But what if I was the secret?

di contagiouscream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


Chapter 1   

 

 

 

Erano le sei e mezza di mattina ed io, come capitava ogni anno, ero tesa come una corda di violino.

L’agitazione che precedeva l’inizio della scuola purtroppo per me, non esisteva solo nei film o nei racconti di quei libri dove tanto amavo rifugiarmi, era dannatamente reale.

Nonostante la mezz’ora di anticipo rispetto al suono della mia sveglia, mi alzai in punta di piedi dall’ampio letto posto al centro di camera mia e, silenziosamente mi avvicinai allo specchio dove vidi riflesso il mio volto, pallido e impaurito.

Avrei cominciato l’High School in quella che era la Mission Bay, qui a San Diego, ovvero la scuola dove mio padre Roman insegnava musica. Era proprio grazie a lui e soprattutto a quest’ultima che riuscii ad entrare con una borsa di studio in pianoforte, lo strumento che fa parte della mia vita da che ne ho memoria.

Mentre mi spazzolavo i lunghi capelli biondo miele seduta di fronte allo specchio, pensavo e ripensavo con grandi incertezze a quello che mi sarebbe aspettato. Generalmente si dicono cose strane, meravigliose ma allo stesso terribili sulle scuole superiori e la paura di essere troppo fragile per affrontare il mondo intero continuava ad presenziare in me come un fantasma del passato.

“Che stupida paranoica!” pensai tra me e me, mentre sistemavo i lunghi capelli in una morbida treccia che scendeva lungo una spalla. Sorrisi a me stessa allo specchio, per poi alzarmi e dirigermi verso il bagno, pronta a rinfrescarmi.

Arrivate le sette e mezza ero pronta per partire, insieme a mio padre, alla volta di quella che sarebbe stata una nuova ed importante esperienza della mia vita.

Uscita velocemente di casa, mi voltai con immediatezza verso casa del mio migliore amico Jaime.  Cominciai a ridere teneramente nel vederlo ripiegato sulla sua bicicletta intento a slegare il catenaccio, così lo richiamai con un piccolo fischio per salutarlo da lontano. Siamo cresciuti insieme e per me è diventato quasi un fratello, di cui sentirò parecchio la mancanza adesso che frequenteremo scuole diverse.

“E’ un peccato che non abbia deciso di venire alla Mission Bay insieme a te, tesoro... Avresti conosciuto qualcuno ed io sarei stato più tranquillo.” disse papà, pensieroso mentre caricava degli strumenti in auto.

“La El Capitan è molto più vicina pa’, non possiamo biasimarlo.” risposi, lasciandomi scappare una leggera risata che sapeva quasi di malinconico. Mi mancherà avere tra i piedi il mio migliore amico a qualsiasi ora.

Dopo avermi risposto con una sottospecie di grugnito e qualche parola farfugliata, prendemmo entrambi posto in macchina e partimmo.

Il tragitto casa – scuola volò e, una volta arrivata, con mio gran imbarazzo scesi dall’auto stringendo la mia tracolla come se fosse una persona amica e non più un’oggetto.

“Tranquilla Mia, andrà tutto bene.” mi rassicurò mio padre, prima di strizzarmi un rapido occhiolino e andare a parcheggiare la macchina.

A passi incerte nelle mie inseparabili vans nere, cominciai ad avvicinarmi a quella scuola che tanto mi affascinava ma allo stesso tempo spaventava. Ovunque posassi il mio sguardo c’era qualcosa pronto ad incuriosirmi e a terrorizzarmi, come i ragazzi della banda e quelle meravigliose cheerleader che con passo fiero si facevano largo tra gli studenti. Erano una più bella dell’altra e, in tanta bellezza, mi sentivo come una piccola formica.

Dopo essermi fatta strada verso l’immensa entrata, tra sguardi d’approvazione o di superiorità lanciati da chiunque mi incontrasse, mi diressi velocemente verso l’auditorium, dove si sarebbe tenuto il discorso di benvenuto del preside alle matricole, davanti ovviamente a tutti gli studenti.

Un altro motivo per cui ero incredibilmente agitata: avrei dovuto suonare un brano davanti a tutte quelle persone. Il pensiero mi faceva rabbrividire, così come l’assenza di Jaime che, da più di dieci anni, non mancava ad una mia esibizione per farmi coraggio. E proprio in quel momento, sentii una vibrazione nella tasca sinistra dei miei jeans neri.

