qui. A New York, con tutto quello smog e quelle luci, non si riesce a vedere nulla. E’ una gran perdita, secondo me.

Mi voltai verso di lui, osservando il suo profilo, illuminato solo dalla luce della luna.

Inaspettatamente, i suoi occhi scrutarono i miei così profondamente che sembrava cercare di leggermi l’ anima.

Rimanemmo così, in silenzio, per qualche secondo.

Dopo quegli eterni istanti, si morse il labbro, dubbioso.

-Vieni con me. – disse, prendendomi improvvisamente per mano e guidandomi chissà dove.

Mi si bloccò il fiato in gola, al contatto con la sua pelle. Era così liscia e morbida…
Strinsi forte la mia mano alla sua, cercando di godere il più possibile di quel tocco.

Edward si fermò davanti ad una porta del primo piano, aprendola silenziosamente.

Non accese la luce.

Mi guidò sino ad uno sgabello, su cui ci sedemmo entrambi.

Indistintamente, al buio, potei scorgere la sagoma di un pianoforte, davanti a noi.

-Suoni? – sussurrai.

Lui annuì.

I suoi occhi, malgrado l’ oscurità, brillavano come stelle.

Lasciò la mia mano, provocandomi uno strano vuoto. Poi l’ appoggiò sul pianoforte, iniziando a suonare.

-Beethoven. – sussurrai, estasiata da quella melodia.

-La “Sonata al chiaro di luna” è una delle mie preferite. – disse, sorridendo e continuando a suonare.

Il suono era quasi impercettibile, tanto le sue dita volavano leggere su quei tasti.

-E’… meravigliosa. E tu sei bravissimo. – mi lasciai sfuggire.

-Beh, ora non esageriamo…

Stava… arrossendo? Troppo buio, non riuscivo a distinguere quasi nulla, per quanto i miei occhi si fossero ormai abituati.

La sonata terminò, facendo calare il silenzio nella stanza.

Le dita di Edward rimasero ancora sui tasti del pianoforte. Si lasciò sfuggire un sospiro.

-Era da anni che non suonavo davanti a qualcuno. – mormorò, per poi voltarsi verso di me e sorridermi. – E’ la seconda volta che mi dai la forza di fare qualcosa, Bella. Devo ringraziarti. – disse, tornando a stringermi la mano.

Fui certa di arrossire, quando abbassai lo sguardo.

-Io… non ho fatto nulla.

-Hai fatto molto per me, invece. Non riesci mai a renderti conto del bene che fai alle persone, Bella. Prendi Alice, ad esempio. E’ sempre stata vispa, ma è felice davvero solo da quando conosce te. Tu… illumini la vita delle persone. Sei come un piccolo sole portatile. – affermò, sorridendo.

A me basterebbe illuminare la tua, di vita. Avrei voluto dirgli. Questa volta, però, il coraggio non lo trovai.

In compenso, gli sorrisi.

-Credo che tu sia stanca, ora. Vieni, ti accompagno alla camera degli ospiti.

E così, ancora per mano, raggiungemmo la tanto agognata stanza.

-Beh, manca ancora un minuto alla fine della festa del Ringraziamento. Posso ancora dirti Grazie, quindi.

-Esagerato! – lo schernii.

Con mia somma sorpresa, mi abbracciò.

Fu un abbraccio diverso da quello con cui mi aveva salutata poche ore prima.
Mi stringeva forte a sé, come se non avesse mai voluto lasciarmi andare.
Come se, in quel momento, fossi stata tutto ciò di cui aveva bisogno.
Ricambiai l’ abbraccio, con il cuore che batteva talmente forte che potevo sentirlo nelle orecchie.

-Buonanotte, Bella. – sussurrò dolcemente.

Dopo sentii solo le sue labbra sulla mia fronte e una sua mano che mi accarezzava teneramente i capelli.

-Ah, Bella, ricorda di ringraziare Alice da parte mia, perché sei bellissima stasera. – disse, per poi sparire nel buio del corridoio.

No, Bella. Non puoi saltare come un’ emerita idiota. Entra in camera e cerca di riprendere un contegno da essere umano, prima che la voglia di saltargli addosso e baciarlo prenda il sopravvento.

_____________________________________________________________________________________________

Notes

E dopo un miliardo di anni, rieccomi. Non sto qui ad elencarvi tutte le cause del mio ritardo, credo le abbiate imparate a memoria.

Posso solo dirvi che ho scritto questo capitolo quattro volte, perché lo avevo in testa da mesi e non veniva fuori mai come volevo.

Ora mi ritengo abbastanza soddisfatta.

Beh, i nostri due futuri innamorati si avvicinano sempre più, mi sembra. Diamo tempo al tempo, come vi ho già detto. :)

Finalmente Edward sembra mostrare un minimo di interessamento, yeah! Lo abbiamo visto anche in veste di pianista, che personalmente adoro.

Bella... beh, lei è cotta, rinunciateci.

Alice ha capito tutto? Rispondetevi da sole, potete arrivarci. ù_ù

Non so che altro dire, avevo in mente un' infinità di note, ma le ho dimenticate tutte. ._.

Detto ciò, vi lascio. Non so quando aggiornerò. Ora ho molto tempo libero, quindi spero presto.

Vi lascio ai vestiti.

Abbigliamento Bella.

Abbigliamento Alice.

Abbigliamento Rosalie.

Cherry.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Roba da ragazze ***


Roba da ragazze

Bella's PoV

Sabato 13 Dicembre

Un metallico plin informò me ed Alice che eravamo finalmente arrivate al piano 53.
Mi voltai un’ultima volta verso lo specchio dell’ascensore, lanciando un’occhiata alla mia espressione rassegnata. Sapevo che quella sera non l’avrei passata liscia.

Con un leggerissimo sospiro, uscii da quel minuscolo abitacolo, preceduta da Alice.

Tre, due, uno…

-Bella!

Nemmeno il tempo di realizzare chi mi avesse chiamato che una cascata di lisci e morbidi capelli biondi mi avvolse.

-Bentornata, Rose. – risposi alla mia amica, ricambiando il suo abbraccio.

-Basta con questi inutili convenevoli! – esclamò una Alice alquanto stizzita – Ci sei mancata tanto, Rose, ma muoio dalla voglia di sapere com’ era Parigi!

Il suo entusiasmo contagiò anche me. Forse il resoconto del viaggio di Rosalie sarebbe riuscito a distrarre Alice il necessario per farle dimenticare certi altri discorsi.

Mentre quelle due iniziarono a battibeccare sulla spilla nuova del cappotto di Alice, iniziai a recarmi nel grande salone dell’appartamento.
Notai che era molto cambiato dall’ultima volta che ci ero stata.

Le grandi e luminose pareti bianche erano arricchite da tanti piccoli quadri dai colori vivaci e dalle forme contorte. Qua e là, faceva bella mostra di sé anche qualche foto.
Gli scuri mobili dallo stile moderno erano lucidi e davano alla stanza un tono ancora più sofisticato.

Ciò che non era cambiato, invece, era la grande finestra che si trovava esattamente sulla parete opposta rispetto alla mia posizione.
Si vedeva un piccolo squarcio illuminato dello skyline newyorkese. Le mille luci sfavillanti della città che non dorme mai mi affascinarono, come sempre.
Poi, i miei occhi si spostarono sulla striscia scura di cielo che sovrastava tutti gli imponenti edifici della Grande Mela.
Nulla. Nemmeno una stella.

“A New York, con tutto quello smog e quelle luci, non si riesce a vedere nulla. E’ una gran perdita, secondo me.”

Le parole di Edward si insinuarono prepotentemente nella mia mente, senza che potessi impedirlo.
Lottai invano contro i ricordi che mi assalirono.
Prima ancora che me ne rendessi conto, i miei pensieri stavano già veleggiando verso i suoi occhi, verso la sua voce calda, verso le sue braccia che mi stringevano…

-Bella, hai intenzione di restare impalata a rimirare il panorama tutto il tempo, per caso? – la voce squillante di Alice mi riportò provvidenzialmente alla realtà.

Mi allontanai dalla vetrata e raggiunsi le mie amiche sul divano in pelle rossa posto al centro della stanza.
Voltando il capo, notai che, in un angolo lontano, un bell’albero di Natale si stagliava verso il soffitto.
Era decorato con delicati fiocchi dorati e piccole sfere trasparenti. Le lucette bianche che si accendevano ad intermittenza donavano al tutto un’atmosfera ancora più elegante.

Avevo dimenticato quanto, ormai, le festività natalizie si stessero avvicinando.
Avremmo dovuto addobbare anche il nostro appartamento, prima o poi.

-Ti prego, Rose, parlaci di Parigi, prima che Alice esploda! – esclamai, notando già l’esaltazione di un bambino che ha appena ricevuto le sue caramelle preferite negli occhi della mia amica bruna.

Rosalie si abbandonò ad una dolce risata, prima di rispondere.

-Beh, purtroppo non mi è stato possibile fare la turista e girare molto per la città. Sono stata quasi tutto il tempo chiusa negli studi di alcuni fotografi e nella camera d’albergo. L’unica cosa francese che ho visto è stata la faccia di Jacques, il mio truccatore! – disse, ridendo di nuovo – Però sono riuscita a prendervi qualcosa. Non sarei mai potuta tornare senza dei regali per voi! – esclamò, prima di alzarsi e sparire nell’altra stanza.

Ritornò dopo qualche istante, portando con sé due piccole borsette color glicine.

-Oh, Rose, non avresti dovuto!

-Non dire sciocchezze, Bella! Piuttosto, tieni. – disse, porgendomi una delle due borsette – Sono curiosa di sapere se vi piacciono!

Iniziai ad aprirla e, immersa in una nuvola di carta velina bianca e lilla, c’era una piccola boule de neige con all’interno una minuscola ed adorabile Tour Eiffel.
Era stupenda!

-Grazie! – esclamai, saltando al collo della mia amica.

Alice, nel frattempo, stava indossando il suo nuovo braccialetto con piccoli charms a tema parigino: una Tour Eiffel in miniatura, una borsetta che sembrava di Chanel ed altri ciondoli che non riuscii a vedere bene.

-Ora però basta parlare di quei francesi antipatici. Scommetto che anche voi avete tantissime cose da raccontarmi. Non è così?

Alice spostò immediatamente la sua attenzione dal braccialetto a me.
Mi squadrò per qualche secondo con sguardo malizioso.

-Oh, diglielo, coraggio! Tanto lo avresti fatto comunque! – esclamai, sbuffando e diventando parte integrante dello schienale del divano.

-Bella si è innamorata! – squittì lei.

Sulle labbra di Rosalie si disegnò una muta “o” di sorpresa.

-Innamorata, poi. – esclamai sottovoce, quasi grugnendo.

-Non dirmi che è Edward! – mi chiese, con fare retorico.

Possibile che fossi così dannatamente prevedibile?! O peggio: che si notasse tanto?!

Abbassai la testa, dato che ormai avevo assunto lo stesso colore del divano.

Maledissi il giorno in cui avevo scelto di raccontare tutto ad Alice.

 

Tre giorni prima

-Tu mi nascondi qualcosa! E non cercare di negarlo! – sbuffò Alice, mostrando una delle sue espressioni immusonite più convincenti.

-Di che stai parlando? – le chiesi, con fare innocente, sapendo perfettamente a cosa si riferisse.

-Andiamo, sei diversa in questi giorni! E’ da quando siamo tornate da Forks che sei solare e perennemente con la testa tra le nuvole. Non fraintendermi, sai quanto mi faccia piacere, ma sono profondamente turbata dal fatto che tu escluda la tua migliore amica da una rivelazione tanto importante! – affermò, con fare melodrammatico.

Sollevai lo sguardo, incontrando i suoi piccoli occhi indagatori.

Esitai per un momento.

Volevo un bene enorme ad Alice, ma non me la sentivo ancora di dirle tutta la verità. Anche se ero convinta che già sapesse tutto.

Quella piccola, malefica veggente…

-Allora? – incalzò, inarcando un sottilissimo sopracciglio e osservandomi.

Presi un profondo respiro.

In fondo, che male poteva esserci a raccontarle ciò che stava accadendo?

-Mi piace una persona. – ammisi.

Un passo alla volta.

-Ma è meraviglioso! E chi è? Lo conosco? – disse, esaltata come una bambina davanti ad una bambola nuova.

Annuii mestamente.

-Oddio, è Edward! Ti prego, dimmi che è lui! Ah, sareste così carini insieme! – disse, con aria sognante.

Parlò talmente in fretta che quasi feci fatica a comprendere le sue parole.

-Sì, è lui. – confessai, a voce bassissima.

-Lo sapevo che c’ era qualcosa tra voi due! E’ dal giorno del Ringraziamento che ho questo presentimento! E, come sempre, non mi sono sbagliata! – esclamò, soddisfatta.

Iniziai a credere che me ne sarei pentita prestissimo.

 

E avevo ragione.

Le mie amiche si prodigarono in gridolini di gioia così acuti da far invidia ai delfini più talentuosi di questo mondo.
Io, dal canto mio, avrei solo voluto sprofondare tra i cuscini del divano, senza più riemergerne.

-Bella, ma è fantastico! E lui che ne pensa?

-Pff, ovviamente lui non lo sa! – disse Alice, quasi come se io non stessi assistendo alla scena.

-Non avevo dubbi. E’ già un miracolo che l’abbia detto a noi! – Rosalie continuò sulle orme di Alice – Dobbiamo assolutamente trovare un modo per farli parlare.

-Sì! Non pensi anche tu che farebbero scintille insieme? – esclamò Alice, sempre più infervorata.

-Oh, sarebbero perfetti!

-Ehi, guardate che io sono qui! Posso sentirvi! E gradirei che non continuaste a parlare della mia vita sentimentale così, grazie! – sbraitai, ormai fuori di me.

-Bella, fidati di noi e lasciaci fare il nostro dovere! Vedrai che non te ne pentirai.

Oh, Alice, perché ho la sensazione che sicuramente non sarà così?

Domenica 14 Dicembre

Un flebile raggio di sole filtrò dalle tende, ridestandomi dal sonno.
Dovetti sbattere più volte le palpebre perché l’ambiente che mi circondava fosse completamente a fuoco.

Mi ritrovai rannicchiata ai piedi del letto di Rosalie, avvolta da un morbido plaid rosso con pupazzi di neve e altri disegnini a tema natalizio.
Lei, invece, ancora profondamente addormentata, era coperta dalla trapunta fino al viso, incorniciato dai lunghi capelli biondi che si spargevano sul cuscino. Respirava dolcemente, tenendo le mani a poca distanza dal volto.

Alice, invece, aveva preferito abbracciarlo, un cuscino. Lo stringeva a sé come avrebbe fatto un qualsiasi koala che si rispetti. I capelli erano completamente spettinati. Fu dunque un miracolo che stesse ancora dormendo, altrimenti nessuno sarebbe riuscito a controllare la sua crisi isterica.
Difficilmente, infatti, risultava così tranquilla e rilassata.
Appuntai mentalmente che avrei dovuto godere il più possibile di quel momento.

Ancora leggermente intontita, mi voltai verso il comodino, alla ricerca di una sveglia o qualcosa che potesse dirmi che ore fossero.
Quando constatai che erano da poco passate le sei, decisi di tornare a dormire.
Ci eravamo addormentate tardissimo, la sera precedente. Come era ovvio che sarebbe accaduto, infatti, avevamo – o meglio, Alice e Rosalie avevano – passato tutto il tempo a parlare di Edward e ad escogitare dei “piani malefici” – parole di Alice. Inutile dire che avevo fatto del mio meglio per farle ritornare sui loro passi.
Cocciute com’erano, però, non mi avevano dato molto ascolto. Tuttavia, avevano deciso di tralasciare per un po’ l’argomento, trattando di cose a loro ben più congeniali: shopping, con annessi e connessi. Speravo che non mi aspettasse un’intensa sessione di spese, di lì a poco.

Sorridendo leggermente, richiusi gli occhi, ancora avvolta dal calore familiare del plaid.
E per un momento, per un brevissimo momento, sperai, desiderai che a circondarmi non fosse una semplice coperta.
Fu quasi come un sogno ad occhi aperti. Mi sembrò davvero che a stringermi fossero due braccia a me ben note. Due braccia che, seppur in circostanze molto diverse, mi avevano già stretta.
Mi parve quasi di poter sentire ancora il suo dolce profumo intorno a me.

Stupida ed illusa. Ecco cos’ero.

Ma, malgrado tutto, cullata da quella meravigliosa sensazione, scivolai di nuovo in un sonno profondo.

 

Ci risvegliammo tutte quando erano ormai le dieci.
Ovviamente, io ero quella più assonnata – e anche quella più pigra.
Purtroppo per me, però, Alice non volle sentire scuse quando propose di andare a fare colazione in un cafè che aveva conosciuto da poco.
Così, contro la mia volontà, mi vestii in fretta e seguii le mie amiche in giro per New York.

Benché fosse domenica mattina, la città era vispa e pimpante.
Persone di tutte le età girovagavano per le strade, godendosi quel giorno di riposo.
Alcuni, probabilmente, erano intenti a comprare i regali di Natale, a cui mancava solo una settimana.
A pensarci bene, forse avrei dovuto sbrigarmi anch’io.

Dopo una estenuante camminata, arrivammo davanti ad un piccolo cafè di Brooklyn, sulla Bedford Avenue. L’insegna un po’ sbiadita recitava, in lettere maiuscole, “READ CAFE’ ”.
L’ambiente era piccolo, ma gradevole.
Vari tavolini ottagonali e di legno scuro si trovavano sparsi per la saletta dal pavimento a scacchi. Quasi ad ogni tavolino c’era qualcuno intento a scrivere, leggere un libro o, più semplicemente, a gustarsi ciò che aveva ordinato.
Quello che mi colpì di più, però, fu l’enorme libreria alla sinistra del bancone. 
Decisi che, prima di uscire da quella confortevole stanza, l’avrei studiata più attentamente.

