Hesitant Zombie di sassafras (/viewuser.php?uid=590970)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** .Weighted. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 1 *** .Weighted. ***
.Weighted.
Gerard
Way fissava l'entrata della mensa.
Al
suo fianco, il fratello Michael copiava i compiti di trigonometria
sputacchiando la sua Coca Cola ogni volta che Bob Bryar iniziava a
imitare quel suo compagno di classe fissato con la musica techno.
Ray
Toro, invece, sedeva silenziosamente. Era un'altra delle sue giornate
difficili.
E
poi lo vide entrare. Esile, spaventato, con quella singolare
tristezza e quel pallore che Gerard riconobbe subito.
Immediatamente,
con la stessa velocità con cui un viso si riflette allo
specchio, sentì il proprio cuore stringersi.
Il
ragazzo rimase immobile all'entrata della mensa. Si guardava intorno,
smarrito ma calmo. Come se il tempo non esistesse più. Era uno
degli effetti collaterali di essere morto.
-
Gerard? - lo chiamò Bob.
Gerard
continuò a guardare negli occhi il ragazzo finché i
loro sguardi non si allinearono.
Fu
come vedere per la prima volta qualcosa che avesse senso in un mondo
generato da confusione. Fu il punto fermo in mezzo al movimento.
L'unico sole nel cielo che illumina proprio *te.
Al
ragazzo ci vollero forse venti secondi prima che iniziasse a muovere
qualche passo in direzione del loro tavolo. Sembrava muoversi al
rallentatore e non curarsene di tutte le spallate e vassoi che per
poco non gli si erano rovesciati addosso mentre con una mano si
reggeva lo zaino sulle spalle. E non si sforzava di sorridere.
Rimaneva spento. Morto.
-
Gerard? - insistette Bob, quasi rovesciando la bottiglietta di sangue
da quanto si era sporto.
I
suoi occhi non si schiodarono dal ragazzo. Era come se ogni
centimetro del suo corpo li catalizzasse.
Il
ragazzo gettò lo zaino su una sedia vuota. Guardò per
qualche secondo Gerard prima di scostare dolorosamente l'attenzione
da lui. Gettò un'occhiata agli altri, che lo fissavano senza
parole, spiazzati dalla sua improvvisa comparsa.
-
Sono Frank Iero. - disse. La sua voce era roca, bassa e piatta. Le
sue labbra pallide rimanevano leggermente socchiuse alla fine di ogni
frase, - Sta mattina mi è stato detto che sono figlio della
Morte ed è per questo che mi trovo qui. Piacere. -
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Capitolo 2 *** Capitolo secondo ***
.2.
Fu
così che Frank Iero scivolò nelle loro vite. Aveva
quell'espressione, sempre seria, vagamente infastidita. Quegli occhi
verdi e opachi, quasi sempre rivolti in basso; quel corpo di bassa
statura coperto di tatuaggi che gli dava involontariamente un'aria
aggressiva. Quella voce bassa.
Cominciò
a riempire le loro orecchie, ad attirare la loro attenzione. Bastò
solo mezz'ora e poche parole. A dire il vero, Frank non spiegò
quasi nulla di se. Alla domanda di Michael su perchè non si
fosse servito alla mensa, Frank rispose che non aveva fame perchè
era morto.
Bob
aveva quasi sorriso. Bob sorseggiava sempre del sangue dalla sua
bottiglietta di vetro, e nessuno di loro era tenuto a sapere da dove
questo provenisse. Bob era una persona trasparente, sincera e davvero
un buon amico; quello del sangue era il suo unico segreto. Ma ne
aveva davvero bisogno. Era l'unica cosa che il suo metabolismo
riuscisse a digerire. Aveva quel problema dalla nascita, insieme a
dei canini leggermente sporgenti che Madre Natura gli aveva donato
senza mettere in conto l'educazione di Bob, che non avrebbe mai
azzannato anima viva.
Ray
Toro, invece, era costretto a prendere un antidoto da quando aveva
avuto un incidente da piccolo nella Foresta Nera. La madre aveva
infatti notato un'anomala crescita di peluria su tutto il suo corpo
una volta al mese, e dopo diverse visite e prescrizioni Ray Toro era
finito in quella scuola, insieme a loro. Aveva passato due mesi senza
prendere alcun tipo di antidoto ma poi aveva deciso di riprendere il
trattamento. Lo seguiva ogni giorno. E le dosi aumentavano
continuamente, in quanto il suo corpo opponeva resistenza, strappando
sempre di più ciò che era rimasto della magnifica
personalità di Ray Toro. Di fronte allo sviluppo delle cose,
l'unica cosa che Gerard riusciva a fare era ritenersi fortunato per
averlo conosciuto prima che si trasformasse davvero, con tutte quelle
gocce, pastiglie e iniezioni, in un corpo vuoto.
-Che
corso hai adesso? - chiese Gerard, alzandosi in piedi un secondo
prima che la campanella suonasse.
Frank
sollevò lo sguardo mentre la campanella iniziava a trillare.
Era
la prima volta che Gerard gli rivolgeva la parola.
-Non
lo so. - bofonchiò infine.
-Posso
avere il foglio dei tuoi orari? - domandò quindi, allungando
una mano.
Frank
lo tirò bruscamente fuori dallo zaino, quasi strappandolo.
Glielo consegnò.
Gerard
cercò di spiegarlo, leggendolo in velocità: - Hai
storia. Però la prossima ora di lezione, trigonometria, ce
l'hai con me. Se vuoi ti accompagno all'aula di storia. -
-Va
bene. - acconsentì in tono piatto. Si alzò in piedi
artigliando lo zaino.
Gerard
quasi si spaventò.
-Ci
vediamo. - disse Gerard, rivolgendo un cenno di saluto agli altri.
-Già,
ci vediamo. E' stato un piacere, uhm, Frank. - farfugliò
Mikey.
Bob
sfiorò una spalla di Ray, sospingendolo nella direzione
giusta, e se ne andarono tutti e tre.
-Seguimi.
- ordinò Gerard, dopo aver lanciato un'occhiata a Frank. Uscì
dalla mensa e quando tornò a guardarsi alle spalle quasi si
stupì di trovare Frank. Non si era aspettato davvero che lo
seguisse. Era imprevedibile, come un qualche animale.
Gerard
si sentiva nervoso. Non gli succedeva spesso, ma quel ragazzo era
appena riuscito a spaventarlo e attirarlo nella medesima frazione di
secondo e si sentiva girare la testa. Si sarebbe voluto voltare per
fermarsi ad ammirarlo ma allo stesso tempo temeva che lo ferisse o
facesse qualcosa di pericoloso. Frank, si intende. Gerard aveva da
sempre avuto un ottimo autocontrollo, e forse era proprio quello a
spaventarlo, ovvero la prospettiva di trovarsi di fronte a qualcuno
di così diverso da lui. Strano che tali timori
sopraggiungessero solo adesso, dopo che aveva passato tre anni
circondato da esseri perlopiù privi di spiegazioni
scientifiche.
