And if I open my heart to you and show you my weak side, what would you do?

di Sarugaki145
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo IIX ***
Capitolo 9: *** IX Capitolo ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XIIX ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


 

And if I open my heart to you

And show you my weak side,

What would you do?

CAPITOLO I

 

Perché un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte.

- Alessandro Baricco

 

Era una mattina soleggiata a Capital City, mentre un’aria primaverile iniziava a riempire le strade.

Gli uccellini cinguettavano allegri, mentre qualche risata dei bambini arrivava dalla scuola poco distante.

Il clima che si respirava nella città da qualche settimana era più disteso, la tristezza per le ingenti perdite avvenute nella ribellione era ancora presente, ma tutti cercavano di occupare il loro tempo in modo da non pensarci, in modo da non sentire quel peso gravare sui loro cuori.

Ovviamente a Capital City le perdite erano state molto meno numerose che nei distretti, eppure i cittadini privati di gran parte dei loro confort si sentivano abbandonati a loro stessi e stavano pian piano rendendosi conto di come fosse difficile la vita ora che i distretti avevano dichiarato la loro indipendenza.

Peeta Mellark invece era seduto sul suo letto, mentre osservava fuori dalla finestra con aria assorta le nuvole che si inseguivano nel cielo. Le mani erano appoggiate saldamente al davanzale, come se non avesse il coraggio di sporgersi verso il vuoto per paura di cadere.

Gli occhi azzurri erano illuminati dal sole mattutino, mentre studiavano attenti l’andirivieni di persone sotto la sua finestra.

Era finalmente arrivato il giorno in cui sarebbe potuto tornare a casa, nel dodicesimo distretto.

Aveva dovuto passare parecchio tempo in ospedale, dove i dottori l’avevano tenuto sotto osservazione a lungo, monitorando i suoi segni vitali, provato nuove terapie e il dottor Aurelius l’aveva seguito con assiduità, vedendo come il ragazzo desse segni di miglioramento dopo il depistaggio e, a differenza di molti altri suoi pazienti, fosse collaborativo per la sua guarigione.

Il dottore non capiva come mai avesse così voglia di tornare in quel distretto, dove nessuno lo stava aspettando e dove la desolazione faceva da padrona. Si era accertato che fosse a conoscenza del fatto che l’intera sua famiglia fosse deceduta in seguito ai bombardamenti, ma non sembrava che il fatto turbasse il giovane come si aspettava. Nonostante ciò il dottor Aurelius non si sarebbe opposto al ritorno a casa, in fondo non trovava nulla di male nel voler tornare nel luogo della propria infanzia.

Peeta dal canto suo pensava spesso al suo ritorno, abituandosi all’idea che non ci sarebbero stati i suoi genitori e i suoi fratelli ad accoglierlo, non il volto severo di sua madre o quello un dolce del padre, e anche la sua vera casa, la panetteria, non sarebbe stato li ad aspettarlo.

Ci sarebbero stati al massimo i loro fantasmi.

Gli avevano detto che però la sua casa, nel villaggio dei vincitori, era ancora intatta e quindi si sarebbe potuto trasferire li al suo rienrto.

E quindi, insensatamente, aveva voglia di tornare la, come se avesse lasciato qualcosa da cui tornare.

Non amava Capital City, era collegata a troppi dolorosi ricordi per lui e non poteva concepire il vivere in un altro distretto che non fosse il dodicesimo, con la sua aria che puzzava di carbone, le sue poche abitazioni, il suo degrado.

Era incredibilmente stanco di tutti quei luoghi estranei, quindi aveva un’assoluta necessità di immergersi nella calma della quotidianità che solo li avrebbe potuto ritrovare.

Non aveva particolari bagagli da preparare, quindi quando il dottor Aurelius si presentò in camera sua alle 8.30 in punto Peeta era già vestito e aspettava il medico osservando pacatamente fuori dalla finestra.

-Peeta, buongiorno.-

Annunciò Aurelius entrando nella stanza ed osservando le spalle del ragazzo.

Lo ricordava quando l’aveva visto per la prima volta agli Hunger Games, dove era poco più di un ragazzino di sedici anni.

Anche lui, come molti altri spettatori, era rimasto senza parole quando quel ragazzo aveva dichiarato senza esitazioni di essere innamorato proprio della ragazza che era stata estratta con lui. Aveva anche preso in considerazione che fosse tutto architettato per attirare su di loro i favori del pubblico più innamorato degli Hunger Games, ma dopo aver visto come si era comportato nell’arena non aveva più avuto dubbi sul suo amore.

Quel ragazzino, che si era unito per un soffio al gruppo dei favoriti per proteggere la sua amata, era cresciuto in quei pochi anni, scampando due volte dai giochi della morte e sfuggendo alla morte in guerra, alla follia data dal depistaggio, era diventato un uomo. Il solo osservare quelle spalle, strette in una maglietta ormai troppo stretta per lui perché recuperata da qualche abitante di Capital City notevolmente più gracile di lui, mentre si alzavano ritmicamente per il respiro tranquillo del ragazzo, fecero capire al medico che Peeta ormai era pronto per andare.

Il ragazzo si girò e accolse con un sorriso l’ospite, mentre gli occhi chiari e tranquilli esitavano sulla sua figura.

-Buongiorno dottore.-

-Come ti senti?-

Domandò quello accomodandosi sul bordo del letto del paziente, mentre con un altro sorriso il ragazzo rispondeva:

-Bene. Insomma fisicamente mi sto rimettendo in forze e anche..-

Peeta esitò un momento, cercando la parola adatta e quindi il medico consigliò:

-I flashback..-

-Si, i flashback, vanno molto meglio. Sono molto più rari ormai.-

Accettò l’aiuto il ragazzo ringraziando con lo sguardo.

Il dottore annotò il tutto sul suo taccuino, non appena ebbe concluso alzò gli occhi e domandò:

-Sei pronto a tornare nel Dodicesimo Distretto?-

Peeta scoppiò a ridere e rispose alzandosi dalla sedia, facendo qualche passo nella stanza per sgranchirsi le gambe.

-Non vedo l’ora. So che può sembrarle strano perché la non ci sarà nessuno ad aspettarmi, ma resta comunque casa per me.-

Il medico accolse l’affermazione con un cenno della testa e, sempre dopo aver appuntato il tutto, domandò:

-Hai progetti dopo?-

Gli occhi di Peeta ebbero un guizzo di vita e lui esclamò energico:

-Mi piacerebbe fare il pasticcere.-

Vedendo lo sguardo sorpreso del medico abbassò gli occhi, mentre le guance si arrossavano per l’imbarazzo.

-Si, insomma.. Mi piacerebbe far rinascere la panetteria, anche se è un’impresa difficile. I miei genitori sarebbero veramente felici se lo facessi. E poi mi piacerebbe fare un sacco di torte, qui a Capital City ho visto delle creazioni meravigliose che vorrei provare a fare.-

Il medico sorrise rassicurante e rispose:

-Sono sicuro che con il tuo talento riuscirai a cavartela benissimo.-

Sul volto di Peeta spuntò un sorriso imbarazzato, quindi il dottore proseguì:

-E con Katniss? Non hai progetti?-

Il ragazzo del pane sussultò preso alla sprovvista e deglutì a vuoto, cercando di mantenere la calma.

Katniss era un discorso ancora difficile per lui.

Non aveva ancora le idee chiare su cosa provasse per quella misteriosa ragazza, soprattutto ora che erano mesi che non la vedeva.

Dopo che le aveva impedito di togliersi la vita in seguito all’omicidio della presidentessa Coin non l’aveva più vista, anche se si era sempre fatto aggiornare sullo svolgimento del suo processo. Aveva paura che Katniss provasse ancora rancore nei suoi confronti per averla fermata dal prendere il morso della notte, eppure in quel momento aveva provato un desiderio irrazionale talmente forte da muovere i suoi movimenti fino a lei che lei restasse in vita, che aveva immaginato che prima del depistaggio lui l’amasse in quel modo. Ora ricordava quelle sensazioni come un’eco lontana, a cui cercava di avvicinarsi, ma ogni volta in cui stava per ricordare qualcosa di significativo di lei qualche doloroso flashback lo colpiva, rendendo ogni tentativo vano.

Peeta mise a tacere tutti quei ragionamenti e dopo aver preso un profondo respiro, affermò apparentemente con tranquillità:

-Penso che mi comporterò da impaccabile vicino di casa.-

Rispose quindi diplomatico. Il medico sorrise divertito e rispose:

-Molto bene. Per me puoi anche andare a prendere l’hovercraft che parte alle dieci, in questo modo arriverai al Dodici questa notte. Hai già fatto i bagagli?-

Domandò amichevolmente e Peeta sollevò una sacca in iuta, con all’interno poche cose.

-Tutto qui. Il pigiama lo lascio a qualche altro paziente, tanto a casa mi arrangerò in qualche modo, visto che avevo un guardaroba enorme.-

Aurelius sorrise soddisfatto e alzandosi si avvicinò a Peeta tendendogli la mano.

-Peeta, continueremo a sentirci per telefono, in modo da avere aggiornamenti sui tuoi progetti.-

Il ragazzo sorrise e annuì, lasciando la mano del medico.

-Prima che mi dimentichi..-

Aggiunse il dottore tornando al letto e iniziando a cercare qualcosa nella sua valigetta in cuoio.

-Questo è stato trovato tra gli effetti di Katniss, era nella sua tasca quando è stata ritrovata dopo lo scoppio delle bombe nella piazza, non c’è stata poi occasione per consegnarglielo.-

Spiegò quello, senza scomporsi minimante per il fatto appena citato, prendendo nel palmo della mano il sacchettino che il dottore gli stava porgendo.

-Se puoi riportarglielo e raccomandarle di rispondere al telefono e così potrei smettere di far solo finta di curarla te ne sarei grato.-

-Nessun problema.-

Ribatté Peeta tranquillo, mentre un sorriso divertito si dipingeva sulle sue labbra mentre immaginava il dottor Aurelius che tentava da mesi di chiamare Katniss. Il biondo infilò nella tasca dei pantaloni il sacchettino, senza controllarne il contenuto, mentre il dottore concludeva:

-Bene Peeta. Ho firmato tutte le carte per farti tornare a casa. Per ora ci salutiamo quindi.-

Il ragazzo rispose con un sorriso, accompagnando il dottore alla porta.

-Buon viaggio ragazzo.-

E con questo saluto il medico scomparve dentro la camera di un altro paziente.

Peeta restò un momento intontito a guardare il vuoto, poi prese la sua sacca ed uscì dall’ospedale, senza mai voltarsi indietro, pronto a tornare finalmente a casa.

***

Alle undici meno cinque di quella stessa sera Peeta Mellark appoggiò il primo piede sul terreno del dodicesimo distretto, per poi venire subito raggiunto dal secondo.

Ispirò profondamente l’aria fredda della sera e salutò cortesemente il pilota del hovercraft, quindi fece i primi passi all’interno del distretto.

Non appena il velivolo scomparve nel cielo un silenzio di tomba circondò il ragazzo, che decise quindi di avviarsi verso la sua abitazione.

Oltrepassò a passi svelti il paese silenzioso e pieno di macerie, stando ben attento a non fermarsi e a non guardarsi in giro.

Si bloccò però davanti alla panetteria, dove quelle mura mezze distrutte gli provocarono un brivido, che scese lungo la schiena.

Era consapevole che avrebbe trovato casa sua in quelle condizioni, quindi ora non aveva nessuna ragione per sentirsi così triste. Aveva deciso lui stesso di rinunciare a tornare la per salvare Katniss, quindi aveva già inconsciamente dato l’addio a tutti quegli affetti racchiusi in quelle mura distrutte. Non doveva quindi provare così male in quel momento, era tutto sbagliato.

Si voltò deciso, avviandosi verso il villaggio dei vincitori, cercando di scacciare quei fantasmi che stavano andando ad affollarsi nella sua mente.

Non si concesse una sola lacrima, sarebbe stato stupido crollare in quel modo dopo tutto quello che aveva passato.

Oltrepassò il cancello del villaggio dei vincitori e si soffermò un momento a guardare la casa di fronte alla sua, dove la luce fioca del camino filtrava dalle persiane socchiuse.

Si costrinse a non pensare alla padrona di casa ed entrò deciso nella sua abitazione, dove un forte odore di chiuso lo investì.

Non aveva sonno e non aveva voglia di andare a dormire, pieno di troppe emozioni, quindi aprì con cura tutte le finestre per far areare l’ambiente, poi si infilò nel sottoscala ed estrasse qualche ceppo di legno da posizionare nel camino.

Non aveva mai sentito quel luogo come una vera e propria casa, probabilmente perché vi aveva vissuto solo per un anno e da solo, quindi non aveva particolari ricordi racchiusi in quell’abitazione.

Ricordava solo che li aveva pianto nel vedere Katniss felice senza di lui.

Iniziò a tremare e quindi strinse il tavolo di fronte a lui, nella speranza di calmarsi.

Il ricordo di Katniss e Gale che ridevano alle sue spalle continuava però a pararsi di fronte a lui, quindi corse in bagno e si lavò la faccia, nella speranza che l’acqua gelata lo calmasse.

Dopo qualche spasmo ancora, si lasciò cadere sul pavimento freddo, dove, dopo essere rimasto a fissare le piastrelle bianche per parecchio tempo, si addormentò senza rendersene conto, stanco per il viaggio.

Venne svegliato ai primi raggi di sole, quanto verso le cinque del mattino un fringuello si posò sulla sua fronte.

Aprì gli occhi spaventato, scattando il piedi come per difendersi  e fece giusto in tempo a vedere l’uccellino terrorizzato scappare fuori dalla finestra.

Si lavò la faccia e si diresse in camera sua, rendendosi conto di avere tutti i vestiti sudati, per l’ennesimo incubo avuto quella notte.

Aprì l’armadio lungo tutta la parete e si mise a cercare qualcosa di utile per i suoi piani di quella mattina, gli serviva quindi qualcosa di pratico.

Trovò quello che cercava e dopo una breve tappa nel sotto interrato uscì di casa.

-      To be continued.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Angolo dell’esaurita*

Buongiorno!

Finalmente eccomi qui a scrivere questa fanfic su Hunger Games dopo mesi e mesi di elucubrazioni!

Dal prossimo capitolo la storia inizierà a formarsi, questo capitolo era una sorta di prologo, in cui Peeta torna a casa! :)

Un’ultima cosa, poi smetto di tediarvi con i miei scrausi pensieri!

Il titolo è tratto dalla canzone The Final Cut dei Pink Floyd. Il titolo completo che avevo pensato era un’intera strofa della canzone, ma per motivi logistici ho usato solo le prime due strofe:

“And if I show you my dark side

Will you still hold me tonight?

And if I open my heart to you

And show you my weak side,

What would you do?”

 

La cui traduzione (per i più pigri) è:

“E se ti mostro il mio lato oscuro

Mi stringerai ugualmente questa notte?

E se ti apro il mio cuore

E ti mostro il mio lato debole,

Che cosa farai?”

Beh, con questo ho concluso veramente il primo capitolo!

Besos! ;)

Sarugaki145__

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


And if I open my heart to you

And show you my weak side,

What would you do?

CAPITOLO II

Non è nei vasti campi o nei grandi giardini che vedo giungere la primavera.

È nei rari alberi di una piccola piazza della città.

Lì il verde spicca come un dono ed è allegro come una dolce tristezza.

-      Fernando Pessoa

 

Il sole pallido illuminava il cielo in quel tiepido mattino, quando Katniss si svegliò di soprassalto, nel panico per l’incubo appena avuto, in cui la ragazza era sdraiata in una fosse profonda e tutti i morti che conosceva per nome sfilavano davanti a lei gettandole una palata di cenere a testa, mentre il grattare della pala dei morti continuava a rimbombarle nelle orecchie.

Fu così che, ancora mezza addormentata, corse fuori di casa, per capire da dove venisse il grattare di una pala che l’aveva svegliata, proseguo dell’incubo che l’aveva torturata per tutta la notte.

Arrivò quasi di corsa e si bloccò con la bocca leggermente aperta, come se fosse l’ultima cosa che si aspettava vedere Peeta Mellark con in mano una pala, mentre zappava il terriccio sotto la finestra di casa sua.

Il viso del ragazzo era arrossato per lo sforzo a cui non era più abituato, mentre alle sue spalle c’era una carriola con cinque arbusti, con le radici ben in evidenza.

-Sei tornato.-

Affermò spaesata, continuando ad osservare il ragazzo di fronte a lei, come a controllare se fosse reale.

-Fino a ieri il dottor Aurelius non mi ha permesso di lasciare Capitol City.-

Spiegò lui tranquillo, aggiungendo poi, come se si fosse ricordato solo in quel momento:

-Tra l’altro, mi ha detto di dirti che non può continuare a fare solo finta di curarti. Devi rispondere al telefono.-

Concluse con un mezzo sorriso.

La ragazza non ascoltò con attenzione il tutto, in quanto troppo presa a valutare l’aspetto del amico, cercando di riconoscere il Peeta dei suoi ricordi in quella figura di fronte a lei.

Il biondo si accigliò leggermente osservando l’amica, confuso nel vederla così trasandata.

Prima che potesse chiedere il perché però Katniss sbottò, sulla difensiva:

-Cosa stai facendo?-

Peeta lanciò una rapida occhiata alla pala e agli arbusti, stupendosi che non fosse una cosa ovvia, e spiegò paziente:

-Sono stato nei boschi, stamattina, e ho sradicato questi.-

Gli occhi di Katniss si spostarono sugli arbusti, per poi tornare alla figura di fronte a lei.

-Per lei..-

Proseguì il ragazzo, vedendo un guizzo negli occhi della vicina di casa, ben sapendo che lei avrebbe capito immediatamente per chi fossero.

-Pensavo che potremmo piantarli lungo il lato della casa.-

L’attenzione di Katniss venne nuovamente attirata dagli arbusti e si soffermò un attimo a studiarli, mentre una consapevolezza si faceva largo in lei.

Rose.

I nervi fragili di Katniss stavano per cedere, quando invece si accorse che non si trattava di quella pianta ma di una “primrose”, ossia una primula, si bloccò un momento.

Annuì a disagio, non aspettandosi una tale sorpresa, quindi tornò di fretta in casa, senza nemmeno salutare.

Peeta rimase a guardarla per qualche attimo, finché non sparì dietro all’angolo.

Il ragazzo sorrise divertito, tornando a concentrarsi sul suo terriccio.

Vedere Katniss era stato semplice tutto sommato, non c’erano stati contatti fisici o occasioni particolarmente private, ma comunque non aveva avuto particolari cedimenti.

Lei sembrava essersi dimenticata che viva solo per colpa sua e non sembrava serbargli particolare rancore per quel fatto e questo lo faceva sentire parecchio sollevato.

Impiegò un’altra oretta per riuscire a piantare i suoi arbusti, ma Katniss non riapparve. La sentì agitarsi dentro casa, ma non la disturbò ulteriormente.

Non appena concluse il suo lavoretto caricò la zappa nella carriola e le lasciò davanti a casa, entrando per buttarsi sotto la doccia.

Si sentiva bene mentre l’acqua fresca lavava via il sudore, ma soprattutto si sentiva finalmente utile a qualcosa, dopo mesi e mesi in cui l’avevano costretto a far nulla o comunque nulla di utile, era stranamente appagato da quell’azione appena compiuta.

Non appena tornò in cucina, rendendosi conto di avere una fame incredibile perché era dalla colazione del giorno prima che non mangiava, decise di uscire a comprare qualcosa.

Uscì di casa leggermente a disagio, perché sapeva cosa l’aspettava nel distretto, e non aveva idea di come avrebbe potuto reagire. Si accodò subito ad un gruppo di uomini che seppellivano i cadaveri emersi dalla neve, dirigendosi verso la vecchia panetteria.

Nessuno diede un particolare peso alla sua presenza, dopo le prime occhiate curiose al nuovo arrivato.

Peeta si avventurò quindi nella panetteria, pronto a quello che si sarebbe trovato davanti.

Ringraziò mentalmente che qualcuno avesse già rimosso i corpi dei suoi famigliari, perché dentro i resti dell’abitazione vi era la desolazione. Passò in tutte le stanze non crollate, stando ben attendo a non causare danni e tirò fuori qualche oggetto che poteva ricordargli la sua infanzia, per conservarlo nella sua nuova casa.

Restò all’interno del forno per almeno un’ora, immerso nei ricordi e nel vuoto che quella casa stava lasciando nel suo cuore.

Non appena tornò sotto la luce del sole venne fermato da un ragazzo che lavorava nelle miniere, con cui qualche volta aveva scambiato qualche parola fuori dalla panetteria, che si fermò davanti a Peeta.

-Mellark! Sei tornato quindi?-

Domandò il più grande dei due, quindi Peeta rispose:

-Hey Khan! Sono atterrato con un hovercraft ieri sera.-

Tra i due cadde un attimo di silenzio, dovuto al disagio della situazione.

Era strano incontrare i vecchi conoscenti in quello che sembrava l’ombra del distretto in cui si erano conosciuti.

-Un po’ traumatico eh..?-

Domandò allusivo Thom Khan, gettando un’occhiata alla vecchia panetteria.

-Eh già.. Ma mi ero già preparato all’idea e i corpi non c’erano già più, quindi è stato meno peggio del previsto.-

Spiegò il biondo con un mezzo sorriso, mentre negli occhi dell’amico vedeva passare un’ombra e capiva che lui non era stato così fortunato.

In quel momento lo stomaco di Peeta emise un gorgoglio sinistro e il più vecchio dei due scoppiò a ridere divertito, mentre il ragazzo del pane diventava rosso.

-Vieni a mangiare qualcosa Mellark! Hai fatto colazione?-

Chiese allegro Thom, felice di poter cambiare discorso, avviandosi poi verso il prato.

-Sinceramente no, non avevo idea di dove comprare qualcosa.-

Spiegò a disagio Peeta seguendo il ragazzo.

I due arrivarono in un’abitazione relativamente integra, dove Peeta venne invitato ad entrare e dove consumarono un modesto pranzo.

-Mellark tu sai fare il pane, no?-

Domandò Thom improvvisamente, come se avesse collegato solo in quel momento che essendo il figlio del fornaio doveva aver imparato il mestiere del padre.

Peeta annuì mentre masticava di gusto il pane raffermo che consisteva nel suo pranzo e l’altro propose:

-Se riuscissimo a tirare fuori il forno dalle macerie potresti quindi preparare del pane?-

-Se avessi la farina necessaria si.-

Rispose quello semplicemente e quando vide il volto dell’amico illuminarsi capì che la materia prima c’era.

-Un attimo solo.-

Thom uscì di corsa dalla casa e tornò dopo una decina di minuti con un piccolo gruppo di uomini, che Peeta riconobbe come vecchi abitanti del 12.

-Peeta, che piacere rivederti.-

Lo salutarono leggermente a disagio, non sapendo se il depistaggio del ragazzo potesse nuocere anche a loro com’era successo a Capital City.

-Buongiorno a tutti. Cosa sta succedendo?-

Domandò un po’ allarmato il ragazzo, ma Thom, prendendo la parola tra il chiacchiericcio, spiegò:

-Hanno mandato un bel po’ di farina da Capital City, ma nessuno di noi è in grado di preparare un buon pane come il tuo. Volevamo quindi proporti di preparare il pane per tutti, mentre noi sistemiamo la città. Ovviamente se ti va.-

L’uomo che aveva parlato guardava apprensivo Peeta, che rispose con un sorriso:

-Certo, sarebbe un immenso piacere per me.-

Il tono di Peeta fece immobilizzare molti di loro, che rividero in quel sorriso e in quegli occhi azzurri il ragazzo che avevano conosciuto nel distretto, pronto ad aiutare chiunque, che possedeva una bontà insolita nel loro distretto e che aveva colpito nel profondo l’intera Panem.

Dopo i convenevoli con i cittadini li presenti Thom riaccompagnò Peeta alla vecchia panetteria, mentre discutevano di dove avrebbero potuto collocare il nuovo forno.

-Prima ho visto Katniss.-

Lanciò li il più grande dei due, studiando attentamente la reazione del ragazzo.

-I suoi capelli com’erano?-

Domandò Peeta d’impulso, ancora traumatizzato per la visione mattutina.

-I suoi capelli?-

Domandò Khan visibilmente a disagio, mentre iniziava a pensare che il giovane avesse veramente dei problemi mentali.

-Si, questa mattina l’ho incrociata e aveva dei capelli spaventosi. Sembrava avesse in testa un nido d’uccello!-

Spiegò Peeta, facendo ridere l’altro.

-No, erano normali, aveva fatto la treccia.-

-Per fortuna!-

Osservò Peeta rilassato, facendo tranquillizzare anche l’altro.

-Ora porto queste cose nell’altra casa.-

Annunciò il giovane indicando la carriola riempita dei pochi oggetti recuperati dal forno, per poi concludere:

-Poi torno ad aiutarvi.-

-Stai tranquillo, forse hai bisogno di riposo.-

Rispose Thom con un sorriso, seriamente felice di aver ritrovato il figlio del panettiere ancora in forma.

-No, tranquillo. Preferisco tenermi occupato il più possibile!-

Si giustificò Peeta, avviandosi verso il villaggio dei vincitori dopo aver salutato con un gesto del capo l’amico.

La giornata trascorse tranquilla e quando tutti convennero che fosse arrivata l’ora di tornare a casa per cenare Peeta decise che era giunto il momento di andare a trovare il suo mentore.

La casa da fuori pareva disabitata dalla situazione di degrado in cui versava, ma la fioca luce del camino acceso filtrava dalle pesanti tende tirate.

Peeta bussò quindi alla porta e non ricevendo risposta aprì ed entrò nella casa. Venne subito investito da un prepotente odore di alcool e di chiuso, quindi si diresse a colpo sicuro in salotto dove vide Haymitch stravaccato su una sedia mentre canticchiava una canzone, palesemente ubriaco.

-Hey Haymitch!-

Salutò allegro Peeta avvicinandosi all’uomo, che non lo degnò di considerazione.

-Ti trovo.. Bene, tutto sommato! Sei ancora vivo per lo meno!-

Scherzò il ragazzo del pane accomodandosi sul divano dopo aver scostato un po’ di bottiglie, nella speranza di attirare l’attenzione dell’uomo, ma non ottenendo successo aggiunse:

-Si sentiva proprio la mia mancanza! Tra te e Katniss penso siano mesi che non vi pettinate!-

Scherzò ancora il giovane, quando finalmente Haymitch si informò:

-E’ ancora intera?-

-Si, questa mattina l’ho vista e non ho neanche cercato di ucciderla!-

Scherzò nuovamente il biondo, riuscendo finalmente a catturare l’attenzione di Haymitch.

-Quindi ti sei ripreso?-

Domandò quello scettico, mentre lo osservava con gli occhi appannati per colpa del troppo alcool.

-Bene o male.. Ma a quanto vedo ci si riprendeva meglio a Capital City che non qui nel Dodici!-

Concluse il biondo scoppiando in una risata, a cui si aggiunse dopo qualche istante anche Haymitch.

Il mentore non sapeva come mai stesse ridendo, in fondo cosa poteva esserci di divertente in quella situazione?

Eppure Peeta aveva portato una ventata fresca con la sua presenza: era arrivata la primavera.

***

Gli occhi di Katniss si dilatarono leggermente nel vedere entrare in casa sua quel ragazzo la mattina seguente.

Si presentò con una pagnotta ancora calda in mano e un sorriso incoraggiante stampato sulle labbra.

-Buongiorno Katniss.-

Annunciò allegro, accomodandosi al tavolo di fronte alla ragazza.

Lei rispose con un semplice “Ciao” e si lasciò cadere sulla sedia.

Gli occhi della ragazza erano spenti, avevano perso quella lucentezza che la determinazione aveva sempre illuminato.

Le guance erano piuttosto scavate e anche le curve che avevano sempre contraddistinto Katniss sembravano sparite.

Sae La Zozza servì su entrambi i piatti delle fette di pancetta e della frittata. Subito Peeta divise in due la pagnotta e ne porse alla ragazza metà, che la prese biascicando un grazie.

Un sorriso divertito apparve sul volto del ragazzo quando notò che stava passando la pancetta a Ranuncolo anziché mangiarla, ma non le disse nulla.

Il telefono squillò in quel momento e, vedendo che la padrona di casa non sembrava intenzionata a rispondere, Peeta si alzò e prese il ricevitore, rispondendo.

-Peeta, sei tu?-

Chiese una voce nota dall’altro capo, quindi il ragazzo con un sorriso ribatté:

-Buongiorno dottore! Sono a far colazione da Katniss!-

-Ecco perché ha risposto qualcuno, ormai pensavo che non avrebbe mai risposto nessuno a questo numero.-

Osservò il dottor Aurelius con tono ironico, facendo sorridere il suo interlocutore.

-Le passo Katniss se vuole!-

Dopo la conferma dall’altro capo Peeta trascinò la padrona di casa alla cornetta e gliela posizionò in mano, annunciando poi:

-Katniss io vado a distribuire il pane. Ci vediamo nel pomeriggio se ti va.-

Quella annuì con sguardo ancora un po’ assente, quindi si concentrò sulla pedante voce del dottor Aurelius.

-Allora Katniss, come procede? Ho saputo che sei uscita dal tuo bozzolo di letargo.-

Domandò quello allegro, ritenendo di essere molto simpatico.

-A quanto pare. Ma penso che ci tornerò presto.-

Lo informò lei glaciale, irritata da tutta quella ilarità.

-Su, non demordere ora. Potresti iniziare a fare le cose in modo meccanico, tipo mangiare, andare a caccia, magari prendere un po’ di sole.-

Propose l’uomo moderando il tono, nella speranza che la ragazza non riattaccasse la cornetta senza un’altra parola.

-Ci proverò.-

Promise Katniss prima di riattaccare. Sospirò profondamente, per poi andare a prendere il suo arco per andare a caccia, quindi dopo pochi minuti uscì di casa diligentemente e si avviò verso il prato.

Passando per la città sentì una risata, che riconobbe immediatamente, presto seguita da altre simili.

A quanto pareva Peeta era riuscito a portare un po’ di gioia con il suo arrivo.

Katniss ispirò a fondo l’aria fresca e proseguì verso il prato, con una nuova consapevolezza.

La primavera del Distretto 12 era veramente arrivata.

-      To be continued.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


And if I open my heart to you

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What would you do?

CAPITOLO 3

Per arrivare all'alba non c’è altra via che la notte.

-      Kahil Gibran

 

I giorni iniziarono a passare con una lentezza esasperante per Katniss, ora che era uscita da quello stato di catalessi la noia aveva invaso ogni momento, tranne nelle visite di Peeta, che riusciva quasi a metterla di buon umore.

-Dobbiamo organizzare le nostre giornate Katniss, non possiamo continuare a far nulla. Il dottor Aurelius dice che dovresti ricominciare a fare le cose meccanicamente, in modo da ritrovare il tuo ritmo.-

Esordì una mattina il ragazzo del pane appena si accomodarono a tavola per la colazione. Ranuncolo soffiò a quell’affermazione, ma Katniss ripose poco interessata mentre imburrava una fetta di pane:

-Tu dici?-

Il ragazzo annuì energico e proseguì con foga:

-Allora, io passerò la mattina in panetteria, dove hanno recuperato il forno che in questi giorni sto già usando. Nel pomeriggio mi concentrerò a ricostruire pian piano l’edificio.-

Concluse con un sorriso dando un gran morso alla sua fetta di pane e prendendo poi un lungo sorso di the.

-Bene.-

Lo liquidò Katniss, poco interessata. Nonostante il poco entusiasmo dell’amica riprese carico:

-Tu invece puoi passare la mattina a caccia come fai qualche volta. Poi nel pomeriggio, sempre se ti va, puoi aiutarmi nel ricostruire il forno. Ovviamente non ti lascerei fare cose troppo faticose. Se no potresti semplicemente star li, per me ti farebbe bene avere contatti con umani che non fossimo io, Sae o sua nipote. Se no potresti coltivare un orticello, se vuoi oggi pomeriggio vango una decina di metri di giardino, almeno potremo avere qualche ortaggio fresco.-

Concluse Peeta, concentrando gli occhi azzurri sul volto di fronte al suo, aspettando una risposta.

Katniss soppesò per qualche secondo la cosa, in fondo i suoi impegni non sarebbero molto cambiati, visto che al mattino andava quasi sempre a caccia, ma al pomeriggio restava seduta a far nulla.

Avrebbe potuto far compagnia a Peeta, che riusciva a farla sentire un po’ meno sola, e magari anche aiutarlo a costruire la panetteria non le sarebbe dispiaciuto. Anche l’idea dell’orticello non la annoiava più di tanto.

-Va bene.-

Rispose quindi con un sorriso timido la ragazza, il primo forse che Peeta le vedeva sulle labbra da tempo.

-Come?-

Chiese lui nuovamente, visto che era rimasto troppo scioccato dal sorriso della ragazza per badare alla risposta vera e propria.

-Va bene Peeta.-

Ripeté lei con lo stesso sorriso, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio.

Il ragazzo si illuminò in un ampio sorriso e, prima di addentare nuovamente il suo pane, affermò allegro:

-Bene! Allora oggi dopo pranzo ti trascinerò in paese con me!-

Così le giornate di Katniss persero pian piano quella noia che le aveva contraddistinte fino a quel momento. Ogni mattina andava a caccia o a pesca e al pomeriggio aiutava in paese con le opere di ricostruzione o si dedicava al suo orto, dove aveva seminato qualche verdura utile.

Inizialmente avevano tutti un po’ di timore nei suoi confronti, dopo le sue ultime azioni contro l’ex presidentessa Coin e la dichiarazione che fosse pazza, ma ben presto capirono che era tornata una ragazza come tanti altri, distrutta dalla guerra appena passata e alla ricerca di una nuova vita e Katniss non poté che essere grata a tutti per questo.

Tutti i pomeriggi Katniss si sedeva sull’erba accanto a dove Peeta lavorava e quando non lo osservava o non era persa nella contemplazione di qualcosa, cantava. Da quando a Capital City, confinata in quella stanza in attesa del processo, aveva ripreso a cantare qualcosa si era riattivato in lei. Sentiva l’esigenza di liberare la sua mente cantando, quindi si lasciava andare e dalle timide melodie che canticchiava arrivò a incantare l’intero distretto con la sua voce melodiosa.

Gli uccelli si fermavano ad ascoltarla, così come i lavoratori del distretto, che si concedevano qualche minuto di pausa ogni pomeriggio quando quella voce arrivava chiara dalla panetteria.

-Posso restare un po’ qui a farti compagnia? E magari qualche domanda?-

Domandò Peeta un pomeriggio soleggiato, buttandosi sull’erba accanto alla ragazza dove stava riposando con una focaccia, riprendendo fiato dopo l’ennesima canzone.

-Certo.-

Rispose lei con un mezzo sorriso, che ormai sempre più stesso mostrava a Peeta.

-Sei sempre stata un tipo solitario, vero o falso?-

Chiese lui con aria divertita, prendendosi un’occhiataccia della ragazza, che però rispose con aria divertita:

-Vero, non sono per niente socievole e anche se Delly dice che ero troppo brava, bella e non so che altro per stare con le persone, non le credere. Soprattutto dopo la morte di mio padre ho innalzato delle barriere, perché non potevo concedermi frivolezze, dovevo solo concentrarmi per tenere in vita la mia famiglia.-

Spiegò con semplicità, mentre Peeta assimilava le informazioni e le vagliava per una decina di secondi. Appena se ne convinse domandò con aria preoccupata e un con uno strano tremolio alla mano:

-Al centro d’addestramento io e te abbiamo passato un giorno sul terrazzo e tu hai cercato di buttarmi giù. Vero o falso?-

Il ragazzo aveva chiuso gli occhi e stretto i pugni, mentre probabilmente qualche spiacevole flashback invadeva la sua mente. Katniss si affrettò quindi a spiegare:

-Falso. Abbiamo passato un giorno insieme sul terrazzo, dove abbiamo fatto un pic-nic lungo tutta la giornata. Ma dovrei iniziare a raccontare dall’inizio.-

E con tono malinconico Katniss iniziò a raccontare il loro primo addestramento, come Haymitch avesse raccomandato loro di stare sempre vicini, come fossero stati presentati già come coppia prima della dichiarazione di Peeta. Iniziò a raccontare accompagnata da qualche domanda di Peeta, chiarendo tanti dubbi che avevano assillato il ragazzo, per la prima volta senza nessun orecchio indiscreto.

Erano solo loro due, alle prese con quel passato tanto oscuro.

-E tu ti sei arrabbiata un sacco con me quando ho dichiarato in diretta mondiale di amarti, vero o falso?-

Chiese lui preoccupato, quindi lei rispose con un sorriso di scuse:

-Vero anche questo.-

Ma prima che Katniss potesse spiegare come mai Peeta chiese ancora:

-Non è una reazione che hanno tutte le ragazze quando sanno che piacciono a qualcuno, vero o falso?-

Katniss lo guardò stranita dalla domanda, ma lui si affrettò ad aggiungere:

-Non lo so insomma non mi sono mai dichiarato a nessun’altra.-

Si giustificò leggermente a disagio.

-Non ti preoccupare, non è stata affatto normale la mia reazione.-

Confermò lei imbarazzata per il ricordo di lei che lo spintonava e faceva cadere.

-Per fortuna, se no non mi sarei mai più dichiarato a nessuna!-

Scherzò lui, poi aggiunse:

-Ma quindi se qualcuno ti si dichiarasse ora ti arrabbieresti ancora?-

-Non penso.-

Rispose lei sincera, mentre le guance le si imporporavano solo all’idea di una possibile dichiarazione.

-Cioè, per esempio. Quando Gale si è dichiarato ti sei arrabbiata?-

Domandò Peeta distogliendo lo sguardo. Katniss sussultò nel sentire quel nome, non solo perché non pensava a lui da parecchio tempo, ma perché proprio Peeta chiedeva qualcosa su di lui.

-No, ma solo perché mi ha colta di sorpresa e poi è fuggito.-

Rispose semplicemente.

Peeta vagliò per qualche minuto le informazioni, poi domandò nuovamente:

-Ti piaceva baciarmi?-

-Si.-

Rispose Katniss di getto, rendendosi conto troppo tardi della risposta che aveva appena dato.

-Insomma, - Si giustificò subito – A parte quando uno di noi due era troppo malconcio o ammalato penso che non ci dispiacesse baciarci.-

Era incredibile per Katniss come riuscisse a fare discorsi del genere con Peeta con tanta naturalezza.

A lei, che si imbarazzava per ogni dimostrazione d’affetto, sembrava naturale ammettere con lui che le piacevano in fondo i suoi baci e le sue attenzioni, che per un certo periodo l’avevano addirittura quasi convinta di essere innamorata di lui.

Dopo qualche altro minuto Peeta domandò assorto:

-Torneremo mai amici?-

-Chissà, magari questa è la volta buona, no?-

Rispose lei incoraggiante, sorridendo nuovamente.

Peeta sorrise a sua volta e si alzò scrollandosi i pantaloni, per poi annunciare:

-Torno al lavoro Katniss. Grazie mille per le preziose informazioni.-

La ragazza lo osservò allontanarsi e tornare al lavoro. Stava mettendo su una considerevole massa muscolare il ragazzo, dovuta agli sforzi che faceva giornalmente e anche il suo aspetto appariva più sano. L’unica pecca erano le pesanti occhiaie con cui conviveva dal suo ritorno al Distretto 12 e che Katniss osservava spesso.

La facevano sentire più vicina al ragazzo, perché sapeva bene che erano dovute agli incubi che lo torturavano ogni notte, come facevano i suoi.

Aveva inconsciamente ricominciato a spiarlo mentre era impegnato nel suo lavoro, con lo sguardo concentrato e assorto e i muscoli tesi, stava cominciando a sviluppare una mania non solo per le sue ciglia, ma proprio per tutta la sua persona. Quando poi lui la scopriva ad osservarlo si apriva in un sorriso che riusciva a mutare completamente i suoi tratti, rendendolo quel ragazzino con cui aveva condiviso i loro primi Hunger Games, che ogni volta faceva muovere qualcosa alla sua bocca dello stomaco.

Katniss sospirò profondamente prima di alzarsi a sua volta, pronta a rimettersi al lavoro.

Chissà se lei e Peeta sarebbero mai tornati a dormire assieme, in modo che i loro incubi li lasciassero in pace per un po’.

E con questa domanda che le aleggiava in testa tornò alle sue occupazioni.

***

Qualcuno bussava insistentemente alla porta, quindi Peeta si alzò dal letto con estrema calma per dirigersi alla porta.

Era notte fonda e il ragazzo non riusciva a dormire, quindi curioso scese le scale velocemente, trovandosi in pochi secondi davanti alla porta.

Aprì domandando chi fosse, senza stranamente prepararsi ad un eventuale attentato.  

Socchiuse l’uscio e due occhi grigi gli si pararono davanti, facendolo irrigidire impercettibilmente, quindi domandò con un filo di voce, non facendo caso al fatto che fosse a petto nudo:

-Katniss..?-

La ragazza arrossì leggermente vedendo la pelle del ragazzo, ancora rovinata dalle cicatrici.

-Posso entrare?-

Domandò lei con un filo di voce, mentre si stringeva di più nella vestaglia che indossava.

-Non sono sicuro sia una buona idea. Potrei farti del male.-

Spiegò lui preoccupato, nella speranza di convincerla ad andarsene.

-Vale la pena rischiare, no?-

Chiese lei con un mezzo sorriso, portandosi una ciocca dei capelli scompigliati dietro l’orecchio.

Peeta si fece quindi da parte e la invitò ad accomodarsi, scortandola in salotto.

Katniss si fermò solo un attimo, mentre un profumo di dolci misto al pane la investiva, un profumo così tipico di Peeta.

-Vado a mettermi qualcosa.-

Annunciò lui sparendo su per le scale, per poi tornare subito dopo con una camicia male abbottonata.

Appena entrò in salotto vide Katniss seduta sul bordo del divano, ben attenta a non toccare nulla.

Il ragazzo captò il disagio dell’amica in quell’abitazione, quindi domandò:

-Non sei venuta spesso a trovarmi, vero o falso?-

Le labbra della ragazza si incurvarono in un sorriso di scuse e sussurrò, mentre un senso di colpa si faceva largo in lei:

-Vero.-

Tra i due cadde il silenzio, quindi il ragazzo si alzò e, dirigendosi in cucina, domandò cortese:

-Ti va una fetta di torta o una camomilla?-

Katniss annuì piano, quindi lui tornò dopo qualche minuto con un vassoio di torta al cioccolato e subito dopo con due tazze fumanti di quel liquido dolciastro.

-Ecco qui.-

Offrì cortesemente, mentre Katniss iniziava a chiedersi se mai le avesse chiesto il motivo della sua visita.

Accadde dopo qualche minuto di silenzio, in cui si sentiva solo il rumore dei cucchiai contro le tazze.

-Come mai questa visita?-

-Non mi ero resa conto dell’ora, scusa.-

Esclamò subito lei, come se quelle parole le ronzassero in testa da quando aveva iniziato a bussare alla porta.

-Tranquilla, tanto non riuscivo a dormire.-

Katniss alzò gli occhi, stupita che il ragazzo avesse il suo stesso problema e quando incrociò quelli azzurri di lui, così pieni di comprensione gli abbassò immediatamente, ancora una volta a disagio.

-Non dormo molto ultimamente e penso che si noti. Delly me l’ha fatto presente un sacco di volte da quando sono tornato.-

Raccontò lui per mantenere viva la conversazione, visto che sembrava che Katniss avesse perso l’uso della parola.

-Poi con il lavoro del forno mi alzo sempre alle cinque, quindi dormo massimo quattro o cinque ore a notte.-

-Dovrei andarmene, lo so. Sono stata inopportuna.-

Esclamò Katniss scattando in piedi, ma lui la trattenne per un polso quando gli passò affianco.

Una scarica d’adrenalina colpì entrambi, quindi Peeta lasciò immediatamente la presa.

Erano mesi che non avevano un contatto fisico e ora sembrava quasi strano anche il solo sfiorarsi.

Peeta deglutì a vuoto, cercando di nascondere il tremolio che lo prese alla mano con cui aveva toccato la ragazza e disse:

-Torna a sederti, per favore.-

Katniss, da parte sua, tornò al suo posto senza lamentarsi, mentre con l’altra mano sfiorava la parte toccata da Peeta, che sembrava bruciare.

Non le era mai successo di anelare il contatto fisico con qualcuno, di desiderare un abbraccio, eppure in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi stringere a lui.

-Non riuscivi a dormire?-

Domandò apprensivo il ragazzo non appena tornò padrone delle sue emozioni e lei annuì.

-Non mi piace stare in quella casa da sola e neanche Ranuncolo riusciva a farmi compagnia.-

Peeta sorrise al pensiero di Katniss e il gatto che lei aveva sempre odiato far fronte comune per restare con qualcuno, quindi rispose:

-Potresti chiedere a Sea la Zozza e a sua nipote di stare da te, in fondo hai molto spazio.-

Katniss scrollò la testa in segno di diniego e ribatté franca:

-Nessuno apprezza dormire con una che urla, scalcia e piange nel sonno.-

Peeta si passò una mano tra i riccioli biondi e sorridendo rispose:

-Se vuoi puoi dormire qui da me. Prima però dovresti chiudermi in una stanza, in modo che io non possa uscire se ho un attacco, almeno andrei a letto più tranquillo sapendoti al sicuro.-

Gli occhi di Katniss si riempirono di lacrime. Perché Peeta continuava a cercare di proteggerla nonostante lei continuasse a fargli del male?

Perché anche in quel caso, quando lei per lui non era assolutamente nulla, Peeta era disposto a farsi chiudere in una stanza per darle sollievo?

-Non posso dormire con te, non so come reagirei.-

Si affrettò ad aggiungere Peeta vedendo la ragazza pensierosa, temendo che lei si fosse offesa perché non le dedicava lo stesso trattamento di quando avevano girato i distretti assieme.

Il suo Peeta, quello buono, quello pronto a sacrificarsi per lei, pronto a mettere se stesso da parte per il suo bene era di nuovo li.

L’unica differenza era che ora non lo faceva perché l’amava.

Ma perché provava pena per lei.

-No tranquillo. È meglio che io vada. Veramente.-

Concluse lei sfuggendo da quella casa.

-      To be continued.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


And if I open my heart to you

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What would you do?

CAPITOLO 4

Dipingere è azione di auto scoperta.

Ogni buon artista dipinge ciò che è.

- Jackson Pollock

-Oggi vai a caccia?-

Domandò una mattina Peeta a colazione, osservando Katniss che divorava la sua pagnotta, come se qualcuno la stesse inseguendo per strapparle il cibo.

Stava rimettendo su i chili che aveva perso dalla morte di Prim, pian piano. Anche il colorito era più sano, sia per il sole che prendeva ogni giorno andando a caccia, sia per l’alimentazione regolare e le cicatrici si intravedevano sempre di meno sotto le maniche portate sempre lunghe.

La ragazza si limitò ad annuire con la bocca piena, quindi il ragazzo aggiunse:

-Stai attenta a non prendere pure me con gli scoiattoli!-

Scherzò lui sorridendo, quindi Katniss chiese, ingoiando un boccone troppo grosso per la sua bocca e rischiando di soffocarsi:

-Come mai? Vai a caccia anche te?-

-Non fare quella faccia scettica! Vengo a dipingere, se vuoi dopo puoi farmi compagnia.-

La informò prontamente il ragazzo, osservando la faccia dubbiosa della ragazza. Katniss non rispose, ma annuì mandando giù l’ultimo boccone con una sorsata di the.

La colazione proseguì silenziosa, interrotta solo dal canticchiare di Sae la zozza che stava ai fornelli, finché Peeta non si alzò e si congedò per andare a sistemare la panetteria prima di potersi dedicare alla pittura.

***

La dolce brezza primaverile smuoveva piano le fronde degli alberi, che ricominciavano a riempirsi di verdi boccioli.

I cinguettii che giungevano alle orecchie di Peeta erano tutti diversi, alcuni più gravi, altri allegri e spensierati.

Lo scorrere del ruscello giungeva fino alle sue orecchie ovattato dai bassi cespugli di more alle sue spalle, che iniziavano a mostrare qualche frutto verde che anticipava gli altri, per mostrare che l’estate pian piano stava arrivando.

-Cosa disegni?-

Domandò una voce alle spalle di Peeta, facendolo sussultare.

-Il bosco. Non ha un fascino?-

Chiese alla ragazza appena arrivata, tornando a rilassarsi.

Era incredibile quanto fosse silenziosa mentre camminava per i boschi, non spezzava nulla sotto il suo tocco leggero e in quel momento il ragazzo del pane capì in che modo lei riuscisse a cogliere di sorpresa le sue prede.

-Si, mi piace un sacco.-

Ammise lei lasciandosi cadere affianco al ragazzo e dando un’occhiata alla sua tela, su cui solo qualche pennellata ricca di colore interrompeva il bianco dello sfondo.

