Avgvstvs - 2766 ab Urbe condita

di Vibia Matidia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Se una mattina d'estate un viaggiatore ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Di reflex e caligae ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Come ospitare un princeps e vivere felici ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Se una mattina d'estate un viaggiatore ***


Capitolo 1
Se una mattina d'estate un viaggiatore

Gaio Ottavio aprì di colpo gli occhi.
Era steso supino. Sopra di lui, foglie verdi. Sotto di lui, foglie secche.
Un bosco. Perchè un bosco?
L'ultima cosa che si ricordava era l'interno della sua tenda da campo. Si erano fermati sulle alture di un piccolo villaggio, Segesta dei Tigulli, sulla via Aurelia che portava nelle Gallie. Munda, oltre la Gallia Narbonese, oltre i Pirenei, era la destinazione, da suo zio, il grande Giulio Cesare.
Una breve sosta, quella a Segesta, dettata soprattutto dalle sue cattive condizioni di salute: un febbrone che non accennava a calare da quando si erano fermati a Luni per rifornire le coorti. D'altra parte, in diciotto anni di vita era stato sempre piuttosto cagionevole; non assomigliava per niente a suo zio, in questo.
Magari era tutto un delirio dovuto alla febbre alta. Gli sarebbe bastato chiudere di nuovo gli occhi, e si sarebbe risvegliato nel suo giaciglio, probabilmente anche in un bagno di sudore.
Emise un sospiro, lievemente seccato, e chiuse gli occhi.
Strano, i rumori del bosco sembravano molto veri. Si sentivano i cinguettii degli uccelli, e persino le cicale che frinivano.
Non capiva come potesse trovarsi lì, tutto era decisamente troppo reale per poter essere frutto di una mente febbricitante.
Aveva ancora indosso la tunica del giorno prima, e le sue comode caligae.
Realizzò di avere con sè il gladius, che pendeva dalla cintura, avvolto nel suo fodero, e la cosa lo tranquillizzò non poco. Sarà stato anche solo, ma almeno era armato.
All'improvviso, udì qualcosa che lo mise in allarme.
Passi sul fogliame.
Ottavio si mise subito carponi, cercando di fare meno rumore possibile.
La sua posizione era abbastanza felice: era su un piccolo pianoro, sul ciglio di un pendio abbastanza dolce, in quello che pareva un lecceto. Da lì poteva controllare tutto.
Infatti, dal pendio stava risalendo qualcuno. Aguzzò la vista.
Era una persona, forse una donna. Aveva i capelli di un castano scuro, lunghi e sciolti sulla schiena come le donne barbare. E aveva, mehercle! le gambe nude. Almeno fino a metà coscia; lì tutto era coperto da uno strano indumento di uno strano tessuto blu stinto, che arrivava sino alla vita e che avvolgeva le gambe separatamente: un po' come quegli strani vestiti di certi barbari del nord, che suo zio gli aveva descritto.
Decisamente troppe cose 'strane', per i suoi gusti.
Dalla vita in su, la donna indossava una specie di tunica molto corta, del colore del cielo al tramonto, che le copriva anche una porzione di spalla, ma che restava molto aderente: si intuivano bene le forme di lei, sotto di essa. Distolse lo sguardo, e lo portò sui sandali. Beh, non erano sandali: erano chiusi come le caligae, ma più corti, e decisamente più spessi e ingombranti, e quindi rumorosi; ma la fanciulla — ormai poteva scorgerne i tratti giovanili del viso — pareva non farci caso.
Era del tutto assorta nella sua occupazione. Teneva tra le mani uno strano oggetto nero, con una protuberanza a tubo, e ogni tanto, in piedi o chinata, se lo portava al viso, e allora l'aggeggio emetteva uno strano schiocco. Subito allora lei lo allontanava, lo contemplava per qualche istante portandoselo al ventre, e poi si rimetteva in cammino.
La fanciulla, tra una sosta e l'altra, era ormai vicinissima a Ottavio, il quale, nonostante fosse probabilmente in vantaggio fisico — in fondo, era solo una femmina, e, a parte l'oggetto nero, pareva disarmata — avvertiva un certo timore.
Il romano incominciò ad arretrare, lentamente, in cerca di un nascondiglio.
A questo punto, però, Giove Ottimo Massimo decise di piantarlo nei guai.
La mano di Ottavio si posò su un rametto, spezzandolo.
Si bloccò immediatamente, sudando freddo. La ragazza lo aveva sentito, aveva afferrato il primo bastone nelle vicinanze, e ora si stava avvicinando con la massima cautela. Se prima era rilassata e felice, ora pareva molto agitata e impaurita, ma anche decisa.
Preparati, Gaio Ottavio, stai per essere scoperto!