Jaime – “Non mi sono dimenticato, sai? In bocca al lupo tesoro, sarai bravissima come sempre… Ti voglio bene! E passa una meravigliosa giornata J

Sorrisi quasi come una bambina alla vista di Babbo Natale e con mille ringraziamenti e altrettante dolcezze e premure gli risposi, dirigendomi poi verso le quinte per sistemare il tutto prima del fantomatico saluto.

Improvvisamente quello che era un leggero brusio dato dal chiacchiericcio degli studenti fu interrotto dalla voce del preside che richiamava questi ultimi nell’auditorium. In men che non si dica tutti gli studenti raggiunsero il posto e, con le gambe che tremavano più di una foglia, raggiunsi anche io il mio posto in prima fila, in modo da raggiungere più facilmente il mio pianoforte digitale.

Una volta iniziato il discorso del preside agli studenti, la presentazione dei professori, tra cui quelli nuovi e vari i programmi dell’anno per ogni corso, prima di salutare con un caloroso benvenuto le matricole, sentii pronunciare da quell’uomo il mio nome.

“Mia Yvonne Hamilton, potresti raggiungermi gentilmente?” disse in modo pacato, rivolgendomi un grande sorriso prima di presentare il brano con cui a nome della scuola avrei dato inizio al nuovo anno scolastico.

Senza nemmeno pensare a cosa stavo facendo, mi alzai velocemente e raggiunsi il mio piano, senza guardare alcuna persona.

Cominciai a suonare quella sinfonia senza rendermene conto, nota dopo nota, lasciandomi trasportare da ciò che amavo di più fare, dimenticandomi di tutte quelle persone che mi stavano guardando. Dopo diversi minuti terminai e, preso un gran sospiro, lasciai che un piccolo sorriso fece capolino sul mio viso, alzando lo sguardo verso quello che per quei minuti era stato il mio pubblico. Accolsi felice quell’applauso che sapeva di sincerità e tirai un sospiro di sollievo, volgendo lo sguardo verso mio padre che, dopo un gesto d’approvazione, mi chiamò vicino a sé, dove velocemente andai a sedermi mentre il preside finiva quello che era il discorso d’inizio anno.

Con l’augurio di un buon anno scolastico, il Preside invitò i ragazzi ad andare nelle loro classi e, aspettato che la maggior parte delle persone andassero, salutai definitivamente mio padre, per poi infilarmi tra quel che restava della folla di gente e disperdermi tra loro nel modo più anonimo possibile.

Quando la ressa di persone era ormai scomparsa, sentii una presenza afferrarmi delicatamente il braccio. Nella mia timidezza mi voltai lentamente e, con mia gran sorpresa, vidi un ragazzo con dei lunghi capelli castani e due occhi da cerbiatto sorridermi.

“Ehm.. Ciao, perdona l’irruenza, volevo solamente dirti che mi hai davvero colpito con quel brano…” lo sentii farfugliare in modo timido ma incredibilmente dolce.

Gli risposi con un delicato sorriso e un “Grazie” sussurrato appena tant’era la mia timidezza.

Nel preciso istante in cui stavo per girarmi, pensando a quanto fosse stato dolce da parte di uno sconosciuto complimentarsi con me per una cosa a cui tengo immensamente, quest’ultimo mi bloccò nuovamente, porgendomi con la stessa timidezza di prima la mano.

“Comunque sono Vic, mi sembrava giusto dirtelo.” bisbigliò nuovamente, in quel caos di persone che finalmente erano totalmente defluite nei corridoi.

Afferrata la sua mano con leggera incertezza, continuai a sorridergli in modo più che sincero, arrossendo lievemente sulle guance data la mia gran timidezza.

“Piacere Vic, io sono Mia!” aggiunsi per correttezza, prendendo successivamente a camminare accanto al ragazzo per i corridoi, in direzione delle nostre classi.

“Sei una matricola giusto?” mi chiese con gran curiosità, squadrandomi dalla testa ai piedi.

Quello sguardo così presente su di me mi fece rabbrividire per un istante. Ebbi a quella domanda, l’impressione di aver sbagliato qualcosa. Come facevo ad essere così prevedibile?

“Ehm, sì… Perché? Anche tu matricola?” chiesi, quasi impaurita da una sua risposta

“Qualche anno fa forse… Sono all’ultimo anno!” mi disse, rivolgendomi poi un veloce occhiolino prima di riprendere a parlare: “Ragazze come te ai miei occhi non passano inosservate, non avresti potuto essere che una novellina!” asserì in conclusione, lasciandosi scappare una timida risata.

Lo guardai con uno sguardo interrogatorio, scuotendo successivamente la testa per poi abbassare lo sguardo, per evitare che quel ragazzo misterioso facesse altre domande o osservazioni.