Tornando a guardare il cielo Katniss ammise:

-Una volta volevo scappare qua con Gale. Oh, scusa! Non dovevo.-

Si corresse immediatamente irrigidendosi e guardando imbarazzata Peeta, che però era la maschera della tranquillità.

-No, tranquilla. Raccontami, in fondo si fa questo tra amici, no? Ci si racconta tutto.-

Concesse quello con tono accondiscendente, mentre un sorriso, che aveva un che di amaro, accompagnava quell’affermazione.

Katniss era indecisa se ridere o piangere a quell’affermazione.

La riportava indietro nel tempo, all’inizio del tour della vittoria, quando lui le aveva detto che voleva per lo meno esserle amico.

E aveva cercato di esserlo, ma non erano mai riusciti a definirsi amici i due sfortunati amanti del dodicesimo distretto.

Un sorriso nostalgico apparve sulle sue labbra, mentre ripensava a tutti i modi in cui erano stati definiti.

Innamorati. Vincitori. Nemici. Fidanzati. Vicini di casa. Tributi. Alleati. Soldati.

Erano stati tutto ciò, ma mai amici.

Non c’era mai stato un rapporto disinteressato da parte di entrambi, quindi non si erano mai definiti realmente amici.

Peeta la guardava aspettando in silenzio, quindi Katniss tornò alla realtà e rispose timida:

-Ok. – Acconsentì infine – Ti ricordi quando ti avevo proposto di scappare tutti insieme? Ecco, prima l’avevo proposto a Gale, di fuggire nei boschi, dove non ci avrebbero mai presi. Volevo scappare da tutto quello che stava succedendo, dalla situazione creata con te, da Snow, dagli Hunger Games..-

Katniss aveva un’aria malinconica, come se stesse tornando indietro a quei momenti, quando era seduta su quel prato con Gale.

Non era passato tanto tempo da quegli eventi tutto sommato, ma a lei sembrava passata un’eternità.

Erano cambiate tante, troppe cose da quella mattina.

Peeta la osservava attento, senza una parola, nella speranza di riuscire a capire una buona volta cosa frullasse per la sua testa.

Con una nota di rimpianto la ragazza proseguì:

-Lui però non ha voluto dopo che ho accennato alla rivoluzione che si stava scatenando negli altri distretti, se no chissà quante cose non sarebbero successe..-

-Io probabilmente non sarei qui.-

Affermò Peeta sicuro, continuando a concentrarsi sul suo dipinto e stendendo qualche pennellata sulla superficie ruvida della tela.

-Perché?-

Lo interrogò Katniss confusa, osservando con attenzione la mano sicura di Peeta che danzava in mezzo alla tavolozza di colori.

-Mi avrebbero ucciso negli Hunger Games senza di te, non sarei servito a nulla. Finnick per esempio non mi avrebbe salvato dopo che ho colpito il campo di forza, anzi sarei ancora su quella piastra in mezzo a quel lago salato.-

Spiegò lui paziente, fermandosi solo un momento ad osservare un punto in lontananza, indeciso sul colore da utilizzare, aggrottando leggermente la fronte chiara e alzando il pennello pieno di tintura per confrontarlo con il colore originale.

Katniss rabbrividì ripensando a quel momento e quindi rispose, cercando di dimenticare a tutti i costi quando aveva pensato di aver perso Peeta per sempre, che ancora aleggiava nella sua mente spesso, mentre una mano cercava il braccio da stringere per non lasciarsi prendere dall’emozione.

-O forse saresti stato tu il volto della rivoluzione..-

Propose la ragazza con un mezzo sorriso incoraggiante, ma Peeta scosse la testa.

-Senza la Ghiandaia Imitatrice al mio fianco..? Improbabile.-

Dichiarò lui perentorio. Tra i due calò il silenzio per qualche minuto, in cui Peeta riprese a dipingere, finché Katniss aggiunse, riagganciandosi al discorso della sua fuga con Gale:

-Nonostante tutto è stato meglio non essere scappata con lui.-

-Perché?-

Chiese il biondo, alzando gli occhi dalla tavolozza ed incrociando gli occhi grigi della ragazza, curioso.

-Perché io..-

Esordì Katniss, interrompendosi subito dopo.

“Non mi sarei innamorata di te.”

Prima che quel pensiero potesse veramente prendere forma nel suo cervello e che quindi il suo significato arrivasse a lei proseguì con una risatina stridula.

-Perché se no Panem non sarebbe mai stata liberata!-

Si corresse lei in fretta, sfuggendo allo sguardo poco convinto di Peeta. Lui la osservò per qualche momento, indeciso se indagare o meno sulla vera risposta, ma poi rinunciò e concesse:

-Hai ragione.-

Tra i due calò ancora il silenzio. Katniss guardava il bosco con aria assorta, persa nelle sue elucubrazioni e nei ricordi di lei e il ragazzo del pane.

Peeta aveva risvegliato in lei intere giornate di ricordi, quando lui ancora l’amava e neanche l’idea che potessero depistarlo poteva intaccarla. Le mancavano quei momenti in cui aveva provato l’illusione di essere felice assieme a lui, quando si lasciava trasportare dall’illusione che se avesse continuato a sorridere davanti alle telecamere tutto sarebbe andato bene.

Dal canto suo Peeta stava tranquillamente dedicandosi al suo dipinto, mentre cercava di trovare la giusta tonalità per i boccioli che stavano spuntando timidamente, quando improvvisamente domandò:

-Tu sei ancora innamorata di Gale, vero o falso?-

Katniss trasalì, voltandosi verso l’amico e tornando alla realtà, il quale però sembrava immerso nel suo dipinto, come se quella domanda l’avesse fatta un’altra persona.

La bocca le si seccò, mentre si mordicchiava un labbro indecisa sulla risposta.

-Falso.-

Rispose infine, calma.

E si rese conto di essere sincera in quel momento, terribilmente sincera.

Se aveva in passato pensato di provare un affetto particolare per Gale in quel momento poteva essere sincera nel dire che non ci fosse più nulla per lui. Solo un vuoto, l’ennesimo dopo quello che aveva lasciato Prim con la sua scomparsa.

-Perché?-

Chiese freddamente lui, intingendo il pennello in un miscuglio tra il verde e il marrone e iniziando ad amalgamare i due colori.

-Perché siamo cresciuti entrambi e ci siamo scoperti molto diversi. Io ero innamorata di quel ragazzo un po’ tenebroso che aveva un debole per me. Ma poi sono successe tante cose.-

Osservò lei sdraiandosi sull’erba e socchiudendo gli occhi lasciandosi riscaldare dai raggi del sole, stanca.

-Tipo gli Hunger Games?-

Chiese il pittore, osservandola con la coda dell’occhio.

-Si, penso che da quando il nome di Prim è stato estratto tra me e Gale sia finita. Sono successe troppe cose perché poi io potessi volergli bene come prima.-

Osservò lei oggettiva, iniziando a giocare con un ciuffo d’erba, nella speranza di non dover ammettere che Peeta stesso era stato uno dei motivi fondamentali del cambiamento.

-E io sono mai centrato qualcosa con la vostra fine?-

Domandò Peeta innocente, iniziando a punteggiare gli alberi di verde, mentre Katniss sussultava colta in fallo.

-Assolutamente si.- Spiegò infine lei, francamente. - Lui era gelosissimo di te. Ovviamente è stato anche per un sacco di altre ragioni, ma centri anche te. In fondo lui era convinto che un giorno, alla fine della guerra, io avrei scelto quello che ritenevo indispensabile per la mia sopravvivenza. Eppure io non penso di aver scelto nessuno dei due. E di essere qui, viva.-

Concluse dura, mentre il risentimento per quel discorso origliato tra Peeta e Gale tornava a farsi sentire.

-Quando ti ho rivista non eri poi così viva.-

Scherzò lui, facendo sorridere imbarazzata Katniss al ricordo dei suoi capelli il giorno del ritorno al distretto 12 di Peeta e per smorzare quel macigno che lei aveva risollevato e messo tra loro.

Nessuno dei due parlò più, Peeta riprese a dipingere concentrato, mentre Katniss osservava il cielo pieno di nuvole bianche. Tutti e due soppesavano le ultime parole della ragazza, sul perché non fosse innamorata di Gale.

Da una parte Peeta soppesava i ricordi che aveva di Gale e la ragazza, cercando di valutare se veramente tra loro due potesse essere finita. Cercava di respirare profondamente e mantenere la calma, nella speranza che nessun flashback l’assalisse e rischiasse di far male a Katniss, in quel momento sdraiata sull’erba tranquilla.

La Ghiandaia Imitatrice giocherellava con i ciuffi d’erba sotto le sue mani mentre soppesava se quanto avesse appena ammesso con Peeta corrispondesse o meno alla verità. Era stata schietta e sincera, senza cercare inutili scuse, eppure sentiva che c’era qualcosa ancora in sospeso tra lei e Gale per poter dire definitivamente di aver chiuso con lui.

-Posso provare a dipingere anch’io?-

Domandò la ragazza esitante, avvicinandosi all’amico circospetta, nella speranza che impegnando la mente tutti quei dubbi sparissero.

-Certo.-

Rispose lui con quel sorriso dolcissimo che così spesso le aveva dedicato.

Gli unici rumori che sentirono nelle ore seguenti furono il canto degli uccelli e lo scorrere del ruscello, mentre entrambi erano impegnati nelle loro creazioni.

Erano tutti e due rilassati e tranquilli e quando Katniss annunciò trionfante di aver finito il ragazzo trasalì. Alzò gli occhi e vide l’amica impegnata ad osservare dubbiosa la sua creazione.

-Non penso sia molto somigliante.-

Ammise quindi quella, guardando criticamente il ritratto tra le sue mani.

Un Peeta dal naso quadrato e dai ricci biondi occupava il centro della tela, contornato da strane forme e colori.

-Potrebbe essere definita arte moderna! A Capital City ho visto molte tele del genere.-

Scherzò lui alzando la tela per osservarla al sole e vedendo una figura che poteva vagamente ricordare lui.

-Sei sempre troppo buono! Tu cos’hai disegnato, il bosco?-

Domandò lei avvicinandosi al ragazzo per sbirciare la sua tela.

-All’inizio. Poi ho cambiato tela perché.. Eri terribilmente al naturale mentre eri impegnata a dipingere.-

Ammise lui arrossendo leggermente, temendo che Katniss potesse prendersela per essere stata ritratta a sua insaputa.

-Quindi mi hai fatto un ritratto?-

Chiese lei curiosa.

-Si.. Non te ne avevo ancora fatti da dopo il depistaggio.-

Katniss prese la tela e si concentrò sulla sua figura. I capelli erano mossi dal vento leggero che tirava, mentre lo sguardo era corrucciato e concentrato verso la tela di fronte a lei, ancora bianca, terribilmente somigliante a lei. Lo osservò per un paio di minuti, finché non ammise:

-Peeta, è bellissimo.-

-Sei tu ad essere troppo gentile.-

Osservò lui imbarazzato, mentre un sorriso compiaciuto per il complimento nasceva spontaneo sulle sue labbra.

-Lo posso tenere? Mi piacerebbe appenderlo in casa!-

Domandò la Ghiandaia continuando ad osservare come ipnotizzata il ritratto.

-Addirittura?-

-Assolutamente! Potresti poi..-

Katniss esitò un momento, indecisa se porre o meno la sua domanda. Dopo qualche secondo, osservata dagli occhi limpidi del ragazzo, si decise a chiedere:

-Potresti fare un quadro con Prim? Mi piacerebbe un sacco averne uno, per non dimenticarmi mai dei suoi occhi.-

Katniss abbassò gli occhi imbarazzata per la richiesta, temendo che lui scoppiasse a ridere.

-Lo farò, te lo prometto.-

Rispose lui con un sorriso rassicurante, facendola sentire come se il depistaggio non fosse mai avvenuto, come se fosse veramente il suo Peeta quello.

Proprio in quel momento lo stomaco di Katniss brontolò rumorosamente, facendo scoppiare a ridere Peeta.

-Sarà meglio tornare, ti va?-

Propose il ragazzo del pane, iniziando a raccogliere le sue cose per tornare a casa. Katniss si limitò ad annuire, aiutandolo nel raggruppare tutti gli attrezzi.

Così i due si avviarono verso casa, per la prima volta un po’ più vicini da quando il depistaggio li aveva divisi.

-       To be continued.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


And if I open my heart to you

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What would you do?

Capitolo 5

L’amore è come l’alcol,

Più si è impotenti e sbronzi

E più ci si crede forti e scaltri,

E sicuri dei propri diritti.

-      Louis Ferdinand Céline

 

Era una giornata particolarmente calda per quell’inizio d’estate che fino a quel momento era stato mite. Il sole spendeva e sembrava che la vita fosse tornata nel distretto dodici.

Mentre Katniss tornava da una caccia particolarmente fruttuosa, osservava come tutto stesse ricominciando ad andare avanti nella cittadina, come in fondo stava iniziando ad andare avanti anche dentro di lei. Ormai i cadaveri erano stati tutti sotterrati nel prato, dove la terra iniziava ad essere schiacciata dai piedi dei sopravvissuti.

Qualche nuova casa iniziava a sorgere timidamente tra le macerie che venivano accantonate e riciclate per le nuove costruzioni, smorzando sempre di più quel clima di distruzione che aveva aleggiato nel distretto per tutto l’inverno.

Il clima tra la popolazione era disteso e tranquillo e tutti cercavano di aiutarsi con le scarse risorse che possedevano, per dimenticare la profonda tristezza che aleggiava ancora negli angoli meno frequentati.

Katniss lasciò più della metà del suo bottino a casa di Sae La Zozza, che l’avrebbe poi distribuito tra gli abitanti in difficoltà. Faceva così ogni giorno, come Peeta che distribuiva la maggior parte del pane che produceva e come facevano i pochi abitanti in grado di produrre qualcosa.

In fondo nel distretto 12 non era una novità stringere la cinghia per aiutare gli altri e tutti lo facevano senza problemi.

Katniss si avviò per il vicolo che portava al villaggio dei vincitori con tranquillità e fu in quel momento che sentì una risata che le fece fermare il cuore e immobilizzare nel punto in cui si trovava.

La riportò col ricordo in un periodo in cui, nonostante tutto quello che stava accadendo intorno a lei, era felice.

Ricordava perfettamente quella risata di Peeta, che la faceva sentire leggera, senza pensieri, che la faceva sentire bene nonostante tutto. Era la stessa risata spensierata che si era lasciato scappare assieme a lei quel giorno in mensa durante l’addestramento dei primi Hunger Games, quando tutti gli avevano fissati straniti, che la riempiva di nostalgia.

Lui era stato quello per lei, un respiro di aria pulita in mezzo a tutto il male che l’aveva sempre circondata, una mano gentile che si era tesa nella sua direzione senza chiedere nulla in cambio, come quando le aveva salvato la vita dandole il pane bruciato apposta.

E ora quella risata pulita, quella risata del vecchio Peeta arrivava da pochi da casa sua.

Si ritrovò a correre, per poter vedere quegli occhi chiari che si chiudevano leggermente e quei denti bianchi che sfuggivano da quelle labbra sottili. Le rughe della sua fronte si distendevano quando rideva ed era sicura che sarebbe anche scomparso per un attimo quello sguardo tormentato che lo caratterizzava da dopo il depistaggio.

Si bloccò improvvisamente però quando una voce nota interruppe la risata.

-Peeta smettila!-

La voce di Johanna bloccò Peeta, facendo gelare il sangue nelle vene di Katniss.

Cosa ci faceva li Johanna?

Cosa ci faceva li con Peeta?

Le gambe di Katniss sembravano ormai pesare delle tonnellate, ma quello che pesava di più in momento era il suo cuore.

-Dai Johanna, non ti lamentare sempre! Apprezza la torta che ti ho preparato e non fare quella faccia mentre la mangi!-

Affermò quello tranquillo, ma dalla voce si poteva capire che stava ancora sorridendo.

Peeta aveva preparato una torta per Johanna.

Quella consapevolezza si fece largo in pochi secondi nella mente di Katniss, creandole un certo fastidio all’altezza della bocca dello stomaco.

Aveva preparato una torta anche per Johanna.

Quindi non lo faceva solo per lei.

La ragazza deglutì a vuoto, mentre il senso di disagio attaccava l’intero stomaco, chiudendolo e creandole un senso di nausea.

-Dai, sembriamo due fidanzatini se mi prepari una torta.-

Sbottò Johanna irritata, mentre Peeta tornava a ridere.

Katniss deglutì nuovamente a vuoto, prima di sentire gli occhi che si riempivano di lacrime. Quindi scappò via arrancando, il più lontano possibile da quei due, non volendo più sentire nulla uscire dalle loro labbra.

-A Katniss prepari le torte?-

Domandò Johanna con aria maliziosa, ingoiando un altro boccone di quella delizia.

-Si, perché?-

Chiese il ragazzo del pane con sguardo confuso, prendendo un sorso del the che aveva preparato.

-No, niente. Mi fai sentire importante.-

Sussurrò Johanna nascondendo un mezzo sorriso trionfante sotto un boccone troppo grande per la sua bocca.

Il ragazzo sorrise e ammise:

-Sai benissimo che sei probabilmente la mia migliore amica e non solo per tutto quello che abbiamo passato a Capital City, ma anche perché sei una persona magnifica.-

Jhoanna scoppiò in una risata rauca e rispose:

-La smetti di essere così dolce con tutte? Poi ti ritroverai a spezzare troppi cuori!-

Lo prese in giro lei facendolo arrossire, ma prima che lui potesse ribattere Jhoanna aggiunse:

-Tanto nessuna di noi ha possibilità finché la ragazza in fiamme continuerà ad occupare i tuoi pensieri. A proposito, dov’è finita Katniss? Non è ora che torni dalla caccia?-

Il ragazzo annuì, mentre una ruga di preoccupazione increspava la sua fronte liscia.

-Di solito torna a quest’ora, andiamo al paese per vedere se si è fermata da Sae.-

Propose Peeta dirigendosi con l’amica del Distretto 4 verso casa di Sae.

Katniss in lacrime aveva corso per qualche centinaio di metri, rendendosi conto solo troppo tardi di essersi addentrata ulteriormente nel villaggio dei vincitori, trovandosi quindi chiusa in trappola.

Non voleva tornare indietro e dover passare sotto la finestra di Peeta e risentire quelle voci per uscire di li e quindi si accovacciò sotto un cespuglio, nella speranza di non essere vista da nessuno.

Restò li, immobile, per parecchio tempo, senza pensare a nulla, finché non sentì uno scroscio venire dall’alto e un liquido verdastro la mancò per poco.

-Haymitch, che schifo!-

Strillò lei rizzandosi in piedi e guardando disgustata l’uomo che aveva appena vomitato fuori dalla finestra, che la guardava con sguardo annebbiato.

-Scusami dolcezza.-

Biascicò quello accasciandosi sul davanzale della finestra, mentre osservava Katniss impettita davanti a lui.

-E’ un po’ che non ci si vede, eh?-

Sibilò con un sorriso divertito, mentre si toglieva un ciuffo di capelli dalla fronte sudata e una zaffata di alcool misto a vomito investiva le narici della ragazza.

Katniss rispose con un mezzo sorriso, guardando per terra per cercare di nascondere gli occhi rossi per il pianto.

-Il tuo amico Peeta viene quasi tutti i giorni a trovarmi. Dovresti prendere esempio.-

Quel nome bruciò nel cuore della ragazza, che sbottò acida:

-Senti chi parla. Quello che mi aveva detto che sarebbe venuto a trovarmi presto e non si è più visto.-

Sapeva che era sbagliato prendersela con lui per quello che aveva appena visto, ma doveva trovare un modo per sfogarsi.

Haymitch non rispose però alla provocazione, ma chiese canzonatorio:

-Hai visto Peeta e Johanna?-

A quella domanda la ragazza arrossì impercettibilmente, ma dal sorriso compiaciuto che spuntò sulle labbra del mentore capì di essere stata scoperta.

-Come hai fatto a capire..?-

Chiese titubante, quindi l’uomo le indicò con un cenno la porta di casa e lei vi si diresse rassegnata.

La casa di Haymitch era meglio di come si aspettasse.

Le bottiglie vuote di liquore riempivano il tavolo, ma i vestiti e le tracce del passaggio di Haymitch non erano così evidenti come pensava sarebbero stati.

-Peeta viene a pulirmi la casa una volta alla settimana. È troppo buono quel ragazzo.-

Osservò il mentore accasciandosi su una sedia del salotto e prendendo in mano una bottiglia mezza piena in bilico sul tavolo.

-Possiamo non parlare di lui?-

Sbottò Katniss stufa di sentire quel nome.

-Uuuh, un’ulteriore conferma che hai visto la sua amichetta oggi.-

La prese deliberatamente in giro Haymitch versandosi un bicchiere di rum.

-Haymitch ti ho detto di smetterla.-

Annunciò lei in tono perentorio, cercando di apparire convinta della sua affermazione.

-Dai, sono qui già ubriaco, posso sopportare almeno un volta di sentire parlare di lui se vuoi. In fondo di te sento già parlare abbastanza.-

Ribatté quello tranquillo, facendo finta di non notare il rosa acceso di cui si tinsero le guance della ragazza.

-Come? Chi ti parla di me?-

Domandò lei stupita, accomodandosi su una sedia libera.

-Più parlarmi di te qualcuno mi fa un sacco di domande, a cui però dovresti rispondere tu. Io posso solo dire che tu non meriti questa persona.-

Katniss abbassò gli occhi, mentre il senso di colpa per come aveva sempre sottovalutato Peeta la invadeva, di nuovo.

-E ti dice che mi odia?-

Domandò lei con un sussurro, temendo la risposta.

-No, vuole capire quella ragazza depressa e musona cos’abbia avuto di così tanto affascinante. E soprattutto vuole capire come abbia fatto ad amarla nonostante il modo in cui lui è stato trattato.-

Era sempre stato così Haymitch, per questo non le era mai andato completamente a genio. Era schietto come pochi, riusciva a schiaffarle in faccia la cruda verità, da cui così spesso cercava di scappare.

Riusciva a porle davanti i suoi problemi, le domande a cui scappava e per questo Katniss non lo sopportava.

Come poteva comportarsi così un uomo che per sopravvivere si dava all’alcool?

-Vorrei saperlo anch’io..-

Mormorò Katniss mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, poi aggiunse:

-Per questo ha scelto Johanna.-

Sussurrò prendendo il bicchiere dalle mani di Haymitch e svuotandolo in un sorso.

Il sapore aspro del rum le bruciò l’esofago, facendole chiudere gli occhi per un momento, mentre grosse lacrime si formavano ai loro angoli.

Haymitch, dopo essersi ripreso per il furto del suo liquore e averne riempito un altro, domandò confuso:

-Johanna? E quando l’avrebbe scelta?-

-Oggi.-

Sussurrò lei buttando giù un'altra sorsata del liquore e iniziando a lacrimare.

-Oggi quando le ha fatto una torta. Pensavo che le preparasse solo a me.-

Spiegò lei dopo qualche istante, asciugandosi gli occhi con la manica della maglia, ma venne interrotta quasi subito dalla voce roca e irritata di Haymitch:

-Smettila di comportarti così da egoista. Lui non è solo tuo.-

La ragazza abbassò gli occhi, iniziando a fissare il liquido ambrato nel suo bicchiere, come ipnotizzata. Dopo una decina di secondi si decise a rispondere:

-Lo so. Per questo non vuole dormire con me, non mi tocca come se avessi la peste, mi parla solo quando ci sono altre persone.. Per questo mi odia.-

Concluse lei svuotando il bicchiere che si era appena riempita e iniziando a sentire la testa girare.

Il mentore la guardò di sottecchi, prendendo anche lui una profonda sorsata di liquore e sentendolo scendere lungo la trachea.

Aveva notato che le cose tra loro andavano a rilento, ma non pensava che Katniss stesse vivendo così male il rapporto con il ragazzo.

Peeta gli aveva detto che avevano iniziato a chiacchierare e che finalmente lei aveva risposto a qualche sua domanda, che bene o male potevano definirsi amici.

Dopo parecchi minuti e sorsate dopo Katniss, in preda al singhiozzo, domandò in tono quasi supplichevole, guardando il mentore con gli occhi appannati di lacrime, non date solo dall’alcool ma anche dalla sofferenza che stava provando:

-Haymitch mi manca troppo Peeta. Perché me l’hanno portato via?-

Ma entrambi sapevano bene che il mentore non aveva una risposta a quella domanda e quindi restarono in silenzio, facendo tutte le domande che avevano nel cuore a quelle bottiglie di liquore che annebbiavano le loro menti, rendendoli per qualche istante meno angosciati.

-      To be continued.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?
Capitolo 6
Bisogna saper rischiare la paura come la morte,
Il vero coraggio è in questo rischio.

 
- Georges Bernanos
 
I primi raggi di un sole mattutino timido e tiepido filtravano dalle tende della casa, mentre un coro di uccellini cinguettava dando il benvenuto al nuovo giorno.
-Buongiorno Haymitch! Ti ho portato il pane caldo per colazione!-
Salutò con la solita allegria il ragazzo del pane appoggiando un cestino con dentro due pagnotte ancora fumanti sul tavolo in mogano del salotto, mentre osservava l’ormai familiare immagine del mentore addormentato sul divano completamente ubriaco, con stretto in pugno il solito coltello.
-Hai per caso visto Katniss?-
Domandò dopo aver cortesemente svegliato l’uomo, mentre buttava le bottiglie vuote in un sacco della spazzatura e metteva nel lavello i bicchieri sparsi per la cucina.
La voce di Peeta era allegra, ma lasciava trasparire una leggera ansia.
-Chi?-
Biascicò Haymitch ancora troppo addormentato per capire cosa stesse accadendo attorno a lui.
Il ragazzo non si accorse della semi incoscienza in cui vegetava ancora l’uomo e proseguì assorto:
-Katniss. Sono un po’ preoccupato. Non è tornata a casa ieri dopo la caccia, anche se l’hanno vista tornare in paese. Non capisco dove possa essere, ieri l’ho cercata ovunque anche con Johanna, che voleva salutarla. Sae la Zozza mi ha detto che sicuramente sarà nascosta in qualche armadio, ma non riesco a stare tranquillo.-
Haymitch scoppiò in una risata aspra e rispose:
-Ti preoccupi sempre troppo per lei. Vai in camera di sopra.-
Mormorò prima di addentare uno dei panini portati da Peeta, lasciando il ragazzo confuso.
Dopo aver osservato Haymitch per qualche secondo interrogativamente, il più giovane dei due salì le scale, chiedendosi cosa avesse potuto combinare l’altro anche al piano di sopra, che di solito usava veramente pochissimo.
Entrò nella camera da letto del mentore e avvolta in una coperta dormiva beatamente Katniss, con i capelli scompigliati sul cuscino e il volto stranamente rilassato.
Peeta la osservò per qualche momento, li sdraiata, terribilmente indifesa, una preda così facile, mentre il sole accarezzava gentile i suoi tratti resi più duri da tutte le esperienze vissute.
Il ragazzo iniziò a tremare, mentre le sue iridi chiare diventavano due pozze nere.
Era il momento perfetto per poterla eliminare.
Mosse un passo in avanti, ma dentro di lui si stava consumando una lotta interiore, che lo bloccò nuovamente.
Quando riuscì a muovere un altro passo nella sua direzione la voce del suo mentore alle sue spalle lo fece sobbalzare.
-Ieri si è ubriacata, non pensavo che un corpicino del genere riuscisse a sopportare tanto alcool prima di cedere.-
Haymitch osservava tranquillo le spalle di Peeta, che continuamente venivano scosse da tremiti.
-Tu non le farai del male Peeta, devi crederci te per primo.-
Affermò serio, vedendo il corpo di fronte a lui irrigidirsi.
-Lei me l’ha detto, che gli manchi. Che vorrebbe dormire con te, ma tu non vuoi perché hai paura di farle del male, che non la tocchi mai, che mantieni sempre le distanze.-
Peeta si girò e nei suoi occhi Haymitch lesse la sofferenza di quel momento di lotta interiore. Il depistaggio subito dava ancora i suoi problemi, ma il ragazzo lottava con tutte le sue forze.
-Portala a casa in braccio.-
Ordinò Haymitch non appena le iridi del biondo tornarono azzurre.
-Non posso. Se la tocco rischio di farle del male.-
Rispose subito Peeta, mentre bloccava il tremore al braccio sinistro stringendolo con l’altra mano.
-E se non la tocchi non risolverai mai il tuo problema. Lei ha cieca fiducia in te e nella tua guarigione.-
-Ma Haymitch..-
Cercò di giustificarsi Peeta, ma Haymitch si avviò verso la porta.
-Portala a casa, se no finirà come me.-
Concluse duro il mentore uscendo dalla stanza, lasciando il ragazzo del pane nuovamente in lotta con se stesso.
Peeta non poteva farcela, lui doveva farcela.
Non doveva far del male a Katniss, nonostante le ombre continuassero ad urlargli di farlo.
Haymitch aveva fiducia in lui, sapeva che poteva farcela e anche Katniss ci credeva.
Non riusciva a capire perché avesse fatto una cosa tanto stupida come ubriacarsi. Era riuscita fino a quel giorno a sfuggire comunque dai suoi problemi, perché quindi il giorno prima aveva bevuto con Haymitch?
Cosa l’aveva spinta a farlo?
Distratto da quel pensiero si avvicinò a lei e l’avvicinò a se, facendola scivolare sulle lenzuola in seta del letto.
Non appena arrivò al bordo la issò sulle braccia, accorgendosi che era molto più leggera di quanto avesse immaginato.
Era notevolmente dimagrita, questo l’aveva costatato vedendola, ma ora che l’aveva in braccio si rese conto di quanto fosse fragile e indifesa; nonostante tutto in quel momento Peeta non ebbe nessun cedimento.
Come avrebbe anche solo potuto pensare di far male a quel corpicino?
Uscì dalla stanza facendo chiudere dietro si se la porta con un piede e scese le scale con circospezione, stando ben attento a non cadere.
Non salutò Haymitch, ma quello non se la prese.
Scoppiò a ridere e svuotò un altro bicchiere quando vide passare i due ragazzi, mentre gli occhi celesti di Peeta erano come ipnotizzati a guardare il viso angelico di Katniss.
Il ragazzo del pane arrivò fino alla casa dell’amica e vi entrò, lasciandola poi sul suo letto.
Lui si accomodò su una sedia ai piedi del letto e mentre la osservava affascinato sprofondò a dormire, esausto dopo una notte totalmente insonne per la preoccupazione di non trovarla.
Katniss si svegliò dopo circa un’ora, tenendosi la testa, che scoppiava per il troppo alcool ingerito il giorno prima.
Subito cercò di capire dove si trovasse e si calmò riconoscendo la sua stanza.
Sussultò spaventata però quando il ricordo del giorno prima, di lei e Haymitch che bevevano tra le lacrime, si impossessò della sua mente.
Non capiva come fosse riuscita ad arrivare fin li, ma quando cercò di alzarsi vide Peeta, profondamente addormentato sulla sedia.
I suoi riccioli biondi cadevano leggeri sulle palpebre chiuse, mentre le labbra, leggermente aperte, si muovevano impercettibilmente, emettendo un filo di fiato.
E per la prima volta il cuore di Katniss ammise che quello di fronte a lei era veramente un bel ragazzo. Capiva come mai Capital City impazzisse per lui e anche perché molte ragazze lo guardassero giusto un momento in più quando passava, ma non capiva perché non l’avesse mai ammesso fino a quel giorno.
Stava avvicinandosi a lui, ma quando arrivò quasi a sfiorare il suo viso, il ragazzo aprì gli occhi e bloccò la mano di Katniss, mentre il panico avvampava nei suoi occhi.
-Peeta..-
Mormorò la ragazza vedendo le iridi del ragazzo nere, mentre spaventose la osservavano e stringevano il polso della ragazza.
Lui si alzò in piedi, mostrando come avesse ancora la forza di un tempo e bloccò Katniss anche con l’altra mano.
La ragazza voleva urlare, ma in quel momento la gola si era fatta arida e la consapevolezza che nessuno l’avrebbe sentita si faceva largo in lei.
Guardò quindi gli occhi del ragazzo, alla ricerca del ragazzo del pane.
Lui si bloccò quando quegli occhi grigi iniziarono a fissarlo intensamente, cominciando a tremare. Lasciò il braccio di Katniss e si accasciò in un angolo, stringendo i pugni con forza, conficcando le unghie nella carne.
La ragazza era rimasta inerme a guardare Peeta, mentre un senso di malessere si faceva largo in lei.
-Vai via.-
Sibilò Peeta in preda a delle convulsioni, ma Katniss rimase immobile.
-No Peeta. Io resto qui con te perché tu non mi farai del male.-
Affermò lei seria, ma appena concluse la frase si tappò la bocca con una mano e corse in bagno, dove si piegò sul water vomitando.
La ragazza rimase in quella posizione per qualche minuto, finché non esaurì tutto quello che aveva ingerito la notte prima.
Era stata una stupida a bere di nuovo, ben sapendo come sarebbe stato il post sbronza.
Si alzò per lavare la faccia e quando alzò gli occhi dall’asciugamano intravide la figura di Peeta alle sue spalle.
-Hey Peeta!-
Salutò lei con l’aria più allegra che riuscì a trovare, nella speranza di uscire da quella situazione imbarazzante.
-Scusa per essere impazzito.-
Affermò lui tetro, abbassando gli occhi.
-Non dire sciocchezze! Scusami te per le condizioni in cui mi hai trovato.-
Ribatté lei sicura, alzando e lavandosi la faccia con dell’acqua fresca per rimettersi.
-No, veramente. Non dovresti più rivolgermi la parola.-
Concluse lui mentre Katniss si asciugava la faccia. Gli occhi della ragazza fiammeggiarono guardandolo, quindi ringhiò:
-Smettila Peeta! Facciamo che mi aspetti giù che mi faccio una doccia e poi facciamo colazione insieme come sempre?-
Propose infine, addolcendo il tono e toccando la mano di Peeta, che non la ritrasse immediatamente.
-Sicura?-
Chiese lui, alzando gli occhi azzurri e incontrando quelli grigi di lei.
-Sicurissima!-
Chiarì lei sorridendo. Peeta impiegò un attimo per uscire dalla stanza, ma poi, sembrando convincersene, uscì dal bagno lasciando sola la ragazza.
Katniss sospirò a fondo quando il ragazzo chiuse la porta alle sue spalle, ancora spaventata per l’attacco avuto poco prima dell’amico. Non voleva che lui si sentisse in colpa nei suoi confronti, lui che era l’unico con la pazienza di stare dietro a tutti i suoi sbalzi d’umore.
Il disagio per la sua assurda gelosia del giorno prima ancora la tormentava, ma non vedendo in giro Johanna il suo senso di angoscia si stava pian piano calmando.
Dopo una lunga e rilassante doccia Katniss scese le scale con calma, visto che ancora non poteva giurare di avere la piena padronanza delle sue gambe, sentendosi troppo debole a causa di tutto l’alcool ingerito il giorno prima. Subito la investì un odore dolciastro, che lei amava particolarmente.
Sulla tavola due grosse tazze di cioccolata l’aspettavano, mentre Peeta indaffarato sistemava la tavola per la colazione.
-Cioccolata?-
Chiese Katniss entusiasta, accomodandosi a tavola con l’acquolina in bocca, sentendosi una bambina di fronte ad un immenso regalo.
I due iniziarono a sorseggiare la cioccolata in silenzio, mentre i fantasmi di quanto successo prima ancora aleggiavano tra loro.
-Come mai ieri Johanna era qui?-
Chiese Katniss con disinvoltura, immergendo un altro cucchiaio in quel liquido marrone, con l’intenzione di smorzare l’atmosfera pesante.
-Ah già! Mi sono dimenticato di dirtelo alla fine! Johanna è venuta per portare un messaggio della presidentessa Paylor!-
-Cosa vuole?-
Domandò Katniss sinceramente curiosa. Quella donna le piaceva moltissimo, non solo per il loro incontro all’ospedale durante una guerra, ma anche come aveva preso in mano le cose lasciate a metà dalla Coin e le aveva sistemate.
Era una presidentessa carismatica e pragmatica, che aveva senza dubbio a cuore in primis i distretti più in difficoltà e si stava adoperando per loro, quindi Katniss non poteva far altro che apprezzarla a pieno.
-C’è bisogno della nostra presenza ad una cena con i nuovi rappresentanti del governo, per mostrare a Panem che hanno l’approvazione dei vincitori ancora in vita.-
Spiegò Peeta diligentemente.
-Io sono una pazza, non è un bene mettermi in una stanza con un presidente! Potrei ucciderlo!-
Ricordò Katniss specchiandosi nel cucchiaio appena svuotato da quel magico liquido marrone, ma alzò gli occhi quando Peeta scoppiò a ridere sinceramente divertito.
-Vogliono mostrare a Panem anche i tuoi miglioramenti. Per far vedere che stai bene.-
Spiegò il biondo dedicandole un sorriso incoraggiante.
-Non lo so Peeta.-
Temporeggiò la ragazza, per poi chiedere:
-Haymitch cos’ha detto?-
Peeta sorrise, avendo previsto che Katniss gli avrebbe posto quella domanda, quindi rispose:
-Verrà perché ci sarà un sacco di liquore.-
Scherzò lui facendo spuntare un sorriso sulle labbra dell’amica.
-Dai Katniss, non è di sicuro la fine del mondo! Sarà una bella gita da fare!-
La ragazza sospirò a fondo, quindi ci pensò su per qualche altro secondo, infine concesse:
-Va bene, ma non ti assicuro nulla.-
Peeta sorrise soddisfatto pulendo la sua tazza di cioccolata, guardando contento Katniss.
Sarebbe riuscito a farla tornare quella di un tempo, facendo scomparire tutti i suoi fantasmi, ne era pienamente fiducioso, e avrebbe iniziato da Capital City.
-To be continued.
 
 
 
 
*Angolo dell’autrice*
Ehilà!
Mi scuso per il ritardo dell’aggiornamento, ma ho avuto un weekend inaspettatamente pieno!
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito, mi fa veramente piacere il fatto che apprezziate la storia, vuol dire tanto per me, perché ci ho lavorato veramente tanto!
Un abbraccio a tutti!
Saru

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

CAPITOLO 7
 

Le persone speciali arrivano in punta di piedi,
Ma fanno rumore nell'anima quando se ne vanno.
- A. De Pascalis

 

 
 
Quello che appariva come una normale serata estiva nel Distretto 12 era per Katniss Everdeen una vera e propria tortura.
Non solo aveva per la prima volta riaperto l’armadio dove aveva gelosamente conservato tutti i vestiti che Cinna le aveva preparato, ma anche l’idea che il giorno seguente sarebbe dovuta partire proprio per Capital City la stava angosciando da giorni.
La ragazza sospirò profondamente mentre qualche lacrima iniziava a rigarle il viso.
Il ricordo del suo stilista aleggiava spesso nei suoi pensieri, quando era entrata in quel tubo che avrebbe dovuto portarla nell’arena dell’Edizione della Memoria gli aveva dato il suo ultimo addio, ma nella sua mente sarebbe stata lei quella che doveva morire, non lui.
Era una delle vittime che non si era mai perdonata, una di quelle persone che spesso infestava i suoi incubi peggiori, facendola rendere conto di quanto si fosse affezionata a lui.
Katniss chiuse le ante dell’armadio con forza, come per rinchiudervi dentro tutti quei ricordi dolorosi.
Eppure sapeva di aver bisogno di uno di quei capi per partecipare alla cena di Capital City, dove le telecamere non l’avrebbero certo schivata.
Quella cena voleva mostrare come i tributi sopravvissuti fossero ancora vivi, pronti a collaborare per il bene della società come tutti gli altri cittadini. Peeta le aveva specificato che la Paylor aveva pensato a lei quando era stato deciso di organizzarla, per mostrare che non era una pazza psicopatica, ma perfettamente normale, che si era ripresa dalla crisi che l’aveva afflitta alla fine della guerra.
Era stato un esaurimento nervoso il suo, così doveva apparire e forse effettivamente lo era stato.
Sospirò malinconica, decidendo di prendere il primo vestito che le fosse capitato sotto mano dall’armadio, con gli occhi chiusi, in modo da non ricordare tutti gli avvenimenti legati ad ogni singolo capo, ma solo quelli legati al vestito prescelto.
Serrò gli occhi e con una mano spalancò un’anta dell’armadio, mentre con la seconda acchiappò più veloce che poté un vestito, richiudendo poi il tutto alla massima velocità.
Non prestò attenzione alla scelta dell’abito, ma lo infilò nella piccola valigia che l’avrebbe accompagnata, sicura che qualcuno a Capital City l’avrebbe stirato prima di farglielo indossare.
In quel momento sentì bussare alla porta, quindi corse al piano di sotto, dimenticandosi per un attimo del mondo che aveva riaperto in camera sua.
Quando aprì la porta si trovò di fronte un Peeta sorridente, quindi lo lasciò subito entrare.
-Buonasera Katniss, ho portato qualche focaccia per far passare più velocemente la serata, nella speranza che lo stomaco pieno non ci faccia addormentare mentre scriviamo il libro!-
Annunciò quello allegro, mentre lei ringraziava con un sorriso.
Qualche tempo prima Katniss aveva proposto al Dottor Aurelius di mettere per iscritto tutti i suoi ricordi legati alla guerra e a tutti i tributi che aveva conosciuto, in modo che non venissero dimenticati con le nuove generazioni, ma il loro sacrificio restasse ben impresso nelle memorie.
Aveva subito proposto a Peeta di aiutarla, perché era consapevole che da sola non sarebbe mai riuscita a sopportare tutta quella sofferenza, quindi avevano iniziato a scrivere assieme.
Non era semplice, qualche volta riuscivano giusto a scrivere una pagina, troppo distrutti per il dolore, altre sere invece riuscivano a scrivere diverse pagine, facendo scorrere su quei fogli i fiumi di parole che tenevano imprigionati nel cuore.
Anche se doloroso Katniss era certa che la cosa l’aiutasse, perché capiva di avere vicino una persona che la capiva, che aveva sofferto le sue stesse ansie e angosce.
Da qualche tempo anche Haymitch li faceva compagnia, aiutando a descrivere tutto quel mosaico di avvenimenti che avvenivano fuori dall’arena e tutti quei tributi venuti prima di loro.
Qualcuno bussò nuovamente alla porta, quindi Katniss urlò dalla cucina che poteva entrare, ben sapendo che sarebbe apparso il suo mentore.
-Benvenuto Haymitch!-
Annunciò allegro Peeta, già seduto al tavolo, di fronte ad un contenitore di pastelli.
Dalla cucina entrò in quel momento Katniss, con tre tazze di the fumanti, tenute su un vassoio rotondo.
-Eccomi bambini.-
Annunciò il mentore ciondolando fino al tavolo e buttandosi su una sedia imbottita.
Katniss appoggiò il vassoio sul tavolo, facendo tintinnare le tazzine.
-Avete fatto le valige?-
Si informò il mentore insolitamente quasi sobrio, probabilmente le scorte di liquore erano quasi ultimate e l’aspettava un po’ di astinenza.
-Io ho preparato un paio di cambi, più il vestito per la cena.-
Li informò Peeta, per poi aggiungere:
-Poi vi informo che non tornerò con voi, resterò li qualche giorno in più perché vogliono fare degli esperienti per vedere che effetto facciano sul mio depistaggio.-
La fronte di Katniss si aggrottò preoccupata, quindi domandò:
-Quando torni quindi?-
-Arriverò qualche notte dopo anziché il pomeriggio come voi, tutto qui.-
Spiegò tranquillamente il ragazzo, sorridendole rassicurante. Haymitch non sembrò far caso allo sguardo assorto di Katniss e quindi chiese sbrigativo:
-Allora, iniziamo stasera o dobbiamo proseguire le chiacchere tutta la serata?-
I tre si misero quindi a lavorare diligenti, finché, mentre Katniss raccontava del suo incontro con Snow il giorno del tour della vittoria e del suo primo bacio con Gale.
Haymitch ascoltava pacifico, continuando ad allungare il the con la sua fiaschetta, conoscendo ormai bene quella parte della storia.
-Tu e Gale l’avete fatto la notte prima dell’edizione della memoria e avete riso di me che invece ero solo, vero o falso?-
Chiese Peeta all’improvviso, prendendo il bordo del tavolo e stringendolo, mentre chiudeva gli occhi per cercare di cancellare dalla sua mente il flashback che l’aveva assalito prepotente.
-Falso! Assolutamente!-
Urlò Katniss indispettita anche solo per l’idea che lei avrebbe riso di Peeta.
I brividi del ragazzo stavano scemando, quindi lui chiese con un sussurro, riaprendo gli occhi azzurri:
-Quindi tu non hai mai.. Neanche con me?-
La ragazza assunse in pochi secondi il colorito di un peperone, sentendo gli occhi scaltri di Haymitch fissi sul suo volto.
-No, neanche con te.-
Rispose con un sussurro, abbassando lo sguardo per non incrociare gli occhi di Peeta, che stavano tornando azzurri e la osservavano.
-Capito.-
Rispose il ragazzo distogliendo anch’esso lo sguardo a disagio.
-E` una nota di rimpianto che sento nella voce di entrambi?-
Domandò Haymitch malizioso, ridendo poi nel vedere le facce sconvolte dei due ragazzi.
-Non siete più troppo piccoli per certe cose.-
Osservò, evitando accuratamente di notare le fiamme che uscivano dagli occhi di entrambi.
-Insomma so che siete tornati molto.. Intimi! Pensavo che avreste quindi già superato questa tappa! O che, visto che Peeta aveva detto che Katniss era incinta, magari qualcosa fosse già successo. Insomma in treno ormai era spudorato che passaste le notti insieme e chissà che altro condividevate!-
Gli occhi vispi di Haymitch continuavano a saltare dall’espressione imbarazzata di un ragazzo all’altra, mentre lui si crogiolava in quella sottospecie di tortura psicologica.
-Non siamo arrivati a quel punto come invece siete già arrivati te e Effie da tempo. In fondo almeno io e Katniss non ci facciamo i dispetti a vicenda per nascondere quello che c’è realmente tra noi.-
Rispose Peeta tagliente, salvando la situazione.
-Tu.. Quando?-
Domandò Haymitch confuso.
-Dalla prima notte a Capital City. Ho notato che lei sgattaiolava fuori da camera tua al mattino presto, tutta spettinata. Fare il pane ti insegna a svegliarti all’alba ogni giorno.-
Spiegò Peeta pacato, con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
Katniss aveva la bocca spalancata dalla sorpresa, mentre il mentore sembrava irritato per quella rivelazione.
-Sono cose che non potete capire! Siete troppo piccoli!-
-Ma prima non eravamo abbastanza grandi?-
Domandò la ragazza iniziando anche lei ad inferire sul più anziano.
-Me ne torno a casa!-
Sbottò quindi quello, uscendo dall’abitazione di Katniss e tornando indispettito verso la sua.
-Perché non me l’hai mai detto?-
Domandò la ragazza non appena il mentore si chiuse la porta alle spalle.
-Non pensavo ti interessassero i pettegolezzi.-
-Si, ma quelli di Haymitch non possono non interessarmi!-
I due scoppiarono a ridere divertiti. Appena la risata terminò riapparse però quell’aria un po’ pesante per la richiesta di Peeta di poco prima, che quindi approfondì:
-Io e te non l’abbiamo mai fatto perché non ci amavamo?-
-No.-
Rispose subito Katniss convinta, ben sapendo che sicuramente non era stato perché non si volessero bene.
-Quindi ci amavamo?-
Cercò di capire Peeta, che su quell’argomento faceva ancora moltissima confusione, non capendo che rapporto avessero loro due in realtà.
-Non è così semplice da spiegare.-
Tergiversò Katniss, per niente intenzionata a far chiarezza sui suoi sentimenti proprio in quel momento.
-Provaci allora. Perché non riesco a capirci nulla quando si parla di noi due, ancora adesso.-
Cercò di spiegare il ragazzo con negli occhi la disperazione.
-Penso che neanche prima ci capissimo qualcosa di noi due.-
Ribatté lei con un sorriso amaro sulle labbra.
-In che senso? Allora ricapitoliamo: nella prima edizione io ero innamorato di te, che ti sei finta innamorata di me per vincere. Vero o falso?-
Alla ragazza si formò un groppo in gola, che la lasciò senza fiato per qualche istante, poi con un sussurro appena percettibile ammise:
-Vero.-
Il ragazzo rimase impassibile, quindi chiese nuovamente:
-Poi però quando abbiamo fatto il tour dei vincitori dormivamo insieme e ti ho chiesto di sposarmi. Vero o falso?-
Questa volta Katniss non si sentì di ammettere quanto fosse stata meschina e rispose:
-Allora dividiamo le cose. Mi hai chiesto di sposarmi perché dovevamo mostrare a Snow di essere innamorati e di aver fatto quel gesto con le bacche solo per amore.-
Il ragazzo sorrise tristemente e con una voce fredda e distaccata che non gli era propria commentò:
-Ecco, perché tu non mi amavi.-
-Ascolta la spiegazione.-
Lo riprese lei per poi continuare:
-Dovevamo mostrarci innamorati per salvare i nostri cari che se no sarebbero stati uccisi. Dormivamo insieme invece perché tu hai sempre avuto un effetto calmante su di me, perché stavo bene con te e in questo modo entrambi avevamo molti meno incubi.-
-Non hai comunque risposto alla mia domanda. Mi hai mai amato?-
Katniss abbassò lo sguardo, non sapendo cosa rispondere, perché neanche lei era riuscita a capirci qualcosa.
Non sapeva quando aveva iniziato a provare un affetto particolare per Peeta, ma era consapevole che fosse successo.
Nel suo cuore c’era stata per troppo tempo una lotta interna su chi fosse giusto baciare tra Peeta e Gale e anche in quel momento non aveva ancora preso la risoluzione definitiva.
L’amore di Finnick per Annie l’aveva colto all’improvviso, non dal primo momento le aveva detto lui un giorno.
Quindi lei si era pian piano innamorata di Peeta? Ma quando?
Poteva dare una risposta a quella domanda?
Cosa poteva quindi rispondere a quegli occhi che la fissavano supplichevoli?
Non voleva mentire, quindi non voleva dare una risposta bruciapelo. Ma non voleva neanche esporsi troppo, se mai avesse voluto tirarsi indietro.
Non fece altro che restare li, in silenzio, senza una risposta.
Peeta si alzò strisciando la sedia sul pavimento, facendo sobbalzare la ragazza.
Le sue iridi erano chiare, nonostante stesse tremando dalla rabbia.
Sibilò asciutto, per non dare possibilità alla ragazza di ribattere:
-Mi basta questa come risposta. Me ne torno a casa.-
Uscì di casa senza prendere il giubbotto che aveva lasciato sull’attaccapanni, sbattendo la porta alle sue spalle.
Katniss seguì l’ombra del ragazzo che percorreva i ventiquattro metri che dividevano le loro abitazioni, vedendolo poi scomparire dietro la porta della sua casa.
La ragazza si alzò in uno stato di trance e si diresse fino al suo letto, dove si lasciò scivolare sulle lenzuola senza avere la forza di reagire, mentre calde lacrime iniziavano a rigarle le guance.
Non voleva che Peeta si arrabbiasse con lei perché pensava che lei non l’avesse mai amato, perché non era vero. Lei gli aveva voluto bene, era addirittura pronta a sacrificare la sua vita per lui. Eppure non sapeva dare un nome a quel sentimento che si agitava alla bocca dello stomaco quando pensava a lui.
O forse, semplicemente, non aveva il coraggio di pronunciare quel nome che tanto la spaventava.
In fondo, cosa ne sapeva lei a soli diciotto anni cosa fosse l’amore?
Se l’amore era quello che sua madre provava per suo padre, che voleva dire entrare in depressione dimenticandosi di tutto il resto quando l’altro se ne andava allora le sembrava un amore sbagliato, che aveva qualcosa di malato.
Ma in fondo lei non si era ridotta uno straccio quando Peeta era nelle mani di Capital City e lei era al distretto 13? Non era stata uguale a sua madre?
Non pensava che fosse amore neanche quello che provava per Gale, era più l’affetto per il proprio migliore amico.
Sapeva che lei aveva amato Prim, ma era sua sorella, quindi era scontato che lei l’amasse con tutta se stessa.
Cosa provava quindi per Peeta?
Cos’era lui per lei?
Perché piangeva ora che lui se n’era andato arrabbiato e sbattendo la porta?
L’aveva fatto anche Haymitch qualche minuto prima ma non se l’era affatto presa.
Che differenza c’era?
Non riusciva veramente a capirlo o era semplicemente lei che non voleva ammetterlo?
Le faceva male la testa, gli occhi erano gonfi per le lacrime e neanche le fusa di Ranuncolo riuscivano a farla sentire meno sola.
Mentre i singhiozzi stavano terminando, Katniss sussurrò distrutta, prima di cadere esausta a dormire:
-Se non ti avessi mai amato allora non ti sarebbe successo tutto questo, perché Snow non ti avrebbe mai depistato per distruggermi. Ora saresti il Peeta di un tempo e non soffriresti così ogni giorno, non credi?- 


-To be continued.

