Chapter 1
Erano le sei e mezza
di mattina ed io, come capitava ogni anno, ero tesa come una corda di violino.
L’agitazione che
precedeva l’inizio della scuola purtroppo per me, non esisteva solo nei film o
nei racconti di quei libri dove tanto amavo rifugiarmi, era dannatamente reale.
Nonostante la mezz’ora
di anticipo rispetto al suono della mia sveglia, mi alzai in punta di piedi
dall’ampio letto posto al centro di camera mia e, silenziosamente mi avvicinai
allo specchio dove vidi riflesso il mio volto, pallido e impaurito.
Avrei cominciato l’High
School in quella che era la Mission Bay, qui a San Diego, ovvero la scuola dove
mio padre Roman insegnava musica. Era proprio grazie a lui e soprattutto a
quest’ultima che riuscii ad entrare con una borsa di studio in pianoforte, lo
strumento che fa parte della mia vita da che ne ho memoria.
Mentre mi spazzolavo
i lunghi capelli biondo miele seduta di fronte allo specchio, pensavo e
ripensavo con grandi incertezze a quello che mi sarebbe aspettato. Generalmente
si dicono cose strane, meravigliose ma allo stesso terribili sulle scuole
superiori e la paura di essere troppo fragile per affrontare il mondo intero
continuava ad presenziare in me come un fantasma del passato.
“Che stupida paranoica!” pensai tra me e me, mentre sistemavo i
lunghi capelli in una morbida treccia che scendeva lungo una spalla. Sorrisi a
me stessa allo specchio, per poi alzarmi e dirigermi verso il bagno, pronta a
rinfrescarmi.
Arrivate le sette e
mezza ero pronta per partire, insieme a mio padre, alla volta di quella che
sarebbe stata una nuova ed importante esperienza della mia vita.
Uscita velocemente di
casa, mi voltai con immediatezza verso casa del mio migliore amico Jaime. Cominciai a ridere teneramente nel vederlo
ripiegato sulla sua bicicletta intento a slegare il catenaccio, così lo
richiamai con un piccolo fischio per salutarlo da lontano. Siamo cresciuti
insieme e per me è diventato quasi un fratello, di cui sentirò parecchio la
mancanza adesso che frequenteremo scuole diverse.
“E’ un peccato che non abbia deciso di venire alla Mission Bay insieme
a te, tesoro... Avresti conosciuto qualcuno ed io sarei stato più tranquillo.”
disse papà, pensieroso mentre caricava degli strumenti in auto.
“La El Capitan è molto più vicina pa’, non possiamo biasimarlo.” risposi,
lasciandomi scappare una leggera risata che sapeva quasi di malinconico. Mi
mancherà avere tra i piedi il mio migliore amico a qualsiasi ora.
Dopo avermi risposto
con una sottospecie di grugnito e qualche parola farfugliata, prendemmo entrambi
posto in macchina e partimmo.
Il tragitto casa –
scuola volò e, una volta arrivata, con mio gran imbarazzo scesi dall’auto
stringendo la mia tracolla come se fosse una persona amica e non più un’oggetto.
“Tranquilla Mia, andrà tutto bene.” mi rassicurò mio padre, prima
di strizzarmi un rapido occhiolino e andare a parcheggiare la macchina.
A passi incerte nelle
mie inseparabili vans nere, cominciai ad avvicinarmi a quella scuola che tanto
mi affascinava ma allo stesso tempo spaventava. Ovunque posassi il mio sguardo
c’era qualcosa pronto ad incuriosirmi e a terrorizzarmi, come i ragazzi della
banda e quelle meravigliose cheerleader che con passo fiero si facevano largo
tra gli studenti. Erano una più bella dell’altra e, in tanta bellezza, mi
sentivo come una piccola formica.
Dopo essermi fatta
strada verso l’immensa entrata, tra sguardi d’approvazione o di superiorità
lanciati da chiunque mi incontrasse, mi diressi velocemente verso l’auditorium,
dove si sarebbe tenuto il discorso di benvenuto del preside alle matricole, davanti
ovviamente a tutti gli studenti.
Un altro motivo per
cui ero incredibilmente agitata: avrei dovuto suonare un brano davanti a tutte
quelle persone. Il pensiero mi faceva rabbrividire, così come l’assenza di
Jaime che, da più di dieci anni, non mancava ad una mia esibizione per farmi
coraggio. E proprio in quel momento, sentii una vibrazione nella tasca sinistra
dei miei jeans neri.
Jaime – “Non mi sono dimenticato, sai? In bocca al lupo tesoro, sarai
bravissima come sempre… Ti voglio bene! E passa una meravigliosa giornata J”
Sorrisi quasi come
una bambina alla vista di Babbo Natale e con mille ringraziamenti e altrettante
dolcezze e premure gli risposi, dirigendomi poi verso le quinte per sistemare
il tutto prima del fantomatico saluto.
Improvvisamente
quello che era un leggero brusio dato dal chiacchiericcio degli studenti fu
interrotto dalla voce del preside che richiamava questi ultimi nell’auditorium.
