And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What would you do?
CAPITOLO I
Perché
un pretesto
per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte.
-
Alessandro Baricco
Era
una mattina
soleggiata a Capital City, mentre un’aria primaverile
iniziava a riempire le
strade.
Gli
uccellini
cinguettavano allegri, mentre qualche risata dei bambini arrivava dalla
scuola
poco distante.
Il
clima che si
respirava nella città da qualche settimana era
più disteso, la tristezza per le
ingenti perdite avvenute nella ribellione era ancora presente, ma tutti
cercavano di occupare il loro tempo in modo da non pensarci, in modo da
non
sentire quel peso gravare sui loro cuori.
Ovviamente
a
Capital City le perdite erano state molto meno numerose che nei
distretti,
eppure i cittadini privati di gran parte dei loro confort si sentivano
abbandonati a loro stessi e stavano pian piano rendendosi conto di come
fosse
difficile la vita ora che i distretti avevano dichiarato la loro
indipendenza.
Peeta
Mellark
invece era seduto sul suo letto, mentre osservava fuori dalla finestra
con aria
assorta le nuvole che si inseguivano nel cielo. Le mani erano
appoggiate
saldamente al davanzale, come se non avesse il coraggio di sporgersi
verso il
vuoto per paura di cadere.
Gli
occhi azzurri
erano illuminati dal sole mattutino, mentre studiavano attenti
l’andirivieni di
persone sotto la sua finestra.
Era
finalmente
arrivato il giorno in cui sarebbe potuto tornare a casa, nel dodicesimo
distretto.
Aveva
dovuto
passare parecchio tempo in ospedale, dove i dottori l’avevano
tenuto sotto
osservazione a lungo, monitorando i suoi segni vitali, provato nuove
terapie e
il dottor Aurelius l’aveva seguito con assiduità,
vedendo come il ragazzo desse
segni di miglioramento dopo il depistaggio e, a differenza di molti
altri suoi
pazienti, fosse collaborativo per la sua guarigione.
Il
dottore non
capiva come mai avesse così voglia di tornare in quel
distretto, dove nessuno
lo stava aspettando e dove la desolazione faceva da padrona. Si era
accertato
che fosse a conoscenza del fatto che l’intera sua famiglia
fosse deceduta in
seguito ai bombardamenti, ma non sembrava che il fatto turbasse il
giovane come
si aspettava. Nonostante ciò il dottor Aurelius non si
sarebbe opposto al
ritorno a casa, in fondo non trovava nulla di male nel voler tornare
nel luogo
della propria infanzia.
Peeta
dal canto suo
pensava spesso al suo ritorno, abituandosi all’idea che non
ci sarebbero stati
i suoi genitori e i suoi fratelli ad accoglierlo, non il volto severo
di sua
madre o quello un dolce del padre, e anche la sua vera casa,
la panetteria, non sarebbe stato
li ad aspettarlo.
Ci
sarebbero stati al massimo i loro fantasmi.
Gli
avevano detto
che però la sua casa, nel villaggio dei vincitori, era
ancora intatta e quindi
si sarebbe potuto trasferire li al suo rienrto.
E
quindi,
insensatamente, aveva voglia di tornare la, come se avesse lasciato
qualcosa da
cui tornare.
Non
amava Capital
City, era collegata a troppi dolorosi ricordi per lui e non poteva
concepire il
vivere in un altro distretto che non fosse il dodicesimo, con la sua
aria che
puzzava di carbone, le sue poche abitazioni, il suo degrado.
Era
incredibilmente
stanco di tutti quei luoghi estranei, quindi aveva
un’assoluta necessità di
immergersi nella calma della quotidianità che solo li
avrebbe potuto ritrovare.
Non
aveva
particolari bagagli da preparare, quindi quando il dottor Aurelius si
presentò
in camera sua alle 8.30 in punto Peeta era già vestito e
aspettava il medico
osservando pacatamente fuori dalla finestra.
-Peeta,
buongiorno.-
Annunciò
Aurelius
entrando nella stanza ed osservando le spalle del ragazzo.