Cercò
di convincersi del fatto che non fosse pericoloso. Che se la preside
(per quanto svampita) aveva ritenuto Frank idoneo a partecipare alla
vita in quella nuova scuola allora non doveva essere così
minaccioso.
Si
bloccò bruscamente di fronte all'aula di storia e Frank andò
a sbattere piano contro di lui.
Gerard
quasi urlò. Lo fissò negli occhi quasi vitrei e poi
abbassò lo sguardo, sentendo di essere troppo sfacciato. -
Siamo arrivati. Buona- lezione. -, balbettò. Quando riuscì
a risollevare lo sguardo Frank era già sparito.
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Capitolo 3 *** Capitolo terzo ***
.3.
L'ora
di trigonometria fu faticosa. Passò lenta, ma allo stesso
tempo veloce. Invece che durare un'ora fu come se durasse tre lenti e
pesanti minuti. La professoressa Ferguson presentò alla classe
Frank Iero, senza specificare nulla sulla sua natura. La discrezione
dei professori era forse l'unica cosa che Gerard apprezzava di quella
scuola.
Non
si parlarono per tutta l'ora di lezione però Gerard non smise
nemmeno per un secondo di pensare a Frank Iero. Cercò di
immaginarsi come fosse morto, com'era stato, come si sentiva, come
vedeva Gerard – si chiese se dormisse nel suo stesso
dormitorio. Probabilmente sì, del resto chi avrebbe mai potuto
spiegare a dei genitori che il figlio morto non è davvero
morto?
Però
non osò chiedergli nulla.
A
fine lezione lo salutò e Frank (senza ricambiare) se ne uscì
semplicemente dal suo campo visivo per il resto della giornata.
Più
tardi, alle tre e mezza, Gerard si distese sul letto della sua stanza
di dormitorio. Quella era la sua casa da quando aveva quindici anni.
E la sua famiglia era da sempre stata nient'altro che Michael. Da
piccoli erano stati lasciati anonimamente in un orfanotrofio e dopo
aver subito numerosi test del DNA i medici avevano semplicemente
dichiarato che apparentemente non erano imparentati (a parte fra di
loro) con nessuno. Nessuna compatibilità con nessun essere
umano. Micheal e Gerard avevano
da sempre cercato una risposta, una soluzione, un motivo, ma man mano
che gli anni passavano e i medici continuavano a scuotere rassegnati
la testa, il loro folle bisogno di sapere era sfumato in una cupa
rassegnazione. Che a volte, dopo dei strani incubi, diventava vera e
propria paura.
La
cosa più frustrante era che non presentavano alcun tipo di
anomalia. Il loro corpo- i loro organi, le loro ossa, erano stati
assemblati a perfetta immagine e somiglianza di ogni altro essere
umano. Il loro quoziente intellettivo era nella norma, la loro mente
non presentava disturbi. L'unico difetto era quello di essere stati
generati dal nulla. O perlomeno, nulla di conosciuto.
-Oh,
ciao. - lo salutò Michael dopo aver aperto la porta del
dormitorio senza nemmeno bussare. Non lo faceva mai, a dire il vero.
-Ciao,
Mikey. -
-Ero
andato in biblioteca con Ray. Oggi non è proprio giornata per
lui, nemmeno ricordava il libro che doveva prendere. - disse con un
triste sospiro prima di sedersi sul proprio letto.
Gerard
allungò le gambe sul letto e sospirò a sua volta: - Lo
sai che andrà sempre peggiorando, vero? -
-Non
hai le competenze mediche per dirlo. -
-Però
ho la logica. - ribatté seccamente.
Micheal
sbuffò. Quello di contraddire quasi saccentemente le
persone era uno dei deboli di Gerard. Non riusciva a controllarlo. Se
non altro, tutti i suoi amici ormai l'avevano capito e accettato.
-Come
ti sembra Frank? - domandò a bassa voce Gerard dopo qualche
secondo di silenzio.
-Chi?
- chiese Michael.
-Frank
Iero. -
-Ah,
lo zombie. - ricordò Mikey.
Gerard
si chiese come avesse fatto a dimenticarlo anche solo per un secondo
quando l'immagine di Frank era ormai diventata una costante nella
mente di Gerard.
-Non
so, deve sentirsi un po' confuso. Voglio dire, un attimo prima sei
vivo, un attimo dopo sei morto... e poi di nuovo vivo. Dev'essere
stato sconcertante. -
-Già.
Credo che anche lui alloggi nel dormitorio. -
-Non
è detto, magari i suoi l'hanno accettato o hanno assistito
all'intera evoluzione o magari nemmeno si sono accorti che è
morto. Che ne sai? -
Gerard
rimase in silenzio per qualche secondo, leggermente sconvolto da
quell'ultima opzione. Si rimproverò mentalmente per non aver
considerato tutte quelle possibilità più che
plausibili. E successivamente, si chiese perché si sentisse
così deluso dal fatto che non alloggiasse come loro nel
dormitorio. La verità era che aveva davvero voglia di
conoscerlo. Di diventare amici. C'era qualcosa in lui... e forse era
anche solo fantascienza, quella di affidarsi alle impressioni, al
sesto senso così noto per non basarsi su assolutamente nulla
di certo; eppure tutto ciò non era abbastanza per fermarlo.
La
mattina quando si svegliò trovò al posto di Michael un
piccolo biglietto scritto in velocità in cui gli diceva che
era da Ray.
Gerard
accartocciò il biglietto e lo gettò nel cestino lì
vicino. Andò a lavarsi i denti e poi si vestì con
lentezza, sbadigliando di tanto in tanto. Rigirando le magliette che
si era infilato al contrario. C'era poco da fare, appena sveglio era
totalmente rimbecillito.
Uscito
dalla stanza la chiuse a chiave. A metà scale si accorse di
non avere con se lo zaino. Tornò indietro, riaprì la
porta, prese il zaino, controllò svogliatamente che dentro ci
fosse il necessario, uscì di nuovo dalla stanza, la richiuse a
chiave. E sospirò. Scese le scale a passo più veloce.
All'uscita si accorse che pioveva. Sbuffò e imprecò
piano nell'accorgersi di aver dimenticato l'ombrello. Si tirò
furiosamente su il cappuccio della felpa, pienamente convinto che
quella, con un inizio del genere, sarebbe stata una giornata di
merda.
E
quasi si spaventò nel notare una figura rannicchiata lì
vicino alla porta.
-Frank?
- balbettò, con il cuore ancora a mille per lo spavento.
Lui
si voltò con un gesto impersonale, rigido e simmetrico. Come
se si muovesse meccanicamente. - Ciao. -
-Che
ci fai qui? -
-Ci
abito. Curioso il fatto che mi mettano in un dormitorio nonostante io
non dorma, non trovi? - chiese con un sorriso di amaro sarcasmo.
Gerard
si sentì ancora più spaventato. (“Lo sapevo!) Ma
in qualche modo affascinato. - Che stavi facendo qui? -
-Niente.
