Yorkshire Tea

di wings_of_dreams
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bakery Boy ***
Capitolo 2: *** Disaster Date ***
Capitolo 3: *** Fears and Feelings ***



Capitolo 1
*** Bakery Boy ***


BAKERY BOY

Di tutta la giornata c’era un determinato momento che Sofia amava di più, sicuramente nessuno aveva mai gustato più di lei il suono dell’ultima campanella, la salvatrice dopo tutte quelle estenuanti ore di scuola. Non l’amava solo perchè poneva fine al supplizio giornaliero, no il vero motivo era un altro.
Ogni singolo giorno dopo scuola si recava nel posto che preferiva in assoluto di tutta Holmes Chapel, una piccola e graziosa forneria adibita anche come bar. Essendo di ridotte dimensioni, emanava una rincuorante atmosfera familiare, il profumo di pane fresco era una goduria per i sensi, chiunque vi entrasse era trattato con estrema cortesia, non smielata, ma calorosa e sentita. Sofia si sentiva a casa ogni volta che varcava la soglia.
Ogni volta si accertava di essere in condizioni presentabile, scatenando l’ilarità di Ronnie che l’accompagnava più spesso delle altre sue amiche.
Le due ragazze erano molto unite, conoscevano le varie sfumature l’una dell’altra, la prima aveva una passione smodata e ossessiva per la scrittura e la povera Ronnie, ogni santo giorno a scuola doveva subirsi le sue idee, anche quando non le interessavano minimamente, ma nonostante questo le piaceva lo stesso parlare con l’amica, lei aveva capito prima di chiunque il vero motivo per cui amasse quel posto.
“Sembro decente?” le domandò incerta Sofia prima di entrare.
“Per la milionesima volta, sì” sbuffò annoiata.
Aprirono la porta e un profumo a dir poco delizioso accompagnò il tintinnio del campanello.
Presero posto nel solito tavolino strategico e aspettarono.
Sceglievano sempre quel posto perchè fra tutti e quattro i tavolini, quello era quello che dava una vista migliore al bancone.
“Ciao ragazze, che vi porto?” chiese gentilmente una voce roca e profonda.
Le guance di Sofia cominciarono a bruciare, già perchè quel ragazzo alto e riccio, con due smeraldi luminosi al posto degli occhi, un sorriso a dir poco luminoso e due fossette irresistibili quanto dolci e innocenti, erano il vero motivo per cui lei andasse ogni giorno in quella forneria.
Ronnie dovette fare uno sforzo immane per rimanere seria anche quella volta.
“Io prendo una fetta di torta al cioccolato e una Coca Cola”.
“Tu invece?”
chiese il riccio a Sofia.
“Uhm... Io credo che... uhm... potrei avere... un muffin... se è possibile”. Stava sempre attenta a cosa prendere non voleva che la reputasse una che si abbuffava.
“Li abbiamo al cioccolato, alla mela, ai frutti di bosco”.
“Frutti di bosco”.
“E da bere?”.
“Yorkshire Tea”.
“Perfetto!”
sorrise allontanandosi.
Ronnie scosse la testa divertita, non riusciva a credere una ragazza così eccessivamente vulcanica potesse diventare timida e impacciata in quelle circostanza, non balbettava mai se non quando il bel commesso della panetteria le rivolgeva la parola.
“Uhm io... ehm... io... sposami...” la imitò ridendo.
“Non sei per niente simpatica”.
“Andiamo da quanto tempo vieni qui? Possibile che balbetti ogni santa volta?”
bisbigliò per non farsi sentire.
“Non è colpa mia, io mi sforzo anche, ma ho quell’orrenda maledizione di fare solo figuracce quando sono agitata”.
“No cara, quando sei con qualcuno che ti interessa”.

“Il riccio non mi interessa” la fulminò con lo sguardo.
Ronnie roteò gli occhi al cielo. Sempre la solita storia, era tipico di Sofia, non ammetteva mai le cose più evidenti nella speranza di convincersi di avere ragione, questo non faceva altro che farla sembrare ancora più ridicola, ma quella volta non sarebbe finita così, aveva un piano.
 
Quel giorno Sofia si presentò da sola alla forneria, nessuna delle sue amiche poteva accompagnarla, anche se alcune avevano usato scuse a dir poco idiote, in più era anche abbastanza scornata perchè il suo diario era sparito, aveva ribaltato casa e classe, ma niente, non lo aveva trovato.
Si sedette al solito posto, tirò fuori un nuovo foglio a buchi dal fedele blocco blu, trovò una penna e subito si immerse nei suoi pensieri.
Amava scrivere più di ogni altra cosa, era capace di isolarsi completamente per ore, scegliere le parole e darci il giusto peso la divertiva, creare trame e personaggi era la sua passione. A casa lo faceva di nascosto o quando era sola, sua madre riteneva che i suoi racconti fossero cavolate, anche se non li aveva mai letti dato che erano in pochi a conoscenza di questo suo hobbie.
“Scusami, Sofia giusto?”.
La ragazza rizzò la testa di scatto spaventata, temeva sempre che qualcuno leggesse di nascosto i suoi testi. Ebbe un tuffo al cuore quando scoprì quei occhi verdi osservarla curiosi.
“S... sì?” riuscì a sibilare.
“Hai dimenticato questo ieri” disse porgendole il suo diario.
“Grazie”.
“Ho letto il tuo nome per scoprire di chi fosse, scusa non volevo farmi gli affari tuoi”.
“Non fa nulla... grazie ancora”.
“Io sono Harry”.
“Piacere... è carino”
. Subito si morse la lingua, si stava scavando la fossa con le proprie mani.
Il riccio rise leggermente. “Grazie anche il tuo mi piace”. E in quel momento giurò che il mondo si fosse fermato. “Posso portarti qualcosa?”.
“Yorkshire Tea”.
“Solo?”.
“Sì per favore”.
“Sai, da quando lavoro qui, sei l’unica che conclude le ordinazioni con per favore”
rise andandosene.
Il cuore di Sofia batteva ancora all’impazzata, come aveva fatto a dimenticare il suo diario, non aveva mai toccato la cartella, era andata in bagno lasciandola a... Ronnie... ecco perchè non era venuta con lei.
Era meglio se tornava a scrivere o sarebbe sicuramente morta dall’imbarazzo.
Harry.
In effetti aveva una faccia da Harry, anche se il suo metro di paragone era Potter, ma del resto nel libro era descritto con gli occhi verdi e capelli indomabili, peccato per la cicatrice, se l’avesse avuta l’avrebbe sposato seduta stante.
“Cosa scrivi?” le domandò portandole il suo adorato the.
“N... nulla”.
“Tutte le volte che vieni qui da sola ti vedo riempire di inchiostro interi fogli, non può essere un nulla”.

Sofia non capiva più nulla, non solo conosceva il suo hobby, lui la guardava!
“Sono solo... stupidi racconti” arrossì violentemente.
“Non voglio sembrarti invadente, ma... potrei mai... leggerne uno?”.
“Sono banalità, non voglio farti perdere tempo”.

“Non dovevo chiedertelo scusa, d’altronde non ci conosciamo neanche tanto”.
La ragazza sussultò per un breve istante. “Ci penserò” soffiò alla fine.
“Grazie! Ora però devo tornare al lavoro, a dopo” concluse con un sorriso smagliante.
“Ronnie io ti uccido”
sbottò una volta rimasta sola.
La tazza di Yorkshire Tea che bevve quel giorno fu la migliore di tutte quelle precedenti.
 
Ronnie si presentò da sola alla forneria quel giorno, subito notò lo sguardo confuso del riccio quando venne a chiederle cosa volesse prendere.
“Come mai sola oggi? Senza di te e la tua amica le entrate ne risentano” scherzò allegro.
“Sofia è in gita a Parigi per questo non è più venuta”.

“Oh”
commentò “Bellissima città!”.
“Mi ha chiesto di darti questa”
disse allungandogli una busta.
“Cos’è?”.
“Non ne ho idea”.

Harry la rigirò fra le mani con un piccola punta di timore, poi l’aprì, ne trasse fuori alcuni fogli, gli diede un’occhiata veloce e sorrise. “Non ci credo”.
“Che cos’è?”.
“Un racconto”.
“Sofia ti ha scritto un racconto?! Lei non fa leggere quasi a nessuno i suoi scritti”.
“Perchè non sei via con lei?”.
“Non siamo in classe insieme”.
“Quanti anni ha?”.
“Diciotto, o meglio diciannove ad aprile”.
“Io venti li ho fatti da poco”.
“Oh auguri!”.
“Grazie, se la senti dille che mi ha fatto un bel regalo di compleanno”.

 
“Parigi è una città meravigliosa, era da tanto che non ci tornavo, ne sono completamente innamorata!” concluse con occhi sognanti il racconto. “Novità qui a Holmes Chapel?”.
“Io e Liam usciamo insieme”.

Le due amiche si abbracciarono forte. Sofia riteneva che Payne fosse davvero fortunato ad uscire con lei, era una ragazza unica.
“Direi che bisogna festeggiare!”.
“Dai che Harry ti aspetta”.
“Non è vero”.
“Ma se mi hai detto che l’ultima volta ti ha restituito il diario e ha rivelato che ti osserva!”.
“Finchè mi apposto come un gendarme nel suo negozio...”.
“Ha chiesto di te mentre eri a Parigi”.
“Sarà stato felice di non trovarmi lì”.
“Ma smettila, ti odio quando fai così”.
“Si chiama realismo”.
“Si chiama stupidità”.

Non appena arrivarono notarono la scritta riservato sul loro tavolo, fecero per prenderne un altro, ma subito il riccio corse a toglierla.
“Prima c’era molta gente e temevo che voi due rimaneste in piedi. Bentornata Sofia” la salutò facendole l’occhiolino.
“Falle uno Yorkshire, continua a lamentarsi di come non sia riuscita a trovare té decente in Francia!”.
“Ronnie!”.

Harry scoppio a ridere divertito. “Questa è una vera emergenza, rimedierò subito al danno! Altro?”.
“Io una Coca e una fetta di torta al cioccolato”.

“Io una fetta di torta al cocco...”. L’aveva vista in vetrina e subito le era venuto il languorino, per una volta poteva anche trasgredire.
“L’ho fatta io, dimmi com’è”.
“O..ok”.
“Questo è destino”
sussurrò l’amica una volta rimaste sole.
Sofia fece finta di non aver sentito. “È davvero buona!” esclamò dopo il primo boccone.
Il riccio era dietro al bancone, era curioso di sapere cosa ne pensava, si rallegrò non appena vide la sua reazione.
“Felice che ti piaccia”.
“Ehm... non pensavo di averlo detto ad alta voce”.
“Mi ha fatto piacere però saperlo così, per ringraziarti posso dirti che il tuo racconto mi è piaciuto davvero”.