Prendemmo posto ad uno dei tavolini vicini alla piccola vetrina e una ragazza venne a prenderci le ordinazioni.
Dopo aver riflettuto per qualche secondo, optai per un muffin al cioccolato, accompagnato da un cappuccino.
Rosalie ed Alice, invece, scelsero del tè – alla vaniglia la prima, al limone la seconda – ed una crostata alla frutta.
Continuai a guardarmi intorno, incantata. Quel piccolo ma ospitale locale mi attraeva sempre di più. Se anche il loro caffè fosse stato buono come affermava Alice, lo avrei ufficialmente designato come mio bar preferito.

-Bella, cos’hai intenzione di fare con Edward? – mi chiese Rosalie, facendomi distogliere lo sguardo dai volumi presenti nella poco distante libreria.

-Devi dirgli ciò che provi. – disse l’altra mia amica, senza neanche darmi il tempo di rifletterci – E’ l’unico modo per scoprire cosa ne pensa lui.

-Magari fosse semplice come sembra. – mormorai, abbassando lo sguardo sul legno scuro del tavolino.

-In fondo, cos’hai da perdere? – tentò di consolarmi Rose, afferrandomi una mano.

-Il minimo rapporto che abbiamo instaurato, tanto per dirne una? Diciamo solo che, qualora finisse male, ci resterei uno schifo.  

Mi conoscevo abbastanza bene da sapere che avevo una facile tendenza alla sofferenza. I pochi ragazzi che avevo avuto nel periodo del liceo non avevano fatto altro che confermare questa mia teoria.

-Bella, - iniziò Alice, allungando una piccola mano fino a raggiungere una delle mie – né io né Rosalie vogliamo che ti lanci in un’ impresa kamikaze. Non ti suggerirei mai di farti avanti con mio fratello se non avessi notato un briciolo di interesse da parte sua. Conosco Edward quasi meglio di quanto faccia lui stesso, credimi.

Le sue parole mi rincuorarono. Forse dovevo davvero essere coraggiosa e rischiare, per una volta.
Sorrisi riconoscente alle mie amiche.

Poi, la cameriera ci portò le nostre ordinazioni e fummo tutte troppo impegnate per riprendere l’ argomento.

Note

Buone, buone, buone! Se mi uccidete ora, come farete a scoprire quello che ho da dirvi? No, perché porto una buona notizia ed una cattiva notizia. Partiamo da quest'ultima.
Beh, è alquanto ovvia: sono qui dopo quasi tre anni. Tre. Anni. Credo di aver superato il limite storico di efp e mi dispiace, mi dispiace davvero.
Navighiamo verso più liete acque, ora. La buona notizia è che *rullo di tamburi*... HO TUTTI I CAPITOLI PRONTI, YEEEEAH! Eh già. Mi sono ripromessa che non avrei aggiornato fino a che non avessi avuto ogni singola parola al proprio posto, in modo da poter essere regolare con la pubblicazione dei capitoli.
Ci ho messo un bel po', avete ragione, ma tante cose sono cambiate in questi tre anni. C'è la scuola - ehi ehi, quest'anno ho la maturità - e il tempo che questa porta via alla scrittura. Ci sono le crisi mistiche da "non so più scrivere" perché qualcuno fuori di qui ha ben pensato di demoralizzarmi. E ultima, ma non per importanza, c'è stata la discreta perdita di interesse nei confronti di questa storia. Non sentivo più miei i personaggi e, con l'evolversi del mio modo di pensare, di vedere le cose e, appunto, di scrivere, sentivo che non mi soddisfaceva. Ma odio lasciare le cose a metà, quindi rieccomi, per tutte coloro che vorranno ancora seguirmi. Siete delle sante, sappiatelo.

Ma ora veniamo al capitolo, mh?
E' un po' breve, me ne rendo conto, ma avevo bisogno di un capitolo per fare il punto della situazione. Alice e Rosalie meritavano di sapere cosa c'era nella testolina di Bella ed era già stata promessa una serata tra ragazze. Beh, eccovela.
Vi lascio un paio di foto del Read Cafè e la promessa che, d'ora in poi, troverete i miei capitoli nel weekend, a seconda di quando avrò il tempo di pubblicarli. Sciao a tutte. ♥

Read Cafè 1

Read Cafè 2

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - It's cold outside ***


It's cold outside

Bella's PoV

Venerdì 19 Dicembre

Un giorno avrebbero dovuto costruire una statua a Jessica Stanley. Avrei diretto io stessa i lavori.
Quella donna era il capo migliore che si potesse desiderare. Senza che neanche lo chiedessi, quel giorno mi concesse di uscire prima dall’ ufficio, avendo compreso che ero super arretrata con i regali di Natale.
Il più bello lo avrei fatto a lei, sicuro.

Avvolta il più possibile nel cappotto scuro che indossavo, correvo quasi a perdifiato per le affollate strade newyorkesi. Intorno a me sfilavano persone indaffarate o ridotte nella mia stessa situazione: pacchetti e buste ovunque.

Avevo già comprato un biglietto per un weekend in una Spa a Rosalie ed un blocco da disegno nuovo e personalizzato per Alice.
Mi mancavano solo… tutti gli altri!
A Jasper avevo deciso di comprare un libro. Mi sarei fermata alla prima libreria che avessi trovato. Probabilmente, lo stesso tipo di regalo lo avrei riservato al dottor Cullen.
Per Esme, invece, scelsi  una cornice che avevo visto in una vetrina qualche giorno prima. Conoscendola, la avrebbe adorata.
Per Emmett  un profumo, non sapendo cos’altro potesse piacergli. In realtà, ero abbastanza sicura avrebbe adorato qualsiasi cosa, pur di avere un pacchetto da scartare. Quel pensiero mi fece sorridere, mentre infilavo il pacchetto della profumeria nella busta giusta.

Carica più che mai, stavo ritornando a casa, circondata da luci colorate e decorazioni ad ogni angolo. Stanchissima per il lungo passeggiare, riuscii ad intrufolarmi in un taxi.
Rilassata sul sedile posteriore, rilasciai un sospiro di sollievo.
Neanche un secondo dopo, una terribile morsa si chiuse attorno al mio stomaco: avevo dimenticato il regalo per Edward.

Mi diedi più volte della stupida. Come avevo fatto a tralasciare una cosa che per me era tanto importante?
Pagai il tassista – dato che nel frattempo eravamo giunti davanti al portone del palazzo in cui si trovava il mio appartamento – e uscii dal veicolo giallo con un sospiro di rassegnazione.
Ci avrei pensato a lungo e lo avrei preso quella domenica, libertà permettendo.

Inserii la chiave nella toppa della serratura ed entrai in casa, trovandola vuota e al buio.
Dopo aver acceso le luci ed essermi resa conto del fatto che fossero le otto, capii che non mancava molto all’arrivo di Alice e che, dunque, avrei dovuto nascondere i regali in qualche luogo insospettabile, prima che quella peste potesse scovarli.

Quando udii la sua voce tintinnante, tutto ciò che avevo comprato era al sicuro, sepolto nella parte più remota del mio armadio.

Sabato 20 Dicembre

Un violento rumore mi fece risvegliare di soprassalto. Sbattei più volte le palpebre, ancora un po’ intontita. L’orologio del mio cellulare segnava le sei in punto.
Quando ebbi preso maggiore coscienza della situazione, iniziai ad avvertire anche degli scrosci ed un picchiettare costante.

Grandioso, piove. Non potei fare a meno di pensare.

Odiavo la pioggia. Quello era uno dei tanti motivi per i quali mi ero stabilita a miglia di distanza da Forks.

Sbuffando sonoramente, affondai la testa nel cuscino e cercai di tornare a dormire.

Dopo più di venti minuti accompagnati da quel fastidioso suono, compresi che i miei tentativi erano totalmente vani e decisi di alzarmi.
Mi liberai dal groviglio che avevo creato con le coperte e scesi dal letto, passandomi una mano tra i capelli arruffati, con la speranza di donar loro una qualsiasi forma.

Non appena aprii la porta, fui inondata da un intenso odore di caffè. Benedissi chiunque ne fosse l’artefice. Una tazza di caffè caldo era proprio ciò di cui avevo bisogno, data la sveglia improvvisa.

-Siamo mattinieri, vedo. – pronunciò la voce più angelica che conoscessi.

Mi voltai verso i fornelli, davanti ai quali c’era un Edward intento ad armeggiare con una macchinetta da caffè. La sua tuta grigia ed i suoi capelli arruffati mi comunicarono che anche lui non si era svegliato da molto tempo.

La parte più indecente di me maledisse la preferenza della tuta ai semplici boxer.
Sì, avevo decisamente bisogno di assumere caffeina e riprendermi!

-Lascia, faccio io. – gli dissi, notando che la macchinetta stava avendo la meglio.

Mi ritrovai praticamente bloccata – piacevolmente, s’intende – tra il ripiano della cucina ed il corpo di Edward.
Cercai di limitare al minimo il tremore delle mie mani.

-Buongiorno, comunque. – disse la sua voce, resa più roca dal recente risveglio e più vicina di quanto mi aspettassi.

Adesso lo è sicuramente. Pensò la piccola adolescente innamorata che era in me, venendo completamente schernita dalla parte più razionale del mio cervello.

-Buongiorno. – sussurrai, controllando ogni singola fibra del mio corpo affinché il mio collo non si girasse nella sua direzione.

Fu inutile. Voltai appena il capo, ritrovandomi davanti agli occhi il più luminoso dei sorrisi. I suoi occhi brillavano nella penombra della stanza, illuminata dalla fioca luce di quella grigia e piovosa mattinata.

Quando la macchinetta era ormai piena, mi guardai intorno, cercando delle tazze in cui versare lo scuro liquido fumante.
Le avevo appena avvistate su uno degli scaffali della credenza che sovrastava la parte di cucina in cui ci trovavamo quando fu Edward a scegliere di prenderle.
Erano nel ripiano più alto, così lui fu costretto ad allungarsi – seppur di poco, data la sua statura – per raggiungerle. Quell’impercettibile movimento provocò un lievissimo contatto tra i nostri corpi. La mia schiena fu percorsa da un rapido brivido quando ciò accadde.

Mantenni il controllo: non avevo altra scelta.

Restare calma fu più difficile quando le nostre mani si sfiorarono, mentre lui mi porgeva la mia tazza.

Iniziai a chiedermi se ero l’unica ad avvertire quelle piccole scosse elettriche ad ogni tocco.
A giudicare dal suo sguardo imbarazzato e immediatamente diretto in altre direzioni, forse no.

-Devi andare presto in ospedale, oggi? – gli chiesi, mentre zuccheravo il mio caffè, per cercare di smorzare un po’ la tensione che si era creata.

Andò a sedersi al tavolo del salotto, prima di rispondermi. Lo seguii a ruota.

-Sì. Devo assistere a vari interventi. Sarà una giornata lunga. – disse, iniziando a sorseggiare la calda bevanda.

Per un attimo, un minuscolo ed insignificante attimo, mi concentrai sul movimento ipnotico delle sue labbra.

Non l’avessi mai fatto.

L’impulso di baciarlo fu talmente forte che le mie mani si strinsero a tal punto alla tazza che pensai di poterla rompere.

Quando poi commisi l’errore di osservare la sua gola, mi sentii davvero perduta.

Sbattei varie volte le palpebre, tentando di riprendermi.

-Tra l’altro mi toccherà andarci a piedi, in ospedale! Stupida pioggia. L’intera New York City sarà imbottigliata nel traffico.

-Almeno tu indosserai delle scarpe da essere umano… - bofonchiai, escogitando qualche tattica per indossare delle scarpe resistenti alla pioggia all’insaputa di Alice.

Rise, facendomi bloccare il respiro in gola. Per poco non mi strozzavo bevendo.

Lanciò una rapida occhiata all’orologio, per poi alzarsi.

-Ora è davvero tardi, sarà meglio che vada a vestirmi. A stasera. – disse, rivolgendomi un ultimo sorriso.

Lo salutai appena, agitando la mano, persa in altri pensieri.

Dannazione, Bella, devi smetterla di immaginarlo in mutande!

 

Dopo una indicibile serie di imprecazioni rivolte alla pioggia, giunsi in ufficio. Ero zuppa dalla testa ai piedi, ma almeno ero vestita in maniera più pratica del solito.

Lasciai l’ombrello all’ingresso e mi diressi verso l’ascensore. Con un sonoro sbuffo, spostai una ciocca bagnata dalla fronte.
Il mio umore, quel giorno, rispecchiava in toto il colore del cielo affollato dalle nubi.

Mi sedetti alla mia scrivania ed iniziai a rivedere e correggere un articolo sul Natale che, di lì a qualche giorno, sarebbe andato in stampa con l’intero giornale.
La mia carriera giornalistica procedeva bene. Tuttavia, nessuno si era ancora interessato a me. Dovevo però ammettere che quel lavoro, rispetto ai primi tempi, mi piaceva molto di più. L’ambiente era rilassato e le persone davvero cordiali.

Fu soltanto alle sei che abbandonai la mia postazione. Con i capelli più ricci di quanto li avessi quella mattina, tornai nell’ascensore, che mi portò direttamente al piano terra. Arrivata davanti alle porte scorrevoli, fui combattuta tra l’emettere un sospiro di ammirazione e un verso di disgusto: l’incessante pioggia che era caduta nell’arco della giornata e che continuava a cadere, a causa del freddo, era diventata neve vera e propria.

La parte di me che si conosceva bene – e ricordava quanto precario fosse il proprio equilibrio – trasse da quella informe massa bianca un profondo dispiacere. Gli scivoloni e le lastre di ghiaccio erano sempre stati collegati nella mia vita.
Non potei però negare quanto la neve mi affascinasse. Sembrava stendere sulla città un delicato velo bianco, che pareva fermare tutto.

Mi strinsi maggiormente nel cappotto e, dopo aver riafferrato il mio fedele ombrello, trovai il coraggio adatto per uscire.
Una sferzata di vento gelido mi colpì in pieno viso, facendo probabilmente diventare le mie guance molto simili a due mele.
Decretai che faceva troppo freddo per concludere la sessione di shopping natalizio, così scelsi di tornare a casa e rifugiarmi presso il caldo tepore del mio appartamento.

Non appena vi entrai, infatti, fui accolta da una piacevole sensazione di calore.
Indossai gli abiti più caldi che possedevo e mi rannicchiai sul divano, avvolta da un morbido plaid. Accesi la tv, in attesa del ritorno di Alice.
Edward, probabilmente, avrebbe tardato molto di più.
Circondata da quella familiare sensazione di calduccio, sentii le palpebre farsi sempre più pesanti, fino a che i miei occhi non si chiusero del tutto.

 

Un tonfo sordo mi fece tornare alla realtà.
Tutto era buio intorno a me e, confusa, mi chiesi dove fossi. Il mio cervello era decisamente più sveglio di me, perché ricordò che mi ero addormentata sul divano.
Voltai leggermente il capo verso la cucina, che mi era parsa essere la zona della casa da cui il rumore proveniva.
Tutto ciò che incontrai fu un paio di colpevoli occhi verdi.

-Perdonami, non era mia intenzione svegliarti. – mormorò, a bassissima voce.

Mi sollevai appena, per vederlo meglio.

-Ugh, il mio collo ti ringrazia, invece. – gli risposi, sentendo tutte le ossa scricchiolanti.

Lo massaggiai appena, sperando di alleviare il fastidio. Non funzionò e, forse, la mia espressione lo testimoniò abbastanza.

-Ti fa male? – mi chiese Edward, poggiando sul tavolo la mela che aveva precedentemente preso dal frigo (ecco cos’era stato a causare quel rumore).

-Solo un po’. Devo aver dormito in qualche posizione anormale. – mormorai, sorridendo imbarazzata al pensiero che mi avesse vista dormire in quello stato pietoso.

Non credevo di essere un grande spettacolo in quelle circostanze. Sperai che non avesse badato troppo a me – o meglio, all’involucro di coperte e boccoli castani che c’era sul divano.

-Fa’ vedere. – disse, avvicinandosi pericolosamente a me e al divano, fino a sedersi al mio fianco.

Era ora di agire con cautela.

-Che c’è, fai anche il fisioterapista, ora? – lo schernii bonariamente, più per distrarre me stessa che per altro.

-Voglio specializzarmi in neurochirurgia. Si suppone che conosca un minimo di nozioni sulle terminazioni nervose, non credi? – mi rispose a tono, sollevando un sopracciglio.

-E va bene, mi hai convinta. – ammisi, con il batticuore più forte che avessi mai avuto.

Mi voltai, in modo che avesse di fronte la mia schiena.
Prima che potessi farlo io, spostò con una delicatezza ed una lentezza disarmanti i miei capelli dal collo.
Ogni suo tocco sembrava una carezza volta solo a far impazzire ciascuna cellula del mio corpo.
Non ero psicologicamente pronta quando sentii le sue grandi mani poggiarsi sulla mia nuva. Dovetti mordermi violentemente le labbra per non produrre alcun tipo di suono. Ogni singola fibra del mio corpo si tese. Sperai solo che non lo avesse notato.
Poi, i suoi pollici esercitarono una leggerissima pressione alla base del mio collo, proprio dove avvertivo fastidio.
Potevo sentire le sue dita sulle clavicole, malgrado fossi interamente coperta dalla tuta che avevo indossato.

Mi sentivo andare a fuoco. La mia pelle bruciava sotto il suo tocco.

Non so quanto a lungo sarei potuta sopravvivere a quel massaggio. Era di una lentezza al tempo stesso rilassante e snervante.
La parte meno pudica di me era, nel frattempo, intenta a fare pensieri di tutt’altro genere.
Il dolore era ormai passato, ma pregai affinché Edward non si fermasse mai, continuando quella sua piacevole tortura.

Troppo presto, per i miei gusti, si fermò. Ma le sue mani non mi abbandonarono.
Delicatamente e con calma misurata, si spostarono lungo le mie clavicole, fino a giungere alle spalle. Lì si fermò per qualche istante, per poi continuare la sua discesa.
Si arrestò definitivamente quando le sue mani furono completamente sovrapposte alle mie.

-Va meglio? – chiese, dopo essersi schiarito la voce.

Il suo respiro era vicinissimo al mio orecchio. Non resistetti e chiusi gli occhi. Riuscii però a non abbandonarmi all’indietro, appoggiandomi al suo petto, minimamente distante dalla mia schiena. Potevo percepirlo.
Miliardi di scariche elettriche mi percorrevano interamente il corpo, dalle radici dei capelli alle punte dei piedi.