Cosa stava a significare ‘Ragazze come me’? Persa nei miei pensieri, lasciai che questi ultimi venissero interrotti dal suono della campanella di inizio lezioni, che risuonò per tutto l’istituto.

Imbarazzata alzai lo sguardo verso di lui, schiarendomi poi la voce: “Sapresti indicarmi l’aula di chimica? Da novellina quale sono non ho la più pallida idea di dove sia.” ammisi, ridendo con fare quasi rassegnato.

Il ragazzo si aprì in un enorme sorriso alle mie parole, facendomi un piccolo cenno col capo prima di cingermi amichevolmente le spalle con un braccio.

“Vieni con me, ti accompagno io.” asserì con tono dolce, quasi fraterno, mentre mi accompagnava verso la mia prima lezione sotto la sua ala protettiva.

 

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


Chapter 2

 

 

 

“Allora, come sono andate le tue prime lezioni da liceale?”

Sussultai, voltandomi immediatamente verso quella voce spuntata all’improvviso alle mie spalle, sorridendo in modo quasi stupido nel rivedere il ragazzo di questa mattina.

Come d’istinto portai una mano a sistemarmi il ciuffo di capelli davanti al volto, rispondendogli frettolosamente e nel modo più impacciato possibile: “Ehm, bene credo!”

Vic sorrise, esaminando il mio volto per diversi secondi con aria curiosa, riprendendo successivamente a parlare: “Toglimi una curiosità… Come mai sei così nervosa quando ti rivolgo parola?” mi chiese tutto d’un tratto, cominciando a camminarmi affianco in quei lunghi corridoi.

Immediatamente scossi il capo e, arrossendo sulle guance dopo essermi accorta del suo sguardo indagatore, cominciai a balbettare: “Io.. Io non sono nervosa, davvero.”

Il ragazzo si bloccò improvvisamente, sgranando proprio come la prima volta che lo vidi i suoi grandi occhi scuri. “Non devi essere così timida con me, non voglio farti nulla di male!” disse, rivolgendomi poi un dolce occhiolino. Aveva uno sguardo così sincero che faceva quasi male.

Mi irrigidii leggermente alle sue parole, voltandomi verso di lui con aria quasi persa.

“Non ho mai pensato tu volessi farmene, non ci conosciamo.” asserii con un tono di voce piuttosto confuso.

Lui mi rivolse un enorme sorriso e continuò a guardarmi con quei suoi grandi occhi da cerbiatto per una manciata di secondi, prima di rispondermi: “Allora dato che non ci conosciamo, ti aspetto domani dopo la scuola. Non mancare, ti prego.”

Non feci in tempo a rispondergli che sparì verso l’uscita di quell’immenso edificio ed io, ancora più confusa dal suo comportamento, presi a camminare a passi incerti verso la sala professori, per ritrovare mio padre e poter andare finalmente a casa.

Il tragitto scuola-casa col mio vecchio ovviamente non mancò di domande e, una volta arrivata a casa la situazione non migliorò. All’interrogatorio prese parte persino Matisse, il mio enorme gatto grigio scuro, che ad ogni domanda posta da mia madre, miagolava con insistenza.

“Allora tesoro, come ti sembra la scuola? Hai fatto qualche nuova conoscenza? Come sono i tuoi compagni di classe? Alla mensa mangi bene? Lo sai che se preferisci preparo qualcosa per te ogni mattina!” domandò a raffica mia madre tutta indaffarata nel preparare la cena.

Mi limitai a fare spallucce, rispondendo con sufficienza ad ogni domanda nonostante lo sguardo truce di Matisse che, appollaiato accanto a mia madre, attendeva impaziente risposte più articolate.

“L’ho vista più volte parlare con un ragazzo dell’ultimo anno.” esordì dal nulla mio padre, mentre con grandissima nonchalance guardava la posta ricevuta, dopo aver scagliato la bomba con mia madre.

Lo fulminai con lo sguardo, alzando successivamente quest’ultimo al soffitto, preparandomi per le mille domande di mia madre.

“Ah… E come si chiama il ragazzo?” chiese in modo quasi pacato mia madre.

“Non ne ho la minima idea…” affermai con insolita sicurezza data la mia poca teatralità, facendo spallucce.

“Victor Vincent Fuentes, classe 1983.” disse papà, quasi interrompendomi. “E’ un mio allievo, gran chitarrista ed ottima voce, peccato che non sfrutti appieno il suo talento.” terminò, sparendo in camera sua, sghignazzando come un bambino.

