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di alteria95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I DUE SENTIERI ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO SECONDO: L'INCONTRO ***
Capitolo 3: *** IL SILENZIO ***



Capitolo 1
*** I DUE SENTIERI ***


PROLOGO
Sono ferma, appoggiata al davanzale della finestra in salotto. Guardo il giardino, le sue sfumature ricamate di luci e ombre. Fuori nevica e l'aria è invasa da un dolce biancore, fatto di leggera malinconia soffusa. Il cielo è candido, non si riesce a scorgere nulla, solo un profondo silenzio che sovrasta il mondo. Il vento gelido muove le ultime foglie autunnali attaccate ai rami. La neve si accumula sull'erba, un cristallo sopra l'altro. Avverto i ricordi più lontani, quasi dimenticati, tornarmi in mente. Ultimamente non ho voglia di fare nulla, mi manca l'energia per alzarmi volenterosa la mattina. Sono lontani i bei tempi in cui mi  svegliavo pronta a vivere una nuova giornata. A dire il vero avevo motivi piuttosto forti per vivere: non vedevo l'ora di vederlo. Lui era la luce delle mie giornate. Un sorriso amaro mi affiora sulle labbra. Bastava che mi guardasse, uno sguardo ed era fatta, la giornata era subito più bella. Come passano in fretta gli anni e i mesi, le ore. All'inizio sembra che manchi una vita alla fine di una giornata, poi ti ritrovi a sera senza nemmeno renderti conto di ciò che è successo. E' sempre bastato poco per rendermi malinconica: una canzone, una frase lasciata a metà, un libro o un film. Non ho mai pensato alla tristezza come a un fattore negativo; trovo anzi che abbia un qualcosa di poetico, un non so chè di magico. E' dalla tristezza che nascono le cose migliori, ti apre il cuore e ti spalanca i pori della pelle. Adesso sembrerà che io sia una strana moralista con le idee poco chiare, ma provate a immaginare un mondo senza tristezza. Persino la felicità perderebbe di significato, non avrebbe più nessun senso. Ho freddo ai piedi, le dita sono congelate. Quasi quasi mi metto i calzini. Mi piace casa mia, è piccola e accogliente. Al piano di sotto ci sono la cucina, minuscola e tutta in legno, e il salotto, con un bel camino e tanti cuscini. Ho anche una sedia a dondolo di cui vado molto fiera. Per raggiungere il piano superiore c'è una scalinata ripida e stretta. Sul soppalco ci sono il letto, il guardaroba e la libreria. Fuori ho un giardino, un fazzoletto di terra molto disordinato e lasciato a se stesso. Mi piace la spontaneità della natura: deve essere libera e selvaggia. Ogni tanto è bello abbandonarsi allo scorrere dei pensieri. La tempesta continua a imperversare fuori dalla finestra. Mi piacerebbe avere qualcuno con me, una persona con cui condividere una coperta in una notte come questa. Purtroppo, per la mia stessa stupidità, sono rimasta sola, senza la persona che amo. Io amo Samuel e l'ho tradito. Non riesco a definire precisamente il motivo che mi ha portata a farlo. Forse avevo paura, paura di non poter tornare indietro, paura di non poter mai più stare con qualcunaltro. Il punto è che non mi sono quasi resa conto di quel che stava succedendo e mi sono ritrovata nel letto di un altro ragazzo. Vorrei poter dire che non mi sia piaciuto, ma sarebbe una menzogna bella e buona. E' stata un'esperienza bellissima, ma non valeva il prezzo di ciò che ho perso. Povero Sam. Mi sto lamentando, quando dovrei solo stare zitta. Chissà come sta, mi manca da morire. Magari sta con un'altra ragazza. Mi mancano le sue mani, morbide e calde, e il suo profumo. Mi rimaneva sempre addosso, ogni volta che lo abbracciavo. Passavo le ore ad annusarlo, adoravo il suo odore. Aveva un sorriso così dolce, quando mi guardava sembrava vedesse la sua salvezza. Come ho potuto fargli questo... Certe serate sono l'ideale per perdersi nei sensi di colpa. Non so cosa fare: non c'è niente che mi ispiri. Nessun film mi distrarrebbe e nessuna canzone mi aiuterebbe. Ho acceso il camino e la casa puzza di fumo, ma non ho voglia di aprire le finestre. Senza un minimo di volontà mi alzo e lo faccio: una brezza gelida trasporta qualche solitario fiocco di neve. Che stanchezza, sento tutte le membra intorpidite. Mi piacerebbe scrivere, sento che è il momento adatto. So che farei nascere una storia con un'anima, una storia che sanguina. Prendo il computer e mi rimetto sulla sedia a dondolo. Vorrei mettere qualcosa di me in quello che scriverò. Posso sempre provarci. E' così relativo il passaggio fra realtà e fantasia... Noi tutti potremmo essere solo parole scritte a inchiostro nero su un foglio di carta stracciata.