Lo
ricordava quando
l’aveva visto per la prima volta agli Hunger Games, dove era
poco più di un
ragazzino di sedici anni.
Anche
lui, come
molti altri spettatori, era rimasto senza parole quando quel ragazzo
aveva
dichiarato senza esitazioni di essere innamorato proprio della ragazza
che era
stata estratta con lui. Aveva anche preso in considerazione che fosse
tutto
architettato per attirare su di loro i favori del pubblico
più innamorato degli
Hunger Games, ma dopo aver visto come si era comportato
nell’arena non aveva
più avuto dubbi sul suo amore.
Quel
ragazzino, che
si era unito per un soffio al gruppo dei favoriti per proteggere la sua
amata,
era cresciuto in quei pochi anni, scampando due volte dai giochi della
morte e
sfuggendo alla morte in guerra, alla follia data dal depistaggio, era
diventato
un uomo. Il solo osservare quelle spalle, strette in una maglietta
ormai troppo
stretta per lui perché recuperata da qualche abitante di
Capital City
notevolmente più gracile di lui, mentre si alzavano
ritmicamente per il respiro
tranquillo del ragazzo, fecero capire al medico che Peeta ormai era
pronto per
andare.
Il
ragazzo si girò
e accolse con un sorriso l’ospite, mentre gli occhi chiari e
tranquilli
esitavano sulla sua figura.
-Buongiorno
dottore.-
-Come
ti senti?-
Domandò
quello
accomodandosi sul bordo del letto del paziente, mentre con un altro
sorriso il
ragazzo rispondeva:
-Bene.
Insomma
fisicamente mi sto rimettendo in forze e anche..-
Peeta
esitò un
momento, cercando la parola adatta e quindi il medico
consigliò:
-I
flashback..-
-Si,
i flashback,
vanno molto meglio. Sono molto più rari ormai.-
Accettò
l’aiuto il
ragazzo ringraziando con lo sguardo.
Il
dottore annotò
il tutto sul suo taccuino, non appena ebbe concluso alzò gli
occhi e domandò:
-Sei
pronto a
tornare nel Dodicesimo Distretto?-
Peeta
scoppiò a
ridere e rispose alzandosi dalla sedia, facendo qualche passo nella
stanza per
sgranchirsi le gambe.
-Non
vedo l’ora. So
che può sembrarle strano perché la non ci
sarà nessuno ad aspettarmi, ma resta
comunque casa per me.-
Il
medico accolse
l’affermazione con un cenno della testa e, sempre dopo aver
appuntato il tutto,
domandò:
-Hai
progetti
dopo?-
Gli
occhi di Peeta
ebbero un guizzo di vita e lui esclamò energico:
-Mi
piacerebbe fare
il pasticcere.-
Vedendo
lo sguardo
sorpreso del medico abbassò gli occhi, mentre le guance si
arrossavano per
l’imbarazzo.
-Si,
insomma.. Mi
piacerebbe far rinascere la panetteria, anche se è
un’impresa difficile. I miei
genitori sarebbero veramente felici se lo facessi. E poi mi piacerebbe
fare un
sacco di torte, qui a Capital City ho visto delle creazioni
meravigliose che
vorrei provare a fare.-
Il
medico sorrise
rassicurante e rispose:
-Sono
sicuro che
con il tuo talento riuscirai a cavartela benissimo.-
Sul
volto di Peeta
spuntò un sorriso imbarazzato, quindi il dottore
proseguì:
-E
con Katniss? Non
hai progetti?-
Il
ragazzo del pane
sussultò preso alla sprovvista e deglutì a vuoto,
cercando di mantenere la
calma.
Katniss
era un
discorso ancora difficile per lui.
Non
aveva ancora le
idee chiare su cosa provasse per quella misteriosa ragazza, soprattutto
ora che
erano mesi che non la vedeva.