-Sì. – soffiai appena, sperando che bastasse affinché mi sentisse.

Ci fu un momento di imbarazzante – teso, più che altro – silenzio. Allora, forse, davvero non ero l’unica ad avvertire quelle strane sensazioni.

Sentii le sue mani stringersi maggiormente alle mie e a quel punto non fui in grado di oppormi: eliminai quei millimetri che ci separavano, facendo aderire la mia schiena al suo torace. Posai delicatamente la testa nell’incavo del suo collo, beandomi di quella meravigliosa sensazione. Lo sentii sospirare silenziosamente, quando fui colta dalla tentazione di annusare il suo profumo.

Non mi interessai nemmeno alle conseguenze delle mie azioni. Mi sentivo schifosamente bene e non avrei rinunciato a quell’attimo di benessere per nulla al mondo.
Improvvisamente, i nostri volti si trovarono l’uno di fronte all’altro.
Occhi negli occhi.
Fronte contro fronte, quasi.
Sentivo il suo respiro irregolare infrangersi sulle mie labbra.

Il cuore, ormai,  mi pulsava nelle orecchie. Avvertivo ogni terminazione nervosa del mio corpo in visibilio.

La stretta sulle mie mani si intensificò ulteriormente.

-Bella, i-io… - non riuscì a trovare le parole per terminare la frase.

Non l’avevo mai sentito balbettare. Lui non era il tipo. Lui era quello sicuro di sé, nonostante tutto. Era stata la sua vita a renderlo così.

Prima che potessi rendermene conto, il piacevole calore che mi avvolgeva svanì del tutto. Ancora intontita, notai solo la porta della sua stanza che si chiudeva.

Improvvisamente, l’unica cosa che avvertivo era il vuoto. E quella sensazione mi logorava nel profondo.

Notes

Come promesso, eccomi qui dopo solo una settimana. Scommetto che non riuscite a crederci. ;)
La prima cosa che voglio fare, comunque, è ringraziare tutte le persone che ancora seguono questa storia. Davvero, non mi sarei mai aspettata che dopo quasi tre anni ci fosse qualcuno ancora interessato a ciò che scrivo. Aver visto tutte quelle visualizzazioni e le due recensioni mi ha quasi fatta piangere.
Ma bando alle sdolcinatezze e su col capitolo!
Regali di Natale: un bel problema, eh? Cosa regalerà Bella ad Edward, secondo voi? Sono curiosissima di sapere ciò che pensate.
Tra l'altro, rileggere la scena della pioggia è stato alquanto sovrannaturale, perché in questo momento riesco perfettamente a sentire il vento e le gocce (ma che dico, le cascate!) d'acqua contro la finestra.
E credo che vogliate uccidermi per aver interrotto la scena del massaggio. Ma ehi, questi due hanno bisogno dei loro tempi: sono due timidoni, in realtà. 
Concludo qui queste note, lasciando a voi la parola. Ci si legge la prossima settimana! :D

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Troppe contraddizioni ***


Troppe contraddizioni
Bella's PoV
Quella notte – o meglio, per ciò che ne restava – non riuscii a chiudere occhio. Avevo lo stomaco totalmente in subbuglio.
Ancora non riuscivo a capacitarmi di tutte le cose che erano successe.
Solo quella mattina parlavamo come due amici e qualche minuto prima, invece, ci eravamo quasi baciati.
Credevo che la mia testa potesse esplodere da un momento all’altro.
Stanca più che mai, mi passai una mano tra i capelli, in un gesto di evidente frustrazione. Allungai fiaccamente un braccio verso il comodino, fino a che le mie dita non furono in grado di afferrare il mio cellulare.
Erano ancora le cinque.
Pur sapendo che non sarei riuscita a dormire in nessuno modo, non volevo alzarmi e andare nell’altra stanza. Avevo il terrore di incontrare Edward. Non ero ancora pronta per un chiarimento, di qualsiasi genere questo fosse.
 
Erano ormai le undici passate quando trovai la giusta dose di coraggio per uscire dalla mia camera.
In casa splendeva la tipica luce bluastra dei giorni nuvolosi e nevosi.
Tutto ciò che vidi non appena chiusi la porta fu Alice, che mi scrutava con sguardo indagatore, stringendo tra le mani una tazza piena di quello che supposi fosse tè.
-Tu mi devi delle spiegazioni. – disse, assottigliando sempre di più lo sguardo.
Sospirai, sconfitta, per poi versarmi a mia volta del tè e sedermi di fronte a lei sul divano.
Un brivido mi percorse la schiena ripensando all’ultima volta in cui avevo occupato quel posto.
-Edward è uscito di casa correndo come un forsennato. Era evidente che volesse evitare qualcuno. E, chiamalo sesto senso, ho la sensazione che non fossi io la diretta interessata.
Diressi la mia attenzione allo scuro e fumante liquido davanti ai miei occhi, prima di iniziare a parlare.
-E’… successa una cosa. Ieri sera. Cioè, stanotte, a dirla tutta.
Alice era concentratissima. Restò in silenzio, attendendo che continuassi.
Conoscendo quella che sarebbe potuta essere la sua reazione, decisi di tenere i dettagli per me e raccontarle sommariamente l’accaduto.
-Stavamo per baciarci.
-Quello “stavamo per” non mi piace per niente. Cosa è successo? – chiese, comprensiva.
Mi sarei aspettata la tipica Alice, a quella affermazione: salti e gridolini di gioia. Invece mi sorprese, dimostrandosi più coinvolta di quanto pensassi.
-Niente, lui si è semplicemente allontanato, andandosene. – feci una breve pausa, per cercare di trasformare in parole i miei pensieri confusi – Non so cosa credere, Alice. Sembrava una cosa che volevamo entrambi. E poi, puf, lui si è alzato ed è scomparso, lasciandomi come una deficiente. – abbassai la voce sull'ultima parte della frase, sconfortata.
Lei corrugò la fronte, assumendo un’espressione pensierosa.
-Avevo qualche sospetto sui problemi mentali di mio fratello, ma non pensavo che fosse ridotto in maniera tanto grave. Non so davvero cosa dirti, Bella. – disse, alzando uno sguardo più triste del solito verso di me – Magari è solo confuso e vuole chiarirsi le idee. Vedrai che, appena avrà capito le cause di quel suo assurdo atteggiamento, verrà a spiegartele. E se non dovesse farlo, ci penserò io a strigliarlo come si deve! – affermò risoluta, tirandomi leggermente su di morale.
-Grazie, Alice, ne avevo davvero bisogno. – mormorai, allungandomi verso di lei e stringendola in un abbraccio.
 
La neve, pur avendo cessato di cadere in morbidi fiocchi, ricopriva ancora interamente tutte le strade e i marciapiedi della città, facendo respirare un’aria sempre più natalizia.
Ad ogni angolo, qualche improvvisato Babbo Natale e qualche musichetta rallegravano i passanti.
Camminare in quell’ atmosfera mi faceva sentire bene, aiutandomi anche a dimenticare le ansie e le frustrazioni di quella mattina.
Ero persino riuscita a trovare un regalo per Jessica – che non conoscevo particolarmente bene, in realtà.
Delle creme profumate per il corpo, ben incartate ed impacchettate, erano poste tranquillamente nella busta che stringevo tra le mani.
Per i miei genitori mi ero già riservata qualcosa di semplice: essendo entrambi pessimi ai fornelli, avevo scelto di preparare loro dei dolci biscotti, in modo da consegnarglieli appena possibile.
Mancava solo Edward.
Credevo di aver imparato a conoscerlo in quei lunghi mesi. Riuscivo a comprendere le più complesse espressioni dei suoi occhi, le svariate smorfie del suo viso e persino i gesti che erano in grado di rappresentare il suo stato d’animo del momento.
Eppure mi sbagliavo. Non avevo la minima idea di come lui fosse. Non riuscivo a pensare a nulla che potesse renderlo realmente felice.
Continuai a passeggiare per le strade affollate, soprappensiero.
Inconsciamente, mi ritrovai a passare davanti ad un pittoresco negozio, la cui vetrina era colma di articoli musicali o simpatici gadget relativi all’arte dei suoni.
Bingo.
Entrai e mi guardai intorno, riflettendo su cosa mi ricordasse di più Edward.
Poi, il mio sguardo fu irrimediabilmente attratto da un oggetto in particolare. Mi avvicinai, fino a che non mi trovai faccia a faccia con quello che, all’apparenza, sembrava un libro a tutti gli effetti.
La liscia copertina aveva un aspetto antico e fintamente provato, quasi come se avesse vissuto secoli e secoli di storie da raccontare ai suoi lettori.
Inebriandomi del tipico odore di carta che trasudava, iniziai a sfogliare le pagine ricche di pentagrammi di quella che, compresi, era una raccolta di brani musicali dallo stesso tema: la luna. Erano disposti tutti in ordine alfabetico, in base al loro compositore.
E’ perfetto. Pensai, sorridendo come una bambina.
Pagai l’ormai ufficiale regalo ed uscii da quel luogo dall’atmosfera particolare, sentendomi il cuore molto più leggero all’interno del petto.
Con le mie colorate ed allegre buste tra le mani, decisi di concedermi una rilassante passeggiata a Central Park – in fondo, non era lontanissimo da dove mi trovavo.
Me la meritavo, dopo quella sfacchinata alla ricerca dei doni più adatti a quelle personalità così disparate.
Non appena varcai le porte di quel magico luogo – se così possono essere definite -  avvertii una naturale sensazione di pace.
Era quello il motivo che mi spingeva a compiere sempre più spesso visite del genere al parco più importante della città.
L’essere completamente immersa nel verde, in un certo senso, mi riportava a casa, a Forks, dove c’era almeno un albero in ogni angolo.
Date le abbondanti nevicate, ogni cosa appariva innaturalmente bianca, salvo qualche chioma che, per chissà quale motivo, si era salvata dalla coltre di neve, mantenendo visibili le proprie foglie ingiallite dall’appena trascorso autunno.
Andai a sedermi su una panchina, beandomi della sensazione di armonia che mi avvolgeva. Ero così rilassata che rilasciai un lento sospiro – che si trasformò in una candida nuvoletta in pochi istanti – e richiusi lentamente gli occhi, concentrandomi sui dolci suoni che mi circondavano, lasciando che fossero questi ultimi ad invadermi la mente, scacciando via ogni pensiero o preoccupazione.
Persa nel mio momento di “equilibrio interiore”, quasi non mi accorsi di due mani inguantate che si erano andate a posare leggermente sui miei occhi, già chiusi di per sé.
Quel giochino mi aveva sempre innervosito, persino da bambina. Lo odiavo.
-Chiunque tu sia, dimmi chi sei. Non mi va di giocare. – conclusi, con un sonoro sbuffo.
Nessuna risposta.
Stizzita, posai delicatamente le mani sui guanti di lana che avevo sulla faccia, cercando di capire chi mi avesse disturbato.
Uhm…
Mani grandi, dalle dita lunghe ed affusolate.
Continuai il mio percorso, arrivando ai due polsi – coperti da una calda giacca – che non mi aiutarono per niente a capire chi fosse la persona che mi stava letteralmente importunando.
Seppur ad occhi serrati, mi imbronciai, sforzandomi di comprendere chi fosse l’ individuo dietro di me.
Procedevo a tentoni, come una stupida, sperando di arrivare in fretta ad all’identità dello sconosciuto.
Braccia troppo lunghe e robuste per essere di una donna. E troppo poco muscolose per essere di Emmett, decisamente!
Qualcuno del lavoro? Jasper? Oppure…
-Edward! – esclamai, come se avessi appena trovato il fatidico tesoro dei pirati.
-Argh, beccato! – disse, con espressione contrariata, venendo ad affiancarmi sulla panchina.
La mia, di espressione, era invece vittoriosa.
-Che ci fai qui a quest’ora? Alice mi ha detto che sei corso in ospedale, stamattina. – cambiai discorso.
Cerca di rimanere concentrata, Bella. Mi imposi.
-Il mio turno è terminato mezz’ora fa, così ho deciso di tornare a casa a piedi, passando per il parco. Camminare qui è molto meglio che prendere un taxi. Si risparmia ed entra tanta aria pseudo pulita nei polmoni. Tu, invece? Pensavo che la domenica fosse il tuo giorno di riposo ufficiale.
-Avevo degli acquisti da terminare. – risposi, inclinando il capo in direzione delle buste, che avevo accuratamente appoggiato accanto ai miei piedi.
Il suo viso divenne la rappresentazione della curiosità, quando mi chiese di mostrargli ciò che avevo comprato.
Col cavolo.
-Mi dispiace, ma cosa c’è all’interno di quelle buste è un segreto e deve restare tale.
-Coraggio, non lo andrò mica a svelare ai destinatari! – sussurrò, avvicinandosi e mostrandomi un’espressione degna di sua sorella Alice.
-Sei un Cullen e, se ho capito qualcosa della vostra famiglia, è che non siete assolutamente in grado di mantenere i segreti. Sono spiacente, ma non posso fidarmi di te.
-Bene, se non sarai tu a dirmi cosa sono, lo scoprirò da solo. – disse, facendo assumere ai suoi occhi una sfumatura malandrina che non vi avevo mai scorto prima.
Non so dove riuscii a trovare il coraggio necessario a realizzare ciò che feci di lì a poco. Avvicinai i nostri volti, fino a far quasi sfiorare i nostri nasi.
-Allora prova a prendermi, se ne sei capace. – soffiai, ad un millimetro dalle sue labbra.
Dopo meno di un secondo ero già partita in una corsa disperata, per giungere il più lontano possibile da lui, che rimase come pietrificato per alcuni istanti, per poi rendersi conto della beffa di cui era appena stato vittima.
Erano molti i metri che avevo frapposto tra me e la panchina dove ancora era seduto. Avevo quasi il fiato corto. Non era decisamente stata una buona idea quella di correre per Central Park avvolta dai vari strati necessari a proteggermi dal freddo inverno newyorkese.
Nel parco non c’era quasi più nessuno, essendo vicini al calar della sera.
Io, invece, non avrei scambiato quell’atmosfera di spensieratezza per nulla al mondo. Neanche per una calda stufa alla quale stringermi.
Quando il mio inseguitore stava per raggiungermi, gli sfuggii, andando a nascondermi nei pressi di grosso albero.
In pochi istanti, Edward fu dall’altro lato del tronco, ad attendere la mia resa.
-Coraggio, Bella, non ho voglia di lasciarti vincere ancora per molto. Mostrami i regali e torniamo a casa!
-Paura di perdere, Cullen? – lo canzonai, iniziando a ruotare intorno a quella che supposi fosse una quercia.
-Certo che no. Mi dispiacerebbe, però, per la delusione enorme che sarei costretto a infliggerti. – ammise.
Ero ormai a pochi passi da lui.
-Sta di fatto che, per il momento, quello che sta perdendo sei tu! – dissi, schivandolo per un pelo.
Iniziammo di nuovo a rincorrerci. Stavolta, però, avemmo la sconsiderata idea di percorrere un tratto di selciato completamente ricoperto di neve.
Non ero mai stata dotata né di un buon equilibrio né di grazia, il che rendeva quella trovata ancora peggiore. Mi sorprendeva il fatto che non fossi miseramente caduta fino a quel momento.
Stavo ancora incespicando in quella informe massa bianca, quando avvertii una folata vento freddo che soffiava su di me.
Improvvisamente, mi ritrovai a osservare le grigie nubi invernali che popolavano il cielo. Senza che avessi nemmeno il tempo per realizzarlo, per bloccarmi Edward si era catapultato su di me, facendoci finire entrambi distesi sulla neve. Riuscii solo ad emettere un acuto gridolino di sorpresa, mentre la distanza tra la mia schiena e il suolo diminuiva sempre più.
Almeno la neve morbida avrebbe attutito l’atterraggio.
Socchiusi gli occhi, che avevo istintivamente serrato durante l’impatto.
Mi maledissi per quella involontaria scelta.
Il viso di Edward era così vicino al mio che nemmeno seppi identificare quale fosse la distanza tra noi.
Con le braccia ai lati della mia testa – in modo da sollevarsi e non pesare su di me, immaginai – teneva gli occhi incatenati ai miei.
-Suppongo che questo valga come una vittoria. – mormorò, respirando ancora affannosamente a causa della corsa.
Sul momento non fui in grado di articolare alcun tipo di suono.
Sentivo il cuore quasi nelle orecchie, tanto il suo battito era forsennato. Ormai era privo di ritmo regolare.
Temevo quasi che, data la vicinanza, potesse arrivare anche anche lui.
Sembrava non fosse così, per fortuna. E, a quanto parve, non si preoccupò nemmeno del fatto che non gli avessi risposto, continuando a tenere gli occhi fissi nei miei.
Ebbi la netta sensazione che quel verde tanto intenso e brillante potesse scrutarmi fin dentro l’anima. E mi spaventai, in realtà, pensando a cosa avrebbe potuto trovarvi.
Avvertivo il suo respiro sulle labbra.
Fui costretta ad ingoiare a vuoto più volte per mantenere la concentrazione, ma non ce la feci.
Gli unici pensieri che mi turbinavano nella mente prevedevano le mie labbra a stretto contatto con le sue, al fine di eliminare quel poco distacco fisico che restava tra noi.
Perché non riuscivo a trovare il coraggio per compiere quella stupida mossa?
Avevo paura, ecco qual era il problema. L’idea di rovinare tutto e perderlo definitivamente mi terrorizzava.
E così restai immobile, a godere, per quanto possibile, di quel quasi contatto. Mi odiai davvero, in quel frangente.
Non potei quantificare il tempo che passammo in quel modo, ma mi sembrò comunque troppo presto quando Edward si rialzò, scrollando via la neve dai vestiti.
Io ebbi bisogno di qualche secondo in più, prima di rialzarmi e andare a recuperare le buste dei regali, delle quali mi ero totalmente dimenticata.
Ripulii anche i miei abiti, prima di incamminarmi verso l’uscita.
Un altro bacio mancato, un’altra pugnalata. Non potei fare a meno di pensare.
I suoi atteggiamenti erano così incoerenti!
Possibile che non avesse ancora dimenticato Tanya? Possibile che mi stessi immaginando tutte le sue attenzioni nei miei confronti?
Avevo solo voglia di urlare.
Prima che lo facessi e svegliassi tutti gli scoiattoli in letargo, però, la sua voce chiamò il mio nome.
Cosa? Ti dispiace? Ti stai torturando mentalmente per le due occasioni che hai perso?
Vuoi darmi della stupida illusa?