CAPITOLO PRIMO: I DUE SENTIERI

Scarlett si allontanò, nascosta nell’ombra della notte. 
Era sola, non c’era anima viva in giro: l'unico suono che tradiva la sua presenza era il rumore dei passi affrettati sul cemento. Qualche cane rabbioso abbaiava, rinchiuso dietro a un cancello. La luna rifletteva la sua pallida luce sulle strade semibuie. In lontananza si udiva il rumore delle macchine che scorrevano nel traffico cittadino. Scarlett tremava, terrorizzata dal suo stesso respiro. Si girò: due occhi verdi la fissarono nell'oscurità. Una mano le afferrò un braccio e la trascinò di peso dietro una porta socchiusa di legno rovinato. 
Sam correva a perdifiato: ispira, espira, ispira, espira. Un passo dopo l’altro, fuggiva dalla sua stessa vita, priva di senso e piena di ricordi. Aveva il fiatone, ma ogni passo era una conquista verso quel futuro in cui sperava da anni. Era stufo di aspettare. Lo scorrere dei giorni, uno dopo l’altro, monotoni, assurdi, privi di vita, lo logorava.
Il grigiore lo stava uccidendo, la sua intera esistenza era un disperato grido in cerca di aiuto. Era solo: la donna che fingeva di amare era una bugiarda, come lui del resto. Era talmente schiacciato dalle menzogne e dalle ipocrisie che respirava per miracolo. I suoi genitori, ognuno perso nel suo mondo, a mala pena si ricordavano di lui, persino gli amici erano spariti. Aveva perso il lavoro e il litigio con Kathleen aveva degenerato la situazione. In realtà la famosa situazione non era mai stata tanto rosea: erano solo illusioni di un'apparenza infida e bugiarda. In spalla soltanto uno zaino, scappava da quegli anni perduti, consapevole di non poterli più recuperare. Non si può cancellare il passato, bisogna imparare a conviverci. Svoltò a un incrocio e giunse di fronte al mare: ne sentiva l’intenso profumo di sale, il suo sguardo fuggiva all’orizzonte. Finalmente rallentò. I suoi occhi tristi erano pieni di quella magnetica visione. Immaginò di essere inghiottito da un’onda e di essere trasportato sul fondo roccioso per l’eternità: il silenzio non è mai reale come nei luoghi dove non è mai stato emesso un suono. L'acqua sarebbe stata una tomba perfetta: ovattata, silenziosa, traditrice. Che morte invisibile sarebbe stata, nessuno se ne sarebbe accorto: morto così com’era vissuto. Dandosi del codardo, si allontanò dalla ringhiera su cui era poggiato, l’unica barriera tra se e la morte. Camminava lentamente, la luce di follia nei suoi occhi si stava spegnendo. Forse dovrei tornare a casa. No, non l’avrebbe fatto, mai e poi mai. L’incubo era finito. Sfilò dallo zaino un pacchetto di Marlboro rosse e ne accese una: gli piaceva l’odore intenso, profumato del tabacco. I suoi passi avanzavano sul marciapiede, il fumo della sigaretta intonsa lo seguiva come un cane fedele.                                               
                                                    
Scarlett si risvegliò frastornata, carponi sul marciapiede di una strada che non aveva mai visto prima. Si guardò intorno spaesata, ma non ricordava nulla della sera prima. Una fitta nebbia le avvolgeva la mente ogni volta che cercava di capire cosa fosse successo. 
