Scommettiamo?

di Yumeha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap 1: Sopravvivere al matrimonio e scampare una visita all’ospedale: missione compiuta! ***
Capitolo 3: *** Cap 2: Quando il tuo posseduto fratello decide di mettere le zampe su una macchina, per portare il resto della tua assurda famiglia al supermercato, capisci di essere in pericolo di vita. ***
Capitolo 4: *** Cap 3: Lezione di sopravvivenza: l’oscurità pullula di creature pericolose, mai avventurarsi da soli ***
Capitolo 5: *** Cap 4: Incontri in posti non proprio adatti, scuola e proteste fin troppo esplicite. ***
Capitolo 6: *** Cap 5: Nuovi compagni a scuola, vecchie conoscenze indesiderate, ragni pericolosi e dolci attenzioni. ***
Capitolo 7: *** Cap 6: Se giochi con i miei sentimenti è chiaro che prima o poi te la faccio pagare. Più prima che poi. ***
Capitolo 8: *** Cap 7: Alla fine anche tu ti sei guadagnato un posto nel mio cuore. ***
Capitolo 9: *** Cap 8: Zucchero, zucchero, zucchero! Attenzione allo zucchero! Ehi, e quello cos’è? Un unicorno! ***
Capitolo 10: *** Cap 9: Quando la tua esperienza in campeggio si trasforma in un film horror, non puoi che sperare in una buona dose di fortuna per sopravvivere, se non a Wendy, quantomeno ai lupi. (parte 1) ***
Capitolo 11: *** Cap 10: Quando la tua esperienza in campeggio si trasforma in un film horror, non puoi che sperare in una buona dose di fortuna per sopravvivere, se non a Wendy, quantomeno ai lupi. (parte 2) ***
Capitolo 12: *** Cap 11: Forti emozioni, scrigni profanati e scommesse pericolose ***



Capitolo 1
*** ~ Prologo ***



Prologo

 
Sul fatto che prima o poi i miei genitori si sarebbero separati, ormai era chiaro a tutti. E sinceramente non potevo che esserne felice. Non ne potevo più di sentire mamma e papà litigare in piena notte, schivare oggetti contundenti che volavano già di prima mattina, e poi passare all’ignorarsi per tutta la giornata. Insomma, ne andava della mia sanità mentale.
Di conseguenza era palese che prima o poi si sarebbero lasciati, lo immaginavo. Ma non potevo di certo predire che mamma lasciasse definitivamente il cognome Heartphilia e che si risposasse. Anche se questo avrei dovuto perlomeno sospettarlo, dopotutto Layla sembrava la personificazione della perfezione. Ma la mia fervida immaginazione di scrittrice non poteva arrivare a tanto: mamma non poteva sposarsi con un Dragneel!
Se prima mi sembrava di vivere in una clinica psichiatrica, la mia nuova famiglia decisamente troppo allargata, era praticamente un manicomio…
 
 
***
 
 
Mancavano pochi giorni all’inizio del mio penultimo anno scolastico, e per quanto piacere potesse farmi l’idea di rivedere le mie amiche, tutto il mio volere urlava a gran voce che preferiva nettamente la vacanze.
Però, visto che le mie vacanze dovevo passarle con mamma e papà, l’idea di tornare a scuola non sembrava più così malvagia.
Mi starete dando sicuramente della pazza, ma passare anche solo una mezza giornata in casa mia, era già anche troppo.
Layla e Jude Heartphilia non facevano altro che litigare, fregandosene bellamente del fatto che magari qualche volta rischiavano di distruggere parte del mobilio e magari – dico magari, eh – disturbavano la quiete pubblica. Non so quante denunce ci siano arrivate, ma nonostante questo la situazione non è minimamente cambiata.
Il fattore rischio, quando passavi vicino a loro nel pieno di una lite, era altissimo. Per una serie di motivi: papà era il Capo della Polizia di Magnolia, mentre mamma era una Spia di una delle agenzie di spionaggio più importanti e pericolose di Fiore. Lascio a voi immaginare la quantità di armi che c’era in casa, quindi.
Quando sentii il terzo ‘Non ti sopporto più!’, mi rigirai sul letto prendendo il cuscino e facendo in modo che mi tappasse le orecchie.
Grugnii, ero stanca di quella situazione.
Volevano lasciarsi? Diamine, perché non l’avevano ancora fatto?!
Un bussare insistente mi fece spostare il cuscino morbido dal viso e voltarmi verso la porta della stanza. «Avanti.» borbottai.
Da dietro la porta sgusciò un ragazzo di un anno più grande di me, capelli di un biondo un po’ più chiaro del mio e furbi occhi color cielo terso. Il mio adorato fratello maggiore mi guardò con un’espressione esasperata, scuotendo la testa e avvicinandosi al mio letto a baldacchino.
«Fammi spazio.» bofonchiò lui.
Mi spostai e lo guardai sdraiarsi vicino a me, prendendomi per la vita e abbracciandomi forte. Adoravo stare tra le sue braccia, erano il mio porto sicuro e l’unico posto dove mi sentissi davvero a casa e protetta.
«Non ne posso veramente più.» sospirai.
Mio fratello sbuffò, sentii il suo respiro caldo infrangersi sulla pelle della mia spalla. Prima di rispondere si sistemò meglio, in modo che riuscisse ad abbracciarmi con più facilità. Appoggiò il mento sulla mia testa e lo sentii schioccare la lingua. «A chi lo dici.»
Mi accoccolai vicino al suo petto e socchiusi gli occhi. «Beato te che questo è il tuo ultimo anno, poi sei libero.»
Lo sentii ridacchiare. «Scommettiamo che prima dell’inizio della scuola mamma e papà si lasciano?»
Sorrisi. «Andata.» Adoravo scommettere con mio fratello, anche perché la maggior parte delle volte vincevo sempre io. Però, anche se non ero del tutto sicura che i nostri genitori decidessero di lasciarsi sul serio da un momento all’altro, qualcosa mi diceva che la scommessa questa volta l’avrebbe vinta lui. «Sting?» lo chiamai.
«Sì?» rispose con voce bassa, probabilmente si stava per addormentare, dato che nessuno dei due riusciva a chiudere occhio durante la notte per colpa di quei due.
Arricciai il naso. «Puzzi.»
Il biondo sghignazzò. «Scusa, ho appena finito l’allenamento di Boxe.»
Lo allontanai da me, facendolo capitolare dal letto. Sting emise un gemito quando atterrò per terra di sedere. «Vatti a fare una doccia.» ordinai, sorridendo divertita.
«Agli ordini, sorellina.» scherzò lui, uscendo da camera mia, senza prima però avermi fatto una linguaccia che esprimeva tutta la sua maturità.
Ridacchiai. L’unica cosa di cui ero veramente preoccupata, era che con il divorzio, avrei dovuto allontanarmi dal mio adorato fratello.
Sbuffai, lasciandomi cadere con un tonfo sul materasso, e chiusi gli occhi. Solo in quel momento mi resi conto di tutta la stanchezza che avevo, tanto che non passarono nemmeno un paio di minuti, che già mi ero addormentata.
 
Venni svegliata da un rumore, probabilmente causato dai miei genitori. Sibilai un commento non troppo lusinghiero e con stizza mi alzai dal baldacchino, camminando a passo di marcia verso la fonte di tutto quel trambusto. Avevo solo il pomeriggio per schiacciare un pisolino, non potevano privarmi anche di quell’unico momento di pace!
Scesi le scale il più rumorosamente possibile, in modo da annunciare a tutti il mio arrivo, e del fatto che fossi incazzata nera. Quando scesi però e vidi mia madre con le valige davanti alla porta di casa, con gli occhi umidi, mi bloccai. Mio padre la guardava con occhi sbarrati, i pugni serrati, mentre il resto del pubblico consisteva nei domestici e in mio fratello che spiava la scena dal secondo piano, nascondendosi dietro la balaustra che faceva da balconetto all’entrata. Decisi che non fosse il caso né il momento di andare a fargli notare che la sua figura si vedeva lo stesso. Rimasi in ascolto, ma quello che sentii non mi piacque per niente.
«Jude, non funziona più tra noi.» sussurrò mamma, con voce rotta. «Poi io mi sono fatta una nuova vita in questi mesi, ho un compagno ora.» aggiunse.
Se fossimo stati in un cartone animato, stile Tom&Jerry per esempio, a quest’ora mi sarei ritrovata con la mascella a terra. Sperai di aver capito male: mamma aveva sul serio tradito papà? La perfetta Layla aveva commesso una cosa simile? Be’, in fondo non gliene facevo una colpa, probabilmente avrei reagito allo stesso modo se il rapporto con mio marito avesse preso una simile piega.
Papà però non sembrava della mia stessa opinione; vidi le sue guance colorarsi di rosso, ma non per l’imbarazzo… per la rabbia. O forse più corretto dire ira. Ma nonostante questo, e le sue labbra che disegnavano una perfetta O di stupore, dalla sua bocca non uscì alcun suono. Mamma abbassò il capo, mentre una lacrima silenziosa le rigava la pelle morbida, prese le valige e aprì la porta di casa. Papà non la fermò. Prima che uscisse per sempre dalla grande villa Heartphilia, mamma guardò per l’ultima volta quello che di lì a poco avrebbe catalogato come suo ex marito e sussurrò. «A titolo informativo: il mio nuovo compagno è Igneel Dragneel.»
Sentii il mondo crollarmi addosso.
“Mavis, dimmi che ho le allucinazioni uditive e tutto quello che ho sentito è stata solo una fantasia prodotta dal mio unico neurone superstite.”
Se mamma si fosse sposata con Igneel Dragneel, di conseguenza suo figlio – ovvero Natsu Dragneel – sarebbe diventato il mio… fratellastro?
“Questa è la volta buona che mi butto dal terzo piano della villa!”
Scesi gli ultimi gradini come una furia, assicurandomi di sbattere bene i piedi, palesando così la mia presenza. «Io non ho la minima intenzione di imparentarmi con Natsu Dragneel!» sbottai, puntando il mio dito indice contro la figura di mia madre.
Peccato che, anche se mettendo al corrente tutti del mio pensiero, a nessuno fregò qualcosa.
E insieme a questo, e al fatto che avrei avuto un nuovo fratello che mi stava ampiamente sulle scatole, un’altra cosa scatenò il mio fastidio: avevo perso la scommessa con Sting.
 
Difatti, come volevasi dimostrare, il giorno dopo mamma mi informò che ero stata da lei scelta come damigella per il matrimonio che si sarebbe celebrato pochi giorni prima l’inizio dell’anno scolastico.
E diamo così inizio alle danze…
 









Yumeha’s Corner
Questa storia la dedico a Mey-chan, che mi aveva cortesemente chiesto di scrivere una AU. Mi ha riempito di bellissimi complimenti, e con tutte le autrici che c’erano era venuta a chiederlo a me perché le piaceva il mio modo di scrivere. La cosa mi ha fatto davvero piacere, mi ha anche commosso. T.T
Quindi questa storia è tutta per te, cara. Spero ti piaccia.
 
Spero piaccia anche a voi lettori che siete entrati per dare un’occhiata. Come avete capito questa non è la solita AU dove Lucy è orfana di madre, il padre è cattivo con lei, è quella nuova nella scuola e Natsu è quello che l’aiuta ad orientarsi. Assolutamente no. Qui la mamma è viva e vegeta, il padre le vuole bene, non è per niente nuova, anzi ha frequentato la scuola dall’inizio e lei non sopporta Natsu. Anzi, sta per diventare la sua nuova sorellastra. Diciamo che una cosa del genere può essere presa come novità, dai.
Fatemi sapere cosa ne pensate. *u* Le recensioni sono sempre bene accette! Sapete che giovano alla salute dell’autore? (?) Ahahaha xD
Un bacione.

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Capitolo 2
*** Cap 1: Sopravvivere al matrimonio e scampare una visita all’ospedale: missione compiuta! ***



Sopravvivere al matrimonio e scampare una visita all’ospedale: missione compiuta!


 

Il giorno del matrimonio era arrivato, ed io ero costretta a festeggiare l’unione di mamma con un altro uomo. Ad essere sincera, se fosse stato un uomo diverso da Dragneel, forse – forse, signori – l’avrei presa in modo diverso. Purtroppo però, non mi era andata giù.
E visto che io non sono nota per essere un angioletto, il mio nuovo patrigno mi sa che avrebbe dovuto farsi crescere un occhio anche dietro la testa, perché io se fossi in lui, non dormirei nella stessa casa di una diciassettenne che rivuole indietro la sua famiglia.

 
***
 

Per il momento mio fratello ed io vivevamo ancora nella nostra villa, ma avremmo dovuto traslocare subito dopo il matrimonio di mamma. Fortunatamente entrambi fummo affidati alle cure di nostra madre, ed eravamo insieme. Non che mi dispiacesse la compagnia di papà, ben inteso. Gli volevo un bene dell’anima, ma chiaramente a me serviva una presenza femminile per ovvi motivi.
Grazie a Dio, anche la famiglia McGarden fu invitata al matrimonio, per cui avrei potuto avere qualcuno che al momento del bacio, dove tutti scoppiavano in fragorosi applausi, mi asciugasse le lacrime di disperazione.
Mio fratello invece sembrava averla presa peggio di me: si era chiuso in camera sua e non era più uscito. La cosa diventava a dir poco preoccupante con Sting, se cominciava a rifiutare il cibo e una partita all’Xbox.
Ma io, essendo una brava sorella minore, andai in cucina e gli preparai un panino, mettendogli dentro un po’ tutto quello che trovai. Non ero particolarmente brava in cucina, ma un panino dovevo essere in grado di farlo, dai. Presi il piattino, salii le scale e raggiunsi la porta della stanza di mio fratello.
«Sting?» bussai. Dalla porta si sentì un grugnito che mi ricordava molto un cavernicolo. «Andiamo, non fare il cavernicolo.»
«Io non sono un cavernicolo!» grugnì il cavernicolo.
Sbuffai. «Se apri ti do il timballo.» Non è vero che avevo il timballo, avevo un panino, ma tanto lui non lo sapeva. Era il suo cibo preferito. Anche perché se avessi davvero avuto un timballo nel piatto, non credevo che fosse riuscito nemmeno a salire le scale.
Sentii un tonfo sordo, cosa che mi fece supporre che fosse caduto dal letto. Mi affrettai a nascondere il piattino dietro lo schiena, facendo appena in tempo quando la porta si aprì di scatto. Sting allargò le narici e cominciò ad annusare l’aria, come se riuscisse davvero a capire in quel modo cosa avessi dietro la schiena.
“Poi lui non è rimasto all’età della pietra, noooo.”
Inarcai un sopracciglio. «Mi fai entrare?»
Il biondo mi guardò sospettoso. «Timballo?»
No ok, dopo quella risposta non mi sarei stupita se tutto d’un tratto avesse preso a parlare “Tu panino, no timballo” come ogni cavernicolo che si rispetti.
«Sting, sposta quella chiappe e fammi entrare!» sbuffai esasperata.
Mio fratello non sembrò molto convinto, ma non fece resistenza e mi lasciò passare. Cercai di ignorare il casino che c’era all’interno, ma risultò un po’ difficile quando dovetti farmi strada tra vestiti sporchi e resti di cibo in decomposizione.
“Benvenuta nella grotta del cavernicolo, Lucy.”
«Dov’è il mio timballo?» ripeté.
Mi voltai verso di lui, spostando lo sguardo da un cumolo di magliette appallottolate accanto al letto. «Ma cos’è questo, un bunker?» feci una smorfia.
Sting mise il broncio. «Dovevo pur sopravvivere.»
Decisi che non era il caso di indagare oltre e gli porsi il piatto col panino. Lui lo guardo schifato. «Cos’è?» chiese arricciando il naso e facendo un paio di passi indietro.
Roteai gli occhi. «È un panino, poi non si disprezza il cibo.»
«A me sembra un rifiuto tossico.» rispose lui.
«È un normalissimo panino!» sbottai.
«E da quando nei panini si mettono i carciofi?» fece lui esaminandolo, sempre mantenendo una certa distanza.
«Uhm… in America lo fanno.» sussurrai, non del tutto convinta.
D’altronde gli americani erano conosciuti per essere un disastro in un cucina. Insomma, la pizza con l’ananas la potevi trovare solo lì. E se c’era quell’abominio vuoi che non ci sia un panino coi carciofi e… qualcos’altro di non identificato? Appoggiai il panino sulla scrivania di mio fratello, appuntandomi mentalmente che magari era il caso che mi facessi insegnare da qualcuno le cose basilari, poi tornai a dedicargli la mia più completa attenzione. Potei notare alcune sue occhiaie violacee sotto quegli occhi espressivi che sembravano dipinti, e mi dispiacque tanto. Mi avvicinai a lui e lo abbracciai, Sting ricambiò subito la mia stretta. Entrambi non proferimmo parola per un po’, finché il biondino qui presente non ebbe la grande idea di uscirsene con una delle sue, rovinando la bella atmosfera che si era creata.
«Credi che la nostra cuoca venga ad abitare con noi? Non potrei vivere senza il suo timballo.»
Sbuffai, staccandomi da lui e ignorando la sua occhiata perplessa. Grosso errore nominare il nome del timballo in sua presenza.
«Levy sarà qui a momenti, datti una sistemata.» sentenziai.
«Verrà anche lei al matrimonio?» chiese, stiracchiandosi.
«Sì, abbiamo pensato di prepararci insieme.» spiegai.
Ammettiamolo, sarò un disastro in un sacco di cose, ma almeno per quanto riguardava la scelta del vestiario e acconciare i capelli… be’, in quello ero davvero brava.
Appena nominai il nome della mia migliore amica, come evocata, il campanello suonò. Scesi le scale velocemente, precedendo uno dei miei domestici che stava per andare ad aprire, e spalancai la porta. Appena vidi Levy, le mie labbra si distesero in un gran sorriso.
«Ciao Levy-chan!» trillai.
«Lu-chan! Come sei abbronzata! » notò la turchina.
«Effettivamente quest’anno ci ho lavorato un po’ più su.»
Mentre salivamo in camera mia, cominciai a raccontarle le mie vacanze, senza tralasciare alcun tipo di particolare. Ovviamente immaginavo stesse mostrando tutto questo entusiasmo per non farmi pesare la questione del divorzio. Lo apprezzai, ma la questione per me non era critica come per Sting.
Arrivate nella mia stanza, mi avvicinai a una porticina, dove dietro c’era la cabina armadio di cui andavo molto fiera e iniziai a cercare l’abito da damigella che avrei dovuto indossare. Quando trovai la busta dove era contenuto, per proteggerlo, lo mostrai alla mia amica.
Levy rimase a bocca aperta. «Favoloso.» commentò.
Era un vestito color rosa antico, senza spalline, esattamente sotto al seno aveva un nastro grigio perla legato dietro in un delizioso fiocco,dove al di sotto si disperdeva in una cascata di delicate tulle fino a poco più sopra il ginocchio.
Piaceva molto anche a me, ma per una questione di orgoglio a mamma non l’avrei mai detto. Doveva continuare a pensare che di tutto quello che stava accadendo, ero contraria. Che poi era realmente così, ma a me piaceva complicarmi le cose, quindi rientrava tutto nella norma.
La turchina aveva portato con sé un abitino lilla, monospalla, dove in vita era legato da una cinturina sottile e brillantinata. Le stava benissimo.
Passammo poi ai capelli, io decisi di renderli un po’ più ribelli facendoli ricci. Mentre la mia migliore amica optò per uno chignon alto, da cui sfuggivano alcune ciocche che le incorniciavano il viso alla perfezione.
 
Una volta pronte guardai la turchina muoversi sulle sue decolleté con grazia ed eleganza, strabuzzando gli occhi. Io invece dovevo tenermi alla parete per non finire distesa a pelle di leone. Andai ad avvisare mio fratello, scoprendo con sorpresa che fosse già pronto, ma aveva in viso un’espressione scandalizzata. Evidentemente doveva essere stato un brutto colpo per lui indossare uno smoking nero ed elegante.
Scendemmo le scale, Levy e Sting illesi, io già con entrambe le caviglie slogate. Non avevo nemmeno lasciato casa mia che già rimpiangevo le mie pantofole. Quando spalancai la porta per poter uscire, davanti a noi si presentò quella che doveva essere un’Hammer nera. La squadrai scettica, notando l’espressione contrariata della mia amica.
«Oh be’, conoscendo il signor Dragneel mi aspettavo un camioncino dei gelati, ma meglio così.» fece spallucce Levy.
Inarcai un sopracciglio ma non aprii bocca, non volevo sprecare le mie battute sarcastiche per una macchina. Mi sarei divertita una volta arrivata a casa Dragneel.
 
La macchina ci impiegò solo dieci miseri minuti per arrivare in chiesa, e quando la cerimonia ebbe inizio io mi sentii decisamente triste. Mentre aspettavo che mamma arrivasse, per tenerle lo strascico dell’abito quando sarebbe poi entrata, riconobbi la figura di un ragazzo dai capelli rosa. Si soffermò davanti a me, dedicandomi un sorriso divertito che avrei volentieri rimosso con un bel pugno assestato.
«Ciao sorellina.» ghignò Natsu.
Strinsi i pugni, ma cercai di non saltargli addosso. «Fottiti.» sibilai. Avevo detto che non lo avrei ucciso – per ora – non che gli avrei risposto male, intendiamoci. Poi c’era da immaginarlo, data la mia finezza da boscaiolo.
Il rosato ridacchiò, cosa che mi fece alterare ancora di più, ma fece la scelta più giusta: si allontanò da me, prendendo posto all’interno.
«Lucy, quante volte devo ripeterti che non voglio sentirti dire le parolacce?» fece la voce di mia madre.
Mi voltai di scatto, osservando il suo sguardo severo, mentre teneva le mani suoi fianchi.
Era bellissima.
Mi rivolse un sorriso smagliante subito dopo, avvicinandosi per darmi un bacio sulla guancia. «Stai benissimo così.» disse mia madre.
La guardai come se davanti a me fosse appena apparso un angelo. Cosa che era praticamente vera, dato che mamma in veste di sposa era semplicemente splendida. «Gra- Wow.» sussurrai io, perdendo le mie facoltà mentali.
Mamma ridacchiò. «Grazie, tesoro.»
Mi avevano sempre detto che io e lei eravamo delle gocce d’acqua, ma la creatura eterea che si trovava davanti a me non poteva essere mia madre, andiamo. Avrei venduto l’anima al Diavolo per essere come mamma, ma evidentemente le cose durante il parto avevano preso una piega differente, dato il mio carattere…
“… e molte altre cose che non sto ad elencare.”
Quando il matrimonio iniziò e io alzai il suo strascico candido e delicato, sentii gli occhi inumidirsi, ma non avrei permesso a nessuna lacrima di sfuggire al mio autocontrollo.
Non davanti a tutti perlomeno.
 
Quando tutta quella tortura finì e io potei tornare a casa – cioè, casa Dragneel –, aspettai davanti all’entrata insieme a mio fratello che ormai da ore continuava a piangere. Sospirai, mettendogli un braccio intorno alle spalle, cercando di confrontarlo un po’. Nel frattempo arrivarono Natsu e una ragazzina dai lunghi capelli blu, con grandi occhi color nocciola. Sembrava una bambolina nel suo vestito con la gonna a palloncino color verde menta.
La blu appena vide me e mio fratello ci regalò un gran sorriso, il quale fui quasi costretta a ricambiare, era troppo carina.
«Voi dovete essere Sting e Lucy, non è vero? Io sono Wendy, la sorella minore di Natsu, piacere!» trillò lei.
Il cavernicolo grugnì qualcosa molto simile a un “Ma dove sono finito?! E dov’è il mio timballo?!”
Lo ignorai, mentre alla mia nuova sorellastra rivolsi un sorriso cortese. «Piacere mio Wendy.»
La blu mi sorrise di nuovo, ma si incupì quando si voltò verso mio fratello. «Ho fatto qualcosa di male?»
«No tranquilla, ha solo bisogno di un buon esorcista.»
La ragazzina non seppe se annuire o fare due passi indietro, così rimase immobile sull’entrata aggrottando le sopracciglia. Probabilmente in attesa di qualche idea che la illuminasse.
Natsu sbuffò spazientito, facendosi largo tra di noi e prendendo, della tasca dei pantaloni del suo completo, il mazzo di chiavi. Aprì la porta ed entrò, borbottando qualcosa che non riuscii a capire, mentre Wendy mi fissava ancora sorridendo.
“Ok, ormai mi sono abituata alla pazzia di mio fratello, ma vivere in una casa dove ci sarebbe stato lui, uno che parla da solo e infine una a cui le è venuta una paralisi facciale era troppo anche per i miei poveri nervi.”
Mi allontanai a passo veloce, mentre la blu continuava a guardarmi dalla soglia di casa con quel suo sorriso inquietante. Ma non le facevano male i muscoli della faccia? Non mi accorsi che nel proseguire voltata, andai a sbattere contro qualcosa. Mi girai, ma me pentii nello stesso istante in cui lo feci: davanti a me a pochi centimetri dal mio viso c’era Natsu. Puntai lo sguardo nel suo e notai solo in quel momento, che nelle sue iridi color ossidiana c’erano delle pagliuzze smeraldine. Quando il mio cervello però registrò quello che era appena accaduto, arrossii fino alla punta delle orecchie, allontanandomi di diversi passi da lui.
Il rosato mi guardò divertito. «Sei tutta rossa.»
“Come se non me ne fossi resa conto!”
Schioccai la lingua infastidita, gli lanciai un’occhiataccia sdegnosa e con tutta la dignità rimasta, puntai il naso all’aria e mi allontanai. Ma feci la mia ingloriosa uscita di scena quando inciampai tra i miei stessi piedi e finii distesa a terra a mo’ di stella marina. Natsu dietro di me scoppiò a ridere, mentre io mi imbarazzai ancora di più e cercai di mettermi in piedi e di aggrapparmi allo stipite della porta per mantenermi in equilibrio. Mi levai entrambi i tacchi, mi voltai verso di lui con gli occhi lucidi e con un’espressione furibonda, cominciai a rincorrerlo usando le mie scarpe come arma. Il ragazzo sbarrò gli occhi, poi con un abile balzo saltò il divano e cominciò a salire le scale, correndo. Quando raggiunse la porta di quella che mi sembrò una stanza maschile, prima che potessi entrarci Natsu la chiuse violentemente. Ed io, da brava idiota, ci andai a sbattere contro a tutta velocità col naso e caddi anche all’indietro.
«Per le mutande sporche di Zeref! Che male!» sibilai, lasciando andare i tacchi e mettendomi entrambe la mani a coppa sul viso. Sentii qualcosa di viscoso e denso scivolarmi sulle labbra, ricordandomi il sapore metallico del sangue. Quando allontanai gli arti dal volto, potei appurare che fosse sangue quando vidi le mani macchiate di rosso. «Oh, grandioso.» grugnii. «Dragneel, se mi hai rotto il naso giuro su tutti gli slip indecenti di tuo padre che mi paghi la chirurgia plastica!» ululai.
«Ma un intervento al cervello, no?» ridacchiò lui da dietro la porta.
«Va’ a cagare.» sbuffai.
Natsu rise. «Ora no, ma quando ne avrò la necessità te lo farò sapere.»
Roteai gli occhi. «No grazie.»
«Poi ti sarai presa solo una botta, nulla di-» Natsu quando aprì la porta impallidì di botto, notando il mio naso continuare a perdere sangue.
«Oh sì, questo è ketchup infatti.» gli lanciai un’occhiataccia.
Lui sembrò totalmente nel panico. «Uhm… ehm…» balbettò in difficoltà.
«Ed ecco a voi Natsu in tutta la sua intelligenza.» ridacchiai.
Il rosato mi ignorò, si morse il labbro inferiore poi, come decidendo che fosse l’unica opzione, mi sollevò mettendomi un braccio dietro la schiena e uno sotto l’incavo del ginocchio. Quando mi trovai vicina al suo petto, diventai talmente rossa che molto probabilmente il sangue non si vedeva nemmeno più. Mi portò in bagno, dove mi fece distendere all’interno della… ma perché nella vasca?! Voleva affogarmi?
Il mio nuovo – e intelligentissimo – fratellastro mi fece distendere, portandomi poi la testa all’indietro. Osservai il suo sguardo serio mentre si muoveva con sicurezza nel bagno. Aprì un cassetto e prese dei batuffoli di cotone, con i quali prese a tamponarmi la zona appena sotto il naso per ripulirmi del sangue. Notai però che i suoi movimenti erano diventati improvvisamente un po’ impacciati, mentre le sue mani si muovevano goffamente sul mio viso, cosa che fece stendere le mie labbra in un sorriso intenerito.
Natsu lo notò e mi guardò perplesso. «Perché sorridi?»
Alzai le spalle. «Nulla.»
Il ragazzo mi guardò non del tutto convinto, ma non fece ulteriori domande. Quando però premette sul mio setto nasale, dalle mie labbra fuoriuscì un gemito di protesta.
«Scusa.» borbottò.
Scossi la testa. «Non ti preoccupare, tanto non credo di essermelo rotto.»
Natsu sollevò entrambe le sopracciglia. «Ma se fino a un minuto fa dicevi-»
«Lo so cosa ho detto!» lo interruppi arrossendo. «Tendo ad esagerare a volte.» brontolai.
Il rosato sospirò, prendendo finalmente le distanze dal mio viso. Fino a quel momento non avevo fatto altro che continuare a fissare quelle pagliuzze smeraldine immerse in quel mare di inchiostro…
“Oddio! Ma cosa vado a pensare?!”
Mi alzai di scatto, rischiando anche di dare una testata al ragazzo che mi aveva appena curata, e mi allontanai velocemente.
Avevo bisogno di un po’ d’aria fresca.

 

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Capitolo 3
*** Cap 2: Quando il tuo posseduto fratello decide di mettere le zampe su una macchina, per portare il resto della tua assurda famiglia al supermercato, capisci di essere in pericolo di vita. ***



Quando il tuo posseduto fratello decide di mettere le zampe su una macchina, per portare il resto della tua assurda famiglia al supermercato, capisci di essere in pericolo di vita.



 

Ero sdraiata a pancia in giù sul letto, tra le mani un libro e l’insopportabile dolore al naso che Natsu mi aveva gentilmente procurato. Il mio setto nasale si era gonfiato, appurato dopo averlo coraggiosamente tastato, ma avevo comunque il terrore di andarmi a guardare allo specchio.
C’era di buono che la villetta dei Dragneel era piuttosto grande, non come la mia chiaramente, ma era a due piani. E oltre alla camera di Natsu, di Wendy e quella che avrebbero condiviso mamma e il mio patrigno, c’erano altre due stanze per gli ospiti, che erano state arredate per me e mio fratello. Dovevo ammettere che la mia era molto graziosa, sicuramente molto femminile, ed ero rimasta piacevolmente sorpresa dal fatto che l’arredamento fu scelto dalla mia nuova sorellastra. (O dalla bambina con la paralisi facciale, così da me ribattezzata.) La stanza era grande, al lato c’era un lungo armadio in legno che percorreva tutto il lato del muro a sinistra. Al centro c’era un tappetino rotondo e peloso color rosa shocking, sopra un divano color panna, davanti un tavolino del medesimo colore, basso e finemente lavorato. Al di sopra di questo c’era un laptop, regalo di Igneel.
“Tsk, voleva solo comprarmi.”
Nel lato destro c’era una specie di rientranza, chiusa da delle vetrate che se facevi scorrere, mostravano un letto da una piazza e mezza, con le coperte color rosa antico, decorato da alcuni piccoli fiori bordeaux. Quella parte la trovai semplicemente fantastica.
La parte invece che si trovava davanti quando si entrava  – o quando si era di spalle seduti sul divano, dipende dai punti di vista – , era un’intera vetrata, che forniva la vista del giardino di casa Dragneel. Il muro era alternato da dei scaffali dove potevo appoggiare tutti i miei libri e alcuni ritratti di persone che ammiravo. Il tutto comunque, a livello di colori, rientrava nella famiglia del rosa, non era il mio colore preferito, ma mi piaceva.
 
Quando sentii che il sangue non raggiungeva più le mani e cominciai a sentirle formicolare, mi dovetti alzare dal letto per mettermi a gambe incrociate. Lanciai un’occhiata al vestito da damigella abbandonato sul pavimento e chiusi il libro con un gesto secco, alzandomi. Il sangue era colato anche sull’abito, per cui era da lavare. Prima di uscire aprii le ante dell’armadio per cambiarmi, non era il caso di uscire in intimo, non ero più a casa mia. Scelsi una vecchia maglietta blu scuro che mi stava enorme e un pantaloncino tuta grigio chiaro. Dopo essermi vestita uscii da camera mia con il vestito e andai all’esplorazione, in cerca di una lavatrice.
Trovai il bagno, gettai l’abito da lavare e trotterellando tornai in camera mia. Prima però, feci una tappa nella camera di mio fratello. Non mi preoccupai nemmeno di bussare, spalancai la porta e Sting saltò in aria, producendo uno strillo che di mascolino aveva ben poco. Il biondo aveva lanciato dietro di sé il joystick dell’Xbox, mettendosi davanti al televisore ricurvo per nascondere il gioco appena messo in pausa. Impresa piuttosto ardua dato che la tv era enorme.
«Giuro che non stavo giocando!» squittì lui.
Lo guardai con aria di sufficienza.
“Sì, ero ancora arrabbiata con Natsu e, quando sono arrabbiata, me la prendo con tutti, problemi?”
«E immagino che quello che tu hai appena gettato fuori dalla finestra sia il fantomatico peluche di Wendy, per il quale sta praticamente ribaltando la casa per trovarlo.»
Sting annuì deciso, poi si bloccò immediatamente, sbiancando. «F-f-f-finestra?»
Inarcai un sopracciglio. «Hai aperto te la finestra. O è stato sempre il peluche di Wendy?»
«Cazzo!» Mio fratello balzò in piedi e se non fosse stato per me, si sarebbe buttato direttamente fuori dalla finestra per andarsi a riprendere subito il suo tesoro. «Lasciami!» sbraitò.
«Così ti ammazzi! Guarda che fino a prova contraria te non sai volare!» cercai di aggrapparmi a mio fratello come un koala, ma non fu una mossa particolarmente intelligente, perché come se fosse stato un toro inferocito, Sting partì in quarta, verso l’uscita.
Mentre correva incontrammo sulla nostra strada Natsu, che ci guardò allibito. Non feci in tempo ad avvisarlo che il povero ragazzo venne letteralmente investito dal suo nuovo fratellastro. Probabilmente se non fossi stata ancora arrabbiata con lui mi sarei preoccupata, ma non riuscii a trattenermi dal ridere sotto i baffi, gustandomi la visuale della sua figura distesa a terra e immobile.
Sting spalancò la porta e corse ancora più veloce di prima, come se la diciassettenne che si trovava abbarbicata contro di lui non fosse mai esistita. Si lanciò sul joystick appena lo vide, mentre io scivolai in avanti finendo col muso per terra.
«Ma porco Zeref! Cos’è oggi con il mio povero naso?!» ululai.
«Eh? Cos’è successo?» chiese perplesso Sting, come se fosse appena stato risvegliato da un lungo sogno.
Gli lanciai un’occhiataccia. «Sei stato posseduto dallo spirito del joystick.»
Lui mi fece una faccia come per dire “Ah, ora si spiega tutto” e poi si alzò tutto contento, per tornare in camera sua. Alzai gli occhi al cielo, sollevandomi velocemente e raggiungendolo gli feci notare una cosa.
«Ma te non dovevi mica finire i compiti delle vacanze?» chiesi, guardandolo sospettosa.
Sting sbiancò. «Uhm, ma infatti è quello che stavo facendo.» fece, visibilmente a disagio.
«Certo, e giocare a COD mi sembra un ottimo modo per finirli.» annuii sarcastica. «O iniziarli, dipende dai punti di vista, non è vero?» ridacchiai. Il mio adorato fratellino sbuffò spazientito, fece per ribattere ma io lo anticipai. «Facciamo una partita io contro te e che vinca il migliore?» proposi, regalandogli un caldo sorriso.
Lui si voltò verso di me sorpreso, ma poi si aprì in uno di quei spontanei e genuini sorrisi alla “Sting” che qualunque ragazza dotata del dono della vista avrebbe ucciso pur di farglielo rifare.
“Invece lui li dedicava solo a me.”
«Sappi che non ci andrò leggero solo perché sei mia sorella, sappilo.» mi fece notare.
Ghignai. «Ci mancherebbe altro, ma sappi che non lo farò nemmeno io.»
Il biondo sbuffò. «Oh, e quando mai tu ci andresti leggera? Hai un tale livello di competitività che una volta – voglio ricordarti – quando ti sei accorta di star per perdere contro di me, mi sei saltata addosso urlandomi una maledizione in bengalese, mi hai rubato il joystick e hai continuato a giocare con i personaggi scambiati.» brontolò lui risentito.
Arrossii. «Questo era un colpo basso.» borbottai.
«Verità, sorellina cara.» Sting sogghignò. «E poi hai perso lo stesso.» aggiunse, liberandosi in una forte risata.
Sbuffai, dandogli una spallata e passando per prima attraverso la porta di casa.
Notai che Natsu era ancora steso a terra. «Natsu, alzati.» ordinai. «A meno che tu non voglia togliere la polvere dal pavimento usando la tua zazzera di capelli rosa come Swiffer, in quel caso non te lo impedirò.» dissi, divertita. «Vuoi che Sting ti prenda dalle gambe? Verrebbe meglio così il lavoro.» ridacchiai.
Il rosato non si mosse, continuò a stare disteso per terra, con gli occhi piantati al soffitto. «Ho bisogno di essere curato.»
Roteai gli occhi. «Guarda che non ti sei fatto niente, alzati.»
Lui finalmente voltò la testa e mi degnò di uno sguardo, anche se solo per lanciarmi un’occhiataccia. «Io prima ho curato te, tu ora curi me.» esalò, comportandosi come se fosse davvero malato e in punto di morte.
Peraltro, se fosse davvero in punto di morte, io non lo avrei degnato nemmeno di uno sguardo. Figurarsi aiutarlo, piuttosto avrei accelerato il suo corso per farlo crepare prima!
«Tu avevi il dovere di aiutarmi! Mi ha quasi fatto rientrare il setto nasale nel cranio!» sbottai.
Natsu si alzò si scatto, arricciando le labbra in un broncio che trovai adorabile.
“Forse il setto nasale mi è entrato sul serio nel cranio. Per partorire un simile pensiero mi avrà fatto anche schizzare fuori il cervello. Ammesso e non concesso che io ne abbia mai posseduto uno.”
«Oh, sì! E magari ti ho fatto anche venire un ictus al cervello!» ironizzò. «Per Mavis, come sei esagerata.» aggiunse, roteando gli occhi.
E qui eravamo sempre punto e accapo: non credevo di aver mai avuto un cervello. E se ci avesse mai abitato nel mio cranio, sicuramente mi era schizzato fuori nell’incidente di poche ore prima. No, credevo che fosse stato quando mio fratello aveva pensato di colpirmi in testa con una mazza da cricket, scambiandomi per uno degli zombie che di solito si divertiva ad ammazzare mentre giocava. Okay, che eravamo al buio, e io avevo fatto la cacchiata di andare da lui in piena notte per provare la veridicità del gioco della famosa bacinella d’acqua e la mano del malcapitato all’interno. Ma lui poi, quando mi aveva stesa per terra, aveva cominciato a ridere come un pazzo psicotico e parlare sul fatto che fosse un player imbattibile. Inutile dire che dopo quell’avvenimento, non entrai più in camera sua al calar delle tenebre.
E a proposito del mio dolce e psicotico fratellino, il ragazzo in questione, arrivò in salotto con un pacchetto di patatine. «Prego, continuate pure.»
Inarcai un sopracciglio. «Preferivi i popcorn, per caso?»
Sting annuì. «Effettivamente sì, ma ho trovato solo queste. Ma non importa, prego, non vorrei perdermi questa volta la scena di qualcuno che si spacca qualche parte del corpo. Già la scena di mia sorella che sbatteva a tutta velocità contro una porta era imperdibile, ma forse adesso riusciamo a rimediare qualcosa di meglio con te.» commentò finendo per rivolgersi a Natsu.
«Paga il biglietto, signorino.» gli lanciai un’occhiataccia.
«Che fai? Me la tiri?» squittì il rosato, probabilmente valutando l’ipotesi di andare a prendersi un crocefisso per tenersi lontano mio fratello.
In quel momento, arrivò anche Wendy, finendo col trovarci tutti uniti. «Papà mi ha inviato un messaggio: ha detto di andare a fare la spesa per la cena. Ha lasciato una delle sue carte di credito sul tavolo – che oltretutto mi ha severamente vietato di toccare, non capisco il perché, in quel modo avrei finalmente potuto dominare il mondo, ma vabbe’ – in modo da sopravvivere nell’arco di questo mese.»
Sorvolai sul fatto che lei volesse dominare il mondo, la cosa mi metteva i brividi.
Guardai Natsu, mentre grattandosi una tempia, annuiva pensieroso. «Va bene, andiamo al supermercato allora.» decise lui.
Notai Sting osservare il proprio cellulare, aggrottando le sopracciglia. «Mamma ha detto che sono arrivati ora in aeroporto, una volta arrivati ad Honolulu ci chiamano. Oltretutto ci ha raccomandato di non litigare, di non scannarci e di non far saltare in aria la casa.»
«Troppo tardi per le prime due raccomandazioni.» sogghignai. «Anche se, ad essere sincera, mi piacerebbe far saltare in aria la casa. Possibilmente con Natsu ancora dentro.» aggiunsi sussurrando, all’indirizzo di mio fratello.
Ma non si sa come, Natsu riuscì comunque ad udire. «Simpatica.» ironizzò.
Gli feci l’occhiolino e gli voltai le spalle, andando in cucina per prendere la carta di credito prima che ci mettesse su le zampe la bambina con la paralisi facciale. La quale, neanche a dirlo, continuava a fissarmi dalla sala con quel suo sorriso stampato in faccia, inquietante oltre ogni dire. Non potevo assolutamente permetterle di diventare la dittatrice del mondo.
Cercai di ignorare l’immagine che si fece largo nella mia mente, di una Wendy che – strano a dirlo – sorrideva, seduta su un trono, dove alla base di esso giacevano migliaia di cadaveri insanguinati. Le sue mani e la sua bocca erano sporche di liquido scarlatto, facendola sembrare ancora più terrificante.
«Come ci arriviamo al supermercato? È lontano, fratellone, non possiamo andarci a piedi.» brontolò Wendy, distogliendo finalmente lo sguardo dal mio.
Il rosato si strinse nelle spalle. «Possiamo prendere il pullman.» ipotizzò.
«O se no, posso guidare io. Ho diciotto anni compiuti e la patente.» propose Sting.
«NO!» strillai io. Quando mi si piantarono addosso due sguardi che dicevano “Questa è pazza” e uno perplesso, mi affrettai a ricompormi per spiegare. Tossicchiai. «Sting non sa nemmeno stare sulla corsia giusta, se volete rischiare la vita però, io non vi fermerò.» conclusi, alzando le mani in segno di resa.
“Ammettiamolo: se Sting riuscisse a far fuori in un colpo solo sia Natsu che Wendy, sarebbe grandioso. Ma dato che su quella macchina, ci dovrei essere anche io, l’idea era da scartare.”
Natsu alzò gli occhi al cielo. «Stai esagerando, come di tuo solito.» commentò sbuffando.
«Oh, io vi ho avvertito.» borbottai.
Mio fratello invece sembrò tutto contento, forse perché avrebbe potuto mettere le zampe su una macchina. Stavo pensando di rivelare del quasi incidente di Sting, ma dopo il commento – da me non apprezzato, ovviamente – di Natsu, decisi di tenere la bocca chiusa e di gustarmi la scena in auto. È vero, c’era una forte probabilità che poi da quel veicolo io non ci sarei più scesa viva, ma il mio dovere di paladina della giustizia, angelo custode, indovina e tutte le altre cose che vi vengono in mente, lo avevo fatto, perciò che si arrangiassero.
«La macchina è nel garage.» rivelò Wendy.
«Che macchina è?» s’interessò mio fratello.
Natsu li precedette, con in mano le chiavi. «Una Range Rover Evoque bianca.»
Raggelai a quella rivelazione. Mi feci il segno della croce, quella era la volta buona che ci rimanevo secca. Ero più che sicura che mio fratello non fosse in grado di guidare una macchina tanto grossa...
«Questa sì che è una bella macchina!» gioì il biondo.
Il rosato annuì convinto, dandogli ragione.
Uscimmo da casa, mentre io cominciavo a fare appello a Mavis, per risparmiarmi la vita. Sting trotterellava felice, Wendy invece aveva stampato in faccia il suo solito sorriso – ma ‘stavolta le sarebbe comparsa in viso un’espressione di puro terrore, oh sì – e Natsu invece sembrava tranquillo – povera anima.
Quando il mio nuovo fratellastro aprì il garage, rivelando all’interno la Range Rover Evoque bianca, mi sembrò di vedere più che altro una grossa bara a quattro ruote. Mio fratello trottò fino al posto del guidatore, Wendy insistette per stare davanti – contenta lei, dopotutto è risaputo che quelli che muoiono prima sono proprio quelli che siedono nel posto del passeggero – mentre io e Natsu ci sedemmo dietro.
Quando Sting mise in moto, non riuscii più a stare zitta. «Spero abbiate l’assicurazione.» grugnii.
Natsu fece per ribattere, ma venne brutalmente interrotto dal biondo che era partito velocemente e aveva inchiodato subito dopo. Wendy che era piegata in avanti, nel tentativo di allacciarsi la cintura, sbatté violentemente la fronte contro il cruscotto. «Ahia!» si lamentò la blu.
«Non provate a dire che io non vi avevo avvisato.» sibilai.
Il rosato, forse cominciando ad intuire che anche lui si trovava sopra ad una bara con quattro ruote, cercò di fermare il biondo, ma ormai era troppo tardi, Sting era partito velocissimo, quasi rischiando di passare sopra alla povera Biancaneve del giardino. Mi voltai verso il ragazzo che era seduto accanto a me, il quale aveva assunto uno strano colorito verdognolo. Andai nel panico.
«N-Natsu, soffri di mal d’auto?» balbettai.
Wendy si voltò verso di noi, ancorandosi al sedile per non rischiare di sbattere la testa da qualche altra parte. Notai con piacere che il suo sorrisino non c’era più. «Diciamo che mio fratello e i mezzi non vanno molto d’accordo.»
«Capisco.» borbottai. «Natsu non ti azzardare a rimettere su di me o… STING SEI CONTROMANO!» gridai, mentre un camion ci stava andando addosso e suonava il clacson imperterrito.
La blu si lanciò sul biondo, afferrando il volante e svoltando bruscamente nell’altra corsia, dove per poco non urtò contro la fiancata di un’altra macchina, la quale ovviamente ci suonò dietro per non so quanto tempo.
«Se non chiamano la polizia è un miracolo.» esalò la mia sorellastra, pallida come un cencio.
“Mavis, menomale che mio padre è il Capo della polizia.”
Non che poi sarei riuscita a scampare comunque alla punizione divina che mi sarebbe stata inflitta dal mio caro genitore.
Natsu in quel momento aprì il finestrino e, mettendo fuori la testa, cominciò a vomitare. Gli lanciai una veloce occhiata mista fra pietà e disgusto, ma la mia preoccupazione al momento era un’altra. Sentii dietro di noi un rumore di frenata improvvisa e poi un forte botto. Wendy, Sting ed io ci voltammo per vedere cosa fosse successo: il vomito di Natsu aveva fatto sterzare bruscamente la macchina dietro che, molto probabilmente, aveva solo cercato di evitarlo, ma così facendo andò a sbattere contro l’auto dietro che stava cercando di sorpassare. Quando sentimmo però la nostra di macchina, cominciare a prendere un insolito movimento a zigzag, mi rivoltai verso mio fratello, scoprendo con orrore che era completamente voltato all’indietro.
«Oddio! Sting guarda davanti, santo cielo!» strillai.
Wendy, notai, aveva incominciato a prendere un colore che rasentava il cadaverico e cominciai a preoccuparmi, temendo per lei un probabile infarto.
Quando poi mio fratello mi chiese. «Lu, ma a cosa serve il terzo pedale a sinistra?» la blu si voltò verso di me terrorizzata.
«Q-quella è la frizione, dovresti sapere a cosa serve.» balbettai, ancora più preoccupata.
«No.» rispose candidamente.
Mi spalmai una mano sul viso. «Ogni volta che cambi marcia devi pigiare prima sulla frizione.» grugnii esasperata.
Lui annuì. «E quella cosa circolare cos’è?» domandò, indicando una rotonda. «Oh be’, non fa nulla.»
«C-cosa vuoi fare?» fece Wendy, terrorizzata.
Il biondo non le rispose, lanciò un grido belluino e premette ancora di più sull’acceleratore. Attraversò la rotonda, la quale ci diede un piccolo slancio che fece alzare la macchina da terra, e ricadere pesantemente poco dopo. Wendy sbatté la fronte per la seconda volta sul cruscotto, voltandosi poco dopo verso Sting, talmente terrorizzata che sembrava stesse guardando un cannibale cibarsi col corpo di suo fratello. Quando riportò lo sguardo davanti a sé, le vidi tremolare il labbro inferiore, poi scoppiò a piangere.
“Non ce la posso fare: stare su una tomba a quattro ruote guidata dal mio psicotico fratello, una ragazzina che quando piange sembra una di quelle paperelle di gomma col fischietto rotto e uno con la faccia color zucchina che continua a vomitare fuori dal finestrino, metteva a dura prova la mia già inesistente pazienza.”
Grazie a non so quale divinità, arrivammo al supermercato tutti interi – quasi. Sting frenò talmente violentemente che per poco Natsu non uscì dal finestrino. Mentre Wendy, inutile a dirlo, sbatté per la terza volta la fronte sul cruscotto. Io invece, mi feci male al collo durante la frenata. Il rosato quando evase, cominciò a baciare per terra, mentre Wendy si era incollata a me, piangendo ancora più forte di prima. Mio fratello uscì tutto soddisfatto dall’auto e si stiracchiò.
«Mi sono divertito.» commentò serafico.
La blu gli lanciò un’occhiataccia talmente gelida che avrebbe potuto far scappare via strillando uno yeti delle nevi. Il biondo la guardò confuso, evidentemente non capendo le sottointese minacce di morte che la ragazzina con quell’occhiata gli aveva appena mandato.
«Forza, andiamo a fare la spesa. Al ritorno guiderò io.» sentenziai.
Natsu sembrò riprendersi, voltandosi verso di me e palesando tutto il suo scetticismo inarcando un sopracciglio che tra poco raggiungeva l’attaccatura dei capelli. «Tu non hai la patente.»
«Però, intuitivo il ragazzo.» ghignai.
Il ragazzo sbuffò esasperato. «Hai capito cosa intendo: non puoi guidare. Se ci beccano prendiamo la multa.»
Mi misi una mano sul fianco – l’altra era occupata a stringere Wendy – guardandolo con aria di sufficienza. «Preferisci far guidare mio fratello?»
Natsu sbiancò. «NO!» urlarono in coro lui e sua sorella.
Sting arricciò le labbra in un broncio offeso, incrociando le braccia al petto. «Che cattivi, oh.» brontolò.
Lo ignorai, presi per mano Wendy e insieme a lei e a Natsu, raggiungemmo l’entrata del supermercato, lasciando indietro mio fratello.
Mi ricordai della sua presenza quando sentii nuovamente la sua voce. «Prendiamo il carrello?» chiese, guardandomi con gli occhi brillanti di un bambino davanti al suo nuovo monopattino.
“Be’, Sting sarebbe riuscito a risultare pericoloso anche muovendosi col triciclo.”
«Prendilo.» sospirai.
«Però lo guido io!» quando sentii quell’affermazione pensai che fosse stata la blu, d’altronde era comprensibile, anche io da piccola adoravo spingere il carrello. Ma quando vidi che era stato Natsu a parlare, sbarrai gli occhi.
Guardai Wendy implorante, mentre lei mi restituì solo un’alzata di spalle.
Natsu e Sting iniziarono a bisticciare sul fatto di chi dei due dovesse prendere il comando del carrello.
«Lasciamelo!» strillò il biondo.
Il rosato lo guardò malissimo. «Così questa è volta buona che ammazzi qualcuno! Tu non devi guidare niente che abbia le ruote!»
«Basta! Prendetene due!» sbottai.
I due ragazzi annuirono svelti, schizzando via il più lontano possibile dalla sottoscritta. Non sapevo quanta roba ci fosse nel frigorifero, così pensai fosse il caso di comprare un po’ di tutto. Anche perché dopo l’esperienza della macchina, non ci sarei mai più voluta salire. Dovevo fare in modo che a Sting venisse ritirata la patente, o qui rischiava sul serio la pelle qualcuno. A proposito, ma chi era l’idiota che gli ha fatto passare l’esame?!
“Mhm, per me ha pagato il tizio.”
Cercai di ignorare Natsu e Sting che confabulavano alle mie spalle, mentre io decidevo insieme alla mia sorellastra cosa acquistare. Optammo per qualcosa di veloce, come le piadine, così quando ordinai ai due ragazzi di andare all’altro reparto, loro annuirono, ma decisero che quel giorno volevano per forza farmi arrabbiare. Prendendo la ricorsa, lanciarono un urlo belluino e saltarono all’interno del carrello e partirono alla velocità della luce.
«PISTAA!» gridarono.
Per poco non investirono una ragazza dai capelli azzurri. Mi avvicinai, per scusarmi, ma quando si voltò e riconobbi la persona, sorrisi sorpresa. «Ciao Lluvia!»
«Lucy, come va?» chiese, cortese.
Lluvia era una mia cara amica, e compagna di classe, faceva parte della cerchia di amici con cui uscivo di più.
Lanciai un’occhiataccia all’indirizzo dei miei fratelli, appuntandomi di strozzarli quando ce li avrei avuti fra le mani. «Potrebbe andare meglio.» grugnii. «Tu?» ricambiai, più dolcemente.
«Lluvia sta bene, grazie.» rispose, sorridendo. «Alla fine tua madre ha sposato davvero il padre di Natsu.» ridacchiò.
Sbuffai. «Già.» risposi lapidaria.
L’azzurra mi rivolse un sorriso dolce, quasi materno. «Ora Lluvia continua con la spesa, Lu. Ci vediamo tra poco a scuola, allora, ciao.» salutò con la mano.
«Ciao!» sorrisi.
In quel momento tornarono Natsu e Sting, tutti e due con in mano un frutto. «Lu, neh che il fico d’india sembra una granata?» ridacchiò mio fratello.
Sorrisi divertita. «Abbastanza, ma mettilo a posto.»
«Lo assaggiamo?» chiese Natsu.
«Non ti piace.» risposi, categorica.
Il rosato inarcò un sopracciglio. «Ma se non sai nemmeno co-»
«Mettetelo via.» sillabai.
Wendy accanto a me sghignazzò. «Non essere troppo cattiva, Lu-chan. Sono solo un po’ scemi, ma sono fatti così.»
Sentii la guance colorarsi di un rosa più acceso, quando la mia nuova sorellastra mi chiamò in quel modo. Le sorrisi imbarazzata, annuendo velocemente. Forse dovevo smetterla di continuare a fare distinzioni tra loro come fratellastri e mio fratello di sangue, non considerandoli al pari di quest’ultimo. Se mi fossi aperta un po’ di più probabilmente saremmo potuti diventare una vera famiglia.
“Famiglia…”
Ma la mia famiglia era composta da Sting, mamma e papà. Aggrottai le sopracciglia, mentre nella testa continuavano a frullarmi pensieri simili.
Eppure, non sembravamo tanto male.

