From the Dark-Side to the Light

di 68Keira68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1_Fiamma di speranza, fiamma di rabbia ***
Capitolo 3: *** 2_La Lega Galattica della Resistenza ***
Capitolo 4: *** 3_La trappola del Sith ***
Capitolo 5: *** 4_Il nemico e l'amante ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 Cari lettori, vi rubo un minuto del vostro tempo per introdurvi la storia. E' la prima volta che scrivo sull'universo Star Wars, adoro i film e i suoi personaggi e non cambierei nulla del capolavoro di Lucas, questa è una semplice alternativa scritta per gioco, un'alternativa meno drammatica che prende le fila dalla penultima scena de "La vendetta dei Sith". Dimenticate il IV, il V e il VI capitolo, la storia prende piede subito dopo il III. Spero che vi piaccia e vi divertiate nel leggerla, e magari che riesca a emozionarvi un poco, e se volete farmi sapere il vostro parere, critiche e consigli sono più che ben accetti :-) Questo è solo il prologo ma il primo capitolo è già pronto per la pubblicazione che avverrà a breve. Grazie a tutti in anticipo a tutti. Buona lettura!

Prologo

 
La lettiga scivolava silenziosa in testa al corteo funebre.  Gli astanti, una folla resa muta dall’incredulità del funesto evento a cui stavano assistendo, guardavano con occhi colmi di paura e commozione quella bara nera che gli passava davanti, capaci solo di tendere la mano e lanciare un fiore, una rosa bianca, ultimo omaggio a uno dei più grandi Cavalieri Jedi che il consiglio aveva avuto l’onore di avere.

La morte del maestro Windu aveva scosso il nostro mondo come un violento e inaspettato terremoto, aveva squarciato il velo della falsa sicurezza in cui ci eravamo adagiati e che non ci aveva permesso di vedere come il mondo stesse cambiando sotto i nostri occhi ciechi. Sembrava quasi un simbolo della Repubblica che stava per morire, dell’universo come lo avevamo conosciuto fino ad ora.

Avevamo sempre combattuto guerre contro nemici esterni, guerre estenuanti e nefaste ma che eravamo stati sicuri di vincere, forti del nostro solido stato, delle nostre leggi. Vinti da secoli di prosperità di una Repubblica che sembrava invincibile e ferrea, non eravamo stati in grado nemmeno di immaginare che la guerra più grande sarebbe venuta da dentro, con il tradimento nel cuore della Repubblica stessa. Il Senato, l’organo di governo, e l’Ordine dei Cavalieri Jedi, suo protettore, si era infine rivelato cedibile alla corruzione. La sicurezza che avevamo riposto in loro si era infranta come un vaso di cristallo contro il muro della realtà.

Il Maestro Windu era morto il giorno prima mentre cercava disperatamente di arginare una piaga ormai troppo estesa. Aveva cercato di eliminare il fautore di questa guerra intestina, il burattinaio che aveva mosso i fili di entrambi gli schieramenti per anni senza che noi ce ne accorgessimo per acconsentire al suo sogno di gloria di divenire realtà, il Cancelliere Palpatine.

Ora il Cancelliere, rivelatosi Darth Sidius, la serpe in seno che non avevamo nemmeno sospettato di avere, si stava muovendo velocemente per raccogliere gli alleati di cui si era fornito nel corso della sua guerra silente. Si era auto proclamato Imperatore della Galassia e nessuno aveva avuto il potere per opporsi, neppure il Maestro Yoda, uscito sconfitto dallo scontro che aveva avuto con lui.

Mentre guardavo quella bara scivolare via, mi sembrò che le nostre possibilità scorressero lontane con lei. Non riuscivo a capacitarmi di come nonostante i nostri sforzi, non fossimo riusciti ad impedire che la situazione precipitasse in questo modo. La Repubblica finita, l’Ordine Jedi distrutto, l’universo nelle mani di un folle.

Ma noi siamo ancora vivi.

Il pensiero mi fulminò per la sua ovvia verità. Noi, a differenza di Windu, eravamo ancora vivi. Forse potevamo porre rimedio al disastro che avevamo permesso si compisse. Non sapevo se ne avremmo avuto la possibilità ma di certo avremmo tentato, avremmo fatto tutto ciò che era in nostro potere per ripristinare la libertà che ci era stata sottratta e vendicare le perdite subite.

Noi siamo ancora vivi e non ci arrenderemo.


 

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Capitolo 2
*** 1_Fiamma di speranza, fiamma di rabbia ***


1 fiamma di speranza fiamma di rabbia
Ecco, come promesso, il primo capitolo! Il Prologo era introduttivo, questo capitolo serve invece a riprendere le fila dal film e a far capire cosa sia successo alla Galassia e ai protagonisti e come si stanno riorganizzando. La storia entrarà più nel vivo nei capitoli successivi ovviamente visto che siamo solo all'inizio, ma spero che questo primo capitolo vi piaccia e come sempre i vostri consigli e i vostri parere sono ben accetti :-) Ringrazio tutti coloro che hanno letto il Prologo e grazie a Nox93 e La_Birba per aver commentato, sono molto felice che il prologo vi abbia incuriosito e spero che continuerà a farlo anche questo primo capitolo!  
Buona lettura a tutti :-)

1_Fiamma di speranza, fiamma di rabbia

 

“Padmé, dobbiamo andare”

La voce gentile di Obi-Wan mi richiamò al presente. Lo guardai in viso, notando come il peso delle recenti preoccupazioni lo avesse invecchiato. Il volto era sempre il suo, gli occhi castani, la pelle ancora giovane, la barba dorata che gli copriva il mento, ma la linea dura che gli piegava le labbra solitamente atteggiata ad un sorriso benevolo, i lineamenti tirati e le occhiaie date dalle recenti fatiche, denotavano quanto fosse provato fisicamente e mentalmente.

Mi tese la mano per condurmi verso la navicella che attendeva il nostro arrivo, poco lontano da dove si era svolto il corteo. Salii la scala d’accesso alla piccola astronave con le pareti a specchio e mi lasciai ricadere sulla poltroncina bianca del co-pilota.

Obi-Wan chiuse lo sportello e inserì le coordinate della nostra destinazione, Giano, un piccolo pianeta della Costellazione Vegan. L’avevamo scelto come rifugio due giorni prima, dopo una lunga discussione. Personalmente avrei voluto andare a Naboo dalla mia famiglia, dove mi sarebbe stato più facile dimenticare per almeno un giorno l’orrore di ciò che era successo, ma eravamo ricercati, e il mio pianeta natale sarebbe stato il primo luogo in cui avrebbero tentato di trovarci. Dopo averne proposti altri, avevamo scelto un pianeta in cui nessuno dei due era mai stato, in modo che non ci fossero possibili collegamenti perché venissero dei sospetti sul nostro rifugio, ma dove Obi-Wan aveva un amico fidato e conduceva una vita appartata a cui potevamo chiedere asilo. Inoltre Giano era abbastanza sconosciuto da non destare attenzione e sufficientemente vicino per monitorare ciò che succedeva a Coruscant.

“Stai bene?” mi chiese lo Jedi.

Gli sorrisi mesta. “Non dovrei chiederlo io a te? Era un tuo caro amico” gli feci notare.

Obi-Wan annuì e il suo sguardo si adombrò un poco. “Non sono io però che ho appena fatto la fatica di partorire due gemelli” mi ricordò.

Al pensiero dei miei figli, la cappa buia di quella giornata si illuminò un poco. I miei bambini di appena tre giorni, Luke e Leila. Quella mattina li avevo lasciati alle cure della balia con il cuore gonfio di apprensione per andare ad assistere al funerale. L’idea che stavo per tornare da loro mi tranquillizzava.

“Credimi, il parto è stata la cosa meno difficile da sopportare di questi giorni” mormorai.

Mi lanciò un’occhiata scettica e seppi perfettamente il perché. Avevo avuto delle serie complicazioni, un’emorragia mi aveva portata quasi in fin di vita e i dottori avevano dichiarato che ero stata molto fortunata a sopravvivere. Il medico aveva detto che era stata la mia forza morale e la mia voglia di vivere più che le sue cure a salvarmi. Tuttavia erano altri i pensieri che mi offuscavano la mente. Primo tra tutti il motivo del mio parto difficile. La nascita dei bambini era prevista tra due settimane, il parto era stato anticipato a causa dello stress e del rischio di soffocamento che avevo avuto… Come un flash mi apparve davanti il suo viso contratto dalla rabbia e dal dolore per il tradimento mentre mi stringeva alla gola. Rabbrividii, scacciando via l’immagine. Un dolore sordo mi si propagava nel petto ogni volta che ripensavo a quel momento, ogni volta che rivedevo il suo volto guardarmi in quel modo. Non riuscivo nemmeno a pronunciare il suo nome senza che mi venisse il desiderio di piangere.

“Hai contattato il Maestro Yoda? Ci raggiungerà a Giano?” domandai a Obi-Wan per distrarmi dai miei stessi pensieri.

 “Non ancora, prima vuole assicurarsi l’alleanza degli Wookie, ma ci raggiungerà al più presto” mi informò.

Annuii, riflettendo su quanto avessimo bisogno di alleati in quel momento. Palpatine era stato molto abile negli anni a intessersi attorno una fitta rete di soci fedeli. Le nostre fila invece si erano terribilmente assottigliate, ci erano scivolate dalle dita senza che ce ne accorgessimo.

“Jar Jar mi ha detto prima che iniziasse la cerimonia che manderà un rappresentante di Naboo in giornata. Ha promesso che per qualunque cosa ci serva possiamo contare su Naboo.” Dissi io.

Lo Jedi però, nonostante la notizia positiva, sospirò frustrato. “Siamo lo stesso in pochi, e soprattutto senza un esercito vero e proprio”.

D’istinto, gli misi una mano sul braccio e lo strinsi, un semplice gesto per fargli capire che anche se eravamo in pochi, non era solo.

“Lo so, ma è solo l’inizio. Ci dobbiamo riorganizzare e sono certa che…”

Non riuscii a terminare la frase perché fui interrotta dal bip continuo del radar. Mi avvicinai al monitor per controllare cosa avesse rintracciato il macchinario con un brutto presentimento. Speravo solo che non fosse…

“Diavolo!” esclamai “è una nave di pattuglia”.

“Ci avrà sicuramente visti, starà verificando i nostri dati per capire se ci deve attaccare o no” predisse nefasto Obi-Wan.

“Alzo gli scudi?” chiesi. Sentii l’adrenalina familiare di quando si era in pericolo salire. La spinta che ti preparava a scattare in caso di bisogno.

“Per ora no, sarebbe come dichiarare che ci aspettiamo un attacco e c’è ancora una possibilità che magari ci passi oltre senza considerarci”.

La speranza di Obi-Wan si rivelò presto vana. Ci arrivò un messaggio vocale dal comandante della pattuglia ma sia io che lo Jedi lo ignorammo. Ci avrebbero chiesto di dichiarare la nostra identità e di arrenderci, poi, visto che non avremmo accolto la richiesta, ci avrebbero attaccato. Tanto valeva passare direttamente all’ultima fase.

Obi-Wan virò a destra cambiando rotta improvvisamente. Ciò colse di sorpresa la pattuglia che, non reagendo prontamente, lasciò il fianco scoperto. Iniziammo ad attaccare, ma la navicella davanti a noi non era sprovveduta. Aveva gli scudi alzati e ciò gli permise di non subire danni mentre cercavano di rimettersi in una posizione vantaggiosa. Allungai la mano per alzare gli scudi ma colpirono prima che ci riuscissi. Un violento scossone ci informò che ci avevano colpiti. Il monitor mostrò dei danni alla superficie dell’ala destra, per fortuna non eccessivamente gravi.

“Lancia i missili Padmé!” mi urlò Obi-Wan, mentre riprendeva il controllo della nave.

Inserii velocemente i codici per il lancio. Un altro scossone, più violento del primo, mi fece cadere dalla sedia, allontanandomi di nuovo dal monitor. Un altro danno. Con una spinta mi rialzai, ignorando il dolore alla schiena per la botta subita. Premetti il pulsante d’avvio e il missile partì. Un colpo solo che per fortuna andò a segno. Vedemmo la navicella davanti a noi saltare in aria senza possibilità di salvarsi.

Mi accasciai sulla poltroncina, il cuore che batteva forte per il pericolo appena corso.

Mi chiesi quante volte l’avevamo scampata per un pelo e quante ancora ci avrebbero messo alla prova.

“Sei tutta intera?”

Lo Jedi aveva i lineamenti tesi ma era evidente che era meno provato di me. Invidiai un poco quella patina di calma che sembrava non abbandonarlo mai.

“Si” confermai con un sospiro liberatorio. La mia povera schiena aveva senz’altro visto di peggio.

“Bhé, così ci tengono allenati, sia mai che perdiamo l’abitudine”.

Il commento ironico, o forse il momento catartico post-adrenalina, mi fece scappare un sorriso che contagiò anche lo Jedi, un sorriso che nasceva a discapito della gravità della situazione che quell’attacco rivelava. Ma per ora eravamo salvi.

Anche questa volta.

Dopo quasi due ore di viaggio, giungemmo a Giano. Appena atterrati nell’hangar, corsi giù dalla navetta, impaziente di riabbracciare i miei figli. La balia, una donna sulla quarantina, dalle forme leggermente tondeggianti ma con un viso dall’espressione dolce, mi aspettava all’ingresso del palazzo con entrambi i bimbi in braccio.

“Bentornata senatrice” mi accolse con un sincero calore.

“Grazie Lavel” presi il piccolo Luke in braccio, accarezzandogli il visino addormentato “Sono stati bravi in mia assenza?”.

“Hanno dormito praticamente per tutto il tempo” mi tranquillizzò.

“Oh, ecco le due piccole stelle”.

Obi-Wan, lasciato indietro dalla mia fretta, ci raggiunse e prese in braccio Leila, la quale si svegliò strizzando gli occhietti, probabilmente infastidita dalle voci attorno a lei. Guardò il maestro Jedi inclinando la testa di lato e fece un piccolo sorriso, come se fosse felice di vederlo.

“Ciao piccolina, ti sono mancato?”

Osservai la tenera scena che mi si proponeva davanti e che mai avrei pensato di vedere. Obi-Wan Kenobi che vezzeggiava mia figlia. In quei tre giorni si era dimostrato una persona splendida e un amico insostituibile. Era stato lui a portarmi via dalla piattaforma di atterraggio dove giacevo a terra svenuta mentre Neimodia, il pianeta della Confederazione dei Mercanti, stava per esplodere. Mi aveva portata in ospedale e mi era stato vicino durante il parto, e da lì non mi aveva più lasciata sola. Sembrava si fosse preso l’impegno di curare me e i bambini e non avrei mai immaginato di vederlo così dolce nei confronti di due neonati. Mentre ero incinta, temevo che avrebbe disprezzato sia la gravidanza che i bambini sapendo chi fosse il padre. Erano nati da una relazione proibita, una relazione che forse era una delle cause di tutto ciò che era successo in quei giorni, eppure non una sola parola di rimprovero era uscita dalle labbra dello Jedi. Anzi, si era sempre dimostrato disponibile e comprensivo, come avrebbe potuto fare un fratello maggiore, e io non potevo essergliene più grata. Da sola non sarei mai stata capace di affrontare la nascita di quelle due creature e la caduta della Repubblica.

“Portali nella mia stanza Lavel, per favore. Vi raggiungo appena posso” promisi.

La donna annuì facendo ondeggiare i lisci capelli ramati e riprese in braccio entrambi i bambini, anche se glieli lasciai a malincuore. Avrei di gran lunga preferito portarli in camera e stare con loro, ma avevo delle questioni urgenti da svolgere che non potevo ignorare. Dopotutto, lo facevo anche per loro.

“Vuoi andare a vedere se qualcuno ha risposto al nostro appello?” mi chiese Obi-Wan, intuendo le mie intenzioni.

“Si, se hanno risposto possiamo iniziare ad aprire una comunicazione con nuovi alleati” dissi, dirigendomi verso la sala delle conferenze, attrezzata per le trasmissioni a lungo raggio.

Il palazzo che ci ospitava era di un amico di vecchia data di Obi-Wan, Taomar, reso ricco da fortuiti scambi commerciali con alcuni pianeti dell’Orlo Esterno. Da quello che mi aveva rivelato lo stesso Taomar, lo Jedi gli aveva salvato la vita anni addietro quando, dirigendosi verso un pianeta con cui doveva fare affari per la prima volta, aveva sbagliato rotta ed era finito dentro una scia di asteroidi. Obi-Wan aveva recepito l’S.O.S. che la sua nave aveva inviato e trovandosi a poco distanza era intervenuto in suo soccorso, salvandolo. Quando il Maestro Jedi si era rivolto a lui per chiedergli asilo, Taomar era stato più che felice di poter ricambiare il favore e ci aveva messo a disposizione la sua casa, un palazzo di tre piani costruito sulla sommità di uno strapiombo che dava su un lago, distante mezzo miglio da Oriunta, la città più vicina.

La sala delle conferenze era una spaziosa stanza circolare al cui centro, in mezzo a poltrone di velluto beige, c’era l’attrezzatura per trasmettere e ricevere messaggi e ologrammi. Ieri, Obi-Wan ed io avevo inviato un messaggio criptato rivolto a tutti i pianeti della Confederazione per vedere quanti tra gli Jedi erano sopravvissuti e quanti tra i senatori erano rimasti fedeli alla Repubblica con la richiesta di contattarci.

Lo Jedi si avvicinò al bordo nero del trasmettitore, le cui sembianze ricordavano un grande cilindro, e accese il monitor. Sulla superficie apparvero diverse frequenze e nell’angolo a destra la nostra richiesta d’aiuto trasmessa a ritmo continuo. Una schermata a sinistra si illuminò per ultima catturando la nostra attenzione. Era un messaggio da Dardwin!

Lanciai un’occhiata speranzosa a Obi-Wan, che si affrettò ad aprire il messaggio vocale e una voce autoritaria, maschile, si diffuse nella sala.

“Maestro Kenobi, senatrice Amidala, abbiamo ricevuto il vostro messaggio. Sappiate che avete l’appoggio del pianeta Dardwin per sconfiggere il Cancelliere. Se possibile, vi invieremo al più presto un nostro ambasciatore che farà da tramite tra noi e voi per coordinarci. Siamo con voi”.

Sorrisi rincuorata. La nostra richiesta d’aiuto aveva iniziato a dare i suoi frutti, era stata ascoltata. Voleva dire che i passi che stavamo muovendo erano nella direzione giusta, dovevamo solo portare pazienza e perseverare.

“Dardwin è uno dei pianeti dell’Orlo Esterno della Confederazione, giusto?” chiese Obi-Wan.

Annuii. “Ho conosciuto il suo rappresentante durante una riunione del senato, Mataal, un fervente sostenitore della Repubblica. È un uomo giusto, possiamo fidarci.” Assicurai.

“E soprattutto è un buon alleato. Se non  ricordo male ha un esercito che ci farebbe comodo” considerò l’uomo.

Dardwin era un pianeta ricco grazie alle risorse naturali del territorio e oltre a far prosperare economicamente i suoi abitanti, quelle ricchezze avevano permesso che avesse a disposizione una difesa ben armata. Per nostra fortuna.