Come da programma, mia madre cominciò a riempirmi di domande su questo Vic, con cui avevo appena scambiato qualche parola. Ad ogni sua domanda mi limitavo a rispondere con dei “non lo so” di circostanza, cercando di fare la vaga il più possibile.

Dopo tutto non era successo nulla, no?

Improvvisamente, immersa in quel mare di domande, sentii vibrare il mio telefono nella tasca dei jeans.

In quei pochi secondi che impiegai nell’estrarlo e guardare il messaggio pregai più e più volte che fosse qualcuno pronto a salvarmi da quella sottospecie di inferno.

 

Jaime – “Sei tornata da scuola vero? Sappi che è una domanda retorica perché ti ho vista entrare in casa!”

 

Avrei voluto mettermi a piangere dalla gioia alla vista di quel messaggio. Frettolosamente gli risposi, continuando a fare brevi cenni col capo in direzione di mia madre ad ogni sua domanda, per farla contenta.

 

Mia – “Interrogatorio in corso, ti prego salvami.”

 

Presi un lieve sospiro appena inviato il messaggio, sentendo improvvisamente suonare il campanello di casa. Mia madre si zittii velocemente, guardando subito fuori dalla finestra.

Successivamente la sentii sospirare per poi schiarirsi la voce: “Dai… Esci a giocare tesoro.” asserì con tono quasi rassegnato dopo aver visto Jaime tutto sorridente salutarla con la sua finta aria innocente dalla finestra.

“Grazie mamma, sei la migliore!” dissi con tutta la felicità che avevo in corpo, avvicinandomi a lei per schioccarle un enorme bacio sulla guancia prima di sparire dal mio migliore amico.

Corsa fuori di casa, non diedi il tempo materiale a Jaime di accorgersi della mia presenza che mi buttai letteralmente tra le sue braccia, stringendolo più forte che mai.

“Ehi, così mi soffochi!” disse lui, abbracciandomi al meglio che poteva dato il poco fiato.

Immediatamente allentai la presa, continuando però a trovare rifugio tra le sue braccia.

“Non volevo!” sussurrai, ridacchiando come una bambina per poi prenderlo per un braccio.

“Andiamo al parco come quando eravamo piccoli? Devi raccontarmi tutto!” ripresi io, sorridendogli.

Scosse la testa, come fanno i genitori senza speranza coi figli, per poi seguirmi, sorridendomi a sua volta.

“La scuola è bella, sai? Ho conosciuto un sacco di belle ragazze grazie al mio nuovo amico Tony! Tu invece, come ti trovi? Era così tragica come pensavi?” disse, cominciando a incamminarsi accanto a me verso il nostro parchetto infondo alla strada.

Risi del suo enorme entusiasmo, stringendomi nelle spalle: “La scuola è molto bella, ci sono un sacco di corsi interessanti, ma contrariamente a quanto ho detto a mamma, non ho parlato praticamente con nessuno.” asserii, assumendo un’espressione impacciata.

Jaime sospirò alle mie parole. Mi conosceva fin troppo bene e sapeva quanto fosse difficile per me rapportarmi con nuove persone.

“Mia, Mia, Mia… Vuoi dirmi che in un intera giornata nessuno si è innamorato del tuo bel visino?” disse col suo classico tono da genitore amorevole, cingendomi le spalle con un braccio per poi scoppiare in una tenera risata. “Devi scioglierti tesoro, davvero! Pensa di avere me accanto, ad ogni ora del giorno come abbiamo sempre fatto, ti verrà più facile.”

A quelle parole sentii un leggero tuffo al cuore. “Jaime…” sospirai, abbassando lentamente lo sguardo. “Per me non è facile… Poi tu non ci sei e anche se ci fossi io non cambierei, perché starei solo con te oppure aspetterei una giornata intera, come oggi, per vederti. Sei l’unica persona di cui mi voglio fidare, sembra stupido ma ho paura che qualche estraneo possa ferirmi e nel frattempo allontanarci…”

Immediatamente mi mostrò un enorme sorriso, quasi commosso. “E’ per questo che sei la mia migliore amica.” sussurrò, stringendo il braccio attorno alle mie spalle. E lui era indubbiamente il migliore degli amici che potesse mai capitarmi.

Fatti gli ultimi pochi passi, finalmente arrivammo al parchetto e, velocemente, prendemmo posizione sulle due altalene libere, lui rimase fermo mentre io cominciai a dondolarmi.

“Ma l’esibizione com’è andata? Ricevuto complimenti?” mi chiese improvvisamente, sgranando i suoi dolci occhi furbetti.