La ragazza corrugò la fronte. “Il mio cosa?”.
“Questo”
ripose lui raggiungendola con dei fogli.
“Oh no” sbuffò non appena capì cosa fosse. “Come hai fatto ad averlo?”.
“Me lo ha dato lei dicendo che era da parte tua”
rispose stranito.
“Ronnie come hai potuto!” urlò irata.
“Mi dispiace, avevo buone intenzioni lo giuro”.
“Sai quanto sia difficile per me far leggere i miei racconti, da te non me lo sarei mai aspettato”.
“Non è successo nulla di grave, non lo dirò a nessuno”
provò il riccio per sistemare le cose.
“Stanne fuori, non sono affari tuoi!”.
“Non volevo causare problemi, volevo solo aiutarti”.
“Aiutarmi? E per cosa?! Hai sbandierato uno dei miei racconti più personali ad un completo sconosciuto solo perchè ho detto che ha dei bellissimi occhi?! Qual è la tua logica!”.
“Ti piacciono i miei occhi?”
domandò sorpreso.
Fra tutte le gradazione di rosso conosciuto al genere umano, quello che tinse il viso della ragazza era di una straordinaria intensità mai vista prima.
“Puoi non farti gli affari miei? Tornate dietro il tuo stupido bancone, sei un estraneo, stai al tuo posto, cazzo sono già stata umiliata abbastanza, avrai pure degli occhi belli, ma sei un vero stupido, non hai il cervello perchè nel tuo caso era un optional, non capisci quando è il momento adatto per stare muto? Quanto ti devo?”.
“S..Sei sterline” balbettò spaventato.
Sofia tirò fuori i soldi e lasciò cadere con rabbia sul tavolino. “Eccole, io qui non ci metto più piede” sputò acida prima di lasciare il negozio.
Ronnie rimase seduta con lo sguardo basso, voleva solo far avvicinare quei due, voleva solo dare ai due uno spunto per una conversazione che si spingesse oltre ai normali convenevoli da scambiare con i clienti. Sorseggiò tremante la sua Coca.
Harry le appoggiò una mano sulla spalla. “Come stai?”.
“Non benissimo”.
“Non dovevi mentirmi”.
“Io non avevo mai pensato che sarebbe finita così”.
“Vedrai che chiarirete”.
“Lo credi davvero?”.
“Ho imparato a conoscervi”.
“Spero che tu abbia ragione”.
“Le piacciono davvero?”.
“Cosa?”.
“I miei occhi”.

Ronnie sorrise e scosse la testa. “L’ha urlato. Ora scusa tolgo il disturbo, provo a fare pace”.
“Fammi sapere!”.
 

Sofia non si presentò più alla forneria.
Ogni volta che suonava la campanella si precipitava in fretta e furia a casa, evitava Ronnie in tutti i modi, non riusciva a capacitarsi ancora di come avesse tradito la sua fiducia, perchè in fondo era proprio quello ciò che l’aveva ferita, si stendeva sul letto e faceva qualsiasi cosa per tenersi impegnata.
Harry era scomparso completamente dai suoi pensieri, certo aveva chiesto alla domestica di comprare lì il pane per la sua famiglia perchè lo riteneva sempre il migliore di Holmes Chapel, ma riusciva a non associarlo al riccio, era stata solo una stupida cottarella, era davvero lieta che fosse terminata.
Una cosa le mancava, non aveva più il suo posto speciale in cui rifugiarsi. Quella non era solo una panetteria, non era uno stupido anonimo bar, no, quello era il suo regno, il luogo prediletto dove l’ispirazione la prendeva in braccio e le guidava la mano, mentre le soffiava all’orecchio le parole.
La vetrina che dava sulla strada le permetteva di osservare il via vai di persone, ne coglieva le sfumature e le usava, inventava vere e proprie vite per ciascuno di loro, le targhe delle auto erano le iniziali dei suoi personaggi, delle città, delle vie e così via.
Le mancava sorseggiare il suo amato Yorkshire in un ambiente così confortevole.
 
Harry stava lasciando il negozio, Barbara, l’adorabile proprietaria su di età, gli aveva detto di chiudere prima quel giorno perchè sarebbe andata in ospedale a trovare la figlia che aveva appena partorito. Il ragazzo pensava che sarebbe stata una nonna fantastica!
Pioveva, le gocce si tuffavano nei suoi ricci indomabili, scivolavano sulla sua giacca, doveva solo chiudere la porta e tirare giù la saracinesca, poi si sarebbe riparato al calduccio in casa sua. Aveva voglia di tornarci, sua sorella era appena rientrata in città e gli piaceva passare del tempo con lei.
Harry era così per quanto fosse di gradevole aspetto, era un semplice ragazzo dolce, spesso veniva additato come rubacuori o con altri termini, ma a pochissimi importava la sua gentilezza spontanea, la sua tenerezza e vivacità, era un ragazzo che ancora arrossiva quando gli facevano i complimenti.
Questo suo lato compensava il suo carattere allegro ed estroverso, era testardo, il divertimento non era mai sottoposto al disdegno, anche se aveva dei limiti ben precisi che si era autoimposto.
Un vento freddo si alzò, i brividi imprigionarono il suo corpo, voleva andare a casa, quella situazione gli metteva inspiegabilmente tristezza. Sfilò le chiavi dalla serratura, usò troppa forza e queste scivolarono dalle sue mani cadendo in una piccola pozzanghera lì accanto. Lo specchio d’acqua si infranse, schizzando sugli stivaletti del ragazzo sporcandoli.
“Merda!” imprecò.
Si abbassò per raccogliere le chiavi con riluttanza, gli stivali erano nuovi!
Sbuffando si rialzò e fu allora che la vide.
Un beanie le riparava la testa, i capelli erano succubi della pioggia, doveva essere per strada da un po’, gli occhi erano arrossati, il viso diafano, anche a causa del freddo, era solcato da righe nere, trucco sbavato dalle lacrime.
Si muoveva silenziosa, era un’anima dannata dell’inferno dantesco.
La vide arrabbiarsi quando trovò la panetteria chiusa, la vide spaventarsi e sgranare gli occhi quando notò la sua presenza intenta a studiarla, ma subito fece come se nulla fosse.
Silenziosa come era apparsa, girò i tacchi e si allontanò.
Harry non ebbe bisogno di ragionare sul da farsi.
Gli bastarono poche ampie falcate per raggiungerla, le afferrò la mano senza dire una sola parola, la incatenò alla sua per impedirle di scappare, perchè sapeva che ci avrebbe provato. Aprì la porta e la spinse dentro, un gesto assolutamente privo di cavalleria, appena entrò anche lui chiuse l’uscio a chiave.
Accese le luci e la fece sedere, le tolse con cura il beanie, le sfilò la giacca zuppa d’acqua e l’adagiò sul calorifero più vicino. Si precipitò dietro al bancone e mise su dell’acqua. La vide tremare dal freddo, prese la propria giacca e gliela mise sulle spalle.
Quando finalmente si sedette di fronte a lei poggiò due tazze fumanti sul tavolo, dove aveva già lasciato biscotti e pane.
“È Yorkshire Tea”.
Nessuno dei due aveva ancora aperto bocca, ma quelle parole risvegliarono la ragazza dallo stato di trance in cui era caduta convinta di ritrovarsi in un sogno. Afferrò con urgenza la tazza per scaldarsi le mani, vi accostò le labbra.
Fu come tornare a respirare dopo una corsa disperata, il primo tuffo delle vacanze al mare, i raggi caldi del sole sul viso in una giornata primaverile passata in giardino, la risata di Ronnie, guidare a tutta velocità in autostrada. Com’era possibile che un intruglio di varie erbe e aromi essiccati potesse farle provare sensazioni del genere?
“Perchè?” chiese ad un filo di voce senza staccare lo sguardo dalla tazza.
“Perchè sono stupido, non importa se una completa sconosciuta mi infama da capo a piedi davanti a tutti i clienti, non mi importa se per lei sono senza cervello, se la vedo fuori dal mio negozio devastata, sono così idiota da non poter fare a meno di aiutarla”.
“Dovresti detestarmi”.
“Già, dovrei. Cos’è successo?”.
"Credi davvero che io te lo dica? Ti ricordo che siamo estranei"
"Io so il tuo nome, tu sai il mio, so che ti piace lo Yorkshire tea, il mio pane, la torta al cocco e i miei occhi"
affermò divertito.
"Oh perfetto possiamo sposarci, ci conosciamo così bene che non so nemmeno che cognome diventerà il mio" sputò acida.
"Styles".
“Quindi tu sei Harry Styles” ripetè sorseggiando il contenuto della tazza.
“Potrei sapere il cognome da nubile della mia futura moglie?” scherzò.
“Ovviamente no”.
“Perchè stavi piangendo da sola sotto la pioggia?”
le chiese con preoccupazione.
“Ti importa davvero?”.
“Ti ho fatto entrare solo per noia”
rispose ironico.
“Allora dovevi lasciarmi fuori”.
Harry perse le staffe e battè con violenza il pugno sul tavolo. “Oggi potevo uscire prima, ho riaperto solo per te, perchè mi sono preoccupato per te, puoi smetterla di stare sulla difensiva? Voglio solo accertarmi che tu stia bene, sparisci per giorni e ti ritrovo in pessime condizioni! Scommetto che non hai ancora fatto pace con Ronnie, altrimenti non saresti qui. Sinceramente non so perchè mi abbia dato il tuo racconto, ma potresti anche perdonarla, tu le manchi e lei manca a te”.
Nuove lacrime seguirono i lineamenti della ragazza. “Hai maledettamente ragione” soffiò sperando di non essere udita.
“Non tenerti tutto dentro, dopo esplodi, non arrabbiarti, ma la protagonista del tuo racconto faceva il tuo stesso errore. Per quale motivo ti senti anche tu in trappola?”.
“Era una finzione”.
“Si leggeva fra le righe”.
“Ora capisci perchè non volevo che tu lo leggessi”
ammise con un sorriso amaro.
“Non c’è nulla di male nello sfogarsi”.
“Perchè tu lo fai?”.
“Qualsiasi essere umano lo fa”.
“E comunque non scrivo solo cose come quelle”.
“Mi stai dicendo che sei una romanticona?”.
“Non in modo esagerato, odio tutto ciò che è tremendamente diabetico, diciamo che apprezzo i piccoli gesti, quelli inaspettati sono i migliori”.
“Cosa può far crollare una ragazza vulcanica come te?”.

Ci pensò un attimo. “Questo tè”.

“Il tè?”
ripeté curioso.

“Sì, vagavo sotto la pioggia al freddo, ritrovarsi al calduccio sorseggiandone una tazza è piacevole”.

“Ti immagino tantissimo sdraiata sul divano, a leggere un buon libro mentre sorseggi il tè”.


Sofia sorrise. “In effetti lo faccio”.
“Perchè muore?”
la riscosse bruscamente.

“Chi?”.

“La ragazza del tuo racconto. Aveva dei buoni amici, era la sera della festa per il suo diploma, avrebbe potuto vincere tutte le avversità. Lei non sapeva se Vincent ricambiava i suoi sentimenti, forse lui sarebbe riuscito a far cambiare idea ai suoi genitori, lui era l’unico che si era accorto che qualcosa non andava, e il fiore che le lascia sulla tomba?”
.
Sofia rimase sorpresa, Harry non riusciva ad accettare veramente il finale, o non voleva?
“Vincent non era innamorato di lei. Il suo suicidio non ha come causa una futile cotta, lei stava soffocando, era molto più sola di quanto pensi. Non aveva alcun potere decisionale su di sè, non poteva nemmeno più sognare. Non si è suicidata, è stata uccisa, con quell’ultimo folle gesto ha voluto solamente distruggere i castelli di carta di chi viveva accanto a lei”.