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Capitolo 4
*** Cap 3: Lezione di sopravvivenza: l’oscurità pullula di creature pericolose, mai avventurarsi da soli ***



Lezione di sopravvivenza: l’oscurità pullula di creature pericolose, mai avventurarsi da soli!


Capitolo 3 ~

Eravamo appena tornati a casa, ovviamente la mia guida – nonostante non avessi la patente – fu tranquilla. Nessuno aveva sbattuto la fronte sul cruscotto, tantomeno rischiato di uscire fuori dal finestrino. Ci trovavamo davanti all’entrata di casa, tutti con in mano qualcosa comprato al supermercato. Natsu, nel frattempo, stava trafficando con le chiavi, mentre Sting continuava a brontolare qualcosa sul fatto di essere bravissimo a guidare nei videogiochi. Peccato che la vita reale non fosse esattamente la stessa cosa.
Il rosato aprì la porta di casa, accendendo le luci dell’abitazione, per poi dirigersi in cucina per lasciare le cose.
«Lu-chan, mi aiuti col mettere le cose a posto?» chiese Wendy.
Annuii. «Certo.»
La blu ed io cominciammo a riordinare mentre i ragazzi si svaccarono sul divano a guardare la televisione. Quando finimmo col riporre tutti gli alimenti al posto giusto, prendemmo le piadine e incominciammo a scegliere quello che avremmo potuto mettere dentro. In quel momento Natsu si alzò, giungendo in poche falcate, ovviamente anche mio fratello poi abbandonò la sua posizione da Buddha, per raggiungerci.
Il rosato appena mi vede prendere la padella, mi mise le mani suoi fianchi, spostandomi dall’angolo cucina. La sua presa decisa ma allo stesso tempo delicata, mi lasciò immobile per un paio di secondi, imbarazzata e perplessa. Mi piaceva il suo tocco. Lo osservai prendere la padella da me posiziona poco prima, allora mi riscossi.
«Se volete posso cucinare io.» mi offrii.
«E avvelenarci tutti? No grazie, i tuoi esperimenti da strega li fai altrove.» commentò Natsu, mentre un ghigno divertito gli increspava le labbra.
Assunsi un’espressione offesa, presi il mestolo che avevo vicino e lo sbattei sulla testa del ragazzo. «Io non sono una strega.»
«Hai ragione, allora sarai Winx?» ironizzò il rosato.
Gli scoccai un’occhiataccia ma non feci in tempo a ribattere che la bambina dalla paralisi facciale mi riversò addosso un fiume di parole. «Winx? Dove? È finalmente uscito il nuovo film? Lucy, a te piacciono? Qual è la tua preferita? La mia è Bloom e…»
Non la feci finire di parlare che le ficcai uno straccio in bocca. La guardai terrorizzata, mentre continuava a parlare producendo “uo uo uo uo”.
Mio fratello in quel momento, prese il mattarello e glielo puntò contro spaventato. «Che qualcuno compia un esorcismo!»
Wendy smise di parlare – o di uoggiare – e guardò stranita il biondo. «Uo?» chiese infine.
Natsu sbuffò spazientito. «Andate a vedere la televisione, qui ci penso io.»
Wendy e Sting non se lo fecero ripetere due volte, schizzarono via alla velocità della luce, lasciandoci da soli.
Lo guardai sospettosa. «Sai davvero cucinare? Non mi rifili del veleno, vero?»
«Proposta allettante devo dire, ma di solito non è mai morto nessuno che abbia mangiato qualcosa preparato da me.» ridacchiò.
Mi sforzai di ignorare la prima parte della risposta, stavo per proporgli una cosa quando la voglia era sfumata tutta. E questa domanda chiedeva un grosso sforzo fisico, dato che dovevo mettere da parte tutto il mio orgoglio. Ma diamine, una volta tanto farsi aiutare non faceva male! Poi io ero davvero in grado di uccidere qualcuno con le mie doti culinarie. Così mi decisi: abbassai lo sguardo imbarazzata, corrugando le sopracciglia.
«M-mi i-insegneresti a c-cucinare?» balbettai.
Il ragazzo si voltò verso di me, non lo potevo vedere ma ero sicura che in viso gli aleggiasse un’espressione sorpresa. «Tu hai chiesto a me di insegnarti a cucinare?»
Ebbi il coraggio di alzare il volto, notando la sua espressione divertita e non potei non arrossire. Lo guardai infuriata, ma soprattutto offesa, così gli voltai le spalle e feci per andare in salotto. Prima però che fossi lontano dalla sua portata, Natsu mi afferrò il polso costringendomi a riportare lo sguardo su di lui: stava sorridendo. Non un sorriso di scherno, ma uno dolce e intenerito. Non seppi come mai e per quale motivo, ma sentii il mio cuore aumentare i battiti e arrossire come una camionetta dei pompieri.
Lo guardai spaesata, puntando lo sguardo nel suo alla ricerca di quelle pagliuzze smeraldine per cui mi ero fissata: scoprii che con la luce della cucina esattamente sopra di noi, sembravano brillare come veri smeraldi. Mi morsi il labbro quasi a sangue, per non farmi sfuggire nulla di compromettente, ma ormai era troppo tardi.
«Amo quelle pagliuzze.» sussurrai.
E come da manuale arrossii talmente tanto, che se avessero spento le luci mi avrebbero scambiata per un faro dalla luce rossastra. Natsu mi guardò perplesso, probabilmente azzardando alcune ipotesi sulla mia inesistente sanità mentale.
«Eh?» biascicò infine.
Mi coprii il viso con le mani, strillando qualche scusa e qualsiasi parola contenuta nel vocabolario italiano – be’, la maggior parte almeno – in modo che mi permettesse di coprire la voce calda del rosato. Quando lo sentii grugnire infastidito e afferrarmi i polsi e tirandomeli verso il basso per scoprire il volto, lo trovai a pochi centimetri da me. Notai i suoi occhi diventati quasi completamente verdi, e il cuore partì talmente veloce, che se avesse continuato così avrei avuto uno scompenso cardiaco. Sentii il cervello spegnersi, l’unica cosa che funzionava era il mio muscolo involontario – che forse funzionava anche troppo. Aprii la bocca per parlare, ma la sentii secca e le corde vocali avevano appena deciso di prendersi una vacanza. Volevo spingerlo, allontanarlo da me, ma le mie braccia non funzionavano sotto la presa salda del ragazzo. Lui continuava a fissarmi con quello sguardo intenso, mandando in subbuglio ogni cosa all’interno del mio corpo.
«Finalmente stai zitta.» borbottò. «Mi vuoi dire che significa quello che hai detto prima?» chiese, tenendomi comunque stretta.
Deglutii, ma non riuscii comunque a reagire. Cosa mi stava succedendo? Non avevo mai avuto una simile reazione, con nessuno. Ero talmente imbarazzata da sentire il viso emanare calore senza il bisogno di toccarlo, gli occhi erano umidi e – maledizione! – il petto cominciava a farmi male sul serio.
«N-Natsu…» sussurrai con voce strozzata. «Se non mi lasci svengo.»
Il rosato mi lasciò subito andare, permettendomi di prendere le distanze. Lo guardai con gli occhi sbarrati, come se davanti a me ci fosse un alieno. Una mano sul petto, che cercava invano di far calmare i battiti. Mi ero allontanata di un quattro metri buoni, e mi sedetti su una delle sedie dalla cucina.
Natsu mi guardò come se fossi totalmente ammattita. «Uhm… Sei sicura di stare bene?»
Annuii svelta, come un automa, ritrovandomi a dargli ragione involontariamente sul fatto che ero sul serio impazzita. «Mai stata meglio.» risposi, con una voce troppo acuta per essere naturale.
«Sì, ok… Ehm, vuoi che ti insegno a cucinare sì o no?» borbottò.
Valutai l’opzione di accettare e imparare a cucinare qualcosa di commestibile consapevole di rischiare l’infarto, o scappare a gambe levate e chiudermi in camera mia, in attesa di calmarmi. Qualsiasi persona razionale avrebbe scelto la seconda, ma siccome ero masochista e amante del pericolo, optai per la prima.
Annuii, prendendo prima due grandi respiri e mi avvicinai di nuovo a lui, facendo ben attenzione a non guardarlo in viso.
«Sting!» urlò, facendomi sobbalzare. «Cosa vuoi nella tua piadina?»
«Quello che vuoi, basta che non la tocca mia sorella.» rispose.
Mi costrinsi a stare zitta, e non andare lì a testare una delle mosse di boxe che mi aveva insegnato. Natsu invece ridacchiò, poi aprì il frigorifero e prese alcune cose.
«Tu come la vuoi?» chiese, più dolcemente.
Alzai la testa di scatto. «Io di solito metto dentro il prosciutto crudo, un filo di maionese e un paio di fettine di pomodoro.»
Il rosato inarcò un sopracciglio, ma non commentò. «Come preferisci.»
Dopo aver preso tutto l’occorrente, mi fece vedere come cucinare la piadina nella padella senza bruciarla. Mi insegnò un paio di ottimi abbinamenti da fare, il tutto però evitando di sfiorare me e io evitando di sfiorare lui. Quando finimmo, chiamammo a tavola mio fratello e Wendy, i quali corsero subito, probabilmente molto affamati.
«È ottima!» commentò la blu.
Le sorrisi. «Mi fa piacere.»
Sting sbiancò. «Natsu, dimmi che hai cucinato tu.»
Il rosato sogghignò. «Mi dispiace, amico, ha fatto tutto tua sorella. Io l’ho soltanto guidata.»
Arrossii come una stupida, mi metteva terribilmente a disagio questa situazione. A mio fratello invece sfuggì la piadina di mano, cadendo nel piatto. «Moriremo tutti.»
Gli lanciai un’occhiataccia. «Strozzati.» gli augurai.
«È finita.» continuò lui.
«Sting, non mi fare arrabbiare, mi sono impegnata!» grugnii.
Il biondo si alzò. «Vado a dire addio a mamma.»
Ok, lui faceva lo stronzo? Io allora giocai la mia carta preferita: quella della vittima. Con mio fratello funzionava sempre. Non che poi fosse così difficile far abboccare Sting.
Appoggiai entrambe le mani sul viso, cominciando a singhiozzare e a simulare un pianto che sembrava vero. Era incedibile quanto fossi brava a recitare.«Onii-chan, sei cattivo! Io l’ho preparata con tanto amore per te, perché ti voglio tanto bene. Perché mi fai questo?» Spiai tra le dita, Natsu aveva un’espressione scandalizzata, la blu furbetta mentre mio fratello era raggelato sul posto. Le mie labbra si distesero in un ghigno di vittoria. «Tu mi odi, dillo!»
Il biondo si voltò di scatto, gli occhi sgranati e poi si mosse. In poche falcate venne da me e mi strinse in un abbraccio. «Non dirlo nemmeno per scherzo, sai che sei la sorellina migliore del mondo. Ok, torno a mangiare.»
Sorrisi intenerita.
“Oh sì, io amo mio fratello. Sono io ad avere il fratello migliore del mondo. Ma non può essere davvero così stupido…”
Guardai divertita il biondo che trottava a posto e mangiava in un sol boccone la sua piadina sorridendomi e alzando il pollice della mano destra. Mi aprii in un sorriso radioso: non potevo dire di aver imparato a cucinare ma le piadine ora sapevo farle.
 
Ero sdraiata sul letto, immobile ormai da più di un’ora, gli occhi piantati sulla copertina del libro chiuso. Ero tornata in camera mia con l’intenzione di leggere, ma quello che era successo con Natsu, aveva occupato il mio intero cervello, così, quando realizzai di trovarmi venti pagine dopo il segno da me messo e non ricordarmi assolutamente nulla di quello appena letto, chiusi il tomo con un tonfo secco. Leggere così era inutile, tanto valeva concentrarmi solo sui miei pensieri.
“Dannazione, che figura…”
Abbandonai il libro sul ventre, portandomi entrambe le mani sul viso, serrando le palpebre, come se in quel modo potessi sul serio estraniarmi dal mondo. Venni distratta dal suono di una chiamata, che mi fece sobbalzare. Afferrai il cellulare e guardai distrattamente il display.
«Pronto?» sospirai.
– Amore! Sono mamma, come stai? – trillò lei.
«Sopravvivo, tu?»
– Be’, menomale! Credevo che nessuno avrebbe risposto al telefono per poi essere richiamata dalla questura ed essere avvisata che la casa era saltata in aria e che tu avessi ucciso Natsu. – ironizzò. – Comunque sto bene, siamo arrivati ora ad Honolulu. –
Ignorai la prima parte di risposta, e con fare distratto allontanai il telefono per vedere che ora fosse. «Sono le due, così tardi?»
 – Da voi sono le due, ti ricordo che qui c’è un fuso orario di dodici ore. Tu invece dovresti essere a nanna da un pezzo, cara. – mi rimproverò.
Sbuffai. «Io stavo dormendo ma tu mi hai svegliata.»
– Congratulazioni! Hai vinto il primo premio per la panzana del secolo! –
Ridacchiai. «Beccata.»
 – Tesoro, ti conosco troppo bene, e scommetto che c’è anche qualcosa che ti turba. –
Ok, ora cominciavo sul serio a pensare che mamma disponesse di qualche potere empatico che utilizzava su di me per estorcermi sempre la verità. A volte era davvero preoccupante come cosa, dire che mi terrorizzava era riduttivo. Oppure era una Legilimens! Anche se ero sicura che mamma non conoscesse Harry Potter la cosa non era comunque da escludere.
«Sto bene, mamma.» mentii spudoratamente.
– Va bene, e io farò finta di crederti. –
Sbuffai sonoramente. «Ma’, ho sonno, buonanotte.»
– Buonanotte amore, ti voglio bene. –
«Anche io.» sorrisi e riattaccai.
Quando gettai il cellulare sulla parte finale del letto, sentii un tonfo, come qualcosa che andava a sbattere contro un muro. Innalzai i padiglioni auricolari, in modo da captare qualcosa ma non sentii nulla, sembrava essersi tutto congelato. Mi alzai, facendo attenzione a fare il meno rumore possibile. Rabbrividii quando i piedi nudi entrarono in contatto col pavimento freddo, lottai contro l’impulso di ficcarmi sotto le coperte e uscii da camera mia per capire cosa fosse successo. Il rumore si era sentito dalla camera di Wendy, così decisi di dirigermi lì, ma quando arrivai la porta la trovai spalancata, al centro della stanza c’erano delle candele accese disposte in cerchio, che illuminavo – seppur poco – i contorni della stanza. Deglutii, avevo sempre avuto paura del buio e in quel momento…
«Cosa ci fai qui?»
«AAAAAAAAAAAAH!» cacciai un grido di un ottava superiore alla voce umana, probabilmente risvegliando tutto il vicinato.
Mi voltai di scatto, feci in tempo a notare un fruscio di capelli blu e la tenda della camera ondeggiare subito dopo. Mi feci il segno della croce.
«Cosa succede?!» fece Natsu venendomi in contro correndo.
Mi voltai terrorizzata. «Tua sorella è un vampiro!» strillai.
Il rosato inarcò un sopracciglio, fece per aprire bocca ma quando vide quello che c’era in camera di sua sorella la richiuse subito, allibito. A quel punto arrivò anche Sting, indossava un pigiama che comprendeva una maglietta blu con le paperelle gialle e i pantaloni della stessa fantasia, un orsacchiotto a portata di mano, mentre con l’altra si sfregava un occhio assonnato. Ai piedi portava delle ciabatte a forma di coniglio rosa, da cui fuoruscivano delle orecchie pelose che si muovevano a ogni suo passo.
“Ahw, che amore il mio fratellino.”
«Cosa state facendo a quest’ora?» sbadigliò. «Se state organizzando una rapina nella casa dei vicini, dovete rendermi partecipe!» si animò improvvisamente. Quando mio fratello sbirciò nella camera di Wendy strillò, stringendo il suo peluche. «Wendy fa parte di una setta satanica!»
Alzai gli occhi al cielo. «Non credo, sai che non è normale quella ragazzina. Magari stava solo cercando un modo per evadere da questa casa di pazzi.» ipotizzai.
«Con le candele?» Natsu mi lanciò un’occhiataccia.
Feci spallucce. «Magari era disperata.»
«Andiamo a cercarla.» sentenziò il rosato.
«Io fuori ora non esco!» sbottai.
Il mio fratellastro mi sorrise divertito. «Paura del buio?»
Arrossii. «Assolutamente no!»
Natsu mi porse una mano. «Allora andiamo.» ghignò.
Ignorai il suo arto e puntando il naso all’aria mi diressi come una furia alla porta di casa, assicurandomi di sbattere bene i piedi sul parquet e di fare un casino infernale. Fortunatamente non avevo indosso il mio indecente pigiama ed ero ancora vestita, perché se no mi avrebbero di sicuro violentato appena avrei messo un piede fuori. Sentii dietro di me Natsu raggiungermi e Sting trotterellare sventolando il suo orsetto di peluche.
«Da dove iniziamo?» chiese il biondo.
Vidi con mio sommo orrore le labbra del mio fratellastro stendersi in un ghigno. «Dividiamoci: io cercherò qui sul davanti, Sting ai lati e tu Lucy sul retro.»
“Maledetto, lurido…”
«Come vuoi! Scommettiamo che riesco a trovarla per prima?» incrociai le braccia sotto al seno.
Natsu mi sorrise divertito. «Ci sto, se perdi mi fai da schiava per un’intera giornata.»
«Vale anche per te!» sbottai.
Lui annuì e ci stringemmo le mani, sotto lo sguardo perplesso e ancora assonnato di Sting.
Mi voltai e cominciai a correre verso il retro della casa, ma a ogni passo la mia andatura diminuiva velocità, fino a che non mi ritrovai a camminare con passo indeciso e barcollante. Mi strinsi tra le braccia, un po’ per paura e un po’ per freddo, mentre il mio sguardo vagava vigile per il grande giardino scuro di casa Dragneel. Quando sentii lo scricchiolio di qualche rametto lanciai un gridolino, mordendomi il labbro inferiore poco dopo, non dovevo dare a Natsu un’ulteriore prova che affermasse la veridicità della mia paura per il buio. Mi avrebbe sicuramente presa in giro a vita, non doveva conoscere uno dei miei punti deboli.
Percepii qualcosa alle mie spalle, come se qualcuno mi stesse osservando. Mi immobilizzai, trattenendo il respiro. Mi voltai piano, mentre il mio cuore cominciava ad aumentare il numero dei battiti, ma quando mi girai, mi trovai a pochi centimetri da me due grandi occhi nocciola, sgranati. La pupilla troppo dilatata mi fece scappare un grido dalla gola. Serrai gli occhi e cominciai a camminare all’indietro, ma inciampai su qualcosa e facendo un insolito avvitamento su me stessa mi schiantai a terra a pancia in giù. Mi trovai faccia a faccia con Sting, in mezzo ai nostri visi la testa di Biancaneve. Insieme, producemmo un grido che avrebbe risvegliato anche il morto che Wendy cercava di far risorgere con le sue candele.
«Oddio!» strillai.
Il biondo balzò in piedi come una molla, mi corse in contro e mi saltò addosso, schiacciandomi al suolo.
«Voglio la mamma!» piagnucolò.
«Sting.» lo chiamai, mentre cercavo di non guardare la testa decapitata della povera principessa della Disney. «Se non sposti il tuo deretano, vado a decapitare Mr Pancetta.»
Mio fratello saltò, talmente tanto che temetti che mi sarebbe crollato addosso con tutto il peso. «Non osare toccare il mio orsacchiotto!» squittì.
«Oh sì, inve-»
«Ma cosa state facendo?» mi interruppe una voce.
Mi voltai di scatto, alzando il mento per scorgere la figura alta di Natsu.
«Qualcuno mi aiuta ad alzarmi?» sospirai.
Il rosato mi porse una mano, la guardai diffidente. Quando appurai che il ragazzo non stesse cercando di attentare alla mia vita, afferrai l’arto e mi lasciai sollevare. Quando le nostre pelli vennero a contatto, sentii un brivido corrermi lungo la spina dorsale. Ma non seppi identificarlo, diedi colpa al fatto che Wendy al momento sembrava posseduta da qualcuno e che stesse cercando di spaventarci.
“Un momento, ma non era mio fratello quello posseduto? Ok, sono finita in una famiglia di demoni…”
«Cosa facciamo?» chiese Sting, stringendo la punta della maglietta del pigiama blu a paperelle.
«Be’, bisogna ancora trovare mia sorella.» grugnì Natsu.
Sbuffai. «Mi dispiace mai io non voglio avere niente a che fare col satanismo.»
Il mio fratellastro mi lanciò un’occhiataccia. «Lei non fa parte di quella roba.»
«E come fai ad esserne certo?» m’impuntai.
«Ragazzi, non vorrei mettervi in allarme.» iniziò Sting, mentre io cominciavo già ad essere in ansia, e i miei occhi scorrevano veloci per capire cosa ci fosse. «Ma mi è venuta voglia del timballo.»
“Lui deve essere caduto dal seggiolone quando era piccolo.”
Presi la testa di Biancaneve e gliela infilai nella maglietta, stizzita. Sting cacciò un grido veramente poco maschile, degno di un urletto di quel gay del suo migliore amico, Rogue. Se l’avesse sentito, sarebbe stato fiero di lui. E forse gli sarebbe anche saltato addosso, a pensarci bene. Cercai di non pensare all’immagine del moro che saltava addosso a mio fratello e lo spingeva all’interno della sua camera, chiudendo subito dopo la porta a chiave.
Feci una faccia disgustata a quella visione.
“Diamine, non pensavo che la mia fantasia nuocesse anche al mio apparato digestivo.”
«Allora?» chiese Natsu, ignorando il biondo.
«Mi sta salendo la piadina.» borbottai.
«Avete finito di parlare di cibo?!» sbottò.
Ridacchiai. «Agli ordini, signore.»
Il rosato mi lanciò un’occhiata maliziosa. «Occhio a quello che dici, potrei fraintendere il significato di quel ‘signore’.»
Arrossii come un semaforo, sicura che al buio la mia faccia si vedesse. Capii al volo a cosa alludesse. Mi morsi il labbro inferiore per non aver pensato al dubbio significato, quello malizioso, quello lascivo… “
“Quello che non dovevo fargli intendere!”
Mio fratello, con mio sommo stupore, smise di pensare al suo timballo, per lanciare un’occhiata strana al ragazzo davanti a me. Sembrava un misto tra avvertimento, rabbia e gelosia. In quel momento sentii di volere ancora più bene a Sting. Non gli disse nulla, bastò uno sguardo con quegli occhi espressivi e celesti sempre gentili, ma in quel momento sembravano aver preso una tonalità più scura. Che fosse solo un gioco di ombre dovuto al buio o ci avevo visto giusto?
Lo guardai sorpresa, tanto che non mi accorsi della presenza dell’inquietante bambina dalla paralisi facciale, finché non parlò.
«Buonasera.» trillò.
Sobbalzai, nascondendomi dietro i due ragazzi. Notai con orrore che nella mano sinistra – stretta in una morsa strettissima – c’era quella che doveva essere una bambola voodoo. Nell’altra un lungo spillo, la cui punta sembrava brillare, quasi facendosi beffe dell’oscurità e rispecchiando solo la luce tiepida della luna.
Deglutii.
«Wendy, cosa stai facendo?» chiese Natsu con voce tremante.
Scommetto che iniziava a farsi un’idea sulla sua dolce e innocua sorellina.
La blu si strinse nelle spalle. «Cercavo di maledire una mia compagna di classe.» rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«E per quale motivo?» squittii.
«Perché sta facendo la poco di buono col ragazzo che mi piace.» ringhiò.
Mi nascosi ancora di più dietro i due ragazzi. «Almeno non sei volgare.»
«Lucy, non tutte le ragazze possiedono la tua finezza da boscaiolo, grazie a Mavis. Anzi forse sei l’unica ad esprimerti così male.» sbuffò Natsu.
Gli lanciai un’occhiataccia.
«Veramente mi sono già divertita ad insultarla con quante più parole conoscessi prima, mentre stavo appendendo la diciottesima bambola. In più se lo avessi fatto davanti al fratellone mi avrebbe messo in punizione.»
“Diciottesima?”
Rabbrividii.
Mi sforzai di bloccare la mia fantasia prima che mi si parasse davanti l’immagine di una Wendy che davanti a un albero, correva in tondo e gridava parolacce nella lingua di Mordor.
“Ok, come non detto, è partita prima che potessi fermarla.”
Lanciai un’occhiata a Natsu, lo vidi bianco come la luna alta nel cielo, faceva quasi paura intorno a quel nero. Lo scossi, ma niente, doveva aver perso le sue facoltà mentali. E forse pure quelle motorie…
«Andiamo Sting, ho un po’ di fame. Ci pensi tu al timballo?» proposi abbandonandolo lì, mentre mio fratello scattava sull’attenti e schizzava alla velocità della luce all’interno della casa.
 








Yumeha’s Corner
Uhm.. Ciao a tutti?
Ok, questo capitolo a me fa schifo. Ammetto di aver fatto un disastro lo so, in più scommetto che non fa nemmeno ridere. E una storia di genere Commedia deve far ridere! D:Perdonatemi ragazzi, prometto che quello seguente sarà migliore! ♥ Ho già in mente alcune idee fantastiche, mi viene da sghignazzare solo a pensarci. xD Sono indecisa se nel prossimo attaccare subito con la scuola o far godere almeno loro di qualche giorno in più di vacanza. Ma al 70% nella prossima puntata di ‘Scommettiamo?’ (?) inizierà la scuola. u-u
C’è di buono che vi siete beccati un po’ di sano NaLu, no? :’3 *cerca di farsi perdonare(?)* Qui sono scattati i primi sintomi dell’innamoramento, euheuhe. E Sting geloso? Non è l’amore? *Q* ♥ Poi approfondirò di più questo suo lato. ♥
Mi farete sapere cosa ne pensate? çwç Me la lasciate una recensione piccola piccola? cwc Però parlate sinceramente, dei ‘bella’ finti non me ne faccio nulla. i.i
Prima di sparire, perché mi vergogno ad aver postato questa roba ouo, vorrei ringraziare quelle splendide persone che hanno recensito lo scorso capitolo: Lisa-chan, Sum, Gemè, Milky, Sol-chan e Ga-chan. ♥ Siete la mia forza. ♥
A presto col prossimo fiammante capitolo (?) c;
Yumeha/Lilith ♥

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Capitolo 5
*** Cap 4: Incontri in posti non proprio adatti, scuola e proteste fin troppo esplicite. ***



Incontri in posti non proprio adatti, scuola e proteste fin troppo esplicite.
 