-Io… - iniziò, ma subito dopo abbassò lo sguardo, senza concludere alcunché.
Sembrava pentito, effettivamente, ma ero troppo nervosa per curarmene, in quel momento.
-Torniamo a casa insieme. – disse, rialzando gli occhi e sfoggiando la faccia più rilassata che gli riuscisse – Non mi va di lasciarti da sola. E’ buio, ormai.
Non risposi, limitandomi ad annuire.
Non ce la facevo psicologicamente. Mi stava mandando al manicomio. Era tutto troppo per me.
Quando mi fu accanto, mi prese delicatamente una mano, osservandomi con attenzione. Il suo sguardo contrito cercava una conferma.
Mostrai la smorfia più somigliante ad un sorriso che avevo in quel momento e intrecciai le mie dita alle sue, stringendo la sua mano nella mia.
Ci incamminammo così, senza parlare.
 
Quando chiusi la porta di casa dietro di me, Edward si fiondò in camera sua.
Tipico. Pensai, con una punta di acidità.
Tuttavia, non ebbi il tempo di concentrarmi sulla questione, perché Alice arrivò in salotto saltellando. Portava con sé un’allegria così contagiosa che non potei fare a meno di ascoltare con gioia ciò che voleva dirmi.
-Oh, Bella, sono così felice! Partirò con Jazz martedì! Mi ha fatto una super sorpresa natalizia, non è adorabile? – disse, con una velocità pari a quella di un ghepardo in corsa.
-Alice, ma è fantastico! E quanto starai via?
-Tornerò a gennaio. Dopo Capodanno, credo. Mi dispiace doverti lasciare da sola, ma…
-Stai scherzando, vero? – la interruppi – Non osare giustificarti con me, Alice Cullen! Va’ a preparare le valigie, muoversi! – dissi, con tono scherzoso.
-E’ per questo che ti adoro! – esclamò lei, abbracciandomi – E non preoccuparti – affermò, con un tono di voce più basso e cospiratorio – a lui ci penso io.
Preferii non immischiarmi nella faccenda. Lo aveva detto con tanta serietà da apparire inquietante.
Mi congedai con un sorriso, sparendo nella mia camera e lasciandola ai preparativi per le sue vacanze.


Notes
Scusate, scusate, scusate! Lo so, vi avevo promesso che non ci sarebbero più stati ritardi e che avrei aggiornato sempre durante il weekend. Mi perdonate se vi dico che sono stata via per il Comicon e non ho proprio avuto il tempo di rivedere il capitolo per postarlo prima? Passiamo al commento, che è meglio.
Dunque, Bella è confusa. Come biasimarla? Edward cambia atteggiamento ogni due secondi! La buona notizia, però, è che è riuscita finalmente a trovargli un regalo. Che ne pensate della sua scelta?
Ed Alice? Striglierà per bene suo fratello?
A voi la parola. :)
Ci leggiamo nel weekend. :*

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Partenze e... arrivi. ***


Partenze e... arrivi.
Bella's PoV

Martedì 23 Dicembre
Con il naso quasi schiacciato contro una vetrata dell’aeroporto, gettai un’ultima occhiata all’ aereo che sfoggiava una maestosa striscia blu su coda ed ali. Era su quello che, una manciata di minuti prima, era salita la mia migliore amica, diretta in Canada con il suo fidanzato.
Jasper me l’aveva rivelato solo quella mattina, temendo che Alice potesse in qualche modo scoprire la meta da lui prescelta per la sorpresa che era intenzionato a farle.
Sorrisi tra me e me, sperando che entrambi si divertissero il più possibile durante quella breve vacanza.

-Sicura di aver preso tutto? – ripetei per l’ennesima volta, aiutando Alice a trascinare le sue innumerevoli valigie all’imbarco bagagli.
-Sì, mamma, rilassati. – disse, voltandosi nella mia direzione e sfoggiando un sorrisetto di scherno.
Una linguaccia fu l’unica risposta che ottenne da parte mia.
Mentre noi eravamo impegnate a battibeccare, Jasper ed Edward camminavano tranquilli alle nostre spalle.
La presenza di quest’ultimo, in particolare, mi rendeva nervosa. In fondo non avevamo ancora chiarito la questione “baci” e, al ritorno, io e lui saremmo stati soli nella sua auto, precedentemente utilizzata per accompagnare i due piccioncini all’aeroporto.

Dopo aver caricato anche l’ultima valigia sul nastro trasportatore, ci allontanammo da quella zona affollata, dirigendoci verso l’area dedicata ai controlli di sicurezza.
Lì, ci saremmo separati definitivamente.

Quel tragitto mi sembrò troppo breve.
Ad una decina di metri circa dai metal detector, ci fermammo tutti.
Fu Jasper il primo che salutai, riservandogli un abbraccio.

-Buon viaggio! – gli dissi – E mi raccomando, non farle aprire i regali prima del tempo! Sai che ci proverà!
-Non solo ci proverò, ma ci riuscirò! – affermò Alice, più determinata che mai.
Ci fu una risata generale, che mi scaldò il cuore, leggermente incrinatosi all’idea di abbandonare per un po’ la piccola peste che era quasi sempre con me.
Quando guardai Alice nei suoi luminosi occhi azzurri, non ci fu bisogno di parole. Restammo abbracciate fino al momento della separazione definitiva, che avvenne fin troppo presto per entrambe.
La mia amica mi rivolse un ultimo sguardo complice – riferito a cosa, poi? – prima di allontanarsi del tutto.
Edward aveva scelto di aspettarmi all’ingresso.
Dopo aver rilasciato quello che mi sembrò essere il millesimo sospiro della mattinata, lo raggiunsi ed insieme ci avviammo verso la sua auto.
I raggi di un flebile sole invernale filtravano dalle nubi che affollavano ogni angolo di cielo. E lì, nel mezzo di quel gigantesco parcheggio, la Volvo metallizzata di Edward pareva voler riflettere il grigiore che ci sovrastava.
Le speranze che il tempo migliorasse entro Natale erano ben poche e la cosa non faceva che rattristarmi ulteriormente. Avevo programmato di fare una sorpresa a Charlie, arrivando a Forks il giorno della vigilia, ma in tali condizioni meteorologiche era impossibile.
Si prevedevano persino ulteriori nevicate.
Fui contenta, però, che Alice e Jasper fossero riusciti a partire senza particolari intoppi.
 
Eravamo in viaggio da almeno un quarto d’ora e né io né Edward osavamo proferire parola. La tensione che aleggiava in quell’abitacolo – che, tra l’altro, era pregno del suo profumo – si poteva tagliare con un coltello.
Probabilmente, questa nuova situazione era anche da imputare alla mia amica, nonché sorella del ragazzo che sedeva alla mia sinistra. Dovevano aver parlato dell’argomento, come lei stessa mi aveva annunciato, altrimenti quel passo indietro tra noi sarebbe stato alquanto inspiegabile. Almeno, così mi aveva fatto pensare il suo atteggiamento a Central Park qualche giorno prima.
Quell’atmosfera era snervante.
-Allora, cosa farai a Natale?
Era stato poco più di un sussurro, ma in quel silenzio era risuonato quasi come un urlo. Pensai di averlo immaginato, che fosse stato solo frutto del mio insensato desiderio di ascoltare la sua voce, affinché potesse spezzare quello stato di infinito nervosismo.
-Cosa? – chiesi, con voce leggermente stridula, alla ricerca di una disperata conferma.
Lui distolse gli occhi dalla strada, oggetto della sua attenzione fino a quel momento, puntandoli nei miei per alcuni secondi.
-Mi chiedevo quali fossero i tuoi progetti per questo Natale. Sempre che ti vada di rivelarmeli.
-Oh, sì, certo.
Fantastico, iniziavo anche a farfugliare cose senza senso.
-Ero distratta e non… avevo capito bene. – ripresi – Beh, in realtà ancora non lo so. Avevo pensato di passare qualche giorno a Forks, ma il tempo non vuole permettermelo, a quanto pare. – lanciai un rapido sguardo fuori dal finestrino, prima di parlare ancora – E tu, invece?
Mi beai della visione del suo profilo, in attesa della sua risposta.
-Io credo che resterò a New York. Il Natale qui ha qualcosa di magico. Raggiungerò i miei prima di Capodanno, forse.
Non mi ero neanche resa conto del fatto che l’auto fosse ormai completamente ferma. Quello che notai, invece, fu l’accenno di esitazione che Edward mostrò prima di voltarsi completamente verso di me e dar voce ai suoi pensieri.
-E se lo trascorressimo insieme? Ammesso che tu non abbia già preso altri impegni. Non ti prometto nulla di particolare, ma almeno non sarà una festa passata in solitudine. Che ne dici?
Una luce speranzosa si accese nei suoi occhi verdi.
Come se potessi mai rifiutare una proposta del genere.
-Certo! – dissi, sorridendo e dissipando ogni suo dubbio.
Mi sorrise a sua volta, rendendo la sua espressione il riflesso della mia.
 
Allegri motivetti natalizi risuonavano nel salotto, mentre io, canticchiandoli, davo il tocco finale al nostro albero di Natale, ponendo una bianca e luminosa stella sulla sua cima.
Indietreggiai di qualche passo, curiosa di scoprire quale fosse il risultato finale e ne rimasi piuttosto soddisfatta.
Decorazioni dai toni rossi e bianchi si alternavano regolarmente su ogni ramo, diminuendo in grandezza mano a mano che ci si avvicinava al puntale. Ce n’erano di ogni tipo: stelline, angioletti, piccoli Babbi Natale e le classiche quanto immancabili palline.
Sorrisi, pensando che, finalmente, anche il nostro appartamento fosse pronto a festeggiare.
Iniziai a risistemare le scatole degli addobbi, quando il trillo del timer del forno mi avvisò che i biscotti erano pronti.
Non avendo ancora scelto un menù definitivo da preparare in quei giorni, avevo puntato su quei simpatici dolcetti che, ne ero certa, sarebbero piaciuti anche ad Edward.
Ancora non riuscivo a credere che avremmo trascorso il Natale insieme. Da soli.
Suonava così… intimo.
Senza distrarmi troppo, infilai i grossi guantoni da cucina che c’erano di lato al piccolo forno. Tirando fuori la teglia, sorrisi dei piccoli omini di marzapane che mi fissavano allegri.
Oltre a quelli, c’erano anche biscotti alle nocciole ed al cioccolato, ai quali avevo dato la forma di alberelli, stelle o calze.
Dopo aver sfilato i guanti, disposi tutto in un vassoio decorato, che poggiai sul tavolo della cucina.
Decretando che era tassativo scegliere cosa cucinare il giorno di Natale, mi diressi in salotto, con portatile alla mano.
Non so da quanto tempo fossi accucciata sul divano quando udii il suono delle chiavi che si rigiravano nella toppa della porta. Ci volle solo qualche istante, però, perché sulla soglia comparisse un ciuffo di capelli ramati a me ben noto.
-Che cerchi? – mi chiese, dopo che ci fummo scambiati dei sorrisi a mo’ di saluto.
-Qualcosa di natalizio che anche io possa cucinare. – gli risposi, concentrata su ciò che stavo leggendo.
-Beh, molla tutto allora, chef. – disse, alzando la mano sinistra, nella quale reggeva due buste provenienti dal supermercato.
Gli riservai un’occhiata interrogativa, prima che parlasse di nuovo.
-Dimentichi che sono cresciuto con mia madre: conosco a memoria ogni singolo piatto esistente per tutte le festività. E questi sono gli ingredienti per il nostro pollo ripieno alla f… - si bloccò nei pressi della cucina.
Rimase in silenzio per alcuni secondi, poi depositò a terra le buste della spesa e si avvicinò al tavolo. Quando vi arrivò, tornò a girarsi verso di me con un sorriso che avrebbe potuto illuminare mezza New York.
Un sorriso alla Edward. Uno di quelli che possono cambiarti la giornata. Uno di quelli che possono farti dimenticare la mancanza del sole nei giorni di pioggia.
-Biscotti? – disse, indicandoli ancora a bocca aperta – Sono veri?
-Perché avrei dovuto mettere dei biscotti finti su un tavolo? – gli dissi, ridendo e raggiungendolo.
Per un po’ non parlammo, sorridendo come due idioti e guardandoci negli occhi.
In quel momento, malgrado la temperatura glaciale che c’era fuori, pensai che davvero mi sarei potuta sciogliere. Le sue iridi sembravano brillare, mentre mi rivolgeva uno sguardo che di certo non avrei dimenticato.
Eravamo talmente vicini che, quando si allungò verso il tavolo per afferrare un biscotto, il suo braccio e la sua spalla mi sfiorarono.
Mi appoggiai alla liscia superficie di fianco a noi, sperando di non urtare il vassoio o roba del genere. Sapevo che ne sarei stata capace.
Poi, i miei occhi furono come rapiti dalle sue labbra che addentavano una stellina alle gocce di cioccolato. Ne seguii i movimenti regolari, deglutendo quando il mio sguardo si soffermò sul movimento della sua mascella.
Strinsi forte il bordo del tavolo, cercando di distogliere la mia attenzione, ma invano.
Quando finì di ingoiare il biscotto, ero fermamente convinta che gli sarei potuta saltare addosso senza farmi troppi problemi.
La sua voce intervenne provvidenzialmente, riportandomi alla realtà.
-Caspita, sono davvero buoni. Ed io che pensavo li avresti avvelenati!
-Ehi! – risposi, piccata – Mi hai preso per Alice? – dissi, facendo scoppiare a ridere entrambi – Torniamo al menù, adesso.
-Ah, sì, è vero. Ho pensato al pollo con ripieno di frutta. Era uno dei miei piatti natalizi preferiti e non lo mangio da tempo. Sono convinto possa piacere anche a te. E, dato che a quanto pare non sei tanto male in cucina – qui si guadagnò un’occhiataccia – potremmo prepararlo insieme, domani. Ti va?
Edward Cullen: l’uomo dalle mille domande retoriche.
- Ma certo. Spero solo che le tue attitudini culinarie non ricordino quelle di tua sorella. Non ci tengo a passare il Natale con un’intossicazione alimentare. O peggio, alla caserma dei pompieri.

Mercoledì 24 Dicembre
-Dunque, - iniziò Edward, prendendo tra le mani la lista degli ingredienti per controllare che non mancasse nulla – abbiamo le mele, le pere, le castagne ed anche le prugne secche. E ci sono anche la carne e le erbe aromatiche. Credo di non aver dimenticato nulla. – concluse, alzando gli occhi verso di me.
-Allora possiamo iniziare. Fammi vedere la ricetta.
Allungai la mano verso di lui, nel tentativo di afferrare il foglietto che stringeva nella sua. Inavvertitamente, nel prenderlo, le sue dita scivolarono sulla mia pelle. Una lunga serie di brividi mi percorse la spina dorsale, ma tentai con tutto il mio essere di non badarvi. Non era il momento di lasciarsi deconcentrare.
-Uhm… - dissi, non appena ebbi riacquistato un minimo di controllo su me stessa - io inizio a tagliare le pere e le mele, tu occupati di castagne e prugne.
-Ai suoi ordini! – disse, rivolgendomi un ghigno beffardo e un canzonatorio saluto militare.
Scossi la testa, focalizzando la mia attenzione sulla frutta che avevo davanti.
Iniziai a sbucciare sia le mele che le pere con lentezza: non mi andava di commettere una delle mie solite gaffe e graffiarmi come una bambina alle prime armi con la cucina. Successivamente, tagliai il tutto in piccoli dadini.
Ogni tanto, il mio sguardo correva furtivo verso Edward, anche lui immerso nel lavoro. A differenza mia, lui tagliuzzava e sbriciolava la frutta secca affidatagli con estrema serenità. Il mio cervello – ormai fumato, ne ero certa – non poté non notare quanto, anche in veste di cuoco, fosse attraente. Forse era la sicurezza dei suoi gesti, o forse la loro eleganza. Non avrei saputo dirlo. O forse ero solo io che non riuscivo più ad articolare un pensiero di senso compiuto in sua presenza.
Tornai a concentrarmi sul mio compito, temendo di restare imbambolata a fissarlo - come accadeva decisamente troppo spesso.
Quando la ciotola trasparente che avevo davanti fu piena di cubetti, Edward aggiunse le prugne secche e le castagne sbriciolate. Aggiungemmo anche la salsiccia sbriciolata, come prevedeva la ricetta.
All’aggiunta di quel tipo di carne, gli mostrai la più perplessa delle mie espressioni. Non mi sembrava un connubio allettante.
-Non preoccuparti, - mi rassicurò - ha un buon sapore.
Rimasi dubbiosa, ma iniziai a mescolare il contenuto della ciotola. Lui, nel frattempo, si dedicò ad imburrare il pollo e a cospargerlo di salvia, rosmarino, sale e pepe.
Quando giunse il momento di imbottire il galletto, mi tirai indietro, lasciandogli quell’ “onore”. Sapevo di non essere minimamente in grado di fare una cosa del genere. Al sol pensiero rabbrividivo.
-L’ho sempre detto che gli studi di medicina e chirurgia sarebbero serviti a qualcosa, un giorno. – disse con tono scherzoso, notando il disgusto sul mio viso, dopo aver ricucito l’apertura per il ripieno.
Risi della sua battuta, più rilassata, mentre ponevo il pollo al centro di una teglia e lo circondavo con il resto della frutta e alcune foglie di alloro, pronta per infornarlo.
-Et voilà! – affermai, una volta chiuso il forno.
-Dovrebbe volerci poco più di un’ora. – disse lui, lanciando una rapida occhiata alla ricetta.
-Bene, ho tutto il tempo di farmi un bagno, allora. – dissi con tutta la tranquillità di cui disponevo.
-Sì, certo, certo. – mi rispose lui, distogliendo gli occhi dai miei e fissando con improvviso interesse un punto indecifrato del tavolo.
-Tu puoi apparecchiare la tavola, intanto.
-Ehi, mi hai per caso scambiato per uno schiavo? – esclamò, indispettito, tornando a guardarmi.
-Più o meno. – affermai, sogghignando – Anzi, se vuoi che inizi ad usare anche la frusta, devi solo dirlo.
Come cavolo suona male.
Un suo sopracciglio svettò verso l’alto, ma non fece altri commenti riguardo alla mia terribile affermazione.
Così, approfittando del momentaneo silenzio che si era venuto a creare, mi dileguai, rifugiandomi nel bagno.