Harry non lo voleva capire quel dannato finale, ma il racconto gli era piaciuto davvero. La storia era spaventosamente verosimile, le descrizioni e i pensieri dei vari personaggi lo avevano conquistato, tutto era così curato, certo errori e imprecisioni c’erano, ma nel complesso era davvero ben strutturato. Tuttavia il finale non gli andava proprio giù.

Vincent e Odette erano innamorati, lei si era sottovalutata, era in grado di trovare un’altra soluzione.
Era così infervorato dal racconto che rischiò di dimenticarsi la domanda fondamentale a cui era deciso a trovare la risposta. “Perchè eri sola fuori sotto la pioggia?”.
“Sei il ragazzo dei perchè”
commentò amara la ragazza.
“Che ti ha salvata da una broncopolmonite assicurata”.
“Io credo sia meglio se me ne vada”.

In verità Sofia era spaventata a morte, perchè quel ragazzo era così apprensivo? In fondo era solo due sconosciuti, lei una stalker per di più.
Battere in ritirata in circostanze sfavorevoli era una scelta lei odiava e rifuggiva, tuttavia sapeva di non poter fare altro. Si alzò dal tavolo senza perdere tempo.

“So che hai problemi a casa”.
Harry era ancora lì seduto, le gambe accavallate, le braccia conserte al petto, lo sguardo puntato fuori dalla vetrata e il volto serio come non lo aveva mai visto. Sofia si maledisse, non doveva guardare, non sarebbe mai riuscita a negare quanto fosse... bello.
“I miei hanno divorziato, anni fa. So cosa vuol dire non star bene in casa propria, la tua espressione, i tuoi modi freddi, non mi sono estranei”.

Calò il silenzio.
 Harry volutamente non la guardava.
Sofia era spiazzata. Non capiva cosa stesse succedendo.
“I miei non stanno divorziando” farfugliò. “Ma stanno decidendo la mia vita senza di me, ho fallito un esame per una delle facoltà che vogliono che io segua all'università. Quindi eccomi qui, il grande fallimento, la delusione cocente e costante”.
Dove aveva appena trovato la forza e il coraggio per esprimersi così liberamente con uno sconosciuto?
“Tu vorresti fare altro vero?”.

“Già”.

Harry si alzò.
“Non sei un fallimento Sofia”.
La ragazza si sciolse. Era lì davanti a lei, con le mani sulle sue spalle e lo sguardo penetrante, fisso nel suo. Troppo per il suo povero cuore.

“Io non volevo disturbarti, ma questo posto è ormai una seconda casa, è così accogliente. Non sapevo che oggi chiudesse prima”.
Cercava di sottrarsi a quella presa. Era indietreggiata, ma nulla accennava a cambiare.
Una strana idea le balzava per la mente.
Non vorresti sapere quanto sono soffici le sue labbra? O quale sia il loro sapore?
Era spaventata da questi stupidi pensieri... maledettamente reali. Tuttavia non riusciva a cacciarli via, come non riusciva più a compiere un solo passo, pur sapendo che lui non era cosciente di ciò che aveva provocato.
“Hai scritto la storia di Odette, ora scrivi la tua”.
“Ha smesso di piovere”
esclamò voltandosi velocemente.
Le mani di Harry si ritirarono lentamente.
Il riccio portò lentamente lo sguardo nello stesso punto della ragazza. Le nubi scure andavano diradandosi e alcuni flebili raggi di sole si specchiavano nelle pozzanghere incolori facendo così sembrare la strada ricoperta di pietre preziose.
“È tempo che io torni a casa” continuò lei speranzosa di poter così liberarsi da quella paradossale situazione.
“Hai bisogno di un passaggio?”.
“No, non serve”.

“Davvero non è un disturbo per me”.
“È meglio così”.
“Per favore, voglio solo accertarmi che tu arrivi a casa sana e salva, che tu stia bene”.

A Sofia morì il respiro in gola.
Di primo impatto arrossì per quella frase, ma subito dopo tutta la confusione che provava si tramutò in odio.
Lui non sapeva... agiva senza badare alle conseguenze, lui non immaginava nemmeno cosa scatenasse in lei, lui non ne era consapevole, non provava lo stesso e quella sua bontà d’animo strideva, feriva Sofia perchè era disinteressata, non provava nulla per lei. Era devastante. Era solo la semplice cliente che si era spinta troppo oltre.
“No ti prego smettila” disse infastidita.
Quella reazione stupì Harry. La fissò senza capire il motivo della sua risposta. Aveva detto o fatto qualcosa di sbagliato?
Quella ragazza era strana.
Le sue mani erano ancora sulle sue spalle, non accennava a lasciarla andare via, non ne aveva motivo, ma non gli importava. Osservò i suoi lunghi capelli castani, le punte non più zuppe erano ora ondulate, le sue labbra avevano ripreso colore e il calore del tè le aveva ammorbidite e liberate dalle screpolature.
Sofia ormai era persa, irrecuperabile, andata, spacciata.
Verde smeraldo.
Ormai era totalmente succube di quei occhi verdi, così belli, così vividi, accessi, profondi, brillanti, confortevoli, incantevoli e associabili a tutti gli aggettivi postivi di questo mondo.
Si era innamorata di loro quando ancora non la conoscevano.
“Scusa, mi sono espressa male. Intendevo dire, che sei già stato fin troppo gentile, non ti voglio far perdere altro tempo, come hai detto tu, oggi chiudevi prima”.
Pronunciò quelle parole con un sorriso.
Nascondere, rinchiudere, non dare a vedere.
Era il suo modo per sfuggire situazioni sgradevoli.
Bastava solo un falso sorriso, qualche parola di cortesia, non sbilanciarsi troppo e magari atteggiarsi come l’interlocutore si aspettava. Una sorta di political correct.
Si sottrasse dalle mani del riccio, velocemente tolse la giacca del ragazzo e si riappropriò dei propri indumenti.
“Grazie” sorrise nuovamente prima di andarsene.
Camminò tranquillamente davanti alla vetrina, mentre il riccio la guardava confuso, raggiunse la sua fermata dell’autobus.
Controllò i tempi d’attesa, 20 minuti.
Si abbandonò sulla panca.
Cosa diavolo le era saltato in mente? Andare a piangere come una bambina in quella panetteria. Davanti a lui.
Scoppiò a ridere in modo isterico. Il danno era fatto, a che serviva piangere?
La sua stupidità non la stupiva nemmeno più, forse era per questo che aveva fallito miseramente quel dannatissimo test. Beh non che le dispiacesse in realtà.
Tornò a casa.
Si gettò stanca sul suo letto, tanto per cambiare i suoi erano al momento erano troppo impegnati, ammirava la loro dedizione al lavoro, ma era convinta che non si fossero nemmeno accorti della sua temporanea fuga.
Prese il computer e cominciò a guardare Game of Thrones.
Amava alla follia quella serie, lotte fra nobili casate, personaggi unici, draghi, sesso e una sigla d'apertura meravigliosa. Aveva un solo difettuccio: il proprio personaggio preferito era sempre destinato a morire, dato che più o meno tutti lì morivano.
Finito l’episodio, si rese conto di una cosa.
Le mancava da morire Ronnie, Styles aveva ragione.
Si stava comportando come se nulla fosse successo, menare aveva bisogno di capire, di parlare con qualcuno dei fatti di quel pomeriggio. Era un atteggiamento davvero infantile.
Prese il telefono, Ronnie era fra i contatti preferiti.
“Pronto?”.
“Te la senti di parlare con una terribile amica?”.

 
HEY THERE!!!
Ultimamente sto aggiungendo scrivendo più storie...
Questa in realtà è una One Shot che avevo cominciato a scrivere mesi fa, ma per varie ragioni avevo deciso di accantonarla, ma dato che non ho nulla da fare, ho deciso di provare a continuarla. It's my most personal story, yeah.. I'm the protagonist. 
Per comodità mi hanno consigliato di dividerla in più parti, dato che è molto lunga.
Massive thank you a chi mi ha spronata a pubblicarla!

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Capitolo 2
*** Disaster Date ***