“Vero, è un’alleanza preziosa. Dobbiamo mandargli le nostre coordinate e organizzare un incontro con il loro ambasciatore. Con lui, abbiamo già quattro pianeti dalla nostra parte, è un buon inizio”.

Kenobi mi sorrise, contagiato dal mio entusiasmo. Mi accarezzò il braccio dicendomi che se ne sarebbe occupato lui. “Vai dai tuoi figli ora, è giusto che tu stia un po’ con loro” mi consigliò.

“Credo seguirò la tua proposta. Ci vediamo a cena” acconsentii, con il cuore un po’ più leggero di quando ero arrivata.

Ero certa che Dardwin fosse solo il primo di una lunga lista di pianeti che avrebbe accolto il nostro appello. Nella mia carriera di senatrice, conoscevo diversi politici sinceramente attaccati agli ideali della Repubblica, non eravamo i soli pronti a lottare per essa. Dovevamo solo organizzarci e coordinarci tra noi. Una volta divenuti numerosi, saremmo stati in grado di contrattaccare Palpatine. L’Impero che stava nascendo avrebbe avuto vita breve.

Salii in ascensore e raggiunsi il terzo piano, dove si trovavano le nostre stanze private. Percorsi il corridoio dalle pareti bianche e azzurre dirigendomi verso la quarta porta a destra. Prima che l’aprissi, la voce di Lavel che canticchiava una filastrocca, mi raggiunse facendomi sorridere. Aprii e trovai la balia intenta a far divertire i piccoli accompagnando la sua voce al mimo delle mani, un piccolo spettacolo che Luke e Leila pareva apprezzassero molto, dati i loro visini rapiti mentre guardavano la donna.

Lavel si accorse della mia presenza e mi sorrise gentile prima di accomiatarsi silenziosamente. Raggiunsi i piccoli sdraiati nei loro lettini posti al centro del grande tappeto azzurro che copriva gran parte del salottino della camera. Mi sedetti accanto a loro e presi un pupazzo a forma di Tee-muss, una creatura con le corna dal manto dorato addestrabile per essere cavalcata. Feci camminare il peluche davanti al faccino di Luke e poi di Leila e entrambi allungarono le manine per afferrarlo. Li presi entrambi in braccio e mi diressi verso il letto matrimoniale nella sala accanto, separata dal salottino da tre scalini in marmo. La camera era tutta giocata sulle sfumature del bianco e dell’azzurro. Le pareti erano candite, in contrasto con il tappeto e il baldacchino del grande letto posto al centro. I comodini ai lati del letto e l’armadio posto sulla sinistra erano di legno d’acero intarsiato, mentre gli infissi della porta-finestra che dava sul terrazzo erano di nuovo azzurri.

Mi sdraiai sul letto mettendomi i miei figli accanto. Erano entrambi felici che gli dessi le mie attenzioni e non mi feci pregare per continuare a vezzeggiarli. In quei tre giorni, i momenti migliori erano quelli che passavo con loro. Mentre guardavo le loro piccole labbra atteggiate ad un sorriso sereno, mentre accarezzavo i loro visini e prendevo le loro piccole mani morbide e lisce come pesche, riuscivo finalmente a trovare la pace. Quelle due creature riuscivano a regalarmi un angolo di paradiso nell’inferno in cui era precipitata la galassia.

Accarezzai la testolina di Leila che era già ricoperta da un leggero strato di peluria castano scuro, a differenza del fratello i cui pochi ciuffi rivelavano che sarebbe diventato biondo cenere. Come il padre.

Al suo pensiero, la morsa al petto divenuta ormai familiare mi prese.

Il loro padre. Mio marito. La causa della distruzione della Repubblica.

Anakin.

Sdraiandomi su un fianco, allungai un braccio per stringere con delicatezza entrambi i bambini a me, quasi fossero un talismano contro i brutti ricordi.

Anakin. Il mio Anakin.

Rivissi con la mente gli avvenimenti degli ultimi giorni. Ricordai il suo volto preoccupato, la confusione che più di una volta gli avevo letto nello sguardo. I discorsi che mi aveva fatto, su come la sua fiducia nell’Ordine degli Jedi fosse stata scossa, su come si sentiva frustrato, indeciso sulle decisioni da prendere.

Mi sentivo terribilmente stupida e in colpa. I segni che era in pericolo, che stava per cadere su una via deviata c’erano stati tutti, ma non ero riuscita a vederli. Lo avevo ascoltato, ma non ero riuscita a comprendere quali sentimenti gli agitassero il cuore, quali preoccupazioni gli affollavano la mente al punto da offuscarne completamente il giudizio. Avrei dovuto essere in grado di consigliarlo, di tranquillizzarlo. Avrei dovuto farlo riflettere con calma sul da farsi. Invece ero stata cieca, lo avevo lasciato da solo a prendere decisioni in un momento di grande agitazione, non c’ero stata quando aveva avuto più bisogno di me e lui era caduto. Non avevo capito in che grande momento di debolezza di trovasse e lo avevo lasciato alla mercé della presenza insinuatrice di Palpatine. Il Cancelliere aveva invece intuito alla perfezione quali sentimenti si scontrassero in Anakin ed era stato incredibilmente abile a sfruttarli.

Ed ora Anakin era diventato un Sith. Darth Vader, un nome che mi metteva i brividi solo a pensarlo. Un nome che purtroppo ben si associava al volto trasfigurato dalla rabbia e dall’odio che gli avevo visto l’ultima volta che ci eravamo incontrati su Neimodia. Quel viso dai lineamenti contratti, quella asprezza nella voce, quegli occhi di brace… non appartenevano all’uomo dolce e altruista che avevo sposato. Era del Sith che era divenuto il braccio armato del Cancelliere, o meglio dell’Imperatore.

Ma come aveva potuto Anakin diventare un Sith? Come aveva potuto credergli e cedere al Lato Oscuro? Per quanto fosse debole in quel momento, come aveva potuto decidere di affidarsi a lui, a un Signore dei Sith, il simbolo di tutto quello che aveva giurato di distruggere, anziché cercare aiuto da me o Obi-Wan?

Ricordai l’ultimo discorso che mi aveva fatto. Lo avevo a stento riconosciuto. Aveva parlato di conquistare l’universo insieme, si era vantato di essere divenuto tanto potente da non doversi più nascondere. Quando era diventato tanto ambizioso? Possibile che il Lato Oscuro si fosse impadronito della sua mente da deviarla a tal punto?

Della sua mente forse, ma non del suo cuore.

Mi aggrappai a quel pensiero, la convinzione che mi faceva andare avanti. Forse il Cancelliere era stato tanto bravo da manovrare la percezione della realtà di Anakin al punto da fargli credere di essere dalla parte del giusto, ma sapevo che il Lato Oscuro non avevo ancora preso il suo cuore. Anakin era buono, non aveva un’indole malvagia, sapevo quanto si prodigava per gli altri, come cercasse sempre di fare la cosa più giusta. Se Palpatine era riuscito a portarlo dalla sua parte doveva essere perché lo aveva davvero convinto di agire per il bene. Non c’erano altre spiegazioni.

Strinsi più forte i bambini, tranquillizzata dalla loro presenza silenziosa.

Chiusi gli occhi e rievocai un’immagine di Anakin che ora mi sembrava lontana anni luce. Era un’immagine di noi due a Naboo, quando ci eravamo rifugiati per sfuggire agli assassini che attentavano alla mia vita. Rividi il suo sorriso, l’eco della sua risata spensierata, e giurai che avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per riavere indietro il mio Anakin.

Se stavo facendo tutto quello, se avevo messo in piedi quel primo gruppo di Ribelli con Obi-Wan, non era solo per far tornare la Repubblica. Era per far tornare Anakin da me. Non sapevo ancora come, ma lo avrei salvato da se stesso, lo avrei salvato dal suo errore riportandolo sulla giusta via, accanto a me e ai bambini.

Avremmo dovuto sconfiggere l’Imperatore e smascherare le sue menzogne, ma ce l’avremmo fatta. Non sapevo quanto tempo ci sarebbe voluto, ma ero sicura del risultato. La parte buona di Anakin era lì, andava solo riportata alla luce oltre le falsità e le melliflue parole di Palpatine.

۩

 

“Una navicella di pattuglia è stata attaccata mentre era in servizio, mio signore.”

Lo sguardo di Lord Sidius si fece pensieroso mente rifletteva sull’informazione dell’ufficiale Kanvis, il giovane trentenne che dritto in un uniforme blu aspettava paziente e intensione il permesso di andarsene. Sogghignò un poco notando quanto stare alla sua presenza mettesse quel pover’uomo in agitazione. Poteva sentire la tensione che irradiava da ogni singolo poro anche a quella distanza, per non parlare della postura eccessivamente rigida e dal modo nervoso in cui i suoi occhi saettavano nella stanza, incapaci di sostenere e ricambiare il suo sguardo. Già quando era Cancelliere la sua posizione gli permetteva di porre in una certa soggezione dovuta al rispetto i suoi sottoposti, ma da quando aveva vinto quella guerra che portava silenziosamente avanti da anni e aveva potuto rivelare la sua vera identità, quella soggezione si era tramutata in un vero e proprio terrore. E il fatto non poteva che essergli più gradito. Si crogiolava nella paura che scorgeva negli sguardi dei soldati semplici o dei rappresentanti degli altri pianeti ogni volta che gli erano davanti. Sentiva un leggero balbettio traditore nella loro voce, vedeva il tremito delle loro mani che cercavano di nascondere. Era fantastico. Il terrore che incuteva agli altri era il giusto riconoscimento per il potere che aveva acquisito.

Soltanto una persona riusciva a sostenere senza minima difficoltà il suo sguardo con occhi fermi. Solo in lui non scorgeva la minima traccia di paura. Ma dopotutto era anche l’unico nell’intera galassia ad avere lui stesso un potere altrettanto grande da non tremare dinanzi a quello di Lord Sidius. Il suo nuovo apprendista, il Sith creato dalle ceneri di quello che avrebbe potuto essere un grande Jedi, Darth Vader.

Fu lui, in piedi alla sua destra, con le braccia conserte e la schiena dritta, presenza silenziosa ma possente, a interrogare l’ufficiale.

“Dove è avvenuto?” chiese, una domanda semplice ma con il tono imperioso di un ordine.

Kanvis sobbalzò impercettibilmente sentendosi interrogare da colui che era stato soprannominato il “braccio armato” del Lord. Azzardò un’occhiata. Era la prima volta che lo vedeva dal vivo e nonostante la paura, nutriva una certa curiosità per la persona il cui nome era sulla bocca dell’intero universo. Tutti sapevano chi fosse e soprattutto chi era stato, il potente Jedi Anakin Skywalker che per anni si era battuto per la Repubblica e che improvvisamente aveva cambiato parte, diventando una figura sinistra attorno al quale aleggiavano mistero e terrore. Aveva una veste interamente nera, l’unico tocco di colore era l’argento del manico della spada laser che teneva legata alla cintura. Incrociò accidentalmente il suo sguardo, truce e penetrante. Sentii un brivido percorrergli la spina dorsale e si affrettò a rispondere, colto dall’improvviso desiderio di allontanarsi.

“Vicino alla costellazione Knish” balbettò.

“Quando è successo?”

“Due…due ore fa, signore”.

Darth Vader annuì e si rivolse al suo maestro. “Suggerisco di mandare delle navicelle a controllare i pianeti nei dintorni ma chiunque fosse dubito che sia ancora nei paraggi. A quest’ora potrebbe essere ben oltre l’Orlo Esterno”.

Lord Sidius concordò con il giovane Sith e congedò Kanvis, dandogli l’ordine di perlustrare la zona, poi mise le mani sotto il mento, sospirando. “Possibile che ci sia ancora qualcuno capace di ribellarsi? Che non abbia ancora capito che ormai la guerra è finita?” si lamentò, non comprendendo come qualcuno potesse ancora avere la sfrontatezza di mettere in dubbio la sua posizione.

Anakin avanzò di un passo. “Con tutto il rispetto, signore, finché il Maestro Yoda e il Maestro Kenobi non saranno trovati, questi focolai di ribellione non si estingueranno” osservò, duro. “Conoscendoli, staranno raggruppando tutti i Jedi sopravvissuti”.

L’Imperatore annuì e si appoggiò all’alto schienale bianco, quasi fosse stanco per il peso di quella seccatura.

“Allora sarà meglio porre la loro cattura tra le priorità assolute. Affido a te l’incarico di trovare loro e i loro alleati. Ogni Jedi rimasto è un nemico, ricordalo Darth Vader.”

Skywalker raccolse l’ordine e si inchinò con una mano sul petto per congedarsi.  

Si diresse a passo veloce verso la sala degli ufficiali, posta poco distante dalla sala di controllo dove si trovava poco prima. Appena entrò nell’ala adibita agli ufficiali in comando, lo sguardo di tutti i presenti si puntò su di lui. Percepì con chiarezza la tensione che si propagò rapida per la stanza, come se l’aria stessa sfrigolasse. Gli ufficiali si alzarono immediatamente in piedi e accennarono a un inchino.

“Cordét” chiamò. Nonostante la voce bassa, l’ordine fu udito benissimo dal quarantenne che si affrettò ad avvicinarsi a Lord Vader.

“Si, mio signore”.

Anakin percepì l’ansia dell’uomo e l’evidente atto di coraggio che gli costava rivolgersi a lui senza tremare, ma ciò lo lasciò indifferente. Era abituato agli sguardi di ammirazione o soddisfazione di senatori e politici quando in passato tornava dalle missioni per il Consiglio degli Jedi, sguardi che ripagavano la sua vanità dalle fatiche fatte, ma il terrore che scorgeva ora negli occhi di chi lo guardava gli era nuovo. Ma sapeva di esserselo meritato. Era uno sguardo che giudicava le ultime azioni che aveva compiuto, però la cosa lo lasciava indifferente. Non spettava certo a loro giudicarlo.

Semmai, spettava a un altro paio di dolci occhi castani…

Scacciò via quel pensiero prima di completarlo. Non era luogo per lasciarsi andare a certe considerazioni.

“Voglio una squadra di cloni pronta a partire all’hangar due tra un’ora. Preparate le provviste, ci aspetta una missione di ricerca” ordinò secco.

Cordét scattò sull’attenti, la mascella quadrata visibilmente tirata.

“Sarà fatto, mio signore”.

Skywalker annuì e senza aggiungere altro si allontanò dalla sala, portandosi dietro il freddo che la sua presenza innestava. Si diresse nelle sue stanze, collocate all’ultimo piano del palazzo sede del Consiglio dell’Impero Galattico. Ogni volta che attraversava i corridoi di quel palazzo non poteva fare a meno di pensare che c’era decisamente troppo bianco. Era tutto interamente bianco, non una rifinitura, non uno stipite, non un singolo mobile era di colore diverso, un bianco accecante che quasi stordiva e rendeva tutto uguale, monocorde. Fortunatamente, presto lasciò il corridoio e si rifugiò nelle sue stanze. La tappezzeria rossa e nera dell’interno e la penombra eterna in cui lasciava la stanza erano una piacevole alternativa al bianco totalizzante che regnava là fuori. Chissà poi perché era stato scelto quel colore. Il Sith non poteva fare a meno di pensare che era la tonalità che meno poteva rispecchiare chi vi abitava. Al momento, se si guardava allo specchio, l’unico colore che poteva vedersi addosso era il nero. Nero, come il Lato Oscuro da cui attingevano il loro potere. Nero, come il colore con cui aveva deciso di tingere la sua anima il giorno in cui aveva ucciso il Maestro Windu e si era votato ai Sith. Nero, come il velo che sembrava aver ricoperto tutto il suo mondo…da quando lei se ne era andata.

Attraversò l’anticamera per raggiungere il letto. Si accasciò sul bordo del materasso e stiracchiò la gamba sinistra. Il movimento gli procurò una smorfia. Si massaggiò il punto di congiunzione tra la sua gamba e l’innesto artificiale, di poco sopra il ginocchio. La perdita della gamba sinistra era il ricordo perenne che Obi-Wan gli aveva lasciato della sua ingloriosa sconfitta. Il pensiero della sua disfatta era un tasto dolente. Era stato talmente sicuro di vincere che ancora non si capacitava di come potesse aver perso e averci rimesso addirittura un arto. Ricordava gli occhi di rimprovero e rimorso del Maestro Jedi che lo guardava dall’alto, la sua boria quando aveva deciso di fare quel salto per mettersi in una posizione vantaggiosa che gli avrebbe assicurato la vittoria… e il male che aveva provato quando la spada laser dello Jedi gli aveva tranciato via di netto la gamba sinistra. Il dolore era stato immenso, tanto da farlo precipitare a terra stordito e incapace di reagire, ma ancora più grande era stato il senso di umiliazione per la sconfitta subita. Come gli aveva detto Dooku una volta, “a doppia superbia, doppia caduta”, e lui era precipitato dall’alto di un grattacielo. Se si era salvato era solo perché il tempestivo arrivo di Lord Sidius aveva indotto Obi-Wan alla fuga, impedendogli di ucciderlo.

La aggiungerò all’elenco di cose di cui devo vendicarmi.

Era un elenco che si allungava ogni giorno di più. Sapeva che non poteva attribuire tutte le cause della sua motivata rabbia al suo vecchio maestro, però nella sua mente era ormai il simbolo delle bugie che gli Jedi gli avevano intessuto attorno per anni e delle ingiustizie subite. Inoltre poteva giustamente accusarlo di averlo tenuto con il guinzaglio stretto per anni, probabilmente invidioso e timoroso del potere che scorgeva in lui. Ma l’accusa più grande che gli rivolgeva era un’altra. Gli aveva portato via Padmé.

Al solo pensiero, sentiva la rabbia pervadergli il petto, una fiammata che lo incendiava da dentro distruggendo ogni altro pensiero, ogni freno. La lampada sul comò accanto al letto iniziò a tremare e Anakin dovette fare una grande sforzo di volontà per calmarsi. Sentiva il potere della Forza scorrergli nelle vene, pompato proprio da quell’ira che gli ruggiva nel cuore. Era come se fosse pronto a esplodere e quei pensieri accendevano la miccia che già normalmente faticava a tenere spenta. 

Padmé, la sua bellissima moglie. La moglie che lo aveva guardato negli occhi allontanandosi da lui, dicendogli che non poteva più seguirlo a causa delle sue scelte, che non lo riconosceva più. La moglie che aveva condotto Obi-Wan da lui e poi era stata capace di accusarlo di avergli spezzato il cuore!

Come poteva aver osato dirgli una cosa del genere, quando era stata lei a fare a pezzi il suo? Tutto quello che aveva fatto da che la conosceva era stato proteggerla e amarla, era per lei che aveva intrapreso quella strada, che era andato contro gli Jedi! E mentre lui aveva messo in gioco la sua vita e tutto ciò in cui aveva creduto, Padmé lo aveva tradito e si era allontanata da lui.

Era un dolore insopportabile, alienante. Si rendeva conto che non riusciva a pensare ad altro che alla sua mancanza notte e giorno. Si, perché nonostante il tradimento, nonostante ciò che gli aveva detto, lui l’amava ancora. L’aveva sempre amata, da quando era apparsa simile ad un angelo nella sua piccola casa a Tatooine, e l’avrebbe amata per sempre, incurante di qualsiasi cosa lei potesse fare.