Annuii brevemente, tentando di nascondere il lieve rossore sulle guance. “Uno dell’ultimo anno.”

Lui subito scattò in piedi, guardandomi con stupore: “Ma cosa stavi aspettando a dirmelo? Devo davvero farti il terzo grado come tua madre? Suvvia, chi è?”

Scoppiai a ridere. “Ti prego, mia madre no!” dissi, schiarendomi appena la voce. “E’ un allievo di papà, si chiama Vic. E’ un musicista come me a quanto ho capito…” sussurrai, arrossendo sempre più in volto nel pronunciare il suo nome.

Ci fu qualche secondo di silenzio prima che la sua voce fosse pronta a riempire nuovamente il silenzio di quel parchetto: “E’ dell’ultimo anno Mia… Stai attenta, mh?” disse con tono serio.

Mi voltai velocemente verso Jaime, ma lui teneva lo sguardo fisso a terra, come se qualcosa detto o fatto da me l’avesse spaventato o ferito.

“Non.. Non capisco cosa vuoi dire.” ammisi in un sussurro, alzando lo sguardo al cielo.

Lo guardai fare spallucce e sorridere in modo quasi malinconico “Sei arrossita, tu non arrossisci mai.”

Mi portai istintivamente una mano alla guancia, trovandola quasi rovente. Scossi velocemente il capo, portando dunque il discorso da tutt’altra parte, cancellando il viso ed il nome di quel ragazzo dalla mia testa… O almeno, ci provai.

Riprendemmo a parlare, ridere e scherzare nella più totale tranquillità fino al tramonto, dimenticandoci totalmente di quella strana conversazione avuta poco prima. Era così bello essere spensierati insieme a lui.

Pronti per tornare a casa, scattai in piedi da quell’altalena, avvicinandomi al mio migliore amico per un breve abbraccio pieno d’affetto fraterno.

“Mi prometti che continuerai ad esser presente nella mia vita?” gli chiesi, col sorriso sulle labbra sicura di cosa avrebbe risposto.

“Assolutamente.” disse lui in tono più che convinto, ricambiando il mio sorriso mostrando in modo fiero le sue fossette. Immediatamente ci affondai un dito, come spesso facevo da piccola, per poi scoppiare a ridere insieme a lui.

“Ti voglio bene, non smetterò mai di dirtelo.” gli dissi in tutta sincerità.

“Anche io te ne voglio, e non smetterò mai di dimostrartelo.” concluse lui, cingendomi le spalle col braccio per poi incamminarsi accanto a me.

Eravamo davvero inseparabili.

 

 

 

Tengo a ringraziare di cuore Layla e CarapherneliaAi per le recensioni sempre gradite! J

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


Chapter 3

 

 

 

Come la precedente mattina e le mattine a seguire, ero presa a guardare fuori dal finestrino della macchina di papà mentre ci dirigevamo verso la scuola.

“Che lezioni hai oggi tesoro?” mi chiese improvvisamente, senza però ricevere alcuna risposta... “Mia, mi senti? Che hai?” chiese nuovamente.

Nel sentir richiamare il mio nome mi voltai verso di lui, guardandolo con aria più che persa.

“Cosa c’è papà?” gli chiesi, schiarendomi la voce con un breve colpo di tosse.

Papà scosse visibilmente il capo, lasciandosi andare ad un lungo sospiro.

“A cosa stavi pensando? Hai la testa tra le nuvole questa mattina!” asserì, imboccando poco dopo il viale dove si trovava la scuola.

Feci spallucce alla sua domanda, rispondendogli nel modo più tranquillo possibile “Niente di importante papà, stai tranquillo. Mi lasci all’entrata come ieri, mh?”

Sempre più rassegnato mio padre si limitò ad annuire e a lasciarmi nel grande piazzale che precedeva la scuola, salutandomi con un tenero sorriso prima di lasciarmi andare.

Strinsi nuovamente la mia tracolla tra le mani mentre mi avviavo, leggermente più sicura, verso l’entrata di quell’edificio, tra i sorrisi di circostanza scambiati coi miei compagni di corso e qualche semi-sconosciuto.

“Buongiorno signorina, mi sapete dire che lezione avete all’ultima ora?”

Sussultai visibilmente. Mi voltai verso quella voce e, con espressione ancora leggermente spaventata, salutai Vic semi-sorridente.

“Dovresti smetterla di apparire alle mie spalle ogni volta sai?” gli dissi io, sospirando.

Il ragazzo scoppiò a ridere, scuotendo appena il capo: “Hai ragione, ma adoro coglierti di sorpresa! Pensi che risponderai mai alla mia domanda?”