Dopo
che le aveva
impedito di togliersi la vita in seguito all’omicidio della
presidentessa Coin
non l’aveva più vista, anche se si era sempre
fatto aggiornare sullo svolgimento
del suo processo. Aveva paura che Katniss provasse ancora rancore nei
suoi
confronti per averla fermata dal prendere il morso della notte, eppure
in quel
momento aveva provato un desiderio irrazionale talmente forte da
muovere i suoi
movimenti fino a lei che lei restasse in vita, che aveva immaginato che
prima
del depistaggio lui l’amasse in quel modo. Ora ricordava
quelle sensazioni come
un’eco lontana, a cui cercava di avvicinarsi, ma ogni volta
in cui stava per
ricordare qualcosa di significativo di lei qualche doloroso flashback
lo
colpiva, rendendo ogni tentativo vano.
Peeta
mise a tacere
tutti quei ragionamenti e dopo aver preso un profondo respiro,
affermò
apparentemente con tranquillità:
-Penso
che mi
comporterò da impaccabile vicino di casa.-
Rispose
quindi
diplomatico. Il medico sorrise divertito e rispose:
-Molto
bene. Per me
puoi anche andare a prendere l’hovercraft che parte alle
dieci, in questo modo
arriverai al Dodici questa notte. Hai già fatto i bagagli?-
Domandò
amichevolmente e Peeta sollevò una sacca in iuta, con
all’interno poche cose.
-Tutto
qui. Il
pigiama lo lascio a qualche altro paziente, tanto a casa mi
arrangerò in
qualche modo, visto che avevo un guardaroba enorme.-
Aurelius
sorrise
soddisfatto e alzandosi si avvicinò a Peeta tendendogli la
mano.
-Peeta,
continueremo a sentirci per telefono, in modo da avere aggiornamenti
sui tuoi
progetti.-
Il
ragazzo sorrise
e annuì, lasciando la mano del medico.
-Prima
che mi
dimentichi..-
Aggiunse
il dottore
tornando al letto e iniziando a cercare qualcosa nella sua valigetta in
cuoio.
-Questo
è stato
trovato tra gli effetti di Katniss, era nella sua tasca quando
è stata
ritrovata dopo lo scoppio delle bombe nella piazza, non
c’è stata poi occasione
per consegnarglielo.-
Spiegò
quello,
senza scomporsi minimante per il fatto appena citato, prendendo nel
palmo della
mano il sacchettino che il dottore gli stava porgendo.
-Se
puoi
riportarglielo e raccomandarle di rispondere al telefono e
così potrei smettere
di far solo finta di curarla te ne sarei grato.-
-Nessun
problema.-
Ribatté
Peeta
tranquillo, mentre un sorriso divertito si dipingeva sulle sue labbra
mentre
immaginava il dottor Aurelius che tentava da mesi di chiamare Katniss.
Il
biondo infilò nella tasca dei pantaloni il sacchettino,
senza controllarne il
contenuto, mentre il dottore concludeva:
-Bene
Peeta. Ho
firmato tutte le carte per farti tornare a casa. Per ora ci salutiamo
quindi.-
Il
ragazzo rispose
con un sorriso, accompagnando il dottore alla porta.
-Buon
viaggio
ragazzo.-
E
con questo saluto
il medico scomparve dentro la camera di un altro paziente.
Peeta
restò un
momento intontito a guardare il vuoto, poi prese la sua sacca ed
uscì
dall’ospedale, senza mai voltarsi indietro, pronto a tornare
finalmente a casa.
***
Alle
undici meno
cinque di quella stessa sera Peeta Mellark appoggiò il primo
piede sul terreno
del dodicesimo distretto, per poi venire subito raggiunto dal secondo.
Ispirò
profondamente l’aria fredda della sera e salutò
cortesemente il pilota del
hovercraft, quindi fece i primi passi all’interno del
distretto.
Non
appena il
velivolo scomparve nel cielo un silenzio di tomba circondò
il ragazzo, che
decise quindi di avviarsi verso la sua abitazione.
Oltrepassò
a passi
svelti il paese silenzioso e pieno di macerie, stando ben attento a non
fermarsi e a non guardarsi in giro.
Si
bloccò però
davanti alla panetteria, dove quelle mura mezze distrutte gli
provocarono un
brivido, che scese lungo la schiena.