Notes
Ed eccomi qui, sorprendentemente ancora con il sole in cielo! :D
Innanzitutto, mi sembra opportuna una piccola spiegazione del titolo. La partenza, ovviamente, è quella di Alice. L'arrivo, invece, è quello di un po' d'attenzione da parte di questo Edward che, diciamocelo, ci stava un po' rompendo le balls con tutti i suoi cambi di umore, le sue indecisioni e la sua chiusura alla nostra Bella. Il metodo "Alice Cullen" deve aver funzionato alla perfezione.
Anch'io, come chi ha commentato il capitolo precedente, gli avrei detto di chiarirsi le idee. Voglio dire, Bella si era esposta un minimo per lui, era il caso che facesse lo stesso! O, almeno, che specificasse come stavano per lui le cose.
Ma, in questo nuovo capitolo, vediamo una piccola scintilla di interesse da parte sua. Ed anche una ricetta - di giallozafferano, se non erro - che di americano ha ben poco, ma il classico tacchino natalizio proprio non mi ispirava.
Per la gaffe finale, probabilmente sono io a meritare le frustate. ♥
Sono curiosissima di sapere cosa pensate della storia, del capitolo, anche del pollo con la frutta secca se volete. Non siate timide e fatevi avanti, ché non vi mangio. ;)
Scusate le note lunghissime e... al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Turning Page ***


Turning Page

Bella's PoV
Ammollo nella vasca da bagno da oltre mezz’ora, mi stupii della mia reazione riguardo alla piccola gaffe commessa poco prima. Conoscendomi, credevo che mi sarei crogiolata nel mio stesso imbarazzo, non riuscendo più ad articolare un pensiero coerente che riguardasse altro. E invece mi resi conto che l’avevo già dimenticata. Che era arrivata e poi si era dissolta rapidamente, proprio come un temporale estivo.
Non fui in grado, tuttavia, di comprendere le ragioni di quel cambio di idee.
Forse era perché stavo scherzando, in fin dei conti. E scherzare con Edward era dannatamente facile. L’unico rischio – e l’avevo provato sulla mia pelle, a quanto pare – era quello di spingersi troppo oltre restare scottati dal fuoco con cui si giocava.
Rilasciai un ultimo sospiro e, spostando le poche bolle di schiuma che mi bloccavano la strada, uscii dalla vasca e mi avvolsi nell’accappatoio, pronta finalmente a rivestirmi ed uscire.
Avevo scelto di rendermi minimamente presentabile perché, in fondo, era pur sempre la vigilia di Natale. Quindi, al posto del solito pigiama di pile, indossai dei leggings scuri, un dolcevita dal collo alto ed un lungo quanto caldo cardigan, che mi arrivava a metà coscia. I colori, tuttavia, non erano poi così natalizi, dato che era tutto sui torni del nero e del grigio. Senza Alice al mio fianco, non osavo fare abbinamenti di cui mi sarei potuta pentire.
Diedi un’ultima controllata ai capelli e mi recai in salotto con l’aria più tranquilla di cui disponevo.
Trovai Edward accovacciato davanti al televisore, mentre probabilmente scorreva i titoli dei vari film di Alice.
Quando sentì i miei passi, si rialzò e voltò verso di me, tenendo dei DVD tra le mani.
-Abbiamo due opzioni: – iniziò, con un cipiglio ironicamente serio dipinto sul volto – guardare uno degli angoscianti film natalizi che mandano in tv o qualcosa dalla videoteca da fashion victim di mia sorella.
Mi lasciai andare in una leggera risata, prima di rispondergli.
-Uhm… - dissi, fingendo di rifletterci su – credo che opterò per il solito dramma natalizio. Non posso reggere qualcosa sulla moda anche a Natale. Decisamente no.
-Andata, allora. – affermò, lanciando un’occhiata all’orologio. – Ora, però, è il caso di andare a tirare fuori il pollo, prima che la nostra cena diventi a base di cenere.
Assentii, notando anche che, alla fine, aveva apparecchiato la tavola. L’avrei studiata più da vicino una volta seduta, quindi lo seguii in cucina.
Si era già munito di guantoni da forno e stava estraendo la teglia proprio quando entrai. Con sguardo soddisfatto, l’appoggiò su un sottopentola, invitandomi a raggiungerlo.
Dovevo ammettere, mio malgrado, che aveva un bell’aspetto.
Il pollo era di un marrone tendente al dorato piuttosto brillante e la frutta tutt’intorno, diventata più scura dopo la cottura, creava un bel contrasto.
Aiutai Edward a disporre il tutto in un piatto, prima di esporgli le mie idee.
-Mi costa ammetterlo, ma è decisamente bello a vedersi. Spero che il gusto gli renda giustizia. – conclusi, deponendolo al centro del tavolo.
Mi allontanai, dirigendomi verso il mio posto, quando Edward mi raggiunse. Compiendo un gesto totalmente inaspettato, spostò leggermente la sedia, in modo che potessi sedermi.
-E’ proprio vero, allora, che a Natale sono tutti più buoni. – dissi, con un tono sbeffeggiatore, ma sorridendo interiormente come una ragazzina.
-Ma come devo fare con te?! Vanifichi sempre ogni mio sforzo di serietà! – affermò, sorridendomi ed andando a prendere posto di fronte a me.
Prima, però, tagliò il pollo e ne depositò delle fette nei piatti di entrambi. Accompagnò la carne con la frutta che c’era di contorno.
Attesi che si sedesse anche lui, prima di assaggiare ciò che avevo davanti.
-Prima tu. – dissi, puntandolo con lo sguardo – Ancora non mi fido del fratello di Alice Cullen ai fornelli. Se sopravvivi, lo assaggio anch’io. – affermai risoluta.
-Sei proprio inconvincibile. – disse, tagliando e poi inghiottendo un pezzo di pollo.
Cercai di non commettere lo stesso errore dei biscotti, concentrandomi su qualcosa che non fosse lui. Fu complicato, ma riuscii a trattenermi dall’osservarlo come un’assatanata.
Infine ingoiò, sorridendo vittorioso. Io, di rimando, sospirai, in segno di sconfitta. Abbassando lo sguardo sul piatto, presi anch’io del cibo e lo portai alla bocca.
Per la seconda volta, fui costretta ad ammettere che mi sbagliavo: era davvero buono. Persino il connubio delle salsicce con il pollo, sul quale ero stata tanto dubbiosa, si era rivelato un’ottima scelta.
-Mi duole dirlo, ma… è vero, non sei come Alice in cucina. E’ buono.
-Sì, lo so. – ammise, tronfio.
-Certo, non buono come ciò che cucino io, ma sicuramente meglio dei… mirabolanti manicaretti di tua sorella.
-Pff, questo lo vedremo. – esclamò con tono di sfida alzando lo sguardo.
-E’ inutile, Edward. La tua è una battaglia persa in partenza, arrenditi. Tu hai imparato a cucinare per hobby, io per non morire di fame. Se avessi lasciato che si occupassero Charlie o Renée della cucina, forse non sarei qui. – scherzai.
-Touché. – ammise, alzando le mani e dichiarandosi sconfitto.
Questa volta fui io a mostrare un’espressione vittoriosa.
 
Quando entrambi i nostri piatti furono vuoti, iniziammo a sparecchiare.
Avevo appena depositato l’ultima posata nel lavello, quando tutto intorno a me divenne buio.
-Tu ed Alice non avete dimenticato di pagare qualche bolletta, vero? – esclamò la voce di Edward da qualche parte nell’oscurità.
-No, stupido. – gli risposi, notando che si era avvicinato alla finestra ed aveva scostato le tende.
Le luci colorate della città gli illuminavano il volto, rendendo i suoi occhi quasi più brillanti di quanto non fossero già normalmente.
Forte delle ombre che mi circondavano, mi avvicinai a lui, affiancandolo. Potevo sentire i centimetri che ci distanziavano. Continuai ad osservarlo, godendomi ancora di più la visuale, data la maggiore vicinanza.
-Ci dev’essere un blackout in tutto il quartiere. Non vedo luci nelle vicinanze. – disse a voce bassa, come a non voler interrompere quel silenzio che era venuto a crearsi.
Terminata la sua frase – mi chiesi se l’avessi davvero ascoltata o avessi solo guardato il movimento delle sue labbra – voltò il viso verso di me.
Ripescai la voce, non sapendo dove fosse andata a nascondersi. Probabilmente dietro il groppo nella mia gola.
-Abbiamo delle torce e qualche candela, vado a prenderle.
I miei occhi iniziarono ad abituarsi al buio, così non fu difficile trovare ciò che mi serviva.
Tornai da Edward guidata da una torcia elettrica e lo trovai esattamente dove lo avevo lasciato, perso a contemplare il groviglio di strade e grattacieli che appariva fuori alla finestra.
Lo raggiunsi, consegnando anche a lui una torcia.
Non la accese e, inaspettatamente, portò la sua mano sulla mia, spegnendo quella che avevo io.
Forse mi sbagliavo, ma mi sembrò che il contatto tra noi fosse durato più del solito.
-Mi piace il buio. E’ più affascinante della luce. – sussurrò, ritenendo probabilmente che il suo gesto mi avesse confusa. - Non sappiamo mai cosa ci nasconda, così come il silenzio.
Non riuscii a rispondergli. Il mio cervello, di fatto, rifiutava di articolare un qualsiasi pensiero.
Mi arresi definitivamente a quello stato di vuoto mentale quando sentii nuovamente la sua mano sulla mia. La strinse e, senza fare troppa forza, iniziò a dirigersi nell’altra stanza. Lo seguii, non avrei potuto - né voluto, a dire il vero - fare altro.
Mi fermai quando percepii il divano che sfiorava una mia gamba. Mi ci sedetti e lui fece lo stesso.
Avvolta dall’oscurità – che in un certo senso mi forniva anche da protezione – mi incantai a studiare la sua figura. Non riuscivo ancora a distinguerne i dettagli, ma la mia mente sapeva benissimo dove questi si trovassero.
Sapevo dov’erano quei ciuffi ribelli che gli si posavano continuamente sulla fronte, dandogli perennemente l’aria di chi si era appena svegliato. Riuscivo quasi a vedere le fattezze del suo volto: gli occhi grandi e verdi, il naso dritto e le labbra appena carnose ma regolari.
Più in basso, quella continua tentazione del suo collo si univa alla elegante linea delle spalle.
Potevo solo immaginare, invece, quello che si nascondeva sotto la camicia che indossava. Certo, una volta mi era capitato di scorgerlo ancora nella doccia, ma ero troppo imbarazzata per concentrarmi su tutto il resto.
Bella, è il caso di fermarsi, se non hai intenzione di violentarlo seduta stante sul divano di casa.
Sbattei più volte le palpebre, ritornando alla realtà. Riportando lo sguardo alla sua figura, notai che era in una posizione rilassata: aveva la testa all’indietro, appoggiata allo schienale del divano e, probabilmente, i suoi occhi erano chiusi.
Apprezzavo la sua teoria sul silenzio e quello che c’era tra noi non era neanche teso o imbarazzante. Tuttavia, iniziavo a sentire la mancanza della sua voce.
Pensieri da adolescente, mi mancavate.
-Edward? – mormorai a voce bassissima, temendo che potesse essersi addormentato. Non avrei voluto svegliarlo, in tal caso.
-Sì? – mi rispose lui, con tono altrettanto basso.
Ecco, avrei dovuto trovare una scusa.
-Ti… ti andrebbero dei biscotti? Dovrebbero esserne avanzati un po’ e… in fondo, non abbiamo mangiato il dolce.
Brava, Bella, complimenti per l’inventiva.
-Non potrei mai dire di no a quei biscotti. – era un sorriso quello che percepivo dalle sue parole?
Afferrai nuovamente la torcia e mi diressi in cucina. Trovai subito la ciotola in cui avevo messo i biscotti la sera precedente, ricordandone la posizione.
Tornai sul divano e mi sentii stranamente rilassata, una volta ripreso il mio posto.
Appoggiai la ciotola dei biscotti tra di noi, per quanto mi costasse dividerci ulteriormente.
-Il blackout ha decisamente risolto il nostro problema “film”. – affermò Edward, prendendo un biscotto.
Lo adorai per aver ricominciato a parlare. Temevo che da quel momento il famigerato silenzio imbarazzante potesse crearsi davvero.
-Non so se ha risolto il problema noia, però. Insomma, almeno un film natalizio sarebbe stato divertente.
-Signorina Swan, mi sta forse dicendo che la mia compagnia l’annoia? – mi chiese, con tono fintamente sconvolto.
Non potrei mai.
-Non è proprio quello che ho detto, signor Cullen, ma può anche intenderlo così. – sorrisi tra me e me pronunciando quelle parole.
-Mi ritengo altamente offeso, signorina. Stia certa che avrò la mia vendetta. – disse e potei sentire chiaramente la ciotola dei biscotti che veniva spostata.
Non capii cosa intendesse finché non avvertii chiaramente il suo corpo che sovrastava il mio. Ringraziai mentalmente il buio, perché riusciva a nascondere perfettamente il rossore che sicuramente si era impadronito delle mie guance.
Le sue mani volarono dritte ai miei fianchi, prima che le sue dita iniziassero a torturarmi con l’atto più infame che esista: il solletico.
Ridevo senza riuscire a fermarmi, mormorando ogni tanto qualche parola sconnessa per farlo smettere. Provai anche a spingerlo via un paio di volte, ma non ci riuscii.
-Ti rimangi quello che hai detto? – disse, bloccando le mani sui miei fianchi e fermandosi per qualche istante.
Approfittai dell’occasione per riprendere fiato. Ad ogni respiro, sentivo il suo corpo a contatto con il mio. Non doveva essere più di qualche centimetro a dividerci.
-Non ci penso nemmeno! – dissi, afferrandolo per le spalle e ribaltando le posizioni, cogliendolo di sorpresa.
Mi ritrovai improvvisamente seduta sulla sua pancia. Presi un profondo respiro prima di parlare nuovamente, temendo che la mia voce potesse tremare.
-Uhm, stai comoda? – mi anticipò lui, scherzosamente.
-Sì. Così tanto che ho deciso di usarti come cuscino. – affermai, non riflettendo poi tanto sulle mie parole.
Lo sentii sogghignare. Inaspettatamente, mi afferrò i polsi, tirandomi giù. Mi ritrovai così in una posizione ancora più compromettente della precedente: quasi completamente distesa su di lui, con il viso vicinissimo al suo e le sue mani che non lasciavano libere le mie.
Sentivo il suo respiro infrangersi sulla mia pelle e tornai a sentire quell’impellente desiderio di baciarlo. Mi inumidii appena le labbra, sentendole improvvisamente secche.
I miei occhi, ormai abituatisi al buio, erano fissi nei suoi.
Nessuno dei due osava pronunciare una sillaba.
E, per un istante, mi sembrò di scorgere in quelle iridi i miei stessi pensieri.
La sua presa sui miei polsi si era notevolmente indebolita. Non so dove trovai la forza per farlo, ma tirai indietro le mie mani e mi spostai, posizionandomi nell’incavo del suo collo.
Inspirai lentamente, temendo di andare in iperventilazione, ma il contatto con la sua pelle mi rilassò immediatamente.
Chiusi gli occhi, beandomi soltanto di quella sensazione.
Quando sentii le sue braccia avvolgermi, mi strinsi ancora di più a lui.
Una leggera carezza tra i capelli e la sua voce che mi augurava la buonanotte furono le ultime cose che sentii prima di addormentarmi.
 
Una soffusa e calda luce dorata mi illuminò il volto, costringendomi ad aprire gli occhi: era ormai mattina.
Ancora intontita, voltai lo sguardo a destra e a sinistra, ritrovandomi sul divano. Sbattei più volte le palpebre, interdetta, quando ogni singolo ricordo della sera precedente mi tornò alla mente.
A quel punto, il mio pensiero fu uno solo: Edward.
Mi sollevai a sedere, sentendo le ossa scricchiolanti ed ogni singolo muscolo del mio corpo indolenzito. Trattenni qualche gemito di dolore, alzandomi.
Un rumore di stoviglie e piatti mi comunicò che qualcuno stava armeggiando in cucina. Bingo.
Camminai silenziosamente, raggiungendo un Edward di spalle che era probabilmente intento a preparare la colazione. Un forte odore di caffè mi giunse alle narici.
-Buongiorno. – sussurrai, con la voce ancora arrochita dal sonno.
Lui si voltò di scatto verso di me, guardandomi prima incredulo, poi riservandomi uno sguardo piuttosto… dolce?
-Buongiorno a te. – mi rispose – Caffè? – concluse, porgendomi una tazza fumante.
-Assolutamente. – dissi, sgranando gli occhi ed afferrando quella benedizione con aria estatica.
Potei chiaramente sentirlo sghignazzare al mio fianco. Lo ignorai. Avevo interesse solo per la mia adorata tazza di caffè. La mia salvezza mattutina.
I miei occhi tornarono però su di lui, che mi stava osservando. Dal suo sguardo intuii immediatamente l’argomento della conversazione che stava per seguire.
-Bella, io…
Ecco, lo sapevo. Avrebbe messo fine a tutto.
Ma a tutto cosa? Come puoi mettere fine a qualcosa che non è mai iniziato?
Spostai la mia attenzione sui miei piedi, schiacciata dal peso di ciò che stava per succedere. Posai anche la tazza sul ripiano, nel timore di lasciarla cadere: avevo le mani che tremavano come foglie.
-No, Bella, ascoltami. – disse, portando due dita sotto il mio mento e facendo ritornare prepotentemente il mio sguardo nel suo.
Lentamente, quelle stesse dita si mossero, finendo ad accarezzare la mia guancia. Non mi ero nemmeno resa conto di quanto fossimo vicini.
Strinsi i denti, cercando di trattenere le lacrime che, ne ero certa, erano pronte a sgorgare da un momento all’altro.
Mi concentrai sul contatto della sua mano. Mi sembrava l’unica cosa in grado di mantenermi attaccata alla realtà.
-Io… io non so nemmeno da dove iniziare. – mormorò, riservandomi uno dei suoi sorrisi sghembi, privo però della solita spavalderia – Mph, chi se ne importa. Buon Natale, Bella…
E avvicinò le sue labbra alle mie.
Potevo già avvertirne il sapore, quando il suono che da quel giorno avrei detestato più di ogni altro ci interruppe, facendoci separare come scottati.
Mi diressi in fretta verso la porta, rossa in viso, pronta a strangolare con le mie stesse mani chiunque avesse osato bussare.
Presi un bel respiro ed aprii, ritrovandomi davanti una donna mai vista prima. La osservai per alcuni istanti, poi dischiusi la bocca per parlare. Il mio tentativo fu inutile, perché la voce di Edward mi fermò, facendomi precipitare il mondo addosso.
-Ciao, Tanya.