~ Capitolo 4
 
Stavo dormendo beatamente, mentre sognavo di far parte dell'FBI, tra le mani una pistola e una missione da portare a termine, quando la sveglia suonò e mi fece capitolare dal letto per lo spavento. Mancai lo spigolo del comodino con la testa per un soffio, mi alzai stancamente e guardando la sveglia ancora assonnata, la spensi. Sbuffai, appoggiandomi con la schiena contro il letto, una mano sul viso.
La scuola era iniziata.
Questo significava che le vacanze erano finite.
Grugnii infastidita e mi alzai con stizza, marciando in direzione della cucina, fregandome bellamente del fatto che addosso avessi un indecente babydoll di raso azzurro scuro bordato in pizzo blu.
Scesi le scale, mi riavviai i capelli dorati con una mano e quando alzai lo sguardo mi trovai davanti Natsu che mi squadrava dall'alto in basso. Non eravamo molto distanti, così potei notare di nuovo quegli occhi che mi scrutavano, diventati quasi del tutto verdi. Improvvisamente sentii caldo, troppo caldo, specialmente in viso. Il mio cuore che batteva a un ritmo troppo veloce perché il mio respiro potesse stargli dietro.
«Ehm.» balbettai.
Natsu sembrò riprendersi, i suoi occhi tornare allo stato naturale, due ossidiane dalla peculiarità di avere delle parti che richiamavano lo smeraldo. Non seppi come mai, ma mi ritrovai a pensare che come anello di fidanzamento avrei voluto avere uno smeraldo. Eppure le mie pietre preferite erano sempre state lo zaffiro e il diamante...
Il rosato abbassò lo sguardo e filò in cucina a capo chino. Lo seguii imbarazzata, mentre il mio stomaco reclamava la colazione. Ad aspettarci c'erano già Wendy e Sting, seduti a tavola a consumare il loro cibo. Mio fratello stava divorando una Kinder Delice mentre la blu sorseggiava un the caldo. Inarcai un sopracciglio quando notai il mignolo della ragazzina alzato, mentre sosteneva la tazza rosa con sopra Bloom. Incredibile, non seppi come mai ma io la collegai all'immagine di una mafiosa. Tazza esclusa. Anzi, forse mi sembrava più adatto un caffè per un mafioso. Non che la cosa mi interessasse più di tanto, non capii nemmeno come faceva a ricordarmelo. Magari era per il carattere, sì era così.
Mi avvicinai alla cucina e prendendo una tazza con degli orsacchiotti, la riempii di latte freddo. «Qualcuno sa dove sono le barchette Coco Pops?»
«Scaffale in alto a destra.» trillò Wendy.
Presi la confezione e anche un cucchiaio, subito dopo mi lasciai scivolare sulla sedia con un tonfo, urtando per sbaglio il tavolo.
«Certo che quando sei nata te, la grazia e l'eleganza in quel momento dovevano essere andate a farsi un giro.» commentò acido Natsu, cercando di pulirsi la macchia di caffelatte schizzata sulla sua maglietta.
Gli scoccai un'occhiataccia da sotto le ciglia, sforzandomi di non mandarlo a quel paese già di prima mattina. Ma Wendy decise che quel giorno evidentemente, doveva per forza iniziare male.
«Fratellino, non trovi che Lu-chan sia particolarmente sexy con il suo pigiamino?» cinguettò.
Sputai latte e cereali in faccia a mio fratello per la sorpresa, mentre a Natsu andò di traverso il liquido caldo.
«Che?» squittì.
M'imbarazzai ulteriormente, rievocando mentalmente ciò che era successo poco prima. Tirai la stoffa bordata di pizzo più in basso, cercando di coprirmi un po' di più le gambe, ma dovetti rinunciare quando per poco non rimasi nuda sulla parte superiore, nel tentativo di far sembrare invano quel babydoll un po' più pudico.
Impresa ardua, se non impossibile. Quando mai un babydoll poteva risultare pudico?
"Maledizione alla mia fissa per l'intimo audace!"
D'altronde non potevo farci nulla, avevo sempre amato l'underwear, a casa avevo una zona della mia cabina dedicata solo a quello, veramente grande oltretutto.
La blu sorrise, un ghigno malefico più che altro. «Dai, non fare il finto tonto!» ridacchiò. «Non pensi che così Lucy sia in grado di provocare un'epistassi di massa?» commentò serafica.
Arrossii talmente tanto che in quel momento sentii di poter riscaldare il latte freddo col calore del corpo aumentato a dismisura. Anche Natsu arrossì, con mio sommo stupore - e piacere, lo ammetto.
Ma anche se mi sarebbe piaciuto scoprire cosa ne pensasse di me vestita in quel modo, il ragazzo si alzò repentinamente, facendo scivolare la sedia all'indietro e sparì su per le scale a una velocità supersonica. Rimasi a fissare la tazza con gli orsacchiotti mordicchiandomi il labbro inferiore, terribilmente a disagio. Mio fratello sembrava non essersi accorto di nulla, bastava mettergli sotto il naso del cioccolato che il resto intorno a lui scendeva in secondo piano. Sarebbe potuta saltare in aria la casa, lui sarebbe rimasto seduto a finire il suo amato e prelibato cioccolato. Wendy invece aveva l'aria di quella che sta per combinare qualcosa di losco, ma sorvolai e decisi fosse il caso di andarmi a fare una doccia rigenerante. Mi alzai - 'stavolta facendo attenzione a non rovesciare qualcos'altro - e mi diressi in bagno. Salii le scale a due a due, e quando raggiunsi la porta del bagno l'aprii e mi liberai del babydoll, insieme alle mutandine abbinate. Ero talmente presa dai miei pensieri - "Non stavo pensando alle sue pagliuzze verdi, nooo." - che non mi accorsi di un particolare: quando feci scorrere la porticina della doccia, davanti a me si presentò uno spettacolo che non seppi definire bene. Mozzafiato lo era di sicuro però. Proprio di fronte a me, esattamente come mamma l'aveva fatto, si trovava Natsu Dragneel.
I suoi occhi leggermente sbarrati scorrevano avidi e curiosi sul mio corpo, talmente verdi da sembrare innaturali. Le sue labbra disegnavano una piccola 'o' di stupore. Sulle sue spalle larghe scivolavano veloci le goccioline d'acqua, talmente rapide che sembravano scorrere sul marmo bianco e levigato di una statua perfetta. Seguii le goccioline, che scendevano sul suo petto, sull'addome scolpito, sulla V davanti alla quale cominciai a farmi una serie di filmini totalmente indecenti e...
"Gesù!"
Mi stampai le mani sulla faccia - facendomi male, oltretutto - nel tentativo di coprire la visuale, cacciando un grido che fece riprendere il ragazzo. Ma nell'uscire dalla doccia, non tenni conto del pavimento scivoloso: sentii il mio piede slittare e subito dopo cadere all'indietro. Fu un attimo, Natsu mi afferrò un braccio, ma non riuscì a sostenermi, di conseguenza cadde rovinosamente a terra, sopra di me.
"Sto per morire..."
Il rosato alzò il busto, facendo leva sui gomiti e osservandomi meglio dall'alto. In pochissimo tempo, le sue iridi tornate due ossidiane, cambiarono nuovamente in quegli smeraldi a cui mi ero inconsapevolmente affezionata. Cominciai a pensare che i suoi occhi cambiassero colore in base alle emozioni: quando diventavano completamente verdi - come successo più volte oggi - sembravano voler dire che stessero ammirando qualcosa che gli piaceva particolarmente, anche perché l'espressione meravigliata che aveva in viso confermava la mia ipotesi. Continuavo a fissarlo, mentre il mio cervello prendeva le valige e appendeva da qualche parte nel mio cranio un cartello con scritto "Sono andato a prendere un caffè al bar". Il mio sguardo scivolò su quelle labbra ben delineate, e in quell'esatto momento sentii il cuore partirmi in quarta. Non mi preoccupai nemmeno più di essere completamente nuda ed esposta sotto di lui, il pensiero della sua bocca aveva colonizzato il mio cervello.
"Ah no, lui è andato a prendersi un caffè. Uhm, allora il cranio?"
Sentii Natsu avvicinarsi sempre di più, tanto che i nostri petti ormai aderirono completamente. Mi stava fissando da sotto le ciglia con occhi liquidi, mentre quella bocca perfetta da risultare disegnata, sembrava attratta come una calamita verso la mia.
Due calamite gemelle destinate a rincontrarsi.
"Bleah! Ecco i pensieri che partorisco quando il mio cervello abbandona la mia zucca! Disgustosamente diabetici!"
Quando sentii il suo respiro caldo mescolarsi al mio, mentre le nostre labbra erano talmente vicine da sfiorarsi, qualcuno ebbe la brillante idea di bussare alla porta tanto forte da buttarla quasi giù. E ovviamente voleva morire per mano mia.
In quel momento il mio cervello rientrò nella mia testa, anche perché mi accorsi di quello che fosse successo solo ora. Strillai, alzandomi velocissima e riuscendo a dare anche una craniata a Natsu che indietreggiò tremante. Afferrai un asciugamano a caso e mi coprii il corpo alla bell'e meglio, uscendo poi - correndo sarebbe più corretto - dal bagno per raggiungere camera mia.
Ignorai l'occhiata perplessa che mi rivolse Sting, sbattei la porta violentemente e la chiusi pure a chiave.
"Decisamente, questa mattina non era iniziata bene!"
Finito di vestirmi, presi lo zaino e uscii da camera mia, guardandomi prima in giro per scorgere una figura dai capelli rosa. Appurato di non vedere nessuno con tale colore di capelli, uscii allo scoperto e mi avviai alla porta di casa. Notai Sting seduto a gambe incrociate sul divano in pigiama, mentre faceva zapping alla televisione.
Sbarrai gli occhi. «Sting! Passa fra cinque minuti il pullman!»
«Uhm uhm.» annuì. «Arrivo dopo, non ti preoccupare.»
Inarcai un sopracciglio ma non obbiettai. Avevo il terrore di ritrovarmi Natsu da qualche parte. Scorsi Wendy raggiungermi saltellando su un piede, mentre cercava di infilarsi una scarpetta.
«Oh, Lu! Andiamo insieme alla fermata?» trillò.
Feci spallucce. «Sì.»
Uscimmo di casa, lanciai un'ultima occhiata preoccupata al biondo, poi cominciai a camminare velocemente, non era il caso perdere il pullman il primo giorno di scuola ed entrare in ritardo.
Quando arrivai a destinazione, riconobbi una figura minuta a me familiare. La ragazza si voltò, facendo ondeggiare i mossi capelli turchini e guardandomi con quegli occhi ambrati leggermente sbarrati dalla sorpresa. In un attimo le sue labbra si distesero, illuminando il suo viso con un bel sorriso. Levy lasciò cadere la cartella per terra con un tonfo, subito dopo mi corse in contro e all'ultimo saltò. Fortunatamente avevo sempre avuto buoni riflessi, così riuscii a prenderla al volo, mentre lei si stringeva in un abbraccio stile koala. Mi stupii anche quella volta di quanto fosse leggera, piccola e delicata tra le mie braccia.
«Lu-chan! Finalmente potrò vederti con più frequenza!» gioì.
Quando la ragazza si lasciò scivolare, tornando coi piedi per terra, mi morsi il labbro inferiore per non ridacchiare. Era così bassa e tenera.
«Sono felice anche io di rivederti Levy-chan.» sorrisi radiosa. «Un po' meno che inizi la scuola.» borbottai.
Lei sventolò una mano davanti al viso. «Non dire sciocchezze, io sono contenta di riprendere i miei studi.»
La guardai maliziosa. «Studiare Gajeel, forse.» ridacchiai.
«Sht!» mi silenziò agitando le braccia, mentre il viso cominciava ad assumere un tenero colorito color porpora. «Non pronunciare il suo nome!» strillò.
«Colui che non deve essere nominato.» risi.
Levy mi scoccò un'occhiataccia. «Esattamente.»
In quel momento il pullman arrivò, e già potemmo vedere che c'erano diverse persone sulla vettura blu. Salii insieme alla mia migliore amica, mostrando l'abbonamento all'autista. Subito dopo feci scorrere lo sguardo tra i posti, nel tentativo di trovarne un paio liberi, possibilmente vicini. Quando però i miei occhi entrarono in contatto con due iridi che avevano il potere di mandare alle ortiche le mie facoltà mentali, sentii di trovarmi come su una parte totalmente instabile, le guance ricolorarsi dello stesso furioso rossore di quella mattina e il cuore iniziare ad aumentare il ritmo. L'episodio della doccia tornò alla mia mente con prepotenza, lasciandomi destabilizzata. Accanto a lui si trovava Gray, il suo migliore amico. Supposi che fosse salito sul pullman alla fermata prima. Il moro mi sorrise e mi salutò con un cenno del capo. Deglutii, trovandomi la gola inaspettatamente secca, e ricambiai il saluto con la mano.
«Tutto bene?» chiese Levy dietro di me, notando mi fossi fermata in mezzo al pullman.
Annuii svelta. «Certamente!» squittii.
«Allora vai in fondo.» disse la turchina.
Sudai freddo. Gray mi fece cenno di raggiungerlo, mentre come un automa mi ritrovai subito vicino a lui, dove dietro il rosato e il moro c'erano due posti liberi. Mi sedetti vicino al finestrino, mentre la mia migliore amica accanto.
«Lu-chan!» trillò una voce.
Mi voltai e riconobbi la figura di Lluvia che mi guardava sorridendo.
«Ciao Lluvia, come stai?» sorrisi.
"Anche se ero sicura di aver appena fatto una colica invece di un sorriso."
«Lluvia sta bene, grazie, tu?»
"Male! Malissimo!"
«Bene.» gracchiai.
L'azzurra inarcò un sopracciglio, ma ebbe la decenza di non fare supposizioni azzardate. Nel frattempo si avvicinò anche Gajeel, che si era seduto in fondo ad ascoltare isolato la musica con le sue cuffiette. Levy abbassò immediatamente lo sguardo imbarazzata.
Il ragazzo moro guardò me e Natsu con un ghigno. «Ohi Bunnygirl, Salamander, ora vivete insieme
Sorvolai sul fatto che avesse fatto apposta a calcare sull'ultima parola, ma non riuscii comunque ad impedirmi di arrossire. «Già.» grugnii.
«Scommetto che è successo qualcosa.» ridacchiò malefico.
Il mio colorito riprese esattamente la tonalità di una camionetta dei pompieri, guardai Natsu esitante e lo scoprii anche lui rosso in viso e terribilmente imbarazzato.
"Che carino."
Ma che cosa penso?! Serrai le palpebre, coprendomi il viso con le mani, però reagendo così mi trovai ad affermare senza volerlo le supposizioni dell'energumeno.
«Vi siete baciati.» ipotizzò Gray.
"Pure tu ora?!"
«Assolutamente no!» gridammo all'unisono, facendo voltare tutti i passeggeri.
«Se è successo qualcosa deve essere accaduto questa mattina, continuano ad arrossire.» notò Lluvia.
Le lanciai un'occhiataccia che se fossi stata in grado, l'avrei folgorata. L'azzurra tossicchiò e voltò il capo iniziando a fischiettare.
"Tanto facciamo i conti dopo, noi due."
Lanciai un'occhiata fuori, appurando - con mio grande sollievo - che mancassero solo pochi metri alla fermata, sospirai e scavalcando la mia migliore amica con una mossa da contorsionista spastico, riuscii a passare senza finire col muso per terra. E già lì mi complimentai con me stessa.
Quasi corsi verso la porta, e per la fretta mi dimenticai anche di aggrapparmi a qualcosa per mantenermi in equilibrio, cosa che ovviamente mi fu fatale: l'autista fece una tale frenata che fu quasi paragonabile a quelle di Sting.
"Ok, non esageriamo. Con Sting si rischia la morte con questo invece..."
Scivolai e caddi come un sacco di patate, solo che invece di sbattere il mento per terra, atterrai su qualcosa di più morbido e caldo.
Tra le dita sentii il fresco della stoffa, mentre appena sotto di essa il bollente del calore corporeo. Aprii gli occhi e scoprii di essere a cavalcioni sopra Natsu, che mi guardava stralunato e con le gote leggermente rosse. Avvampai anche io, solo che in quel momento, il mio corpo sembrava aver preso vita propria: la mia mano era esattamente sopra il ventre del ragazzo e anche al di sopra della maglietta sottile riuscii a sentire la linea scolpita degli addominali. Quando realizzai la posizione equivoca in cui ci trovavamo, e soprattutto il fatto che tutti sul pullman ci stessero fissando, balzai in piedi, rischiando anche di andare a sbattere contro una vecchietta che per poco non mi menò con la sua enorme borsa.
Appena le porte si aprirono uscii velocissima dalla vettura, inciampai un paio di volte ma alla fine riuscii a raggiungere il cancello della scuola e ad ignorare i miei amici che continuavano a fare i maliziosi per quello che era successo poco prima.
Mi guardai in giro e appena scorsi la figura di una ragazza bellissima, con lunghi capelli castani e occhi ambrati, cominciai a correrle in contro.
Quando le fui vicina, l'abbracciai. «Kagura-chan!» trillai.
La castana si voltò e riuscì a non sbilanciarsi, ridacchiando. «Lu-chan, lo sai che qui a scuola devi chiamarmi senpai, sono più grande di te.»
Gonfiai le guance. «Ma solo di un anno!»
«Buongiorno Lucy.» salutò Erza.
Guardai la rossa illuminandomi con un sorriso radioso. «Er-chan!»
La ragazza arrossì e io non potei che trovarla adorabile. Era una ragazza molto timida, ma se la facevi arrabbiare non ti rimaneva molto da vivere. Erza era una boxista a livello internazionale, insieme a mio fratello Sting, in più praticava kendo, dato che amava le spade alla follia. Inutile dire che poi ti avrebbe usato come tappeto da stendere sull'entrata se l'avessi contraddetta.
«Lu-chan carissima!» trillò qualcuno dietro di me.
Mi voltai e davanti a me scorsi la figura di un ragazzo moro, con gli occhi di un bel rosso vermiglio. Peccato che questi fossero coperti da un pesante strato di mascara brillantinato, che ogni volta che sbatteva le palpebre venivi sommerso da un'ondata di luccichii. Talmente tanti da farlo sembrare una di quelle palle da discoteca che irradiava luce ovunque. Indossava un'indecente magliettina rosa con scollo a V e dei jeans blu attillati con il risvoltino all'insù.
Rogue Cheney arrivò sgambettando e quando si ritrovò davanti a me mi stampò sulle guance due baci con tanto di schiocco.
«Cara oggi sei uno splendore.» annuì il moro squadrandomi.
Lo guardai sospetta. «Grazie.»
«Dov'è quel gran pezzo di gnocco di tuo fratello?» chiese, appoggiando le mani sui fianchi e guardandosi in giro.
Non feci in tempo ad aprire bocca che, in quel momento, davanti a noi passò a tutta velocità la figura di un ragazzo.
Biondo.
Molto simile a mio fratello, purtroppo.
Con in mano un cartello con scritto: Chiudete la scuola!
E - con piacere di quel gay del suo migliore amico - completamente nudo.
No, non stavo scherzando. Sting aveva deciso di protestare contro la scuola e completamente nudo.
Rogue gli lanciò uno sguardo d'apprezzamento, leccandosi il labbro inferiore. «È così... così... grande
«Rogue!» lo rimproverai.
Il moro fece le fusa. «Scusami tesoro, ma hai un fratello che sembra un putto rinascimentale.»
In quel momento alcuni dei suoi amici gli corsero dietro e appena lo raggiunsero gli saltarono addosso, placcandolo. Poco dopo lo presero di peso e lo portarono via, provocando diversi sospiri dispiaciuti provenenti da tutta la fauna femminile, e da Rogue. Lui non sapevo dove collocarlo. Dopotutto non era una ragazza, ma non era nemmeno un ragazzo.
Insomma, lui era... Rogue.
Tsk, i dilemmi della vita.
***
 
Ero sdraiata sul letto, mentre sfogliavo il libro di filosofia con astio mentre mandavo al Diavolo tutti quei maledetti filosofi.
"Certo che per partorire certe stronzate la roba che si fumavano doveva essere davvero buona."
Lanciai un'occhiata all'orologio appeso alla parete, che segnava le 17:05. Rotolando sul materasso, caddi per terra con un tonfo e raggiunsi strisciando la porta di camera mia. Quando realizzai di non riuscire ad arrivare alla maniglia, mi alzai e uscii dalla stanza, dirigendomi in cucina per fare merenda. Una volta arrivata, scorsi Sting sul divano con le gambe all'aria e a testa in giù, mi lanciò un'occhiata e poi sorrise debolmente.
«Ti hanno pestato?» chiesi.
Il biondo aggrottò le sopracciglia. «Assolutamente no.»
«Non provare mai più a fare una cosa come quella di stamattina.» sentenziai.
«Va bene.» sbuffò.
Iniziai a cercare un po' ovunque, finché non trovai il mio adorato cibo. In quel momento partì a tutto volume "Problem" di Natalia Kills, guardai il display del cellulare e risposi alla chiamata. Mio fratello sobbalzò nel sentire la sirena iniziale della polizia.
«Sono venuti a prendermi!» strillò.
Lo ignorai. «Pronto?»
– Ehi Lucy! –  salutò Levy.
«Ciao Levy-chan, da quanto tempo non ci vediamo.» ironizzai.
 – Spiritosa. – sbuffò la turchina. – Che fai di bello? –
«Merenda, sto mangiando un omogeneizzato.» Levy tacque per un po'. «Pronto?»
 – Dimmi la verità: ti sei di nuovo fusa con la Nutella diventando un corpo solo? – domandò preoccupata la mia migliore amica.
«Mhm, no. Sto sul serio mangiando la poltiglia gialla che amo tanto. Quando siamo andati al supermercato ne ho comprati talmente tanti che ho paura che si possano riprodurre da un momento all'altro.» risposi, mettendomi in bocca una nuova cucchiaiata.
– Be', non sarebbe male. – ridacchiò Levy.
«No, infatti. Potrei conquistare il mondo col mio esercito di omogeneizzati alla mela. Andiamo, nemmeno Wendy sarebbe in grado di fermarmi poi.» ghignai.

– Ma state combattendo fra di voi per la conquista del mondo? – notò lei. «Qualcosa di simile, anche se lei non lo sa ancora che le ho dichiarato guerra.» ammisi.
 – Occhio, che potrebbe maledirti con le sue bambole voodoo. – mi ammonì Levy.
Risi. «Hai ragione, devo fare attenzione.»
«Perché mangi quella pappetta per bambini? Hai finalmente capito a quanti anni si è fermato il tuo cervello?» mi prese in giro Natsu.
Mi voltai verso di lui sbuffando. «Uomo, sparisci.»
«Be' almeno non mi hai dato della donna.» sbuffò.
«No, quello è Rogue.» ridacchiai sotto i baffi.
E poi poteva stare tranquillo, ne ero consapevole che Natsu fosse un uomo e non una donna dopo l'episodio di questa mattina. Se prima avevo dubitato sulla sua virilità, tutto quello che si trovava sul davanti sembrava gridarmi "Io sono un vero omo!"
"E che omo!"
– Io ci sarei ancora ragazzi. – borbottò la turchina.
Nel frattempo il biondo cavernicolo si alzò dal divano per raggiungerci in cucina. «A m m pasc a Nutell, panin e porchett. E merendin in quantità!» cantò.
Lo guardai stralunata, insieme al rosato.
– Vabbe', visto che non mi caga nessuno vi saluto. – la turchina chiuse la telefonata indispettita.
Povera, non volevo ignorarla, ma dovevo tenere d'occhio quei due, erano un potenziale pericolo.
A proposito di pericolo, in quel momento arrivò Wendy, intenta a canticchiare una canzone delle Winx.
«Fratellino ho fame, preparami qualcosa.» ordinò.
Potevo avere dalla mia parte un esercito di omogeneizzati, ma Wendy per me era ancora impossibile da sconfiggere e per farlo avrei avuto bisogno di alleati.
Pensai bene alla mia cerchia di conoscenze.
Chi poteva – e soprattutto voleva – dichiarare guerra alla più temibile bambina mai esistita?

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Capitolo 6
*** Cap 5: Nuovi compagni a scuola, vecchie conoscenze indesiderate, ragni pericolosi e dolci attenzioni. ***


 
Nuovi compagni a scuola, vecchie conoscenze indesiderate, ragni pericolosi e dolci attenzioni.



Era solo il secondo giorno di scuola, eppure io non ne potevo già più. Quando questa mattina sentii per la seconda volta la sveglia suonare, la presi e la scaraventai contro il muro, rompendola in tanti deliziosi pezzettini. Non era servito a nulla, ma mi sentivo decisamente meglio.
Prendetemi per pazza ma io quando distruggevo qualcosa tornavo tranquilla e rilassata. La distruzione è sempre stata un calmante per il mio nervosismo.
Quando mi alzai, finii per terra a causa della mia pressione bassa. Ogni volta che mi alzavo da un letto, divano o poltrona la mia vista si obnubilava completamente, mi veniva un forte mal di testa e le mie gambe diventavano incapaci di sorreggermi.
Ero un caso perso, lo sapevo.
Uscii da camera mia, ‘stavolta con un semplicissimo pigiama azzurrino composto da una magliettina a maniche corte e da un pinocchietto.
“Sì, avevo cambiato pigiama dopo ieri…”
Scesi le scale e raggiunsi la cucina, dove tutti erano già presenti. Wendy col suo solito the deteinato, Natsu col suo caffelatte e Sting questa volta con una Fiesta. Mio fratello adorava le merendine, ne mangiava tante ma non ingrassava mai.
“Maledetto lui e il suo metabolismo veloce!”
Con passo lento e pesante mi avvicinai all’antina dove erano stati riposti i miei fidati cereali Coco Pops e poi mi sedetti a tavola.
«’Giorno.» mugugnai.
«Buongiorno!» sorrise Sting.
«Ben svegliata.» fece la blu.
Natsu invece non mi degnò nemmeno di un’occhiata. Inarcai un sopracciglio ma non dissi nulla, non mi importava.
“Sì, Lucy, autoconvinciti…”
Non seppi per quale motivo, ma mi ritrovai a pensare che questa giornata sarebbe stata un disastro. Aggrottai le sopracciglia, ma scacciai il pensiero non appena mi misi in bocca la nuova cucchiaiata di latte freddo accompagnato dalle mie adorate barchette al cioccolato.
 
Quando finii di prepararmi, presi la mia cartella e come al solito uscii di casa per andare a prendere il pullman         e anche quella volta riuscii ad entrare in aula sana e salva. Rogue mi aveva fatto sapere che quel pomeriggio sarebbe venuto a casa mia, e avrebbe passato il resto della giornata insieme a Sting. Ovviamente io avrei ritirato loro la chiave della stanza di mio fratello, non mi fidavo a lasciarlo da solo in una camera insieme a lui. Andiamo, non volevo che venisse stuprato a diciotto anni, poverino, poi sarebbe stato traumatizzato a vita conoscendolo.
Prima di varcare la porta dell’Inferno, lanciai un’occhiata alle mie spalle e notai Natsu entrare nella sua classe accompagnato da Gray. I nostri sguardi si incrociarono per un attimo, poi voltai il capo ed entrai in classe a sguardo basso. Mi avvicinai al mio banco, penultima fila e vicino alla finestra, e mi sedetti. Appoggiai i gomiti sulla superficie legnosa e il mento sui palmi delle mani, sentii la professoressa entrare ma non la degnai di attenzione, in quel momento ero troppo occupata a ricercare qualsiasi elemento verde fuori dalla finestra. Poco dopo però il mio interesse fu attratto dal brusio che si sollevò nell’aula non appena l’insegnante disse. «Ragazzi, oggi si unirà a noi una nuova ragazza. È molto famosa, sono sicura che la conoscete tutti.»
Mi voltai, osservando la figura di una ragazza dalla bellezza angelica, snella e dalla pelle nivea. Occhi grandi e azzurri e capelli albini corti. I nostri ragazzi andarono direttamente in adorazione per la nuova arrivata.
«Ciao a tutti, il mio nome è Lisanna Strauss.» sorrise.
Levy di fianco a me mi tirò una gomitata. «Non ci posso credere!» sussurrò al mio indirizzo. «È Lisanna! La migliore cantante pop del momento!» squittì.
Riportai lo sguardo sull’albina, squadrandola con sufficienza, non mi erano mai piaciute le sue canzoni. Come mai una cantante famosissima come lei si era abbassata a frequentare una scuola? Non avevano un insegnante privato quel genere di persone?
«Prego Signorina Strauss, può sedersi.» le sorrise la professoressa indicandole un banco libero.
Le dava addirittura del lei? Inarcai un sopracciglio e mi limitai a roteare gli occhi quando vidi la ragazza camminare con passo sicuro, mettendo un piede davanti all’altro come se stesse sfilando su una passerella e avesse tutti i riflettori puntati addosso. Raggiunto il banco si sedette e con un movimento fluido accavallò le gambe senza preoccuparsi di avere addosso una minigonna. Dai ragazzi provenne un sospiro, mentre sulle labbra sottili e rosee della nuova arrivata affiorò un sorrisetto compiaciuto.
Mi sporsi verso la turchina e bisbigliai. «Mi sta già sul cazzo.»
«Ecco la tua finezza da scaricatore di porto.» ridacchiò.
Sventolai una mano, come a cacciare un insetto molesto. «Il pensiero è sempre lo stesso.»
«Io voglio farmela amica, stiamo parlando di una persona famosa. Potrebbe tornarmi utile.» ghignò.
Mi morsi il labbro inferiore per non ridere. «Sei un genio del male.»
«Effettivamente.» disse la mia migliore amica, portandosi dietro i capelli mossi con una mano.
 
Arrivò finalmente l’intervallo, ma se avessi saputo cosa sarebbe successo non avrei usato il termine “finalmente” ma “purtroppo”. Quando la campanella suonò e io mi alzai per farmi un giro con Levy e Lluvia, la nostra aula venne invasa da studenti di tutte le classi, curiosi di appurare se le voci di corridoio corrispondessero a verità. La nostra nuova celebrità non degnò nessuno di uno sguardo, i suoi occhioni azzurri erano concentrati su una figura che invece era me molto nota.
Descrizione della persona? Capelli rosa e occhi magnetici.
Natsu Dragneel? Esattamente.
Sempre con quel suo passo da modella, raggiunse il ragazzo e lo abbracciò di slancio, stampandogli un bacio sulla guancia. Sentii la mascella cedermi e cadere per terra.
L’azzurra mi lanciò un’occhiata nervosa, mentre Levy inarcò un sopracciglio.
«Si conoscono?» mormorò Lluvia.
«Non lo so.» sibilai.
La mia migliore amica mi osservò maliziosa. «Sei gelosa.»
Sbattei le ciglia, accorgendomi in quel momento di provare effettivamente un tremendo fastidio. Ma io non ero gelosa! Figuriamoci! Io e Natsu ci detestavamo e vivevamo solo sotto lo stesso tetto, ma nessuno dei due provava qualcosa nei confronti dell’altra. Perché allora stavo marciando in direzione dei due ragazzi e con un’espressione minacciosa?
Quando mi trovai davanti a loro e mi resi conto troppo tardi del gesto sconsiderato, arrossii come una stupida.
Lisanna mi lanciò un’occhiata che non seppi definire. «Ci conosciamo?»
«Siamo nella stessa classe, oca.» grugnii.
L’albina sbarrò i suoi occhioni oltraggiata. «Come, scusa? Hai idea di chi sono io?»
Ignorandola, afferrai il braccio del rosato e lo allontanai dalla nuova ragazza, portandolo nemmeno io sapevo dove.
«Lucy, si può sapere cosa ti è preso?» sbottò Natsu. Mi guardai intorno a disagio, una mano a stringere il polso caldo del ragazzo e l’altra stretta a pugno. Quando il rosato capì che non gli avrei risposto, si liberò dalla mia stretta e mi afferrò per le spalle, fermandomi. «Allora?»
Mi mordicchiai il labbro, tenendo lo sguardo basso. «Dovevo dirti una cosa.»
“Balla. Grandissima balla.”
Natsu incrociò le braccia al petto, guardandomi sospettoso. «Ah sì? Sentiamo.»
In quel momento però, dalla mia bocca sfuggì solo una semplice constatazione. «Ieri mattina, in doccia.» Arrossii violentemente, così come Natsu. «P-pensavo che fossi arrabbiato con me! ‘Stamattina n-non mi hai nemmeno guardata.» balbettai.
Il mio sguardo era ostinatamente rivolto alla punta delle mie scarpe, che in quel momento potevano essere l’unica cosa in grado di non farmi balbettare troppo, dovevo concentrarmi su qualcosa e potevo farcela. Ma era chiaro che il tentativo era fallito miseramente quando poco prima mi ero impappinata nel tentativo di provare a spiegarmi.
Quando dopo un po’ che non ricevetti nessuna risposta, fui costretta ad alzare il viso per osservare cosa stesse facendo Natsu. Il ragazzo si era circondato con un braccio, gli occhi rivolti anche lui verso il basso, le gote rosse e il labbro inferiore stretto tra i denti. A quella visione sentii il mio cuore cominciare a prendere il volo inspiegabilmente, schiusi le labbra per cercare di far passare più aria, cercando di mantenere un contegno. Mi appoggiai agli armadietti che c’erano dietro di me, per sostenermi, non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo.
In quel momento il rosato puntò lo sguardo su di me, facendomi sussultare, quegli occhi ora completamente verdi, persi in chissà quale ricordo…
“Sì, Lucy, fai finta di non sapere quale.”
«A-allora?» farfugliai nuovamente.
Il mio fratellastro sbuffò spazientito. «Non ero arrabbiato con te.» gli occhi puntati ancora nei miei. «Ero solo… imbarazzato.»
«Senti, non volevo entrare in doccia, non sapevo che ci fossi tu.» borbottai.
Lui ridacchiò. «Ci mancherebbe.»
«Ok, ok!» arrossii, agitando le mani davanti a me in preda alla vergogna. «Comunque non ho visto nulla…» a quelle parole diventai bordeaux.
Altra balla.
Avevo visto, eccome se avevo visto.
«N-nemmeno io.» deglutì lui.
Chissà perché, ma sapevo benissimo che stesse mentendo. Andiamo, quando ho fatto scorrere l’antina i suoi occhi hanno percorso ogni mio centimetro di pelle con lentezza estenuante e attenzione. Come se volesse imprimersi a fuoco ogni mio più piccolo particolare, come se volesse fotografarmi con quegli smeraldi espressivi.
«E io ci credo...» sbuffai, incrociando le braccia sotto al seno.
Natsu aggrottò le sopracciglia. «Be’, fai un po’ come vuoi.»
«Come ho sempre fatto d’altronde.» roteai gli occhi.
«Sì, infatti! Mai una volta che ascolti qualcuno!» fece, alzando un po’ di più la voce.
Mi sentii punta sul vivo. «Ehi! E questo che significa?!» sbottai.
«Niente.» sibilò, voltandosi e andandosene. «Ah, belli i tre nei a forma di triangolo che hai sull’addome.» urlò, facendo in modo che potessero sentire tutti.
Arrossii violentemente. «Io non ho nulla di simile!»
«Anche quello sull’inguine, molto sexy oserei dire.» ghignò.
Arrossii ancora di più a quelle parole.
“Maledetto bastardo!”
Abbassai subito lo sguardo, notando che tutta la scuola ci stesse fissando con interesse. Ero talmente imbarazzata da sentirmi gli occhi lucidi, di conseguenza vedevo tutto appannato. Tenni gli occhi puntati rigorosamente a terra, fino a quando non arrivai in classe, dove Levy e Lluvia mi stavano aspettando. La turchina mi lanciò un’occhiata maliziosa, mentre l’azzurra una preoccupata. Riuscii ad entrare prima dell’arrivo della professoressa, anche perché l’intervallo era finito da un paio di minuti e avevo paura di venir rimproverata per una cosa che mi era solo sfuggita di mano e che non avevo fatto di proposito. Obbiettivamente, ormai io e le mie amiche siamo state sbattute in presidenza tante di quelle volte che una in più non avrebbe fatto differenza, ma questo non era il caso. Nemmeno il momento.
A passo spedito raggiunsi il mio banco, lasciandomi scivolare pesantemente sulla sedia. Levy si voltò verso di me, probabilmente per chiedere spiegazioni, ma grazie a Mavis la professoressa entrò in quell’esatto momento e lei fu costretta a richiudere la bocca immediatamente.
Passai tutta l’ora a ripensare alla discussione avuta con Natsu, con le sopracciglia talmente corrugate che mi venne un forte mal di testa. Battevo un piede sul pavimento alla stessa velocità con cui il mio cuore pompava il sangue, perfettamente sincronizzati, e forse anche un po’ troppo veloci.
«La vuoi piantare?!» sibilò Levy scocciata dal mio comportamento.
Le lanciai un’occhiataccia. «Senti sono arrabbiata nera.»
«E di grazia, per quale motivo?» sbuffò lei.
Mi sfregai entrambe le mani sul viso con forza, poi quando tolsi gli arti rivolsi alla mia amica uno sguardo stanco. «Devo trovare il modo per tornare a casa di mio padre.»
La turchina inarcò un sopracciglio. «E questo cosa c’entra?»
«C’entra! Non lo voglio più vedere quel ragazzo! Mai più!» grugnii.
La mia migliore amica mutò immediatamente espressione, guardandomi in modo talmente malizioso da riuscire a farmi arrossire. «Sempre Natsu, eh.»
«Che piaga, vero?» borbottai abbassando lo sguardo.
«Lucy» iniziò con voce cantilenante, la quale non prometteva nulla di buono. «Tuo padre hai detto che deve partire per Dubai per lavoro, non è vero?»
Annuii distratta. «Sì, perché?»
Lei si strinse nelle spalle. «Quando parte?»
«Domani mattina presto.» risposi, prendendo una penna e facendomela rigirare tra le dita.
Levy si voltò, raddrizzando la schiena e tornando a guardare la professoressa, che stava scrivendo alla lavagna, con un sorrisetto soddisfatto. «Ho un’idea.»
 
***
 
«Scordatelo!» sbottai aumentando il passo per raggiungere la fermata dell’autobus.
La turchina arrancò, faticando a starmi dietro, mentre Lluvia accanto a me ci osservava stralunata. «Mi sono persa qualcosa?» chiese.
«Sì! Lucy ha casa libera e non vuole dare una festa!» sbottò la mia migliore amica iniziando a correre per raggiungerci. «Ma porco Zeref, volete rallentare?!»
L’azzurra mi guardò offesa. «Tu hai una specie di castello libero, e non vuoi fare un’opera di bene verso gli altri?»
La guardai in tralice. «Di’ la verità, tu ci stai solo perché speri di stuprare un Gray ubriaco.»
«N-non è v-vero!» arrossì lei. «Merda, era così evidente?» borbottò infine.
Risi. «Un po’.»
«Dai Lucy! Ne parleranno tutti a scuola e non mancherà nessuno!» insistette Levy.
Sbuffai. «Ci devo pensare.»
La turchina e Lluvia si scambiarono uno sguardo complice ed annuirono sorridenti.
Quando mi voltai scorsi mio fratello e una ragazza dai lunghi capelli neri, occhi a mandorla e di una bellezza particolare, camminare verso la nostra direzione. Sting parlava e si comportava come al solito, nei gesti della mora si intravedeva un po’ di imbarazzo e insicurezza. Quando mancavano poco meno di dieci metri da me e dalle mie amiche, la ragazza si alzò in punta di piedi e depositò un piccolo bacio sulla guancia del biondo.
Provai un immenso fastidio, tanto che la mia occhiata curiosa mutò in una assassina.
Vidi le gote di mio fratello imporporarsi appena, un rossore poco accennato, quasi invisibile, mentre il resto del corpo si immobilizzava subito dopo aver ricevuto quell’inaspettato contatto. Lei gli rivolse un sorriso timido, completamente bordeaux in volto,  poi girò i tacchi e si allontanò a passo svelto. Sting rimase immobile per alcuni secondi ancora, poi riprendendosi si stampò in faccia il suo solito sorriso spensierato e mi raggiunse abbracciandomi di slancio, stringendomi talmente forte da farmi mancare il respiro.
«Ciao sorellina!» gioì lui.
«Chi è lei?» sibilai indicando col cenno del capo la ormai piccola figura della mora.
Lui si strinse nelle spalle. «Lei è una mia cara amica, si chiama Minerva.»
«Minerva, eh?» masticai ogni lettera di quel nome con odio puro.
Sting annuì perplesso. «Non ti piace il suo nome?»
“Ma era davvero così stupido?”
Lo guardai stupita, tanto che la mia antipatia per quella ragazza scemò in un lampo. «Sicuro di non aver subito qualche trauma cranico da piccolo?»
Il biondo si aprì in un sorriso radioso, quello che dedicava solo a me e facendomi l’occhiolino si voltò e salì sul pullman che era appena arrivato. Rimasi a fissarlo per un attimo. Era incredibile di quanto carisma lui disponesse e non se ne rendeva nemmeno conto, se lo volesse avrebbe dietro di sé un’orda di ragazze – anche se ce l’aveva comunque – e sarebbe il ragazzo più popolare e desiderato della scuola.
Con questi pensieri afferrai l’abbonamento e salii le scalette con la testa fra le nuvole, nonostante avessi lo sguardo rivolto a terra, non vidi uno zaino ed inciampai. Prima che potessi finire col muso a terra, delle forti braccia mi sostennero e nell’esatto momento in cui mi trovai col viso vicino al petto del ragazzo che mi aveva appena evitato una figuraccia davanti a tutti, sentii il suo profumo e in un attimo il mio cuore accelerò i battiti, pompando sangue a una velocità supersonica. In un attimo rievocai tutti i ricordi che appartenevano al nostro passato e quando nell’alzarmi un suo capello ribelle mi sfiorò la guancia, solleticandomi la pelle, venni investita con forza da una marea di sentimenti anche del tutto contrastanti fra loro. Solo un paio di occhiali che dividevano il nostro contatto visivo e niente invece che si frapponeva tra le nostre labbra troppo vicine.
Quanto volte le avevo sfiorate? Baciate? Morse?
«Lucy.» disse, quasi accarezzando il mio nome con la lingua.
Una smorfia che arricciò le mie labbra. «Loki.»
Il ragazzo si abbassò e raccolse il mio abbonamento, che non mi ero nemmeno accorta di aver lasciato cadere, e si rialzò con lentezza estenuante senza mai smettere di fissarmi con quei suoi occhi azzurri sempre a pochissima distanza dal mio viso e dal mio corpo.
«Ti era caduto.» la sua bocca stesa in un ghigno divertito.
Inarcai un sopracciglio. «Grazie.»
Riprendendo le mie facoltà mentali e cercando di non diventare rossa, che fosse per l’imbarazzo dovuto al nostro pubblico e alla rabbia per l’aver rivisto Loki, non dovevo cedere in nessuno dei due casi. Dandogli una spallata mi feci strada e andai a sedermi in fondo, ignorai Levy e Lluvia che si sedettero accanto e misi le cuffiette mettendo la musica a palla.
Dovevo ignorarlo.
Dovevo dimenticarlo.
 
«Lucy!» urlò la mia migliore amica.
Niente, continuai a camminare a passo di marcia consapevole del fatto di essere molto più veloce di lei. Quando però sentii qualcosa colpirmi in testa mi sbilanciai e caddi in avanti come un sacco di patate. Emisi un lamento che sembrava molto di più a un grugnito e mi massaggiai il capo. Sollevai il busto e cercai l’oggetto che mi avesse colpita, e scoprii fosse stato il cellulare di Levy. Fortunatamente la cover gommosa aveva attutito il colpo ma mi era venuta una forte emicrania.
«Ma dico, sei scema?! Avresti potuto ammazzarmi!» sbottai.
«Oh ma certo! E magari poi ti avrei anche dissanguata e avrei reso il cadavere irriconoscibile!» ironizzò la turchina.
Le lanciai un’occhiata in tralice. «Che fai, mi prendi pure in giro?»
«Però, non ti facevo così intelligente.» ridacchiò.
«Ah sì?» borbottai offesa. «Allora posso requisirlo io questo telefono.»
«Requisirlo?!» squittì. «Per Mavis non sei una poliziotta, dammelo!»
Ghignai. «Non ancora. Mi ci vedi vestita da poliziotta? Io sì, moltissimo.»
Lei roteò gli occhi. «Come al solito l’arte del cambiare discorso è la tua specialità.»
Sbattei le ciglia più volte, mandandole poi un bacino aereo ed entrai in casa chiudendomi la porta dietro di me prima che lei potesse rendersi conto di essere stata fregata per l’ennesima volta. Trovai Natsu sdraiato a pancia in giù sul tappeto a mo’ di stella marina e allungando la gamba lo sorpassai. Vidi mio fratello invece sdraiato per metà sul bancone della cucina con il busto rivolto invece verso il basso.
«Sting?»
Lui cacciò un gridolino e cadde per terra di faccia. Mi liberai in una risata sguaiata, mentre il biondo si alzava massaggiandosi il naso.
«Cos’è in questa famiglia siamo tutti destinati a fratturarci il naso?» risi di nuovo.
Il rosato si alzò e mi lanciò un’occhiata strana. «Chi era il ragazzo al quale ti sei buttata addosso?»
Sentii le mani formicolare e la voglia di prenderlo a schiaffi investirmi con forza, ma mi trattenni. «Non mi sono buttata, sono caduta.» sibilai. «E comunque non sono affari tuoi.» sputai cattiva.
Natsu assottigliò gli occhi, riducendoli a due fessure e per un attimo a causa del gioco di luce mi sembrò di vedere le iridi sottili dei rettili. «Hai ragione.» grugnì.
Gli lanciai un’ultima occhiata di fuoco poi mi voltai verso mio fratello e chiesi. «Sting, cosa stavi facendo prima?»
«Ehm.» tossicchiò nevoso. «Se ti dicessi di aver perso una vedova nera cosa faresti?»
Sentii la salivazione andarmi a zero e il respiro mancarmi, io ero aracnofobica non ero in grado di stare nemmeno a dieci metri di distanza che andavo già nel panico. Mi sentii il sangue defluirmi dalle guance e scommisi di essere diventata bianca come una cadavere. Aprii la bocca ma da essa non uscì alcun suono, gli occhi sbarrati e gli arti bloccati. Quell’idiota aveva perso una vedova nera! Nemmeno un ragno qualunque, uno dei più pericolosi in assoluto!
«Sorellina?» mi chiamò titubante Sing.
Portai lo sguardo nei suoi occhi limpidi. «Tu.» feci un paio di passi incerti nella sua direzione. «Lo sai che io ho il terrore di quelle bestie! Perché l’hai portata in casa?!»
Lui cominciò a girare intorno al bancone per cercare di sfuggirmi. «Volevo provare ad ammaestrarla.»
«Un ragno?! Cosa dovevi insegnare a un ragno?!» gridai, aprendo il frigorifero e afferrando la prima cosa che mi si parò sotto al naso: una trota.
Lui mi guardò terrorizzato. «Non vorrai colpirmi con un pesce, vero?»
«Oh sì, ti sculaccerò con questo.» dissi brandendolo.
«Lo sai che mi fanno paura i loro occhietti neri e vuoti!» si strozzò lui cominciando a correre più velocemente.
Risi maleficamente. «Così impari a portare una vedova nera in casa mia!»
«Veramente questa sarebbe casa mia.» borbottò Natsu spostandosi per non venir investito dal nostro continuo correre intorno al bancone.
Prima o poi qualcuno sarebbe caduto per terra, era solo questione di tempo.
Per riuscire a prenderlo saltai di pancia sul balcone, lanciando un urlo belluino e brandendo la mia terribile arma, per poi lanciarglielo addosso. Sting urlò come una femminuccia ma per lo spavento scivolò e cadde all’indietro, schivando il pesce. Il quel momento, Rogue fece la sua entrata e venne colpito in pieno viso dalla trota volante.
Il moro fece una faccia schifata. «Okay che ho un certo tipo di gusti, ma vi posso assicurare che non mi piacciono i pesci.»
«Neanche da mangiare?» chiese divertito Natsu.
«Dipende.» borbottò.
«Il pesce è buonissimo.» ribattei io alzandomi e cercando di darmi un contegno.
Sting si alzò traballante, massaggiandosi il fondoschiena. «Sì, ma tu hai altri modi per usare il pesce.»
Natsu rise. «Era bruttissima, lo sai?»
Arrossii come una stupida. «Rogue non pensare male! Volevo solo sculacciarlo!»
Appena finii di parlare arrossii ancora di più, rendendomi conto che sculacciare il proprio fratello maggiore non era molto normale.
«Non voglio sapere cosa fate quando io non ci sono.» fece il ragazzo dai pantaloni col risvoltino.
«Dai! Detta così sembra che io e mio fratello abbiamo una sorta di malata relazione!» strillai agitando la braccia in preda all’imbarazzato.
Natsu sorrise divertito e avvicinandosi mi posò una mano sui capelli scompigliandomeli giocosamente. Sbarrai gli occhi, se l’avesse fatto qualcun altro probabilmente me la sarei presa perché trattata da bambina, ma da lui… Non saprei, sembrava quasi un gesto affettuoso. Sentii il mio battito accelerare e scoprii che mi piaceva essere toccata dal rosato, era gentile, dolce. Quando le sue dita abbandonarono però la mia testa, sentii quasi un vuoto all’altezza del petto, come quando ti manca qualcosa, ne sei consapevole ma non sai di cosa si tratta. Tutte queste sensazioni mi stavano facendo impazzire, non ero in grado di gestirle e questo mi innervosiva non poco. Ero sempre stata bravissima a manipolare i miei sentimenti, avevo sempre sofferto meno, mi veniva con una facilità disarmante. Eppure perché ora non riuscivo a mantenere io il controllo della situazione? Cosa mi stava accadendo? Lanciai un’occhiata di sottecchi a Natsu che rideva e scherzava con mio fratello e Rogue, per un momento quello strano vuoto sembrò farsi più piccolo, meno fastidioso.
Sbattei entrambe le mani  sulle guance, forte, facendo risuonare lo schiaffo. I tre ragazzi si voltarono verso di me perplessi, guardandomi come se fossi pazza. Abbassai subito lo sguardo e voltandomi corsi via, raggiungendo camera mia il più veloce possibile. Aprii la porta quanto bastava per farmi sgusciare all’interno e la chiusi con forza, sbattendola. Mi schiacciai contro di essa e strinsi le palpebre, il battito del cuore sembrava quasi impazzito. Proprio come le mie emozioni e il mio cervello.
Dovevo parlarne con qualcuno, ma il vero problema stava nel capire con chi. Levy era la mia migliore amica ma quella era talmente pettegola che le sarebbe potuto sfuggire di bocca in qualsiasi momento. Lluvia? No lei possedeva la sensibilità di un cactus, a parte per Gray avevo sempre pensato che fosse una ragazza vuota e priva di emozioni. Erza? Non aveva ancora capito di essersi presa una sbandata colossale per Gerard figuriamoci se fosse stata in grado di aiutarmi.
“Ho trovato!”
Mi staccai dalla superficie legnosa , prendendo la rincorsa mi buttai sul letto e presi il cellulare per chiamare la persona più adatta in questa occasione. Mi girai a pancia in su e digitai il suo nome sulla rubrica per cercarla più velocemente.
In quel momento però, sentii un fruscio e poi qualcosa appoggiarmisi sulla testa. Rimasi immobile, uscii dalla rubrica e pigiai sull’icona della fotocamera, scegliendo quella interna che mi rimandò la mia immagine.
Tirai un urlo talmente acuto che riuscii a farmi male la gola, balzai in piedi e scossi la testa. Quando sentii la vedova nera cadere a terra scoppiai a piangere per lo spavento, corsi verso la porta e ci andai quasi a sbattere, la spalancai e poi la richiusi subito dopo, sbattendola per l’ennesima volta. Prima o poi l’avrei fatta cadere, sicuramente.
Quando mi voltai, trovai davanti a me Natsu col fiatone che mi squadrava dall’alto in basso. «Tutto bene? Che è successo?» parlò senza fiato.
Scossi la testa con veemenza, mentre le lacrime continuavano a rigarmi le guance copiose. Indicai la porta con un dito tremante e poi il mio corpo reagì da solo: gli gettai le bracciai al collo e lo strinsi forte, mentre il mio corpo tremava ancora per lo spavento. Sentii il rosato sobbalzare sorpreso, poi probabilmente sentendomi anche singhiozzare mi strinse forte a sé. In quel momento il vuoto all’interno del mio petto sparì all’instante, lasciando però spazio a un muscolo involontario totalmente impazzito che pompava anche più sangue del dovuto. Le mie dita si fecero spazio tra i suoi capelli rosa, incredibilmente soffici e freschi al tatto. Mi alzai in punta di piedi per poterlo stringere meglio, facendo bene aderire il mio corpo al suo, quasi volessi fondermi con lui. Non sapevo perché lo stessi facendo, ma cavolo come mi sentivo bene. Sentii Natsu deglutire, ma pure lui mi strinse ancora più forte, forse anche troppo perché cominciò a farmi male. Ma nonostante ciò da lui non mi volevo separare.
«Lucy?» sussurrò chiamandomi.
Socchiusi gli occhi. «Mhm?»
«Sicura di stare bene?» chiese portando la sua voce a un tono normale.
Sorrisi. «Ora sì.»
Quando la sua stretta sembrò allentarsi e appoggiò le mani sui miei fianchi per allontanarmi, quel vuoto tornò prepotentemente, più fastidioso di prima. Aggrottai le sopracciglia confusa, rendendomi conto di quanto lui fosse caldo, perché ora sentivo freddo. Tirai su col naso e col palmo delle mani mi asciugai la scia ormai quasi asciutta delle lacrime.
«Cosa hai visto?» fece lui, abbassandosi alla mia altezza per potermi guardare meglio negli occhi, ritrovandomelo incredibilmente vicino.
“Eh no, non puoi fare così! Maledetto, ti piace giocare sporco eh?!”
Schiusi le labbra con l’intenzione di parlare, ma le miei corde vocali decisero di abbandonarmi non appena beccai le famose pagliuzzette verdi. Probabilmente ai suoi occhi avevo appena assunto un’espressione da scema, ma non me ne importava, dovevo contarle tutte. Solo che appena lui spostava lo sguardo ne appariva una nuova e io dovevo ricominciare a contare. Senza rendermene conto mi ritrovai con le spalle rivolte al muro, e il suo viso troppo vicino al mio. Un suo braccio appoggiato alla parete dietro di me, con la mano accanto al mio volto.
Il vuoto se n’era di nuovo andato.
Natsu corrugò le sopracciglia. «Mi stai facendo impazzire.»
Deglutii a vuoto. «Anche tu e quelle tue dannatissime pagliuzze.»
Lui inarcò un sopracciglio. «Di che stai parlando?»
«Nessuno ti hai mai detto che hai degli occhi splendidi?» mi scappò.
Abbassai subito lo sguardo, portandomi una mano davanti alle labbra e sentendo le guance e le orecchie andarmi a fuoco. Non lo potevo vedere ma sentivo che stesse sorridendo.
Lo guardai di sottecchi e mi resi conto di aver ragione, solo che era un sorriso diverso, che non seppi definire bene.
Fece per aprire bocca e rispondere, ma in quel momento qualcuno salì le scale rumorosamente, raggiungendoci velocemente. Prima che potessero vederci, Natsu ed io ci allontanammo subito.
«Tutto ok, Lu?» chiese mio fratello squadrandomi preoccupato. «Ti ho sentita gridare.»
Annuii debolmente. «Certo, sono tutta intera.»
«Perché hai gridato?» Rogue inarcò un sopracciglio.
«Perché la vedova nera di Sting mi è caduta in testa!» sbottai.
Il biondo portò le mani davanti alla bocca. «Non ti ha punta vero?»
Mi strinsi nelle spalle. «Io non ho sentito nulla.» borbottai.
«Dai, ragazzi cerchiamo ‘sto ragno e vediamo di farlo uscire da casa mia.» sospirò stanco Natsu.
I tre entrarono nella mia camera e richiusero la porta prima ancora che potessi vedere cosa avrebbero fatto con le mie cose. Fu in quel momento che ringraziai il cielo di non avere un diario segreto, perché se l’avessero trovato mi sarei seppellita viva dalla vergogna. Non era tanto Sting a preoccuparmi, lui conosceva tutto di me, sapeva ogni cosa, ogni mio più piccolo segreto, ma quei due non volevo che venissero a sapere del mio più terribile ricordo. Nemmeno Levy e Lluvia ne erano al corrente, solo il mio fratellone.
Bussai forte alla porta e urlai. «Vedete di non incasinarmi la-» sbarrai gli occhi sorpresa.
Portai entrambe le mani alla gola, delicatamente. La porta si aprì di scatto, rivelandomi un Natsu stralunato che mi fissava in attesa che io dicessi qualcosa. Dietro di lui apparvero le teste di Sting e Rogue.
«Tutto bene passerotto?» chiese il moro.
Ignorai il nomignolo e indicai la gola, aprii la bocca dal quale non uscì alcun suono. Con l’urlo di prima e in seguito questo, mi era scesa la voce. Deglutii nel tentativo di donare un po’ più sollievo alla gola, ma mi doleva ancora. Mi voltai e raggiunsi la cucina, abbandonando i tre ragazzi ancora più perplessi. Aprii il frigo, dal quale presi dell’acqua fredda e prendendo un bicchiere dalla credenza mi versai un po’ del contenuto. Mi sedetti al bancone sospirando, mi era venuto anche mal di testa. Lanciai un’occhiata all’orologio e vidi che era già tardi, pensai a quello che avrei potuto preparare, dato che era scontato che si sarebbe fermato anche Rogue per cena. Peccato che le mie doti culinarie non erano abbastanza buone perché potessero soddisfare quei tre.
Aprii un cassetto e afferrai il libro di ricette di mia madre, cercando qualcosa di abbastanza facile. Sentii dietro di me qualcuno scendere le scale velocemente, pensai fosse Natsu, così non mi voltai, ero ancora abbastanza imbarazzata. Quando però mi voltai e mi trovai troppo vicini due occhi color vermiglio sobbalzai.
«Ti serve qualcosa?» borbottai con voce roca.
“Oh be’, almeno ora riuscivo a parlare.”
Le sue labbra si distesero in un ghigno, fece un paio di passi indietro e con un balzo si sedette sul bancone. «Voglio sapere solo una cosa.»
Gli lanciai un’occhiata assassina. «Solo io e mio fratello possiamo sederci, sdraiarci, combattere sul quel bancone. Scendi.» ordinai.
Lui alzò le mani in segno di resa e scese.
«Spara.» sbuffai.
«Prometti che risponderai sinceramente.» il suo ghigno diventò quasi spaventoso.
Lessi la prima riga di una ricetta abbastanza semplice. «Non ci penso nemmeno, non so nemmeno cosa vuoi chiedermi.»
Il moro ridacchiò. «Non riesco mai a fregarti, eh.»
«Difficile.» mi strinsi nelle spalle. «Ti dispiacerebbe aiutarmi con la cena?» chiesi rinunciando subito.
Lui annuì. «Nessun problema. Ah, io e tuo fratello dopo cena usciamo.» informò.
«Scordatevelo, domani abbiamo scuola.» dissi, afferrando un cucchiaio in legno.
«Cos’è? Hai paura di rimanere da sola con Natsu?» ridacchiò.
Lo colpii col cucchiaio sul braccio. «Arriva al punto, idiota.»
Rogue arricciò le labbra in una smorfia, massaggiandosi la parte dolorante. «Pronta?»
Roteai gli occhi. «Sì, ma muoviti.»
«Ti sei innamorata?» chiese improvvisamente.
Arrossii violentemente, il cuore cominciò a battermi inspiegabilmente forte. Mi ritrovai ad indietreggiare, andando a sbattere contro il bancone. Lo guardai con occhi sbarrati, totalmente sorpresa da una domanda simile, mentre lui aveva un’espressione così seria…
«C-cosa-?» balbettai.
Il moro sbatté entrambe le mani sul bancone, accanto ai miei fianchi, impedendomi di allontanarmi. «E non cercare di sviare il discorso, mia cara. Da quando Natsu è diventato il tuo fratellastro hai assunto un comportamento diverso nei suoi confronti, tu continui a dire di odiarlo, ma siamo davvero sicuri che sia quello il sentimento giusto? Lucy, da quando Loki è uscito dalla tua vita, ti sei chiusa a riccio modificando il tuo carattere e attaccare le persone è diventata la tua arma di difesa. Però ora sembra che la vecchia Lucy stia pian piano riemergendo, che sia merito di quella testa calda?» sorrise.
Loki.
Solo risentire quel nome mi riempiva il cuore di rabbia e paura. Sul pullman avevo fatto una fatica immane a non scoppiare a piangere o a urlare, avevo fatto ricorso a tutto il mio autocontrollo, non pensando nemmeno di possederne così tanto.
Non volevo più rivedere il suo viso, non sapevo nemmeno perché si trovava sul pullman e tantomeno volevo saperlo.
«So tutto.» sussurrò.
Alzai di scatto il viso, spiazzata. Come faceva a sapere tutto?
«Chi te l’ha detto?» gracchiai, mentre i miei occhi si riempivano di lacrime per la seconda volta in quella giornata.
Lui scosse il capo. «L’ho scoperto per conto mio, osservando Loki. Ti giuro, l’avrei ammazzato.» sentii le sue mani serrarsi a pugno e cominciai ad aver paura della sua reazione.
Pensai che potesse distruggere qualcosa, invece quel ragazzo riuscì nuovamente a stupirmi: mi abbracciò. Ricambiai subito la stretta, ne avevo tanto bisogno.
«Non so cosa mi stia accadendo.» sussurrai con voce rotta dal pianto.
Rogue mi stampò un sonoro bacio sulla fronte. «Ok, mi basta così come risposta.» sorrise.
«Ti voglio bene, ti ho sempre considerato il mio migliore amico.» rivelai, stringendolo ancora più forte.
Ne avevamo passate così tante insieme, lo consideravo come un membro di famiglia alla fine, fin da quando Sting lo aveva invitato per la prima volta a casa nostra dieci anni prima. Avevo capito subito che era un ragazzo meraviglioso. E se non fosse stato gay ci avrei fatto anche un pensierino, ad essere sincera.
«Anche io ti voglio bene, solo che ti ho sempre considerata come una sorella minore.»
Sorrisi. «Rogue?»
«Dimmi piccola.» fece, allontanandosi.
«Mi aiuti con la cena?» ridacchiai.
Anche lui ridacchiò, poi annuì, prendendo il ricettario e mettendosi ai fornelli. Stetti vicino a lui, ogni tanto mi faceva vedere cosa dovevo fare, insegnandomi alcune cose.
Pronta la cena chiamammo anche gli altri due e mangiammo tutti insieme. Solo in quel momento realizzai che il diavolo in persona non era presente.
«Scusate, ma dov’è Wendy?»
Natsu imboccò l’ennesimo pezzo di torta salata e disse. «A casa di Chelia.»
«Chi è? L’ennesimo collaboratore per la conquista del mondo?» borbottai.
«Per quanto ne sappia è la sua migliore amica.» rispose a bocca piena.
Gli lanciai un’occhiataccia. «Quante volte devo ripeterti che devi finire il boccone prima di parlare?»
Rogue mi scompigliò i capelli. «Vale anche per te, hai appena fatto la stessa cosa.»
Mio fratello scoppiò a ridere.
Ingoiai il boccone. «Io posso.» sorrisi divertita.
 