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Ave a voi!
Eccomi qui con un nuovo delirio.
Stasera il secondo capitolo!
Pareri (favorevoli e contrari) più che bene accetti, come sempre. Fatevi sentire!
Valete, et salve
Vibia


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Di reflex e caligae ***


Capitolo 2
Di reflex e caligae

 
Laura, quel giorno, aveva deciso di salire sulla collina dietro casa sua, alle spalle di Sestri Levante, a provare la reflex che i suoi genitori le avevano regalato per l'esame di maturità, passato a pieni voti. 
Era stata assai contenta di riceverla: ora aveva un'estate intera per fare pratica, prima che iniziassero le lezioni all'università.
Aveva scelto lettere antiche. Sin da piccola, le lingue la affascinavano, soprattutto quelle morte. Per questo aveva insistito per il liceo classico, e ne era uscita egregiamente. Ora si stava godendo l'ultima estate libera in tranquillità. Aveva inforcato un paio di bermuda di jeans e l'unica T-shirt che non era a lavare, di un arancione acceso, e si era incamminata per il bosco, macchina fotografica alla mano.
Era nel lecceto. Gli scarponi da escursione affondavano nel fogliame, mentre risaliva il pendio. Si fermava ogni tanto a scattare, quando notava qualche particolare sotto un effetto di luce interessante, poi continuava la salita. Era arrivata quasi in cima.
Lo schiocco improvviso di un rametto spezzato la bloccò.
C'era qualcosa, o qualcuno.
Senza perdere il contatto visivo, raccolse il primo bastone che le capitò tra le mani, e brandendolo si avvicinò alla fonte del rumore. Era un animale? Oppure un malintenzionato?
Dapprima scorse un piede. Era avvolto in uno strano stivaletto con lacci, di cuoio sottile, che arrivava sino al ginocchio. Sembravano proprio delle caligae da antico Romano. Sopra, una tunica blu slavato, fermata in vita da una cintura, da cui pendeva una spada nel fodero. Anzi, non una semplice spada, un gladius! Era simile a quelli che aveva visto ne "il Gladiatore" di Ridley Scott, solo più semplice, forse.
Laura scoppiò inevitabilmente a ridere, per poi fissare in viso il ragazzo.
Poteva avere la sua età, occhi e capelli castani, non molto corti, che gli ricadevano sulla fronte, molto ampia. Il naso era molto pronunciato, ma comunque dritto, e sottile. I suoi tratti le erano decisamente troppo familiari.
Lui, nel frattempo, la osservava evidentemente contrariato, mentre era seduto carponi, con le mani poggiate sul fogliame dietro a fare da puntello.
«Spiegami che accidenti ci fa nel mio bosco uno in cosplay da antico Romano. Anche abbastanza poraccio, lasciatelo dire», esclamò, ancora sogghignando.
Dal suo ora stranito interlocutore, solo silenzio; poi, una domanda:
«Quis es? Non comprehendo».
Laura si bloccò, perplessa. «Non mi capisci? Ah, vediamo... Do you speak English? Do you understand me now?». Benedetto fosse il FCE, e il momento in cui aveva deciso di darlo!
Ma il giovane scosse la testa.
Laura si passò una mano nei capelli, a disagio.
«Ego sum Gaius Octavius Thurinus», soggiunse lui con tono conciliante, mentre si alzava in piedi.
Laura sgranò gli occhi. «Uteris lingua Latina?», gli rispose esitante. Non aveva mai provato a parlare in latino, e ora questo strambo ragazzo non capiva altro che questa lingua. Pensò a uno scherzo, e decise di stare al gioco. Poteva permetterselo, dopo cinque anni passati all'infer.. ehm, al liceo classico. Anzi, poteva essere un modo per vedere se il suo interlocutore si stesse prendendo gioco di lei. Gli avrebbe reso pan per focaccia. Mai mettersi contro una classicista!
