From the Dark-Side to the Light di 68Keira68 (/viewuser.php?uid=32217)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1_Fiamma di speranza, fiamma di rabbia ***
Capitolo 3: *** 2_La Lega Galattica della Resistenza ***
Capitolo 4: *** 3_La trappola del Sith ***
Capitolo 5: *** 4_Il nemico e l'amante ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Cari
lettori, vi rubo un minuto del vostro tempo per introdurvi la storia.
E' la prima volta che scrivo sull'universo Star Wars, adoro i film e i
suoi personaggi e non cambierei nulla del capolavoro di Lucas, questa
è una semplice alternativa scritta per gioco, un'alternativa
meno drammatica che prende le fila dalla penultima scena de "La
vendetta dei Sith". Dimenticate il IV, il V e il VI capitolo, la storia
prende piede subito dopo il III. Spero che vi piaccia e vi divertiate
nel leggerla, e magari che riesca a emozionarvi un poco, e se volete
farmi sapere il vostro parere, critiche e consigli sono più
che ben accetti :-) Questo è solo il prologo ma il primo
capitolo è già pronto per la pubblicazione che
avverrà a breve. Grazie a tutti in anticipo a tutti. Buona
lettura!
La
lettiga scivolava silenziosa in testa al corteo funebre. Gli astanti, una folla
resa muta
dall’incredulità del funesto evento a cui stavano
assistendo, guardavano con
occhi colmi di paura e commozione quella bara nera che gli passava
davanti,
capaci solo di tendere la mano e lanciare un fiore, una rosa bianca,
ultimo
omaggio a uno dei più grandi Cavalieri Jedi che il consiglio
aveva avuto
l’onore di avere.
La
morte del maestro Windu aveva scosso il nostro mondo come un violento e
inaspettato terremoto, aveva squarciato il velo della falsa sicurezza
in cui ci
eravamo adagiati e che non ci aveva permesso di vedere come il mondo
stesse
cambiando sotto i nostri occhi ciechi. Sembrava quasi un simbolo della
Repubblica che stava per morire, dell’universo come lo
avevamo conosciuto fino
ad ora.
Avevamo
sempre combattuto guerre contro nemici esterni, guerre estenuanti e
nefaste ma
che eravamo stati sicuri di vincere, forti del nostro solido stato,
delle
nostre leggi. Vinti da secoli di prosperità di una
Repubblica che sembrava
invincibile e ferrea, non eravamo stati in grado nemmeno di immaginare
che la
guerra più grande sarebbe venuta da dentro, con il
tradimento nel cuore della
Repubblica stessa. Il Senato, l’organo di governo, e
l’Ordine dei Cavalieri
Jedi, suo protettore, si era infine rivelato cedibile alla corruzione.
La
sicurezza che avevamo riposto in loro si era infranta come un vaso di
cristallo
contro il muro della realtà.
Il
Maestro Windu era morto il giorno prima mentre cercava disperatamente
di
arginare una piaga ormai troppo estesa. Aveva cercato di eliminare il
fautore
di questa guerra intestina, il burattinaio che aveva mosso i fili di
entrambi
gli schieramenti per anni senza che noi ce ne accorgessimo per
acconsentire al
suo sogno di gloria di divenire realtà, il Cancelliere
Palpatine.
Ora
il Cancelliere, rivelatosi Darth Sidius, la serpe in seno che non
avevamo
nemmeno sospettato di avere, si stava muovendo velocemente per
raccogliere gli
alleati di cui si era fornito nel corso della sua guerra silente. Si
era auto
proclamato Imperatore della Galassia e nessuno aveva avuto il potere
per
opporsi, neppure il Maestro Yoda, uscito sconfitto dallo scontro che
aveva
avuto con lui.
Mentre
guardavo quella bara scivolare via, mi sembrò che le nostre
possibilità scorressero
lontane con lei. Non riuscivo a capacitarmi di come nonostante i nostri
sforzi,
non fossimo riusciti ad impedire che la situazione precipitasse in
questo modo.
La Repubblica finita, l’Ordine Jedi distrutto,
l’universo nelle mani di un
folle.
Ma
noi siamo
ancora vivi.
Il
pensiero mi fulminò per la sua ovvia verità. Noi,
a differenza di Windu,
eravamo ancora vivi. Forse potevamo porre rimedio al disastro che
avevamo
permesso si compisse. Non sapevo se ne avremmo avuto la
possibilità ma di certo
avremmo tentato, avremmo fatto tutto ciò che era in nostro
potere per
ripristinare la libertà che ci era stata sottratta e
vendicare le perdite
subite.
Noi
siamo ancora
vivi e non ci arrenderemo.
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Capitolo 2 *** 1_Fiamma di speranza, fiamma di rabbia ***
1 fiamma di speranza fiamma di rabbia
Ecco,
come promesso, il primo capitolo! Il Prologo era introduttivo, questo
capitolo serve invece a riprendere le fila dal film e a far capire cosa
sia successo alla Galassia e ai protagonisti e come si stanno
riorganizzando. La storia entrarà più nel vivo
nei capitoli successivi ovviamente visto che siamo solo all'inizio, ma
spero che questo primo capitolo vi piaccia e come sempre i vostri
consigli e i vostri parere sono ben accetti :-) Ringrazio tutti coloro
che hanno letto il Prologo e grazie a Nox93 e La_Birba per aver
commentato, sono molto felice che il prologo vi abbia incuriosito e
spero che continuerà a farlo anche questo primo capitolo!
Buona lettura a tutti :-)
“Padmé,
dobbiamo andare”
La
voce gentile di Obi-Wan mi richiamò al presente. Lo guardai
in viso, notando
come il peso delle recenti preoccupazioni lo avesse invecchiato. Il
volto era
sempre il suo, gli occhi castani, la pelle ancora giovane, la barba
dorata che
gli copriva il mento, ma la linea dura che gli piegava le labbra
solitamente
atteggiata ad un sorriso benevolo, i lineamenti tirati e le occhiaie
date dalle
recenti fatiche, denotavano quanto fosse provato fisicamente e
mentalmente.
Mi
tese la mano per condurmi verso la navicella che attendeva il nostro
arrivo,
poco lontano da dove si era svolto il corteo. Salii la scala
d’accesso alla
piccola astronave con le pareti a specchio e mi lasciai ricadere sulla
poltroncina bianca del co-pilota.
Obi-Wan
chiuse lo sportello e inserì le coordinate della nostra
destinazione, Giano, un
piccolo pianeta della Costellazione Vegan. L’avevamo scelto
come rifugio due
giorni prima, dopo una lunga discussione. Personalmente avrei voluto
andare a
Naboo dalla mia famiglia, dove mi sarebbe stato più facile
dimenticare per
almeno un giorno l’orrore di ciò che era successo,
ma eravamo ricercati, e il
mio pianeta natale sarebbe stato il primo luogo in cui avrebbero
tentato di
trovarci. Dopo averne proposti altri, avevamo scelto un pianeta in cui
nessuno
dei due era mai stato, in modo che non ci fossero possibili
collegamenti perché
venissero dei sospetti sul nostro rifugio, ma dove Obi-Wan aveva un
amico
fidato e conduceva una vita appartata a cui potevamo chiedere asilo.
Inoltre Giano
era abbastanza sconosciuto da non destare attenzione e sufficientemente
vicino
per monitorare ciò che succedeva a Coruscant.
“Stai
bene?” mi chiese lo Jedi.
Gli
sorrisi mesta. “Non dovrei chiederlo io a te? Era un tuo caro
amico” gli feci
notare.
Obi-Wan
annuì e il suo sguardo si adombrò un poco.
“Non sono io però che ho appena fatto
la fatica di partorire due gemelli” mi ricordò.
Al
pensiero dei miei figli, la cappa buia di quella giornata si
illuminò un poco.
I miei bambini di appena tre giorni, Luke e Leila. Quella mattina li
avevo lasciati
alle cure della balia con il cuore gonfio di apprensione per andare ad
assistere al funerale. L’idea che stavo per tornare da loro
mi tranquillizzava.
“Credimi,
il parto è stata la cosa meno difficile da sopportare di
questi giorni”
mormorai.
Mi
lanciò un’occhiata scettica e seppi perfettamente
il perché. Avevo avuto delle
serie complicazioni, un’emorragia mi aveva portata quasi in
fin di vita e i
dottori avevano dichiarato che ero stata molto fortunata a
sopravvivere. Il
medico aveva detto che era stata la mia forza morale e la mia voglia di
vivere
più che le sue cure a salvarmi. Tuttavia erano altri i
pensieri che mi
offuscavano la mente. Primo tra tutti il motivo del mio parto
difficile. La
nascita dei bambini era prevista tra due settimane, il parto era stato
anticipato a causa dello stress e del rischio di soffocamento che avevo
avuto…
Come un flash mi apparve davanti il suo
viso contratto dalla rabbia e dal dolore per il tradimento mentre mi
stringeva
alla gola. Rabbrividii, scacciando via l’immagine. Un dolore
sordo mi si
propagava nel petto ogni volta che ripensavo a quel momento, ogni volta
che
rivedevo il suo volto guardarmi in
quel modo. Non riuscivo nemmeno a pronunciare il suo nome senza che mi
venisse
il desiderio di piangere.
“Hai
contattato il Maestro Yoda? Ci raggiungerà a
Giano?” domandai a Obi-Wan per
distrarmi dai miei stessi pensieri.
“Non ancora, prima
vuole assicurarsi
l’alleanza degli Wookie, ma ci raggiungerà al
più presto” mi informò.
Annuii,
riflettendo su quanto avessimo bisogno di alleati in quel momento.
Palpatine
era stato molto abile negli anni a intessersi attorno una fitta rete di
soci
fedeli. Le nostre fila invece si erano terribilmente assottigliate, ci
erano
scivolate dalle dita senza che ce ne accorgessimo.
“Jar
Jar mi ha detto prima che iniziasse la cerimonia che manderà
un rappresentante
di Naboo in giornata. Ha promesso che per qualunque cosa ci serva
possiamo
contare su Naboo.” Dissi io.
Lo
Jedi però, nonostante la notizia positiva,
sospirò frustrato. “Siamo lo stesso
in pochi, e soprattutto senza un esercito vero e proprio”.
D’istinto,
gli misi una mano sul braccio e lo strinsi, un semplice gesto per
fargli capire
che anche se eravamo in pochi, non era solo.
“Lo
so, ma è solo l’inizio. Ci dobbiamo riorganizzare
e sono certa che…”
Non
riuscii a terminare la frase perché fui interrotta dal bip
continuo del radar.
Mi avvicinai al monitor per controllare cosa avesse rintracciato il
macchinario
con un brutto presentimento. Speravo solo che non fosse…
“Diavolo!”
esclamai “è una nave di pattuglia”.
“Ci
avrà sicuramente visti, starà verificando i
nostri dati per capire se ci deve
attaccare o no” predisse nefasto Obi-Wan.
“Alzo
gli scudi?” chiesi. Sentii l’adrenalina familiare
di quando si era in pericolo
salire. La spinta che ti preparava a scattare in caso di bisogno.
“Per
ora no, sarebbe come dichiarare che ci aspettiamo un attacco e
c’è ancora una
possibilità che magari ci passi oltre senza
considerarci”.
La
speranza di Obi-Wan si rivelò presto vana. Ci
arrivò un messaggio vocale dal
comandante della pattuglia ma sia io che lo Jedi lo ignorammo. Ci
avrebbero
chiesto di dichiarare la nostra identità e di arrenderci,
poi, visto che non
avremmo accolto la richiesta, ci avrebbero attaccato. Tanto valeva
passare
direttamente all’ultima fase.
Obi-Wan
virò a destra cambiando rotta improvvisamente.
Ciò colse di sorpresa la
pattuglia che, non reagendo prontamente, lasciò il fianco
scoperto. Iniziammo ad
attaccare, ma la navicella davanti a noi non era sprovveduta. Aveva gli
scudi
alzati e ciò gli permise di non subire danni mentre
cercavano di rimettersi in
una posizione vantaggiosa. Allungai la mano per alzare gli scudi ma
colpirono
prima che ci riuscissi. Un violento scossone ci informò che
ci avevano colpiti.
Il monitor mostrò dei danni alla superficie
dell’ala destra, per fortuna non
eccessivamente gravi.
“Lancia
i missili Padmé!” mi urlò Obi-Wan,
mentre riprendeva il controllo della nave.
Inserii
velocemente i codici per il lancio. Un altro scossone, più
violento del primo,
mi fece cadere dalla sedia, allontanandomi di nuovo dal monitor. Un
altro
danno. Con una spinta mi rialzai, ignorando il dolore alla schiena per
la botta
subita. Premetti il pulsante d’avvio e il missile
partì. Un colpo solo che per
fortuna andò a segno. Vedemmo la navicella davanti a noi
saltare in aria senza
possibilità di salvarsi.
Mi
accasciai sulla poltroncina, il cuore che batteva forte per il pericolo
appena
corso.
Mi
chiesi quante volte l’avevamo scampata per un pelo e quante
ancora ci avrebbero
messo alla prova.
“Sei
tutta intera?”
Lo
Jedi aveva i lineamenti tesi ma era evidente che era meno provato di
me. Invidiai
un poco quella patina di calma che sembrava non abbandonarlo mai.
“Si”
confermai con un sospiro liberatorio. La mia povera schiena aveva
senz’altro
visto di peggio.
“Bhé,
così ci tengono allenati, sia mai che perdiamo
l’abitudine”.
Il
commento ironico, o forse il momento catartico post-adrenalina, mi fece
scappare un sorriso che contagiò anche lo Jedi, un sorriso
che nasceva a
discapito della gravità della situazione che
quell’attacco rivelava. Ma per ora
eravamo salvi.
Anche
questa
volta.
Dopo
quasi due ore di viaggio, giungemmo a Giano. Appena atterrati
nell’hangar,
corsi giù dalla navetta, impaziente di riabbracciare i miei
figli. La balia,
una donna sulla quarantina, dalle forme leggermente tondeggianti ma con
un viso
dall’espressione dolce, mi aspettava all’ingresso
del palazzo con entrambi i
bimbi in braccio.
“Bentornata
senatrice” mi accolse con un sincero calore.
“Grazie
Lavel” presi il piccolo Luke in braccio, accarezzandogli il
visino addormentato
“Sono stati bravi in mia assenza?”.
“Hanno
dormito praticamente per tutto il tempo” mi
tranquillizzò.
“Oh,
ecco le due piccole stelle”.
Obi-Wan,
lasciato indietro dalla mia fretta, ci raggiunse e prese in braccio
Leila, la
quale si svegliò strizzando gli occhietti, probabilmente
infastidita dalle voci
attorno a lei. Guardò il maestro Jedi inclinando la testa di
lato e fece un
piccolo sorriso, come se fosse felice di vederlo.
“Ciao
piccolina, ti sono mancato?”
Osservai
la tenera scena che mi si proponeva davanti e che mai avrei pensato di
vedere.
Obi-Wan Kenobi che vezzeggiava mia figlia. In quei tre giorni si era
dimostrato
una persona splendida e un amico insostituibile. Era stato lui a
portarmi via
dalla piattaforma di atterraggio dove giacevo a terra svenuta mentre
Neimodia,
il pianeta della Confederazione dei Mercanti, stava per esplodere. Mi
aveva
portata in ospedale e mi era stato vicino durante il parto, e da
lì non mi
aveva più lasciata sola. Sembrava si fosse preso
l’impegno di curare me e i
bambini e non avrei mai immaginato di vederlo così dolce nei
confronti di due neonati.
Mentre ero incinta, temevo che avrebbe disprezzato sia la gravidanza
che i
bambini sapendo chi fosse il padre. Erano nati da una relazione
proibita, una
relazione che forse era una delle cause di tutto ciò che era
successo in quei
giorni, eppure non una sola parola di rimprovero era uscita dalle
labbra dello
Jedi. Anzi, si era sempre dimostrato disponibile e comprensivo, come
avrebbe
potuto fare un fratello maggiore, e io non potevo essergliene
più grata. Da
sola non sarei mai stata capace di affrontare la nascita di quelle due
creature
e la caduta della Repubblica.
“Portali
nella mia stanza Lavel, per favore. Vi raggiungo appena
posso” promisi.
La
donna annuì facendo ondeggiare i lisci capelli ramati e
riprese in braccio
entrambi i bambini, anche se glieli lasciai a malincuore. Avrei di gran
lunga
preferito portarli in camera e stare con loro, ma avevo delle questioni
urgenti
da svolgere che non potevo ignorare. Dopotutto, lo facevo anche per
loro.
“Vuoi
andare a vedere se qualcuno ha risposto al nostro appello?”
mi chiese Obi-Wan,
intuendo le mie intenzioni.
“Si,
se hanno risposto possiamo iniziare ad aprire una comunicazione con
nuovi
alleati” dissi, dirigendomi verso la sala delle conferenze,
attrezzata per le
trasmissioni a lungo raggio.
Il
palazzo che ci ospitava era di un amico di vecchia data di Obi-Wan,
Taomar,
reso ricco da fortuiti scambi commerciali con alcuni pianeti
dell’Orlo Esterno.
Da quello che mi aveva rivelato lo stesso Taomar, lo Jedi gli aveva
salvato la
vita anni addietro quando, dirigendosi verso un pianeta con cui doveva
fare
affari per la prima volta, aveva sbagliato rotta ed era finito dentro
una scia
di asteroidi. Obi-Wan aveva recepito l’S.O.S. che la sua nave
aveva inviato e
trovandosi a poco distanza era intervenuto in suo soccorso, salvandolo.
Quando
il Maestro Jedi si era rivolto a lui per chiedergli asilo, Taomar era
stato più
che felice di poter ricambiare il favore e ci aveva messo a
disposizione la sua
casa, un palazzo di tre piani costruito sulla sommità di uno
strapiombo che
dava su un lago, distante mezzo miglio da Oriunta, la città
più vicina.
La
sala delle conferenze era una spaziosa stanza circolare al cui centro,
in mezzo
a poltrone di velluto beige, c’era l’attrezzatura
per trasmettere e ricevere
messaggi e ologrammi. Ieri, Obi-Wan ed io avevo inviato un messaggio
criptato
rivolto a tutti i pianeti della Confederazione per vedere quanti tra
gli Jedi
erano sopravvissuti e quanti tra i senatori erano rimasti fedeli alla
Repubblica con la richiesta di contattarci.
Lo
Jedi si avvicinò al bordo nero del trasmettitore, le cui
sembianze ricordavano
un grande cilindro, e accese il monitor. Sulla superficie apparvero
diverse
frequenze e nell’angolo a destra la nostra richiesta
d’aiuto trasmessa a ritmo
continuo. Una schermata a sinistra si illuminò per ultima
catturando la nostra
attenzione. Era un messaggio da Dardwin!
Lanciai
un’occhiata speranzosa a Obi-Wan, che si affrettò
ad aprire il messaggio vocale
e una voce autoritaria, maschile, si diffuse nella sala.
“Maestro
Kenobi, senatrice Amidala, abbiamo ricevuto il vostro messaggio.
Sappiate che
avete l’appoggio del pianeta Dardwin per sconfiggere il
Cancelliere. Se
possibile, vi invieremo al più presto un nostro ambasciatore
che farà da
tramite tra noi e voi per coordinarci. Siamo con voi”.
Sorrisi
rincuorata. La nostra richiesta d’aiuto aveva iniziato a dare
i suoi frutti,
era stata ascoltata. Voleva dire che i passi che stavamo muovendo erano
nella
direzione giusta, dovevamo solo portare pazienza e perseverare.
“Dardwin
è uno dei pianeti dell’Orlo Esterno della
Confederazione, giusto?” chiese
Obi-Wan.
Annuii.
“Ho conosciuto il suo rappresentante durante una riunione del
senato, Mataal,
un fervente sostenitore della Repubblica. È un uomo giusto,
possiamo fidarci.”
Assicurai.
“E
soprattutto è un buon alleato. Se non
ricordo male ha un esercito che ci farebbe
comodo” considerò l’uomo.
Dardwin
era un pianeta ricco grazie alle risorse naturali del territorio e
oltre a far
prosperare economicamente i suoi abitanti, quelle ricchezze avevano
permesso
che avesse a disposizione una difesa ben armata. Per nostra fortuna.
“Vero,
è un’alleanza preziosa. Dobbiamo mandargli le
nostre coordinate e organizzare
un incontro con il loro ambasciatore. Con lui, abbiamo già
quattro pianeti
dalla nostra parte, è un buon inizio”.