Notes
Questo, mie care, è quello che si chiama PLOT TWIST. *modestia, mode: on*
Aaaah, scusate! Ho saltato l'aggiornamento della settimana scorsa, ma sono stata fuori casa tutto il weekend e purtroppo non sono riuscita a recuperare durante la settimana, come invece speravo di fare. Ad ogni modo, eccomi qui, con questa bella bomba.
Evito i commenti sulle ricette di volatili imbottiti, perché l'idea mi repelle. Ehw. E anche il senso del fashion di Bella è quel che è, insomma.
Il blackout sembra essere capitato a fagiolo. Tanya un po' meno. Proprio non si devono baciare questi due, eh? 
Il nostro Eddy sembrava pieno di iniziativa, qui. Pensate che la manterrà? E Tanya? Che ci fa qui?
A voi la parola. ;)
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - In debito. ***


In debito.

Bella's PoV
Erano ormai dieci minuti che tenevo il mio sguardo fisso sulla donna di fronte a me. Non riuscivo a crederci. L’unica cosa che sembrava darmi forza era Edward, seduto al mio fianco. La sua figura era rigida, la mascella tesa. Non ero dunque l’unica a non apprezzare la presenza della nostra ospite.

-Ciao, Edward. – rispose, con una delle voci più delicate che avessi mai sentito – Ti trovo… bene.
Azzardai un’occhiata ad Edward, dietro di me. Il suo sguardo era duro e freddo e lui non accennava a rispondere.
-Cosa vuoi qui, Tanya?
-Parlare.

Abbassai lo sguardo sulla tazza di caffè davanti a me. Il liquido scuro che essa conteneva doveva essere diventato freddissimo.
Da quando ci eravamo seduti al tavolo del salone, non riuscivo a fare nulla. Mi sentivo come una bambola di pezza.
Tanya mosse leggermente la testa, facendo ondulare i suoi perfetti capelli biondi e riportando lo sguardo su Edward.
Dovevo ammetterlo: era bellissima. Aveva tutto ciò che a me mancava.
Era alta, con un fisico slanciato e due occhi azzurri che avrebbero fatto invidia anche al cielo estivo nel momento migliore della giornata.
Mi sentivo inadeguata vicino a lei.
-Mi manchi, Edward. – proruppe, spezzando il silenzio teso che era venuto a crearsi – Mi sono resa conto di essere stata una folle. Io… non so neanche cosa mi sia preso. Tu eri la cosa migliore che ci fosse nella mia vita. Noi eravamo la cosa migliore che ci fosse nella mia vita.
Strinsi i denti. Non ce la facevo a sentire quelle cose. Mi provocavano quasi un fastidio fisico.
Distolsi lo sguardo, fissando il vuoto.
-Sono venuta a chiederti di perdonarmi. Ho sbagliato e… e l’ho capito. Dimmi che anche i tuoi sentimenti non sono cambiati, così come non lo sono i miei.
Allungò una mano sul tavolo, raggiungendo quella di Edward e stringendola.
Mi correggo: questo fa male davvero.
Portai lo sguardo su Edward, che rimase immobile.
Nei suoi occhi c’era qualcosa di terrificante. Non l’avevo mai visto così prima. Era evidente che, in quel momento, nella sua mente ci fosse una battaglia aperta.
Prese un profondo respiro, poi parlò.
-Mi dispiace, Tanya, ma non ho la minima intenzione di ritornare sui miei passi. Non sarò così stupido da cascarci una seconda volta.
-Edward, non negarlo, io e te facevamo scintille insieme. Cosa può mai essere successo per farti cambiare idea? – chiese, con sguardo scettico.
-Vedi, Tanya, il mio cuore appartiene a qualcun altro, ora. Io… sto con Isabella, adesso.
Cosa?
La depressione di quel momento doveva avermi giocato un brutto scherzo. Mi sarei dovuta far controllare: le allucinazioni uditive non erano un buon segno.
Quando però sentii la sua mano che delicatamente si posava sulla mia, dimenticai tutto, capendo che ciò che stava accadendo era totalmente reale.
Avvertii la sua stretta e non ebbi neanche bisogno di guardarlo per capire cosa cercava. Conforto. Aiuto. Appoggio.
E chi ero io per negarglielo?
Attenta, Bella, rischi di farti male sul serio.
Alzai lo sguardo, solo per ritrovare una incredula Tanya che sbatteva gli occhi dalle lunghe ciglia e inarcava leggermente un sopracciglio. Qualche istante dopo, scoppiò in una risata che aveva un non so che di isterico.
-Tu… lei… - disse, indicandoci entrambi più volte con l’indice della mano destra – No, dai, mi prendi in giro. Hai sempre avuto un sottile senso dell’umorismo, devo riconoscertelo.
-Non sono mai stato così serio, in realtà.
-Suppongo che allora non ti crei alcun problema baciare la tua ragazza di fronte a me. Qui ed ora.
-Affatto.
Non ebbi neanche il tempo di metabolizzare le loro parole che mi ritrovai le labbra di Edward premute contro le mie. Rimasi per un secondo interdetta, per poi capire ciò che stava succedendo e ricambiare i suoi movimenti.
Oh. Mio. Dio.
Iniziai a pensare che i miei sogni non gli avessero reso minimamente giustizia.
Le sue labbra morbide sfioravano le mie con tanta delicatezza che sembrava essere della seta a premermi sulla bocca.
Riprendendo fiato, inspirai il suo profumo, il quale non fece altro che destabilizzarmi ulteriormente. E farmi desiderare di più.
Cercando di non cadere dalla sedia sulla quale ero seduta, mi avvicinai maggiormente a lui, portando una mano sulla sua nuca e stringendogli i capelli.
In tutta risposta, le sue dita si posarono su un mio fianco, accarezzandolo leggermente. Contemporaneamente, le sue labbra aumentarono la pressione sulle mie.
Quando poi sentii la sua lingua che ne disegnava i contorni, dovetti trattenere non pochi versi inconsulti.
Purtroppo, l’unico suono che sentii fu una leggera quanto stizzita tosse. Dovetti trattenere, a quel punto, anche uno sbuffo irritato.
Io ed Edward ci separammo, entrambi ansanti. Non riuscii però a staccare i miei occhi dai suoi.
Deglutii lentamente, ritirando la mia mano e lasciandogli – inavvertitamente? – una carezza lungo la linea della mascella.
A malincuore, mi voltai, riportando la mia attenzione su Tanya, che ci osservava con occhi di ghiaccio. Le sue labbra erano tirate in una smorfia di completo disappunto. Non potei biasimarla: perdere Edward così inaspettatamente non doveva essere particolarmente divertente. Tuttavia, non fui in grado di provare la minima pena nei suoi confronti. Dopotutto, era stata lei a volere tutto questo.
Senza dire una parola, si alzò. Lanciò ad Edward un ultimo sguardo astioso, ricco di chissà quanti significati nascosti. Ne riservò uno simile anche a me, accompagnandolo con un tiratissimo quanto finto sorriso. Lo ricambiai, per quanto mi fosse possibile.
Poi, così come era arrivata, girò i tacchi e se ne andò, accompagnata solo dal suono della porta che veniva chiusa dietro di lei.
Tirai un sospiro di sollievo, finalmente libera da quell’atmosfera tesa che era stata presente nella stanza fino a qualche istante prima.
Poi, mi girai lentamente verso destra, trovando un Edward finalmente più calmo e simile a quello che avevo imparato a conoscere.
-Devo ringraziarti. – iniziò, senza neanche guardarmi. – Senza il tuo aiuto, probabilmente, non sarebbe stato così facile farla desistere. Tanya è sempre stata piuttosto determinata. Non è abituata a non ottenere ciò che vuole.
Io, dal canto mio, non sapevo cosa rispondergli. Mugugnai qualche verso sconnesso in assenso, senza prolungarmi oltre.
Non c’è di che. Anzi, a dirla tutta dovrei essere io a dirti grazie per il bacio lobotomizzante di poco fa.
-Dico sul serio, Bella. – disse, questa volta ruotando completamente il busto nella mia direzione e guardandomi negli occhi. – Grazie, grazie ed ancora grazie. Ai tuoi occhi potrà sembrare una piccolezza, ma mi hai aiutato più di quanto pensi. Non hai semplicemente fatto andare via Tanya da questa stanza, hai fatto in modo che sparisse anche dalla mia mente. Ne avevo bisogno. Sappiamo entrambi che non riuscivo a liberarmi del mio passato. L’unico modo per riuscirci è stato, letteralmente, sbattere a lui e a lei una porta in faccia.
Di fronte a quelle sue parole così accorate, rimasi stupita ancora di più. Non so neanch’io cosa avrei voluto fare. Dirgli che non c’erano problemi. Che avrei fatto di tutto per aiutarlo. Abbracciarlo, magari.
Così gli strinsi una mano, cercando di far trasparire, almeno in parte, ciò che provavo in quel momento. Lui mi ripagò con uno dei sorrisi più belli e luminosi che gli avessi mai visto.
Poi, gli occhi gli si illuminarono ulteriormente.
-Idea! Per sdebitarmi, ti offro una sorpresa. E non accetto un no come risposta! – mi disse, euforico, prima di alzarsi dalla sedia e portarmi con sé, tenendomi per mano. – Prepari le valigie, signorina Swan: si parte.
 
Chiusa in camera, fissavo la mia valigia da almeno un’ora.
Le parole di Edward mi avevano lasciata sbigottita. Partire? Insieme? E per andare dove? E, soprattutto, quando?
Migliaia di idee mi frullavano per la testa, senza lasciarmi tregua.
Avvicinandomi all’armadio, notai dei pacchetti seminascosti e ricordai che, in effetti, era Natale.
Gli innumerevoli avvenimenti di quel giorno me l’avevano fatto completamente dimenticare.
Afferrai il mio telefonino ed iniziai a mandare degli sms con tutti gli auguri di rito. Ero troppo intontita per chiamare qualcuno e riuscire a reggere una intera conversazione di senso compiuto. L’unica con cui mi sarebbe piaciuto parlare era Alice, ma non avevo intenzione di interrompere la sua vacanza romantica con Jasper per le mie turbe mentali.
Terminata la sessione di messaggi, il display del cellulare segnava le ore 15:30.
Quanto cavolo avevamo dormito, quella mattina?
Mi sorpresi nel constatare che, nonostante tutto, non avevo minimamente fame. Forse ero troppo nervosa persino per averne.
Rinunciai all’idea di preparare la valigia e mi diressi nell’altra stanza, sperando di trovare Edward e riuscire a carpirgli qualche informazione almeno sulla nostra meta. Era vero che voleva farmi una sorpresa, ma dovevo almeno sapere che tipo di abiti portare con me.
Non trovandolo né nel salone né nella cucina, aprii la porta della sua camera.
Seduto sul suo letto, Edward annuiva sia con la voce che con la testa al misterioso interlocutore che c’era dall’altra parte del telefono.
Quando mi vide entrare, sollevò lo sguardo nella mia direzione e mi sorrise.
Andai a sedermi accanto a lui, attendendo pazientemente che concludesse la chiamata.
-D’accordo, mamma, grazie mille. E ancora buon Natale. Salutami papà. – disse, allontanando il telefono dal proprio orecchio.
Lasciai che fosse la mia espressione perplessa a parlare per me.
-Buone notizie! – inziò – Non ci speravo, visto che ci vanno ogni inverno, ma la casa dei miei ad Anchorage è libera. – concluse, con un sorriso a trentadue denti.
-Anchorage? In Alaska? – gli risposi, sbalordita.
Annuì, soddisfatto.
-Volevo che rimanesse una sorpresa, ma sarebbe stato un po’ stupido… - confessò mestamente. – Sono riuscito a rimediare dei biglietti aerei: partiamo domenica mattina!
Ero ancora incredula. Così tanto da non riuscire a proferir parola. Avevo tremila cose per la testa.
-Qualcosa non va? – mi chiese, improvvisamente preoccupato.
-No, no, anzi. E’… è fantastico, Edward. Dico davvero. E’ solo che … mi sembra troppo. Voglio dire, non ho fatto nulla di particolare. Mi dispiace che tu ti senta così tanto in debito nei miei confronti. E poi hai il tuo lavoro qui. Come farai a liberarti per i giorni in cui non ci saremo?
-Oh, fidati, all’ospedale c’è tanta gente che mi deve dei favori. Inoltre, staremo via solo fino al due, massimo al tre gennaio. E non azzardarti a dire che non meriti alcun ringraziamento. Come se poi mi dispiacesse prendermi una vacanza…
-Beh, allora grazie a te. Però ti prego: smettiamola di ringraziarci, inizia a farmi imbestialire.
Gli strappai una risatina, che contagiò anche me.
Improvvisamente, scorsi, sulla scrivania posta alla destra del letto, alcune riviste. Incuriosita, mi alzai e andai ad osservarle più da vicino.
-E queste? – gli chiesi, indicandole. – Non ti facevo il tipo da riviste. Specialmente da… Catwalk! – urlai, afferrandone una e mostrandogliene la copertina, indicandola con espressione totalmente sconcertata. – Oddio, sei proprio il fratello di Alice Cullen!
-Non fraintendermi, ero solo curioso.
-Curioso? E di cosa? – gli chiesi, inarcando un sopracciglio ed iniziando a sfogliare i vari giornali.
Notai che erano numeri diversissimi tra loro e, soprattutto, non consecutivi.
-Di leggere i tuoi articoli, in verità. – ammise candidamente. – Non me ne hai mai dato il permesso, così ho comprato tutti i numeri nei quali c’era qualcosa di tuo.
Per l’ennesima volta, quel giorno, rimasi senza parole.
I miei articoli. Aveva letto tutti i miei articoli. Proprio tutti.
Mi sentivo lusingata, imbarazzata e felice come non mai allo stesso tempo.
-E, per la cronaca, sono fantastici. – mi sussurrò all’orecchio, dopo essersi inaspettatamente avvicinato.
Andò nell’altra stanza, lasciandomi lì a gongolare come un’idiota.
 
Avvolta nel mio caldo pigiama e nella mia vestaglia, stavo per andare a letto.
Andai in cucina per bere un bicchiere d’acqua, prima di ritirarmi definitivamente nella mia stanza.
Il fresco di quel liquido mi stava invadendo la gola quando, all’improvviso, sentii la voce di Edward alle mie spalle.
Mi voltai, trovando anche lui in tenuta da notte.
Tra le mani stringeva un piccolo pacchetto blu scuro, sul quale spiccava una coccarda dorata a forma di stella.
-Questo è per te. Me ne stavo quasi dimenticando. – ammise, con aria colpevole, porgendomi l’oggetto. – Buon Natale.
Delicatamente, per paura di distruggere tutto, iniziai a scartarlo. Quando la carta fu sparita, mi ritrovai tra le mani una piccola agenda nera con qualche disegno stilizzato e colorato.
-Edward, grazie! E’… è bellissima, davvero. – dissi, piena di gioia.
Era decisamente il caso di dargli anche il suo regalo.
-Aspetta qui. – gli dissi, prima di sparire nella mia stanza.
Quando ne riuscii, stringevo titubante la raccolta di spartiti che avevo comprato, ovviamente incartata.
-Buon Natale. – gli sorrisi, mentre glielo consegnavo.
Iniziò a scartarlo e mi parve che ci stesse impiegando un’eternità. Speravo gli piacesse, altrimenti non so come avrei reagito.
-Ma è… meraviglioso. – disse, estasiato, sfogliando delicatamente le pagine. – E’ veramente bellissimo, Bella. Grazie.
Sorrisi timidamente, incredibilmente lieta del fatto che l’avesse apprezzato.
Non sapendo cos’altro dire, gli augurai rapidamente una buona notte e fuggii nella mia stanza.
Iniziai a cercare una penna. Volevo scrivere qualcosa su quell’agenda. Qualsiasi cosa, anche una stupidaggine. Anche solo il mio nome.
Mi sedetti sul letto ed accesi la lampada del comodino, aprendo il piccolo libretto alla prima pagina. Inaspettatamente, vidi che c’erano delle parole già scritte.
Erano scritte in corsivo, con una calligrafia elegantissima.
Affinché tu possa liberare la tua testolina da tutti i pensieri che, ne sono certo, vi frullano in continuazione.
- Edward.”
Mi ritrovai a sorridere da sola a trentadue denti. Ormai ero completamente andata.
Abbandonai l’agenda sulla trapunta e, senza curarmi minimamente del fatto che fossi scalza, uscii correndo dalla mia camera, diretta in quella di Edward.
Era in piedi davanti alla sua scrivania – probabilmente la stava risistemando – quando arrivai.
Ebbe appena il tempo di mostrarmi un’espressione perplessa che gli saltai al collo, stringendolo a me con forza.
-Ti voglio bene, Edward. – sussurrai, con il volto premuto sulla sua spalla.
-Anch’io te ne voglio, Bella. Tantissimo. – disse, dolcemente, ricambiando la mia stretta con altrettanta decisione.