DISASTER DATE

La risata di Ronnie riecheggiava nel corridoio della scuola.
Scuoteva i suoi capelli scuri, i suoi riflessi violacei risplendevano alla luce del sole.
Liam la guardava sorridendo beato, era bellissima, si sentiva il ragazzo più fortunato della terra, lei era un angelo, il suo angelo.
Quella ragazza un po' bassa, con lo sguardo curioso, ma estremamente timido, gli aveva fatto battere il cuore più del dovuto dalla prima volta che l'aveva vista, tuttavia gli era servito parecchio tempo per realizzarlo. Era stato graduale.
Si erano scontrati in corridoio una mattina, lui era in ritardo, camminava a passo spedito, anzi correva, non l'aveva vista. Nessuno dei due si fece male. Si era limitato a delle scuse, poi lei scappò via.
Da quell'episodio Liam cominciò a vederla raramente e casualmente nei corridoi, come se non fosse più una presenza invisibile. Poi a cercarla con lo sguardo, imparò quale fosse il suo armadietto o quando avesse ginnastica.
Si ritrovò a pensarla ogni tanto durante le lezioni, specie quando la vedeva in ansia per le verifiche, perché la scorgeva intenta a ripassare fino all'ultimo accovacciata in terra. Aveva imparato a conoscere le sue amiche, con cui passava gli intervalli, il suo umore e tante altre piccole cose.
Ogni tanto le faceva un cenno e la salutava, aveva persino accennato qualche conversazione con lei e fu durante una di queste che capì di avere una cotta per la ragazza.
Aveva fatto una battuta, per sviare le tensione dovuta alla timidezza di lei. Non si ricordava nemmeno quale fosse, ma Ronnie inaspettatamente aveva dapprima sorriso, poi si era lasciata andare a gustose risate. Liam era arrossito, era davvero carina quando sorrideva.
Imparò il suo orario, fondamentale per incontrarla "casualmente", ogni tanto le portava anche i libri quando quelle braccia sottili ne erano stracolme. Fu solamente quando la classe della sua amica partì per Parigi che si fece coraggio.
Erano da soli in biblioteca, a studiare, almeno Ronnie lo faceva, lui era troppo nervoso. Lei lo aveva notato e gli aveva domandato se stesse bene. Liam era allora crollato, le aveva detto che le piaceva e le aveva chiesto di uscire. Ronnie era letteralmente morta dalla felicità, aveva una cotta per Payne da sempre.
Liam mentre la guardava ridere ripensò al loro primo bacio, avvenuto al secondo appuntamento.
Era passato un po' di tempo da quei avvenimenti, ormai l'aveva capito, era realmente innamorato di Ronnie.
Rideva con Sofia ora, era contentissimo che avessero fatto pace.
"Allora che si fa dopo scuola?".
"Non hai voglia di tè?"
la punzecchiò Ronnie.
"No" rispose immediatamente.
"Io andrei volentieri a mangiare un dolce" disse Liam sorridendo sotto i baffi.
"Bene, divertitevi".
"Sofia non fare storie" la fulminò Ronnie.
"Mi sentirei in colpa a rovinare una vostra uscita" disse lei con aria innocente.
"Credo che sia molto probabile che saremo noi quelli di troppo" puntualizzò Liam.
"Hey Payne non sfottere" ribatté accigliata.
"Bambini basta!" sbuffò Ronnie. "Dopo scuola andiamo tutti alla forneria".
"Va bene! Per oggi offro io"
disse Payne contento.
"Tu vieni o giuro che ti taglio i capelli nel sonno!".
Sofia tremò. Sapeva bene che la dolce e timida Ronnie era capacissima di farlo, possedeva un celatissimo lato oscuro, che era saggio non riportare a galla, tuttavia non era entusiasta dell'idea dei due fidanzatini, guardava con diffidenza questa loro iniziativa.
Preoccupata varcò la soglia ben nota del luogo ormai teatro di disdicevoli ricordi.
Non guardò verso il bancone, si sedette velocemente al solito posto, una devastante orda di emozioni contrastanti le martellò tutto il corpo fino al midollo.
Una parte di lei sperava di essere ignorata, ma l'altra... Voleva vederlo, voleva morire sotto quei brucianti occhi verdi, per l'ennesima volta, soffrire e bearsi allo stesso tempo di loro, di lui. Lo aspettò.
"Ciao".
Non era lui, non era la sua voce.
Si era arrabbiato. Aveva sbagliato a non presentarsi ancora, lui aveva capito che il gioco non valeva la candela, che lei era solo una perdita di tempo, uno spreco di energie.
"Sei Sofia giusto?".
La ragazza rizzò il capo di scatto, guardò per un attimo Ronnie, ma dalla sua faccia capì che non ne sapeva nulla. Posò allora lo sguardo sul misterioso interlocutore.
Era un bellissimo ragazzo con i capelli castani, lunghi e lisci come la seta, li portava in acconciatura apparentemente disordinata, ma curata. Aveva gli occhi blu, come non ne aveva mai visti prima, la barba fintamente incolta e due labbra sottili stese in sorriso luminoso.
Annuì lentamente.
"Molto piacere io sono Louis. Vedi il ragazzo dietro il bancone? Lui è il migliore amico, si chiama Harry".
So perfettamente chi sia, avrebbe voluto rispondere.
"Sai c'è la festa del suo quartiere domani sera, voleva invitarti a venirci con noi".
"Che cosa?"
disse senza riflettere.
"È un po' impacciato a volte, non sapeva come dirtelo".
Impacciato? No, non stiamo parlando dello stesso Harry.
"Ci sarai?".
"Lei verrà sicuramente"
intervenne prontamente Liam.
"Perfetto, a domani sera allora! Ah potete venire anche voi due" disse Louis indicando la coppietta.
"A domani sera Louis" sorride Ronnie.
Il ragazzo si girò tutto contento verso il bancone.
"Hey Harry! Sofia ha detto che verrà alla festa. Non c'è di che amico, io me ne vado ora, il mio compito è finito".
Lo straccio tenuto in mano dal riccio si schiantò velocemente al suolo, mentre questi fissava esterrefatto l'amico. Non lo aveva assolutamente visto avvicinarsi a Sofia, era troppo preso dal lavoro.
Lei si coprì subito il volto con le mani, maledicendo qualsiasi entità superiore che aveva permesso che tutto ciò accadesse.
"Lo sai vero che io vi shippo?".
"Ti prendo a sprangate chiodate sui denti, anche te Liam e quell'idiota di Louis"
ringhiò Sofia incenerendo Ronnie con lo sguardo.
"Non lo conosci".
"Ho già visto abbastanza, sarà figo quanto vuole, ma l'urlata finale poteva risparmiarsela, anzi anche l'invito. Ripensandoci poteva evitare di parlarmi".
"Come se ti dispiacesse avere un appuntamento con Harry".
"Non ne sapeva nulla, non è un appuntamento".
"O era solo sorpreso".
"Chiudi il becco Payne. Io devo andare in bagno, per favore non organizzatemi un matrimonio a sorpresa durante la mia assenza!".
"Non è una brutta idea, vero Ronnie?"
la punzecchiò Liam.
Sofia sbuffò e si allontanò.
Al suo ritorno però, trovò gli amici con già le loro ordinazioni, più una tazza del solito tè e una fetta di torta per lei.
"Oh grazie per avere ordinato anche per me" li ringraziò, sedendosi.
"Ehm no, veramente Harry ha chiesto solo le nostre. Ha portato anche queste dopo" spiegò cauta Ronnie.
"Ti prego dimmi che scherzi".
"No, è vero".

Guardò la torta e l'assaggiò.
"Succede sempre qualcosa quando fa la sua torta al cocco" disse con un timido sorriso, che a Harry non sfuggì.
 
"Ronnie io non so cosa mettermi, non so nemmeno quale sia il dress code per la serata!".
Avvolta nell'accappatoio osservava insoddisfatta l'armadio con le ante spalancate, i capelli umidi gocciolavano ancora lungo la sua schiena, ma erano molto più asciutti rispetto a quando si era posizionata davanti alle ante aperte.
"Allora ti importa di fare bella figura" sogghignò la ragazza dall'altro capo del telefono.
"Beh sì" ammise arrossendo.
"Quindi Harry ti piace".
"Ronnie...".
"Ammettilo che non è più una stupida cotta per il ragazzo dagli occhi smeraldo della forneria, non dopo quello che mi hai raccontato, se abbiamo fatto pace è merito suo".
"Harry mi piace davvero, vorrei che anche solo per stasera mi trovasse carina".
"Beh dovrebbe essere stupido per non farlo".
"In quale universo?!".
"Non ricominciare".
"Sei tu che dici cavolate".
"Non è vero! Dai su, pantaloni o vestito?".
"Ti ho chiamato io per una consulenza"
la schernì.
"Sono nella stessa barca".
"Così impari a accettare inviti da sconosciuti".
"In realtà è stato Liam".
"Liam è il tuo ragazzo, quindi è colpa tua".
"Trovato! Metterò la gonna nera a vita alta".
"Non tralasciare la tua bombetta".
"Mai nella vita, tu hai idee?".
"Sì, ma non sono adatte".
"Sofi, lascia fare a me".

 
Le lanterne appese agli alberi facevano scintillare le loro foglie, disegnando venature dorate sulle differenti tonalità di verde, le fronde degli alberi erano composte da gioielli preziosissimi e bellissimi.
Sofia non era mai stata in quel parco, guardava ogni dettaglio, catturava ogni immagine aggirandosi a bocca aperta. Perfino le panchine erano particolari, alcune in ferro battuto, altre in pietra, dalle forme svariate uscite da tutti i cortili dei palazzi delle fiabe.
Anche l'erba dei prato era unica. Tanti steli argentati si alzavano verso la luna, ne rubavano il pigmento, erano tanti piccoli filamenti di corpo celeste, ritrovatisi per errore sulla Terra.
"Sei emozionata?" le chiese Liam accarezzandole la testa.
"Lui mi piace".
"Di cosa hai paura allora?".
"Non mi ha invitata lui ad uscire e... Insomma... Io non sono come le altre...".
"Che intendi?".
"Sono cose da ragazze Liam, non so se mai capirai".
"Ti ha guardata tutto il tempo l'altro giorno".
"Dopo che Louis se ne andato".
"Sofia ti piglio a schiaffi se continui"
sbuffò Ronnie.
I due fidanzatini presero a parlare, finché il discorso non escluse del tutto la ragazza, ma non le importava. Continuava a guardare il posto in cui si trovava, sicura di scorgere altre bellissime caratteristiche.
Il vialetto su cui camminava era fatto da massi larghi, quasi come quelle delle antiche strade romane, le piaceva il modo in cui risuonavano i propri passi.
Notò in lontananza quattro figure, due sedute sulla panchina, una in piedi e l'ultima camminava avanti indietro dalle altre. Quest'ultima aveva un che di buffo, sembrava irrequieta. La osservò man mano vi si avvicinava.
Aveva dei pantaloni scuri e stretti, un maglione scuro lungo, da cui spuntava una maglia chiara. Calzava un paio di stivaletti scamosciati beige. Sul capo portava un cappello, ampio, come quelli che suo padre indossava andando al lavoro, da cui spuntavano i capelli lunghi e ricci. Aveva capito fin da subito chi fosse, ma le piaceva ammirarlo di nascosto nella penombra, senza farlo notare né a Ronnie, né a Liam.
Abbassò lo sguardo su di sé, non era sicura che il proprio outfit fosse adatto. Il vestito corto nero in jersey, le calze nere ricamate erano eccessive, sorrise guardandosi i piedi, anche lei indossava degli stivaletti marrone chiaro.
Si strinse nel golfino corto che indossava, aveva la pelle d'oca, ma non per il freddo, dato che le serate cominciavano a diventare più tiepide.
"Hey Sofia!"
La ragazza spostò la sua attenzione su Louis, il quale si dimenava in maniera eccessiva per salutarla, agitando le braccia come un ossesso, nonostante fossero a pochi passi di distanza.
"Ciao Louis" rispose sorridendo.
"Scusate se non vi ho salutato, ma non conosco i vostri nomi" si scusò il ragazzo castano, guardando la coppietta dietro alla ragazza.
"Figurati, io sono Liam".
"Io Ronnie"
si presentò con un sorriso smagliante.
Era sempre stata timidissima, ma la sola presenza di Liam la tranquillizzava, aveva meno problemi ad aprirsi con gli altri da quando uscivano insieme, lei aveva sempre avuto dentro la forza per riuscirsi, ma aveva avuto bisogno solo di un piccolo aiuto per liberarla.
Payne la osservava dolcemente mentre chiacchierava con Louis, in silenzio, pensando a quanto la trovasse perfetta nella sua adorabile timidezza.
"Comunque loro sono Niall" disse indicando un ragazzo biondo, sicuramente tinto "Zayn" sta volta era rivolto a un ragazzo dai capelli corvini e pelle ambrata "e lui, va beh lo conoscete è il panettiere o fornaio, come preferite".
"Sai un nome ce l'ho anch'io"
disse questi stizzito.
"O scusa Harold".
"Harold?"
ripeté Sofia.
"È il suo vero nome".
"Piantala Louis"
lo fulminò il riccio.
"Ti vergogni del tuo nome?" lo punzecchiò l'amico.
"Hey la smettete voi due? Vi ricordo che abbiamo compagnia" li richiamò Zayn.
"Allora che ne dite di andare a prendere dello zucchero filato e andare a fare qualche gioco?" propose il biondo.
"A me va bene Nia..." approvò Sofia.
"Niall" sorrise quest'ultimo.
"È un nome irlandese vero?".
"Esattamente, proud to be Irish!"
esclamò fiero.
Il gruppo partì, Liam parlava con Zayn, Ronnie e Sofia invece chiacchieravano con Niall e Louis. Harry rimase in in silenzio, un po' in disparte, quasi pensieroso. Sofia si sentiva dispiaciuta per questo, a tal punto da commettere quella che lei stessa definì una pazzia.
Lo raggiunse. Sorridendogli.
Forse era stupida, forse avventata, forse gli avrebbe peggiorato la serata, però, per una singola volta, era lei a rivolgergli un sorriso, non si presentava come la problematica depressa.
Non si era esattamente preparata, non sapeva cosa dirgli, se ne uscì quindi con uno squallidissimo "Hey, bel cappelo!".
"Ciao,lieto che ti piaccia"
rispose con un sorriso.
"Sai, non sono mai stata in questo parco, é bellissimo, è incantato".
"Potresti ambientarci il tuo prossimo racconto".
"Bell'idea! Credo mi udirebbe qualcosa sul fantasy".
"Però me lo devi far leggere, é un mio diritto ti ho dato l'idea"
dice convinto.
"Come siamo pretenziosi Harold" ribatté lei altezzosa.
"Mi dà fastidio quando mi chiamano così".
"Oh...".
Sofia si schiaffeggiava mentalmente. "Il fatto è... Che... Il fatto è che... A me... Piace moltissimo" ammise vergognandosi.
Styles la guardò intensamente. "Allora tu sei l'unica che potrà farlo, ma non dirlo a Louis" concluse ridendo.
"Bocca cucita!".
"Ti conviene o puoi scordarti il tuo amatissimo Yorkshire Tea".
"Questo é scorretto!".