Era
consapevole che
avrebbe trovato casa sua in quelle condizioni, quindi ora non aveva
nessuna
ragione per sentirsi così triste. Aveva deciso lui stesso di
rinunciare a
tornare la per salvare Katniss, quindi aveva già
inconsciamente dato l’addio a
tutti quegli affetti racchiusi in quelle mura distrutte. Non doveva
quindi
provare così male in quel momento, era tutto sbagliato.
Si
voltò deciso,
avviandosi verso il villaggio dei vincitori, cercando di scacciare quei
fantasmi che stavano andando ad affollarsi nella sua mente.
Non
si concesse una
sola lacrima, sarebbe stato stupido crollare in quel modo dopo tutto
quello che
aveva passato.
Oltrepassò
il
cancello del villaggio dei vincitori e si soffermò un
momento a guardare la
casa di fronte alla sua, dove la luce fioca del camino filtrava dalle
persiane
socchiuse.
Si
costrinse a non
pensare alla padrona di casa ed entrò deciso nella sua
abitazione, dove un
forte odore di chiuso lo investì.
Non
aveva sonno e
non aveva voglia di andare a dormire, pieno di troppe emozioni, quindi
aprì con
cura tutte le finestre per far areare l’ambiente, poi si
infilò nel sottoscala
ed estrasse qualche ceppo di legno da posizionare nel camino.
Non
aveva mai
sentito quel luogo come una vera e propria casa, probabilmente
perché vi aveva
vissuto solo per un anno e da solo, quindi non aveva particolari
ricordi
racchiusi in quell’abitazione.
Ricordava
solo che
li aveva pianto nel vedere Katniss felice senza di lui.
Iniziò
a tremare e
quindi strinse il tavolo di fronte a lui, nella speranza di calmarsi.
Il
ricordo di
Katniss e Gale che ridevano alle sue spalle continuava però
a pararsi di fronte
a lui, quindi corse in bagno e si lavò la faccia, nella
speranza che l’acqua
gelata lo calmasse.
Dopo
qualche spasmo
ancora, si lasciò cadere sul pavimento freddo, dove, dopo
essere rimasto a
fissare le piastrelle bianche per parecchio tempo, si
addormentò senza
rendersene conto, stanco per il viaggio.
Venne
svegliato ai
primi raggi di sole, quanto verso le cinque del mattino un fringuello
si posò
sulla sua fronte.
Aprì
gli occhi
spaventato, scattando il piedi come per difendersi e fece
giusto in tempo
a vedere l’uccellino terrorizzato scappare fuori dalla
finestra.
Si
lavò la faccia e
si diresse in camera sua, rendendosi conto di avere tutti i vestiti
sudati, per
l’ennesimo incubo avuto quella notte.
Aprì
l’armadio
lungo tutta la parete e si mise a cercare qualcosa di utile per i suoi
piani di
quella mattina, gli serviva quindi qualcosa di pratico.
Trovò
quello che
cercava e dopo una breve tappa nel sotto interrato uscì di
casa.
-
To
be continued.
*Angolo
dell’esaurita*
Buongiorno!
Finalmente
eccomi qui a scrivere questa fanfic su Hunger Games dopo mesi e mesi di
elucubrazioni!
Dal
prossimo capitolo la storia inizierà a formarsi, questo
capitolo era una sorta
di prologo, in cui Peeta torna a casa! :)
Un’ultima
cosa, poi smetto di tediarvi con i miei scrausi pensieri!
Il
titolo è tratto dalla canzone The
Final
Cut dei Pink Floyd. Il
titolo
completo che avevo pensato era un’intera strofa della
canzone, ma per motivi
logistici ho usato solo le prime due strofe:
“And if I show you my dark
side
Will you still hold me
tonight?
And if I open my heart to you
And show you my weak side,
What
would you do?”
La
cui traduzione (per i più pigri) è:
“E
se ti mostro il mio lato oscuro
Mi
stringerai ugualmente questa notte?
E
se ti apro il mio cuore
E
ti mostro il mio lato debole,
Che
cosa farai?”
Beh,
con questo ho concluso veramente il primo capitolo!
Besos!
;)
Sarugaki145__❤