-
-Ti
va se andiamo a scuola insieme? Dev'essere piuttosto tardi... -
-Oh,
wow, riesco ad essere in ritardo anche senza avere impegni. - sbottò
alzandosi a fatica in piedi.
Con
un brivido, Gerard si chiese se il rigor mortis avesse parzialmente
agito sul suo corpo. Era la prima volta che entrava in così
stretto contatto con uno zombie, non-morto o in qualsiasi modo si
preferisca chiamare la gente morta che continua a muoversi e
atteggiarsi come se fosse ancora viva. Conosceva di vista un altro
paio di persone come lui, ma non avendo mai rivolto la parola a
nessuno di loro quella con Frank era un'esperienza del tutto nuova e
terrificante.
Avrebbe
voluto correre fino al primo punto al coperto, ma Frank camminava
lentamente nonostante la pioggia lo colpisse con la stessa intensità
di una doccia e Gerard non riusciva semplicemente a correre via da
lui come una checca, quindi si tenne nervosamente al suo passo. Si
sentì stupido e si chiese perché Frank, nel fare le sue
stesse cose, non lo sembrasse.
Salutò
nervosamente un compagno di corso e si passò le dita fra i
capelli cercando di liberarli dall'acqua.
Frank
lo osservava freddamente, senza fare nulla per asciugarsi
minimamente.
-Che
corso hai adesso? - domandò Gerard, col fiato corto.
-Fisica.
- . Gerard si stupì del fatto che lo sapesse.
-Oh,
ce l'ho anch'io fisica adesso. - annuì energicamente, -
Abbiamo lezione con la stessa professoressa di ieri, la signora Ferg-
-
-Lo
so. -
-Oh,
okay... - farfugliò, - Uhm, andiamo? -
Frank
si strinse nelle spalle. - Hai già fatto colazione? - chiese.
Gerard
lo guardò, stupefatto. - Uhm, no? - . L'intonazione che la
faceva somigliare a una domanda fu del tutto accidentale.
-E
non hai fame? - chiese aggrottando appena la fronte.
-Beh,
a dire il vero sì. -
-Allora
prima passiamo in caffetteria. -
-Già...
cioè, okay. Uhm, di là. - disse prima di sfrecciare in
direzione della caffetteria. Non si riconosceva in quei comportamenti
nervosi, quasi isterici. Ma non riusciva a controllarsi. Non più.
Ordinò
un caffé lungo e una ciambella mentre Frank lo aspettava
seduto a un tavolo.
Quando
si sedette di fronte a lui e i loro occhi si incontrarono come il
giorno prima si sentì più rilassato. Come se non avesse
più a che fare con un imperscrutabile cadavere.
-Che
ti è successo? - chiese in un sussurro, fissando intensamente
quegli occhi quasi grigi.
Frank
incrociò le braccia tatuate sul tavolo, abbassando lo sguardo
come suo solito. Spostò il peso sulle braccia, chinandosi
leggermente in avanti per avvicinarsi a Gerard. - Non lo so. Non
ricordo nulla. - confessò.
-Sai
perchè è successo? - domandò delicatamente
l'altro, cercando in tutti i modi di non perdere la sua attenzione e
soprattutto la sua fiducia.
-Sono
nato il 31 Ottobre. Mi è stato detto che tutti quelli nati il
giorno di Halloween sono figli della Morte, e questa concede loro una
seconda e ultima possibilità. Per cui, la prossima volta che
muoio giuro che non mi muovo più dalla mia tomba. - dichiarò.
Gerard
scoppiò improvvisamente a ridere.
Frank
lo guardò, piuttosto sorpreso. Provò a sorridere.
Successe qualcosa nei suoi occhi, per un attimo sembrarono brillare.
Come quando stai per piangere, solo che era diverso. Sembrava vivo.
Aveva dato una risposta umana.
La
risata di Gerard si esaurì, lasciandogli l'ombra di un
sorriso. Prese un morso dalla ciambella e poi un sorso di caffé.
- Continua a parlarmi. -, implorò.
-
Non so come io sia morto. Ho... queste braccia ricoperte di tatuaggi
che non hanno alcun significato per me, delle magliette di band che
non conosco... non so nemmeno dove io sia nato. Non so chi siano i
miei vecchi amici. Non conosco i miei genitori... non ho nulla. -
-Nemmeno
io conosco i miei genitori. - mormorò Gerard.
Frank
sollevò il viso, sorpreso. Di nuovo un'emozione umana. -
Davvero? -
-Sì.
Sono cresciuto in un orfanotrofio e i test del DNA non trovano
compatibilità con nessun altro... -
-Credi
di essere un alieno? - domandò a bassa voce. Quella luce negli
occhi. Non sembrava più lui.
Gerard
rifletté per qualche istante, meditabondo: - Sì. Credo
di sì. Non c'è altra spiegazione. -
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Capitolo 4 *** Capitolo quarto ***
.4.
Il
giorno dopo, all'ora di pranzo, Gerard Way si voltò in
direzione dell'entrata e Frank Iero entrò nella mensa.
Frank
cercò qualcosa con lo sguardo, e sembrò averlo trovato
quando posò gli occhi su Gerard.
Camminò
lentamente fino al loro tavolo.
Gerard
capì che c'era stato un peggioramento rispetto al giorno
prima. Riusciva a vederlo nei suoi occhi. Nelle sue labbra sottili e
ferme. Come congelate.
Si
morse un labbro, tormentato dal fatto che il giorno prima non fossero
andati insieme al dormitorio. Avrebbe dovuto cercarlo o chiedergli
qual era la sua ultima lezione in modo da prelevarlo fuori dall'aula
e accompagnarlo. Avrebbero scambiato un paio di parole, e non
avrebbero perso quanto instaurato quella mattina a colazione.
Frank
si sedette al tavolo senza nemmeno salutarli. Né rispondere ai
saluti di Gerard e Bob.
A
proposito di peggioramenti, si avvicinarono Michael e Ray.
Ray
aveva quel suo sorriso smarrito, falso. A volte era abbastanza lucido
da avere l'accortezza di fingere di stare bene.
E
Gerard, suo malgrado, finì per dipingersi sulle labbra quel
genere di sorriso che si rivolge a un malato di mente per convincerlo
visivamente di essere al sicuro e di avere di fronte una persona che
non aveva nessuna intenzione di aggredirlo. Gerard Way si vergognava
di se stesso, quando sorrideva così. Perchè prima che
Ray iniziasse a prendere le medicine non gli aveva mai sorriso più
di tanto. Perchè Gerard era così, non sorrideva molto.
E ora si sentiva costretto a diventare la persona più solare
del mondo in presenza di Ray. E si sorridevano a vicenda, loro due,
recitando parti dello stesso copione.
-Ciao,
Ray! Come stai? -
-Bene,
tu? - . Parlava con estenuante lentezza, e aveva quella voce acuta di
finta felicità e lo sguardo perennemente assonnato.
