La guerra di Piero

di Marty Andry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Intesa ***
Capitolo 3: *** Convinzioni ***
Capitolo 4: *** Diciotto ***
Capitolo 5: *** La balera ***
Capitolo 6: *** Arrivi...E partenze ***
Capitolo 7: *** Lezioni ***
Capitolo 8: *** Cinismo ***
Capitolo 9: *** Ritorno ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi.”






<< Piero, vieni!! Cosimo ti sta cercando! >>
Una voce, una sola in mezzo alla sterminata campagna salentina. Il cielo, di un celeste attenuato era pieno di spumeggianti e candide nuvole, che sembravano non preannunciare pioggia. Il sole di metà aprile riscaldava sufficientemente da rendere la temperatura abbastanza mite.
All’ombra di un faggio, un ragazzo leggeva assorto. Seduto contro la dura corteccia, sfogliava pagina dopo pagina un libro dalla copertina verde, come le fronde dell’albero.
Appena sentì il suo nome, alzò il viso e scattò in piedi.
<< Piero, vieni!! >>
Per qualche secondo cercò di capire da dove provenisse il richiamo e, una volta individuata la provenienza, inforcò la bicicletta che aveva appoggiato all’albero e pedalò a perdifiato. Andò fino alla fontana appena fuori il suo paese: un piccolo borgo che si affacciava sul mare, dove l’acqua e il cielo si confondevano. Se lo si osservava da lontano, tante minuscole casette bianche erano ammassate le une sulle altre, dove la guerra che poco lontano si combatteva, sembrava un male lontano. La guerra, che aveva chiamato una quindicina di uomini, nel loro paese, di cui s’ignorava la sorte una volta arrivati al fronte, un orrore che durava già due anni, che già aveva fatto versare fiumi e fiumi di sangue alle innocenti genti, che tra qualche mese si sarebbe portata via anche Piero. Ma era un ragazzo dal cuore troppo tenero, incapace di fare del male, solo di amare. E sapeva quanti uomini avrebbe visto morire davanti ai suoi occhi, compagni di sventura che come lui non credevano in tutte quelle schioppettate. Sarebbe durata poco, pensava, tutto sarebbe finito ed avrebbe potuto riabbracciare la sua vita. Avrebbe voluto aprire una libreria, se possibile con una cioccolateria, insieme a, se mai l’avesse incontrata, la sua futura moglie.

Ogni volta che le ruote incontravano una sasso, la vecchia ed arrugginita bicicletta pareva perdesse un pezzo. Ma ormai il ragazzo non ci faceva più caso, ripensando alle magiche atmosfere di Guerra e pace da cui era stato poco prima costretto a congedarsi.
Arrivò alla zampillante fontanella in bronzo- o almeno lì tutti così la credevano- con il fiato corto e un rivolo di sudore che scorreva sulla fronte. Lì vi era un gruppetto di cinque persone. Piero si avvicinò e scorse la tozza figura di compare Cosimo, accanto al suo migliore amico Salvatore. L’uomo, con una camicia scozzese arrotolata fino ai gomiti e che lasciava intravedere parte delle sue braccia, abbronzate dal lavoro nei campi, stava bofonchiando, con qualche imprecazione in dialetto, con Salvatore. Quando questo vide arrivare l’amico, si voltò e lo guardò divertito: l’irascibilità di compare Cosimo provocava spesso del riso, come avvenne in quel momento. Piero lo raggiunse e, ridendo insieme all’amico con lacrime agli occhi, gli diede un’amichevole pacca sulla spalla.
<< Cos’è che ti provoca tanta inquietudine, compare Cosimo? >> gli chiese scherzosamente Piero. L’uomo, che si era fermato alla seconda elementare, alzò gli occhi e lo guardò in tralice, per il modo, secondo lui, troppo elaborato con cui gli aveva posto la domanda.
<< Ti prendi gioco di me, Valenti? Bene, allora… >>
Piero alzò un sopracciglio, mentre Cosimo era impegnato a formulare la frase.
<< Lasciamo perdere. Va’ a casa mia e aiuta mia figlia. >> disse seccamente.
La richiesta lo lasciò di stucco.
<< Prego? >>
<< Sì, hai capito bene! Stiamo spostando dei mobili e mia moglie non c’è. Muoviti, se non vuoi che ti rada quei quattro peli che si battono a duello sul tuo mento, mascalzone! >>
Piero, sempre più perplesso disse << Salvo, vieni con me? >>
Salvatore era un anno più piccolo di Piero, ma erano come fratelli, l’uno lo scudo dell’altro.
Allora il ragazzo, che guardava divertito la scena, rispose.
<< Non posso, devo aiutare mia madre a preparare qualcosa da mangiare per mio fratello. Per spedirglielo al fronte… >>
Un velo di tristezza calò sugli occhi del ragazzo, risvegliando il fantasma della guerra, di cui loro non avvertivano traccia. Piero prese di nuovo la bicicletta e con gran velocità raggiunse la casa del compare.
Cosimo era stato il padrino di battesimo del fratello di Salvatore e tutti, nelle loro famiglie, avevano preso l’abitudine di chiamarlo in quel modo.
Piero pedalò per le strade fatte interamente costruite con le chianche del paesino, sussultando sulla bicicletta ogni qual volta che passava in una buca. Finalmente, dopo dieci minuti, arrivò alla casa di compare Cosimo. Da fuori si sentiva un gran rumore provenire dall’interno. Poggiò la bicicletta alla porta dell’abitazione e, con le nocche delle dita, bussò.
<< Chi è? >> chiese una voce dentro.
<< Sono Piero. Compare Cosimo… >>
Prima che il ragazzo ebbe terminato la frase, gli aprirono la porta.
<< Prego, entra. >>
Una ragazza dai morbidi capelli ramati raccolti in una reticella si presentò davanti ai suoi occhi. Indossava un leggero vestito celeste ed grembiule le cingeva dolcemente i fianchi appena accennati. Gli fece cenno d’entrare.
<< Piacere, Piero. >> disse elegantemente il ragazzo, poco abituato alle formalità, con un piccolo inchino e con un leggero baciamano.
Dopo quel gesto, la ragazza iniziò a ridere.
<< Suvvia, lascia da parte il galateo! Mi chiamo Teresa. >> disse allegramente, tendendogli la mano. Lui la strinse e si accorse di quanto fosse delicata la sua pelle bianca. Con impacciati movimenti e biascicate parole, si misero al lavoro. Dopo un intero pomeriggio finirono, e per ricompensare la fatica, lei lo invitò a sedersi sulla terrazza, dove si poteva ammirare tutto il paese, con una spremuta di limoni. Si sedettero su delle sedie in vimini e, sorseggiando la spremuta, chiacchierarono, osservando il cielo dorato con la cupola della Cattedrale che si stagliava imponente.

<< Quindi quest’estate compirai diciotto anni? >> chiese Teresa.
<< Sì, esattamente il… 14 luglio. >>
<< Presa della Bastiglia. Sei ribelle? >>
<< Come lo sai? >>
<< Cosa? >>
<< La presa della Bastiglia. >>
<< Leggo. Troppo, ma leggo. >>
<< Anch’io! La biblioteca vicino alla chiesa è la mia meta ogni domenica! >>
Con gli occhi che brillavano, Teresa disse << Se vuoi… >>
<< …possiamo andarci insieme domenica. >> disse Piero a metà tra lo stupito e il felice.
<< Affare fatto! >> esclamò la ragazza entusiasta.
<< Forse dovrei iniziare a tornare a casa…Sta per fare buio. A domenica, Teresa! >>
<< Arrivederci, Piero. >>
Presa un’altra volta la bicicletta, Piero pedalò fino a casa sua, dall’altra parte del paese. Durante il tragitto, contò i giorni che rimanevano fino alla domenica.
<< Uhm…Due. Cosa vuoi che siano… >> disse tra sé e sé.