Ecco perché la sua priorità assoluta, nonostante ciò che aveva ordinato l’Imperatore, era di ritrovarla. Era certo che Obi-Wan la tenesse nascosta da qualche parte, ma lui l’avrebbe trovata anche nei confini più remoti della Galassia, avesse dovuto setacciare i pianeti uno ad uno! Sperava solo che lo Jedi non le riempisse la testa di false insinuazioni su di lui nel frattempo. Una volta ritrovata, le avrebbe spiegato con calma i motivi che c’erano dietro le sue scelte ed era certo che lei lo avrebbe capito e lo avrebbe appoggiato. Avrebbe compreso che tutto ciò che aveva fatto era stato per assicurarsi la sua salvezza e per vivere finalmente alla luce del sole, senza più il timore di essere scoperti; che era più che giusto che lui, dopo tutti quegli anni passati nell’ombra degli altri, ottenesse le giuste ricompense per la sua bravura e che vedesse realizzate le sue ambizioni.

Dopotutto, avevano superato ogni sfida che il destino gli aveva posto davanti fino ad ora, avrebbero superato anche questa.

Prese un profondo respiro e si avvicinò all’armadio incassato dentro il muro. Aperta la porta metallica, prese un borsone dal fondo dell’armadio e iniziò a mettere dentro l’essenziale per la missione che lo attendeva. Puntando la concentrazione su ciò che stava facendo, cercò di alienarsi dai suoi stessi pensieri, dalle sue emozioni. Gli era quasi impossibile, ma era l’unico modo per mantenere la compostezza e la fermezza di cui aveva bisogno ora. L’unico modo per tenere a bada quella rabbia che esigeva di essere sfogata. Non era ancora il momento. Quando avrebbe trovato Obi-Wan, avrebbe finalmente avuto la vendetta che agognava. E trovato lui, era certo che avrebbe trovato anche la sua Padmé.

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Capitolo 3
*** 2_La Lega Galattica della Resistenza ***


Ciao a tutti! Inanzitutto mi scuso profondamente per i tempi biblici di questo aggiornamento! Alcuni problemi personali uniti all'effettiva mancanza di tempo avevano causato un brusco calo di ispirazione, ma fortunatamente è tornata! Quindi anche se non sarò comunque una scheggia nell'aggiornare, non passeranno più i mesi come questa volta! Dato che vi ho già fatto aspettare abbastanza, vi lascio subito al capitolo, sperando che la vostra attesa venga ripagata e che vi piaccia! Ringrazio di cuore La_Birba e the best per aver commentato e per i vostri complimenti, spero di sapere presto le vostre opinioni anche su questo secondo capitolo e che non vi deluda!! Colgo solo l'occasione per rispondere alla domanda che mi ha fatto La_Birba e che magari si è posto anche qualcun altro, Anakin dallo scontro con Obi-Wan è uscito senza rimanerne sfigurato, ha perso solo la gamba sinistra ma per il resto è tutto a posto! Lo so che è una grande deviazione dalla storia principale, ma anche il fatto che Padmé sia viva lo è, ed essendo questo un finale alternativo mi sono azzardata a fare questo cambiamento, spero che piaccia come proseguirà! Buona lettura a tutti! 


2_La Lega Galattica della Resistenza

 
Un fastidioso mormorio regnava nella sala circolare da quasi un’ora senza sosta. Mi appoggiai sul sedile, portandomi una mano alla tempia. Se quell’insulso brusio non fosse finito presto, ero certa che avrei concluso la giornata con un colossale mal di testa. Una mano gentile mi si posò sul braccio, attirando la mia attenzione.

“Tutto bene?” mi chiese Obi-Wan, inclinandosi dal suo seggio verso di me.

Sorrisi per tranquillizzarlo. “Si, solo che dubito che questo porterà a qualcosa” commentai indicando con un’occhiata la confusione che regnava attorno a noi.

Ci trovavamo nella sala circolare delle conferenze di Giano, ormai diventata base non ufficiale delle riunioni per la Lega Galattica della Resistenza, il gruppo di reduci, ancora fedelmente attaccati alla Repubblica, che si stava creando per contrastare il neonato Impero Galattico di Palpatine.

Da quando Obi-Wan ed io ci eravamo rifugiati su Giano e avevamo iniziato a inviare dei messaggi di aiuto ai pianeti della Confederazione e non, era passato quasi un mese. Il primo a rispondere era stato Dardwin, il cui rappresentante sotto forma di ologramma, Maatal, sedeva poche sedie lontano dalla mia. Quella stanza circolare era cento volte più piccola di quella che aveva ospitato il Senato originale della Repubblica a Coruscant, eppure i nostri alleati erano talmente pochi che molte delle sedie restavano desolatamente vuote a ricordarci quanto lavoro avessimo ancora da fare. Tuttavia, rispetto ad un mese prima dove gli unici seggi occupati erano il mio, quello dei due maestri Jedi Obi-Wan Kenobi e Yoda e quello di Jar Jar, figuravano diverse presenza in più che davano speranza.

Oltre a Dardwin, al nostro appello avevano risposto Phemis, Khmor, Govia, Keral e altri 25 pianeti, ed ora gli ologrammi dei loro ambasciatori figuravano sui seggi della sala, a dimostrazione del fatto che il momento dell’azione era vicino.

Sospirai a quel confortante pensiero. Anche se il lavoro di ambasciatrice e coordinatrice di tutte quelle forze che stavano convergendo assorbiva buona parte della giornata, stare confinata nel palazzo di Giano era una tortura. Avevo le mani che fremevano per il desiderio di uscire e fare attivamente qualcosa anziché continuare ad analizzare carte su carte, studiare rapporti e mettere a punto idee che forse non avrebbero mai visto una vera realizzazione. Avevo bisogno di azione. Avevo bisogno di avvicinarmi fisicamente al mio obiettivo anziché limitarmi a pensarlo. Ma sapevo che muoversi senza una ferrea preparazione sarebbe stato un suicidio. Comunque sia, quel giorno avevamo ricevuto una notizia che forse avrebbe aperto un piccolo spiraglio per permettere un’azione reale. L’informazione aveva suscitato tanto clamore da essere la causa di quella discussione che andava avanti da un’ora. Una delle nostre spie, ci aveva informato che esisteva una copia della progettazione della Morte Nera, la fortezza grande quanto un piccolo pianeta che orbitava attorno a Coruscant e che era stata appena ultimata. A quanto sembrava, qualche anno addietro, quando il Conte Dooku si era rifugiato presso Geonosis assieme ad un gruppo di Separatisti, avevano lasciato una copia del progetto della nuova arma dei Sith in caso il Conte non fosse riuscito a scappare per consegnarlo a Palpatine. Il server in cui era custodito era criptato e ben protetto, ma non inespugnabile quanto la Morte Nera, una roccaforte galleggiante, armata come la migliore delle navi da guerra e ospitante un intero esercito nonché l’ex-Cancelliere e…Anakin. 

Bastò il suo pensiero a darmi la forza giusta per prendere la parola in quel guazzabuglio di piani avventanti che si accavallavano da un’ora.

“Signori, non possiamo permetterci di perdere tempo riflettendo se usufruire di questa informazione sia saggio o meno.” Li interruppi con vigore. I visi di tutti si appuntarono su di me, quasi sorpresi di sentire la mia voce dopo che mi ero ritirata in un silenzio meditativo. Con un sospiro mentale, scacciai Padmé e tirai fuori la senatrice Amidala, pragmatica e sicura, difficile da intimidire in una discussione. La senatrice che aveva un’assoluta necessità di convincerli a battere il ferro finché caldo e buttarsi finalmente nell’azione vera anziché ritirarsi dietro infinita demagogia. “Abbiamo finalmente uno spiraglio nella corazza del nemico su cui colpire. Sappiamo tutti che la Morte Nera è un’arma micidiale, se non riusciremo a trovare un suo punto debole per distruggerla, la nostra rivoluzione è finita ancor prima di iniziare. Per quanti pianeti possiamo convertire alla nostra causa, nessun esercito sarà mai abbastanza grande per poterla sconfiggere. Quindi entrare in possesso dei piani di progettazione di quella fortezza orbitante è la nostra priorità numero uno ed è mia opinione che sia saggio recuperarli il più presto possibile. La Morte Nera è stata ultimata da poco, se davvero ha un difetto ed è nascosto in quei piani, probabilmente penseranno quanto prima a distruggerli per evitare che cadano nelle mani sbagliate, ovvero nelle nostre” affermai, sicura di quello che dicevo.

“Saggio quello che dite è, senatrice Amidala” intervenne il maestro Yoda, seduto alla sinistra di Obi-Wan. “Ma chi tra noi mandare per questa spedizione?”

Seguì un minuto di silenzio, in cui tutti riflettemmo sul problema. Non sarebbe bastata una semplice spia di ricognizione, ci voleva qualcuno abbastanza abile da infiltrarsi nelle linee nemiche senza essere visto e capace di combattere se il caso lo avesse richiesto. Qualcuno con sangue freddo e l’abilità di risolvere ogni problema gli si fosse posto davanti. Inoltre doveva essere qualcuno di cui potevamo fidarci ciecamente.

“Andrò io”

La proposta di Obi-Wan mi giunse come una doccia gelata.

“No” dissi distinto, ma la mia opposizione si perse nei mormorii di assenso che provenivano dagli astanti. 

“Sicuro della tua candidatura tu sei, maestro Obi-Wan?” l’unico a mettere almeno in dubbio l’autonomina dello Jedi fu Yoda.

“è un compito da Jedi, e dato che siamo rimasti in due non vedo molte altre alternative. Inoltre, sono già stato a Geonosis e se quei piani sono là, ho un’idea di dove iniziare a cercarli” rispose pragmatico l’uomo.

Mi morsi il labbro per non ribattere. Purtroppo per me sapevo che Obi-Wan aveva completamente ragione. La missione era delicata ed era vitale che fosse portata a compimento. Lui probabilmente era la nostra assicurazione migliore per entrare in possesso di quei progetti. Però non potevo in cuor mio non essere contraria all’idea di esporlo deliberatamente al pericolo da solo. In quelle ultime settimane passate a organizzare il primo embrione della resistenza, la solidarietà che si era sviluppata tra noi, la sua solida e rassicurante presenza erano state la colonna che mi sosteneva per non crollare. Tuttavia Obi-Wan era uno Jedi, sapeva certamente badare a se stesso, e poi il successo della missione aveva la priorità su qualsiasi cosa potessi provare.

“Bene, se non ci sono obiezioni, partirei oggi pomeriggio stesso. Se il tempo è un fattore vitale, non voglio sprecare nemmeno un’ora”. Decretò lo Jedi.

L’approvazione fu data all’unanimità e la seduta, con mio sollievo, fu finalmente sciolta. Gli ologrammi si spensero ad uno ad uno finché nella stanza non rimanemmo solo Obi-Wan, Yoda ed io.

“Pericolosa la missione che stai per affrontare è, un brutto presentimento a riguardo io ho. Scaltro dovrai essere, usa la Forza per avvertire i pericoli e raggiungere la tua meta.” il vecchio maestro aveva una ruga di preoccupazione sulla fronte mentre ammoniva Obi-Wan, il che mi diede la misura di quanto la missione fosse rischiosa.

“Faccio preparare la nostra nave più piccola e più veloce e ti farò avere un sopraluogo del pianeta da studiare durante il viaggio” proposi, mentre ci avviavamo verso l’uscita della sala.

“Grazie Padmé”

Il maestro Yoda lievitò fuori dalla stanza su un sedile di metallo, lasciandoci soli.

Obi-Wan mi mise una mano sulla spalla e strinse la presa leggermente. “Non preoccuparti per me, sono uscito da situazioni peggiori di questa, credimi” tentò di scherzare.

Gli sorrisi, apprezzando il suo sforzo di alleggerire la tensione. “Lo so, cerca solo di tornare tutto intero”.

“Intero e con i piani in mano. Quando tornerò, ci saremo avvicinati di un passo in più alla sconfitta dell’Imperatore” predisse sicuro. “Intanto tu continua a svolgere il lavoro di coordinatrice qui, sei il punto fermo della rivolta, lo sai, grazie ai tuoi sforzi e al tuo nome altri pianeti si stanno già mettendo in contatto con noi”.

Lo ringraziai per la fiducia, incapace di mettere a tacere una punta di orgoglio per quelle parole. L’essere stata una senatrice aveva indubbiamente dei discreti vantaggi a livello di conoscenze e alleanze. Tuttavia avrei fatto ben poca strada senza la forza e la sicurezza di due maestri Jedi accanto. La gente li vedeva ancora come i difensori della giustizia, dei protettori a cui affidarsi. La menzogna che Palpatine aveva diffuso sulla loro presunta cospirazione contro la Repubblica per infangarli, se aveva avuto riscontro tra le alte sfere del Senato, attecchiva poco tra la gente comune che ben ricordava quante volte gli Jedi fossero intervenuti in soccorso della Galassia.

Cercando di essere il più fiduciosa possibile, salutai Obi-Wan augurandogli di tornare il prima possibile.

Speriamo in bene.

 

“Avete fatto trapelare la falsa notizia?”

“Si, mio signore. La vostra intuizione su Diegoro era corretta. Appena sentito di Geonosis ha cercato di mettersi in contatto con i Ribelli”.

Darth Vader annuì compiaciuto di sapere che il suo piano stava procedendo correttamente. Congedò Cordet con un cenno e si accinse ad andare a riferire gli sviluppi del suo piano al suo maestro. Le guardie all’ingresso scattarono sull’attenti appena lo videro avvicinarsi ma lui non le degnò di un’occhiata. Si introdusse a passo sicuro nella sala delle trasmissioni le cui uniche fonti di luce erano i monitor dei computer che riempivano il perimetro. Si avvicinò ad uno di questi e digitò sulla tastiera la frequenza per entrare in contatto con la Morte Nera, dove si trovava l’Imperatore. Poco dopo, l’ologramma dell’Imperatore riempì la piattaforma ovale posta al centro della stanza.

“Quali notizie, mio giovane apprendista?” senza molti preamboli, l’oscura figura incappucciata si rivolse ad Anakin riempiendo la stanza del suono roco della sua voce.

“Maestro, le mie intuizioni erano giuste. Diegoro era una spia dei Ribelli, gli abbiamo fatto sentire una falsa informazione secondo cui una copia dei progetti della Morte Nera sono ancora custoditi a Geonosis. La spia ha già passato la voce ai suoi alleati” lo informò con efficienza.

Sul volto deformato di Palpatine si disegnò una linea simile ad un ghigno.

“Molto bene, Lord Vader, molto bene. Come sempre le tue percezioni sono corrette”. Nonostante il complimento, il volto del giovane rimase impassibile. “Siete riusciti a rintracciare dove era indirizzato il messaggio?”

“Si, mio signore, ma non ci ha portati al loro rifugio. Il segnale è stato inviato verso un pianeta deserto, probabilmente per depistarci. Da lì sarà stato reindirizzato verso il loro nascondiglio.” Spiegò.

Palpatine incrociò al petto le braccia, nascoste sotto il lungo mantello nero, mentre rifletteva.

“Quindi anche se abbiamo scoperto la spia tra noi, non siamo più vicini di prima a scoprire dove si nascondono. Cosa intendi fare ora, Lord Vader?”

Anakin sostenne lo sguardo indagatore del Sith senza sbattere ciglio. Sembrava che nulla potesse scalfire l’impassibile determinazione del suo viso, come la fermezza di ferro nella sua voce.

“La finta informazione che ho lasciato trapelare non era solo per cercare di intercettare le loro conversazioni, era una trappola. Se il messaggio dell’informatore è già stato ricevuto, sono certo che invieranno qualcuno di fidato a recuperare quei progetti.” Illustrò conciso. “Io credo che quel qualcuno sarà il maestro Obi-Wan Kenobi , non hanno a disposizione altre persone per l’incarico”.

Palpatine scoppiò a ridere, una risata rauca che si riverberò nella stanza.

“E scommetto che tu sarai lì ad attendere il suo arrivo. È un ottimo piano, mio apprendista, hai la mia approvazione per portarlo a termine. Cattura lo Jedi, senza di lui gli altri cadranno poco dopo” e con queste parole chiuse la conversazione.

Anakin rimase qualche minuto nella stanza. Fisicamente era immobile, ma la sua mente si muoveva a ritmo febbrile.

Era stato un mese lungo quanto un’Era. Aveva rincorso ogni possibile traccia, ogni pista che gli si era presentata saltando da pianeta a pianeta senza sosta, come un leone affamato completamente assorto nella sua caccia. Ma dopo settimane che viaggiava da un lato all’altro della Galassia senza compiere un minimo passo avanti nelle ricerche per trovare il gruppo di Ribelli che li stava sfidando, aveva capito che la strategia che aveva assunto era inutile. Così, smettendo di rincorrerli, aveva architettato un piano per indurli a uscire allo scoperto. Aveva posto loro dinanzi una preda troppo ghiotta perché non uscissero dalla loro tana per tentare di prenderla. L’attesa finalmente lo aveva ripagato. Era certo che Obi-Wan avesse abboccato e con lui avrebbe poi preso la Lega in cui i Ribelli si erano organizzati.

La Lega Galattica della Resistenza, così si faceva chiamare l’unione di pianeti che speravano di opporsi al potere dell’Impero. Un gruppo di folli utopisti che ancora credevano fosse possibile imporre la pace con la finta promessa di libertà che dava il nome Repubblica. Poteva facilmente capire come gli Jedi si fossero opposti così strenuamente all’Impero, dopo secoli che detenevano il potere a fianco del Senato repubblicano. Perdere l’autorità di cui si erano appropriati e che credevano un loro imprescindibile diritto era per loro insopportabile. Ma che i sovrani e i ministri degli altri pianeti non comprendessero come Palpatine avesse portato la pace nella Galassia distrutta dai conflitti creati proprio dai diverbi della Repubblica a cui tenevano tanto, gli era incomprensibile. Sapeva bene che l’ex-Cancelliere aveva dovuto imporre quella pace al prezzo di milioni di vittime, ma era stato l’unico modo per risolvere una lacerazione che andava espandendosi sempre più. Era stato un atto di forza, e come tale era stato certamente difficile da digerire, ma il risultato era ben visibile agli occhi di tutti. I pianeti erano in pace, riuniti in un unico impero, sotto la guida di un unico capo abbastanza forte da mantenere l’equilibrio che aveva creato. Se c’erano ancora delle guerre in seno all’Impero, la causa era da attribuirsi proprio a quel piccolo gruppo di Ribelli che, ceco davanti alla realtà, continuava a professare i valori di una Repubblica che forse era esistita solo nelle loro convinzioni. La Repubblica si era dimostrata corrotta sin nel midollo, era stata incapace di salvaguardare la sua integrità e proteggere i suoi abitanti. La base stessa su cui era stata fondata, il principio della libertà di parola e di scelta, era stata distorta al punto che anziché essere una garanzia per la giustizia, era stata il suo principale freno. Le discussioni che avrebbero dovuto portare alle scelte più sagge e giuste per la Galassia, avevano in realtà aperto faide e iniziato conflitti, avevano protratto guerre con infinite quanto inutili mediazioni diplomatiche portate avanti spesso per interessi secondari dei singoli, anziché risolverle con un solo atto di forza. Le persone a cui i pianeti avevano affidato la loro guida perché ritenute più corrette e lungimiranti di altre, si erano dimostrate abiette e unicamente interessate a seguire i loro fini, capaci di mentire e di favorire azioni spregevoli pur si perseguire i loro scopi.