Kenobi
mi sorrise, contagiato dal mio entusiasmo. Mi accarezzò il
braccio dicendomi
che se ne sarebbe occupato lui. “Vai dai tuoi figli ora,
è giusto che tu stia
un po’ con loro” mi consigliò.
“Credo
seguirò la tua proposta. Ci vediamo a cena”
acconsentii, con il cuore un po’
più leggero di quando ero arrivata.
Ero
certa che Dardwin fosse solo il primo di una lunga lista di pianeti che
avrebbe
accolto il nostro appello. Nella mia carriera di senatrice, conoscevo
diversi
politici sinceramente attaccati agli ideali della Repubblica, non
eravamo i
soli pronti a lottare per essa. Dovevamo solo organizzarci e
coordinarci tra
noi. Una volta divenuti numerosi, saremmo stati in grado di
contrattaccare
Palpatine. L’Impero che stava nascendo avrebbe avuto vita
breve.
Salii
in ascensore e raggiunsi il terzo piano, dove si trovavano le nostre
stanze
private. Percorsi il corridoio dalle pareti bianche e azzurre
dirigendomi verso
la quarta porta a destra. Prima che l’aprissi, la voce di
Lavel che
canticchiava una filastrocca, mi raggiunse facendomi sorridere. Aprii e
trovai
la balia intenta a far divertire i piccoli accompagnando la sua voce al
mimo
delle mani, un piccolo spettacolo che Luke e Leila pareva apprezzassero
molto,
dati i loro visini rapiti mentre guardavano la donna.
Lavel
si accorse della mia presenza e mi sorrise gentile prima di
accomiatarsi
silenziosamente. Raggiunsi i piccoli sdraiati nei loro lettini posti al
centro
del grande tappeto azzurro che copriva gran parte del salottino della
camera.
Mi sedetti accanto a loro e presi un pupazzo a forma di Tee-muss, una
creatura
con le corna dal manto dorato addestrabile per essere cavalcata. Feci
camminare
il peluche davanti al faccino di Luke e poi di Leila e entrambi
allungarono le
manine per afferrarlo. Li presi entrambi in braccio e mi diressi verso
il letto
matrimoniale nella sala accanto, separata dal salottino da tre scalini
in
marmo. La camera era tutta giocata sulle sfumature del bianco e
dell’azzurro.
Le pareti erano candite, in contrasto con il tappeto e il baldacchino
del
grande letto posto al centro. I comodini ai lati del letto e
l’armadio posto
sulla sinistra erano di legno d’acero intarsiato, mentre gli
infissi della
porta-finestra che dava sul terrazzo erano di nuovo azzurri.
Mi
sdraiai sul letto mettendomi i miei figli accanto. Erano entrambi
felici che
gli dessi le mie attenzioni e non mi feci pregare per continuare a
vezzeggiarli. In quei tre giorni, i momenti migliori erano quelli che
passavo
con loro. Mentre guardavo le loro piccole labbra atteggiate ad un
sorriso
sereno, mentre accarezzavo i loro visini e prendevo le loro piccole
mani
morbide e lisce come pesche, riuscivo finalmente a trovare la pace.
Quelle due
creature riuscivano a regalarmi un angolo di paradiso
nell’inferno in cui era
precipitata la galassia.
Accarezzai
la testolina di Leila che era già ricoperta da un leggero
strato di peluria
castano scuro, a differenza del fratello i cui pochi ciuffi rivelavano
che
sarebbe diventato biondo cenere. Come il padre.
Al
suo pensiero, la morsa al petto
divenuta ormai familiare mi prese.
Il
loro padre. Mio marito. La causa della distruzione della Repubblica.
Anakin.
Sdraiandomi
su un fianco, allungai un braccio per stringere con delicatezza
entrambi i
bambini a me, quasi fossero un talismano contro i brutti ricordi.
Anakin.
Il mio Anakin.
Rivissi
con la mente gli avvenimenti degli ultimi giorni. Ricordai il suo volto
preoccupato, la confusione che più di una volta gli avevo
letto nello sguardo.
I discorsi che mi aveva fatto, su come la sua fiducia
nell’Ordine degli Jedi
fosse stata scossa, su come si sentiva frustrato, indeciso sulle
decisioni da
prendere.
Mi
sentivo terribilmente stupida e in colpa. I segni che era in pericolo,
che
stava per cadere su una via deviata c’erano stati tutti, ma
non ero riuscita a
vederli. Lo avevo ascoltato, ma non ero riuscita a comprendere quali
sentimenti
gli agitassero il cuore, quali preoccupazioni gli affollavano la mente
al punto
da offuscarne completamente il giudizio. Avrei dovuto essere in grado
di
consigliarlo, di tranquillizzarlo. Avrei dovuto farlo riflettere con
calma sul da
farsi. Invece ero stata cieca, lo avevo lasciato da solo a prendere
decisioni
in un momento di grande agitazione, non c’ero stata quando
aveva avuto più
bisogno di me e lui era caduto. Non avevo capito in che grande momento
di
debolezza di trovasse e lo avevo lasciato alla mercé della
presenza
insinuatrice di Palpatine. Il Cancelliere aveva invece intuito alla
perfezione
quali sentimenti si scontrassero in Anakin ed era stato incredibilmente
abile a
sfruttarli.
Ed
ora Anakin era diventato un Sith. Darth Vader, un nome che mi metteva i
brividi
solo a pensarlo. Un nome che purtroppo ben si associava al volto
trasfigurato
dalla rabbia e dall’odio che gli avevo visto
l’ultima volta che ci eravamo
incontrati su Neimodia. Quel viso dai lineamenti contratti, quella
asprezza
nella voce, quegli occhi di brace… non appartenevano
all’uomo dolce e altruista
che avevo sposato. Era del Sith che era divenuto il braccio armato del
Cancelliere, o meglio dell’Imperatore.
Ma
come aveva potuto Anakin diventare un Sith? Come aveva potuto credergli
e
cedere al Lato Oscuro? Per quanto fosse debole in quel momento, come
aveva
potuto decidere di affidarsi a lui, a un Signore dei Sith, il simbolo
di tutto
quello che aveva giurato di distruggere, anziché cercare
aiuto da me o Obi-Wan?
Ricordai
l’ultimo discorso che mi aveva fatto. Lo avevo a stento
riconosciuto. Aveva
parlato di conquistare l’universo insieme, si era vantato di
essere divenuto
tanto potente da non doversi più nascondere. Quando era
diventato tanto
ambizioso? Possibile che il Lato Oscuro si fosse impadronito della sua
mente da
deviarla a tal punto?
Della
sua mente
forse, ma non del suo cuore.
Mi
aggrappai a quel pensiero, la convinzione che mi faceva andare avanti.
Forse il
Cancelliere era stato tanto bravo da manovrare la percezione della
realtà di
Anakin al punto da fargli credere di essere dalla parte del giusto, ma
sapevo
che il Lato Oscuro non avevo ancora preso il suo cuore. Anakin era
buono, non
aveva un’indole malvagia, sapevo quanto si prodigava per gli
altri, come
cercasse sempre di fare la cosa più giusta. Se Palpatine era
riuscito a
portarlo dalla sua parte doveva essere perché lo aveva
davvero convinto di
agire per il bene. Non c’erano altre spiegazioni.
Strinsi
più forte i bambini, tranquillizzata dalla loro presenza
silenziosa.
Chiusi
gli occhi e rievocai un’immagine di Anakin che ora mi
sembrava lontana anni
luce. Era un’immagine di noi due a Naboo, quando ci eravamo
rifugiati per
sfuggire agli assassini che attentavano alla mia vita. Rividi il suo
sorriso,
l’eco della sua risata spensierata, e giurai che avrei fatto
tutto ciò che era
in mio potere per riavere indietro il mio Anakin.
Se
stavo facendo tutto quello, se avevo messo in piedi quel primo gruppo
di
Ribelli con Obi-Wan, non era solo per far tornare la Repubblica. Era
per far
tornare Anakin da me. Non sapevo ancora come, ma lo avrei salvato da se
stesso,
lo avrei salvato dal suo errore riportandolo sulla giusta via, accanto
a me e
ai bambini.
Avremmo
dovuto sconfiggere l’Imperatore e smascherare le sue
menzogne, ma ce l’avremmo
fatta. Non sapevo quanto tempo ci sarebbe voluto, ma ero sicura del
risultato.
La parte buona di Anakin era lì, andava solo riportata alla
luce oltre le
falsità e le melliflue parole di Palpatine.
۩
“Una
navicella di pattuglia è stata attaccata mentre era in
servizio, mio signore.”
Lo
sguardo di Lord Sidius si fece pensieroso mente rifletteva
sull’informazione
dell’ufficiale Kanvis, il giovane trentenne che dritto in un
uniforme blu
aspettava paziente e intensione il permesso di andarsene.
Sogghignò un poco
notando quanto stare alla sua presenza mettesse quel
pover’uomo in agitazione.
Poteva sentire la tensione che irradiava da ogni singolo poro anche a
quella
distanza, per non parlare della postura eccessivamente rigida e dal
modo
nervoso in cui i suoi occhi saettavano nella stanza, incapaci di
sostenere e
ricambiare il suo sguardo. Già quando era Cancelliere la sua
posizione gli
permetteva di porre in una certa soggezione dovuta al rispetto i suoi
sottoposti, ma da quando aveva vinto quella guerra che portava
silenziosamente
avanti da anni e aveva potuto rivelare la sua vera identità,
quella soggezione
si era tramutata in un vero e proprio terrore. E il fatto non poteva
che
essergli più gradito. Si crogiolava nella paura che scorgeva
negli sguardi dei
soldati semplici o dei rappresentanti degli altri pianeti ogni volta
che gli
erano davanti. Sentiva un leggero balbettio traditore nella loro voce,
vedeva
il tremito delle loro mani che cercavano di nascondere. Era fantastico.
Il terrore
che incuteva agli altri era il giusto riconoscimento per il potere che
aveva
acquisito.
Soltanto
una persona riusciva a sostenere senza minima difficoltà il
suo sguardo con
occhi fermi. Solo in lui non scorgeva la minima traccia di paura. Ma
dopotutto
era anche l’unico nell’intera galassia ad avere lui
stesso un potere
altrettanto grande da non tremare dinanzi a quello di Lord Sidius. Il
suo nuovo
apprendista, il Sith creato dalle ceneri di quello che avrebbe potuto
essere un
grande Jedi, Darth Vader.
Fu
lui, in piedi alla sua destra, con le braccia conserte e la schiena
dritta,
presenza silenziosa ma possente, a interrogare l’ufficiale.
“Dove
è avvenuto?” chiese, una domanda semplice ma con
il tono imperioso di un
ordine.
Kanvis
sobbalzò impercettibilmente sentendosi interrogare da colui
che era stato
soprannominato il “braccio armato” del Lord.
Azzardò un’occhiata. Era la prima
volta che lo vedeva dal vivo e nonostante la paura, nutriva una certa
curiosità
per la persona il cui nome era sulla bocca dell’intero
universo. Tutti sapevano
chi fosse e soprattutto chi era stato, il potente Jedi Anakin Skywalker
che per
anni si era battuto per la Repubblica e che improvvisamente aveva
cambiato
parte, diventando una figura sinistra attorno al quale aleggiavano
mistero e terrore.
Aveva una veste interamente nera, l’unico tocco di colore era
l’argento del
manico della spada laser che teneva legata alla cintura.
Incrociò
accidentalmente il suo sguardo, truce e penetrante. Sentii un brivido
percorrergli la spina dorsale e si affrettò a rispondere,
colto dall’improvviso
desiderio di allontanarsi.
“Vicino
alla costellazione Knish” balbettò.
“Quando
è successo?”
“Due…due
ore fa, signore”.
Darth
Vader annuì e si rivolse al suo maestro.
“Suggerisco di mandare delle navicelle
a controllare i pianeti nei dintorni ma chiunque fosse dubito che sia
ancora
nei paraggi. A quest’ora potrebbe essere ben oltre
l’Orlo Esterno”.
Lord
Sidius concordò con il giovane Sith e congedò
Kanvis, dandogli l’ordine di
perlustrare la zona, poi mise le mani sotto il mento, sospirando.
“Possibile
che ci sia ancora qualcuno capace di ribellarsi? Che non abbia ancora
capito
che ormai la guerra è finita?” si
lamentò, non comprendendo come qualcuno
potesse ancora avere la sfrontatezza di mettere in dubbio la sua
posizione.
Anakin
avanzò di un passo. “Con tutto il rispetto,
signore, finché il Maestro Yoda e
il Maestro Kenobi non saranno trovati, questi focolai di ribellione non
si
estingueranno” osservò, duro.
“Conoscendoli, staranno raggruppando tutti i Jedi
sopravvissuti”.
L’Imperatore
annuì e si appoggiò all’alto schienale
bianco, quasi fosse stanco per il peso
di quella seccatura.
“Allora
sarà meglio porre la loro cattura tra le priorità
assolute. Affido a te
l’incarico di trovare loro e i loro alleati. Ogni Jedi
rimasto è un nemico,
ricordalo Darth Vader.”
Skywalker
raccolse l’ordine e si inchinò con una mano sul
petto per congedarsi.
Si
diresse a passo veloce verso la sala degli ufficiali, posta poco
distante dalla
sala di controllo dove si trovava poco prima. Appena entrò
nell’ala adibita
agli ufficiali in comando, lo sguardo di tutti i presenti si
puntò su di lui.
Percepì con chiarezza la tensione che si propagò
rapida per la stanza, come se
l’aria stessa sfrigolasse. Gli ufficiali si alzarono
immediatamente in piedi e
accennarono a un inchino.
“Cordét”
chiamò. Nonostante la voce bassa, l’ordine fu
udito benissimo dal quarantenne
che si affrettò ad avvicinarsi a Lord Vader.
“Si,
mio signore”.
Anakin
percepì l’ansia dell’uomo e
l’evidente atto di coraggio che gli costava
rivolgersi a lui senza tremare, ma ciò lo lasciò
indifferente. Era abituato
agli sguardi di ammirazione o soddisfazione di senatori e politici
quando in
passato tornava dalle missioni per il Consiglio degli Jedi, sguardi che
ripagavano
la sua vanità dalle fatiche fatte, ma il terrore che
scorgeva ora negli occhi
di chi lo guardava gli era nuovo. Ma sapeva di esserselo meritato. Era
uno
sguardo che giudicava le ultime azioni che aveva compiuto,
però la cosa lo
lasciava indifferente. Non spettava certo a loro giudicarlo.
Semmai,
spettava
a un altro paio di dolci occhi castani…
Scacciò
via quel pensiero prima di completarlo. Non era luogo per lasciarsi
andare a
certe considerazioni.
“Voglio
una squadra di cloni pronta a partire all’hangar due tra
un’ora. Preparate le
provviste, ci aspetta una missione di ricerca”
ordinò secco.
Cordét
scattò sull’attenti, la mascella quadrata
visibilmente tirata.
“Sarà
fatto, mio signore”.
Skywalker
annuì e senza aggiungere altro si allontanò dalla
sala, portandosi dietro il
freddo che la sua presenza innestava. Si diresse nelle sue stanze,
collocate
all’ultimo piano del palazzo sede del Consiglio
dell’Impero Galattico. Ogni
volta che attraversava i corridoi di quel palazzo non poteva fare a
meno di pensare
che c’era decisamente troppo bianco. Era tutto interamente
bianco, non una
rifinitura, non uno stipite, non un singolo mobile era di colore
diverso, un
bianco accecante che quasi stordiva e rendeva tutto uguale, monocorde.
Fortunatamente, presto lasciò il corridoio e si
rifugiò nelle sue stanze. La
tappezzeria rossa e nera dell’interno e la penombra eterna in
cui lasciava la
stanza erano una piacevole alternativa al bianco totalizzante che
regnava là
fuori. Chissà poi perché era stato scelto quel
colore. Il Sith non poteva fare
a meno di pensare che era la tonalità che meno poteva
rispecchiare chi vi
abitava. Al momento, se si guardava allo specchio, l’unico
colore che poteva
vedersi addosso era il nero. Nero, come il Lato Oscuro da cui
attingevano il
loro potere. Nero, come il colore con cui aveva deciso di tingere la
sua anima
il giorno in cui aveva ucciso il Maestro Windu e si era votato ai Sith.
Nero,
come il velo che sembrava aver ricoperto tutto il suo
mondo…da quando lei se ne
era andata.
Attraversò
l’anticamera per raggiungere il letto. Si accasciò
sul bordo del materasso e
stiracchiò la gamba sinistra. Il movimento gli
procurò una smorfia. Si
massaggiò il punto di congiunzione tra la sua gamba e
l’innesto artificiale, di
poco sopra il ginocchio. La perdita della gamba sinistra era il ricordo
perenne
che Obi-Wan gli aveva lasciato della sua ingloriosa sconfitta. Il
pensiero
della sua disfatta era un tasto dolente. Era stato talmente sicuro di
vincere
che ancora non si capacitava di come potesse aver perso e averci
rimesso
addirittura un arto. Ricordava gli occhi di rimprovero e rimorso del
Maestro
Jedi che lo guardava dall’alto, la sua boria quando aveva
deciso di fare quel
salto per mettersi in una posizione vantaggiosa che gli avrebbe
assicurato la
vittoria… e il male che aveva provato quando la spada laser
dello Jedi gli
aveva tranciato via di netto la gamba sinistra. Il dolore era stato
immenso,
tanto da farlo precipitare a terra stordito e incapace di reagire, ma
ancora
più grande era stato il senso di umiliazione per la
sconfitta subita. Come gli
aveva detto Dooku una volta, “a doppia superbia, doppia
caduta”, e lui era
precipitato dall’alto di un grattacielo. Se si era salvato
era solo perché il
tempestivo arrivo di Lord Sidius aveva indotto Obi-Wan alla fuga,
impedendogli
di ucciderlo.
La
aggiungerò
all’elenco di cose di cui devo vendicarmi.
Era
un elenco che si allungava ogni giorno di più. Sapeva che
non poteva attribuire
tutte le cause della sua motivata rabbia al suo vecchio maestro,
però nella sua
mente era ormai il simbolo delle bugie che gli Jedi gli avevano
intessuto
attorno per anni e delle ingiustizie subite. Inoltre poteva giustamente
accusarlo di averlo tenuto con il guinzaglio stretto per anni,
probabilmente
invidioso e timoroso del potere che scorgeva in lui. Ma
l’accusa più grande che
gli rivolgeva era un’altra. Gli aveva portato via
Padmé.
Al
solo pensiero, sentiva la rabbia pervadergli il petto, una fiammata che
lo
incendiava da dentro distruggendo ogni altro pensiero, ogni freno. La
lampada
sul comò accanto al letto iniziò a tremare e
Anakin dovette fare una grande
sforzo di volontà per calmarsi. Sentiva il potere della
Forza scorrergli nelle
vene, pompato proprio da quell’ira che gli ruggiva nel cuore.
Era come se fosse
pronto a esplodere e quei pensieri accendevano la miccia che
già normalmente
faticava a tenere spenta.
Padmé,
la sua bellissima moglie. La moglie che lo
aveva guardato negli occhi allontanandosi da lui, dicendogli che non
poteva più
seguirlo a causa delle sue scelte, che non lo riconosceva
più. La moglie che
aveva condotto Obi-Wan da lui e poi era stata capace di accusarlo di
avergli
spezzato il cuore!
Come
poteva aver osato dirgli una cosa del genere, quando era stata lei a
fare a
pezzi il suo? Tutto quello che aveva fatto da che la conosceva era
stato
proteggerla e amarla, era per lei che aveva intrapreso quella strada,
che era
andato contro gli Jedi! E mentre lui aveva messo in gioco la sua vita e
tutto ciò
in cui aveva creduto, Padmé lo aveva tradito e si era
allontanata da lui.
Era
un dolore insopportabile, alienante. Si rendeva conto che non riusciva
a pensare
ad altro che alla sua mancanza notte e giorno. Si, perché
nonostante il
tradimento, nonostante ciò che gli aveva detto, lui
l’amava ancora. L’aveva
sempre amata, da quando era apparsa simile ad un angelo nella sua
piccola casa
a Tatooine, e l’avrebbe amata per sempre, incurante di
qualsiasi cosa lei
potesse fare.