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Capitolo 2
*** Intesa ***



La luce entrava nella stanza attraverso le imposte socchiuse delle finestre. Piero aveva aggiustato in fretta e furia le lenzuola del letto e si era dato un ultimo sguardo allo specchio sopra la scrivania, alla fioca luce del sole. Sistemò la camicia bianca, una delle poche ancora salve, senza rattoppi o bottoni diversi. Notò una boccetta sulla scrivania di acqua di colonia è se ne mise un po' sull'indice e medio, tastandosi il collo. Si pettinò velocemente con le mani e, silenziosamente, uscì dalla stanza. Agguantò il portafoglio da sopra una mensola, accanto ad una foto color seppia del bisnonno mai conosciuto. Pregò in una trentina di lingue perché nessuno dei suoi tre fratelli o i suoi genitori intralciassero il suo cammino e lo tartassassero di domande. Arrivato all'uscio, tirò un sospiro di sollievo, prese le chiavi dalla tasca della giacca che aveva ripiego sul braccio e le inserì nella toppa. Ma, inaspettatamente, una voce alle sue spalle lo fermò.
<< Buongiorno, tesoro. >> disse sua madre, con un sorriso beffardo e le mani sui fianchi.
<< Ciao, mamma. >> rispose quasi terrificato.
<< Dove vai? >>
<< Biblioteca. >> mormorò tenendo lo sguardo basso. La madre tacque, come in attesa di ulteriori spiegazioni.
<< Teresa, la figlia di comprare Cosimo...Io e-ehm...Lei... >> farfugliò.
<< Capisco. Va bene, mi raccomando. >> 
Piero la salutò frettolosamente con un cenno della mano e, una volta fuori, tirò un sospiro di sollievo. Guardò l'orologio sul polso: dieci minuti e sarebbe stato in ritardo. Con la mente fece un percorso immaginario, per le vie più brevi, e s'incamminò con passo sostenuto.
Arrivò a casa di Teresa col fiatone, tant'è che dovette appoggiarsi al muro per riprendere fiato. La brezza primaverile gli scostò un ciuffo ribelle dal viso e lasciò che il vento gli entrasse anche nei vestiti. Poi, deciso, bussò alla porta di Teresa. Fu certo che qualcuno lo vide dallo spioncino, per poi aprire la porta. Sulla soglia comparve la ragazza in un delicato completo color pesca ed i capelli raccolti. In quel momento, il campanile battè undici rintocchi.
<< Buongiorno, Piero. >> lo salutò.
<< Buongiorno a te. >> rispose, tendendole una mano per aiutarla a scendere i gradini.
<< Allora? >>
Piero le strizzò un'occhio e porse un braccio << Di qua. >> 
Teresa glielo strinse e, guardandosi negli occhi, si diressero verso la biblioteca. Mentre parlavano, i loro occhi brillavano.

<< Tuo padre cos'ha detto quando ha saputo di questa...Uscita? >>
<< Laconicamente, ha detto che sono in buone mani. >>
<< Sai, l'altro giorno mi ha minacciato di radermi. >> disse Piero facendola ridere di gusto. Dopo una pausa, Teresa prese a parlare.
<< Ricordi? Eravamo in seconda elementare. >>
Piero cercò di fare mente locale, provando a ricordare i volti dei trentadue bambini. Nel loro paese vi era una scuola elementare e la sua classe era l'unica mista. Così, tra i volti dei suoi compagni, riconobbe quello di una bambina che esibiva un sorriso sdentato e una selva di ricci scarlatti. Sì, la ricordava, la più alta delle sue amiche, la più sveglia e arguta di tutte. La rivide il giorno della loro prima comunione, vestita come una sposa, e un paio d'anni dopo, quello della cresima, una fresca giornata d'aprile. Chissà- pensava Piero- se il destino li avrebbe nuovamente fatti incontrare una chiesa. 
<< Sì, certo che mi ricordo, volpe. >>

Raggiunta la piazzetta, unico punto di ritrovo del paese, su cui si affacciava la Cattedrale con la sua cupola policroma, si ammutolirono di colpo. Capirono che ora l'argomento di discussione, erano loro due, Teresa Caraccioli e Piero Valenti, la figlia del contadino col maggiore dei figli dell'unico medico del paese. Si scambiarono un'occhiata fugace ed entrarono nella biblioteca adiacente al campanile.
Non sapeva perché, ma si sentiva non felice, ma allegro. Nonostante ciò, in pochi secondi, pensò a qualcosa che mai avrebbe voluto accadesse: separarsi da Salvatore. In fondo- riflettè- un giorno, probabilmente, entrambi avrebbero avuto le proprie vite, ognuno si sarebbe costruito la propria famiglia. Tra loro, nella loro grande amicizia, si sarebbe frapposto qualcosa, un'altra persona si sarebbe imposta al di sopra del loro legame, forse senza spezzarlo, ma li avrebbe comunque divisi. Non aveva mai amato nessuna ragazza, nessuna donna; pensava che avrebbe fatto fatica a riconoscere la sua metà. Era incuriosito da quel sentimento a causa del quale, spesso, i personaggi dei romanzi si misuravano in assurde prove. Era assurdo, secondo il suo parere, amare e stare accanto ad una persona per tutta la vita.

<< Teresa, >> mormorò mezz'ora dopo il dodicesimo rintocco << cosa pensi dell'amore? >>
<< Non lo so, lo associo a cose banali, forse un po' futili. >> farfugliò, per quella domanda che l'aveva colta alla sprovvista.
Piero alzò la testa e guardò il cielo. Subito dopo Teresa gli chiese cosa pensasse lui. Le rispose, lei disse qualcos'altro, e altre cose ancora. Pronunciò una parola, noi.
"...intorno a noi..."
Quel pronome diede loro una sensazione di complicità ed intimità.
Noi
Due persone, assieme, per sempre, che contavano  l'uno sull'altra. Assurdo. 
I loro ragionamenti seguirono le stesse strade ed arrossirono senza accorgersene.
<< Chissà cosa staranno pensando di te tutti gli avvoltoi che ci sono qui intorno. >> disse Teresa, cercando di cambiare argomento.
<< Cosa dovrebbero pensare? >> chiese Piero leggermente irritato. 
<< I figlio del Valenti con... >>
<< Sinceramente non m'importa. >> la interruppe << Nessuno deve essere etichettato a seconda della famiglia in cui è nato. Ognuno ha il proprio nome che compie il corrispettivo cammino. Tuo padre e tua madre sono persone eccezionali, sul serio. >> concluse sorridendole.
Dal modo in cui la ragazza lo guardava, Piero sembrò capire che la stava annoiando e la riaccompagnò a casa. Ma non si accorse che, in realtà, Teresa aveva memorizzato ogni cosa.
<< Allora alla prossima, Valenti. >> 
E per Piero e Teresa quella giornata terminò a mezzogiorno.

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Capitolo 3
*** Convinzioni ***



<< Muoviti! >> gridò Salvatore da fuori la casa di Piero.
<< Eccomi. >> disse l'altro con un cesto in mano mentre saliva sulla sua bicicletta. Lo legò sul portapacchi ed insieme pedalarono fino a raggiungere la campagna, alle undici passate. Trovarono riparo dal sole sotto un ulivo, mentre pochi rivoli di sudore scorrevano lungo le loro tempie. Salvatore prese una tovaglietta dal cesto- la solita- e la stese ai loro piedi. 
<< Devi raccontarmi tutto. >> disse a Piero mentre questo gli porgeva un panino. 
Piero diede un piccolo morso al pane. << Dipende da cosa vuoi sapere. >> rispose laconicamente. 
Salvatore sembrò pensarci un po', poi chiese: << Era bella? >> 
Piero, masticando, lo guardò in tralice. 
<< Va bene, va bene, cambio domanda. Cos'avete fatto? >> 
E per più di un quarto d'ora Piero parlò di Teresa e della scorsa domenica. 
<< Potremmo essere un bel trio. >> concluse. 
Questa volta, a guardarlo male fu Salvo. 
<< Ma la conosci da una settimana appena! >> protestò.
<< E con questo? >> 
<< Non puoi considerare lei un'amica come me! Io e te ne abbiamo combinate di tutti i colori in questi anni; con lei il massimo che hai fatto è stato andare in una polverosa biblioteca! >>
<< Per essere amici non c'è bisogno di... >>
<< È una ragazza, Piero!! >> lo interruppe bruscamente.
Piero si ammutolì di colpo mentre lo sguardo dell'amico si faceva severo. In tutto quel silenzio che si era creato tra loro, Piero pensò se fosse proprio Teresa quella persona che avrebbe rotto le loro catene. Si passò una mano tra i capelli, quasi per far tacere i suoi pensieri, mentre un vento forte ed improvviso gettò un po' di terra sulla tovaglia.
<< Scusami, hai pienamente ragione. Non avrei dovuto. >> quasi sussurrò Piero.
Salvatore sorrise. << Allora, quando mi presenti questa Teresa? >> disse qualche minuto dopo.
Piero gli si avvicinò e, ridendo, gli diede un leggero ed amichevole scappellotto. In un attimo tutto tornò come prima, come ieri e come entrambi si auguravano sarebbe sempre stato. Se fosse tornato sano e salvo, pensò Piero. 