L’Imperatore non si nascondeva dietro una falsa demagogia. Esprimeva ferramente la sua volontà e la faceva eseguire, avendo come scopo principale la salvaguardia dell’Impero Galattico. Ed era un fine che, agli occhi del giovane Sith, ben giustificava i mezzi a volte discutibili che adottava. La guerra aveva fatto troppe vittime in quegli ultimi secoli, motivo per cui era ben determinato ad estinguerne l’ultimo focolaio.

Fece un respiro profondo e si scostò dal monitor per le trasmissioni. Doveva andare a dare le coordinate al capitano della nave. Se conosceva bene il suo vecchio maestro, non avrebbe perso tempo a rendersi utile per la Lega.

L’idea che da lì a poco lo avrebbe finalmente incontrato a Geonosis gli trasmise una scarica di energia. Si sentiva come una molla carica, pronta a scattare. Aveva atteso quel momento facendo scorrere impazientemente giorno dopo giorno. Ora la resa dei conti si stava avvicinando.

 

“Preferiresti un maschio o una femmina?”

“Una femmina” rispose il giovane senza esitazione.

La ragazza sorrise della sua fretta. “Strano, di solito i padri preferiscono un maschio. Come mai tu no?”.

“Gli altri padri non si sono scelti una moglie bella come la mia. Altrimenti anche loro spererebbero in una bambina con il sorriso dolce di sua madre”.

Era una frase così bella da sembrare quasi preparata, ma la sincera ammirazione che gli leggeva nello sguardo mentre la rimirava non lasciava adito a dubbi sul fatto che pensasse davvero quelle parole.

Sorridendogli di cuore, si staccò dalla balaustra del balconcino del loro appartamento per avvicinarsi. Appena fu alla sua portata, il ragazzo le circondò la vita con le braccia robuste per stringerla a sé, facendo però attenzione a non schiacciarle l’ormai prominente pancia che custodiva l’oggetto della loro conversazione.

“Sei così bella, Padmé” le mormorò, sfiorandole la tempia con un bacio.

Padmé accostò la guancia sulla spalla di suo marito, inspirando a fondo l’odore fresco e penetrante della sua pelle.

“E come vorresti chiamarla?” gli chiese, tornando all’argomento principale.

Anakin appoggiò il mento sulla sua testa e prese a cullarla dolcemente tra le braccia.

“Mi spiace deluderti, ma non sono molto bravo in queste cose” confessò fintamente sconsolato.

“Non c’era nell’addestramento Jedi questo?” scherzò lei. Sentì la sua risata riverberarsi nel petto che la stringeva.

“Certamente, era tra imparare a saltare da due piani usando la Forza e gestire due spade in un combattimento. Solo che devo aver saltato quella lezione” le rispose ironico.

“Mmm, che ne dici di Dorotea?” propose Padmé.

Anakin storse il naso. “Senza offesa, ma mi sembra un nome da vecchia bisbetica”.

“Erinna?” tentò di nuovo.

Il giovane lo soppesò un momento prima di scartarlo scuotendo il capo. “Troppo strano, a una bambina si addice un nome dolce.” Commentò.

Rimasero in silenzio per qualche minuti, entrambi assorti in un proprio lungo elenco di nomi da passare al vaglio prima di proporlo all’altro. Anakin voleva un nome che rimanesse impresso nella mente di chi lo ascoltasse. Era certo che una volta cresciuta, sua figlia sarebbe stata conosciuta in tutta la Galassia. Doveva quindi avere un nome che la caratterizzasse. Doveva essere dolce, perché si addicesse alla bellezza che avrebbe certamente ereditato dalla madre, ma anche deciso. Poi d’un tratto ebbe un’illuminazione. O meglio un lontano ricordo che affiorava lentamente alla luce. C’era una fiaba che sua madre gli leggeva quand’era bambino a Tatooine, la storia di una bella avventuriera, gentile con chi chiedesse il suo aiuto, ma determinata contro i suoi nemici. 

“Leila” pronunciò in un bisbiglio, quasi assaporasse con lentezza quella parola.

Padmé si allontanò da lui quel tanto che bastava per scorgergli il viso. “Leila?” chiese. Ci pensò su, poi ripeté il nome con più decisione, come per tastarlo. “Leila”.

Gli sorrise luminosa. “Mi piace, è melodioso, ma semplice, resta impresso”.

“Leila allora. Già la immagino, con i lunghi capelli castani su un viso a cuore e dei grandi occhi limpidi, pieni di vita” approvò soddisfatto Anakin, prendendo tra le dita una ciocca di Padmè.

“E se invece fosse un bimbo con i capelli color del grano e degli occhi a volte un po’ burrascosi?” chiese la ragazza, interrogandolo con lo sguardo.

“Se fosse un maschietto…Kormi?”

Questa volta fu il turno di Padmé a fare una smorfia contrariata. “Kormi? Sei sicuro sia un nome vero? È terribile!”.

Anakin rise dello sdegno di sua moglie. “Ehi, era solo una proposta!” si difese.

Padmé contemplò un attimo il panorama di luci e colori che la terrazza su Coruscant gli offriva. Se pensava a suo figlio, non poteva non immaginare una copia in miniatura del padre. Avrebbe voluto che fosse forte e determinato quanto lo era stato lui nel seguire i suoi sogni. Gli augurava di ereditare la gentilezza che albergava nel suo cuore e il desiderio di fare la cosa giusta che guidava ogni sua azione. Avrebbe tanto voluto che suo figlio, al pari del padre, diventasse una luce nel buio di crudeltà e ingiustizie che popolavano quella Galassia. Alzò lo sguardo per vedere le stelle che brillavano in quell’immensa volta e un nome le balenò davanti agli occhi. Se non si ricordava male, derivava da “lux” che, in una lingua tanto remota da essere quasi dimenticata, voleva dire “luce”.

“Lo chiameremo Luke” affermò, sicura della sua scelta.

Anakin sorrise vedendo il volto contento della moglie e non esitò ad approvarne la scelta. Appoggiò la mano con delicatezza sulla pancia della sua Padmé mentre con l’altra le alzò il mento.

“Sono due nomi bellissimi.” Le mormorò ad un soffio dalle labbra, prima di baciarla con una tenerezza infinita.

Padmé gli cinse il collo con entrambe le braccia e chiuse gli occhi, abbandonandosi alla sensazione di piacere che le sue morbide labbra le regalavano. A poco a poco, il bacio si fece più approfondito, fino a provocarle i brividi lungo tutta la schiena. Ah, solo lui poteva suscitarle una reazione del genere con un semplice bacio!

Quando si staccò, le disegnò una linea lungo tutta la mandibola con piccoli e casti baci, prima di stringerla di nuovo a sé per rimanere così, sulla terrazza con una Coruscant illuminata da sfondo, cullati da una brezza leggera che faceva ondeggiare il bordo della vestaglia di Padmé. Il loro mondo era interamente in quella terrazza, la loro felicità in quella creatura dal nome incerto che la ragazza portava in grembo. Il resto non contava.

Quando mi svegliai la mattina dopo, notai con stupore che le mie guancie erano bagnate di pianto. Il ricordo del sogno che avevo fatto quella notte mi investì, dandomi la spiegazione che cercavo. Non era stato un semplice sogno. Era un ricordo vero, di una sera d’estate quando ero ancora incinta, poco prima che il mondo in cui avevo vissuto si capovolgesse perdendo di significato.

Mi rannicchiai con le ginocchia al petto mentre ripercorrevo ancora quel ricordo agro-dolce che nell’inconscio mi aveva fatta piangere di gioia e di dolore insieme.

Anakin…il mio Anakin che mi baciava con dolcezza e che sperava di poter avere una figlia simile a me. Alla fine eravamo stati accontentati entrambi. Lui aveva avuto la sua piccola Leila ed io il mio Luke.

Mi alzai dal letto e mi avvicinai alle culle dove le mie due piccole pesti dormivano ancora beate. Con i pugnetti alzati vicino al viso erano incredibilmente dolci, ma sapevo bene che era un’illusione che sarebbe durata solo finché erano entrambi addormentati. Appena si fossero svegliati, avrebbero ricominciato a pretendere con decisione le mie attenzioni, che tuttavia ero ben felice di dargli.

“Presto anche il vostro papà sarà qui per voi”.

Era una promessa a cui non avrei mancato a costo della mia vita.

 

 

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Capitolo 4
*** 3_La trappola del Sith ***


3 capitolo

Ciao a tutti! Ecco a voi il terzo capitolo della mia storia, fortunatamente sono riuscita a non farvi aspettare secoli come l'altra volta! E' un capitolo di transizione, quindi mi scuso in anticipo se non troverete svolte importanti nella trama, la grande svolta ci sarà nel prossimo, ma nell'attesa spero che troverete comunque questo capitolo interessante e che vi invogli a leggere il quarto :-) Ringrazio tutti coloro che hanno speso il loro tempo a leggere la mia fan fiction, coloro che l'hanno aggiunta alle seguite e un grazie particolare a the best  che ha commentato lo scorso capitolo: grazie mille, davvero, spero sinceramente che "la trappola del Sith" ti piaccia e continui ad accendere la tua curiosità per il seguito! 

Auguro a tutti una buona lettura e spero di sapere le vostre impressioni su questa storia :-)

3_La trappola del Sith

 

La navicella filava a velocità sostenuta da un’ora, schivando meteoriti e superando pianeti, passando inosservata. Il Cavaliere Jedi all’interno dell’abitacolo aspettava con una serafica pazienza di giungere alla sua meta, risparmiando le forze per la delicata missione che gli si prospettava. La sua destinazione era Geonosis, il piccolo pianeta quasi desertico abitato da una popolazione barbara, che era stato sede del Consiglio dei Separatisti.

Obi-Wan non poteva non fare dei paragoni tra il presente e l’ultima volta che era stato su quel pianeta. All’epoca stava cercando di scoprire cosa minacciasse la Repubblica, chi fosse il misterioso pericolo che restava acquattato nell’ombra, ed era certo che qualunque cosa si fossero ritrovati ad affrontare, avrebbero saputo come fronteggiarla. Mai, nemmeno nei suoi incubi peggiori, avrebbe immaginato una tale disfatta. Ma soprattutto, mai avrebbe creduto che il tradimento che li avrebbe distrutti sarebbe giunto proprio da colui che aveva cresciuto come un fratello minore per tanti anni. Al Consiglio degli Jedi gli si poteva imputare la cecità davanti al Lato Oscuro che diveniva sempre più forte proprio nel cuore della Repubblica, ma Obi-Wan sapeva che a lui spettava una colpa unicamente sua, quella di aver fallito con il Prescelto. Lo aveva educato cercando di trasmettergli tutta la saggezza e la giustizia che un Cavaliere Jedi doveva avere, aveva cercato di instradarlo verso il suo destino, il destino di colui che avrebbe dovuto riportare equilibrio nella Forza, e invece lo aveva trasformato in un Sith. Il maestro Jedi non riusciva a farsene una ragione, né poteva credere a qualsiasi altra spiegazione che non prevedesse la sua parte di colpa in quella disgrazia.

Conosceva il cuore di Anakin bene come pochi altri. Era lui che lo aveva visto crescere, che lo aveva aiutato a rialzarsi quando cadeva, che lo aveva corretto quando sbagliava ed elogiato quando migliorava. Ed era lui che non era riuscito a salvarlo dalla tentazione di quel Lato Oscuro che lo aveva traviato. Motivo per cui, spettava a lui correggere con ogni mezzo e ad ogni costo quell’imperdonabile errore, partendo dal portare a compimento con successo quella missione.

Dal pannello di controllo risuonò un “bip”. Obi-Wan alzò lo sguardo e la vista di Geonosis occupò la sua intera visuale. Avvicinandosi alla plancia, prese il comando della navicella e iniziò a cercare sul monitor un posto nascosto dove atterrare indisturbato. Individuata una piccola insenatura tra due rocce di rena rossa, si accinse a iniziare la manovra di atterraggio.

Una volta a terra, con il cappuccio calato a nascondere il viso, si incamminò verso l’apertura che anni fa aveva sfruttato per entrare nell’edificio principale della capitale, posto tra le rocce. Dopo un’ora di ricerca, riuscì a ritrovare il passaggio ed entrò nell’edificio. Con i sensi all’erta si appiattì contro la parete e prestò attenzione a ogni rumore circostante, aspettando di sentire qualcosa che gli rivelasse la presenza delle guardie. In fondo al corridoio dove si trovava, dalla destra sentì provenire il rumore di due voci che si avvicinava, probabilmente una ronda. Il maestro si appiattì ancora di più contro la parete sul lato opposto alla loro direzione e poco dopo vide oltrepassarlo due cloni, segno che Geonosis non era disarmata. Fece mente locale a dove fosse la stanza del server rispetto alla sua posizione. Doveva girare a destra e raggiungere il piano superiore, se non ricordava male. Facendo molta attenzione, si sporse dalla sua nicchia e, constatando che la strada era sgombra, si affrettò a percorrere il corridoio facendo il minimo rumore.

Grazie ad una buona dose di fortuna e sensi affinati da anni di missione, riuscì a raggiungere l’anticamera del server senza doversi scontrare con le guardie. Davanti all’ultima porta che lo separava dalla sua meta però, due cloni sorvegliavano la zona con l’arma pronta. Lo Jedi si appiattì contro la parete assicurandosi che nessun altro fosse nei paraggi eccetto le due guardie, poi senza perdere altro tempo balzò fuori dal suo nascondiglio, la spada laser già in mano. I due cloni ebbero a mala pena il tempo di rendersi conto di essere sotto attacco che già giacevano a terra.

Un gioco da ragazzi.

Attaccò un dispositivo al sistema di apertura elettronico e in breve riuscì ad aprire la porta della stanza del server. Trascinò i corpi inermi dei cloni all’interno per non allarmare chi eventualmente fosse passato dal corridoio e chiuse la porta.

Era dentro, ce l’aveva fatta.

Delle lampade rosse dovevano illuminare la stanza, ma la principale fonte di luce proveniva dai numerosi monitor addossati alle pareti. Si avvicinò al computer principale, posto in opposizione alla porta, e attaccò un hard disk per prepararsi a copiare i file che gli servivano. Il server ovviamente era protetto da alcuni sistemi di sicurezza, ma dopo qualche minuto Obi-Wan riuscì a bypassarli ottenendo l’accesso ai dati conservati nella memoria del computer. Iniziò a cercare i files relativi alla Morte Nera, provando alcune parole chiave per affrettare la ricerca. Dopo quasi un quarto d’ora però non aveva ancora trovato nessun risultato collegato anche solo lontanamente all’arma dell’Impero. Lo Jedi batté un pugno accanto alla tastiera per la frustrazione.

Maledizione! Com’era possibile che nel computer centrale non risultasse nessun file inerente a quella dannata arma? Aveva accesso completo alla memoria di quel server eppure nessuna traccia dei files sulla Morte Nera. Che fossero stati cancellati? Eppure era partito subito dopo aver ricevuto la notizia dal loro informatore, come avevano fatto a far sparire quei dati così in fretta?

A meno che…l’illuminazione gli giunse improvvisa quanto allarmante. Quei files non erano più lì da tempo. Le informazioni trapelate erano false, il che poteva dire soltanto una cosa. Era caduto in trappola.

Maledicendo la sua avventatezza, Obi-Wan uscì fuori dalla stanza e ripercorse il corridoio di prima, i sensi alla massima allerta. Al momento il corridoio era deserto, ma il suo sesto senso gli diceva che non lo sarebbe stato a lungo. I suoi nemici stavano solo aspettando il momento più adatto per rivelarsi, e probabilmente quello era anche il motivo per cui aveva incontrato così poche difficoltà a raggiungere il server, gli avevano praticamente lasciato la porta aperta.

A pochi metri dalla nicchia dove si nascondeva il passaggio, iniziò a sentire un rumore di passi affrettati. Sei cloni si stavano schierando per impedirgli di raggiungere la sua uscita. Imprecando tra i denti, svoltò a sinistra nel corridoio, pensando febbrilmente ad un’altra via per fuggire da lì. Da dove poteva passare? Sicuramente tutti i passaggi in quel momento stavano per essere raggiunti dai cloni per sbarrargli la strada. Avrebbe potuto affrontarli, un manipolo di sei poteva batterlo senza molte difficoltà, ma sapeva che prima che avesse atterrato l’ultimo, ne sarebbero giunti degli altri e in breve si sarebbe trovato attorniato da un piccolo esercito. No, non poteva permettersi uno scontro frontale, doveva trovare un altro modo, ma quale?

A un tratto un fiotto di luce proveniente da sinistra illuminò il corridoio prima in penombra. Obi-Wan si volse in quella direzione senza pensarci, sperando che portasse a un’uscita o a una finestra. La luce del sole lo inondò e lo Jedi dovette socchiudere gli occhi per non restare abbagliato. Si trovava sul balcone che dava all’arena che tempo prima era stata il teatro della fortunatamente mancata esecuzione di Padmé, Anakin e sua. Obi-Wan tirò un lieve sospiro di sollievo, pensando che era salvo, era fuori, ora doveva solo arrampicarsi verso la sommità dell’arena e calarsi giù. Tirò fuori il piccolo rampino dalla tasca del mantello, ma quando iniziò a farlo roteare, una voce dall’interno del corridoio, lo bloccò.

“Ho aspettato con ansia questo momento. Non vorrai andartene via così presto, maestro” anche senza il sarcasmo a calcare sull’ultima parola, quella voce non avrebbe potuto confonderla tra altre mille. Era la voce che aveva sentito accanto a se per gli ultimi dieci anni, la voce che aveva sentito amica innumerevoli volte alle sue spalle nei momenti di pericolo.

Obi-Wan sospirò e rimise in tasca il rampino, ormai inutile. Certo, avrebbe dovuto immaginarlo che non avrebbero mandato dei semplici cloni per coglierlo in trappola. Probabilmente era stato proprio lui la mente di quel piano, era sempre stato molto brillante, non se ne sarebbe stupito. Con un sorriso tra il sarcastico e lo sconfortato per quella situazione straniante, si volse verso la fine del balcone.

Anakin Skywalker, il suo vecchio padawan, lo fronteggiava a testa alta, le mani incrociate sul petto, gli occhi fissi su di lui. Si costrinse a incrociarne lo sguardo, anche se una parte di lui temeva ciò che avrebbe visto, un odio causato da una mole di meschine bugie. Un odio che nasceva da una ferita profonda che lo dilaniava, il dolore di aver perso tutto ciò che gli era più caro, e che, nel precipizio in cui era caduto, aveva gettato su di lui, come se trovare un bersaglio lo potesse aiutare a riemergere dalla profondità in cui era. Peccato che avesse individuato il bersaglio sbagliato, il vero colpevole era colui che adesso chiamava Maestro e che ancora continuava a ferirlo, torturando la sua anima senza che nemmeno se ne rendesse conto.

Kenobi provò una fitta al petto a vederlo ridotto così, ma quello che più lo ferì fu la consapevolezza che avrebbe di nuovo dovuto battersi con lui.

“In realtà stavo proprio per togliere il disturbo, Anakin. Quello per cui ero venuto evidentemente non c’è, quindi non ho altri motivi per trattenermi, se non ti spiace” temporeggiò simulando un tono ironico, mentre faceva un passo all’indietro, verso la balaustra.