Che diavolo mi è capitato? Devo essere caduta e aver sbattuto la testa. Ma come ci sono arrivata quì? Ho passato tutta la notte sdraiata su questo marciapiede?! Ok, ieri sera sono uscita con Thea. Stavo tornando a casa, e poi cos'è successo? Se solo riuscissi a ricordare...
Era quasi l’alba e il sole non era del tutto comparso. Una debole luce illuminava scarsamente il cielo. Cercò di alzarsi, ma il suo equilibrio vacillava. Inciampò per terra. Toccandosi la testa, gemette di dolore: un brutto bernoccolo era apparso in mezzo ai folti capelli rossi. Lasciò passare qualche minuto e, quasi certa che le gambe avrebbero retto, si alzò. Fece qualche passo di prova e si allontanò, vagando per le strade sconosciute. Intorno a lei c’erano fabbriche grigie, palazzi vuoti e cancelli arrugginiti. Cani rabbiosi abbaiavano solitari. Era nel quartiere industriale, il cuore grigio di ogni città. Cercava un’uscita da quel labirinto di viuzze, dal silenzio colmo d'angoscia che riempiva l'aria. La malinconia la stava avvolgendo. Scarlett camminava per strada, il ticchettio dei suoi stessi passi le faceva compagnia. Che tristezza. In questo posto dimenticato dal mondo il cemento strangola il sole e sembra che nessuno ci faccia caso. Guardandosi intorno in cerca di qualche indizio, scorse un giovane in lontananza: era sulla ventina, alto e magro, un naso lungo e diritto, penetranti occhi verdi. 
La bellezza dello sguardo profondo e del volto raffinato catturava magnetica ogni pensiero sfuggente. Un profumo inebriante raggiunse le narici di Scarlett. La ragazza, magnetizzata dalla misteriosa figura, lo fissava in silenzio. Lui alzò lo sguardo su di lei e la osservò per qualche istante. I suoi occhi le leggevano l'anima, un’occhiata densa di parole da cui era difficile staccarsi. Scarlett parlò per prima: “Ecco, io… Scusa, sai dirmi dove posso trovare la fermata d’autobus più vicina?” 
“Vai dritto per un centinaio di metri e alla seconda gira a destra. Buona fortuna.”  Una voce profonda e affascinante scaturì dalle sue labbra. Scarlett ringraziò intimidita e staccò lo sguardo. Il volto del ragazzo aveva risvegliato in lei una strana sensazione. Perchè mi sembra di conoscerlo? Lo vide allontanarsi e impallidire come uno spettro nella nebbia mattutina. Si risvegliò all’improvviso, come incantata. L'ho sognato o era davvero davanti a me? Seguì le istruzioni e, senza rendersene conto, si trovò seduta sul sedile sporco di un autobus ancora più sporco. I vetri dei finestrini erano opachi, coperti di polvere e scritte. Il rumore che la circondava la riportò con i piedi per terra: doveva assolutamente tornare a casa. Il suo sguardo vagava fuori dal finestrino, perso in mezzo alla folla cittadina delle sette del mattino. La gente correva, non faceva altro che correre dall'alba al tramonto. Tutto era basato sull’apparire, nulla sull’essere. La vita per la maggior parte di quelle persone era un reality show: come ci si sente a essere una femme fatale? Una donna in carriera tradirebbe il suo fantastico ragazzo? Cosa si prova ad essere fidanzato e scopare ogni notte con una ragazza diversa? Nell'avere dei figli meravigliosi che si bucano di nascosto? I vestiti all’ultima moda e l'apparenza di una vita perfetta servivano a creare l'illusione della felicità. Nessuno avrebbe mai dovuto cedere, essere se stesso, nudo davanti al mondo, o la vetrina di cristallo che dava un senso a quelle vite si sarebbe frantumata. Che importanza aveva se tutto crollava? Era fondamentale mantenere la facciata. 
Cosa può fare alle persone una società di lupi affamata di anime? 
Scarlett era ipnotizzata davanti al finestrino, il flusso ininterrotto dei suoi pensieri le faceva sorvolare l’autobus. 