Ecco
perché la sua priorità assoluta, nonostante
ciò che aveva ordinato
l’Imperatore, era di ritrovarla. Era certo che Obi-Wan la
tenesse nascosta da
qualche parte, ma lui l’avrebbe trovata anche nei confini
più remoti della
Galassia, avesse dovuto setacciare i pianeti uno ad uno! Sperava solo
che lo
Jedi non le riempisse la testa di false insinuazioni su di lui nel
frattempo.
Una volta ritrovata, le avrebbe spiegato con calma i motivi che
c’erano dietro
le sue scelte ed era certo che lei lo avrebbe capito e lo avrebbe
appoggiato.
Avrebbe compreso che tutto ciò che aveva fatto era stato per
assicurarsi la sua
salvezza e per vivere finalmente alla luce del sole, senza
più il timore di
essere scoperti; che era più che giusto che lui, dopo tutti
quegli anni passati
nell’ombra degli altri, ottenesse le giuste ricompense per la
sua bravura e che
vedesse realizzate le sue ambizioni.
Dopotutto,
avevano superato ogni sfida che il destino gli aveva posto davanti fino
ad ora,
avrebbero superato anche questa.
Prese
un profondo respiro e si avvicinò all’armadio
incassato dentro il muro. Aperta
la porta metallica, prese un borsone dal fondo dell’armadio e
iniziò a mettere
dentro l’essenziale per la missione che lo attendeva.
Puntando la
concentrazione su ciò che stava facendo, cercò di
alienarsi dai suoi stessi
pensieri, dalle sue emozioni. Gli era quasi impossibile, ma era
l’unico modo
per mantenere la compostezza e la fermezza di cui aveva bisogno ora.
L’unico modo
per tenere a bada quella rabbia che esigeva di essere sfogata. Non era
ancora il
momento. Quando avrebbe trovato Obi-Wan, avrebbe finalmente avuto la
vendetta che
agognava. E trovato lui, era certo che avrebbe trovato anche la sua
Padmé.
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Capitolo 3 *** 2_La Lega Galattica della Resistenza ***
Ciao
a tutti! Inanzitutto mi scuso profondamente per i tempi biblici di
questo aggiornamento! Alcuni problemi personali uniti all'effettiva
mancanza di tempo avevano causato un brusco calo di ispirazione, ma
fortunatamente è tornata! Quindi anche se non
sarò comunque una scheggia nell'aggiornare, non passeranno
più i mesi come questa volta! Dato che vi ho già
fatto aspettare abbastanza, vi lascio subito al capitolo, sperando che
la vostra attesa venga ripagata e che vi piaccia! Ringrazio di cuore
La_Birba e the best per aver commentato e per i vostri complimenti,
spero di sapere presto le vostre opinioni anche su questo secondo
capitolo e che non vi deluda!! Colgo solo l'occasione per rispondere
alla domanda che mi ha fatto La_Birba e che magari si è
posto anche qualcun altro, Anakin dallo scontro con Obi-Wan
è uscito senza rimanerne sfigurato, ha perso solo la gamba
sinistra ma per il resto è tutto a posto! Lo so che
è una grande deviazione dalla storia principale, ma anche il
fatto che Padmé sia viva lo è, ed essendo questo
un finale alternativo mi sono azzardata a fare questo cambiamento,
spero che piaccia come proseguirà! Buona lettura a
tutti!
Un
fastidioso mormorio regnava nella sala circolare da quasi
un’ora senza sosta.
Mi appoggiai sul sedile, portandomi una mano alla tempia. Se
quell’insulso
brusio non fosse finito presto, ero certa che avrei concluso la
giornata con un
colossale mal di testa. Una mano gentile mi si posò sul
braccio, attirando la
mia attenzione.
“Tutto
bene?” mi chiese Obi-Wan, inclinandosi dal suo seggio verso
di me.
Sorrisi
per tranquillizzarlo. “Si, solo che dubito che questo
porterà a qualcosa” commentai
indicando con un’occhiata la confusione che regnava attorno a
noi.
Ci
trovavamo nella sala circolare delle conferenze di Giano, ormai
diventata base
non ufficiale delle riunioni per la Lega Galattica della Resistenza, il
gruppo
di reduci, ancora fedelmente attaccati alla Repubblica, che si stava
creando
per contrastare il neonato Impero Galattico di Palpatine.
Da
quando Obi-Wan ed io ci eravamo rifugiati su Giano e avevamo iniziato a
inviare
dei messaggi di aiuto ai pianeti della Confederazione e non, era
passato quasi
un mese. Il primo a rispondere era stato Dardwin, il cui rappresentante
sotto forma
di ologramma, Maatal, sedeva poche sedie lontano dalla mia. Quella
stanza
circolare era cento volte più piccola di quella che aveva
ospitato il Senato
originale della Repubblica a Coruscant, eppure i nostri alleati erano
talmente
pochi che molte delle sedie restavano desolatamente vuote a ricordarci
quanto
lavoro avessimo ancora da fare. Tuttavia, rispetto ad un mese prima
dove gli
unici seggi occupati erano il mio, quello dei due maestri Jedi Obi-Wan
Kenobi e
Yoda e quello di Jar Jar, figuravano diverse presenza in più
che davano
speranza.
Oltre
a Dardwin, al nostro appello avevano risposto Phemis, Khmor, Govia,
Keral e altri
25 pianeti, ed ora gli ologrammi dei loro ambasciatori figuravano sui
seggi
della sala, a dimostrazione del fatto che il momento
dell’azione era vicino.
Sospirai
a quel confortante pensiero. Anche se il lavoro di ambasciatrice e
coordinatrice di tutte quelle forze che stavano convergendo assorbiva
buona
parte della giornata, stare confinata nel palazzo di Giano era una
tortura.
Avevo le mani che fremevano per il desiderio di uscire e fare
attivamente
qualcosa anziché continuare ad analizzare carte su carte,
studiare rapporti e
mettere a punto idee che forse non avrebbero mai visto una vera
realizzazione.
Avevo bisogno di azione. Avevo bisogno di avvicinarmi fisicamente al
mio
obiettivo anziché limitarmi a pensarlo. Ma sapevo che
muoversi senza una ferrea
preparazione sarebbe stato un suicidio. Comunque sia, quel giorno
avevamo
ricevuto una notizia che forse avrebbe aperto un piccolo spiraglio per
permettere un’azione reale. L’informazione aveva
suscitato tanto clamore da
essere la causa di quella discussione che andava avanti da
un’ora. Una delle
nostre spie, ci aveva informato che esisteva una copia della
progettazione
della Morte Nera, la fortezza grande quanto un piccolo pianeta che
orbitava
attorno a Coruscant e che era stata appena ultimata. A quanto sembrava,
qualche
anno addietro, quando il Conte Dooku si era rifugiato presso Geonosis
assieme ad
un gruppo di Separatisti, avevano lasciato una copia del progetto della
nuova
arma dei Sith in caso il Conte non fosse riuscito a scappare per
consegnarlo a
Palpatine. Il server in cui era custodito era criptato e ben protetto,
ma non
inespugnabile quanto la Morte Nera, una roccaforte galleggiante, armata
come la
migliore delle navi da guerra e ospitante un intero esercito
nonché
l’ex-Cancelliere e…Anakin.
Bastò
il suo pensiero a darmi la forza giusta per prendere la parola in quel
guazzabuglio di piani avventanti che si accavallavano da
un’ora.
“Signori,
non possiamo permetterci di perdere tempo riflettendo se usufruire di
questa
informazione sia saggio o meno.” Li interruppi con vigore. I
visi di tutti si
appuntarono su di me, quasi sorpresi di sentire la mia voce dopo che mi
ero
ritirata in un silenzio meditativo. Con un sospiro mentale, scacciai
Padmé e
tirai fuori la senatrice Amidala, pragmatica e sicura, difficile da
intimidire
in una discussione. La senatrice che aveva un’assoluta
necessità di convincerli
a battere il ferro finché caldo e buttarsi finalmente
nell’azione vera anziché
ritirarsi dietro infinita demagogia. “Abbiamo finalmente uno
spiraglio nella
corazza del nemico su cui colpire. Sappiamo tutti che la Morte Nera
è un’arma
micidiale, se non riusciremo a trovare un suo punto debole per
distruggerla, la
nostra rivoluzione è finita ancor prima di iniziare. Per
quanti pianeti
possiamo convertire alla nostra causa, nessun esercito sarà
mai abbastanza
grande per poterla sconfiggere. Quindi entrare in possesso dei piani di
progettazione di quella fortezza orbitante è la nostra
priorità numero uno ed è
mia opinione che sia saggio recuperarli il più presto
possibile. La Morte Nera
è stata ultimata da poco, se davvero ha un difetto ed
è nascosto in quei piani,
probabilmente penseranno quanto prima a distruggerli per evitare che
cadano
nelle mani sbagliate, ovvero nelle nostre” affermai, sicura
di quello che
dicevo.
“Saggio
quello che dite è, senatrice Amidala” intervenne
il maestro Yoda, seduto alla
sinistra di Obi-Wan. “Ma chi tra noi mandare per questa
spedizione?”
Seguì
un minuto di silenzio, in cui tutti riflettemmo sul problema. Non
sarebbe
bastata una semplice spia di ricognizione, ci voleva qualcuno
abbastanza abile
da infiltrarsi nelle linee nemiche senza essere visto e capace di
combattere se
il caso lo avesse richiesto. Qualcuno con sangue freddo e
l’abilità di
risolvere ogni problema gli si fosse posto davanti. Inoltre doveva
essere
qualcuno di cui potevamo fidarci ciecamente.
“Andrò
io”
La
proposta di Obi-Wan mi giunse come una doccia gelata.
“No”
dissi distinto, ma la mia opposizione si perse nei mormorii di assenso
che
provenivano dagli astanti.
“Sicuro
della tua candidatura tu sei, maestro Obi-Wan?”
l’unico a mettere almeno in
dubbio l’autonomina dello Jedi fu Yoda.
“è
un compito da Jedi, e dato che siamo rimasti in due non vedo molte
altre
alternative. Inoltre, sono già stato a Geonosis e se quei
piani sono là, ho
un’idea di dove iniziare a cercarli” rispose
pragmatico l’uomo.
Mi
morsi il labbro per non ribattere. Purtroppo per me sapevo che Obi-Wan
aveva
completamente ragione. La missione era delicata ed era vitale che fosse
portata
a compimento. Lui probabilmente era la nostra assicurazione migliore
per
entrare in possesso di quei progetti. Però non potevo in
cuor mio non essere
contraria all’idea di esporlo deliberatamente al pericolo da
solo. In quelle
ultime settimane passate a organizzare il primo embrione della
resistenza, la
solidarietà che si era sviluppata tra noi, la sua solida e
rassicurante
presenza erano state la colonna che mi sosteneva per non crollare.
Tuttavia
Obi-Wan era uno Jedi, sapeva certamente badare a se stesso, e poi il
successo
della missione aveva la priorità su qualsiasi cosa potessi
provare.
“Bene,
se non ci sono obiezioni, partirei oggi pomeriggio stesso. Se il tempo
è un
fattore vitale, non voglio sprecare nemmeno
un’ora”. Decretò lo Jedi.
L’approvazione
fu data all’unanimità e la seduta, con mio
sollievo, fu finalmente sciolta. Gli
ologrammi si spensero ad uno ad uno finché nella stanza non
rimanemmo solo
Obi-Wan, Yoda ed io.
“Pericolosa
la missione che stai per affrontare è, un brutto
presentimento a riguardo io ho.
Scaltro dovrai essere, usa la Forza per avvertire i pericoli e
raggiungere la
tua meta.” il vecchio maestro aveva una ruga di
preoccupazione sulla fronte
mentre ammoniva Obi-Wan, il che mi diede la misura di quanto la
missione fosse
rischiosa.
“Faccio
preparare la nostra nave più piccola e più veloce
e ti farò avere un sopraluogo
del pianeta da studiare durante il viaggio” proposi, mentre
ci avviavamo verso
l’uscita della sala.
“Grazie
Padmé”
Il
maestro Yoda lievitò fuori dalla stanza su un sedile di
metallo, lasciandoci
soli.
Obi-Wan
mi mise una mano sulla spalla e strinse la presa leggermente.
“Non preoccuparti
per me, sono uscito da situazioni peggiori di questa,
credimi” tentò di
scherzare.
Gli
sorrisi, apprezzando il suo sforzo di alleggerire la tensione.
“Lo so, cerca
solo di tornare tutto intero”.
“Intero
e con i piani in mano. Quando tornerò, ci saremo avvicinati
di un passo in più
alla sconfitta dell’Imperatore” predisse sicuro.
“Intanto tu continua a
svolgere il lavoro di coordinatrice qui, sei il punto fermo della
rivolta, lo
sai, grazie ai tuoi sforzi e al tuo nome altri pianeti si stanno
già mettendo
in contatto con noi”.
Lo
ringraziai per la fiducia, incapace di mettere a tacere una punta di
orgoglio
per quelle parole. L’essere stata una senatrice aveva
indubbiamente dei
discreti vantaggi a livello di conoscenze e alleanze. Tuttavia avrei
fatto ben
poca strada senza la forza e la sicurezza di due maestri Jedi accanto.
La gente
li vedeva ancora come i difensori della giustizia, dei protettori a cui
affidarsi. La menzogna che Palpatine aveva diffuso sulla loro presunta
cospirazione
contro la Repubblica per infangarli, se aveva avuto riscontro tra le
alte sfere
del Senato, attecchiva poco tra la gente comune che ben ricordava
quante volte
gli Jedi fossero intervenuti in soccorso della Galassia.
Cercando
di essere il più fiduciosa possibile, salutai Obi-Wan
augurandogli di tornare
il prima possibile.
Speriamo
in
bene.
“Avete
fatto trapelare la falsa notizia?”
“Si,
mio signore. La vostra intuizione su Diegoro era corretta. Appena
sentito di
Geonosis ha cercato di mettersi in contatto con i Ribelli”.
Darth
Vader annuì compiaciuto di sapere che il suo piano stava
procedendo
correttamente. Congedò Cordet con un cenno e si accinse ad
andare a riferire
gli sviluppi del suo piano al suo maestro. Le guardie
all’ingresso scattarono
sull’attenti appena lo videro avvicinarsi ma lui non le
degnò di un’occhiata.
Si introdusse a passo sicuro nella sala delle trasmissioni le cui
uniche fonti
di luce erano i monitor dei computer che riempivano il perimetro. Si
avvicinò
ad uno di questi e digitò sulla tastiera la frequenza per
entrare in contatto con
la Morte Nera, dove si trovava l’Imperatore. Poco dopo,
l’ologramma
dell’Imperatore riempì la piattaforma ovale posta
al centro della stanza.
“Quali
notizie, mio giovane apprendista?” senza molti preamboli,
l’oscura figura
incappucciata si rivolse ad Anakin riempiendo la stanza del suono roco
della sua
voce.
“Maestro,
le mie intuizioni erano giuste. Diegoro era una spia dei Ribelli, gli
abbiamo
fatto sentire una falsa informazione secondo cui una copia dei progetti
della
Morte Nera sono ancora custoditi a Geonosis. La spia ha già
passato la voce ai
suoi alleati” lo informò con efficienza.
Sul
volto deformato di Palpatine si disegnò una linea simile ad
un ghigno.
“Molto
bene, Lord Vader, molto bene. Come sempre le tue percezioni sono
corrette”.
Nonostante il complimento, il volto del giovane rimase impassibile.
“Siete riusciti
a rintracciare dove era indirizzato il messaggio?”
“Si,
mio signore, ma non ci ha portati al loro rifugio. Il segnale
è stato inviato
verso un pianeta deserto, probabilmente per depistarci. Da
lì sarà stato
reindirizzato verso il loro nascondiglio.” Spiegò.
Palpatine
incrociò al petto le braccia, nascoste sotto il lungo
mantello nero, mentre
rifletteva.
“Quindi
anche se abbiamo scoperto la spia tra noi, non siamo più
vicini di prima a
scoprire dove si nascondono. Cosa intendi fare ora, Lord
Vader?”
Anakin
sostenne lo sguardo indagatore del Sith senza sbattere ciglio. Sembrava
che
nulla potesse scalfire l’impassibile determinazione del suo
viso, come la
fermezza di ferro nella sua voce.
“La
finta informazione che ho lasciato trapelare non era solo per cercare
di
intercettare le loro conversazioni, era una trappola. Se il messaggio
dell’informatore è già stato ricevuto,
sono certo che invieranno qualcuno di
fidato a recuperare quei progetti.” Illustrò
conciso. “Io credo che quel
qualcuno sarà il maestro Obi-Wan Kenobi , non hanno a
disposizione altre
persone per l’incarico”.
Palpatine
scoppiò a ridere, una risata rauca che si
riverberò nella stanza.
“E
scommetto che tu sarai lì ad attendere il suo arrivo.
È un ottimo piano, mio
apprendista, hai la mia approvazione per portarlo a termine. Cattura lo
Jedi,
senza di lui gli altri cadranno poco dopo” e con queste
parole chiuse la
conversazione.
Anakin
rimase qualche minuto nella stanza. Fisicamente era immobile, ma la sua
mente
si muoveva a ritmo febbrile.
Era
stato un mese lungo quanto un’Era. Aveva rincorso ogni
possibile traccia, ogni
pista che gli si era presentata saltando da pianeta a pianeta senza
sosta, come
un leone affamato completamente assorto nella sua caccia. Ma dopo
settimane che
viaggiava da un lato all’altro della Galassia senza compiere
un minimo passo
avanti nelle ricerche per trovare il gruppo di Ribelli che li stava
sfidando,
aveva capito che la strategia che aveva assunto era inutile.
Così, smettendo di
rincorrerli, aveva architettato un piano per indurli a uscire allo
scoperto.
Aveva posto loro dinanzi una preda troppo ghiotta perché non
uscissero dalla
loro tana per tentare di prenderla. L’attesa finalmente lo
aveva ripagato. Era certo
che Obi-Wan avesse abboccato e con lui avrebbe poi preso la Lega in cui
i
Ribelli si erano organizzati.
La
Lega Galattica della Resistenza, così si faceva chiamare
l’unione di pianeti
che speravano di opporsi al potere dell’Impero. Un gruppo di
folli utopisti che
ancora credevano fosse possibile imporre la pace con la finta promessa
di
libertà che dava il nome Repubblica. Poteva facilmente
capire come gli Jedi si
fossero opposti così strenuamente all’Impero, dopo
secoli che detenevano il
potere a fianco del Senato repubblicano. Perdere
l’autorità di cui si erano
appropriati e che credevano un loro imprescindibile diritto era per
loro
insopportabile. Ma che i sovrani e i ministri degli altri pianeti non
comprendessero come Palpatine avesse portato la pace nella Galassia
distrutta
dai conflitti creati proprio dai diverbi della Repubblica a cui
tenevano tanto,
gli era incomprensibile. Sapeva bene che l’ex-Cancelliere
aveva dovuto imporre
quella pace al prezzo di milioni di vittime, ma era stato
l’unico modo per
risolvere una lacerazione che andava espandendosi sempre
più. Era stato un atto
di forza, e come tale era stato certamente difficile da digerire, ma il
risultato era ben visibile agli occhi di tutti. I pianeti erano in
pace,
riuniti in un unico impero, sotto la guida di un unico capo abbastanza
forte da
mantenere l’equilibrio che aveva creato. Se c’erano
ancora delle guerre in seno
all’Impero, la causa era da attribuirsi proprio a quel
piccolo gruppo di
Ribelli che, ceco davanti alla realtà, continuava a
professare i valori di una
Repubblica che forse era esistita solo nelle loro convinzioni. La
Repubblica si
era dimostrata corrotta sin nel midollo, era stata incapace di
salvaguardare la
sua integrità e proteggere i suoi abitanti. La base stessa
su cui era stata
fondata, il principio della libertà di parola e di scelta,
era stata distorta
al punto che anziché essere una garanzia per la giustizia,
era stata il suo
principale freno. Le discussioni che avrebbero dovuto portare alle
scelte più
sagge e giuste per la Galassia, avevano in realtà aperto
faide e iniziato conflitti,
avevano protratto guerre con infinite quanto inutili mediazioni
diplomatiche
portate avanti spesso per interessi secondari dei singoli,
anziché risolverle
con un solo atto di forza. Le persone a cui i pianeti avevano affidato
la loro
guida perché ritenute più corrette e lungimiranti
di altre, si erano dimostrate
abiette e unicamente interessate a seguire i loro fini, capaci di
mentire e di
favorire azioni spregevoli pur si perseguire i loro scopi.