Rivolsi un ampio sorriso al ragazzo, schiarendomi successivamente la voce: “C’è il corso di musica, pensavo lo sapessi! Per ora ti va di accompagnarmi in classe?”

Subito scoppiò in una sentita risata, passandomi come il giorno prima un braccio dietro la schiena per poi scortarmi verso la mia classe: “Non pensavo che una ragazza talentuosa come te avesse bisogno di partecipare al corso di musica!”.

Volsi lo sguardo al cielo, scoppiando a mia volta in una sincera risata: “Sarà più facile per me prendere buoni voti, no?”.

Alle mie parole cominciammo entrambi a ridere di gusto, come due amici che si conoscono da una vita. In men che non si dica eravamo già arrivati davanti alla mia classe e, prima che la campanella ci sorprese, mi lasciò con un innocente bacio sulla guancia.

“Ci vediamo all’ultima ora, Mia!” disse, prima di sparire tra il resto degli alunni.

Con un gran sorriso entrai dunque in classe, accarezzandomi appena la guancia dove poco prima si erano posate le labbra del ragazzo. Velocemente mi sistemai come il giorno prima nel mio banco in seconda fila, in attesa della professoressa di letteratura.

“Sei la figlia del professor Hamilton, giusto?” mi chiese tutto d’un tratto la ragazza coi lunghi capelli castani davanti al mio banco, rivolgendomi un’occhiata curiosa nel voltarsi verso di me.

Velocemente annuii, guardandola coi miei grandi occhi verdi spalancati: “Sì, perché?”.

“E sei la ragazza di Victor?” continuò lei, senza staccarmi gli occhi di dosso.

Subito mi impensierii, scuotendo il capo quasi incredula “Ma cosa… La ragazza, cioè no! Assolutamente no!” balbettai, guardandola con aria perplessa.

Lei si strinse nelle spalle, voltandosi nuovamente per non guardarmi più in viso.

“Avrei giurato il contrario, in questi due giorni vi ho visto sempre assieme. Bah, meglio per te, è uno spostato.” concluse in modo secco, senza permettermi di ribattere.

Subito dopo la professoressa James entrò in classe, pronta a conoscere la sua nuova classe e far lezione. Ma tutto quella mattina mi entrò in testa, tranne quello che quella dolce e giovane professoressa era intenta a spiegare.

Vic uno spostato? Chi era lei per giudicarlo così acutamente? E cosa le importava di quello che eravamo?

Sebbene la sua fosse una misera frase, quasi senza senso, passai le ore con la testa tra le nuvole, più pensierosa che mai. Cosa voleva quella Rachel da me?

Con quei pensieri arrivai fino all’ultima ora. Uscita dall’aula di biologia, camminavo con lo sguardo fisso a terra verso l’aula di mio padre, pronta a partecipare al corso di musica d’insieme della scuola. Totalmente sovrappensiero, mi ritrovai in una frazione di secondo addosso ad un ragazzo piuttosto alto, magro, con un gran sorriso e due occhi pieni d’allegria.

“Ehi, attenta novellina!” mi disse scherzosamente, appoggiandomi una mano sulla spalla per mantenermi dritta nel mio attimo di barcollo.

Scoppiai in una piccola risata nervosa, abbassando improvvisamente lo sguardo. “Sì, scusami, non volevo venirti addosso.” asserii stringendo forte il mio libro di musica al petto.

“Tranquilla piccoletta.” mi disse, accarezzandomi con fare scherzoso il capo, scompigliandomi leggermente i capelli. “Sei Mia, la figlia di Hamilton, giusto? Mio fratello mi ha parlato ieri di te.”

Arricciai le labbra in una smorfia, guardandolo con aria perplessa: “Tuo fratello?”

Lui scoppiò in una risata, facendo successivamente spallucce: “Michael Fuentes, fratello di Vic! Non siamo due gocce d’acqua, ma pensavo sapessi chi sono!” disse, rivolgendomi un ultimo sorriso prima di darmi le spalle e sparire dentro la grande aula di musica.

Ancora leggermente imbarazzata e stupita del fatto che Vic avesse parlato di me al fratello, entrai in aula, disponendomi lontano dalla cattedra dove mio padre soleva sedere.

In men che non si dica arrivarono tutti gli studenti , dal primo al quinto anno, che avevano aderito al corso di musica della scuola. L’aula era piena e con mio gran entusiasmo notai entrare anche Vic, il quale non tardò a sedersi poco lontano da me.

“Non mancherai dopo, vero?” mi chiese in un sussurro in un breve momento di pausa dalla lezione di papà.