All’improvviso sentì una mano toccarle la spalla e saltò sul sedile: l’autista, con un sorriso gioviale, la informò di essere al capolinea. Scese dal bus: la strada le era familiare. Distaccandosi freddamente dai suoi pensieri, si avviò verso casa. Josh la stava aspettando.
                                         
Cos’è la vita? Qual è il suo scopo? Questa domanda ossessiona l’uomo dalla notte dei tempi. Elettroni e quark formano supernove, l’uomo, la terra, un albero. Tutto nell'universo è composto dagli stessi elementi fondamentali. I sentimenti da dove arrivano? Cosa c'è di diverso fra una roccia e un essere in grado di amare? Scarlett era ossessionata dalla ricerca di verità. Forse è sbagliato cercare risposte che non arriveranno mai, ma la voglia di capire che mi tormenta è una sete troppo grande per essere estinta. Cosa regola questo universo così dannatamente difficile? Mi sembra di essere ossessionata da tutto. Vita, morte, amore, leggi di fisica, strutture atomiche, droga, sesso... Cosa lega tutto questo?
La vita è un mistero: la felicità sembra un’ospite di passaggio. 
Mi sento sempre più spinta a credere che sia solo un'illusione. Forse l'essere umano non è nato per essere felice. Forse la felicità è solo l'attesa di un momento, che quando si realizza non smette mai di deluderci. Mi sento esplodere, come se fossi sull'orlo di un precipizio e scivolassi ogni secondo più in giù.
 Mentre mescolava verdure e riso in una vecchia pentola di ghisa, Josh sbucò da dietro la porta della cucina. Si avvicinò traballando a Scarlett e le sorrise sghembo. Non si era nemmeno accorto della sua assenza quella notte. Era tornato dal lavoro alle quattro passate ed era crollato sul letto. Quel mattino, aprendo la porta di casa, Scarlett aveva temuto un'ennesima litigata: non ne poteva più, ogni scusa era buona per discutere. Quando lo aveva visto profondamente addormentato, non era riuscita a trattenere un sospiro di sollievo. Josh la raggiunse in fretta, solo un respiro li divideva. Le sfiorò delicatamente una spalla: Scarlett ebbe un silenzioso attacco di ribrezzo. I suoi lunghi capelli erano unti e appiccicosi e l’alito puzzava di erba. Qualche anno prima, quando erano fuggiti insieme verso un futuro romantico, era un bel ragazzo. Alto, occhi penetranti e lineamenti spigolosi, era decisamente attraente. Scarlett lo fissò, lo sguardo vuoto, e dopo qualche secondo si allontanò con la scusa di apparecchiare. Servì la cena nei piatti e Josh come sempre ebbe da ridire. "Piccola... Perchè cucini sempre e solo verdure, cazzo? Non ti impegni mai per me! In fondo me lo merito, con tutto quello che faccio in questa casa." Da quando aveva trovato un lavoro e contribuiva economicamente, tirava fuori sempre la stessa frase per potersi lamentare di tutto. Scarlett ribolliva dalla rabbia. Evitò di parlare, il volto livido. Una parola... Pronuncia un'altra sola fottuta parola ed esplodo. Mise un boccone in bocca e fece fatica a mandarlo giù per quanto era stopposo. Finì velocemente di cenare, lavò i piatti e si infilò in bagno, chiudendo a chiave la porta. Non voleva ricevere brutte sorprese anche quella sera. Aprì l'acqua calda nella vasca e afferrò un libro che stava finendo di leggere. Aveva paura di andare a dormire. Non voleva nemmeno che lui la sfiorasse, la sola idea la disgustava. Aspettava sempre che il ragazzo si addormentasse prima di  avvicinarsi al letto. Si immerse nell'acqua calda e si isolò nell'anestesia che solo la parola scritta sa donare.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO SECONDO: L'INCONTRO ***


                                                                       
Sam era stanco morto, sognava di seppellirsi tra le coperte di un morbido letto. Era in piedi dall'alba e ormai le stelle brillavano nel cielo terso. Un vento gelido lo scuoteva dalla testa ai piedi e lui tremava per il freddo. Cominciava a sentire i morsi della fame e tutto sembrava andare per il peggio. Non importa, almeno sono libero. Posso avere fame, freddo e sonno, ma sono padrone della mia vita. Ho spezzato la catena. Dove dormirò questa notte? Come posso cavarmela senza neanche un posto per riposare? Continuò ad avventurarsi lungo la spiaggia, sugli scogli. Schizzi di violenza arrivavano dal mare. Poco dopo decise di accamparsi da qualche parte. Al resto avrebbe pensato più avanti. Trovò un angolo riparato dietro a dei cespugli, prese una coperta dallo zaino e la stese sull'erba bagnata. Si addormentò raggomitolato, cullato dal fruscio delle onde.