***
 
Sting e Rogue erano usciti ormai da un paio d’ore ed io ero stanca, volevo andare a dormire, dopotutto il giorno dopo avrei avuto scuola e visto che dormivo già sul banco volevo evitare anche di russare. Anche Wendy era rientrata ed era già andata a nanna. Spensi la tv e sistemandomi il pigiamino mi avviai per raggiungere la mia camera. Una volta arrivata davanti alla porta però, raggelai.
La vedova nera non erano ancora riusciti a trovarla.
“E adesso?!”
Be’, Sting non era in casa avrei potuto dormire nel suo letto. Sì, avrei fatto così. Feci dietrofront e una volta giunta davanti alla sua di porta, appoggiai la mano sulla maniglia e l’abbassai.
“Cosa?”
Era chiusa a chiave.
Mi chiesi come mai mio fratello avesse dovuto chiudere la sua stanza, non aveva senso. A meno che non avesse rubato una scorta intera di timballi la cosa mi sembrava strana. Quali altre camera rimanevano? Quella di Wendy: assolutamente no, era fuori discussione. Non ero tanto stupida da rischiare la vita, poi stava già dormendo non volevo disturbarla,  magari si sarebbe vendicata al calar delle tenebre.
L’ultima era quella di Natsu. Arrossii ma l’unica opzione era quella, se no rimaneva il divano.
“No, no, no, no!”
Tornai in camera mia e presi la chiave, tornai indietro e provai a sbloccare la serratura, ma con scarsi risultati. Sbattei la fronte contro la superficie legnosa e sbuffai sonoramente.
«Cosa stai facendo?»
Sobbalzai e puntai la chiave contro la persona che aveva parlato.
Natsu inarcò un sopracciglio.
«A sei solo tu.» sospirai.
Lui roteò gli occhi. «Allora?»
Gettai a terra la chiave sconsolata. «In camera mia non voglio dormire, la stanza di Sting è misteriosamente stata chiusa a chiave, con tua sorella mi rifiuto di stare e sul divano non riesco a dormire.»
«Uhm.» abbassò lo sguardo. «Vuoi dormire con me?» sussurrò.
Mi sentii andare a fuoco per l’ennesima volta ma mantenni il contatto visivo. Cosa avrei dovuto rispondere ora? Volevo accettare o sarei andata a dormire sul divano? Lasciai che la mia immaginazione prendesse il sopravvento anche quella volta, perdendomi nell’immagine di me accoccolata tra le sue braccia, il calore emanato dal suo corpo a riscaldarmi. Inconsapevolmente le mie labbra si schiusero in un sorriso, ma quando me ne accorsi era ormai troppo tardi, tanto che non mi preoccupai nemmeno di rimediare. Mi aprii in un sorriso radioso e annuii vigorosamente, lasciandolo stupito.
Il cuore nel petto sembrava quasi spiccare il volo, i muscoli facciali invece mi facevano male tanto sorridevo. Lo seguii trotterellando, non sapevo nemmeno perché fossi così tanto felice ma non volevo che quel momento terminasse. Lo sorpassai, aprii la porta e una volta all’interno fece una piccola piroetta.
«Come mai così contenta?» chiese, con aria sospettosa.
Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so, non capisco più nulla ultimamente, ma sono felice.»
«Mi fa piacere.» sorrise. «Dove preferisci stare? Vicino al muro o dall’altra parte?»
«Muro.» dissi, salendo sul letto e raggiungendo la parte in questione.
Natsu mi raggiunse subito dopo, appoggiando prima un ginocchio sul grande letto da una piazza e mezza e sedendosi a gambe incrociate. Mi osservò mentre mi sdraiavo prima supina e poi sul fianco, verso di lui. Anche le sue labbra erano arricciate in un tenero sorriso, difficile da decifrare e impossibile capire a cosa stesse pensando.
Quando si sdraiò, si mise anche lui sul fianco, verso di me. I miei occhi puntati nei suoi e i suoi nei miei. Silenzio più assoluto, l’unica cosa che sentivo era il mio battito cardiaco. Socchiusi gli occhi e mi raggomitolai accanto a lui, lo sentii irrigidirsi e per un attimo temetti di aver esagerato. Feci per allontanarmi ma venni bloccata dalle sue forti braccia che mi strinsero, quasi in una morsa possessiva.
«Nemmeno io non capisco più nulla ultimamente.» mormorò.
Alzai il viso, le nostre labbra talmente vicine da sfiorarsi. «Davvero?»
«Già, tutto da quando tu sei entrata nella mia vita.» rivelò, aggrottando le sopracciglia.
Tu-tum.
Annaspai. «A-ah sì?»
Lui annuì, una sua mano mi sfiorò la tempia. «È così frustrante… Se riuscissi a capire di cosa si tratta…»
Tu-tum, tu-tum.
«Cosa faresti?» chiesi in un fil di voce.
«Be’, prenderei in mano la situazione. Ma forse credo di sapere cosa mi stia succedendo.» ridacchiò.
Tu-tum, tu-tum, tu-tum.
«C-cosa ti sta accadendo?» balbettai.
«Forse mi sono innamorato.» arrossì, distogliendo lo sguardo.
Tu-tum, tu-tum, tu-tum, tu-tum.
 







Yumeha’s Corner
Buona sera gente! ♥
Mi spiace davvero molto per il ritardo, purtroppo però la quarta superiore mi sta portando via un sacco di tempo, ho tanto da studiare, troppo anzi... Non riesco a ritagliarmi del tempo libero, e quelle poche volte che riesco lo utilizzo per allenarmi o rilassarmi leggendo. Con le vacanze natalizie però sono riuscita a scrivere un capitolo di ben 19 pagine! :D Spero che vi sia piaciuto!
Qui, sono entrati ben due personaggi! Lisanna e Loki.
Lisanna è una cantante e più avanti la farò anche esibire, ma non sarà sola. ;)
Loki, invece, c’entra col passato della nostra biondina, peccato che sembra abbia combinato un bel casino precedentemente. Non so quando farò saltare fuori la verità, ma avviso che non sarà una cosa piacevole. ^^”
Lo so, lo so, negli avvertimenti c’è scritto triangolo e non quadrato, ma non stiamo lì a guardar tutto. xD
Rogue si è dimostrato un amore in questo capitolo, aw, il mio patato. ♥
Verso la fine avete avuto anche del sano NaLu, perciò spero mi possiate perdonare un po’, dai ieri era Natale, dobbiamo essere tutti più buoni! (?)
Vabbe’, vi comunico che la storia oltre a presentare i generi elencati, diventerà anche una storia di azione. *^* Ebbene sì, e ovviamente a scatenare i casini sarà il nostro *rullo di tamburi* Stiiiing! Ahahaha. xD Però non vi dico nient’altro, sarà un sorpresa. u-u
Spero che mi lasciate delle recensioni. *^* ♥
Io, nel frattempo, vedo cosa posso fare per smaltire tutto il cibo di ieri e oggi. D: Credo di essere a posto per un mese come minimo. ouo
Spero abbiate passato un bellissima giornata ieri e che Babbo Natale sia passato lasciandovi una marea di roba. ♥
Giuro che mi dileguo, vi avviso di un’ultima cosa: prima della fine delle vacanze (spero) avrete anche l’aggiornamento dell’altra mia long, Orme. Se la montagna di compiti che mi hanno lasciato me lo permette, cercherò di aggiornare anche Despair.
Ora scappo, fatemi sapere cosa ne pensate. :3
Un bacione grande grande,
Yumeha

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Capitolo 7
*** Cap 6: Se giochi con i miei sentimenti è chiaro che prima o poi te la faccio pagare. Più prima che poi. ***




Se giochi con i miei sentimenti è chiaro che prima o poi te la faccio pagare.
Più prima che poi.


Capitolo 6 ~
 
«C-cosa ti sta accadendo?» balbettai.
«Forse mi sono innamorato.» arrossì, distogliendo lo sguardo.
Tu-tum, tu-tum, tu-tum, tu-tum.
 
“Okay Lucy, respira.”
Feci un paio di respiri, prima di poter affermare che il mio cervello potesse funzionare correttamente. Oh, al diavolo, chi ne ha mai posseduto uno?! Il mio cuore continuava a battere come se fosse impazzito, mentre la mia mente cercava di lavorare per mettere in chiaro la situazione.
Mi trovavo nel letto di un ragazzo, per il quale avevo iniziato ad avere delle strane reazioni ultimamente, ed ora lui mi diceva di essersi innamorato?
C’era una parte di me che – stranamente – sembrava voler sentirsi dire da lui che la ragazza per cui non riusciva a connettere fossi io, mentre l’altra voleva alzarsi e scappare dalla stanza e andare a dormire sul divano. Il cuore sussurrava di ascoltare la prima voce, mentre la mente urlava di dar retta alla seconda.
Sentimenti o razionalità?
Anche in questo caso, non seppi cosa scegliere, così rimasi immobile, rannicchiata tra le sue braccia a mordicchiarmi il labbro. Con la voce che premeva di uscire e chiedere, sotto il comando del cuore e le gambe che tremanti volevano condurmi fuori, sotto richiesta della mente.
Notai solo in questo momento, che in quella posizione potevo sentire il battito di Natsu, così socchiusi gli occhi per poterlo udire meglio. Cullata sotto il suo ritmo frenetico, quasi non mi accorsi di starmi per addormentare.
«Uhm, Lucy?» mi chiamò il rosato.
Aggrottai le sopracciglia. «Sì?»
«Nulla, pensavo ti fossi addormentata.» sussurrò.
Mi girai dall’altra parte, volgendogli le spalle e raggomitolandomi in posizione fetale, cercai di tirare a me la coperta il più possibile nel tentativo di riscaldarmi un po’ di più. Stavo gelando, la pelle d’oca faceva bella mostra di sé sulle braccia scoperte e le gambe dal ginocchio in giù. Rimpiansi le mie calzine per la notte, che solitamente mettevo sempre prima di coricarmi ma questa volta un po’ per la questione della vedova nera e un po’ per l’improvvisa richiesta di Natsu, mi era completamente sfuggito di mente. Rabbrividii e portando le ginocchia al petto cercai di conservare un po’ di calore. Tirai ancora le coperte, portandole verso di me, e quando pensai di essere a posto, quest’ultime scivolarono via gelide dal mio corpo lasciandomi completamente scoperta. Sentii Natsu sghignazzare, mi voltai e ripresi ciò che mi avrebbe permesso di addormentarmi.
«Natsu!»
Il rosato sembrò lasciarle e io potei ricoprirmi. Riacquisii la mia posizione iniziale e chiusi gli occhi, cercando di non pensare al freddo e provai a dormire. Quando credetti di starmi finalmente per addormentare, quel maledetto accanto a me mi sottrasse nuovamente le coperte facendomi grugnire infastidita.
«Dragneel! Se non mi lasci dormire giuro che-» iniziai.
Lui alzò il busto e si avvicinò a me, troppo. «Tu cosa
Sbuffai, roteando gli occhi. «Ti odio.»
Il rosato mi sorrise divertito.
«E ridammi queste maledette coperte.» grugnii.
«Prendile se riesci.» mi sfidò.
Gli lanciai un’occhiata al di sotto delle ciglia e sulle mie labbra affiorò un sorriso birichino. Le mie mani cercarono la stoffa fresca e quando la trovarono, la strinsi tra le dita. Rilassai gli arti e mantenendo il contatto visivo con lui, aspettai il momento più adatto. Quando mi sembrò che le dita di lui sembrarono stendersi un filo, tirai con uno strattone, facendo affidamento a tutta la forza di cui disponessi. Solo che quando mi resi conto dell’imboscata architettata dal ragazzo, era ormai troppo tardi. Natsu lasciò la presa, allungò una gamba e facendo leva sul muro spostò il letto dalla parete. Io, avendo esercitato sulle coperte tutta la mia forza e non avendone incontrata un’altra che mi mantenesse in equilibrio, caddi all’indietro e finii nel buco che c’era tra il muro e il letto, ritrovandomi col sedere a terra e le gambe per aria. Il mio fratellastro scoppiò a ridere, mentre io mi dispersi in una raffica di imprecazioni in aramaico, tutte chiaramente rivolte a lui.
Cercai di liberarmi ma mi resi solo più ridicola ai suoi occhi e io mi innervosii solo di più. Lui continuava a ridere e quando si decise a darmi una mano, lo allontanai con un gesto brusco. Riuscii ad uscire e scavalcandolo raggiunsi a passo svelto la porta della camera, però prima che riuscissi ad appoggiare la mano sulla maniglia, delle dita bollenti mi avevano già circondato il polso. Mi voltai e feci per aprire bocca, pronta a mandarlo a quel paese senza troppi complimenti, ma non mi diede il tempo perché mi caricò sulle spalle a peso morto e ritornando sui suoi passi mi adagiò sul letto.
«Ma dico, sei stupido?!» sbottai.
«Se è solo il freddo il problema, allora ci penso io.» sorrise enigmatico.
Arrossii. «Uhm.» mugugnai.
«Forza, entra.» ordinò, indicando col cenno del capo il letto.
Probabilmente se fosse giorno e non fossi così stanca gli avrei sbraitato contro sul fatto che con me non doveva permettersi di dare ordini, ma mi costrinsi a sorvolare e obbedii.
“Oddio, che brutta parola obbedire…”
Mi intrufolai sotto le coperte e lo guardai con occhi curiosi, in attesa. Lo vidi indugiare un attimo, mentre le sue iridi verdi sembravano studiarmi, entrò anche lui solo quando distolsi lo sguardo.
«Vieni qui.» sussurrò con voce calda.
Eseguii ancora e mi accoccolai tra le sue braccia, scoprendo quanto fosse caldo quel ragazzo. Quando però un mio piede gelato sfiorò la sua gamba, lo vedi sobbalzare e trattenni a stento una risata.
«Occhio a quello che fai, o le mani fredde te le metto sulla pancia.» ghignai.
Lui sorrise divertito. «Terrò a posto le mani.»
«Molto bene.» dissi. «Buonanotte, Natsu.» abbassai finalmente le palpebre.
«Buonanotte, Lucy.»
 
***
 
Socchiusi gli occhi, puntando le miei iridi cioccolato al soffitto poco dopo. Voltai piano il capo, vedendo Natsu che dormiva beato a pancia in su, la sua mano stretta nella mia. Mi ci volle più di un minuto per capire dove fosse veramente il mio arto, perché non mi fu subito chiaro. Comprensibile, erano le cinque e mezza e dovevo ancora riuscire a connettere. Mi allontanai repentina da lui e scesi dal letto scavalcando il corpo del rosato, con una mossa da contorsionista spastico. Atterrai per terra con l’eleganza e la leggiadria di un lottatore di sumo. Mi immobilizzai, temendo di poter disturbare il sonno del ragazzo, ma scoprii con sollievo che non si trattava di sonno leggero. Sgattaiolai fuori da camera sua nella direzione che conduceva al bagno. Gli occhi abituati al buio mi permettevano di poter vedere qualcosa in più nell’oscurità totale della casa. Quando passai davanti alla camera di mio fratello, abbassai la maniglia, ma la porta era ancora chiusa a chiave. Aggrottai le sopracciglia preoccupata.
Continuai la mia marcia fin quando non giunsi davanti al bagno, congratulandomi con me stessa per non aver camminato ciondolando o mantenendo le braccia aperte come se fossi un equilibrista nel tentativo di non capitolare per terra. Spalancai la porta senza troppi pensieri ed entrai, facendo attenzione a dove mettevo i piedi.
Non volevo accendere la luce.
Lo so, non ero particolarmente normale. Avevo paura del buio, ma mi piaceva starci. Forse quando il buio mi metteva solitudine e vulnerabilità lo temevo. Invece mi piaceva quando sapevo comunque di essere al sicuro, perché sopprimendo il senso dominante, ovvero la vista, entravano in gioco tutti gli altri, e mi piaceva rimanere ad ascoltare o toccare qualcosa che a primo impatto mi era sconosciuto.
Andando a memoria, mi mossi all’interno della stanza, ma quando davanti a me scorsi una sagoma più scura dell’ambiente circostante, mi bloccai. Tornai immediatamente sui miei passi e accesi la luce, però all’interno non vi era nessuno. Sbattei le palpebre un paio di volte prima di abituarmi. Quando rispensi le luci però, qualcosa sembrò spostarsi dietro di me.
Ok, ora iniziavo a spaventarmi.
Raggiunsi la porta correndo, quasi andandoci a sbattere, ma era chiusa. Cercai di nuovo gli interruttori e quando la stanza si illuminò nuovamente, vidi qualcuno all’interno della doccia e lì cacciai un grido. L’antina della doccia scorse, aprendosi e quasi sbattendo. In quel momento qualcuno mi fu addosso talmente velocemente che non riuscii nemmeno a notare qualcosa del suo aspetto fisico. Quando però una manina paffuta mi tappò la bocca e una cascata di capelli blu mi impedì la visuale ai lati, capii di chi si trattasse e mi tranquillizzai.
“Tranquillizzarsi per modo di dire… Avrei preferito un serial killer a lei!”
«Wendy!» sbottai. «Ti sembra normale fare attentati da dentro la doccia?!»
Lei si alzò con un piccolo balzo, ravviandosi i lisci capelli con una mano. «Sei tu che eri al posto sbagliato al momento sbagliato.»
Le lanciai un’occhiata in tralice. «Chi pensi di essere?» sibilai.
«Uhm.» si strinse nelle spalle.
Fece per aprire bocca ma la bloccai con un cenno della mano. «Non importa, non lo voglio sapere. Mi interessa di più invece capire cosa ci stessi facendo in bagno.»
Lei sgranò i suoi grandi occhioni nocciola, oltraggiata. «Cosa potrà mai fare una persona in bagno?»
«Mah, dipende.» feci, convinta che la sua fosse solo una recita.
Lei mi guardò sempre con quella sua espressione sorpresa di poco prima, stringendosi nelle spalle e alzando le mani per dire che non ne aveva idea.
«Vabbe’, lasciami il bagno e torna a dormire.» brontolai, indicandole la porta con il dito indice.
Lei mi dedicò uno dei suoi sorrisi da orecchio a orecchio, molto stile Joker. Sentii un piccolo brivido correre rapido lungo la colonna vertebrale. Quando finalmente uscì, decisi che avrei tenuto le luci accese e avrei fatto con calma.
Una volta uscita dal bagno, guardai in entrambe le direzioni con fare attento, assottigliando gli occhi per riuscire a vedere meglio al buio. Mantenendomi vicina alla parete, proseguii finché non raggiunsi la cucina, che inaspettatamente trovai con le luci accese. Mi mossi sulle punte dei piedi, cercando di fare meno casino possibile, per scoprire chi ci fosse e cosa stesse facendo. Temetti che fosse Wendy e valutai l’ipotesi di tornarmene in camera, lasciando la blu da sola ad eventuali richieste d’aiuto a demoni non ancora conosciuti. Quando riconobbi la voce, rilassai la postura, liberando un sospiro di sollievo: Sting era seduto sul divano, a guardare la televisione. Gli occhi spalancati, le ginocchia portate vicino al petto, strette dalle braccia. Si dondolava avanti e indietro, il volto completamente bianco.
«Sting?» lo chiamai.
Mio fratello cacciò un grido talmente acuto, che se fosse stato in grado avrebbe frantumato tutto ciò che fosse di vetro all’interno della casa. «Lucy! Per amor di Pancetta! Mi hai spaventato!» strillò.
Inarcai un sopracciglio. «Tu stai troppo tempo in compagnia di Rogue.»
Lui mi guardò confuso. «E questo cosa c’entra?»
«Il tuo grido, sembra quello di una femminuccia. Andiamo, nemmeno io urlo così.» borbottai. Sting fece per aprire bocca ma lo bloccai con un cenno della mano. «Cosa stavi guardando?»
Il biondo rabbrividì. «Un film horror, Rogue mi ha detto che è tratto da una storia vera.»
Mi lasciai scivolare sul divano, cadendo a peso morto e incrociai le gambe. «Di cosa si tratta?»
Nemmeno a me piacevano i film horror, non li guardavo mai proprio perché sapevo di non essere in grado di vederli e poi perché non riuscivo a dormire per settimane.
«Rogue mi ha detto che il nome può ingannare.» sussurrò.
Mi strinsi nelle spalle. «Se è famoso dovrei conoscerlo, prova.»
«Biancaneve.» piagnucolò.
Mi voltai di scatto, pensando di aver capito male. «Come?»
«Sì!» strillò. «C’era una strega, degli uomini bassi bassi, una pera avvelenata! Hai una vaga idea di quante pere abbia mangiato?!»
Mi morsi il labbro inferiore per non cercare di scoppiargli a ridere in faccia. «Fratellino ascoltami, prima di tutto è una mela e non-»
«Potrei morire da un momento all’altro!» gridò, portandosi entrambe le mani sul viso.
«Sting, santo cielo, fammi finire di parlare e-»
«E se il veleno fosse già entrato in circolo?!» ululò, alzandosi e iniziando a correre intorno al divano.
Grugnii infastidita e alzandomi dal divano corsi in cucina e presi una bella mela rossa. Assottigliai gli occhi e prendendo la mira, la lanciai. Il frutto prese in pieno la testa del biondo, facendolo fermare.
«Ahi…» borbottò, massaggiandosi la parte colpita.
Quando Sting abbassò lo sguardo per cercare di capire cosa lo avesse colpito e vide la mela, andò nel panico.
«Sei la strega del film!»
«Ehi! Strega a chi?!» feci, innervosendomi.
«Stammi lontana!»
Mi avvicinai e lui fece un tale balzo che riuscì a saltare il davano. Mi abbassai e raccolsi il frutto, guardandolo con un sorrisetto maligno. «Solo un morso.» dissi, con voce melliflua.
«Sai anche le battute!» squittì.
Risi maleficamente, facendogli accapponare la pelle, e iniziai a corrergli in contro. Lui di tutta risposta fece uno scatto talmente rapido da far invidia a un ghepardo. Nonostante nella corsa fossi sempre stata veloce, faticai a stargli dietro. Sting salì le scale a tre a tre, sembrò quasi che stesse volando. Io senza preoccuparmi del fatto che avrei potuto svegliare Wendy e Natsu sbattei bene a terra i piedi nudi, rincorrendolo.
«MAMMAAAA!» fece mio fratello quando realizzò di essere in trappola.
«Mi dispiace ma lei è ad Honolulu, vuoi riferirle un messaggio prima che tu possa assaggiare questa deliziosa mela rossa?»
«Sono allergico alle mele.» tentò.
«Ma se hai detto prima di averne sempre mangiate tante.» ridacchiai.
Mi avvicinai mentre lui si appiattiva sempre di più contro la parete. La mela che lanciavo e riafferravo sembrava sul serio inquietante circondata da tutto quel nero della notte. Quando fui vicina a lui, tanto che avrei praticamente potuto abbracciarlo, gli portai il frutto alle labbra. Il biondo cominciò ad urlare con un pazzo, muovendo la testa da una parte all’altra affinché non riuscissi a costringerlo a mangiare. Con una mano gli afferrai il viso, facendo pressione sulle guance e quando le mie labbra si stesero in un sorriso innaturale, Natsu ci raggiunse.
«Va bene che quello che fate voi non mi riguarda, ma preferirei che la vostra relazione incestuosa rimanesse segreta anche ai miei occhi.»
Mi staccai lentamente da mio fratello e con una luce sinistra ad illuminarmi gli occhi, feci un paio di passi verso di lui. «Mela?»
Sting approfittò del fatto che gli stessi dando le spalle, per eseguire un perfetto placcaggio: si lanciò contro di me e io cadendo sotto il suo peso sbattei il mento a terra, riuscendo a mordermi pure la lingua. Sentii le lacrime premere di uscire agli angoli degli occhi, mentre un sapore dolciastro mi esplose in bocca.
«Sting! Ma a te il cervello serve solo per impedire al cranio di accartocciarsi!» sbottai.
Natsu ci guardò allibito, immobile e indeciso su cosa fare, mentre io lottavo per cercare di togliermi di dosso mio fratello. Alla fine il rosato accese la luce e mi aiutò ad alzarmi.
«Ti fa male la lingua?» chiese.
«Sì.» piagnucolai.
«Fa vedere.»
Abbassai lo sguardo imbarazzata, ma feci come da lui richiesto.
“E siamo a quota tre…”
«Ti sei tagliata, vieni con me, prima la disinfettiamo.» sentenziò.
Natsu mi afferrò per il polso e mi trascinò in bagno, prese il colluttorio e un bicchierino. Chiuse l’asse del water e mi fece sedere. In quel momento notai i capelli rosa del ragazzo completamente arruffati, i pantaloni appena girati e bassi, la maglietta invece leggermente alzata, facendo scorgere una delle righe della V. Mi mordicchiai il labbro, sentendo il viso andare a fuoco e mi costrinsi a guardare altrove.
«Apri.»
Scossi la testa. «Brucerà con quello.»
Lui inarcò un sopracciglio. «Su, non fare la bambina e apri la bocca.»
Gli lanciai un’occhiata in tralice, assecondandolo.
“E quattro…”
Il ragazzo appoggiò il bicchiere sulle mie labbra e sollevandolo appena fece scorrere il liquido verdognolo all’interno della mia bocca, cosa che mi fece subito fare una smorfia di dolore.
«Male?» chiese, premuroso.
Annuii, aggrottando le sopracciglia e guardando in cagnesco il piccolo recipiente. «Sì.»
«Su, torniamo a letto, che tra poco dobbiamo alzarci tutti.» disse Natsu, mettendo tutto a posto e uscendo dal bagno.
Mi alzai di scatto e accelerando il passo lo raggiunsi, camminandogli a fianco. Di Sting non vi era più traccia, mentre la mela era ancora a terra, verso la fine del corridoio.
 
***
 
Sbadigliai rumorosamente, aspettando che i miei occhi mettessero a fuoco ciò che mi stava davanti. Notai con disappunto che il rosato non era nel letto insieme a me, così mi allungai occupando tutto lo spazio. Le braccia a penzoloni fuori dal letto sfioravano il pavimento gelido, mentre il viso era completamente sprofondato nel cuscino.
I ricordi della notte precedente tornarono prepotentemente e in un moto di imbarazzo morsi la federa. Strinsi le palpebre, ricordandomi della rivelazione di Natsu ieri notte. Ero stata un stupida, avrei dovuto chiedergli chi fosse, ma ero talmente stanca che la mia priorità era quella di dormire, facendomi dimenticare tutto il resto. Perfino il fatto di aver dormito tra le braccia di un ragazzo!
«Lucy! Farai tardi se non ti muovi!» urlò Sting.
Non lo ascoltai, stavo cercando di fondermi col letto, volevo sparire dalla faccia della terra: mi vergognavo troppo al solo pensiero di dover sedermi allo stesso tavolo con lui.
«Lu, ho preparato la cioccolata calda, la vuoi?» chiese dolcemente la voce che mi aveva fatto compagnia durante la notte.
Due cose furono la causa del mio balzo: la cioccolata e … la cioccolata.
Avrebbe potuto offrirmela anche Wendy, sarei corsa comunque. Quando scesi dal letto, rivolsi un sorriso al rosato e mimai un timido grazie. Raggiunsi la cucina a passo veloce e mi sedetti al bancone, osservando con occhi luminosi la grossa tazza fumante. Notai la bambina dalla paralisi facciale, stranamente priva di sorriso, gli occhioni nocciola erano contornati da scure linee violacee e il volto pallido non faceva che risaltarle. Mescolava lentamente il liquido denso con un cucchiaino fatto di cioccolato bianco.
«Wendy, va tutto bene?»
I suoi occhi stanchi si posarono su di me, accompagnando quello sforzo con uno sbadiglio. «Sì.» esalò.
Decisi che era meglio non indagare oltre, quando però spostai lo sguardo sull’orologio appoggiato alla parete, quasi mi andò di traverso la bevanda calda. Ero in un ritardo nero e alla prima ora avevo anche ginnastica.
Sbattei la tazza sul tavolo dopo aver bevuto il contenuto in un lungo sorso, scottandomi inevitabilmente il palato e rievocando un bruciore fastidioso alla lingua dopo il taglio durante la notte. Corsi in camera, raccolsi dei vestiti a caso e uscii velocissima, terrorizzata dal fatto che il ragno era ancora nella mia stanza.
Prendendo lo zaino al volo, corsi fino alla fermata, riuscendo a prendere il pullman per un pelo. Mi sedetti accanto a Levy, che cercava di osservare Gajeel usufruendo del riflesso del finestrino.
«Buongiorno.» sospirai già stanca.
La turchina sembrò degnarmi di attenzione solo quando parlai. «Oh, non ti avevo vista arrivare.»
Le lanciai un’occhiata in tralice. «Per forza, stavi stalkerando nuovamente quello scimmione.»
«Io non stalkero nessuno! E poi non è uno scimmione, io lo vedo di più come un orsacchiotto gigante.»
«Un grizzly, insomma.» borbottai.
«Lucy! Sei sempre la solita!»
Mi strinsi nelle spalle, rievocando la discussione avuta con Rogue il giorno prima. «Menomale.»
 
***
 
Sfilai la maglietta rabbrividendo per il freddo, non appena rimasi in reggiseno. Gli spogliatoi erano sempre più gelidi, segno che ormai l’autunno stava iniziando a tendere verso l’inverno. Osservai Levy e Lluvia contendersi il calorifero, mentre le altre si svestivano senza problemi. Vidi Lisanna muoversi tra gli spogliatoi con una faccia disgustata, guardandosi in giro per cercare un posto che le sembrasse pulito.
Le mie labbra si distesero in un ghigno cattivo, mentre osservavo l’albina iniziare a innervosirsi. Sperai tanto di poter giocare con la palla, casualmente oggi avrei dimenticato come si mirasse.
Indossata una magliettina a maniche corte e un paio di pantaloncini, feci una coda alta e raggiunsi la palestra trotterellando. I ragazzi erano come al solito già tutti lì, sentii le mie due amiche raggiungermi e tutte e tre ci allineammo sulla linea bianca, in attesa dei professori. Noi educazione fisica la facevamo con quelli dell’ultimo anno, di conseguenza avrei visto Natsu, Sting, Rogue, Kagura, Erza, Gray e Gajeel.
Cercai una figura dai capelli rosa, ma non riuscii a trovarla subito. Lluvia e Levy invece avevano già identificato i due mori.
Mi allontanai, per avere una visuale migliore, ma ancora di lui non c’era nessuna traccia.
«Ho dimenticato l’elastico.» sbuffò l’azzurra. «Lu, ti spiace andarmelo a prendere nello spogliatoio? Scusa, ma non vorrei perdere di vista quel gran pezzo di gnocco di Gray.»
Alzai le spalle. «Certo, nessun problema.»
Mi voltai e sempre guardandomi intorno, tornai sui miei passi. Quando raggiunsi la porta dello spogliatoio femminile, la aprii senza farmi problemi, ma quello che mi si presentò davanti mi fece raggelare sul posto.
Percepii qualcosa all’altezza del petto che mi costrinse a schiudere le labbra per far passare più aria e appoggiare una mano sullo stipite della porta per mantenermi. Le mani me le sentii improvvisamente gelate, quasi come la pietra fredda che era diventato il mio muscolo cardiaco. Deglutii a vuoto un paio di volte, ritrovandomi a sbattere le palpebre, quasi come se volessi scacciare via l’immagine che avevo davanti e proiettare nuovamente il soffitto della stanza del rosato, cercando di convincermi che ciò che mi ero ritrovata davanti era solo il frutto di un sogno, forse dovuto al cibo della sera prima che non avevo digerito.
Peccato che gli occhi mi bruciavano troppo per dar ascolto alla mia mente che menefreghista come al solito, credeva che tutto quello non le importasse minimamente. Cercai di mantenere un controllo, davanti a loro e alzando il mento in segno di superiorità e guardandoli con sufficienza, camminai verso la borsa di Lluvia.
Feci finta di non vederli, di non vedere l’espressione indecifrabile di Natsu e quella soddisfatta e vittoriosa di Lisanna.
Feci finta di non vedere le loro mani in cerca del corpo dell’altra.
Feci finta di non aver mai visto le loro labbra sfiorarsi, toccarsi e cercarsi.
Le mani però mi tremavano mentre cercavo l’elastico della mia amica, ma grazie a Mavis riuscii a trovarlo subito e uscendo mi mossi con un passo sicuro, mascherando la tremarella anche alle gambe. Quando si trattava di nascondere, di non rivelare, di non mostrare io ero la numero uno.
Mi chiusi la porta alle spalle delicatamente, anche se avrei voluto sbatterla talmente forte da farla cadere.
Una volta fuori, tirai un sospiro di sollievo e corsi velocemente verso le mie amiche.
«Lucy, eccoti qui! Grazie mil- ehi, che faccia…» fece l’azzurra.
Levy si voltò. «Che è successo?»
«Nulla che mi importi.» sibilai.
In quel momento fecero la loro entrata Lisanna e Natsu, bastò vederli insieme per far capire tutto alle mie amiche. Fecero entrambe per aprire bocca, ma prima che potessero parlare io me ne ero già andata, raggiungendo Erza e Kagura.
«Lu-chan!» mi salutò la castana con un caloroso abbraccio.
Indossai una delle mie innumerevoli maschere e risposi al contatto, sorridendole radiosa. Vidi con la coda dell’occhio Natsu corrermi incontro, ma per fortuna Lluvia e Levy lo fermarono, quest’ultima iniziò a urlare come era solita fare quando voleva spiegazioni, aggrediva le persone e le minacciava. L’azzurra invece stava tenendo il ragazzo per un braccio, riuscii a vedere le sue unghie piantarsi nella pelle, ne fui certa quando vidi il rosato fare una smorfia e abbassare lo sguardo sul suo arto.
Ecco perché loro erano le mie migliori amiche.
I professori entrarono, sedendosi alla grande cattedra e guardarci attentamente, prendendo alla mano i due registri di classe.
«Forza, in riga che facciamo l’appello.»
Obbedimmo e aspettammo che ci chiamassero uno ad uno.
Quando decisero il gioco di riscaldamento le mie labbra si distesero in un ghigno innaturale.
Palla prigioniera.
Ci dividemmo in squadre e con mia somma gioia sia Lisanna che Natsu erano nella squadra avversaria. Vidi Gray – che era con me – correre davanti, raccogliere una palla e mirare al suo migliore amico. Sperai che fallisse, e fortunatamente Natsu riuscì a schivare il colpo. Colpirlo era un onore che spettava a me.
Levy e Lluvia erano nella mia squadra, anche se la turchina in realtà doveva essere nell’altra, ma se ne era fregata di ciò che le aveva detto la professoressa ed era venuta in squadra con noi, tanto non se ne sarebbe accorta.
L’azzurra, troppo occupata a fissare il ragazzo dei suoi sogni, venne colpita al fianco da Erza che sorrideva compiaciuta. Lluvia sbuffò, massaggiandosi la parte colpita, e andò in prigione. La turchina invece si era fatta prendere non appena aveva visto che anche il suo amato Gajeel era stato imprigionato, raggiungendolo svelta. Poco a poco le squadre stavano diminuendo.
Feci uno scatto felino quando vidi la palla rotolare lenta nella mia metà campo, riuscendo a prenderla prima di Gray.
Approfittai della distrazione dell’albina per mirare e colpirla in testa, quest’ultima emise un lamento e si voltò completamente rossa per la rabbia.
«Professoressa!» strillò. «Non vale la testa!»
«Veramente non vale la faccia.» sbuffò lei annoiata, mentre scriveva alcune cose sul registro.
Lisanna grugnì infastidita e lanciandomi un’occhiata omicida, marciò verso la mia prigione. Sorrisi soddisfatta e mi concentrai sul rosato, mi avvicinai al moro e bisbigliai. «Natsu lo voglio prendere io, non interferire col mio piano di vendetta.»
Feci appena in tempo a spostarmi che un missile colpì Gray nello stomaco. Il ragazzo si disperse in una raffica di insulti tutti rivolti al mio target. Eravamo davvero in pochi in campo, l’altro professore aveva deciso di aggiungere una seconda palla. Kagura, che era con me, l’afferrò in tempo e mettendoci più forza possibile mirò a Rogue che con un abile saltino da checca schivò il colpo.
«Tsk.» fece la castana.
Sting provò a colpirmi, ma riuscii ad abbassarmi in tempo, mentre qualcuno dietro di me afferrò al volo la palla, incarcerando inevitabilmente mio fratello. Approfittai del fatto che entrambe le palle fossero nella mia metà campo e con un movimento fluido recuperai anche quella in mano al ragazzo che aveva preso Sting. Corsi velocissima verso la riga bianca e caricando lanciai la prima palla: Natsu si scostò appena e riuscì ad evitare il colpo.
Fu in quel momento che l’immagine di quei due avvinghiati e con le labbra appiccicate a quelle dell’altro tornò davanti ai miei occhi. Sentii montarmi in corpo la rabbia e soprattutto la delusione, misi in quel colpo tutta la forza che i miei muscoli riuscissero ad incanalare in quel gesto: la palla si librò nell’aria, sibilando e colpendo il viso del rosato che cadde a terra seduto.
«Heartphilia!» sbottò la professoressa. «Diamine, ogni volta mi devi creare casini! Vai a cambiarti! E ringrazia il fatto che ti metto solo la nota e che non ti sbatti in presidenza!»
Mi voltai, facendo ondeggiare la lunga coda dorata, e camminando verso gli spogliatoi potei ritenermi contenta della mia infallibile mira.
Avrei voluto spaccargli il setto nasale, vendicandomi anche di quella volta che mi aveva sbattuto la porta in faccia, ma era chiaro che non potevo pretendere troppo da una palla. Mi spogliai velocemente, appallottolando i vestiti e sbattendoli all’interno della borsa. Sciolsi i capelli, passandoci le dita, stringendo le ciocche e tirandole fino a farmi inumidire gli occhi. Grugnii infastidita, lanciando il deodorante contro la finestra, il quale produsse un brutto rumore e poi cadde a terra con un tonfo.
Avevo bisogno di sfogarmi, avevo bisogno di un sacco da boxe, avevo bisogno che Natsu fosse il mio sacco da boxe.
Indossai la camicetta a quadri e la infilai nei jeggings blu a vita alta. Afferrai la borsa e aprendo la porta andai a sbattere contro il petto di qualcuno.
Quel profumo…
Era lo stesso che mi aveva fatto compagnia durante tutta la notte.
Alzai lo sguardo, puntandolo negli occhi completamente neri di Natsu.
«Levati dalle palle.» sibilai, cercando di sgusciare via.
Sentii le sue mani afferrarmi gli avambracci e bloccarmi. «Non farmi incazzare Lucy e ascoltami!» sbottò.
Sussultai quando sentii il modo in cui mi parlò, non si era mai rivolto così a me. Non aveva mai perso la calma, aveva sempre avuto una grande pazienza.
Ovviamente io mi innervosii solo di più. «Dragneel, se non ti sposti questa volta ti colpisco con un pugno.»
«Voglio parlare e adesso fammi la cortesia di tacere! Quello che hai visto prima-»
«Stai zitto! Non dire nulla!» strillai, abbassando la testa e cominciando a sentire le lacrime rigarmi le guance.
«Lucy, tra me e Lisanna non c’è niente santo Dio! È stata lei a baciarmi io-»
Non lo feci finire di nuovo, fu abbastanza per le mie orecchie e per il mio cuore. Perché prendermi in giro? Se non voleva rispondere al contatto bastava respingerla e farglielo capire! E invece lui aveva ceduto. Quindi non era vero che fu solo colpa di quella stronza, la colpa era anche sua! L’aveva respinta quindi? A me non risultava, perché il ragazzo che era avvinghiato a lei era proprio quello che mi stava davanti. E ammettiamo anche che sia stata lei a darlo a tradimento, come si spiegano le sue mani sul suo corpo?
Dannazione non ero stupida!
Ecco perché lo interruppi con un pugno ben assestato sul naso. Quando guardai le mie nocche e le vidi sporche di sangue, scoppiai a piangere ancora più forte di prima. Sorpassandolo, corsi via uscendo dalla porta di sicurezza della palestra, accelerando il più possibile e ignorando il dolore alle gambe che venne dopo un po’ e il dolore al petto.
Ma per quello non seppi bene se fosse dovuto alla corsa o per ciò che mi aveva fatto Natsu.
Continuai a correre, mentre i troppi pensieri non facevano che peggiorare la situazione facendomi impazzire. Le lacrime ormai sgorgavano dai miei occhi senza sosta, offuscandomi la vista, tanto che ormai vedevo solo macchie colorate in mezzo al grigiume della strada. Fu a causa di quelle lacrime che quando attraversai la strada non mi accorsi di una macchina in arrivo. Quando sentii il clacson però fu già troppo tardi: sbattei il fianco contro il cofano, facendomi perdere l’equilibrio e cadere a terra. Prima di sbattere la testa per terra, vedi la portiera spalancarsi, ma non feci in tempo a vedere chi fosse sceso, perché persi i sensi subito dopo.