Feci un cenno di dissenso col capo, sorridendogli con gran tenerezza. Era un ragazzo così apparentemente dolce e pieno di vita.

La lezione passò così in fretta che nemmeno me ne resi conto e, persa a leggere e rileggere pagine del mio libro di storia della musica, lasciai che il suono della campana mi riportasse al mondo.

Intenta a risistemare i miei libri dentro la tracolla, vidi mio padre avvicinarsi tutto sorridente.

“Ti aspetto al parcheggio degli insegnanti, tesoro?” mi chiese, accarezzandomi amorevolmente il capo.

Sbarrai improvvisamente gli occhi, scostando successivamente lo sguardo.

“Veramente alcune mie compagne volevano organizzare un’uscita… Se per te non è un problema.” conclusi io, balbettando.

Mio padre scosse amorevolmente il capo, sistemandosi bene la borsa sotto il braccio.

“Tranquilla! Vai e divertiti tesoro mio!” disse, facendomi un piccolo occhiolino.

Gli rivolsi un enorme sorriso, guardandolo sparire fuori dall’aula in un batter d’occhio.

“Allora signorina, le va ancora di uscire?” disse improvvisamente Vic, apparso come suo solito alle mie spalle.

Mi voltai velocemente verso di lui, facendo un breve cenno col capo: “Certo!”

In men che non si dica eravamo già fuori dall’istituto, lontani da qualsiasi tipo di occhio indiscreto. Con la sua solita dolcezza mi passò una mano dietro la schiena, avvicinandomi lievemente a sé.

“Dove andiamo di bello?” chiesi io con gran curiosità.

“E’ un segreto!” disse lui con tono fiero, scortandomi alla sua macchina. “E’ stato difficile convincere Mike a prendere l’autobus per tornare a casa, sai?” disse infine, ridendo di gusto.

Mi aggiunsi a quella risata, lasciando successivamente che il ragazzo mettesse in moto la sua autovettura, guidando per circa un quarto d’ora verso Clairemont Mesa, un quartiere di San Diego. Passammo il tempo a cantare come matti le canzoni che passavano alla radio, dai Queen alla musica dance anni ottanta, proposta e riproposta da qualsiasi stazione.

Arrestata la macchina in un viale alberato, Vic scese immediatamente per raggiungermi dal lato del passeggero.

“Sei pronta?” mi chiese, tendendomi una mano, la quale presi leggermente titubante per poi uscire dal veicolo.

“A qualsiasi cosa, giuro!” asserii con entusiasmo, affiancandomi successivamente a lui.

Insieme ci incamminammo verso l’altro lato della strada. Ero incredibilmente curiosa di sapere dove mi avrebbe portata quel ragazzo semi sconosciuto, che volevo infinitamente conoscere.

Improvvisamente Vic si fermò davanti al Guitar Trader, posando una mano sulla maniglia, aprendo la grande porta. Entrammo in quel immenso negozio di musica e, quasi d’istinto, mi aggrappai appena al suo braccio. Lui si muoveva disinvolto tra tutti quegli strumenti, salutando i ragazzi del personale come se si conoscessero da secoli.

Afferrò velocemente una meravigliosa Gibson Explorer tutta nera e, senza mollarmi, fece strada verso uno dei box del negozio, dove ovviamente si potevano provare gli strumenti prima di comprarli.

Chiusa la porta del box insonorizzato, si sistemò su un piccolo sgabello, invitandomi ad accomodarmi a quello accanto al suo. “Siediti qui, Mia.”

Non esitai un secondo e, leggermente imbarazzata, lo guardai collegare tramite il jack lo strumento all’amplificatore, accendendolo e attivando tutti i potenziometri per far suonare quella meraviglia di strumento che teneva gelosamente tra le mani. Dopo una piccola improvvisazione dai toni quasi blues, si voltò verso di me, guardandomi coi suoi occhioni scuri.

“La musica è la parte più importante della mia vita, sai?” cominciò lui, arrossendo lievemente sulle guance, come se stesse parlando della ragazza di cui era innamorato. “Quando ti ho vista suonare, ieri… Mi trasmettevi le stesse emozioni che sento quando suono queste sei corde. Siamo simili Mia, e questo è il motivo per cui volevo condividere tutto questo con te, perché nessuno ha mai capito quanto tutto questo significhi per me, mentre so che tu puoi farlo.” mi confessò, mordendosi appena le labbra.

Rimasi in silenzio per qualche secondo, guardandolo con dolci occhi sinceri prima di schiarirmi la voce.