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Capitolo 8
*** Capitolo IIX ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?


CAPITOLO 8

 
È incredibile come la gelosia,
che passa il suo tempo a fare piccole supposizioni nel falso,
abbia poca immaginazione nello scoprire il vero.

- Marcel Proust 
 


Erano le undici del mattino e i vincitori dei passati Hunger Games del dodicesimo distretto stavano salendo sul treno che li avrebbe portati a Capital City.

Il clima tra di loro, a differenza di quello esterno che si riscaldava sempre più, era gelido.

Gli avvenimenti della sera precedente aleggiavano ancora nell’aria e nessuno di loro aveva voglia di riportarli a galla, ma neanche di dimenticarli.

Haymitch sentiva che la sua intimità era stata violata e non si aspettava che Peeta conoscesse quel suo segreto da tutto quel tempo.

Era conscio che non ci fosse nulla di male, ma quella relazione doveva rimanere segreta perché sarebbe stata troppo scomoda per entrambi.

Peeta si sentiva usato da Katniss, che non l’aveva mai amato veramente, ma l’aveva sempre sfruttato per non sentirsi sola. Non capiva come avesse fatto ad esserne così totalmente innamorato un tempo e come lei avesse comunque un ascendente fortissimo su di lui anche in quel momento.

Forse prima si era accontentato di essere usato per la fame di contatto che aveva con lei, eppure in quel momento non gli andava più bene, non dopo tutto quello che era successo.

Katniss infine si crogiolava nel senso di colpa per non essere riuscita neanche quella volta ad essere sincera con Peeta, che ora com’era giusto la odiava.

Non appena salirono sul treno tutti e tre si ritirarono quindi nei loro pensieri, chiudendo fuori tutto il resto.

Haymitch, insolitamente quasi sobrio, guardava fuori dal finestrino assorto nei suoi pensieri, ma si alzò e scomparve nel suo scompartimento non appena un inserviente passò con il carello delle bevande, dopo aver prelevato due grosse bottiglie di liquore cristallino.

Rimasero quindi soli Peeta e Katniss, immersi in un silenzio gelido e pesante.

Tutti e due cercavano di intrattenersi guardando fuori dal finestrino o giocherellando con i lembi dei vestiti, facendo tutto pur di non dover parlare o guardare gli altri presenti nella cabina.

Alla fine i nervi di Katniss cedettero e si congedò in fretta, ritirandosi nel suo scompartimento.

Quel giorno passarono sfrecciando velocissimi davanti al distretto 11 e Katniss rimase rannicchiata nel suo letto con le lacrime agli occhi, ricordando Rue e Prim ancora una volta, di come erano sfuggite alla vita troppo in fretta.

Sapeva che quella guerra che avrebbe dovuto portare solo miglioramenti a lei aveva solo distrutto tutto ciò a cui teneva.
Prim, Gale e anche Peeta.

Dopo qualche ora di solitudine una voce la fece quasi sobbalzare.

-Katniss, vieni a mangiare con noi?-

Domandò Peeta bussando alla porta con tono leggermente apprensivo. Nonostante tutto ancora non sapeva far altro che preoccuparsi per lei in situazioni del genere e la cosa non fece altro che farla sentire ancora peggio.

La ragazza rimase un attimo indecisa sul da farsi, ma poi decise di non rispondere e fingere di dormire, sarebbe stata la soluzione più diplomatica per tutti.

Peeta socchiuse la porta spiando all’interno e vedendo un fagotto di coperte sul letto, quindi richiudendola con attenzione alle sue spalle bisbigliò:

-Si è addormentata. Speravo di poterla distrarre visto il viaggio un po’ difficile che stiamo facendo.-

Haymitch lo guardò scettico e rispose, iniziando ad incamminarsi verso il vagone ristorante:

-Sei incredibile tu. Fino ad un momento fa mi spiegavi come ti sentissi tradito e ora vai ad invitarla per pranzo per non farla sentire sola in questo momento.-

Peeta rispose con un sorriso a mo’ di scuse, quindi Haymitch rispose:

-Non ti meriterà mai, neanche se vivesse altre cento volte.-

 
*
 
Era quasi sera quando il treno si fermò al settimo distretto, dove una ragazza dai corti capelli neri buttò sul treno una valigia ed entrò annunciando il suo arrivo.

Katniss uscì per salutarla, ma quando la vide abbracciata a Peeta una rabbia cieca iniziò a scorrerle nelle vene.

Da quando Peeta e Johanna erano così intimi? Li aveva veramente così uniti la loro disavventura a Capital City?

Nonostante gli oscuri pensieri che aveva in mente salutò con il massimo dell’allegria che riuscì a dimostrare la nuova arrivata.

-Hey Joh! Ti trovo in gran forma!-

La donna del settimo distretto era sicuramente più in forma di quando le due si erano viste l’ultima volta nel distretto tredici.

Portava corti capelli spettinati a spuntoni, proprio come la prima volta che l’aveva vista. Il corpo era tonico e muscoloso e negli occhi ardeva quella scintilla di determinazione che l’aveva sempre contraddistinta, della ragazzina indifesa e spaventata che aveva conosciuto nel tredicesimo distretto non c’era traccia.

Katniss si intrattenne con Peeta e Johanna per quasi un’ora, finché non trovò subito dopo cena una scusa per chiudersi nella sua cabina.

Sarebbero arrivati a Capital City due giorni dopo in mattinata, quindi avrebbe dovuto tenersi occupata fino al loro arrivo nel distretto 4, che sarebbe avvenuto il pomeriggio seguente, dove avrebbe fatto compagnia a Annie.

Non aveva mai avuto un gran rapporto con la moglie di Finnick, ma visto quanto lui l’amava era sicura che non appena avesse imparato ad apprezzare le sue stranezze l’avrebbe trovata simpatica.

Sicuramente per lei era meglio la compagnia di una mezza pazza che non quella della coppietta che continuava a scherzare sul treno, quindi si addormentò fiduciosa di riuscire a dormire almeno fino a mezzogiorno del giorno dopo.

Le sue aspettative furono deluse quando all’alba del giorno seguente aveva già gli occhi spalancati e ogni traccia di sonno era lontana da lei.

Iniziò a vagare sul treno, nella speranza di non incontrare nessuno, beandosi del rumore ripetitivo delle rotaie del treno per distrarsi.

In quei giorni di viaggio Peeta e Johanna sembravano inseparabili e li incontrava ovunque andasse.

Era un viaggio totalmente diverso da quelli che aveva già fatto con Peeta, cullata dalle sue braccia in ogni momento. Ora si sentiva più intrappolata come la prima volta che stava andando a Capital City.

Così Katniss passò l’intera mattinata vagando senza meta, stando ben attenta a non incrociare nessuno.

Quando nel primo pomeriggio il treno sferragliando entrò nella stazione del Distretto 4 con il suo migliore sorriso si precipitò al primo finestrino che trovò, vedendo una donna dai capelli rossicci che aspettava in solitaria il treno.

Le due si scambiarono un sorriso e quando Annie salì sul treno Katniss l’aiutò a sistemare i bagagli nella cabina affianco alla sua, visto il pancione prominente che non l’aiutava con i movimenti più basilari.

Subito apparvero Peeta e Johanna, che iniziarono a chiacchierare allegri con la nuova arrivata, facendo innervosire ancora Katniss.

Era riuscita a sfuggire abilmente al nuovo terzetto e stava svogliatamente sfogliando una rivista nel vagone ristorante quando Annie si accomodò accanto a lei con aria assente.

La pancia ormai era evidente e fece ricordare alla Ghiandaia quando Peeta aveva annunciato in diretta televisiva che lei fosse incinta di loro figlio.

La ragazza si riempì di brividi, sentendo pizzicare gli angoli degli occhi. Si impedì però di piangere e stoicamente cercò di iniziare un discorso con la nuova arrivata.

Non fu facile passare l’intero pomeriggio con lei, perché Annie si perdeva spesso nei suoi pensieri ed entrava in quel suo piccolo universo da cui solo Finnick riusciva a farla uscire.

Fu quasi sollevata quando il treno si fermò nuovamente e Beetee fece il suo ingresso intrattenendola fino alla sera tardi.
Quella notte si sarebbero fermati a recuperare Enobaria, l’ultima vincitrice degli Hunger Games ancora in vita e il mattino seguente sarebbero entrati a Capital City.

Katniss non riuscì neanche quel giorno a dormire fino a tardi, quindi si alzò e si diresse subito nel vagone ristorante, dove iniziò a fare colazione da sola, ringraziando che nessuno fosse ancora arrivato.

Improvvisamente entrò Johanna, urlando il suo buongiorno e piazzandosi davanti all’amica.

-Buongiorno Katniss! Cos’è quel muso lungo?-

Scherzò la più grande delle due, buttandosi su un divanetto poco distante.

-Buongiorno Johanna! Ma che muso lungo, sono solo assonnata!-

Si giustificò educatamente Katniss, prendendosi un’occhiataccia di sbieco dall’altra.

-Mi odi così tanto?-

Domandò brusca la ragazza del settimo distretto stendendo i piedi sul sedile di fronte a lei e stiracchiandosi pigramente.

Katniss guardò l’amica strabuzzando gli occhi confusa, quindi chiese:

-Perché dovrei odiarti?-

-Da come mi tratti. Dai nel Tredici alla fine avevamo fatto amicizia, o almeno, avevamo un obiettivo in comune. E pensavo ci fosse qualcosa, ma a quanto pare non puoi sopportare il debole che ho per Peeta.-

Affermò sicura, mentre sbocconcellava i salatini appoggiati sul tavolino.

Katniss indispettita pigolò:

-Non è vero che non siamo più amiche!-

-Ogni volta in cui mi vedi sembra che mi vuoi strozzare!-

Osservò Johanna con una risata sguaiata.

-Ma è ovvio! Sembra che tu sia la nuova fiamma di Pe..-

Katniss si interruppe imbarazzata per quanto aveva lasciato trapelare, non poteva permetterselo.

Johanna scoppiò a ridere divertita, facendo diventare rossa come un peperone l’altra.

-Hai visto? Mi odi per Peeta!-

-Non è vero! Non mi interessa il vostro rapporto!-

Affermò sicura la ragazza con un tono molto più stridulo del normale.

Johanna non scoppiò a ridere per il tono buffo, ma disse seria, inchiodando la ragazza con gli occhi:

-Katniss sii sincera, se non come almeno con te stessa. Tu sei innamorata di Peeta.-

-Non sono innamorata di lui!-

Si lamentò la Ghiandaia, seriamente convinta della sua affermazione.

-Dai non fare la bambina, sono molto più grande di te e capisco certe cose. Lui è un ragazzo fantastico, è premuroso, disponibile, incredibilmente dolce, per non parlare del fatto che non è affatto brutto. E a quanto pare finalmente te ne sei accorta pure te.-

Katniss non rispose, ma un lampo passò nei suoi occhi indispettendola.

Johanna lo colse immediatamente e quindi continuò a rincarare il tutto:

-Continui col silenzio? Bene, ti dirò cosa che dovresti stamparti in quella testolina: Peeta non è tuo. E` stato innamorato di te, ma dopo il depistaggio non sa come comportarsi perché ancora non capisce cosa prova per te e soprattutto cosa provi tu per lui. E, sinceramente, tu non te lo meriti per niente. Lui ha sempre fatto di tutto per te e tu per lui? Ti sei mai sporcata le mani? L’hai salvato quando ti faceva comodo.-

Le parole di Johanna le facevano male, perché andavano a confermare quello che lei si sentiva, perché non aveva mai fatto abbastanza per lui.

-Eppure lui è stato follemente innamorato di te e la cosa non mi è mai andata giù. Quando eravamo prigionieri a Capital City lui continuava a ripetere che stava bene sapendo che era lui ad essere torturato e non te. Sarebbe morto per te.-

Katniss deglutì a vuoto, sentendo il racconto della ragazza mentre dentro di lei le si contorcevano le viscere.

-Tutti i giorni lo torturavano e quando se ne andavano, lasciandolo uno straccio lui sospirava di sollievo per te. E io mi chiedevo se tu avresti fatto lo stesso.-

Gli occhi scuri di Johanna avevano qualcosa di folle mentre sputava tutte quelle informazioni, stando ben attenta alle reazioni dell’amica.

-Quindi ho deciso che vi avrei messi alla prova se mai saremmo tornati ad una vita “normale”.-

-Metterci alla prova?-

Sussurrò Katniss a disagio, spalancando leggermente gli occhi.

L’altra capì di aver colto nel segno e quindi concluse vittoriosa:

-Si, sto cercando di conquistare Peeta per due ragioni: primo per farti svegliare e convincere che tu sei innamorata Katniss, secondo perché se tu non ti muovi riuscirò a starci insieme io.-

Johanna scoppiò a ridere vedendo il volto sconvolto di Katniss, quindi aggiunse gelida:

-Devi svegliarti dolcezza.-

-Buongiorno ragazze!-

Annunciò una voce alle spalle di Katniss facendola sussultare, mentre Peeta entrava nel vagone ristorante ancora visibilmente assonnato.

-Oh, guarda..! L’oggetto dei nostri desideri!-

Squittì Johanna divertita, prendendosi un’occhiata infuocata dall’altra.

-Di cosa parlavate?-

Chiese il ragazzo del pane leggermente confuso dall’esclamazione della ragazza del distretto 7.

-Di t..-

Katniss assestò un calcio ben deciso alla caviglia di Johanna, che mascherando agilmente la cosa si corresse:
-Di cose da donne!-

-Non ti salverai così Ghiandaia.-

Sibilò poi in modo che potesse sentire solo Katniss l’ultima affermazione.

Con un sorriso falsissimo Katniss si congedò lasciando soli i due, dicendo di aver dimenticato che doveva andare a svegliare Haymitch.

-Svegliare Haymitch?-

Domandò Peeta scettico osservando Katniss uscire dal vagone in tutta fretta. Johanna scoppiò a ridere, spiegando poi:

-L’ho appena messa un po’ sotto torchio, in modo da svegliarla ber bene!-

Peeta alzò un sopracciglio scettico, iniziando ad analizzare un biscotto che aveva in mano con dei fiori molto elaborati.
-Svegliarla?-

Johanna guardò Peeta con aria angelica, sicura che dopo il suo racconto di cosa avesse detto a Katniss lui si sarebbe arrabbiato.

-Le ho detto che tu mi piaci e io ti voglio conquistare se lei non si muove e mi sembrava abbastanza allarmata all’idea!-

Il ragazzo del pane fulminò Johanna con lo sguardo e sibilò:

-Joh, cosa ti è saltato in mente?-

-E’ ora che si dia una svegliata la principessina! Ti ho solo fatto un favore, un giorno mi ringrazierai!-

Lo liquidò lei alzandosi da tavola per andare a trovare qualcos’altro da fare.

 
*

In poche ore il treno entrò nella stazione di Capital City e Peeta si ritrovò a ricordare quando per la prima volta aveva iniziato a salutare dal finestrino gli abitanti che lo vedevano come uno dei ventiquattro tributi dei settantaquattresimi Hunger Games.

Sorrise ripensando a quanto sembrasse lontano quel momento, anche se alla fine si trattava di quasi tre anni prima.

Quando si alzò per scendere Johanna lo arpionò prendendolo per un braccio e squittì:

-Peeta, hai visto quel negozio di vestiti mentre entravamo in stazione? Andiamoci ti prego!-

Il ragazzo accettò leggermente a disagio, salutando gli altri.

-Va bene! Ragazzi, ci vediamo prima di cena all’alloggio, ok?-

Urlò Haymitch prima che i due scomparissero tra la folla. Beetee e Annie invece preferirono andare subito negli alloggi per riposarsi dal viaggio, mentre Enobaria se ne andò a fare un giro in solitaria. Haymitch e la Ghiandaia si incamminarono insieme iniziando a vagare per la capitale, non avendo nulla da fare fino alla sera seguente, dove avrebbero dovuto presenziare ad una cena.

Il giorno seguente avrebbero anche avuto dei colloqui individuali con la presidentessa Paylor, che aveva detto di aver bisogno di parlare a tutti loro.

-Cos’è quella faccia da funerale che hai da tutto il viaggio Ghiandaia?-

Domandò Haymitch dopo qualche tempo che i due vagavano per le vie.

-Ma che faccia scura!-

Cercò di sdrammatizzare Katniss, con scarso successo.

-Sei un libro aperto per me dolcezza. So che l’altra sera hai discusso con Peeta ma non mi sembra la fine del mondo.-

Disse il mentore concludendo con un’alzata di spalle, come se fossero problemi da adolescenti che non lo riguardavano più.
-Non è per quello.-

Ribatté Katniss scontrosa, ben sapendo di stare in parte mentendo e che il mentore l’avrebbe scoperta.

-Centrano ancora Peeta e Johanna allora?-

Domandò Haymitch con uno strano sorriso sadico. La ragazza arrossì in modo evidente, colta in fallo.

L’uomo scoppiò a ridere divertito, proseguendo poi:

-Dalla tua faccia direi proprio di si. Sfogati dai.-

Haymitch era così, dietro all’uomo tutto d’un pezzo nascondeva una persona che riusciva a capire quanto Katniss avesse bisogno di sfogarsi con qualcuno o quando avesse semplicemente bisogno di restare da sola.

-A Johanna piace Peeta e io non la sopporto per questo. Dice che vuole conquistarlo e che io non mi sarei mai sacrificata per lui, che lui diceva sempre che preferiva essere torturato lui che non io. Dice che lui non mi vuole più bene, che allora lei starà con lui perché sa apprezzarlo.-

Vomitò tutto d’un fiato la ragazza, con gli occhi pieni d’angoscia.

-Aspetta, spiega con calma.-

La stoppò il mentore, facendosi rispiegare tutta la discussione con calma.

-E` proprio una pazza quella ragazza!-

Concluse alla fine con una risata divertita Haymitch, prendendosi un’occhiataccia da Katniss.

-Tutto qui il tuo conforto?-

Domandò lei acida, delusa per quella reazione.

Aveva bisogno di qualcuno che la cullasse nell’illusione che tutto si sarebbe messo a posto, che Peeta volesse bene solo a lei.

-No, tu sai che penso ancora che tu non ti meriterai mai Peeta.-

Katniss spalancò gli occhi stupita, mentre una rabbia cieca le montava dentro.

Prima che potesse iniziare ad inveirgli contro Haymitch spiegò calmo:

-Ma nonostante questo lui non la pensa così. È ancora confuso, anche se sta iniziando a capire sempre di più quello che provava e sta cercando di capire quello che prova. Se tu ti senti tanto in debito con lui mostra a tutti noi e soprattutto a Peeta che tu lo ami. Se non vuoi usare “amore” usa che gli vuoi molto bene. Non fare la musona quando si è tutti fuori insieme, dimostra che sei felice di vederlo, che senza di lui non sarebbe lo stesso.-

La Ghiandaia abbassò gli occhi e mormorò in imbarazzo:

-Ma io non sono brava a dimostrare i miei sentimenti.-

Haymitch rispose severo, dandole una pacca paterna sulla spalla:

-Non la usare come scusa. Impara.-

-Come?-

Domandò la ragazza mentre un minimo di fiducia nasceva in lei.

-Questa sera stai vicino a lui, catalizza la sua attenzione a discapito di Johanna! Mostrati interessata a lui!-

La ragazza alzò lo sguardo scettica, ma annuì convinta, decida che non avrebbe permesso a Johanna di vincere senza lottare.
- To be continued. 
 
 


 
*Angolino dell’autrice*
Ehilà!
Questo capitolo è stato un vero e proprio parto, perché è di transizione per la storia e quindi l’ho trovato immensamente pesante da scrivere.
Spero che vi piaccia comunque..!
Ringrazio tutti quelli che seguono/recensiscono la storia, mi fate sentire importante! :)
Buon weekend a tutti!
Saru

 

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Capitolo 9
*** IX Capitolo ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

CAPITOLO 9
 
L'uomo e la donna si prendono, si riprendono,
S'intraprendono, si sorprendono,
Ma non si comprendono mai.

 
- Edmond Thiaudière
 

Quando Katniss entrò nello studio privato della presidentessa aveva già passato decine e decine di controlli per controllare che non avesse portato con sé armi o qualcosa che potesse utilizzare contro l’altra donna.

Era una mattina piuttosto mite a Capital City, mentre il cielo era invaso da grosse nuvole grigie, che davano un’aria malinconica alla città.

Katniss aveva l’appuntamento per incontrare la presidentessa subito dopo Haymitch, che quella mattina si era offerto di aspettarla per passare la giornata insieme, visto la scarsa propensione che l’uomo aveva per lo stare accanto ad Annie, che considerava solo una mezza pazza.

Katniss dal canto suo aveva già ucciso una presidentessa e a quanto pare Capital City non desiderava che ne uccidesse un’altra, quindi i controlli per farla entrare nello studio furono particolarmente lunghi e minuziosi.

Entrò leggermente a disagio in quella stanza, stupendosi di trovarla ricolma di fogli e di fascicoli. Aperto sul tavolo ce n’era uno aperto con la foto abbastanza recente della Ghiandaia ben in vista, su cui andarono a posarsi i suoi occhi immediatamente.

-Buongiorno presidentessa.-

Mormorò Katniss a disagio, mentre la donna alla scrivania alzava gli occhi e la osservava distaccata.

-Benvenuta Katniss, accomodati pure.-

Rispose quella sbrigativa, indicando con un cenno della testa la poltroncina di fronte alla nuova arrivata.

Katniss si accomodò in punta, cercando di sbirciare il suo fascicolo senza farsi notare. La foto era stata senza dubbio scattata nelle ultime settimane, come sfondo poteva vedere la panetteria di Peeta in ricostruzione, mentre il suo viso era insolitamente rilassato. Non pensava di poter avere una simile espressione quando osservava il ragazzo al lavoro e quella scoperta la turbò.

-Bene. Ti starai chiedendo come mai ti ho convocata qui.-

Affermò pragmatica la più vecchia delle due, quindi la ragazza annuì in silenzio, sentendo i battiti del suo cuore accelerare, preoccupata di cosa potesse dirle.

-Non ti devi preoccupare, non è niente di sconvolgente. Semplicemente volevo vedere come te la passavi.-

La presidentessa fece una pausa osservando la ragazza di fronte a lei con aria critica, per poi riprendere:

-Mi sembra che tu stia molto meglio di quando sei tornata al Dodici o sbaglio?-

Per la prima volta Katniss aprì la bocca per parlare ma non emise suoni per la bocca secca.

Deglutì con tutte le sue forze e poi rispose:

-Sto molto meglio grazie.-

La donna scoppiò a ridere e poi domandò:

-Beh, non mi dici nient’altro? Parlami un po’ di cosa fai ora.-

La ragazza ci pensò un attimo su e poi iniziò titubante:

-Io.. Vado a caccia quasi tutte le mattine, sistemo varie trappole e qualche volte mi fermo a pescare. Poi Peeta mi ha vangato un po’ di metri di terra e sto coltivando un orticello per me, lui e Haymitch, in modo da avere qualcosa di fresco. A volte al pomeriggio vado ad aiutare Peeta a ricostruire la sua panetteria o canto mentre lui lavora, dice che lo aiuta anche quello. Poi alla sera di solito ci troviamo tutti e tre a casa mia e continuiamo con la stesura di un libro sugli Hunger Games, di cui penso che il dottor Aurelius le abbia parlato.-

Concluse Katniss in imbarazzo, rendendosi conto di come quasi tutta la sua vita roteasse attorno a Peeta o che comunque lo comprendesse da vicino.

La presidentessa l’aveva ascoltata con un mezzo sorriso sulle labbra, senza mai interromperla, quindi domandò:

-Quindi hai ritrovato un equilibrio?-

Katniss soppesò la domanda per qualche istante. Non l’aveva mai pensata dal punto di vista dell’aver ritrovato un equilibrio che aveva perso.

E ora che ci pensava seriamente aveva effettivamente ritrovato un suo tram tram quotidiano, riprendendo a vivere e a non limitarsi ad esistere.

Annuì con un mezzo sorriso, quindi la presidentessa riprese:

-Prima Peeta mi ha domandato se doveste rendere pubblico il fatto che non vi siete mai sposati ne tanto meno tu sia mai rimasta incinta.-

La donna fece una pausa per osservare la reazione di Katniss, che si sforzò di rimanere impassibile nonostante una rabbia cieca la stesse invadendo.

Peeta aveva svelato quel loro segreto a quella donna?

Sapeva che ormai era risaputo tra quelli che le erano stati più vicini nel Distretto 13 e durante la rivolta il fatto che non fosse mai stata incinta, ma almeno la storia del matrimonio segreto non era mai stata sfatata.

E probabilmente il fatto che qualcuno li avesse creduti sposati aveva sempre rassicurato in qualche modo Katniss sul fatto che Peeta si sarebbe sentito obbligato per lo meno a starle vicino.

Ora invece lui voleva sfatare anche quella convinzione, mostrando all’intera Panem come loro due non avessero più motivo per stare vicini, insieme.

La Paylor proseguì senza cambiare tono di voce, continuando attenta ad osservare la giovane di fronte a lei:

-Io ho risposto che preferirei non si sapesse che non vi siete mai sposati.-

Questa volta Katniss si lasciò sfuggire un lampo di curiosità negli occhi, quindi ben conscia di aver già tradito la sua maschera di imperturbabilità domandò aspra:

-Come mai? Non era meglio tagliare ogni rapporto tra me e lui e lasciarlo libero di vivere la sua vita?-

La presidentessa sorrise divertita da quella reazione un po’ infantile e rispose calma:

-Lui voleva solo sapere come comportarsi, non mi sembrava per niente intenzionato a tagliare i suoi rapporti con te.-

Katniss fu come se non sentì quelle parole, infuriata com’era per la domanda posta da Peeta. Nonostante ciò la Paylor concluse:

-Fatto sta che non voglio che passi tutto per una palla il vostro amore, perché è stato la scintilla della rivolta. Se per te non è un problema io non negherei nulla, anzi non rivangherei semplicemente il discorso.-

Katniss annuì debolmente, nella speranza di essere congedata il prima possibile, senza che la domanda che tanto le premeva sulle sue ultime drammatiche azioni venisse a galla.

-Non ti chiederò nulla sul giorno dell’esecuzione dell’ex presidente Snow, puoi stare tranquilla e accomodarti più comoda sulla sedia.-

Affermò la presidentessa tranquilla, prendendo il fascicolo e iniziando a compilarlo con tranquillità, barrando diverse caselle dopo aver letto le righe che le precedevano.

Katniss si mise più comoda sulla sedia, iniziando a rilassarsi per la prima volta da quand’era entrata in quell’edificio.

-Pensa un po’ – Affermò la donna di fronte a lei allegra – Hanno voluto che io stessa valutassi in che condizioni eri prima di poterti far andare alla cena di questa  sera, come se ce ne fosse bisogno. Sei in grado di intendere e di volere molto meglio di molti altri.-

Concluse la donna dedicandole un sorriso che Katniss ricambiò in leggero imbarazzo.

-La ringrazio.-

-No Katniss, io ringrazio te per aver dato la speranza a molti di reagire. Tutto questo è successo per la scintilla che hai fatto scattare, ricordalo sempre anche quando la gente ti girerà le spalle, quando ti considererà solo una pazza.-

Katniss ascoltava il discorso attenta e si sentiva come una figlia a cui la madre stava facendo un discorso di incoraggiamento prima che quella se ne andasse di casa.

-E infine ricorda sempre di tenerti strette le poche persone che ti amano. Puoi andare, per me abbiamo finito.-

Concluse quella. Katniss si alzò a scatti, ringraziando con un mormorio e un leggero inchino, profondamente scossa dal fatto che la Paylor la stimasse così tanto.

Uscì ancora immersa nei suoi pensieri, seguendo Haymitch in giro per la città.

Era strano passeggiare per quelle strade senza l’ansia di possibili baccelli che sarebbero potuti scattare da un momento all’altro.

Ricordava perfettamente lo stato d’animo che aleggiava in lei quando aveva visitato l’ultima volta quelle strade, l’ansia della possibile morte imminente, Gale che l’aveva delusa, Peeta che la voleva uccidere. Anche la presenza di Finnick aleggiava prepotente per quelle vie, ricordando come lui le era sempre stato accanto.

Haymitch si accorse immediatamente del disagio che aleggiava in lei, quindi la portò all’interno di un bar, che sicuramente non avrebbe richiamato in lei spiacevoli ricordi.

 
***

Katniss stava oziando da parecchio tempo con Haymitch in un bar del centro, quando sullo schermo apparve un volto noto: Caesar Flickman.

I due avevano vagato per la città per tutta la mattina, pranzando in un chioschetto con un panino e ora erano li a passare il tempo nella speranza che arrivasse presto l’ora della cena.

Il famoso presentatore degli Hunger Games si presentò in uno sfavillante completo che metteva in risalto i capelli e il rossetto di un verde acceso. L’attenzione dei due venne quindi attirata dallo schermo, ma fu completamente presa quando nell’inquadratura apparvero anche Peeta e Johanna.

Il petto di Katniss si strinse in una morsa mentre vedeva i due seduti vicini. Era sempre stata lei quella seduta accanto a Peeta, non Johanna. Eppure da dopo il depistaggio sembrava che fosse ormai Johanna ad avere sempre addosso gli occhi del ragazzo del pane.

Cercò di ricacciare in fondo allo stomaco la sensazione di fastidio che l’aveva intrappolata per concentrarsi sull’intervista in diretta.

I tre stavano scambiandosi i convenevoli o forse era più giusto dire che Peeta e Caesar stavano scambiandosi i convenevoli, mentre Johanna guardava in cagnesco le telecamere.

-E’ stato alquanto spiacevole il nostro ultimo incontro.-

Borbottò Flickman leggermente a disagio, ma Peeta rispose con una risata:

-E penso che anche quella volta tu pensassi sarebbe stata l’ultima volta in cui mi avresti intervistato! Ma alla fine torno sempre qua da te!-

Scherzò il più giovane dei due, mentre l’altro gli dedicava un sorriso riconoscente.

-Ma anche questa volta non si può dire che sia totalmente un’intervista di piacere!-

-Per lo meno non sto per entrare un’altra volta nell’arena degli Hunger Games o sto per annunciare un bombardamento!-

Scherzò Peeta suscitando la risata imbarazzata del pubblico in sala.

Katniss fissava allibita l’amico in tv.

Non poteva credere che Peeta riuscisse a scherzare in quel modo, non dopo l’intervista che Caesar gli aveva fatto durante la sua prigionia a Capital City.

Era arrabbiata, non solo con il presentatore che si comportava come se nulla fosse successo, ma ancora di più con Peeta, che sembrava non covare rimorso per lui.

Eppure si rese conto che era una cosa che non apparteneva a Peeta il fatto di covare rimorso, che non sarebbe stato il buon ragazzo del pane che lei conosceva e a cui voleva bene se non si fosse comportato in quel modo.

Tornò a concentrarsi sull’intervista quando la squillante voce di Flickman annunciò:

-In fondo, questo pomeriggio siete qui per raccontare la vostra esperienza della rivolta.-

-Esperienze? Le nostre torture.-

Tagliò corto Johanna acidamente, ma Peeta le appoggiò una mano sulla gamba per calmarla e rispose diplomatico:

-Si, abbiamo entrambi accettato dopo che la nostra presidentessa ha chiesto una nostra testimonianza su quello che è successo durante la rivolta. Siamo infatti stati manipolati dal ex presidente Snow..-

E i due intervistati, con l’uso magistrale con cui Peeta usava le parole e la schiettezza di Johanna, iniziarono a descrivere prima gli Hunger Games, poi il loro sequestro e infine quello che avevano vissuto nel distretto 13.

Tra lui e Johanna riuscirono a creare un mosaico di sensazioni, che fecero finalmente capire ai cittadini di Panem quello che i tributi avessero realmente vissuto tutti quegli anni, dall’angoscia dell’arena fino alla vita irrimediabilmente cambiata dopo quell’esperienza.

Già in precedenza Peeta aveva dipinto abilmente il clima dell’arena, ma quella volta senza fretta fece provare a tutti gli ascoltatori lo stesso misto di angoscia e paura che avevano vissuto i tributi.

Quando conclusero Caesar sembrava ancora immerso nel racconto e sussultò quando Peeta chiese:

-Altre domande?-

-Si, certo scusa! Tutta Panem si sta chiedendo cosa ne pensate delle ultime azioni di Katniss, nonostante sappiamo che sia un argomento molto spinoso.-

Per la prima volta fu Johanna la prima a prendere la parola:

-Io appoggio in pieno le azioni di Katniss. Quel governo che era stato presentato come una repubblica sembrava più l’inizio di un’altra dittatura. Le elezioni che aveva detto che ci sarebbero state non mi sembra che fossero in programma, quindi..-

Lo sguardo di Caesar era allibito nel sentire le parole dure di Johanna, quindi Peeta la fermò appoggiando nuovamente la mano sulla sua gamba e spiegò garbatamente:

-Sia io che Johanna siamo d’accordo sul fine che aveva Katniss, ossia di impedire all’ex presidentessa Coin di ricreare una dittatura, questa volta non comandata da Snow ma dal Distretto 13, in quanto anche ai nostri occhi tutte le sue azioni avevano questo fine. Ovviamente il fine non giustifica i mezzi, si poteva semplicemente impedire alla Coin di creare il suo governo, ma non sarebbe stato così semplice. Katniss era traumatizzata per determinate azioni che erano state compiute dalle forze dei ribelli, attuate al fine di distruggerla.-

Peeta si stava esponendo come pochi con quelle dichiarazioni in diretta, ma sembrava fermamente convinto a proseguire.

-Infine Katniss non era ben vista dalla Coin, diciamo pure che è stata l’ex presidentessa stessa ad attentare alla vita di Katniss per prima.-

-In che senso?-

Chiese il presentatore titubante, mentre Panem attendeva sulla corda.

-Mandando me nella squadra delle stelle, ovviamente. Dai Ceasar, io non sono un tiratore eccezionale, me la cavo molto meglio nel combattimento a corpo a corpo. Quindi ero stato mandato la proprio per ucciderla. Non sto giustificando Katniss, sto solo esponendo il mio punto di vista. Hanno sbagliato da entrambe le parti, come nella guerra.-

-Ritieni quindi che la guerra sia sbagliata?-

Domandò Flickman cauto, nella speranza che fosse Peeta a rispondere e non Johanna, essendo il primo molto più diplomatico.

-Non posso affermare una cosa del genere, in fondo ho partecipato io stesso per liberare i distretti. Vorrei invece focalizzare l’attenzione sulla rivoluzione di mentalità che dovrà avvenire in noi, per capire che la pace non è un dato, ma una conquista.-

Peeta sospirò, per poi riprendere:

-La pace è il prodotto di un impegno, non è un nastro di partenza, ma uno striscione d’arrivo. La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia, sacrificio. La pace non annulla la conflittualità, ma fa trovare un punto di incontro tra le parti. La pace prima che un traguardo, è un cammino, per giunta in salita. Vuol dire che la pace ha i suoi ritmi, i suoi percorsi preferenziali e i suoi tempi tecnici. Vorrei quindi chiedere a tutti voi di non dimenticare nulla. Non una vittima da entrambe le parti, non un colpo sparato. Chiedo di non dimenticare questo massacro perché non si ripeta mai più e che la pace che ora si è iniziata a creare non vada sprecata. Abbiamo sofferto tutti, troppo. Siamo stati vittime e carnefici. Cerchiamo di ricominciare a vivere più saggi di quest’esperienza. Vi chiedo solo questo.-

Il ragazzo si massaggiò le tempie stanco, chiudendo gli occhi  e lasciando ancora una volta l’intera Panem silenziosa.
La piazza in cui si trovavano Katniss e Haymitch sembrava pietrificata, mentre le parole di Peeta arrivavano alle loro orecchie.

-Haymitch è un pazzo.-

Sussurrò Katniss al suo mentore, ma lui rispose solamente:

-Non è pazzo. Lui ha solo capito tutto della guerra.-

Mormorò Haymitch versandosi un'altra tazza di the e allungandola con la sua solita fiaschetta.

Anche Johanna era rimasta senza parole, quindi dopo qualche istante di silenzio Flickman chiese:

-Posso farti una domanda che assilla tutti i cittadini di Panem?-

-Certo.-

Rispose Peeta con un sorriso rassicurante, mentre il clima pesante che si era creato dopo le affermazioni del ragazzo del pane iniziava a scemare.

-Che fine hanno fatto gli sventurati innamorati del dodicesimo distretto? Dopo il depistaggio intendo. Ormai ti si vede molto più spesso in compagnia di Johanna e non di Katniss. E` finito il vostro idillio?-

Questa volta Johanna sbottò irritata:

-Ma secondo voi? Siamo stati semplicemente vicini di cella!-

Peeta rispose subito, per evitare che Johanna dicesse qualcosa di troppo:

-Io e Katniss abbiamo passato gli ultimi due anni a cercare di salvarci la vita a vicenda. Non penso che quindi basti un depistaggio per dimenticarla. Stiamo rimettendo insieme i pezzi di due esistenze distrutte prima dagli Hunger Games e poi dalla guerra. E lo stiamo facendo insieme.-

-Quindi i due sventurati innamorati staranno insieme?-

-Non posso assicurarlo, ma sicuramente rimarremo compagni. Abbiamo passato troppe esperienze insieme per annullare completamente il nostro rapporto, ma ora siamo più concentrati nella ricerca di noi stessi. Quindi spero che torneremo insieme quando le cose si saranno sistemate.-

Annunciò Peeta con un sorriso, poi riprese:

-Penso che questa sia veramente l’ultima intervista che mi farai Caesar, ma una volta tanto non per la mia imminente morte. Sono stato un tributo, uno sfortunato amante, un vincitore, un depistato, un soldato, un sopravvissuto. Ora vorrei essere solamente il panettiere del distretto 12. Senza dimenticare nulla ma quello di cui ho bisogno solo calma e tranquillità.-

Concluse Peeta, mentre uno scroscio di applausi si alzava dalla regia dello studio.

 
***

I tributi rimasti in vita erano quasi tutti già riuniti nei loro alloggi in comune quando Peeta arrivò camminando con le mani in tasca accanto a Johanna, che stava commentando irritata il suo discorso tenuto quel pomeriggio in tv, perché lui le aveva rubato l’intera scena.

-Hey!-

Salutò il ragazzo del pane allegro, mentre Haymitch rispondeva, tirandogli una pacca sulla spalla:

-Gran bel discorso ragazzo! Sono sempre più convinto che avremmo dovuto tirare fuori te dall’arena e non questa qui.-

Concluse indicando Katniss con un gesto del capo. La ragazza, dal canto suo, stava in silenzio e in disparte.

-Non dire scemate! E` stata lei il volto della rivoluzione, io non ne avrei avuto le capacità.-

Lo corresse il biondo dedicando un sorriso alla ragazza in disparte, che però non lo degnò di uno sguardo.

-Si infatti,- Intervenne Johanna – Lui è il buono per eccellenza, non avrebbe mai  incitato una guerra anche se fosse servita per la nostra libertà.-

Haymitch scoppiò a ridere per non lasciarsi sfuggire un commento sarcastico, tornando alle sue occupazioni.

-Spero che tu non te la sia presa per quello che ho detto. Ho cercato di spiegare al meglio la tua situazione..-

Mormorò Peeta affiancandosi a Katniss, che però lo guardò piena di rabbia e odio.

-No, perché mai? In fondo se avessi potuto avresti detto molto di peggio che “torneremo insieme quando le cose si saranno sistemate”- Lo scimmiottò lei – Non torneremo insieme! Tu non potresti mai stare con una pazza come me, vero? Vuoi la ragazza forte, quella tutta d’un pezzo! Che scocciatura sarà stata non poter svelare che in verità non siamo sposati e che io non sono mai stata incinta! Sarà stata dura per te!-

Katniss stava urlando e aveva attirato l’attenzione di tutti i presenti, che però evitarono di intervenire, ben consci che era un discorso che i due dovevano chiarire da soli.

-Katniss, ma cosa stai dicendo?-

Domandò il ragazzo del pane confuso, non capendo dove avesse sbagliato.

-Potevi anche ammettere che non ci siamo sposati e che non sono mai stata incinta, mi avresti fatto un piacere! E soprattutto l’avresti fatto a te stesso visto che ti premeva tanto di farlo sapere all’intera Panem!-

Sbraitò lei arrabbiata, stringendo i pugni e conficcandosi le unghie nella carne per trattenersi.

Peeta non reagì arrabbiandosi o difendendosi come si aspettava Katniss, ma alzò gli occhi al cielo stanco e disse solamente:

-Pensala come vuoi Katniss. Vado a farmi una doccia.-

Lasciò quindi la Ghiandaia nel suo angolo, mentre la consapevolezza di aver sbagliato tutto un’altra volta la invadeva.
Perché Peeta aveva quello sguardo rassegnato?

E non le servì vedere il volto di Haymitch per avere la conferma di averlo deluso un’altra volta, l’ennesima.


 
-To be continued.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


And if I open my heart to you
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What would you do?

 

CAPITOLO 10
 

 
 

La libertà è un sistema basato sul coraggio.
- Charles Péguy

 

Peeta arrivò in camera e si buttò sotto la doccia gelata, per calmare il nervoso che stava salendogli dentro, rischiando di fargli perdere il controllo.

Perché Katniss si era comportata in quel modo?

Lui non aveva fatto altro che cercare di proteggerla dalle indiscrezioni che turbinavano a Capital City contro di lei, facendo capire che lei fosse semplicemente una vittima di quel sistema che le si era creato intorno.

Eppure al posto di un “grazie” si era preso una sfuriata.

Una mano iniziò a tremargli mentre tutta la rabbia che aveva provato in quel momento tornava vivida in lui.

Lei voleva ucciderlo, nient’altro che quello.

E Peeta doveva salvarsi, agendo lui per primo.

Uscì dalla doccia e si asciugò velocemente tamponandosi con un asciugamano, quindi infilò in fretta i primi vestiti che capitarono ed uscì dal bagno.

Sentì la sua voce provenire dall’altra stanza, con un rumore di posate, probabilmente stavano tutti mangiando, senza di lui.

L’avevano forse escluso perché tutti gli altri erano dalla parte della Ghiandaia? Volevano ucciderlo anche loro?

Il ragazzo andò alla finestra e cercò di aprirla per poter scappare, ma la trovò bloccata. L’unica via d’uscita era la porta che dava alla sala da pranzo dove tutti stavano mangiando e ridendo di lui, era quindi intrappolato.

La sua mente iniziò febbrilmente ad elaborare un piano per fuggire, quando la porta si spalancò ed entrò Haymitch con passo incerto.

Il fascio di luce illuminò gli occhi neri di Peeta prima che la porta si chiudesse alle spalle del nuovo arrivando facendo nuovamente cadere la stanza nella semi oscurità.

-Peeta, tutto bene?-

Gracchiò Haymitch avvicinandosi con circospezione.

-Allontanati, se no ti uccido io!-

Rispose sibilando il biondo sistemandosi in posizione di combattimento.

-Peeta io non voglio farti del male, non lo farei mai.-

Rispose il mentore più sicuro fermandosi e cercando di calmare il ragazzo, alzando le braccia per mostrare di essere disarmato.

-Tu sei stato depistato da Capital City, Katniss non ti vuole uccidere come nessun altro di noi.-

Peeta fu percorso da un tremito, mentre dolorosi ricordi gli invadevano la mente.

Un urlo di dolore sfuggì dalle sue labbra, riempiendo l’intera stanza e facendo accorrere tutti dalla sala vicina.

-State di la!-

Tuonò Haymitch facendo tornare indietro gli altri vincitori accorsi, mentre lui si avvicinava al ragazzo e iniziava a mormorare parole confortanti a Peeta.

La porta si richiuse, ma nessuno dei presenti riprese a mangiare, tutti troppo preoccupati per il ragazzo del pane.

In pochi minuti il ragazzo tornò in se, con il volto madido di sudore e il respiro corto, mentre gli ultimi fremiti lo percorrevano.

-Voglio andarmene Haymitch..-

Supplicò infine Peeta con un filo di voce, guardando supplichevole il suo mentore.

-Non voglio far del male a nessuno di voi. Sono io il mostro.-

Gli occhi di Peeta si riempirono di lacrime, mentre quelle parole uscivano dalle sue labbra con un sussurro strozzato.

Haymitch, quasi spaventato per la fragilità di quel ragazzo, lo abbracciò, tirando qualche pacca rassicuratrice sulla spalla, mormorando poi:

-Non dire scemate Peeta. Tu sei il migliore di noi, sei il buono per eccellenza e ti vieto di dire parole del genere.-

-Io ho ucciso Mitchell. Me lo ricordo benissimo, l’ho spinto in braccio alla morte.-

Il mentore socchiuse gli occhi, ben sapendo che convincere Peeta che in realtà non fosse un mostro era ben arduo, soprattutto con Katniss arrabbiata con lui senza una ragione.