Erano ormai le due ed i ragazzi stavano provando a digerire il pranzo, ingannando il tempo con una partita a carte. 
<< Ah! Così impari! >> esultò Salvatore per decretare la sua vittoria. Piero gettò le carte a terra e si stese, a pancia in su, imitato dall'amico. 
<< Salvo, devo dirti una cosa. >> disse con tono serio.
<< Dimmi tutto, mi spaventi. >>
Prese un ramoscello d'ulivo ancora verde e poi lo scagliò davanti a sé.
<< Devo partire. La guerra... >>
Salvo spalancò gli occhi, spaventato, ed urlò: << Quando?! >>
<< Metà settembre. >> mormorò l'altro, con gli occhi verdi e marroni che stavano per traboccare dalle lacrime. 
Salvo si portò le mani tra i capelli. << Dio mio, perché?! Prima mio fratello, poi mia sorella, ora anche tu. Non è possibile... >> 
Si alzò ed iniziò a sferrare pugni al tronco dell'albero, facendo cadere delle foglie. 
<< Proprio tu che...Non faresti del male a nessuno. >> continuò.
<< Si sentono cose assurde, sai...Uomini che muoiono mentre scrivono a casa... >>
<< Ce la farai, ce la devi fare, per forza. E Teresa lo sa? >> 
<< No, ancora no. Per ora non voglio parlargliene. >> 
Con l'indice e il pollice si strinse le palpebre, dicendo << Andiamo, così te la presento. >> mentre sfoggiava il solito sorriso luminoso. Riordinando tutto e presero di nuovo le biciclette scassate. 
<< Teresa ha il telefono in casa? >> 
<< Sì, un momento. >>
Piero scese dalla bicicletta e cercò nella tasca interna della camicia un bigliettino.
<< Hai un paio di gettoni? >> chiese Salvo.
<< Uhm, sì, credo di averne qualcuno. >> disse frugando nelle tasche. 
<< Perfetto, andiamo verso casa di Ninetta, lì c'è la cosa per chiamare. >>
Raggiunta una piccola piazzetta su cui si affacciavano delle case bianche, si fiondarono vicino ad una specie di bar, accanto al quale vi era una cabina telefonica. L'inconfondibile figura di Ninetta, seduta a capo chino su una sedia di vimini consumata dal tempo, vicino alla sua casa, per tutti, ormai, faceva parte della scenografia di quella piazza. I due ragazzi fecero finta di non vederla, perché se lei si fosse accorta di loro, avrebbero raggiunto Teresa due ore più tardi, come minimo. Ma l'anziana donna, sollevata la testa dal lavoro a maglia e coperti gli occhi da sole, urlò: << Salvatò, ie' qua! >> 
Ninetta, in paese, era un po' la nonna di tutti, che conosceva i coetanei di Piero e Salvatore come le proprie tasche, e tutti le volevano un gran bene. Era una donna sola, che aveva passato gli ottant'anni, senza figli e con una storia d'amore banale ma d'effetto.
Salvo e Piero le si avvicinarono, cogliendo le mille rughe che solcavano il viso e gli occhi acquosi neri, le mani dalle dita nodose sul grembo. Il volto non ingannava, sotto quelle rughe si nascondeva una stupefacente bellezza. 
<< Sempre insieme voi due, eh? >> scherzò, prendendo tra l'indice e il pollice i menti di entrambi.
<< Piero, mi hanno detto che te la fai con la figlia di Zappa. >> 
<< Accidenti come circolano in fretta le voci! Beh, che dire... >>
<< Va be', ti lascio in pace, non voglio intromettermi nelle cose di voi giovani. Andate, mi ha fatto piacere vedervi. >> 
Rilasciati in quello strano ed improvviso modo, i due amici ritornarono alla cabina.
<< Ah-ah! Beccato! >> esclamò Salvo. 
Piero la zittì perché aspettava che Teresa rispondesse. Pregò che fosse lei a rispondere, altrimenti avrebbe dovuto dare ulteriori informazioni, cosa non molto conveniente vicino ad un bar. Dopo tre squilli, qualcuno rispose dall'altro capo.
<< Pronto? >>
<< Teresa? Sono Piero. >>
<< Ti risulta che io sia Teresa? >> : era la voce di compare di Cosimo. 
Alzò gli occhi al cielo. << Mi scusi...Mi può passare gentilmente Teresa? >> 
<< Come vuoi. >>
<< Grazie. >>
<< Non ne approfittare, ti avviso. >> lo minacciò.
Piero deglutì mente sentiva l'uomo biascicare qualcosa, seguito da un veloce rumore di passi. 
<< Piero! >> esclamò.
<< Teresa, senti... >> 
Il gettone lo stava per abbandonare.
<< Riesci ad uscire un attimo? Devo presentarti una persona. >>
<< Forse sì. Aspettami all'angolo. >> 
Prima che potessero salutarsi, la chiamata si interruppe bruscamente.
<< Se tutto va bene, stasera mi addormento mentre cenno. >> borbottò Salvo.
<< Dài, sei giovane e forte! >> lo prese in giro l'altro.
<< Sono? Siamo! >>
<< Su su, che le tue son braccia rubate all'agricoltura. >>

Finita l'ennesima corsa con quegli ammassi di ferraglia, trovarono Teresa che, impaziente, guardava l'orologio da polso. Aveva un&espressione preoccupata, disperata quasi. 
<< Teresa, tutto bene? >> chiese Piero rischiando di sbattere contro un palo. 
<< Sì, tutto bene. Oggi sei scortato? >> rise.
<< Già, lui è Salvatore, o Salvo, è lo stesso. >> disse facendo l'occhiolino all'amico. 
Finite le presentazioni, Piero cercò di dire qualcosa, ma una sirena assordante li travolse, e se suonava non era un buon segno. Teresa prese per mano Piero che a sua volta afferrò Salvo, già in procinto di strapparsi i capelli, e li portò in casa. Salirono le scale fino alla camera da letto della ragazza, che chiuse la finestra con le scuri ed entrambi i ragazzi furono portati nell'armadio. Inaspettatamente, al di là dei vestiti appesi, vi era una piccola nicchia, sufficiente per almeno cinque persone, con travi robuste che la rendevano un luogo sicuro. Piero pensò alla sua famiglia e alla botola sotto il letto dei genitori, dove erano certi di stare al sicuro. Mentre tanti pensieri gli affollavano la testa, non si accorse di circondare con le braccia i fianchi di Teresa che, appoggiata con la testa sul suo petto, ascoltava il martellante ritmo del cuore. Udirono gli aerei sorvolare il territorio e andare lontano e tirarono un sospiro di sollievo. Teresa e Piero, in mezzo nell'oscurità, si osservarono. Tra le sue braccia si sentiva protetta e al sicuro, riflettè lei. Piero, il ragazzo che aveva conosciuto una settimana prima e che ora le sembrava di conoscere da una vita, che in quell'istante la stava tenendo stretta a sé con uno strano senso di protezione. 
Ad un tratto, qualcuno aprì le ante dell'armadio  e i due si sciolsero dalla stretta. La madre di Teresa si fece largo tra i vestiti e, vista la sagoma della figlia, si fiondò ad abbracciarla e a baciarle la fronte. Dopo, tutti uscirono dal nascondiglio e compare Cosimo, accortosi della presenza dei due ragazzi, provvedette ad avvisare le loro famiglie.
Rimasti soli, Salvo ruppe il silenzio. << Comunque io ero Salvo. >>
<< Ed io Teresa. >> sorrise lei.
<< E stavamo per informarti che fai ufficialmente parte della nostra compagnia. >> concluse Piero.
Anche per quel giorno il fantasma della guerra era stato allontanato da tre giovani, innocenti, spensierate risate.

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Capitolo 4
*** Diciotto ***



Correre tra le spighe dorate di grano sotto il sole cocente di giugno assieme a Salvatore e Teresa era qualcosa che lo faceva sentire completo, come se tutto ciò che volesse fosse solo tenere l'amica per mano e arrampicarsi con Salvatore sui nodosi ulivi secolari. Amava stringere le mani di Teresa,  sentire che lei, in qualche modo, si stava affidando a lui.
Chissà se amare era anche, solo quello.
Questi furono i primi interrogativi del primo giorno del diciottesimo anno di vita di Piero, il 14 della caldissima estate del 1944. 
<< Tanti auguri a te. >> sussurrò un coro di voci.
Si girò dall'altra parte del letto, aprì prima un occhio e poi l'altro, poi vide i suoi genitori, i suoi due fratellini Ciccio e Andrea e la sorellina Margherita.
<< Tanti auguri, Piero!! >> strillò quest'ultima saltandogli addosso e riempiedolo di baci. Il padre e la madre gli posarono le mani sul capo.
<< Tanti auguri, amore mio. >> sussurrò lei. 
A Margherita si aggiunsero anche Ciccio e Andrea, che iniziarono a danzare sul letto, sorretti da molle che sobbalzavano sotto il loro peso. Poi, tutti uscirono dalla stanza per permettergli di vestirsi. Ad aspettarlo al piano di sotto, c'erano Teresa con la famiglia, così come Salvatore che teneva Ninetta sottobraccio. Gli ultimi baci e abbracci li riservò ai due amici. Li circondò entrambi con le braccia e Salvo gli battè un paio di amichevoli pacche sulla schiena, sussurrando << Ti stai facendo vecchio, amico mio. >> 
Si sorrisero, poi il festeggiato andò da Teresa. Quando si ritrovarono a pochi centimetri di distanza, la ragazza, sorridente, gli baciò le guance.
<< Auguri, Verga. >> 
Piero la strinse più forte e tutti, in quell'istante, furono occupati a chiacchierare con Ninetta. Tutti tranne Salvo, che aveva visto il bacio che l'amico aveva stampato all'angolo della bocca di lei, sentendo una specie di morsa allo stomaco. In quella manciata di secondi comprese che era finita l'infanzia di Piero (e con questa anche la sua), era terminata l'epoca dei loro infiniti giochi, delle corse in campagna, delle gare con le biciclette. Le loro vite avevano seguito la stessa direzione fino a quel giorno. Ne era certo, aveva visto l'amore. Erano come una fiamma che lentamente ardeva, ma forse nessuno dei due  aveva riconosciuto quel sentimento, il suo amico non aveva colto che quel 14 luglio aveva terminato un capitolo della propria esistenza e ne aveva aperto un altro, il primo della sua vita; perché ciò che era precedentemente accaduto non era stata altro che la prefazione.
Senza che lui se ne accorgesse, Piero sgattaiolò in camera con Teresa, e Ninetta gli artigliò un braccio.
<< Lascia stare, Salvato'. Quello non è tipo che ti molla da un momento all'altro. Te lo dice una che ha mille volte gli anni tuoi. Vai da loro! >> 
Come inebetito, il ragazzo salì le scale e socchiuse la porta della stanza dell'amico. Lui e Teresa erano in piedi davanti alla libreria, intenti a commentare dei titoli. Lui si accorse della sua presenza e lo invitò ad entrare. Si sedettero tutti e tre sul letto, Salvo era di nuovo di buonumore.
<< Stasera ti faremo divertire. >> gli promise.