-Bene,
grazie. Bella maglia. - aggiunse accennando alla maglia dei Nirvana.
-Grazie!
Anche a me piace come sei vestito. - . Si sedette a tavola, e Michael
al suo fianco.
Michael
sembrava non accorgersi di come stava. Forse ci era abituato perchè
era quello che passava più tempo con lui.
Gerard
riportò gli occhi su Frank, e si chiese perchè stesse
fissando così il petto di Ray.
-Frank?
- lo chiamò a bassa voce.
Frank
continuava a fissare la maglietta. Non reagì in alcun modo
alla voce di Gerard, come se non la conoscesse. Come se non gli
interessasse. Come se fosse sordo.
-
Frank? - ripeté Gerard, posando con delicatezza il palmo della
mano destra sul dorso della mano di Frank appoggiata al tavolo. Era
così fredda.
Frank
sobbalzò e scansò la mano di Gerard sollevando di
scatto la propria. La spinse via.
Gerard
arrossì. Ferito per il modo con cui Frank aveva respinto un
suo gesto affettuoso. E si sentì gli occhi riempirsi di
lacrime. Si vergognava così tanto, ancora di più ora
che si era accorto di stare piangendo. Si alzò improvvisamente
in piedi, - Devo andare in bagno. -, balbettò prima di correre
fuori dalla mensa.
Si
rinchiuse nel primo bagno dei ragazzi che trovò. Si sedette
sul water dopo aver chiuso la porta della piccola stanza e ringraziò
il cielo che in quella scuola non ci fossero orinatoi ma bagni
separati come nei servizi igienici delle ragazze.
Riuscì
a placarsi prima di sfociare in una vera e propria crisi di pianto.
Solo qualche lacrima, un paio di tremiti e poi poté asciugarsi
definitivamente le guance con la carta igienica.
-Gerard?
-
Trattenne
il fiato, bloccato dalla sorpresa e da mille altre cose che gli
stavano stringendo lo stomaco, dandogli nausea.
-Gerard,
dove sei? -
In
fin dei conti, sentire uno zombie chiamare il tuo nome mentre sei
nascosto in un bagno chiuso a chiave non è esattamente una
situazione piacevole. Ma del resto, non lo sarebbe stata nemmeno se
al suo posto ci fosse stato una qualche sorta di alieno... Dio, erano
così incasinati.
-Che
c'è, Frank? - chiese, cercando di tenere un tono di voce fermo
dopo aver deciso che non si sarebbe comportato da bambino offeso.
Aveva già fatto abbastanza bambinate per oggi.
-Posso
entrare? - . Il suo tono di voce trasmetteva solo vagamente una
strana piccola forma di preoccupazione.
-Non
finché la porta è chiusa a chiave... -
-E
allora aprimela. -
Gerard
rimase in silenzio, aggrappato al colletto della propria maglietta
umida di lacrime. Aggrappato al bisogno di sentire un'altra misera
frase che potesse dimostrargli anche solo parzialmente quanto umano
era in grado di essere Frank Iero.
-Ti
prego, lasciami entrare. -
Lasciò
il colletto della propria maglietta e sospirò via tutto ciò
che aveva emotivamente accumulato finora. Con le mani indolenzite,
girò la chiave nella serratura e aprì la porta con un
colpo del piede.
Frank
lo guardò. Non sembrava nemmeno respirare, figurarsi se il suo
volto trasmetteva un qualche tipo di emozione. Gerard gli avrebbe
ceduto più che volentieri gran parte delle sue, di emozioni.
-Scusa.
- asserì Frank, entrando nel piccolo bagno. Si chiuse la porta
alle spalle, portandosi involontariamente vicino a Gerard.
Il
naso di Gerard, che se ne stava ancora seduto sulla tazza abbassata,
quasi sfiorava la pancia di Frank.
Frank
lo guardava dall'alto, per la prima volta. Nonostante fosse così
basso.
-Mi
dispiace. E' che... credo di avere una maglietta uguale a quella di
Ray- Ray, giusto? Cosa significa “Nirvana”? -
Gerard
si asciugò le ciglia inferiori, ancora zuppe di lacrime, - E'
il nome di una band. Il Nirvana, per i buddisti, è
l'annullamento del dolore. -
-Oh...
- mormorò Frank. Abbassò ulteriormente lo sguardo, fino
a fissarsi i piedi a lato del water perchè di fronte non ci
stavano a causa dello spazio ristretto. Era praticamente a cavalcioni
sulle ginocchia di Gerard.
Gerard
si asciugò di nuovo gli occhi col dorso della mano, ancora
scosso.
-Scusa...
- ripeté Frank. Ma non sembrava affatto dispiaciuto. Non
sembrava nulla, a parte un corpo senza vita.
Gerard,
all'improvviso, si sentì furioso. Lo afferrò per i
polsi, - Cazzo, Frank, smettila di comportarti come se fossi morto!
Non sei morto, sei vivo! Sei autorizzato a provare sentimenti, hai la
facoltà di parlare, di muoverti, dimostrami qualcosa con tutto
ciò che hai a disposizione! Smettila di essere morto! I morti
non si muovono, sei vivo! Sii vivo! -
Frank
socchiuse appena le labbra pallide, colto dalla sorpresa. Sembrò
perdere l'equilibrio, insieme al contatto visivo. Si accasciò
appena contro la porta e poi si sedette sulle ginocchia di Gerard,
posando le mani sulle sue spalle. Ruotò la testa che gli si
era abbassata di colpo fino a posarsi sul petto in uno spettacolo
agghiacciante. I suoi occhi tornarono a puntare il viso di Gerard.
-F-frank?
- farfugliò Gerard, spaventato.
-Dimostrami
che sono umano. - mormorò Frank, gli occhi che di tanto in
tanto si rovesciavano all'indietro.
-Frank,
mi spaventi. -
-Scusa...
- . Improvvisamente, le sue dita mollarono la presa dalle sue spalle
e crollò all'indietro, bloccandosi fra la porta e le ginocchia
di Gerard. Aveva gli occhi socchiusi e la parte scoperta totalmente
bianca.
Gerard
lo afferrò per i fianchi, spalancò la porta e se lo
caricò in spalla. Peso morto. Si chiese se fosse il caso di
chiamare l'ambulanza per soccorrere un morto che stava poco bene. Si
chiese se Frank fosse di nuovo morto.
Corse
per i corridoi, con le lacrime di nuovo agli occhi. Irruppe
nell'infermeria, spaventando le donna seduta dietro la scrivania.
-Tutto
bene? - . Quant'era assurdo, esattamente, chiedere a un ragazzo che
entra nell'infermeria di corsa con un ragazzo in stato di
incoscienza sulle spalle se andasse tutto bene?
Gerard
la ignorò, in quanto questo era stato già sufficiente a
dimostrargli quanto poco ci sapesse fare, ed entrò in una
delle due stanze laterali in cerca di Cindy, che si era presa cura di
Gerard quando, qualche mese prima, era stato trovato da Michael
svenuto sul proprio letto in una pozza di vomito (ancora non si erano
spiegati l'accaduto).
