Aquiloni spezzati

di Megan___
(/viewuser.php?uid=75176)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tempo Primo: DO in adagissimo ***
Capitolo 2: *** Cannella ***



Capitolo 1
*** Tempo Primo: DO in adagissimo ***


 
A      Q      U      I       L      O      N      I          S      P      E      Z      Z      A      T      I

_________________________________________________________________________________________________
Tempo Primo: DO in Adagissimo
_________________________________________________________________________________________________


 
 

8:47
Il banco alla mia sinistra è ancora vuoto e la sedia non ospita la schiena di nessuno per ora. La campanella è suonata da 32 minuti. Ancora 180 secondi e poi sarà il tuo orario. La tua figura entrerà dalla porta dell’aula e, come al solito, il professor Faraize si lamenterà per il tuo ritardo, riprendendoti inutilmente per il tuo comportamento con quel tono per niente autoritario. Attraverserai i banchi allineati con il tuo sguardo torvo, senza prestare attenzione alle parole del docente, con la cartella che ti pesa sulla spalla, fino arrivare al tuo posto, proprio qui, di fianco al mio, e appoggerai la testa sul banco, coprendoti gli occhi con i ciuffi di capelli tinti di rosso.
Quante volte ti ho visto appisolarti durante le lezioni. L’espressione accigliata scompare lentamente non appena ti allontani dalla realtà per ritornare nel mondo che abbandoni la mattina quando ti svegli.
Sento l’odore acre ti tabacco nelle mie narici ogni volta che respiri. Sei inconsapevole che quell’odore mi dà alla testa come fosse un afrodisiaco. Mentre tu ti riposi incurante di tutto quel che ti circonda, io perdo il senso delle cose circostanti e il mio sistema nervoso inizia a darmi impulsi che a fatica riesco a trattenere: la voce del professore scema, i compagni seduti ai loro posti scompaiono, il rumore della pioggia che picchietta contro i vetri della classe svanisce e nei miei occhi rimani solo tu.
L’istinto di infilare le dita tra i tuoi capelli tinti e seguire con i polpastrelli la cute fino a raggiungere la nuca mi viene frenato da un piccolo pensiero scomodo: e se poi si sveglia? Allora i muscoli delle mani appena appena tesi verso di te si rilassano per andare a riposarsi sulle gambe e il mio sguardo liquido di bramosia ritorna a posarsi sulla lavagna, disinteressato e annoiato: letteratura francese non è esattamente la materia che preferisco.
Vago con la mente iniziando a sognare ad occhi aperti: io e te in un parco, tu seduto a gambe incrociate sul muretto con la tua chitarra tra le braccia e io... Io sono in piedi dietro di te, con le braccia appoggiate sulla tua testa e il mio viso accostato ad esse. Gli occhi chiusi mentre mi godo le note morbidamente grunge che le tue dita fanno uscire dalle stringhe della Fender che tieni in braccio. Se mi concentro su quell’immagine riesco a sentire il tuo cuore pulsare sul mio petto pressato contro la tua schiena.
Poi la campanella trilla e son costretta a ritornare alla realtà: il professore ritorna ad essere davanti alla lavagna, i compagni di classe son di nuovo davanti ai miei occhi e le mie orecchie possono nuovamente sentire il rumore della pioggia sui vetri sovrastato dal vociare degli alunni ormai in pausa e tu... Tu ritorni a non sapere della mia esistenza.
Per quanto tempo ho immaginato?
Lancio una breve occhiata alla tua figura, allontanando subito lo sguardo quando vedo il tuo corpo muoversi appena. Sorrido ad Iris, che sta venendo verso di me, mentre con l’orecchio ascolto la tua sedia che striscia contro il pavimento dell’aula e tu che ti alzi e te ne vai nel completo silenzio dei tuoi passi.
Sospiro, rassegnata, dannandomi della mia codardia. Tutto è ancora come prima.
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cannella ***


 
A      Q      U      I       L      O      N      I          S      P      E      Z      Z      A      T      I

_________________________________________________________________________________________________
Cannella
_________________________________________________________________________________________________


 
 