"Mio il negozio, mie le regole".
"Cambierò posto".
"Non puoi".
"Oh e sentiamo, perché?".
"Perché lo dico io".
"Hai vent'anni e questo è la massima giustificazione che puoi darmi?".

"No, è quella che voglio darti, è assai diverso" sogghigna quasi... malizioso.
Sofia avrebbe voluto capire, ma non ebbe nemmeno il tempo di rimuginare sulla sua risposta, dato che un Niall esaltato urlò "Zucchero filato!".
Lo avevano preso tutti, da bravi bambini, avevano osservato la preparazione di quel dolce così delizioso, allo stesso modo in cui si fissa un mago intento a compiere una magia.
"Cosa facciamo adesso?" domandò Ronnie.
"Autoscontri!" gridò Zayn, suscitando l'approvazione di tutto il gruppo.
Andarono di buon passo verso l'attrazione, le vetture erano biposto, uno di loro sarebbe salito con uno sconosciuto.
"Posso andare io da solo" suggerì Liam.
"Non se ne parla, siete nostri ospiti!" lo fulminò Zayn.
"Resto giù io, posso fare anche meno" suggerì Sofia, ma si beccò un'occhiataccia da tutti i presenti.
"Allora, Ronnie e Sofia voi due salute Liam vai con Harry, Niall e Louis, io andrò con uno sconosciuto".
"Mi dispiace, ma non posso accettare di metterti in questa posizione. Proviamo a chiedere se possiamo stare in tre, vieni con me e Ronnie"
propose Sofia.
Involontariamente Harry spostò il suo sguardo su di lei, non conosceva Zayn da molto e già si preoccupava per lui.
Per qualche arcana posizione degli astri, i ragazzi poterono attuare l'idea avuta dalla ragazza. Fu divertentissimo.
Quella giostra era perfetta per scaricare un po' di tensioni e preoccupazioni, per scherzare e divertirsi.
Ronnie si sentiva un po' intimorita dalla presenza di Zayn, per qualche istante detestò Sofia e la sua boccaccia, ma non ebbe il coraggio di dire nulla.
La sua amica sapeva che lei non ne fosse molto felice, difatti sapeva già cosa fare per metterla a suo agio. Diresse volontariamente la loro vettura contro quella di Liam, lanciando un'occhiata loquace a Ronnie.
"Facciamolo nero" sorrise quest'ultima.
Il gioco cominciò.
Ronnie si divertiva ad andare contro Liam, che ingaggiava battaglia provocandola con stupide battute, ma anche Zayn prendeva spesso il comando per andare contro Louis e Niall. Furono però abbastanza saggi da non passare il tempo a scontrarsi solo fra di loro.
Si stavano divertendo.
Era bello, sotto quelle luci, dentro quelle urla, quelle risate, in quella carrozza, con il profumo del dopobarba di Zayn che le stuzzicava piacevolmente le narici, Sofia credette di essere al posto giusto, nel momento giusto.
Guardò Ronnie ridere e scherzare con il ragazzo con estrema naturalezza, entrambi le rivolsero un ampio sorriso, quando la scoprirono intenda a studiarli, il ragazzo le regalò anche un occhiolino.
“Siamo invincibili” decretò lui allegramente alzando due dita in segno di vittoria.
Pronti si precipitarono verso una nuova battaglia.
 
“Smettila di lamentarti Liam” sbuffò la sua ragazza.
“Dico sul serio, vi siete accanite un po’ troppo nei miei confronti”.
“È solo un gioco”.
“Evidentemente te lo meritavi”
mormorò Sofia divertita.
“Dovresti solo ringraziarmi” rispose allo stesso tono.
“Perché vi scannate sempre?” sbottò Ronnie seccata.
“Ma noi ci vogliamo bene, vero Sofi?” sorrise abbracciandola.
“Sì, non preoccuparti, ci piace solo variare le dimostrazioni d’affetto!”.
Erano seduti su una panchina, intendi a decidere sul da farsi, erano parecchio indecisi.
Ronnie e Zayn proponevano un secondo giro di autoscontri, Niall aveva fame, Liam voleva vedere la casa stregata, Louis e Sofia il tiro a segno, mentre Harry si dichiarava favorevole a tutto.
“Comunque Liam non ti devi lamentare più di tanto, tu e Harry ci avete quasi ammazzato” disse Niall.
“Harry, credevo fossimo amici” si lagnò Louis fingendo di asciugarsi una lacrima.
“Mai sentito parlare di vendetta?”.
“Vendetta? Perché?”.

Inviperito Harry si voltò verso l’amico. “E me lo chiedi anche?” soffiò piano credendo di non essere udito, per poi tornare a chiacchierare con gli altri con tranquillità.
Ronnie vide contrarsi ogni singola fibra che componeva il tessuto muscolare del corpo di Sofia, divenuta ormai più rigida di una statua greca. Il suo sguardo si fece per poco tempo buio, freddo e inespressivo. Scosse il capo per tornare alla normalità.
Le sfiorò il braccio preoccupata, ma ricevette solo un sorriso veloce e un po’ tirato.
“Mi accompagni in bagno Sofia?” esordì allora.
“Va bene”.
“Sapete dove sono? Posso portarvici se volete”
provò il ragazzo della panetteria.
“No. Non vogliamo disturbare. Possiamo trovarlo da sole” sibilò acida Sofia.
Quanto l’avrebbe schiaffeggiato volentieri.
Ricevette una gomitata dalla sua amica, voleva intimarle di mettersi in marcia, o voleva che si scusasse? Oh beh non c’era nessuna differenza, era fin troppo testarda anche solo per prendere in considerazione la seconda opzione.
“Mi spiace, ma insisto” rispose assottigliando gli occhi.
Che cazzo voleva?!
“Non…. mi serve pìù, ho… cambiato idea!” balbettò Ronnie intimorita dalla situazione.
“Quindi… Che si fa?” chiese Zayn.
“Proviamo altre giostre” ripropose Liam.
“Solo se dopo ci fermiamo a mangiare qualcosa”.
“Va bene Niall, su dai andiamo”
sbuffò Louis.
Sofia si allontanò il più possibile dal giovane panettiere, voleva godersi una bella serata, avrebbe fatto ancora un giro su un paio di giostre e poi, con una scusa, sarebbe tornata a casa.
Sì concentrò al meglio che potè sulle parole di Ronnie, sulle battute di Louis, sulla risata di Niall, il profumo di Zayn che camminava accanto a lei e sulla voce di Liam.
Vedendo il bicchiere mezzo vuoto, aveva conosciuto davvero dei ragazzi fantastici, perché non gioire e godersi la loro compagnia?
Si unì ai loro discorsi, sentendosi subito meglio, ma improvvisamente sentì una forte presa sul suo polso, in seguito ci fu forte strattone.
Si ritrovò a correre a perdifiato, a fatica su quei tacchi, anche se bassi. Cosa diavolo stava accadendo? Correva, ma non riusciva a vedere chi la stesse trascinando. Una miriade di domande le frullavano nella testa. Era in pericolo? Voleva mettersi ad urlare, ma non riusciva.
Finalmente si fermò. Ansimava per la fatica. Non era l'unica a farlo.
Davanti a lei, con le mani appoggiate sulle ginocchia, c'era il suo rapitore che cercava di calmarsi e riprendere fiato.
"Cosa... cazzo ti è preso Harry?!" urlò anche se sfinita.
Harry alzò lo sguardo lentamente, rimase in silenzio, la guardava e basta. Non ne voleva sapere di staccare gli occhi di dosso, Sofia era in soggezione.
Fu lei con sfida a spostare il proprio, fu lei a ignorarlo, fu lei perché non voleva dargliela vinta.
Styles si drizzò, le si avvicinò.
"Sofia" inspirò profondamente.
"Non preoccuparti, me ne sarei andata presto. Ah non sai lanciare frecciatine nascoste, ho sentito perfettamente quello che hai detto a Louis. Spero che tu non sia così sfigato da pensare che io sia venuta solo per ved...".
"Chiudi quella tua fottutissima boccaccia per una singola fottuta volta cazzo!"
urlò a pieni polmoni.
Lei si sussultò, non aveva mai usato quel tono con lei. Si sentiva offesa, arrabbiata e spaventata. Istintivamente fece un passo indietro.
Al riccio bastò un centesimo di secondo per comprendere le come si sentisse e quali fossero le sue intenzioni. Si mise le mani sui fianchi, osservò le punte delle proprie scarpe e prese fiato. Poi tornò a guardarla negli occhi, mentre le sue dita affondavano sempre di più nel tessuto del suo maglione.
"Ascoltami. Non so cosa vi siete detti tu e Louis, ma qualsiasi cosa sia uscita dalla sua bocca... dimenticala".
Uno schiaffo. Nell'aria si era librato un poderoso schiaffo, ghiacciando l'atmosfera e il sangue della ragazza. Quelle parole l'avevano ferita nel più doloroso dei modi possibili. Ammettere che quel riccio stronzo le piacesse, le era costato uno sforzo immane e lui, ora, la rifiutava nella maniera peggiore. Non pretendeva che ricambiasse, non ci aveva mai sperato, solo un po' più di tatto.
Mai più si sarebbe mostrata ferita ai due smeraldi.
"Non è un problema. Mi ha solo, no anzi. Ci ha invitati a venire qui stasera, Liam e Ronnie hanno accettato subito e mi hanno costretta. Louis non ti ha neanche nominato, altrimenti non sarei qui". Grandissima bugia.
"Bene".
"Ciao".
"Ciao? Dove vai?".
"A casa mia, te l'ho già detto, presto me ne sarei andata lo stesso".

Harry scosse il capo.
"Vieni con me".
Sofia rimase basita da quelle tre parole. Era scemo o mangiava i sassi?
"No".
Styles sbuffò, le prese l'avambraccio e cominciò a camminare tranquillamente, ignorando le sue proteste.
Era pazzo, non c'era altra conclusione possibile, si convinse la ragazza.
Arrivarono fino davanti allo spazio per il tiro a segno.
Diverse baracche erano disposte in quella piazzetta del parco, alcune avevano le pistole ad acqua, altre i classici barattoli da tirare giù con una palla e così via; ognuna esponeva i diversi premi, peluches di enormi dimensioni e molto altro.
Uno in particolare attirò l'attenzione di Sofia.
Era un gigantesco panda, morbidissimo con gli occhi verdi.
"Da quale vuoi cominciare?" le chiese il riccio.
"Non capisco, perché mi hai portata qui?" rispose confusa.
"Facciamo un patto, giochiamo un po' e poi quando abbiamo finito te lo dico".
Sofia era titubante, non voleva rimetterci, quella situazione era troppo assurda.
"Ci divertiremo vedrai" la incoraggiò.
"Ok..." accettò poco convinta.
 