Il commento non strappò nessuna espressione al giovane. Il suo viso sembrava fatto di pietra, nessuna emozione trapelava dalla linea dura della mascella, né preoccupazione per lo scontro, né altro, eccetto una rabbia sorda e una ferrea determinazione.

“Te ne do uno io allora. Devo restituire il favore dell’ultimo scontro” ribatté il ragazzo, sottintendendo la gamba sinistra che Obi-Wan gli aveva reciso durante il loro ultimo duello su Mustafa.

Lo Jedi scosse la testa. “Non hai ancora imparato Anakin? Conserva l’altra gamba e lasciami andare. Non è necessario battersi” cercò di persuaderlo.

Lord Vader questa volta si lasciò sfuggire un sorriso caustico. “Lo hai reso necessario nel momento in cui hai deciso di metterti contro l’Impero”.

Obi-Wan fece un altro passo verso il parapetto. “Non è per l’Impero che sei qui ora, Anakin. Sei qui per vendetta, per combattere contro di me perché credi ti abbia tradito e non vedi che sei tu ad aver tradito me, il Consiglio e la Repubblica” l’uomo stava parlando per prendere tempo, ma mentre le parole gli uscivano di bocca si accorse che aveva bisogno di gridargli in faccia le accuse che nella sua mente gli rimbombavano da mesi. “E soprattutto, con il tuo comportamento, hai tradito Padmé” concluse, guardandolo con tristezza.

Il viso del giovane a quel nome si contrasse in rabbia e dolore. Come osava proprio lui rinfacciargli di averli traditi quando erano stati loro a lasciarlo solo, a non credere che la parte che aveva scelto fosse quella giusta? Sentì l’ira montargli dentro, la sentii bruciargli le vene e dargli la spinta che gli serviva per fare ciò che doveva. Basta ora, il tempo delle parole era finito.

Con un urlo di frustrazione, si lanciò contro il vecchio Jedi ed estrasse la sua nuova spada laser, il cui colore rosso sanciva la sua svolta definitiva al Lato Oscuro della Forza. Alla vista di quel colore sanguigno, Obi-Wan ebbe un’altra fitta, ma si riprese in fretta per non permettere al suo avversario di sfruttarla come un vantaggio. Parlando era giunto dove voleva lui, attaccato alla balaustra, così anziché essere costretto a rispondere all’assalto in quella posizione svantaggiata nell’angolo come Anakin si aspettava, saltò all’indietro verso le gradinate più basse, prendendolo in contropiede. Sfruttando la Forza, riuscì con una capriola ad atterrare diversi metri più in basso, verso un altro balconcino, e da lì saltò di nuovo verso il cuore dell’arena. Atterrato sulla sabbia, estrasse a sua volta la spada laser e si mise subito in posizione di difesa, sapendo che il suo vecchio padawan non avrebbe esitato a lungo per raggiungerlo. Skywalker era già sulla balaustra pronto a inseguirlo appena aveva toccato terra. Anakin si lanciò nel vuoto e con un’unica capriola raggiunse il suolo. Si squadrarono per un breve istante, poi non ci fu più tempo nemmeno per pensare.

Anakin partì alla carica con un affondo dall’alto, ma Obi-Wan era pronto a riceverlo. Parò senza difficoltà il colpo e cominciò ad incalzarlo a sua volta con una serie di affondi laterali. Per un qualche momento le loro forze parvero pareggiarsi. Il loro modo di combattere era quasi identico, il che bilanciava gli attacchi. Ad ogni affondo corrispondeva una parata precisa e nessuno dei due era intenzionato a cedere terreno, finendo per girare intorno ad una linea immaginaria che costituiva il loro perimetro  di combattimento. Dopo una serie di attacchi però, una differenza cominciava a farsi notare. Mentre Anakin continuava a colpire con un ritmo serrato, senza risparmiarsi, Obi-Wan cominciava a respirare con più fatica. Il Sith se ne accorse e decise che non potendo puntare su una falla nella scherma dello Jedi, avrebbe allora sfruttato la sua maggior resistenza. Scartò di lato, cogliendo impreparato Obi-Wan, e riuscì a colpirlo con un calcio in pieno petto. All’uomo si mozzo il respiro e sentì un “crack” all’altezza delle costole. Gli si appannò la vista e quasi non si accorse di essere stato buttato a terra un paio di metri indietro. Cercò di rimettere aria nei polmoni, ma una fitta terribile lo trafisse come un pungiglione. Tuttavia, temendo che Anakin non gli avrebbe lasciato il tempo per riprendersi, si affrettò a rimettersi in piedi nonostante il dolore lancinante al petto. Si rimise in posizione di guardia e squadrò con attenzione il suo avversario, che palesemente soddisfatto aspettava la sua risposta con aria imperturbabile. L’arroganza che quell’espressione celava era smascherata solo dalla postura. Anakin, rinvigorito da quel piccolo successo, aveva abbandonato la posa di attacco.  

Ma come aveva fatto a diventare così dannatamente veloce? Quel calcio non lo aveva nemmeno visto arrivare! E com’era possibile che mentre lui iniziava ad accusare i primi segni della fatica dello scontro, Anakin sembrasse perfettamente riposato? Non erano passati che pochi mesi dall’ultima volta che si erano scontrati, e all’epoca lui era tatticamente più forte del giovane Sith. Com’era riuscito ad aumentare tanto rapidamente il suo potere?

Obi-Wan si guardò attorno, iniziando a chiedersi quale potesse essere la strategia migliore per combatterlo. Non voleva vincerlo, gli sarebbe bastato disarmarlo per poi poter fuggire, non aveva nessuna necessità né desiderio di fargli del male. Ma se fosse stato costretto a scegliere tra la sua vita e la propria…non poteva permettersi di abbandonare la Resistenza e darla così vinta all’Impero. E guardando lo sguardo deciso del giovane, sapeva che Anakin non si sarebbe risparmiato.

Un rivolo di sudore gli colò lungo la guancia. La domanda a quel punto poteva essere una sola. Se avessero entrambi dato il loro meglio, chi dei due ne sarebbe uscito vincitore?

 

*

 

“Senatrice Amidala! Senatrice!”

La voce affannata di Jousha si riverberò per quasi tutto il palazzo e raggiunse la mia camera molto prima che il ragazzo ci si fiondasse fisicamente dentro.

“Senatrice” annaspò il povero giovane sorreggendosi allo stipite della porta.

Allarmata dal suo tono di voce, scattai in piedi dal pavimento su cui ero seduta accanto ai bambini e Lavel. Cosa diamine era accaduto per provocare tanto scompiglio?

“Jousha, cosa succede? Siamo sotto attacco?” domandai, avanzando di un passo verso di lui.

Il ragazzo scosse la testa castana, diminuendo almeno un poco la mia ansia. Bene, non eravamo stati scoperti, ma a parte la notizia di un attacco cos’altro poteva essere di tanto orribile da farmi chiamare in tutta fretta?

“Senatrice, abbiamo appena ricevuto un messaggio criptato da Ezac, Darth Vader è partito con un gruppo di soldati per Geonosis poco fa!”

Gelai sul posto. Anakin…verso Geonosis? Poteva esserci solo una spiegazione per andare improvvisamente su quel pianeta.

Senza chiedergli ulteriori informazioni, iniziai a correre verso la sala del Consiglio, dove ero certa che avrei trovato il maestro Yoda e Taomar.

I due infatti mi stavano aspettando accanto alla nostra ricetrasmittente, la preoccupazione dipinta sul volto.

“è vero quindi? Anakin sta andando a Geonosis?” domandai senza inutili preamboli.

Yoda mi guardò, uno sguardo grave, carico di tensione e amarezza. “Una trappola, il giovane Skywalker, teso ci ha”.

“Una trappola?” chiesi, confusa.

Taomar avanzò di un passo verso di me, pallido. “A quanto pare, le informazioni che abbiamo ricevuto erano state fatte trapelare apposta per mandare il maestro Kenobi a Geonosis” rivelò.

Strabuzzai gli occhi. “Cosa? E come…” ma la risposta mi giunse in mente prima che finissi la frase. Ma certo, come avevamo potuto essere così ingenui da credere che i piani dell’arma più potente dell’Impero fossero stati lasciati incustoditi su un pianeta qualsiasi? La nostra disperata ricerca di un aiuto ci aveva reso ciechi di fronte a quello che avrebbe dovuto essere ovvio. “Diegora è stato scoperto. Gli hanno passato delle informazioni false” commentai.

Taomar annuì. “Per fortuna, l’altra nostra spia non è stata ancora smascherata ed è riuscita a comunicarci che una mezz’ora fa Lord Vader è partito per Geonosis per catturare Kenobi”.

Mi passai una mano sul viso e cominciai a riflettere. Obi-Wan era partito due ore fa, non c’era modo di avvertirlo per tornare indietro poiché, per essere sicuri che il radar della navicella non venisse rintracciato dalle guardie dell’Impero, aveva deciso di tenere spente le comunicazioni, però se partivo immediatamente avevo solo una mezz’ora di svantaggio rispetto ad Anakin per raggiungere lo Jedi per prima. Con una navicella piccola e veloce avrei potuto farcela.

“Voglio una nave pronta a partire all’hangar tra dieci minuti con un equipaggio di una decina di uomini” ordinai, iniziando a dirigermi verso l’armeria.

Taomar mi si accostò preoccupato. “Milady, non è una scelta saggia, se veniste catturata anche voi, tutto quello che abbiamo fatto finora risulterebbe inutile” obiettò.

Gli risposi senza nemmeno fermarmi. “Non intendo discutere sulla mia decisione. Se prendono il maestro Kenobi, siamo comunque perduti”.

“Ma…” cercò di protestare, ma fu interrotto dal maestro Yoda.

“La sua decisione la senatrice preso ha. Noi solo aiutarla a salvare Obi-Wan possiamo” decretò.

Mi permisi un breve sorriso di gratitudine per l’appoggio del maestro che convinse Taomar a non perdere altro tempo in chiacchiere e a disporre i preparativi per la missione. Intanto io mi diressi assieme al maestro verso il deposito armi, anche se in cuor mio speravo di non doverne aver bisogno arrivando prima del nostro nemico.

“Senatrice Amidala, per voi più che per chiunque altro questa missione penosa è. Se in difficoltà vi troverete, ricordate per cosa lottate”.

A quel consiglio mi bloccai un istante a riflettere. Guardai il maestro e lessi in quello sguardo secolare i sottintesi di quell’avvertimento. La difficoltà più grande in cui potevo trovarmi era quella di scontrarmi direttamente con Anakin. Sarei riuscita in quel caso a portare a termine la mia missione? Sarei riuscita a mettermi apertamente contro di lui o peggio, a lottare contro mio marito? Al solo pensiero di uno scontro diretto, il mio cuore tremava. Saremmo davvero giunti a quello? Pregai intensamente che il fato non mi mettesse dinanzi a tale prova perché anche se avessi trovato la forza per lottare contro di lui, non sapevo come avrei potuto convivere con quel fatto dopo. Di una cosa sola ero certa però.

“Salverò Obi-Wan, maestro, di questo non dovete dubitare”.

 

Esattamente dieci minuti dopo, ero seduta al posto del co-pilota di una delle navicelle più veloce dell’hangar pronta ad iniziare le manovre di decollo. Una decina di soldati erano stati subito pronti ad accettare di accompagnarmi in quella missione di salvataggio mentre io mi ero limitata a prendere due pistole laser dall’arsenale prima di partire. Guiwo, il pilota, inserì le coordinate verso Geonosis mentre il tetto della piattaforma di decollo si apriva. Cinque secondi dopo stavamo decollando verso la nostra meta.

“Tenendo una velocità sostenuta arriveremo a Geonosis in meno di un’ora, Milady” mi informò il ragazzo seduto alla mia sinistra. Annuii soddisfatta. Potevamo farcela, potevamo raggiungere Obi-Wan prima delle forze dell’Impero.

Stavo cercando di atteggiare il viso a un’espressione impassibile, sapevo che era necessario mostrarmi sicura di me davanti ai soldati per infondergli fiducia nel successo della nostra missione, ma l’agitazione mi stringeva lo stomaco come una morsa. Temevo di arrivare troppo tardi per salvare Obi-Wan, di apprendere che era già stato catturato una volta atterrati o, prospettiva peggiore di tutte, trovarmi in mezzo ad uno scontro a fuoco. Quello era lo scenario che assolutamente dovevo evitare. La nostra era una missione di soccorso, doveva intrufolarci a Geonosis e avvertire lo Jedi passando inosservati. Eravamo troppo pochi per permetterci uno scontro diretto, saremmo morti tutti inutilmente.

Torturata dall’ansia, mi alzai in piedi e mi diressi verso una delle vetrate laterali della nave che mostravano milioni di stelle e pianeti sfilarci accanto in una scia senza fine. Mi massaggiai le tempie con le dita, cercando di scacciare lo scenario di cui più avevo paura. Anakin davanti a me, con lo sguardo carico d’odio e rabbia come l’ultima volta che lo avevo visto. Anakin che dava l’ordine di uccidere i miei uomini ma che sapevo non avrebbe mai ucciso me. Ma una volta risparmiata cosa sarebbe successo? Come si sarebbe comportato? Davvero avrebbe mantenuto quella maschera terribile di odio? E ai bambini quale sorte sarebbe toccata? Avrebbe chiesto di loro, li avrebbe voluti con sé?

Appoggiai la fronte al vetro angosciata da quei mille interrogativi. No, non potevo permettere che si verificasse ciò. Avrei trovato Obi-Wan e lo avrei riportato a Giano. Fine.

“Senatrice, siamo arrivati”.

La voce di Guiwo mi riportò alla missione presente.

“Bene, iniziate le procedure per l’atterraggio ma scegliete…” fui interrotta dal dispositivo di allarme che iniziò a suonare.

Mi precipitai al pannello di controllo per capire cosa lo avesse fatto scattare. Il radar lampeggiava catturando la nostra attenzione e segnalando due grosse navi poco lontane dall’edificio centrale di Geonosis. Mi morsi il labbro quasi fino a farlo sanguinare. Poteva significare solo una cosa, l’Impero aveva preceduto il nostro arrivo sul pianeta. Non restava da sperare che non ci avessero preceduti anche nel trovare Obi-Wan.

“Rintraccia il segnale della navicella del maestro Kenobi e del rilevatore che ha sulla cintura. Dobbiamo vedere se è ancora sul pianeta e dove” ordinai. Avevo il cuore in tumulto ma la mia voce era fredda e ferma, non era il momento per farsi prendere dal panico.

Guiwo iniziò subito a rintracciare i due segnali dello Jedi trovandoli quasi immediatamente.

“La navicella è depositata in un anfratto poco distante da qui” sullo schermo apparve l’immagine di una nicchia tra le rocce, un luogo ideale per atterrare senza essere visti. “Il segnale di Kenobi invece sembra venir emesso da un punto dell’edificio, questo” l’immagine della navicella scomparve, sostituita da una pianta dell’edificio di comando della città. Un punto lampeggiante rosso indicava la posizione dello Jedi in uno spazio circolare ampio. Ci misi un istante per capire dove si trovasse. Era il disegno dell’arena dove qualche anno prima i mercanti e il conte Duko avevano cercato di giustiziare Obi-Wan, Anakin e me. E un brutto presentimento mi suggeriva che anche questa volta in quel punto esatto lo Jedi doveva trovarsi in una brutta situazione.

“Dobbiamo raggiungerlo. L’arena è all’aperto, se riusciamo ad aggirare i radar delle due navi dell’Impero finché non ci troviamo sopra, possiamo avvicinarci al terreno quel tanto che basta per permettere a Obi-Wan di salire su per poi allontanarci il più velocemente possibile.” Organizzai sul momento, analizzando velocemente la situazione.

Guiwo mi lanciò uno sguardo preoccupato. “è un piano rischioso, senatrice. Appena i loro radar ci individueranno, ci salteranno addosso. Inoltre non sappiamo in che situazione sia il maestro, se fosse circondato da un esercito noi non potremmo fare niente” obiettò.

Sbattei il palmo contro il sedile vuoto del co-pilota, irritata per quelle considerazioni ovvie. “Lo so Guiwo, ma è il solo piano che abbiamo, l’unica possibilità per salvare Kenobi. O preferisci tornare indietro e raccontare che siamo venuti fin qui per scappare con la coda tra le gambe alla vista di un paio di navi dell’Impero?” lo sfidai.

Il ragazzo abbassò lo sguardo, annuendo passivamente. Una piccola parte di me si sentì in colpa per aver sfogato su di lui la mia frustrazione, dopotutto potevo comprendere i sentimenti del giovane. Nessuno si butta entusiasta in una missione potenzialmente suicida, ma non avevamo altra scelta.

Stando attenti a non entrare nel raggio del radar nemico, sorvolammo sopra l’edificio fintanto che non giungemmo in prossimità dell’arena. Ordinai ai soldati sulla nave di tenersi pronti a far fuoco, quattro avrebbero usato le munizioni della navicella, gli altri cinque si sarebbero schierati con me davanti al portellone una volta aperto per sparare a chiunque avremmo incontrato.

Quando fummo pronti, con un cenno a Guiwo gli ordinai di dirigersi senza esitazione sopra l’arena. Da quel momento in poi eravamo visibili alle navi nemiche, avevamo i minuti contati. Con il cuore in gola e temendo ciò che ci aspettava, aprii il portellone, aggrappandomi ad una delle maniglie sul soffitto della nave per non rischiare di cadere. Quando il portellone fu spalancato però, lo spettacolo che mi accolse fu ben diverso da quello che mi aspettavo.

L’ultima volta che ero stata in quell’arena, infuriava una guerra, la prima dove i droidi distruttori dei Separatisti e i cloni, all’epoca al servizio della Repubblica, si erano scontrati. La vita di due Jedi e la mia era stata salvata dall’intervento propizio degli Jedi che erano arrivati con un esercito intero per combattere il conte Duko.

Quella volta però non erano due eserciti a fronteggiarsi su quell’arena, ma solo due uomini e due spade laser che si colpivano e schivavano con un’abilità consumata. Il cuore mi balzò in gola riconoscendoli. Uno dei due, era Obi-Wan, che si batteva con una tecnica affinata negli anni e per niente intaccata dall’età. L’altro, armato di una spada rossa come la collera che lo animava, era colui che avevo temuto di rincontrare. Anakin, anche se di lui sembrava non essere rimasto che l’aspetto dalla furia cieca con cui si muoveva.

Per ironia del destino, quell’arena sembrava aver riportato in scena i tre protagonisti dell’ultima battaglia che aveva visto, ma i ruoli non potevano essere più diversi dall’ultima volta. Il maestro e il suo allievo, quasi più un padre e un figlio, si battevano in un duello mortale, animati dal rancore e dalla delusione reciproci, ed io mi ritrovavo a fissare il mio unico amico e mio marito combattersi tra loro, sapendo di dovermi schierare da una delle due parti.

Pur con tutta la sua bravura, Obi-Wan era visibilmente in svantaggio. Si limitava a parare e ad arretrare dinanzi agli assalti di Anakin, il quale non retrocedeva di un passo. Sgomenta, mi domandai se davvero sarebbe stato capace di ucciderlo, giunti alla fine del duello. Il mio Anakin avrebbe rischiato la vita per il suo maestro, ma il Sith fin dove era capace di spingersi?