L’Imperatore
non si nascondeva dietro una falsa demagogia. Esprimeva ferramente la
sua
volontà e la faceva eseguire, avendo come scopo principale
la salvaguardia
dell’Impero Galattico. Ed era un fine che, agli occhi del
giovane Sith, ben
giustificava i mezzi a volte discutibili che adottava. La guerra aveva
fatto
troppe vittime in quegli ultimi secoli, motivo per cui era ben
determinato ad
estinguerne l’ultimo focolaio.
Fece
un respiro profondo e si scostò dal monitor per le
trasmissioni. Doveva andare
a dare le coordinate al capitano della nave. Se conosceva bene il suo
vecchio
maestro, non avrebbe perso tempo a rendersi utile per la Lega.
L’idea
che da lì a poco lo avrebbe finalmente incontrato a Geonosis
gli trasmise una
scarica di energia. Si sentiva come una molla carica, pronta a
scattare. Aveva
atteso quel momento facendo scorrere impazientemente giorno dopo
giorno. Ora la
resa dei conti si stava avvicinando.
“Preferiresti
un
maschio o una femmina?”
“Una
femmina”
rispose il giovane senza esitazione.
La
ragazza
sorrise della sua fretta. “Strano, di solito i padri
preferiscono un maschio.
Come mai tu no?”.
“Gli
altri padri
non si sono scelti una moglie bella come la mia. Altrimenti anche loro
spererebbero in una bambina con il sorriso dolce di sua
madre”.
Era
una frase
così bella da sembrare quasi preparata, ma la sincera
ammirazione che gli
leggeva nello sguardo mentre la rimirava non lasciava adito a dubbi sul
fatto
che pensasse davvero quelle parole.
Sorridendogli
di
cuore, si staccò dalla balaustra del balconcino del loro
appartamento per
avvicinarsi. Appena fu alla sua portata, il ragazzo le
circondò la vita con le
braccia robuste per stringerla a sé, facendo però
attenzione a non schiacciarle
l’ormai prominente pancia che custodiva l’oggetto
della loro conversazione.
“Sei
così bella,
Padmé” le mormorò, sfiorandole la
tempia con un bacio.
Padmé
accostò la
guancia sulla spalla di suo marito, inspirando a fondo
l’odore fresco e
penetrante della sua pelle.
“E
come vorresti
chiamarla?” gli chiese, tornando all’argomento
principale.
Anakin
appoggiò
il mento sulla sua testa e prese a cullarla dolcemente tra le braccia.
“Mi
spiace
deluderti, ma non sono molto bravo in queste cose”
confessò fintamente
sconsolato.
“Non
c’era
nell’addestramento Jedi questo?” scherzò
lei. Sentì la sua risata riverberarsi
nel petto che la stringeva.
“Certamente,
era
tra imparare a saltare da due piani usando la Forza e gestire due spade
in un
combattimento. Solo che devo aver saltato quella lezione” le
rispose ironico.
“Mmm,
che ne
dici di Dorotea?” propose Padmé.
Anakin
storse il
naso. “Senza offesa, ma mi sembra un nome da vecchia
bisbetica”.
“Erinna?”
tentò
di nuovo.
Il
giovane lo
soppesò un momento prima di scartarlo scuotendo il capo.
“Troppo strano, a una
bambina si addice un nome dolce.” Commentò.
Rimasero
in
silenzio per qualche minuti, entrambi assorti in un proprio lungo
elenco di
nomi da passare al vaglio prima di proporlo all’altro. Anakin
voleva un nome
che rimanesse impresso nella mente di chi lo ascoltasse. Era certo che
una
volta cresciuta, sua figlia sarebbe stata conosciuta in tutta la
Galassia.
Doveva quindi avere un nome che la caratterizzasse. Doveva essere
dolce, perché
si addicesse alla bellezza che avrebbe certamente ereditato dalla
madre, ma
anche deciso. Poi d’un tratto ebbe
un’illuminazione. O meglio un lontano
ricordo che affiorava lentamente alla luce. C’era una fiaba
che sua madre gli
leggeva quand’era bambino a Tatooine, la storia di una bella
avventuriera,
gentile con chi chiedesse il suo aiuto, ma determinata contro i suoi
nemici.
“Leila”
pronunciò in un bisbiglio, quasi assaporasse con lentezza
quella parola.
Padmé
si allontanò
da lui quel tanto che bastava per scorgergli il viso.
“Leila?” chiese. Ci pensò
su, poi ripeté il nome con più decisione, come
per tastarlo. “Leila”.
Gli
sorrise
luminosa. “Mi piace, è melodioso, ma semplice,
resta impresso”.
“Leila
allora.
Già la immagino, con i lunghi capelli castani su un viso a
cuore e dei grandi
occhi limpidi, pieni di vita” approvò soddisfatto
Anakin, prendendo tra le dita
una ciocca di Padmè.
“E
se invece
fosse un bimbo con i capelli color del grano e degli occhi a volte un
po’
burrascosi?” chiese la ragazza, interrogandolo con lo sguardo.
“Se
fosse un
maschietto…Kormi?”
Questa
volta fu
il turno di Padmé a fare una smorfia contrariata.
“Kormi? Sei sicuro sia un
nome vero? È terribile!”.
Anakin
rise
dello sdegno di sua moglie. “Ehi, era solo una
proposta!” si difese.
Padmé
contemplò
un attimo il panorama di luci e colori che la terrazza su Coruscant gli
offriva. Se pensava a suo figlio, non poteva non immaginare una copia
in
miniatura del padre. Avrebbe voluto che fosse forte e determinato
quanto lo era
stato lui nel seguire i suoi sogni. Gli augurava di ereditare la
gentilezza che
albergava nel suo cuore e il desiderio di fare la cosa giusta che
guidava ogni
sua azione. Avrebbe tanto voluto che suo figlio, al pari del padre,
diventasse
una luce nel buio di crudeltà e ingiustizie che popolavano
quella Galassia.
Alzò lo sguardo per vedere le stelle che brillavano in
quell’immensa volta e un
nome le balenò davanti agli occhi. Se non si ricordava male,
derivava da “lux” che,
in una lingua tanto remota da essere quasi dimenticata, voleva dire
“luce”.
“Lo
chiameremo
Luke” affermò, sicura della sua scelta.
Anakin
sorrise
vedendo il volto contento della moglie e non esitò ad
approvarne la scelta.
Appoggiò la mano con delicatezza sulla pancia della sua
Padmé mentre con
l’altra le alzò il mento.
“Sono
due nomi
bellissimi.” Le mormorò ad un soffio dalle labbra,
prima di baciarla con una
tenerezza infinita.
Padmé
gli cinse
il collo con entrambe le braccia e chiuse gli occhi, abbandonandosi
alla
sensazione di piacere che le sue morbide labbra le regalavano. A poco a
poco,
il bacio si fece più approfondito, fino a provocarle i
brividi lungo tutta la
schiena. Ah, solo lui poteva suscitarle una reazione del genere con un
semplice
bacio!
Quando
si
staccò, le disegnò una linea lungo tutta la
mandibola con piccoli e casti baci,
prima di stringerla di nuovo a sé per rimanere
così, sulla terrazza con una
Coruscant illuminata da sfondo, cullati da una brezza leggera che
faceva
ondeggiare il bordo della vestaglia di Padmé. Il loro mondo
era interamente in
quella terrazza, la loro felicità in quella creatura dal
nome incerto che la
ragazza portava in grembo. Il resto non contava.
Quando
mi svegliai la mattina dopo, notai con stupore che le mie guancie erano
bagnate
di pianto. Il ricordo del sogno che avevo fatto quella notte mi
investì,
dandomi la spiegazione che cercavo. Non era stato un semplice sogno.
Era un
ricordo vero, di una sera d’estate quando ero ancora incinta,
poco prima che il
mondo in cui avevo vissuto si capovolgesse perdendo di significato.
Mi
rannicchiai con le ginocchia al petto mentre ripercorrevo ancora quel
ricordo
agro-dolce che nell’inconscio mi aveva fatta piangere di
gioia e di dolore
insieme.
Anakin…il
mio Anakin che mi baciava con dolcezza e che sperava di poter avere una
figlia simile
a me. Alla fine eravamo stati accontentati entrambi. Lui aveva avuto la
sua piccola
Leila ed io il mio Luke.
Mi
alzai dal letto e mi avvicinai alle culle dove le mie due piccole pesti
dormivano ancora beate. Con i pugnetti alzati vicino al viso erano
incredibilmente dolci, ma sapevo bene che era un’illusione
che sarebbe durata
solo finché erano entrambi addormentati. Appena si fossero
svegliati, avrebbero
ricominciato a pretendere con decisione le mie attenzioni, che tuttavia
ero ben
felice di dargli.
“Presto
anche il vostro papà sarà qui per voi”.
Era
una promessa a cui non avrei mancato a costo della mia vita.
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Capitolo 4 *** 3_La trappola del Sith ***
3 capitolo
Ciao
a tutti! Ecco a voi il terzo capitolo della mia storia, fortunatamente
sono riuscita a non farvi aspettare secoli come l'altra volta! E' un
capitolo di transizione, quindi mi scuso in anticipo se non troverete
svolte importanti nella trama, la grande svolta ci sarà nel
prossimo, ma nell'attesa spero che troverete comunque questo capitolo
interessante e che vi invogli a leggere il quarto :-) Ringrazio tutti
coloro che hanno speso il loro tempo a leggere la mia fan fiction,
coloro che l'hanno aggiunta alle seguite e un grazie particolare a the best che
ha commentato lo scorso capitolo: grazie mille, davvero, spero
sinceramente che "la trappola del Sith" ti piaccia e continui ad
accendere la tua curiosità per il seguito!
Auguro
a tutti una buona lettura e spero di sapere le vostre impressioni su
questa storia :-)
3_La
trappola del Sith
La
navicella filava a velocità sostenuta da un’ora,
schivando meteoriti e
superando pianeti, passando inosservata. Il Cavaliere Jedi
all’interno
dell’abitacolo aspettava con una serafica pazienza di
giungere alla sua meta,
risparmiando le forze per la delicata missione che gli si prospettava.
La sua destinazione
era Geonosis, il piccolo pianeta quasi desertico abitato da una
popolazione
barbara, che era stato sede del Consiglio dei Separatisti.
Obi-Wan
non poteva non fare dei paragoni tra il presente e l’ultima
volta che era stato
su quel pianeta. All’epoca stava cercando di scoprire cosa
minacciasse la
Repubblica, chi fosse il misterioso pericolo che restava acquattato
nell’ombra,
ed era certo che qualunque cosa si fossero ritrovati ad affrontare,
avrebbero
saputo come fronteggiarla. Mai, nemmeno nei suoi incubi peggiori,
avrebbe
immaginato una tale disfatta. Ma soprattutto, mai avrebbe creduto che
il
tradimento che li avrebbe distrutti sarebbe giunto proprio da colui che
aveva cresciuto
come un fratello minore per tanti anni. Al Consiglio degli Jedi gli si
poteva
imputare la cecità davanti al Lato Oscuro che diveniva
sempre più forte proprio
nel cuore della Repubblica, ma Obi-Wan sapeva che a lui spettava una
colpa
unicamente sua, quella di aver fallito con il Prescelto. Lo aveva
educato
cercando di trasmettergli tutta la saggezza e la giustizia che un
Cavaliere
Jedi doveva avere, aveva cercato di instradarlo verso il suo destino,
il
destino di colui che avrebbe dovuto riportare equilibrio nella Forza, e
invece
lo aveva trasformato in un Sith. Il maestro Jedi non riusciva a farsene
una
ragione, né poteva credere a qualsiasi altra spiegazione che
non prevedesse la
sua parte di colpa in quella disgrazia.
Conosceva
il cuore di Anakin bene come pochi altri. Era lui che lo aveva visto
crescere,
che lo aveva aiutato a rialzarsi quando cadeva, che lo aveva corretto
quando
sbagliava ed elogiato quando migliorava. Ed era lui che non era
riuscito a
salvarlo dalla tentazione di quel Lato Oscuro che lo aveva traviato.
Motivo per
cui, spettava a lui correggere con ogni mezzo e ad ogni costo
quell’imperdonabile errore, partendo dal portare a compimento
con successo
quella missione.
Dal
pannello di controllo risuonò un “bip”.
Obi-Wan alzò lo sguardo e la vista di
Geonosis occupò la sua intera visuale. Avvicinandosi alla
plancia, prese il
comando della navicella e iniziò a cercare sul monitor un
posto nascosto dove
atterrare indisturbato. Individuata una piccola insenatura tra due
rocce di
rena rossa, si accinse a iniziare la manovra di atterraggio.
Una
volta a terra, con il cappuccio calato a nascondere il viso, si
incamminò verso
l’apertura che anni fa aveva sfruttato per entrare
nell’edificio principale
della capitale, posto tra le rocce. Dopo un’ora di ricerca,
riuscì a ritrovare
il passaggio ed entrò nell’edificio. Con i sensi
all’erta si appiattì contro la
parete e prestò attenzione a ogni rumore circostante,
aspettando di sentire
qualcosa che gli rivelasse la presenza delle guardie. In fondo al
corridoio
dove si trovava, dalla destra sentì provenire il rumore di
due voci che si
avvicinava, probabilmente una ronda. Il maestro si appiattì
ancora di più
contro la parete sul lato opposto alla loro direzione e poco dopo vide
oltrepassarlo due cloni, segno che Geonosis non era disarmata. Fece
mente
locale a dove fosse la stanza del server rispetto alla sua posizione.
Doveva
girare a destra e raggiungere il piano superiore, se non ricordava
male.
Facendo molta attenzione, si sporse dalla sua nicchia e, constatando
che la
strada era sgombra, si affrettò a percorrere il corridoio
facendo il minimo
rumore.
Grazie
ad una buona dose di fortuna e sensi affinati da anni di missione,
riuscì a
raggiungere l’anticamera del server senza doversi scontrare
con le guardie. Davanti
all’ultima porta che lo separava dalla sua meta
però, due cloni sorvegliavano
la zona con l’arma pronta. Lo Jedi si appiattì
contro la parete assicurandosi
che nessun altro fosse nei paraggi eccetto le due guardie, poi senza
perdere
altro tempo balzò fuori dal suo nascondiglio, la spada laser
già in mano. I due
cloni ebbero a mala pena il tempo di rendersi conto di essere sotto
attacco che
già giacevano a terra.
Un
gioco da
ragazzi.
Attaccò
un dispositivo al sistema di apertura elettronico e in breve
riuscì ad aprire
la porta della stanza del server. Trascinò i corpi inermi
dei cloni all’interno
per non allarmare chi eventualmente fosse passato dal corridoio e
chiuse la
porta.
Era
dentro, ce l’aveva fatta.
Delle
lampade rosse dovevano illuminare la stanza, ma la principale fonte di
luce
proveniva dai numerosi monitor addossati alle pareti. Si
avvicinò al computer
principale, posto in opposizione alla porta, e attaccò un
hard disk per
prepararsi a copiare i file che gli servivano. Il server ovviamente era
protetto da alcuni sistemi di sicurezza, ma dopo qualche minuto Obi-Wan
riuscì
a bypassarli ottenendo l’accesso ai dati conservati nella
memoria del computer.
Iniziò a cercare i files relativi alla Morte Nera, provando
alcune parole
chiave per affrettare la ricerca. Dopo quasi un quarto d’ora
però non aveva
ancora trovato nessun risultato collegato anche solo lontanamente
all’arma
dell’Impero. Lo Jedi batté un pugno accanto alla
tastiera per la frustrazione.
Maledizione!
Com’era possibile che nel computer centrale non risultasse
nessun file inerente
a quella dannata arma? Aveva accesso completo alla memoria di quel
server
eppure nessuna traccia dei files sulla Morte Nera. Che fossero stati
cancellati? Eppure era partito subito dopo aver ricevuto la notizia dal
loro
informatore, come avevano fatto a far sparire quei dati così
in fretta?
A
meno che…l’illuminazione gli giunse improvvisa
quanto allarmante. Quei files
non erano più lì da tempo. Le informazioni
trapelate erano false, il che poteva
dire soltanto una cosa. Era caduto in trappola.
Maledicendo
la sua avventatezza, Obi-Wan uscì fuori dalla stanza e
ripercorse il corridoio
di prima, i sensi alla massima allerta. Al momento il corridoio era
deserto, ma
il suo sesto senso gli diceva che non lo sarebbe stato a lungo. I suoi
nemici
stavano solo aspettando il momento più adatto per rivelarsi,
e probabilmente
quello era anche il motivo per cui aveva incontrato così
poche difficoltà a
raggiungere il server, gli avevano praticamente lasciato la porta
aperta.
A
pochi metri dalla nicchia dove si nascondeva il passaggio,
iniziò a sentire un
rumore di passi affrettati. Sei cloni si stavano schierando per
impedirgli di
raggiungere la sua uscita. Imprecando tra i denti, svoltò a
sinistra nel
corridoio, pensando febbrilmente ad un’altra via per fuggire
da lì. Da dove
poteva passare? Sicuramente tutti i passaggi in quel momento stavano
per essere
raggiunti dai cloni per sbarrargli la strada. Avrebbe potuto
affrontarli, un
manipolo di sei poteva batterlo senza molte difficoltà, ma
sapeva che prima che
avesse atterrato l’ultimo, ne sarebbero giunti degli altri e
in breve si
sarebbe trovato attorniato da un piccolo esercito. No, non poteva
permettersi
uno scontro frontale, doveva trovare un altro modo, ma quale?
A
un tratto un fiotto di luce proveniente da sinistra illuminò
il corridoio prima
in penombra. Obi-Wan si volse in quella direzione senza pensarci,
sperando che
portasse a un’uscita o a una finestra. La luce del sole lo
inondò e lo Jedi
dovette socchiudere gli occhi per non restare abbagliato. Si trovava
sul
balcone che dava all’arena che tempo prima era stata il
teatro della
fortunatamente mancata esecuzione di Padmé, Anakin e sua.
Obi-Wan tirò un lieve
sospiro di sollievo, pensando che era salvo, era fuori, ora doveva solo
arrampicarsi verso la sommità dell’arena e calarsi
giù. Tirò fuori il piccolo
rampino dalla tasca del mantello, ma quando iniziò a farlo
roteare, una voce
dall’interno del corridoio, lo bloccò.
“Ho
aspettato con ansia questo momento. Non vorrai andartene via
così presto,
maestro” anche senza il sarcasmo a calcare
sull’ultima parola, quella voce non
avrebbe potuto confonderla tra altre mille. Era la voce che aveva
sentito
accanto a se per gli ultimi dieci anni, la voce che aveva sentito amica
innumerevoli
volte alle sue spalle nei momenti di pericolo.
Obi-Wan
sospirò e rimise in tasca il rampino, ormai inutile. Certo,
avrebbe dovuto
immaginarlo che non avrebbero mandato dei semplici cloni per coglierlo
in
trappola. Probabilmente era stato proprio lui la mente di quel piano,
era
sempre stato molto brillante, non se ne sarebbe stupito. Con un sorriso
tra il
sarcastico e lo sconfortato per quella situazione straniante, si volse
verso la
fine del balcone.
Anakin
Skywalker, il suo vecchio padawan, lo fronteggiava a testa alta, le
mani
incrociate sul petto, gli occhi fissi su di lui. Si costrinse a
incrociarne lo
sguardo, anche se una parte di lui temeva ciò che avrebbe
visto, un odio
causato da una mole di meschine bugie. Un odio che nasceva da una
ferita
profonda che lo dilaniava, il dolore di aver perso tutto ciò
che gli era più
caro, e che, nel precipizio in cui era caduto, aveva gettato su di lui,
come se
trovare un bersaglio lo potesse aiutare a riemergere dalla
profondità in cui
era. Peccato che avesse individuato il bersaglio sbagliato, il vero
colpevole
era colui che adesso chiamava Maestro e che ancora continuava a
ferirlo,
torturando la sua anima senza che nemmeno se ne rendesse conto.
Kenobi
provò una fitta al petto a vederlo ridotto così,
ma quello che più lo ferì fu
la consapevolezza che avrebbe di nuovo dovuto battersi con lui.
“In
realtà stavo proprio per togliere il disturbo, Anakin.
Quello per cui ero
venuto evidentemente non c’è, quindi non ho altri
motivi per trattenermi, se non
ti spiace” temporeggiò simulando un tono ironico,
mentre faceva un passo
all’indietro, verso la balaustra.