Cindy
stava parlando con una ragazza che si stava premendo un fazzoletto
sporco di sangue contro le narici.
La
ragazza scese improvvisamente dal lettino su cui era seduta per
lasciare spazio a Frank, e Gerard lo mise a sedere a fatica,
continuando a reggerlo per le spalle.
-Cindy,
non so cosa sia successo, stavamo p-parlando e... - farneticò
sbrigativamente.
-Uscite
dalla stanza. - fu l'unica cosa che Cindy disse prima di portarsi di
fronte a Frank per reggerlo lei stessa.
Gerard
e la ragazza obbedirono e se ne andarono in fretta, chiudendosi la
porta alle spalle.
-Tutto
bene? -
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Capitolo 5 *** Capitolo quinto ***
.5.
Solo
uno svenimento. Calo di zuccheri. Erano sei giorni che Frank non
mangiava. Cindy si dichiarò impressionata dal fatto che fosse
rimasto in uno stato di coscienza per così tanto tempo.
-Sei
più umano di quanto tu creda. - gli disse Gerard, un'ora e
mezza dopo, quando Frank finì di mangiare il suo trancio di
pizza.
Frank
scosse appena la testa, riluttante. Bevve lentamente un sorso della
Coca Cola che Gerard gli aveva ordinato. - Senti... io non so come mi
sentivo prima, ma so che mi sento diverso. Non mi sento come te. Mi
sento... fuori posto. Nel torto. Insomma, quanto tu morirai non avrai
una seconda possibilità- -
-Frank,
smettila di dannarti per quello che hai ricevuto. Apprezzalo,
piuttosto. E comunque non sei solo, ci sono altri ragazzi come te
nella nostra scuola. E anch'io mi sento diverso. Tutti, nella nostra
cazzo di scuola, si sentono diversi. Dovrebbe essere sufficiente a
renderci tutti uguali. -
Frank
Iero lo fissava, in silenzio.
-Vieni.
- ordinò Gerard, alzandosi in piedi. Lo afferrò per il
polso e nel trarre Frank a se fino a rimetterlo in piedi le sue dita
scivolarono fra le sue. Fredde. Continuarono a sfiorarsi, slittando
in posizioni opposte dalla base della mano fino ai polpastrelli. E
poi si lasciarono.
Gerard
andò a pagare e uscirono in velocità dalla piccola
pizzeria.
-Dove
stiamo andando? - chiese Frank, seguendolo con difficoltà
mentre Gerard sfrecciava fra i passanti sul marciapiede.
-Nel
dormitorio. Nella mia stanza, per la precisione. -
Fece
sedere Frank sul letto vuoto di Michael.
Raccolse
delle custodie di cd sotto lo sguardo attento e distaccato di Frank,
e con un lieve sospiro ne inserì uno nello stereo. Roteò
attorno al proprio palmo puntato sul pavimento fino a sedersi
lentamente per terra. Si cinse le ginocchia piegate con gli
avambracci, mentre le note di Static Age rotolavano in maniera
bizzarra per la stanza. Osservò Frank.
Frank
osservava un punto del pavimento, ascoltando con gli occhi
leggermente socchiusi per lo sforzo. Le sue labbra si socchiusero in
un sorriso, e arrossì appena. Era la prima volta che Gerard lo
vedeva arrossire.
-La
conosco! - urlò Frank.
Gerard
sorrise e gli porse la custodia del cd.
Frank
la strinse fra le mani tremanti, - Misfits? -
Annuì,
e gli sorrise di nuovo, - Il loro primo album. -
-Credo
di avere una loro maglietta, da qualche parte nell'armadio... -
sussurrò. Improvvisamente lasciò cadere il cd. La
custodia di plastica si crepò. Frank si portò un pugno
di fronte alla bocca, con gli occhi pieni di lacrime. Sollevò
le mani e poi se le infilò fra i capelli, tremando.
Gerard
scattò in piedi e gli posò una mano sulla spalla, senza
nemmeno pensarci. Pensava troppo poco, da quando aveva conosciuto
Frank. Il quale, come c'era da aspettarsi, balzò via non
appena avvertì il contatto di Gerard.
-Oddio,
scusa... - borbottò Gerard, sferzando con le mani l'aria
mentre faceva inutili gesti di scuse.
-No...
- scosse la testa Frank, piangendo, - No... -
-Che
succede? -
-Ho
paura. - disse in un sussurro strozzato.
-Non
aver paura... -
-Gerard,
non so nulla di me. Ho fatto cose che non ricordo. Ho vissuto momenti
che ho totalmente dimenticato. Sono uno sconosciuto per me stesso
quanto lo sono per te. -
-Ti
ho appena dimostrato che hai le capacità di ricordare il tuo
passato, con un po' di sforzo. -
-Ma
mi fa paura farlo. - singhiozzò.
-Posso
abbracciarti? -
Frank
annuì, togliendosi le mani dal viso.
Gerard
si avvicinò, cercando di non essere troppo lento per paura che
Frank cambiasse idea. Gerard voleva abbracciarlo, non lo
faceva solo per dare conforto a Frank. Aveva bisogno di qualcosa di
materiale, era stanco di volere bene a Frank a distanza. E non sapeva
come avesse fatto a legare così tanto con lui senza che
quest'ultimo lo volesse o glielo permettesse davvero. Era la prima
volta in assoluto che Frank assecondava un gesto affettuoso.
E
Gerard non sapeva nemmeno come mai spesso aveva quell'impressione che
avesse aspettato l'arrivo di Frank da quando era nato. Né come
facesse a sentire la sua vicinanza ancora prima che entrasse in una
stanza.
Quindi
colmò la distanza. Con un braccio gli circondò le
spalle e con l'altro il busto. Lo strinse delicatamente a se.
Frank
allargò le braccia e le richiuse attorno alla sua cassa
toracica, posando il mento sulla sua spalla.
Si
strinsero a lungo. Le mani di Frank si spostavano sulla sua schiena,
tastandola e spingendo Gerard più vicino.
Allo
stereo il cd suonava già la sesta traccia. Hybrid Moments.
“Oh,
baby, when you cry your face is momentary...”
Frank
si scostò e portò il viso vicino a quello di Gerard.
Gli guardava le labbra. Si inumidì le proprie con la lingua
prima di socchiuderle. Senza nemmeno guardare Gerard negli occhi le
posò sulle sue.
Lo
baciò. Con dei movimenti lenti della bocca fredda gli
socchiuse le labbra.
La
lingua di Gerard si trascinò spontaneamente sulla sua.
Continuarono a baciarsi, e a Gerard per un istante parve che avessero
raggiunto l'equilibrio termico.
Non
sapeva come si stava sentendo.
Frank
interruppe improvvisamente il contatto fisico, allontanandosi in
fretta.