Il ragazzo, Gaio Ottavio, come aveva detto di chiamarsi, si illuminò alla sua domanda: «Sic est! Romanus sum. Quid est nomen tuum? Ubi sumus ac ubi sunt meae copiae?». Alla scarica di domande, Ottavio si fermò, e aggiunse, incoraggiante: «Recte loqueris linguam Latinam».
[n.d.a. Da qui in poi, benchè mi dispiaccia, sono costretta ad abbandonare il latino per facilitare la comprensione dei dialoghi! Il corsivo è ciò che viene detto in latino e tradotto qui sul testo in italiano; lo stampatello normale è ciò che viene detto direttamente in italiano! ;) ]
«Truppe? Quali truppe?» balbettò Laura, suo malgrado stupita e a disagio per la velocità del giovane nel parlare latino. Decisamente, o era stato a un liceo più arduo del suo, o veniva direttamente dall'antica Roma.
«Sì, quelle che stavo conducendo nelle Gallie! Ci eravamo accampati qui...»
Laura lo bloccò, e riprese l'italiano, stranamente intimorita da quello che stava udendo: «Senti, se mi stai prendendo in giro, ti consiglio di smetterla, ok? Ammetto che sia bello parlare in latino, ma nessuno lo parla più al giorno d'oggi, è una lingua morta, ahimè. Piantala con questi giochetti».
Ottavio si fermò e la guardò di nuovo stranito. Poi sospirò.
«Non capisco la tua lingua, ma parlavi bene la mia, hai un'ottima pronuncia. È strano, per una barbara...».
«Io non sono una barbara! Sono Italiana», sbottò lei, per poi aggiungere: «Mi chiamo Laura»
«Laura? È strano... Sembra proprio un nome latino...»
«Infatti lo è: significa "cinta da una corona di alloro", quindi "vincitrice"»
«Sempre meglio di Ottavio, l'ottavo. Quindi non sei una barbara, hai un nome decisamente latino. Ma perchè sei vestita così?»
«Tutti ci vestiamo così. Tu piuttosto, perchè sei vestito da antico Romano?»
«Antico? Io sono Romano, te l'ho già detto»
«Cosa significa, che sei Romano? Sei nato a Roma?»
«Sì, sono nato nel seicentonovantesimo anno dalla fondazione della Città, il nono giorno prima delle Calende di Ottobre, sul Palatino».
Laura prese a contare con le dita delle mani. «753 meno 690.. 63! No, aspetta, non puoi essere nato nel 63 avanti Cristo!... Ma tu chi sei veramente??» sussurrò.
Lui sospirò, e, immaginando cosa lei volesse dire nella sua lingua, rispose: «Gaius Octavius Thurinus».
«Gaio Ottavio, Gaio Ottavio.. Gaius Iulius Caesar?», azzardò lei. Voleva vedere la sua reazione.
Difatti il volto del giovane si illuminò. «Conosci mio zio?»
Per tutta risposta, Laura si bloccò, portandosi una mano alla bocca. Lo aveva riconosciuto, tutto combaciava. Non riusciva quasi a crederci. Eppure era lì, davanti a lei, in carne e ossa. Vivo.
E dire che aveva studiato tanto le sue gesta, sui libri di scuola. Anche i suoi ritratti: ecco perchè il suo volto le pareva familiare!
«Tu sei Augusto...»
«Chi?»
«Dove stai andando? Sei da solo?»
«A quanto pare, sì, sono solo. Ti dirò tutto: sto andando a Munda, dove mi sta aspettando mio zio»
«A sconfiggere Sesto, giusto?»
Ottavio restò perplesso. «Come lo sai?»
Laura gli sorrise. «Dovrò spiegarti moltissime cose».
«Per esempio?»
«Siamo nell'anno duemilasettecentosessantaseiesimo ab Urbe condita. Mi sa che hai appena viaggiato nel tempo
».