Il
commento non strappò nessuna espressione al giovane. Il suo
viso sembrava fatto
di pietra, nessuna emozione trapelava dalla linea dura della mascella,
né
preoccupazione per lo scontro, né altro, eccetto una rabbia
sorda e una ferrea
determinazione.
“Te
ne do uno io allora. Devo restituire il favore dell’ultimo
scontro” ribatté il
ragazzo, sottintendendo la gamba sinistra che Obi-Wan gli aveva reciso
durante
il loro ultimo duello su Mustafa.
Lo
Jedi scosse la testa. “Non hai ancora imparato Anakin?
Conserva l’altra gamba e
lasciami andare. Non è necessario battersi”
cercò di persuaderlo.
Lord
Vader questa volta si lasciò sfuggire un sorriso caustico.
“Lo hai reso
necessario nel momento in cui hai deciso di metterti contro
l’Impero”.
Obi-Wan
fece un altro passo verso il parapetto. “Non è per
l’Impero che sei qui ora,
Anakin. Sei qui per vendetta, per combattere contro di me
perché credi ti abbia
tradito e non vedi che sei tu ad aver tradito me, il Consiglio e la
Repubblica”
l’uomo stava parlando per prendere tempo, ma mentre le parole
gli uscivano di
bocca si accorse che aveva bisogno di gridargli in faccia le accuse che
nella
sua mente gli rimbombavano da mesi. “E soprattutto, con il
tuo comportamento,
hai tradito Padmé” concluse, guardandolo con
tristezza.
Il
viso del giovane a quel nome si contrasse in rabbia e dolore. Come
osava
proprio lui rinfacciargli di averli traditi quando erano stati loro a
lasciarlo
solo, a non credere che la parte che aveva scelto fosse quella giusta?
Sentì
l’ira montargli dentro, la sentii bruciargli le vene e dargli
la spinta che gli
serviva per fare ciò che doveva. Basta ora, il tempo delle
parole era finito.
Con
un urlo di frustrazione, si lanciò contro il vecchio Jedi ed
estrasse la sua
nuova spada laser, il cui colore rosso sanciva la sua svolta definitiva
al Lato
Oscuro della Forza. Alla vista di quel colore sanguigno, Obi-Wan ebbe
un’altra
fitta, ma si riprese in fretta per non permettere al suo avversario di
sfruttarla come un vantaggio. Parlando era giunto dove voleva lui,
attaccato
alla balaustra, così anziché essere costretto a
rispondere all’assalto in
quella posizione svantaggiata nell’angolo come Anakin si
aspettava, saltò
all’indietro verso le gradinate più basse,
prendendolo in contropiede.
Sfruttando la Forza, riuscì con una capriola ad atterrare
diversi metri più in
basso, verso un altro balconcino, e da lì saltò
di nuovo verso il cuore
dell’arena. Atterrato sulla sabbia, estrasse a sua volta la
spada laser e si
mise subito in posizione di difesa, sapendo che il suo vecchio padawan
non
avrebbe esitato a lungo per raggiungerlo. Skywalker era già
sulla balaustra
pronto a inseguirlo appena aveva toccato terra. Anakin si
lanciò nel vuoto e
con un’unica capriola raggiunse il suolo. Si squadrarono per
un breve istante,
poi non ci fu più tempo nemmeno per pensare.
Anakin
partì alla carica con un affondo dall’alto, ma
Obi-Wan era pronto a riceverlo.
Parò senza difficoltà il colpo e
cominciò ad incalzarlo a sua volta con una
serie di affondi laterali. Per un qualche momento le loro forze parvero
pareggiarsi. Il loro modo di combattere era quasi identico, il che
bilanciava
gli attacchi. Ad ogni affondo corrispondeva una parata precisa e
nessuno dei
due era intenzionato a cedere terreno, finendo per girare intorno ad
una linea
immaginaria che costituiva il loro perimetro
di combattimento. Dopo una serie di attacchi
però, una differenza
cominciava a farsi notare. Mentre Anakin continuava a colpire con un
ritmo
serrato, senza risparmiarsi, Obi-Wan cominciava a respirare con
più fatica. Il
Sith se ne accorse e decise che non potendo puntare su una falla nella
scherma
dello Jedi, avrebbe allora sfruttato la sua maggior resistenza.
Scartò di lato,
cogliendo impreparato Obi-Wan, e riuscì a colpirlo con un
calcio in pieno
petto. All’uomo si mozzo il respiro e sentì un
“crack” all’altezza delle
costole. Gli si appannò la vista e quasi non si accorse di
essere stato buttato
a terra un paio di metri indietro. Cercò di rimettere aria
nei polmoni, ma una
fitta terribile lo trafisse come un pungiglione. Tuttavia, temendo che
Anakin
non gli avrebbe lasciato il tempo per riprendersi, si
affrettò a rimettersi in
piedi nonostante il dolore lancinante al petto. Si rimise in posizione
di
guardia e squadrò con attenzione il suo avversario, che
palesemente soddisfatto
aspettava la sua risposta con aria imperturbabile.
L’arroganza che
quell’espressione celava era smascherata solo dalla postura.
Anakin,
rinvigorito da quel piccolo successo, aveva abbandonato la posa di
attacco.
Ma
come aveva fatto a diventare così dannatamente veloce? Quel
calcio non lo aveva
nemmeno visto arrivare! E com’era possibile che mentre lui
iniziava ad accusare
i primi segni della fatica dello scontro, Anakin sembrasse
perfettamente
riposato? Non erano passati che pochi mesi dall’ultima volta
che si erano
scontrati, e all’epoca lui era tatticamente più
forte del giovane Sith. Com’era
riuscito ad aumentare tanto rapidamente il suo potere?
Obi-Wan
si guardò attorno, iniziando a chiedersi quale potesse
essere la strategia
migliore per combatterlo. Non voleva vincerlo, gli sarebbe bastato
disarmarlo
per poi poter fuggire, non aveva nessuna necessità
né desiderio di fargli del
male. Ma se fosse stato costretto a scegliere tra la sua vita e la
propria…non
poteva permettersi di abbandonare la Resistenza e darla così
vinta all’Impero.
E guardando lo sguardo deciso del giovane, sapeva che Anakin non si
sarebbe
risparmiato.
Un
rivolo di sudore gli colò lungo la guancia. La domanda a
quel punto poteva
essere una sola. Se avessero entrambi dato il loro meglio, chi dei due
ne
sarebbe uscito vincitore?
*
“Senatrice
Amidala! Senatrice!”
La
voce affannata di Jousha si riverberò per quasi tutto il
palazzo e raggiunse la
mia camera molto prima che il ragazzo ci si fiondasse fisicamente
dentro.
“Senatrice”
annaspò il povero giovane sorreggendosi allo stipite della
porta.
Allarmata
dal suo tono di voce, scattai in piedi dal pavimento su cui ero seduta
accanto
ai bambini e Lavel. Cosa diamine era accaduto per provocare tanto
scompiglio?
“Jousha,
cosa succede? Siamo sotto attacco?” domandai, avanzando di un
passo verso di
lui.
Il
ragazzo scosse la testa castana, diminuendo almeno un poco la mia
ansia. Bene,
non eravamo stati scoperti, ma a parte la notizia di un attacco
cos’altro
poteva essere di tanto orribile da farmi chiamare in tutta fretta?
“Senatrice,
abbiamo appena ricevuto un messaggio criptato da Ezac, Darth Vader
è partito
con un gruppo di soldati per Geonosis poco fa!”
Gelai
sul posto. Anakin…verso Geonosis? Poteva esserci solo una
spiegazione per
andare improvvisamente su quel pianeta.
Senza
chiedergli ulteriori informazioni, iniziai a correre verso la sala del
Consiglio, dove ero certa che avrei trovato il maestro Yoda e Taomar.
I
due infatti mi stavano aspettando accanto alla nostra ricetrasmittente,
la
preoccupazione dipinta sul volto.
“è
vero quindi? Anakin sta andando a Geonosis?” domandai senza
inutili preamboli.
Yoda
mi guardò, uno sguardo grave, carico di tensione e amarezza.
“Una trappola, il
giovane Skywalker, teso ci ha”.
“Una
trappola?” chiesi, confusa.
Taomar
avanzò di un passo verso di me, pallido. “A quanto
pare, le informazioni che
abbiamo ricevuto erano state fatte trapelare apposta per mandare il
maestro
Kenobi a Geonosis” rivelò.
Strabuzzai
gli occhi. “Cosa? E come…” ma la
risposta mi giunse in mente prima che finissi
la frase. Ma certo, come avevamo potuto essere così ingenui
da credere che i
piani dell’arma più potente dell’Impero
fossero stati lasciati incustoditi su
un pianeta qualsiasi? La nostra disperata ricerca di un aiuto ci aveva
reso
ciechi di fronte a quello che avrebbe dovuto essere ovvio.
“Diegora è stato
scoperto. Gli hanno passato delle informazioni false”
commentai.
Taomar
annuì. “Per fortuna, l’altra nostra spia
non è stata ancora smascherata ed è
riuscita a comunicarci che una mezz’ora fa Lord Vader
è partito per Geonosis
per catturare Kenobi”.
Mi
passai una mano sul viso e cominciai a riflettere. Obi-Wan era partito
due ore
fa, non c’era modo di avvertirlo per tornare indietro
poiché, per essere sicuri
che il radar della navicella non venisse rintracciato dalle guardie
dell’Impero,
aveva deciso di tenere spente le comunicazioni, però se
partivo immediatamente
avevo solo una mezz’ora di svantaggio rispetto ad Anakin per
raggiungere lo
Jedi per prima. Con una navicella piccola e veloce avrei potuto farcela.
“Voglio
una nave pronta a partire all’hangar tra dieci minuti con un
equipaggio di una
decina di uomini” ordinai, iniziando a dirigermi verso
l’armeria.
Taomar
mi si accostò preoccupato. “Milady, non
è una scelta saggia, se veniste
catturata anche voi, tutto quello che abbiamo fatto finora risulterebbe
inutile” obiettò.
Gli
risposi senza nemmeno fermarmi. “Non intendo discutere sulla
mia decisione. Se
prendono il maestro Kenobi, siamo comunque perduti”.
“Ma…”
cercò di protestare, ma fu interrotto dal maestro Yoda.
“La
sua decisione la senatrice preso ha. Noi solo aiutarla a salvare
Obi-Wan possiamo”
decretò.
Mi
permisi un breve sorriso di gratitudine per l’appoggio del
maestro che convinse
Taomar a non perdere altro tempo in chiacchiere e a disporre i
preparativi per
la missione. Intanto io mi diressi assieme al maestro verso il deposito
armi, anche
se in cuor mio speravo di non doverne aver bisogno arrivando prima del
nostro
nemico.
“Senatrice
Amidala, per voi più che per chiunque altro questa missione
penosa è. Se in
difficoltà vi troverete, ricordate per cosa
lottate”.
A
quel consiglio mi bloccai un istante a riflettere. Guardai il maestro e
lessi
in quello sguardo secolare i sottintesi di
quell’avvertimento. La difficoltà
più grande in cui potevo trovarmi era quella di scontrarmi
direttamente con
Anakin. Sarei riuscita in quel caso a portare a termine la mia
missione? Sarei
riuscita a mettermi apertamente contro di lui o peggio, a lottare
contro mio
marito? Al solo pensiero di uno scontro diretto, il mio cuore tremava.
Saremmo
davvero giunti a quello? Pregai intensamente che il fato non mi
mettesse
dinanzi a tale prova perché anche se avessi trovato la forza
per lottare contro
di lui, non sapevo come avrei potuto convivere con quel fatto dopo. Di
una cosa
sola ero certa però.
“Salverò
Obi-Wan, maestro, di questo non dovete dubitare”.
Esattamente
dieci minuti dopo, ero seduta al posto del co-pilota di una delle
navicelle più
veloce dell’hangar pronta ad iniziare le manovre di decollo.
Una decina di
soldati erano stati subito pronti ad accettare di accompagnarmi in
quella
missione di salvataggio mentre io mi ero limitata a prendere due
pistole laser
dall’arsenale prima di partire. Guiwo, il pilota,
inserì le coordinate verso
Geonosis mentre il tetto della piattaforma di decollo si apriva. Cinque
secondi
dopo stavamo decollando verso la nostra meta.
“Tenendo
una velocità sostenuta arriveremo a Geonosis in meno di
un’ora, Milady” mi
informò il ragazzo seduto alla mia sinistra. Annuii
soddisfatta. Potevamo
farcela, potevamo raggiungere Obi-Wan prima delle forze
dell’Impero.
Stavo
cercando di atteggiare il viso a un’espressione impassibile,
sapevo che era
necessario mostrarmi sicura di me davanti ai soldati per infondergli
fiducia
nel successo della nostra missione, ma l’agitazione mi
stringeva lo stomaco
come una morsa. Temevo di arrivare troppo tardi per salvare Obi-Wan, di
apprendere che era già stato catturato una volta atterrati
o, prospettiva
peggiore di tutte, trovarmi in mezzo ad uno scontro a fuoco. Quello era
lo
scenario che assolutamente dovevo evitare. La nostra era una missione
di soccorso,
doveva intrufolarci a Geonosis e avvertire lo Jedi passando
inosservati.
Eravamo troppo pochi per permetterci uno scontro diretto, saremmo morti
tutti
inutilmente.
Torturata
dall’ansia, mi alzai in piedi e mi diressi verso una delle
vetrate laterali della
nave che mostravano milioni di stelle e pianeti sfilarci accanto in una
scia
senza fine. Mi massaggiai le tempie con le dita, cercando di scacciare
lo
scenario di cui più avevo paura. Anakin davanti a me, con lo
sguardo carico
d’odio e rabbia come l’ultima volta che lo avevo
visto. Anakin che dava
l’ordine di uccidere i miei uomini ma che sapevo non avrebbe
mai ucciso me. Ma
una volta risparmiata cosa sarebbe successo? Come si sarebbe
comportato?
Davvero avrebbe mantenuto quella maschera terribile di odio? E ai
bambini quale
sorte sarebbe toccata? Avrebbe chiesto di loro, li avrebbe voluti con
sé?
Appoggiai
la fronte al vetro angosciata da quei mille interrogativi. No, non
potevo
permettere che si verificasse ciò. Avrei trovato Obi-Wan e
lo avrei riportato a
Giano. Fine.
“Senatrice,
siamo arrivati”.
La
voce di Guiwo mi riportò alla missione presente.
“Bene,
iniziate le procedure per l’atterraggio ma
scegliete…” fui interrotta dal
dispositivo di allarme che iniziò a suonare.
Mi
precipitai al pannello di controllo per capire cosa lo avesse fatto
scattare.
Il radar lampeggiava catturando la nostra attenzione e segnalando due
grosse
navi poco lontane dall’edificio centrale di Geonosis. Mi
morsi il labbro quasi
fino a farlo sanguinare. Poteva significare solo una cosa,
l’Impero aveva
preceduto il nostro arrivo sul pianeta. Non restava da sperare che non
ci
avessero preceduti anche nel trovare Obi-Wan.
“Rintraccia
il segnale della navicella del maestro Kenobi e del rilevatore che ha
sulla
cintura. Dobbiamo vedere se è ancora sul pianeta e
dove” ordinai. Avevo il
cuore in tumulto ma la mia voce era fredda e ferma, non era il momento
per
farsi prendere dal panico.
Guiwo
iniziò subito a rintracciare i due segnali dello Jedi
trovandoli quasi
immediatamente.
“La
navicella è depositata in un anfratto poco distante da
qui” sullo schermo
apparve l’immagine di una nicchia tra le rocce, un luogo
ideale per atterrare
senza essere visti. “Il segnale di Kenobi invece sembra venir
emesso da un
punto dell’edificio, questo” l’immagine
della navicella scomparve, sostituita
da una pianta dell’edificio di comando della
città. Un punto lampeggiante rosso
indicava la posizione dello Jedi in uno spazio circolare ampio. Ci misi
un
istante per capire dove si trovasse. Era il disegno
dell’arena dove qualche
anno prima i mercanti e il conte Duko avevano cercato di giustiziare
Obi-Wan,
Anakin e me. E un brutto presentimento mi suggeriva che anche questa
volta in
quel punto esatto lo Jedi doveva trovarsi in una brutta situazione.
“Dobbiamo
raggiungerlo. L’arena è all’aperto, se
riusciamo ad aggirare i radar delle due
navi dell’Impero finché non ci troviamo sopra,
possiamo avvicinarci al terreno
quel tanto che basta per permettere a Obi-Wan di salire su per poi
allontanarci
il più velocemente possibile.” Organizzai sul
momento, analizzando velocemente
la situazione.
Guiwo
mi lanciò uno sguardo preoccupato. “è
un piano rischioso, senatrice. Appena i
loro radar ci individueranno, ci salteranno addosso. Inoltre non
sappiamo in
che situazione sia il maestro, se fosse circondato da un esercito noi
non
potremmo fare niente” obiettò.
Sbattei
il palmo contro il sedile vuoto del co-pilota, irritata per quelle
considerazioni ovvie. “Lo so Guiwo, ma è il solo
piano che abbiamo, l’unica
possibilità per salvare Kenobi. O preferisci tornare
indietro e raccontare che
siamo venuti fin qui per scappare con la coda tra le gambe alla vista
di un
paio di navi dell’Impero?” lo sfidai.
Il
ragazzo abbassò lo sguardo, annuendo passivamente. Una
piccola parte di me si sentì
in colpa per aver sfogato su di lui la mia frustrazione, dopotutto
potevo
comprendere i sentimenti del giovane. Nessuno si butta entusiasta in
una
missione potenzialmente suicida, ma non avevamo altra scelta.
Stando
attenti a non entrare nel raggio del radar nemico, sorvolammo sopra
l’edificio
fintanto che non giungemmo in prossimità
dell’arena. Ordinai ai soldati sulla
nave di tenersi pronti a far fuoco, quattro avrebbero usato le
munizioni della
navicella, gli altri cinque si sarebbero schierati con me davanti al
portellone
una volta aperto per sparare a chiunque avremmo incontrato.
Quando
fummo pronti, con un cenno a Guiwo gli ordinai di dirigersi senza
esitazione
sopra l’arena. Da quel momento in poi eravamo visibili alle
navi nemiche,
avevamo i minuti contati. Con il cuore in gola e temendo ciò
che ci aspettava,
aprii il portellone, aggrappandomi ad una delle maniglie sul soffitto
della
nave per non rischiare di cadere. Quando il portellone fu spalancato
però, lo
spettacolo che mi accolse fu ben diverso da quello che mi aspettavo.
L’ultima
volta che ero stata in quell’arena, infuriava una guerra, la
prima dove i
droidi distruttori dei Separatisti e i cloni, all’epoca al
servizio della
Repubblica, si erano scontrati. La vita di due Jedi e la mia era stata
salvata
dall’intervento propizio degli Jedi che erano arrivati con un
esercito intero
per combattere il conte Duko.
Quella
volta però non erano due eserciti a fronteggiarsi su
quell’arena, ma solo due
uomini e due spade laser che si colpivano e schivavano con
un’abilità
consumata. Il cuore mi balzò in gola riconoscendoli. Uno dei
due, era Obi-Wan,
che si batteva con una tecnica affinata negli anni e per niente
intaccata
dall’età. L’altro, armato di una spada
rossa come la collera che lo animava,
era colui che avevo temuto di rincontrare. Anakin, anche se di lui
sembrava non
essere rimasto che l’aspetto dalla furia cieca con cui si
muoveva.
Per
ironia del destino, quell’arena sembrava aver riportato in
scena i tre
protagonisti dell’ultima battaglia che aveva visto, ma i
ruoli non potevano
essere più diversi dall’ultima volta. Il maestro e
il suo allievo, quasi più un
padre e un figlio, si battevano in un duello mortale, animati dal
rancore e
dalla delusione reciproci, ed io mi ritrovavo a fissare il mio unico
amico e
mio marito combattersi tra loro, sapendo di dovermi schierare da una
delle due
parti.
Pur
con tutta la sua bravura, Obi-Wan era visibilmente in svantaggio. Si
limitava a
parare e ad arretrare dinanzi agli assalti di Anakin, il quale non
retrocedeva
di un passo. Sgomenta, mi domandai se davvero sarebbe stato capace di
ucciderlo, giunti alla fine del duello. Il mio Anakin avrebbe rischiato
la vita
per il suo maestro, ma il Sith fin dove era capace di spingersi?
Decisi
che non gli avrei dato l’occasione per dimostrarmelo. Sarei
intervenuta prima.