Poi ebbe un’illuminazione e obbligando Peeta a guardarlo negli occhi iniziò:

-Secondo te è un mostro una persona che è entrata la prima volta nell’arena avendo già deciso di morire pur di salvare la vita della ragazza che amava? Che ha bluffato entrando nel gruppo dei favoriti per proteggerla, che quando lei era intrappolata su un albero ha passato l’intera notte a fissarla e che il giorno dopo, dopo che lei ha provato ad ucciderlo lanciandogli addosso un nido di aghi inseguitori, questa persona si è fatta ferire a morte per salvarla? Secondo te è un mostro il ragazzo che dopo essere stato preso in giro sui suoi sentimenti ha deciso comunque di metterci il cuore in quella finzione per salvarla? Che è entrato una seconda volta dell’arena per salvare quella ragazza e permettergli di vivere il resto della vita con un altro?-

Peeta deglutì profondamente, mentre tutti i ricordi di quegli avvenimenti tornavano alla sua mente, facendo tornare gli occhi di un azzurro chiaro e limpido.

-Grazie Haymitch.-

Disse infine asciugandosi gli occhi con una manica della felpa e sorridendo all’uomo di fronte a lui.

-Mi sembra il minimo che io possa fare, dopo tutto quello che ho combinato alle tue spalle.-

Il ragazzo arrossì leggermente con un sorriso imbarazzato, quindi il mentore gli scompigliò i capelli e disse:

-Ti porto qualcosa da mangiare se vuoi stare ancora un po’ da solo, dirò a quei dementi di la di lasciarti un po’ in pace.-
-Si grazie. Preferirei restare un po’ solo ancora.-

Haymitch uscì e zittì tutte le domande, portando poi qualcosa da mangiare a Peeta. Quando tornarono in stanza per dormire il ragazzo del pane era raggomitolato nel suo sacco a pelo, quindi nessuno osò toccarlo o svegliarlo.

 
*

Katniss si svegliò di soprassalto con il fiato corto e un urlo strozzato in gola.

Finnick era tornato nei suoi incubi, assieme agli ibridi della prima arena dagli occhi familiari, inseguendola e catturando il ragazzo, dilaniandolo davanti a lei.

Probabilmente la vicinanza di Annie aveva risvegliato in lei troppi ricordi, facendo tornare prepotenti tutti quegli incubi.

La ragazza si stava per alzare per andare a sciacquarsi il volto quando vide qualcun altro seduto poco distante.

Peeta teneva le gambe raccolte al petto, mentre osservava assorto fuori dalla finestra, gli occhi azzurri che si specchiavano nel vetro di fronte a lui.

Sembrava il ragazzino impaurito che era uscito dal municipio dopo gli addii dati prima della partenza per i settantaquattresimi Hunger Games. Aveva gli stessi occhi rossi, anche se ora erano contornati da profonde occhiaie, segno che non fosse la prima notte che stava passando in bianco.

Le ricordava tanto le notti in cui l’aveva osservato quando era entrato nella squadra delle stelle, quando non riusciva a capire se i suoi ricordi di Katniss fossero reali o meno.

Non pensava avesse ricadute del genere, ma probabilmente era stata quella città a risvegliare in lui tanti spiacevoli ricordi o lui le aveva sempre tenuto il tutto nascosto.

Chissà dove l’avevano tenuto prigioniero tutto quel tempo, dove l’avevano torturato.

La ragazza non osò avvicinarsi, sentendosi in colpa per la scenata dopo l’intervista di quel pomeriggio e non sapendo bene come potesse consolarlo.

Lei si limitò a richiudere gli occhi ripensando a Peeta, finché un sonno fatto di piacevoli ricordi di una giornata passata con lui su una terrazza soleggiata di quella città l’avvolse e l’accompagnò fino al mattino seguente.

Il mattino seguente si alzarono tutti di buon ora, dovendo essere tutti trattati dai preparatori di Capital City, per prepararsi ad apparire nella commemorazione ai caduti della rivolta che si sarebbe tenuta nel primo pomeriggio.

I preparatori avevano semplicemente il compito di vestire alla perfezione i tributi, controllare che fossero presentabili e al meglio.

Katniss sospirò di sollievo quando scoprì che non l’avrebbero costretta a fare la ceretta e ad essere trattata con tutte quelle strane creme e miscugli che aveva dovuto subire più volte.

Furono quindi pronti di buon’ora e dopo un pranzo frugale furono prelevati da una sorridente Effie che avrebbe avuto il compito di curarli per tutto il resto della giornata.

In breve spiegò dove si sarebbe tenuta la cerimonia e che avrebbero ascoltato diversi oratori che avrebbero ricordato le persone più importanti della rivolta, per concludere con un discorso della presidentessa stessa.

Il momento della commemorazione arrivò fin troppo velocemente, quindi tutti i tributi sfilarono in fila silenziosi, nella stessa arena in cui erano stati applauditi all’ingresso con i carri quando dovevano essere presentati a Capital City.

Questa volta però l’intera arena era silenziosa, quindi quando presero posto nella tribuna d’onore Katniss si soffermò per la prima volta ad osservare la grandiosità di quel posto.

Ricordava quando aveva sfilato per ben due volte in quelle strade, ma quelle due volte era stato tutto molto più semplice, avendo Peeta al suo fianco che la sosteneva. Quel giorno non si erano ancora rivolti la parola, quando si era svegliata lui era già a fare colazione, insolitamente silenzioso.

Aveva evitato accuratamente tutti, anche Johanna, probabilmente ancora scosso per gli avvenimenti della sera prima e quando i preparatori erano arrivati avevano dovuto fare parecchi sforzi per coprire le due profonde occhiaie che aveva sotto gli occhi.

Ora il ragazzo aveva un volto imperturbabile, concentrato nell’ascoltare i discorsi dei vari oratori, mentre applaudiva senza scomporsi quando c’era la necessità.

Era un pomeriggio caldo per la stagione, quindi quando arrivò il turno del discorso finale della presidentessa i vincitori del distretto 12 tirarono un sospiro di sollievo.

La donna si alzò in piedi e si avvicinò al microfono, tenendo stretti in mano dei cartoncini che ricordavano molto quelli che Effie dava ai suoi vincitori durante il tour della vittoria.

Quando però la donna iniziò a parlare non aveva quel tono rigido e distaccato che aveva sempre avuto Katniss leggendo quei suggerimenti, bensì era spontanea e quasi materna.

-Siamo tutti qui riuniti per commemorare le ancora troppo recenti perdite avvenute nella rivolta. Perdite che hanno colpito ognuno di noi, perdite che non hanno risparmiato ne vincitori ne vinti, perdite che sentiamo tutti ogni giorno.-

La presidentessa fece una pausa significativa, guardando l’intera folla attorno a loro, soffermandosi su quelli ancora feriti, sfigurati o mutilati a causa di quei combattimenti, mentre tutti andavano col ricordo alle persone care che li avevano lasciati. Poi il suo pensiero andò a tutte le persone che aveva visto morire ingiustamente, deglutì chiudendo gli occhi e poi riprese, sempre nel silenzio generale:

-Voglio però rimarcare le parole dette ieri nell’intervista da Peeta Mellark, che non dobbiamo dimenticare nulla, non una vittima ne un colpo sparato.-

L’attenzione si spostò su Peeta, che apparse imperturbabile, concentrato ad ascoltare la donna che proseguì subito:

-Perché tutti noi dovremmo aiutarci sempre, dobbiamo godere della felicità del prossimo, non odiarci o disprezzarci l’un l’altro perché uno era dalla parte di Capital City e l’altro dei ribelli. Dobbiamo tutti dimenticare queste distinzioni, sentendoci solo cittadini di Panem, uno uguale all’altro, non uno di Capital City, uno del secondo, nono o tredicesimo distretto.
Abbiamo tredici distretti e una capitale e i mezzi per poter vivere tutti quanti al meglio, dove ognuno può trovare i suoi spazi e far sentire la sua voce. La natura è ricca, è sufficiente per tutti noi; la vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato.-

La donna fece un’altra pausa, mentre il significato delle sue parole giungeva alle menti degli ascoltatori. Tutti gli abitanti dei distretti si erano da tempo dimenticati cosa significasse essere felici a Panem, molti di loro non avevano mai nemmeno aspirato ad una cosa del genere.

Quando la donna riprese la sua voce era severa come quella di una madre che cerca di insegnare ai suoi figli qualcosa di molto importante:

-Dobbiamo metterci in gioco come dei fanciulli e imparare tutti quanti a vivere nuovamente, allontanando l’avidità dai nostri cuori, dimenticando l’odio che ci ha condotto a distruggerci l’un l’altro. Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi.

Ora la mia voce, che spero sia speranza per tutti, raggiunge l’intera Panem, dove centinaia di uomini, donne e bambini sono ancora disperati, vittime di un sistema che li ha torturati per anni, imprigionando la loro libertà. Bene! E’ arrivato il momento di incominciare una nuova vita tutti quanti, dove la libertà non sarà più soppressa e il potere che hanno tolto al popolo tornerà al popolo!-

La voce della donna aumentò di un’ottava, mentre stringeva in pugno il discorso che aveva fino a quel momento letto, proseguendo con voce tonante:

-Voi non siete macchine, voi non siete bestie: siete uomini!

Voi, il popolo, avete la forza di creare le macchine, la forza di creare la felicità. Voi, il popolo, avete la forza di fare che la vita sia bella e libera; di fare di questa vita una splendida avventura. Quindi, in nome della democrazia, usiamo questa forza.

Che dia a tutti gli uomini lavoro, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza!-

La donna terminò con un leggero fiatone, quindi il più forte applauso che le orecchie dei vincitori avessero mai sentito si alzò dall’intera città e da tutti i distretti, dove la forza delle parole della presidentessa Paylor arrivava attraverso i televisori.
Panem doveva essere quello ora, speranza.

Quella donna aveva dato una spinta a tutti a credere che le cose fossero finalmente cambiate, senza più dittatori, tirannie ed ingiustizie.

Anche la tribuna d’onore si alzò applaudendo, finché non iniziarono a far male le mani a tutti e la folla si calmò pian piano.

Ci volle quasi un’ora per riuscire ad uscire da quel posto, quindi Effie li condusse verso i loro alloggi in tutta fretta.

-C’era un tocco molto Mellark nel discorso della presidentessa.-

Osservò Johanna mentre camminavano per andare a prepararsi per la cena, tirando una pacca affettuosa sulla schiena di Peeta.

Il ragazzo ridacchiò leggermente imbarazzato e ammise:

-Ammetto che la presidentessa mi ha chiesto una mano ieri mattina per scrivere il discorso, i contenuti però sono solo suoi.-

In quel momento gli occhi di Peeta e Katniss si incontrarono per la prima volta in quella lunga giornata e prima che entrambi distogliessero lo sguardo Katniss si lasciò sfuggire un sorriso ammirato e pieno di nostalgia, per tutte quelle parole che era sicura fossero uscite dal suo cuore.

Solo un buono come Peeta poteva pensare a tutte quelle belle parole, nessun altro che non lui.

-Ragazzi, veloci! Dobbiamo andare a prepararci per la cena di stasera, dove le vere star sarete voi!-

Squittì la voce di Effie, che pian piano stava perdendo quell’accento così tipico di Capital City, iniziando ad apparire sempre più normale.

Tutti la seguirono continuando a chiacchierare tra loro, mentre Katniss proseguiva silenziosa immersa nei suoi ricordi.

Durante il discorso della presidentessa non aveva sentito solo un tocco di Peeta, ma tutte le sue idee che già prima degli Hunger Games le aveva rivelato.

Lui, che per primo non aveva intenzione di essere una pedina del vecchio governo ma di affermare il proprio io, era l’unico che non sarebbe mai potuto tornare veramente Peeta Mellark.

Fu con questo peso al cuore che Katniss seguì gli altri in auto, sentendosi ancora più in colpa per come l’aveva trattato il giorno prima.

 
- To be continued

 
*Angolo dell'autrice*
Ehi!
Giuro che con questo finisco con i discorsoni filosofici, nel prossimo capitolo finalmente ci saranno dei risvolti tra Peeta e Katniss, quindi non demordete!
Besos immensi!
Saru

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

Capitolo 11
 
Avevano avuto bisogno di perdersi di vista per qualche tempo,
Per capire che si sarebbero mancati per il resto della vita.

- Anonimo 
 


Le luci della città filtravano prepotenti dai vetri dello stanzone in cui ormai convivevano da due giorni i vincitori del dodicesimo distretto.
 
Erano stati ospitati in quella stanza e non nel centro di addestramento perché quello era stato adibito a scuola e non era più quindi disponibile.
 
Katniss era sollevata da quel fatto, perché nel centro di addestramento erano presenti troppi ricordi dolorosi, che andavano dalla presenza dei senza voce Darius e Lavinia, alle notti passate abbracciata con Peeta.
 
Persa in quei ricordi più o meno piacevoli la Ghiandaia Imitatrice entrò in bagno per lavarsi i denti, prima che i suoi preparatori arrivassero per sistemarla per la cena, visto che quel pomeriggio avevano tutti perso quel sottile stato di trucco che avevano applicato.
 
Era una tortura per tutti farsi preparare da loro, perché la presenza di Cinna aleggiava sempre quando stavano insieme e anche il vestito che lei avrebbe indossato era uno confezionato da lui per il Tour della Vittoria.
 
Fece in tempo a chiudersi la porta alle spalle prima che una voce nota la facesse sussultare con un “Hey!” e le facesse alzare gli occhi verso la persona che aveva emesso il suono.
 
-Scusa Peeta! Non volevo!-
 
Urlò Katniss girandosi di schiena e tappandosi gli occhi in imbarazzo, mentre Peeta, appena uscito dalla doccia con addosso solo un asciugamano, la guardava confuso.
 
Quando il ragazzo del pane la vide girarsi al colmo dell’imbarazzo scoppiò a ridere, mentre si infilava i boxer e lanciava ai piedi di Katniss l’asciugamano con una mossa sexy, facendola sussultare.
 
-Cosa ridi?-
 
Domandò lei acidamente, arrossendo ancora di più per l’asciugamano ai suoi piedi e divertendo quindi ancora di più il ragazzo.
 
-Una volta ti sei arrabbiata con me perché ti consideravo troppo pura e dicevi che ti prendevo in giro con gli altri vincitori, vero o falso?-
 
Spiegò lui paziente, aspettandosi la reazione della ragazza e cercando di smettere di ridere.
 
-Vero, me l’ero presa a morte.-
 
Ammise lei girandosi con un mezzo sorriso nostalgico, quando però lo vide ancora in boxer il suo colorito tornò paonazzo e si girò nuovamente.
 
-Ecco, la tua espressione ora mi ricorda tantissimo quella che avevi quel giorno!-
 
La stuzzicò deliberatamente lui.
 
-Beh certo! Sei mezzo nudo!-
 
Si difese lei prontamente, non capendo come lui non riuscisse a capire una cosa talmente ovvia.
 
-Mi hai visto un sacco di volte mezzo nudo! E ripensandoci avresti avuto anche l’occasione di vedermi tutto nudo nella prima arena.-
 
Osservò lui come se nulla fosse, guardandola sussultare ancora più in imbarazzo.
 
-Comunque fai pure, tanto io devo sistemare la doccia.-
 
Concluse lui girandosi e prendendo un asciugamano con cui iniziò ad asciugare le pareti del box doccia.
 
Tra i due calò il silenzio, quindi la ragazza prese il suo spazzolino e lo riempì di dentifricio, mettendo in quell’operazione una cura e un’attenzione spropositata, per non farsi distrarre dalla pelle liscia di Peeta che nascondeva le ultime cicatrici.
 
-Perché non ti arrabbi con me per come ti ho trattato ieri?-
 
Domandò dopo un po’ Katniss senza guardarlo mentre si lavava i denti, dando voce al dubbio che la opprimeva, ma lui per tutta risposta chiese:
 
-Perché dovrei? So che hai un sacco di motivi per essere arrabbiata con me, come per esempio che ho tentato giusto un cinque o sei volte di ucciderti.-
 
Ribatté lui con un’alzata di spalle, facendola sentire ancora più in colpa per tutto quello che gli aveva detto il giorno precedente.
 
-Non sono arrabbiata. E’ stata una richiesta lecita la tua alla presidentessa e anche la risposta che hai dato nell’intervista è stata brillante.
 
Katniss fece una pausa prendendo fiato, poi chiuse gli occhi e ammise con enorme sforzo:
 
-Scusa per la scenata. Dovrei solo ringraziarti per tutto quello che fai per me.-
 
Peeta la guardò confuso senza rispondere, iniziando ad abbottonare la camicia bianca che aveva appena indossato. Katniss aveva abbassato lo sguardo, visibilmente a disagio per la reazione spropositata avuta in precedenza.
 
-Non pensavo ti ricordassi di quella volta.-
 
Sussurrò lei appoggiando lo spazzolino sulla mensola sotto lo specchio e asciugandosi la bocca, stando ancora ben attenta a non guardarlo.
 
-Non ho dimenticato un sacco di cose, Katniss.-
 
Affermò Peeta serio, osservando insistentemente la schiena della ragazza, che arrossì senza sapersi spiegare il perché e non poté far altro che sperare che Peeta non se ne accorgesse. 
 
-Non si potrebbero dimenticare.-
 
Proseguì lui con un sorriso più dolce e un tono altrettanto accomodante.
 
Katniss si girò di scatto e coprì in meno di un secondo i pochi passi che li separavano e si tuffò nel petto del ragazzo, stringendolo a se con forza.
 
Dopo un primo momento di smarrimento Peeta richiuse dolcemente le braccia attorno a Katniss, stringendola dolcemente e rendendosi conto che era tutto quello che aveva desiderato nell’ultimo periodo.
 
Entrambi non avevano sete di contatto fisico in generale, ma solo dell’altro. Non si abbracciavano da mesi, quando invece durante gli Hunger Games erano sempre stati estremamente vicini.
 
Quindi quanto i due si strinsero l’uno all’altra non si stupirono nel notare di essere così complementari, come combaciassero perfettamente, nonostante tutto il tempo passato così distanti.
 
-Mi sei mancato Peeta. Tantissimo.-
 
Bofonchiò la ragazza, mentre qualche lacrima sfuggiva dagli occhi chiari e veniva prontamente asciugata dalla camicia del ragazzo.
 
Lui non seppe far altro che stringerla più forte al suo petto, appoggiando le labbra sui suoi capelli e lasciandole un bacio leggero, mentre aspirava avidamente il suo profumo.
 
-Anche te.-
 
Peeta non poté aggiungere altro perché la porta venne spalancata e apparve Haymitch, con la cravatta allacciata male e i capelli spettinati.
 
-Ops!-
 
Sbraitò per attirare l’attenzione di entrambi.
 
-Ho interrotto qualcosa piccioncini?-
 
Domandò quello divertito, vedendoli allontanarsi l’uno dall’altra arrossendo a disagio per essere stati scoperti in atteggiamenti così intimi.
 
-No, nulla!-
 
Trillò Katniss con una voce troppo acuta per essere naturale, mentre usciva dal bagno ad occhi bassi e con movimenti meccanici, come se non si ricordasse perfettamente come si camminava.
 
Haymitch e Peeta si guardarono e dopo pochi secondi scoppiarono a ridere entrambi.
 
-Cosa stavate facendo, piccioncini?-
 
Lo stuzzicò il mentore, mentre si lavava anch’esso i denti, tirando una gomitata a Peeta, che stava infilandosi un paio di pantaloni scuri.
 
-Nulla, si è solo accorta che non sono quasi più un ibrido.-
 
Rispose quello allegro, uscendo dal bagno con i capelli ancora bagnati, lasciando il mentore con un sacco di domande a riguardo.
 
I due ragazzi stettero ben attenti a non guardarsi o rivolgersi la parola quando entrambi si trovarono nello stanzone e Katniss tirò un sospiro di sollievo quando venne prelevata dai suoi preparatori perché apportassero le ultime modifiche al suo look.
 
Sarebbero apparsi in tv quella sera e Katniss doveva apparire al meglio, visto che la sua ultima apparizione la ritraeva come una pazza mentre scoccava una freccia alla ex presidentessa Coin e quel pomeriggio era stata inquadrata solo di sfuggita.
 
Era però fondamentale che mantenessero la sua naturalezza e quindi i preparatori si limitarono a sistemarle i capelli, facendoli tornare splendenti come un tempo e ad applicarle un po’ di trucco sul viso, il giusto per nascondere di nuovo quelle occhiaie scure.
 
Effie arrivò a prelevarla puntualissima come al solito e trascinò Katniss fino al palazzo in cui si teneva la cena.
 
Come nelle precedenti cene sarebbero scesi a gruppi, prima Effie e Haymitch, in un secondo momento Enobaria e Beetee seguiti da Johanna e Annie, infine sarebbe stato il momento dei più giovani, Katniss e Peeta.
 
Katniss però indugiava in cima alle scale, quindi il ragazzo del pane chiese apprensivo:
 
-Cos’hai? Non ti va di scendere?-
 
La ruga di preoccupazione tra le sopracciglia del biondo fece rendere conto la ragazza di quanto Peeta fosse realmente preoccupato per lei.
 
-Ho paura Peeta.-
 
Ammise Katniss, senza alcun timore di essere giudicata dall’amico e lasciando da parte per una volta l’orgoglio. E al posto di sentirsi chiedere “Di che cosa?” come si aspettava, Peeta proclamò:
 
-Anche io.- Fece una breve pausa per prendere fiato e poi ammise: -Ho paura di ricordare persone che non ci sono più a cui devo la vita, di perdere il controllo e far del male a qualcuno, di rivedere persone che mi farebbero ricordare tanti brutti momenti.-
 
Katniss lo guardò smarrita, mentre nel suo cuore una consapevolezza si faceva largo: il suo Peeta era li e anche quella volta la capiva perfettamente.
 
-E come fai? Ad andare intendo.-
 
Bofonchiò la ragazza, iniziando a giocherellare con un lembo del suo vestito per nascondere l’imbarazzo.
 
-So di non essere solo!-
 
Ribatté lui con un sorriso rassicurante, attirando completamente l’attenzione della ragazza.
 
-So che ci sono Haymitch, Johanna e Annie che hanno passato le mie stesse esperienze. E soprattutto so che ci sei tu.-
 
Concluse lui con un sorriso rincuorante, dedicando solo a Katniss tutta la luce che aveva sempre trovato nei suoi occhi, lasciandola impietrita per qualche momento, mentre rivedeva il ragazzo del pane nell’uomo di fronte a lei.
 
-Io non ce la faccio invece.-
 
Rispose lei con voce distrutta, appoggiandosi alla parete per sostenersi, distogliendo lo sguardo per nascondere il suo imbarazzo.
 
-Per questo ci sono io qui con te. Per starti sempre vicino, come abbiamo sempre fatto. Non vuoi andare a questa cena? Possiamo andare a mangiare da qualche altra parte, che so in un baracchino sulla strada, in un ristorante strano.. Dove vuoi!-
 
E a Katniss ricordò tanto quando le aveva detto che avrebbe avuto lei l’ultima parola sui loro alleati, perché lui era ancora pronto a mettere la sua felicità davanti, nonostante lei non sarebbe mai riuscita a ripagarlo.
 
Era il suo Peeta Mellark ed era li, con lei.
 
Ed era ancora il suo primo alleato, anche se lei non aveva fatto altro che comportarsi nel modo sbagliato e aveva fatto una valanga di errori.
 
Non le importava più se lui volesse o meno far credere di essere sposato con lei, a lei bastava sapere che ci sarebbe comunque stato, in qualsiasi modo sarebbe andata a finire quella storia.
 
Prese coraggio e replicò:
 
-No. Andiamo. Io ci posso riuscire se ci sei anche tu.-
 
Peeta le sorrise e si avviò, ma non vedendola proseguire, tornò indietro di un paio di passi e la prese per mano, tirandosela dietro.
 
Fecero così il loro ingresso nel salone, attirando tutti gli sguardi dei presenti, che dagli ultimi baci nell’arena non li avevano più visti assieme come una coppia.
 
Katniss, leggermente imbarazzata da tutti quegli sguardi, appariva una ragazzina, con i capelli accuratamente raccolti sulla nuca e il vestito arancio, che aveva indossato anche nel distretto 11 del Tour della Vittoria, accompagnata da quel ragazzo, che indossava una semplice camicia abbinata ad un paio di pantaloni eleganti.
 
Era una cena molto austera, tutto il contrario delle feste a cui avevano partecipato a Capital City, ma probabilmente per quella ragione i due ragazzi la apprezzarono molto di più.
 
Le portate erano giuste, non c’erano gli inutili sprechi a cui avevano sempre assistito nella capitale.
 
Katniss si accomodò accanto a Johanna, mentre Peeta stava alla sua destra. Di fronte a lei era seduto Plutarch che la intrattenne con tutte le novità che stavano apportando ai distretti, fiero di ogni cosa come se l’avesse fatta lui.
 
Solo dopo diverso tempo Katniss si accorse che mancava una persona che era stata quasi fondamentale nella rivolta: Gale.
 
Erano presenti gran parte dei sostenitori della rivolta, eppure sembrava quasi una stonatura la sua assenza quel giorno. Forse avevano richiesto che non venisse per impedirle di compiere altre follie in stile uccisione della Coin, eppure la Paylor non sembrava così prevenuta nei suoi confronti.
 
Un brivido la percorse da parte a parte ripensando all’amico, ma subito un odio cieco montò dentro di lei, ricordando come fosse anche colpa sua la morta di Prim.
 
Venne fortunatamente distratta dalla presidentessa Paylor, che si alzò in piedi attirando l’attenzione di tutti:
 
-Buonasera a tutti e benvenuti. Volevo ringraziare tutti voi per essere qui oggi, in particolare quelli che hanno dovuto affrontare un lungo viaggio.-
 
Concluse guardando gli abitanti del Distretto 12 seduti vicino a lei e seguendo con lo sguardo la scia dei tributi presenti che erano venuti fin li, poi riprese, sempre con l’attenzione dell’intera sala:
 
-Ieri mattina ho incontrato personalmente tutti i vincitori dei passati Hunger Games, sia per ringraziarli del ruolo da loro occupato all’interno della rivolta, sia per offrire ad alcuni di coloro i quali sono stati più devastati da quei giochi insensati un nuovo futuro.-
 
La telecamera e il cameramen erano rapiti dalle parole della presidentessa, mentre l’intera sala pendeva dalle sue labbra.
 
Un dubbio atroce invase Katniss, temendo di essere stata l’unica esclusa da quella richiesta, perché era una pazza.
 
-Per primo tra tutti ho proposto al qui presente Beetee Latier, che già collabora con noi, ufficialmente il ruolo di capo ingegnere all’interno della nostra struttura di Difesa.-
 
Beetee si alzò in piedi e con un inchino ossequioso rispose:
 
-Sono onorato della proposta ricevuta e sono felice di poter accettare questo ruolo. Spero che la nostra collaborazione sarà delle migliori e delle più fruttuose.-
 
La presidentessa strinse la mano a Beetee e uno scroscio di applausi si alzò per la stanza.
Dopo qualche istante la Paylor alzò una mano per richiamare il silenzio e quello calò in pochi istanti.
 
-A Enobaria volevamo proporre di entrare a far parte del team che si dovrà occupare della preparazione dei giovani che intenderanno intraprendere una carriera militare.-
 
La donna si alzò in piedi e si esibì in un ghigno che mostrò i denti aguzzi, poi, tendendo la mano alla presidentessa, rispose secca:
 
-Accetto. La ringrazio per l’opportunità che mi sta dando.-
 
Un breve scroscio di applausi riempì la stanza, ma nessuno sembrava così entusiasta come per la possibilità offerta a Beetee.
 
Katniss immaginò fosse stata fatta quella proposta proprio ad Enobaria per calmare le acque definitivamente tra gli ultimi sostenitori di Capital City nel Distretto 2, mostrando come la loro paladina avesse deciso di cooperare con il nuovo governo. Ma il fatto che si trattasse solo di una manovra politica non la rassicurò affatto per essere stata esclusa dal tutto, proprio lei, la Ghiandaia Imitatrice.
 
Questa volta la presidentessa non ebbe l’esigenza di richiamare il silenzio, quindi rivolgendosi a Peeta proseguì:
 
-Bene, allora Peeta, accetti la proposta che ti ho fatto ieri mattina di diventare ministro dell’agricoltura del paese? Come ti ho anticipato ti forniremmo un alloggio qui a Capital City, oltre che, ovviamente, un ottimo salario.-
 
Il ragazzo del pane si aprì in un ampio sorriso diplomatico, poi sentendo Katniss al suo fianco irrigidirsi esitò un momento.
 
Nella testa della ragazza si scatenò il panico.
 
Peeta, il suo Peeta, che pensava di aver ritrovato solo poche ore prima ora rischiava di scivolarle dalle mani un’altra volta, lasciandola di nuovo in quell’oblio nero da cui stava pian piano uscendo.
 
Prima di rispondere Peeta prese sotto il tavolo la mano della vicina, stringendola nella sua con fare rassicurante, sentendola rilassarsi sotto la sua stretta.
 
Katniss si calmò leggermente a quel contatto, capendo che qualsiasi cosa fosse successa lui non l’avrebbe abbandonata, non avrebbe potuto farlo proprio lui che era sempre stato il buono per eccellenza.
 
-Guardi, sono onorato della proposta che mi è stata fatta, ma come ho annunciato ieri pomeriggio nell’intervista in questo momento desidero solo la pace e la tranquillità che posso trovare nel Distretto 12, dove continuerò a fare il pane e a dipingere. So che può apparire come un affronto, ma negli ultimi anni la mia esistenza è stata distrutta troppe volte e vorrei solo riuscire a ritrovare il mio equilibrio.-
 
Spiegò calmo, catalizzando su di lui l’attenzione dell’intera sala.
 
La presidentessa si aprì in un sorriso e rispose:
 
-E` una scelta che accetto senza alcuna condanna. Penso che per avere soli diciotto anni tu e Katniss abbiate già vissuto abbastanza problemi, come tutti i vincitori. Spero quindi un futuro roseo per voi due, che a quanto vedo siete tornati insieme.-
 
Nessuno dei due seppe rispondere per tempo, sentendosi colti sul fatto per le loro mani ancora intrecciate, quindi l’intera sala lo prese con un si e scoppiò in un applauso.
 
Sia i ribelli, sia gli abitanti di Capital City e del Distretto 13 avevano avuto a cuore quella coppia in fondo, vedendo i due sfortunati amanti crescere insieme.
 
E il fatto che nonostante tutto quello che fosse successo loro due avessero ritrovato l’amore era rassicurante per tutti, mostrando veramente la fine della guerra e del dominio di Capital City.
 
Quell’amore che per la prima volta aveva sfidato il governo dell’ex presidente Snow non era stato distrutto, ma si era finalmente rialzato e rinato dalle ceneri, lasciando nel cuore di tutti i presenti una profonda speranza che tutto sarebbe tornato alla normalità con qualche sforzo.
 
I due si limitarono ad arrossire imbarazzati, sentendosi al centro dell’attenzione dopo tanto tempo, ancora insieme.
 
La Paylor richiamò un’ultima volta l’attenzione dei presenti:
 
-Ovviamente voglio specificare che, nonostante non siano state fatte proposte a tutti i vincitori, non è stato per discriminazione, ma solo perché non abbiamo ritenuto che potesse interessarvi un impiego di questo genere. Vi siamo comunque grati e speranzosi che tutti voi vorrete comunque cooperare in futuro se se ne presenterà l’occasione.-
 
Sorrise guardando Annie, Katniss, Haymitch ed Johanna, che rimasero però quasi tutti impassibili.
 
Fu Haymitch a prendere la parola per tranquillizzare la Paylor:
 
-Non si preoccupi, penso che nessuno di noi si sia sentito offeso, in quanto preferiamo tutti ritrovare la nostra tranquillità lontani da questa città.-
 
Un breve applauso accolse le parole del mentore, che strinse la mano della presidentessa gli tendeva.
 
I presenti vennero nuovamente distratti dall’arrivo di una grossa torta, che andò a concludere la cena.
 
Alle undici in punto Effie trascinò via i vincitori, riportandoli alle loro stanze per cambiarsi velocemente e raccogliere i loro bagagli.
 
Prima che Katniss potesse entrare in bagno a cambiarsi Peeta la trattenne per un braccio e le mormorò all’orecchio, in modo che Annie e Johanna che giravano nella stanza non sentissero nulla:
 
-Scusa se non te l’ho detto prima, ma sei stupenda con questo vestito.-
 
Il sorriso un po’ imbarazzato di Peeta fece accrescere l’imbarazzo della ragazza, che avvampò e ringraziò impacciata, poi aggiunse con un sorriso divertito:
 
-Dici così solo perché è del tuo colore preferito.-
 
-Diciamo che quello da il tocco finale che rende tutto perfetto.-
 
Acconsentì lui con un altro sorriso.
 
Dopo che Katniss si fu rapidamente cambiata, raggiunse Peeta e nel vedere che non aveva in mano il bagaglio ricordò che lui non sarebbe tornato.
 
-Vieni anche tu in stazione?-
 
Domandò triste la ragazza, quindi lui la rassicurò:
 
-Sisi, il dottor Aurelius mi ha dato il suo permesso!-
 
La ragazza sorrise sollevata, pronta a godersi la sua presenza per qualche altro minuto.
 
 
-To be continued. 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

CAPITOLO 12
 


La persona che parte per un viaggio,
non è la stessa persona che torna

- Proverbi cinesi 
 


Erano alla stazione di Capital City, Peeta li aveva accompagnati con il permesso del dottor Aurelius, che poi l’avrebbe trattenuto per le ore seguenti.
 
A quell’ora della notte non c’era nessuno per le strade, ormai i cittadini della città avevano iniziato a seguire un tenore di vita più simile a quello dei distretti, non incentrato solo sul divertimento che si poteva protrarre fino a notte fonda.
 
Non incontrarono quasi nessuno per strada, mentre la macchina procedeva spedita per le vie poco illuminate, fino al loro arrivo alla stazione.
 
-Vedi di non perdere il treno quando finalmente deciderai di prenderlo!-
 
Scherzò Haymitch osservando il volto tirato di Peeta, che con una vena di apprensione osservava gli amici caricare i bagagli sul treno.
 
-Tranquilli che non lo perdo. Mi faranno solo degli accertamenti, magari faranno un po’ male hanno detto, ma sopravvivrò anche a questa, tra tre giorni potrò partire anch’io.- 
 
Scherzò il biondo tranquillamente, evitando con cura gli occhi di Katniss, che angosciati lo osservavano. Non poteva permettersi di perdere Peeta proprio ora che sembrava più vicino a quello che lei ricordava e che il loro rapporto stava tornando quello di un tempo.
 
-Inizieranno subito?-
 
Domandò Johanna interessata, dopo aver lanciato la sua sacca sulla carrozza del treno alle sue spalle.
 
-No, mi lasceranno dormire qualche ora, fino alle 7 probabilmente, poi dalle 7.30 inizieranno a giocare con me. –
 
Spiegò nuovamente Peeta, per niente seccato nonostante gli avessero già posto quella domanda più volte.
 
-Sei sicuro che non vuoi che ti aspettiamo?-
 
Domandò Katniss nuovamente, quindi il ragazzo scosse la testa.
 
-Partite tranquilli! Non sto andando al patibolo!-
 
Scherzò lui mostrando il suo sorriso migliore.
 
In quel momento il treno dietro di loro iniziò a sbuffare, segno che presto sarebbe partito. Quindi, dopo un rapido saluto, Haymitch, Johanna, Enobaria e Annie salirono sul convoglio.
 
Katniss esitava a salire, quindi Peeta con un sorriso le disse:
 
-Stai tranquilla Katniss, ci vediamo tra cinque giorni a mezzanotte.-
 
Katniss si bloccò, mentre il panico invadeva i suoi occhi.
 
Riteneva finalmente di aver ritrovato il suo Peeta, che anche se non l’amava era comunque presente, e ora non poteva permettersi di perderlo di nuovo.
 
Il flash back di quando lei aveva promesso a Peeta che si sarebbero visti a mezzanotte arrivò prepotente alla sua mente, ricordandole come la volta seguente in cui si erano visti lui avesse cercato di ucciderla.
 
Non avrebbe retto anche a questo colpo.
 
-Peeta..-
 
Sussurrò la ragazza guardandolo supplichevole, quindi lui le prese una mano, incatenando gli occhi della ragazza ai suoi.
 
La calma che emanavano quei pozzi celesti fece tranquillizzare un po’ Katniss, poi, dandole una carezza sulla guancia Peeta sorrise e disse:
 
-Questa volta ci incontreremo stai tranquilla. E io sarò lo stesso di sempre, te lo prometto.-
 
Gli occhi della Ghiandaia si riempirono di lacrime, senza sapere il perché.
 
Lei credeva a Peeta, credeva a quegli occhi, a quelle labbra.
 
Credeva che si sarebbero incontrati, che lui l’avrebbe aspettata con quel sorriso, con il sorriso del suo Peeta.
 
Annuì impercettibilmente, cercando di sorridere per convincere il ragazzo.
 
Aveva paura di non rivederlo, neanche quella volta, ma salì sul treno, salutandolo dal finestrino.
 
Non appena il treno iniziò a muoversi e Peeta scomparse nella nebbia mattutina Katniss si lasciò cadere sul sedile nervosamente.
 
-Sei così dipendente da Peeta?-
 
Domandò Haymitch con un sorriso divertito.
 
-Ma che dipendente da Peeta!-
 
Si difese lei rabbiosa, per niente intenzionata a confessare i suoi pensieri.
 
-Ammetti che sei nervosa perché vi state separando.-
 
Affermò sicuro il mentore lasciandosi cadere sulla poltrona affianco alla sua e inondandola di puzza di alcool.
 
La ragazza storse il naso, ma poi rispose sbrigativa:
 
-E` ovvio che sono nervosa! Faranno un esperimento su di lui per vedere a che punto è il depistaggio! E se peggiorasse? Se tornasse ad avere gli occhi neri? Io non ce la farei. E poi..-
 
La ragazza esitò un momento, iniziando a disegnare dei cerchietti sul velluto scolorito del sedile, poi aggiunse con un sussurro:
 
-Lui mi ha detto “Ci vediamo a mezzanotte”. L’ultima volta in cui me l’ha detto io non l’ho più rivisto. O almeno, quando l’ho rivisto ha cercato di uccidermi.-
 
-Come sei tragica!-
 
Convennero Haymitch e Johanna, alzando entrambi gli occhi al cielo.
 
Fu in quel momento che Katniss sentì la voce di Annie, che si accomodò affianco a lei prendendole la mano.
 
Non avevano mai avuto un grande rapporto loro due, anche se nel viaggio di andata Katniss aveva passato più tempo possibile con lei, ma allora si erano limitate a giocare a carte o a passare semplicemente il tempo con chiacchere vuote.
 
-Non avere paura. Finnick mi diceva sempre che si vedeva che Peeta non aveva mai mentito sull’amore che provava per te. E mi ha detto che lui sarebbe tornato quello di un tempo, perché ti amava veramente.-
 
Le parole di Annie, nonostante fossero frasi che le erano già state dette da altri ebbero un effetto tranquillizzante su di lei.
 
Finnick la pensava così, lo stesso Finnick che aveva riportato in vita una volta Peeta, quello che gli era stato vicino quando lui era stato depistato, lo stesso Finnick che non aveva esitato a buttarsi incontro alla morte per permetterle di salvarsi.
 
Katniss annuì piano, tranquilla, dopodiché tutti si ritirarono a dormire nelle loro stanze, stanchi per la giornata intensa che avevano avuto.
 
***
 
Il treno entrò sferragliando nella stazione del dodicesimo distretto, nonché il capolinea per quel giorno.
 
Peeta diede una rapida occhiata all’orologio della stazione, mancavano pochi minuti a mezzanotte.
 
Scese con un salto dal treno, portandosi dietro i pochi bagagli con cui era partito.
 
Ispirò a fondo l’odore di carbone misto a polvere che ancora invadeva il distretto e si sentì a casa, finalmente lontano da quelle stanze sterili e vuote di Capital City dove per tre giorni era stato bombardato da vecchie immagini degli Hunger Games, perché si convincesse di come fosse realmente andati.
 
Fu quando iniziò ad avviarsi nell’aria fredda della sera, verso l’uscita della stazione che notò una figura immobile, che lo aspettava.
 
-Katniss..?-
 
Domandò titubante vedendo una ragazza con una lunga treccia che si avvicinava.
 
-Peeta.-
 
Sussurrò lei gettandosi tra le sue braccia, tremante.
 
Era gelata, chissà da quanto tempo era li in stazione ad aspettare quel treno si ritrovò a pensare Peeta preoccupato.
 
-Cosa ci fai qui?-
 
Mormorò lui, accarezzandole i capelli dolcemente.
 
-Volevo accertarmi che tu tornassi questa volta.-
 
Lui scoppiò a ridere e staccandosi da lei rispose divertito:
 
-Te l’avevo promesso!-
 
Detto ciò si sfilò la felpa e la gettò sulle spalle di Katniss, facendola sussultare:
 
-Cosa fai?-
 
Domandò lei un po’ allarmata.
 
-Sei congelata, ti prenderai un malanno.-
 
Spiegò lui con semplicità, lasciando l’amica per un attimo interdetta.
 
-Così te lo prenderai tu! Riprendila.-
 
Provò ad insistere lei, ben conscia del fatto che Peeta fosse un testone e lei non sarebbe riuscita a fargli cambiare idea.
 
-Stai zitta e infilala, non accetto repliche.-
 
La liquidò Peeta facendo cadere il discorso.
 
Era un’ampia felpa calda, le mani di Katniss spuntavano appena da sotto le lunghe maniche. La cosa che però la inebriò di più fu il profumo di Peeta che la invase.
 
Era come se fosse una capsula piena di lui, che la faceva sentire semplicemente in pace con se stessa.
 
Avrebbe passato ore e ore a cullarsi in quel profumo e nient’altro, mentre una sensazione di calma le attraversava i sensi.
 
I due si avviarono verso casa e Peeta senza una parola, mentre il vento soffiava tra le fronde degli alberi trapiantati da poco nella piazza.
 
Quindi, come se fosse la cosa più ovvia da fare, acchiappò la mano di Katniss, ancora fredda e la strinse nella sua.
 
Katniss affondò fino al naso dentro la felpa del ragazzo, al colmo dell’imbarazzo, quindi strinse anche lei la mano, facendo sorridere Peeta.
 
Era stato diverso prendersi per mano quella volta, perché non era un modo per sostenersi a vicenda come spesso avevano fatto, perché a casa loro non avevano bisogno di questo.
 
Non dovevano dimostrare a nessuno di amarsi, di essere gli sventurati amanti del dodicesimo distretto che avevano cercato di suicidarsi con le bacche per il loro folle amore.
 
Era semplicemente un volere stare vicino l’uno all’altra, sentire la presenza reciproca e non lasciarsi scappare mai più, perché in quel momento, che fosse giusto o no, avevano assolutamente bisogno l’uno dell’altra.
 
E così tornarono verso il villaggio dei vincitori, con calma, sperando che quel momento durasse più tempo possibile e cullandosi in quella mutua stretta.
 
Arrivarono troppo presto di fronte a casa di Katniss, quindi lui lasciandole la mano disse:
 
-Beh, buonanotte Katniss.-
 
Lei però, affondando ancora di più nella felpa mormorò imbarazzata:
 
-Vuoi.. Insomma in questi giorni che eravamo almeno un po’ più vicini ho avuto meno incubi.-
 
Il ragazzo deglutì, temendo quello che sarebbe potuto succedere.
 
Le notti precedenti a Capital City erano divisi solo da una sottile parete, non dormivano nello stesso letto, ma sapeva che Katniss l’avrebbe voluto nel suo letto.
 
Eppure lui non si sentiva pronto a quel passo, non era sicuro che non avrebbe avuto qualche crisi che potesse metterla in pericolo o cose del genere.
 
Nonostante ciò acconsentì con un cenno del capo, facendola sorridere radiosa, perché in fondo era qualcosa che anche lui desiderava dal profondo del cuore.
 
-Vado a prendere il pigiama e a farmi una doccia, mi aspetti sveglia?-
 
Propose lui con un sorriso incerto e al cenno affermativo della ragazza si incamminò verso casa sua.
 
Katniss era già immersa in un pigiama ampio e Peeta sorrise divertito nel vederla.
 
-Non prendermi in giro!-
 
Sibilò lei, osservando il pigiama anonimo che indossava il ragazzo, che contrastava con il suo così colorato.
 
Tra i due era calato un leggero imbarazzo, come se stessero per fare qualcosa di più che non dormire semplicemente insieme.
 
-Ti avviso che domani mattina devo svegliarmi all’alba, per fare il pane. Sono silenzioso, quindi non dovrei disturbarti.-
 
-Nessun problema. Non mi disturberesti.-
 
Entrambi salirono le scale, entrando nella camera di Katniss, in leggero disordine.
 
Entrarono nella stanza e Peeta si tuffò sul letto morbido.
 
-L’unica cosa positiva di Capital City sono questi letti. Gli adoro!-
 
Katniss scoppiò a ridere e si sedette sul bordo del letto, leggermente imbarazzata. Quindi chiese apprensiva:
 
-Com’è stato? Ti hanno fatto male?-
 
-Parecchio.-
 
Ammise lui, mettendo le mani sotto la testa e fissando il soffitto, per poi aggiungere:
 
-E sinceramente non so quanto sia servito. Mi hanno iniettato delle strane sostanze che hanno studiato contro il veleno degli aghi inseguitori, mentre mi facevano vedere cosa è effettivamente successo agli Hunger Games, quindi ora bisogna cronometrare tra quanto tempo avrò il prossimo attacco. Ho rivisto praticamente tutti i momenti che abbiamo passato insieme nell’arena, sia nella prima che nella seconda, anche se ormai molti ricordi ero riuscito a farli riaffiorare da soli.-
 
La tranquillità con cui Peeta parlava dell’argomento metteva a disagio Katniss, perché nel tono del panettiere c’era una nota di accettazione di come stessero le cose, conscio che non si potesse tornare completamente indietro ormai e il problema di Katniss era che lei non aveva ancora accettato questo fatto.
 
-Sono frequenti? Con me cerchi sempre di nascondere tutto.-
 
Osservò un po’ delusa, cercando di far capire a Peeta che lei ne soffriva della cosa e non voleva che lui usasse dei riguardi nei suoi confronti.
 
Sapeva quanto c’era stato male lui quando lei l’aveva tenuto all’oscuro del fatto che fosse stata minacciata dall’ex presidente Snow o quando aveva scoperto che lei e Haymitch avevano un loro modo di comunicare nell’arena, quindi sperava nella completa sincerità dell’amico.
 
-Non voglio farti del male, tutto qui. Sono più frequenti quando sto con te, ma perché sei tu la persona su cui hanno modificato i miei ricordi. Sinceramente penso che non scompariranno mai del tutto i flashback.-
 
Spiegò lui, cercando di non urtare la sensibilità di Katniss.
 
-Quindi continuerai ad odiarmi nel profondo?-
 
Domandò lei con tono apprensivo, mentre abbassava gli occhi affranta.
 
Katniss si sentì tirare indietro, in modo che si sdraiasse sul letto, e Peeta l’abbracciò, tuffandosi nei suoi capelli e inspirando a fondo quel profumo che tanto amava e da li rispose:
 
-Io non ti odio scema, non potrei mai odiarti.-
 
Sulle labbra della ragazza comparve un sorriso sincero, quindi sentendo il pendolo suonare l’una affermò:
 
-E` meglio dormire! Domani ti devi alzare all’alba!-
 
Il ragazzo acconsentì senza discussioni e si stiracchiò leggermente pronto a mettersi a dormire.
 
Katniss si accoccolò in un angolo del letto, nella speranza che lui occupasse tutto quello spazio in esubero, che così spesso aveva sentito freddo e vuoto al suo fianco.
 
Peeta stava soppesando la situazione, se rischiare di farle del male o se dormire sulla sedia in fondo alla camera. La tentazione di stringerla di nuovo a se lo vinse alla fine, quindi si sistemò meglio sul letto e attirò a se la ragazza, affondando il viso nei suoi capelli.
 
In fondo, si disse, doveva testare se quella cura l’avesse o meno aiutato.
 
-To be continued. 
 
 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

CAPITOLO 13
 

 
Quando conoscerò la tua anima dipingerò i tuoi occhi
- A. Modigliani 
 


Katniss stava facendo colazione quando Peeta rientrò in casa e si diresse in cucina con due pagnotte strette in mano.
 
Era una giornata afosa nonostante fosse ancora mattina presto e i cittadini che conoscevano il distretto 12 sapevano che o avrebbe piovuto presto o probabilmente la siccità si sarebbe portata via i piccoli orti che avevano tutti piantumato.
 