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Havete omnes!
Ecco a voi il secondo capitolo! 
Devo confessarlo, pagherei oro per poter incontrare un qualche personaggio dal passato; per Ottaviano Augusto sarei disposta a donare la mia adorata copia del 'Signore degli Anelli', e ho detto tutto.
Nel frattempo, mi pare legittimo scriverci su.. XD
Ah, per la cronaca, la storia è ambientata nell'estate del 2013 (2766 ab Urbe condita, appunto!).
Cosa succederà al diciottenne Augusto, capitato, suo malgrado, nel ventunesimo secolo?
Eheheh, ne vedremo delle belle...
Alla prossima puntata!

Valete, et salve!
Vibia

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Come ospitare un princeps e vivere felici ***


Capitolo 3
Come ospitare un princeps e vivere felici

Nel tragitto che dal bosco portava a casa, la sanità mentale di Laura fu messa a dura prova.
Una parte della sua mente stava programmando cosa fare con il giovane Augusto: dove alloggiarlo,
come mantenerlo, e soprattutto come rispedirlo al mittente. Insomma, per quanto fosse bella la cosa,
non poteva certo farlo restare nel terzo millennio, era giusto che facesse ritorno alla sua epoca.

Una seconda parte stava dando una serie di istruzioni sul comportamento da mantenere in presenza
del futuro princeps: era in viaggio verso Munda, da suo zio Giulio Cesare, quindi qualunque
riferimento agli eventi successivi andava evitato come la peste. Primo fra tutti, non chiamarlo Augusto
—nome che avrebbe assunto solo nel 9 a.C., una volta salito definitivamente al potere— , nè
Ottaviano —dopo l'adozione da parte di suo zio, qualche mese dopo Munda.

Cavoli, aveva studiato bene, allora!

Non doveva tradirsi, o avrebbe "danneggiato il continuum spazio temporale", o una di quelle cavolate
pseudo-scientifiche che dicevano nei film di fantascienza. Non era certa che le cose andassero
proprio così, ma nel dubbio meglio non rischiare. Oltretutto, non sarebbe stato affatto facile.

Ciò che restava delle sue povere facoltà cerebrali, infine, era stato inevitabilmente assalito da ondate
di fangirlismo acuto, da buona classicista quale era: da quella parte del cervello non veniva altro se
non una singola frase: "Ommioddio, c'è Ottaviano Augusto qui vicino a me!”.
In loop.
Oh, cielo.

Il risultato di tutto quel guazzabuglio interiore era, paradossalmente, uno stato di immobile, beota
mutismo, indi per cui il romano —"e non un semplice romano, ma Augusto!!"— che stava
camminando a fianco a lei poteva benissimo prenderla per una disagiata mentale.
Splendido.

No, non poteva fare queste figure di fronte al primo imperatore romano.
Su, Laura, di' qualcosa di intelligente!

«Come va?»
 Diamine!

Ottavio le sorrise, riscosso anche lui dai suoi pensieri, e grazie al cielo pareva sincero. «Bene, e tu?»
«Oh, bene, è solo che non accade spesso, qui da me, di incontrare un personaggio famoso quanto te!
Soprattutto se viene da duemila anni prima...
». E qui Laura faticò a tenere ferma la voce.
«Famoso? E perché sarei famoso? Sinora non ho compiuto nulla, è la prima volta che lascio Roma,
non ho mai partecipato a una battaglia...
»
«Sei famoso per le cose che farai! Non chiedermelo, non so se posso dirtelo...»
«E perché mai?»
Laura prese un respiro, cercando di spiegarsi nella maniera più chiara possibile:
«Noi sappiamo ciò che farai in futuro, mentre tu, ovviamente, ancora no. Se per caso io ti dicessi
qualcosa, e tu, al momento di compierlo, cambiassi idea, condizioneresti tutto quello che avviene
dopo. Cambieresti anche la nostra epoca, quella in cui sei adesso
».
Dallo sguardo smarrito di Ottavio, Laura capì di essere stata davvero poco chiara.
«Ammettiamo pure che io ti dica che in futuro tu ucciderai una persona. Tu torni nella tua epoca, e
quando arriva il momento di farlo, all'improvviso cambi idea, e non la uccidi. Questa persona è viva,
mentre a noi, vostri posteri, risulta morta. Non vedi la contraddizione?
»
Ottavio annuì, dapprima esitante, poi con convinzione. «Sì, credo di aver capito. Peccato,
comunque, mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa sul mio futuro. Ora come ora, è tutto così incerto...
»
Laura sorrise. «Fidati di me, farai grandi cose, e accrescerai Roma e tutti i suoi abitanti. Posso dirti
questo
»
«A proposito di 'accrescere' [dal latino augere, da cui anche Augusto, n.d.a.], come mi hai chiamato,
prima? 'Augusto'?
»

Eccallà. E adesso? Che fare?

«Ehm, sì, qui ti chiamiamo così..»
«Ma sono davvero così famoso?»
«A quanto pare..». Gli sorrise.

Ottavio restò perplesso. «Scusa, ma mi stavo chiedendo.. come sono arrivato qui, duemila anni
dopo?
»
Laura rise suo malgrado «Anche a me piacerebbe molto saperlo..»
Le lanciò un'occhiataccia. «Non lo sai neanche tu? Oh, per Ercole! Non è divertente, non ridere!
Dove ci troviamo, piuttosto?
»
«Oh, questo lo so!» gongolò Laura. «Siamo a Sestri Levante.. Oggi si chiama così; un tempo era
Segesta dei Tigulli
»
«Dove ero rimasto! Ma.. L'accampamento.. I miei soldati, i miei amici..»
«Credo proprio che non ci sia più nessuno»
«Ma.. come sono arrivato qui? E perché?»
«Sono due domande a cui non so rispondere»
Ottavio emise un singolo «Oh..», affranto.