Si svegliò all'alba, intirizzito dalla sua prima notte all'aperto. L'aria era gelida, l'umidità penetrava nelle ossa: aveva male dappertutto. Si alzò in piedi e si stiracchiò. Sentiva gli occhi bruciare per la stanchezza, i capelli si erano appiccicati alla fronte madida. Si leccò le labbra secche e tagliate: sapevano di sale. Si avvicinò al mare per fare due passi: adorava il profumo intenso della salsedine, il rumore delle onde. Agguantò i pochi centesimi che aveva in tasca, pensando di mettere qualcosa sotto i denti. Presto avrebbe dovuto fare i conti con la vita. Di certo non posso dormire in strada per sempre. Aveva con sè qualche risparmio, non abbastanza da permettergli di vivere a lungo. Arrotolò la coperta sotto un braccio, prese lo zaino e si avviò verso il primo bar sulla strada. Entrò: un'ondata di calore lo avvolse, l'umidità tra i capelli e sui vestiti evaporò. Si sentì subito meglio. Il locale era avvolto nella penombra. In un angolo lontano un caminetto scoppiettava allegro, sul lato opposto grandi finestre davano direttamente sul mare. Un odore salmastro di legna bruciata permeava l'aria. Si sedette a un tavolo libero e osservò la gente intorno a sè. Si chiedeva sempre che vita facessero le persone che scorgeva in mezzo alla folla: i loro problemi, le piccole gioie, le sofferenze. Tutti loro erano protagonisti delle proprie vite e comparse in quelle degli altri. Ordinò una brioches al cioccolato e un caffè. Il caldo del negozio e il cibo gli misero addosso una strana euforia. Decine di persone facevano la fila al bancone, poche altre erano sedute sulle panche. Lo sguardo gli cadde su una ragazza molto bella seduta di fronte a lui: i lineamenti del suo volto erano particolari, gli occhi scuri e ombrosi, intensi. Sam le si avvicinò, intenzionato a chiederle una sigaretta e a strapparle il numero di telefono. Lei alzò il volto e lo fissò con un'occhiata di fuoco. Sam non ebbe piu il fiato in gola per parlare. La ragazza gli sorrise ironica. Lui non aspettò un secondo a raccogliere la sfida e sfoderò la sua voce migliore.
"Ciao, io sono Sam. Sono venuto qui con la scusa di una sigaretta, ma ora che ti guardo meglio mi rendo conto che ci vuole ben altro per avvicinarsi a una ragazza come te". Le pupille della ragazza si dilatarono: uno sguardo di un vellutato verde magnetico scavò la sua anima in profondità.
"Hey Sam, con chi credi di avere a che fare? Smettila di fare il grand'uomo. Avrai meno di trent'anni e sono certa che ti comporti così con tutte le ragazze che ti capitano fra le mani. Non amo essere presa in giro, non sono un'oca giuliva e non ho affatto bisogno di uno come te."
La ragazza aveva una voce calda, intensa, con un leggero accento scozzese.
"Scusa, ma adesso chi si atteggia? Sembri una ragazzina, è inutile che ti dai tante arie da donna di mondo." La ragazza lo fissò torva, le sopracciglia oblique. Sam non abbassò lo sguardo. C'era tensione fra i due, l'intesa si era già creata. "Il conto per favore, non amo i disturbatori. Ora Sam, se permetti, vado a lavorare. Ti auguro una buona giornata. Spero che trovi qualcuno che stia ai tuoi giochetti."
"Hey aspetta... Dimmi almeno come ti chiami."
"Perchè mai dovrei dire il mio nome a un perfetto estraneo? Addio, spero." 