Facendo appello a tutta la mia forza d’animo, alzai la
pistola mentre la
navicella si abbassava ancora di più. Sapevo che ci avevano
visto, ma i due
Jedi erano talmente concentrati nello scontro che nessuno dei due ci
aveva
analizzato abbastanza per capire chi dei due eravamo venuti ad aiutare,
il che
mi dava tempo per prendere la mira con calma. Il cuore mi tremava ma la
mano
era ferma. Doveva esserlo, avrei mirato alle gambe di Anakin, anche se
ero certa
che con i sensi sviluppati degli Jedi lui avrebbe percepito e parato il
colpo,
non avrei mai rischiato di puntare a una parte vitale. Non volevo
nemmeno
ferirlo, il mio scopo era quello di distrarlo per dare il tempo
sufficiente ad
Obi-Wan di allontanarsi, accorgersi di noi e saltare sulla nave.
Avrei
sparato a mio marito, ma lo facevo per salvare un amico e per salvare
Anakin da
se stesso. Gli avrei tolto la possibilità di compiere un
gesto per il quale
sapevo che si sarebbe pentito per tutta la vita, anche se adesso,
accecato
dalle bugie di Palpatine, non lo avrebbe mai ammesso.
Lo
faccio per
noi, Ani.
Il
colpo partì. Mi si bloccò il respiro per un
istante, mentre aspettavo di vedere
cosa sarebbe accaduto. Come a rallentatore vidi Anakin voltarsi
immediatamente
verso la direzione del colpo e, come avevo previsto, pararlo senza
difficoltà.
Allora, sicura di non averlo ferito, rilasciai il respiro, ma fu il
sollievo di
un attimo, prima di incrociare due iridi sgomente che mi bruciarono
l’anima.
I
nostri sguardi si incontrarono ed io lessi lo stupore e il dolore del
tradimento nei suoi occhi e ne fui distrutta. Dal suo punto di vista,
io, sua
moglie, gli aveva sparato per proteggere Obi-Wan. Mi resi conto che
anche se
non lo avevo ferito fisicamente, gli avevo inferto una cicatrice molto
più
profonda nell’animo. Mi chiesi se prima o poi sarebbe
riuscito a capire il
perché del mio gesto e a credere che lo avevo fatto per lui.
Sarebbe riuscito a
comprendermi e perdonarmi? Ma c’era dell’altro
oltre l’ira, lo intuivo più che
vederlo nel retro del suo sguardo. Uno struggimento, un bisogno
disperato…o mi
stavo immaginando tutto?
Il
braccio di un soldato mi circondò la vita e mi spinse
all’interno della
navicella, rompendo quel contatto visivo che mi stava scavando dentro.
Poco
dopo un rampino si attaccò alla base del portellone. Tre dei
soldati corsero ad
afferrare la corda sulla quale il maestro Jedi si stava arrampicando.
Quando
Obi-Wan fu issato sulla navicella, il portellone fu richiuso e Guiwo
inserì
senza esitazione le coordinate per Giano. Nessuno osò dire
nulla, tesi alla
prospettiva di avere le navi dell’Impero alle calcagna. Ma
dopo un quarto d’ora
di navigazione spedita verso il nostro rifugio, fu chiaro che nessuno
ci stesse
inseguendo. A quel punto tutti tirammo un sospiro di sollievo.
Lanciai
a Obi-Wan un’occhiata carica di sollievo che lui
ricambiò a pieno. Non sapevo
come, ma ce l’avevamo fatta. Eravamo riusciti a sottrarre lo
Jedi sotto il naso
dell’Impero con solo una decina di soldati. Probabilmente ci
eravamo riusciti
solo perché ci avevano sottovalutato. Nessuno aveva previsto
che saremmo stati
così avventati da correre in suo soccorso in evidente
inferiorità numerica,
pensando che avremmo lasciato lo Jedi al suo destino e questa era stata
la nostra
carta vincente.
“Stai
bene?” chiesi, facendo scorrere lo sguardo sulla figura
evidentemente provata
dell’uomo.
Obi-Wan
annuì, massaggiandosi il petto. “Solo qualche
ferita superficiale. Più che di
un dottore ho bisogno di una buona dormita.”
Minimizzò, anche se intuii che mi
stava mentendo. Prima che potessi continuare a indagare però
mi chiese come fossimo
riusciti a intervenire così tempestivamente. Gli raccontai
della falsa pista
lasciata per Diegora e della trappola tesa per lui e il maestro
annuì con aria
grave, confessando che lui stesso si era reso conto
dell’inganno solo quando
aveva trovato vuoto il server centrale.
“Siamo
stati degli stupidi, non possiamo permetterci un errore simile
un’altra volta”
affermò con amarezza.
Concordai
annuendo, anche se al momento erano altri i pensieri che mi
tormentavano. Lo
spettacolo a cui avevo assistito era stato già fin troppo
scioccante di per sé,
eppure sentivo il bisogno di sapere altro su… lui. Il
masochismo evidentemente
non conosceva limiti.
“Obi-Wan,
credi che…” mi interruppi, cercando di formulare
una frase coerente che desse
voce al turbine delle mie riflessioni. “Credi che sarebbe
andato fino in fondo
nel duello?” riuscii a dire infine.
Lo
Jedi sospirò e il suo sguardo si perse a fissare il
pavimento della navicella,
quasi cercasse sul metallo una risposta al mio interrogativo.
“Sinceramente
non lo so Padmé. Anakin non lo avrebbe fatto, ma il ragazzo
con cui mi sono
scontrato era un’altra persona…è
un’anima persa in questo momento. Ha tanta
rabbia e tanto dolore dentro l’animo e non sa dove
indirizzarli per sfogarsi.
Ha bisogno di pace, di qualcosa che lenisca il suo tormento e crede che
sconfiggere noi gli darà il sollievo che cerca, o per lo
meno di questo lo ha
convinto l’ex-Cancelliere. Non sa che si sta sbagliando,
è accecato dai suoi
errori”. Considerò amaramente.
Ripensai
alla fugace impressione che avevo avuto quando ci eravamo fissati, allo
struggimento che credevo di aver scorto. Obi-Wan aveva ragione. Era
un’anima
persa. Il cuore mi si strinse ancora di più.
Oh
Ani…
*
Le
mani gli prudevano. Sentiva il bisogno di uccidere qualcuno, o quanto
meno di
ferirlo molto gravemente. Quello che era successo aveva un responsabile
e
l’avrebbe pagata cara. Il suo piano ben congegnato era
sfumato tutto a causa di
un’unica persona e quando l’avrebbe avuta tra le
mani, avrebbe rimpianto
amaramente le sue decisioni.
“Mio
Signore, ecco la spia dei Ribelli”. Uno dei cloni
entrò nella stanza
rettangolare tenuta in penombra, trascinando malamente per un braccio
un uomo
sulla trentina di corporatura esile che scaraventò
all’interno.
L’uomo
fu fatto sedere sull’unica sedia posta al centro della
stanza.
Anakin,
appoggiato alla parete opposta alla porta con le braccia conserte, si
staccò
dal muro entrando nel piccolo cono di luce della lampada posta al
centro del
soffitto, mostrandosi davanti alla sua vittima che cercava di mantenere
un
atteggiamento composto nonostante l’evidente tremolio delle
mani rivelasse la
sua paura. Sapeva di essere condannato. Nessuno tradisce
l’Impero restando
impunito.
Lo
squadrò per un istante. Non rammentava di averlo visto prima
a bordo della sua
nave, era stato abile a passare inosservato, finché non era
stato beccato dalle
telecamere di sorveglianza mentre inviava un messaggio ai Ribelli
rivelandogli
il loro piano su Geonosis. Un errore da principiante, probabilmente
causato
dall’urgenza del contenuto del messaggio. Con la sua mossa
aveva consentito
alla Resistenza di salvare Obi-Wan, purtroppo per lui gli sarebbe
costata la
vita.
“Come
ti chiami?” la voce di Anakin suonò secca come uno
schiocco di frusta.
Il
pover’uomo sobbalzò, tuttavia riuscì ad
avere abbastanza presenza di spirito da
rispondergli con arroganza. “Che differenza fa sapere come mi
chiamo? Sono
comunque un uomo morto”.
Il
Sith si lasciò sfuggire per un secondo un sorriso vagamente
divertito dalla
risposta impertinente. Avanzò di un passo, portandosi
davanti a lui, le braccia
tenute dietro la schiena con noncuranza.
“Vero”
concordò “ma sono certo che per te farebbe
un’enorme differenza morire di una
morte veloce e quasi misericordiosa e morire dopo una lenta e
prolungata agonia
per nascondere qualche piccola informazione”
osservò con una calma che rese la
minaccia ancora più temibile.
Il
Ribelle deglutì a vuoto e iniziò a sudare freddo.
Sapeva perfettamente quanto
l’Impero potesse essere zelante nel torturare un uomo per
ottenere ciò che
voleva. Era pronto a morire per la sua causa, ma quanto a lungo poteva
resistere alla tortura?
“E…Ezac”
balbettò.
Il
Sith soppesò l’uomo, chiedendosi se avrebbe ceduto
così facilmente anche al
resto dell’interrogatorio. Una parte di lui si augurava di
no. Aveva davvero
bisogno di sfogare la collera che proprio quel patetico essere aveva
causato.
“Bene
Ezac, ora sei consapevole che con il tuo messaggio hai mandato a monte
un piano
studiato e messo in atto da me in persona? Questo già di per
se meriterebbe una
giustizia lenta ed esemplare” Ezac tremò ancora di
più sulla sedia, mentre la
voce fredda di Anakin proseguiva impietosa. “Tuttavia voglio
essere generoso,
mi serve solo un’informazione da te, dammela e ti prometto
una morte rapida e
indolore.” Il ragazzo si avvicinò al prigioniero
fino ad arrivargli a distanza
di un passo. Lo squadrò dall’alto, senza
preoccuparsi di celare il disprezzo
che nutriva per quel Ribelle traditore. “Su quale pianeta si
nasconde la
Resistenza?”.
La
domanda aleggiò nella stanza buia mentre vittima e
carceriere si
fronteggiavano, il primo sostenuto dall’ultima cosa che gli
era rimasta e che
non voleva perdere, la fedeltà alla sua causa,
l’altro dalla tenacia della sua
missione, una tenacia che non avrebbe accettato ostacoli.
Passarono
una manciata di minuti in silente attesa, l’aria si
impregnò di tensione ma
nessuno proferiva parola seppur oppresso dalla consapevolezza di cosa
sarebbe
accaduto da lì a poco. Poi, quando fu chiaro che Ezac non
avrebbe parlato di
sua spontanea volontà, Anakin interruppe quel silenzio.
“Uscite”
un ordine secco immediatamente eseguito dai soldati che non avevano
alcun
desiderio di assistere all’epilogo di quello sventurato. Uno
degli uomini
scosse sin la testa, provando un moto di pena. Nessuno di loro avrebbe
osato
mettersi contro Darth Vader, quel Ribelle non sapeva a quale sorte il
suo
orgoglio lo avrebbe condotto.
Anakin
fece un profondo sospiro, considerando quanto stupidamente quel gruppo
di
fanatici fosse devoto alla sua causa per rifiutarsi di parlare persino
sapendo
di non aver più nessuna speranza di salvezza. Pazienza, lui
avrebbe comunque
avuto le informazioni che gli servivano.
E,
alla fine, avrebbe sfogato parte della sua frustrazione.
Una
mezz’ora più tardi, la porta d’acciaio
della stanza dell’interrogatorio si
aprì. I soldati che attendevano da mezz’ora in
tensione, scattarono
sull’attenti. Darth Vader uscì a passo deciso e li
squadrò brevemente. Alle sue
spalle, una stanza buia da cui proveniva un silenzio di morte, dopo che
era
stata riempita dalle urla strazianti di una sciagurata vittima. Ezac
aveva
resistito mezz’ora, poi era crollato a pezzi. La risposta
tanto conservata era
stata l’ultima cosa che aveva potuto pronunciare in un
rantolo.
Anakin
richiamò l’attenzione di Cordet con uno sguardo.
“Voglio
dieci navi pronte a partire tra tre giorni. Andiamo a Giano.”
Decretò, poi si
incamminò nel corridoio verso la sua stanza.
Per
la prima volta da giorni sentiva una strana euforia pervadergli le
membra.
Giano. Finalmente aveva la tana della Lega Galattica della Resistenza!
Li
avrebbe stanati come topi, avrebbe estirpato la ribellione dalle radici
e
finalmente avrebbe imposto con l’Imperatore la pace che tutti
loro volevano. Ma
soprattutto, avrebbe ritrovato lei. Sapeva che era là con
loro a combattere per
il ritorno della Repubblica. Per tutti quei mesi aveva vagato senza
meta nella
Galassia inseguendola, ma ora aveva una destinazione sicura. Solo tre
giorni lo
separavano da lei.
Cosa
avrebbe fatto una volta riavuta accanto a sé, ancora non lo
sapeva. Il ricordo
di Padmé sulla navicella, con la pistola laser puntata
contro di lui, lo rodeva
dentro. Non capiva come avesse potuto fargli una cosa del genere.
Sapeva che lo
amava, glielo aveva letto negli occhi persino mentre posava
l’arma, eppure gli
aveva sparato ugualmente. Per proteggere Obi-Wan poi,
l’artefice principale della
loro separazione! Lo amava, ma lo aveva tradito, e anche se sapeva che
non aveva
mirato per ferirlo ma solo per distrarlo dal duello, bruciava comunque
come carboni
ardenti nel suo cuore, incenerendolo. Eppure non poteva odiarla per
questo. Non
avrebbe mai potuto odiarla, qualunque cosa avesse commesso. Lei era il
suo angelo,
la sua salvezza. Aveva bisogno di lei. Però meritava la sua
rabbia e il suo biasimo
per essersi schierata contro di lui. Ma l’avrebbe riportata
al suo fianco, le avrebbe
aperto gli occhi sulla verità che lui aveva imparato ad
accettare da tempo. E non
l’avrebbe mai più lasciata andare.
Padmé,
sto
venendo a prenderti.
|
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Capitolo 5 *** 4_Il nemico e l'amante ***
Ciao
a tutti! Lo so, ormai mi davate per dispersa ma sono riuscita
finalmente ad aggiornare! Scusate se ci metto tanto ma il tempo che ho
a disposizione per scrivere è veramente poco in
più c'è stato un calo di ispirazione che
però è stato colmato :-) spero almeno che la
vostra paziente attesa sarà in parte ripagata e che il
capitolo vi piaccia! Scusate ancora! Un grazie a tutti coloro che
leggeranno e a quelli che hanno messo la mia storia tra le seguite e/o
le preferite! Un grazie speciale a the
best (Grazie mille per la tua recensione! Ci ho messo una
vita a pubblicare questo 4 capitolo scusa, ma spero davvero che ti
piaccia!! Sono curiosa di sapere cosa ne pensi :-)!), a Cleo_Sam (grazie,
sono contenta che la storia finora ti sia piaciuta, spero che questo
capitolo non ti deluda ;-)!) e a roby626
(grazie mille per la tua recensione! Ti capisco, anche se sapevo come
sarebbe andato a finire il film, ci sono rimasta malissimo anch'io
nell'ultima scena, lei che muore, lui che diventa Darth Vader,
è stato ingiusto! Infatti ho iniziato a scrivere questa
storia per avere una piccola soddisfazione almeno nella fantasia e
vederli felici :-) comunque purtroppo sono molto lenta ad aggiornare ma
non ho abbandonato la storia ;-) spero portiate pazienza XD ps. ho
cercato di essere più attenta con l'ortografia, spero ci
siano meno errori, grazie per la segnalazione :-) sono curiosa di
sapere cosa ne pensi di questo capitolo, mi auguro ti piaccia :-)! ).
BUONA LETTURA A TUTTI!
Vedere
Luke e Leila ridere sdraiati sul soffice tappeto della nostra camera,
era una
gioia che non aveva mai fine. Avrei potuto passare delle ore intere a
guardarli
osservare il mondo con i loro occhi pieni di stupore per ogni cosa.
Erano
ancora troppo piccoli per gattonare, ma già riuscivano a
stare seduti senza
appoggiarsi a un sostegno. Voltavano il loro piccolo capo a destra e
sinistra,
inseguendo il pupazzetto che Vivian e io facevamo volteggiare sopra le
loro
teste e allungavano le manine come per afferrarlo. Erano una meraviglia.
All’improvviso
però, un suono prolungato mi riportò bruscamente
alla realtà. Sia Vivian che io
ci immobilizzammo, cercando di capire la fonte del rumore. Era una
sirena che
risuonava da ogni angolo del palazzo. Ghiacciai sul posto, mentre
Vivian mi
lanciò un’occhiata terrorizzata. La bolla si era
infranta. Era il segnale di
allarme.
Scattai
in piedi come una molla e presi in braccio Luke, urlando alla ragazza
di
prendere Leila. Insieme ci dirigemmo verso la porta ma facemmo appena
pochi
passi che fummo raggiunte da Taomar. Era pallido e aveva gli occhi
sgranati.
“Senatrice,
stanno per attaccarci, dobbiamo fuggire subito” mi
informò senza perdersi in
preamboli.
Un
brivido mi percorse, mentre un presentimento si faceva strada in me.
“Chi ci
sta attaccando?” chiesi, mentre ci dirigevamo correndo verso
la pista di
decollo. Accanto a noi sfrecciavano in ogni direzione i pochi abitanti
che
avevano trovato asilo nel palazzo di Taomar, tutti diretti verso la
nostra
meta, ansiosi di raggiungere la prima navicella disponibile.
“La
flotta imperiale, senatrice. Non ho idea di come abbiano fatto a non
essere
avvistati dalle nostre sentinelle, ma tra meno di dieci minuti saranno
qui”. La
voce del pover’uomo suonava come una sentenza a morte.
Dieci
minuti…avevamo solo dieci minuti per raggiungere una nave e
metterci in salvo!
Era impossibile, anche fossimo riusciti a salire a bordo, come avremmo
potuto
sfrecciare via sotto il naso dell’Impero? Eppure aumentai la
corsa, come se
davvero avessimo qualche speranza di scappare.
“Come
hanno fatto a scoprirci?” gridai per sovrastare il rumore che
la folla di
fuggiaschi attorno a noi stava creando.
“Non
lo so, siamo stati molto attenti con le trasmissioni, l’unica
spiegazione
logica potrebbe essere che hanno scoperto la nostra seconda spia e che
Ezac non
abbia resistito all’…” un boato
interruppe la frase di Taomar. Le mura del
palazzo tremarono fino alle fondamenta e fummo costretti a fermare la
nostra
corsa. Il cuore mi rimbalzò in gola. Erano arrivati prima
del previsto e
avevano iniziato a bombardare il nostro rifugio.
Un
altro boato. Il pavimento tremò. Questa volta non riuscii a
tenermi ferma e
sbattei contro il muro. Per fortuna riuscii a colpirlo di spalle,
proteggendo
il piccolo Luke che tenevo in grembo. Sia lui che la sorella iniziarono
a
piangere, spaventati da quei rumori assordanti.
“Lady
Amidala, state bene?” Vivian mi si avvicinò
preoccupata, cercando
disperatamente di calmare Leila.
“Non
preoccuparti per me, preoccupati solo della bambina!” le
urlai cercando di
sovrastare il rumore di una terza esplosione. “Taomar,
dobbiamo raggiungere la
navicella!” dissi poi rivolta all’uomo.
Questi
mi guardò quasi con compassione, ma mi assecondò,
non avendo il coraggio di
dirmi quello che purtroppo ben sapevo. Non avevamo scampo.
Riprendemmo
la nostra corsa verso la pista di decollo. Molte altre persone ci
stavano
seguendo, forse attaccati alla stessa folle speranza, o
incapacità di
arrendersi, che avevo io. Giunti alla pista, ci precipitammo
giù per le scale
che separavano l’ingresso dalla zona del decollo, diretti
verso la prima nave.
Appena scesi, ci ritrovammo circondati da una folla di gente disperata
che
spintonava e urlava cercando di raggiungere l’ingresso di una
delle navicelle. Cercai
di tenere in braccio Luke con una mano sola e con l’altra
afferrai quella di
Vivian, terrorizzata di perdere lei e la bimba in mezzo a quella
fiumana
impazzita. Per un secondo mi prese il panico, temendo di non riuscire a
raggiungere la navicella dopo tutta la fatica fatta per arrivare fin
lì. Poi
giunse una seconda consapevolezza, ben più funesta della
prima ma di una
certezza così assoluta da impormi comunque uno stato di
calma. Tutte quelle
persone che si accalcavano e lottavano per la speranza di salire a
bordo di una
nave, tutte le donne, gli uomini e i bambini presenti su quella pista,
me,
Vivian e Taomar compresi, eravamo delle prede in trappola. Non
c’era salvezza
per nessuno di noi. Eravamo al pari di topi impauriti che cercavano di
scappare
da morte certa.