Decisi che non gli avrei dato l’occasione per dimostrarmelo. Sarei intervenuta prima. Facendo appello a tutta la mia forza d’animo, alzai la pistola mentre la navicella si abbassava ancora di più. Sapevo che ci avevano visto, ma i due Jedi erano talmente concentrati nello scontro che nessuno dei due ci aveva analizzato abbastanza per capire chi dei due eravamo venuti ad aiutare, il che mi dava tempo per prendere la mira con calma. Il cuore mi tremava ma la mano era ferma. Doveva esserlo, avrei mirato alle gambe di Anakin, anche se ero certa che con i sensi sviluppati degli Jedi lui avrebbe percepito e parato il colpo, non avrei mai rischiato di puntare a una parte vitale. Non volevo nemmeno ferirlo, il mio scopo era quello di distrarlo per dare il tempo sufficiente ad Obi-Wan di allontanarsi, accorgersi di noi e saltare sulla nave.

Avrei sparato a mio marito, ma lo facevo per salvare un amico e per salvare Anakin da se stesso. Gli avrei tolto la possibilità di compiere un gesto per il quale sapevo che si sarebbe pentito per tutta la vita, anche se adesso, accecato dalle bugie di Palpatine, non lo avrebbe mai ammesso.

Lo faccio per noi, Ani.

Il colpo partì. Mi si bloccò il respiro per un istante, mentre aspettavo di vedere cosa sarebbe accaduto. Come a rallentatore vidi Anakin voltarsi immediatamente verso la direzione del colpo e, come avevo previsto, pararlo senza difficoltà. Allora, sicura di non averlo ferito, rilasciai il respiro, ma fu il sollievo di un attimo, prima di incrociare due iridi sgomente che mi bruciarono l’anima.

I nostri sguardi si incontrarono ed io lessi lo stupore e il dolore del tradimento nei suoi occhi e ne fui distrutta. Dal suo punto di vista, io, sua moglie, gli aveva sparato per proteggere Obi-Wan. Mi resi conto che anche se non lo avevo ferito fisicamente, gli avevo inferto una cicatrice molto più profonda nell’animo. Mi chiesi se prima o poi sarebbe riuscito a capire il perché del mio gesto e a credere che lo avevo fatto per lui. Sarebbe riuscito a comprendermi e perdonarmi? Ma c’era dell’altro oltre l’ira, lo intuivo più che vederlo nel retro del suo sguardo. Uno struggimento, un bisogno disperato…o mi stavo immaginando tutto?

Il braccio di un soldato mi circondò la vita e mi spinse all’interno della navicella, rompendo quel contatto visivo che mi stava scavando dentro. Poco dopo un rampino si attaccò alla base del portellone. Tre dei soldati corsero ad afferrare la corda sulla quale il maestro Jedi si stava arrampicando. Quando Obi-Wan fu issato sulla navicella, il portellone fu richiuso e Guiwo inserì senza esitazione le coordinate per Giano. Nessuno osò dire nulla, tesi alla prospettiva di avere le navi dell’Impero alle calcagna. Ma dopo un quarto d’ora di navigazione spedita verso il nostro rifugio, fu chiaro che nessuno ci stesse inseguendo. A quel punto tutti tirammo un sospiro di sollievo.

Lanciai a Obi-Wan un’occhiata carica di sollievo che lui ricambiò a pieno. Non sapevo come, ma ce l’avevamo fatta. Eravamo riusciti a sottrarre lo Jedi sotto il naso dell’Impero con solo una decina di soldati. Probabilmente ci eravamo riusciti solo perché ci avevano sottovalutato. Nessuno aveva previsto che saremmo stati così avventati da correre in suo soccorso in evidente inferiorità numerica, pensando che avremmo lasciato lo Jedi al suo destino e questa era stata la nostra carta vincente.

“Stai bene?” chiesi, facendo scorrere lo sguardo sulla figura evidentemente provata dell’uomo.

Obi-Wan annuì, massaggiandosi il petto. “Solo qualche ferita superficiale. Più che di un dottore ho bisogno di una buona dormita.” Minimizzò, anche se intuii che mi stava mentendo. Prima che potessi continuare a indagare però mi chiese come fossimo riusciti a intervenire così tempestivamente. Gli raccontai della falsa pista lasciata per Diegora e della trappola tesa per lui e il maestro annuì con aria grave, confessando che lui stesso si era reso conto dell’inganno solo quando aveva trovato vuoto il server centrale.

“Siamo stati degli stupidi, non possiamo permetterci un errore simile un’altra volta” affermò con amarezza.

Concordai annuendo, anche se al momento erano altri i pensieri che mi tormentavano. Lo spettacolo a cui avevo assistito era stato già fin troppo scioccante di per sé, eppure sentivo il bisogno di sapere altro su… lui. Il masochismo evidentemente non conosceva limiti.

“Obi-Wan, credi che…” mi interruppi, cercando di formulare una frase coerente che desse voce al turbine delle mie riflessioni. “Credi che sarebbe andato fino in fondo nel duello?” riuscii a dire infine.

Lo Jedi sospirò e il suo sguardo si perse a fissare il pavimento della navicella, quasi cercasse sul metallo una risposta al mio interrogativo.

“Sinceramente non lo so Padmé. Anakin non lo avrebbe fatto, ma il ragazzo con cui mi sono scontrato era un’altra persona…è un’anima persa in questo momento. Ha tanta rabbia e tanto dolore dentro l’animo e non sa dove indirizzarli per sfogarsi. Ha bisogno di pace, di qualcosa che lenisca il suo tormento e crede che sconfiggere noi gli darà il sollievo che cerca, o per lo meno di questo lo ha convinto l’ex-Cancelliere. Non sa che si sta sbagliando, è accecato dai suoi errori”. Considerò amaramente.

Ripensai alla fugace impressione che avevo avuto quando ci eravamo fissati, allo struggimento che credevo di aver scorto. Obi-Wan aveva ragione. Era un’anima persa. Il cuore mi si strinse ancora di più.

Oh Ani…

 

*

 

Le mani gli prudevano. Sentiva il bisogno di uccidere qualcuno, o quanto meno di ferirlo molto gravemente. Quello che era successo aveva un responsabile e l’avrebbe pagata cara. Il suo piano ben congegnato era sfumato tutto a causa di un’unica persona e quando l’avrebbe avuta tra le mani, avrebbe rimpianto amaramente le sue decisioni.

“Mio Signore, ecco la spia dei Ribelli”. Uno dei cloni entrò nella stanza rettangolare tenuta in penombra, trascinando malamente per un braccio un uomo sulla trentina di corporatura esile che scaraventò all’interno.

L’uomo fu fatto sedere sull’unica sedia posta al centro della stanza.

Anakin, appoggiato alla parete opposta alla porta con le braccia conserte, si staccò dal muro entrando nel piccolo cono di luce della lampada posta al centro del soffitto, mostrandosi davanti alla sua vittima che cercava di mantenere un atteggiamento composto nonostante l’evidente tremolio delle mani rivelasse la sua paura. Sapeva di essere condannato. Nessuno tradisce l’Impero restando impunito.

Lo squadrò per un istante. Non rammentava di averlo visto prima a bordo della sua nave, era stato abile a passare inosservato, finché non era stato beccato dalle telecamere di sorveglianza mentre inviava un messaggio ai Ribelli rivelandogli il loro piano su Geonosis. Un errore da principiante, probabilmente causato dall’urgenza del contenuto del messaggio. Con la sua mossa aveva consentito alla Resistenza di salvare Obi-Wan, purtroppo per lui gli sarebbe costata la vita.

“Come ti chiami?” la voce di Anakin suonò secca come uno schiocco di frusta.

Il pover’uomo sobbalzò, tuttavia riuscì ad avere abbastanza presenza di spirito da rispondergli con arroganza. “Che differenza fa sapere come mi chiamo? Sono comunque un uomo morto”.

Il Sith si lasciò sfuggire per un secondo un sorriso vagamente divertito dalla risposta impertinente. Avanzò di un passo, portandosi davanti a lui, le braccia tenute dietro la schiena con noncuranza.

“Vero” concordò “ma sono certo che per te farebbe un’enorme differenza morire di una morte veloce e quasi misericordiosa e morire dopo una lenta e prolungata agonia per nascondere qualche piccola informazione” osservò con una calma che rese la minaccia ancora più temibile.

Il Ribelle deglutì a vuoto e iniziò a sudare freddo. Sapeva perfettamente quanto l’Impero potesse essere zelante nel torturare un uomo per ottenere ciò che voleva. Era pronto a morire per la sua causa, ma quanto a lungo poteva resistere alla tortura?

“E…Ezac” balbettò.

Il Sith soppesò l’uomo, chiedendosi se avrebbe ceduto così facilmente anche al resto dell’interrogatorio. Una parte di lui si augurava di no. Aveva davvero bisogno di sfogare la collera che proprio quel patetico essere aveva causato.

“Bene Ezac, ora sei consapevole che con il tuo messaggio hai mandato a monte un piano studiato e messo in atto da me in persona? Questo già di per se meriterebbe una giustizia lenta ed esemplare” Ezac tremò ancora di più sulla sedia, mentre la voce fredda di Anakin proseguiva impietosa. “Tuttavia voglio essere generoso, mi serve solo un’informazione da te, dammela e ti prometto una morte rapida e indolore.” Il ragazzo si avvicinò al prigioniero fino ad arrivargli a distanza di un passo. Lo squadrò dall’alto, senza preoccuparsi di celare il disprezzo che nutriva per quel Ribelle traditore. “Su quale pianeta si nasconde la Resistenza?”.

La domanda aleggiò nella stanza buia mentre vittima e carceriere si fronteggiavano, il primo sostenuto dall’ultima cosa che gli era rimasta e che non voleva perdere, la fedeltà alla sua causa, l’altro dalla tenacia della sua missione, una tenacia che non avrebbe accettato ostacoli.

Passarono una manciata di minuti in silente attesa, l’aria si impregnò di tensione ma nessuno proferiva parola seppur oppresso dalla consapevolezza di cosa sarebbe accaduto da lì a poco. Poi, quando fu chiaro che Ezac non avrebbe parlato di sua spontanea volontà, Anakin interruppe quel silenzio.

“Uscite” un ordine secco immediatamente eseguito dai soldati che non avevano alcun desiderio di assistere all’epilogo di quello sventurato. Uno degli uomini scosse sin la testa, provando un moto di pena. Nessuno di loro avrebbe osato mettersi contro Darth Vader, quel Ribelle non sapeva a quale sorte il suo orgoglio lo avrebbe condotto.

Anakin fece un profondo sospiro, considerando quanto stupidamente quel gruppo di fanatici fosse devoto alla sua causa per rifiutarsi di parlare persino sapendo di non aver più nessuna speranza di salvezza. Pazienza, lui avrebbe comunque avuto le informazioni che gli servivano.

E, alla fine, avrebbe sfogato parte della sua frustrazione.  

 

Una mezz’ora più tardi, la porta d’acciaio della stanza dell’interrogatorio si aprì. I soldati che attendevano da mezz’ora in tensione, scattarono sull’attenti. Darth Vader uscì a passo deciso e li squadrò brevemente. Alle sue spalle, una stanza buia da cui proveniva un silenzio di morte, dopo che era stata riempita dalle urla strazianti di una sciagurata vittima. Ezac aveva resistito mezz’ora, poi era crollato a pezzi. La risposta tanto conservata era stata l’ultima cosa che aveva potuto pronunciare in un rantolo.

Anakin richiamò l’attenzione di Cordet con uno sguardo.

“Voglio dieci navi pronte a partire tra tre giorni. Andiamo a Giano.” Decretò, poi si incamminò nel corridoio verso la sua stanza.

Per la prima volta da giorni sentiva una strana euforia pervadergli le membra. Giano. Finalmente aveva la tana della Lega Galattica della Resistenza! Li avrebbe stanati come topi, avrebbe estirpato la ribellione dalle radici e finalmente avrebbe imposto con l’Imperatore la pace che tutti loro volevano. Ma soprattutto, avrebbe ritrovato lei. Sapeva che era là con loro a combattere per il ritorno della Repubblica. Per tutti quei mesi aveva vagato senza meta nella Galassia inseguendola, ma ora aveva una destinazione sicura. Solo tre giorni lo separavano da lei.

Cosa avrebbe fatto una volta riavuta accanto a sé, ancora non lo sapeva. Il ricordo di Padmé sulla navicella, con la pistola laser puntata contro di lui, lo rodeva dentro. Non capiva come avesse potuto fargli una cosa del genere. Sapeva che lo amava, glielo aveva letto negli occhi persino mentre posava l’arma, eppure gli aveva sparato ugualmente. Per proteggere Obi-Wan poi, l’artefice principale della loro separazione! Lo amava, ma lo aveva tradito, e anche se sapeva che non aveva mirato per ferirlo ma solo per distrarlo dal duello, bruciava comunque come carboni ardenti nel suo cuore, incenerendolo. Eppure non poteva odiarla per questo. Non avrebbe mai potuto odiarla, qualunque cosa avesse commesso. Lei era il suo angelo, la sua salvezza. Aveva bisogno di lei. Però meritava la sua rabbia e il suo biasimo per essersi schierata contro di lui. Ma l’avrebbe riportata al suo fianco, le avrebbe aperto gli occhi sulla verità che lui aveva imparato ad accettare da tempo. E non l’avrebbe mai più lasciata andare.

Padmé, sto venendo a prenderti.

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Capitolo 5
*** 4_Il nemico e l'amante ***


Ciao a tutti! Lo so, ormai mi davate per dispersa ma sono riuscita finalmente ad aggiornare! Scusate se ci metto tanto ma il tempo che ho a disposizione per scrivere è veramente poco in più c'è stato un calo di ispirazione che però è stato colmato :-) spero almeno che la vostra paziente attesa sarà in parte ripagata e che il capitolo vi piaccia! Scusate ancora! Un grazie a tutti coloro che leggeranno e a quelli che hanno messo la mia storia tra le seguite e/o le preferite! Un grazie speciale a the best (Grazie mille per la tua recensione! Ci ho messo una vita a pubblicare questo 4 capitolo scusa, ma spero davvero che ti piaccia!! Sono curiosa di sapere cosa ne pensi :-)!), a Cleo_Sam (grazie, sono contenta che la storia finora ti sia piaciuta, spero che questo capitolo non ti deluda ;-)!) e a roby626 (grazie mille per la tua recensione! Ti capisco, anche se sapevo come sarebbe andato a finire il film, ci sono rimasta malissimo anch'io nell'ultima scena, lei che muore, lui che diventa Darth Vader, è stato ingiusto! Infatti ho iniziato a scrivere questa storia per avere una piccola soddisfazione almeno nella fantasia e vederli felici :-) comunque purtroppo sono molto lenta ad aggiornare ma non ho abbandonato la storia ;-) spero portiate pazienza XD ps. ho cercato di essere più attenta con l'ortografia, spero ci siano meno errori, grazie per la segnalazione :-) sono curiosa di sapere cosa ne pensi di questo capitolo, mi auguro ti piaccia :-)! ). BUONA LETTURA A TUTTI! 


4_Il nemico e l’amante

 

Vedere Luke e Leila ridere sdraiati sul soffice tappeto della nostra camera, era una gioia che non aveva mai fine. Avrei potuto passare delle ore intere a guardarli osservare il mondo con i loro occhi pieni di stupore per ogni cosa. Erano ancora troppo piccoli per gattonare, ma già riuscivano a stare seduti senza appoggiarsi a un sostegno. Voltavano il loro piccolo capo a destra e sinistra, inseguendo il pupazzetto che Vivian e io facevamo volteggiare sopra le loro teste e allungavano le manine come per afferrarlo. Erano una meraviglia.

All’improvviso però, un suono prolungato mi riportò bruscamente alla realtà. Sia Vivian che io ci immobilizzammo, cercando di capire la fonte del rumore. Era una sirena che risuonava da ogni angolo del palazzo. Ghiacciai sul posto, mentre Vivian mi lanciò un’occhiata terrorizzata. La bolla si era infranta. Era il segnale di allarme.

Scattai in piedi come una molla e presi in braccio Luke, urlando alla ragazza di prendere Leila. Insieme ci dirigemmo verso la porta ma facemmo appena pochi passi che fummo raggiunte da Taomar. Era pallido e aveva gli occhi sgranati.

“Senatrice, stanno per attaccarci, dobbiamo fuggire subito” mi informò senza perdersi in preamboli.

Un brivido mi percorse, mentre un presentimento si faceva strada in me. “Chi ci sta attaccando?” chiesi, mentre ci dirigevamo correndo verso la pista di decollo. Accanto a noi sfrecciavano in ogni direzione i pochi abitanti che avevano trovato asilo nel palazzo di Taomar, tutti diretti verso la nostra meta, ansiosi di raggiungere la prima navicella disponibile.

“La flotta imperiale, senatrice. Non ho idea di come abbiano fatto a non essere avvistati dalle nostre sentinelle, ma tra meno di dieci minuti saranno qui”. La voce del pover’uomo suonava come una sentenza a morte.

Dieci minuti…avevamo solo dieci minuti per raggiungere una nave e metterci in salvo! Era impossibile, anche fossimo riusciti a salire a bordo, come avremmo potuto sfrecciare via sotto il naso dell’Impero? Eppure aumentai la corsa, come se davvero avessimo qualche speranza di scappare.

“Come hanno fatto a scoprirci?” gridai per sovrastare il rumore che la folla di fuggiaschi attorno a noi stava creando.

“Non lo so, siamo stati molto attenti con le trasmissioni, l’unica spiegazione logica potrebbe essere che hanno scoperto la nostra seconda spia e che Ezac non abbia resistito all’…” un boato interruppe la frase di Taomar. Le mura del palazzo tremarono fino alle fondamenta e fummo costretti a fermare la nostra corsa. Il cuore mi rimbalzò in gola. Erano arrivati prima del previsto e avevano iniziato a bombardare il nostro rifugio.

Un altro boato. Il pavimento tremò. Questa volta non riuscii a tenermi ferma e sbattei contro il muro. Per fortuna riuscii a colpirlo di spalle, proteggendo il piccolo Luke che tenevo in grembo. Sia lui che la sorella iniziarono a piangere, spaventati da quei rumori assordanti.

“Lady Amidala, state bene?” Vivian mi si avvicinò preoccupata, cercando disperatamente di calmare Leila.

“Non preoccuparti per me, preoccupati solo della bambina!” le urlai cercando di sovrastare il rumore di una terza esplosione. “Taomar, dobbiamo raggiungere la navicella!” dissi poi rivolta all’uomo.

Questi mi guardò quasi con compassione, ma mi assecondò, non avendo il coraggio di dirmi quello che purtroppo ben sapevo. Non avevamo scampo.

Riprendemmo la nostra corsa verso la pista di decollo. Molte altre persone ci stavano seguendo, forse attaccati alla stessa folle speranza, o incapacità di arrendersi, che avevo io. Giunti alla pista, ci precipitammo giù per le scale che separavano l’ingresso dalla zona del decollo, diretti verso la prima nave. Appena scesi, ci ritrovammo circondati da una folla di gente disperata che spintonava e urlava cercando di raggiungere l’ingresso di una delle navicelle. Cercai di tenere in braccio Luke con una mano sola e con l’altra afferrai quella di Vivian, terrorizzata di perdere lei e la bimba in mezzo a quella fiumana impazzita. Per un secondo mi prese il panico, temendo di non riuscire a raggiungere la navicella dopo tutta la fatica fatta per arrivare fin lì. Poi giunse una seconda consapevolezza, ben più funesta della prima ma di una certezza così assoluta da impormi comunque uno stato di calma. Tutte quelle persone che si accalcavano e lottavano per la speranza di salire a bordo di una nave, tutte le donne, gli uomini e i bambini presenti su quella pista, me, Vivian e Taomar compresi, eravamo delle prede in trappola. Non c’era salvezza per nessuno di noi. Eravamo al pari di topi impauriti che cercavano di scappare da morte certa.