Yumeha's Corner
Ciao miei amati lettori! ♥ Come state? Tutto bene?
Mi spiace per il ritardo, ma come credo abbiate capito non ho molto tempo. Non avrò nemmeno le vacanze di carnevale. :/ Da domani entrerò in alternanza scuola-lavoro (o stage, come volete chiamarlo) e uscirò di casa alle 7 per rientrare alle 19 di sera. Sarà un inferno. D: In più dovrò anche studiare un sacco per filosofia, perché quando a Marzo rientrerò a scuola ci sarà una bella interrogazione su Spinoza ad attendermi. :D Yeeee...
Bene, torniamo alla storia.
Che ne pensate? Vi aspettavate un finale simile? ouo Dico la verità: io no. (?) Ero partita con l'idea di scrivere tutt'altro, ma poi è uscito... questo. (?) Ebbene sì. Ma ho già iniziato a scrivere il prossimo, vi dico solo che tutte le fan della NaLu saranno contentissime. ♥ (Stop con i mini spoiler ora. eue)
Boh, fatemi sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuto e se sono riuscita a strapparvi una risata con la scena di Biancaneve. xD
Anzi, oggi mi sento particolarmente buona, vi faccio un altro spoiler: nel prossimo arriverà un nuovo personaggio! Che a livello di sanità mentale sarà moooolto peggio di Sting! Ahahaha. Preparatevi. ouo
Bom, mi dileguo.
Un bacione,
Yumeha


 

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Capitolo 8
*** Cap 7: Alla fine anche tu ti sei guadagnato un posto nel mio cuore. ***



Alla fine anche tu ti sei guadagnato un posto nel mio cuore.
 

Dedico il capitolo a tutti quei fan che appena trovano un minimo accenno alla NaLu, non fanno in tempo a passare tre secondi che sono già partiti i trip mentali. xD
 
Capitolo 7 ~
 
Passarono due settimane dall’incidente, fortunatamente non mi era accaduto nulla di grave. Stavo già meglio, ma un’esperienza simile fu la seconda cosa più brutta che mi successe nei miei diciassette anni di vita. Natsu ed io non ci eravamo più rivolti una parola, come se non ci fossimo mai conosciuti. Non dialogavamo, però ci guardavamo sempre. Occhiate furtive, contatti diretti… Entrambi avevamo sicuramente bisogno di gridare contro l’altro e spiegare le proprie ragioni, però nessuno lo faceva. Lui non sapevo per quale motivo, forse perché era ancora arrabbiato per il pugno. Mentre io chiaramente per una questione di orgoglio.
Ovviamente dopo il pugno dato a Natsu ed essere scappata da scuola, fui espulsa per un paio di giorni, i quali purtroppo erano già trascorsi.
Sia mamma che papà erano furiosi per tale comportamento, ma l’incidente li aveva fatti preoccupare talmente tanto che si erano dimenticati di infliggermi la solita punizione. Sting andò quasi nel panico quando seppe ciò che era successo mentre lui si trovava tranquillo e ignaro in palestra.
Mi spiaceva, non avrei mai voluto che tutto ciò accadesse, ma l’impulsività era un altro dei miei interminabili difetti.
Sospirai a quei pensieri, mentre continuavo a passare da un canale televisivo all’altro. Quel giorno sarei dovuta rientrare a scuola, ma non avevo la minima voglia di andarci, così mi ero chiusa in casa. I miei genitori pensavano che fossi già in classe ormai, invece ero davanti alla tv, a guardare un cartone animato, godendomi una tisana alla melissa.
Mi alzai dal divano sbadigliando, andando in camera per recuperare il laptop che Igneel mi aveva regalato. Fortunatamente, durante il mio pernottamento all’ospedale, avevano pensato bene a cercare quel dannatissimo ragno e fallo sparire dalla mia stanza.
Quando sentii dei passi venire nella mia direzione, alzai lo sguardo e la tazza che tenevo tra le mani scivolò dalla mia presa e si infranse sul pavimento.
Davanti a me c’era Natsu, in pigiama, che si stava stropicciando un occhio stanco.
“Ma lui non doveva mica essere a scuola?!”
Il rosato fece una smorfia quando vide la tazza andare in pezzi e sporcare a terra.
« Mi auguro che tu pulisca questo casino adesso » sibilò.
Non sentivo la sua voce da ben due settimane e tutto ciò che aveva da dire era questo? Gonfiai le guance, diventando sicuramente rossa per la rabbia. Ma non gli concessi una risposta, mi voltai e andai a prendere l’occorrente per pulire. Al mio ritorno lui non c’era più, cosa che mi fece sospirare di sollievo. Tornai in cucina per prepararmi un’altra tisana alla melissa, ma vidi i fornelli occupati dal rosato.
“Cos’ha, la capacità di teletrasportarsi?”
Dovetti rinunciare alla ma bevanda calda, così mi rinchiusi in camera e prendendo il pc iniziai a buttare giù qualche riga della mia storia in corso. Dopo un paio di frasi, mi alzai e collegai le casse al laptop, mettendo i Sum41 a tutto volume. Quando le note di Over My Head partirono, mi ritrovai in piedi sul letto ancora prima che potessi rendermene conto. Durante il ritornello cominciai a saltare, girare su me stessa e far finta di suonare una chitarra immaginaria. Non mi preoccupai nemmeno quando il computer cadde a terra con un tonfo, la musica sembrava scorrere nelle mie vene mandando visioni al mio cervello di un ipotetico futuro di me come chitarrista.
Peccato che il mio balletto improvvisato venne brutalmente interrotto dalla porta che si aprì di scatto e l’entrata di un Natsu piuttosto innervosito. Per lo spavento cacciai un grido e persi l’equilibrio, scivolando all’indietro e sbattendo il sedere a terra. Sentii un scossa arrivarmi alla testa quando picchiai il coccige sul pavimento.
Il rosato corse verso di me, preoccupato. « Scusami, non volevo spaventarti »
Quando le sue mani si avvicinarono a me, non seppi cosa mi successe, non era corretto dire che andai nel panico, ma fu qualcosa di molto simile. Le scostai con un gesto brusco, indietreggiando e schiacciandomi contro la lunga tenda, gli occhi sbarrati e il cuore che correva come un forsennato. Davanti agli occhi continuavo a vedere il mio pugno che colpiva il viso del ragazzo che avevo davanti, la corsa a tutta velocità, la macchina… Appena rividi anche la vettura che mi colpiva e mi faceva cadere, tirai un urlo e mi raggomitolai su me stessa.
Ero ancora troppo spaventata per poter riavere Natsu così vicino. Mamma e papà avevano insistito perché io andassi da uno psicologo ma io avevo bocciato la possibilità. Non mi andava di essere messa sott’occhio da un dottore nemmeno per quanto riguardava le mie ferite.
Odiavo andare da qualsiasi dottore.
Il rosato si guardò in giro a disagio e in ansia, non sapendo bene come reagire. Le note troppo alte di In Too Deep mi stavano facendo girare la testa, tra la musica a palla, i ricordi dell’incidente e Natsu davanti a me, fu un miracolo se non persi i sensi. Almeno una cosa giusta quel ragazzo la fece: scollegò le casse, facendo piombare la stanza nel silenzio, permettendomi di tirare un sospiro di sollievo e cominciare a regolarizzare il battito cardiaco.
« Lucy » sobbalzai. « Guardami »
Serrai le palpebre, abbassando la testa e appoggiando la fronte sulle mie ginocchia strette al petto.
« Ehi » sussurrò.
Alzai piano il capo, guardandolo da sotto le mie lunghe ciglia biondicce. Notai le sue labbra stendersi appena in un sorriso rincuorato. Lo vidi avvicinarsi piano e io mi schiacciai ancora di più contro la tenda, percependo questa volta anche il freddo del vetro della portafinestra.
« Non fare così, non ho la minima intenzione di farti del male » borbottò.
Puntai lo sguardo sui miei piedi nudi, aspettando di tornare completamente tranquilla.
« Questa reazione esagerata non è dovuta all’incidente, non è vero? C’è qualcosa sotto… »
Deglutii a vuoto, mordendomi a sangue il labbro inferiore per non far uscire un assenso. La macchina non era in realtà il vero problema che mi aveva fatta andare nel panico. Quella scena sembrava il preludio a qualcosa che mi era già successo e che non volevo si ripetesse.
Non avrei mai voluto colpire Natsu veramente, era stato un riflesso volontario quando avevo visto che lui mi aveva bloccata e non aveva intenzione di lasciarmi.
Avevo avuto paura.
Eppure il mio gesto si rivelò essere anche lo stesso di quella volta, la cosa più sbagliata che potessi mai fare.
Quando lo vidi avvicinarsi a me con le mani protese, qualcosa mi fece reagire in quel modo.
« Non chiedermi nulla, ti prego » esalai.
Natsu scosse la testa. « Se preferisci così, non lo farò »
« Grazie » mormorai.
Mi bruciavano gli occhi, avevo bisogno di piangere ma non riuscivo a farlo, le lacrime non scendevano.
« Finalmente ti sei decisa a parlarmi » ridacchiò, appoggiando le mani sui fianchi.
Lo guardai stralunata, effettivamente avevo appena infranto il mio voto di silenzio. Sorrisi debolmente, allungando le braccia verso il rosato.
Natsu non era lui, avrei potuto fidarmi. Non mi avrebbe mai fatto del male, perlomeno fisicamente… Perché quando avevo visto lui e Lisanna baciarsi mi aveva fatto male, tanto. Eppure sentivo che stando insieme a Natsu sarei stata al sicuro.
Fu in quel momento in cui decisi di donare la mia sicurezza a lui.
Si avvicinò e tirandomi su, mi abbracciò.  Socchiusi gli occhi beandomi quel contatto.
« Non so cosa ti sia successo, ma puoi star tranquilla che finché starai con me, nulla ti scalfirà più »
Annuii, stringendo la presa sulla maglietta del suo pigiama. « Ci conto »
Il ragazzo mi allontanò poco dopo, sistemandomi una ciocca dorata dietro l’orecchio. « Ti va se prepariamo insieme dei dolcetti? »
Le mie labbra si distesero in un sorriso radioso. « Sì! »
Natsu mi prese per mano e mi trascinò in cucina, davanti al bancone lasciò il mio arto e cominciò a frugare in giro, per vedere quanti e quali ingrediente avessimo in casa.
« Io ho voglia di qualcosa con la panna, che dici? » fece, tirando fuori del latte.
Ridacchiai. « Aggiudicato, facciamo i bignè alla crema chantilly? »
« Bell’idea! » Natsu prese il libro di ricette di mamma e cominciò a sfogliare.
« Serve farina, acqua, burro, uova, zucchero in granella e a velo, vanillina e panna. » elencò.
Cercando di ricordarmi tutti gli ingredienti menzionati, cominciai a spalancare ante e frigorifero per ammucchiare tutto sul bancone. Il rosato mi fece l’occhiolino e iniziò a preparare il tutto.
« Ti affido la parte più importante: prepari tu la panna? »
Sgranai gli occhi. « Ti fidi? »
« Certo »
Gli sorrisi, decidendo che non lo avrei deluso. Mi alzai le maniche il più possibile e iniziai a dedicarmi alla parte fondamentale, cercando di seguire alla perfezione la ricetta. Finché avevo tutto scritto ed ero seguita, anche io ero in grado di cucinare bene, perciò non credo avrei avuto grossi problemi.
Infatti tutto procedette senza intoppi, l’unica cosa che sbagliai fu la dose, perché esagerai con la quantità. Ma quello non era un problema, ce ne saremmo sbarazzati con piacere.
La parte più divertente arrivò alla fine, quando dovemmo tagliare la parte superiore dei dolcetti per farcirli di panna. Insistetti per spolverare un po’ di cacao in polvere sulla superficie del bignè dopo averlo richiuso.
A opera terminata corsi in camera per andare a prendere il cellulare e fare una foto al nostro capolavoro.
« Era proprio necessaria la foto? » fece Natsu perplesso.
« Sì, se no Levy e Lluvia non mi avrebbero mai creduto! » risi.
« Li assaggiamo? » chiese il rosato, sorridendomi.
« Chiedi anche? »
Lui mi sorrise divertito, dandomi un bignè che io afferrai subito. Li testammo, ritenendoci pienamente soddisfatti.
« Sono deliziosi » dichiarai.
Annuì. « Hai visto che pasticceri provetti? »
Ridacchiai, prendendo un cucchiaio e sporcando il naso del ragazzo accanto a me. Lui finse un’espressione oltraggiata, cercando di pulirsi dalla panna. Natsu infilò le mani nella scodella piena di crema e successivamente le stampò entrambe sulle mie guance. Sobbalzai sorpresa, così per vendetta presi la ciotola e cominciai a rincorrerlo. Natsu scattò velocissimo in salone, iniziando a girare tra il divano e il tavolino basso di cristallo. Quando saltò il piccolo tavolo, io mi feci trovare esattamente sulla traiettoria, peccato che avevo sbagliato la tempistica: Natsu mi cadde addosso, schiacciandomi a terra, solo il grande tappeto persiano ad attutirmi la caduta. Il ragazzo mi aveva appoggiato una mano sulla zona occipitale del cranio, per evitare di sbattere nuovamente quella parte e rischiare un altro pernottamento all’ospedale. Un gesto che probabilmente avrebbero fatto tutti, però mi rese felice. Felice di sapere di essere importante per questo ragazzo e che non voleva il mio male.
D'altronde me l’aveva promesso: lui mi avrebbe protetta.
« Tutto okay? » chiese premuroso.
« Uhm uhm. » annuii.
Ci spostammo, io ero rimasta in ginocchio, con la ciotola sulle cosce. Natsu invece era seduto a gambe incrociate davanti a me, cercando di capire se mi fossi fatta male e avessi detto una balla.
Approfittando di quel momento lo sporcai nuovamente di panna, questa volta imbrattandogli anche i vestiti. Natsu mi guardò con un ghigno di sfida, che io trovai estremamente accattivante e mi fu addosso cercando di rispondere alla mia dichiarazione di guerra. Scoppiai a ridere quanto sentii le sue mani sui fianchi e farmi il solletico, quando però le sue dita mi sfiorarono la pelle al di sotto della maglietta arrossii, ma non riuscii comunque a fermarmi, avevo le lacrime agli occhi.
« B-basta » boccheggiai.
Natsu mi diede finalmente tregua, sorridendo soddisfatto. « Così impari a imbrattarmi tutto »
Gli feci la linguaccia, ma la mia attenzione venne attratta da altro. Vicino all’angolo della sua bocca c’era ancora della panna, così agii di impulso: mi avvicinai e leccai via i residui della cremina bianca.
Il rosato mi guardò allibito, diventando completamente rosso. Io appena mi resi conto del gesto sconsiderato divenni bordeaux, sbattendomi una mano sulla bocca un po’ troppo forte.
« Oddio, scusami! Ho agito con impulsività e- »
Il ragazzo non mi fece finire di parlare, perché accorciò nuovamente la distanza tra noi e appoggiando una mano sulla mia guancia, premette le labbra sulle mie subito dopo. Le mie palpebre si abbassarono immediatamente, mentre le mie mani andarono a infilarsi tra i capelli spettinati e ribelli del ragazzo. Il mio cuore a quel contatto esplose, cominciò a battere velocemente, troppo perché il mio respiro riuscisse a stargli dietro. Ma in quel momento potevo farne anche a meno di respirare, perché ero troppo occupata a muovere le labbra su quelle di lui, deliziosamente morbide.
Ci separammo, i miei occhi ancora puntati su quelle labbra così sensuali. Dovetti ammettere di avere il cervello completamente fuori uso, Natsu aveva definitivamente ucciso a randellate il mio ultimo neurone superstite. Quando lo vidi ghignare, spostai lo sguardo nelle sue iridi completamente verdi. Non vi era più traccia del color ossidiana, ora brillavano talmente tanto da farmi quasi percepire la felicità che provava lui.
Fu breve il nostro contatto visivo, perché entrambi azzerammo nuovamente il poco spazio che ci divideva, o meglio, quell’unico sospiro.
Solo che il bacio che seguì il primo non ebbe nulla a che vedere con quello precedente. Le sua mani bollenti corsero sul mio corpo, una alla base della schiena e l’altra alla base della testa, a stringere i capelli. Le mie invece erano sul suo petto, serrate con forse troppa forza sulla stoffa della maglietta, che in quel momento desiderai solo vederla scomparire. Natsu non dovette nemmeno chiedermi il permesso, le nostre labbra si schiusero nello stesso momento, facendo scontrare le nostre lingue. Ci inseguivamo con voracità, bisogno.
Non sapevo che un bacio potesse avere un effetto tanto devastante.
Fu quando il rosato mi sfilò la parte superiore del pigiama, che mi resi conto di non avere più paura. Nessuna visione aveva disturbato quel magico momento che mi stava facendo impazzire. Mi lasciai andare a lui, anche quando si avventò sul mio collo e sentii la sua lingua scorrere avida sulla mia pelle, baciando, lambendo e mordendo. Mi scappò un gemito quando morse un po’ più forte, quel dolore riuscì a mandarmi una scarica di piacere al basso ventre, risvegliando dei sensi che credetti sopiti da tempo.
Feci per liberarlo da quella maledettissima maglietta, ansiosa di vedere quel corpo scolpito e di delineare tutta la sua muscolatura con la mia bocca, ma venni interrotta dal qualcuno che praticamente si appese al campanello.
Ci staccammo entrambi sbuffando, forse con in mente lo stesso metodo di tortura da infliggere al malcapitato.
Indossai velocemente la maglietta e cercai di darmi un contegno, ma quando passai davanti a uno specchio ovale appeso al muro e notai la mia immagine, pensai che non era il caso di aprire la porta in quelle condizioni: per la fretta avevo messo la maglietta al contrario, le guance erano ancora rosse, gli occhi troppo luminosi, i capelli dorati ridotti a una massa informe, più simile ad un nido di uccelli che a una capigliatura. Mi voltai verso Natsu e vidi che nemmeno lui era messo tanto meglio.
Sospirai, sperando che la persona che si presentò non facesse domande. Spalancai la porta e sbarrai gli occhi, sbalordita.
Una furia dai lunghi e mossi capelli rosa mi saltò addosso, grazie alla mia prontezza di riflessi riuscii a prenderla al volo. Sentii le sue labbra premere su una delle mie guance calde e schioccarmi un bacio.
« Lu-chan! Che piacere rivederti! »
La ragazza si allontanò, guardandomi intensamente con i suoi grandi occhioni verdi.
« M-Meredy, cosa ci fai qui? »
Lei arricciò le labbra in una smorfia offesa, chiudendo la porta con un colpo di tacco. « Insomma, è questo il modo di accogliere la tua cuginetta preferita? »
Il suo sorriso solare tornò subito dopo, prendendo la valigia e abbandonandola nel salone. Corse in contro a Natsu e gli afferrò una mano, stringendola talmente forte che sentii i crack fin dove mi trovavo io. Appena si presentarono, mia cugina tornò verso di me e temetti che volessi abbracciarmi nuovamente e spezzarmi qualche costola.
« Siete fidanzati? » chiese innocentemente.
Divenni bordeaux, iniziando a balbettare delle parole sconnesse. « E-ecco… noi… io… »
« Ho capito, ancora nulla di serio » annuì lei, con fare riflessivo.
« Ma che-?! »
« Uh, ma avete fatto i bignè! Caspita, quanta crema che c’è in giro, sono davvero dolcetti o sono delle mini bombe? » Si fermò davanti a una macchia di crema e la esaminò con fare attento. « Perché stando alle condizioni in cui vi ho trovati, potrebbe anche trattarsi di altro »
« Meredy! » squittii imbarazzata.
Sentii Natsu borbottare qualcosa come un “eh, magari…” ma mi costrinsi a far finta di non averlo sentito.
Mia cugina era davvero un uragano, dove passava lei succedeva inevitabilmente un casino. Per non parlare del fatto che ogni cosa che pensava doveva per forza dirla. Oppure della sua perversione in tutto, bastava un minimo doppio senso che lei te lo faceva notare e scoppiava a ridere. Adorava la chimica e giocare con le provette, non vi dico quanti arredi aveva fatto saltare in aria quella ragazza. Un’altra sua caratteristica pericolosa era la sensibilità, capiva tutti gli stati d’animo delle persone senza alcuno sforzo. Ti guardava e capiva subito dove stava il problema.
« Non che non mi faccia piacere la tua presenza, anzi, sono molto contenta. Ma come mai sei qui? »
Lei si strinse nelle spalle. « Ho cambiato scuola, sarò in classe con te »
« Gesù » esalai.
« Saremo compagne! » trillò.
Approfittai di un suo momento di distrazione per farmi il segno della croce. « B-bene » tentennai.
« Vi spiace se vado a farmi una doccia calda? Magari voi due intanto avete bisogno di parlare » disse, facendomi l’occhiolino.
Sbarrai gli occhi, non era possibile, ma come faceva a sapere sempre tutto? Anche Natsu sembrò pensarla al mio stesso modo, perché la guardò con un’espressione stralunata.
La rosa prese la sua valigia e si allontanò canticchiando una canzone su una caramella gommosa. Mi portai una mano sul viso, avvicinandomi al ragazzo.
« Però, che tipa che è tua cugina »
Annuii. « Spera che non debba alloggiare qui »
Lui si grattò una tempia pensieroso. « È pericolosa? »
« Tu non immagini quanto »
Natsu sorrise divertito alla mia risposta, ma durò poco, perché si spense subito. « Senti Lucy, mi spiace per quello che è successo. Mi sento tremendamente in colpa, se non fossi venuto nello spogliatoio, tu non… » la sua voce si incrinò.
« Sht, non è colpa tua. Non potevi prevedere la mia reazione, non potevi sapere che ti avrei tirato un pugno – ah, scusa per quello – e che sarei scappata da scuola »
« Il pugno invece me lo sono meritato, sono stato un stupido, non avrei dovuto bloccarti »
Mi strinsi nelle spalle. « Credo che ormai sia inutile continuare a rimuginarci sopra, quel che è successo è successo. E poi guarda, sono ancora qui tutta intera » sorrisi, indicandomi.
« Sì » anche le sue labbra si incurvarono all’insù.
« Però sappi che non ho la minima intenzione di chiederti scusa per la pallonata in faccia, anzi quella te la ritirerei ancora » grugnii.
« Ehm, già, la questione Lisanna » mormorò a disagio.
« Voglio delle spiegazioni, tu quella la conosci già, non è vero? »
Il rosato sospirò, sedendosi sul divano. « Sì, Lisanna ed io ci conosciamo fin da piccoli, era la mia vicina di casa. La conobbi quando la mia palla finì casualmente nel suo giardino ed io dovetti scavalcare la siepe che divideva le due villette, per andarla a recuperare. Fu in quel momento che la vidi per la prima volta, intenta a giocare con delle bambole. Ci ritrovammo a parlare e subito dopo a giocare insieme, tanto che finii con andarla a trovare tutti i giorni. Il nostro rapporto si rafforzò sempre di più, finché entrambi non cominciammo a provare qualcosa di più per l’altro una volta cresciuti. Mi dichiarai a lei e ci mettemmo insieme, solo che Lisanna aveva sempre avuto un grande dono: il canto. Arrivò il momento che dovette abbandonare la sua semplice vita per intraprendere la strada del successo e da allora non la rividi più. Quando però seppi che si era trasferita nella tua classe, non riuscii a crederci, ero felice, ma non abbastanza come pensai che dovessi essere al suo ritorno, perché ormai qualcun altro aveva preso il suo posto e me ne resi pienamente conto soltanto dopo aver visto la tua espressione nello spogliatoio, mentre mi trovavo con Lisanna. E dopo i nostri bignè, ne sono praticamente certo » terminò, fissandomi intensamente negli occhi.
Persi in paio di battiti a quella rivelazione. E così io ero riuscita a soffiare il posto a Lisanna? Sorrisi dolcemente al ragazzo che era davanti a me, ma non dissi nulla. Temevo che se avessi aperto bocca avrei rovinato tutto come al solito, così rimasi zitta e mi godetti il mio momento di gloria.
« Scusate, dov’è il bagno? » fece Meredy spuntando all’improvviso e facendo sobbalzare entrambi.
Natsu ridacchiò, mi lanciò un’ultima occhiata e si alzò per mostrare dove fosse il bagno a mia cugina. Sorrisi come un’ebete, ancora troppo felice di ciò che mi era appena successo.
Ormai credevo di averlo capito: mi ero innamorata di quell’idiota di Natsu Dragneel.
Mi ci era voluto un incidente e un bacio per capirlo ma almeno ci ero arrivata.
Ancora sorridente, mi voltai e decisi che forse era il caso di sistemare e di rimuovere la crema chantilly dal salone, o chi sarebbe entrato da quella porta non avrebbe esitato a fare battute come quella di mia cugina.
 
Osservai il mio personaggio morire davanti ai miei occhi, incapace di fare qualcosa per poterlo salvare. Sbuffai sonoramente, adagiando il joystick a terra e appoggiando la schiena contro il letto di mio fratello.
Pensavo che giocando all’Xbox avrei potuto mantenere i pensieri occupati, ma evidentemente non ci ero riuscita. Il mio cuore batteva ancora troppo forte perché io riuscissi a calmarmi, quel contatto non mi era minimamente bastato, volevo di più.
Volevo alzarmi, abbracciarlo e baciarlo.
Ma il mio corpo era fermo, ancorato al pavimento freddo della stanza di Sting. Lasciavo scorrere il polpastrello sul tasto Y del controller, con lo sguardo puntato contro la televisione. Quello stesso dito, passò sulle mie labbra, delineandole e lasciando che queste ultime si stesero in un sorriso.
Mi terrorizzava tutto questo, non ero ancora pronta per innamorarmi di nuovo. Non dopo lui perlomeno. Sarebbe dovuto trascorrere molto più tempo, forse avrei dovuto anche lasciarmi l’amore alle spalle. Non ne volevo più sapere, eppure il cuore mi aveva giocato un altro brutto tiro.
Da quanto tempo mi piaceva Natsu? Forse fin da quando mi aveva chiamata sorellina per la prima volta, in chiesa, durante il matrimonio di mamma. Una cosa per cui mi ritenevo particolarmente stupida, stava nel riuscire a realizzare e a comprendere le mie emozioni e sentimenti. Solitamente me lo facevano notare altre persone, da sola non ci facevo caso. Ma questa volta, potevo vantarmi di esserci arrivata più o meno da sola. Mi ci era voluto comunque troppo tempo, ma meglio che niente.
Sentii qualcuno bussare alla porta, ma non risposi, tanto sapevo che sarebbe entrata comunque. Infatti Meredy sgattaiolò all’interno, indossava un gonnellina in tulle con un grazioso motivo a fiori e una blusa color giallo pastello, uno dei vari colori che c’erano sulla gonna. Si avvicinò e si sedette accanto a me, per un po’ non disse nulla. Quando la sentii sbadigliare mi voltai e vidi che aveva gli occhi chiusi.
“Ma questa è entrata per dormire per terra o per parlare?!”
« Meredy » grugnii.
Lei sollevò una palpebra, osservandomi in attesa. « Sì? »
« Come “sì?”?! Cosa sei entrata a fare? »
La rosa ridacchiò. « Inavvicinabile come sempre, eh? Nonostante siano passati tre anni per certi versi sei sempre la stessa, uguale e identica di un tempo. Tranne alcuni nuovi aspetti, per esempio il sarcasmo non era una tua caratteristica prima. Quel falso sorriso da “va tutto bene” e quegli atteggiamenti di nervosismo e timore che hai quando qualcuno cerca di avvicinarti, anche. Cosa mi sono persa? »
« Troppo »
Meredy si voltò completamente verso di me, studiandomi. Odiavo quando faceva la psicologa, le riusciva incredibilmente bene, per non parlare del fatto che riusciva a farti tirare fuori tutto.
« Non devo andare da nessuna parte, abbiamo tutto il tempo che vuoi »
Ma con me bisognava tener conto anche della testardaggine.
« Un’altra volta magari »
Mi alzai e uscii dalla camera, senza aspettare che anche mia cugina uscisse. Mi fidavo di lei, era l’unica che potesse aiutarmi forse, ma non era quello il momento. Non me la sentivo di parlarne. Anche perché se le fosse sfuggito qualcosa poi, sarebbe stato un disastro.
Il campanello suonò, vidi Natsu alzarsi dal divano e andare ad aprire. Rimasi ferma sulle scale ad osservarlo, a studiare i suoi movimenti con un’attenzione a cui prima non avevo mai prestato.
Dalla porta passò Sting, che appena fu visto da mia cugina cacciò un grido e quasi mi investì nel raggiungerlo. Dovetti appendermi al corrimano per non capitolare dalle scale, lasciandoci qualcosa come venti centimetri di pelle sopra.
Mio fratello quando la vide arrivare rimase a bocca aperta, tanto che non si levò nemmeno la cartella. Meredy gli gettò le braccia al collo, stampandogli un bacio sulla fronte.
« Sting! Oh mio Dio, quanto sei diventato figo! Guardalo il mio cuginetto com’è cresciuto! » gioì lei.
Dietro il biondino, totalmente paralizzato dalla sorpresa, apparve Rogue, che la guardò perplesso. Lui non la conosceva ancora.
“Che si salvi, per amor del cielo…”
« M-Meredy, quanto tempo è passato? Mi sei mancata tantissimo » fece, stringendola calorosamente.
La rosa si staccò, cominciando a saltellare. Ecco, quando faticava a star ferma voleva dire che c’era da preoccuparsi. « Ho scoperto un nuovo legame chimico! »
Battei le mani. « Bene, direi che i nostri vicini vedranno i fuochi d’artificio questa sera »
« Reazioni importanti? » chiese mio fratello, una strana luce a illuminargli gli occhi.
Lei sorrise enigmatica. « Te che dici? »
« Evvai! » esultò.
« Scordatevelo, voi non farete saltare altro! » ululai contro di loro.
Meredy assunse un’espressione offesa, mettendo su un broncio con il quale solitamente si faceva dare il permesso per ogni cosa. « Ti prego! »
Scossi la testa. « No »
Sting roteò gli occhi. « Che palle, Lu »
« Sting, le parolacce! » lo rimproverai.
« Scusa » borbottò.
Adoravo trattare mio fratello come un bambino piccolo, perché alla fine lo era veramente dentro. Era troppo divertente, tanto che dovetti costringermi a forza per non scoppiargli a ridere in faccia.
Rogue che non era ancora riuscito ad entrare in casa, cominciò a spazientirsi. « Mi fate entrare o devo fare da decorazione alla porta ancora per molto? » sbuffò.
« Be’, con tutte quelle paillettes che indossi possiamo usarti come lanterna questa notte se resti lì » ghignai.
Il moro fece una smorfia. « Simpatica »
« Hai visto? » ironizzai.
Lui mi lanciò un’occhiataccia ma si astenne da fare qualche commento non proprio fine.
In quel momento un telefono cominciò a squillare, sicuramente non si trattava del mio, perché non riconobbi la suoneria. Mi voltai e scorsi Natsu frugare tra le pieghe del divano, in cerca probabilmente del suo cellulare.
Quando lo trovò, rispose appena in tempo. « Pronto? »
Le sue sopracciglia si corrugarono, mentre la sua espressione era un misto tra perplessità e nervosismo.
« Ho capito, arrivo subito »
Il rosato sparì su per le scale e tornò tre minuti dopo, si era cambiato. Non degnò nessuno di uno sguardo ed uscì trafelato di casa, sbattendo la porta dietro di sé. Sobbalzai, rimanendo a fissare la superficie legnosa piuttosto stranita.
Cosa gli era preso?
 
 









Yumeha’s Corner
Buonasera miei pargoletti! Come state? Spero bene!
Come al solito sono in ritardo, ma uè, ormai penso che abbiate capito che la puntualità non è il mio forte… Nello scrivere, nello studio, nella vita reale… Sono un caso perso. T.T
Volevo fare il capitolo un po’ più lungo ma alla fine ho rinunciato, perché non volevo farvi attendere oltre.
Comunque, contenti miei adorati fan della NaLu? ♥_♥ Abbiamo avuto un kiiiiiss! *^* Dite la verità che lo agognavate da tempo. e.e E l'ho fatto solo per voi! Perché se fosse stato per me avreste dovuto attendere un bel po’. Eheuheu. Ma io vi voglio bene, quindi vi ho fatto questo regalino. :3 Sperando che sia piaciuto. i.i

Abbiamo visto anche il fantomatico personaggio di cui vi ho parlato l’altra volta: Meredy! Ve l’aspettavate? Wait, con lei non è ancora successo nulla, temete.
Natsu invece ha ricevuto una chiamata. Chi sarà? Dobbiamo preoccuparci o possiamo sorvolare? Chissà.
Prima di sparire, vorrei cogliere l’occasione per ringraziare di tutto cuore le persone che recensiscono. Per me è davvero importante. ♥ Come anche quelle persone che hanno inserito la mia storia tra le preferite, è solo grazie a voi se ora ‘Scommettiamo?’ sta facendo la sua scalata tra le ff più popolari del fandom. ♥ Certo, manca ancora molto al mio obbiettivo, ma spero di potercela fare. :3 Tutto questo grazie a voi. ♥
Perciò nonostante i miei ritardi, statemi accanto mentre porto alla fine questa storia. :3
Un grandissimo bacio,
vostra Alessandra

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Capitolo 9
*** Cap 8: Zucchero, zucchero, zucchero! Attenzione allo zucchero! Ehi, e quello cos’è? Un unicorno! ***



Zucchero, zucchero, zucchero! Attenzione allo zucchero! Ehi, e quello cos’è? Un unicorno!

Capitolo 8 ~

Avete una vaga idea di cosa significa dover condividere lo stesso tetto con mia cugina Meredy? No, non potete immaginarlo.
Perché quando Natsu decise di uscire di casa e fare il misterioso – rientrando solamente a notte fonda – quella pazza di mia cugina ci aveva annunciato che si sarebbe trasferita da noi per un po’.
La notizia peggiore che avrebbero potuto darmi in quel momento di pura ansia che stavo passando, in assenza del ragazzo che mi piaceva.
Meredy in poche ore che si trovava a casa Dragneel era riuscita a fondere il motore della Land Rover Evoque di Igneel insieme a mio fratello. Ora a causa loro dovevamo sbrigarci a mandarla a riparare, prima che i nostri genitori si potessero accorgere di un tale danno. Il bello era che a quei due non era minimamente bastato, perché due ore dopo avevano fatto saltare l’intero sistema elettrico della villa, facendoci ritrovare inevitabilmente senza energia, di conseguenza non potevamo mangiare, usare l’acqua e accendere le luci.
Risultato?
Ci eravamo momentaneamente spostati a casa Heartphilia.
L’enorme villa era deserta: mio padre non c’era, nemmeno i “servitori”. La casa era tutta nostra.
 
***
 
Aprii appena la porta, quanto bastava per permettere ad almeno uno dei due occhi di vedere senza essere scoperta. Trattenni il respiro, erano le due di notte, Natsu era uscito verso le sette e mezza e non era ancora rientrato. Avevo paura, tremendamente preoccupata, avevo provato a chiamarlo ma non rispondeva alle mie chiamate. Il mattino dopo gli avrei sbraitato addosso, questo poco ma sicuro.
“Sì, tanto lo so che ora di domani la prima cosa che vorrò fare sarà stampargli un bacio…”
Quando vidi una sagoma nera schizzare verso le camerate sobbalzai. Uscii piano, adagiando prima la punta di un piede, poi l’altra. Seguii la figura scura facendo meno rumore possibile, quando appurai che si trattasse effettivamente di Natsu, sussurrai il suo nome. Il ragazzo sobbalzò, aggrappandosi allo stipite della porta, neanche fosse un gatto.
« Ti sembra questa l’ora di rientrare a casa? » sussurrai.
Lui si voltò appena, sembrò lanciarmi un’occhiata dispiaciuta, poi mi diede le spalle ed entrò in camera.
“Mi aveva appena ignorata? Ditemi che non è così.”
Odiavo essere ignorata, era una cosa che non concepivo. Se io ti rivolgevo la parola, esigevo una risposta, nessuna eccezione, nemmeno per lui.
Gonfiai le guance, irritata. Marciai verso la stanza degli ospiti che lui aveva deciso di prendere come sua, spalancai la porta e cercai il ragazzo con lo sguardo, nonostante il buio riuscii a trovarlo subito.
« Natsu » lo chiamai. « Dove sei andato? »
Nessuna risposta.
Ora cominciavo seriamente ad innervosirmi, con un colpo sbattei la mano sopra l’interruttore della luce, accendendola.
« Maledizione, non ignorarmi! » sbottai, raggiungendolo e mettendomi davanti a lui.
Raggelai.
Era pieno di lividi, botte, sangue incrostato. Per un attimo mi sembrò che tutto il sangue defluisse dal mio viso, la preoccupazione che mi investì in quel momento mi attanagliò il cuore.
« N-Natsu, ma cosa… »
« Va’ via » esalò.
Sbattei le palpebre. « No! Chi ti ha fatto questo?! »
Lui voltò il capo, mantenendo lo sguardo ancorato a terra. Da quando ero entrata nella stanza non mi aveva ancora degnato di attenzione, se i suoi occhi non si fossero legati ai miei per almeno un secondo credo che avrei potuto rischiare un attacco di panico.
Eppure nonostante il mio evidente stato di preoccupazione lui continuò imperterrito a fissare il parquet, trovandolo più interessante dei miei occhi a quanto pare.
Il cuore cominciava ad aumentare il ritmo, così gli afferrai il viso, premendo sulle guance e costringendolo ad alzare il volto, ma i suoi occhi non incontrarono comunque i miei.
« T-ti prego, non mi ignorare ancora … » singhiozzai.
Il rosato sembrò finalmente ancorare le sue iridi color ossidiana nelle mie cioccolato. Dalle mie labbra sfuggì un sospiro di sollievo che le fece tremare. « Non c’è nulla di cui preoccuparsi, va’ a dormire »
Sbattei le ciglia, allibita. « Ma Natsu, stai scherzando? Sei ridotto malissimo, chi ti ha fatto questo? »
Sbuffò sonoramente ed alzandosi, mi allontanò con uno spintone che mi fece indietreggiare tremante finché non incontrai la superficie solida del muro. Ero sbalordita, non riuscivo a capire il suo comportamento. Si fermò davanti alla porta e la spalancò, guardandomi poi intensamente: voleva che uscissi.
Sentivo dolore, ovunque.
Diedi la colpa al fatto che fosse stanco e che volesse dormire, ma non potei non rendermi conto di quanto mi avesse fatto male la sua reazione. Con passo ciondolante mi avvicinai a lui, guardandolo per l’ultima volta.
« Spero che domani tu sia più disposto alla conversazione » sibilai.
Sentii la porta sbattere alle mie spalle, la quale mi fece anche sobbalzare sorpresa. Mi circondai con un braccio, percependo tutta la stanchezza crollarmi addosso insieme al peso dell’ansia che gravava sul mio cuore.
 