L’odore di aneto e cannella anticipò il ragazzo, facendo girare la Ghiandaia con un sorriso rilassato per accoglierlo.
 
-Non ti ho ucciso questa notte, hai visto?-
 
Scherzò lui, accomodandosi a tavola ricambiando con un sorriso divertito la ragazza.
 
Lei lo osservò con la coda dell’occhio, tornando alla sua colazione, notando come le profonde occhiaie che l’avevano accompagnato fino alla sera prima fossero finalmente meno marcate, segno che quella notte avesse dormito realmente.
 
-Te l’avevo detto di fidarti!-
 
Rispose lei togliendo dal fuoco l’acqua del the, che versò in due tazze.
 
Ben presto l’aroma della bevanda si espanse nella stanza, fondendosi con il profumo del pane di Peeta appena sfornato, rendendo l’atmosfera quasi surreale. Sembrava una mattina di una famiglia normale che si dedicava alla colazione, non quella di due persone che stavano cercando di rimettere insieme i pezzi delle loro vite.
 
-Mi stai viziando con tutto questo pane morbido, lo sai? Penso che non riuscirei più a mangiare quelle croste che mi sono sempre toccate.-
 
Osservò Katniss strappando un altro pezzo dalla pagnotta con le uvette e addentandola con gusto.
 
Prima che Peeta potesse rispondere il telefono iniziò a suonare, ma lei sembrò non dar peso alla cosa, infatti continuò con la sua colazione con immensa tranquillità.
 
-Non rispondi?-
 
Domandò dopo il terzo squillo il ragazzo, iniziando ad innervosirsi per l’insistenza.
 
-Non ho quest’abitudine.-
 
Ribatté lei tranquilla, quindi Peeta si alzò e annunciò:
 
-Vado io!-
 
Non ricevendo risposta il ragazzo alzò la cornetta dubbioso con un “pronto?”, subito seguito dal saluto dall’altro capo.
 
-Buongiorno Dottore! Si, sono a casa di Katniss. Sarà felice di sapere che questa notte non l’ho uccisa e che quindi la cura ha dato qualche miglioramento!-
 
Si sentì una risata dall’altro capo, quindi dopo qualche istante di silenzio da parte di Peeta anche lui scoppiò a ridere, prima di ringraziare cortese il dottore e riagganciare.
 
-Cosa voleva?-
 
Domandò Katniss apparentemente poco interessata, continuando a mangiucchiare il suo panino.
 
Il ragazzo alzò le spalle e si lasciò cadere sulla sedia con un sorriso:
 
-Niente, mi ha detto che era un po’ che non ti sentiva ed era curioso delle tue reazioni dopo la visita alla capitale. Ma poi ha detto che se c’ero io a badare a te allora stava tranquillo.-
 
Katniss lo guardò storto e rispose:
 
-Quindi sei il mio baby sitter?-
 
Lui la guardò di sottecchi, nella speranza che non si fosse offesa per quell’uscita infelice.
 
-Diciamo che siamo l’uno il baby sitter dell’altro, l’unica cosa è che io qualche volta cerco di ucciderti.-
 
Concluse lui con un’alzata di spalle, facendola rabbuiare. Per cambiare discorso lei domandò:
 
-Cosa farai oggi? Io ora volevo andare a caccia, ma nel pomeriggio potrei darti una mano con la panetteria.-
 
Si propose lei, quindi il ragazzo le sorrise di rimando e rispose affabile:
 
-Andrebbe benissimo! Sarà meglio però che io vada a distribuire il pane!-
 
Annunciò lui con un sorriso di scuse, quindi si congedò.
 
Da quel giorno i due iniziarono a tornare a dormire insieme, facendosi compagnia a vicenda nella loro solitudine, passando poi sempre più momenti insieme durante la giornata, iniziando senza rendersene conto ad entrare uno nella vita dell’altra, imparando i loro ritmi, scoprendo tanti fantasmi che ancora aleggiavano su di loro.
 
-Tu non mi hai mai raccontato di com’è stata la tua prigionia. Solo Johanna ne parla.-
 
Affermò una sera Katniss, quando Haymitch era già tornato a casa e lei e Peeta stavano bevendo una camomilla davanti al camino prima di andare a dormire.
 
Peeta guardò la vicina spaesato, non pensando che a lei potessero interessare quei giorni di dolore, e domandò:
 
-Perché lo vuoi sapere?-
 
Katniss soffiò sul vapore che usciva dalla tisana e rispose sincera:
 
-Perché voglio sapere quello che hai passato e aiutarti. So solo degli aghi inseguitori..-
 
Peeta si lasciò sfuggire un mezzo sorriso e spiegò:
 
-Il più grande aiuto me lo fai standomi vicino ora.-
 
Katniss si voltò verso il ragazzo del pane e ribatté sulla difensiva:
 
-Non mi sembra proprio di aiutarti, anzi non faccio che darti problemi.-
 
A Peeta scappò un altro sorriso, mentre ancora una volta si rendeva conto di quanto Katniss non fosse in grado di capire che effetto lei avesse ancora in quel momento su di lui.
 
-Non è affatto vero, come sempre ti sminuisci. Tu mi aiuti quando stiamo insieme, quando passi con me un pomeriggio in panetteria cantando, quando siamo qua ogni sera a scrivere.- Peeta si interruppe e osservò quegli occhi che riuscivano a scuoterlo ogni giorno, proseguendo poi: -Comunque se vuoi sapere quello che ho passato non penso sia opportuno farlo prima di andare a dormire.-
 
Katniss non rispose subito, indecisa se insistere o lasciare cadere il discorso, quindi alla fine concluse:
 
-Domani però me lo racconti, ok? Non voglio che tu continui a tenerti tutto dentro senza mai rendermi partecipe di quello che ti fa preoccupare.-
 
La schiena del ragazzo fu percorsa da un brivido vedendo il volto seriamente dispiaciuto di Katniss, rendendosi conto di quanto ancora lo facesse  impazzire. Stava pian piano imparando a conoscerla, come non era mai effettivamente successo prima degli Hunger Games. E ora, immersi nella loro quotidianità, stavano entrambi mostrando i rispettivi caratteri, senza paura di deludere il pubblico e di perdere le sue simpatie. Non c’erano sponsor da intrattenere e affascinare, non c’erano i distretti in attesa di vedere segni della rivolta nei loro gesti, non c’era nessun altro a parte loro.
 
Erano semplicemente Katniss Everdeen e Peeta Mellark, cambiati dagli Hunger Games e dalla rivolta, ma finalmente rimmersi nella quotidianità.
 
-Tu lo sai che le cose che più mi fanno preoccupare riguardano te, Katniss.-
 
Rispose Peeta posandole un bacio leggero sulla fronte e appoggiando la tazza sul tavolino davanti al divanetto, stiracchiandosi stancamente.
 
-Andiamo a dormire, che è tardi.-
 
*
 
Il mattino dopo il loro risveglio avvenne in modo piuttosto brusco.
 
Un tuono fece tremare il pavimento, facendo sobbalzare entrambi svegliandoli.
 
Katniss guardò fuori terrorizzata, mentre Ranuncolo sgusciava sulle sue ginocchia, miagolando terrorizzato. La ragazza lo strinse a se e lo fece scivolare sotto le coperte, dove quello si infilò senza far storie.
 
Fuori dalla finestra imperversava un temporale veramente forte, mentre la pioggia batteva sui vetri, rigandoli di rigagnoli di pioggia.
 
“E` un tipico temporale estivo.”, Katniss continuava a ripetersi la frase nella mente, ma il suo corpo non smetteva di tremare.
 
Non riusciva più a sopportare i temporali da quando era stata vittima del bombardamento nel distretto tredici, da allora ogni volta in cui sentiva il terreno tremare i ricordi dell’angoscia di quelle ore la invadeva, facendola entrare nel panico, mentre il ricordo di Prim le tornava prepotente alla mente.
 
-Katniss, calmati.-
 
Sussurrò Peeta, che era rimasto sdraiato nel letto ad osservare lo spettacolo fuori dalla finestra assorto in chissà quali ricordi.
 
-Non ci riesco.-
 
Ammise lei, raggomitolandosi in un angolo del letto, come a volersi isolare dal mondo esterno.
 
-Non ci riesco. Mi sembrano le bombe che cadono sul Distretto Tredici e poi penso a Prim che è morta sotto quelle di Capital City.-
 
Piagnucolò lei mentre grosse lacrime iniziavano a rigarle la guance al ricordo della sorellina scomparsa.
 
Ranuncolo si intrufolò tra le sue braccia nel sentire il nome di Prim e anche lui iniziò a miagolare nostalgico.
 
Peeta si mise a sedere accanto a lei e iniziando ad accarezzarle i capelli mormorò:
 
-E` un semplice temporale, Katniss. Tra massimo un’ora tornerà il sole te lo prometto.-
 
Vedendo che le sue parole non servivano a nulla iniziò a coccolarla dolcemente, finché smise di tremare e i singhiozzi si fecero sempre meno frequenti.
 
Pian piano i tuoni diminuirono d’intensità e la pioggia terminò, lasciando spazio ad un pallido sole mattutino.
 
-Grazie Peeta.-
 
Sussurrò lei infine, guardando grata quegli occhi azzurri che ormai erano diventati indispensabili per lei.
 
-Grazie anche questa volta.-
 
Ammise lei sorridendogli. Lui la guardò confuso e domandò:
 
-Grazie anche questa volta?-
 
Lei annuì e, vedendo come Peeta non avesse colto il perché, spiegò:
 
-Se tu non ci avessi avvisati che stavano per bombardare il tredici Gale e Prim sarebbero morti.-
 
Il ragazzo chiuse gli occhi irrigidendosi e allontanandosi leggermente da Katniss.
 
Lei trattenne il respiro, pentendosi di avergli fatto ricordare delle cose così terribili, ma lui dopo pochi secondi riaprì gli occhi e apparvero di un bellissimo azzurro.
 
-Allora ne è valsa la pena.-
 
Rispose tranquillo, ma Katniss vedeva dai suoi occhi che non andasse tutto bene.
 
-Non solo loro!-
 
Si affrettò ad aggiungere.
 
-La Coin mi aveva detto che la procedura di evacuazione è stata ultimata solo grazie a te. Quando gli hovercraft sarebbero stati individuati dai nostri radar sarebbe stato troppo tardi. Non ci saremmo salvati tutti.-
 
Lui sorrise nuovamente e rispose divertito:
 
-Non devi farmi apparire come un eroe. Io ho cercato di ucciderti dopo quell’avvenimento.-
 
-Separiamo le cose!-
 
Sbottò subito Katniss indispettita.
 
-Tu hai salvato un sacco di vite! Ed è stata Capital City a provare ad uccidermi, non tu.-
 
Il ragazzo sorrise e diede un bacio leggero sulla fronte di Katniss.
 
-Sei fantastica quando mi difendi, ma non è giusto che tu lo faccia. E` colpa mia.-
 
-Smettila di dire assurdità! Chissà in che modi ti hanno torturato!-
 
Il ragazzo le accarezzò i capelli dolcemente, quindi rispose:
 
-La tortura più grande era non essere vicino a te.-
 
La ragazza arrossì in modo evidente sentendo ancora una volta la franchezza con cui lui le parlava dei suoi sentimenti e ancora una volta non seppe cosa rispondere.
 
Cosa provava lei per Peeta?
 
Amicizia?
 
Amore?
 
Ma prima che i suoi pensieri potessero essere approfonditi la voce calma di Peeta la fece tornare alla realtà.
 
-Non devi rispondermi nulla, ricordatelo.-
 
-Ma io..-
 
Il ragazzo sorrise divertito ed iniziò a disegnare piccoli cerchi sulla schiena di Katniss, per poi interromperla:
 
-I temporali mi fanno una certa impressione perché Johanna veniva torturata con lo stesso principio. Quand’era in acqua la torturavano con l’elettricità e posso solo immaginare il miracolo per il quale non sia morta.-
 
Katniss trattenne il respiro rabbrividendo.
 
-Visto che non ti devo raccontare nulla? Sei bianca come un cencio.-
 
-Iniziamo da qualcosa di più semplice allora, come vanno i tuoi incubi?-
 
Il ragazzo alzò le spalle poco convinto e rispose a disagio:
 
-Non meglio. Ultimamente, quando dormo con te, le cose vanno meglio, ma ne faccio comunque ancora moltissimi.-
 
-Come mai?-
 
-Perché quando mi sveglio a parte la paura di averti perso si va a sommare quella di odiarti.-
 
Gli occhi grigi di Katniss andarono a cercare una conferma di quanto affermato in quelli di Peeta, che però li distolse mortificato dall’ammissione.
 
-Non ti potrei mai odiare! Ricordalo sempre!-
 
Ribatté lei con un sorriso sincero, stringendo il ragazzo forte.
 
Lui le baciò la testa, ringraziandola silenziosamente per essere li con lui nonostante tutto.
 
- To be continued.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

CAPITOLO 14
 

Un matrimonio?
Adoro i matrimoni, da bere per tutti!

- Jack Sparrow 
 

Il distretto 12 era in fermento da diverso tempo per quell’avvenimento che ormai era alle porte.

Neanche l’afa estiva riusciva a fermare l’entusiasmo con cui i cittadini aspettavano quel giorno, che fino all’anno precedente coincideva con l’inizio degli Hunger Games.

Avevano scelto di comune accordo quel giorno, per rimarcare che ormai quell’anniversario doloroso era cancellato.

Si sarebbe celebrato un duplice matrimonio e, sempre di comune accordo, si era deciso di dedicare ai neo sposini due delle case del villaggio dei vincitori, che altrimenti sarebbero rimaste ancora vuote e inutilizzate.

Era un altro modo per rimarcare la loro libertà, le case dedicate ai vincitori di un gioco basato sul massacro di giovani ragazzi sarebbero andate a dei veri vincitori, quelli che erano riusciti a trovare l’amore nonostante tutto il buio attorno a loro.

L’idea era stata di Peeta, che si prodigava in tutti i modi per mantenere alto l’umore del distretto, cercando di aiutare tutti e di pacificare sui litigi che nascevano.

Il buon umore quindi aveva preso tutti, che cercavano di aiutare per il buon esito dell’evento, anche se molti di loro non conoscevano direttamente gli sposi.

Peeta aveva preparato una torta, che non era al livello di quella per Finnick visto le scarse risorse, ma probabilmente era la cosa più prelibata che avessero mai visto in quel distretto per un matrimonio.

Katniss, che si teneva sempre in disparte quando c’erano troppe persone intorno, aveva però aiutato la causa cacciando un cervo, che in paese era stato accettato con entusiasmo.

Il giorno tanto atteso arrivò una domenica soleggiata, dove nella nuova piazza del paese, su un semplice palchetto di legno, il signor Hussain, nonché nuovo sindaco del distretto, unì in matrimonio due giovani coppie, una del dodicesimo distretto e una nata dall’unione di un ragazzo del tredicesimo con una giovane del dodicesimo.

L’unione tra i due distretti sancì quello che era successo in quei mesi, dove molti abitanti del tredicesimo erano andati a vivere nel dodicesimo, dove stavano cercando di creare un nuovo paese insieme ai pochi sopravvissuti.

Quando vennero scambiati i baci e firmate le carte per la nuova casa l’intera popolazione del distretto li seguì al villaggio dei vincitori, dove avvenne la tostatura del pane e le due coppie si sentirono veramente sposate.

Poco dopo mezzogiorno iniziò un banchetto, in cui il cervo di Katniss e qualche altro animale vennero divisi tra la popolazione. Il clima era gioioso, tutti cercavano di godersi quegli attimi di felicità che non si erano mai potuti concedere prima.

Il momento di massima emozione fu per tutti quando la torta di Peeta fece il suo ingresso e tutti ne ricevettero almeno un pezzetto. Per molti era la prima volta che avevano la possibilità di assaggiare una simile prelibatezza, ma nessuno ebbe il coraggio di chiedere il bis per paura di rubarne agli altri.

Quando il pomeriggio era ormai inoltrato il violinista del distretto attaccò con una melodia conosciuta a tutti e, mentre i fanciulli cantavano gioiosi, tutti iniziarono a ballare.

Katniss era rimasta in ombra tutto il giorno, sorridendo e applaudendo quando era necessario, mentre una malinconia acuta la prendeva nel ricordare l’ultimo matrimonio a cui aveva assistito.

Era stato un giorno particolare, in cui si era ritrovata leggera a ballare con Prim, aveva applaudito per Finnick e Annie veramente felice, finché non aveva provato male alle mani e soprattutto era stato il giorno in cui Peeta le aveva dato della stronza.

Tutti quei ricordi aleggiavano nella sua mente, ovattandola e facendola sentire profondamente infelice.

Si sentiva troppo sola in quel posto pieno di gente, dove tutti erano riusciti a lasciarsi alle spalle i brutti avvenimenti, tutti tranne lei.

Venne catapultata fuori dai suoi pensieri quando una mano la prese e la fece alzare in piedi, quando alzò gli occhi incontrò quelli chiari di Peeta che annunciò radioso:

-L’ultima volta ero segregato in una cella e non ho potuto ballare con te, me lo devi per forza oggi!-

Alla ragazza sfuggì un sorriso imbarazzato, quindi lui proseguì:

-Dai, abbiamo ballato insieme un mucchio di volte a Capital City o negli altri distretti, mostriamo cos’abbiamo imparato nel nostro!-

La ragazza rispose, trascinata dall’allegria dell’amico:

-Va bene Peeta, in fondo un ballo in più non mi farà di certo male!-

I due iniziarono a ballare insieme un ballo allegro e festoso, tipico del Dodicesimo Distretto, finché non si cambiarono le coppie e Peeta lasciò la ragazza nelle mani di Thom, che l’accolse con un sorriso radioso.

Trascinata dalla musica e dagli allegri canti Katniss si lasciò andare, godendosi solo tutti i sorrisi che i cavalieri le dedicavano, mentre sfiorava le lunghe gonne delle altre dame.

Dopo parecchie canzoni il violinista dedicò una canzone agli sposi, una musica lenta e intrisa di dolcezza, in cui le varie coppie presenti si strinsero per potersi dedicare solo a loro.

Katniss stava tornando a sedersi quando con la coda dell’occhio vide Peeta che la osservava, indeciso se invitarla o meno a ballare.

Loro due non erano fidanzati, anche se spesso agli occhi estranei apparivano tali. Non avevano mai messo in chiaro i loro sentimenti, probabilmente perché nessuno dei due era ancora convinto del tutto o forse per non rovinare quel surrogato di rapporto a cui entrambi si attaccavano nei momenti di difficoltà.

Peeta era tentato di fermarla, ma non voleva insistere per stare sempre con lei.

Inaspettatamente Katniss tornò sui suoi passi e disse con un sorriso:

-Ti ricordi quando a Capital City c’erano i violinisti sulle nuvole? Quando io volevo assaggiare tutto e i miei preparatori hanno fatto vedere come facevano a continuare a mangiare alle feste?-

Peeta annuì, mentre la sua espressione si faceva dura, e rispose:

-E` una cosa che non potrei dimenticare quella.-

-C’era una musica simile quella sera, vieni.-

Ribatté lei, sorvolando sul ricordo del suo primo ballo con Plutarch quella sera, prendendo per mano il ragazzo del pane e trascinandolo in un angolo del prato che usavano come pista da ballo.

Cinse il collo del fornaio con le mani e con un sorriso iniziò a muoversi lentamente in cerchio, mentre lui, dopo averle stretto i fianchi, iniziava a seguirla in silenzio.

Ballarono per parecchi minuti, persi nei ricordi di Capital City, mentre si isolavano da tutto il resto del mondo. Improvvisamente Peeta si bloccò, rischiando di far perdere l’equilibrio alla ragazza, che cercò immediatamente di capire come mai si fosse fermato.

La stretta alla sua mano aumentò e, capendo cosa stesse per succedere, Katniss sussurrò dolcemente, con un tono che poteva apparire quasi una supplica:

-Peeta, non lasciarti portare via dai brutti ricordi, per favore.-

Il ragazzo però stava iniziando a sussultare più forte, quindi con uno strattone Katniss sciolse le loro mani e prese il volto di Peeta, obbligandolo a guardarla negli occhi.

-Peeta. Guardami negli occhi.-

Disse imperiosa vedendo come gli occhi azzurri stavano per essere inghiottiti dal nero, obbligandolo a osservare i suoi occhi grigi, che in quel momento lasciavano trapelare tutti i sentimenti che lei non era mai riuscita ad ammettere di provare.

Il ragazzo del pane impiegò qualche secondo per smettere di tremare, ma poi molto lentamente, gli occhi iniziarono a tornare chiari, facendolo calmare.

Katniss lasciò il volto solo quando un debole sorriso di scuse apparve sulle labbra dell’amico, quindi appoggiò la fronte sul suo petto, stringendolo poi in un abbraccio. Dopo un primo momento di esitazione lui ricambiò la stretta, sussurrandole:

-Grazie Katniss.-

Lei alzò gli occhi e sorrise sincera, quindi lo prese per mano iniziando a camminare lontano dalla folla godendosi solo uno la compagnia dell’altra. Fu Katniss ad interrompere il silenzio quando mormorò, guardando i suoi piedi che avanzavano sull’erba:

-Quando un bel po’ di tempo fa mi resi conto che alla fine Capital City ci avrebbe obbligati a sposarci e a stare insieme per sempre Haymitch mi disse che poteva capitarmi di peggio che non te.-

Gli occhi di Peeta si fecero attenti, curioso di sentire cosa aveva da dire la ragazza a riguardo.

Ricordava bene cos’era successo, il depistaggio non aveva modificato quei ricordi e ancora riusciva a sentire il senso di opprimente tristezza che l’aveva colto quando avevano deciso che sarebbe stato tutto per far convincere il presidente e non perché la ragazza fosse realmente innamorata di lui.

Non la interruppe, anzi la guardo incoraggiante, quindi lei proseguì:

-Beh, sinceramente penso che non mi sarebbe potuto capitare di meglio. Ti voglio bene Peeta.-

La ragazza sentì nascere un sorriso sulle labbra che pronunciarono di rimando:

-Anche io Katniss. Non immagini quanto.-

Lei non ebbe il coraggio di alzare gli occhi e guardarlo mentre ammetteva quella che ai suoi occhi appariva come una debolezza, ma già per il fatto che l’avesse detto senza forzature per lui era come una mezza dichiarazione d’amore.

Con le mani sempre intrecciate i due proseguirono a vagare per i margini della festa, finché la pace che aleggiava tra loro venne interrotta dall’arrivo di Delly in lacrime.

-Peeta!-

Ansimò quella abbracciando il ragazzo del pane, che la strinse a se confuso, lasciando andare la mano di Katniss per stringere il corpo dell’amica d’infanzia.

-Cosa succede?-

Domandò lui spaventato, lei tra i singhiozzi rispose:

-Peeta, il mio fratellino Izac continua a piangere, non riesco a farlo smettere! Non ce la faccio più! Perché i miei genitori se ne sono andati?-

Il volto del ragazzo si fece grave e stringendo più forte a se Delly le rispose:

-Stai tranquilla, ci sono qui io. I tuoi genitori hanno lasciato Izac in buone mani affidandolo a te, anche se ci sono momenti difficili.-

Delly sollevò lo sguardo pieno di lacrime e scosse la testa sconsolata, ribattendo dura:

-Non è vero. Io non ce la faccio più. Non so più cosa dirgli per farlo smettere di piangere.-

-Vado a parlarci io, tu promettimi solo di non piangere davanti a lui, devi essere forte.-

Concluse Peeta scostandola da lui e guardandola dritto negli occhi, con aria severa.

-Se lui vede cedere te, non vedrà il motivo per essere forte.-

Quando Delly si fu asciugata le lacrime ed ebbe annuito convinta Peeta si allontanò, andando a cercare Izac.

-Perché piangi?-

La voce sicura del ragazzo del pane fece voltare il corpicino del fratello di Delly, accovacciato in un angolo tremante

-Voglio la mia mamma e il mio papà. Mi mancano tanto.-

Ammise quello con il corpicino ancora smosso dai singhiozzi.

-Beh, ma hai la tua sorellona, no?-

Domandò Peeta, accarezzando dolcemente la testa del bambino, facendolo appoggiare al suo petto e sedendosi accanto a lui.

-Ma io voglio anche la mia mamma! Perché se n’è andata?-

Domandò quello tornando a piangere, questa volta consolato dalle mani sicure del biondo.

-Sai, nel bombardamento sono morti anche la mia mamma, il mio papà e i miei fratelli.-

Spiegò Peeta con un sospiro triste, ricordando la sua famiglia che non era mai riuscito a salutare, mentre gli si formava un groppo in gola.

Nonostante ciò proseguì incoraggiante:

-Quando mi mancano io guardo il cielo e riesco a vedere i loro sorrisi nelle stelle. Guarda quelle due stelle per esempio, non ti sembrano gli occhi della tua mamma?-

Domandò alzando un braccio e indicando due luci nel cielo blu che li sovrastava.

Poi, con tono più dolce ancora, mormorò:

-Avevano la stessa luce quando ti guardavano, me lo ricordo. Ricorda che lei ti guarda sempre da lassù! Quindi non farle vedere che piangi, ma che sei felice di stare con tua sorella.-

Concluse lasciando un bacio sulla fronte del bambino e sciogliendo l’abbraccio, in modo che il bambino potesse correre tra le braccia della sorella, che ascoltava alle loro spalle con gli occhi pieni di lacrime.

Il bambino strinse forte a se Delly, che lo prese in braccio e quasi lo soffocò da quanto lo tenne vicino a lei. Appena lo lasciò a terra lui, prendendola per mano e indicando con l’altra il cielo, squittì:

-Guarda! Quelle due stelle vicine alla mamma sono gli occhi di papà! Erano così quando tornava dal lavoro alla sera e ci vedeva!-

E tra le lacrime Delly si girò, ringraziando Peeta con un sorriso muto, mentre i suoi occhi brillavano come le stelle dei suoi genitori.

Peeta le sorrise di rimando, pronto a tornare da Katniss, ma non la vide dove l’aveva lasciata.

Avviò immediatamente le ricerche, dirigendosi nell’angolo in cui aveva lasciato Haymitch e il vino, sicuro che almeno lui non si fosse mosso.

Era infatti ancora stravaccato sulla sedia e non si allarmò particolarmente quando il ragazzo del pane annunciò la sparizione di Katniss, ma si limitò a ruttare e a dire che la ragazza sapeva cavarsela benissimo da sola.

Peeta proseguì la sua ricerca, spiando tra gli invitati e i gruppetti di persone ferme a parlare andò addirittura a casa sua, trovandola però vuota.

L’unico posto in cui poteva trovarsi gli venne in mente come un fulmine a ciel sereno, quindi iniziò a correre verso il bosco.

La vide di spalle, accovacciata mentre guardava il bosco sotto di lei, nel punto in cui solitamente si trovava con Gale per andare a caccia.

Il corpo di Katniss tremava sia per il freddo che per i singhiozzi, quindi Peeta si avvicinò piano, per non darle fastidio.

Katniss voleva restare sola in quel momento, oppressa dal ricordo di Prim, di suo padre, di Rue, di Cinna, di Finnick e di tutti quelli che se n’erano andati che aveva considerato parte di se.

Era giunta alla conclusione di avere una maledizione sopra di lei, che le portava via tutti quelli che amava.

La stessa maledizione che aveva fatto finire in malo modo il rapporto suo e di Gale e quella che aveva permesso il depistaggio di Peeta.

Sembrava che non fosse il suo destino poter condividere la felicità con qualcuno e, vedendo come Peeta stringesse Delly tra le braccia, le era apparso chiaro come lei non avrebbe mai avuto un futuro roseo con lui, mai.

Sussultò quando Peeta le appoggiò gentilmente il suo maglioncino sulle spalle, mentre la brezza fresca che tirava in quel punto lo faceva riempire di brividi, accovacciandosi poi accanto a lei, cingendole le spalle per tenerla più vicina.

-A me non riuscirai ad intortarmi con la storia delle stelle.-

Lo liquidò cercando di scostarlo per cercare di nascondere la fitta di gelosia che l’aveva presa, ma lui la tenne ben salda e rispose con tono dolce:

-Dovresti crederci invece che loro sono lassù che vegliano su di te. Sei sopravvissuta a due Hunger Games e ad una guerra, non è da tutti.-

La ragazza tirò su col naso, appoggiando la guancia alla spalla del ragazzo e arrendendosi al farsi almeno consolare da lui, per poi rispondere debolmente:

-E allora perché lei se n’è andata?-

Peeta sospirò, aspettandosi questa domanda spinosa. Quindi spiegò tranquillo, mentre iniziava ad accarezzarle i capelli per calmarla:

-A quanto pare non bastava un angelo solo per badare a due ragazze così speciali. Pensa che ora loro due si sono ri-incontrati e ora vegliano su di te, perché non ti accada mai più nulla di male.-

-Avrei preferito morire io piuttosto che Prim.-

Rispose Katniss asciutta, mentre le lacrime tornavano a rigarle il viso.

-Penso che anche lei la pensasse in questo modo. Vi volevate un gran bene e vi invidio. Sai, tu ti sei offerta a morte certa per proteggerla, mentre nessuno dei miei due fratelli l’ha preso in considerazione. Eravate l’invidia di tutta Panem.-

Katniss si rese conto di come si doveva essere sentito lui, subito dopo la mietitura quando lei si era appena offerta per salvare sua sorella e i suoi fratelli invece erano rimasti in silenzio.

-Come ti sei sentito? Quando loro non sono venuti?-

Si informò titubante, con la voce non più strozzata dai singhiozzi. Peeta alzò le spalle stanco e rispose semplicemente:

-Non ce l’ho su con loro, in fondo non è facile sacrificare la propria vita per una persona così su due piedi.-

E nella mente di Katniss si fece largo il pensiero che invece Peeta l’aveva fatto più volte, nonostante lei l’avesse trattato in modo orribile, nonostante lei non l’avesse amato come doveva.

Non poteva concepire come i suoi fratelli non si sarebbero sacrificati per lui, per un ragazzo tanto speciale. Peeta, che era pronto a consolare Delly e il suo fratellino nonostante anche lui fosse solo, che aveva deciso di sacrificarsi dal primo momento per lei nell’arena, che nel distretto si dava tanta pena per far vivere tutti in serenità non aveva avuto nessuno che si offrisse al suo posto alla mietitura.

Dopo qualche momento di silenzio Peeta mormorò timidamente:

-Lo so che siamo un po’ disastrati e magari non la prima scelta. Ma penso che io, te e Haymitch ormai possiamo definirci una famiglia.-

In quel momento arrivò con passo malfermo anche Haymitch, che si lasciò cadere alle loro spalle, stringendoli entrambi, per poi affermare sprezzante:

-Che consolazione, eh dolcezza? Non saremo mai al livello di Prim o di tuo padre, ma ci saremo sempre per te. Soprattutto il giovanotto qua.-

Katniss non venne infastidita neanche dall’alito vinoso del mentore, perché sapeva che era il loro modo per farle capire che ci sarebbero sempre stati e, nonostante la persistente voglia di piangere, le sfuggì un mezzo sorriso e, mentre un senso di calore la assaliva nel petto, rispose:

-Grazie. Grazie per esserci sempre, anche nei momenti difficili.-

Questa volta la lacrima che le sfuggì dagli occhi non era per il lacerante dolore che provava ogni volta che pensava a Prim, suo padre, Rue, Cinna o tutti gli altri che erano scomparsi, ma di gioia per avere vicino quei due ragazzi, che, con tutti i loro limiti, erano li con lei.

-E` questo che fa una famiglia, no? Ci si aiuta sempre.-

Affermò Peeta prendendole la mano, mentre Haymitch scompigliava i capelli di entrambi per poi sbottare:

-Non diciamo troppe smancerie ora eh! Sono pur sempre un uomo io!-

I due ragazzi scoppiarono a ridere e, mentre Peeta si tirava dietro Katniss per farla alzare e tornare alla festa, Haymitch si avviò traballante verso il grande falò al centro della festa, brandendo la sua bottiglia di vino. I due giovani lo seguirono a pochi passi di distanza, mentre il calore che irradiava la mano di Peeta faceva nascere una nuova consapevolezza nel cuore di Katniss.

Lei non sarebbe mai stata sola finché quel ragazzo restava con lei e questa volta non l’avrebbe lasciato andare per nulla al mondo.

E fu con quella consapevolezza che finalmente riuscì a sorridere senza alcun motivo apparente.


 
- To be continued. 
 
 
 
 
 

*Angolo dell’autrice*
Ehilà!!
Innanzitutto ringrazio tutti quelli che recensiscono e seguono la storia, perché senza tutti voi io non andrei avanti!
Volevo farvi i miei migliori auguri per un felice Natale e un anno nuovo super positivo!
Purtroppo non sarò in grado di aggiornare durante le vacanze perché sarò via, quindi mando un abbraccio a tutti e ci rivedremo dopo la befana! :)
Vi abbraccerei tuttissimi!
Ciaooo!
Saru <3

 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

CAPITOLO 15

 
L'amore colpisce in modo subdolo, spesso improvviso.
È un sentimento irrazionale che penetra dolcemente e invade tutto l'organismo,
Come un'endovenosa che si diffonde capillarmente
E che modifica il nostro modo di pensare e di agire.
Provocando, a volte, una narcosi totale.

 
  • - Piero Angela
 
 
Le immense colline frastagliate di alberi intorno al distretto dodici avevano tutte le tonalità del verde, illuminate da un sole splendente piazzato in mezzo ad un cielo azzurro in cui gli uccelli volavano alti.
 
Era una tipica giornata estiva, nonostante ormai la bella stagione fosse al suo declino.
 
Peeta si accomodò sull’erba accanto a Katniss, porgendole una scatoletta quadrata, mentre cercava di concentrarsi altrove.
 
-Cos’è?-
 
Domandò lei curiosa, rigirandosi il pacchettino tra le mani, mentre con la coda dell’occhio poteva percepire il leggero disagio del ragazzo.
 
-E’ una cosa che dovevo ridarti da quando sono tornato al Dodici, ma ci ho fatto apportare qualche modifica che spero non ti dispiaccia.-
 
Spiegò lui iniziando a giocherellare con una ciocca dei capelli della ragazza.
 
Katniss alzò un sopracciglio confusa, quindi aprì la scatoletta e rimase per un attimo senza parole.
 
Appoggiato al centro della scatola, elegantemente fermata da qualche batuffolo di cotone bianco, stava la perla che Peeta le aveva regalato nell’arena.
 
La luce del sole la illuminò per qualche secondo, facendola scintillare, prima che Katniss la sollevasse con mano tremante. Subito si accorse che era fermata da un sottile ed elegante filo argentato, che la univa ad una sottile catenella.
 
-Spero che non ti arrabbi.-
 
Iniziò subito Peeta, prima che lei potesse commentare qualcosa, poi proseguì spedito con voce incerta, come se non sapesse la reazione che quel suo gesto potesse avere con la ragazza, allontanandosi leggermente da lei.
 
-Me la diede il dottor Aurelius prima che io tornassi qui, pregandomi di consegnartela. L’avevano trovata nei tuoi abiti da Ghiandaia Imitatrice, si è salvata miracolosamente all’incendio.-
 
Gli occhi di Katniss seguivano attenti la spiegazione del ragazzo, quindi prendendo un respiro Peeta proseguì:
 
-So che non ti piacciono i gioielli e non è un gioiello per chiederti di sposarti, fidanzarti con me o cose del genere, come quando ti ho regalato quell’anello a Capital City.-
 
Le gote della ragazza si arrossarono leggermente sentendo quelle parole, dovendo ammettere con se stessa che almeno il pensiero che quella fosse la motivazione fosse passata per la sua testa.
 
Abbassò gli occhi per non incontrare quelli del panettiere, perché lei sapeva che vi avrebbe letto troppe cose che lei non era ancora pronta ad ammettere.
 
-Volevo che tu potessi portare ancora con te questa perla, che è stata il mio primo regalo per te. Se ti va ovviamente.-
 
Solo in quel momento anche Peeta arrossì leggermente, mentre deglutiva a vuoto, nella speranza che Katniss rispondesse qualcosa.
 
La ragazza sorrise, vedendo come, per una volta, neanche Peeta riuscisse a trovare le giuste parole.
 
Non rispose, ma sfilò la collanina dal cotone e la mise al collo, alzando poi i capelli per poterla ammirare al sole.
 
-La porterò sempre con me.-
 
Rispose infine, guardando Peeta con un sorriso raggiante.
 
Il cuore di Peeta ricominciò in quel momento a battere, mentre con soddisfazione notava come appariva perfetta quella perla al suo collo.
 
Era semplicemente felice che lei avesse accettato quel regalo, senza nessun doppio fine.
 
Tra loro esisteva quel rapporto che non avevano mai saputo definire, potevano apparire fidanzati ma non lo erano. O almeno, non lo ammettevano.
 
Il ragazzo si avvicinò e baciò piano la fronte di Katniss, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso che sembrava quasi una smorfia.
 
-Non pensavo l’avessi portata con te per tutto quel tempo.-
 
Ammise poi, riprendendo a giocherellare con i suoi capelli.
 
-Sempre.-
 
Sussurrò lei avvicinandosi e dandogli un bacio leggero su una guancia, terribilmente vicino alle sue labbra, facendo riempire di brividi il ragazzo.
 
Katniss si distese sull’erba, giocherellando con la sua perla, quindi Peeta le fece appoggiare il capo sulle sue gambe, in modo che potessero godersi entrambi l’ultimo sole tardivo di quell’inizio dell’autunno.
 
-E` sicuramente più apprezzato di quell’anello immenso che ti avevo regalato quando ti ho chiesto di sposarti, vero o falso?-
 
Chiese Peeta allegro interrompendo il silenzio che si era creato, mentre osservava la ragazza rimirarsi la perla, quindi lei rispose semplicemente:
 
-Vero. Questo rappresenta molto di più noi due, non rappresenta Capital City come quell’anello.-
 
Spiegò la ragazza chiudendo gli occhi e lasciandosi accarezzare la pelle dai raggi tiepidi del sole.
 
-Tu mi avresti sposato se non ci fosse stata l’Edizione della Memoria?-
 
Domandò Peeta curioso, continuando a giocherellare con una ciocca dei capelli della ragazza, sentendo però i muscoli di tutto il corpo tesi, in attesa della risposta.
 
-Non penso avrei avuto molta scelta.-
 
Rispose lei secca, notando come le dita di Peeta si fossero immobilizzate, lasciando cadere sulla sua fronte anche l’ultima ciocca di capelli.
 
-Quindi non mi avresti mai amato? Ci saremmo sposati e saremmo stati una di quelle coppie infelici come i miei genitori?-
 
Katniss deglutì a disagio, si era sempre chiesta come facesse un uomo come il padre di Peeta ad amare un’arpia come la moglie, ma non aveva mai immaginato che non ci fosse amore, immaginava che lei nascondesse un lato buono e dolce.
 
Ci pensò su un momento, lei sarebbe stata come la madre di Peeta?
 
L’avrebbe odiato perché era stata obbligata a sposarlo dal presidente Snow?
 
O si sarebbe innamorata di lui col tempo?
 
Haymitch un tempo le aveva detto che sarebbe potuto andarle molto peggio di Peeta e lei sapeva che non sarebbe potuto andarle meglio.
 
Eppure non era sicura che sarebbe riuscita ad amarlo in quelle condizioni, continuando la finzione del loro eterno amore davanti alle telecamere.
 
O, magari, era già innamorata di lui?
 
In fondo nell’arena ai settantaquattresimi Hunger Games lei aveva effettivamente provato qualcosa per lui, come d’altronde anche sul treno.
 
E non aveva convinto lo stesso presidente Snow che l’amasse veramente e per quel motivo lui l’aveva prima rapito e poi depistato?
 
-Non saprei..-
 
Iniziò Katniss esitante, spiegando poi con calma, nonostante tutti i pensieri che si alternavano nella sua testa, confusi:
 
-Non saremmo stati felici perché ci era stato imposto di sposarci e non era venuto da noi. Ricordo che dopo aver deciso di sposarci sei andato via per restare da solo e quando avevo chiesto ad Haymitch come mai, mi aveva risposto che tu avresti voluto che fosse venuto da noi, insomma che fosse stato vero. Ecco, penso che non saremmo stati felici solo perché era stata una forzatura farlo, non perché noi non ci saremmo voluti bene.-
 
Peeta sembrò vagliare la risposta della ragazza, quindi dopo qualche minuto di silenzio tornò a giocherellare con i capelli della ragazza, per poi rispondere:
 
-Hai ragione. Non penso saremmo stati realmente felici, anche se avrei avuto tutto ciò che ho sempre desiderato.-
 
Katniss arrossì ancora, la sincerità di Peeta in quell’argomento la metteva anche dopo quasi due anni ancora a disagio.
 
-Visto che siamo in argomenti di questo genere..-
 
Esordì Katniss cercando le parole giuste per non ferire la sensibilità di Peeta.
 
-Quando tu hai annunciato che io ero incinta durante le interviste dell’Edizione della Memoria, sei tornato al posto piangendo. Perché?-
 
Concluse la ragazza, evitando accuratamente di guardare il viso del ragazzo sopra di lei, ma concentrandosi sul volo di alcuni uccelli in lontananza.
 
-Perché pensavo che, nonostante fosse uno dei miei desideri più grandi avere veramente un figlio con te, non volevo che anche lui dovesse sopravvivere alla Mietitura o cose del genere. L’avrebbero sicuramente estratto per godersi lo spettacolo dell’uccisione del figlio degli sfortunati amanti e magari noi avremmo dovuto fare da mentori. Non avrei mai potuto sopportare di avere un figlio.-
 
Spiegò lui, mentre una lacrima silenziosa gli rigava la guancia al ricordo dell’angoscia provata a quei pensieri. Non si preoccupò di nasconderla agli occhi curiosi di Katniss che lo osservavano, perché vide che anche a lei ne sfuggì una.
 
-Anche io.-
 
Ammise lei, facendoli ancora una volta sentire uniti.
 
I due rimasero in silenzio a lungo, mentre il sole calava lentamente.
 
Finalmente Katniss si alzò e annunciò:
 
-Peeta io torno a casa, così do una mano a Sae per preparare la cena.-
 
-Perfetto.-
 
Rispose lui con un sorriso, per poi aggiungere:
 
-Io torno tra un po’, voglio godermi ancora un po’ di libertà.-
 
La ragazza gli sorrise e si avviò verso casa, con il cuore più leggero, perché sapeva di essere pienamente capita in tutto quando stava assieme a lui.
 
Arrivò nel Villaggio dei Vincitori dopo una ventina di minuti, camminando con calma e canticchiando tra se, quindi si adoperò in cucina per aiutare Sae per preparare la cena al ritorno di Peeta.
 
*
 
Erano già passate più di due ore da quando Katniss era arrivata a casa e di Peeta ancora non aveva avuto notizie.
 
Un senso di inquietudine l’aveva invasa, temendo che gli fosse successo qualcosa di brutto che avesse causato quel ritardo.
 
Era già stata a casa di Haymitch chiedendo se l’amico fosse tornato a casa sua, ma dopo la sua risposta negativa era tornata a casa nella speranza di vedere quei capelli biondi arrivare.
 
Il panico stava iniziando ad invaderla quando vedendo l’orologio si accorse che erano quasi tre ore. In quel momento sentì la porta d’ingresso aprirsi e la voce di Peeta annunciare:
 
-Katniss, sono tornato!-
 
Non fu sollievo quello che provò la ragazza nel sentire la sua voce, bensì una rabbia cieca per tutta la preoccupazione che le aveva causato.
 
-Dov’eri Peeta? Dov’eri finito?-
 
La ragazza stava urlando, con i pugni serrati per trattenere il nervoso, mentre impediva ai suoi occhi di lasciare sfuggire le lacrime.
 
Non concepiva come lui non fosse arrivato al fatto che si sarebbe preoccupata da morire non vedendolo tornare, ma si presentasse come se nulla fosse.
 
-Katniss scusa, ero andato a fare un giro e ci ho messo un po’ di più a tornare, tutto qui.-
 
Cercò di giustificarsi lui, ma la ragazza sbraitò, tirandogli delle manate sul petto:
 
-Non si fa! Non hai fatto in tempo a dirmi che non mi avresti lasciato sola e poi non torni! Sai che ore sono?-
 
Strillò lei indicando il grosso pendolo appeso alla parete che ticchettava tranquillamente, ignaro della tempesta attorno a lui.
 
Peeta diede una rapida occhiata all’orologio e accorgendosi di aver fatto veramente tardi cercò di giustificarsi:
-Scusa veramente, io non volevo..-
 
Gli occhi della Ghiandaia si infiammarono inviperiti e rispose:
 
-Certo che non volevi! Ho pensato che ti avesse aggredito qualche animale selvatico, che fossi caduto e non riuscivi più a camminare, che..-
 
In quel momento la ragazza emise il primo singhiozzo, prima di scoppiare a piangere disperata, stringendo la maglietta di Peeta, mentre lui, sbalordito, la stringeva a se.
 
Il ragazzo la guardò spaventato, soppesando la possibilità di essere aggredito nonostante lo stesse abbracciando, visti gli sbalzi d’umore che sembrava avere in quei giorni. Alla fine si decise ad accomodarsi sul divano, mentre lei singhiozzava ancora, consolandola con dolcezza.
 
Alla fine con la voce roca lei disse:
-Non scappare mai più, hai capito? Ho già pensato di perderti più di una volta e mi sono sentita morire, non farlo mai più ti prego.-
 
-Scusa Kat, te lo prometto.-
 
Mormorò lui poggiandole un bacio sui capelli e stringendola con dolcezza per calmare gli ultimi singhiozzi.
 
I due rimasero qualche altro minuto in silenzio, mentre la ragazza riprendeva il totale controllo di se.
 
Poi lei, probabilmente per smorzare l’atmosfera un po’ imbarazzata che si era creata chiese:
 
-Cos’hai fatto comunque? Una passeggiata?-
 
Il ragazzo sorrise sollevato nel vedere che si fosse ripresa, quindi ammise:
 
-Non mi prenderai in giro, vero?-
 
Lei inarcò leggermente le sopracciglia confusa, quindi scosse la testa sincera, osservandolo attentamente, convincendolo ad ammettere:
 
-Sto cercando di imparare a camminare in modo più silenzioso, così magari un giorno potresti insegnarmi qualcosa sulla caccia. Mi stavo allenando, se così si può dire.-
 
Il sorriso imbarazzato di Peeta fece nascere qualcosa di caldo nello stomaco di Katniss, che non riuscì a resistere dal rispondere:
 
-Certo. E’ una cosa carinissima, lo sai?-
 
Anche sulle labbra di Katniss si era aperto un sorriso sincero, mentre lui arrossiva imbarazzato.
 
In quel momento lo stomaco del ragazzo iniziò a brontolare e la Ghiandaia scoppiò a ridere divertita.
 
-Andiamo a mangiare dai! Sae ha lasciato la cena, basta che riscaldiamo qualcosa!-
 
Lui la seguì grato verso la cucina, pronto a buttarsi sulla cena e a godersi a pieno la compagnia della ragazza.
 
 
- To be continued. 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?


 

CAPITOLO 16



Fare l'amore con una donna e dormire con una donna sono
Due passioni non solo diverse, ma quasi opposte.
L'amore non si manifesta con il desiderio di fare l'amore,
Ma col desiderio di dormire insieme.


- Milan Kundera 
 



Pioveva da tutto il giorno quando Peeta andò a bussare a casa dell’amica, quel giorno non era andato da lei a fare colazione perché aveva dovuto sistemare la panetteria vista l’improvvisa pioggia.
 
Aveva quasi portato a compimento la costruzione e mancava solo un pezzo di tetto e sicuramente non aveva immaginato che quel giorno avesse deciso di piovere incessantemente.
 
Anche i lavori per la fabbrica di farmaci erano ormai quasi ultimati e probabilmente i cittadini del Dodici avrebbero potuto lavorarci già da quell’inverno, avendo così un’entrata fissa dello stipendio per il primo inverno di quel nuovo Distretto 12.
 
La popolazione stava pian piano aumentando all’interno del distretto, in molti erano infatti attirati in quel luogo desolato sia dal sicuro lavoro all’interno della fabbrica sia perché sapevano che avrebbero trovato del terreno incolto dove costruire le loro case o ricostruire le loro vite.
 
Eppure in quella giornata di fine estate sembrava tutto tornato come prima della rivolta e il Distretto appariva triste e desolato.
 
Katniss aprì la porta curiosa e si trovò davanti un Peeta sorridente, con i riccioli leggermente bagnati a causa della pioggia incessante.
 
-Ehi, vieni pure.-
 
Lo invitò ad entrare quella, facendosi da parte con un sorriso.
 