Notes
BOMBA SGANCIATA, LADIES AND GENTS!
Ebbene sì. Edward, proprio il nostro indecisissimo Edward, ha finalmente rispedito Tanya nel posto da cui proveniva. Quale fosse questo posto, lo lascio scegliere a voi, perché sono una persona fine ed elegante, ecco. Ad ogni modo, ve lo sareste mai aspettato? Ma, soprattutto, vi sareste mai aspettate il modo in cui l'ha fatto? Alla nostra Bella ci mancava poco che venisse un infarto. Diciamo che è stata ripagata per un bel po' di cose...
C'è stato anche il tanto atteso scambio dei regali e avete visto anche la scelta di Edward. Ora ci aspetta un bel viaggio nella fredda Alaska. Cosa accadrà? ;)
Potrebbe risultare un capitolo un po' mieloso, ma... I REGRET NOTHING. I piccioncini che tubano, ogni tanto, ci vogliono. ♥
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Anchorage. ***


Anchorage.
 
Bella's PoV
Non seppi ben definire quanto tempo fosse passato dalla nostra partenza. Tra New York e la freddissima Anchorage c’erano state infinite ore di viaggio e innumerevoli scali.
Ovviamente non mancarono le ripercussioni di tutto ciò: una volta atterrata, tra la stanchezza generale e il non indifferente cambio di fuso orario, non sapevo neanche dove mi trovassi.
Così, come un automa, seguii Edward al ritiro bagagli e, successivamente, all’esterno, per raggiungere l’auto che lui aveva precedentemente affittato.
Una sferzata di vento gelido mi colpì in pieno viso, facendomi rendere conto delle temperature bassissime, ma risvegliandomi il tanto necessario per arrivare fino al sedile del passeggero. Non bastò, tuttavia, a tenermi sveglia una volta seduta.
-Bella, ehi. Svegliati, siamo arrivati.
La voce soave di Edward mi appariva lontana, quasi come un ricordo.
Mugugnai, in risposta alla sua richiesta.
Poco dopo, avvertii dei leggeri tocchi e delle delicate carezze che, probabilmente, avevano lo stesso intento delle parole pronunciate poco prima.
Qualche rumore ed un malcelato sbuffo più tardi, non sentii più né il sedile dell’auto né il riscaldamento dell’abitacolo. Stralunata e decisamente intontita, aprii appena gli occhi, rendendomi conto di essere stretta tra le braccia di Edward, che mi stava trasportando dentro casa.
In un qualsiasi altro momento sarei arrossita e avrei fatto i salti di gioia, ma in quel frangente non riuscii a trovarne la forza, per quanto, dentro di me, ci fosse un tumulto non indifferente.
Richiusi lentamente gli occhi, lasciandomi avvolgere dal calore di Edward, in pieno contrasto con il freddo dell’inverno in Alaska.
 
 
30 Dicembre
Sentivo la tiepida luce del mattino illuminarmi il volto, ma non avevo la minima intenzione di abbandonare il caldo rifugio del mio letto.
Fino a quel momento, infatti, la mia permanenza in Alaska era da considerarsi tutto fuorché una vacanza: sveglia presto tutte le mattine ed estenuanti visite della città completamente a piedi. Eravamo al terzo giorno e, dopo aver esplorato – quasi sicuramente per intero – Anchorage, pensavo di meritarmi un po’ di riposo e, soprattutto, un po’ di compassione da parte di Edward.
Quanto mi sbagliavo.
Erano passati solo alcuni minuti dal mio risveglio quando sentii delle nocche battere sul legno della porta della stanza. Non risposi, sperando che ciò bastasse a farlo desistere. Sfortunatamente, avevo dimenticato di avere a che fare con il ragazzo più cocciuto e determinato del pianeta.
Avvertii chiaramente il peso di Edward accanto a me, per quanto i suoi passi sul morbido tappeto che ricopriva il parquet fossero stati quasi impercettibili. Ciononostante, decisi di ignorarlo e fingere di essere ancora nel mondo dei sogni. Quel giorno volevo soltanto recuperare le energie perse nei precedenti.
-Bella, sono le undici passate. Hai dormito abbastanza. Abbiamo delle cose da fare, oggi!
Mi rimangiai tutto quello che avevo pensato sulle differenze caratteriali tra lui e sua sorella. Mi ero decisamente illusa.
-Mhhh. – mugugnai, ricoprendomi fino alla punta dei capelli con la trapunta.
-Dai, oggi c’è la parte più divertente! Beh, sempre che ti piacciano i cani.
Mi ritrovai ad ammettere che mi aveva incuriosita.
Feci lentamente scivolare la coperta sul mio volto, fermandola all’altezza del naso.
Dopotutto, fu un bel risveglio. Ancora non riuscivo a capacitarmi di quanto Edward potesse essere affascinante anche di mattina.
O forse sei tu che hai perso ogni facoltà mentale di fronte al suo sorriso e ai suoi occhi verdi. Mi rimbeccò il mio buonsenso.
-Hai catturato la mia attenzione. Approfittane, prima che cambi idea. – gli intimai, con tono minaccioso.
-Avrei voluto farti fare una piccola corsa su una slitta, ma poi ho ricordato quanto il tuo equilibrio sia precario ed ho cambiato idea. Tuttavia, ho pensato che potremmo comunque andare a dare un’occhiata. Convinta, adesso?
-Non del tutto, in realtà.
-E se ti dicessi che ci sono anche dei piccoli quanto adorabili cuccioli di husky? – mi provocò, con lo sguardo di chi la sa lunga.
Colpita e affondata.
 
-Oh, e quello grigio! Era il mio preferito, decisamente! Ma hai visto quanto era carino?!
Ero ufficialmente entrata in modalità Alice Cullen.
La mattinata sulle piste era stata fantastica, sia per l’esperienza in sé che per la presenza di Edward, che aveva reso il tutto ancora migliore. Ciononostante, non lo avevo ancora perdonato per l’avermi sottratto un giorno di riposo in piena vacanza, quindi avevo messo in atto il mio piano di vendetta.
Stando alla sua espressione esausta, stava funzionando.
-Ok, ok, ho colto il messaggio: non svegliare più la Bella che dorme. Ricevuto. Ora però basta, ti prego. – implorò, infine, sfinito.
Per una volta, avevo vinto io.
-Se ti preparassi una cioccolata calda con i fiocchi, mi risparmieresti?
-Non posso rifiutare una cioccolata calda. Sei decisamente perdonato. – affermai, sorridendo e sedendomi al tavolo della cucina.
Dopo alcuni minuti, lui prese posto di fronte a me, porgendomi una colorata tazza dalla quale spuntava solo un ciuffo di panna.
-Ci hai messo persino la panna, non posso non perdonarti! – esclamai, guardando la mia cioccolata con aria trasognata.
Lui rise e portò la sua tazza alle labbra. Io, per evitare di sbavare come un’adolescente alla sua prima cotta, decisi di dedicarmi alla mia.
Il liquido caldo scese lentamente lungo la mia gola, riscaldandomi in tutto il corpo. Con il freddo dell’Alaska, avevo agognato una cosa del genere per tre giorni. Dovetti addirittura trattenere un sospiro di piacere.
Quando rialzai lo sguardo su Edward, scoprii che ne avevo trattenuti due.
Nel bere la cioccolata, infatti, si era leggermente sporcato il labbro superiore di panna ed aveva avuto la brillante idea di ripulirsi utilizzando la sua lingua.
Un gesto rapido e naturale, che io continuavo a vedere a rallentatore nella mia testa in versione decisamente poco casta. E, come nelle più scontate commedie romantiche, avrei voluto essere io stessa ad eliminare quel sottile strato di crema bianca, utilizzando le mie labbra, la mia lingua.
Mi ritrovai a scuotere velocemente la testa, serrando gli occhi. Dovevo rimuovere quell’immagine e subito.
-Qualcosa non va? – mi chiese, con tono leggermente preoccupato.
-No, no, figurati. E’ solo che…
Pensa in fretta, Bella. Pensa in fretta!
-… la cioccolata era bollente e mi sono scottata. – conclusi, aggiungendo il più verosimile dei miei sorrisi imbarazzati, che non era poi così falso, a dirla tutta.
-Sei sempre la solita. – affermò, scrutandomi con un dolcissimo sorriso sulle labbra.
Abbassai lo sguardo, mentre arrossivo timidamente – più per i miei pensieri che per la sua espressione, in verità.
 
Finii velocemente la bevanda, per poi salutare Edward e recarmi in camera mia: avevo bisogno di pensare con tranquillità a ciò che mi stava succedendo.
Mi gettai sul letto, atterrando di schiena e con lo sguardo al soffitto. Finalmente sola con me stessa, rilasciai un sonoro sospiro.
A momenti non mi riconoscevo più. Ogni cosa di me – la mia mente, il mio corpo – vagava in una direzione opposta a quella che mi sarei aspettata dalla persona che in più di vent’anni di vita avevo imparato a conoscere.
Ogni reazione mi risultava inaspettata, così come era stato inaspettato l’incontro con Edward.
Già, Edward. Era stato lui a far cambiare strada ad ogni mio pensiero, facendolo ripiegare immediatamente su di lui.
Ormai era parte delle mie mattine, delle mie giornate e persino delle mie notti, quando occupava i miei sogni.
Ero abbastanza intelligente da capire che, di conseguenza, quello che provavo per lui – perché qualcosa c’era, era inutile negarlo a quel punto – andasse ben oltre un’infatuazione momentanea.
Ma era davvero amore, quello che sentivo per quel ragazzo dai capelli rossi che mi aveva tanto rapita?
Ero sempre stata convinta che ci si innamorasse di una persona solo conoscendola bene. Ed io della sua vita sapevo ben poco.
Riflettei più a fondo.
Ero cresciuta, non avevo più le stesse convinzioni. Realizzai, tra l’altro, che era cambiata anche la mia concezione di “conoscenza”. Perché era vero, io sapevo poco e niente del passato di Edward, ma riuscivo a riconoscere ogni più piccola espressione sul suo volto, ogni cambio di sfumatura nei suoi occhi. Non è conoscersi, questo?
In un moto di frustrazione, portai le mani alle tempie e le infilai lentamente tra i capelli, districandoli appena.
Lui mi aveva stregata, su questo non vi era alcun dubbio. Mi aveva incantata come nessuno aveva mai fatto.
E non vi erano dubbi neanche su quanto mi attraesse fisicamente. Beh, sfido chiunque a affermare che Edward Cullen non sia di una bellezza stupefacente
Eppure… c’era sempre una piccola parte, in me, che mi teneva lontana dall’abbracciare fino in fondo tutte quelle nuove sensazioni, raggruppandole sotto il nome di “amore”.
Sbuffai. Ero stanca di lottare. Razionalità, buonsenso, coscienza o chi per loro si erano arresi del tutto. Non potevo continuare a negare quello che provavo: a lungo andare mi avrebbe distrutto dall’interno.
Io amavo Edward. Non c’era via d’uscita.
Ma lui? Perché lui, la perfezione scesa in Terra, avrebbe dovuto sentire per me anche solo un millesimo di ciò che io sentivo per lui? Era impossibile.
Preferii, tuttavia, non gettare la spugna troppo presto. Rivolevo la Bella determinata e coraggiosa che aveva deciso di trasferirsi dalla uggiosa Forks alla sfavillante New York, quella che sceglieva di affrontare ogni rischio.
Avrei detto a Edward come stavano le cose. Un rifiuto mi avrebbe dilaniato il cuore in mille piccoli pezzi, ma dovevo a me stessa un tentativo. Lo dovevo alla ragazza descritta poco fa.
Sfinita da tutte quelle speculazioni, mi addormentai, senza neanche sapere che ora fosse.



Notes
Scusate, scusate, scusate! Questo ritardo non era decisamente programmato, ma purtroppo, come vi ho già anticipato, quest'anno tocca anche a me con la maturità e lo studio mi sta portando via abbastanza tempo. Di conseguenza, vi avviso già da ora che non garantisco la puntualità dei prossimi aggiornamenti. Almeno, non fino alla fine degli esami.
Venendo al capitolo, devo dirvi che l'ho tagliato. Ebbene sì, ho preferito spezzarlo in due perché era venuto fuori davvero un capitolone! Inoltre, visto che ci stiamo avvicinando al termine della storia, non mi sembrava neanche il caso di smollarvi la conclusione così, come se niente fosse. 
Comunque, inizia questa vacanza-non-tanto-vacanza. Freddo, neve ovunque e adorabili cagnolini da slitta. Per non parlare del bonus: Edward. Bella dovrebbe essere in brodo di giuggiole invece di lamentarsi, no? ;)
Ha trovato tuttavia il tempo per mettersi a posto le idee. Ed era anche ora, direi. Se non ammette con se stessa ciò che prova, come può, in un ipotetico futuro, esternarlo a Mr. Occhi Verdi?
Un capitolo riflessivo, decisamente.
Vi ringrazio tutte per i numeri esorbidanti di visuallizzazioni e per le gentilissime recensioni - alle quali risponderò nei prossimi giorni, promesso!
Ci vediamo... prossimamente, ecco. :*

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Ghiaccio e neve. ***


Ghiaccio e neve

Bella's PoV
31 Dicembre
La luce entrava con forza dalla finestra, che avevo totalmente dimenticato di oscurare con le tende, la sera precedente.
Mi drizzai a sedere, guardandomi attorno intontita e con gli occhi socchiusi, chiedendomi che ore fossero e che ci facessi ancora con i vestiti del giorno prima. Poi ricordai.
Presi il cellulare e, con somma sorpresa, scoprii che era ormai passato mezzogiorno.
Non avevo cenato e iniziavo a sentirne gli effetti, così mi resi il più presentabile possibile e scesi al piano inferiore.
Nella cucina trovai Edward, intento a preparare del caffè.
-Ehi. – mi salutò, sorridendo, poiché mi aveva sentita arrivare.
Aveva un’espressione piuttosto assonnata e si scompigliò leggermente i capelli, rendendoli più spettinati di prima, se possibile.
-Buongiorno. – gli risposi, con la voce ancora impastata dal sonno.
-Dimmi che sei favorevole ad un brunch, perché io sono sveglio da circa dieci minuti e non mi va né di fare colazione né di pranzare, ma ho una fame da lupi.
-Sono favorevole a qualsiasi cosa, purché ci siano cibo e caffeina. – feci una breve pausa – Tu perché ti sei svegliato così tardi? Pensavo fossi un tipo mattiniero…
-E lo sono. Devi esserlo, se lavori in un ospedale. Tuttavia, stanotte non sono riuscito a dormire.
-Troppi pensieri?
-In effetti, sì. – mi rispose, con un tono piuttosto strano.
Avrei voluto approfondire la questione, ma non mi sembrava adeguato. Sarebbe stato ficcanasare e non mi andava.
Bevemmo il caffè nel più totale silenzio.
-Comunque, ho un dubbio: cosa si mangia ad un brunch? – gli chiesi, per stemperare l’atmosfera tesa che si era venuta a creare.
-Non ne ho idea, ma in questo momento ho voglia di pancakes.
-Allora preparali; io taglio della frutta, nel frattempo.
-Agli ordini, capitano Swan! – disse ironicamente, portandosi una mano alla fronte a mo’ di saluto militare.
Gli riservai una linguaccia, iniziando a sbucciare e tagliare delle mele. Misi i pezzi di mela in una ciotola e, in un’altra, dei lamponi e mirtilli che avevo trovato nel frigorifero.
Quando anche Edward finì di preparare i pancakes, ci sedemmo al tavolo della cucina e mangiammo.
-Prima la cioccolata calda e adesso i pancakes. Cavolo, Edward, dovrò ritirare tutte le cose che ho sempre pensato sul fatto che il gene Cullen implicasse la totale incapacità in cucina! – lo derisi.
-Anche tu sei una continua sorpresa. Mi aspettavo qualche caduta improvvisa sulla neve e invece niente. – mi rispose a tono.
-Perché non c’è neve.
-Oh, allora suppongo che tu non abbia ancora visto com’è fuori.
Esaltata come una bambina, corsi alla finestra più vicina e ciò che vidi mi lasciò a bocca aperta.
L’intera zona antistante la casa, le auto, ogni cosa era ricoperta da un morbido manto bianco. Veramente bianco, non come la neve di New York, che si scioglieva diventando grigia in brevissimo tempo.
-Non è fantastico? – disse la sua voce, improvvisamente alle mie spalle.
Mi girai lentamente e lo trovai più vicino di quanto mi aspettassi. Mi sembrava che i suoi occhi fossero completamente immersi nei miei.
Tuttavia, quella situazione durò appena pochi secondi.
-Andiamo fuori, dai. – disse, accompagnando la sua proposta con un gesto del capo rivolto alla porta.
Così, dopo essermi munita di un caldo berretto e di guanti per affrontare il freddo, uscii di casa.
Bastarono pochi passi perché i miei piedi affondassero completamente nella neve da poco caduta.
Quella situazione mi ricordava la mia infanzia nel piovoso e altrettanto gelido stato di Washington.
Mi tornò alla mente del tempo in cui Renée viveva ancora con me e Charlie e, ogni inverno, passavamo ore a fare stranissimi pupazzi di neve che, prontamente, il giorno dopo erano scomparsi a causa di altra neve caduta durante la notte o per colpa del vento.
Sorrisi tra me e me al pensiero, ma fui riportata alla realtà dal rumore di un colpo sul muro poco lontano da me. Mi voltai per controllare cosa fosse stato e notai una massa bianca scomposta all’ingresso.
-Argh, la medicina mi ha arrugginito parecchio! – disse la voce di Edward, che poco dopo spuntò dal nulla.
-Oh, ti prego, odiavo questo gioco anche da bambina! Non puoi ripropormelo a ventiquattro anni suonati, è da immaturi.
-Hai perfettamente ragione. Di conseguenza, - aggiunse, sfoderando un sorriso ironico – eviterò anche la seconda parte del mio piano infantile. Niente pupazzo di neve, peccato.
Le mie sopracciglia scattarono all’istante al sentire quelle parole.
Era quasi come se lui fosse riuscito a captare ciò che mi passava per la mente poco prima e avesse voluto ricreare nella realtà quelle immagini.
Riusciva sempre a capire cosa mi rendeva felice, in un certo senso.
Scossi la testa, eliminando quelle idee ridicole.
-Ti concedo di costruire un pupazzo, se prometti di non lanciarmi più nulla.
-Affare fatto. – affermò, porgendomi una mano inguantata come a suggellare quel patto.
Feci appena in tempo a stringerla che lui mi attirò a sé, usando quella stretta come leva.
Mi ritrovai tutt’a un tratto imprigionata dalle sue braccia, completamente attaccata al suo petto.
Mi scostò leggermente, permettendomi di guardarlo negli occhi.
-Ho detto di no solo alla guerra con le palle di neve, ricordatelo. Gli altri colpi di scena mi sono ancora concessi. – disse, enigmaticamente, per poi allontanarsi.
Io rimasi in quel punto ancora qualche istante, cercando di dare un senso alle sue parole. Non riuscendoci, tornai alla realtà e lo raggiunsi nel punto in cui aveva iniziato ad ammassare la neve.
E tra sorrisi rubati, risate per stupidaggini e il freddo che aumentava sempre più, concludemmo la nostra opera.
Non avendo carote né bottoni, gli occhi e la bocca del pupazzo li creammo con dei buchi delle dita, dandogli un aspetto decisamente più simile a quello di una zucca di Halloween che a un classico pupazzo di neve.
-Ho deciso che lo chiameremo George. – affermai, con risolutezza.
-George? – disse Edward, scoppiando a ridere.
-Non ti sembra che abbia una faccia da George? – gli risposi, piccata, indicando con un gesto della mano… George.
-Rientriamo, Bella: il freddo ti ha dato alla testa.
Mi prese per mano, trascinandomi con sé verso la porta di casa.
Per quanto entrambi indossassimo dei guanti, non potei negare di aver sentito una scossa partire da quel contatto più che innocente. E sperai vivamente di non essere stata l’unica ad avvertire quella sensazione.
 