-Scusa,
mi era... - . Bloccò le mani alzate in aria e smise di
gesticolare, lasciandole cadere lungo i propri fianchi. Portò
gli occhi su Gerard. Non sembrava imbarazzato, sembrava confuso. Era
comunque un'emozione. Gerard non aveva mai dato così tanto
peso alle emozioni, prima di incontrare Frank. - Mi è uscito
spontaneo... come.... mi era familiare... -
-Evidentemente
ti piacciono i ragazzi. -
-Mi
piacevano i ragazzi? - ripeté.
-Ti
piacciono. - lo corresse Gerard, - Sei ancora tu. -
|
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Capitolo 6 *** Capitolo sesto ***
.6.
La
mattina dopo tutti notarono un netto miglioramento per quanto
riguardava Frank. Durante la lezione di chimica, non appena la
professoressa non li guardava, Gerard si prese la libertà di
spiegargli mormorando della situazione di Ray. Gli sembrò
giusto farglielo presente.
A
pranzo si misero d'accordo e decisero che quel pomeriggio, alle tre e
mezza, avrebbero fatto un giro tutti insieme, come facevano a volte i
migliori amici.
Si
sedettero sul prato del parco dietro scuola con dei pacchetti di
patatine, dei biscotti e dei panini.
Frank
li osservava mangiare, senza prendere parte.
Gerard
non voleva insistere con lui riguardo il cibo per paura che perdesse
la pazienza come quel giorno che era svenuto.
Dei
ragazzi a una decina di metri da loro giocavano a calcio,
bisticciando scherzosamente.
Il
cielo era azzurro e la luce del sole li sfiorava appena attraverso le
foglie dell'albero sotto il quale si erano sistemati.
Era
una bella giornata.
-Patatina?
- propose a bassa voce a Frank, mentre gli altri intraprendevano una
discussione su un qualche videogioco.
Frank
spostò lo sguardo su Gerard, con una strana luce negli occhi
verdi. Prese la patatina ed esplose in un sorriso, rilanciandogliela
indietro.
Gerard
rimase a palmi rivolti verso il cielo, spiazzato, fissando la
patatina che gli era atterrata sul ginocchio.
Frank
si morse il labbro inferiore e prese a ridere. Aveva una risata
meravigliosa. Una specie di gorgoglio che da basso diventava sempre
più alto, quasi a trasformarsi in una risata femminile.
Gerard
scoppiò a ridere a sua volta, ed era ben consapevole di avere
una risata buffa ma non gli importò. Gerard, più che
ridere, sembrava urlare vocali.
Frank
rise più forte, divertito dalla singolare risata di Gerard
Way.
Gli
altri si interruppero solo per un istante, piacevolmente sorpresi.
Gerard
gli rilanciò di rimando una manciata di patatine.
L'altro
provò a restituirgliele mirando ai suoi capelli, ma Gerard si
sollevò sulle ginocchia e lo bloccò al suolo tenendolo
per i polsi.
Improvvisamente,
sentì un forte dolore al naso insieme ad una superficie dura
che sapeva di cuoio ed erba. Una pallonata. E delle imprecazioni e
delle scuse.
Si
lasciò cadere a terra, affondando un gomito nel suolo e
l'altro in mezzo alle costole di Frank, le dita portate sotto le
narici già bagnate dal sangue che scorreva denso e caldo.
Rotolò
di lato per scendere da Frank.
-Oddio,
scusa! Ti senti bene? - domandò una voce maschile, affannata.
-E'
rotto? - chiese un altro.
-No.
- borbottò Gerard.
Qualcuno
gli sollevò la testa e gli chiuse entrambe le narici
attraverso un fazzoletto, tenendole schiacciate. Bob.
-Così
si ferma prima. - mormorò, - Siediti, se no lo ingoi. -
Gerard
obbedì e si alzò a sedere dopo essersi accorto di stare
già effettivamente deglutendo sangue. Ora gli veniva da
vomitare. Restò con le mani appoggiate all'erba, lasciando che
Bob continuasse a reggergli il fazzoletto mentre guardava in cagnesco
i due ragazzi che lo avevano accidentalmente colpito con la palla.
-Ti
sei sporcato la maglietta. - notò Michael con una smorfia.
-Mi
dispiace. - continuavano a ripetere i due ragazzi.
Gerard
cercò con lo sguardo Frank, senza riuscire a vederlo. Non si
spinse abbastanza oltre da chiedere dove fosse. Sarebbe stato
inopportuno. Dopo un po' che percorreva con lo sguardo la zona
circostante, riuscì a catturare nel campo visivo Frank, che lo
fissava, impallidito. Bizzarro che un morto si impressionasse per un
po' di sangue, no?
La
sera cenarono fuori senza Frank, che si congedò senza un vero
motivo. Quando Michael e Gerard tornarono nel dormitorio si misero
subito a letto.
Però
Gerard non riusciva ad addormentarsi. Si rigirò sul letto,
ascoltando il silenzio e chiedendosi se Frank stesse dormendo.
Probabilmente la risposta era decisamente no. I suoi istinti e
bisogni umani rimanevano in ogni caso ridotti, per quanto Frank si
fosse potuto impegnare ad essere meno morto. Pensò forse un
po' troppo a lungo a Frank. A come fosse improvvisamente entrato
nella sua vita. A come, in così poco tempo, fosse diventato
più o meno il centro dei suoi pensieri. A come gli
interessasse qualsiasi cosa dicesse, qualsiasi cosa il suo viso
lasciasse trasparire. E si interrogò sulla sua natura. Cercò
di immaginare come fosse stato prima di morire. Come i suoi genitori
dovevano piangere ogni giorno la sua morte, senza sapere che, da
qualche parte, nel loro stesso pianeta, era ancora vivo.
Finì
inevitabilmente fuori dalla propria stanza. Percorse le scale,
cercando di indovinare a quale piano potesse trovarsi la stanza 57,
quella in cui risiedeva Frank.
Finalmente
la trovò. Secondo piano. Bussò alla porta. Nessuna
risposta. Eppure, da sotto la porta si vedeva che la luce nella
stanza era accesa. Per un attimo, si chiese se ricordasse male il
numero della sua stanza. Strinse la maniglia e provò ad
abbassarla piano. Aprì la porta, senza trovare alcun tipo di
resistenza. Sorpreso, si affacciò nella stanza. E gridò.
Credette
di non riuscire mai più a togliersi dalla testa quella
raccapricciante immagine di Frank che lo aveva accolto nella sua
stanza di dormitorio invece dei soliti occhi verdi vagamente
annoiati. Nemmeno ora che lo osservava dormire con un ago nel braccio
e un polso bendato sulle lenzuola bianche del letto dell'infermeria.
E con il petto riempito dal sollievo di sapere che, nel suo essere
morto, era ancora vivo. Pensò che finiva un po' troppo spesso
in infermeria da quando aveva conosciuto Frank.