-Sono venuto solo a portarti una pagnotta che mi è avanzata, almeno la mangiamo questa sera con Haymitch mentre scriviamo il libro.-
 
Affermò lui allegro, notando però il volto deluso dell’amica domandò:
 
-E’ successo qualcosa?-
 
La Ghiandaia si sentì quasi in colpa per la faccia dispiaciuta dell’amico, quindi si aprì in un sorriso di scuse e rispose:
 
-No, nulla. Speravo solo di trovare qualcosa da fare con te questo pomeriggio, perché sono piuttosto annoiata.-
 
Il ragazzo ci pensò su per qualche secondo, poi esclamò:
 
-Se vuoi puoi aiutarmi a cucinare una dolce! Domani è il compleanno del fratellino di Delly, quindi ho pensato di fargli questa sorpresa!-
 
Katniss dilatò leggermente gli occhi e domandò scettica:
 
-Dici che sarei in grado?-
 
-Ti aiuto io! Dai, vieni da me!-
 
Concluse lui con un sorriso talmente incoraggiante da convincerla.
 
Non era mai stata brava a cucinare, lei uccideva il suo cibo, non preparava cose elaborate.
 
Quindi quando Peeta le passò un grembiule per non sporcarsi si sentì particolarmente ridicola nell’indossarlo.
 
-Allora prepareremo qualcosa di semplice .-
 
Propose lui con un sorriso prendendo della farina e due uova dalla credenza.
 
Era la prima volta che Katniss si trovava così a contatto con la vita che conduceva Peeta. Lei non si era mai sognata di dover cucinare qualcosa di così elaborato, lei si era sempre limitata a fare lo stretto necessario.
 
Si ritrovò ad osservare Peeta, con lo sguardo concentrato mentre da un libro pieno di appunti controllava gli ingredienti per la torta.
 
Sarebbe stato un pomeriggio diverso, Katniss ne era sicura.
 
Un pomeriggio unico, perché finalmente avrebbe provato a creare anche lei qualcosa di speciale come Peeta aveva sempre fatto.
 
I suoi pensieri vennero interrotti da una domanda del ragazzo, che chiese:
 
-A te piacevano un sacco le focaccine al formaggio, vero o falso?-
 
Lei sorrise timidamente, quindi rispose:
 
-Vero, me le preparavi sempre.-
 
Lui sorrise soddisfatto, quindi iniziò a spiegare il procedimento della torta, mentre Katniss pendeva dalle sue labbra.
 
*
 
-Beh, direi che anche per questa sera può bastare.-
 
Annunciò Peeta stancamente la sera del giorno seguente, passandosi una mano tra i riccioli biondi e scompigliandoli con un sospiro, prima di stiracchiarsi sulla sedia, dopo una serata a scrivere il loro libro particolarmente intensa di emozioni.
 
Quel mattino avevano consegnato la torta a Izac, che aveva pianto dalla gioia per aver ricevuto una torta tutta per se. Aveva chiamato tutti i suoi amici, invitandoli a festeggiare e quel clima di felicità aveva scaldato il cuore dell’intero distretto, mostrando ancora una volta come pian piano stavano iniziando una nuova vita.
 
Tornare quindi quella sera alla vita nell’arena aveva abbastanza scosso entrambi i ragazzi, facendo tornare a galla delle ferite ancora troppo fresche.
 
Katniss iniziò a sistemare i fogli e a recuperare tutti i pastelli che avevano lasciato in giro per la stanza.
 
Haymitch, che di solito a quel punto si affrettava a tornare a casa per raggiungere le sue bottiglie, bandite in casa di Katniss, restò però fermo sulla sua sedia.
 
Sembrò non dar peso alle occhiate confuse che i due giovani si scambiavano mentre terminavano di sistemare il salotto, ma rimase pacificamente seduto a guardare un punto nel vuoto di fronte a lui.
 
-Vi va una camomilla prima di andare a dormire?-
 
Propose Peeta con un sorriso.
 
-Si, mi sembra un’ottima idea!-
 
Concordò Katniss con un entusiasmo insolito.
 
-A te Haymitch?-
 
Chiese il biondo, togliendo dalla credenza due eleganti tazze per il the.
 
Il mentore, per tutta risposta, scoppiò in una risata sguaiata.
 
-Guardate che me l’ha detto Sae La Zozza che dormite sempre insieme.-
 
Annunciò quello con un sorriso malizioso sulle labbra.
 
Entrambi si immobilizzarono imbarazzati. Entrambi non avevano problemi a dormire insieme, ormai lo consideravano come qualcosa di routine, eppure il fatto di sapere che la notizia fosse pubblica in qualche modo irritò entrambi.
 
L’intera Panem li aveva visti dormire stretti l’uno all’altra nell’arena, tutto il personale del treno sapeva che quando viaggiavano non passavano una sola notte separati e addirittura l’intera nazione sapeva che, essendosi sposati in segreto, avevano addirittura concepito un figlio.
 
Eppure non avevano mai sentito in modo così evidente invadere la loro intimità.
 
-Vi fate problemi per non dirlo al vostro mentore?-
 
Li prese in giro l’uomo non sentendo nessuna risposta, per poi aggiungere canzonatorio:
 
-Che poi dormivate insieme pure prima. O forse vi siete resi conto che ora che non avete più un ruolo da interpretare per fare gli innamorati lo fate solo perché lo siete davvero?-
 
-Non siamo innamorati.-
 
Sbottò Katniss irritata, fulminando con lo sguardo il mentore, mentre le guance raggiungevano un insolito colorito rosato.
 
Non notò in quel momento che la mascella di Peeta si contrasse e lui chiuse i pugni, deglutendo profondamente.
 
-Dormiamo insieme solo perché questo ci aiuta ad avere meno incubi.-
 
Proseguì la Ghiandaia, continuando a non dar peso al silenzio del ragazzo del pane. Haymitch si aprì in un sorriso carico di rimprovero e rispose gelido:
 
-Così potresti fraintendere le intenzioni di qualcuno.-
 
A quel punto Peeta, sentendosi punto nel vivo, si intromise:
 
-Ha ragione Katniss. Non siamo fidanzati o cose del genere.-
 
-Allora è molto sconveniente il fatto che voi due dormiate insieme ora, non vi pare?-
 
Concluse Haymitch uscendo dalla casa, stanco dell’ottusità di quei due ragazzi.
 
Quando la porta si chiuse Katniss raccolse le tazzine e le sciacquò nel lavello, asciugandole poi con uno strofinaccio li vicino.
 
Peeta era rimasto seduto in silenzio, con la mascella serrata e gli occhi chiusi.
 
Quando lei terminò il ragazzo si alzò ed entrò in cucina, appoggiandosi allo stipite della porta:
 
-Non è vero che io non sono innamorato di te, lo sai vero?-
 
Domandò Peeta in tono duro, facendola sobbalzare e concentrare di più sull’ultima tazza che stava asciugando.
 
-Non dire sciocchezze. Sono solo i tuoi ricordi confusi del depistaggio. Non sei più innamorato di me Peeta.-
 
Ribatté quindi lei, gelida.
 
Peeta scoppiò in una mezza risata senza allegria, quindi rispose stanco:
 
-Perché tu ancora oggi non hai capito l’effetto che fai. Ho bisogno di prendere una boccata d’aria scusa.-
 
Concluse quello congedandosi gelido ed uscendo dalla casa.
 
Katniss non cercò di trattenerlo, ritenendosi soltanto sollevata del fatto di aver evitato quella scomoda verità un’altra volta.
 
Non voleva chiedersi perché volesse sempre dormire con lui, non voleva ammettere che non erano solo gli incubi che sparivano grazie alla sua vicinanza, ma anche lei non sentisse quel buco nello stomaco che straripava solo di solitudine.
 
Si avviò quindi in bagno, lavandosi faccia e denti prima di infilarsi nel letto stanca, ben sapendo però che Morfeo non l’avrebbe accolta tra le sue braccia senza quel ragazzo al suo fianco.
 
Katniss si alzò nuovamente da letto, non capendo come mai Peeta non tornasse. In fondo anche a lui piaceva dormire insieme, quindi non vedeva il perché quella sera non dovesse tornare indietro.
 
O forse era per le cose che aveva detto lei? Negando che fossero innamorati?
 
Si affacciò alla finestra esausta, per controllare se fosse già sulla via del ritorno.
 
La luce della casa del ragazzo attirò però la sua attenzione, in quanto accesa.
 
Peeta non aveva l’abitudine di lasciare il camino acceso la sera, quando dormiva da lei, eppure perché era illuminato?
 
La consapevolezza che fosse perché lui era in casa e non li con lei arrivò prepotente, come un pugno nello stomaco.
 
La ragazza appoggiò la fronte alla finestra, abbassando lo sguardo distrutta.
 
Si trascinò a letto poco dopo, dove si addormentò con gli occhi gonfi di lacrime e con un particolare freddo al cuore.
 
*
 
-Dov’è Peeta?-
 
Domandò quella mattina Sae quando Katniss scese da sola per fare colazione. La ragazza aveva i capelli spettinati e due profonde occhiaie sotto gli occhi e sembrò non badare alla domanda della donna, infatti si accomodò al suo posto in attesa di ricevere la sua dove quotidiana di uova e pancetta.
 
-Avete litigato? Hai una faccia orribile.-
 
Ammise Sae riempiendo il piatto di Katniss, che continuò il suo silenzio per concentrarsi solo sul suo cibo.
 
La colazione terminò in quel clima sepolcrale e quando Sae si fu allontanata dalla casa Katniss si diede una rapida sistemata, prese arco e frecce ed uscì di casa per andare a caccia e distrarsi.
 
Nella strada fino al prato sperava di non incontrare nessuno, ma appena mise piede nel villaggio sentì il trillo della voce di Delly, che la fermò:
 
-Katniss! Hey! Sono qui!-
 
La Ghiandaia si girò di malavoglia e rispose al saluto con un cenno del capo e un mezzo sorriso, nella speranza di essere lasciata proseguire senza ulteriori interruzioni ma quella la raggiunse.
 
-Hai visto Peeta? Dovevamo incontrarci questa mattina ma non è ancora arrivato, il che è strano visto che è un tipo tanto puntuale!-
 
Osservò la ragazza non notando lo sguardo di fuoco dell’altra.
 
-Mi spiace, non l’ho ancora visto oggi.-
 
Sibilò la Ghiandaia in modo da chiudere la questione.
 
Anche Delly capì che qualcosa non andava, quindi si congedò cinguettante e lasciò Katniss libera di andare nei boschi.
 
Con il nuovo governo tutti potevano accedere ai boschi circostanti, anche se la rete che racchiudeva il distretto non era stata tolta, in quanto difesa dagli animali selvatici.
 
Katniss uscì dalla rete e ispirò a pieni polmoni l’aria dei suoi boschi, sentendosi finalmente libera.
 
Restò fuori tutto il giorno, arrivando fino al lago dove spesso andava a nuotare con il padre, dove si concesse un lungo bagno.
 
Tornò a casa per l’ora di cena, dove mangiò con Sae la Zozza e sua nipote, sentendo però l’assenza di Peeta prepotentemente.
 
Non voleva chiedergli scusa perché si stesse ancora comportando come un’egoista e non voleva neanche porsi davanti ai suoi sentimenti per il ragazzo, non ne aveva le forze.
 
Più o meno a metà del pasto bussarono alla porta ed entrò il ragazzo del pane, che con un sorriso lasciò una grossa pagnotta alle uvette avanzata quel giorno.
 
Peeta aveva delle occhiaie molto simili alla ragazza e si affrettò ad andarsene subito quando, vedendo Katniss, lo prese un tremito alla mano.
 
Quella notte il ragazzo non tornò a dormire, come tutte le notti seguenti, ma pian piano ricominciò a mangiare insieme a lei, anche se le occhiaie non lo abbandonarono più.
 
Tra loro rimase quel leggero disagio, dovute a parole non dette e ad altre taciute troppo a lungo.
 
*
 
Erano passate diverse settimane, ormai era iniziato l’autunno, iniziando a far ingiallire le foglie sugli alberi.
 
Katniss e Peeta erano a fare una passeggiata nei boschi, per raccogliere qualche bacca e preparare una marmellata da regalare a Delly per il suo imminente compleanno.
 
La Ghiandaia si ritrovò quindi davanti ad un cespuglio di rose, rabbrividendo.
 
Sentì la presenza di Peeta alle sue spalle, confuso sul perché lei si fosse appena fermata.
 
-Fa strano anche a te vederle, vero?-
 
Chiese lui con un sorriso indecifrabile sulle labbra.
 
La ragazza sussultò, notando come anche in quel caso il ragazzo avesse capito cosa non andasse anche in quell’occasione.
 
-Le odio. Odio loro come odio Snow.-
 
Peeta non rispose, ma si limitò ad osservare uno di quei tardivi boccioli rossi con intensità, come se fosse perso in un altro mondo, quindi la ragazza domandò:
 
-Tu non le odi?-
 
Lui alzò gli occhi tornando alla realtà, mentre un raggio di sole illuminava i suoi capelli biondi rendendoli quasi dorati.
 
-No. Le collego solo a tante sofferenze, ma non le odio.-
 
Spiegò Peeta tranquillo, infilando le mani in tasca e sfuggendo allo sguardo incredulo di Katniss.
 
-Quindi non odi neanche Snow?-
 
Domandò lei con la voce più acuta di un’ottava.
 
-No, mi farebbe star solo male continuare ad odiarlo.-
 
Dichiarò il biondo passandosi stancamente una mano tra i capelli.
 
-Lui ha ucciso la tua famiglia! Ti ha depistato! Ti ha mandato agli Hunger Games! Come puoi non odiarlo?-
 
Katniss ansimava per la rabbia che provava, mentre gli occhi sconvolti osservavano l’amico in attesa di una spiegazione che la convincesse della sensatezza delle sue affermazioni.
 
-A cosa serve odiarlo?-
 
Domandò Peeta serio, fissando Katniss negli occhi.
 
-Mi renderà la mia famiglia odiarlo? O la mia vita prima degli Hunger Games?-
 
-Cosa vuol dire? Lui era un mostro! È colpa sua tutto ciò!-
 
Urlò la ragazza alzando un braccio chiaro per mostrare le cicatrici che ancora si intravedevano, per poi indicare la desolazione attorno a lei.
 
-Non lo metto in dubbio Katniss. Ammetto che l’ho odiato, ma se continuassi a farlo vorrebbe dire che Capital City e Snow sono riusciti nel loro intento di cambiarmi. Io voglio essere solo Peeta Mellark, il ragazzo del pane del dodicesimo distretto, mi sembrava di avertelo già spiegato. Nessun altro. E per riuscire a tornare me dopo il depistaggio ho dovuto perdonarlo, se no non ci sarei mai riuscito a tornare me stesso.-
 
-Ma cosa stai dicendo? Stai perdonando la persona che ha ucciso tutta la tua famiglia! Che ti ha distrutto! Peeta, ragiona!-
 
Sbraitò Katniss con le lacrime agli occhi per la rabbia che provava in quel momento, nella speranza che Peeta stesse solo scherzando.
 
Attorno a loro era calato il silenzio, nessun uccello cinguettava più e tutto il bosco sembrava immobile ad ascoltarli.
 
Il biondo inchiodò con gli occhi la ragazza, con una sguardo gelido che lei non gli vedeva da tanto tempo.
 
-Forse te la prendi così tanto perché anche tu vorresti perdonare Gale ma non ci riesci?-
 
Domandò aspro il ragazzo guardandola con un sorriso amaro, che aveva già visto nei suoi occhi tanto tempo prima.
 
In un attimo l’immagine di Peeta, con le mani insanguinate e ancora piene di cocci per colpa sua la stordì. Era dopo l’intervista dei primi Hunger Games, quando lui si era dichiarato in diretta mondiale.
 
“E` solo preoccupata per il suo ragazzo.”
 
Quelle parole le ovattarono le orecchie, risentendole nella testa.
 
Aveva lo stesso sguardo gelido, beffardo, ferito.
 
Katniss si immobilizzò fissando Peeta con gli occhi sbarrati.
 
Come poteva anche solo pensare che lei volesse perdonare Gale con tutta se stessa, per poter tornare ad avere per lo meno un surrogato di amicizia con lui dopo quello che il ragazzo aveva fatto a Prim?
 
Quel pensiero non l’aveva neanche ammesso con se stessa, quindi non poteva saperlo anche lui. Non poteva conoscerla così profondamente, non ne aveva alcun diritto.
 
Dopo qualche secondo fu colta da un tremito e, con gli occhi pieni di odio, gli tirò uno schiaffo.
 
-Non rivolgermi mai più la parola!-
 
Sbraitò correndo via, per arrivare il più lontano possibile da quel ragazzo.
 
Per non permettergli di vedere le sue lacrime e fargli capire che avesse ragione.
 
Per non consentirgli di rivedere quell’immagine nella sua memoria, quando tutto stava ancora iniziando.
 
Non voleva tornare a vivere quella lotta interiore tra Peeta e Gale, non voleva passare altre ore di dubbi, di sensi di colpa.
 
Lei voleva doveva restare sola, era la scelta migliore.
 
Peeta la osservò allontanarsi, mentre la guancia ancora bruciava per lo schiaffo.
 
Sospirò profondamente, riavviandosi verso casa con passo tranquillo, mentre il medesimo flashback colpiva anche lui.
 
Rise amaramente, notando come, nonostante fossero passati gli anni e fossero cambiate tante cose, lui rimaneva sempre un passo indietro, inerme.
 
Gale riusciva sempre ad esserci nonostante fosse lontano.
 
Sentiva la sua presenza nell’arena, sul treno, a Capital City. Il legame tra Gale e Katniss era qualcosa di così profondamente radicato in lei che solo al pensiero di rinnegarlo soffriva.
 
Faceva fatica a capire Katniss, ma in quel caso sapeva perfettamente quello che la opprimeva perché ci era passato.
 
Conosceva perfettamente l’odio cieco che anche lui aveva provato per Snow, da quando avevano estratto il suo nome ai settantaquattresimi Hunger Games, fino a quando era stato depistato.
 
Aveva sempre cercato di rimanere se stesso e Snow era riuscito a stravolgere i suoi ricordi e il suo essere, vincendo anche su di lui.
 
Aveva passato intere settimane immerso nell’odio per quell’uomo, che si mischiava anche all’odio che aveva iniziato a provare per Katniss dopo il depistaggio, al dolore dato dalle punture degli aghi inseguitori, ai morsi della fame e alla disperazione.
 
Eppure era stata proprio Katniss a salvarlo indirettamente.
 
E quindi ora era suo dovere salvare lei.
 
Per l’amore che aveva provato per Katniss.
 
Ma soprattutto..
 
 


 
Per Prim.
 


 
- To be continued. 
 
 
 
 
 
 
*Angolo dell’autrice*
Scusatemi infinitamente per il ritardo nell’aggiornamento, ma la scorsa settimana è stata delirante e il mio umore quando dovevo scrivere era nero.
Avrei fatto morire tutti di un attacco fulminante di peste, quindi ho evitato! :)
Fatto sta che siamo arrivati ad un punto cruciale della storia, con il prossimo capitolo vedrete come mai!
Vi voglio bene a tutti!
Saru

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

CAPITOLO 17



 Per un uomo che vive senza il perdono nel cuore,
Vivere è una punizione peggiore di morire.

- Karate Kid II 

 
 
Peeta si presentò, come di consueto, all’ora di cena con Sae La Zozza, che aveva in mente una ricetta innovativa a quanto affermava, ma quella sera Katniss non scese per mangiare. 
 
L’anziana era preoccupata per l’assenza della ragazza, ma vedendo Peeta così tranquillo si calmò, ben sapendo che lui avrebbe trovato una soluzione e che se il ragazzo del pane non si crucciava, allora andava tutto bene.
 
I due cenarono soli, poi Peeta si offrì di lavare i piatti e congedò quindi la donna prima del solito.
 
Lavò con calma le stoviglie, per poi asciugarle e riporle in ordine. Dopodiché preparò la tavola per la colazione del giorno seguente, quindi prese il vassoio che aveva precedentemente preparato con la cena di Katniss e salì verso la sua camera.
 
Bussò alla porta chiusa e con tono neutro disse:
 
-Katniss, sono io. Ho qua la cena, mi apri per favore?-
 
Dalla camera non arrivò alcun suono, ma lui era certo di trovarla all’interno, quindi annunciò:
 
-Katniss, sto per entrare.-
 
Detto ciò aspettò qualche secondo, ma non ricevendo nuovamente risposta aprì la porta con un gomito ed entrò. Subito diede un’occhiata al letto, dove vide le coperte scompigliate senza però Katniss tra di esse.
 
Si diresse quindi senza esitazione verso il tavolino da un lato della stanza, ma si bloccò quando una fredda punta metallica venne appoggiata al suo collo.
 
Non si scompose però, avendo già messo in conto quell’eventualità.
 
-Non ti conviene uccidermi adesso, sporcherei tutta la tua camera da letto.-
 
Osservò il ragazzo con la sua solita ironia, ma gli occhi di Katniss rimasero immobili e irremovibili, ancora rossi per il pianto di quella giornata.
 
-Perché sei qui?-
 
Domandò gelida, lui alzò leggermente il vassoio e rispose ovvio:
 
-Ti ho portato la cena, te l’ho anche detto prima.-
 
-Vattene.-
 
Sibilò quindi la Ghiandaia premendo la punta della freccia sul collo di Peeta.
 
-Fammi almeno appoggiare la tua cena.-
 
Osservò lui tranquillo, facendo qualche passo fino al tavolino in mogano e appoggiando su il vassoio, mentre la ragazza continuava a fissarlo ostile.
 
-Me l’hai avvelenata?-
 
Domandò brusca, mentre però abbassava leggermente l’arco alla ricerca degli occhi celesti del ragazzo.
 
-Perché avrei dovuto? Sei tu quella che vuole uccidermi.-
 
Rispose lui di rimando, inchiodandola con lo sguardo e facendola arrossire leggermente.
 
-Perché sei un traditore.-
 
Sibilò lei, mentre l’odio per le parole che aveva pronunciato lui quel pomeriggio tornavano nella sua testa.
 
-Lo credi veramente?-
 
Chiese Peeta, avvicinandosi a lei con le braccia aperte, ben sapendo quello che sarebbe successo.
 
Era allo stesso tempo un gesto di resa e di pace, perché sapeva benissimo quello che desideravano entrambi.
 
L’arco sfuggì infatti dalle mani della ragazza, che si precipitò tra le sue braccia, iniziando a piangere come una bambina.
 
E fu mentre la stringeva che Peeta si rese conto di sentirsi finalmente bene.
 
Lui voleva stringerla forte tra le sue braccia, ma non per farle del male com’era successo in passato, ma perché era suo dovere starle vicino, perché lui voleva starle vicino. Era certo che il suo posto fosse vicino a quella ragazza, perché lui aveva intenzione di aiutarla a rimettere insieme tutti i pezzi che la cattiveria di Capital City aveva distrutto.
 
La portò con gentilezza fino al letto, dove la fece sdraiare per calmarla.
 
Dopo qualche tempo i singhiozzi diminuirono, lasciando il posto al respiro irregolare della ragazza.
 
Interruppe lei il silenzio che si era venuto a creare, quando con un sussurro chiese, tirando su col naso e avvicinandosi ancora di più al petto di Peeta:
 
-Come hai fatto a perdonare tutti?-
 
Voleva riuscirci pure lei a perdonare Snow, la Coin, Gale e tutti quelli che le avevano fatto del male, perché sapeva che senza il perdono avrebbe continuato a torturarsi in eterno.
 
-È stato grazie a Prim.-
 
Rispose lui calmo, mentre osservava le sue dita scivolare tra i capelli lisci della ragazza.
 
-Come? Ma vi conoscevate appena.-
 
Rispose lei alzando la testa e cercando gli occhi di Peeta, interrogativamente.
 
-Quando tu eri già partita per la missione a Capital City Prim mi ha molto aiutato.-
 
Rispose lui con un sorriso timido, mentre le guance si tingevano di un rosa pallido per l’imbarazzo.
 
-Come?-
 
Domandò Katniss trattenendo il fiato e pendendo dalle sue labbra, curiosa di come la sua sorellina avesse potuto aiutarlo.
 
E qui Peeta, con la sua parlantina perfetta, cominciò a raccontare.

 
***
 

La squadra speciale era partita quel mattino e Peeta era rimasto tutto il giorno a gironzolare per l’ospedale.
 
Non essendoci più Katniss nei paraggi si fidavano a lasciargli più spazi, fu per questo che il giorno seguente gli diedero il permesso per fare un giro nei corridoi del tredicesimo distretto con solo le pesanti manette addosso.
 
Peeta vagava da qualche tempo, quando un miagolio attirò la sua attenzione.
 
Abbassando lo sguardo riuscì ad individuare Ranuncolo, che lo accolse soffiandoli contro astioso, com’era solito fare con chiunque che non fosse Prim.
 
Il ragazzo si abbassò e tese una mano nella direzione del micio, che pian piano si avvicinò per annusarla, permettendo poi al ragazzo di accarezzarlo.
 
E fu così che Prim li trovò dopo qualche ora.
 
Ranuncolo era accoccolato sulle gambe di Peeta, mentre quello lo accarezzava con lo sguardo perso nel vuoto, seduto in un angolo di un corridoio poco frequentato.
 
-Peeta.-
 
Mormorò Prim avvicinandosi senza esitazione, sicura che il ragazzo del pane non avrebbe mai potuto farle del male.
 
-Hey Prim.-
 
Rispose lui sorridendole, mentre Ranuncolo saltava giù dalle sue ginocchia per correre dalla sua adorata padrona.
 
-Ho approfittato un po’ della dolcezza del tuo gattino. Ora tolgo il disturbo.-
 
Annunciò sorridendo il ragazzo, leggermente a disagio, alzandosi. Prim però lo trattenne per una manica, proponendo con sguardo rassicurante:
 
-Restiamo un po’ qui a chiacchierare se ti va.-
 
Poi, cogliendo lo stupore negli occhi del ragazzo, si affrettò ad aggiungere:
 
-Sai, ora che mamma lavora sempre e mia sorella è partita mi sento un po’ sola.-
 
Un tremito passò negli occhi di Peeta, ma si dominò subito, tornando a sedersi.
 
-A chi lo dici. Tutti mi guardano come se fossi un mostro.-
 
Sussurrò lui abbassando gli occhi dispiaciuto, come se si sentisse veramente in colpa per quella cosa.
 
-Non ti preoccupare, ti serve solo un po’ di tempo per tornare a ricordare tutto! Io ho molta fiducia nel trattamento che ti stanno facendo. E poi non sarai mai un mostro. Io mi ricordo sempre quando sgattaiolavi fuori dalla panetteria per darmi qualche biscotto, in modo che nessuno ci vedesse.-
 
Osservò la ragazzina con un sorriso, facendo arrossire leggermente Peeta.
 
-Davvero? Tornerò quel Peeta a cui tutti volevano bene un tempo? Non sarò più un ibrido?-
 
Domandò con voce strozzata, sentendo di stare per perdere il controllo.
 
La voce calma di Prim però lo tranquillizzò:
 
-Assolutamente no. E so che se anche in questo momento tra te e Katniss c’è un sacco di tensione tornerete quelli di un tempo.-
 
Peeta la guardò scettico e rispose:
 
-Cos’eravamo un tempo? Io non riesco a capirlo. Mi dicono tante cose contrastanti.-
 
-Nemmeno voi due sapevate definire cosa foste.-
 
Iniziò a spiegare lei, con una dolcezza sconcertante nella voce, che agì da calmante per il ragazzo.
 
-Ma vi volevate un gran bene, ognuno a modo suo. Mia sorella si è accorta di come tu fossi indispensabile con lei troppo tardi e quindi non te l’ha mai veramente dimostrato. Mentre te eri il perfetto principe azzurro. Io vorrei da grande essere amata da qualcuno tanto quanto tu amavi lei.-
 
Gli occhi della ragazzina brillavano sognanti, ma Peeta scoppiò a ridere e rispose sprezzante:
 
-Spero per te che il tuo principe azzurro non proverà ad ucciderti.-
 
-Tu non lo farai.-
 
Affermò lei convinta appoggiando la sua manina su quella più grande di Peeta, sorridendogli.
 
-Spero che ammazzeranno quel maledetto di Snow. Solo allora io forse potrò mettere a posto le cose con Katniss.-
 
Ringhiò lui, sussultando a quel contatto fisico.
 
-No, tu non riuscirai a farlo se continui ad odiare Snow. Lui è cattivo, ha fatto un sacco di male a tutti. Ma se noi continueremo ad odiarlo lui avrà vinto. Devi perdonarlo per poter tornare te stesso.-
 
Spiegò Prim mentre osservava con apprensione il ragazzo del pane, sperando che lui riuscisse a capire quanto fosse importante quello che voleva dire.
 
-Perdonarlo? E come faccio? Mi ha fatto diventare un mostro!-
Urlò Peeta, facendo spaventare Ranuncolo, che scattò in piedi e gli soffiò contro.
 
Prim però rimase impassibile e rispose:
 
-E tu lo resterai se continuerai ad odiarlo. Katniss mi ha raccontato come te, prima dell’inizio della 74° edizione le hai detto che tu non volevi farti cambiare da Capital City. In quel momento il tuo cuore aveva già perdonato Snow e Capital City per averti estratto e portato li. Tu sei un ragazzo del genere Peeta, te l’assicuro. Perdonalo.-
 
***
 
Peeta interruppe il racconto, mentre Katniss riprese a piangere nel sentire le parole della sorellina, così saggie nonostante fosse così piccola. Le mancava da morire Prim, ma in quel momento capì che quanto affermato da Peeta fosse giusto.
 
Lei si ostinava ad odiare Snow, la Coin, Gale per quello che le avevano portato via e se non gli avesse perdonati non sarebbe più riuscita ad andare avanti.
 
-Devo andare da Gale.-
 
Sussurrò lei, prendendo finalmente la consapevolezza di quello che doveva fare per riuscire ad andare avanti veramente.
 
Sarebbe andata da lui e l’avrebbe finalmente perdonato, perdonando quindi anche se stessa per non essere riuscita a proteggere Prim.
 
E fu con il ricordo di Prim, tra le braccia di Peeta che continuava ad accarezzarle la testa, che si addormentò per la prima volta dopo mesi in un sonno tranquillo, ma senza sogni.
 
Peeta rimase a lungo ad osservare il volto di Katniss, che sembrava finalmente rilassato, dopo tante lacrime versate, mentre continuava ad accarezzarle il capo.
 
E mentre scostava una ciocca di capelli posizionandogliela dietro l’orecchio si avvicinò a lei e le lasciò un bacio leggero sulle labbra, come un addio.
 
Si alzò dopo qualche ora coprendola con attenzione, in modo che non prendesse freddo, mentre una nuova convinzione si faceva largo dentro di lui.
 
Quella sera aveva probabilmente salvato Katniss e condannato lui.
 
Lei sarebbe tornata da Gale, per poter far pace e dichiarargli il suo amore.
 
E lui sarebbe rimasto li, di nuovo solo, come lo era sempre stato.
 
Chiuse la porta della casa alle sue spalle, avviandosi verso casa di Haymitch.
 
Non sarebbe riuscito a dormire e già lo sapeva, per i troppi pensieri che gli affollavano la mente.
 
Quindi l’unica soluzione era adottare il “metodo Haymitch”, ossia affogare tutti i suoi pensieri nell’alcool.
 
 
- To be continued. 
 





*Angolino dell’autrice*
Ebbene si, siamo arrivati ad una svolta.
Capitolo senza molta azione, lo so, ma non mi sembrava il caso di aggiungere altro..!
Si scopre che Peeta e Prim hanno stretto amicizia e che è stata proprio lei a permettergli di andare avanti.
Mi piace tanto Prim come personaggio, nasconde tante sfaccettature e secondo me era così buona e dolce da dire una cosa del genere e soprattutto Peeta è tanto dolce quanto lei e quindi apprezza e capisce a pieno il suo pensiero..
Le altre considerazioni le lascio a voi! ;)
A presto!

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XIIX ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

 

CAPITOLO 18

 
 Si perdona finché si ama.
- François de La Rochefoucauld
 
 
 
-Mellark!-
 
Sbraitò una voce femminile spalancando la porta di casa di Haymitch con un calcio, per poi storcere il naso nel sentire l’odore di chiuso misto ad un forte odore di alcool.
 
Iniziò a vagare per la casa, alla ricerca di Peeta, continuando ad urlare insulti contro il ragazzo.
 
Lo trovò in cucina, riverso sul tavolo accanto al suo mentore e in quel momento Johanna capì che quei due tendevano ad assomigliarsi se lasciati soli con l’alcool.
 
I capelli biondi di Peeta erano scompigliati e appiccicati alla fronte per il sudore, mentre la bocca semiaperta era schiacciata sul tavolo e un rivolo di saliva bagnava il mogano.
 
-Peeta!-
 
Urlò di nuovo, ma nessuno dei due uomini si mosse, quindi prese una brocca d’acqua e la rovesciò in testa al più giovane dei due, che balzò in piedi terrorizzato.
 
-Pazza!-
 
Biascicò non appena lo riconobbe, con gli occhi impastati dal sonno e l’alito che puzzava di alcool investì la ragazza.
 
-Panettiere! Cosa dormi ancora alle undici del mattino?-
 
Peeta si lasciò cadere sulla sedia tenendosi la testa con le mani e sibilò indispettito:
 
-Non urlare, che mi fa male la testa.-
 
-Certo che ti fa male!-
 
Lo rimbeccò lei acida, cercando di non ridere dopo aver notato come avesse sulla guancia i segni del legno su cui aveva dormito.
 
-Ti sarai scolato il mondo ieri sera visto come sei conciato. Veramente un bello spettacolo. Muoviti, vai a casa a farti una doccia.-
 
Lo sgridò Johanna autoritaria, andando ad aprire la finestra e facendo invadere la stanza di luce e aria fredda ma pulita.
 
-Lasciami stare. Non ne ho voglia.-
 
Si lamentò come un bambino Peeta, tornando a sedersi e appoggiando la fronte sul legno per poi socchiudere gli occhi stanco.
 
Johanna prese Peeta per un braccio, con prepotenza, e lo trascinò fuori dalla casa di Haymitch, non stando a sentire tutti i lamenti e gli insulti che inizialmente il panettiere le disse. Dopo la prima resistenza però il ragazzo si lasciò trascinare dalla furia di Johanna, che lo scortò fino a casa. Appena entrati un forte odore di pane e dolci investì il ragazzo, che si coprì la bocca con una mano e volò in bagno, dove vomitò tutto quello che aveva ancora nello stomaco.
 
Johanna lo fissava schifata dallo stipite della porta, perché quel bravo ragazzo, che si era sempre tenuto lontano dall’alcool si era ubriacato come non mai.
 
Rimase impassibile ad assistere agli ultimi coniati di vomito, in cui anche la bile abbandonò lo stomaco sottosopra del panettiere.
 
Appena finì Peeta si appoggiò tremante e ansimante al muro affianco a lui, per riprendersi.
 
Dopo qualche minuto la donna chiese bruscamente:
 
-Oggi non hai fatto colazione con la tua bella?-
 
Peeta si rabbuiò, mentre un’ombra passava sui begli occhi azzurri del ragazzo.
 
Johanna sembrò non darci peso e attese la risposta, che arrivò poco dopo con voce dura:
 
-No e non voglio parlare mai più di lei.-
 
Johanna si dondolò sui piedi, spostandosi all’altro stipite della porta per poter vedere meglio il volto di Peeta dopo la sua domanda:
 
-Forse il fatto che non sia in casa, ma abbia preso il primo treno questa mattina per andare agli altri distretti centra qualcosa?-
 
La voce della donna era volutamente tagliente, mentre negli occhi passava una luce folle.
 
Lei era quella, una sadica donna che voleva trascinare nella sua stessa disperazione anche Peeta, che si era sempre dimostrato migliore di lei.
 
Non lo faceva per una cattiveria intrinseca, ma per quello che l’avevano fatta diventare.
 
Lei sapeva che Peeta non doveva buttarsi giù così, non lui che si meritava tutta la gioia che una persona potesse trovare.
 
-Lasciami stare.-
 
Sibilò il ragazzo del pane con una voce dura che non gli apparteneva, socchiudendo gli occhi per cercare di riprendersi, mentre si asciugava la fronte sudata con la manica della camicia.
 
-Dai Peeta, raccontami! Ormai sono un’appassionata degli sfortunati amanti del dodicesimo distretto!-
 
Trillò Johanna con voce innocente, per prendendolo volutamente in giro, non aspettandosi però la reazione del ragazzo.
 
Peeta balzò in piedi, tirando un violento pugno al muro, mentre cercava di trattenere le lacrime per la rabbia.
 
-Non ci sono più sfortunati amanti! Non ci saranno mai più! Capito?-
 
Urlò con voce roca e innaturale, mentre grosse lacrime iniziavano a rigargli le guance, tirando un altro pugno al colmo della rabbia, mentre le nocche iniziavano a sanguinare.
 
-Peeta calmati! Stavo scherzando! Ti sarai rotto la mano!-
 
Esclamò la ragazza allarmata dallo scoppio di ira di Peeta, prendendo la mano del ragazzo tra le sue per poterne valutare i danni.
 
Da quando lo conosceva l’aveva visto così arrabbiato solo subito dopo il depistaggio, ma anche in quel caso non aveva mai avuto reazioni del genere.
 
Peeta scostò le sue mani in malo modo, mentre gli occhi arrossati dalle lacrime e dall’alcool la guardavano spietati.
 
Per la prima volta la ragazza arretrò di qualche passo vedendo quella furia, mentre lui, con gli occhi chiusi a due fessure, disse con la voce più calma che trovò:
 
-Lasciamo stare Johanna. Ho bisogno di stare da solo. Ci vediamo.-
 
Dopo di che chiuse la porta senza sbatterla, ma la ragazza sentì il suo corpo esausto accasciarsi contro di essa, mentre cercava di trattenere i singhiozzi.
 
Peeta Mellark era un uomo distrutto.
 
***
 
Il sole stava lentamente calando, specchiandosi nelle fronde del bosco che circondava la ragazza seduta su quel prato.
 
Le prime foglie autunnali venivano staccate dai rami più bassi sospinte dal vento freddo, facendo mille giravolte in aria per poi finire in grossi mucchi.
 
-Hey.-
 
Johanna non si girò neanche, quando il ragazzo che aveva salutato si tuffò sull’erba affianco a lei, ma disse solo:
 
-Stai meglio?-
 
La mano destra del ragazzo era stretta in una fasciatura bianca, probabilmente si era veramente rotto qualcosa tirando quei pugni quella stessa mattina.
 
-Si, scusa. Questa mattina ero sconvolto, arrabbiato e triste. Scusa non dovevo.-
 
Rispose lui fissando l’orizzonte, con gli occhi circondati da profonde occhiaie e gli occhi ancora rossi per l’evidente pianto.
 
Johanna lo osservò con la coda dell’occhio, immaginando che tra i postumi della sbornia e il pianto di quella mattina, il ragazzo dovesse essere a pezzi non solo emotivamente, ma anche fisicamente.
 
-Tranquillo.-
 
Disse lei con voce atona, poi, avvicinandosi leggermente, sussurrò con aria comprensiva:
 
-Lei è partita quindi?-
 
Peeta annuì osservando la foresta arancione davanti a loro, chiaro segno che ormai l’autunno era alle porte.
 
-Si, l’ho fatta partire.-
 
Confermò dopo una decina di secondi, cercando di restare distaccato e di non mostrare l’ultima briciola del suo cuore che cadeva a pezzi, venendo portata via dal vento fresco che li accarezzava.
 
-L’hai fatta partire?-
 
La ragazza si pentì immediatamente delle sue parole vedendo gli occhi del ragazzo gonfiarsi nuovamente di lacrime, ma poi, vedendo che Peeta stava iniziando a rispondere, si mise ad ascoltare con attenzione.
 
Ogni parola traboccava di sofferenza, di abbandono, ma non sembrava pentito di quello che aveva fatto, mentre raccontava il giorno precedente. Verso la fine del racconto della giornata precedente il ragazzo si concesse un mezzo sorriso di vittoria, per essere riuscito a convincerla a perdonare.
 
-Quindi è tornata da Gale, dal suo Gale.-
 
Concluse Peeta con aria distrutta, passandosi una mano tra i riccioli biondi e concludendo così il suo racconto straziante.
 
Johanna non era brava a consolare le persone, non aveva mai provato a farlo e mai aveva pensato che si sarebbe ritrovata in una situazione in cui qualcuno avrebbe chiesto aiuto proprio a lei.
 
Non sapeva se lui volesse essere consolato ma in quel momento era lei stessa che si sentiva in obbligo di farlo.
 
-Ne sei convinto? Magari vuole solo sistemare le cose con la sua coscienza.-
 
Provò ad avanzare l’ipotesi Johanna, che non sopportando di vedere l’amico in quello stato e sperava che in quel modo si convincesse che non tutte le speranze erano perse.
 
-No. Lei l’ha sempre amato.-
 
La liquidò lui con aria stanca, come a voler chiudere una volta per tutte quel discorso.
 
Però la ragazza non era pronta a gettare la spugna, non dopo che aveva visto quello che esisteva tra Peeta e Katniss.
 
Rabbrividì ricordando quando Katniss si era ritrovata nello spicchio dell’arena dove le Ghiandaie Chiaccherone le avevano fatto sentire la voce di Prim torturata, a come in quel momento Peeta avrebbe preferito essere torturato lui per non dover vedere Katniss in quello stato.
 
-Tu dici? Ti converrebbe riguardare le registrazioni degli ultimi Hunger Games, quando tu hai colpito il campo di forza o quando eravate sulla spiaggia a fare i piccioncini.-
 
Johanna era arrabbiata, si riusciva a capire dal tono della sua voce.
 
Non accettava che Peeta si fosse rassegnato in questo modo, non dopo tutto quello che aveva dovuto passare per rivederla. Lui non doveva arrendersi, lui che aveva la possibilità di essere felice a differenza sua, doveva lottare fino in fondo per poter essere felice con lei.
 
-Perché?-
 
Domandò il ragazzo, senza un vero interesse per la risposta.
 
Sembrava svuotato dalla voglia di vivere, non sembrava più avere una ragione per andare avanti.
 
-Perché se quello è recitare allora quella ragazza è un fottuto genio.-
 
Sbottò lei, nella speranza di far risvegliare l’amico, che però con aria assente si limitò a commentare:
 
-E` passato tanto tempo e sono successo troppe cose.-
 
-Certe cose non cambiano col tempo.-
 
Replicò lapidaria la donna del distretto 7.
 
-Non mi illudere Johanna. Per favore. Lei amava Gale quando ci siamo conosciuti e l’ha sempre amato. Solo quando c’è stato il problema di Prim lei si è separata da lui. Sono cresciuti insieme, si capiscono come nessun altro. E` ora di farsi da parte con dignità.-
 
Sussurrò lui infine, mentre gli occhi si velavano nuovamente di lacrime, ma quel poco orgoglio che era rimasto nel cuore di Peeta impediva di farle scendere.
 
-E quindi ti ubriachi con Haymitch?-
 
Si informò Johanna imbestialita, mentre il sarcasmo trapelava da ogni sillaba e una nota di cattiveria si insinuava nella sua voce.
 
-Senza farmi vedere da lei!-
 
Osservò lui con un mezzo sorriso poco convincente, cercando di far migliorare il clima che si era creato tra i due, ma tra i due calò un pesante silenzio.
 
I rumori del bosco sembravano essersi zittiti visto l’aria pesante che tirava tra i due, finche` dopo una decina di minuti la ragazza domandò:
 
-Ma tu come farai? Non ci pensi?-
 
Aveva una dolcezza che era insolito sentire nella voce di Johanna, come se avesse buttato giù quella maschera di sicurezza che l’aveva sempre contraddistinta.
 
In fondo con lui non aveva bisogno di fingere, non con il ragazzo che aveva sentito le sue urla sotto tortura, con cui aveva condiviso la prigionia e con cui si era spogliata di tutte le sue sicurezze.
 
-Tranquilla. Lei l’ha già scelto una volta e io sono sopravvissuto. Potrò farcela anche una seconda.-
 
Spiegò lui con un sussurro, cercando di sorriderle con poco successo.
 
Johanna lo osservò di sbieco, valutando le sue condizioni pietose.
 
Non le sembrava il caso di insistere, quindi rispose tirandogli una pacca sulla spalla, per fargli coraggio.
 
Una domanda però aleggiava nella testa della ragazza.
 
Peeta poteva sopravvivere a quell’abbandono?
 
Non ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
 
 
- To be continued.

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,

What would you do?

 


 

CAPITOLO 19
 

Certi sentimenti erano paragonabili alle canzoni preferite.
Bastava ascoltarle per tornare indietro nel tempo in un flashback di ricordi vicini e lontani,
Di fotografie sbiadite, di tramonti sospesi.
Bastava solo una nota, a volte, per rimettere tutto in discussione.
Proprio come accadeva con alcuni sentimenti:
Bastava ascoltarli spontaneamente,
Come si fa con una canzone,
Per scorgere ancora un po’ di sé e delle persone che abbiamo amato.

- C. Amato 
 


Katniss scese dal treno a disagio, osservando il secondo distretto mentre cercava di rinascere dalle macerie.
 
Ogni cosa le ricordava la sua ultima visita, le grida, la morte, ma cercò di farsi forza. Se era sopravvissuta al degrado del suo distretto natale allora sarebbe riuscito a sopravvivere anche a quello, dove i ricordi che la legavano erano di meno.
 
Si avventurò verso il centro della città, riconoscendo a stento il distretto che aveva visitato l’ultima volta. A quanto pareva la guerriglia tra Capital City e i ribelli era continuata in quella città, dove si intravedevano ancora i ponti bombardati e le macerie di qualche casa bruciata. 
 
Le immagini che le passavano davanti agli occhi non erano però strazianti come il Distretto 12, perché in quel posto si trattava solo di ricostruire qualche casa o costruzione crollata, invece a casa sua si trattava di ricostruire un’intera città.
 
Fu mentre Katniss vagava confusa per il centro del distretto che vide la sua schiena e tutti i muscoli del suo corpo si irrigidirono.
 
Le avrebbe riconosciute tra mille, quelle spalle che aveva spesso coperto o che avevano coperto le sue, che sapeva quanto fossero forti quando ancora adolescente aveva iniziato a sacrificarsi per la sua famiglia. Conosceva anche le frustate e il dolore che avevano provato, poteva disegnare nella sua mente quelle orribili cicatrici che a volte ancora le apparivano in sogno.
 
Eppure in quel momento quelle spalle la fecero semplicemente riempire di nostalgia, facendola sentire quella quattordicenne che aveva conosciuto un giorno nei boschi, piccola, indifesa, spaventata.
 
Si avvicinò con deferenza, quasi per paura che quando lui si sarebbe girato l’incanto di aver ritrovato il suo vecchio amico sarebbe stato rotto, mostrandole un perfetto sconosciuto, mentre un sorriso timido e spontaneo spuntava sulle sue labbra solo al vederlo e qualcosa a livello del cuore si riscaldava.
 
-Ciao Gale.-
 
Mormorò con voce incerta, mentre le si seccava la bocca e un disagio che non aveva mai provato nei suoi confronti la invadeva.
 
Non poteva immaginare come Gale potesse reagire dopo tutto quello che era successo, se fosse arrabbiato con lei, se avesse voglia di vederla o anche se solo le volesse un minimo di bene, non sapeva nulla.
 
Lei l’aveva chiuso fuori dalla sua vita dopo quell’avvenimento e non sapeva se Gale avesse covato lo stesso risentimento per lei, se l’avesse perdonata per il suo comportamento, se la odiasse perché aveva ucciso la Coin.
 
-Katnip? Sei tu?-
 
Domandò lui girandosi confuso, ma quando i suoi occhi incontrarono la sua figura, una luce si accese in quelli grigi del ragazzo.
 
Un’immensa calma entrò subito nelle membra di Katniss, facendola finalmente rilassare.
 
Gli occhi di Gale erano ancora gli stessi.
 
Non erano mai cambiati, non come quelli di Peeta che diventavano neri e spietati. Erano gli occhi grigi del giacimento che l’avevano accompagnata per anni, che lei aveva semplicemente imparato a venerare, che così spesso ricordavano i suoi.
 
Anche se mancava tutta la dolcezza che gli occhi azzurri del ragazzo del pane le sapevano regalare.
 
Katniss scacciò quell’ultimo pensiero scrollando la testa, per poi annuire timida a Gale, facendo subito dopo un passo in avanti, come un animale che sta tastando il terreno attorno a se.
 
Gale coprì la distanza che intercorreva tra loro in un istante e la strinse tra le braccia, forte, in modo che tra i loro due cuori non ci fossero distanze, come aveva fatto quel giorno dopo la mietitura.
 
Katniss ricambiò l’abbraccio stringendo forte a se l’amico e ispirando a pieni polmoni il suo profumo.
 
Era cambiato, non solo aveva messo su qualche chilo e non era più scheletrico, ma anche il suo profumo era leggermente mutato.
 