Un
rumore metallico provenne dalle porte dell’hangar. Qualcuno
aveva azionato il
portellone per aprirsi. Tutti si azzittirono, accecati dalla luce del
giorno
che prepotente inondò lo spazio distogliendoli dalla loro
corsa. Una
cinquantina di teste di voltarono verso l’apertura. Strizzai
gli occhi,
accecata momentaneamente dalla luce improvvisa. Ma quando la mia vista
si
abituò a quella luminosità, avrei voluto tornare
ad essere cieca. Lo spettacolo
che mi si parò davanti era terrificante.
Cinque
navi della flotta imperiale ci aspettavano pronte a far fuoco davanti
all’ingresso dell’hangar.
La
nave centrale avanzò di poco superando l’ingresso
quel tanto che bastava per
poter aprire il portellone e far scendere una trentina di cloni armati.
Tutti
con la stessa divisa bianca, tutti con la stessa arma carica, tutti
orribilmente
creati per seguire gli ordini di un folle ciecamente. Mentre si
disponevano in
fila davanti a noi tenendoci sotto mira, in una tacita intimazione a
non
muoverci, una figura vestita completamente di nero spiccò
per la sua diversità,
non solo rispetto ai cloni, ma anche rispetto a qualsiasi altro
presente in
quella stanza.
Mi
mancò il fiato, mentre il presentimento che avevo avuto si
concretizzava. Chi
altri poteva guidare l’attacco contro di noi? Solo lui. Darth
Vader.
Un’aurea
di timore lo avvolgeva più oscura del mantello che
ondeggiava ad ogni passo
deciso che lo conduceva al centro della fila dei suoi cloni. La postura
era
eretta, i lineamenti duri sembravano scolpiti nel ghiaccio e incutevano
la
paura persino di guardarlo. Ma i suoi occhi erano ciò che
colpiva di più.
Sembrava che provasse un totale disinteresse per qualsiasi cosa su cui
si
posassero, come se non ci fosse una folla azzittita e terrorizzata
davanti a
lui, ma il nulla. Vagavano da un lato all’altro della stanza
come se guardasse
unicamente dei fantasmi, in cerca di altro.
Poi
un fulmine di comprensione mi illuminò su cosa stesse
così freneticamente
cercando. Voleva me. Se l’Impero era venuto a stanare il
focolaio dei ribelli,
lui era venuto a prendere me.
Vederlo
in quelle vesti mi mandò completamente in confusione.
Davanti a me, vedevo il
Sith che sapevo non si sarebbe fatto scrupoli a uccidere tutta quella
gente per
ordine dell’Imperatore, il Sith che mi incuteva paura e da
cui ero scappata in
tutti quei mesi. Il Sith da cui avevo salvato Obi-Wan e da cui cercavo
di
proteggere i miei figli. Eppure…quel viso era quello di
Anakin. L’Anakin che
sapevo avrebbe sfidato l’intera Galassia pur di sapermi al
sicuro, l’Anakin che
mi aveva fatta sentire amata tra le sue braccia. L’Anakin che
era il padre di
quei figli che volevo proteggere.
Come
potevano essere la stessa persona due figure così opposte?
Era una scissione
che non potevo comprendere e che mi dilaniava.
Come
se fosse stato attratto da una calamita invisibile, i suoi occhi infine
si
posarono su di me, trovandomi anche in mezzo a quella ressa. Senza
curarsi di
nessun altro, puntò dritto nella mia direzione. I presenti
si spostarono
immediatamente, aprendo un corridoio umano per lasciarlo passare, quasi
avessero
paura di entrare anche solo nella sua scia. Il cuore prese a battermi
in petto
talmente forte che temetti quasi potesse cedere. Non riuscivo a
formulare
nessun pensiero coerente, nessuna frase. L’unica cosa di cui
avevo
consapevolezza erano i suoi occhi che sembravano volermi trapassare
l’anima con
un’intensità tale da rendermi difficile decifrare
quale sentimento al momento
provasse.
Quando
mi fu a meno di un metro di distanza, si fermò ed io mi
costrinsi a non
indietreggiare. Lanciò un’occhiata al bambino che
stringevo tra le braccia, ma
fu solo la distrazione di un attimo. Mi chiesi velocemente se avesse
capito chi
fosse e se avesse provato qualcosa ma non ci fu il tempo per altre
considerazione perché, finalmente, mi parlò.
“Va’
a prendere le tue cose, vieni via con me”.
La
durezza nella sua voce mi trapassò più di una
spada. Anakin non mi aveva mai
parlato così, perentorio e autoritario. Mi aveva dato un
ordine che non
ammetteva repliche. Un ordine… dopo mesi di lontananza. Il
mio animo si accese
di ribellione e mi chiesi per un attimo quali possibilità
avessi. Poi però mi
resi conto che la strada che potevo percorrere era una soltanto. Quella
di
seguirlo.
La
cosa che più mi preoccupava mentre mi voltavo per farmi
largo tra la calca che
ci fissava ammutoliti, era però quel calore nel cuore che
leniva l’umiliazione
della sconfitta e che non riuscivo a estinguere. Perché se
il tono freddo era
stato pronunciato dal Sith, il fuoco che gli aveva illuminato gli occhi
quando
infine mi si era avvicinato... era di Anakin. Ed era un richiamo a cui
non
potevo restare indifferente.
*
Stelle
e pianeti scivolavano fuori dal finestrino della stanza buia. Piccoli
punti
luminosi su un manto scuro che rimanevano alla vista la durata di un
attimo
prima di perdersi nell’immensità di quello spazio.
Esattamente come i miei
pensieri, che scorrevano frenetici e troppo veloci perché
potessi soffermarmi
abbastanza su di uno e comprenderlo appieno.
C’erano
così tante domande, tanti dubbi, paure, osservazioni. La
più innocua, quella su
cui cercavo di focalizzarmi per evitare di andare su ben altri
pensieri, era
inerente alla nostra destinazione. Dove stava andando a tutta
velocità la nave
da guerra dell’Imperatore? Un pianeta non troppo lontano dove
potersi
rifornire? Oppure stavamo andando a Corruscant, la capitale
dell’Impero? Avrei
preferito di gran lunga rivedere la vecchia sede del Senato e i suoi
palazzi
tra le nuvole anziché ritrovarmi a bordo della Morte Nera.
Quella era la meta
che più temevo. L’idea di ritrovarmi su quella
nave portatrice di morte mi
terrorizzava. In più aveva paura che una volta a bordo di
quella fortezza
orbitante non sarei più riuscita a uscirne. Sarebbe stata
per me una prigione
inespugnabile, non c’era nessuna speranza che Obi-Wan e Yoda
sarebbero riusciti
a portarmi via da lì.
Obi-Wan
e Yoda…
Il
loro nome risuonò nella mia mente come una campanella
dell’ultima speranza. Per
me, per la Resistenza e per la Galassia intera. Erano rimasti solo loro
là
fuori a difendere il ricordo della libertà perduta.
Grazie
a qualche disegno del destino benevolo i due Jedi non si trovavano a
Giano
quando eravamo stati attaccati dalla flotta imperiale. Anzi, erano su
un
pianeta ben lontano, Golbia 7, a cercare di fondare una nuova base per
la
nostra Lega con l’aiuto del senatore Jewis, un fervente
sostenitore della
Repubblica.
Mi
lasciai sfuggire un sospiro di sollievo a quel pensiero. Rabbrividii
alla sola
idea della loro cattura. Se fossero stati a Giano, a
quest’ora probabilmente
sarebbero già stati giustiziati e ogni nostra speranza di
ribellione sarebbe
morta con loro.
La
mia mente saltò per associazione ad altre cinquanta persone
che erano state
prese con me sulla pista dell’hangar. Cosa era successo loro
quando me ne ero
andata scortata da cinque cloni? Sperare che le avessero lasciate
andare era
utopistico e l’idea che potessero essere state tutte
giustiziate all’istante
era talmente orribile da risultare inconcepibile. C’erano
anche dei bambini in
quello sciagurato gruppo! Potevo solo augurarmi che fossero stati fatti
prigionieri, una posizione di stallo da cui potevano ancora essere
salvati.
Pensai soprattutto al povero Taomar e a Vivian. Lei l’avevano
lasciata venire
con me, ma una volta salite sulla nave ci avevano fatte separare e non
avevo
idea di dove la avessero condotta. Mentre Taomar faceva parte del
gruppo dalla
sorte ignota. Non sapevo di che informazioni potesse disporre
l’Impero, se
sapeva quale fosse il ruolo di Taomar nella Ribellione. Potevo solo
augurarmi
che fossero all’oscuro del fatto che era stato lui a fornirci
una base su cui
nascere e operare o lo avrebbero ucciso immediatamente.
Ed
io…?
La
vocina nella mia testa passò ad un altro collegamento. La
mia sorte quale
sarebbe stata? Era la seconda delle domande difficili che mi sforzavo
di non
formulare.
Sospirai
appoggiando la fronte al vetro. Ero seduta su un divanetto posto sotto
il vano
della finestra in una stanza quadrata e angusta. I cloni mi avevano
condotto là
assieme ai miei figli appena salita a bordo. Non era una prigione,
doveva essere
una delle tante stanze degli ufficiali della nave, ma non era
certamente tra le
più accoglienti. Le pareti in metallo nere rendevano
l’ambiente freddo e il
mobilio consisteva in un letto a due piazze, che occupava quasi tutto
lo spazio
e sulla quale ora riposavano placidamente i bimbi, e una lunga panca
accanto
alla parete a sinistra della porta di ingresso su cui avevo appoggiato
le due
borse che contenevano pochi effetti personali miei e dei gemelli. Una
porticina
sulla destra dava accesso a un bagno. Aveva il minimo indispensabile ma
ero
comunque grata di quel piccolo lusso.
Il
fatto di non essere stata portata in prigione assieme agli altri mi
metteva in
una posizione diversa da loro, eppure la porta era chiusa
dall’esterno. Come
dovevo considerarmi? Una prigioniera Ribelle? Un ostaggio politico?
Come
mi
considerava Anakin?
Eccola,
la domanda numero uno. Quella che premeva per uscirmi di bocca e
tormentarmi
lentamente. C’erano troppi fatti contrastanti tra loro.
Sapevo che Anakin si
sentiva tradito da me, soprattutto dopo il mio salvataggio di Obi-Wan.
Ma
sapevo anche che quel “vieni via con me” non era
l’ordine di un nemico contro
un’avversaria sconfitta. Era la richiesta di un marito che
rivoleva indietro la
moglie.
Ma
chi dei due sarebbe prevalso? Là su quella nave non era
l’Anakin che mi aveva
corteggiata a Naboo, era il Sith che stava conquistando
l’universo come braccio
destro dell’Imperatore. Quante speranze avevo di far
prevalere il mio Ani
dentro quella nave?
“…purtroppo
Yoda e Kenobi non si travavano su Giano al nostro arrivo. Ho lasciato
la
retroguardia sul pianeta ma dubito che torneranno là. La
notizia del nostro
assalto si sarà già diffusa in tutta la
Galassia”.
In
postura eretta davanti all’ologramma
dell’Imperatore, Darth Vader stava concludendo
il rapporto della conquista di Giano avvenuta qualche ora prima.
“Ha
poca importanza, abbiamo distrutto la loro principale base operativa,
saranno
nel completo scompiglio e noi abbiamo dimostrato la nostra schiacciante
superiorità contro quegli stolti. Hai fatto un buon lavoro,
Lord Vader”. Si
complimentò Darth Sidius, minimizzando la mancata cattura
dei due Jedi. Sapeva
che due singoli individui non avrebbero potuto fare nulla contro la
potenza
dell’Impero, era l’unione dei pianeti ribelli che
temeva, la forza della massa.
Ma aveva buone ragioni di credere che l’attacco nel cuore
della Lega avesse
inferto una dura batosta alle certezze di chiunque avesse osato opporsi
a loro
pensando di poterli sconfiggere. Probabilmente, in quello stesso
momento molti
dei pianeti che aveva appoggiato i Ribelli ora li stavano abbandonando,
temendo
di essere i prossimi bersagli nel mirino della loro epurazione. Obi-Wan
Kenobi
e Yoda sarebbero rimasti soli e sarebbero diventati una minaccia nulla.
“Inoltre
sei riuscito a catturare una prigioniera altrettanto importante, la
Senatrice
Amidala” aggiunse con un ghigno soddisfatto.
Al
contrario, i lineamenti di Anakin si indurirono a quelle parole.
“Con tutto il
rispetto, maestro, Padmé Skywalker non è una
prigioniera di guerra, né una Senatrice
della Repubblica. Nel nuovo Impero, è mia moglie”
ribatté duro, nominandola per
la prima volta con il suo nome da sposata, come avrebbe voluto poter
fare da
quando avevano pronunciato i voti, se non fosse stato per
quell’ingiusto codice
Jedi.
Il
Sith proruppe in una risata rauca. “Certo, mio giovane
apprendista. Ma ti
consiglio di rendere chiaro questo concetto a tua moglie per prima o
devo
ricordarti con chi si è schierata in questa guerra? Non
è stata fedele
all’Impero e nemmeno a te, preferendo fidarsi del maestro
Kenobi”.
L’osservazione
crudele, seppur lasciata cadere con studiata leggerezza, si
insinuò nell’animo del
giovane come una stilettata. Tuttavia la sua espressione di marmo non
diede la
soddisfazione all’Imperatore di fargli vedere che aveva
colpito nel segno.
“Gli
Jedi sono riusciti a manipolarla fino ad ottenebrarle il giudizio.
Basterà
farle aprire gli occhi per vedere il giusto fine delle nostre azioni
affinché
si convinca a unirsi alla nostra causa, non ho dubbi a tal
proposito” la difese
convinto.
Lord
Sidius annuì, preferendo chiudere l’argomento
sulla ragazza. In verità dubitava
che il suo giovane apprendista sarebbe riuscito a piegare la fede cieca
nella
Repubblica che aveva Amidala. Conosceva la Senatrice da una vita, aveva
dedicato tutta la sua esistenza alla difesa del diretto alla
libertà di ogni
pianeta. Le sue convinzioni non erano manipolate dagli Jedi, come
sosteneva -
mentendo probabilmente persino a se stesso - il giovane, erano idee che
aveva
radicate nella sua mente da anni. Fargliele cambiare era impossibile.
Ma
sinceramente, finché Anakin avesse saputo tenere a bada
Padmé e non gli avesse
creato problemi, le convinzioni politiche di una ragazza non erano di
alcun
interesse per lui.
L’ologramma
si dissolse facendo tornare la stanza della trasmissioni in una
semi-oscurità. Anakin
si appoggiò alla parete dietro di lui e si passò
una mano sul viso. Le parole
dell’Imperatore giravano il coltello in una piaga che
sanguinava da mesi e
anche se davanti a lui l’aveva difesa, non riusciva in cuor
suo a perdonarla
del tutto per il suo tradimento.
Aveva
condotto Obi-Wan da lui su Mustafa. Era scappata con lui, sottraendogli
in un
colpo sua moglie e il figlio che portava in grembo. Aveva messo in
piedi
un’organizzazione interplanetaria con il solo scopo di
contrapporsi a loro. E
gli aveva sparato per salvare uno dei suoi principali nemici.
Come
poteva perdonarla?
Eppure,
la amava lo stesso. E ora era lì, su quella nave, a pochi
metri da lui. Ma
invece di riempirlo di gioia come aveva sperato, ciò lo
gettava nello
scompiglio più totale. Come doveva comportarsi? Da un lato
sarebbe voluto
correre ad abbracciarla e dirle quanto gli era mancata. Ma
dall’altro…non
poteva ignorare tutto quello che era successo da quando aveva scelto di
schierarsi dalla parte degli Jedi. Per questo, nonostante avvertisse la
sua
presenza su quella nave attirarlo come il canto di una sirena, non era
ancora
andato nella sua stanza a vederla. Non sapeva come comportarsi.
Preso
dalla frustrazione, scagliò un pugno contro il muro. Basta
stupide riflessioni
o dubbi! Se fosse rimasto fermo a pensare un minuto di più
gli si sarebbero
fusi i neuroni, ne era certo. Doveva agire.
Doveva
andare da lei.
Quando
sentii il rumore metallico della porta della stanza aprirsi, seppi chi
era il
mio visitatore prima di voltarmi ad accoglierlo. Percepii la tensione
irradiarsi immediatamente nell’aria e uno sguardo pungermi la
schiena
reclamando con forza la mia attenzione.
Presi
un respiro profondo e, lentamente, mi voltai.
A
pochi metri da me, Anakin mi fissava, lo sguardo in tempesta come
quello che mi
aveva rivolto nell’hangar qualche ora prima. Il cuore
tornò a pompare tanto
forte che lo sentivo rimbombarmi nelle orecchie e con trepidazione mi
chiesi,
ora che eravamo finalmente soli, cosa sarebbe accaduto. Mi avrebbe
urlato
contro? O sarebbe corso da me ad abbracciarmi?
I
minuti passarono, con tanta lentezza che avrei potuto vedere i granelli
di
sabbia scivolare via dalla clessidra uno ad uno, ma né io
né Anakin movemmo un
passo.
Sentii
gli occhi minacciarmi di riempirsi di lacrime. Avevo sopportato tanto
in quei
mesi, le vittime della guerra, la tensione dell’esito incerto
delle nostre
missioni, l’onere di dover cercare alleati per la causa,
eppure nulla mi era
sembrato tanto insopportabile come quello. Avere mio marito a due metri
di
distanza e sentirlo lontano una galassia intera.
“Ani...”
con voce spezzata, le mie labbra pronunciarono il suo nome, ma prima
che
potessi aggiungere altro, un secondo suono si propagò per
l’aria.
Luke
si era svegliato e aveva iniziato a piangere, probabilmente spinto
dalla fame o
semplicemente perché ritrovandosi in un posto sconosciuto
voleva vedere sua
madre.
D’istinto
mi avvicinai subito a lui e lo presi in braccio iniziando a cullarlo.
Come
avevo previsto, voleva solo essere rassicurato, e difatti,
tranquillizzato
dalla mia presenza, smise subito di piangere. Intenta a preoccuparmi
del
bambino quasi non mi accorsi che Anakin si era accostato a noi. Alzai
lo
sguardo per incrociare il suo e quello che vi lessi mi sciolse il
cuore. Un
forte calore aveva scacciato la tempesta di prima, rilegandola sullo
sfondo.
Stava studiando il volto del piccolo Luke come…incantato.
Alzò una mano come
per accarezzarlo, ma poi parve ripensarci e
l’abbassò. Mi chiesi perché, era il
padre dopotutto, pensava di non aver diritto di accarezzarlo? Poi mi
resi conto
che forse non sapeva come comportarsi. Era vero che era suo figlio, ma
era la
prima volta che lo vedeva e non si diventa padri per diritto di
nascita, è una
qualifica che va acquisita giorno dopo giorno, comportandosi come tale,
e lui
per ora non ne aveva avuto il tempo.
L’incertezza
di prima si volatilizzò. Sapevo cosa avrei dovuto fare come
prima cosa. Gli
avrei presentato le due splendide creature che aveva contribuito a
mettere al
mondo.
“Lui
è Luke, ti somiglia già, sai? È forte,
riesce già a gattonare un poco. Ha i
tuoi occhi.” Gli dissi mentre mi avvicinavo piano alla
bambina. “Lei invece è…”
“Leila”
mi anticipò Anakin, spostando la sua attenzione alla seconda
creaturina che
dormiva placida tra le coperte, i pugnetti serrati vicino al capo
castano. “Te
li sei ricordati” commentò dopo.
“Come
avrei potuto scordare i nomi che avevamo scelto per i nostri figli?
Siamo stati
anche fortunati, il Fato ha voluto che potessimo usarli entrambi da
subito”
commentai, prendendo una manina di Luke per posarle un bacio.