Quel pomeriggio, aspettando il tramonto, il ragazzo pensò a lungo. A torso nudo, disteso sulle lenzuola del proprio letto, Piero teneva gli occhi fissi sul soffitto, persi nel vuoto. Cos'era successo in quei mesi tra lui e Teresa, proprio non lo sapeva. Mentre rifletteva e i pensieri sgomitavano tra di loro per prevalere l'uno sull'altro, immaginò lui è Teresa insieme, come i loro genitori. Pensò ai balli sfarzosi descritti da Tolstoj, i saloni illuminati; invece lui avrebbe festeggiato il suo diciottesimo compleanno pensando che di lì a due mesi sarebbe potuto morire.
"Stasera devo dirglielo." pensò tra sé e sé mentre si vestiva. Margherita aprì di colpo la porta della stanza e vi irruppe come un uragano.
<< Ci aiuti a portare i tavolini strada i tavoli? >> chiese con voce dolce e supplichevole.
<< Certo, arrivo. >> 
La bimba strette ferma a guardarlo, delusa. Piero capì al volo e le fece complimenti per il vestito.
<< Non è che mi rubi la scena? >> scherzò sollevandola in aria, muovendo i capelli color del miele ed il vestitino di cui andava così orgogliosa. Sfiorò il nasino col suo e poi la prese in braccio, ed insieme raggiunsero la madre.

Un'ora dopo il cielo era grigio-azzurro ed il sole era un enorme disco rosso, colorando di rosa le nuvole vicine. La strada era piena di gente, assomigliava più ad una sagra che ad una festa di compleanno, ma non ci si poteva aspettare di meno, considerano che Piero era il figlio maggiore dell'unico medico del paese.
Strette di mano, abbracci, complimenti, ricordi investirono Piero quella sera, nell'attesa che arrivassero i suoi amici. Salvatore, invece, capì che quella sera non ci sarebbe stato posto per lui. E lei, dopo un'ora, arrivò. Si guardarono, perché da dire non aveva più nulla, poco quanto niente. Accennarono qualche passo di valzer, sulle note di un paio di fisarmoniche. Ad un certo punto, andarono via e salirono fin sopra il tetto della caso. Seduti sulle pietre fredde, si osservarono intorno, cercando un pretesto per parlare.
<< Piero. >> mormorò lei.
<< L'ho capito. >> rispose lui con fermezza.
Indecisa su cosa dire, Teresa fece per parlare, ma si fermò. 
<< Teresa, te lo dico così, improvvisamente e senza giri di parole. Sento che voglio averti sempre con me, voglio proteggerti, voglio che tu mi stia accanto quando partirò. >>
Lei lo guardò dapprima serena, poi spalancò gli occhi.
<< Partire?! >> 
Si rese conto di ciò che aveva erroneamente detto. Teresa si alzò e lo guardò negli occhi. 
<< Partirò verso metà settembre. >> sospirò.
<< Ma non puoi! >> protestò. Poi si poggiò sulle sue spalle e lui portò la testa all'indietro, in modo da vedere il suo viso.
<< Non sono io a decidere, lo sai. >>
<< Non voglio perderti, ora che ti ho trovato. >> 
<< Durerà poco, vedrai. >>
La luna appariva come un enorme disco diafano color del latte, che insieme alle stelle lucenti faceva da testimone al giuramento dei due ragazzi. Piero si alzò e la strinse forte a sé, come aveva fatto quel giorno nel rifugio dell'armadio.
<< Muoiono le rose, passano tante cose, come un soffio passa la gioventù. >> canticchiò il ragazzo.
Teresa rise e continuò la canzone. << Ma un amore vero, semplice e sincero, può durar una vita e più. >>
<< Tu non mi lascerai perché ti voglio bene, >> cantarono insieme << tanto tanto bene che se vivo è sol per te! >>
<< Possiamo cantare alla balera di Furnaru. >> 
<< E perché no! Dài, scendiamo altrimenti mia madre mi dà per disperso. >> 
Nessuno si accorse della fuga de festeggiato, soprattutto con Teresa appresso, e del loro ritorno. Quatti quatti si avvicinarono a Salvatore, il quale stava di spalle, e gli fecero il solletico. L'amico sobbalzò e scoppiò a ridere a crepapelle, prima di assumere di nuovo una posa composta. 
<< Assassini. >> mugolò << Questo è un attentato bell'e buono. >>
<< Che fai qui tutto solo? Vieni con noi, non fare il solitario. >> lo invitò Piero. 
<< Non ne ho voglia. >> lo liquidò.
Si allontanarono di qualche passo, poi incrociarono il suo sguardo e tornarono da lui, per trascinarlo nel bel mezzo della festa. Quando l'allegria di tutti si esaurì e la stanchezza iniziò a soccombere, la strada si svuotò lentamente.

<< Sei un idiota. >> disse Piero.
<< Bene, ora mi attacchi anche. >> rispose Salvo con tono piatto, senza spostare gli occhi dalla porta di fronte.
<< Come hai potuto pensare che oltre a Teresa non ci sarebbe stato posto per qualcun altro? >> 
L'amico si girò verso di lui, incredulo. << Quindi... >>
<< Già, stavolta ti sei sbagliato. >>
Salvatore si portò le mani nei capelli. << Mio Dio, scusami...! >> 
<< Sai che è come se fossi un fratello, non potrei mai. >>
Salvatore sorrise, Ninetta aveva avuto ragione, come sempre.

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Capitolo 5
*** La balera ***



<< Dài mamma, è solo una balera! >> protestò Teresa, mentre provava ad infilarsi un orecchino. 
<< Ho detto di no; e non si discute. >> rispose con fermezza.
<< Ma Piero parte tra due giorni e... >> 
<< Perché non ci va con quel suo amico, Salvatore? >>
<< Non credo che abbia voglia di parlare con lui. >> 
<< La balera... Guarda sonno modi. >> bofonchiò tra sé e sé.
Sentendo le due donne litigare, Cosimo cercò di calmare le acque.
<< Che succede? >> 
<< Non vuole farmi uscire. >>
<< E dove vai, da sola? >>
<< Con Piero, papà. >>
<< Alla balera! Di Furnaru! Ti rendi conto?! >> intervenne la moglie. 
L'uomo baciò la fronte della figlia. << Calmati, Teresa vuole stare un po' con Piero prima che parta. Guarda come si è fatta bella. >> 
La donna lasciò il ferro da stiro e sospirò con le braccia incrociate al petto.
<< E sia, >> acconsentì, << ma alle nove e mezza a casa. >>
Teresa l'abbracciò e scese in fretta le scale, per raggiungere Piero che già la aspettava da dieci minuti.

Le schioccò un bacio sulla guancia. << Complicazioni? >>
<< Più o meno. >>
<< Ma... Loro stanno di... Noi? >>
<< No, e da te? Credo che per mia madre non sarebbe una bella notizia. >>
<< Dalla mia bocca non è uscito nulla, ma suppongo che mio padre l'abbia quantomeno intuito. >>
La casa di Furnaru era nel bel mezzo del centro storico del paese. Il frastuono si sentiva anche dall'esterno, tarantelle e pizziche miste a romantici e sensuali lisci. Entrarono nell'abitazione e, proprio a destra dell'ingresso, vi erano degli scalini che portavano giù al locale. 
L'aria era allegra, tutti volteggiavano spensierati, tranne un paio di donne vestite di nero che erano rimaste sedute. Naturalmente, su un tavolo vi erano gli immancabili dolci sfornati dal padrone di casa, che andò loro incontro, salutandoli calorosamente.
<< Che onore, il figlio del Valenti qui! >> li accolse dando una pacca sulla spalla a Piero.
<> sospirò.
<< Lei non è la figlia di... >> chiese mentre si sistemava la camicia color vino nei pantaloni.
<< Teresa Caraccioli, piacere. >> si presentò lei cortesemente.
Appena sentì il cognome della ragazza, Barsanofio strabuzzò gli occhi e guardò Piero con aria interrogativa. Senza rispondere verbalmente, il Valenti intrecciò, con finta noncuranza, le dita con quelle di lei. Notato il gesto, l'uomo si congedò frettolosamente dagli ospiti. Teresa si voltò, quasi offesa. Piero le circondò le spalle con un braccio.
<< Tutto bene? >>
<< Ti vergogni di me, vero? >> mormorò.
<< Lo sai che odio essere etichettato come il "figlio di". Te lo ripeto, tuo padre è un uomo eccezionale. >>
Lei lo guardò con gli occhi lucidi, permettendogli di trascinarla sulla pista da ballo. Piero non aveva la più pallida idea di come si ballasse un liscio, aveva sempre improvvisato e messo insieme passi a caso, così un valzer si trasformò presto in una pizzica scandita dal vivace ritmo dei tamburelli. Erano nel Salento, dopotutto. 
Voleva che quella sera gli rimanesse impressa, per aiutarlo quando sarebbe andato al fronte. Voleva ricordare Teresa allegra e spensierata, mentre i suoi capelli si coloravano delle più svariate sfumature alla luce soffusa delle lampadine. Non gli importava di chi, in quel momento, stesse confabulando sul loro conto. Perché sapeva di fare qualcosa di giusto. L'amore non ti sceglie con cura la tua metà, ti capita e basta. 