Laura lo guardò. «Vieni con me. Spiegherò ai miei genitori, ti ospitiamo volentieri!»
Ottavio si voltò imbarazzato. «Oh, no, non potrei!»
La ragazza incrociò le braccia, seria. «Hai bisogno di aiuto. Non puoi rifiutare. Non sopravviveresti
un singolo giorno, nel nostro mondo
». Erano ormai arrivati al termine della boscaglia. La strada era
pochi passi avanti.
Ottavio ribatté, evidentemente punto nell'orgoglio: «Non è vero! Sono il nipote del grande Giulio
Cesare, dittatore perpetuo e conquistatore delle Gallie. E sono un Romano! I miei avi hanno sconfitto
Cartagine, hanno conquistato la Grecia!..
»
«Sì, sì, certamente», rispose stancamente lei, scostando i cespugli e portandosi sull'asfalto della
strada.

Ottavio restò pietrificato dietro di lei.
Case alte quanto un'insula, ma tutte in pietra intonacata, liscissima e solida; strade in pietrisco nero
compatto, perché non facesse polvere; lucidissimi carri di metallo coperti che circolavano senza
cavalli a trainarli...

Quello era il futuro. Ed era sorprendente.

Fece un passo sulla strada, affascinato.
Un carro metallico per poco non lo investì; Laura fu abbastanza pronta di riflessi da tirarlo indietro
per il braccio. Dal carro si levò un grido belluino, con un pugno agitato.

Laura riconobbe parole poco carine, che evitò accuratamente di riportare al giovane Romano.
Ottavio, d'altro canto, gli rispose, urlando di rimando. «Come osi, barbaro bifolco? Io sono il nipote
di Cesare! Ma, Laura, hai visto come andava veloce? Ma è permesso, qui?
»
«Te l'avevo detto che senza di me non sopravvivi», si limitò a sorridergli. «Vieni con me, e stammi
vicino!
».
Ottavio stavolta annuì senza replicare.

Laura intanto lo stava portando a casa sua; era un appartamento, al terzo e ultimo piano di un
condominio in una zona tranquilla del centro.
I suoi genitori, probabilmente, si stavano godendo l'ombra sul terrazzo; suo fratello Marco, invece,
sarà stato alla spiaggia coi suoi amichetti...
La tensione saliva: i suoi genitori si fidavano di lei, ma sicuramente non avrebbero creduto alla verità.
Eppure Laura non vedeva altra maniera per spiegare la presenza di Ottavio...
Si voltò verso di lui, e a stento si trattenne dal ridere: il giovane Romano si guardava attorno
sbalordito, con la bocca aperta e gli occhi sgranati; mai Laura avrebbe detto di poter vedere un futuro
imperatore in quello stato.
Tirò fuori le chiavi di casa dalla tasca e aprì il portone del condominio, che dava proprio sulla via, e
si trascinò dietro anche Augusto, per poi chiuderselo alle spalle.
«Ubi me ducis?» le chiese, quando il vano delle scale sprofondò nell'oscurità.
Laura sospirò. «Domi meae»

Non sarebbe stato per niente facile.

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Note dell'autore
Ehm, salve!
Chiedo umilmente perdono, ma, ehm, inizi traumatici in Ateneo, treni in ritardo, Muse Eliconie
ispiratrici che scompaiono senza lasciare neanche un biglietto... xD

Augusto incontra finalmente il nostro mondo! Poverino, penso che se una cosa del genere succedesse
veramente,  e un antico Romano capitasse nel Terzo millennio (ahahah, come se davvero potesse succedere *me triste*),
morirebbe di crepacuore! D: Meno male che Ottavio ha un angelo custode aiuto sui generis, la nostra Laura!

Ringrazio infinitamente quelle anime pie che hanno recensito gli scorsi capitoli: _emsmay , Drachen ( <3 ) e Koori_chan (<3 )
Siete di grande incoraggiamento! Grazie mille! <3

Vi prego, o lettori silenziosi: lasciate un pensierino, qualcosa, per me è importantissimo sapere la vostra opinione!

Alla prossima puntata!

Oscula :*
Vibia Matidia



 

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