In men che non si dica tutti gli studenti raggiunsero il posto e, con le gambe
che tremavano più di una foglia, raggiunsi anche io il mio posto in prima fila,
in modo da raggiungere più facilmente il mio pianoforte digitale.
Una volta iniziato il
discorso del preside agli studenti, la presentazione dei professori, tra cui
quelli nuovi e vari i programmi dell’anno per ogni corso, prima di salutare con
un caloroso benvenuto le matricole, sentii pronunciare da quell’uomo il mio
nome.
“Mia Yvonne Hamilton, potresti raggiungermi gentilmente?” disse in
modo pacato, rivolgendomi un grande sorriso prima di presentare il brano con
cui a nome della scuola avrei dato inizio al nuovo anno scolastico.
Senza nemmeno pensare
a cosa stavo facendo, mi alzai velocemente e raggiunsi il mio piano, senza
guardare alcuna persona.
Cominciai a suonare
quella sinfonia senza rendermene conto, nota dopo nota, lasciandomi trasportare
da ciò che amavo di più fare, dimenticandomi di tutte quelle persone che mi
stavano guardando. Dopo diversi minuti terminai e, preso un gran sospiro,
lasciai che un piccolo sorriso fece capolino sul mio viso, alzando lo sguardo
verso quello che per quei minuti era stato il mio pubblico. Accolsi felice
quell’applauso che sapeva di sincerità e tirai un sospiro di sollievo, volgendo
lo sguardo verso mio padre che, dopo un gesto d’approvazione, mi chiamò vicino
a sé, dove velocemente andai a sedermi mentre il preside finiva quello che era
il discorso d’inizio anno.
Con l’augurio di un
buon anno scolastico, il Preside invitò i ragazzi ad andare nelle loro classi
e, aspettato che la maggior parte delle persone andassero, salutai
definitivamente mio padre, per poi infilarmi tra quel che restava della folla
di gente e disperdermi tra loro nel modo più anonimo possibile.
Quando la ressa di
persone era ormai scomparsa, sentii una presenza afferrarmi delicatamente il
braccio. Nella mia timidezza mi voltai lentamente e, con mia gran sorpresa,
vidi un ragazzo con dei lunghi capelli castani e due occhi da cerbiatto
sorridermi.
“Ehm.. Ciao, perdona l’irruenza, volevo solamente dirti che mi hai davvero
colpito con quel brano…” lo sentii farfugliare in modo timido ma
incredibilmente dolce.
Gli risposi con un
delicato sorriso e un “Grazie”
sussurrato appena tant’era la mia timidezza.
Nel preciso istante
in cui stavo per girarmi, pensando a quanto fosse stato dolce da parte di uno
sconosciuto complimentarsi con me per una cosa a cui tengo immensamente, quest’ultimo
mi bloccò nuovamente, porgendomi con la stessa timidezza di prima la mano.
“Comunque sono Vic, mi sembrava giusto dirtelo.” bisbigliò nuovamente,
in quel caos di persone che finalmente erano totalmente defluite nei corridoi.
Afferrata la sua mano
con leggera incertezza, continuai a sorridergli in modo più che sincero,
arrossendo lievemente sulle guance data la mia gran timidezza.
“Piacere Vic, io sono Mia!” aggiunsi per correttezza, prendendo
successivamente a camminare accanto al ragazzo per i corridoi, in direzione
delle nostre classi.
“Sei una matricola giusto?” mi chiese con gran curiosità,
squadrandomi dalla testa ai piedi.
Quello sguardo così
presente su di me mi fece rabbrividire per un istante. Ebbi a quella domanda, l’impressione
di aver sbagliato qualcosa. Come facevo ad essere così prevedibile?
“Ehm, sì… Perché? Anche tu matricola?” chiesi, quasi impaurita da
una sua risposta
“Qualche anno fa forse… Sono all’ultimo anno!” mi disse, rivolgendomi
poi un veloce occhiolino prima di riprendere a parlare: “Ragazze come te ai miei occhi non passano inosservate, non avresti
potuto essere che una novellina!” asserì in conclusione, lasciandosi
scappare una timida risata.
Lo guardai con uno
sguardo interrogatorio, scuotendo successivamente la testa per poi abbassare lo
sguardo, per evitare che quel ragazzo misterioso facesse altre domande o
osservazioni.
Cosa stava a
significare ‘Ragazze come me’? Persa nei miei pensieri, lasciai che questi ultimi
venissero interrotti dal suono della campanella di inizio lezioni, che risuonò
per tutto l’istituto.
Imbarazzata
alzai lo sguardo verso di lui, schiarendomi poi la voce: “Sapresti indicarmi l’aula di chimica? Da novellina quale sono non ho la
più pallida idea di dove sia.” ammisi, ridendo con fare quasi rassegnato.
Il
ragazzo si aprì in un enorme sorriso alle mie parole, facendomi un piccolo
cenno col capo prima di cingermi amichevolmente le spalle con un braccio.
“Vieni con me, ti accompagno io.” asserì
con tono dolce, quasi fraterno, mentre mi accompagnava verso la mia prima
lezione sotto la sua ala protettiva.