Non
sarebbe mai riuscito a definire quante ore avesse passato da solo a
osservare il viso addormentato di Frank illuminato dalla luce fredda
della stanza sterile. L'unica cosa che sapeva era che, quando aprì
gli occhi, il suo cuore mancò un battito.
Frank
portò gli occhi su Gerard, con calma. Lo fissò, senza
alcun genere di espressione nel viso pallido.
-Perchè
l'hai fatto? - sussurrò Gerard, rabbrividendo mentre riposava
gli occhi sul suo polso.
-Volevo
vedere se avevo anch'io sangue in corpo. - spiegò.
-Beh,
sì, ce l'hai, e se lo perdi rischi di morire sul serio. Sei
felice, adesso? -
Frank
inarcò un sopracciglio, guardandolo con diffidenza. - Perchè
sei incazzato? -
-Perchè
non voglio che tu muoia. -
-Perchè
non lo vuoi? -
Gerard
lo guardò, mordendosi un labbro senza sapere cosa dirgli. - Tu
vuoi che io muoia? - azzardò infine, rivolgendogli un'occhiata
di sfida.
-No.
- rispose con voce ferma.
-Ecco,
la cosa è reciproca. Non voglio che tu muoia per lo stesso
motivo per cui tu non vuoi che io crepi. -
-Perchè
ti stai innamorando di me? -
Gerard
arrossì, e sentì un'ondata calda percorrergli la
schiena. - Cosa? - balbettò, confuso.
-Io
mi sto innamorando di te. - . Accennò un sorriso, senza
aggiungere altro.
-Cosa?
- farfugliò Gerard, allontanandosi appena spingendo la sedia
indietro con un gran baccano.
Frank
si alzò improvvisamente a sedere, rischiando di staccarsi la
flebo di sangue. - Ti ho spaventato? - chiese.
Il
cuore di Gerard martellava da impazzire, riempiendogli le vene di
calore. Frank pareva ossessionato dalla paura di spaventarlo. Scosse
la testa, respirando a fatica. - E' che... è... è così
umano, da parte tua... innamorarti di me... -
-Sei
stato tu a dirmi che sono più umano di quanto io creda.
Guarda, ho anche del sangue che mi scorre nelle vene. - disse
spostando un braccio per mostrargli la vena che la flebo stava
nutrendo.
-Lo
so, Frank. -
-Ho
anche dormito. -
-Ho
visto. -
Frank
si ridistese lentamente.
Gerard
si accorse che anche il suo petto si alzava e abbassava vistosamente.
-Sono
vivo. - sussurrò Frank, sorridendo mentre gli occhi gli si
inumidivano di lacrime, - Sono vivo. - ripeté.
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Capitolo 7 *** Capitolo settimo ***
.7.
Frank
era dallo psicologo a parlare per quello che aveva fatto.
Gerard
e gli altri si trattenevano sul tavolo della colazione, riluttanti ad
andare a lezione. Continuando a versarsi caffé per
posticiparla il più possibile.
-Okay,
dai, vado a pagare. - sospirò infine Michael, alzandosi con
una smorfia dal tavolo.
Bob
alzò gli occhi dal suo saggio breve e sospirò.
Ray
aveva quel suo strano sorriso, e i suoi occhi erano fissi su Gerard
senza motivo. La faceva spesso, quella cosa di fissare qualcuno senza
dire nulla.
-Non
sto scherzando, smettila con le pastiglie. - disse all'improvviso
Gerard, spazientito.
Bob
risollevò lo sguardo dai fogli, spalancando appena gli occhi.
Michael,
in lontananza, pagava la loro colazione senza aver la possibilità
di difendere l'amico.
-Credi
che mi diverta prenderle? - chiese Ray, irrigidendo l'espressione
vuota che aleggiava sul suo viso stanco.
-No,
non ti fa alcun effetto. Non provi più niente. -
-Se
ti può confortare, in questo momento mi sento infastidito. -
Gerard
soffiò aria fuori dal naso, cercando di non arrabbiarsi.
Strinse i denti. - Sono solo spettri di tuttò ciò che
potresti provare. -
-Gerard,
non conosci i motivi per cui lo faccio. -
-Nemmeno
tu. -
Ray
rise sarcasticamente. - Oh, no, credimi, li conosco molto bene. -
-E
perchè non ce li dici? Siamo amici. -
-Mikey
lo sa. - si limitò a dire, stringendo a pugno una mano posata
sul tavolo.
-E
io e Bob? Non contiamo nulla? -
A
quel punto Bob intervenne. Posò una mano sull'avambraccio di
Gerard, allarmato. - Gerard, non fare leva su questo... -
-Non-
- cercò di ribattere Gerard.
-E'
scorretto. - aggiunse Bob.
Gerard
richiuse la bocca. - Io- io so solo che ho perso un amico per colpa
di quelle merda di pastiglie. E sono stanco di continuare a fingere
di volerti bene come prima. Non sei più quello di prima. Come
posso volerti bene? -
Ray
strinse le labbra.
Gerard
guardò combattuto i suoi occhi, che si stavano colmando di
lacrime.
-Gli
amici non ci dovrebbero essere nel momento del bisogno? - chiese con
voce tremante il riccioluto.
-Non
è un momento, è un'intera vita. Non sono diventato tuo
amico a queste condizioni. Mi ero affezionato al vecchio Ray, non a
questo- quello che sei diventato perchè sei troppo codardo per
accettare la tua natura. -
-Condizioni?
- ripeté, - Da quando per diventare amici si firma un cazzo di
contratto? - tuonò.
Gerard
notò qualcosa, nella sua voce. Qualcosa che proveniva dal
fondo della sua gola. Uno strano brontolio come se... ringhiasse.
Terrorizzato, fissò a occhi spalancati le labbra di Ray
distendersi fino a scoprirgli i denti.
Bob
scattò in piedi, afferrando Gerard per la spalla per
allontanarlo.
Michael
era corso da loro e stava cercando di trattenere Ray fermo sulla
sedia, mentre nella mensa accorrevano le guardie.
Lo
portarono via.
Gerard
era sconvolto. Stordito di fronte all'assurdità di quella
scena. Quella rapida sequenza di cose. L'aveva da sempre saputo,
leggendo fra le righe come tutti in quella scuola facevano. Nessuno
di loro dichiarava mai apertamente la loro natura, soprattutto perchè
spesso gli esseri umani avevano affibbiato loro nomi fin troppo
imbarazzanti. Lupo mannaro, licantropo... lo sapeva. Ciò che
lo preoccupava era il fatto che Ray non riuscisse a controllarsi
nemmeno sotto trattamento. Credeva fosse perfettamente in grado di
trattenersi.
-Gerard
Way. -
Si
voltò, ancora allibito. E guardò senza capire la donna
che aveva visto un paio di volte alla segreteria. - Il signor Terrace
la vuole in ufficio. -
-Cosa?
- . Lo psicologo? Ma se era quello più normale dell'intera
scuola!
-Mi
segua. -
Gerard,
il fiato ancora corto, si voltò a guardare con aria smarrita
Bob e il fratello.