Colpii con un colpo secco la sveglia, che cadde a terra producendo un rumore fastidioso per il mio sottile udito. Grugnii infastidita e rotolando fuori dal letto, mi lasciai cadere pesantemente a terra, finendo ovviamente sopra la sveglia e facendomi pure male. Sbuffai e prendendo il piccolo oggetto lo lanciai lontano, rimanendo a fissare il soffitto e tastando il soffice tappeto.
Passarono dieci minuti buoni prima che riuscissi ad alzarmi e quando raggiunsi il bagno, faticai io stessa a riconoscermi. I capelli avevano una luce spenta, non brillavano come al solito. Il colore del viso era smorto, le gote non erano rosee. Sotto gli occhi c’erano invece delle evidenti ombre violacee che sembravano abbassare la forma.
Tirai un sospiro sconsolato, mi sciacquai velocemente la faccia e mi lavai i denti alla velocità della luce. Volevo uscire il prima possibile di casa, non volevo rivedere Natsu tanto presto, non me la sentivo. Ero troppo arrabbiata con lui. Mi aveva ignorata? Bene, adesso gli avrei fatto capire io quanto possa essere fastidioso.
Presi dei vestiti a caso, non mi preoccupai nemmeno di come li avessi abbinati, raccolsi la cartella e scesi la grande scalinata di corsa. Quando raggiunsi il grosso portone, notai con la coda dell’occhio una graziosa capigliatura rosa completamente arruffata e nell’esatto momento in cui i nostri sguardi si incrociarono, sentii il cuore perdere un battito. Mi richiusi la porta alle spalle con la stessa forza che ci aveva messo lui la sera prima.
Mi passò per la testa anche la folle idea di prendere una delle macchine di mio padre ed andare a scuola, anche se non disponessi della patente. Quando sentii il portone riaprirsi, temetti che fosse Natsu e con uno scatto cominciai a correre nella direzione che portava al giardinetto della villa, dove c’era chiaramente anche il garage e le macchine di papà.
Quando arrivai, sbarrai gli occhi con orrore.
La splendida Maserati Alfieri grigia di papà era tra le mani di Sting e Meredy.
La rosa era al posto del passeggero, mentre mio fratello a quello di guida. La cosa che mi terrorizzò di più, però, fu che mia cugina avesse comunque tra le mani un secondo volante.
« Che cazzo avete fatto alla macchina di papà?! » sbottai, agitando le braccia.
« Oh oh, è arrivata mia sorella, Mery siamo stati scoperti » borbottò il biondo.
Lei arricciò le labbra in un broncio preoccupato. « Tieniti forte » sussurrò.
« Che? » squittì lui.
« Fermati! Non provare a far partire l’auto perché questa è la volta buona che ti lascio per strada! » ululai.
Sentii una risatina, piacevolmente divertita. « A farti compagnia sulla statale? »
Mi voltai di scatto, quando sentii che la provocazione arrivata era stata detta dalla ragazza che odiavo di più al mondo, partii.
L’avrei colpita, oh sì che l’avrei fatto, ma Sting era riuscito ad afferrarmi per l’avambraccio e trattenermi prima che la sua faccia prendesse le sembianze di un sacco da boxe ai miei occhi.
« Lasciami! » strillai.
Mio fratello mi bloccò entrambe le braccia appena vide arrivare Natsu e raggiungere l’albina, che prese per mano.
I miei occhi indugiarono sulle loro dita intrecciate, sullo sguardo basso del rosato e sul ghigno di sfida di Lisanna, in un attimo tutta la rabbia sembrò essere risucchiata per lasciare il posto a un’infinita tristezza.
Solo che quando poi il mio cervello realizzò di essere stata presa in giro il giorno prima, che le sue parole erano in realtà prive di spessore e che il bacio che c’era stato tra di noi non aveva nessun valore, tornai ancora più arrabbiata di prima, tanto che riuscii addirittura a liberarmi dalla presa ferrea di Sting.
Con un urlo belluino mi lanciai contro Lisanna, che cadde all’indietro sotto il mio peso. Le mie mani corsero su di lei, pronta a farle del male più che volentieri, ma un altro paio di mani mi afferrò e mi allontanò dal corpo della ragazza.
Calde e forti.
Le stesse che il giorno prima avevano sfiorato il mio corpo.
Il solo pensiero mi fece rabbrividire.
Volevo che le sue mani rimanessero di più su di me in quel momento, Dio se ne avevo bisogno, però si allontanarono subito. Talmente velocemente che sembrava che si fosse scottato nel toccarmi o che avesse preso la scossa.
Sbattei le ciglia, guardando l’albina alzarsi indignata e nascondersi dietro il corpo del rosato. In quel momento mi sembrò che qualcuno mi avesse prosciugata di tutte le mie forze.
Mi voltai, sorpassando mio fratello e sedendomi al posto di guida. Lanciai un’occhiata allo specchietto retrovisore, osservando le due figure dietro di me: notai che Natsu era ancora ricoperto di segni.
Mi saltò in testa il forte impulso di partire in retromarcia e prenderli in pieno, soprattutto quell’oca, non mi era andata giù la frecciatina di poco prima e gliel’avrei fatta pagare.
Natsu e Lisanna si allontanarono dalla mia traiettoria, probabilmente avevano intuito il pericolo. Vidi Sting muovere le labbra in direzione del rosato, dicendogli qualcosa che io non riuscii a captare, poi si voltò e salì dietro nell’abitacolo. Potevo percepire la tensione che aleggiava tra di noi, anche Meredy era nervosa, per la prima volta da quando la conoscevo non sapeva cosa dire. E fece anche la scelta giusta stando zitta, una volta tanto.
Accesi la macchina e uscendo dal vialetto, presi in pieno una delle staccionate che contornavano il parchetto; chiaramente non lo avevo fatto apposta.
« Lu, quella staccionata non ti ha fatto nulla » osò Sting.
Gli lanciai un’occhiata di fuoco sfruttando lo specchietto retrovisore. « Fa niente, non mi piaceva. E se non chiudi la bocca il prossimo bersaglio sarai tu » sibilai.
Il biondo alzò le mani in segno di resa e cominciò a guardare fuori dal finestrino, Meredy invece sospirò.
 
Arrivati a scuola, tutti puntarono gli occhi sulla Maserati di papà, quando poi videro me scendere dal posto di guida cominciarono a sparlare, sapendo ovviamente che non ero patentata.
Levy mi corse in contro, guardandomi con un’espressione terrorizzata. « Lucy! Santo cielo, sei impazzita?! »
« A qualcuno mancava stare al centro dell’attenzione, a quanto pare » ghignò Rogue, spuntando dietro la figura minuta della turchina.
Lo guardai talmente male che il sorrisetto apparso sul viso del moro sparì all’istante, la mia migliore amica invece roteò gli occhi. « Mavis, non sono nemmeno le otto ed è già incazzata … »
« Lucy! » sbraitò Lluvia correndo nella mia direzione. « Cosa diamine è successo tra Natsu e Lisanna?! » squittì, una voce talmente stridula da graffiarmi i timpani.
Meredy tossicchiò, catturando solo in quel momento l’attenzione dei presenti.
« Oh, e questa chi è? » borbottò Levy.
L’azzurra guardò storto la piccoletta. « Quanta gentilezza… »
« Scusami, a furia di stare con la nostra biondina, mi sto lucyzzando » sogghignò.
Inarcai un sopracciglio. « E questa cos’era, una frecciatina? »
Lei mi sorrise divertita, fece per aprire la bocca ma Lluvia la interruppe. « Quindi? Perché lei è venuta a prenderlo a casa tua? »
Sbuffai sonoramente. « Non lo so! »
« Perché non andiamo a fare un giro? » chiese ingenuamente la rosa.
Sting sollevò le sopracciglia. « Vorresti balzarti il tuo primo giorno di scuola? »
« Perché no? » esalai. Tutti posarono lo sguardo su di me, sorpresi. « Credo che andrò a farmi una passeggiata o potrei sul serio ucciderla questa volta se la rivedo »
« Ma siete in classe insieme, è ovvio che la rivedrai » borbottò mio fratello.
Lo fulminai con lo sguardo. « Però, non ti facevo così intelligente »
Meredy alzò gli occhi al cielo e prendendomi per i fianchi mi fece fare dietrofront e mi condusse fuori dalla scuola. « Andiamo va’, sai davvero insopportabile quando fai così »
Sentii qualcuno aumentare il passo e raggiungerci, quando vidi una testa bionda mi voltai dalla porta opposta alla sua e sorrisi grata, senza farmi notare da lui.
 
« Dove stiamo andando? » borbottai dopo un po’.
Meredy si strinse nelle spalle. « Non ne ho la più pallida idea, io non sono del posto »
Inarcai un sopracciglio, alzando lo sguardo per vedere dove fossimo: la stazione.
« Perché non partiamo? » esalai, calciando un sassolino.
Sting mi sfiorò la mano. « Perché no, non sarebbe una cattiva idea »
Alzai il volto di scatto, cercando i suoi occhi azzurri che però non incontrai.
« Dove vorreste andare? » sorrise mia cugina.
« Ovunque, ma lontano da qui » brontolai.
Notai mio fratello strizzare gli occhi, come se stesse cercando di individuare qualcosa, ma non gli detti peso, lasciai che si allontanasse mentre continuavo a parlare con Meredy delle possibili mete, permettendo alla mia fantasia di partire lontana insieme al treno che avrei voluto prendere.
Quando mi voltai scorsi la figura bionda di Sting mettere qualcosa nel suo zaino, ma ancora una volta non ci feci caso.
« Dai, andiamo a casa » sussurrò Sting, uscendo di filato dalla stazione.
Inarcai un sopracciglio. « Ma come, mica volevi partire anche te? »
Lui si voltò. « Certo! Ma prima voglio testare una cosa, su andiamo che mi è venuta voglia del caffè indonesiano che ci ha portato papà! »
« Indonesiano? » domandò la rosa.
« Sì, è il caffè più pregiato al mondo. Nonostante detesti il caffè, questo mi piace. » sorrisi. « Dai, hai fatto venire voglia anche a me, andiamo a casa » dissi a Sting.
« Lucy, però c’è un problema »
« Quale? Hai rotto tutte le tazzine? » sbuffai.
Il biondo assunse un’espressione offesa. « Ehi, sei tu quella che di solito distrugge ogni cosa » borbottò.
« Parla quello che ha fatto saltare tutto il sistema elettrico della villetta » sibilai.
« Uh, spento! » rise Meredy.
« Guarda, te devi solo stare zitta perché hai fatto la stessa cosa » dissi, lanciandole un’occhiataccia.
Lei mise il broncio, cominciando a dondolarsi sulle punte dei piedi a disagio.
« Quello non era previsto » ridacchiò nervosamente mio fratello.
« Ci mancherebbe » grugnii. « Forza, qual è il problema? »
« Uhm, sì, ecco… Hai lasciato la macchina a scuola »
Mi colpii la fronte con una sberla un po’ troppo forte. « Maledizione … »
 
Dopo esserci fatti cinque chilometri a piedi, riuscimmo a raggiungere la mia villa, mi facevano male i piedi e mi sentivo sudaticcia a causa del sole caldo nonostante fosse autunno e della camminata veloce per riuscire a star dietro a mio fratello. Entrai in casa scalciando per riuscire a levarmi le scarpe senza abbassarmi e mi diressi in cucina per preparare il caffè.
Iniziai a frugare tra le antine finché non riuscii a trovare quello che stavo cercando, presi la caffettiera e accesi il gas. Sentii qualcuno sfiorarmi il braccio col proprio, pensai fosse Sting e così allungai una mano nella sua direzione, quando però toccai una mano troppo calda per essere quella di mio fratello aggrottai le sopracciglia e mi voltai.
Come scottata mi ritrassi di botto, schiacciandomi contro il piano cucina, tenendomi a debita distanza dall’ultimo ragazzo a cui avevo quasi donato il cuore.
Vidi nel suo sguardo qualcosa misto a dispiacere e rabbia, le sue labbra si schiusero, probabilmente per dire qualcosa, ma poi abbassò lo sguardo e si allontanò da me, lasciandosi dietro una scia di tristezza che colse anche me.
Mi sembrò di deglutire le mie stesse lacrime, ma fu solo una sensazione perché questa volta non mi ero sbilanciata e non avevo aperto i rubinetti. Mi voltai e curai il caffè, spegnendo il cervello, isolandomi come ero capace solo io di fare, in modo da non pensare più a lui.
Pronto il caffè chiamai mio fratello e mia cugina, che accorsero velocemente.
« Che profumo! » fece Meredy, afferrando la propria tazzina.
« Aspettate, lo zucchero ce l’ho io » disse Sting afferrando una ciotolina con all’interno una polverina bianca.
Lo guardai stranita. « Sting, questo non è il nostro solito zucchero di canna »
Lui scosse la testa. « No, ma volevo provarlo, forza assaggiamo »
Presi un cucchiaino e misi un po’ di zucchero nel mio caffè, notando però una consistenza strana, ma decisi di non farci troppo caso e guardai gli altri fare lo stesso. Mescolai la miscela e poi portai la tazzina alla labbra, mandando giù il liquido caldo subito dopo.
Finito il mio caffè però sentii qualcosa di strano, mi venne spontaneo sorridere. Immediatamente sentii come un’esplosione dentro di me, qualcosa che mi diede energia, mi fece dimenticare ogni problema, mi sentivo felicissima e avevo voglia di muovermi, correre, saltare e combinare qualche disastro. Il battito del cuore accelerò subito, come se al posto del mio muscolo cardiaco avessi un tamburo africano.
Sobbalzai quando sentii un rumore sordo, abbassai lo sguardo e vidi che mia cugina era caduta con la sedia all’indietro e si era ritrovata a gambe all’aria. Scoppiai a ridere ancora prima di riuscire a rendermene conto, così come mio fratello che cercava di tirarla su.
« Non so cosa ci mettono gli indonesiani nel loro caffè, ma mi piace! » gridò Meredy.
Mi alzai e sentii come se tutti i miei cinque sensi si fossero ulteriormente sviluppati, mi sembrò di sentire delle voci in lontananza, delle melodie provenire dalla camera di Wendy piuttosto inquietanti. La vista invece sembrava permettermi di vedere più lontano, a volte anche di notare qualche ombra negli angoli della casa.
Mi sentivo piena di vita.
Mentre stavo cercando di capire cosa mi stesse succedendo, vidi che di Sting e Meredy non vi era più traccia. Poco dopo qualcuno attivò le casse e la musica esplose in tutta la casa. Mi tappai le orecchie a causa del suono troppo alto, ma le mie gambe mi portarono comunque verso la fonte di tutto quel rumore velocemente.
Mia cugina si era appesa al balconetto che dava sull’entrata e faceva pericolose mosse.
« Meredy? » la chiamai.
« Meredy? E chi è? Io sono Lara Croft! »
In quel momento mi passò davanti la figura di mio fratello correre a tutta velocità con in testa delle mutande, o meglio, un costume, per il resto era interamente nudo. Strano, lui senza vestiti? E quando mai?
Qualcosa dentro di me esplose, volevo fare anche io qualche azione decisamente pericolosa, o particolarmente stupida.
Però mentre mi scervellavo cercando di capire cosa potessi fare, scese dalla scale Natsu, che guardava preoccupato mia cugina e schifato mio fratello. Mi ero anche completamente dimenticata di quello che mi aveva fatto, davanti a me c’era solo una comunissima persona, una come tante altre.
Meredy si sedette sul corrimano e si lasciò scivolare cantando a squarcia gola le note della canzone che era appena partita. Appena appoggiò i piedi a terra corse verso di me e afferrandomi le mani mi trascinò su per le scale, portandomi in camera del rosato.
Non seppi perché ma mi venne l’irrefrenabile impulso di distruggere tutto, e così feci. Mi scagliai contro le sue cose e cominciai a ribaltarle. Presi i libri e li gettai a terra, aprii le ante dell’armadio e buttai fuori dalla finestra la maggior parte dei suoi vestiti. Arrivai al letto, osservando mia cugina che ancheggiava lentamente verso di me e prendendo il copriletto la vidi sventolarmi sotto il naso un accendino, lo accese sempre guardandomi negli occhi. Io invece osservai il tessuto prendere fuoco, poi prendendo il materasso lo trascinai fuori dalla stanza a fatica.
Quando uscii qualcosa mi venne letteralmente addosso, facendomi sbilanciare e cadere all’indietro. Natsu lanciò un’occhiata terrorizzata all’interno della sua camera, lo vidi impallidire visibilmente, mentre lasciai che le mie labbra si arricciassero in un ghigno cattivo.
Il telefono di casa squillò, tutti osservammo il biondino dirigersi verso la cornetta, chi con espressione preoccupata, chi incuriosita e chi divertita.
« Pronto? Obitorio » rispose.
Scoppiai a ridere osservandolo sbattere il telefono e scappare in giardino. Guardai le sue chiappe allontanarsi felici e contente e poi afferrando il materasso con l’aiuto di Meredy lo scagliammo giù. Successivamente, prendendola per mano, mi arrampicai sul balconetto – incurante delle grida del rosato – e saltai, atterrando seduta. Mia cugina mi seguì a ruota. Peccato che mi crollò addosso e io per poco non le bestemmiai dietro.
Quando mi alzai, la rosa mi tirò una gomitata nelle costole piuttosto dolorosa per richiamare la mia attenzione.
« Lo vedi? » biascicò lei.
Scossi la testa. « Cosa? »
« È un unicorno! » trillò.
Assottigliai gli occhi. « Uhm, non lo vedo »
La rosa mi si parò davanti facendomi cenno di tacere. « Sht, non disturbiamolo, sono creature magiche. Andiamo via! » sussurrò.
La guardai stralunata ma mi lasciai trascinare in giardino, dove scorsi mio fratello con in mano una mazza da cricket. Lo vidi avvicinarsi a un idrante e, mettendoci tutta la forza possibile nelle braccia, colpirlo.
Immediatamente partì verso l’alto un forte getto d’acqua. Sting corse lungo il vialetto, passando davanti a tutte le villette, finché non ne trovò una dove una donna stava uscendo. Con un salto degno di un cavallo, superò lo steccato bianco e corse all’interno della casa. La donna cacciò un grido, facendo cadere la sua enorme borsa a terra, non aspettandosi di certo che un ragazzo nudo si potesse infiltrare dentro la sua abitazione. Appena si affacciò alla porta, Sting aprì la finestra dall’altro lato e saltò uscendo, riprendendo di nuovo a correre.
Meredy ed io seguimmo il tutto cercando di reggerci in piedi mentre ridevamo come matte.
« Lu! » sentii qualcuno chiamarmi.
Mi voltai e scorsi Rogue avvicinarsi con un’espressione stralunata. « Tutto okay? »
Scoppiai a ridere ancora più forte, barcollando. « Certo che sì! »
Lui mi osservò preoccupato. « Lu, hai le pupille troppo dilatate, che hai combinato? »
In quel momento Sting ci passò di nuovo davanti, mostrandoci di nuovo la visuale del suo fondoschiena che si allontanava velocissimo.
Gli occhi cremisi del moro si illuminarono. « Un esemplare di Sting nudo! »
Rimasi piuttosto perplessa quando lo vidi spogliarsi e iniziare a correre, cercando di raggiungere mio fratello.
« La stagione della caccia è aperta! » e detto ciò simulò un perfetto ululato degno di un vero lupo.
« Non stuprarmelo! » gli urlai dietro.
La rosa piegò la testa di lato. « E fu così che il mio ingenuo cuginetto tornò sfon- »
« Non dirlo nemmeno! » strillai interrompendola.
« Lucy! » vociò Natsu dietro di me.
Mi voltai, inarcando un sopracciglio, la rabbia montarmi in corpo un’altra volta senza un apparente motivo. Lo vidi arrivare con in mano lo zucchero che avevamo testato insieme poco prima, il volto terribilmente pallido.
« Che vuoi? » risposi con voce gelida.
Lui sembrò non badarci. « Dove lo avete preso questo? »
Meredy lo guardò stranita. « Ce l’ha dato Sting »
Il rosato sibilò qualcosa di semplicemente irripetibile. « Quell’idiota vi ha rimediato della coca, non è zucchero! »
Mia cugina affianco a me sbarrò gli occhi, subito dopo cadde a terra come un sacco di patate, svenuta.
« Oh cazzo » imprecai.
 
 
 








Yumeha’s Corner
Buongiorno a tutti!
Come al solito sono in ritardo, ma credo che ormai ve ne siate fatti una ragione. E io non mi dilungherò di certo in un discorso di scuse dove elenco tutti i problemi che ho avuto e che ho attualmente. Perché a voi di certo non frega nulla e io non ho la minima intenzione di essere compatita.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la fine vi abbia strappato una risata. ♥
Una cosa però ci tengo a precisarla: voglio ringraziarvi tutti. ♥
Grazie a chi mi segue e che ha l’immensa pazienza di attendere i miei aggiornamenti lentissimi. Grazie a chi legge silenziosamente. Grazie davvero a chi ha messo la storia tra le preferite. Grazie di cuore invece a chi mi ha dedicato un po’ del suo tempo per lasciarmi un commentino e per aver permesso a ‘Scommettiamo?’ di superare le 100 recensioni. ♥
Vi voglio bene, sappiatelo. ♥
Un abbraccio grande grande,
vostra Ale

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Capitolo 10
*** Cap 9: Quando la tua esperienza in campeggio si trasforma in un film horror, non puoi che sperare in una buona dose di fortuna per sopravvivere, se non a Wendy, quantomeno ai lupi. (parte 1) ***



Quando la tua esperienza in campeggio si trasforma in un film horror, non puoi che sperare in una buona dose di fortuna per sopravvivere, se non a Wendy, quantomeno ai lupi. (parte 1)



Capitolo 9 ~


Dopo aver terminato il processo di disintossicazione e riabilitazione, mia cugina, mio fratello ed io fummo dimessi dall’ospedale.
Chiaramente quando furono chiamati i nostri genitori, mia mamma fu costretta a interrompere la sua luna di miele per tornare a Magnolia. Appena incontrata mamma ebbe degli sbalzi d’umore allucinanti, forse dovuti allo spavento e allo sconcerto nell’aver saputo che i suoi adorati bambini avevano avuto a che fare con della cocaina. Non intenzionalmente sia chiaro, mio fratello le avrebbe prese di santa ragione non appena avrei avuto l’occasione per mettergli le mani addosso. Sta di fatto che mia mamma non appena ci vide, scoppiò a piangere. Un’ora dopo si trovava seduta in sala attesa che si dondolava con un’espressione terrorizzata e un colore quasi ceruleo. Un’ora dopo ancora era in stanza con me, gli occhi ridotti a due fessure e fui quasi certa di aver intravisto delle fiammate uscire dalla sua bocca che accompagnavano le sue minacce di morte.
Come se questo non bastasse, la Range Rover Evoque era stata riparata e l’impianto elettrico delle villetta Dragneel era stato messo a posto, quindi dovevamo andar via da casa mia.
Diciamo che dopo aver avuto a che fare per la prima – e ultima, per Mavis – volta con la droga, tornare in quella maledettissima villetta con mia madre e Igneel, non era il miglior metodo per farmi guarire in fretta, ecco.
Soprattutto se poi a quell’idiota di Dragneel Senior veniva in mente l’idea di andare a fare una passeggiata in montagna, credendo che la natura, il verde e l’aria pulita servissero per l’acceleramento della mia guarigione e per quella degli altri due malcapitati.
Tsk, illuso.
 
***
 
« Non ci posso credere! » sbottò mamma, chiudendosi la porta di ingresso alle spalle con forza.
Alzai gli occhi al cielo dopo il decimo ‘non ci posso credere’ che usciva dalle sue labbra, così decisi di arrischiarmi a spegnere il cervello e sparire su per le scale.
Fu quando misi il piede sul primo gradino che la voce di mia madre mi fece raggelare sul posto.
« Signorina, dove credi di andare? Non ho ancora finito! » vociò.
Sbuffai esasperata, voltandomi e guardandola con un’espressione scocciata. Sting si era fatto piccolo piccolo in un angolino del salone, dispiaciuto per tutto quello che aveva causato e preoccupato molto probabilmente per la punizione che gli avrei inflitto io in seguito, piuttosto che mamma. Meredy era talmente scioccata che era crollata seduta sul divano, lo sguardo vuoto e vitreo puntato in un punto non ben definito della stanza.
Natsu invece si trovava dietro suo padre, a torturarsi le mani e a mordicchiarsi il labbro inferiore. Sembrava in ansia e al tempo stesso sul punto di dire qualcosa, rimanendo nell’indecisione, decise di restarsene fermo e imbambolato.
« Possiamo saltare la parte dove tu mi insulti per la mia sconsideratezza, mi fai la ramanzina, mi parli di quanto siano pericolose le droghe e mi fai sentire in colpa per aver interrotto la tua vacanza? Magari arrivando direttamente alla punizione, così posso andarmene a letto » grugnii.
Ero consapevole che così facendo avrei solo peggiorato la situazione, ma avevo un’emicrania allucinante e sentirmi dire per la quarta volta quanto ero stata stupida, mi avrebbe solo fatto girare le palle.
Mamma gonfiò le guance e la vidi diventare rossa di rabbia, poi sembrò sgonfiarsi subito dopo, come un curioso palloncino. « Non ho intenzione di punirti, non è stata colpa tua, stranamente »
Era troppo stanca per incazzarmi per quel suo ‘stranamente’, così le voltai le spalle e corsi in camera mia, sentendo poi la sua voce richiamare l’attenzione di mio fratello.
Afferrai il cellulare posto nella tasca posteriore dei miei jeggings e scrissi velocemente un messaggio.
Lucy – Sono tornata ora a casa
Levy – Passiamo a trovarti?
Lluvia – Se non vuoi problemi con tua madre possiamo sempre entrare dalla finestra
Lucy – Vorrei riposare adesso, vi faccio sapere
« Lu-chan? »
« Porco Zeref! » strillai, balzando e voltandomi di scatto.
Wendy davanti a me piegò la testa da un lato, osservandomi perplessa. I suoi occhioni nocciola erano spalancati, decisamente troppo inquietanti per mantenere lo sguardo su quelle palle per più di cinque secondi.
« Come stai? Ho saputo » borbottò lei, dispiaciuta.
Aggrottai le sopracciglia, sentendo il modo in cui decise di formulare la frase. Insomma, con quel ‘ho saputo’ poteva sembrare la cosa più terrificante del mondo. « Guarda che non è morto nessuno »
« Lo so, ma siete stati tutti male. Ho temuto il peggio » fece, abbassando finalmente lo sguardo, non ce la facevo più.
Delusa, vero? Maledetta, piccola, canaglia. « Fortunatamente stiamo tutti bene » mi costrinsi a sorridere, un sorriso falso come la patente di Sting.
« Certo, sei hai bisogno di qualcosa chiedi pure, non farti problemi »
Inarcai un sopracciglio, dov’era la fregatura? Sicuramente se le avessi chiesto un favore poi mi sarebbe comparsa la sorpresa.
 « Sì, ehm… Io vado… ciao » borbottai, filandomela il più veloce che potei.
Mi sentii il suo sguardo puntato sulla schiena finché non raggiunsi camera mia e non vi entrai. Ovviamente mi assicurai di chiudere la porta a chiave, con due mandate, non si sa mai nella vita.
E giusto perché mi piace esagerare, ci appesi un crocifisso e una collana di cipolle.
 
« Sveglia! »
Sollevai una palpebra solo per vedere chi sarebbe stata la mia vittima, nessuno poteva permettersi di entrare in camera mia con una seconda chiave, urlare e spalancare finestre e persiane.
Immediatamente mi innervosii, mamma ora mi avrebbe dovuto sopportare incazzata per tutta la giornata.
Afferrai un peluche e cercai di colpirla, quando lanciai un’occhiata alla sveglia per poco non le sbraitai addosso. « Mamma, ma sono le sette! »
Lei mi sorrise dolcemente. « Wow, hai finalmente imparato a leggere l’orologio, pensavo di saresti affidata per sempre a quelli digitali »
Sentii le guance riscaldarsi leggermente e per non farmi vedere alzai le coperte fin sopra la testa. « Lasciami dormire » grugnii.
« Oh no, mia cara » fece lei, privandomi delle coperte.
Lanciai un gridolino quando sentii il fresco avvolgermi. « Ridammele! »
« Alzati, oggi si va a fare una passeggiata in montagna » trillò contenta.
Le lanciai una lunga occhiata penetrante da sotto le mie lunghe ciglia biondicce. « Fammi capire bene, tu hai osato varcare le porte del mio angolo personale, svegliarmi e farmi prendere freddo, perché vuoi che venga a fare un picnic? » ricapitolai, sforzandomi per non urlare.
Lei annuì sempre con quel suo sorriso a trentadue denti. « Porta la tua macchina fotografica, mi raccomando »
E detto ciò uscì, lasciando la porta spalancata, altra cosa che scatenò ovviamente il mio fastidio.
 
Un’ora dopo eravamo tutti sulla Zafira Tourer blu metallizzata a sette posti di mia madre: alla guida c’era Igneel, sul posto del passeggero mamma, dietro Natsu ed io, dietro ancora Sting e Wendy.
Facendo attenzione a non farmi beccare, studiai i tratti in comune che avevano Natsu e suo padre. Avevano entrambi gli stessi capelli color rosa marshmallow e la forma degli occhi. Quelli del ragazzo erano un misto tra l’ossidiana e lo smeraldo, creando un miscuglio di sfumature che sembrava reagire alle emozioni. Quelli di Igneel erano di un banale color pece, non c’era la vitalità che invece caratterizzava quelli di suo figlio.
Mi costrinsi a voltarmi, osservando fuori dal finestrino qualsiasi cosa che potesse distrarmi, mentre la macchina si allontanava dal vialetto di casa Dragneel.
Quando sentii mamma cominciare a parlare del piano della giornata, sprizzando allegria da ogni poro, decisi di mettere le cuffiette nelle orecchie e far partire la musica a palla.
 
Venni svegliata a causa di un dolore che proveniva dalla cute, come se qualcuno mi avesse tirato i capelli. Sbattei le ciglia e mi voltai, cogliendo Natsu guardarmi con la coda dell’occhio.
“Beccato”
Probabilmente prima mi avrebbe fatto solo piacere, ma ormai non mi faceva più né caldo né freddo. Dopo aver passato un mese in riabilitazione, avevo avuto tutto il tempo necessario per ragionare su quello che era successo.
Natsu ed io non ci eravamo mai innamorati veramente.
Ero stata frettolosa, cieca e soprattutto stupida. Probabilmente avevo preso un’infatuazione, ma nulla più di questa, scambiandola per un sentimento che avevo provato una sola volta, il quale pagai anche a caro prezzo. E forse Natsu ci era arrivato prima di me, per questo aveva deciso di prendere le distanze.
Mi diedi mentalmente dell’idiota per aver provato a lasciarmi andare, ma anche per aver aggredito Lisanna. Certo, mi sarebbe rimasta sempre sulle palle, ma almeno adesso non avrei più attentato alla sua vita. Insomma, stavo per investirla in retromarcia con la macchina.
Decisi che era meglio far finta che non fosse mai accaduto nulla e d’ora in avanti mi sarei comportata esattamente come facevo all’inizio. Quando bisticciavamo e facevamo i bambini.
Era finita.
Con questi pensieri mi voltai, cercando di capire chi mi avesse toccato i capelli precedentemente. Nessuno poteva farlo e sopravvivere, mi avevano addirittura svegliato! Quando però compii il gesto nel voltarmi percepii qualcosa di più pesante dei miei capelli sciolti. Le mie mani scattarono lungo la base del collo, toccando una lunga treccia, fatta con perfetta maestria.
Wendy mi stava sorridendo, quegli occhi sempre perennemente spalancati. « Ti ho fatto una treccia a spiga di grano che parte dalla testa »
« Oh » biascicai, perplessa.
« Ti sta benissimo » sussurrò il rosato con voce calda.
Il mio cuore perse un battito.
“Eh no! Maledetto stronzo! Avevo appena deciso di farla finita! Smettila e rimangiati tutto!”
Gli feci un sorriso tirato, rannicchiandomi il più possibile contro la portiera per mettere più distanza possibile tra me e lui. Impresa ardua visto che ci trovavamo in una macchina. Natsu mi guardò stranito, come se stesse osservando una pazza psicopatica tentare di scappare dal suo carcere di massima sicurezza, ovviamente senza risultati.
« Be’? Che hai da guardare? » grugnii.
 Si rabbuiò, aggrottando le sopracciglia e voltandosi dalla parte opposta alla mia.
“Molto meglio!”
Appoggiando la testa contro il finestrino, feci scivolare nuovamente le palpebre, cercando di appisolarmi e recuperare il sonno perso.
Ma una vocina stridula dietro di me, mi fece sobbalzare.
« Quando arriviamo? » strillò Wendy.
Igneel lanciò un’occhiata allo specchietto retrovisore, osservando la sua secondogenita. « Colombina mia, manca ancora un po’ »
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Colombina?! Ma vogliamo scherzare? Mi dovetti mordere il labbro a sangue per non scoppiare a ridere.
Lanciai un’occhiata a Natsu, dandogli una pacca sulla coscia, per richiamarlo. « E tu, cosa sei, passerottino? »
« Ma che simpatica » sibilò.
Schiusi le labbra, per rispondere, ma la vibrazione del cellulare che tenevo fra le mani, attirò la mia attenzione, facendomi perdere interesse per il ragazzo che mi sedeva affianco.
Era la notifica di un messaggio.
Rogue – Buondì tesoro, ‘stasera a casa mia per una pizza e un film?
Lucy – Mi hanno prelevata per una stupida passeggiata in montagna, non posso
Rogue – E da quando a tua madre piacciono queste cose? Ma siete tutti insieme?
Lucy – Da quando ha voluto rovinarmi la vita imparentandomi con Natsu… Comunque sì
Rogue – Ma piantala, che prima che arrivasse Meredy te lo sei ripassata per benino ° ͜ʖ ͡°
Arrossii vistosamente, tanto che Natsu se ne accorse e, inarcando un sopracciglio, cercò di spiare la mia conversazione. Io dovetti fare un balzo che mi fece sbattere la testa contro il finestrino. Non gli avrei fatto leggere nemmeno il nome della persona con cui stavo messaggiando.
Lucy – Sei un infame, sappilo
“Ehi, aspetta un attimo…”
Lucy – Anzi, ma come fai a saperlo te?!
Rogue – Meredy ha cantato tutto
Io quella prima o poi l’avrei uccisa. Alla faccia della fantomatica psicologa silenziosa! Fu in quel momento però che il suo nome mi fece ricordare della sua esistenza.
« Mamma? » chiamai, avvicinandomi al sedile su cui era seduta. « Ma dov’è Meredy? »
Dalle perfette labbra a cuore di Layla – che evidentemente la mia generazione aveva saltato, dannazione – fuoriuscì un commento talmente volgare da far sbiadire la verniciatura della macchina. « L’abbiamo dimenticata! Igneel fai marcia indietro! » strillò.
Sting nel frattempo era riuscito a tappare le orecchie della bambina con la paralisi facciale prima che potesse sentire. Natsu era rimasto allibito, mentre Igneel piuttosto sorpreso. E forse anche un po’ terrorizzato.
Io fischiai, sarcastica. « Caspita, ecco da cui ho preso cotanta finezza »
« Lucy, taci » brontolò mia madre.
Alzai le mani in segno di resa e tornai al mio cellulare.
Lucy – Stiamo tornando, abbiamo dimenticato mia cugina
Rogue – Lo so, è a casa mia e sta piangendo da due ore.
“Ups.”
Lucy – Dille che stiamo venendo a prenderla. Di solito si calma se qualcuno le dedica una danza del ventre in mutande, tenendo due pannocchie fra le mani, mentre osanna Mr Pancetta
Rogue – Spero tu stia scherzando… E chi cazzo è Mr Pancetta?!
Lucy – Il peluche di Sting, non farti sentire mentre usi quei termini barbari quando parli di quell’orso davanti a mio fratello, o potresti perderlo per sempre
Rogue – Ok, ok! Ho capito! Un attimo…
Un attimo? Aveva davvero intenzione di farlo? Di nuovo cercai di mantenere il controllo per non ridere da sola. Subito scorsi la rubrica e cercai un altro contatto.
Lucy – Fai un video e passamelo
Meredy – Sei malefica… Lo sto già facendo, babe ;)
E poi sarei io la malefica? Sorrisi divertita e tornai a guardare fuori dal finestrino pensando a come poter sputtanare il mio migliore amico. YouTube? No, poi non mi avrebbe più parlato. Video virus a tutta la scuola? No, ancora troppo esagerato. Intermittenza a una pubblicità televisiva? Direi che ho passato il limite.
Non era una vendetta, quindi erano tutte da escludere. Ma se l’avessi tenuto per ricattarlo?
“Vabbe’, ci penserò in seguito”
 
Aprii la portiera e un tornado di capelli rosa mi saltò addosso, stringendomi in una morsa spacca costole.
« Vi siete dimenticati di me! » piagnucolò.
« Hai filmato tutto? » sussurrai.
Gli occhi erano coperti dalla sua frangetta, ma riuscii a vedere il ghigno che le deformò il viso dolce. Sentii i brividi scorrermi lungo le braccia.
Niente da fare, essere stronzi doveva essere una caratteristica di famiglia. Da parte di madre, ovviamente.
Feci per aprire bocca ma prima che le parole potessero fuoriuscire, qualcosa mi colpì forte alla testa, facendomi sbilanciare.
« Ahia! » sbottai.
Guardai a terra e vidi una pannocchia.
“Oh oh”
Alzai lo sguardo e nel mio campo visivo rientrò un esemplare selvatico di Rogue in mutande. Molto cattivo.
« Tu! »
Mi voltai, poi tornai a guardarlo con gli occhioni sgranati e un’espressione falsamente sorpresa. Mi puntai l’indice contro. « Io? »
« Sì, tu! E non fare la finta tonta! Sei una stronza! » sbraitò, lanciandomi la seconda pannocchia.
Mi abbassai appena in tempo, ma la stessa cosa non valse per Meredy, che venne colpita in fronte dalla temibile arma.
Gli occhi della rosa si inumidirono e il suo labbro tremò, in quel momento il tempo sembrò raggelarsi. Se mia cugina avesse pianto, mia madre sarebbe scesa dalla macchina e … e poi sarebbero stati cazzi.
Rogue inorridì e ricominciò a fare la danza del ventre.
Mia cugina scoppiò a ridere.
« Ehi guru, mancano le pannocchie » ghignai.
Il moro mi fulminò con lo sguardo. « Sai dove te le metto adesso quelle pannocchie? »
Feci un’espressione maliziosa. « Sorprendimi »
« Ehi! Non cercare di glissare! » ruggì il mio migliore amico. « Cancella immediatamente quel video! »
Mi strinsi nelle spalle. « Non mi è stato ancora inviato, sinceramente. È nel cellulare di Mery, prendiglielo »
Lui strabuzzò gli occhi. « Scherzi? Quando ci ho provato mi ha morso! Per poco non mi lasciava anche la dentiera attaccata! »
« Io non ho la dentiera! » sbottò la rosa infastidita.
« Molto bene » cantilenai, sfilando il telefono dalle mani di mia cugina. « Allora se lo tengo io non avrai problemi a venirtelo a prendere, giusto? »
Rogue mi corse in contro, quasi investendo la povera Meredy. Subito sul mio viso affiorò un sorriso soddisfatto e voltandomi repentina, cominciai a correre intorno alla Zafira.
Improvvisamente lo sentii imprecare e così mi voltai, notando che stava per inciampare. Mentre continuavamo a correre in tondo, una vecchietta passò e appena notò Rogue in mutande spalancò gli occhi, portandosi una mano davanti alla bocca.
Immediatamente la signora gli si avvicinò e cercò di colpirlo coi sacchetti della spesa. Il moro dovette correre ancora più veloce per sfuggire dalle grinfie della mummia assassina, ma non fece caso a mia madre che aprì la portiera di scatto e lui, da bravo idiota, ci finì contro a tutta velocità, cadendo all’indietro.
Scoppiai a ridere, forse anche troppo forte, perché l’anziana donna mi guardò male e poi se ne andò via indispettita.
Layla uscì dall’abitacolo, preoccupata. « Oh Mavis! Scusami tesoro! »
Lui provò a rispondere, ma dalle sue labbra uscì solo un rantolo indistinto.
« Non possiamo lasciarlo qui! » squittì mia madre.
La guardai stranita. « Guarda che non è mica un cadavere da occultare »
« Portiamolo con noi » si strinse nelle spalle il rosato.
Inarcai un sopracciglio. « Con Mery siamo già in sette, non possiamo mica legarlo nel baule »
« Qualcuno dovrà stare in braccio a qualcun altro » propose Natsu, osservando l’asfalto.
Mi chiesi il perché di quello sguardo basso.
Rogue sembrò riprendersi in un lampo, tirandosi su di botto, rischiando oltretutto di dare una testata alla portiera e farsi male di nuovo. « Io sto in braccio a Sting! »
Sting fece una smorfia. « Sei un po’ pesantuccio… E poi mi spieghi come fai a stare sopra di me in macchina? »
Gli occhi cremisi del ragazzo scintillarono. « Uno: se tu lanci queste frasi allusive io potrei non rispondere più delle mie azioni e stuprarti seduta stante. Due: non mettermi alla prova, biondino »
« Okay, Wendy sta in braccio a me che è la più leggera! » sbottai. Diamine, nessuno poteva toccare mio fratello! Che fosse femmina, maschio o un essere asessuato! Peccato che poi mi pentii della mia decisione praticamente pochi minuti dopo. Dio mio, avrei avuto un demone addosso…
Mia madre sbuffò. « Santo cielo, che qualcuno procuri dei vestiti a questo ragazzo! »
« Lo so che la mia nudità distrae » fece Rogue con voce pomposa.
Igneel inarcò un sopracciglio.
Mi spalmai una mano sul viso. « E noi dobbiamo andare in montagna tutti insieme? »
« Guarda il lato positivo, almeno non ci annoieremo » mi sorrise Mery.
Le lanciai un’occhiata obliqua. « Forza andiamo, va’ »
« Ma posso sedermi sopra Sting? » piagnucolò Rogue.
« No! » sbottai.
Il ragazzo fece finta di piangere e s’incamminò a testa bassa. Io invece feci il giro della macchina ed entrai, aspettando che Wendy mi si sedesse sulle gambe. Feci per cercare il cellulare quando la testa della blu si voltò un po’ troppo, quasi come quelle bambine nei film horror che ruotano la testa all’indietro.
Sentii il sangue defluirmi dal viso.
“Aiuto”
 
***
 
Quando scendemmo finalmente dalla macchina non mi sentivo più le gambe, tanto che dopo appena due passi mi cedettero e dovetti aggrapparmi a Natsu, che mi stava davanti.
Lui inarcò un sopracciglio. Gli restituii la stessa espressione e nel voltarmi, faci ben attenzione a colpirlo con la mia lunga treccia. Lo sentii sibilare qualcosa che non udii, ma me ne andai via soddisfatta.
Fu in quel momento però, che qualcosa mi suonò sbagliato. Aggrottai le sopracciglia, fermandomi. Era tremendamente sbagliato, cosa di preciso non lo sapevo. Rimasi immobile per una manciata di secondi, mentre cercavo di venire a capo della situazione, ma qualcuno, in quel momento, mi diede una pacca talmente forte che mi fece piegare in avanti, distraendomi dai miei pensieri.
Mi girai allibita, intrecciando lo sguardo glauco di mio fratello col mio. « Sting? »
« E sorridi, sei sempre così musona »
Gonfiai le guance. « E tu sei sempre così manesco! »
« Ma senti da che pulpito arriva la predica! » Sting alzò gli occhi al cielo.
Sbarrai gli occhi. « Sei tu che mi hai avvicinata al mondo della boxe! »
« Già, ma sai benissimo il perché… » sibilò lui, voltandosi e raggiungendo il resto della famiglia.
Incassai il colpo, percependo le ombre del mio passato aggrapparsi ai miei precordi, nel tentativo di trascinarmi nell’oblio dell’apatia. Sbattei le palpebre più volte, per evitare che le lacrime si impegolassero tra le mie ciglia. Mi schiarii la gola e raggiunsi anche io il gruppo, cercando di non far trapelare le mie emozioni negative.
Osservai mia madre che afferrava delle tende e dei sacchi a pelo dal baule, solo allora capii il suo reale piano.
« Mamma, non doveva mica essere solo una passeggiata? » sibilai.
Lei mi regalò un sorriso colpevole. « Scusami amore, ma non avresti mai accettato se ti avessi detto che in realtà si trattava di campeggio »
Alzai gli occhi al cielo e mi diressi verso il posto di guida.
« Dove vai? » chiese Igneel.
« Me ne torno a casa, chiamatemi quando vi devo venire a prendere » grugnii.
Sentii delle mani correre lungo i miei fianchi e girarmi velocemente, ma non feci in tempo a vedere chi mi fosse davanti, perché venni caricata sulle spalle come un sacco di patate.
Sentii una risatina divertita. « Tu non andrai da nessuna parte »
« Rogue! » sbottai. « Lasciami! »
Layla assunse un’espressione dispiaciuta. « Dai Lu, perché non cerchi di divertirti? »
« Sei davvero egoista e capricciosa » sbuffò Natsu.
Gli lanciai un’occhiataccia. « Nessuno ti ha chiesto di intervenire »
« Lucy adesso stai esagerando » borbottò Sting.
Non alzai lo sguardo, non ebbi il coraggio. Smisi anche di dimenarmi tra le braccia di Rogue e aspettai che mi adagiasse a terra, ma i miei occhi rimasero a fissare le punte delle mie scarpe.
 
Stavamo ormai camminando da tre ore e mezza, seguendo il faticoso sentiero che ci avrebbe portato fino in cima. Io mantenevo le distanze dal gruppo di un paio di metri, osservandoli imbronciata mentre ridevano e scherzavano. Sapevo benissimo che ero io ad essere nel torto, ma il mio smisurato orgoglio mi frenava dall’andare lì, abbassare il capo e chiedere scusa.
Schioccai la lingua infastidita e calciai un sasso che rotolò giù, eseguendo lo slalom tra gli alberi e schiacciando foglie. Con quel gesto, notai però di aver attirato l’attenzione dei tre ragazzi. Abbassai immediatamente lo sguardo, imbarazzata, e addentai il labbro inferiore.
Quando sentii un arto circondarmi la vita, alzai lo sguardo e incontrai un paio di occhi cremisi. Dall’altro lato Sting mi aveva afferrato il braccio, mentre davanti a me Natsu mi osservava con un sorriso, anche se per un attimo mi sembrò velato da un po’ di tristezza.
A quel punto le parole mi uscirono di bocca da sole. « Chiedo scusa » sussurrai. Quando me ne resi conto, arrossii fino alla punta delle orecchie.
Questa volta, percepii una mano calda scompigliarmi i capelli con affetto. Da sotto le mie lunga ciglia biondicce, riuscii a vedere Natsu osservarmi, ora, con un’espressione intenerita.
« Non ti preoccupare » mormorò il rosato con quella sua voce calda.
Mi sentii inspiegabilmente inquieta.
« Peccato, avrei dovuto farti un video. Te che chiedi scusa è un avvenimento più unico che raro » rise Rogue.
Non me la presi, stranamente, e gli feci un tiepido sorriso. Poi, mi imbronciai quasi subito. « Quanto manca? » piagnucolai.
Sting sogghignò. « Due ore »
« Voglio morire » esalai.
« Manca mezzoretta! » urlò mia madre al mio indirizzo.
Diedi una gomitata nelle costole a mio fratello e gli feci la linguaccia.
Inaspettatamente qualcuno mi diede un pizzicotto al fianco sinistro e urlò. « BUH! »
Cacciai un grido, probabilmente in grado di risvegliare tutto il bosco. Ero oltretutto riuscita a sbilanciarmi da ferma e per non farmi finire col muso a terra, dovettero prendermi in tre. Mi voltai con le lacrime agli occhi, il cuore che per poco non mi lasciava per un infarto e quando vidi mia cugina che rideva come una matta, cominciai a rincorrerla.
Peccato che la marcia della morte venne brutalmente interrotta da una mano che mi si strinse intorno al polso, strattonandomi indietro. Finii addosso a Natsu a causa dello strattone: lui si ritrovò disteso a terra supino, mentre io mi ritrovai seduta sopra di lui, dandogli la schiena. Quando notai dove fossi seduta, arrossii e mi alzai quasi con un balzo. Meredy, nel frattempo, era inciampata in una radice ed era caduta ingloriosamente a terra.
“That’s karma, babe”
Ancora rossa in viso, mi allontanai a passo rapido, quasi correndo, inciampai un paio di volte ma riuscii a raggiungere mia madre, Igneel, Wendy e nel frattempo arrivò pure Meredy con un graffio sul naso.
Le lanciai un’occhiata furtiva, sogghignando sommessamente.
 