Poi
calò di nuovo il silenzio. Anakin era immobile davanti a
Leila, le mani chiuse
a pugno come se temesse di non controllarle se non le avesse tenute
sotto
controllo. Avrei pagato oro per sapere cosa stesse pensando dietro quel
volto
imperturbabile. Mi diedi mentalmente dell’ingenua. Per un
attimo avevo sperato
che facendogli vedere i nostri figli, ogni cosa sarebbe tornata a
posto, che
avremmo potuto dimenticarmi della guerra che proseguiva là
fuori e che ci aveva
divisi.
“Hanno
bisogno di te Anakin, e anch’io. Non sai quanto è
stata dura andare avanti da
sola in questi mesi” mormorai infine piena di amarezza, dando
voce ai miei pensieri.
Aspettai
una sua reazione con il fiato sospeso, e stavolta non si fece
attendere. La
mascella del giovane si indurì e negli occhi balenarono di
nuovo i lampi della
tempesta di prima.
“Sei
tu che sei scappata da me, non ti ho lasciato io”
ringhiò, offeso. Poi si passò
una mano sul viso. “Perché sei fuggita da me?
Perché mi hai portato via i miei
figli? Padmé…tu non hai idea di quanto mi sei
mancata, giorno e notte…perché mi
hai lasciato?”
Più
che le accuse che quelle parole portavano, a trafiggermi fu il tono di
dolore
con cui vennero pronunciate. Avrei preferito una sfuriata, ero
più
psicologicamente preparata all’idea che mi urlasse contro.
Essere inondata da
quel dolore non lo avevo preventivato.
Di
colpi mi resi conto di quanto lui stesso doveva aver patito la
separazione. Se
era stata dura per me, che avevo i nostri figli di cui occuparmi e il
sostegno
dei miei amici, per lui, da solo in quel posto tetro con
l’unica amicizia di un
Sith a guidarlo, doveva essere stato insopportabile. Il cuore mi si
straziò.
Oh
Ani…
Posai
Luke sul letto e mi avvicinai a lui, ma Anakin indietreggiò
d’un passo per
mantenere la distanza, guardandomi diffidente. Incassai il colpo e
cercai di
trovare le parole giuste per difendermi.
“Anakin, non
è da te che sono scappata, ma
dall’Imperatore. Ogni ora che abbiamo passato lontani avrei
voluto che fossi
con me!” cercai di persuaderlo, ma ottenni solo un sorriso
amaro.
“Se
è vero, saresti potuta tornare da me in qualsiasi momento e
invece hai
preferito nasconderti e allearti con Obi-Wan e gli altri Ribelli per
distruggerci”
si passò una mano sul viso.
“Distruggervi?
Anakin, è l’Imperatore il nostro nemico, tutto
quello che ho fatto è cercare un
modo per riportare la Repubblica che ci è stata
ingiustamente tolta. L’ho fatto
per difendere i principi in cui ho sempre creduto e in cui credevi
anche tu.
L’ho fatto per salvare te” mi difesi prontamente.
Eccola,
la discussione dai toni accesi che sapevo sarebbe arrivata. Nella mia
mente
l’avevo già immaginata diverse volte, studiando le
parole che avrebbero potuto
ricondurre Anakin alla ragione. Farla dal vivo però era
molto più estenuante di
quanto avessi preventivato. Non avevo idea che una volta rivisto il mio
unico
desiderio sarebbe stato rifugiarmi tra le sue braccia e scordarmi della
guerra
galattica in corso. Non sopportavo l’idea che le nostre
divergenze politiche al
momento fossero così forti da costituire una barriera
insormontabile.
Il
ragazzo scosse la testa e si avvicinò alla finestra
appoggiandosi con una
spalla. “Ho aperto gli occhi sulle bugie in cui credevo
ciecamente tempo fa,
Padmé. Io sono riuscito a vedere il marcio che
c’era dietro ideali che
vendevano come puri, se mi ascoltassi ora che sei lontana dalle
influenze degli
Jedi, lo vedresti anche tu e capiresti che non è
l’Imperatore il nemico di
questa galassia” ribatté.
La
convinzione nella sua voce fece vacillare la mia speranza di riportare
a galla
l’Anakin che avevo sposato. Possibile che Palpatine avesse
affondato così a
fondo le radici delle sue menzogne?
Mi
massaggiai la fronte con le dita e mi presi un secondo per pensare.
“Ani,
non sono sotto l’influenza di nessuno, sei tu ad esserlo.
Palpatine è riuscito
a farti vedere come un nemico coloro che prima consideravi la tua
famiglia Non
puoi seriamente pensare che sia giusto che l’intera Galassia
sia soggiogata da
un solo uomo che si è auto nominato Imperatore. Non
c’è più libertà in questo
universo!” cercai di ragionare con calma. Forse se fossi
riuscita a farlo
riflettere sulle ingiustizie che si stava perpetuando, con
razionalità potevo
indurlo almeno a mettere in dubbio le sue posizioni. La sua reazione
però mandò
in aria tutte le mie speranze.
“La
libertà!” ripetè sprezzante. Si
staccò dal vano della finestra e prese a
camminare nervosamente per la stanza. “La libertà
non è un diritto, è un bene
che va guadagnato e la Galassia ha dimostrato che finora non
è capace di
gestirla, la sua libertà! Pensaci, sono secoli che
c’è la Repubblica e sono
secoli che scoppiano guerre tra pianeti in continuo. E credimi, io lo
so bene,
sono anni che sono in prima fila a cercare di sedare qualche guerriglia
perché
qualcuno decide di aver trovato il giusto pretesto per far guerra a
qualcun
altro. Se la Galassia non è in grado di gestirsi da sola
senza scatenare
conflitti allora è bene che lo faccia qualcun altro,
qualcuno di abbastanza
saggio che possa imporre la pace, persino con la forza se necessario.
È questo
che l’Imperatore ed io stiamo facendo, stiamo portando la
pace che da migliaia
di anni la Repubblica sbandiera senza riuscire ad attuarla.”
Il giovane si
fermò per riprendere fiato e mi si riavvicinò.
“Tu, proprio tu tra tutti,
dovresti ben sapere quanto il Senato e gli altri organi di governo
fossero
corrotti, quanto fosse impossibile far applicare qualsiasi decreto per
il bene
dei pianeti. Ora tutto questo appartiene al passato.
L’imperatore vuole la pace
e il benessere per tutti, in cambio chiede solo obbedienza. Tu dovresti
essere
in prima fila tra noi, a godere dei benefici di una pace per cui
combatti da
anni, non dovresti cercare di ostacolarla! So bene che la via che
abbiamo
scelto è contro i tuoi principi, ma non puoi essere tanto
cieca da non vedere
come sia l’unica percorribile”. Lo sguardo che mi
rivolse mentre pronunciava
questo folle discorso mi fece tremare. Era calmo e convinto della
verità di ciò
che stava dicendo. Possibile che fossero seriamente queste le sue
convinzioni?
Un
eco di una conversazione avvenuta tanto tempo prima riemerse. Era un
pomeriggio
di sole a Naboo di molti anni fa e in una conversazione ricordavo che
Anakin
avesse espresso un concetto preoccupante, ma a cui all’epoca
non avevo dato
peso, pensando che fosse solo l’affermazione di una giovane e
inesperta testa
calda. Aveva detto che se non si riusciva ad arrivare a un accordo tra
i vari
senatori, qualcuno avrebbe dovuto avere il potere per costringerli ad
accettare
leggi che non volevano. Possibile che il germe del Sith già
c’era ed io non me
ne ero accorta? Possibile che le parole di Palpatine avessero solo
potenziato
inclinazioni già presenti in lui?
Mi
afferrai la testa tra le mani e mi allontanai da Anakin, rifiutando i
miei
stessi pensieri. No, Anakin era certamente un uomo portato
all’azione e poco
incline alla diplomazia ma non era un crudele dittatore. Aveva buon
cuore, io
lo sapevo, lo avevo visto in tutti quegli anni in cui aveva rischiato
la vita
per proteggere innocenti che non conosceva neppure. Lo avevo visto
nello
sguardo innamorato e timoroso che aveva appena rivolto ai suoi figli.
Palpatine
aveva distorto alcuni suoi ideali facendogli credere che fosse giusto
perseguirli.
“Anakin”
ritentai con calma “è vero, il Senato era corrotto
e sicuramente anche gli Jedi
hanno avuto la loro parte di colpa, ma noi abbiamo combattuto proprio
per
estirpare quel male che corrodeva il Senato e ripulirlo. Tu ti sei
unito a
coloro che lo consumavano dall’interno come un cancro, hai
fatto vincere la
parte sbagliata e non hai ottenuto la pace, ma la schiavitù
di interi pianeti.”
Cercai di farlo riflettere.
Purtroppo
però Anakin mi rivolse uno sguardo sprezzante.
“Non riesci a vedere aldilà
della tua desueta moralità. Tutto quello che facciamo
è per il bene della
Galassia e questo giustifica ogni mezzo” ribatté.
A
quel punto, tutta la calma racimolata prima, evaporò.
“Non puoi piegare in
ginocchio un intero universo solo perché tu pensi che sia
giusto farlo!”
sbottai, avvicinandomi combattiva, pronta a difendere le mie idee
contro
qualunque folle pensiero politico avesse voluto vendermi. Ero abituata
alle
dispute senatoriali sin da quando ero ragazza, non mi sarei fatta
piegare dalle
convinzioni che gli aveva instillato quel folle, avrei continuato a
sostenere e
ripetere le mie idee all’infinito se fosse servito per farlo
rinsavire.
Purtroppo però, Anakin mi spiazzò con una
risposta che di politico aveva ben
poco.
“Si
invece se è il prezzo da pagare per tenerti al sicuro con
me!”
Il
drastico cambio di rotta della conversazione mi mandò in
confusione. Cosa
voleva dire? Cosa c’entravo io in tutta quella guerra?
Perché aveva detto
“prezzo da pagare”?
Anakin
chiuse la bocca di scatto, come se si fosse lasciato sfuggire qualcosa
che non
avrebbe voluto dire e incrociò le braccia al petto.
“Ani,
io…” scossi la testa, come se così
potessi riordinare le idee, ma prima che
potessi parlare di nuovo, Anakin riprese la parola.
“Basta,
è inutile discutere ancora. Adesso sei troppo scossa dagli
ultimi avvenimenti,
ma quando ti sarai calmata, sono certo che inizierai a cambiare
prospettiva”.
Il
tono da ordine perentorio che stava usando mi fece di nuovo accendere
la
scintilla di ribellione, come quando mi aveva ordinato di seguirlo
all’hangar.
Io non ero uno dei suoi sottoposti a cui dare imposizioni, avrebbe
fatto meglio
a ricordarselo!
“Calmarmi?”
ribattei con tono sprezzante. “Non sono una donna in preda
all’isteria, sono
una prigioniera di guerra, una Senatrice, e non ho nessuna intenzione
di
tradire tutto ciò in cui credo per delle giustificazioni da
folle!”
“Prigioniera?”
Anakin strabuzzò gli occhi, irritato da quella parola
“Tu non sei una
prigioniera, Padmé, sei mia moglie”
affermò duro, sfidandomi quasi a
contraddirlo.
Un
piccolo palpito tradì quanto mi avesse dato piacere sentirlo
chiamarmi
“moglie”, ma il fuoco della mia piccola arringa
ancora non si era spento e lo
mise in secondo piano.
“Se
non sono prigioniera allora posso andarmene quando voglio”
insinuai acida.
Mi
aspettavo una reazione violenta alla mia provocazione, ma quello che
vidi mi
colse del tutto alla sprovvista. Anakin diventò pallido di
colpo alle mie
parole, lo sguardo spaventato.
Mi
afferrò per le spalle e con un violento strattone mi trasse
a sé. “Non osare
nemmeno dirlo. Il tuo posto è accanto a me”
sibilò.
Mi
incatenai al suo sguardo, scrutando in quei pozzi verde muschio la
verità che
celava dietro quel tono che voleva essere minaccioso, e vi lessi una
disperazione tanto acuta che mi sconvolse. Era un grido di aiuto, una
solitudine che aveva il bisogno di essere colmata.
Senza
che ce ne accorgessimo, la discussione aveva portato i nostri visi a
pochi
centimetri di distanza. Sentii il suo respiro caldo sfiorarmi il viso e
la mia
attenzione dai suoi occhi si spostò sulla sua bocca, ancora
aperta dopo la foga
del discorso. Di colpo, tutti i miei ideali, tutti i buoni motivi per
cui
avevamo discusso fino a pochi secondi prima, mi scivolarono via dalla
mente e
davanti a me non vidi più il Sith che combatteva per
l’Impero. C’era solo il
mio Anakin. E io avevo un disperato bisogno di lui, un disperato
desiderio di
sentirlo di nuovo accanto a me. Avevo bisogno di baciarlo. Lanciai di
nuovo un’occhiata
in alto per incrociarne lo sguardo e stavolta vidi il riflesso dei miei
stessi
pensieri, non più in conflitto ma uguali. Le sue iridi verdi
si erano incupite,
il desiderio stava prendendo il posto dell’abisso di
disperazione di poco
prima.
La
distanza che ci separava era fisicamente così
irrisoria…come spinti da una
volontà esterna, entrambi ci avvicinammo ancora. E ancora.
Sentivo il suo alito
caldo sulle mie labbra, la sua presa sulle mie spalle era divenuta una
carezza
gentile che mi sospingeva vicino a lui.
Baciami.
Ma
proprio mentre le nostre labbra si stavano ormai per sfiorare, Anakin
parve
riscuotersi da quel tepore che aveva colpito entrambi e si
staccò in fretta da
me, quasi avesse preso la scossa. La distanza tra noi
aumentò di una manciata
di centimetri ma mi parve di nuovo incolmabile. L’Imperatore,
i Ribelli,
Obi-Wan, la guerra, tutto, ci ripiombò addosso con la forza
di un terremoto,
riponendoci agli antipodi di quell’orribile scacchiere.
Mi
lanciò un’ultima occhiata dove scorsi tutti il
tormento che anch’io provavo e
si diresse a grandi falcate verso l’uscita. In un battito di
ciglia, aveva
lasciato la stanza.
E
un vuoto in mezzo al mio petto che quasi mi tolse il respiro, come se
fosse un
buco capace di risucchiare tutta l’aria che cercavo di
incanalare nei polmoni.
Mi
lasciai cadere sul letto e mi presi la testa tra le mani, completamente
priva
di forze dopo aver retto la tensione degli ultimi minuti. Pezzi della
recente
discussione mi balenavano in testa in una confusione tale che era
impossibile
riordinarli per dargli un ordine, un senso. O forse, semplicemente, non
era
fattibile perché di senso non ne avevano nemmeno un
po’.
Anakin
aveva difeso a spada tratta l’Impero, ma quelle parole
stonavano così tanto con
ciò che conoscevo del suo cuore che non riuscivo a
spiegarmelo. Inoltre c’era
quella frase rimasta in sospeso, quel “è il prezzo
da pagare”, a cui non
riuscivo a dare un significato. Non mi aveva dato nemmeno la
possibilità di
chiedergli un chiarimento perché si era affrettato a
cambiare argomento. Cosa
mi stava nascondendo?
Ciò
che invece era chiaro come il sole, era il dolore che lo dilaniava
dall’interno. Alla minaccia di andarmene, la disperazione
aveva sgretolato la
maschera del Sith colpendomi più di qualsiasi sfuriata. Una
disperazione che
era eco della mia.
Ma
se ci faceva tanto male essere distanti, perché non
riuscivamo semplicemente a
tendere la mano e ritrovarci? Per un istante, ci eravamo quasi
riusciti. Il
desiderio l’uno dell’altro ci aveva fatto mettere
da parte le nostre divergenze
politiche. Per un secondo eravamo rimasti sospesi in un micro-universo
unicamente nostro. Ma poi eravamo tornati alla realtà. Mi
aveva chiamata
“moglie” ma non potevamo ignorare tutto
ciò che ora ci separava, non potevo
chiudere gli occhi e dimenticarmi degli innocenti che aveva aiutato a
ridurre
in schiavitù, o peggio, di quelli che aveva ucciso. Non
potevo stare con mio
marito, ignorando il Sith.
Una
parte di me però, desiderava tanto poterlo fare. Chiusi gli
occhi e mi sfiorai
con un dito le labbra, ricordandomi il brivido che la sua vicinanza mi
aveva
dato.
*
Per
due giorni, Anakin non si fece più vedere. Le uniche persone
che regolarmente
entravano in quella camera erano due servitori che portavano il mio
pranzo e il
latte per i bambini. La mattina del secondo giorno, portarono anche due
brandine per i piccoli, idea di cui fui grata perché
dormendo insieme nel letto
continuavo a temere di schiacciarli senza accorgermene rigirandomi nel
sonno.
Purtroppo però l’arrivo giornaliero dei due
servitori non costituiva di per sé
una grande distrazione. Non mi parlavano neppure, nonostante gli avessi
rivolto
più domande dirette su quale fosse la nostra destinazione e
quanto mancasse. Si
limitavano a svolgere il loro compito e a sparire in men che non si
dica, lasciandomi
nuovamente nella mia tetra solitudine. La situazione ormai era ben
oltre il
sopportabile. Cosa diamine passava per la testa ad Anakin? Aveva
intenzione di tenermi
rinchiusa in quelle quattro mura a tempo indeterminato?
Sconfortata,
mi appoggiai al vano della finestra, la fronte contro il vetro freddo.
Perché
non torni
da me?
Due
giorni. Aveva fatto passare due lunghissimi e stramaledetti giorni da
quando
aveva avuto il coraggio di vederla. Dannazione, da quando era diventato
così
codardo? Perché solo di codardia si poteva parlare, non
c’erano altre
motivazioni. Dopo averla cercata per mezzo universo, dopo averla voluta
così
intensamente, ora la evitava! Era davvero un dannato idiota.
Ma
le parole che si erano detti, il tono rabbioso con cui gli si era
rivolta, la
discussione accesa…era stata insopportabile.
Lui
l’aveva ripresa come sua moglie e lei si riteneva una
prigioniera! Aveva
persino insinuato di andarsene!
Il
solo pensiero lo faceva impazzire, non poteva perderla di nuovo.
Eppure, il
motivo che lo aveva tenuto lontano da lei era che sapeva che non poteva
tenerla
accanto a lui in questo modo.
Nonostante
le sue intenzioni, lei…aveva ragione. Se lei se ne voleva
andare, di fatto lui
la stava trattenendo lì come prigioniera.
Se
solo fosse riuscito a farle cambiare idea! Come poteva farle capire che
tutti
gli atti orribili di cui nella sua testa lo accusava, li aveva commessi
per
loro due e per i loro figli? Non vedeva che aveva creato una
realtà dove loro
potevano stare assieme senza doversi nascondere?
Ed
era quello il motivo per cui si era tirato indietro quando stavano per
baciarsi, rompendo quell’unico istante in cui miracolosamente
erano riusciti a
dimenticare le loro divergenze. Non poteva baciare Padmé se
lei si riteneva
costretta a stare con lui. Aveva visto chiaramente che sua moglie lo
amava
ancora. Nonostante la rabbia e il furore con cui aveva difeso le sue
idee, i
suoi dolci occhi castani emanavano lo stesso calore di sempre quando lo
guardavano. E questo aveva lenito come un balsamo una parte delle sue
ferite. Tuttavia
sapeva che si sentiva come un animale ferito chiuso in gabbia e non
poteva tenerla
al suo fianco in questo stato. Inoltre non tutto tra loro era stato
chiarito, lui
si sentiva ancora tradito per le sue azioni ed era palese che lei non
si fidasse
di lui e del suo giudizio.
Aveva
aiutato a costruire quell’Impero affinché loro
potessero stare assieme, ma ora sembrava
fosse proprio quell’Impero a separarli. Grazie alla sua
tenacia era riuscito a riportarla
fisicamente accanto a sé, ma adesso il ragazzo capiva che la
sfida di ritrovarla
tra milioni di pianeti non era che l’inizio. Pur avendola a
qualche metro di distanza,
Padmé era più lontana che mai. Avrebbe dovuto
ripristinare la fiducia che c’era
tra loro per poterla riavere veramente accanto.
Doveva
fare qualcosa, anche se non sapeva ancora cosa, ma di certo non poteva
continuare a girovagare per quella nave con il pensiero sempre rivolto
a un
alloggio del piano inferiore.
Ma
prima che potesse fare un passo, la porta della sua camera si
aprì rivelando
l’ingresso di un ufficiale.
“Mio
Signore, siamo giunti a destinazione. La Morte Nera è
davanti a noi”
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