Avevano ormai provato quasi tutti i giochi, Sofia doveva ammetterlo, si stava divertendo, e non poco.
La risata di Harry era davvero contagiosa, era gioiosa e pulita, un suono che era in grado di sciogliere i più duri grovigli di nervi. E poi c’erano le sue fossette. Dio quanto erano belle, Sofia le amava, così dolci, così perfette, invitanti e belle.
Mentalmente si rimproverava, lei non doveva restare lì con lui, l’aveva chiaramente rifiutata, eppure era talmente masochista da non voler rinunciare per nulla al mondo alla sua compagnia. Avrebbe voluto fermare il tempo, allontanare per sempre quel spaventoso dopo che si erano ripromessi per parlare, impedire che quella serata diventasse un costante rimorso.
“Rimane l’ultimo da provare” disse il riccio del pane.
“Qual è?”.
“Quello laggiù”

Le indicò la baracca dove vi erano allineate diverse piramidi di barattoli di latta grigi, era lì che aveva visto il panda.
“Vuoi provare?”.
“Non so Harry, di solito sono sempre truccati quelli”.
“Lo penso anch’io, ma forse possiamo farcela, dai proviamo”.
“Abbiamo giocato abbastanza”.
“Ho un motivo se voglio provarci”
ribattè sorridendo.
Sicuro di sé, si avvicinò alla baracca.
Dietro al bancone c’era una ragazza dai capelli castano chiaro, aveva lo sguardo annoiato, ma non appena vide avvicinarsi il ragazzo, il suo viso si illuminò, cercò di sistemarsi al meglio e lo accolse con un caloroso sorriso.
“Ciao! Sei venuto per tentare la fortuna?”.
“Spero di riuscirci, ma sento che è la serata giusta”.

Sofia osservava inorridita la scena, se ne stava in disparte, si era altamente infastidita dalla situazione.
“È la tua ragazza lei?” ripresa lei indicando Sofia.
“No, non preoccuparti” la rassicurò quest’ultima. “Se sono di troppo posso anche allontanarmi” commentò ironica a bassa voce.
Harry non la sentì,o forse la ignorò e basta.
“Quanti tentativi ho?”.
“Tre”.

Styles sogghignò.
Afferrò una pallina.
Si tolse il cappello, lo appoggiò al bancone. Scrollò i suoi lunghi ricci, vi passo dopo una mano. Cominciò a girarsela nelle mani, sempre più velocemente, iniziò a lanciarla in aria e riprenderla al volo, si stava palesemente pavoneggiando.
Poi tirò.
Caddero tutte le lattine.
La ragazza dietro il bancone cominciò a esultare battendo le mani.
Harry le regalò uno dei suoi sorrisi mozzafiato.
“Devi scegliere il tuo premio” ammiccò lei, sporgendosi verso di lui maliziosamente.
“Prendo il panda gigante” esclamò senza pensarci troppo, facendo comparire un’espressione di delusione sul volto della fanciulla.
Harry rimirò tutto contento il panda, si voltò sorridendo a trentadue denti, ma immediatamente si spense. Sofia non c’era più.
 
“Brutto deficiente” sputò acida Sofia, mentre sorseggiava una birra. “Non posso neanche tornare a casa, devo rimanere qui ad aspettare Liam”.
Per la terza volta quella sera, si era ritrovata su una panchina, ma ora era sola e incazzata nera,
Era una stupida. Lei si era cacciata da sola in quella situazione.
“Stai parlando da sola questo sì che è preoccupante”.
Sofia roteò gli occhi al cielo, come aveva fatto a trovarla?!
“Posso sedermi qui?”.
Non rispose, non aveva voglia di sprecare fiato per lui.
Il riccio sospirò e si mise accanto a lei.
“L’ho vinto prima per te” tentò pur di stabilire uno straccio di conversazione porgendole il panda, ma invano.
Sofia, continuando a sorseggiare la birra, prese il telefono, voleva controllare se Ronnie avesse provato a contattarla, ma prima che abbassasse il capo sullo schermo, un enorme panda occupò tutto il suo campo visivo.
“Ciao! Io sono un panda, mi ha vinto il riccio al tuo fianco, sai ha buttato giù le lattine in un colpo” disse una voce stupida e alterata, per sembrare tenera.
La birra le andò di traverso.
“Ciao” disse alzando un sopracciglio.
“A quanto pare vuole che sia tuo”.
“Perché dovrei accettare?”.
“Mah non so, lo spera e basta”.
“Ah. Per che diamine sto parlando con un peluche?”
sbottò allibita.
“Perché non vuoi parlare con lui, ma ti capisco, non mi sembra uno sveglio”.
“Ok panda, che vuoi da me?”.
“Beh sapere perché te ne sei andata”.
“Chiedilo al riccio”.
“Non lo so, cioè non lo sa”.
“A no? Oh sai, prima mi separa dal gruppo, poi mi dice di dimenticarmi dell’invito che ho ricevuto dal suo migliore amico, mi trascina in giro con sé, si mette a flirtare con una lasciandomi lì imbambolata a guardarlo e poi mi perseguita con un peluche chiedendomi cos’ho!”
gridò.
“A lui dispiace”.
“Non mi importa, può fare quello che vuole, ma non mi prenda più in giro”.
“Ti ha cercato come un pazzo sai?”.
“Questa è una bugia, lui non voleva che io fossi qui, per questo mi ha chiesto di scordare le parole di Louis”.

Ci fu un lungo silenzio e poi un sospiro.
“Aveva un motivo, perdonalo”.
“E non potrei saperlo?”.
“Non può dirlo”
disse il panda imbarazzatissimo.
Sofia scosse la testa. “Voglio andare a casa”.
“Louis ha scritto a Harry prima, i ragazzi stanno andando alle macchine, vuoi raggiungerli?”.
“Sì”.
“Mi terrai?”.

Lei sorrise. “Sì, mi stai simpatico”.
 
Camminarono uno affianco all’altro in silenzio.
Forse volevano provare a dirsi qualcosa, ma le parole morivano in gola, la situazione fra di loro era diventata ingestibile e insostenibile, quindi nessuno osava proferire.
Harry fissava di sottecchi le braccia di Sofia avvolte intorno al morbido panda.
Lui procedeva con le mani nelle tasche, calciando occasionalmente dei sassolini, fu solo allora che notò un dettaglio che lo fece sorridere: i loro stivaletti erano simili.
Sofia era silenziosa, fissava il pupazzo fra le sue braccia, lui aveva notato che le piaceva, lei non aveva mai fatto una parola a riguardo. Non riusciva a comprendere il suo comportamento, era così confusa!
Alzò lo sguardo e da lontano riconobbe Louis e Niall.
“Là ci sono i ragazzi” disse atona.
Sentì Harry mandare inghiottire rumorosamente la saliva.
“Oh bene”.
Li avevano quasi raggiunti quando Harry le chiese di fermarsi ancora un secondo.
“Cosa c’è?” chiese lei guardandolo negli occhi.
“Sofia” sospirò lui solamente.
Non tolse la mani dalle tasche, non le accarezzò il viso, nessuna parte dei loro corpi entrò in contatto se non una.
Harry si sporse in avanti, poggiò tremante le sue labbra su quelle di Sofia, il cui povero cuore emise l’ultimo sgraziatissimo battito.
Quando si allontanarono le gote di entrambi erano divenute tavolozze per sperimentare le diverse gradazioni di rosso.
“Buona notte” concluse lui osservandola ancora per pochi istanti.
Lei rimase lì. Immobile. Impalata. Pietrificata.
Il suo cervello non ne poteva più, era tutto troppo complicato, infatti le girava fortissima la testa. Le sue labbra erano dischiuse in segno di stupore, sotto lo sguardo di Liam, Ronnie, Zayn, Niall e Louis, i quali avevano assistito a tutta la scena.


 

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Capitolo 3
*** Fears and Feelings ***



 

FEARS AND FEELINGS

“Sofia, potresti portarmi la mia borsa?”
“Sì mamma, dove lai lasciata?”.
“Al piano di sotto, è appoggiata su una poltrona”.
“Baciata su una poltrona?!”.
“Appoggiata!”.
“Scusa, vado a prenderla”.

La mente umana è complessa, capace di creare le più grandi e magnifiche opere di arte, filosofia, letteratura, architettura, musica, cinema e tanto altro ancora. Eppure nella vita di tutti i giorni, può succedere che, un singolo episodio possa mandarla completamente in tilt.
“Un campo è l’insieme dei valori che una grandezza assume in una regione dello spazio. Il campo è vettoriale, se a ogni punto della regione è associato un vettore che rappresenta la direzione, il verso e l’intensità del campo in quel punto. Il campo magnetico, è un campo vettoriale. Esso risulta definito in un punto quando se ne conoscono l’intensità, la direzione e il verso. Nei materiali viene solitamente indicato con il vettore Harry, mentre nel vuoto con il vettore Bacio”.
“Intendi vettore H e vettore B?”.
“È quello che ho detto”.
“No, hai detto Harry e Bacio. Chi è Harry?”.
“Lascia perdere Imogen… Andiamo avanti, dobbiamo saperla bene prima della verifica di giovedì!”.

La mente di Sofia era stata messa incasinata, da un bacio, da un semplice bacio. Se lo ricordava ancora, ogni singolo dettaglio.
Le labbra tremanti di Harry sulle sue, quasi bisognose e fameliche, ma dal tocco straordinariamente dolce e delicato, soffici e piacevoli. Il parco era sparito, ogni rumore si era affievolito fino a tacere, i suoi pensieri erano diventati una nebbia densa, poi una foschia e poi si erano diradati nell’aria. La Terra aveva cominciato a rallentare fino a fermarsi definitivamente.
Brividi. Brividi potenti si sprigionavano lungo la sua spina dorsale al solo ricordo.
Bruciavano ancora gli sguardi attoniti, le sopracciglia inarcate e le bocche spalancate, di Liam, Ronnie, Zayn, Niall e Louis. Facevano male, rimarcavano l’assurdità di quel momento, la follia di un bacio che non sarebbe dovuto mai avvenire. Era ancora confusa, quando le sue orecchie furono travolte da tutte quelle domande, volevano sapere a ogni costo cosa fosse successo, perché si erano allontanati all’improvviso, cosa avessero fatto da soli.
Louis si azzardò addirittura a domandare il perché del bacio.
Non aveva risposto a nessun quesito, lei non sapeva le risposte, non conosceva bene Harry, non poteva leggergli il pensiero ed era chiaro come il sole, che non avrebbe mai rivelato cosa gli fosse passato nella mente.
Lo odiava.
L’aveva rifiutata, umiliata e presa in giro.
“Ti decidi ad aprire quella porta?”.
“Come?”.
“Sofia, afferra la maniglia e apri la porta, hai intenzione di rimirarla a lungo?”
sbuffò seccata Ronnie.
In quell’istante la ragazza realizzò di ritrovarsi davanti alla panetteria, a pochi passi dalla persona che le l’aveva ridotta a questo stato confusionale.
“Senti, se è per il bacio possiamo andar…”.
Sofia la zittì scoccandole una severissima occhiata, in grado di incenerirla all’istante.
Ronnie aveva elaborato una teoria su quel… fatto, ma non aveva voluto ascoltarla. Le aveva raccontato in privato cosa fosse successo quella sera, della corsa, degli insulti, del discorso di Harry, del peluche, le aveva raccontato ogni singolo dettaglio. Il primo commento che aveva ricevuto l’aveva fatta imbestialire. “Vi shippo ancora di più”.
No diamine, quello era pazzo, la sua migliore amica avrebbe dovuto coprirlo di insulti insieme a lei! Harry Styles era da detestare, non da usare per fantasticare su possibili storie amorose! Il suo nome era sinonimo di brutta persona, approfittatore e altre migliaia di parole disdicevoli e sempre meno educate, che la ragazza gli affibbiava nei suoi pensieri.
Evitare di incontrarlo, era una sconfitta, segno di aver preso troppo sul serio quel “non appuntamento, per questo varcò convinta la soglia, mai gliel’avrebbe data vinta. La sua strategia era semplice: vivere la propria vita come se nulla fosse successo.
Carica come non mai, si sedette al solito tavolo, con sguardo fiero e, studiatamente, non rivolto verso il bancone.
“Hai finito di atteggiarti come un vittorioso gladiatore?” la ammonì Ronnie alzando un sopracciglio. In un lontano e piccolo meandro della sua mente, desiderava prenderla a schiaffi.
“Che intendi dire?”.
“Sei entrata con un’espressione alla ‘Fuck the system’ o per meglio dire ‘Hey, Harry! Sono qui! Mi vedi?’”
sussurrò sghignazzando.
“Col cavolo, potresti essere dalla mia parte per una volta?”.
“Ma io sono dalla tua parte, sei tu quella che non lo è! A dirla tutta, io credo che sia fermamente interessato a te!”.