Non aveva più quel fondo di carbone, mischiato con l’odore della foresta, quel profumo che l’aveva sempre fatta sentire a casa.
 
Ora profumava di sapone, misto ad un filo di dopobarba, che probabilmente in quel distretto poteva permettersi di comprare, visto il suo ruolo importante.
 
Katniss sorrise, appoggiando la testa al suo petto, perché con o senza il profumo del bosco alla fine non rimaneva sempre lo stesso Gale?
 
Si separarono dopo quello che a loro parve un’eternità, quando tutta quella distanza che avevano creato negli ultimi tempi si annullò, quando i loro respiri tornarono ad essere sincronizzati, come quando si coprivano le spalle a vicenda nel bosco.
 
-Mi sei mancata Katnip. Tanto.-
 
Ammise lui guardandola raggiante, mentre gli occhi scintillavano.
 
-Anche tu Gale.-
 
Rispose lei sincera con gli occhi pieni di lacrime di gioia.
 
*
 
La sera arrivò in un secondo per Gale e Katniss, mentre lui le mostrava il distretto, l’alloggio e la presentava a decine di persone curiose. Trovarono il momento di parlare quando andarono a cenare, in una grossa mensa da campo, dove si accomodarono in un tavolino appartato.
 
Dopo aver preso la loro porzione serale Gale, in tono pacato, affermò sedendosi di fronte alla ragazza.
 
-Dobbiamo parlare.-
 
-Lo so. Ti starai chiedendo cosa ci faccio qui, no?-
 
Chiese lei leggermente a disagio, giocherellando con la zuppa all’interno della scodella, rendendosi conto che aveva aspettato da tutto il giorno quel discorso, sapendo che l’avrebbe aspettata al varco.
 
-Anche.-
 
Concesse lui, osservandola con sguardo interrogativo. Katniss non gli lasciò il tempo di porre domande, ma attaccò immediatamente con un fiume di parole:
 
-L’altro ieri parlando con Peeta mi ha fatto capire che io non devo avercela con te per quello che è successo a Prim e che per riuscire a stare bene innanzitutto con me stessa e poi con gli altri ti devo perdonare.-
 
Gale la osservava confuso, come se quello che stava affermando non avesse alcun senso logico, quindi Katniss cercò di spiegare:
 
-Insomma io non posso continuare ad odiarti per qualcosa che ormai è successo. Soprattutto dopo tutto quello che c’è stato tra di noi. Sono sicura che tu non sapessi che Prim avrebbe perso la vita in quel bombardamento, che non l’avresti nemmeno immaginato. Quindi io ti perdono Gale.-
 
Concluse lei, abbassando gli occhi e irrigidendosi, mentre gli occhi del ragazzo si spalancavano sorpresi.
 
-Come?-
 
Chiese nuovamente lui, non capendo veramente cosa lei avesse da perdonargli.
 
-Ti perdono perché per me tu centri con l’ideazione della bomba che ha ucciso Prim. Lo so che mi darai dell’egoista, che voglio solo stare in pace con me stessa, ma senza che io te lo dicessi non avrei più potuto volerti bene come prima.-
 
Negli occhi grigi del ragazzo passò una fiamma, come se finalmente avesse capito il nocciolo della questione, e sorridendo domandò speranzoso:
 
-Quindi sei tornata da me?-
 
Katniss si immerse nuovamente nella contemplazione della sua zuppa, continuando ad affogare i crostini, per poi ammettere:
 
-Sono tornata per mettere ordine e capire finalmente cosa voglio.-
 
Per un attimo parve che l’intera mensa si fermasse, per capire il significato dell’affermazione di Katniss.
 
-Aspetterò Katnip, ti ho aspettato per una vita.-
 
Concluse lui guardandola negli occhi e mostrandole apertamente il suo cuore, facendola diventare paonazza per l’imbarazzo.
 
*
 
I giorni iniziarono a susseguirsi velocemente nel distretto due. Katniss aveva il compito di mostrare come la Ghiandaia Imitatrice fosse rinsavita e orgogliosa di come procedevano le cose nel Distretto. In cambio veniva ospitata nella caserma dove viveva anche Gale, dormento e vivendo con i soldati ancora presenti.
 
Le piaceva vivere li, le faceva ricordare come lei e Gale avevano vissuto per tanti anni, insieme, e soprattutto la lontananza dal fantasma del Distretto 12 l’aiutava a svuotare la mente da tanti spiacevoli ricordi.
 
Si sentiva ringiovanita a stare con lui, come se gli Hunger Games non fossero mai arrivati e Prim la stesse aspettando a casa.
 
La vecchia Katniss, quella sempre forte e sicura di se, girava per le strade con suo cugino, aiutando dove poteva.
 
Era piuttosto allegra, soprattutto quando i due sfuggivano dalla vita del distretto e si concedevano qualche ora nei boschi.
 
Non erano i loro boschi, ma si accontentavano di quelli per sentirsi vivi.
 
-Katniss Everdeen?-
 
Domandò un giorno una ragazzina guardandola con occhi sognanti.
 
La ragazza sorrise e tirandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli rispose:
 
-Si e tu sei..?-
 
-Margot Lee! Io ho sempre tifato per te agli Hunger Games!-
 
Cinguettò la ragazzina, che aveva una brutta cicatrice sul braccio, probabilmente a causa delle guerriglie avvenute, aggiungendo poi:
 
-Per te e per Peeta ovviamente!-
 
Katniss arrossì impercettibilmente, mentre quel senso di colpa che l’aveva oppressa per praticamente due anni tornava a farsi vivo. Chi stava prendendo in giro lei? Peeta, Gale o entrambi? E in quel momento stava prendendosi gioco dell’intera Panem, mentre girava con il suo finto cugino e Peeta era nel Distretto 12 in chissà quali condizioni?
 
Sorrise comunque a Margot, rispondendole:
 
-Allora hai tifato bene visto che siamo sopravvissuti ben due volte!-
 
La ragazzina si mise a ridere e rispose:
 
-Spero che un giorno Mattew mi amerà così tanto come lui ama te!-
 
Se avessero gettato Katniss in un lago ghiacciato si sarebbe sentita gelare di meno. Quella ragazzina le aveva appena sbattuto in faccia quanto Peeta l’avesse sempre amata e lei lo aveva ripagato tornando da Gale.
 
Nonostante ciò rassicurò la bambina, che dopo aver salutato Katniss, corse via per raccontare ai suoi genitori del suo incontro con la Ghiandaia Imitatrice.
 
*
 
-Ho visto in tv che tu e Peeta eravate tornati insieme a Capital City. O continuate a recitare per le telecamere?-
 
Domandò un pomeriggio Gale, mentre erano seduti su due rocce a spennare le oche appena catturate.
 
Katniss si prese tutto il tempo per rispondere, finendo di sistemare le piume dell’oca che aveva tra le mani, nella speranza che l’amico non si fosse accorto di come avesse sussultato nel sentire quel nome.
 
-Non recitiamo. Peeta ha detto che non stiamo insieme, che dobbiamo riprenderci da tutto quello che abbiamo passato.-
 
Rispose lei secca, nella speranza di chiudere la questione e staccando una manciata di piume con troppa forza.
 
-Lui ha anche detto che probabilmente quando le cose si sistemeranno tornerete insieme.-
 
Osservò Gale, gelido, evitando di guardarla ma concentrandosi sull’animale tra le sue mani.
 
-Si possono sistemare certe cose secondo te?-
 
Domandò Katniss sarcastica, proseguendo poi:
 
-Si possono sistemare gli incubi che assalgono ogni notte? Si possono sistemare le vite delle persone che non ci sono più? La risposta è che non andrà mai tutto a posto Gale. Mai.-
 
Ripeté la ragazza risentita, ripensando agli occhi neri di Peeta quando aveva i suoi attacchi. Non si sarebbe mai sistemato.
 
Mai.
 
Non sarebbe mai tornato quel ragazzo dall’infinita dolcezza che aveva conosciuto nell’arena, quello che le aveva regalato la perla che portava al collo, quello che era disposto a morire per lei senza rimpianti, quello per cui era pronta a sacrificare la vita.
 
Katniss sentì salire dentro di lei un’immensa tristezza, mentre le lacrime iniziavano a premere per uscire.
 
Si alzò in piedi e scrollò i vestiti sbrigativa, quindi chiese:
 
-Se non hai più domande stupide da fare, che ne dici di andare?-
 
Gale si alzò in silenzio, seguendo l’amica a pochi passi.
 
Katniss dal canto suo non poteva che ricordare come i pochi litigi che lei e Gale avevano avuto riguardavano sempre Peeta.
 
Il ragazzo del pane che, in quel momento, le sembrava appartenere ad un mondo completamente diverso da quello in cui viveva. Era come se lui appartenesse ad un sogno indistinto, fatto di un sapore agrodolce, per cui spesso provava troppa nostalgia.
 
I due tornarono velocemente al distretto, dove fecero finta che non fosse successo nulla. Gale stette ben attento a non pronunciare più il nome di Peeta per non rompere quell’incantesimo che sembrava aver portato lui e l’amica d’infanzia indietro nel tempo.
 
Ma quel nome continuava a rimbombare nelle orecchie di Katniss.
 
- To be continued.

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

CAPITOLO 20
 

 

I ricordi veramente belli continuano a vivere e a splendere per sempre,
Pulsando dolorosamente insieme al tempo che passa.
- Banana Yoshimoto
 
 
 
Il vero problema per la Ghiandaia Imitatrice, nel vivere nel Distretto 2, era la notte.
 
Ogni notte gli incubi la assalivano, facendole ricordare come gli Hunger Games l’avessero trasformata in un’assassina, che troppe persone erano morte per lei, che non avrebbe più rivisto i meravigliosi occhi verde mare di Finnick, che non avrebbe più potuto sistemare la “coda di paperella” di Prim, che Peeta non l’avrebbe stretta quella notte.
 
Si svegliava sempre più spesso urlando, completamente sudata o in lacrime e nessuno arrivava a consolarla.
 
Neanche Gale.
 
-Katniss devo dirti una cosa, ma devi promettermi che non ti arrabbierai.-
 
Esordì una mattina l’amico d’infanzia a colazione, posizionandosi con il suo vassoio di fronte a lei.
 
Katniss ormai era due settimane che viveva nel Distretto 2 e fino a quel momento non aveva visto l’amico così a disagio.
 
Gli occhi grigi della ragazza lo osservavano interrogativi, mentre nella sua mente passava in rassegna cosa potesse criticarle il ragazzo.
 
Ma prima che lei potesse analizzare più di due opzioni lui affermò prontamente:
 
-Devo chiederti di trasferirti a dormire in un’altra ala dell’edificio, in una stanza insonorizzata che abbiamo.-
 
-Come mai?-
 
Domandò Katniss confusa, infilandosi in bocca un’altra cucchiaiata di cereali, mentre la sua mente rimpiangeva le deliziose focaccine che Peeta le preparava ogni mattina.
 
-Perché noi abbiamo bisogno di riposare e le tue urla notturne non fanno chiudere occhio a nessuno.-
 
Confessò il ragazzo, ingoiando anch’esso i cereali per non mostrare il suo imbarazzo.
 
Katniss rimase con il cucchiaio a mezz’aria, confusa, a soppesare nella sua mente se Gale fosse serio o stesse scherzando.
 
La rabbia le salì dritta dalla bocca dello stomaco, mentre socchiudeva gli occhi furente.
 
-Mi state emarginando come una malata?-
 
Il tono che Katniss voleva fare apparire moderato era acuto e con note isteriche, quindi Gale si affrettò subito a spiegare, per non farle creare un putiferio:
 
-No, assolutamente! Il problema è che ci riesce difficile riuscire a riposarci come dovremmo, quindi abbiamo cercato la soluzione migliore per tutti.-
 
-Ed è quella di emarginarmi come un appestato?-
 
Chiese Katniss ormai fuori di se per la rabbia, alzandosi dalla sedia incredula. Gale non rispose, confuso per la reazione ai suoi occhi esagerata.
 
-Va bene.-
 
Affermò poi Katniss cercando di ritrovare la calma e di non fare una scenata in pubblico.
 
-Vado a fare quattro passi, ho bisogni di pensare.-
 
E senza lasciare al ragazzo il tempo di ribattere prelevò il suo vassoio e scomparve dalla sua vista.
 
Gale sospirò amaramente, mentre si stiracchiava sulla sedia. Non capiva Katniss, non capiva ancora il perché fosse tornata, se avesse litigato con Peeta e quindi fosse scappata o se veramente fosse tornata per restare con lui.
 
Era sempre stata un mistero quella ragazza.
 
Sperava che, con la fine della guerra, avesse scelto quello che le serviva per sopravvivere, ma con il fatto successo a Prim questa cosa non era successa.
 
E quando finalmente si era messo il cuore in pace lei era tornata, finalmente.
 
Sospirò sconfortato finendo la sua colazione, pronto a distrarsi in un’altra giornata di lavoro.
 
Nel frattempo Katniss continuava a vagare rabbiosa per il distretto, senza considerare le persone attorno a lei che la salutavano allegri.
 
Non poteva capire come a Gale, il suo migliore amico d’infanzia, non capisse quando aveva bisogno di un abbraccio, come di notte quando si svegliava dagli incubi. Non avevano mai avuto un rapporto basato anche sulla fisicità, come invece quello che aveva con Peeta, ma pensava che tutti ci potessero arrivare a fare una cosa talmente semplice.
 
Se la tua migliore amica, nonché donna che ami a quanto dici, ha bisogno di qualcuno che le stia vicino, perché non ti offri tu volontario per primo?
 
Katniss non lo capiva, come non capiva cosa pensava veramente lei di questa cosa.
 
La ragazza camminava da ormai una mezz’ora senza meta per la città, mentre la rabbia pian piano scemava e i suoi pensieri continuavano a vorticare, quando una voce conosciuta la salutò cordiale:
 
-Signorina Everdeen, buongiorno!-
 
Gli occhi della ragazza incontrarono quelli scuri del dottor Aurelius e salutò quindi con un cenno del capo.
 
-Ecco che fine hai fatto! Sei qui con Peeta?-
 
Domandò subito quello, apparentemente molto interessato alla risposta.
 
Immediatamente la ragazza sentì nuovamente salire la rabbia, per essere stata subito associata a Peeta. Non capiva come mai nessuno riuscisse a vederli come realtà separate, come effettivamente erano, quindi rispose indispettita:
 
-No, perché?-
 
-Perché il fatto che tu non mi rispondessi al telefono era normale per me, ma è una settimana che lui non risponde.. E l’ultima volta ha risposto Johanna Mason dicendo che stava benissimo! Proprio non capisco!-
 
Spiegò quello allegro, lasciando trasparire la sua confusione per l’ultimo avvenimento.
 
-Johanna? Allora sta benissimo.-
 
Ribatté Katniss acidamente, indispettita oltremodo dall’informazione appena ricevuta.
 
-Ti da fastidio la sua presenza con Peeta?-
 
Domandò il medico interessato, capendo subito che ci fosse un problema di fondo, ma lei rispose impettita:
 
-Affatto.-
 
Il dottore scoppiò a ridere divertito, facendo imbestialire ancora di più la ragazza.
 
Appena notò che lei dava segni di un’imminente fuga propose cordiale:
 
-Magari un giorno di questi potremmo prendere un caffè, se ti va. Io sono qui molto spesso, visto che ho diverse cose da sistemare. Questo è il mio biglietto da visita.-
 
Katniss prese il biglietto e lo infilò in tasca distratta, salutando con un mezzo sorriso.
 
-Le farò sapere senz’altro. Buona giornata.-
 
Acconsentì la ragazza sbrigativa, continuando poi il suo vagare per la città.
 
Sembrava che quella mattina si fossero tutti messi d’accordo per irritarla, quindi con l’umore sempre più nero la ragazza si ritrovò a vagare per dei vicoli semi deserti, lontani dal centro della città.
 
Fu proprio mentre si stava decidendo a tornare che un uomo sulla quarantina l’avvicinò con un sorriso amichevole.
 
-Non posso credere ai miei occhi! Sei proprio tu?-
 
Domandò quello incredulo, prendendole la mano e iniziando a stringerla convulsamente.
 
L’uomo tremava tutto, apparentemente entusiasta dell’incontro appena fatto.
 
-La Ghiandaia Imitatrice quale onore! La prego, venga a trovare mio figlio!-
 
Un senso di disagio piombò immediatamente su Katniss, che cercò di sviare la cosa:
 
-Non mi sembra il caso, suo figlio mi può trovare al campo, sono la quasi tutto il giorno.-
 
-No la prego!-
 
Urlò quello, iniziando a piangere e a stringerle la mano, quasi implorante.
 
-Mio figlio è gravemente mutilato e non può uscire di casa. La prego! Lo venga a trovare, basteranno due minuti perché lei cambi la sua vita!-
 
Le lacrime dell’uomo e i singhiozzi fecero tornare in mente a Katniss la sua visita all’ospedale del Distretto 8, dove il bambino senza più un occhio sembrava radioso dopo la sua visita.
 
Soppesò un attimo la cosa, in fondo Gale non si sarebbe accorto di nulla e non le avrebbe fatto la paternale sul fatto che si fosse messa in pericolo o cose del genere.
 
Cosa poteva succederle di male in fondo?
 
-Va bene..-
 
Acconsentì ancora titubante la ragazza, vedendo un guizzo quasi folle negli occhi dell’uomo non appena sentì quelle parole.
 
-Venga, venga!-
 
La condusse l’uomo, mentre continuava a parlare di come il figlio sarebbe stato contento nel vederla, di come aveva sofferto nel vederla impazzire, di come lei non era solo stata un simbolo, ma l’anima stessa della rivoluzione.
 
Confusa da quel fiume di parole Katniss non badò più a dove l’uomo la stesse conducendo, ma si limitò a sperare di arrivare in fretta per poter tornare al campo.
 
Non aveva finito la colazione quella mattina e a giudicare dalla posizione del sole doveva essere ormai quasi mezzogiorno e il suo stomaco stava facendole presente la cosa.
 
Finalmente arrivarono davanti ad una catapecchia, che a Katniss ricordò tanto una delle abitazioni del vecchio dodicesimo distretto e non una di quelle che si era abituata a vedere in quel distretto.
 
-Venga, venga pure! Si accomodi pure qui.-
 
Disse l’uomo cortese, invitandola ad accomodarsi su una panchetta in legno davanti ad un tavolo.
 
-Vado subito a chiamare mio figlio, vedrà quanto sarà felice quando vi vedrete!-
 
L’uomo entrò nel locale alle spalle di Katniss, continuando a parlottare da solo della gioia del figlio nel vederla. Katniss lo sentì salire le scale pericolanti e sparire al piano di sopra.
 
Attese qualche minuto, persa nel pensiero del pranzo al campo, che sentiva sempre più necessario. Era debole, soprattutto ora che non c’erano le focaccine e le torte di Peeta da mangiare fuori dai pasti. Le ricordava troppo il Distretto 13 quel regime in cui viveva, ma si consolava pensando che almeno non le stampavano il programma della sua giornata sul braccio.
 
Quasi non lo sentì nonostante il suo orecchio da cacciatrice, ma quel sesto senso sviluppato nelle sue esperienze agli Hunger Games la fece voltare insospettita dal troppo silenzio.
 
Non appena si girò vide la grossa figura dell’uomo scagliarsi su di lei brandendo un coltello dalla lunga lama, che spesso aveva visto maneggiare al macellaio quando comprava la sua selvaggina.
 
Si scansò appena in tempo perché la lama non le perforasse la schiena, ma sentì il freddo metallo che le sfiorava un fianco.
 
Le venne istintivo urlare, ma l’uomo, con una forza che non avrebbe mai attribuito a quella figura servile come si era presentato le tappò la bocca con una mano, iniziando a ringhiarle contro.
 
-E’ stata solo per colpa tua che lui è morto! Tu, maledetta!-
 
Gli occhi confusi e pieni di panico di Katniss fecero scoppiare a ridere l’uomo e chiese ironico:
 
-Vuoi sapere come l’hai ucciso Ghiandaia? Tu, aizzando i distretti contro la grande Capital City l’hai fatto uccidere! Maledetta!-
 
La ragazza cercò di negare, ma l’uomo scoppiò in una risata aspra e graffiante.
 
Premette più forte la bocca della ragazza e avvicinandosi al suo orecchio sibilò divertito:
 
-Ma è morta anche lei, vero Ghiandaia?-
 
Katniss non capiva a chi si riferisse, ma l’uomo riprese rapido:
 
-La tua bella sorellina, eh? L’abbiamo bruciata viva noi.-
 
Un moto di rabbia cieca investì la ragazza, che con tutte le sue forze si scansò l’uomo di dosso, mettendosi dritta in piedi.
 
-Non ti permetto di parlare di Prim!-
 
Urlò lei con tono autoritario e sguardo deciso, identico a quello che aveva nei pass pro che aveva girato.
 
Era ancora la ragazza in fiamme in quel momento, mentre nei suoi occhi grigi una nuova luce splendeva.
 
Nessuno poteva parlare di Prim in quel modo, nessuno.
 
-Eccoti tornata Ghiandaia! E ti eliminerò io stesso! Come non siamo riusciti a fare durante la guerra!-
 
Urlò l’uomo avventandosi su di lei con il coltello, Katniss lo schivò agilmente e lo buttò a terra, facendo cadere il coltello di lato e bloccandolo con un piede.
 
-Prova a ripeterlo ora!-
 
Urlò Katniss con rabbia, ma in quel momento l’uomo tirò fuori una pistola e un dolore cieco alla spalla fu l’ultimo ricordo di Katniss.
 
*
 
Katniss si svegliò in un letto d’ospedale, dove le luci soffuse le fecero capire che era ormai sera inoltrata.
 
Affianco al suo letto sedeva Gale, che si illuminò sollevato nel vederla sveglia.
 
-Ti sei ripresa, per fortuna. Oggi ti sei salvata solo perché un soldato ha sentito lo sparo ed è accorso. Non sai che spavento mi sono preso.-
 
Ammise sospirando sollevato e avvinandosi a lei, iniziando ad accarezzarle i capelli, stando ben attento a non toccarle la spalla e il fianco doloranti. Katniss, visti i suoi precedenti con ferite di vario genere, concluse che anche alla spalla doveva essere stata presa solo di striscio, per sua fortuna.
 
-Mi avevano assicurato che non era nulla di grave ma non me la sentivo di andarmene finché tu non ti fossi ripresa.-
 
Concluse sorridendole dolcemente, facendola sentire in leggero imbarazzo.
 
-Sto benone, a parte un po’ di male alla spalla.-
 
Confermò la ragazza, cercando di essere spavalda e non far trapelare il dolore bruciante che provava.
 
-Hanno insistito per darti la dose minima di morfina, in quando dicono che potresti tornare dipendente con troppa facilità.-
 
La ragazza chiuse gli occhi un momento, maledicendo nella sua testa i medici e queste loro idee, ma riaprendo gli occhi rispose con la voce più tranquilla che trovò:
 
-Mi spiace averti fatto preoccupare.-
 
-Non farlo mai più.-
 
Esordì Gale duro, mentre gli occhi grigi diventavano di ghiaccio.
 
-Ti avevo detto di stare attenta perché questo posto è pieno di invasati! Che cosa ti è saltato in mente di andare a casa di uno sconosciuto?-
 
La sgridò il ragazzo, facendola sentire mortificata, nella speranza che il letto l’assorbisse.
 
-Mi dispiace, io non volevo ma poi il bambino nell’ospedale dell’ottavo distretto mi è tornato in mente. Io gli avevo ridato il sorriso solo con la mia presenza, quindi speravo di poterlo fare di nuovo.-
 
Piagnucolò Katniss, mentre il ricordo dei due fratelli nell’ospedale le tornava prepotente in mente.
 
A quanto pare tornò anche a Gale, perché il suo sguardo si addolcì e avvicinandosi sussurrò:
 
-Va bene, ma promettimi che d’ora in poi andrai in giro solo con me o con due uomini di scorta.-
 
Dopo che Katniss ebbe annuito il ragazzo si avvicinò ancora e le lasciò un bacio leggero sulle labbra, sorridendole.
 
-Ora dormi e riprenditi. Non vorrei mai che ti succedesse qualcosa ora che sei tornata da me.-
 
Katniss rispose con un mezzo sorriso e sbadigliò stanca, quindi lui, dopo averle augurato la buonanotte, se ne andò.
 
Quando Gale si fu allontanato per lasciarla dormire la ragazza rabbrividì e si strinse di più nelle coperte.
 
Aveva freddo da sola nel letto e sapeva benissimo quali braccia sarebbero riuscite a riscaldarla.
 
Chiuse gli occhi e il volto del ragazzo del pane apparse netto in ogni sua espressione, quindi Katniss li riaprì, cercando di non pensarci, convincendosi che era stato lui a mandarla tra le braccia di Gale e che fosse giusto così.
 
Il bacio leggero che l’amico di infanzia le aveva dato non l’aiutava di certo in quelle condizioni.
 
Non avrebbe dovuto desiderarne ancora come quando Peeta l’aveva baciata in passato?
 
Non doveva sentirsi lo stomaco contorto per l’emozione e un sorriso immenso non avrebbe dovuto curvarle le labbra?
 
Eppure, perché continuava a pensare che fosse stato sbagliato?
 
Prese la perla che portava gelosamente al collo e se la passò sulle labbra sovrappensiero, godendosi il tocco fresco sulle labbra, che le conciliò lentamente il sonno.
 
Si sentiva tanto in torto forse perché continuava a chiedersi come mai quando il suo aggressore l’aveva colpita lei avesse urlato non il nome di Gale ma quello di Peeta?
 
 
- To be continued. 
 
 
 
 
 
*Angolino dell’autrice*
Mi scuso infinitamente per il ritardo, ma sono stati dei giorni troppo pieni e soprattutto avevo perso la chiavetta su cui avevo salvato il capitolo!
Il prossimo aggiornamento sarà nei soliti tempi! (mi auguro!)
Grazie a tutti quelli che seguono/recensiscono/leggono.
Vi abbraccerei tutti fortissimo, giuro :)
Ciaooo
Saru

 

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,

What would you do?

 


CAPITOLO 21
 

Ci si può ammalare anche solo di un ricordo.
- Paolo Giordano 
 

Katniss dopo il suo piccolo incidente restò a letto quasi una settimana, in cui Gale passò spesso a trovarla, senza però accennare mai al bacio che era sfuggito quella sera.

La ragazza, dal canto suo, non fece niente per far tornare il discorso, evitando accuratamente di rimanere in atteggiamenti intimi con lui.

Nonostante ciò la Ghiandaia non si stupì affatto quando lui un giorno, mentre parlavano del tempo passato distanti, affermò sicuro:

-Sai, sono stato veramente sollevato vedendoti tornare qui. Temevo tu avessi scelto Peeta nonostante tutto quello che aveva detto su di te.-

La ragazza distolse lo sguardo dalla finestra, dove stava osservando due passerotti beccare le briciole del suo pranzo che aveva buttato sul davanzale e osservò Gale scettica, mentre una ruga si insinuava sulla sua fronte:

-Tutto quello che aveva detto su di me?-

Il ragazzo sembrò non dar peso al tono polemico della ragazza e rispose curioso:

-Si, non ti ha raccontato che ci siamo visti quando siete andati a Capital City per quella famosa cena?-

La ragazza, nonostante non volesse darlo a vedere, si ricordava perfettamente di quella cena.

Era il giorno in cui aveva fatto pace con Peeta e aveva ritrovato le sue braccia accoglienti, che pensava non avrebbe più lasciato.

Eppure ricordava con altrettanta chiarezza come avesse trovato insolita l’assenza di Gale, nonostante si fosse convinta che fosse una cena riservata solo ai vecchi tributi.

E ora non si spiegava il perché il ragazzo del pane non le avesse detto di averlo incontrato.

-No, non me l’ha detto.-

Affermò lei titubante, non guardando appositamente l’amico negli occhi, per paura che lui vedesse il suo disagio.

Peeta non le aveva mai nascosto nulla, a differenza sua, che aveva nascosto fin troppe cose all’amico. Quindi a che pro farlo?

Aveva forse timore che ammettendo di aver incontrato Gale lei sarebbe tornata dall’amico d’infanzia?

Eppure non era stato Peeta stesso a spingerla tra le sue braccia il mese prima?

-Avrà voluto nascondere la scemata che ha detto quel giorno.-

Rispose Gale con un’alzata di spalle, non dando peso allo sguardo pensieroso della ragazza.

-Che scemata?-

Domandò quindi lei, curiosa.

Gale iniziò a raccontare con voce incolore:

-Ci siamo incontrati dopo il suo colloquio con la presidentessa Paylor, io ero li per il rapporto trimestrale che le devo fare sull’andamento del distretto. All’inizio ci siamo salutati normalmente e mi ha detto che stava aspettando che Johanna finisse anche lei il colloquio, quindi, visto che io avevo bisogno della Paylor, sono rimasto li ad aspettare e a chiacchierare con lui. Vabbè gli ho chiesto come stessi tu, visto che non ti avevo più rivisto dopo aver lasciato Capital City e mi ha spiegato che stavi migliorando. Quindi gli ho fatto una battuta tipo: “hai visto che alla fine Katniss ti ha ritenuto quello indispensabile tra i due?”-

Katniss sobbalzò, ricordando di come fosse stata ferita nell’essere stata considerata sia da Gale che da Peeta talmente calcolatrice che alla fine della guerra avrebbe scelto quello indispensabile per la sua sopravvivenza.

Stava per rispondere sprezzante quando il ragazzo riprese il suo racconto:

-Lui mi ha lasciato un po’ sconcertato dalla sua risposta, insomma non penso stesse del tutto bene di testa.-

La rabbia provata qualche istante prima da Katniss scomparve, lasciando il passo alla curiosità.

-Cosa ti ha detto?-

Chiese quindi osservando gli occhi grigi di Gale.

-Mi ha risposto “E’ qui che ti sbagli, l’unica indispensabile per Katniss era Prim e penso che i fatti l’abbiano evidenziato a pieno.”-

Il ragazzo trattenne una risatina divertita nel ripensare a quelle parole, ma Katniss non diede peso al fatto, intenta com’era ad elaborare la risposta di Peeta.

Lo sfortunato amante non si era sentito abbastanza importante da definirsi indispensabile per lei, nonostante avesse visto le condizioni pietose in cui era stata in sua assenza, mentre era prigioniero a Capital City.

Eppure aveva detto che Prim fosse indispensabile per lei e dalla morsa allo stomaco che provò solo a ripensare a quel nome si rese conto che il ragazzo avesse ragione. La profonda depressione in cui era caduta dopo la sua scomparsa era la prova palpabile di quanto affermato da Peeta e lei lo sapeva bene, non riusciva semplicemente a capire come mai Gale avesse detto che il biondo aveva detto una scemata.

-E tu cosa hai risposto?-

Domandò Katniss dubbiosa.

-Io? Che pensavo non fosse vero, poi è arrivata Johanna e abbiamo cambiato discorso.

La liquidò Gale alzandosi e stiracchiandosi.

-Si è fatto tardi Katnip, devo tornare al lavoro! Ci vediamo dopo!-

Annunciò salutandola con un sorriso e uscendo dalla stanza.

Peeta riteneva che l’unica indispensabile per la sua vita fosse Prim, eppure anche dopo la morte della sorellina lei era ancora li, viva.

O forse era viva semplicemente perché le era stato impedito di togliersi la vita, anche se a lungo si era limitata semplicemente ad esistere.

Ed era stato proprio Peeta a farla uscire da quello stato di torpore ed era stato grazie a lui che ora lei poteva definirsi ancora viva.

Eppure lui non si abrogava il diritto di essere indispensabile per lei e per questo gli era grata.

La mente di Katniss continuò a lungo a ripensare al racconto, finché non cadde sfinita addormentandosi.

Durante la sua permanenza in ospedale venne spesso a trovarla anche Hazelle e Katniss si rese conto di quanto le fosse mancata quella donna.

Aveva l’aria molto meno sciupata rispetto a quando viveva nel loro distretto e si poteva vedere come finalmente, grazie al lavoro di Gale, lei riuscisse a lavorare solo le ore consoni alla sua età.

Non seppe bene se fu per la vicinanza della donna per tutto quel tempo, ma la ragazza riprese a pensare a sua madre, a come l’avesse chiusa ermeticamente fuori dalla sua vita, ma come alla fine fosse l’ultimo membro della sua famiglia di sangue ancora in vita.

Fu probabilmente per quei pensieri che quando fu dimessa dall’ospedale accettò la proposta di Gale di andare a trovare sua madre nel Distretto 4.

Non la innervosì neanche il fatto che lui l’avesse appositamente fatto per tenerla il più possibile fuori dai guai, ma approfittò dell’occasione per concedersi quella gita nel distretto della pesca, ben sapendo che, non avendo mai incontrato Finnick nel suo distretto natale, non l’avrebbe ricollegato a lui.

Prese il treno una mattina soleggiata, pronta a circa quattro ore di viaggio, dovendo solamente recarsi a due distretti di distanza.

Quando scese dal treno non fu per lei difficile trovare l’ospedale e seguendo le indicazioni degli infermieri arrivò ben presto nella stanza dove si trovava la donna.

Katniss osservò quella schiena così familiare, china su un letto dove stava fasciando accuratamente una gamba, che in quel momento desiderò tanto stringere.

Era l’ultima parte della sua famiglia e, nonostante non si fosse riuscita a fidare negli ultimi anni, tante volte aveva desiderato poterlo fare, tornando a cullarsi nel pensiero che in fondo era ancora un ragazzina, nonostante tutto quello che aveva passato.

Erano rimaste solo loro due, non c’erano più suo padre e Prim che facevano da collante per quella famiglia, ma nonostante tutto era certa che entrambe si volessero ancora un gran bene.

-Mamma.-

Sussurrò con voce flebile e spezzata la ragazza, rendendosi conto di avere un groppo in gola, attirando l’attenzione della donna, che si voltò incuriosita.

Quando la donna si girò Katniss rimase per qualche secondo senza parole.

Non era la donna che aveva visto l’ultima volta quasi un anno prima, sembrava terribilmente invecchiata.

I capelli erano di un biondo cenere spento, mentre due profonde occhiaie incorniciavano gli occhi che avevano perso quella luce da cui erano stati illuminati un tempo.

Era il ritratto di una donna distrutta dal peso della sofferenza e mentre gli occhi di Katniss si riempivano di lacrime sussurrò di nuovo, facendolo suonare come una supplica:

-Mamma..-

Gli occhi della donna ebbero un guizzo di vita quando riconobbe la figlia e sul suo volto spuntò un sorriso, che le tolse almeno dieci anni, facendo vedere il riflesso della bellissima donna che era stata.

-Katniss.-

Rispose quella con voce tremante, avvicinandosi quasi con paura di un paio di passi, non essendo certa che la figlia avrebbe accettato le sue braccia che così spesso aveva respinto.

Eppure Katniss per la prima volta dalla morte del padre si gettò tra quelle braccia tese senza remore, stringendo a se quel corpo così esile che sembrava si stesse per spezzare, cercando di stringerla forte a se in modo da non far crollare gli ultimi pezzi di quella donna distrutta.

Il profumo materno la investì con dolcezza, lasciandola per qualche istante in un limbo di emozioni e ricordi, da cui non desiderava uscire, facendola sentire una bambina, quando suo padre era ancora vivo e quando spesso si godeva lunghi momenti tra quelle braccia.

Le lacrime iniziarono a bagnare i visi di entrambe ancor prima che se ne rendessero conto, facendole stringere ancora più forte, per non perdere l’unica persona che era rimasta per loro.

Dopo parecchi minuti le due si separarono, asciugandosi le lacrime, allontanandosi dalla stanza per andare in un luogo appartato dove poter avere un po’ di privacy e parlare.

La madre passò quasi un’ora a spiegarle come si trovasse con il suo nuovo lavoro, la sua nuova casa e questo nuovo distretto, poi fu il turno di Katniss, che spiegò il perché avesse colpito la presidentessa, ammettendo come fosse stata un’idea di quella donna quella di eliminare Prim, per poter distruggere lei e renderla inoffensiva.

La donna ascoltò e versò assieme alla figlia altre lacrime, ma quando la più giovane ebbe finito di raccontare come si fosse ripresa grazie a Peeta la madre domandò:

-Con Peeta come va quindi? Ho visto un po’ di tempo fa in tv che siete tornati assieme.-

Affermò la madre senza nessuna nota di accusa nella voce, ma con una leggera curiosità.

Katniss arrossì visibilmente, facendo scoppiare in un’insolita risata la madre.

-Perché ridi?-

Chiese la figlia leggermente risentita squadrando la donna con aria ostile.

La madre le sorrise divertita e spiegò pacatamente:

-Ridevo perché anch’io quando ero giovane avevo due uomini che mi facevano la corte, uno del giacimento e uno no.-

L’attenzione di Katniss si catalizzò totalmente sulla madre, mentre affermava quella cosa.

Non aveva praticamente mai parlato della sua giovinezza dalla morte del padre, mai una volta.

E ora, senza una ragione precisa stava aprendole il suo cuore, forse perché per la prima volta anche Katniss lo stava facendo con lei.

-Uno era il padre di Peeta e l’altro, ovviamente, tuo padre. Il fornaio poteva offrirmi un buon futuro, mentre con tuo padre avrei dovuto lasciare tutto quello che mi era più caro.-

Gli occhi chiari della madre erano persi in chissà quali ricordi mentre raccontava e Katniss osservava quella donna che a tratti le appariva quasi come un’estranea, o almeno una bella giovane bionda che aveva fatto breccia in più cuori.

-Litigai con i miei genitori quando dichiarai che avevo scelto tuo padre, me ne dissero di ogni. Eppure io avevo preso la mia decisione, anche se non era la più semplice. Non ti dico le mie amiche come mi guardarono e come smisero di considerarmi dopo quella scelta, ma io ero innamorata e la cosa mi pesava solo in piccola parte.-

Spiegò la donna sempre con aria sognante, finché non aggiunse con un sorriso:

-L’unico che non mi condannò fu proprio il padre di Peeta, che mi augurò il meglio che potessi trovare e lo fece di cuore, assicurandomi che lui ci sarebbe comunque sempre stato per me e che non mi avrebbe mai completamente dimenticata.-

La donna si interruppe abbassando lo sguardo su Katniss e dedicandole un sorriso nostalgico, ma senza alcun rimpianto.

-Inizialmente non mi andava a genio Peeta, tutto questo amore così giovani, eppure mi sono accorta di quanto fosse simile a suo padre. Quando tu ti struggevi al capezzale di Gale lui ha messo da parte tutti i suoi sentimenti per poterti vedere di nuovo felice, tutti.-

La Ghiandaia arrossì leggermente ripensando alla reazione esagerata che aveva avuto dopo che Gale era stato torturato, rendendosi conto di come Peeta in quel momento non avesse pensato neanche un momento alla sua felicità ma si era concentrato solo a far star meglio lei.

-E anche tu avevi scelto Gale al tempo e mi sono rivista tanto in te. Eppure penso che siano cambiate tante cose nell’arena, che ti hanno fatto rendere conto di quanto fosse speciale Peeta per te. Quando ti ho vista nell’arena, con Peeta, mentre cercavate l’un l’altra di convincervi a restare in vita ho capito che lui ti amava veramente e quella sera sono andata da suo padre.-

La donna si interruppe, mentre le si velavano gli occhi di lacrime, che però trattenne stoicamente.

-E` stata l’ultima volta che l’ho visto prima del bombardamento. E l’ho ringraziato con tutto il cuore perché aveva donato a te un figlio capace di darti tutto quell’amore che io come madre non ero mai stata in grado di darti.-

Ora la donna piangeva silenziosamente, ma Katniss anziché darle della debole iniziò ancora una volta a piangere con lei, distrutta dalla consapevolezza che lei aveva abbandonato Peeta nel Dodici, non essendo capace di volergli bene come gliene aveva sempre voluto lui.

Katniss non trovò il coraggio per ammettere con la madre che viveva con Gale da diverso tempo nel Distretto 2, sentendosi la peggiore vigliacca.

Dopo pochi minuti la madre riprese:

-Gale ovviamente mi è sempre piaciuto, ma è troppo simile a te e non penso che nonostante tutto il bene che potrebbe darti non sarebbe mai in grado di accettarti completamente come Peeta.-

La madre sorrise al volto arrossato della figlia e concluse:

-E alla fine, di fronte ad un fiorente futuro con Gale nel distretto 2 hai scelto Peeta, nonostante tutto quello che gli è successo, nonostante vi dobbiate costruire un futuro senza nessun appoggio, per seguire il suo vero amore. Sono fiera di mia figlia.-

Katniss arrossì per la prima volta imbarazzata per il complimento di sua madre, non aspettandosi di riceverne.

Sorrise a disagio, infilando i capelli che sfuggivano dalla treccia dietro l’orecchio, abbassando lo sguardo.

In quel momento bussarono alla porta e un’infermiera si affacciò richiamando la madre al suo dovere.

Quindi, dopo aver accompagnato Katniss nel nuovo appartamento dove avrebbe aspettato che lei finisse il suo turno, la donna tornò al lavoro.

 
*

Katniss sedeva da sola nella stanza della madre, dove aspettava paziente che lei terminasse il suo turno di lavoro per poi poter cenare insieme prima che Katniss salisse su un altro treno per tornare da Gale.

Era rimasta colpita dalle parole della madre quella mattina, su tutte le informazioni che le aveva dato sul suo passato.

Non sapeva si fosse trovata anche lei nella sua situazione di dover scegliere tra Peeta e Gale.

Aveva ritenuto di aver fatto la sua scelta restando nel distretto Dodici, ma come sempre il ragazzo del pane le aveva dato la possibilità di raddrizzare il colpo, di capire chi amasse veramente.

Sospirò sconsolata, iniziando a dondolare le gambe come una bambina, nella speranza di trovare la risposta che cercava da giorni.

Non voleva sentirsi un’egoista calcolatrice che avrebbe scelto solo per il futuro che potevano concederle. Anche perché, per essere sincera, non le interessava essere ricca, famosa o qualunque altra cosa, lei voleva stare solamente in pace con se stessa e poter guardare qualcuno con lo stesso sguardo con cui si guardavano Annie e Finnick, così innamorati l’uno dell’altra.

Eppure in quel momento più che qualunque altro le sembrava difficile trovare la risposta giusta, perché sapeva che non sarebbe potuta tornare indietro quella volta. Aveva avuto una seconda possibilità da entrambi i ragazzi, quindi ora doveva capire chi amasse veramente.

La ragazza chiuse gli occhi stropicciandoseli come per far scomparire i pensieri che l’assillavano.

In quel momento la porta si aprì e dei passi leggeri fecero alzare gli occhi a Katniss, che si trovò di fronte Annie Cresta, con i lunghi capelli scompigliati.

Le due si osservarono un momento, studiandosi a vicenda, poi l’attenzione della Ghiandaia venne attirata da un gridolino e abbassando gli occhi vide un bambino ancora in fasce tra le braccia della ragazza.

-Lui è..?-

Domandò Katniss interrompendosi subito per paura di risultare indiscreta, ma Annie le sorrise e rispose:

-Si, è lui.-

Il fagottino emise un altro gridolino e quindi la Ghiandaia si avvicinò a guardarlo, accarezzando quella testolina spruzzata di capelli.

-Stavo cercando tua madre. Non c’è?-

Domandò dopo i convenevoli che le due ragazze si scambiarono, quindi la Ghiandaia rispose:

-No, dovrebbe tornare tra qualche ora.-

Annie le sorrise in modo sognante e rispose:

-Va bene, ripasserò. Ora vado a cercare Finnick è da un po’ che non lo vedo!-

Concluse quella stringendo a se il bambino e allontanandosi con leggerezza.

Katniss rimase a fissarla sbalordita, rendendosi conto di quanto potesse essere devastante l’amore.
Annie da quando la conosceva non era mai stata del tutto a posto, eppure quando era insieme a Finnick sembrava una ragazza normale, semplicemente un po’ svampita.

Quanto era stato ingiusto il mondo risparmiando lei che non voleva più vivere e portandosi via quel ragazzo dagli occhi color del mare?

La ragazza si raggomitolò su se stessa, sentendosi persa come quando nel Distretto 13 si nascondeva negli armadi o dietro le tubature per sfuggire al mondo.

Sua madre la trovò qualche ora dopo addormentata nel suo letto, con il volto rigato dalle lacrime ormai evaporate.
La coprì con una coperta leggera, lasciandole poi un bacio sulla fronte, come non faceva da quando suo marito se n’era andato.

 
*

-Com’è andata nel distretto 4 Katnip?-

Domandò Gale cortese non appena Katniss rimise piede nel Distretto 2. Aveva un’insolita aria apprensiva nel domandarglielo, come a sperare che quell’incontro non avesse suscitato troppi ricordi di Prim e che lei non fosse ripiombata nella depressione.

Katniss rispose semplicemente, con una noncurante alzata di spalle:

-Tutto bene, è stato quasi come avere una vera madre.-

Il ragazzo sorrise sollevato e passò un braccio attorno alle sue spalle, iniziando a chiacchierare del più e del meno, insolitamente superficiale.

Quella sera la ragazza si fermò a cena a casa di Hezelle, dove passò quasi l’intera serata a giocare con i fratelli di Gale, godendosi a pieno la loro compagnia allegra.

La ragazza si congedò molto tardi, quindi Gale si offrì di riaccompagnarla al suo alloggio, anche per poter stare un po’ da solo con lei.

Quando si furono allontanati di una ventina di passi dalla casa il ragazzo domandò:

-Di cosa avete parlato te e tua madre?-

Katniss alzò le spalle e sospirò, per poi rispondere:

-Di cos’abbiamo fatto in questo periodo, del nuovo governo.. Di Peeta.-

Aggiunse con un sussurro, ben conscia che quel nome avrebbe fatto irrigidire Gale.

Come previsto la temperatura sembrò improvvisamente precipitare a quel nome, quindi il ragazzo domandò:

-Di Peeta?-

Katniss annuì senza far apparentemente caso al tono accusatorio di Gale, quindi lui chiese ancora:

-Cosa avete detto di lui?-

La ragazza prese un respiro e ribatté:

-Mia mamma ha detto che le piace molto come persona, che è stata felice di vedere in tv che fossimo tornati insieme.-

Il ragazzo stava per rispondere, quando Katniss sbottò:

-Beh, se speravi che mandandomi da lei facesse una campagna a tuo favore e io ritrovassi il sorriso allora ti sei sbagliato di grosso. Mi ha fatto piacere vederla perché è l’ultimo membro della mia famiglia, ma mi ha fatto pensare a tante cose.-

Concluse lei fermandosi davanti al portone del suo alloggio.

-Buonanotte Gale.-

Concluse gelida voltandosi e lasciandolo sulla porta senza una parola.


 
- To be continued. 
 

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

CAPITOLO 22
 

Le decisioni sono un modo per definire se stessi.
Sono il modo per dare vita e significato ai sogni.
Sono il modo per farci diventare ciò che vogliamo.

- Sergio Bambarén 
 



Katniss era seduta in silenzio accanto alla scrivania dove Gale stava lavorando, come una bambina che aspettava che il genitore finisse di lavorare per potersi dedicare a lei.

Non avevano più accennato al bacio che era sfuggito e il ragazzo sembrava rincuorato dal fatto che dopo l’incontro con la madre Katniss sembrasse molto più tranquilla e con meno voglia di mettersi nei guai.

La vita nel distretto 2 procedeva quindi velocemente, piena di impegni tra la ricostruzione degli edifici e la soppressione degli ultimi rivoltosi. La presenza di Katniss, a sentire Gale, era preziosa per poter quietare gli animi, ma da dopo l’aggressione non poteva più circolare da sola, in quanto era stato evidente come del risentimento nei suoi confronti aleggiasse ancora tra qualche individuo.

Eppure in quella giornata di sole sembrava che Gale fosse deciso a restare chiuso nel suo studio e non volesse concederle un po’ di aria fresca, magari sfuggendo insieme nei boschi.

Katniss si stiracchiò pigramente, annoiata.

Mentre cercava di trovare un passatempo che non disturbasse l’amico si incantò a guardare le ciglia di Gale, che erano illuminate dalla luce del sole che filtrava dalle tende leggere.

Erano nere, ma con quella luce apparivano quasi castane. Si concentrò per vedere quanto fossero realmente lunghe, pensando di avere una sorpresa come con quelle così lunghe di Peeta.

Quelle ciglia bionde che sembravano troppo lunghe, che però non si incastravano quando lui chiudeva gli occhi, ma si districavano completamente per lasciar apparire quegli occhi azzurri così dolci.

Una morsa di nostalgia le prese la bocca dello stomaco, facendole quasi male, mentre quella voglia di tornare ad osservare quelle ciglia bionde tornava da lei prepotente.

Cercava di non pensare mai a Peeta, neanche quando di notte si svegliava terrorizzata dopo un incubo, nella speranza di trovarlo li al suo fianco, soprattutto ora che si svegliava in una stanza estranea, da sola.