Esausti e sorridenti si sedettero sulle semplici sedie di vimini.
<< Aspetta qui, vado a prendere qualcosa da mangiare. >> disse Piero.
Mentre si allontanava, una figura  maschile, slanciata, in un completo color tabacco decisamente fuori luogo, coi capelli neri tirati all'indietro con la brillantina si avvicinò a Teresa, intenta a sistemare qualche ciocca di capelli. 
<< Buonasera. >> disse l'uomo con voce cupa.
La ragazza spalancò gli occhi ed un brivido, a causa dello spavento, la percorse dalla testa ai piedi.
<< B-Buonasera. >> 
<< Nicola. >> si presentò, mostrando uni strano sorriso.
Lei abbassò gli occhi. << Teresa. >>
<< Sei da sola? >>
Non l'aveva mai visto, motivo per inquietarla di più. Scosse il capo e, tempestivamente, arrivò Piero. 
<< Scusi. >> disse irritato alle spalle di Nicola. Quando questo si girò, lo sgomento si dipinse sul volto del ragazzo.
<< Tu?! >> esclamò l'altro, esterrefatto.
Lo trafisse con uno sguardo tagliente. << Sparisci. >> ordinò.
<< Si tratta così un amico? >> ribattè con aria di finta innocenza.
<< Non sei un mio amico. >> 
<< Comunque non pensavo che tu apprezzassi gente come... Lei. >>
Un lampo attraversò gli occhi di Piero, che poggiò su una sedia il piatto con i dolcetti. Teresa gli afferrò prontamente il gomito, per evitare che si fiondasse su Nicola. 
<< Prova ci dici n'atra cosa e ti ritruevi all'atru munnu n'tra do' secondi! >> lo minacciò Piero, a denti stretti, con la rabbia a stento contenuta.
<< Sai, conservo ancora il quadro che mio nonno mi ha regalato. >> disse cambiando argomento, con un sorriso beffardo.
Senza guardarlo, Piero prese Teresa per mano e la portò via dalla balera. 
<< Scusami. >> mormorò lei a testa bassa, la voce tremava.
<< Non è colpa tua, lo vuoi capire? >> 
Si spaventò per il tono che il ragazzo aveva usato. 
<< Scusa, non volevo, non devi farti influenzare, è inutile beh, sì, perché... >>
<< Perché? >> lo interruppe.
Piero sorrise mentre tastava la giacca nella penombra. 
<< Perché ti voglio sposare, Teresa. >> 
Lei strabuzzò gli occhi e scoppiò a ridere.
<< Se fosse vero, ti direi di sì, immediatamente. >> rispose, credendo che lui stesse scherzando.
<< Teresa, è realtà, io voglio sposare te. >> e così dicendo gli infilò un anello sottile al dito. 
Lei, incredula, lo fissò e lui la abbracciò, baciandola teneramente. 
<< Pregherò per te ogni giorno, te lo prometto. >> disse lei.
Il suo respiro era freddo, gli occhi si rispecchiavano in quelli del giovane e le sue braccia robuste le cingevano la vita. Non volevano che quella serata finisse, ma lo sapevano. Sapevano che il tempo era sono un'illusione, che il tempo degli innamorati è l'eterno presente. Gli astri osservavano il loro amore che lentamente sgorgava; ma qualcun altro, appena sopra di loro, aveva posato gli occhi su quelle due metà che combaciavano perfettamente.

Teresa aprì la porta a salì le scale velocemente, tanto che quando si fermò aveva il fiato corto. Sua madre, seduta su una sedia, ricamava ed il padre leggeva il giornale.
<< Vedi sono stata puntuale! >> disse rivolta alla donna. Questa si alzò ed andò verso di lei. 
<< Senti, voglio solo che tu capisca che il Valenti non è per te. >> disse con voce ferma.
La ragazza sbiancò di colpo.
<< Siete diversi, molto diversi. Lui è... >> continuò.
<< Mamma, >> disse guardandola dritta negli occhi << lui mi ama. >>
Il padre, nell'udire la frase, poggiò il giornale sul tavolo.
<< Ed io amo lui. >>
<< Ferma, Rita! >> gridò Cosimo alla moglie, che era sul punto di tirare uno schiaffo alla figlia.
Mostrò loro il sottile anello d'oro all'anulare. << Mi ha chiesto di sposarlo, verrà domattina. >>

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Capitolo 6
*** Arrivi...E partenze ***


Accompagnato da una lieve brezza d'inizio autunno, la famiglia Valenti si presentò a casa Caraccioli. Mentre i loro genitori discutevano del più e del meno, Piero e Teresa non facevano altro che scambiarsi sguardi d'intesa. Alla fine, il dottore capì l'ansia del figlio e spostò l'argomento della conversazione.
<< Insomma, non siam certo venuti qui per parlare di politica, vero Piero? >> esordì il dottore.
Il ragazzo annuì e, con le gambe che tremavano, si alzò. Sfregò l'una contro l'altra le mani fradice e parlò. << Signori Caraccioli, >> iniziò, cercando di assumere un tono serio << vorrei chiedere la mano di vostra figlia di Teresa. >>
Si sorrisero, nell'attesa della conferma dei genitori di lei. Questa, ripensò alla frase della madre detta la sera precedente prima che andasse a dormire: "Tu finirai come Ninetta"
<< Piero, ti parlo con franchezza. Teresa è l'unica figlia che ho, so quanto tiene a te. Sei entrato nella sua vita come un uragano, all'improvviso, a causa mia. Ricordi quel giorno d'aprile? Ho sempre voluto che lei facesse le sue scelte e che fosse felice, ho voluto lasciarla sbagliare per farla diventare una donna dalle ossa forti. Ebbene, avete il mio consenso. >>
Teresa si alzò subito e corse da Piero, la madre di lui scoppiò a piangere, i due uomini, trattenendo le lacrime, si strinsero affettuosamente le mani. 
<< Io non sono d'accordo. >>
Tutti e cinque si voltarono verso Rita, sorpresi. 
<< Vogghiu figghima cu si sposa doppu ca iddu torna ti la uerra. (Voglio che mia figlia si sposi dopo che lui torna dalla guerra.) >> disse decisa << No vogghiu ca rimani comu la zita di Puzanu. (Non voglio che faccia la stessa fine della promessa sposa di Pulsano). >>
Tutti le tenevano gli occhi incollati addosso.
<< Va bene, va benissimo. >> ruppe il silenzio Roberto.
Rimasero anche per il pranzo, per poi tornare a casa, dove le valigie ancora vuote aspettavano il ragazzo.

<< Cuddu no passa mancu l'arcu ti la porta ca lu 'cciunu. E poi vogghiu 'vesciu ce faci! >> sentenziò Rita la sera.
Teresa cercò di immaginare Piero, il suo Piero, uccidere ed essere colpito a morte, con l'uniforme madida di sangue. Con le mani tra i capelli e visioni tragiche, si addormentò, rannicchiata accanto al padre.

Piero odiava i temporali, e quella mattina non fu fortunato. 
Il giorno in cui partì il sole era alto e splendente. Avrebbe voluto lasciare il paese mentre pioveva, col cielo coperto da nuvole plumbee. Mentre le gocce d'acqua coprivano il suo volto giovane, scivolando rapide sulle sue guance, come la vita che diventata sempre più inafferrabile.
Nonostante fosse già metà settembre e le fronde degli alberi andavano colorandosi delle tonalità del giallo, quella mattina il sole baciava il paese e l'intera regione. La notte, Piero, non aveva dormito, ma aveva pianto, in silenzio. Sembrava che tutto fosse già finito, che la sua esistenza fosse stata irrimediabilmente stroncata. Quante cose avrebbe voluto fare: diventare, ormai paradossalmente, un maestro; assistere i suoi genitori; crescere i due gemellini di casa, Ciccio e Andrea; proteggere Margherita dai giovanotti che, senza ombra di dubbio, le avrebbero fatto la corte; ridere e scherzare con Salvo. Costruire una famiglia con Teresa.
Con gli occhi arrossati e andatura flemmatica uscì dalla sua stanza e andò in quella dei genitori, svegli anche loro.