Sofia scosse la testa. Una risata la fece voltare verso il bancone.
“Oh infatti, hai ragione. Guarda sta… ridendo e scherzando con… la ragazza del banco del tiro a segno”.
Li vedeva chiacchierare amichevolmente, la postura, i gesti e molto altro, rendevano chiaro l’interesse che quella ragazza avesse per il riccio panettiere.
Forse dopo che lei se n’era andata, erano diventati amici.
Scostò lo sguardo, si sentiva strana, forse offesa, un po’ delusa.
Cominciò a raccontare alla sua amica delle varie castronerie dette da Miss Bay, durante le lezioni di letteratura. Quella donna era intelligentissima, ma spesso si lasciava sfuggire aneddoti particolari sulla vita degli autori. Rendeva certamente molto più piacevole la lezione!
“Hey ragazze!”.
“Ciao Harry”
sorrise Ronnie, al riccio che si dirigeva versa di loro.
“Com’è andata a scuola?”.
“Bene! Ho preso 8 in Storia, mi sento un genio!”.
“Grande! Dov’è Liam?”.
“Non è potuto fermarsi oggi, doveva andare a casa presto”.
“Salutamelo quando lo senti. Scusate se vi ho fatto aspettare, non vi ho viste entrare”.

Eri impegnato a deliziarti della compagnia di quella… pensò Sofia.
“Cosa vi posso portare?”.
“Io prendo un cappuccino e una fetta di torta cioccolato e pere”.
“Ok perfetto. Solito Yorkshire Tea per te Sofy?”.

“No. Un doppio espresso” disse glaciale.
“Wow… non hai mai cambiato ordine… da quando vieni qui” rispose sorpreso Styles. “Qualcosa da mangiare?”.
“No, sto bene così”.

"Come sta il panda parlante? L'hai tenuto spero" disse per spezzare quell'aura glaciale.
"Sì, è un ottimo guardiano, ma non parla molto".
Harry sorrise, i suoi occhi saettarono sulle labbra della ragazza. Arrossì leggermente, distolse lo sguardo, solo per non darlo a vedere e per non sembrare un maniaco. Doveva assolutamente chiarire quello che era successo, prima che Sofia potesse travisare ogni significato.
Tornò a guardala negli occhi scuri, tentando di trovare le parole per iniziare quel discorso scomodo. Non ci riusciva, era spaventato. Lo stesso timore lo vide negli occhi di lei, ma c'era altro che non riusciva a comprendere. Aprì la bocca, senza però emettere suono.
"Vorrei il caffè" cercò di dire dura, ma risultò come una supplica di allontanarsi, a causa del tono.
La ragazza del bancone del tiro a segno aveva assistito a tutta la scena, sogghignando.
"Allora ci sentiamo stasera Harry, io vado".
"Va bene Miranda, ciao"
la salutò.
Lei si avvicinò, gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia e se ne andò.
Un suono che, alle orecchie di Sofia, equivaleva al crollo di un grandissimo palazzo. Tutte le sue paure si erano concretizzate, aveva indovinato tutto.
Harry tornò al suo lavoro, rimuginando sui propri pensieri, preparò il cappuccino e il caffè. Caffè.
Era tentato di fregarsene, scaldare dell'acqua e servirle il solito Yorkshire Tea, ma sarebbe stata solo una stupida mossa avventata, si sarebbe infuriata di sicuro. Non sapeva spiegarsi il perché, ma si sentiva infastidito da questo cambio.
Era pronto per tornare al solito tavolo, quando gli balenò in mente un'idea stupidissima.
"Ecco qua, cappuccino e torta a te" disse posandoli davanti a Ronnie. "Un doppio espresso per te invece". Lasciò anche un piccolo piattino davanti alla seconda ragazza. "Offre la casa".
"Cosa sono?"
domandò Ronnie.
"Baci di dama" spiegò il riccio guardando Sofia, ma questa si limitò ad osservare la sua tazzina di caffè.
"Baci di dama. Evidentemente mi prende per il culo" commentò duramente rimaste sole.
"C'è scritto qualcosa sul tovagliolo no sotto di loro" la ignorò l'altra mordicchiando un biscotto.
"Cosa?".
"Non lo so, mangiare uno e guarda".
"Non mangio dolci, sono a dieta".
"Ne abbiamo tre a testa, non ti rovinano".
"Preferirei di no".
"Un piccolo strappo".
"Sono proprio i piccoli strappi a tradirti".

Ronnie scattò in piedi appoggiando con forza le mani sul tavolo. "Mangia quei cazzo di biscotti!".
Sofia la guardò esterrefatta, non si sarebbe mai, mai aspettata una tale reazione da parte sua, lei era così timida, non amava affatto esporsi in quel modo in pubblico. In quel momento aveva paura di lei. Spaventata, allungò una mano verso uno dei dolcetti, decidendo di non proferire più una sola parola.
Ronnie soddisfatta sorrise, ma non appena riprese coscienza di sè e delle sue facoltà mentali, realizzò di essere ancora in piedi in mezzo al locale, ricordò le sue recenti azioni e sì risedette di colpo imbarazzata.
"Me la pagherai per avermi costretta a fare ciò che ho appena fatto".
Finirono i biscottini ridendo.
"Possiamo parlare?".
 
La calligrafia che aveva sancito queste parole, non aveva badato alla chiarezza, alla bella forma delle lettere. Era frettolosa, come se fosse stato un impulso improvviso a dettare il messaggio, costringendo la mano a farlo nel minor tempo possibile, prima che vi fosse un cambiamento di idea.
Sofia si alzò e si diresse verso la cassa.
Harry inghiottì rumorosamente la saliva quando furono faccia a faccia.
"Non lanciarmi addosso il piattino".
"Vorrei pagare in realtà".
"Ho bisogno di parlarti".

"Ti ascolto" rispose pacata.
"Il punto è che... Quello che successo l'altra sera... Insomma... Io... Tu... Noi... Louis ha complicato tutto... Cioè intendo dire che... Non odiarmi" balbettò grattandosi la nuca imbarazzato.
Non aveva la minima idea di come cominciare, si stava pentendo di averle chiesto di parlare. Gli sembrava di arrampicarsi su un enorme specchio lucidissimo.
"Non credo di essere particolarmente brava con i rebus” disse abbozzando un mezzo sorriso. “Se hai bisogno di chiarirti le idee, posso tornare domani”.
“No”
rispose duro. “Non voglio che tu ti faccia pensieri sbagliati”.
“Allora non perdere tempo”
rispose sbuffando.
“Faccio solo fatica a trovare le parole” ribatté irritato.
“Entrambi non abbiamo tutta la giornata, più tempo prendi più consolidi la mia idea”.
“Ma che strano, come al solito rimani fissa sulle tue idee, irremovibile e marmorea”
la sbeffeggiò.
“Quindi vuoi litigare”.
“No, sono nervoso, tu mi metti agitazione”
ammise sconfitto.
“Forse Miranda può aiutarti a schiarirti le idee” buttò fuori acida. “Senti, non mi va di discutere, anche se ormai sappiamo di non poter avere una conversazione normale. A che ora stacchi domani? Se ci tieni davvero a chiarire, ci vediamo e parliamo, così tu hai abbastanza tempo per trovare le parole, puoi perfino scrivere il tuo discorso. Io potrò allenarmi per essere meno acida e irritante nei tuoi confronti. Parleremo come due persone normali, con serenità, a prescindere da quello che diremo. Ci stai?”.
Harry sbuffò, ma poi acconsentì. Sofia pagò, salutò Ronnie velocemente e lasciò il negozio velocemente.
Il riccio si sentiva sconfitto, aveva perso tempo, lui non era così, solo con lei dava, per così dire, il peggio di sé. Quando se l’era ritrovata davanti si era agitato, non avrebbe mai pensato che accettasse, era un buon segno? Aveva nominato Miranda, cosa sapeva? La sua mente era in subbuglio, continuava a maledirsi da solo.
Spazientito corse da Ronnie, si abbandonò sulla sedia, occupata prima dalla ragazza che lo torturava in ogni pensiero.
“Ho bisogno di un enorme favore, mastodontico” ammise subito senza mezzi termini.
“Ehm… vedo se posso aiutarti” disse Ronnie un po’ intimorita da quelle parole.
“Sacrificheresti, ancora una volta, la tua amicizia con Sofia per me?” domandò con una strabiliante serietà, fissandola intensamente negli occhi.
 