Dopo l’incontro con la madre si era vietata di pensare a quel ragazzo, ben conscia che le mancasse molto più di quanto volesse ammettere, temendo che ripensandoci avrebbe capito di aver sbagliato ancora una volta, l’ennesima.

Le venne voglia di piangere, senza essere realmente consapevole del perché di quelle lacrime. Peeta era al dodicesimo distretto con Haymitch e probabilmente con Johanna e poi, come Katniss si ripeteva spesso, era stato lui stesso ad invitarla ad andare li nel due.

Perché allora sentiva di aver sbagliato tutto?

Gale la distrasse dai suoi pensieri, notando come la sua espressione si fosse fatta grave e assorta.

-Cosa succede Katnip?-

Domandò cortese, sfiorandole una mano con dolcezza.

La ragazza si girò verso di lui, con gli occhi pieni di lacrime.

-Scusa Gale, non mi sento bene.-

Lo liquidò lei scappando via correndo e lasciandolo confuso dagli ultimi avvenimenti.

Katniss aveva voglia di libertà, di quella freschezza che sentiva solo quando era nei suoi boschi. Decise quindi di prendere in armeria un arco e sfuggì nei boschi attorno al distretto.

Cacciò distrattamente qualche scoiattolo, e all’ora di cena li preparò accendendo un piccolo fuoco.

Sapeva benissimo che Gale l’avrebbe trovata in quel modo, che il fumo l’avrebbe subito attirato li, ma non se ne curò affatto. Che la trovasse pure, in fondo non aveva nulla contro di lui, anzi non sapeva neanche lei che problema avesse.

-Non è molto prudente andarsene in giro per questo distretto a quest’ora, sai Katnip? Soprattutto dopo quello che è già successo.-

La ragazza sussultò, non avendo sentito arrivare Gale, nonostante si aspettasse una visita simile a momenti.

Era stupita che non fosse arrabbiato nel trovarla li da sola, ma forse nel vederla tra i primi alberi del bosco con il suo arco aveva rassicurato il ragazzo di quanto lei fosse al sicuro, soprattutto dopo che aveva avuto l’ardire di accendere un fuoco.

-Sono semplicemente andata a fare un giro.-

Spiegò lei, stringendo di più le gambe al petto.

-Ci sono ancora degli invasati di Capital City che potrebbero farti del male, lo sai?-

Le fece presente Gale, senza la convinzione necessaria, lasciandosi cadere al suo fianco.

-Mi so difendere.-

Lo liquidò lei sbrigativa.

La ragazza era concentrata sul fuoco di fronte a lei, in cui gli occhi grigi si specchiavano assorti. Le mancavano i suoi boschi, anche se sapeva che nel distretto dodici stava arrivando l’inverno e che quindi sarebbero presto stati invasi dalla neve.

-Non ci giurerei. Non mi sembri più te ormai.-

Ammise Gale alzando gli occhi intenti ad osservare il frusciare delle foglie sopra le loro teste. Non voleva offenderla, era una semplice considerazione e infatti Katniss non se la prese, ma rispose semplicemente:

-Sono solo fuori allenamento.-

Il ragazzo sbuffò per quella scusa scontata e spiegò:

-No, non solo la forza fisica non è più la tua. Sei diversa proprio te. Sembri l’ombra di te stessa, dov’è finita la ragazza forte di cui mi ero innamorato?-

-E se non fosse mai esistita?-

Domandò Katniss con un sorriso amaro, mentre le lacrime tornavano a premerle sugli occhi, ma quel poco orgoglio che le rimaneva impediva di dare loro libero sfogo.

Gale sembrò non dar peso ai suoi occhi lucidi e riprese con enfasi:

-Esisteva te lo assicuro. Eri fantastica, sai? Sempre forte, senza mai un cedimento. Nessuna nel distretto era come te e Delly aveva ragione che alle ragazze della tua età incutevi timore. Nel mio anno tutti ti rispettavano e nessuno mi ha mai preso per stupido perché passavo il mio tempo libero con una bambina come te.-

A Katniss scappò un mezzo sorriso, sentendosi onorata della cosa.

Eppure lei sapeva di non essere più quella ragazza forte, convinta di non potersi arrendere mai.

Lei si era arresa e dichiarata sconfitta definitivamente dopo la morte di Prim.

-Beh, forse quella Katniss è morta negli Hunger Games. Ora c’è solo questa, ti accontenti?-

Domandò Katniss sprezzante alzandosi e parandosi di fronte a Gale.

-Non può essere morta! Tu sei quella Katniss!-

Cercò di convincerla lui, ma lei dopo un’aspra risata rispose tracotante:

-E’ qui che ti sbagli Gale. Io sono solo una debole diciottenne che sta cercando di non cadere in mille pezzi, non di nuovo. E speravo che anche te l’avessi capito dopo tutto questo tempo passato insieme.-

Concluse Katniss con un sorriso amaro, lasciandosi alle spalle il ragazzo, intento a pensare alle sue ultime parole.

 
***

-Non mi aspettavo una tua chiamata per vederci con urgenza, mi sono un po’ spaventato ammetto.-

Affermò il dottor Aurelius per rompere il ghiaccio, con un sorriso paterno rivolto alla ragazza seduta di fronte a lui.
Katniss l’aveva chiamato la sera prima, dicendo di aver un bisogno assoluto di vederlo.

Il dottore aveva accettato un po’ incerto, ma curioso di sapere cosa avesse finalmente deciso Katniss ad aprirsi con lui.

Le aveva quindi proposto di vedersi a colazione e quindi ora erano in una caffetteria appartata, per non essere disturbati da nessuno.

-Lo so, sono stata ben attenta a non chiamarla mai e a non rispondere alle sue chiamate in questi mesi, se non quando mi faceva comodo.-

Ribatté Katniss con un mezzo sorriso di scuse, mentre abbassava gli occhi leggermente imbarazzata.

-E allora perché sei qui?-

Domandò quello facendosi serio, mentre si accarezzava il pizzetto nero.

-Ho bisogno di qualcuno con cui parlare, senza spezzare nessun cuore e senza nessuno che mi dia della stronza, ce la può fare?-

Domandò quindi lei con un sorriso incerto, nella speranza di una risposta positiva.

-E` il mio lavoro.-

Ribatté quello diplomatico.

-E mi aiuterà anche a capire cosa provo veramente?-

Domandò la Ghiandaia apprensiva, osservando gli occhi dell’uomo da dietro le lenti sottili.

-Mi impegnerò a farlo. Ma penso che tu abbia già capito tutto.-

Katniss annuì con aria scettica, sistemandosi meglio sulla sedia.

La ragazza prese quindi un profondo respiro e un fiume di parole iniziò ad inondare la stanza. Tutto quello che si era tenuta dentro da prima degli Hunger Games iniziò a scorrere a ruota libera.

Il dottore pose poche domande, solo per chiarire ad entrambi qualche punto oscuro, ma fu Katniss ad ammettere la maggior parte delle cose, per la prima volta con se stessa.

Lei non sapeva bene ne quando aveva iniziato ad innamorarsi ne di Gale ne di Peeta.

Aveva dedotto che Gale sarebbe stato il suo uomo ideale, uno del Giacimento come lei. Aveva trovato un equilibrio in lui, una sicurezza che non aveva più avuto da quando suo padre era morto e lui era riuscito con pazienza ad abbattere la barriera che lei si era creata contro il mondo esterno.

Lei però era troppo impegnata a tenere in vita la sua famiglia per poter pensare ad una cosa effimera come l’amore e soprattutto non aveva alcuna intenzione di sposarsi per poi dare alla luce dei figli che avrebbero sofferto come lei.

Nel momento in cui stava iniziando a capire che Gale probabilmente era più importante di un semplice amico erano arrivati gli Hunger Games, a stravolgere nuovamente tutte le sue certezze.

E in quel momento era stata travolta da Peeta, dalla sua dolcezza, dalla sua lealtà e da quell’amore senza riserve che sembrava provare per lei, da quel suo modo di fare totalmente estraneo per lei, che l’aveva colta all’improvviso.

Si era resa conto che dalla storia del pane lei aveva sempre tenuto conto di quello che faceva.

Le sue compagnie, le sue vittorie sportive, le ragazze che lo circondavano sempre e piccole cose che lui faceva.

La dolcezza di quel ragazzo l’aveva però colta impreparata, perché in un mondo che non aveva mai avuto riguardo per lei, Peeta sembrava concentrato solo sul farle del bene. Lui era un buono, forse il buono per antonomasia, e lei si era stranamente affezionata da subito.

Con la scusa dei due sfortunati innamorati non aveva tenuto conto di quello che stava nascendo in lei e si era sempre impedita di pensare se fosse qualcosa in più di quella messa in scena.

Al ritorno dagli Hunger Games era stata confusa da Gale, che le si era dichiarato. Ma di nuovo il tour della vittoria, poi la settantacinquesima edizione degli Hunger Games avevano travolto tutto.

Parlò infine del depistaggio di Peeta, di come lei avesse sofferto ma poi, incoraggiata da Haymitch, fosse riuscita a tornare sua amica.

-Quindi non lo so. Non ci capisco niente dottore. Mi dia una risposta per favore.-

Concluse lei chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie, esausta.

-Non sta a me rispondere.-

Ribatté quello con un sorriso paterno.

-Mi ha promesso che mi avrebbe aiutata!-

Protestò quella irritata. Il dottore le sorrise e prendendo un altro sorso di the rispose:

-Si, ma non dandoti la rispostina pronta, deve venire da te.-

Tra i due calò il silenzio, mentre il medico continuava la sua colazione e Katniss rimuginava sulle ultime parole.

Doveva venire da lei la risposta, ma lei non aveva idea di quale fosse. Se l’avesse avuta non sarebbe certamente andata da lui.

L’unico pensiero che le pulsava nella testa da giorni era uno solo, decise quindi di porre la fatidica domanda, un po’ esitante:

-Peeta come sta?-

-Oh, sono riuscito finalmente a sentirlo. Se la cava.-

La informò quello, rimanendo sul vago e continuando a mescolare il liquido nella sua tazza.

-Pensavo..-

Iniziò Katniss, bloccandosi subito dopo. Il dottore la guardò interrogativamente, ma lei si corresse subito:

-No, niente.-

-Dimmi pure Katniss, non ti giudicherò.-

Insistette il dottore, con uno dei suoi sorrisi incoraggianti.

-Niente. Io avevo la pretesa che lui non fosse felice senza di me, invece ha Johanna, Haymitch e un sacco di altri amici.-

Spiegò lei torcendosi le maniche della camicia dal nervosismo.

-Certo, ma hai ragione solo in parte. Tu sei la sua droga.-

Affermò sicuro l’uomo, lisciandosi i baffi con un sorriso.

-E’ brutta messa giù in questo modo.-

Osservò lei oggettiva, rigirandosi il cucchiaino tra le dita e fissandolo intensamente, certa che non avrebbe retto lo sguardo del dottore di fronte a lei.

-No, è veritiera. Tu la sua droga e lui è stato la tua medicina. Non sembra buffo che tu avevi sviluppato una dipendenza dalla morfina e invece non da lui?-

Chiese il medico divertito, sfoderando la sua agenda, su cui iniziò ad appuntare qualcosa.

-Beh, perché la morfina alleviava il dolore, ma non cancellava le cause prime.-

Rispose Katniss, diligente. Il dottore schioccò la lingua facendo spaventare la ragazza e rispose:

-Ecco, allora lui è stato la medicina più efficace per te. Ha cancellato la radice del tuo dolore, lasciandoti libera di fare la tua scelta per poter trovare la vera felicità. Ti ha lasciato andare da Gale, che ai suoi occhi era la migliore scelta per te. E` questo che deve fare una medicina buona.-

Katniss rimase in silenzio a vagliare le ultime informazioni.

Lei effettivamente non si sentiva dipendente da Peeta, aveva voglia di stare con lui, ma non moriva se stava senza.

Lui l’aveva curata, fatta pazientemente uscire dall’acuta depressione in cui era caduta per poi aprire le braccia e lasciarla andare dove preferiva, senza obbligarla a restare con lui.

Ripensandoci lei non ci sarebbe mai riuscita. Ma probabilmente Peeta era così speciale proprio per quello, perché l’aveva sempre salvata senza chiedere nulla in cambio.

E in quel momento le si strinse il cuore ripensando a quanto doveva a Peeta e a quanto realmente le mancasse.

Ma non avrebbe scelto solo perché si sentiva in debito con qualcuno. Avrebbe, egoisticamente, fatto la scelta che la faceva sentire meglio, senza alcun rimorso.

-Ti ho dato una risposta, quindi? Hai scelto quale sia il tuo posto?-

Domandò dopo alcuni minuti il dottore, dopo aver consultato il suo orologio da taschino.

Katniss sorrise convinta e sussurrò radiosa:

-Penso finalmente di esserci riuscita.-


 
- To be continued.
 

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

 
 

CAPITOLO 23
 

 
 
Amare vuol dire cercare consciamente quel che ci è mancato
E ritrovare spesso inconsciamente quel che abbiamo già conosciuto.

- Olivier 

 
 
La neve caduta quella notte aveva ricoperto con un soffice strato la strada che portava al villaggio dei vincitori e restava un manto bianco e soffice ancora intatto.
 
Dalla stazione al paese quello spettacolo immacolato era già stato rovinato da parecchie impronte, quindi appariva già come una poltiglia grigiastra.
 
Katniss arrivò vestita con un paio di pesanti scarponi e la vecchia giacca di suo padre, che aveva portato nel distretto 2 incapace di separarsene.
 
Avvicinandosi a casa non poté che notare come gli unici passi che avevano già calpestato la neve erano quelli che collegavano la casa di Peeta a quella di Haymitch e da ciò Katniss poté costatare che il ragazzo fosse già tornato in casa e non più uscito.
 
Casa sua invece era buia e fredda, ma il piccolo giardino attorno ad essa e l’orto erano ancora ben curati, segno che Peeta, nonostante la sua lontananza, continuava ad averne cura.
 
In quel momento ricordò che aveva abbandonato ancora una volta Ranuncolo a se stesso, anche se quella volta probabilmente il gatto sapeva che rifugiandosi in casa del fornaio avrebbe trovato cibo e riparo.
 
Si avvicinò con un po’ di ansia alla porta di casa dell’amico, quindi raccolse tutto il suo coraggio e bussò piano.
 
Erano passati quasi tre mesi dalla sua partenza dal distretto 12, senza una chiamata o un avviso e in quel momento si sentì ancora più in colpa per quel ritorno insensato.
 
Temeva che Peeta fosse arrabbiato per la sua fuga e che non volesse più vederla o che, peggio ancora, stesse con qualcun’altra.
 
Le rassicurazioni che le aveva fatto il dottor Aurelius non la facevano affatto sentire tranquilla. Aveva affermato che Peeta “Tirasse avanti”, quindi poteva anche essere impazzito, emigrato, ma comunque essere vivo.
 
Il senso di colpa per essersene andata senza una spiegazione le torceva le viscere e non sapeva con che faccia tosta si stesse per presentare a casa sua a quell’ora sconveniente.
 
Deglutì a vuoto quando sentì dei passi avvicinarsi alla porta, mentre l’idea di fuggire in tutta fretta le tornava prepotente. Una voce brusca interruppe i suoi pensieri chiedendo:
 
-Chi è?-
 
Katniss impiegò un attimo a collegare quella voce roca al ragazzo del pane, ma poi esclamò:
 
-Peeta, sono io. Katniss.-
 
All’interno della casa piombò il silenzio, mentre fuori la ragazza iniziava a tremare per il freddo pungente.
 
Dopo una decina di secondi e un brutto colpo di tosse, Peeta rispose:
 
-Vattene. Hai sbagliato casa.-
 
Katniss rimase immobile per qualche secondo, indecisa sul da farsi. Peeta le aveva appena ordinato di andarsene ma non si sentivano i suoi passi tornare su per le scale, quindi lei si mise a battere i pugni sulla porta, decisa ad entrare, sbraitando ordini contro il legno.
 
-Katniss smettila! Ti ho detto di andartene!-
 
Sbraitò Peeta aprendo la porta arrabbiato, iniziando nuovamente a tossire. Appena socchiuse l’uscio però Katniss si gettò tra le sue braccia, stringendolo.
 
-Peeta.-
 
Sussurrò lei, senza nemmeno guardarlo negli occhi e cercando solo di stringerlo il più forte possibile, per mettere a tacere quel dolore cieco al petto.
 
Quel profumo di aneto e cannella la investì prepotente, mentre per un solo momento si sentiva veramente a casa, in pace.
 
Sperava con tutto il cuore di sentire le sue mani che si richiudevano sulla schiena, facendola sentire protetta da quelle braccia forti.
 
-Sei venuta a darmi il colpo di grazia?!-
 
Sbraitò lui, scostandola e spintonandola indietro, facendola cadere sulla neve di sedere.
 
I due si immobilizzarono, mentre la ragazza osservava gli occhi neri di Peeta che la osservavano con odio e dentro di lei sentiva che si stava per spezzare un’altra volta.
 
Appena lui la vide nella neve lanciò un urlo straziato, tenendosi la testa con le mani, mentre lottava contro un flashback che si insinuava nella sua testa, e crollava in ginocchio.
 
-T.. Tu.. Hai cercato di uccidermi buttandomi contro la rete elettrificata attorno al distretto. Vero o falso?-
 
Domandò lui tremando, mentre stringeva i pugni forte e si infilava le unghie nella carne in modo da cercare di tornare in se.
 
-Come?-
 
Chiese lei allibita, mentre si alzava dalla fredda superficie su cui era atterrata.
 
-Rispondi.-
 
Sibilò lui, tirando un pugno alle piastrelle dell’ingresso ferendosi la mano. La Ghiandaia rispose urlando, con voce quasi isterica:
 
-Falso! Peeta falso! Io non potrei mai cercare di ucciderti!-
 
Dopo qualche secondo, che a Katniss parvero un’eternità, i tremiti di Peeta cessarono e lui disse serio, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche:
 
-Vattene Katniss. Vattene prima che ti faccia del male sul serio. Sarò un ibrido per sempre.-
 
Gli occhi azzurri del ragazzo traboccavano angoscia e sofferenza, mentre nella mente di lei tornava il ricordo di quando lui aveva supplicato di ucciderlo a Capital City, per impedirgli di fare del male ancora a qualcuno. In quel momento l’unico desiderio di Katniss fu quello di stringerlo a se, di mormorare parole rassicuranti, di assicurargli che non se ne sarebbe mai andata e che tutto si sarebbe sistemato.
 
Quindi, avvicinandosi, mormorò:
 
-Peeta io non posso.-
 
-Come non puoi?-
 
Domandò lui confuso, interrompendosi subito però a causa della tosse.
 
-E` lungo da spiegarti..-
 
Sussurrò lei per temporeggiare, quindi quello sbottò irritato:
 
-Tornatene di nuovo da Gale! Lui non proverà ad ucciderti! Io stavo benissimo senza di te!-
 
Peeta si voltò e tornò verso la porta d’ingresso, ma Katniss la bloccò prendendolo per una manica della felpa che indossava, prima che lui la chiudesse infilando un piede nella fessura.
 
-Sai una cosa?-
 
Sibilò irritata, inchiodando Peeta con gli occhi, mentre la rabbia per essere stata mandata via traboccava, sommata alla voglia di abbracciarlo e non poterlo fare.
 
-È questa la fregatura con te, perché quando mi fai bene, me ne fai più di chiunque altro. Quando mi fai male, pure.-
 
Gli occhi pieni di lacrime di Katniss trafissero al cuore Peeta, che per un attimo rimase senza parole.
 
Cosa voleva ottenere dicendo quelle cose?
 
Voleva farlo sentire in colpa?
 
Se lo conosceva doveva sapere che lui stava già abbastanza male.
 
-Sai benissimo che non voglio mai farti del male. Se lo faccio è perché non voglio fartene di più.-
 
Spiegò lui abbassando gli occhi, distrutto, nella speranza che la ragazza lo lasciasse rientrare in casa e se ne andasse.
 
Katniss rispose rabbiosa, mentre le parole che non le uscivano da tempo irrompevano dalle sue labbra:
 
-Tu me ne stai facendo molto più di quanto pensi cercando di starmi lontano. Mi hai fatta tornare da Gale, dicendo che non mi avrebbe fatto del male come avresti potuto farmene te. Ma non è vero. Mi hai fatta allontanare dall’unica persona con cui io sono felice!-
 
-Dolcezza, se dici così sembra che sia io l’unica persona che ti rende felice.-
 
Ribatté lui con tono sprezzante, lasciando trapelare la rabbia che provava per quell’avvenimento.
 
-Magari è così Peeta Mellark.-
 
E Katniss lo disse per la prima volta guardando Peeta dritto negli occhi.
 
Arrabbiata come non mai, con le lacrime trattenute che rendevano gli occhi lucidi e uno sguardo arrabbiato, mentre Peeta cercava di razionalizzare le sue parole.
 
-Devi capirlo Peeta. Non posso stare senza di te.-
 
Sussurrò distrutta.
 
Incrociando gli occhi increduli e scettici di Peeta la rabbia tornò prepotente in lei, quindi in un impeto di irritazione gli prese il volto e lo baciò.
 
Non era un bacio dolce come tutti quelli che lei gli aveva dato, era rabbioso, feroce, uno scontro tra labbra, bocche, lingue.
 
Dopo un primo momento di sorpresa Peeta la strinse a se, baciandola allo stesso modo, con la stessa rabbia, ancora e ancora, finché entrambi rimasero completamente senza fiato, ma riluttanti a fermarsi a respirare.
 
Le fecero male i polmoni quando riprese aria, come dopo una lunga apnea quando si riprende fiato in superficie. Ma ne voleva ancora quel giorno, come solo poche volte era successo in passato.
 
Le mani di Katniss stringevano ancora il suo viso incredibilmente caldo, per tenerlo vicino a lei e non permettergli di scappare o, peggio ancora, di far scappare lei.
 
Le bruciavano gli occhi e voleva piangere, piangere di rabbia perché lui l’aveva mandata da Gale, non facendola rendere conto di quanto lui fosse importante fino a quel momento.
 
Peeta appoggiò la sua fronte su quella della ragazza, cercando di riprendere fiato, mentre chiudeva gli occhi e le mani continuavano a stringere i suoi fianchi, tenendola pericolosamente vicina a lui.
 
Doveva convincersi che lei fosse vera, li davanti a lui e non frutto di uno dei suoi tanti sogni.
 
La mora sentiva le tempie di Peeta pulsare sotto i suoi polpastrelli, il suo respiro affannoso sulle labbra e la barba ispida sotto i palmi.
 
-Non avevi la barba l’ultima volta.-
 
Sussurrò lei con un mezzo sorriso, mentre accarezzava la guancia di Peeta con mano tremante, come a non credere alla sua presenza.
 
-E` da un po’ di tempo che, non so perché, non mi interessa più curarmi.-
 
Rispose lui con un mezzo sorriso, accarezzando il fianco di Katniss, mentre la voglia di riprendere le labbra della ragazza lo logorava.
 
-Mi piaci anche così.-
 
Rispose lei abbassando gli occhi e passandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, imbarazzata.
 
-E a me piace quando abbassi gli occhi imbarazzata.-
 
-Smettila.-
 
Rispose lei dandogli un buffetto sul petto.
 
Peeta scoppiò a ridere, interrompendosi però per un altro colpo di tosse. Quindi la prese per mano, trascinandola dentro casa.
 
-Sei gelata, accomodati davanti al fuoco.-
 
Katniss però esitava a lasciare la mano di Peeta, quindi lui con un sorriso rispose:
 
-Torno subito, te lo prometto.-
 
Allora trotterellò sul divano, portando le gambe al petto e stringendole a se.
 
Peeta si era assentato da poco più di un minuto quando Katniss sentì un tonfo provenire dalla cucina, seguito immediatamente dal rumore di ceramica che cadeva a terra. Il tonfo fece scattare in piedi Katniss come una molla per andare a vedere cosa fosse successo, mentre un brutto presentimento la invadeva prepotente.
 
L’arena le aveva insegnato il rumore che faceva un corpo cadendo a terra senza vita, ma in quel caso non avrebbe avuto la conferma dal colpo di cannone.

 
- To be continued. 

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV ***


And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?

 

 
CAPITOLO 24

 

 
 
Ci sono abissi che l'amore non può superare,
Nonostante la forza delle sue ali.

- Balzac 
 
 
 
-Peeta? Peeta cos’hai?-
 
Domandò quasi urlando Katniss allarmata buttandosi accanto al suo corpo riverso sul pavimento, andando istintivamente a cercare il battito del suo cuore sul petto, tranquillizzandosi in parte quando lo sentì battere veloce.
 
Il presentimento che l’aveva assalita sentendo quel tonfo si era svelato corretto e ora il panico stava iniziando ad invaderla.
 
Prese il volto del ragazzo tra le mani e notò come scottasse. Non si era accorta prima di quel fatto perché aveva le mani gelate e pensava quindi che tutto quel calore fosse la reazione alle sue mani fredde.
 
Il ragazzo ansimava, ma non aveva perso completamente i sensi, nonostante fosse in evidente stato confusionale.
 
Katniss provò ad issarlo in piedi per portarlo fino al divano, ma, com’era successo la prima volta nell’arena, non era abbastanza forte per riuscire a muoverlo.
 
Si precipitò quindi in salotto, dove prese un cuscino e lo collocò sotto la testa di Peeta, sfrecciando poi fuori dall’abitazione, infilandosi i suoi vecchi stivali in pelle in pochi secondi.
 
Irruppe in casa di Haymitch senza bussare, sapendo che l’avrebbe trovato in salotto. I capelli biondicci dell’uomo vennero, infatti, immediatamente individuati e strattonandolo per un braccio sbraitò:
 
-Haymitch vieni subito! Devi aiutarmi!-
 
L’uomo la guardò con sguardo insolitamente sobrio e domandò sprezzante:
 
-Oh dolcezza, sei tornata! Devo aiutarti a far cosa? A dare il colpo di grazia a Peeta?-
 
Un senso di fastidio si fece largo in Katniss, che si trattenne a stento per non rispondere male al suo vecchio mentore. In quel momento non erano importanti le insinuazioni di Haymitch, vere o false che fossero, era importante solo la salvezza di Peeta.
 
-Non dire scemate! Vieni subito! Peeta sta male ed è svenuto e io non riesco a sollevarlo!-
 
Il tono allarmato di Katniss fece capire al mentore che non stava scherzando e che l’urgenza era effettiva, quindi si alzò inizialmente un po’ barcollante, ma poi guidato dal braccio che la ragazza gli tirava arrivò a casa di Peeta in meno di un minuto.
 
La neve nel frattempo continuava a cadere silenziosa, posandosi leggera su tutte le superfici che trovava, imbiancando pian piano l’intero villaggio dei vincitori.
 
Una luce tremolante usciva dalle due case del villaggio dove si erano trasferite le coppie che si erano sposate quell’estate, dando all’intero villaggio un che di surreale.
 
Trovarono il ragazzo del pane nelle stesse condizioni in cui Katniss l’aveva lasciato e, con l’aiuto di Haymitch, riuscirono a portarlo sul divano, dove la ragazza lo sistemò sotto una pesante coperta e iniziò a rinfrescargli la fronte con un panno umido.
 
-Cos’ha?-
 
Domandò Haymitch quando Peeta fu sistemato, ma dallo sguardo angosciato di Katniss capì che neanche la ragazza aveva idea della risposta.
 
-Spero sia solo febbre, anche se ha una brutta tosse. Ora vado a cercare a casa il mio libro sulle erbe e vedo se trovo qualcosa per curare la febbre e la tosse, così domani gli preparo qualcosa.-
 
Haymitch guardò la ragazza uscire con volto angosciato, mentre lui alzava un sopracciglio scettico.
 
Non capiva il perché di quel ritorno improvviso di Katniss, pensava che ormai avesse deciso di trasferirsi da Gale, senza più tornare nel distretto dodici, visto tutto il tempo che era stata assente.
 
Nonostante ciò non disse nulla quella sera, ma si limitò a cambiare il panno umido sulla fronte di Peeta e a guardare Katniss che studiava febbrilmente quali erbe fossero più adatte per abbassare la temperatura e aiutare la febbre.
 
Quando il grosso pendolo del salotto scoccò le due del mattino Haymitch si avvicinò a Katniss e disse brusco:
 
-E` meglio che vai a dormire Katniss, sei a pezzi.-
 
La ragazza alzò gli occhi dal tomo, stanchi e arrossati, e rispose decisa:
 
-Non posso. Devo aiutare Peeta.-
 
Sul volto dell’uomo spuntò un sorriso divertito e ribatté, nella speranza di far ragionare la ragazza.
 
-Non puoi fare nulla ora, se non consumare le pagine di quel libro. Avrai già capito quali erbe ti servono quindi ti conviene riposarti per poi essere più reattiva domani mattina. Starò io con Peeta questa notte.-
 
Katniss si lasciò infine convincere e tornò a casa sua, che trovò ancora più vuota e desolata.
 
Ranuncolo saltò sul letto iniziando a soffiarle, offeso per essere stato abbandonato un’altra volta dalla sua padrona. Il gatto era in gran forma, probabilmente Peeta l’aveva nutrito abbondantemente in sua assenza e il pelo era lucido e folto, in previsione dell’inverno che stava iniziando in anticipo, vista anche quella nevicata così precoce.
 
Katniss non fece caso alle proteste del gatto e lo strinse a se, iniziando a coccolarlo nella speranza di prendere sonno e riuscire a dormire qualche ora.
 
Passò sul letto, con accoccolato in grembo Ranuncolo, tutta la notte, con ancora i vestiti addosso e passò le poche ore di sonno in uno stato di semi incoscienza piena di incubi, svegliandosi spesso e riprendendo a coccolare il micio, che non poteva che apprezzare tutte quelle attenzioni.
 
Al sorgere del sole Katniss era già in piedi, si infilò la giacca di suo padre e prese una bisaccia, quindi uscì di casa per andare nel bosco.
 
La neve aveva già coperto tutto il terreno e ormai aveva creato una coperta di una decina di centimetri sul terreno, nascondendo la bassa vegetazione.
 
Katniss tornò a casa di Peeta quasi a mezzogiorno, bagnata da testa ai piedi, con all’interno della bisaccia meno erbe di quante sperasse trovare.
 
Lasciò un paio di conigli per terra all’ingresso, che avrebbe scuoiato e preparato più tardi, ora doveva concentrarsi solo su Peeta.
 
Trovò il ragazzo disteso sul suo letto, con Haymitch che vagava per le stanze del piano superiore evidentemente in astinenza da alcool.
 
-Come sta?-
 
Domandò la ragazza piano, avvicinandosi al letto e notando come il mentore avesse fatto del suo meglio per curare il ragazzo. Posò leggera una mano sulla fronte sudata del panettiere e notò come ancora scottasse.
 
La presenza di Haymitch alle sue spalle la fece voltare preoccupata.
 
-La febbre non scende. In compenso spesso si sveglia e o delira o è lucido e si rende conto di quanto stia male.-
 
Katniss deglutì preoccupata e rispose, allontanandosi dal letto e avviandosi con il mentore giù per le scale per dirigersi in cucina:
 
-Io non ho trovato quello che speravo. Troppa neve. Ho fatto del mio meglio.-
 
Gli occhi grigi, tipici del giacimento, del mentore si abbassarono preoccupati, facendo calare il silenzio tra i due.
 
-Vai pure a dormire Haymitch, resto io a curare Peeta, non ti preoccupare.-
 
L’uomo osservò assorto la ragazza, infine acconsentì e tornò a casa sua, lasciando Katniss sola, senza una sola parola di accusa.
 
La ragazza passò il resto della giornata a cercare di aiutare il ragazzo come meglio poté, facendo impacchi con le erbe e osservando preoccupata la neve che continuava a cadere.
 
La sera Haymitch tornò e lei andò a casa a dormire. La routine si ripeté per un paio di giorni, finché il mattino del terzo giorno Katniss, non vedendo miglioramenti, prese una decisione.
 
-Chiamo mia madre.-
 
Annunciò la Ghiandaia, correndo al telefono, mentre Haymitch non provava neanche a fermarla, consapevole che quella donna poteva essere la loro unica ancora di salvezza. Compose velocemente un numero e aspettò qualche istante, poi chiese urgentemente di sua madre, assicurando l’importanza della telefonata.
 
La ragazza sembrava un animale in gabbia mentre aspettava che rispondessero al telefono e quando sentì la voce materna dall’altro capo annunciò senza troppi preamboli:
 
-Mamma Peeta sta male!-
 
Passando poi a spiegarle i vari sintomi che presentava e le erbe che gli aveva somministrato.
 
Haymitch osservava apprensivo la ragazza, il cui volto impallidiva sempre di più mentre ascoltava in silenzio i consigli materni.
 
La conversazione fu lunga e agli occhi del mentore apparve come un battibecco, perché la ragazza non sembrava pienamente convinta delle soluzioni che le venivano proposte.
 
Dopo una decina di minuti Katniss riagganciò il telefono delusa, concentrando la sua attenzione sul mentore, per poi annunciare tetra:
 
-I sintomi che ha Peeta sono quelli della polmonite. Mia madre cercherà nel suo distretto l’antibiotico necessario, ma non è fiduciosa nel trovarlo. Poi non è sicura che riuscirà a far arrivare qualcosa al dodici, visto tutta la neve che sta cadendo.-
 
Haymitch abbassò lo sguardo con un’imprecazione, andando a sedersi demoralizzato in un angolo.
 
*
 
Il mattino seguente lo squillo del telefono fece accorrere Katniss e Haymitch, ma fu lei a rispondere al telefono e a ricevere per prima la brutta notizia.
 
Sua madre non poteva inviare la medicina senza l’autorizzazione del medico curante di Peeta, nonostante avesse fatto pressione su tutti i suoi superiori.
 
Katniss quindi decise in pochi istanti cosa fare, prese il telefono e chiamò il Dottor Aurelius, che aveva seguito il ragazzo del pane durante la sua convalescenza a Capital City.
 
La Ghiandaia spiegò in pochi minuti tutti i sintomi, la diagnosi della madre e fece presente l’urgenza della medicina da ricevere, ma, dopo aver passato una buona mezz’ora in attesa, il dottore rispose mortificato:
 
-Siamo spiacenti, ma il treno è bloccato a causa della neve e non possiamo permetterci di mobilitare un hovercraft per una sola persona.-
 
-Per una sola persona?-
 
Domandò Katniss in tono isterico, per poi proseguire trattenendo un singhiozzo:
 
-Sta per morire!-
 
-Siamo consapevoli del pericolo che sta passando, ma dovrà contare solo sulle sue forze e a questo punto solo il fisico di Peeta potrà decidere il tutto signorina Everdeen.-
 
Ribatté quello tranquillo, probabilmente abituato a scene del genere.
 
-Voi non potete! Voi dovete fare qualcosa di più! Non potete lasciarlo a se stesso! Dopo tutto quello che ha passato per voi!-
 
Katniss iniziò ad urlare isterica, mentre le lacrime iniziavano a scendere. Haymitch arrivò prontamente e la staccò dal telefono, prendendo in mano lui la cornetta:
 
-Ascoltate brutti idioti. Questo ragazzo è ad un passo dalla morte e questa volta non è dentro una stupida arena dove per mandargli una medicina devo vendere la mia dignità a dei ricconi idioti! Avete la possibilità di mandare qualsiasi cosa da quella fogna di città! Avrete qualcosa che in minimo modo potrà aiutarlo e troverete il modo per farlo arrivare qui al Dodici! Se no sarà mia premura informare Effie Trinket, che ci metterà un attimo ad infamarvi con l’intera Panem se fate del male ad un suo vincitore, dopo tutto quello che ha passato nella rivolta!-
 
Il mentore ascoltò con attenzione la risposta dall’altro capo e alla fine rispose con un “Ok, lo spero per voi.”, detto ciò sbatté la cornetta con violenza sul ricevitore e si accasciò sulla sedia più vicina.
 
-Allora?-
 
Domandò Katniss titubante.
 
-Allora Effie incute paura a chiunque.-
 
Scherzò lui con un mezzo sorriso, riuscendo a strapparne uno anche alla ragazza, che si asciugò gli occhi ancora pieni di lacrime con una manica del maglione.
 
-Comunque manderanno con un hovercraft la medicina entro domani sera.-
 
-Grazie Haymitch!-
 
Rispose Katniss grata abbracciandolo, ricominciando a piangere per la gioia. Il mentore rimase qualche istante sconcertato da quel gesto improvviso di affetto, poi tirò qualche pacca consolatrice sulla schiena della ragazza.
 
Quando la Ghiandaia si staccò con un sorriso lui la mandò in bagno a lavarsi la faccia e mentre la osservava allontanarsi verso il bagno si chiese per l’ennesima volta cosa succedesse nella testa di quella ragazza.
 
Katniss, dopo essersi risistemata, iniziò a pensare alla reazione esagerata che aveva avuto al telefono, che le ricordava moltissimo quella che aveva avuto dopo che avevano frustato Gale.
 
Un flash di una frase di sua madre le tornò alla mente:
 
-Succede così quando la persona che si ama sta male.-
 
Un senso di preoccupazione si insinuò nelle viscere della ragazza, mentre una nuova consapevolezza si faceva largo in lei.
 
Lei si era comportata così con Gale perché al tempo ne era innamorata e su questo ormai non aveva dubbi.
 
Il fatto però che avesse avuto la stessa reazione con Peeta significava che ora era innamorata anche di lui?
 
Si ritrovò senza rendersene conto al capezzale del ragazzo e iniziò ad accarezzargli i riccioli biondi, per calmarsi.
 
-Hai pianto?-
 
Sussurrò Peeta facendo sobbalzare la ragazza, che subito ritrasse la mano, guardando gli occhi stanchi del panettiere che però la scrutavano attenti.
 
Non l’aveva ancora visto cosciente da quando era caduto in cucina, nonostante Haymitch le avesse assicurato che invece lui l’avesse visto più di una volta in quelle condizioni.
 
-Scusa, non volevo svegliarti!-
 
Rispose mortificata lei, con un filo di esitazione nella voce.
 
Sentiva che stava per cedere di nuovo, ora che vedeva nuovamente quegli occhi chiari, ben sapendo che se non gli avesse più rivisti non avrebbe retto il colpo.
 
Sentiva che probabilmente avrebbe pianto, ma quando Peeta rispose calmo si tranquillizzò, perdendosi nelle note della sua voce:
 
-Stai tranquilla, è stato un risveglio magnifico.-
 
La rassicurò lui con un sorriso debole, che però fece arrossire Katniss, che si passò nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
 
-Mi spiace farti stare in pensiero, puoi anche tornare a casa se preferisci.-
 
Proseguì lui mentre una ruga si insinuava sulla sua fronte liscia.
 
Lo sguardo severo di Katniss lo spaventò leggermente, quando rispose:
 
-Non dire sciocchezze Peeta. Resterò qui finché non guarirai, domani arriverà una medicina da Capital City che ti farà star meglio.-
 
Concluse addolcendo il tono e riprendendo ad accarezzargli i capelli.
 
“Finché non guarirai.”, queste parole pesarono sul cuore del ragazzo, che si incupì pensando a quel futuro di nuovo nero senza di lei.
 
Vedendo l’espressione sofferente di Peeta, Katniss aggiunse con infinita dolcezza:
 
-Anche dopo, quando starai bene. Ora è meglio che riposi ancora un po’, devi resistere fino a domani, poi tutto andrà meglio, te lo prometto.-
 
Lo sguardo di Peeta si illuminò, mentre si beava delle attenzioni della ragazza.
 
-Grazie.-
 
Sussurrò tranquillo chiudendo gli occhi, stanco.
 
-Ringrazia Effie, è lei che ha minacciato Capital City di ribaltarla se non ti avessero mandato qualcosa.-
 
Il ragazzo aprì nuovamente gli occhi incuriosito e domandò:
 
-Raccontami dai, ho voglia di sentire la tua voce.-
 
Quindi Katniss, inizialmente imbarazzata per l’affermazione del ragazzo, iniziò a raccontare di Effie, finché Peeta si assopì nuovamente.
 
Restò incantata a guardarlo per parecchio tempo, osservando ogni suo tratto con attenzione, soffermandosi sulle lunghe ciglia che aveva sempre amato.
 
Era un uomo quello che aveva di fronte, non era più quel ragazzino spaventato che era stato estratto nei Settantaquattresimi Hunger Games.
 
Probabilmente non lo era più neanche quando si era offerto volontario un anno dopo, solo per proteggerla, andando incontro ad un destino certo senza alcuna remora.
 
Era quello l’amore allora?
 
Era sacrificare la propria vita per la persona che si ama come aveva fatto lei offrendosi al posto di sua sorella?
 
Fu quando la consapevolezza che lei fosse pronta a sacrificarsi per Peeta oltre che per Prim la colpì in pieno volto che si alzò ed iniziò a vagare per la stanza, cercando di cancellare quei pensieri.
 
La sua attenzione fu quindi attirata dalla porta chiusa della stanza comunicante, in quanto non ricordava che il giorno precedente fosse chiusa e non le sembrava di esserci mai entrata.
 
Presa dalla curiosità si alzò dalla sedia e si diresse verso la stanza, per vedere cosa racchiudesse.
 
-No, non entrare di la.-
 
La ammonì la voce roca di Peeta, che cercò di alzare un braccio per trattenerla li, seduta accanto a lui.
 
-Come mai?-
 
Domandò lei tornando ubbidiente a sedere e togliendo con una carezza i riccioli biondi dalla fronte sudata dell’amico.
 
-C’è un dipinto che non ho ancora terminato ed è una sorpresa per te. Non voglio che ti venga rovinata.-
 
Spiegò lui, socchiudendo gli occhi sotto il tocco fresco della mano di Katniss. Lei proseguì ad accarezzargli il capo, mentre orribili pensieri iniziavano ad invaderle la mente.
 
E se Peeta non avesse mai potuto concludere quel dipinto?
 
Se non fosse guarito?
 
Le si formò un groppo in gola, mentre le lacrime iniziavano a riempirle gli occhi.
 
Ringraziò silenziosamente che lui avesse gli occhi chiusi quando la prima le rigò la guancia, quindi l’asciugò con un manica, alzandosi poi in piedi.
 
-Che tipo di dipinto è?-
 
Chiese per smorzare l’angoscia che l’aveva presa, mentre si avvicinava alla finestra ed osservava la neve cadere silenziosa sul villaggio dei vincitori.
 
-Vedrai!-
 
Rispose lui allegro, poi con tono più grave aggiunse:
 
-Se io morissi..-
 
Subito Katniss scattò nella sua direzione e con un gesto del capo urlò:
 
-Non lo dire! Non succederà!-
 
La ragazza deglutì per cercare di ritrovare la calma, pensando per un attimo a come avesse fatto ad avere in passato nervi così saldi da riuscire ad uccidere qualcuno senza remore.
 
-Ci sono troppe situazioni che mi sembra di aver già vissuto con te. Tipo questa. Te la ricordi la prima volta agli Hunger Games quando mi hai salvato?-
 
Ribatté lui con un sorriso stanco. Katniss si avvicinò quindi al letto e prese una mano di Peeta tra le sue, appoggiandoci la fronte per nascondere al ragazzo le lacrime che rischiavano di sfuggirle.
 
-Non mi lascerai neanche questa volta.-
 
Sussurrò con voce convincente, sperando di crederlo lei stessa.
 
-Nel caso.. Guarda pure il dipinto.-
 
Rispose Peeta accarezzandole una guancia e facendole alzare il volto e mostrare gli occhi umidi di lacrime.
 
-Peeta, non dirlo mai più.-
 
Mormorò lei con voce rotta, quindi Peeta le sorrise e, facendole appoggiare una guancia al suo petto, iniziò ad accarezzarla e a giocherellare con i suoi capelli, come amava fare.
 
Era incredibile come anche in quel caso fosse proprio Peeta a consolarla, quando avrebbe dovuto essere lei quella forte.
 
Cullata dalle coccole del ragazzo Katniss crollò esausta dopo quasi tre giorni senza sonno, presto seguita da Peeta.
 
Haymitch li trovò addormentati profondamente, coprì quindi Katniss con una coperta ed uscì dalla stanza.
 
*
 
Il mattino dopo Katniss si svegliò insolitamente riposata, dopo un lungo sonno senza incubi.
 
Si alzò stiracchiandosi la schiena indolenzita per la posizione inusuale in cui aveva dormito, osservando poi il volto rilassato del ragazzo.
 
Sentì i passi pesanti di Haymitch salire le scale e l’uomo apparve con in mano una boccetta in vetro e annunciò di buon umore:
 
-L’antibiotico. Per lo meno farà scendere la febbre.-
 
Katniss sorrise raggiante e l’uomo restò interdetto qualche secondo, rendendosi conto che era da prima della sua partenza che non la vedeva sorridere.
 
Non appena ebbero somministrato l’antibiotico al ragazzo scesero per fare colazione, almeno in parte più tranquilli.
 
Il clima tra i due non era disteso, i fantasmi di cose non dette aleggiavano tra loro, rendendo l’atmosfera pesante.
 
-Perché continui ad ostinarti a volerlo curare se poi non fai altro che fargli del male?-
 
Domandò infine Haymitch duro, fissandola negli occhi in modo che non potesse mentire.
 
Erano giorni che quella domanda la torturava e il fatto di averla finalmente fatta lo fece sentire subito meglio.
 
-Forse proprio perché non ho fatto altro che fargli del male. E ora il mio unico desiderio è che lui stia bene, non mi interessa se poi non mi vorrà o cosa. Io voglio che lui stia bene e sia felice.-
 
Rispose Katniss sincera, reggendo lo sguardo dell’uomo.
 
-Sai cosa significano queste tue parole?-
 
Chiese lui tagliente, chiudendo gli occhi fino a farli diventare due fessure.
 
-Penso finalmente di averlo capito Haymitch e di essere stata sincera con me stessa.-
 
Ammise lei, arrossendo leggermente.
 
Sulle labbra dell’uomo si dipinse un sorriso compiaciuto e domandò:
 
-Glielo dirai?-
 
Katniss rispose secca:
 
-No. Lo lascerò libero di scegliere e se mi sceglierà allora glielo dirò.-
 
Haymitch sorrise e rispose:
 
-Sono soddisfatto dolcezza.-
 
Lei sorrise, iniziando a sparecchiare il suo posto.
 
-Ora dobbiamo solo sperare che Peeta si rimetta.-
 
Concluse lei, assumendo nuovamente un’espressione angosciata.
 
*
 
Katniss era seduta accanto al letto del ragazzo, mentre sfogliava svogliatamente il libro delle erbe della sua famiglia.
 
Stava pigramente cercando qualcosa che le potesse essere sfuggito per poter aiutare Peeta, ma sapendo quante volte l’avesse già sfogliato era parecchio scettica a riguardo.
 
Sbuffò stanca, appoggiando il libro sulle ginocchia e iniziando ad osservare il ragazzo profondamente addormentato.
 
Aveva la fronte imperlata di sudore, nonostante lei ogni pochi minuti l’asciugasse con cura. Gli occhi erano chiusi e leggermente gonfi, mentre la bocca era leggermente aperta per riuscire a respirare meglio.
 
Sorrise triste ripensando a quanto tempo avessero passato insieme e a quanto poco lei si fosse resa di conto di come quel ragazzo fosse fondamentale. Fu mentre era immersa in questi suoi pensieri che iniziò a raccontare a Peeta tante cose che si era sempre tenuta dentro, che non avrebbe mai avuto il coraggio di raccontargli in un’altra occasione.
 
-Sai – Esordì con voce incerta, iniziando ad accarezzare i capelli biondi accanto a lei – Mi torna spesso in mente quella volta in cui dopo la parata dei tributi dell’Edizione Della Memoria Johanna è entrata in ascensore con noi e si è spogliata davanti a te.-
 
Katniss sorrise divertita a quel ricordo che le sembrava di anni e anni prima, quando invece era semplicemente di poco più di un anno e mezzo.
 
-Non sai come mi sono sentita. Insomma quella sconosciuta è arrivata così all’improvviso e si è spogliata senza vergogna, quando io mi imbarazzo anche solo a mettere la gonna un po’ più corta. E poi si vedeva lontano un miglio che ci stava provando con te, proprio davanti a me!-
 
Katniss abbassò immediatamente la voce, rendendosi conto di averla alzata almeno di un’ottava con l’ultima esclamazione.
 
La Ghiandaia proseguì ad accarezzarlo per qualche altro minuto in silenzio, finché non bisbigliò arrossendo:
 
-Ti rendi conto che hai visto prima nuda lei che non me? Quando dormiamo insieme ogni notte?-
 
In quel momento ringraziò silenziosamente il fatto che Peeta stesse dormendo, perché non pensava che sarebbe mai riuscita ad ammettere una cosa del genere mentre quegli occhi chiari la osservavano.
 
Baciò leggera quelle labbra e sussurrò:
 
-Ti prego Peeta, riprenditi presto.-
 
 
-  To be continued. 
 

 
 
 

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