La mezzora passò velocemente, ma fu decisamente la più impegnativa, in quanto la salita che si presentò davanti a noi occhi fu davvero devastante. Arrivai in cima senza fiato, una mano posata sul petto e una sulla gola, avida di liquido fresco. Quando i miei occhi saettarono rapidi sulla figura di Natsu, lo trovai intento a scolarsi una bottiglia da un litro e mezzo. Mi avvicinai a lui furtiva, poi afferrai con un gesto rapido la confezione di plastica, facendo sfuggire alcune gocce che macchiarono la maglia del ragazzo. Gli angoli della mia bocca si arricciarono in un sorrisetto sardonico, mentre circondavo con le labbra il collo della bottiglia.
Dragneel Jr mi lanciò un’occhiata risentita, spostando poi la sua attenzione a sua sorella che giungeva verso di noi.
« Condividere la stessa bottiglia equivale a un bacio indiretto! » Wendy si coprì la bocca con le manine a coppa.
Sputai letteralmente tutta l’acqua in giro, arrossendo vistosamente.
« Lucy! Diamine, un po’ di educazione! » sbottò mia madre esasperata. « Sembra tu sia stata educata da un grizzly! »
Porsi la bottiglia a Natsu bruscamente e mi allontanai svelta. Incredibile come in quella giornata non facessi che allontanarmi continuamente dalla gente.
« Forza ragazzi, si mangia! » batté le mani Igneel.
Layla sorrise e si diresse verso le borse frigo, da cui estrasse un contenitore dove all’interno vi era l’insalata di riso. Immediatamente i miei occhi si illuminarono, adoravo quel piatto, nonostante non c’entrasse con la stagione con cui avevamo a che fare ultimamente. D’altronde ormai eravamo giunti a novembre e quello era un piatto prevalentemente estivo.
Mi avvicinai, percependo lo stomaco attorcigliarsi su stesso per la fame e afferrai con velocità la porzione che mi venne preparata. E lo stesso fecero gli altri, osservando con bramosia il proprio piatto.
Afferrai la forchetta e raccogliendo un po’ di riso, portai il boccone alla bocca.
Quando sentii il gusto però, le miei papille gustative dichiararono guerra.
Non riuscii a reprimerla in tempo, ma un’espressione disgustata deformò il sorriso speranzoso che mi si era disegnato sulle labbra. Lanciai un’occhiata agli altri, posti in cerchio, vidi Meredy assumere un colorito pericolosamente verdognolo. Natsu sembrava essersi bloccato con la posata in bocca. Rogue, invece, cercò di mangiare tutto per dimostrarsi educato agli occhi di mia madre. Quest’ultima nel frattempo guardava con occhi speranzosi ognuno di noi, così mi venne spontaneo chiedere.
« Mamma? » gracchiai.
Lei si illuminò. « Sì, cara? »
Allontanai il piatto e lo appoggiai sulla grossa tovaglia improvvisata, che era stata adagiata a terra. « Hai per caso cucinato tu? »
Layla annuì, orgogliosa. « Certo! Cosa te ne pare? »
Mi schiarii la gola. « Non mi piace »
Il viso di mia madre s’incupì. A quella visione gli altri cercarono di mangiare ogni cosa prima che potesse mettersi a piangere per la delusione. Rogue fu quello che terminò per primo, ma Layla fraintese il perché di quella fretta.
« Caro, ne vuoi ancora? » gli occhi brillarono di speranza.
« No grazie, sono pieno » la voce gli uscì stridula.
La mamma sorrise. « Non fare complimenti, prendine ancora! »
« No davvero, sono a posto » il suo timbro vocale era sempre più acuto.
Layla insistette, prendendo il contenitore e mettendo una nuova porzione nel piatto del moro, che lo guardò disperato. « Su, che bisogna crescere! »
Il ragazzo cercò di trattenersi dal mettersi a piangere, inforcando una nuova porzione di riso e cacciandola in bocca. Il suo corpo ebbe un fremito.
Povera anima.
 
 
 




Yumeha’s Corner
Salveh.
Sì sono in ritardo, vabbe’.
Non ho più aggiornato in estate perché ho visto che nell’ultimo capitolo sia le visualizzazioni, sia le recensioni si erano dimezzate. Spero che il motivo fossero appunto il mare, spiaggia e cocktail. Perché se non piace più… piango. (?) No vabbe’, però mi impegnerò di più.
Bom, raga spero vi sia piaciuto il capitolo. Almeno, la prima parte. Deve succedere tutto nel capitolo 10. Sono indecisa se farlo ansiogeno (?) o semplicemente tenebroso. Poi deciderò. L’ho spezzata comunque perché mi erano uscite 16 pagine di word e se avessi continuato, sarei potuta arrivare anche a 25 e non era il caso, magari risultava pesante.
Fatemi sapere cosa ne pensate. ♥
Prima di andare, vi devo mettere al corrente che io quest’anno sono in quinta liceo e ho la maturità, perciò non aspettatevi aggiornamenti veloci. Anzi, da metà Maggio fino a Luglio, non mi sentirete più, già avviso. Mi dispiace, so benissimo che è penoso aspettare, però non posso farci niente. :c
Grazie per chi continua a seguirmi, soprattutto per chi recensisce e mette tra i preferiti, tenkiu. :*
Vostra,
Ale 

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Capitolo 11
*** Cap 10: Quando la tua esperienza in campeggio si trasforma in un film horror, non puoi che sperare in una buona dose di fortuna per sopravvivere, se non a Wendy, quantomeno ai lupi. (parte 2) ***



Quando la tua esperienza in campeggio si trasforma in un film horror, non puoi che sperare in una buona dose di fortuna per sopravvivere, se non a Wendy, quantomeno ai lupi. (parte 2)
 



La temperatura era calata precipitosamente, nonostante cercassi di stringermi all’interno della mia giacca, sentivo il gelo infiltrarsi al di sotto di essa, perfino sotto la felpa, sfiorando la pelle e provocando di conseguenza brividi che lasciarono che la pelle d’oca decorasse l’epidermide.
Alzai lo sguardo alla volta astrale, il manto scuro sembrava un’immensa coperta scura che tendeva verso le nostre teste, con l’intenzione di schiacciarci. In montagna tutto sembrava così grande e vivido. Ogni cosa era sotto lente, dalle stelle al paesaggio e rumori perfino.
Ogni suono ambiguo che il mio udito captava, non faceva che mettermi in allarme: mi voltavo circospetta in ogni direzione, cercando di non venir sorpresa da qualcosa di poco piacevole.
Chiaramente erano tutte mie fisime mentali, però la montagna di notte non era proprio il posto più rassicurante del mondo.
Quando mi voltai, vidi arrivare verso di me Rogue, ancheggiando convinto, mettendo un piede davanti all’altro, nel tentativo di imitare il passo elegante di una modella.
Sbattei le palpebre più volte, cercando di mettere bene a fuoco la sua figura nel buio che lo circondava.
« Lu, Wendy sta facendo i capricci: vuole giocare a nascondino e Mery non fa che incoraggiarla »
Sbuffai. « Uno di questi giorni le ammazzo entrambe » Magari – sfruttando il luogo pericoloso in cui mi trovavo – sarei riuscita a tornare a casa con due passeggeri in meno, il mattino seguente. « E? » esalai.
« E non vuole andare a dormire finché non si sarà concluso almeno un round. Sei dei nostri? » Il ragazzo si sedette e cominciò a sfiorarmi la treccia dorata. « Quasi quasi me ne faccio applicare una anche io, hai presente le extension? Credo che la sceglierò fucsia »
Gli lanciai un’occhiata stanca. « Tu fallo, e non ti faccio più entrare in casa mia »
Lui mi lanciò uno sguardo compiaciuto. « Casa di Natsu, vorrai dire »
Sbuffai, esasperata. « Ora è anche mia! »
« Ah-ah! Allora hai finalmente accettato la tua parentela con lui! » trillò.
« Assolutamente no! » strillai.
« State parlando di me? » una voce contrariata entrò nel mio campo uditivo.
Alzai lo sguardo di scatto, scorgendo la figura slanciata di Natsu, un sopracciglio inarcato e le braccia conserte. Il nostro contatto visivo durò pochi secondi, perché immediatamente il mio crollò a terra, improvvisamente più interessato ai folti steli d’erba che costituivano il morbido manto su cui ero seduta.
« Dragneel, tu giochi? » glissò Rogue.
Il rosato annuì sospirando. « Sì, è mia sorella, è il mio dovere fare il bravo fratello »
Aggrottai le sopracciglia. « Fare il bravo fratello non significa viziare » sussurrai.
« Come scusa? » Non mi aveva sentita. O più probabilmente fece finta.
Scossi la testa. « Nulla, sbrighiamoci a giocare »
« Sting ed io partecipiamo! » trillò Mery.
Inarcai un sopracciglio. « Anche Sting? Lui odia nascondino, ha sempre avuto paura, davvero ha accettato? »
Sting non sopportava quel gioco, fin da quando era piccolo. Tutto era iniziato da quando all’età di sette anni ed io sei, durante il primo round, mio fratello si era allontanato troppo dalla villa Heartphilia. Aveva avuto la malsana idea di nascondersi all’interno di un bidone della spazzatura. Peccato che quello fosse proprio il giorno del passaggio dei camioncini che pulivano le strade, i quali svuotavano i grossi contenitori. Inutile dire che mio fratello si era fatto trasportare dentro uno dei quei veicoli per una decina di chilometri. Mio padre aveva mobilitato tutta la sua squadra, nel giro di pochi minuti Magnolia era circondata da uomini in divisa e sirene dalle luci rossastre. Nemmeno mia madre fu da meno, il comando di ricerca partì immediatamente.
Tanto casino e pochissimo tempo dopo, Sting venne recuperato e lasciato ammollo nella vasca da bagno per almeno tre ore di fila: Layla voleva assicurarsi di rimuovere bene il delicato parfum che suo figlio aveva assunto dopo il suo viaggetto.
Dopo questa avventura decisamente poco profumata, Sting non ne volle più sapere.
Guardai il luccichio negli occhi di mia cugina e quando spostai lo sguardo su mio fratello, lo vidi intento a divorarsi una tavoletta di cioccolata. Strabuzzai gli occhi, quanto poteva essere calcolatrice quella ragazza?
Mi alzai e mi spolverai i pantaloni, per cercare di rimuovere un po’ di terra. Diedi una mano a Rogue per alzarsi e mi voltai, osservando il gruppo ora al completo con l’arrivo di Wendy.
« Caccerò io » le labbra sottili della blu si curvarono all’insù innaturalmente, accompagnando i suoi caratteristici occhi spalancati.
Mi venne naturale fare un passo indietro, andando a sbattere involontariamente contro il moro. Sentii un suo braccio circondarmi la vita e mi lasciai sostenere.
« Grandioso! Diamo inizio ai giochi! » dichiarò Mery.
Wendy con un sorrisetto soddisfatto si voltò e si appoggiò al tronco di un albero con fare disinvolto, una posa che sembrava emanare sicurezza in qualsiasi prospettiva la si guardasse. Fu quando cominciai a sentire la sua voce dal timbro fanciullesco, che afferrai per un polso Sting e cominciai a correre nel fitto e denso buio del bosco.
« Lu? » mi chiamò quando per poco non inciampai su una grossa radice.
« Dimmi » gracchiai.
Il biondo cacciò la carta del cioccolato in una delle tasche dei pantaloni e si guardò in giro perplesso. « Perché ci stiamo dirigendo verso il centro del bosco? Di notte? Correndo? »
Mi voltai a guardarlo. « Quante domande » Mi voltai di nuovo ad osservare ciò che avevo davanti, sforzando la vista. La mia mano corse alla sua e la strinsi forte, cercando rassicurazione. « Stiamo giocando »
« A cosa? » lui rispose alla mia stretta, infondendomi calore in quella notte fredda. Sting, con la sua personalità, era in grado di illuminare il tuo cammino scuro e accidentato, quasi come se fosse una fonte di luce inesauribile. Con la mia natura tendenzialmente pessimistica era di fondamentale importanza che io avessi accanto un fratello come lui. Fu spontaneo il sorriso che increspò le mie labbra.
« Nascondino » bisbigliai.
Quando però, la sua mano scivolò velocemente dalla mia e un urlo mi fece sobbalzare, tutta la tranquillità che si era costruita intorno a me grazie a mio fratello, crollò immediatamente come un castello di carte esposto al soffio del vento, sempre a causa della medesima persona.
Fu inevitabile, per lo spavento anche dalle mie labbra scappò un grido. Mi voltai con uno scatto, osservando con occhi sbarrati mio fratello.
« Ma sei impazzito?! » sbottai.
« Perché mi volete così male?! » strillò lui.
« Ma piantala! È solo un gioco da bambini! » feci, iniziando ad agitare le mani.
Gesticolare quando ero agitata era sempre stato uno dei miei fastidiosissimi difetti.
Lui strabuzzò gli occhi. « Che per poco non mi faceva fare una brutta fine! »
Risi nervosamente. « Sei te che sei un emerito idiota! E smettila di urlare! »
« Io non sto urlando! Se mai lo stai facendo tu! »
Lui non accennò ad abbassare la voce, di conseguenza non lo feci nemmeno io. « Stai zitto, dannazione! O farai risvegliare tutto il bosco! »
« Ma certo! Attenzione che poi svegliamo il lupo cattivo! Magari ha pure una forma umana! » mi derise.
Odiavo quando riusciva a tenermi testa, ma allo stesso tempo lo trovavo appagante. Nessuno aveva le palle per urlarmi addosso, ogni tanto capitava che lo facesse lui, ma ogni volta venivo presa in contropiede e alla sprovvista, perché non ero preparata. Ma mi piaceva. Era strano, decisamente bipolare come comportamento, ma questa ero io, una contraddizione vivente.
« E fatti sbranare mi raccomando! » strillai.
« E te, mi raccomando, ripeti lo stesso errore di quando eri con Loki! » sbottò.
Non ci vidi più, la mia mano si chiuse a pugno prima ancora che il mio cervello potesse registrare l’azione: le mie nocche si scontrarono contro il naso di mio fratello. Quando all’impatto percepii un sonoro “crack”, mi resi conto di quanta forza mi aveva donato la rabbia in quel momento.
I miei occhi vennero velati immediatamente dalle lacrime che mi offuscarono la vista. Riuscii a vedere solo la figura sfumata di mio fratello piegarsi, lo sentii sputare a terra, forse il sangue che gli era colato dal naso.
Prima che i singhiozzi potessero vibrarmi su per le corde vocali, mi voltai e cominciai a correre nella prima direzione che mi permise di seguire il sentiero ciottolato. Il che mi sembrò strano che ce ne fosse uno in un bosco, ma il fatto che fosse così mi venne da pensare che magari portava da qualche parte.
Sentii la voce di mio fratello gridare il mio nome ma non mi voltai, iniziai a correre più forte di prima. Ma il buio, la velocità e la mia mancanza di equilibrio, mi fecero inciampare e cadere per terra, tutto il peso finì sul mio ginocchio sinistro che strusciò sulle pietre.
Mi morsi il labbro a sangue per non urlare. Mi sedetti a terra e osservai il tessuto dei leggings neri totalmente strappato sul ginocchio, il quale era completamente ricoperto di graffi e sangue. Mi lasciai andare allo sconforto e scoppiai a piangere ancora più forte di prima, come una bambina, col viso rivolto alla luna – o perlomeno, a quello che di essa si poteva intravedere attraverso la fitta chioma degli alberi.
Sembrava quasi che il cono di luce spettrale che rifletteva, fosse puntato sulla mia figura, come se in realtà fosse un occhio di bue e tutta la mia vita un triste spettacolo. Tonda e derisoria si nascondeva dietro ai fitti alberi.
Mi sfregai gli occhi con la manica della felpa, le nocche dell’arto destro mi dolevano ancora. Infilai una mano nella tasca della giacca e cercai il cellulare, quando lo afferrai notai la totale mancanza di campo. Sospirai. L’orologio digitale segnava la mezzanotte passata. Volevo tornare alla mia tenda, anzi, nella macchina col riscaldamento a palla.
Invece ero al freddo, in un bosco, preda di insetti, piangente e con un ginocchio grondante sangue.
Smisi di piangere, tanto era inutile, tirai su col naso. Passarono esattamente due minuti, i quali li passai a fissare lo screensaver del cellulare, mentre la mia mente elaborava le crude parole di Sting, scoppiare a piangere nuovamente fu inevitabile.
« Stronzo! » gridai, afferrando una pietra e lanciandola davanti a me.
Un grido di frustrazione accompagnò l’insulto, avevo il nervoso alle stelle. Non lo avrei perdonato tanto facilmente.
Era vero che entrambi eravamo stati messi a dura prova; Sting aveva paura di quel dannatissimo gioco – a causa di cui, ora, mi trovavo dispersa in mezzo a un sacco di erbaccia. Ed io avevo paura del buio.
Scattare era prevedibile.
Però non potevo perdonare ciò che aveva detto.
Cercai di alzarmi, facendo leva con entrambe le braccia e poi cercando di aggrapparmi al tronco di un albero che avevo affianco. Sentii un paio di schegge infiltrarsi sotto le unghie ma, stringendo i denti, mi tirai su. Raccolsi un grosso bastone e lo usai a mo’ di stampella, per evitare di appoggiare la gamba.
Non tornai sui miei passi, proseguii dritta, con passo ciondolante. Non barcollavo così tanto nemmeno quando per una scommessa ero stata costretta a bere fino a spingere il mio corpo al limite, durante la festa di compleanno di Levy. Avevo ricordi frammentati di quella sera, ma le cose che mi raccontarono mi fecero arrossire al solo pensiero. C’era anche Natsu a quella festa, sperai che non si ricordasse nulla nemmeno lui.
Afferrai nuovamente il cellulare e accesi la torcia, per evitare di rimanere totalmente al buio. Sbattei velocemente le palpebre, cercando di mettere a fuoco il paesaggio circostante. Il dolore era ancora vivido e camminare risultava un’impresa.
Il buio che mi circondava e sembrava voler inghiottire la mia figura, non faceva che agitarmi. I miei occhi si inumidirono ancora; solitudine e oscurità, un mix che io non ero in grado di reggere.
Non mi piaceva tenere accesa una torcia di una simile intensità, però non potevo proseguire col buio.
Era incredibile di quanti rumori potessero sembrare sinistri durante la notte, io che col buio non ci volevo più avere a che fare, che dormivo con la luce accesa perché non volevo che i vecchi ricordi mi brancassero.
Lanciai uno sguardo alle tacche della linea e ne scovai una. Tirai un sospiro di sollievo e digitai un numero, non mi chiesi nemmeno come facessi a saperlo a memoria.
– Pronto, Lucy?
« Ho paura » piagnucolai.
– Cazzo, Lu! Ti avremmo lasciato trenta chiamate! Dove ti sei cacciata?! Hai idea di quanto cazzo fossi preoccupato?! – urlò, perforandomi un timpano.
Allontanai leggermente il telefono dall’orecchio. « Non c’era campo… » brontolai.
– Porco Zeref, la prossima volta fammi la cortesia di non farmi prendere più certi infarti!
« Scusa » sussurrai.
– Dove sei? Vengo a prenderti.
Roteai gli occhi. « Come se potessi saperlo! Per me è tutto uguale questo posto! »
Anche se sussurrata riuscii comunque a sentire la lieve bestemmia che fuoriuscì dalle sue labbra. Doveva essere davvero arrabbiato…
– Rogue mi sta dicendo che dovrebbe averti installato una specie di piccolo localizzatore nel cellulare. – Fece una piccola pausa. – Razza di frocio perché non l’hai detto prima quando l’abbiamo chiamata mille volte?! – gridò.
– Me ne ero dimenticato, testa calda! – sentii Rogue. – E adesso passamela! Pronto?
« Eh » sospirai.
– Sul retro, se rimuovi la batter…
Non lo feci finire di parlare, spensi la chiamata e staccai con forse troppa forza la parte posteriore del telefono. Trovata la batteria, la rimossi velocemente. Appena sotto, trovai una specie di rientranza, la quale sembrava essere perfettamente della stessa forma del polpastrello del mio pollice. Ve lo appoggiai sopra, mi sembrò di sentire un fischio. Servivano le mie impronte per farlo funzionare, non aveva molto senso però. Ma si sapeva, Rogue era fondamentalmente un idiota.
Con non poca fatica cercai di sedermi a terra, abbandonai il bastane accanto a me ed attesi. Per cercare di distrarmi pensai a cosa poter fare nell’attesa, frugai nelle tasche del mio giubbotto e mi ricordai di avere le cuffiette. Le presi e riaccendendo il telefono, andai sulla mia playlist. Appoggiai la testa e la schiena contro il tronco legnoso di un albero, misi entrambe le mani sul ginocchio e cercai di sollevarlo in una posizione più dritta, subito i miei polpastrelli si sporcarono del liquido rossastro che continuava a scendere a causa dei movimenti bruschi che facevo, i quali spezzavano la crosta che si stava pian piano formando.
Sentii un ronzio vicino al volto e con forza mi colpii la base del viso e parte del collo, non volevo tornare a casa anche con le punture di qualche insetto.
Feci partire la prima canzone che trovai e socchiusi gli occhi, alzando il mento verso l’alto. Sotto le note di ‘Hello’ di Adele, sentii ammontare ancora di più la tristezza del momento.
Fu quando arrivai al ritornello, che sentii un urlo gutturale e quasi disperato. Prima ancora di sollevare le palpebre sentii delle mani scrollarmi con forza per le spalle e i miei riflessi reagirono subito: una delle mie mani scattò sul bastone che avevo affianco e colpii con tutta la forza che avevo ciò che mi aveva appena attaccata.
Aprii gli occhi, trasalendo, avevo appena preso a bastonate il mio migliore amico! « Oddio Rogue! Scusami! Ma che ti salta in testa?! » strillai, allibita.
Lui cercò di massaggiarsi la parte dolente, guardandomi come se fossi pazza. « Ahia! » sbottò.
Natsu mi si avvicinò con gli occhi sbarrati, sfiorandomi il collo, una serie di brividi corsero lungo la colonna vertebrale. E no, non erano per il freddo. Rimasi immobile a fissarlo, indugiando forse un po’ troppo sulle sue labbra.
« S-sul tuo c-collo c’è del sangue » nella sua voce si poteva distinguere benissimo la vena agitata che sembrava averlo gettato nel panico. « Cosa è successo? »
« Sul mio collo? » Sbattei le palpebre, perplessa. « Ah no! È il sangue del ginocchio »
Natsu inarcò un sopracciglio e si allontanò esaminando la mia gamba.
« Ti spalmi il sangue addosso? Ma che problemi hai? » fece Rogue.
Arrossii. « Io non faccio nulla del genere! »
« I riti satanici lasciali a Wendy » borbottò il moro.
« E piantala! » sbottai.
Osservai corrucciata Natsu abbassarsi, dandomi le spalle e indicandosi la schiena. Non capii cosa intendesse finché non si spiegò.
« Sali in groppa » borbottò, senza guardarmi.
Lanciai una celere occhiata verso Rogue, la sua espressione era un misto tra curiosità e malizia. Quando il rosato si accorse del mio sguardo esitante, mi incoraggiò con un sorriso.
Così, mi trascinai e cercai di aggrapparmi al ragazzo, allacciandogli le gambe in vita. Appoggiai la guancia sulla sua schiena, premendo, assumendo così un’infantile smorfia imbronciata.
« Ti verranno le rughe a furia di fare quelle facce » sbuffò Rogue.
Di riflesso rilassai i muscoli facciali, ora assumendo un’espressione stanca. « Voglio tornare a casa » brontolai.
« Resisti questo round e poi andiamo a dormire, domani pomeriggio sarai nuovamente nella tua stanza, vedrai » mi accarezzò dolcemente sulla testa.
Sbadigliai. « Sono debolissima, sia mentalmente che fisicamente »
Il moro mi lanciò un’occhiata stranita. « Ma si può sapere cosa diamine è successo? »
Strinsi la maglietta di Natsu senza nemmeno accorgermene, fu lui a farmelo notare, con un suo movimento della spalla, che mi fece capire di tenere giù le mani. Forse lo avevo graffiato.
Approfittando del fatto che il rosato non potesse vedermi in viso, mimai con le labbra il nome “Loki”, immediatamente il suo sguardo si fece più duro.
« Cosa ti ha fatto adesso? » sibilò, le mani strette a pugno. « Maledizione! Voglio ammazzarlo! Fanculo se finisco in prigione! Deve pagarla! Deve- »
« Rogue! » lo interruppi, alzando la voce. « Calmati! Sting me l’ha solo rinfacciato… » la mia voce si incrinò.
Il mio migliore amico si voltò, con gli occhi sgranati. « Cosa ha fatto? »
Annuii stancamente. « Stavamo… bisticciando e niente, lui me l’ha ricordato e io… be’ credo di avergli spaccato il naso »
Natsu ridacchiò. « Ed è già il secondo, dopo me è toccato a lui »
Sbattei le ciglia, ricordandomi del momento in cui lo colpii con tutta la forza sul naso, dopo averlo visto avvinghiato con Lisanna. Immediatamente mi accigliai. « Tu te lo sei più che meritato, così impari a fare lo stronzo doppiogiochista »
« Lo stronzo doppiogiochista?! Io ho- » ma si bloccò.
« Tu, cosa? » lo incalzai.
Il rosato scosse la testa, sembrò amareggiato. « Nulla »
Rogue mi guardò perplesso, probabilmente in cerca di spiegazioni, ma io scossi la testa. Non mi andava che si sapesse nulla, doveva rimanere una cosa segreta, alla fine non contava nulla.
Calò il silenzio più totale, nessuno aprì più bocca e io potei chiudere gli occhi, cercando perlomeno di riposare la mente.
Stavo quasi per addormentarmi quando percepii la camminata quasi ritmica e cullante di Natsu arrestarsi. Aggrottai le sopracciglia e sollevai lentamente le palpebre, alzai il viso e osservai al di là delle spalle del ragazzo, scorgendo la figura del moro ferma immobile un metro più avanti.
« Qualcosa non va? » borbottai stropicciandomi un occhio.
« Sht » mi azzittì il rosato.
Inarcai un sopracciglio. « Tu a me non dici ‘sht’! »
« Sht! » fece scocciato.
Lo guardai allibita. « Dragneel mi stai facendo innervosire, ti avviso »
« Vuoi stare zitta?! Stiamo cercando di sentire una cosa! » sbottò.
Sbattei le palpebre, sorpresa da tale reazione.
Lanciai un’occhiata incuriosita a Rogue, che incominciò ad indietreggiare e, inspiegabilmente, cominciai ad agitarmi. Fu quando si voltò repentino e urlò « VIA! » che iniziai ad avere sul serio paura.
Il moro iniziò a correre e in un attimo ci superò, Natsu fece lo stesso, rallentato però dal mio peso.
« Che succede? » urlai verso Rogue.
« Qui siamo in alta montagna, finire in bocca ai lupi era inevitabile! » sibilò.
La saliva mi andò di traverso. « Lupi?! »
L’ululato che squarciò l’aria mi fece rizzare i peli delle braccia, percepii il mio cuore aumentare i battiti per la paura. Sentii i passi pesanti degli animali dietro di noi e ciò che fuoriuscì dalle mie labbra fece raggelare il ragazzo che mi stava sorreggendo.
« Lasciami e scappa »
Natsu, per quanto riuscì, cercò di guardarmi. « Tu mi sa che oltre a graffiarti il ginocchio hai anche sbattuto la testa » sibilò.
Aggrottai le sopracciglia. « Idiota ti sto solo rallentando! »
Alzai lo sguardo per scorgere la figura di Rogue ma di lui non vi era già più traccia.
“Quanto è veloce quello?!”
Nel frattempo i lupi erano ancora più vicini, era ormai questione di poco e ci avrebbero presto raggiunti.
Improvvisamente la corsa di Natsu si arrestò, facendomi sbattere il naso contro la sua spalla. Lo guardai stranita, alternando il mio sguardo da lui a ciò che mi stava dietro, ansiosa. Le sue mani si fecero più molli, finché non mi adagiò a terra.
Lo osservai allontanarsi basita, aveva appena deciso di lasciarmi qui?
“Be’? Cosa ti aspettavi? Mica mette a repentaglio la sua vita per te.”
Abbassai lo sguardo a terra, non avevo intenzione di aprire i rubinetti, se fossi morta lo avrei fatto col viso rivolto verso l’alto.
Rimasi ad osservare la figura del rosato, rimanendo di spalle ai lupi che ormai mi avevano quasi raggiunta. Raccolse un bastone, piuttosto spesso, pensai che si volesse difendere nel caso dopo me avessero cercato di prendere anche lui.
Infilò una mano nella felpa e gli vidi un accendino tra le mani. Notai le sue mani tremare leggermente, ma con un paio di tentativi riuscì ad accendere la fiammella e dare fuoco al grosso ramo.
Si avvicinò nuovamente a me e sbattei le palpebre davanti alla luce scoppiettante del fuoco.
Mi superò, posizionandosi esattamente alle mie spalle e iniziò a dare fuoco all’erba intorno a noi, formando un grosso cerchio. Osservai con gli occhi sgranati le lingue aranciate librare verso il cielo scuro, trasmettendo immediatamente calore nell’area.
I lupi giunsero e quando notarono lo scudo di fuoco, arrestarono immediatamente la loro corsa. Ringhiarono e ulularono alle nostre figure, ma indugiarono davanti al cerchio. Natsu continuava ad alimentare il fuoco, per essere sicuro che rimanesse acceso e che potesse assicurarci protezione finché non sarebbero andati via.
Mi voltai, osservando la sua figura dal basso, scrutando il suo viso illuminato dalla luce creata dall’elemento, mentre qualche ombra giocava con le sue espressioni, valorizzandole. Difficile dire cosa stesse provando ora, mi sembrò di indentificare la determinazione, il coraggio leggermente oscurato da un po’ di paura.
Un lupo cercò di avvicinarsi al fuoco, ma quando la sua zampa sfiorò una delle lingue calde emise un guaito. Notai le orecchie dell’animale abbassarsi e indietreggiare lentamente.
Stava funzionando.
Gli angoli delle mie labbra si piegarono all’insù, orgogliosa di avere affianco un ragazzo come Natsu, in grado di proteggere le persone che gli stavano intorno.
Con questi pensieri però, sentii un ululato più forte e immediatamente il mio sorriso si spense. Un lupo molto più grosso di quelli che ci avevano accerchiato, dal folto pelo nero, emerse dalla fitta boscaglia, ringhiando.
Istintivamente mi alzai per andare a raccogliere uno dei rami che erano reperibili all’interno della ristretta area in cui eravamo costretti. Scelsi il più grosso e attesi. Natsu mi lanciò un’occhiata veloce, per vedere cosa stessi facendo, ma la sua attenzione venne inevitabilmente ricatturata dalla grossa bestia che si avvicinava inesorabile.
Il ringhio mi faceva accapponare la pelle e cominciai a provare molta più paura rispetto a prima.
« Stammi dietro! » ordinò il ragazzo.
Mi mossi barcollando e saltellando sulla gamba sana, stringendo forte la mia arma improvvisata.
L’animale rivolse il muso alla luna ed ululò ancora più forte. Iniziò a correre celermente verso di noi e appena si trovò a poca distanza dal cerchio, saltò, superando lo scudo di fuoco. Indietreggiai tremante, gli occhi spalancati e il battito cardiaco nelle orecchie. Natsu mosse il suo bastone inglobato dal fuoco, cercando di tenere lontana la bestia, ma questa sembrava non provare timore alla vista delle lingue calde.
Io avevo le gambe talmente instabili che faticavo a mantenermi in piedi, se non fossi riuscita a darmi una calmata probabilmente sarei svenuta.
Il lupo si avventò contro il rosato, dalla mia gola scappò un grido per la preoccupazione. Il ragazzo con tutta la forza che aveva, colpì col bastone il grosso muso. Vidi il pelo nero sfrigolare sotto il calore del fuoco, provocando delle bruciature superficiali sulla pelle.
Emise un basso ringhio e mostrando le fauci, aprì la bocca per mordere il mio fratellastro. Lui però riuscì a scostarsi appena in tempo e colpire la schiena del grosso animale.
Non potevo rimanere a guardare, ma non sapevo cosa fare. Non avevo nulla con cui colpirlo da lontano. Ogni volta in cui mi avevano costretta ad andare in campeggio mi ero portata qualche arma per prevenzione. E non era mai successo nulla. Questa volta ero stata trascinata con l’inganno e non avevo portato con me niente, e queste erano le conseguenze.
Mi veniva da piangere.
Quando riportai lo sguardo sul rosato, notai il lupo alzare una delle sue possenti zampe e colpirlo. Il corpo di lui incassò il colpo e venne sbalzato alla fine del cerchio, molto vicino alle fiamme. Quando vidi le grosse striature rossastre sullo stomaco, mi portai entrambe le mani davanti alla bocca e prima ancora di percepirle sulle guance, sentii il sapore salato della lacrime sulla lingua.
Agii di impulso, come sempre.
Gli impulsi nervosi raggiunsero la mia colonna vertebrale e vennero liberate le endorfine necessarie per azzerarmi il cervello e permettermi di agire.
Non sentii nemmeno più il dolore alla gamba.
Corsi verso il grosso lupo, che nel frattempo si stava avvicinando a Natsu, e lo colpii col bastone esattamente sulla testa. Scosse frastornato il grande cranio e poi si voltò verso di me e mi osservò con quei suoi occhi completamente neri, nei quali mi sembrò di vedere riflesso il fuoco rossastro che ci stava intorno.
Indietreggiai appena, ma il balzo che l’animale fece riuscì a raggiungermi. Caddi a terra sotto la sua enorme mole, sbattendo oltretutto la testa.
La vista si oscurò ma lottai con tutta la forza per rimanere sveglia. Sbattei le ciglia e cercai di ignorare il forte mal di testa. Feci appena in tempo a vedere la sua grossa bocca spalancarsi e avvicinarsi al mio viso velocemente. Con uno scatto sbattei il bastone tra le sue fauci e lo usai per tenerlo bloccato. Feci una smorfia disgustata quando il fiato caldo e puzzolente mi soffiò in faccia. Ma la forza che ci stava mettendo l’animale era troppa in confronto a quella delle mie braccia che ormai iniziavano a tremare per lo sforzo.
Serrai le palpebre quando sentii che ormai non avrei più retto lo scontro di forza, ma prima che potessi percepire qualsiasi tipo di canino lacerarmi la carne, sentii scomparire il peso da sopra il mio corpo.
Aprii gli occhi e vidi il corpo di Natsu accasciato a terra, che aveva appena utilizzato le sue ultime forze per togliermi di dosso il lupo.
Mimò con le labbra “Scappa” ma io scossi la testa. Appoggiai entrambi i palmi delle mani per issarmi, ma sotto quello destro percepii qualcosa di appuntito ferirmi. Alzai la mano e notai un coltellino svizzero che mi era appena caduto dalla tasca del giubbotto, non mi ricordavo minimamente della sua esistenza.
Ringraziai Mavis in tutte le lingue che conoscevo e afferrando la piccola arma scelsi la lama che mi parve più offensiva e mi tirai su.
Natsu notò ciò che avevo fra le mani e sembrò animarsi di nuova speranza. Il lupo sembrò essere interessato ancora a me, perciò lanciai il coltellino a Natsu, il quale riuscì a prenderlo al volo.
« Io cerco di mettertelo di spalle, tu saltagli in groppa e colpiscilo! » gridai.
Il ragazzo annuì e si alzò, facendo una smorfia quando dovette usare i muscoli degli addominali per alzarsi. La ferita sembrava perdere sempre più sangue.
Mi chinai e afferrai una pietra piuttosto grande, la sollevai e la lanciai contro la bestia. Riuscii a colpirlo su un fianco, immediatamente i suoi occhi misero a fuoco la mia figura e mi corse in contro. Mi voltai e arrancando corsi verso il bastone che Natsu aveva abbandonato prima. Lo raccolsi e immergendolo tra le fiamme dello scudo, mi voltai appena in tempo per colpire nuovamente il muso del lupo. Emisi un urlo gutturale e lo colpii ancora, cercando di rimediare il tempo necessario che servisse al rosato.
Intravidi la sua figura dietro il grosso animale e sospirai fiduciosa, ma nell’avvicinarsi il ragazzo cadde a terra a causa delle ferite.
Aveva perso troppo sangue.
Vidi il suo corpo accasciarsi, stava per perdere conoscenza, ma continuava a lottare per rimanere sveglio e cercare di proteggermi.
Lui me lo aveva promesso, quel giorno in cui le nostre labbra si erano sfiorate la prima volta.
Questa volta però, lo avrei protetto io.
Con la coda dell’occhio, vidi la testa di Natsu cedere e la sua guancia aderire al terreno erboso.
Mi voltai agitata verso la bestia che mi stava davanti. Entrare nel panico fu invitabile, non sapevo più cosa fare, avevo esaurito idee e colpi di fortuna. Il coltellino era rimasto a Natsu e lui sembrava aver perso conoscenza.
Il basso ringhio che emise, mi trascinò violentemente alla realtà del momento e chiusi gli occhi, posizionando orizzontalmente il grosso bastone.
Sentii le unghie della sua zampa lacerarmi la pelle del fianco e la forza che incanalò nel colpo, fu tale che mi fece cadere a terra, esattamente sul confine dello scudo caldo.
Urlai per il dolore e ritrassi velocemente il braccio che era entrato a contatto col fuoco. Gli lanciai un’occhiata: la manica del giubbotto si era completamente sciolta e la bruciatura rossastra sul mio arto era piuttosto estesa.
La vista cominciò ad annebbiarsi e le ultime forze a sfumare.
Assottigliai gli occhi, ormai facevo veramente fatica ad identificare le figure. La grossa macchia, che doveva essere l’animale, si avvicinava sempre di più e io non mi mossi. Sentivo ogni muscolo bruciare sotto lo sforzo a cui li avevo sottoposti.
“Mi arrendo.”
Dalle mie labbra sfuggì un sospiro, forse l’ultimo, chissà.
Fu in quel momento che un urlo gutturale rientrò nel mio campo uditivo. Mi sembrò di distinguere una macchiolina rosa su quella nera. Fu tutto così veloce, che feci fatica a capire cosa stesse succedendo.
Riuscii a distinguere vagamente lo sbrilluccichio spettrale del coltellino svizzero che riflesse il pallore della luna, subito dopo i lamenti profondi del lupo.
Il tonfo del corpo dell’animale che cadde a terra.
Infine vidi il cielo, inizialmente solo macchiato dagli astri, ora sporcato da alcuni luci artificiali. Il rumore delle eliche degli elicotteri. I latrati insistenti dei cani da caccia. Le voci amplificate dai megafoni.
Voltai appena il capo e vidi la macchiolina rosa cadere pesantemente su quella nera, esausta. Usai le mie ultime forze rimaste per strisciargli più vicino, ma non mi mossi più di tanto, perché le palpebre scivolarono pesanti sugli occhi, come dei sipari, oscurando totalmente la scena che la luce della luna aveva illuminato debolmente sul palco.











 
Yumeha's Corner
Ed ecco il mio regalo di Natale per voi! Avrei tanto voluto far coincidere il capitolo di Natale col Natale ma vabbe', arriverà più avanti. D'altronde quando ti caricano di cose da studiare cercare di dedicare il tuo tempo per fare altro risulta quasi impossibile.
Cosa ve ne pare della pt 2? La pt 1 era più generale e comica, questa un po' incasinata con una leggera vena d'azione.
Spero che vi sia piaciuto il capitolo, mi sono impegnata moltissimo per riuscire a farlo uscire così. Fatemi sapere. :3
Bona, spero che le vostre vacanze stiano andando bene e visto che non avrò altre occasioni, vi auguro buon 2016. 
Un bacione. 

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Capitolo 12
*** Cap 11: Forti emozioni, scrigni profanati e scommesse pericolose ***


Forti emozioni, scrigni profanati e scommesse pericolose

Cap 11~

A chi piacciono gli ospedali? A nessuno, ti fanno passare le pene dell’Inferno e oltretutto ti fanno osservare gente che come te soffre allo stesso modo. E se ci finisci senza sapere perché? Brutta roba. Volete sapere cos’altro è brutto? Quelle giornate talmente storte che cominciano non appena scendi dal letto, inciampi e cadi per terra come un sacco di patate accartocciato sul pavimento. Vorresti uccidere tutti, ma non puoi. Davvero frustrante, non c’è che dire. E se un omicidio questa volta lo commettessi sul serio? Dite che sarebbe tanto grave?
 