Da quanto erano sposati? Forse il loro matrimonio era durato trent’anni o giù di lì.
L’uomo guardò la fede dorata avvolta al suo anulare sinistro e sospirò. Gli occhi appena appena sbiaditi dall’età si chiusero per un attimo, rassegnati. La mano destra ripose il pennino nel calamaio, per poi andare a tamponare la lettera appena scritta con della carta assorbente, macchiandola dell’inchiostro verde che ancora non era asciugato.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che si erano parlati? Otto mesi... No, di più. Forse quasi un anno. Eppure vivevano nella stessa casa, mangiavano allo stesso tavolo, riposavano nello stesso salotto, dormivano nello stesso letto.
Non sembrava neanche strano. Non è che avessero smesso di parlarsi così, di punto in bianco. Era stato... Graduale. Erano arrivati a rivolgersi solo i saluti e poi... Poi neanche più quelli.
Eppure... Eppure lei continuava a cucinare, a rassettare la casa, a fare il bucato, a riordinare il suo disordine.
Si amavano ancora? Non era possibile.
Si odiavano? Men che meno.
Indifferenti. L’amore che una volta animava i loro baci, i loro tocchi, le loro conversazioni... Era semplicemente sfumato assieme ai loro anni giovani.
Tradimento... No, non era fatto per cose del genere. Si erano giurati una promessa davanti a quell’altare in marmo nero, e l’avrebbe mantenuta.
E lei? Lei avrebbe fatto lo stesso? Sì. Non avrebbe ceduto, ne era certo. Non era così frivola.
L’orologio scandì cinque rintocchi. Ah, era già l’ora tè.
Si alzò dalla poltrona del soggiorno, uscendo di casa, ritrovandosi nel giardino che la moglie coltivava a rose, ellebori e mughetti.
Silenzio.
Come si poteva vivere così?
Le gambe lo trascinarono al tavolino in ferro battuto dove si sedette, circondato dalle piante profumate. Lei già sulla sedia davanti a lui, a sorseggiare la bevanda calda accompagnandola ai biscotti e alla torta preparata con le sue mani. Sapeva essere meravigliosa, quando voleva. Una moglie perfetta, si potrebbe dire. Il vestito candido che copriva il suo corpo la faceva sembrare una novella sposa, nonostante gli anni che sfioravano i cinquanta. Forse più angelica che terrena.
Silenzio.
Era vita, quella?
Gli occhi bicolori si posarono sulla tazza per lui preparata. Bevve. Bevve e si saziò degli zuccheri intavolati. Era sempre stata un’ottima cuoca. Un sorriso amaro incrinò di un minimo le labbra di Lysandre. Avevano avuto una bella vita, in passato. Di quella vita, però, non era rimasto quasi più nulla.
Silenzio.
Che situazione estenuante.
Ognuno di nuovo per sé, ognuno nuovamente solo.
Un sospiro sfuggì alla sua bocca, una volta passionale; e subito fu abbandonato. Il tè raggiunse nuovamente le labbra per un altro breve sorso.
Silenzio.
I dolci perdevano pian piano dolcezza, diventando sempre più amari ad ogni morso.
Una sensazione fastidiosa a pungergli la lingua, spronandolo a sputare parole acide. Scacciò quei pensieri diabolici dalla mente, concentrandosi di più su quel momento, e tutto fu di nuovo silenzioso. Tutti i giorni ripetevano quel rituale. Tutti giorni in giardino, col tè ad inebriare le loro narici, mescolandosi al profumo dei fiori di stagione. Tutti i giorni ad accompagnare quel silenzio con paste guarnite di marmellata.
Iniziava a sentirsi soffocato.
Allentò il foulard verde dal collo, sbottonando il colletto della camicia.
Caldo torrido. Troppo caldo per una giornata di prima primavera.
Il silenzio si spezzò.
La donna della sua vita iniziò a canticchiare a bocca chiusa, intonando una filastrocca.
L’uomo si azzardò a parlare, pregando perché tutto tornasse come in passato, pregando perché le parole arrivassero alle orecchie di sua moglie e pregando perché alle sue ne ritornassero altre, di parole.
«Sa... Sa di cannella.»
Lei alzò lo sguardo, serafico, sul viso del marito, smettendo per un momento di canticchiare.
«Già... La vendevano al mercato. Volevo provare una nuova fragranza» ammise, tornando a sorseggiare la bevanda nella sua tazzina canticchiando sommessamente.
La sua voce...
Una sensazione sgradevole gli puntellò le tempie, pizzicandogli anche il retro dei bulbi oculari. La vista si fece appannata e il respiro pian piano più faticoso.
La presa si fece debole tutto d’un tratto e la tazzina cadde a terra, rovesciando il poco contenuto rimasto sull’erba primaverile. Una mano tremante si aggrappò alla tovaglia ricamata a fiori, mentre le dita dell’altra si strinsero sulle tempie pulsanti. Gli occhi si riaprirono, affaticati, guizzando qua e là con fatica, finché non si posarono sulla figura seduta davanti a sé.
La sua voce... Era sparita. La donna aveva smesso di intonare la melodia.
Le braccia molli lungo i fianchi, il viso incorniciato dai morbidi capelli biondi buttato all’indietro, malamente, mentre un rivolo di saliva scendeva dalle labbra sbiancate. La tazzina in porcellana decorata rovesciata sul tavolino, a lasciare che il liquido dorato inzuppasse la tovaglia e il suo vestito.
Il battito cardiaco di Lysandre non faceva che accelerare. Di più, sempre di più, finché l’uomo non perse conoscenza.
E poi... Poi il respiro abbandonò il suo corpo.
La testa appoggiata al tavolino rotondo, gli occhi dalle iridi bicolori persi nel vuoto, a guardare il nulla; la saliva che gli riempiva la bocca.
Un soffio di vento trasportò il profumo dolciastro dei fiori di quel giardino, e un petalo di rosa si staccò dal suo corpo per posarsi sul tè avvelenato.
 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2732866