Si alzò di scatto, afferrò la borsa e lasciò Sam seduto da solo. Era rimasto folgorato dal carattere di quella ragazza. Che diavolo mi sta succedendo? Pagò il conto e uscì dal bar. La brezza mattutina accompagnò i suoi passi e gli rischiarò i pensieri. Aprì lo zaino e tirò fuori una sigaretta dal pacchetto: finalmente era libero di fumare. Kathleen, da brava salutista, glielo impediva, così come gli proibiva il caffè, la carne e la birra. Lo trattava sempre come un bambino disobbediente. Il sesso era la cosa peggiore di tutte: non era spontaneo, naturale, passionale come solo il sesso può essere. Dovevano farlo una volta a settimana in un giorno prestabilito, con una monotonia e un grigiore in grado di cancellare ogni spirito ardente. Non era mai stato così felice di lasciarsi alle spalle una persona. Accese la sigaretta e inspirò il primo tiro. Guardò le spirali di fumo librarsi nel cielo. Il panorama che aveva di fronte agli occhi era a dir poco mozzafiato. Il mare era fiancheggiato dai dolci pendii delle colline perse nella nebbia del mattino. Gli scogli aspri e taglienti, grigi come il ferro, accompagnavano lo sguardo all'orizzonte. Gettò il mozzicone a terra e si incamminò sul lungomare. La scogliera abbracciava dolcemente la marea, due amanti che scappano e si ritrovano per l'eternità. 
La verità è che a quelli come me piace fare i poeti maledetti. La sigaretta in bocca, l'odore di sale addosso e i versi malinconici sulle labbra. Mancano solo la voce roca Tom Waits in sottofondo e una copia de "I fiori del male" in mano. Chissà come si chiama quella ragazza. Ha carattere da vendere, ma non so niente di lei. Hahaha... Sam, sei ancora lì che pensi alle donne. L'esperienza non ti ha insegnato proprio nulla, eh? In ogni caso, devo muovermi a trovare un lavoro e una casa. Non posso vivere in eterno come un barbone. 
Sentiva il viso che gli pungeva, un peso sul petto lo stava opprimendo: capì di provare del rimpianto. Rimpianto? Mi sto forse pentendo di quello che ho fatto? Ok, è stato un gesto avventato, avrei dovuto pensarci qualche attimo in più, ma era la cosa giusta da fare. Non era felice nella sua vecchia vita, ma ora che possibilità aveva? Lontano centinaia di chilometri da casa, non conosceva nessuno, non aveva un lavoro o un posto in cui vivere. All'improvviso si ricordò del motivo per cui era partito e ogni segno di rimorso scomparve. Un paio di mesi prima era tornato a casa dal lavoro e aveva trovato Kathleen in uno stato pietoso. I capelli elettrici, la faccia bordeaux, gli occhi pieni di risentimento: era sull'orlo di una crisi di nervi.
"Che succede, tesoro? Cosa è andato storto oggi?" aveva chiesto con voce stanca. "Cosa è andato storto??? Lo sai benissimo!"
"Ti sbagli Kate, non so proprio di cosa tu stia parlando."
"Non fare finta di niente, per Dio! So tutto di Emma."
"Giusto per capire... Cosa sai di Emma?"
"So quello che basta. Ho letto le sue lettere, sai? Piene di frasi d'amore... Come se io fossi stupida!"
"Kate, quelle lettere sono molto vecchie. Non so dove tu possa averle trovate, ma sono solo ricordi."
"Ricordi? Allora davvero pensi che io sia scema! E' per questo che fai sempre tardi la sera. Altro che lavoro, ti vedi con lei! Dimmi, da quanto tempo va avanti?"
"Tu proprio non capisci! Sei stupida! Emma è parte di un passato che non tornerà mai più."
Kate a quel punto era scoppiata in lacrime e Sam l'aveva abbracciata.
"Cosa c'è che non va in noi? Perchè finisce sempre così?"
"Forse non siamo fatti per stare insieme... Forse abbiamo bisogno di allontanarci, dividerci, prendere una pausa per riflettere. Dovremmo imparare a vivere e respirare aria pura."