-Andiamo.
- insistette la donna.
Senza
veri motivi per cui non farlo, decise di seguirla senza opporre
resistenza. Non voleva essere trascinato a forza da un'altra decina
di quegli uomini alti e muscolosi, come avevano fatto con Ray.
Percorsero a passo sostenuto i corridoi in fase di svuotamento, e
Gerard riuscì a confortarsi vagamente nel pensare che almeno
avrebbe perso un po' di lezione.
Sperò
di trovare Frank nell'ufficio di Terrace, ma quando entrò
trovò entrambe le sedie di fronte alla scrivania vuote.
E
la tozza figura del signor Terrace appoggiata al tavolo.
-Grazie,
Melanie. - ringraziò educatamente la signora, con uno dei suoi
vecchi sorrisi pacati.
La
donna uscì dall'ufficio, chiudendosi la porta alle spalle.
-Buongiorno,
Gerard. -
-Dov'è
Frank? - chiese, guardandosi intorno come se fosse potuto sbucare
dalla carta da parati.
-Non
c'è. E' appunto di lui che ti vorrei parlare... -
-Cosa?
- domandò, alzando involontariamente la voce.
Il
signor Terrace abbassò per un attimo le palpebre prima di
riprendere a guardare Gerard da sotto le folte e spettinate
sopracciglia brizzolate. - Siediti. -
Soffocò
l'infantile istinto di non farlo e obbedì. Non gli era mai
andato a genio il signor Terrace. Aveva l'impressione che fosse una
di quelle persone sopravvalutate e forzatamente bonarie. Anche se,
c'era da ammetterlo, Gerard Way tendeva a odiare qualsiasi cosa o
persona gli altri amassero.
-Io
e Frank abbiamo parlato a lungo di come si trova qui, e di come si
sente. Mi ha nominato spesso il tuo nome. Mi sono fatto raccontare un
po' delle cose che fate insieme... -
Gerard
arrossì violentemente, chiedendosi a cosa si riferisse,
esattamente. Indugiando sul genere di cose che avrebbe potuto fare
con Frank. Riempiendosi la testa di immagini che non avrebbe mai
voluto avere con il signor Terrace di fronte. Soffocò
freneticamente i propri pensieri.
-Credo
che tu non debba prenderti la libertà di esplorare il suo
passato umano. Il fatto di non ricordarsi della sua vita precedente
fa parte del suo Dono, e non sei tenuto a scavare nei suoi pensieri.
E' contro la sua natura, la sua nuova natura. -
Gerard
corrugò la fronte. Era possibile arrabbiarsi così
spesso nella stessa mattinata? - Ma non sapere nulla di com'era prima
lo fa stare male. -
-
Sono condizioni che vanno accettate, non respinte. E' abusivo. A
lungo andare, col formarsi della sua nuova vita associato allo
spirito della vecchia che state cercando di resuscitare, potresti
causargli disturbi dissociativi dell'identità. -
-E'
un suo diritto sapere cos'è successo prima. Come potrebbe
costruirsi un futuro senza un passato su cui basarsi? -
-
Il suo passato è iniziato una settimana fa quando è
arrivato in questa scuola. Non è tenuto a sapere nient'altro
di ciò che è successo prima di quello. - ribatté
con calma l'uomo, - E non costringerlo più a provare emozioni.
Non fa parte di ciò che è ora. -
-Costringerlo?-
ripeté Gerard, ridendo con tagliente sarcasmo, - Si rende
conto di ciò che sta dicendo? Che razza di psicologo è?
E' vivo, e ha il diritto di vivere. Vivere significa provare cose.
Non glielo può impedire solo perchè una volta è
morto. Che senso avrebbe, altrimenti, avere una seconda possibilità
di vivere e farlo basandosi solo sugli aspetti biologici, che fra
l'altro nel caso di Frank sono davvero ridotti? La vita non è
fatta solo di organi funzionanti, singor Terrace. E se crede che sia
così, allora deve avere davvero molto fegato per definirlo
“Dono”. E' una condanna, piuttosto. E ora, se mi
permette... - disse, posando le mani sui braccioli della sedia per
alzarsi.
-Non
ho ancora finito. Se ripeterai gli stessi errori con Frank sarò
costretto ad allontanarvi. -
Gerard
scoppiò di nuovo a ridere. Si alzò in piedi. - Senta,
oggi non è davvero giornata. Prima uno dei miei migliori amici
mi ha quasi azzannato e non ho davvero intenzione di prestare ascolto
alle sue stronzate philofobiche. Le auguro una discreta giornata. - .
Uscì dall'ufficio e si sbatté la porta alle spalle,
furioso.
Bussò
alla porta ed entrò nell'aula, fremendo ancora.
-Buongiorno.
- lo salutò il professor Zane.
-Buongiorno.
Scusi il ritardo. - sbottò, andando a sedersi accanto a Frank.
Frank
sorrise e lo salutò a bassa voce, riportando mansuetamente gli
occhi sul libro.
Il
professor Zane riprese a parlare di Cervantes, come sempre beatamente
ignorato dalla maggior parte degli alunni seduti.
-Che
ti ha detto Terrace? - sussurrò concitatamente Gerard,
ricatturando i suoi occhi.
Frank
lo guardò, vagamente preoccupato dall'agitazione dell'amico.
-Mi ha parlato insieme a un medico. Mi hanno spiegato che ho meno
sangue in corpo rispetto alle altre persone e che ho rischiato di
morire. -
-Che
altro ti hanno detto? -
-Che
è normale sentirsi confusi e fuori posto ma che dovrei parlare
con uno di loro invece di sezionarmi. Perchè tutte queste
domande? -
-Mi
hanno convocato. Cioè, il signor Terrace ha voluto parlarmi.
Quel pezzo di merda. -
Frank
sbiancò, spalancando gli occhi verdi. Che un tempo sembravano
color fango ma che ora erano limpidi e luminosi. - Perchè? -
-Non
gli sono piaciute le cose che gli hai raccontato su di noi. Che gli
hai detto, di preciso? -
-Oh
merda, scusa... - farfugliò, sollevando irrequieto le mani.
-Non
sono arrabbiato. Dimmi che gli hai detto. - insistette,
avvicinandosi.
-Gli
ho detto della cosa- che abbiamo ascoltato insieme musica e mi hai
fatto ricordare di che gruppo si trattava, che mi hai spiegato che ho
ancora la capacità di provare sentimenti come tutti gli altri.
-
-Terrace
è contrario a questo genere di cose. Essenzialmente, dice che
sei morto e che devi sentirti tale. -
Frank
socchiuse le labbra, quasi disgustato.
-Senti,
noi continueremo a fare quel cazzo che vogliamo. Però non devi
farne parola con nessuno. E probabilmente è meglio se in
pubblico mantieni un atteggiamento piuttosto distaccato dal
sottoscritto. Okay? -
Il
ragazzo annuì, spaventato.
Gerard
gli afferrò una mano fredda. - Non preoccuparti. -
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