Un rumore metallico provenne dalle porte dell’hangar. Qualcuno aveva azionato il portellone per aprirsi. Tutti si azzittirono, accecati dalla luce del giorno che prepotente inondò lo spazio distogliendoli dalla loro corsa. Una cinquantina di teste di voltarono verso l’apertura. Strizzai gli occhi, accecata momentaneamente dalla luce improvvisa. Ma quando la mia vista si abituò a quella luminosità, avrei voluto tornare ad essere cieca. Lo spettacolo che mi si parò davanti era terrificante.

Cinque navi della flotta imperiale ci aspettavano pronte a far fuoco davanti all’ingresso dell’hangar.

La nave centrale avanzò di poco superando l’ingresso quel tanto che bastava per poter aprire il portellone e far scendere una trentina di cloni armati. Tutti con la stessa divisa bianca, tutti con la stessa arma carica, tutti orribilmente creati per seguire gli ordini di un folle ciecamente. Mentre si disponevano in fila davanti a noi tenendoci sotto mira, in una tacita intimazione a non muoverci, una figura vestita completamente di nero spiccò per la sua diversità, non solo rispetto ai cloni, ma anche rispetto a qualsiasi altro presente in quella stanza.

Mi mancò il fiato, mentre il presentimento che avevo avuto si concretizzava. Chi altri poteva guidare l’attacco contro di noi? Solo lui. Darth Vader.

Un’aurea di timore lo avvolgeva più oscura del mantello che ondeggiava ad ogni passo deciso che lo conduceva al centro della fila dei suoi cloni. La postura era eretta, i lineamenti duri sembravano scolpiti nel ghiaccio e incutevano la paura persino di guardarlo. Ma i suoi occhi erano ciò che colpiva di più. Sembrava che provasse un totale disinteresse per qualsiasi cosa su cui si posassero, come se non ci fosse una folla azzittita e terrorizzata davanti a lui, ma il nulla. Vagavano da un lato all’altro della stanza come se guardasse unicamente dei fantasmi, in cerca di altro.

Poi un fulmine di comprensione mi illuminò su cosa stesse così freneticamente cercando. Voleva me. Se l’Impero era venuto a stanare il focolaio dei ribelli, lui era venuto a prendere me.

Vederlo in quelle vesti mi mandò completamente in confusione. Davanti a me, vedevo il Sith che sapevo non si sarebbe fatto scrupoli a uccidere tutta quella gente per ordine dell’Imperatore, il Sith che mi incuteva paura e da cui ero scappata in tutti quei mesi. Il Sith da cui avevo salvato Obi-Wan e da cui cercavo di proteggere i miei figli. Eppure…quel viso era quello di Anakin. L’Anakin che sapevo avrebbe sfidato l’intera Galassia pur di sapermi al sicuro, l’Anakin che mi aveva fatta sentire amata tra le sue braccia. L’Anakin che era il padre di quei figli che volevo proteggere.

Come potevano essere la stessa persona due figure così opposte? Era una scissione che non potevo comprendere e che mi dilaniava.

Come se fosse stato attratto da una calamita invisibile, i suoi occhi infine si posarono su di me, trovandomi anche in mezzo a quella ressa. Senza curarsi di nessun altro, puntò dritto nella mia direzione. I presenti si spostarono immediatamente, aprendo un corridoio umano per lasciarlo passare, quasi avessero paura di entrare anche solo nella sua scia. Il cuore prese a battermi in petto talmente forte che temetti quasi potesse cedere. Non riuscivo a formulare nessun pensiero coerente, nessuna frase. L’unica cosa di cui avevo consapevolezza erano i suoi occhi che sembravano volermi trapassare l’anima con un’intensità tale da rendermi difficile decifrare quale sentimento al momento provasse.

Quando mi fu a meno di un metro di distanza, si fermò ed io mi costrinsi a non indietreggiare. Lanciò un’occhiata al bambino che stringevo tra le braccia, ma fu solo la distrazione di un attimo. Mi chiesi velocemente se avesse capito chi fosse e se avesse provato qualcosa ma non ci fu il tempo per altre considerazione perché, finalmente, mi parlò.

“Va’ a prendere le tue cose, vieni via con me”.

La durezza nella sua voce mi trapassò più di una spada. Anakin non mi aveva mai parlato così, perentorio e autoritario. Mi aveva dato un ordine che non ammetteva repliche. Un ordine… dopo mesi di lontananza. Il mio animo si accese di ribellione e mi chiesi per un attimo quali possibilità avessi. Poi però mi resi conto che la strada che potevo percorrere era una soltanto. Quella di seguirlo.

La cosa che più mi preoccupava mentre mi voltavo per farmi largo tra la calca che ci fissava ammutoliti, era però quel calore nel cuore che leniva l’umiliazione della sconfitta e che non riuscivo a estinguere. Perché se il tono freddo era stato pronunciato dal Sith, il fuoco che gli aveva illuminato gli occhi quando infine mi si era avvicinato... era di Anakin. Ed era un richiamo a cui non potevo restare indifferente.

 

*

 

Stelle e pianeti scivolavano fuori dal finestrino della stanza buia. Piccoli punti luminosi su un manto scuro che rimanevano alla vista la durata di un attimo prima di perdersi nell’immensità di quello spazio. Esattamente come i miei pensieri, che scorrevano frenetici e troppo veloci perché potessi soffermarmi abbastanza su di uno e comprenderlo appieno.

C’erano così tante domande, tanti dubbi, paure, osservazioni. La più innocua, quella su cui cercavo di focalizzarmi per evitare di andare su ben altri pensieri, era inerente alla nostra destinazione. Dove stava andando a tutta velocità la nave da guerra dell’Imperatore? Un pianeta non troppo lontano dove potersi rifornire? Oppure stavamo andando a Corruscant, la capitale dell’Impero? Avrei preferito di gran lunga rivedere la vecchia sede del Senato e i suoi palazzi tra le nuvole anziché ritrovarmi a bordo della Morte Nera. Quella era la meta che più temevo. L’idea di ritrovarmi su quella nave portatrice di morte mi terrorizzava. In più aveva paura che una volta a bordo di quella fortezza orbitante non sarei più riuscita a uscirne. Sarebbe stata per me una prigione inespugnabile, non c’era nessuna speranza che Obi-Wan e Yoda sarebbero riusciti a portarmi via da lì.

Obi-Wan e Yoda…

Il loro nome risuonò nella mia mente come una campanella dell’ultima speranza. Per me, per la Resistenza e per la Galassia intera. Erano rimasti solo loro là fuori a difendere il ricordo della libertà perduta.

Grazie a qualche disegno del destino benevolo i due Jedi non si trovavano a Giano quando eravamo stati attaccati dalla flotta imperiale. Anzi, erano su un pianeta ben lontano, Golbia 7, a cercare di fondare una nuova base per la nostra Lega con l’aiuto del senatore Jewis, un fervente sostenitore della Repubblica.

Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo a quel pensiero. Rabbrividii alla sola idea della loro cattura. Se fossero stati a Giano, a quest’ora probabilmente sarebbero già stati giustiziati e ogni nostra speranza di ribellione sarebbe morta con loro.

La mia mente saltò per associazione ad altre cinquanta persone che erano state prese con me sulla pista dell’hangar. Cosa era successo loro quando me ne ero andata scortata da cinque cloni? Sperare che le avessero lasciate andare era utopistico e l’idea che potessero essere state tutte giustiziate all’istante era talmente orribile da risultare inconcepibile. C’erano anche dei bambini in quello sciagurato gruppo! Potevo solo augurarmi che fossero stati fatti prigionieri, una posizione di stallo da cui potevano ancora essere salvati. Pensai soprattutto al povero Taomar e a Vivian. Lei l’avevano lasciata venire con me, ma una volta salite sulla nave ci avevano fatte separare e non avevo idea di dove la avessero condotta. Mentre Taomar faceva parte del gruppo dalla sorte ignota. Non sapevo di che informazioni potesse disporre l’Impero, se sapeva quale fosse il ruolo di Taomar nella Ribellione. Potevo solo augurarmi che fossero all’oscuro del fatto che era stato lui a fornirci una base su cui nascere e operare o lo avrebbero ucciso immediatamente.

Ed io…?

La vocina nella mia testa passò ad un altro collegamento. La mia sorte quale sarebbe stata? Era la seconda delle domande difficili che mi sforzavo di non formulare.

Sospirai appoggiando la fronte al vetro. Ero seduta su un divanetto posto sotto il vano della finestra in una stanza quadrata e angusta. I cloni mi avevano condotto là assieme ai miei figli appena salita a bordo. Non era una prigione, doveva essere una delle tante stanze degli ufficiali della nave, ma non era certamente tra le più accoglienti. Le pareti in metallo nere rendevano l’ambiente freddo e il mobilio consisteva in un letto a due piazze, che occupava quasi tutto lo spazio e sulla quale ora riposavano placidamente i bimbi, e una lunga panca accanto alla parete a sinistra della porta di ingresso su cui avevo appoggiato le due borse che contenevano pochi effetti personali miei e dei gemelli. Una porticina sulla destra dava accesso a un bagno. Aveva il minimo indispensabile ma ero comunque grata di quel piccolo lusso.

Il fatto di non essere stata portata in prigione assieme agli altri mi metteva in una posizione diversa da loro, eppure la porta era chiusa dall’esterno. Come dovevo considerarmi? Una prigioniera Ribelle? Un ostaggio politico?

Come mi considerava Anakin?

Eccola, la domanda numero uno. Quella che premeva per uscirmi di bocca e tormentarmi lentamente. C’erano troppi fatti contrastanti tra loro. Sapevo che Anakin si sentiva tradito da me, soprattutto dopo il mio salvataggio di Obi-Wan. Ma sapevo anche che quel “vieni via con me” non era l’ordine di un nemico contro un’avversaria sconfitta. Era la richiesta di un marito che rivoleva indietro la moglie.

Ma chi dei due sarebbe prevalso? Là su quella nave non era l’Anakin che mi aveva corteggiata a Naboo, era il Sith che stava conquistando l’universo come braccio destro dell’Imperatore. Quante speranze avevo di far prevalere il mio Ani dentro quella nave?

 

“…purtroppo Yoda e Kenobi non si travavano su Giano al nostro arrivo. Ho lasciato la retroguardia sul pianeta ma dubito che torneranno là. La notizia del nostro assalto si sarà già diffusa in tutta la Galassia”.

In postura eretta davanti all’ologramma dell’Imperatore, Darth Vader stava concludendo il rapporto della conquista di Giano avvenuta qualche ora prima.

“Ha poca importanza, abbiamo distrutto la loro principale base operativa, saranno nel completo scompiglio e noi abbiamo dimostrato la nostra schiacciante superiorità contro quegli stolti. Hai fatto un buon lavoro, Lord Vader”. Si complimentò Darth Sidius, minimizzando la mancata cattura dei due Jedi. Sapeva che due singoli individui non avrebbero potuto fare nulla contro la potenza dell’Impero, era l’unione dei pianeti ribelli che temeva, la forza della massa. Ma aveva buone ragioni di credere che l’attacco nel cuore della Lega avesse inferto una dura batosta alle certezze di chiunque avesse osato opporsi a loro pensando di poterli sconfiggere. Probabilmente, in quello stesso momento molti dei pianeti che aveva appoggiato i Ribelli ora li stavano abbandonando, temendo di essere i prossimi bersagli nel mirino della loro epurazione. Obi-Wan Kenobi e Yoda sarebbero rimasti soli e sarebbero diventati una minaccia nulla.

“Inoltre sei riuscito a catturare una prigioniera altrettanto importante, la Senatrice Amidala” aggiunse con un ghigno soddisfatto.

Al contrario, i lineamenti di Anakin si indurirono a quelle parole. “Con tutto il rispetto, maestro, Padmé Skywalker non è una prigioniera di guerra, né una Senatrice della Repubblica. Nel nuovo Impero, è mia moglie” ribatté duro, nominandola per la prima volta con il suo nome da sposata, come avrebbe voluto poter fare da quando avevano pronunciato i voti, se non fosse stato per quell’ingiusto codice Jedi.

Il Sith proruppe in una risata rauca. “Certo, mio giovane apprendista. Ma ti consiglio di rendere chiaro questo concetto a tua moglie per prima o devo ricordarti con chi si è schierata in questa guerra? Non è stata fedele all’Impero e nemmeno a te, preferendo fidarsi del maestro Kenobi”.

L’osservazione crudele, seppur lasciata cadere con studiata leggerezza, si insinuò nell’animo del giovane come una stilettata. Tuttavia la sua espressione di marmo non diede la soddisfazione all’Imperatore di fargli vedere che aveva colpito nel segno.

“Gli Jedi sono riusciti a manipolarla fino ad ottenebrarle il giudizio. Basterà farle aprire gli occhi per vedere il giusto fine delle nostre azioni affinché si convinca a unirsi alla nostra causa, non ho dubbi a tal proposito” la difese convinto.

Lord Sidius annuì, preferendo chiudere l’argomento sulla ragazza. In verità dubitava che il suo giovane apprendista sarebbe riuscito a piegare la fede cieca nella Repubblica che aveva Amidala. Conosceva la Senatrice da una vita, aveva dedicato tutta la sua esistenza alla difesa del diretto alla libertà di ogni pianeta. Le sue convinzioni non erano manipolate dagli Jedi, come sosteneva - mentendo probabilmente persino a se stesso - il giovane, erano idee che aveva radicate nella sua mente da anni. Fargliele cambiare era impossibile. Ma sinceramente, finché Anakin avesse saputo tenere a bada Padmé e non gli avesse creato problemi, le convinzioni politiche di una ragazza non erano di alcun interesse per lui.

L’ologramma si dissolse facendo tornare la stanza della trasmissioni in una semi-oscurità. Anakin si appoggiò alla parete dietro di lui e si passò una mano sul viso. Le parole dell’Imperatore giravano il coltello in una piaga che sanguinava da mesi e anche se davanti a lui l’aveva difesa, non riusciva in cuor suo a perdonarla del tutto per il suo tradimento.

Aveva condotto Obi-Wan da lui su Mustafa. Era scappata con lui, sottraendogli in un colpo sua moglie e il figlio che portava in grembo. Aveva messo in piedi un’organizzazione interplanetaria con il solo scopo di contrapporsi a loro. E gli aveva sparato per salvare uno dei suoi principali nemici.

Come poteva perdonarla?

Eppure, la amava lo stesso. E ora era lì, su quella nave, a pochi metri da lui. Ma invece di riempirlo di gioia come aveva sperato, ciò lo gettava nello scompiglio più totale. Come doveva comportarsi? Da un lato sarebbe voluto correre ad abbracciarla e dirle quanto gli era mancata. Ma dall’altro…non poteva ignorare tutto quello che era successo da quando aveva scelto di schierarsi dalla parte degli Jedi. Per questo, nonostante avvertisse la sua presenza su quella nave attirarlo come il canto di una sirena, non era ancora andato nella sua stanza a vederla. Non sapeva come comportarsi.

Preso dalla frustrazione, scagliò un pugno contro il muro. Basta stupide riflessioni o dubbi! Se fosse rimasto fermo a pensare un minuto di più gli si sarebbero fusi i neuroni, ne era certo. Doveva agire.

Doveva andare da lei.

 

Quando sentii il rumore metallico della porta della stanza aprirsi, seppi chi era il mio visitatore prima di voltarmi ad accoglierlo. Percepii la tensione irradiarsi immediatamente nell’aria e uno sguardo pungermi la schiena reclamando con forza la mia attenzione.

Presi un respiro profondo e, lentamente, mi voltai.

A pochi metri da me, Anakin mi fissava, lo sguardo in tempesta come quello che mi aveva rivolto nell’hangar qualche ora prima. Il cuore tornò a pompare tanto forte che lo sentivo rimbombarmi nelle orecchie e con trepidazione mi chiesi, ora che eravamo finalmente soli, cosa sarebbe accaduto. Mi avrebbe urlato contro? O sarebbe corso da me ad abbracciarmi?

I minuti passarono, con tanta lentezza che avrei potuto vedere i granelli di sabbia scivolare via dalla clessidra uno ad uno, ma né io né Anakin movemmo un passo.

Sentii gli occhi minacciarmi di riempirsi di lacrime. Avevo sopportato tanto in quei mesi, le vittime della guerra, la tensione dell’esito incerto delle nostre missioni, l’onere di dover cercare alleati per la causa, eppure nulla mi era sembrato tanto insopportabile come quello. Avere mio marito a due metri di distanza e sentirlo lontano una galassia intera.

“Ani...” con voce spezzata, le mie labbra pronunciarono il suo nome, ma prima che potessi aggiungere altro, un secondo suono si propagò per l’aria.

Luke si era svegliato e aveva iniziato a piangere, probabilmente spinto dalla fame o semplicemente perché ritrovandosi in un posto sconosciuto voleva vedere sua madre.

D’istinto mi avvicinai subito a lui e lo presi in braccio iniziando a cullarlo. Come avevo previsto, voleva solo essere rassicurato, e difatti, tranquillizzato dalla mia presenza, smise subito di piangere. Intenta a preoccuparmi del bambino quasi non mi accorsi che Anakin si era accostato a noi. Alzai lo sguardo per incrociare il suo e quello che vi lessi mi sciolse il cuore. Un forte calore aveva scacciato la tempesta di prima, rilegandola sullo sfondo. Stava studiando il volto del piccolo Luke come…incantato. Alzò una mano come per accarezzarlo, ma poi parve ripensarci e l’abbassò. Mi chiesi perché, era il padre dopotutto, pensava di non aver diritto di accarezzarlo? Poi mi resi conto che forse non sapeva come comportarsi. Era vero che era suo figlio, ma era la prima volta che lo vedeva e non si diventa padri per diritto di nascita, è una qualifica che va acquisita giorno dopo giorno, comportandosi come tale, e lui per ora non ne aveva avuto il tempo.

L’incertezza di prima si volatilizzò. Sapevo cosa avrei dovuto fare come prima cosa. Gli avrei presentato le due splendide creature che aveva contribuito a mettere al mondo.

“Lui è Luke, ti somiglia già, sai? È forte, riesce già a gattonare un poco. Ha i tuoi occhi.” Gli dissi mentre mi avvicinavo piano alla bambina. “Lei invece è…”

“Leila” mi anticipò Anakin, spostando la sua attenzione alla seconda creaturina che dormiva placida tra le coperte, i pugnetti serrati vicino al capo castano. “Te li sei ricordati” commentò dopo.

“Come avrei potuto scordare i nomi che avevamo scelto per i nostri figli? Siamo stati anche fortunati, il Fato ha voluto che potessimo usarli entrambi da subito” commentai, prendendo una manina di Luke per posarle un bacio.