“La musica è sempre stata la mia più grande amica Vic, posso capirti più di chiunque altro.” ammisi, rivolgendogli un dolce sorriso sincero, posandogli successivamente una mano sull’avambraccio.

Lui sorrise. Si scostò il ciuffo di capelli da davanti gli occhi e, tirandosi leggermente su le maniche della camicia, afferrò con convinzione il manico di quella meravigliosa chitarra, guardandomi successivamente negli occhi.

“L’abbiamo scritta io e mio fratello, spero ti piaccia. Sei la prima che l’ascolta…” sussurrò, qualche secondo prima di cominciare a suonare quella chitarra. Era così disinvolto nell’eseguire quelle serie di accordi che tra loro suonavano dannatamente bene, mi vennero quasi i brividi.

Improvvisamente cominciò a cantare, una melodia dolcissima ma allo stesso tempo piena di forza, la sua voce così meravigliosa e così piena d’emozioni.

Capivo cosa voleva dire mio padre quando diceva che quel ragazzo aveva più talento di quanto immaginasse. Avevo la pelle d’oca dalla bravura, ero totalmente catturata dalla sua voce, dalle sue mani che si muovevano su quella chitarra come se avesse sempre fatto solo quello in tutta la sua vita.

Improvvisamente lo sguardo si fermò su quelle cicatrici che, avendo scoperto buona parte del braccio, spuntavano fuori dalla camicia. Mi si strinse il cuore per un attimo e, sospirando, lo guardai terminare quella canzone, coi brividi ma allo stesso tempo la preoccupazione per quello che avevo appena visto.

Abbassato il volume della chitarra, mi guardò, rivolgendomi un gran sorriso.

“Cosa… Cosa ti è sembrato?” mi disse, abbassandosi velocemente le maniche della camicia che portava addosso, come se si fosse accorto dov’era indirizzato il mio sguardo, il quale scostai prontamente.

“E’ meravigliosa Vic.” dissi nella più totale sincerità, guardandolo negli occhi con gran tenerezza.

“Sono contento ti piaccia, significa molto per me.” mi confessò, accarezzando appena il corpo di quella chitarra. “Non vedo l’ora che questa piccola meraviglia sia mia, sto risparmiando da quasi un anno per comprarla.”

Mi intenerii visibilmente alle sue parole, facendo un piccolo cenno col capo.

“Voglio essere presente il giorno in cui la comprerai, voglio vederti felice come adesso!” dissi, alzandomi successivamente dallo sgabello sul quale ero seduta.

Il ragazzo annuii velocemente, lasciando che un attimo di silenzio pervase quella piccola stanza, prima che lui cominciasse a smontare l’attrezzatura, sospirando appena.

“Hai visto, vero?” mi chiese, intento ad arrotolare il jack appena utilizzato. “Le cicatrici, intendo.” concluse, tenendo lo sguardo basso su quel cavo.  

Mi irrigidii alle sue parole, emettendo un piccolo sospiro, poco prima di esalare un piccolo “Sì.” a labbra quasi serrate.

Lui si girò con un piccolo sorriso malinconico, tenendo saldamente tra le mani la Gibson.

“Non lo faccio più da tanto, ho solo avuto un brutto periodo.” disse in modo secco, avvicinandosi a me con lo stesso sorriso di sempre ma l’aria incredibilmente malinconica.

Quasi istintivamente feci scorrere la mia mano ad afferrare la sua, senza malizia.

“Non preoccuparti Vic, ci sono io qui. Io ti capisco.” sussurrai, senza smettere di rivolgergli un gran sorriso.

Non era un sorriso falso, né tantomeno un sorriso pieno di compassione.

Lo capivo, sapevo cosa volesse dire essere incompresi. Lui era solamente più debole e, probabilmente, senza le persone giuste accanto.

Usciti dal box, si avvicinò al porta chitarre vuoto che reggeva quella Gibson e la riposò nuovamente lì, sorridendo a quella chitarra come fosse la sua migliore amica.

Dopo aver risalutato tutti, uscimmo da quel negozio, avviandoci verso la macchina.

“Vic!” esclamai io, facendolo voltare verso di me.

“Sì, Mia?” mi sussurrò, con la stessa espressione di poco prima.

“Hai trovato un’amica.” gli dissi con allegro tono di voce, guardandolo sgranando i miei grandi occhi verdi.

Lui sorrise, questa volta senza malinconia. Senza dire niente mi abbracciò, come si abbracciano gli amici, le persone a cui si vuole bene, quelle che più contano nella vita.

 

 

 

Un sentito ringraziamento a Layla e JJsHug per le recensioni! :3

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