Sofia era in casa, i suoi non sarebbero tornati a casa ancora per un po’ di ore, per sua immensa gioia. Ogni impegno pomeridiano scolastico era stato svolto, aveva un sacco di tempo libero, ne era felicissima.
Aveva una gran voglia di rilassarsi, accese la televisione, scelse un canale dedicato alla musica, lasciando scorrere qualsiasi video musicale mandassero in onda. Cantava e ballava, la sua mente era leggera, era riuscita a relegare in un angolino la strana conversazione con Styles. Aveva deciso di non pensarci, per non mantenere la sua promessa di non essere scortese l’indomani, il che era assai difficile per lei.
Capitava che qualche canzone fosse un diretto rimando al ragazzo con le iridi smeraldo, cambiava canale, come a scrollarsi di dosso quella consapevolezza, che le avrebbe trovate bellissime in qualsiasi situazione.
Era accomoda sul suo divano, le gambe strette al petto, il mento appoggiato sulle ginocchia. Il non pensare non era una sua dote. Per nulla.
Il suo cervellino adorava arrovellarsi attorno a qualsiasi questione, anche la più futile, le succedeva fin da piccola. Probabilmente era per questo che scriveva, per dare voce a quei pensieri ossessivi, per liberarsi e per poter cambiare ciò che la deludeva, sperare, creare, sfogare, sognare e sorridere, e molto di più.
Da bambina spesso si immaginava la vita dei personaggi dei suoi film preferiti, dopo la che lo schermo presentava la grande scritta fine. Spesso le piaceva aggiungere ulteriori fatiche, prima dell’agognato “e vissero per sempre felici e contenti”.
La sua fantasia era fin troppo potente, crescendo con gli anni le affibbiarono un soprannome nuovo, sognatrice, chi per scherno e chi per ammirazione.
Il tempo aveva eroso anche il “felici e contenti” che, se prima era il castello bianco scintillante al sole, ora non era che una misera casetta.
Tante cose erano cambiate, ormai Sofia era anche “affetta” di misantropia, il disgusto e ribrezzo per il genere umano, o la maggior parte più specificatamente nel suo caso, e il sarcasmo era il suo migliore amico.
Ma tante altre cose invece, non erano cambiate.
Sbuffò annoiata decisa a spegnere la Tv, quando però delle note ben conosciute esplosero dall’impianto audio.
I stay out too late
Got nothing in my brain
That's what people say, mmm-mmm
That's what people say, mmm-mmm
Era Shake It Off, di Taylor Swift.
Senza rendersene conto, si ritrovò a cantare e a ballare per la sala, libera e senza preoccupazioni o problemi.
Cause the players gonna play, play, play

And the haters gonna hate, hate, hate

Baby I'm just gonna shake, shake, shake

Shake it off

Heartbreakers gonna break, break, break

And the fakers gonna fake, fake, fake

Baby I'm just gonna shake, shake, shake

Shake it off, Shake it off

Il volume era alto, le note la inebriavano, quella canzone era in grado di darle molta carica.
Mentre piroettava per la stanza diede una distratta occhiata verso la finestra.
Impallidì, si bloccò sul posto, era un brutto sogno?
Un ragazzo la stava salutando agitando la mano con un sorrisetto fin troppo divertito. Quel ragazzo aveva dei capelli lunghi e boccolosi, le fossette ai lati del sorriso e iridi verdissime. Quel ragazzo era Harry Styles.
“Oh merda”.
Spense il televisore e si precipitò verso la porta.
“Cosa diavolo ci fai tu qui?”.
“Stalkero le clienti per hobby”
rispose con tutta la calma di questo mondo.
“Credevo dovessimo vederci domani”.
“Dopo quello che ho visto, non potrei essere più contento di essere passato qui oggi”
sghignazzò.
Sofia abbassò lo sguardo sul pavimento, frugando fra ogni piastrella.
“Cerchi qualcosa?” chiese l’ospite intruso.
“Sì… La mia dignità, ma non la trovo, a quanto apre tu le hai dato il colpo di grazia”.
“Posso entrare?”.
“Cosa? No! Mi spiavi dalla mia finestra”
urlò lei.
“Solo perché ho suonato alla porta fino allo sfinimento e nessuno mi rispondeva. Volevo assicurarmi che ci fosse qualcuno in casa, anche se poi ho scoperto perché non sentivi” ridacchiò il riccio rispondendo.
“Potevi picchiettare sul vetro”.
“Nah, non mi sarei divertito. Ti prego fammi rivedere quella mossa che fai con le mani, il cuore che esplode, com’era?”.
Ora rideva davvero, imitava perfino i suoi passi, facendoli risultare ancora più sgangherati.
“Senti un po’, se le prossime parole che dici non sono ‘ci si vede’, allora saranno ‘oh mio Dio le palle, mi ha dato un pugno sulle palle’ e ti accascerai sul mio porticato” ringhiò furiosa.
“Sei alquanto violenta, ma non essere così precipitosa, non ho finito il balletto, dai lasciami finire, morirò con il sorriso!” sghignazzò sempre più divertito dalla situazione.
“Che diavolo vuoi da me?” chiese quasi disperata.
“Fammi entrare” rispose dolcemente.
“Promettimi solo che… la smetterai di vedermi come un caso umano”.
“Caso umano?”.
“Sì, come per una pazza disperata per cui provi pena e compassione”.

Il volto di Harry si fece più serio, scosse lentamente la testa. “Non potrei mai pensare questo di te”. Il suono tono basso risaltava la voce roca, parlò quasi in un sussurro, pronunciando quelle parole come le grandi frasi ad effetto dei film.
Sofia si spostò dall’uscio e gli voltò le spalle. “Entra”.
Styles entrò a passi lenti, sorridendole riconoscente. Osservò l’arredamento ricercato della casa, ogni stanza aveva un colore preciso, uno stile proprio, ma il risultato era sorprendentemente armonico, studiato con cura e impegno. Avrebbe voluto vedere anche il resto.
Si sfilò la giacca in pelle nera su invito della padrona di casa, che la ripose sull’appendiabiti più vicino con particolare attenzione.
“Vuoi qualcosa da bere o da mangiare?”.
“Sei sola in casa?”.
“Sì i miei sono al lavoro. Non vuoi nulla?”.
“Un caffè se proprio insisti”.

La ragazza annuì e sparì verso la cucina.
“Posso riaccendere la tv?”.
“Sì, guarda quello che vuoi”.

Harry si accomodò sul divano, decise anche lui di optare per un po’ di musica, per cercare di sentirsi in un po’ più a suo agio in quell’ambiente completamente estraneo.
“Spero di non averti fatto attendere troppo”.
“No”.

Porse la tazzina al ragazzo, poi si accomodò sul divano lasciando una significativa distanza fra i loro corpi.
“Posso sapere perché sei qui?”.
“Potrei aver riorganizzato il rebus che ti ho proposto prima”.
“Esponilo”.

Harry fece un respiro profondo. “Speravo non venissi all’appuntamento”.
“Oh”
fu tutto quello che Sofia riuscì a dire.
“Ero infastidito da Louis, non so cosa ti avesse detto per convincerti, non sapevo perché fossi lì. Mi sono divertito agli autoscontri, ma credo è stato meglio quando abbiamo giocato ai vari banconi, quando gli altri non c’erano. Poi ho vinto il panda al tiro a segno di Miranda, tu sei sparita, ho capito che in quella serata era tutto sbagliato. Tu non eri lì per me”.
“Che cosa vuol dire?”.
“Se ti avessi invitata io, non saresti mai venuta”
ribatté stizzito.
“Non volevo nemmeno accettare, sono stati Ronnie e Liam a farlo in mia vece”.
“Oh andiamo, avresti detto di no a uno come Louis?”.
“Continuo a non capire nulla”.
“Più chiaro di così…”.
“Perché mi hai baciata?”.

Harry arrossì. “Perché volevo”.
“È la risposta che più stupida che mi potessi dare”.
“Ma è la verità”
mormorò piano.
“Bene abbiamo chiarito” disse lei atona, per chiudere definitivamente quel discorso.
“Sicura? C’è ancora altro secondo me…”.
Sofia scattò in piedi, lo interruppe con una gelida occhiata. “Miranda ti aspetta”.
“Che si fotta”
rispose mettendosi di fronte a lei. “Le ho scritto che oggi avevo altri piani”.
“Per l’ultima volta, ti prego si sincero, che vuoi da me?”
urlò esasperata.
Styles si avvicinò a lei, la guardò intensamente negli occhi scuri e brillanti. “Baciarti”.
Le loro labbra erano vicinissimo, si sfioravano. Presto si sarebbe replicato il bacio di quella sera, ma forse sarebbe stato più profondo, più vissuto e significativo, forse anche più passionale. Dentro di lei ogni sua cellula le gridava di annullare ogni distanza, di accettare di poter toccare il cielo con un dito, di lasciarsi percorrere da una scarica unica di una tempesta di sentimenti e sensazioni. Portò le sue mani sul petto del ragazzo, che si alzava e abbassava irregolarmente, pulsando al suo tatto.
Quelle grandi di lui erano salde sui suoi fianchi, la stringevano con una delicatezza inverosimile, i suoi pollici la accarezzavano con leggerezza.
Il verde e il castano si specchiarono ancora per pochi secondi, rimirando le rispettive perfezioni, poi si chiusero, pronti a vivere l’intenso momento.
Harry si chinò quanto bastò per far accadere quel contatto, toccando per la seconda volta quelle dolci labbra. Era pronto per approfondire quell’incontro, ma sentì le mani della ragazza stringersi a pugno e picchiare il suo petto. Si allontanò scosso.
“No!” fu tutto quello che Sofia riuscì a dire. “Vattene!”.
“Cosa c’è di sbagliato in te!”
urlò ferito.
“Se io sono sbagliata come dici, allora fammi il santo favore di non perdere più tempo con me”.
“Perfetto! L’hai voluto tu! Scommetto che non ti è mai neanche importato di chiarire, di parlare, di me in generale. Mi credi stupido? Ti sbagli, non ho intenzione di continuare ad accettare questi tuoi sbalzi di umore, questo tuo rapido e continuo cambiamento di pensiero. Non venire più a prendere il tuo tè, non voglio più vederti!”.
“Allora vattene! Non so nemmeno come tu abbia scoperto dove vivo”.
“Con estremo piacere!”.

A passi svelti si diresse verso la porta, ma quella si aprì di scatto prima che lui potessi anche solo afferrare la maniglia.
“E tu chi sei? Che ci fai in casa mia?”.
Una donna dal vestiario e portamento signorile, i capelli scuri raccolti in un’acconciatura un po’ vintage ed elegante, lo fissava con infastidita.
“Ehm…” biasciò il riccio.
“Mamma? Sei in anticipo” sussultò la ragazza, raggiungendoli.
“Chi è lui?” domandò stizzita.
“Ehm… lui è Harry”.
“Un tuo amico?”.
“Se così si può dire…”
borbottò la figlia.
“Ti fermi per cena?” domandò la donna al ragazzo riccio di fronte a lei.
“No, mamma se ne stava andando” rispose dura la figlia.
“Caro insito, rimani per cera, sei un mio ospite”.
“Se proprio insiste”
rispose incerto Harry grattandosi la nuca.
“Perfetto! Vado a mettermi all’opera, Sofia vieni ad aiutarmi”.
La ragazza passo accanto a Styles, che evitava di dare peso alla sua presenza, ancora ferito e arrabbiato per il bacio mancato.
“Non sopravviverai” soffiò dura dandogli apposta una spallata. 
Harry la guardò allontandosi, cosa intendeva con quelle parole? Studiò nuovamente la sala attorno a lui, osservando con maggior cura ogni dettaglio. Sì alzò, osservò le varie foto di famiglia appogiate sul caminetto e su varie mensole. Cominciò ad avvertire un certo disagio, dopo quella discussione il nuovo ambiente gli apparse duro, freddo e lontano. Senzala consapevolezza di avere Sofia dalla sua parte, si sentiva isolato, fuori luogo, un barbaro invasore solo in terra nemica. Gli cominciò a pizzicare la gola, aveva la certezza, che quella non sarebbe stata affatto una serata facile.

HEY THERE!!!
Rieccomi qui con Yorkshire  Tea!
Ho aggiornato dopo molto tempo perchè ho perso il capitolo che aveva scritto.... Ho dovuto rifarlo...
Anyway, spero vi sia piaciuto, Harry cerca di esplicitare a Sofia le ragioni delle sue azioni, ma lei è ancora scettica e confusa.
Spero di leggere qualche vostro parere!

PS Che ne pensate del Banner? 

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