<< Ti prego, sbrigati! >> gridava Teresa lungo il tragitto da casa di Salvo a quella di Piero, tirando la manica della camicia ormai sgualcita.
<< Calmati, metti ansia anche a me. >> 
Lei tremava come una foglia, la pelle era più bianca che mai.
<< Ti ricordo che se continui così, diventerai così pallida che sembrerai un tutt'uno con l'abito bianco. >> commentò, nell'intento di risollevarle il morale.
La ragazza gli lanciò un'occhiata, un misto di preoccupazione e di rimprovero.
<< Perdono, perdono, chiedo umilmente perdono. >>

In casa Valenti regnava il silenzio più totale. Margherita, Ciccio e Andrea ponevano insistenti domande su cosa stesse accadendo, senza ricevere alcuna risposta. Piero li osservava tutti, come per catturarne un ultimo sguardo o gesto. Fissava sua madre, alta e dalla forme armoniose nonostante le molte gravidanze. Gli occhi verdi, come quelli di Piero, erano velati, a dimostrazione del suo stato d'animo. Il naso dritto, la pelle ambrata ed il collo un po' lungo la rendevano eccezionalmente bella. Piero la ricordava mentre raccoglieva rametti di rosmarino nell'orto, mentre il vento le sollevava la gonna e scompigliava i capelli. Una donna dalla tempra forte e audace.
Il dottor Valenti, invece, stava seduto su una sedia di paglia, con lo sguardo perso nel vuoto, oltre il tavolo su cui erano poggiati i bagagli del figlio. La camicia, abbottonta male, la fronte lucida dal sudore ed i capelli spettinati davano l'idea che fosse l'uomo più disperato del mondo. 
Rosalba Del Gennaro e Roberto Valenti, avrebbe detto Ninetta, erano comu li fichi 'cucchiati. E quando lei aveva perso i genitori, lui l'aveva sposata, e avevano scoperto di amarsi.
Ciccio e Andrea giocavano col cappello militare del fratello. Sei anni più piccolo del primogenito, si distinguevano solo per la scriminatura dei cappelli. Occhi neri come la pece e capelli riccioluti rispecchiavano il loro carattere vivace ma la contempo mite. Andrea amava disegnare, qualità ereditata dal suo nonno paterno. 
Margherita, invece, aveva otto anni, e Pietro la adorava. Quella matti a sedeva sulle ginocchia del ragazzo mentre questo le accarezzava i morbidi riccioli color del miele. Era stregato dagli occhi dello stesso colore dell'acqua e come lo guardava quando la sollevava in aria facendola volteggiare. 

Piero , quel giorno, si sentiva più confuso che mai. Il giorno prima aveva deciso di sposare Teresa, promessa di un futuro certo, e tra meno di due ore sarebbe andato incontro alla fine.
Bussarono alla porta e il ragazzo trasalì, lui ed i genitori si scambiarono occhiate fugaci. Rosalba aprì e si trovò davanti Salvo che teneva Teresa sottobraccio. Appena li vide, Piero scattò in piedi. Li abbracciò forte entrambi, scoppiando in lacrime. Salvo non esternava facilmente i suoi sentimenti, ma in quella circostanza non ce la fece a contenersi. Guardò l'amico negli occhi e ripercorse tutta la loro infanzia, le loro avventure. Quando si avvicinò a Teresa, lei gli passo una mano sulla giubba verde, passandola poi sul viso per percorrere i suoi lineamenti. I familiari del ragazzo ebbero il buon senso di dileguarsi, in modo da donargli gli ultimi momenti coi suoi amici.
<< Senti, >> disse con voce spezzata << quando torno voglio vederti sistemato, Salvatò. Va bene? >>
L' altro abbassò lo sguardo. << Ovvio, ma aspetterò te. >>
<< Scrivici almeno ogni settimana, ti prego. >> lo supplicò Teresa.
Lui, in tutta risposta, fece scivolare le sue labbra salate dalle lacrime sulle sue.
Un'ora dopo Piero si lasciava alle spalle il suo paesino, la sua famiglia e tutti gli altri suoi affetti, con un cuore ancora giovane e già troppo carico di emozioni.

 

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Capitolo 7
*** Lezioni ***


Su quella specie di furgone, assimilabile alla barca di Caronte che traghetta le anime dei dannati, erano in sei, quasi tutti coetanei di Piero, e il loro viaggio fu alquanto movimentato, a causa delle strade non molto facili da percorrere. Tre di quelli sventurati li aveva riconosciuti immediatamente: il figlio del fornaio, l'aiutante del fruttivendolo, il ragazzo che trovavi a suonare la fisarmonica ad ogni sagra. Intento a riconoscere gli altri compagni, ricordò una serata d'estate. Probabilmente la stagione era già entrata nel vivo ed in alcune campagne, gli alberi erano già carichi di albicocche. Gli parve di udire un suono lontano di tamburelli e lui e Salvo che si arrampicavano su un albero per assaggiarne i frutti. Mai aveva gustato albicocche più dolci e succulente; e proprio in quel momento, mentre abbracciava lo zaino e davanti a lui ci era solo il cielo, un campo di grano e papaveri rossi, sentì in bocca il sapore del frutto, come per rincuorarlo.

Il furgone era scomodo, dopo due ore di viaggio il mal di schiena non tardò a farsi sentire. Intorno alle quattro di pomeriggio vennero fatti salire su un treno e, tristi, furono condotti verso l'inferno. I sedili erano di velluto, la troppa polvere lo faceva starnutire, mentre il cielo scorreva davanti ai suoi occhi, così sereno, così irraggiungibile.
Annibale, il figlio del macellaio, di qualche anno più grande, gli aveva rivolto la parola dopo essere entrati nel vagone..
<< Evviva Nicco, e scatta Roccu ca pi te i s'è vutatu scirocco. >> esordì sorridente, troppo, vista la circostanza. 
Piero si lasciò sfuggire un sorriso, il viso rosa e tondo del compagno ispirava simpatia.
<< Come va, Anni'? >> domandò.
<< E comu a sciri, Valè.. >>  sospirò. Poi, con un po' più di allegria, aggiunse << Faci cautu. >> asciugandosi un po' di sudore dalla fronte.
<< Ci parla mali ti la statìa, parla mali ti la Vergini Maria, Annibale, ricorda! >>  
<< Tuni comu ti la sta passi? >>
Piero chiuse gli occhi e provò a rilassarsi un po'. << Mi sposo, credo a luglio prossimo. >>
<< Veramente, cumpà? E cu cini? Eti 'na brava vagnona? >>
<< Caraccioli, la figlia di Zappa. >> rispose orgoglioso.
<< Emmizzica Piero nuestru comu si tratta! Congratulazioni, poi vvisimi ca agghia vinì alla chiesa. >> 
<< Ovvio, Anni'. E tu? Cu Immacolata tua? >>
Era felice che qualcun'altro la pensasse come lui riguardo Teresa.
<< Tra tre mesi nasce Vincenzino nostro. >> lo informò, felice.
<< Complimenti anche a te, allora. >> rispose.
L'allegria che lo aveva posseduto per quei minuti improvvisamente sparì e Piero scoppiò in lacrime poco dopo. Sconfortato, poggiò la testa sulla spalla di Annibale, il quale cercò invano di confortarlo. Il ragazzo si abbandonò ad un sonno tormentato e quando si svegliò, fu per scendere dal treno.  
Arrivarano all'accampamento che era ormai notte, il cielo più limpido che mai. La loro tenda era abbastanza spaziosa per contenerli tutti, i quali passarono tutta la nottata a parlare anziché riposarsi. Piero capì di non essere solo in quella battaglia. 
"Solo otto mesi" pensò mentre, steso su un materasso durissimo, premeva sul petto la foto della sua famiglia. 
Vennero svegliati alle cinque, poco prima dell'alba, da un uomo gracile che sembrava ripetere più a sé stesso che a loro parole che avrebbero udito nei giorni successivi alla medesima ora.
<< Voi, >> urlò << noi, siamo al servizio della patria. Vostro compito è difenderla e sacrificarvi per essa, se necessario. Tutto chiaro?! >> 
Si misero sull'attenti, ancora storditi dal sonno ed un po' infreddoliti. 
<< Ogni qualvolta sarà possibile, raccoglieremo la vostra corrispondenza e la faremo recapitare al destinatario. Non è garantito l'assiduità del servizio, naturalmente. Farete turni, alternandovi ogni settimana, per la cucina. >>
L'aspetto esteriore tradiva la tempra di quell'uomo, che sembrava avere chissà quanto fiato, per urlare in quel modo.