***
 
Soffitto bianco.
Muri bianchi.
Lenzuola bianche.
Quell’unico colore colpì le mie iridi, percepii il dolore da sotto le palpebre persino quando li richiusi. Impiegai un paio di minuti prima di riuscire a guardarmi in giro, senza problemi.
Arricciai il naso a causa della puzza di antisettici che aleggiava nell’aria.
Realizzai di essere in uno ospedale e feci una smorfia. Quando mi tirai su, dalle mie labbra scappò un gemito di dolore. Abbassai lo sguardo e guardai al di sotto della vestaglia canuta con cui ero stata vestita: indossavo una spessa garza che mi fasciava da un fianco all’altro. Quello destro doleva ancora tantissimo. Così anche il braccio sinistro era stato fasciato, ma al di sotto non intravedevo alcuna macchia. A fianco a me, su un tavolino, era stata lasciata una bacinella d’acqua intrisa di un liquido rossastro che vorticava all’interno, con un movimento a spirale. Sempre lì vicino le vecchie garze con cui probabilmente mi avevano medicata, totalmente inzuppate di sangue.
Altro rosso catturò la mia attenzione, meno intenso però, non era pari a quello del liquido viscoso. Facendo attenzione e spostando delicatamente le lenzuola dal mio corpo, adagiai le punte dei piedi nudi sul pavimento gelido. Mi mossi barcollante, il ginocchio sinistro mi faceva male.
Ero ridotta ad uno straccio.
E non mi ricordavo nemmeno perché.
Come una falena attratta dalla luce mi avvicinai a quella macchia rossastra che faceva un terribile contrasto con tutto quel bianco che mi circondava. Allungai una mano verso il mazzo di rose che era stato appoggiato su una poltrona e lo esaminai, incuriosita. All’interno vi scorsi un bigliettino, feci fatica a mettere a fuoco e a leggere, non avevo né le lenti né gli occhiali.
Adagiai il foglietto sul tavolino, poi appoggiai i polpastrelli accanto agli angoli degli occhi e tirai la pelle, stendendola e assottigliando la forma. Alcune lettere cominciarono a mettersi al proprio posto, seppur sfocate.
“Dio, ma sono una talpa…”
 
Mi dispiace molto per ciò che è successo, spero che le tue ferite possano guarire velocemente. Quelle del corpo e dell’anima. Perché sì, so di averti ferita, nel profondo. Ma sai Lucy, a volte la possessione oscura la mente…
 
Corrugai la fronte a quelle parole, non capendo. Improvvisamente mi illuminai: Natsu mi aveva finalmente chiesto scusa come si deve per avermi provocato così tanti guai!
Fu in quel momento, che il ricordo di lui mi colpì con forza, accompagnato da un terribile senso d’ansia.
Com’era possibile che non riuscissi a ricordare nulla?! Cos’era successo?
Sentii il battito cardiaco aumentare, riuscire a gestire l’agitazione era sempre stato un grosso problema per me. Senza perdere ulteriore tempo, abbandonai il regalo inaspettato sulla poltrona che stava accanto al lettino e sgattaiolai fuori dalla stanza.
Non appena uscii e mi richiusi la porta alle spalle, mi schiacciai contro la superficie dura, per evitare di essere investita da un medico che marciava a passo veloce, tra le mani teneva stretti dei campioncini di sangue e un paio di siringhe.
La testa cominciò a girarmi, percependo l’instabilità improvvisa delle gambe, diventate due gelatine. Ero anche agofobica, lo ammetto…
Mi strinsi tra le braccia, facendo una smorfia quando sfiorai il braccio sinistro, ustionato. Ero consapevole del fatto che mi sarebbero rimaste delle cicatrici, ma mi sarebbe piaciuto perlomeno rammentare il perché. In compenso avevo fatto un sogno strano, mi ricordavo vagamente qualche scena, ma era tutto offuscato e confuso. Ogni tanto mi sembrava ancora di sentire qualche grido rimbombarmi nelle orecchie, ma era chiaramente una sensazione dovuta ai ricordi di quella specie di visione onirica che aveva prodotto il mio malato cervello.
Cercai di confondermi tra tutta quella gente che correva frettolosa, non dovevo farmi notare o i dottori mi avrebbero trascinata nuovamente nella mia stanza.
Ora quello che dovevo fare era cercare di capire dove fosse quella di Natsu.
Chiedere a uno dei medici era del tutto fuori questione, sarebbe bastata un’occhiata più attenta e mi avrebbero rispedita indietro.
Fu in quel momento che il mio sguardo venne attratto dalla figura di un medico donna, giovanissima. Era del tutto nel panico, si vedeva come cercava con gli occhi spalancati tra delle carte e nel frattempo si guardava in giro, frenetica e sempre più agitata. Era sicuramente nuova ed inesperta, era perfetta.
«Mi scusi?» sussurrai.
La ragazza sobbalzò e per poco non le scappò un urlo. «Sì?» la voce le uscì stridula.
«Sto cercando la stanza di un ragazzo di nome Natsu Dragneel, potrebbe indicarmela?»
Lei inorridì, vidi il sangue defluirle dal viso, rendendolo quasi cianotico. Gli occhioni azzurri erano spalancati. «Sì, ehm… Ecco…»
Inarcai un sopracciglio. «Ci sono dei problemi?»
«N-no!» scosse la testa, forse troppo velocemente. «Chiedo a un mio collega.»
«Aspetti!» la afferrai per un braccio. Ora quella ad inorridire ero io. «Non ce n’è bisogno, voglio sapere solo dov’è la stanza. A giudicare degli schedari che ha in mano dovrebbe occuparsi lei dello smistamento, a quanto vedo.»
Notai la sua retina velarsi di lacrime e mi chiesi che problemi avesse. «E-ecco, io… Ho perso la scheda del signor Dragneel.» disse tutto d’un fiato.
“Ah.”
«E ora?» domandai, guardandomi in giro per assicurarmi di non essere vista da nessuno.
La ragazza abbassò lo sguardo colpevole, fu allora che le sue sopracciglia chiare si aggrottarono, sottoponendomi a un più adeguato controllo. «Tu sei una paziente! Cosa ci fai fuori? Devi stare a riposo! Ora chiamo immediatamente un mio superiore!»
Il mio cuore perse un battito, così agii d’impulso. «Fallo e io dirò che hai perso dei documenti importanti per la sicurezza di un paziente.»
Dalle sue labbra scappò un gridolino, per poi tapparmi immediatamente la bocca e trascinarmi all’interno di una camera vuota. Prima di chiudere la porta si guardò in giro, per assicurarsi che nessuno l’avesse vista.
Inarcai un sopracciglio. «Cos’è, hai bisogno di un posto appartato per farmi fuori ed evitare che apra bocca?»
Lei sgranò gli occhioni. «Per Mavis, per chi mi hai presa?»
«Io stavo solo scherzando.» sbuffai. «Allora, che si fa?»
Scosse la testa. «Non lo so, posso provare ad entrare in ogni stanza.»
La guardai scettica. «Non penso sia una buona idea, disturberesti e capirebbero che hai perso i tuoi fogli.»
«Maledizione! Ma quando mi deciderò a mettere la testa a posto?» brontolò, accasciandosi su una sedia e prendendosi la testa fra le mani.
Sospirai, sedendomi sul lettino e fissando con astio un punto non ben definito del pavimento. «Non hai delle copie? Magari dei file nel computer.»
La ragazza scattò in piedi con una velocità tale da far ribaltare la sedia all’indietro, facendomi oltretutto spaventare. «Ma certo! Sul mio pc ho riordinato ogni scheda!» Corse velocissima verso la porta, ma poco prima di abbassare la maniglia, si voltò e mi sorrise. «Grazie, ehm… come-»
«Lucy.» la anticipai.
Il suo sorriso si fece ancora più ampio. «Grazie Lucy, mi hai salvata.»
Mi strinsi nelle spalle. «Guarda che voglio sapere la stanza, ti aspetto qui. Il tuo nome è invece?»
«Sì, faccio presto. Mi chiamo Mirajane.»
Annuii distratta e osservai accigliata la sua figura algida sparire dalla mia visuale. Ero terribilmente nervosa, iniziai a torturarmi le mani sentendole parecchio sudate. Cercai di sforzarmi e provare a ricordare qualcosa, qualsiasi cosa. Ma nulla, sembrava che la mia testa avesse subito un improvviso blackout.
Il senso di agitazione era tale da farmi sentire male, sentivo il battito cardiaco nelle orecchie e il respiro era diventato meno regolare. Strinsi con le mani le lenzuola fresche e serrai gli occhi con forza. Le tempie sembravano pulsare, mi stava per scoppiare la testa.
Mi voltai e notai sollevata una finestra, mi avvicinai e la spalancai. Il vento freddo di novembre mi investì con forza, facendomi rabbrividire. Però sembrò regalarmi appena un po’ di sollievo.
Sospirai pesantemente e adagiai le mani sul davanzale di pietra gelida. Fu in quel momento che però mi accorsi di alcune voci appena fuori dalla stanza, quando mi voltai feci appena in tempo a vedere la maniglia abbassarsi: non persi ulteriore tempo e con uno scatto che mi causò una terribile fitta al fianco, scattai dietro la porta e mi appiattii contro il muro. Abbassai lo sguardo e vidi una sottile linea rossastra macchiare il candore della fascia. Alzai il viso, serrando gli occhi e mordendomi il labbro inferiore per il dolore.
«È sicuramente stato molto fortunato, niente da dire.» borbottò una voce maschile che non riconobbi.
«Ma ora sta bene?»
“Mamma?”
«Possiamo vederlo?»
“E questo è quell’idiota di Dragneel Sr, ci scommetto.”
«Preferirei che aspettaste ancora un po’, non si è ancora svegliato il ragazzo, vorrei che riposasse e che non venisse disturbato.»
Stava parlando di Natsu, ne ero certa.
«Capisco, aspetteremo dunque. Potrebbe ripeterci la stanza per cortesia?»
Le tre figure si allontanarono finalmente dalla porta, posizionandosi al centro della stanza. Rischiai di essere vista da Igneel per un soffio, ma riuscii a spostarmi senza farmi vedere e senza fare rumore.
Vidi Layla avvicinarsi alla stessa finestra a cui mi ero avvicinata io poco prima e appoggiare i palmi delle mani sul marmo. Eravamo così simili, ora che la vedevo da questa prospettiva. Sembrava la mia copia più vecchia – non che mia mamma fosse vecchia, dato che aveva solo vent’anni in più di me. Sul suo viso intravidi tutta la stanchezza, la preoccupazione, l’ansia e lo spavento che quella situazione assurda le aveva procurato.
Il dottore annuì e fornì il numero della stanza e le indicazioni per raggiungerla. Il mio cervello immediatamente le incise a fuoco nella memoria. Dopo aver consolato mia madre e il mio patrigno uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Ma loro rimasero voltati verso il cielo grigiastro minacciante pioggia.
Ringraziai non so quale divinità e pregai perché rimanessero girati e attesi, timorosa di muovere anche un solo passo.
«Igneel… » lo chiamò mia madre con voce strozzata. «Sono sollevata dal fatto che Natsu ora sia fuori pericolo. Ma ho paura che la mia bambina quando si sveglierà possa aver dimenticato anche me.»
Alzai lo sguardo, puntandolo contro la sua schiena, più attenta.
Il mio patrigno allungò un braccio nella sua direzione e la strinse a sé, baciandola sulla testa. «Lucy è la ragazza più tosta che io abbia mai conosciuto, sono sicuro che non basta così poco per metterla fuori gioco.» Sembrava stesse sorridendo.
E anche le mie labbra si arricciarono a quel commento.
«Ma hai sentito i medici! Ha avuto un trauma cranico, dannazione!» sbottò, una lacrima scivolò veloce lungo la sua guancia.
Deglutii a vuoto, percepivo i palmi delle mani sudati ma i polpastrelli totalmente ghiacciati. Volevo avvicinarmi, appoggiarle delicatamente una mano sulla spalla e dirle che stavo bene, ma non riuscivo a muovermi.
«Sì, ma lieve. Hanno detto che dopo il primo stadio di incoscienza, avrebbe rimosso ciò che le è successo. L’unica cosa danneggiata è stata parte della memoria, ma sta bene, questo è l’importante. Layla sai benissimo che sarebbe potuta andare molto peggio di così.»
Gli argini si ruppero: mia madre scoppiò a piangere e abbracciò di slancio il suo nuovo marito.
Percepii un fastidiosissimo groppo incastrato in gola e così sentii il bisogno di levare le tende da lì. Mossi delicatamente i piedi, il più silenziosamente possibile e aprii celermente la porta. Prima che potessero alzare lo sguardo io ero già sgusciata fuori dalla stanza.
Iniziai a correre, velocemente, senza preoccuparmi di rischiare di investire qualcuno. Svoltai l’angolo bruscamente, tanto che dovetti aggrapparmi all’angolo del muro per non scivolare in avanti e ripresi a correre. Percepii un altro lembo di pelle strapparsi, macchiando ulteriormente la garza e questa volta iniziare a lasciare qualche macchiolina persino sulla veste.
Il mio sguardo si posò su un numero e immediatamente la mia corsa si arrestò. Aprii la porta senza preoccuparmi di provare prima ad ascoltare all’interno per vedere se ci fosse qualcuno, feci irruenza e ciò che mi si parò davanti mi fece vacillare.
Il rosa era l’unico colore caldo che sembrava donare un po’ di calore in quella camera. Mi avvicinai e allungai una mano verso di lui, ma subito dopo la ritrassi. Il colore della pelle sembrava essere più chiaro, il colorito abbronzato che avevo sempre invidiato di lui sembrava sparito. Sui suoi zigomi erano presenti dei graffi, i quali ombreggiati delle ciglia degli occhi chiusi. Le labbra erano leggermente schiuse, dalle quali fuoriusciva un leggero respiro.
Raccolsi tutta la mia forza e spostai le lenzuola: era senza maglietta, ma anche lui, come me, era stato fasciato da un fianco all’altro. La differenza stava nel punto colpito, la sua ferita era sull’addome.
Sentii gli occhi pizzicare, ma nessuna lacrima sfuggì al mio autocontrollo. Le mie dita sfiorarono le sue, delineando il suo arto coi polpastrelli. Raggiunto il palmo mi bloccai, intrecciando la mia mano alla sua. Giurai di aver visto le sue ciglia tremare, ma forse era stata solo un’impressione o un gioco di ombre.
Senza sciogliere la stretta mi sedetti sulla poltroncina che era posta accanto al lettino. Con la mano libera gli scostai i capelli ribelli che gli erano finiti davanti al viso, rimanendo a studiare assorta il suo volto. Accarezzai i suoi lineamenti con una dolcezza tale che fu in grado di stupire perfino me stessa.
Lanciai un’ultima occhiata alle sue ferite e il bisogno di conoscere la verità si fece più impellente.
«Ehi, bell’addormentata, hai intenzione di svegliarti o ti devo baciare?» feci un sorriso amaro, continuando a fissare imperterrita la sua fasciatura.
«Se avessi avuto la certezza che l’avresti fatto sul serio, avrei fatto finta di dormire ancora un po’.»
Sobbalzai, voltandomi di scatto. «Natsu?»
«Ebbene sì, lo ammetto.» ghignò.
Immediatamente mi oscurai. «Cos’è successo? Io… n-non ricordo.»
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. «In che senso scusa?»
«Ho origliato la conversazione tra mamma e Igneel, ho avuto un leggero trauma cranico. Il mio cervello ho rimosso tutto quello che è successo.» abbassai lo sguardo.
Lui strabuzzò gli occhi. Lo vidi dare un colpo di reni e alzarsi di botto, per avvicinarsi maggiormente a me. Sul suo viso passò velocissima una smorfia di dolore, pensai di essermela addirittura immaginata, ma capii di averci visto giusto quando lo beccai mettersi una mano sulla ferita, improvvisamente riaperta.
«Sembra che entrambi non siamo capaci di rimanere fermi e lasciare che le ferite guariscano.»
Sembrò soppesare le mie parole e poi lanciò un’occhiata più attenta alla mia figura, osservando la macchia rossastra stendersi, esattamente come la sua. «Ma Lucy! Devi stare a riposo! Insomma hai perso anche la memoria, cazzo! Chissà cos’altro hai dimenticato!»
Lo osservai andare nel panico, deliziata. Adoravo vederlo preoccupato per me.
«Magari non ho dimenticato nulla, anzi ne sono più che certa.» mi strinsi nelle spalle, avvicinandomi a lui sempre di più.
Mi girava la testa, anche più di prima. E in più continuavo a perdere sangue.
La mano che lui aveva appoggiato poco prima sul suo addome, passò sulla mia spalla. Sentii le sue dita scivolare su tutta la lunghezza del braccio, con estrema lentezza, fino alla mia mano. I brividi che mi colsero colpirono a randellate il mio ultimo neurone superstite, non facendomi più capire nulla.
Adagiai il mio arto sul suo petto, disegnando piccoli cerchietti sulla sua pelle. Questa volta notai una sottile ma lunga cicatrice sul suo collo, e immediatamente le mie dita scattarono su quel punto, iniziando a delinearla con attenta precisione.
«Ma senti un po’, ritornando al discorso di prima, se adesso mi sdraio e faccio finta di cadere in un lungo e profondo sonno, mi risvegli con un altrettanto lungo bacio?» il sorrisetto storto e dannatamente malizioso che accompagnò le sue parole, mi spinsero ad annuire, totalmente stregata.
«Anche se, la donna qua sarei io.» ridacchiai.
Natsu mi afferrò l’avambraccio destro, quello privo di fasciature, e mi strattonò verso di sé, costringendomi ad appoggiare il petto su parte del suo. «Possiamo sempre rimediare.»
Aggrottai le sopracciglia. «Te mi confondi.»
«In che senso?» borbottò.
«Prima mi ignori, poi fai così. Deciditi!» sbuffai.
Il ragazzo si allontanò da me, raddrizzando la schiena e appoggiandosi delicatamente contro la spalliera del lettino, senza fare movimenti bruschi. Abbassò lo sguardo, puntandolo sulle sue mani.
«È complicato.» sospirò.
Gli lanciai un’occhiata torva. «Spiegamelo, non sono stupida.»
Lui alzò gli occhi al cielo. «Non intendevo dire quello. Diamine, con voi donne bisogna sempre specificare!»
Un sorrisetto divertito increspò le mie labbra. «Forza, illuminami.»
«Non posso.» mormorò, sembrava abbattuto.
Inarcai un sopracciglio. «E poi quelle col ciclo siamo noi, eh! Siete talmente lunatici che è quasi impossibile starvi dietro! Te poi sei un caso allucinante.»
Mi alzai e feci per dirigermi verso la porta.
«Lu, aspetta.» brontolò.
«Uhm?»
«Un giorno te ne parlerò, promesso. Magari quando tutto questo casino sarà finito.»
Lo fissai, a lungo. «Ci conto.»
Lui annuì.
Appoggiai una mano sulla maniglia e l’abbassai con forza. «Ci vediamo a casa, lunatico.»
«Ciao piccola
“Non può avermi chiamata sul serio in quel modo…”
A quel nomignolo sbarrai gli occhi e per non far trapelare il mio turbamento interiore, scappai via dalla stanza, lasciandomi alle spalle quella macchia rosa.
 
***
 
Fortunatamente non passammo molto tempo in ospedale, fummo rispediti dopo un sette, otto giorni a casa. Volevano solo assicurarsi che fosse tutto a posto, per questo furono allungati un po’ i tempi.
Quando tornai a casa, dovetti rimettermi alla pari con tutto lo studio arretrato, il quale era ovviamente troppo. La materia che mi causò più problemi era, ovviamente, filosofia. Che disciplina inutile! La odiavo con tutta me stessa, ma avevo bisogno di riuscire a prendere la sufficienza almeno questa volta. Novembre era ormai quasi finito e gli ultimi giorni di questo mese avevano tutta l’intenzione di passare velocissimi e catapultarci verso l’inizio di dicembre.
Gettai il libro a terra con stizza e mandai al diavolo Cartesio e Spinoza con tutte le loro stronzate. Mi alzai dalla scrivania e mi gettai sul letto pesantemente, godendomi la sensazione di morbidezza. Strinsi con forza il cuscino e mi soffermai a pensare su quel poco che avevo capito: i miei sogni stavano cercando di farmi ricordare gli avvenimenti che la mia memoria aveva rimosso. Era come se un remotissimo angolo del mio cervello non avesse mai cancellato alcuna scena e cercava di ripropormele ogni notte. Ma al mio risveglio non riuscivo a ricordarmi molto, se non qualche suono o qualche frase.
Quando alzai lo sguardo e notai il lungo specchio che percorreva un lato del muro, mi alzai. Mi posizionai davanti ad esso e osservai la mia figura, a lungo, poi mi decisi: afferrai i lembi della maglietta e la sollevai. Osservai con attenzione le cicatrici che deturpavano il mio corpo giovane. Tre grosse linee rosate mi segnavano l’epidermide del fianco destro, mentre l’intero avambraccio sinistro presentava una bruciatura, rendendo la pelle più rosea.
Mi demoralizzai a vedere ciò che la mia sconsideratezza aveva causato. Non me lo ricordavo, ma ero certa che fosse tutta colpa mia.
Avevo rovinato il mio corpo.
Appoggiai la fronte contro lo specchio freddo e sospirai, sconsolata. Il labbro inferiore tremò, volevo piangere, ma che senso aveva?
“Mavis, ma quanto mi sono rammollita?!”
Abbassai la maglietta con stizza, quel giorno mi ero svegliata decisamente male, sentivo scorrermi l’acido al posto del sangue. Ero nervosa, arrabbiata, stanca. Insomma, ero preda delle classiche giornate no; ti alzi e vuoi rompere la tazza in testa a qualcuno, vai a scuola e vuoi colpire col banco l’oca di turno – riferimenti a Lisanna puramente casuali –, torni a casa e vuoi prendere a calci nel deretano il tuo nuovo fratellastro – che tanto nuovo ormai non è, visto che sono passati quasi quattro mesi –, ti metti a studiare la materia che odi più di tutte e l’unica cosa che vorresti fare è tornare indietro nel tempo e mettere le zampe intorno al collo del filosofo stronzo di turno.
In poche parole quel giorno ero sicuramente in grado di uccidere qualcuno.
Sopra la maglietta indossai un grosso felpone sgualcito, talmente grande che sarebbe potuta entrare tranquillamente un’altra me. Lanciai un’occhiata alla lunga coda dorata totalmente in disordine, ma non mi preoccupai di riordinarla. Nemmeno di togliere la grossa montatura nera squadrata adagiata sul piccolo naso. Il trucco era come sempre completamente assente, eccetto per un velo di mascara.
Spinsi col polpastrello del medio gli occhiali, per sistemarli ed uscii dalla stanza per andare al bagno.
Mi accorsi di una figura che mi passò davanti, così mi fermai per evitare di andarle addosso. Alzai lo sguardo, puntandolo in due paia di occhi verdi.
«Caspita, va bene che mancano pochi giorni ad Halloween, ma non mi sembra il caso di anticipare i tempi.»
Ed ecco il ragazzo mestruato.
Gli lanciai un’occhiataccia. «Dragneel, ma come siamo simpatici oggi.» sibilai.
«Io sono sempre simpatico.» gongolò.
«Certo, come un manico di scopa ficcato su per il culo.» brontolai.
Lui fischiò, sarcastico. «Vedo che oggi il camionista ucraino che è in te è più presente che mai.»
«E speriamo anche che t’investa.» grugnii.
Natsu spalancò gli occhi, fingendo un’espressione oltraggiata. «Ma ti mancherei.»
Inarcai un sopracciglio. «Solo perché oggi mi sento particolarmente magnanima, inviterò il tuo fantasma alla festa che organizzerò sopra la tua lapide.»
Lui si mise una mano sul cuore, anche ‘stavolta falsamente commosso. Cominciavo ad odiare il suo teatrino. «Non credo di meritare cotanta bontà.»
«Bene, allora levati o sul serio non scappi alla furia cieca del manico di scopa, sai lui ha un debole per i posti oscuri.»
Il rosato alzò le mani in segno di resa e se ne andò ridacchiando, infilandosi poi nel bagno. Mi ci vollero un paio di secondi per capire dove fosse entrato.
Mi fiondai alla porta, sbattendoci con forza le nocche. «Natsu!» gridai.
Lo sentii sghignazzare. «Ma come, prima non ero solo Dragneel?»
«Dragneel,» iniziai masticando ogni singola lettera di quel cognome. « apri questa porta.»
«Ma io sono in doccia, non pensavo fossi così intraprendente, Heartphilia.»
“Madonna, adesso gli spacco la testa.”
«Non è vero! Io non sento l’acqua!» sbottai.
In risposta ebbi lo scrosciare dell’acqua della doccia. «Ora sì.»
Non lo potevo vedere ma ero certa che su quelle labbra fosse presente un dannatissimo ghigno.
«Be’ non m’interessa! Fammi entrare!» sbattei i piedi, come una bambina stupida.
«In doccia? Vogliamo riprendere da dove abbiamo interrotto l’altra volta?»
Sentii la faccia andarmi a fuoco.
«Imbecille.» sussurrai.
«Ti ho sentita.» mi gridò dietro lui, ridendo.
Gli feci una linguaccia, sapendo di non poter esser vista. «Dragneel, sei un maniaco totalmente privo di galanteria!» gli urlai dietro, sbattendo un pugno sulla porta.
Solo che invece di scontrare le nocche contro la superficie solida, le sbattei contro il petto leggermente bagnato di Natsu.
Alzai lo sguardo.
“Eh no.”
Tossicchiai a disagio, facendo un passo indietro.
Lui mi sorrise sornione. «Be’? Ora te ne vai? Hai insistito tanto per avere questo bagno.»
«Affogati dentro la doccia.» sibilai voltandomi e correndo verso il piano di sotto, verso il secondo bagno.
“Ma guarda un po’! Uscire solo con uno striminzito asciugamano attorno ai fianchi! Gioca sporco!”
Grugnii infastidita, entrando nella stanza senza che qualcun altro mi creasse problemi questa volta.
«Che presuntuoso!» sbottai, sbattendo una mano sul lavandino in preda al nervoso.
Mi sembrava di sentire delle scariche elettriche intorno al corpo, avevo bisogno di sfogarmi.
Lanciai un’occhiata al cellulare e scorsi i messaggi sul gruppo in cui ero insieme alle due mie migliori amiche.
Levy – Cosa vogliamo fare ad Halloween?
Lluvia – Stuprare gente ubriaca
Levy – Peccato che tu e Gray non condividiate la stessa compagnia
Lluvia – Ma Lucy è molto amica col fratello minore di Gray, Lyon…
Lucy – Dove vuoi arrivare?
Lluvia – Okay statemi a sentire ora
Levy – Oh Mavis, ho paura
Lucy – Non riesco a seguire bene i discorsi quando sono seduta sul mio trono
Levy – Avresti anche potuto risparmiarcelo…
Lucy – Ma come, lo sai che ti tengo aggiornata su tutto ♥
Lluvia – Allora, io quest’anno voglio ricordarmelo Halloween, voglio divertirmi e voglio fare casini. Lucy, tu conosci bene Lyon, in classe state quasi sempre insieme. E oltretutto vivi con Natsu, il migliore amico di Gray. Sei proprio in mezzo alle persone che conosce meglio. L’idea è: invitiamo tanta gente, tra cui loro e divertiamoci.
Levy – Non accetterà mai
Lucy – Accetto
Levy – Che cosa?!
Lluvia – Fantastico! Dove organizziamo?
Lucy – Mio padre è come al solito fuori per lavoro nel periodo di Halloween, facciamo villa Heartphilia?
Lluvia – Io. Ti. Amo.
Levy – Finirà molto male…
Sì, ne ero consapevole anche io. Sarebbe stato un disastro e qualcuno si sarebbe fatto male, come in ogni party a villa Heartphilia che si rispetti. Solitamente il festaiolo tra i figli di Jude era Sting, le sue feste erano le migliori e finiva per invitare ogni volta tutta la scuola. Io avevo solo fatto qualche pigiama party con le mie amiche più strette, nulla di così trasgressivo.
Questa volta la festa sarebbe stata organizzata da me e tutti sarebbero stati invitati.
Bloccai il telefono con un sorrisetto compiaciuto.
 
Uscita dal bagno mi diressi in cucina con l’intenzione di saccheggiarla. Quando però cominciai ad avvicinarmi alla meta il mio udito captò una voce che riconobbi subito. Mi appiattii contro il muro e rimasi in ascolto.
«Quindi ha organizzato un party del genere per Halloween? È proprio da lei.» sospirò Natsu, ma dal suono capii che stesse sorridendo.
«Hai intenzione di andarci?» domandò Gray.
«Non lo so.» Mi sporsi appena e lo vidi passarsi una mano tra i capelli, in un gesto secco e rapido.
Il moro si strinse nelle spalle. «Decidi in fretta, Halloween sta arrivando, sai che odio le decisioni prese all’ultimo minuto.»
Natsu sbuffò spazientito. «Sì, va bene.»
Gray inarcò un sopracciglio. «Sì va bene, cosa? Sì andiamo o sì deciderai in fretta?»
«Deciderò in fretta, d’altronde stiamo parlando di una delle feste di Lisanna, sai benissimo che ci sarà un casino infernale, tra l’altro con brutti elementi.»
Strinsi i pugni, solo il nome di quella mi faceva ribollire il sangue nelle vene, non gliel’avevo ancora fatta pagare per la pesante frecciatina che mi aveva tirato poco prima che mi saltasse in testa l’idea di metterla sotto in retromarcia con la macchina e presto avrei avuto la mia vendetta.
Entrai in cucina con nonchalance, ostentando una sicurezza che in realtà non possedevo. Mi mossi ancheggiando e canticchiando una melodia che mi era rimasta in testa da un po’. Mi sentii gli sguardi dei ragazzi addosso ma non mi voltai. Mi allungai, alzandomi in punta di piedi per afferrare dalla mensolina in alto un barattolo di Nutella. Successivamente aprii la cassettiera, afferrai un cucchiaio e la richiusi con un colpo di fianchi.
Mi girai e feci un sorriso a Gray, accompagnato da un occhiolino. Il tutto senza degnare Natsu di un solo sguardo.
Me ne andai trotterellando, mantenendo stretto fra le mani il mio piccolo trofeo.
Ma appena sviai l’angolo mi appiattii nuovamente contro il muro, raddrizzando i padiglioni auricolari.
«Ancora vi ignorate?» ridacchiò Gray.
Natsu sbuffò. «Non so più cosa fare dopo quello che è successo.»
Inarcai un sopracciglio, a cosa si riferiva?
Sentii il moro sospirare e indugiare un attimo. «Forse dovresti sbattertene e fare ciò che vuoi realmente.»
«Ma certo! Tanto ci lascio la pelle io!» sbottò.
Aggrottai la fronte, sempre più confusa. E diciamocelo, sempre più distratta, cominciavo a sentire la voce della Nutella perfino nella testa. Il che è terribilmente inquietante, gli mancava solo il bigliettino con scritto “eat me” alla Alice nel paese delle meraviglie e poi avevamo concluso il quadretto.
«Fa’ un po’ quello che vuoi, Natsu.» borbottò l’amico.
Mi strinsi nelle spalle, avevo origliato abbastanza, anche se la discussione fu totalmente incomprensibile. E se ci fosse sotto qualcosa di grosso? Mi fermai e mi voltai verso i due ragazzi, percependo un senso di angoscia attanagliarmi lo stomaco.
Sbuffai e corsi su per le scale, rientrando in camera mia. Appoggiai il barattolo e il cucchiaio sulla scrivania, successivamente afferrai il cellulare e composi un numero.
– Pronto?
«Ti devo parlare, vieni.»
– Diamo ordini oggi?
La sentii ridacchiare. «Muoviti.»
Spensi la chiamata e gettai il telefono sul letto. Mi ci sedetti anche io, appoggiando i gomiti sulle ginocchia divaricate, mentre le mani mi sostenevano la testa.
C’era qualcosa che mi stonava in tutta questa faccenda, avevo una brutta sensazione, bruttissima.
Non passò molto prima che il campanello suonasse dopo la telefonata. Mi fiondai giù dalle scale, velocissima. Natsu e Gray si erano spostati in salotto e quando mi videro arrivare come un missile mi guardarono perplessi. Una testolina dai riccioluti capelli turchini entrò nella mia visuale.
«Spero che la motivazione sia buona, dato che mi hai fatto interrompere la mia maratona di film.»
La osservai meglio. «Hai qualcosa di bianco all’angolo della bocca.»
Levy arrossì e i due ragazzi si sbracciarono dal divano per scorgere meglio. «Sì, sai che mi strafogo di gelato alla panna quando sono depressa.» mormorò.
Sospirai sollevata. «Per un attimo ho pensato di averti perduta.»
«In che sens- NO!» sbottò tutto d’un tratto, bordeaux in viso, facendomi scoppiare in una forte risata.
Lei mi colpì con un pugnetto su una spalla, offesa. «Muoviti stupida.»
Annuii e prendendola per un polso la trascinai nella mia camera. Una volta chiusa la porta alle mie spalle tirai un lungo sospiro.
«Bene,» sbattei le mani. «sarà lunga, ti avviso.»
Levy si strinse nelle spalle. «Non ho in programma di morire domani, perciò inizia prima che la mancanza col gelato mi costringa a lasciarti qua come un fico a parlare da sola.»
Alzai gli occhi al cielo. «Non ho gelato, ma ho quella, vado a prendere un secondo cucchiaio?»
«Mavis, tra gelato e Nutella domani mi ritroverò la cellulite pure in faccia. Dai va bene, vai a prenderlo, prima che risolva usando le mani.»
«Sei un animale.» ridacchiai.
Lei mi lanciò un bacio aereo. «Tutta influenza tua, tesoro.»
A passo veloce tornai in cucina e quando passai scorsi Sting e Rogue discutere, probabilmente stavano decidendo cosa fare anche loro per Halloween.
«Sting?» lo chiamai.
Il biondo si girò, avvicinandomi e dandomi un bacio sulla fronte. «Ciao sorellina.»
Lo guardai sospettosa. «Oggi sei di buon umore?»
«Fin troppo.» grugnì Rogue.
«Bene, perché io invece potrei essere in grado di squartare qualcuno con» aprii l cassettiera e afferrai un secondo cucchiaio. «questo.»
«È successo qualcosa?» chiese aggrottando le sopracciglia il moro.
«Sì, i tuoi risvoltini mi urtano il sistema nervoso.» brontolai.
Lui ridacchiò. «Nulla di nuovo, allora.»
Attesi un attimo. «Be’?» incrociai le braccia al petto.
Il ragazzo mi osservò confuso. «Be’ cosa?»
Sbuffai rumorosamente e mi piegai in avanti per abbassagli quei cosi indecenti. Mi sentii in pace con me stessa ora. «Ora sei libero.»
«Guarda che non ero impossessato da nulla.» borbottò.
«Invece sì, dal demone risvoltino.»
«Tu hai dei problemi.» sbuffò.
«Contro i risvoltini? Tantissimi.»
Mi allontanai e corsi per andare in camera, ma prima mi voltai di nuovo e beccai Rogue cercare di risistemarsi i jeans.
«Fermo lì!» gridai.
Il moro sussultò. «Mi hai fatto spaventare, cretina!»
«Dai Lu, lasciagli fare quello che vuole.» sbuffò Natsu dal salone, che ci stava osservando insieme al suo amico.
“Ma quello è ancora lì? Se l’avesse saputo Lluvia sarebbe corsa qui in un attimo.”
«Nessuno ha chiesto la tua opinione, maniaco privo di galanteria.» grugnii.
«Come ti ha chiamato?» chiese stranito Gray.
Il rosato sghignazzò divertito.
«Lucy!» urlò da camera mia Levy.
«Arrivo, arrivo!»
Feci le scale a due a due e aprii la porta di scatto, fiondandomi dentro.
«Alleluia! Pensavo ti avessero rapita gli alieni.» sbuffò.
Le lanciai il cucchiaio, che prese malamente al volo. Ormai il sole era calato e fuori era praticamente buio, così spensi la luce e accesi solo la piccola abatjour che trasmetteva una debole luce aranciata, illuminando appena le nostre figure che erano più distanti. Mi sedetti sul tappeto peloso e feci cenno alla mia amica di sedersi davanti a me, mettendo al centro la Nutella. La stappai e ci infilai con forza il cucchiaio, tirando su tanta crema marroncina. Mi ficcai la posata in bocca e guardai la turchina.
«Tfi fefo dife elle coshe.»
Levy alzò gli occhi al cielo. «Lucy, Dio santo, manda giù e poi parla.»
Deglutii. «Io adesso ti racconterò tutto ciò che è successo in questa casa, non mi interrompere, fammi arrivare fino alla fine.»
La ragazza annuì perplessa, immergendo anche lei il suo cucchiaio nel vasetto.
Schiusi le labbra e tutte le vicende che erano successe da quando era arrivata in questa villetta, vennero riportate alla luce. Volevo parlarle di Natsu, di tutto ciò che avevamo condiviso in questo tempo, tenermi tutto dentro cominciava a risultare pesante. Il mio scrigno dei segreti cominciava ad essere fin troppo pieno, avevo paura di scoppiare al momento sbagliato e con la persona sbagliata. Per cui parlarne con la mia migliore amica non poteva che essere la cosa giusta.
Man mano che le parole fluivano dalle mie corde vocali per poi essere liberate, mi sembrava di percepire un senso di leggerezza. Era come se stessi rigurgitando tutte le mie angosce, i miei dubbi, le mie insicurezze. Era un sensazione piacevole ma allo stesso tempo spiacevole, era come se qualcuno stesse profanando il mio scrigno oscuro, tutto ciò che non volevo venisse scoperto.
Odiavo aprirmi con le persone, ero convinta che tutti fossero armati di una lama che non avrebbero esitato ad usare non appena avessero scoperto qualcosa.
Non volevo fidarmi.
Avevo paura a fidarmi.
Quante persone mi avevano deluso dopo essermi fidata? Tutte.
Che fossero semplicemente quelle sbagliate? Probabile.
Ma avevo motivi per riprendere ad essere come prima? No.
La testa mi stava scoppiando, Levy invece sembrava concentrata, non mi aveva mai guardata negli occhi né tantomeno interrotta, si limitava a mangiare Nutella e ogni tanto rigirava il cucchiaio tra le mani piccole.
Quando finii di raccontare con gli ultimi avvenimenti di questo pomeriggio mi sentii quasi instabile, stordita e vuota. Gran parte del mio scrigno aveva perso contenuto.
Le lanciai un’occhiata da sotto le mie ciglia impiastricciate da quel poco mascara che avevo messo quella mattina e rimasi in attesa.
Passarono alcuni minuti, in cui tra di noi calò un silenzio tombale.
Improvvisamente Levy sbatté il cucchiaio all’interno del vasetto e mi sorrise enigmatica. «Scommettiamo che entro la fine dell’anno tu e Natsu vi mettete insieme?» ghignò.
Inarcai un sopracciglio. «Scommettiamo che entro la fine dell’anno io quello lo ammazzo?»
«Andata.» lei mi sorrise divertita.
«La posta in gioco?» chiesi, guardinga.
«La reputazione.» le sue labbra si curvarono in un sorriso sadico.
La guardai diffidente, ma annuii, tanto avrei vinto io come ogni volta. Anche se questa volta la mia migliore amica sembrava sicura e determinata a riscattare il suo premio finale.
Poi mi venne un dubbio. «Fine anno questo o quello scolastico?»
«Scolastico.» ridacchiò. «Vedremo a giugno chi vincerà.»
 
***
 
Levy, Gray e Rogue erano rimasti a cena, insieme a tutta la famiglia. Mamma e Igneel avevano deciso di uscire a cena fuori invece e fare una passeggiata romantica. Al solo pensiero mi saliva tutto quello che avevo mangiato. Anche se ormai erano già rientrati da un pezzo.
Quella sensazione di nervosismo e acidume che mi si era impossessata del mio corpo non era ancora svanita. Mi sentivo inquieta, forse a causa di ciò che avevo rivelato a Levy.
Mi rigirai nel letto per la decima volta, ormai il lenzuolo mi si era attorcigliato attorno formando una sorta di seconda pelle. Vista da fuori sembravo quasi una mummia imbalsamata. Strinsi la federa del cuscino con forza e osservai la sveglia, segnava l’una e mezza di notte. Ormai tutti dormivano da un pezzo. Nonostante fossi coperta unicamente dal lenzuolo stavo sudando e avevo il respiro accelerato. Strinsi le palpebre e cercai di rilassarmi, ma più mi imponevo di dormire più l’ultima traccia di sonno sembrava scivolare via.
Passò un’altra ora prima che cadessi in un sonno tormentato.
 
«Lu.»
Quella voce, avrei potuto riconoscerla anche a distanza di anni.
«Lu.»
Mi avvicinai, ma intorno a me era tutto bianco, terribilmente bianco. Allungai una mano davanti a me e provai a chiamare il suo nome, ma dalle mie corde vocali non vibrò alcun suono. Appoggiai una mano sulla gola, aggrottando le sopracciglia.
«Lu? Perché non vieni?»
Sto arrivando, ma tu dove sei?
Mi voltai, freneticamente, ma il bianco era l’unica cosa che i miei occhi erano in grado di poter vedere.
I miei occhi, giusto.
Le mie palpebre scivolarono veloci e mi lasciai guidare dal suono della sua voce calda e terribilmente sensuale.
Il mio cuore pompava sangue velocissimo.
«Lu, sono qui, ancora un po’.»
Un passo, due passi, tre passi…
«Ci sei quasi, non arrenderti piccola mia.»
Quel soprannome, solo lui poteva chiamarmi così. Sto arrivando.
«Ora ci sei, apri gli occhi.»
Le mie palpebre si sollevarono lentamente ma ciò che vidi mi lasciò sgomenta. Il bianco era diventato nero e sotto di me c’era uno strapiombo, un abisso, lungo, profondo, denso e infinito. Come la paura che io provavo. Feci dei passi indietro, barcollando e incespicando.
No!
«Piccola, abbandonati a me.»
Improvvisamente sentii sul mio corpo delle mani, forti, dure, violente. Urlai, o almeno, ci provai perché ancora le mie corde vocali si ribellarono al mio volere.
No, no!
Provai a ribellarmi, ma il mio corpo sembrava essersi paralizzato.
«Forza! Forza Lucy! Dov’è quella spavalderia che mostri sempre quando parli, sfidi o minacci? Dov’è?! La verità è che non c’è, tu esteriormente sembri forte, ma all’interno sei debole, schifosamente debole. Te la prendi con le persone che ti vogliono bene e non reagisci come si dovrebbe con quelle che ti fanno del male. Lucy, rinsavisci!»
Questa non era la sua voce, sembrava invece la mia, anche se io non avevo parlato. Quella non era altro che la mia coscienza interiore. Mi aveva sbattuto in faccia la realtà delle cose, con crudeltà.
La verità fa male, l’avevo sempre pensato.
Quelle mani non facevano che starmi addosso, percepii persino le unghie ma io non riuscivo a muovermi.
Ero debole.
Debole.
Debole.
Quella parola continuava a rimbombarmi nella testa come un’eco lontana.
Schiusi le labbra e cercai di urlare ancora.
Improvvisamente fu come se venissi risucchiata, le mani scivolarono dal mio corpo e io venni catapultata fuori.
 
Mossi le braccia, urlando e scalciando.
«Lucy!» gridò qualcuno.
Delle braccia mi strinsero e mio sbattei il naso contro quello che doveva essere un petto, ben delineato e bollente.
«Sht, stai calma, ci sono io ora.» sussurrò.
Osai solo in quel momento aprire gli occhi e mi ritrovai abbarbicata contro il corpo caldo di Natsu. Scoppiai a piangere, forte. Le mani del rosato corsero dietro la mia schiena e mi strinsero forte a lui, sistemandosi meglio sul mio letto e mettendosi in una posizione più comoda per abbracciarmi in una stretta che quasi mi privò del respiro. Il mio corpo aderiva perfettamente al suo, eravamo talmente vicini da poter sentire il suo respiro infrangersi sulla mia spalla scoperta e su parte del collo. Ma io ero troppo occupata a piangere e a sfogarmi per dar importanza a tutto questo.
Indossavo solo una maglia lunga troppo larga, che mi cadeva sempre da una spalla, al di sotto di essa non avevo pantaloni. Eppure Natsu non sembrò farci nemmeno caso.
Continuava a sussurrami parole e massaggiarmi con decisione la schiena, continuò finché il mio pianto non divenne unicamente un singhiozzo, solo allora le sue mani iniziarono a rallentare i movimenti, essere meno decise, quasi solo un tocco leggero coi polpastrelli. Ero sudata, sentivo la maglietta appiccicata contro il mio corpo come una seconda pelle, ma a lui non sembrava dare fastidio.
Lo apprezzai molto.
Solo quando finii di piangere tolsi le mani dal viso e le allungai verso il corpo del mio fratellastro, ricambiando l’abbraccio.
«Ti ho sentita urlare, hai svegliato tutti.» sussurrò appoggiando le labbra contro la mia fronte.
«Davvero? Mi dispiace.» brontolai.
«Non ti preoccupare, ho spedito tutti quanti a dormire e ho detto che mi sarei occupato io di te.»
«E Sting ha sul serio accettato senza fare storie?»
Lo sentii sorridere. «No, ci ho impiegato un po’ per convincerlo, voleva che fosse lui a consolarti.»
Sorrisi anche io, immaginavo. «E tu come mai hai insistito per venire al posto di mio fratello?»
Rimase in silenzio, tanto che pensai non avesse intenzione di rispondere. Quando schiusi le labbra per riprovarci, lui parlò. «Perché volevo farlo io.»
Strinsi improvvisamente la sua maglietta tra i pugni. «Perché?»
«Perché sì.»
«Non è una motivazione valida.» sbuffai.
Ridacchiò e a quel suono mi sentii decisamente meglio, fu come una ventata di sensazioni positive. Non me lo spiegai nemmeno io ma mi piaceva come suono, per non parlare della sua risata. «Per ora è valida.»
«Per ora?»
«Ma come siamo curiosi.»
Percepii le sue labbra arricciarsi e premere sulla mia fronte, poi sentii uno schiocco.
Sbarrai gli occhi.
«Perché?»
Lui si allontanò appena, quanto bastava per potermi guardare negli occhi. «Perché cosa?»
«Perché ti prendi gioco del mio cuore?» mi accigliai. «O Lisanna o me, scegli Dragneel.»
Lui strabuzzò gli occhi, evidentemente sorpreso. «I-io… Non-»
«Come pensavo, esci da qui.» ordinai, delusa.
Ma davvero ero delusa?
«Lu, aspetta.» tentò lui.
Con uno scossone mi liberai di lui e cercai di farlo scendere dal letto, spingendolo. Mi pizzicavano gli occhi, di nuovo.
«Fuori!» ripetei con maggior enfasi, spingendolo più forte.
Ma il rosato continuava ad aggrapparsi alle mie braccia, tenendomi stretta a sé, nonostante io stessi usando persino i piedi per spingerlo.
«Per favore, Lucy!» la sua voce si alzò.
Serrai le palpebre e ci misi maggior forza, riuscendo a buttarlo giù dal letto, ma quel maledetto riuscì ad afferrarmi l’avambraccio e trascinarmi con sé, facendomi cadere sopra di lui con un tonfo e sbattendo un gomito sul pavimento freddo. Gemetti per il dolore e mettendogli una mano sulla faccia, cercai di rialzarmi sibilando ogni tipo di insulto.
Ma lui appoggiò le mani sulle mie spalle e mi costrinse a rimanere giù.
«Natsu!» quasi urlai.
«Sono stato costretto!» sbottò lui, improvvisamente.
Mi fermai, di botto.
“Cosa?”
Lo guardai a lungo e osservai quegli occhi espressivi, quasi come se potessi leggervi all’interno tutte le risposte che avrei voluto avere da lui. Mi accigliai, continuando a fissarlo. «Spiegati meglio e fai che la risposta questa volta sia abbastanza esaustiva, o giuro che mi metto ad urlare e mi invento la scusa che hai cercato di mettermi le mani addosso.»
Lui sbuffò. «Non posso.»
“E va bene…”
Presi un lungo respiro e schiusi le labbra per far librare l’urlo dalle mie corde vocali. Ma Natsu fu più svelto, mi tappò la bocca con una mano, premendo deciso.
«Okay, okay! Ma stai zitta!» grugnì. «Maledizione, se finisce male è solo colpa tua…» sibilò.
Inarcai un sopracciglio. «Avanti.»
Lui abbassò lo sguardo, l’espressione totalmente corrucciata. «Sono stato minacciato, mi hanno detto che non mi devo avvicinare a te per nessun motivo, o le persone che mi sono più care potrebbero ferirsi.» sussurrò, come se avesse timore di farsi sentire.
Fu come se mi mancasse la terra sotto i piedi, mi tirai su a sedere, non rendendomi conto di essere ancora posizionata sopra di lui. Guardai un punto non definito del muro, gli occhi spalancati e le braccia che cadevano inermi lungo il corpo.
Perché? Perché non me ne andava mai bene una?
Una lacrima scivolò rapida e solcò la guancia, rigandomi la pelle. Perché mi sentivo presa in giro?
«Perché continui a prenderti gioco di me?»
Lui mi guardò come se fossi impazzita. «Ma ti ho detto la verità!» sbottò.
Mi alzai, quasi barcollando e ciondolai fino all’armadio, frugai tra l’infinità di vestiti e tirai fuori una valigetta nera. La aprii ed estrassi la carabina che usavo quando andavo al poligono, la caricai con un piombino e la puntai contro il rosato.
Lui sbarrò gli occhi ed indietreggiò fino a quando la sua schiena non sbatté contro il comodino che era a fianco al letto, l’abatjour che vi era depositata sopra tremò leggermente.
«Esci da questa stanza o giuro sulla mia anima che ti riempio la testa di piombo.»
Natsu non se lo fece ripetere due volte, come una molla saltò in piedi ed uscì dalla mia stanza alla velocità della luce.
Le mie gambe cedettero e le mie ginocchia si schiantarono contro il pavimento. Sentii il dolore arrivarmi al cervello ma l’apatia di quel momento mi permise di ignorare il male.
Le parole e la scommessa che avevo fatto con Levy mi tornarono prepotentemente alle mente. Accarezzai la carabina e guardai fuori dalla finestra.
“Come era ovvio, la scommessa potrei vincerla già anche ora.”
Mi alzai a fatica e presi una decisione.

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