Pensai che le sorprese fossero finite per quel giorno. Come spesso accadeva quando si trattava di Edward, mi sbagliai.
Dopo aver preparato il necessario per la cena, infatti, mi portò con sé davanti all’auto, porgendomi un pezzo di stoffa nera. Si avvicinò maggiormente a me e vidi le sue braccia allungarsi ai lati del mio viso. Realizzai, a quel punto, che voleva coprirmi gli occhi con quella sorta di benda.
-Edward, conosco pochissimo la città: non capirei comunque dove stiamo andando. – sbottai, infastidita dal non conoscere la nostra meta.
-E io sono del parere che una sorpresa o la si fa bene o è meglio non farla per niente. Ti aiuto a salire in macchina, dai.
Sentii la portiera dalla parte del guidatore chiudersi e, poco dopo, il suono del motore che prendeva vita.
 
-Ancora un altro passo e poi puoi aprire gli occhi, te lo prometto. – disse, tenendomi per mano e guidandomi in un luogo probabilmente al chiuso, ma dalla temperatura comunque bassa.
Fu di parola. Non appena ci arrestammo, le sue mani abili e veloci mi slegarono la benda e potei vedere dove mi trovavo.
Si trattava di una immensa distesa di ghiaccio, circondata da barriere colorate alte poco più di un metro. La pista era interamente ricoperta da un’alta cupola e, tutt’intorno ad essa, si trovavano degli spalti.
Fortunatamente, Edward non mi fece domande su cosa pensassi. Ero troppo allibita e, in una certa misura, spaventata: conoscendo le mie doti di sportiva, avevo il terrore di ciò che potesse succedermi su dei pattini da ghiaccio, per quanto la sua presenza al mio fianco mi confortasse.
Presi un profondo respiro e lo seguii verso una sorta di magazzino, dove probabilmente avremmo trovato i pattini delle nostre misure.
Mi sorpresi nel trovare quel luogo completamente deserto, ma poi ricordai che era la vigilia di Capodanno ed era quasi ora di cena. Tutti gli abitanti della grande città, probabilmente, si trovavano al caldo nelle loro case, attendendo con ansia la cena e l’arrivo dell’anno nuovo.
Io, dal canto mio, preferii non pensarci. Un anno nuovo stava per iniziare, ma ce n’era anche uno che stava per finire. Uno meraviglioso, per quanto mi riguardava.
Temevo che le belle cose successemi in quel periodo potessero non ripetersi da lì a ventiquattr’ore.
Trovammo i pattini del nostro numero e, seppure io restassi alquanto titubante, fui aiutata da Edward ad arrivare sulla pista.
-Qualunque cosa accada, non lasciare la mia mano. – lo implorai.
-Non ti facevo così fifona. – mi rispose, iniziando a pattinare lentamente, ma comunque con un’aria agile ed elegante.
-Le cose nuove mi spaventano, non posso farci niente.
Mi stupii io stessa di quanto una frase così casuale potesse essere incredibilmente vera.
-Non hai mai pattinato sul ghiaccio? – mi chiese, voltandosi verso di me e osservandomi stupito. – A Port Angeles hanno allestito una pista molte volte, mi sorprende che i tuoi non ti ci abbiano mai portata.
-Ero io a non volerci andare. Conosco le mie condizioni di equilibrio precario e, tra l’altro, non mi è mai sembrata una cosa così divertente.
-Il mio obiettivo è di farti cambiare idea, allora. Certo, questo non è proprio il Rockefeller Center, ma servirà allo scopo. – concluse, ammiccando nella mia direzione.
Pattinavamo già da un po’, ormai – o meglio, Edward pattinava, muovendosi lentamente con me attaccata alla sua mano – quando si bloccò improvvisamente.
I suoi occhi si fecero seri, le sopracciglia aggrottate. Manteneva lo sguardo basso, senza dire nulla.
-A cosa pensi? – gli chiesi, con una spontaneità che mi sembrò quasi irreale.
La stessa domanda che avevo temuto di porgergli, quella mattina stessa.
-A questo momento. – e puntò i suoi occhi nei miei, spiazzandomi – A me e a te, qui ed ora. Al fatto che se non lascio uscire queste parole adesso, so che mi divoreranno dall’interno. Quindi, poco importa se me ne pentirò.
Seguire il suo discorso mi parve improvvisamente difficile. Sentivo il cuore battermi così forte da offuscare qualunque altro suono o pensiero, senza contare l’assenza di ossigeno che stava opprimendo i miei polmoni.
-Io… - continuò, titubante – Io mi sono innamorato di te, Bella Swan. Non so come sia successo, né quando. L’unica cosa di cui sono certo è che gli istanti che ho passato con te in questi ultimi mesi hanno rivoluzionato completamente la mia vita. Quando non sei con me, è come se mi mancasse qualcosa. E il pensiero che queste mie parole possano dividerci per sempre mi distrugge, ma davvero non posso continuare a mentirti. A starti accanto e fingere che per me non significhi nulla. Ad annegare i miei sentimenti nel silenzio solo per paura di soffrire di nuovo. E quindi eccomi qui, a straparlare e a sperare che tu possa almeno concedermi un’opportunità.
Sbattei le palpebre più volte, frastornata, sommersa dalle mie emozioni, dalle sue parole, da tutto.
Passarono i secondi e mi sembrò di non ricordare neanche come si respirasse.
Poi, al mio silenzio, i suoi occhi si fecero tristi e scuri.
Fu l’ombra di delusione nel suo sguardo che riattivò la circolazione di adrenalina nel mio corpo.
Non so esattamente dove trovai il coraggio per farlo. Non ero mai stata il tipo di persona che “prendeva l’iniziativa”. Sta di fatto che, velocissimamente, mi avvicinai ancora di più a lui, gli presi il volto tra le mani e poggiai le mie labbra sulle sue.
Poche volte nella mia vita mi era capitato di sentire che ogni cosa era dove dovesse da sempre essere. Quel momento rientrava in quelle volte.
Superato lo shock iniziale, sentii Edward rilassarsi e contraccambiare il bacio, accompagnandolo con un sorriso.
E mi ritrovai ancora una volta ad ammettere che, in fondo, né i miei sogni né il bacio scambiatoci dinnanzi a Tanya  gli avevano reso giustizia. La morbidezza delle sue labbra, il suo respiro che si univa al mio, le sue mani che mi accarezzavano delicatamente la schiena erano cose che neanche il mio subconscio da sedicenne emozionata sarebbe riuscito a riprodurre al meglio.
Non realizzai del tutto come ci separammo, come tornammo a casa o con cosa cenammo. Tutto il mio essere era stato scosso da quella dichiarazione e da quel bacio e non riuscivo ad articolare pensieri che non li riguardassero.
-A cosa pensi? – mi chiese Edward, mentre eravamo sul divano ad attendere l’arrivo della mezzanotte e ripetendo le mie parole di qualche ora prima.
-A me e a te. Qui ed ora. – feci lo stesso, intrecciando le mie dita alle sue.
Mi sorrise, contagiando anche me con quella luce che solo i suoi sorrisi emanavano.
Poi, dei forti scoppi ci fecero voltare simultaneamente verso la finestra. In lontananza, nel cielo scuro e senza stelle, sprazzi di ogni forma e colore rilucevano splendenti.
Era ormai scoccata la mezzanotte. E c’era una sola cosa che volevo dire per iniziare il nuovo anno.
-Ti amo, Edward Cullen. – dissi, a voce non troppo alta, richiamando la sua attenzione su di me.
Lui mi regalò un altro sorriso, prima di sussurrare di rimando un “Ti amo anch’io, Isabella Swan” e baciarmi nuovamente.



Notes
TA-DAAAAN! Sono tornata con una bomba, eh?
Ebbene sì, rieccomi. In realtà, io e il liceo abbiamo chiuso esattamente una settimana fa, ma ho avuto bisogno di tempo per riprendere un contatto quantomeno decente con la realtà.
Credo ci sia poco da commentare su questo capitolo, in verità. Se siete sopravvissuti agli unicorni rosa e allo zucchero filato in abbondanza, allora meritate tutto il mio amore e la mia stima.
Un applauso però lo farei ad Eddy, che finalmente ha detto come la pensa e ha avuto il coraggio di dichiararsi a Bella. ALLELUJA! 
Come mi avevo anticipato, si tratta dell'ultimo capitolo vero e proprio. Già, la storia finisce qui. Ma non preoccupatevi, nel weekend c'è un breve epilogo che vi aspetta, con tutti i saluti e i ringraziamenti del caso.
A presto, allora!

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Capitolo 16
*** Epilogo. ***


Epilogo
Bella's PoV
22 Marzo
Lisciai l’ultima piega del mio abito color crema e poi, finalmente, gettai uno sguardo alla mia immagine riflessa nello specchio. Sorrisi alla Bella che mi stava davanti, fiera del suo aspetto: sicura sui suoi tacchi in tinta con il chiaro abito che le arrivava al ginocchio, con i capelli raccolti sulla nuca, trucco luminoso sul viso e un bouquet di fiori tra le mani.
Feci una piroetta, accompagnandola con l’ennesimo sorriso di quella giornata. Di certo non sarebbe stato l’ultimo: quello era un giorno che avrei stampato per sempre nella mia memoria.
Uscii dalla mia camera e mi avvicinai al bagno, osservando da lì varie persone tutte intorno ad Alice, impegnate ad acconciarle i capelli e truccarle il viso. Quando tutti ebbero finito, Rosalie spuntò dall’altra stanza, portando con sé il magnifico abito bianco che di lì a poco la mia amica bruna avrebbe indossato.
Ebbene sì: Alice Cullen stava per coronare l’ennesimo dei suoi sogni.
Durante il famigerato viaggio natalizio, infatti, Jasper le aveva chiesto di sposarla. E, come è facilmente prevedibile, lei aveva accettato.
In effetti, la sorpresa era stata soltanto sua – il che la dice piuttosto lunga. Sia io che Rosalie ci aspettavamo una cosa del genere già da un po’. Ciononostante, non potevamo essere più felici di così per la nostra comune amica.
Abbandonai le riflessioni per ammirare la figura di Alice, avvolta nel suo abito a sirena con maniche appena accennate e decori di pizzo. Era davvero radiosa.
-Sì, ragazze, lo so che sono bellissima. Mi sembra ora di andare, però. E’ già da mezz’ora che i miei invitati aspettano!
Non ricordo molto del viaggio fino alla chiesa. Forse perché eravamo tutte troppo emozionate per parlare e dire qualcosa di memorabile.
Poi, giunse il momento di percorrere la navata. Presi un profondo sospiro, sperando che tutta la sicurezza che avevo sentito poco prima tornasse.
E se fossi caduta? Che figura avrei fatto? Magari sarei inciampata in uno dei petali di rosa sparsi sul percorso. Ugh, che bisogno c’era di costruire una chiesa così grande, con un percorso così lungo da intraprendere?
-Bella, muoviti! – sentii Alice richiamarmi all’ordine e fui costretta ad abbandonare tutte le mie paure.
Fu più semplice di quanto mi sarei aspettata, tuttavia. Mi bastò mettere un piede davanti all’altro, lentamente, concentrandomi solo sulla marcia nuziale che accompagnava i passi miei, di Rose, di Alice e Carlisle al suo fianco. E anche sul ciuffo ramato che riuscivo ad intravedere accanto a Jasper.
Quando finalmente raggiungemmo l’altare e ci posizionammo nel modo corretto, Edward mi scoccò un occhiolino, al quale non potei che rispondere con un sorriso mal celato.
Fu una cerimonia breve, ma toccante. Piangemmo praticamente tutti di fronte alle promesse di Jasper, ma fummo risollevati da quelle di Alice, che non avrebbe mai permesso ai proprio ospiti di avere un make up rovinato proprio nel giorno del suo matrimonio. Non dopo tutta la fatica che aveva fatto ad organizzarlo, almeno.
-Signorina, credo di non aver avuto la possibilità di dirle quanto sia magnifica quest’oggi. – mi raggiunse la voce di Edward, quando i due sposi si erano già avviati verso l’uscita.
-Stai dicendo che di solito non lo sono? – gli risposi, con tono fintamente offeso.
-Ah, ecco che ritorna la Bella che conosco, sempre lì a trovare il pelo nell’uovo! – disse, posandomi poi un leggero bacio su una guancia.
-Andiamo, prima che ci lascino indietro! – tagliai corto, prendendolo per mano e trascinandolo fuori dalla chiesa.
Raggiungemmo l’hotel dove si sarebbe svolto il ricevimento con la sua auto, poi ci sedemmo al nostro tavolo, trascorrendo una serata in compagnia, tra risate, brindisi imbarazzanti – neanche a dirlo, proposti da Emmett – e piatti che, se non in quella situazione, non avremmo neanche mai considerato di assaggiare. Almeno non io. Non la me di qualche mese fa.
Ero cambiata in quei mesi, in effetti. Era cambiato il mio modo di vedere le cose, il mio modo di prendere la vita.
-Bella, sbrigati, c’è il lancio del bouquet! – mi chiamò Rosalie, ridestandomi dalle mie riflessioni filosofiche.
Ancora un po’ persa tra i miei pensieri, mi aggregai al gruppo di ragazze trepidanti, in attesa di scoprire chi avrebbe ottenuto il tanto agognato mazzo di fiori.
Non mi ero nemmeno accorta del fatto che Alice lo avesse lanciato, finché… non mi precipitò dritto tra le mani.
Sgranai per un istante gli occhi, incredula, poi li sollevai verso Alice, che batteva le mani sorridendo.
Girai la testa in varie direzioni, finché non trovai lo sguardo che davvero stavo cercando. E due occhi verdi come smeraldi si riflessero nei miei, bloccandomi il cuore nel petto.
Era vero, ero cambiata.
La nuova Bella prendeva decisioni e non si limitava a riflettere o a sorridere timidamente al ragazzo che le piaceva.
La nuova Bella agiva e aveva molte meno preoccupazioni per le conseguenze delle proprie azioni.
La nuova Bella non aveva paura di ciò che la aspettava.
Perché sì, mi ritrovai ad ammettere, il mio futuro costituiva per me ancora un grande e nebuloso interrogativo.
Ma avevo imparato ad apprezzare gli imprevisti, ad abbracciare completamente le cose inaspettate. In fondo, tra loro c’era anche Edward. Era arrivato dal nulla e, pian piano, si era reso parte integrante della mia vita. E dubito che gli avrei permesso di uscirne.
Non so cosa il futuro abbia in serbo per me. So solo che Edward sarà al mio fianco… e questo, almeno per il momento, mi basta. 


Notes
Ebbene sì: siamo giunti alla fine di "Unexpected". Ho ormai sbarrato la casella "completa".
Concludo nel mio solito stile: con un ritardo e delle scuse. Vi avevo promesso un aggiornamento fra sabato e domenica, ma c'erano delle parti in questo epilogo che ancora non mi convincevano e che quindi ho voluto cambiare.
Ad ogni modo, cercherò di farla il più breve possibile. Inizierò dai ringraziamenti.
Appare scontato, ma il primo grandissimo grazie va a tutte le persone che hanno seguito il mio piccolo delirio - e, soprattutto, i miei sbalzi temporali. Grazie a tutte coloro che hanno letto, seguito, preferito e recensito questa storia. Non avete idea di quanto abbia apprezzato tutto ciò, davvero.
In secondo luogo, grazie mille ai miei personaggi lunatici, che mi hanno sopportata fino a qui.
E, infine, grazie anche ai tanti ottimi scrittori che ho incontrato in questi anni, su efp e non. Mi avete ispirata tantissimo. Ma grazie soprattutto agli scrittori mediocri, che mi hanno spronata ad andare avanti e ad avere fiducia nelle mie storie, facendomi pensare dei presuntuosissimi "Cavolo, io so fare molto meglio di questa roba!".
Mi mancherete un po' tutti, davvero.
NO, NO, I FAZZOLETTI NO, VI PREGO! Spero di incontrarvi ancora su questo sito, perché non credo che questa sarà l'ultima volta che sentite parlare di me. A... poi! Un bacio. ♥

Cherry

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