Nei mesi successivi, scoprì che quell'uomo che instancabilmente gridava quelle parole ogni giorno all'alba, anche sotto la pioggia, aveva visto suo figlio morire in trincea poco dopo la liberazione della Crimea. Nel paese in cui viveva aveva lasciato due figli e la moglie, a cui, aveva scoperto Annibale, scriveva interminabili lettere. L'apparenza ingannevole aveva loro mostrato Giorgio Maurini come un uomo cinico, quando invece lui soffriva quanto quei ragazzi. 
Una sera di metà novembre, in un periodo particolarmente quieto, subito dopo che gli Alleati furono entrati a Forlì, quando ormai il freddo iniziava a farsi sentire e la notte non si riusciva a dormire per gli spifferi, in barba alle raccomandazioni, Piero fissava con aria assente le pieghe della tenda verde. Ancora era agli inizi, di sangue non aveva visto più di tanto, ma sapeva che prima o poi sarebbe arrivato anche il loro turno, sarebbero dovuti passare di lì per forza. Assonnato, si avvolse nella coperta ed uscì. Ad una decina di metri dalla tenda era acceso un fuoco, ed una figura minuta sedeva lì vicino, con le mani protese in avanti nel vano tentativo di diffondere un po' di calore nel corpo. Si avvicinò e si accorse che il naso adunco ed i baffi erano quelli di Maurini. Incerto, fece qualche passo avanti, ma lo udì e gli fece cenno di avvicinarsi. Piero riempì quei pochi passi che li separavano e si riaggomitolò anch'egli nella coperta, accanto al fuoco scoppiettante.
<< Sai quanto rischiamo qui, adesso? >> domandò l'uomo.
<< Tanto, signore. >> rispose il ragazzo.
Velocemente si accese un sigaro e, dopo un paio di boccate, lo porse a Piero, il quale rifiutò gentilmente. 
<< Non mi spaventerei neanche se ora il terreno sprofondasse sotto i miei piedi, Valenti. >> 
L'altro annuì, poi Giorgio riprese a parlare. << Posso chiamarti Piero? >> 
La domanda lo stupì. << Certo, signore. >> 
Le fiamme creavano dei giochi di luce sui loro volti nella penombra, mentre quello creava piccoli anelli di fumo che si disperdevano nell'aria. 
<< Sai, di valoroso hai poco. E mi sono anche trattenuto. >>
Lo guardò perplesso, e Giorgio gli spiegò subito. 
<< Ho trovato la tua raccolta di romanzi russi, non sei molto bravo coi nascondigli. Avrei dovuto confiscartela. >>
<< Ma? >> si permise si chiedere.
<< Mi somigli così tanto, Piero. Anche io ero pieno di speranze come te. Come si chiama? >> 
Il ragazzo fece finta di non capire. << Suvvia, non sono così tonto. >> 
Arrossì, mentre pronunciava il nome della futura sposa.
<< Piero e Teresa, suona bene, vero? >> 
<< Sì, signore. >> 
L'uomo spense il sigaro e, stufo, gli disse che, almeno in quelle circostanze, avrebbe potuto chiamarlo Giorgio. Faceva uno strano effetto, ma servì a rincuorarlo un poco. 
<< Sai a cosa vai incontro, vero? >> 
<< Non l'ho scelto io. Altrimenti... >> 
<< Lo so, hai ragione. Ci sono tante lezioni che non vale la pena imparare. È uno strazio, caro Piero, uno strazio. >> commentò.
Dopo qualche minuto di silenzio, Piero disse << Come si chiamava? >> 
Si morse la lingua, gli dispiaceva far rievocare i brutti ricordi alle persone.
<< Alberto. Eravate totalmente diversi, sai? Però credo sareste andati d'accordo. >>
<< Questa è una lezione che non vale la pena imparare? >> 
<< Apprendi in fretta. Come soldato fai un po' pena, ma come intellettuale te la cavi. >>

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Capitolo 8
*** Cinismo ***


Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati, 
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente.
Così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve, 
il vento ti sputa in faccia la neve.



<< Lucio, sei proprio uno sfacciato! >> lo schernì Piero. 
Erano in una sottospecie di locanda, dopo due mesi finalmente avevano avuto la possibilità di dormire, per un paio di notti, in una città vicina, e di poter mangiare qualcosa di decisamente più caldo. 
Detestava le cipolle, ma pazienza, in quella circostanza avrebbe divorato anche  un bue, così prese il cucchiaio ed iniziò a mangiare la zuppa. Mentre lui, Annibale ed Emanuele, altro compagno di sventure, consumavano la cena assieme a Maurini, Lucio e qualche altro, si divertivano a far volteggiare delle ragazze poco più che ventenni. 
Il ragazzo, dai capelli color della sabbia, ballava una strana danza con una giovane. Le teneva delicatamente la mano, le sue lunghe dita tenevano la mano di lei. La ragazza aveva i capelli neri sciolti ed un rossetto troppo vistoso, ma non appariva per nulla provocante come altre. Aveva bisogno di pochi spicci, che in quel periodo solo loro, soldati senza speranza, potevano darle. Poco dopo i due si sedettero ad un tavolo vicino ed iniziarono a parlare fitto. 
Emanuele diede una lieve gomitata a Piero.
<< Tu non ti dai da fare? >> scherzò.
Il ragazzo, in tutta risposta, tirò fuori dalla tasca un foglio spiegazzato ed una matita consumata. Iniziò a buttare giù qualche riga della lettera per Teresa ed Emanuele lo riprese.
<< Ma tu stai sempre a scrivere? >> rise.
Piero, seccato e divertito allo stesso tempo, ribattè << E tu perché non vai a ballare un poco? >> 
L'amico si alzò e andò a bere qualcosa qualche metro più avanti. 
<< Guarda Marzo come si dà da fare. >> commentò Maurini, seduto davanti a Piero. 
<< È giovane, ne ha il diritto. >>
<< Non hai settant'anni, Piero. >> lo riprese.
Fece un cenno della mano come per scusarsi e tornò a scrivere, ma qualcosa lo bloccò.
<< Signore, c'è una cosa che vorrei dirvi. >> 
L'altro, interessato, annuì.
<< Qualche sera fa, precisamente tre, all'imbrunire ero vicino al ruscello, ero sovrappensiero e dono inciampato in un sasso, che in realtà era una scarpa, dettagli. Qualche metro più in là ce ne era un'altra, nascosta tra i ciuffi d'erba più alti. Solo che...C'era un corpo, metà nell'acqua e metà sulla terra. >> 
Maurini, sorpreso, ordinò ad una cameriera di portargli qualcosa che potesse sciogliergli la lingua. Aveva gli occhi spalancati e si era passato una mano sugli occhi come per scacciare l'orribile visione che la mente stava creando con fantasia. 
<< Davvero? Ma il corpo di Simone Salemi è stato portato al suo paese già una settimana fa! >> 
<< È questo il punto. Non si tratta di lui. >>
Frugò nella giubba e tirò fuori un piccolo foglio grigio.
Su un lato era incollata una fotografia in bianco e nero, piuttosto scura, e sotto un nome, data di nascita e i dati anagrafici.
<< Sei matto, ragazzo mio. >> 
Oswald Schmidt, tedesco di Stoccarda, 35 anni, sposato. 
La foto lo raffigurava vestito con giacca e cravatta, i capelli bruni col ciuffo da un lato ed un sorriso sbilenco.
<< Ha la faccia da tedesco. >> commentò Giorgio.
Piero sospirò. << Io ho la faccia da pugliese? >> 
<< Certo. Ed io da romano. >> scherzò.
<< Ma non ti dispiace per quest'uomo? Immagina al suo corpo che non tornerà mai a Stoccarda, nessuno potrà... >>
L'altro lo interruppe. << Piero, devi essere più cinico. Non solo adesso, ma anche nella vita. Non puoi piangere per ogni uomo morto al fronte come stai facendo ora. >> 
Si sentiva uno sciocco. A piangere per una persona che non conosceva, tra l'altro dell'esercito avversario. Ma come poteva il suo cuore non tremare ed i suoi muscoli contrarsi alla vista della stoffa verde insanguinata all'altezza del torace? 
Poggiò un gomito sul tavolo e si portò la mano tra i capelli, mentre suo pantaloni piovevano lacrime. 
<< Lei non può...Lei non ha visto! >> urlò, ma la sua voce, seppur alta, non si poteva udire in tutto quel trambusto.
<< Piero, Gesù mio! Mangia altrimenti ti si fredda la minestra. >> 
Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo e provò ad ingurgitare il resto di quella brodaglia. 

Un paio d'ore più tardi, si trovava nel letto più morbido e caldo in cui aveva dormito negli ultimi tempi. Immerso nella semioscurità, riprese a scrivere, finalmente, e parlò del corpo dell'uomo.

Teresa mia, quanto vorrei che nel torrente tornassero a nuotare i lucci, come mesi fa. Tu non gli hai mai visti, grazie a Dio, ma riflettevano stupendamente la luce del sole sulle loro squame argentate. Prima di concludere questa lettera e di dormire, non posso non chiederti di custodire i documenti che ho trovato. Ancora sei mesi e tutto finirà, amore mio. 
Baci dal fronte, 
Piero

Erano diverse notti che restava a fissare il soffitto senza che il sonno lo sfiorasse, ma quella volta la stanchezza si posò come un'ombra sulle sue membra, un momento di tregua.