Poi calò di nuovo il silenzio. Anakin era immobile davanti a Leila, le mani chiuse a pugno come se temesse di non controllarle se non le avesse tenute sotto controllo. Avrei pagato oro per sapere cosa stesse pensando dietro quel volto imperturbabile. Mi diedi mentalmente dell’ingenua. Per un attimo avevo sperato che facendogli vedere i nostri figli, ogni cosa sarebbe tornata a posto, che avremmo potuto dimenticarmi della guerra che proseguiva là fuori e che ci aveva divisi.

“Hanno bisogno di te Anakin, e anch’io. Non sai quanto è stata dura andare avanti da sola in questi mesi” mormorai infine piena di amarezza, dando voce ai miei pensieri.

Aspettai una sua reazione con il fiato sospeso, e stavolta non si fece attendere. La mascella del giovane si indurì e negli occhi balenarono di nuovo i lampi della tempesta di prima.

“Sei tu che sei scappata da me, non ti ho lasciato io” ringhiò, offeso. Poi si passò una mano sul viso. “Perché sei fuggita da me? Perché mi hai portato via i miei figli? Padmé…tu non hai idea di quanto mi sei mancata, giorno e notte…perché mi hai lasciato?”

Più che le accuse che quelle parole portavano, a trafiggermi fu il tono di dolore con cui vennero pronunciate. Avrei preferito una sfuriata, ero più psicologicamente preparata all’idea che mi urlasse contro. Essere inondata da quel dolore non lo avevo preventivato.

Di colpi mi resi conto di quanto lui stesso doveva aver patito la separazione. Se era stata dura per me, che avevo i nostri figli di cui occuparmi e il sostegno dei miei amici, per lui, da solo in quel posto tetro con l’unica amicizia di un Sith a guidarlo, doveva essere stato insopportabile. Il cuore mi si straziò.

Oh Ani…

Posai Luke sul letto e mi avvicinai a lui, ma Anakin indietreggiò d’un passo per mantenere la distanza, guardandomi diffidente. Incassai il colpo e cercai di trovare le parole giuste per difendermi.

 “Anakin, non è da te che sono scappata, ma dall’Imperatore. Ogni ora che abbiamo passato lontani avrei voluto che fossi con me!” cercai di persuaderlo, ma ottenni solo un sorriso amaro.

“Se è vero, saresti potuta tornare da me in qualsiasi momento e invece hai preferito nasconderti e allearti con Obi-Wan e gli altri Ribelli per distruggerci” si passò una mano sul viso.

“Distruggervi? Anakin, è l’Imperatore il nostro nemico, tutto quello che ho fatto è cercare un modo per riportare la Repubblica che ci è stata ingiustamente tolta. L’ho fatto per difendere i principi in cui ho sempre creduto e in cui credevi anche tu. L’ho fatto per salvare te” mi difesi prontamente.

Eccola, la discussione dai toni accesi che sapevo sarebbe arrivata. Nella mia mente l’avevo già immaginata diverse volte, studiando le parole che avrebbero potuto ricondurre Anakin alla ragione. Farla dal vivo però era molto più estenuante di quanto avessi preventivato. Non avevo idea che una volta rivisto il mio unico desiderio sarebbe stato rifugiarmi tra le sue braccia e scordarmi della guerra galattica in corso. Non sopportavo l’idea che le nostre divergenze politiche al momento fossero così forti da costituire una barriera insormontabile.

Il ragazzo scosse la testa e si avvicinò alla finestra appoggiandosi con una spalla. “Ho aperto gli occhi sulle bugie in cui credevo ciecamente tempo fa, Padmé. Io sono riuscito a vedere il marcio che c’era dietro ideali che vendevano come puri, se mi ascoltassi ora che sei lontana dalle influenze degli Jedi, lo vedresti anche tu e capiresti che non è l’Imperatore il nemico di questa galassia” ribatté.

La convinzione nella sua voce fece vacillare la mia speranza di riportare a galla l’Anakin che avevo sposato. Possibile che Palpatine avesse affondato così a fondo le radici delle sue menzogne?

Mi massaggiai la fronte con le dita e mi presi un secondo per pensare.

“Ani, non sono sotto l’influenza di nessuno, sei tu ad esserlo. Palpatine è riuscito a farti vedere come un nemico coloro che prima consideravi la tua famiglia Non puoi seriamente pensare che sia giusto che l’intera Galassia sia soggiogata da un solo uomo che si è auto nominato Imperatore. Non c’è più libertà in questo universo!” cercai di ragionare con calma. Forse se fossi riuscita a farlo riflettere sulle ingiustizie che si stava perpetuando, con razionalità potevo indurlo almeno a mettere in dubbio le sue posizioni. La sua reazione però mandò in aria tutte le mie speranze.

“La libertà!” ripetè sprezzante. Si staccò dal vano della finestra e prese a camminare nervosamente per la stanza. “La libertà non è un diritto, è un bene che va guadagnato e la Galassia ha dimostrato che finora non è capace di gestirla, la sua libertà! Pensaci, sono secoli che c’è la Repubblica e sono secoli che scoppiano guerre tra pianeti in continuo. E credimi, io lo so bene, sono anni che sono in prima fila a cercare di sedare qualche guerriglia perché qualcuno decide di aver trovato il giusto pretesto per far guerra a qualcun altro. Se la Galassia non è in grado di gestirsi da sola senza scatenare conflitti allora è bene che lo faccia qualcun altro, qualcuno di abbastanza saggio che possa imporre la pace, persino con la forza se necessario. È questo che l’Imperatore ed io stiamo facendo, stiamo portando la pace che da migliaia di anni la Repubblica sbandiera senza riuscire ad attuarla.” Il giovane si fermò per riprendere fiato e mi si riavvicinò. “Tu, proprio tu tra tutti, dovresti ben sapere quanto il Senato e gli altri organi di governo fossero corrotti, quanto fosse impossibile far applicare qualsiasi decreto per il bene dei pianeti. Ora tutto questo appartiene al passato. L’imperatore vuole la pace e il benessere per tutti, in cambio chiede solo obbedienza. Tu dovresti essere in prima fila tra noi, a godere dei benefici di una pace per cui combatti da anni, non dovresti cercare di ostacolarla! So bene che la via che abbiamo scelto è contro i tuoi principi, ma non puoi essere tanto cieca da non vedere come sia l’unica percorribile”. Lo sguardo che mi rivolse mentre pronunciava questo folle discorso mi fece tremare. Era calmo e convinto della verità di ciò che stava dicendo. Possibile che fossero seriamente queste le sue convinzioni?

Un eco di una conversazione avvenuta tanto tempo prima riemerse. Era un pomeriggio di sole a Naboo di molti anni fa e in una conversazione ricordavo che Anakin avesse espresso un concetto preoccupante, ma a cui all’epoca non avevo dato peso, pensando che fosse solo l’affermazione di una giovane e inesperta testa calda. Aveva detto che se non si riusciva ad arrivare a un accordo tra i vari senatori, qualcuno avrebbe dovuto avere il potere per costringerli ad accettare leggi che non volevano. Possibile che il germe del Sith già c’era ed io non me ne ero accorta? Possibile che le parole di Palpatine avessero solo potenziato inclinazioni già presenti in lui?

Mi afferrai la testa tra le mani e mi allontanai da Anakin, rifiutando i miei stessi pensieri. No, Anakin era certamente un uomo portato all’azione e poco incline alla diplomazia ma non era un crudele dittatore. Aveva buon cuore, io lo sapevo, lo avevo visto in tutti quegli anni in cui aveva rischiato la vita per proteggere innocenti che non conosceva neppure. Lo avevo visto nello sguardo innamorato e timoroso che aveva appena rivolto ai suoi figli. Palpatine aveva distorto alcuni suoi ideali facendogli credere che fosse giusto perseguirli.

“Anakin” ritentai con calma “è vero, il Senato era corrotto e sicuramente anche gli Jedi hanno avuto la loro parte di colpa, ma noi abbiamo combattuto proprio per estirpare quel male che corrodeva il Senato e ripulirlo. Tu ti sei unito a coloro che lo consumavano dall’interno come un cancro, hai fatto vincere la parte sbagliata e non hai ottenuto la pace, ma la schiavitù di interi pianeti.” Cercai di farlo riflettere.

Purtroppo però Anakin mi rivolse uno sguardo sprezzante. “Non riesci a vedere aldilà della tua desueta moralità. Tutto quello che facciamo è per il bene della Galassia e questo giustifica ogni mezzo” ribatté.

A quel punto, tutta la calma racimolata prima, evaporò. “Non puoi piegare in ginocchio un intero universo solo perché tu pensi che sia giusto farlo!” sbottai, avvicinandomi combattiva, pronta a difendere le mie idee contro qualunque folle pensiero politico avesse voluto vendermi. Ero abituata alle dispute senatoriali sin da quando ero ragazza, non mi sarei fatta piegare dalle convinzioni che gli aveva instillato quel folle, avrei continuato a sostenere e ripetere le mie idee all’infinito se fosse servito per farlo rinsavire. Purtroppo però, Anakin mi spiazzò con una risposta che di politico aveva ben poco.

“Si invece se è il prezzo da pagare per tenerti al sicuro con me!”

Il drastico cambio di rotta della conversazione mi mandò in confusione. Cosa voleva dire? Cosa c’entravo io in tutta quella guerra? Perché aveva detto “prezzo da pagare”?

Anakin chiuse la bocca di scatto, come se si fosse lasciato sfuggire qualcosa che non avrebbe voluto dire e incrociò le braccia al petto.

“Ani, io…” scossi la testa, come se così potessi riordinare le idee, ma prima che potessi parlare di nuovo, Anakin riprese la parola.

“Basta, è inutile discutere ancora. Adesso sei troppo scossa dagli ultimi avvenimenti, ma quando ti sarai calmata, sono certo che inizierai a cambiare prospettiva”.

Il tono da ordine perentorio che stava usando mi fece di nuovo accendere la scintilla di ribellione, come quando mi aveva ordinato di seguirlo all’hangar. Io non ero uno dei suoi sottoposti a cui dare imposizioni, avrebbe fatto meglio a ricordarselo!

“Calmarmi?” ribattei con tono sprezzante. “Non sono una donna in preda all’isteria, sono una prigioniera di guerra, una Senatrice, e non ho nessuna intenzione di tradire tutto ciò in cui credo per delle giustificazioni da folle!”

“Prigioniera?” Anakin strabuzzò gli occhi, irritato da quella parola “Tu non sei una prigioniera, Padmé, sei mia moglie” affermò duro, sfidandomi quasi a contraddirlo.

Un piccolo palpito tradì quanto mi avesse dato piacere sentirlo chiamarmi “moglie”, ma il fuoco della mia piccola arringa ancora non si era spento e lo mise in secondo piano.

“Se non sono prigioniera allora posso andarmene quando voglio” insinuai acida.

Mi aspettavo una reazione violenta alla mia provocazione, ma quello che vidi mi colse del tutto alla sprovvista. Anakin diventò pallido di colpo alle mie parole, lo sguardo spaventato.

Mi afferrò per le spalle e con un violento strattone mi trasse a sé. “Non osare nemmeno dirlo. Il tuo posto è accanto a me” sibilò.

Mi incatenai al suo sguardo, scrutando in quei pozzi verde muschio la verità che celava dietro quel tono che voleva essere minaccioso, e vi lessi una disperazione tanto acuta che mi sconvolse. Era un grido di aiuto, una solitudine che aveva il bisogno di essere colmata.

Senza che ce ne accorgessimo, la discussione aveva portato i nostri visi a pochi centimetri di distanza. Sentii il suo respiro caldo sfiorarmi il viso e la mia attenzione dai suoi occhi si spostò sulla sua bocca, ancora aperta dopo la foga del discorso. Di colpo, tutti i miei ideali, tutti i buoni motivi per cui avevamo discusso fino a pochi secondi prima, mi scivolarono via dalla mente e davanti a me non vidi più il Sith che combatteva per l’Impero. C’era solo il mio Anakin. E io avevo un disperato bisogno di lui, un disperato desiderio di sentirlo di nuovo accanto a me. Avevo bisogno di baciarlo. Lanciai di nuovo un’occhiata in alto per incrociarne lo sguardo e stavolta vidi il riflesso dei miei stessi pensieri, non più in conflitto ma uguali. Le sue iridi verdi si erano incupite, il desiderio stava prendendo il posto dell’abisso di disperazione di poco prima.

La distanza che ci separava era fisicamente così irrisoria…come spinti da una volontà esterna, entrambi ci avvicinammo ancora. E ancora. Sentivo il suo alito caldo sulle mie labbra, la sua presa sulle mie spalle era divenuta una carezza gentile che mi sospingeva vicino a lui.

Baciami.

Ma proprio mentre le nostre labbra si stavano ormai per sfiorare, Anakin parve riscuotersi da quel tepore che aveva colpito entrambi e si staccò in fretta da me, quasi avesse preso la scossa. La distanza tra noi aumentò di una manciata di centimetri ma mi parve di nuovo incolmabile. L’Imperatore, i Ribelli, Obi-Wan, la guerra, tutto, ci ripiombò addosso con la forza di un terremoto, riponendoci agli antipodi di quell’orribile scacchiere.

Mi lanciò un’ultima occhiata dove scorsi tutti il tormento che anch’io provavo e si diresse a grandi falcate verso l’uscita. In un battito di ciglia, aveva lasciato la stanza.

E un vuoto in mezzo al mio petto che quasi mi tolse il respiro, come se fosse un buco capace di risucchiare tutta l’aria che cercavo di incanalare nei polmoni.

Mi lasciai cadere sul letto e mi presi la testa tra le mani, completamente priva di forze dopo aver retto la tensione degli ultimi minuti. Pezzi della recente discussione mi balenavano in testa in una confusione tale che era impossibile riordinarli per dargli un ordine, un senso. O forse, semplicemente, non era fattibile perché di senso non ne avevano nemmeno un po’.

Anakin aveva difeso a spada tratta l’Impero, ma quelle parole stonavano così tanto con ciò che conoscevo del suo cuore che non riuscivo a spiegarmelo. Inoltre c’era quella frase rimasta in sospeso, quel “è il prezzo da pagare”, a cui non riuscivo a dare un significato. Non mi aveva dato nemmeno la possibilità di chiedergli un chiarimento perché si era affrettato a cambiare argomento. Cosa mi stava nascondendo?

Ciò che invece era chiaro come il sole, era il dolore che lo dilaniava dall’interno. Alla minaccia di andarmene, la disperazione aveva sgretolato la maschera del Sith colpendomi più di qualsiasi sfuriata. Una disperazione che era eco della mia.

Ma se ci faceva tanto male essere distanti, perché non riuscivamo semplicemente a tendere la mano e ritrovarci? Per un istante, ci eravamo quasi riusciti. Il desiderio l’uno dell’altro ci aveva fatto mettere da parte le nostre divergenze politiche. Per un secondo eravamo rimasti sospesi in un micro-universo unicamente nostro. Ma poi eravamo tornati alla realtà. Mi aveva chiamata “moglie” ma non potevamo ignorare tutto ciò che ora ci separava, non potevo chiudere gli occhi e dimenticarmi degli innocenti che aveva aiutato a ridurre in schiavitù, o peggio, di quelli che aveva ucciso. Non potevo stare con mio marito, ignorando il Sith.

Una parte di me però, desiderava tanto poterlo fare. Chiusi gli occhi e mi sfiorai con un dito le labbra, ricordandomi il brivido che la sua vicinanza mi aveva dato.

 

*

 

Per due giorni, Anakin non si fece più vedere. Le uniche persone che regolarmente entravano in quella camera erano due servitori che portavano il mio pranzo e il latte per i bambini. La mattina del secondo giorno, portarono anche due brandine per i piccoli, idea di cui fui grata perché dormendo insieme nel letto continuavo a temere di schiacciarli senza accorgermene rigirandomi nel sonno. Purtroppo però l’arrivo giornaliero dei due servitori non costituiva di per sé una grande distrazione. Non mi parlavano neppure, nonostante gli avessi rivolto più domande dirette su quale fosse la nostra destinazione e quanto mancasse. Si limitavano a svolgere il loro compito e a sparire in men che non si dica, lasciandomi nuovamente nella mia tetra solitudine. La situazione ormai era ben oltre il sopportabile. Cosa diamine passava per la testa ad Anakin? Aveva intenzione di tenermi rinchiusa in quelle quattro mura a tempo indeterminato?

Sconfortata, mi appoggiai al vano della finestra, la fronte contro il vetro freddo.

Perché non torni da me?

 

Due giorni. Aveva fatto passare due lunghissimi e stramaledetti giorni da quando aveva avuto il coraggio di vederla. Dannazione, da quando era diventato così codardo? Perché solo di codardia si poteva parlare, non c’erano altre motivazioni. Dopo averla cercata per mezzo universo, dopo averla voluta così intensamente, ora la evitava! Era davvero un dannato idiota.

Ma le parole che si erano detti, il tono rabbioso con cui gli si era rivolta, la discussione accesa…era stata insopportabile.

Lui l’aveva ripresa come sua moglie e lei si riteneva una prigioniera! Aveva persino insinuato di andarsene!

Il solo pensiero lo faceva impazzire, non poteva perderla di nuovo. Eppure, il motivo che lo aveva tenuto lontano da lei era che sapeva che non poteva tenerla accanto a lui in questo modo.

Nonostante le sue intenzioni, lei…aveva ragione. Se lei se ne voleva andare, di fatto lui la stava trattenendo lì come prigioniera.

Se solo fosse riuscito a farle cambiare idea! Come poteva farle capire che tutti gli atti orribili di cui nella sua testa lo accusava, li aveva commessi per loro due e per i loro figli? Non vedeva che aveva creato una realtà dove loro potevano stare assieme senza doversi nascondere?

Ed era quello il motivo per cui si era tirato indietro quando stavano per baciarsi, rompendo quell’unico istante in cui miracolosamente erano riusciti a dimenticare le loro divergenze. Non poteva baciare Padmé se lei si riteneva costretta a stare con lui. Aveva visto chiaramente che sua moglie lo amava ancora. Nonostante la rabbia e il furore con cui aveva difeso le sue idee, i suoi dolci occhi castani emanavano lo stesso calore di sempre quando lo guardavano. E questo aveva lenito come un balsamo una parte delle sue ferite. Tuttavia sapeva che si sentiva come un animale ferito chiuso in gabbia e non poteva tenerla al suo fianco in questo stato. Inoltre non tutto tra loro era stato chiarito, lui si sentiva ancora tradito per le sue azioni ed era palese che lei non si fidasse di lui e del suo giudizio.

Aveva aiutato a costruire quell’Impero affinché loro potessero stare assieme, ma ora sembrava fosse proprio quell’Impero a separarli. Grazie alla sua tenacia era riuscito a riportarla fisicamente accanto a sé, ma adesso il ragazzo capiva che la sfida di ritrovarla tra milioni di pianeti non era che l’inizio. Pur avendola a qualche metro di distanza, Padmé era più lontana che mai. Avrebbe dovuto ripristinare la fiducia che c’era tra loro per poterla riavere veramente accanto.

Doveva fare qualcosa, anche se non sapeva ancora cosa, ma di certo non poteva continuare a girovagare per quella nave con il pensiero sempre rivolto a un alloggio del piano inferiore.

Ma prima che potesse fare un passo, la porta della sua camera si aprì rivelando l’ingresso di un ufficiale.

“Mio Signore, siamo giunti a destinazione. La Morte Nera è davanti a noi”

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