<< Teresa Caraccioli? >> 
<< Dica pure a me. >> 
La madre di Teresa aspettava con stizza che l'uomo le consegnasse le lettere, battendo il piede impazientemente. Il postino le diede un piccolo plico di carte e si dielguò in sella alla bicicletta. Rita lesse i mittenti, nulla di importante, a parte una lettera di Piero. Alzò gli occhi al cielo e, mentre era indecisa se ridurla ad un mucchio di pezzi di carta o darla alla figlia, quest'ultima arrivò, vestita di tutto punto.
<< Dove vai? >> chiese indispettita.
<< Mi accompagna dai Savi, sento che stavolta siamo in una botte di ferro, Rì! >> esclamò Cosimo.
<< E ti porti dietro tua figlia per convincerli? Mio Dio. >> sospirò la donna.
<< Mamma, è arrivato qualcosa per me? >> 
L'altra abbassò lo sguardo e attese qualche secondo prima di risponderle, ma il marito sbuffò. << Per cortesia, dai la lettera a Teresa. >> 
Sbattè la mano e la busta sul tavolo, poi tornò in cucina. Teresa la osservava, mortificata.
<< Le passerà, vedrai. >> 

<< Oh, ma quantu dormi Piero nuestru! >> osservò Lucio.
<< Continuiamo? >> chiese Annibale.
<< Ci voli si aza. >> ripose l'altro.
Piero si risvegliò al centro di un cerchio, Lucio, Emanuele e Annibale. Spaventato, scattò in piedi e chiese cosa stesse succedendo.
<< Festeggiamo. >>
<< Mi spieghi cosa c'è da feseggiare? >> 
<< Sono passati esattamente 60 giorni da quando siamo arrivati. E siamo ancora tutti vivi. >> spiegò Lucio.
Innervosito, rispose << Mi auguro che sia il compleanno di qualcuno, perché non è vero che siamo tutti vivi e la trovo una cosa di pessimo gusto. >> 
<< È il compleanno di Emanuele. >> mormorò Annibale, temendo che l'amico lo avrebbe morso da un momento all'altro.
Il volto di Piero si distese in un sorriso, si portò le mani sulla bocca e abbracciò Emanuele.
<< Me ne ero completamente dimenticato, scusami! Tanti auguri, baccalà!! >> e gli diede una pacca sulla spalla. 
<< Siediti, dobbiamo fare una cosa divertente. >>
<< Ovvero? >> 
<< Segreti. >>
<< Dimmi che state scherzando. >> 
<< Assolutamente no. Mai stato più serio. >> disse soddisfatto Lucio con un sorriso beffardo.

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Capitolo 9
*** Ritorno ***


Una statua, nel centro. A Maurini. Piero gliel'aveva promessa, e l'avrebbe fatto. 
Lui ed Annibale scesero di corsa dal treno, seguiti a ruota da Giorgio. Annibale raggiunse subito sua moglie, Immacolata, che portava in braccio Vincenzo, di due settimane. Piero si rifugiò tra le braccia dei genitori, dei fratelli, di Salvo,all'appello mancava solo Teresa. Mentre Giorgio, sentendosi eccessivamente fuori posto, si accingeva a recuperare le valigie. Forse non si erano mai viste tante lacrime tutte assieme. 
Annibale piangeva mentre accarezzava le guance paffute del figlio, che gli sorrideva riconoscendone la figura paterna, e l'uomo, dapprima titubante, lo prese tra le braccia e lo cullò dolcemente. Il cuore di Piero s'intenerì alla vista di quel quadretto, ma ad interrompere quell'estatica contemplazione furono i fratellini e Margherita, che si gettarono su di lui per abbracciarlo. Il ragazzo osservò i genitori,e vedeva, per la prima volta, i segni dell'età che prendevano il sopravvento. La madre lo osservava stanca ma felice, ed insieme al padre controllava che fosse ancora integro, con tutte le ossa al loro posto. Quando le acque si acquistarono, fece cenno a Giorgio di avvicinarsi al gruppetto, e lo presentò loro. 
Salvo, che fino ad allora era rimasto in disparte, gli saltò sulla schiena, mettendosi a cavalluccio. 
<< Tu sei matto! >> gridò Piero mentre cercava di tiragli uno scappellotto, invano.
<< Vieni, ti porto dalla bella. >> scherzò.
<< Devo preoccuparmi? >>
Fece un gesto come per rassicurarlo e lo portò a casa di Teresa.
<< Cosa si dice da quelle parti? >> chiese l'amico.
<< Mi prendi in giro? >> chiese irritato.
Salvo alzò gli occhi al cielo. 
Teresa sedeva sugli scalini, stretta in un cappotto di panno, ad aspettare il ragazzo. I capelli, mossi dal vento, si attorcigliavano in piccoli vortici ramati, ed alcuni le coprivano gli occhi persi nel vuoto. Alzò lo sguardo e vide la figura di Piero a qualche metro da lei. Scattò in piedi, il ragazzo si fermò, immobile. Venne scosso da un fremito, sentì il sangue scorrere nelle vene e la vista sembrò oscurarsi per pochi secondi. Teresa aspettò che lui le facesse ascoltare il battito del suo cuore prima di abbandonarsi ad un pianto liberatorio. Piangeva e si sentiva libera dall'angoscia che la opprimeva, da tutto quel male che regnava attorno a loro. Piero le asciugò le lacrime, prima che scoppiasse anche lui, e ispirò a fondo il suo profumo, quanto gli era mancato! 
Salvo, raggiunto da un suo cugino, si dileguò lasciandoli soli.
<< Mi sei mancato. >> 
<< Anche tu. >>
Quasi tre mesi lontani e tutto ciò che riuscivano a dirsi erano sì e no due parole. 
Ma perché parlare, sommergersi l'un l'altro di promesse, se in fondo agli occhi di Teresa bruciavano quelli di Piero? 
Solo allora, solo in quel momento si sentì a casa. Mentre si specchiava negli occhi lucidi di lei, capì che, in realtà, non era mai andato via. 
Teresa lo trascinò in casa per permettere anche ai suoi genitori di salutarlo. Cosimo lo abbracciò così forte da avere il viso più paonazzo del solito, gli occhi lucidi dalla contentezza. Invece la moglie, fredda, si era limitata ad una carezza sull'avambraccio. Piero non volle farci caso e le sorrise amabile. Rita sembrò essere serena, per una frazione di secondo, il tempo di tornare la rigida donna di casa che era sempre stata. 
<< Devo chiederti una cosa. >> disse Teresa sottovoce.
Piero si chiuse la porta della sua camera da letto alle spalle e si sedette sul tappeto accanto alla ragazza. Questa iniziò a frugare nelle tasche della gonna e tirò fuori un foglietto spiegazzato. Piero lo riconobbe subito, era il documento di Schmidt, l'uomo tedesco. Lui sentì qualcosa che saliva dallo stomaco, ma si trattenne. Ricordava nitidamente quel pomeriggio. 
<< Avevo pensato di scrivergli. Nel senso, cercare un indirizzo, qualunque cosa è metterci in contatto con la famiglia. >> propose Teresa. 
Sentì improvvisamente di avere la mente annebbiata, non doveva pensarci. 
<< Sì, sono d'accordo. Lo faremo, promesso. >> ripose confuso. 
Si creò un silenzio imbarazzante e, non sapendo cos'altro fare, le prese il viso tra le mani ruvide e la baciò lievemente. Quella sensazione gli era mancata, il sentirsi estraniato dal resto del mondo.
<< Devo dirti un'altra cosa. >> mormorò, arrossendo. 
Il cuore di lui perse qualche battito, mille pensieri iniziarono a vorticare nella sua giovane mente. Gli disse che aveva preso un diploma ed ora insegnava in una scuola elementare in un paesino vicino. Piero sospirò e, rallegratosi, la baciò ancora una volta. 
<< Quasi ogni mattina devo prendere il treno, ma ne vale la pena, davvero. >> commentò. 
<< Almeno così ti distrai un po'. >> disse Piero mentre le passava una mano tra i capelli.
<< Veramente non molto. >> sorrise, << vedo tutti quei bambini e inevitabilmente ci penso. >> 
La strinse a sé e le baciò la tempia. Il sole era solo una sfera luminosa appena visibile da dietro le nuvole grigiastre. Non avrebbe piovuto, ma soffiava un fastidioso ed umido vento di scirocco. 
<< Sarà meglio che vada giù a dare una mano, altrimenti tua madre penserà che sua nuora sia una scansafatiche. >> scherzò.
Teresa si alzò e fece per uscire, ma in quel momento entrò il padre di Piero, seguito da Giorgio Maurini.
<< Oh scusatemi, >> esclamò imbarazzato << non volevo... >> 
<< Tranquillo, non importa. >> lo rassicurò il ragazzo, << Accomodati pure. >> e gli indicò la porzione di tappeto libera accanto a lui.
<< Spero non ti stia scandalizzando! >> scherzò
<< Assolutamente, sei fin troppo gentile. >> ripose, timido. 
<< Comunque, >> sospirò Piero, tentando di distendere l'atmosfera << lei è Teresa. Teresa, lui è Maurini. >> 
<< Giorgio. >> sottolineò in maniera scherzosa. << E quindi tu sei la famosa Teresa che gli toglie il sonno, eh? >> 
La ragazza arrossì vistosamente e prese a tormentare l'orlo della gonna. 
In quel momento il padre di Piero comparve di nuovo ed annunciò che il pranzo era quasi pronto. Li aspettava una lunga tavola imbandita: il pane di Ninetta, il sugo di Rosalba, il vino del padre di Teresa, le cartellate di Immacolata. 
A capotavola, Cosimo si alzò per proporre un brindisi. Sollevò in alto il bicchiere di vetro con del vino e disse a voce alta << A Piero, Annibale e tutti noi, mille di questi giorni! >>
Fu tutto un'esplosione di allegria e si udiva solo il tintinnio provocato dallo scontro dei bicchieri. In braccio ad Immacolata, il figlio di Annibale pianse a causa di tutto quel trambusto, ma il pianto di un bimbo affamato non riuscì a rovinare quel piccolo momento di spensieratezza.

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