"Oh, Sam, non riuscirei a vivere un solo istante senza di te."
Perchè io ci riuscirei benissimo?
"Sam, io... Sono incinta."
Il ragazzo la guardò con gli occhi spalancati, una stranissima sensazione lo assalliva alla bocca dello stomaco.
"Cosa? Un bambino? Io e te?"
Aveva sempre sognato di avere figli, ma in quel momento, con quella donna... Nonostante tutto scoppiò a ridere per la felicità. 
"Già. Mi sono resa conto di avere troppi giorni di ritardo nel ciclo, così ho fatto il test... Era positivo. Non hai idea dell'ansia che provavo. Avevo paura di come avresti reagito, credevo che non volessi il bambino."
"Sai benissimo che non ti avrei mai chiesto di abortire! Ora dobbiamo festeggiare."
Sam la baciò con ardore e quella sera, per la prima volta dopo molto tempo, fecero l'amore con passione. Il ragazzo non vedeva l'ora di diventare padre, di stringere tra le braccia un morbido bambino. La vita iniziava finalmente ad avere un senso, la luce del sole inondava ogni pensiero. Kate era sempre nervosa e irascibile, attribuiva il cattivo umore alla gravidanza. Lui non la amava, ma con un bambino sulle ginocchia avrebbe potuto sopportare un'intera vita con lei. In fin dei conti, forse l'amore non esisteva nemmeno, tanto valeva accontentarsi di un futuro sereno. Se solo penso al modo in cui mi ha preso in giro, a come mi ha mentito... Ora devo smetterla di pensarci. Dai Sam, ce la puoi fare. Kate non esiste più, è stato solo un brutto sogno, un ostacolo che va superato. Hai una nuova vita che ti aspetta e questa volta la devi costruire passo per passo. Farai attenzione a non inciampare e alla fine riuscirai a dimenticare tutto questo.
Nonostante le belle parole, il ragazzo non riusciva a dimenticare, nè a far finta di niente. Non poteva lasciar perdere, dopo essersi illuso per così tanto tempo. Non avrebbe mai dimenticato il momento in cui aveva trovato la scatola di pillole abortive. Stava cercando dei fazzoletti, così aveva pensato di guardare nel mobile in bagno. Sulla mensola, nascoste dietro a un pacchetto di assorbenti, aveva trovato la prova delle bugie di Kate. Erano passati tre mesi dal giorno in cui gli aveva annunciato di essere incinta. Quando aveva abortito? In quale momento di quei novanta lunghissimi giorni aveva buttato nel cesso la vita di suo figlio? Gli aveva mentito per tutto quel tempo, ma perchè? Forse non voleva un bambino, ma aveva capito che in quel modo Sam non se ne sarebbe mai andato. Forse voleva solo tenerlo accanto a se un giorno in più, forse aveva capito che fra loro stava finendo e non voleva accettare la realtà dei fatti. La verità, presto o tardi, sale sempre a galla. Quel giorno Sam era impazzito dalla rabbia. Terribili singhiozzi muti lo avevano scosso dalla testa ai piedi, il suo corpo tremava come una foglia in preda al vento. Il fiato gli si era mozzato nella gola, faticava a respirare. Le lacrime non riuscivano a scendere, i suoi occhi traboccavano di muta disperazione. Aveva preso una coperta, dei vestiti, qualche libro ed era uscito di casa. Kate era stata fortunata a non assistere alla scena: per la prima volta avrebbe avuto paura di lui. Gli occhi di Sam, di solito gentili, erano due spirali di ghiaccio, i lineamenti sfigurati dall'odio. Aveva davvero sperato in un bambino, poco importava che la madre fosse sbagliata. Un figlio avrebbe ridato un senso alla sua esistenza malata, ma la vita non era stata così clemente. Forse era meglio così, almeno non avrebbe più avuto a che fare con quella donna ipocrita e egoista. Me ne devo andare di qui e se questo deve essere l'inizio di una nuova vita, devo cambiare dal principio. Era andato alla stazione ed era salito sul primo treno che si era trovato davanti, lasciandosi casa alle spalle.  


Erano quasi dieci mesi che Scarlett lavorava come commessa in un negozio alternativo semisconosciuto. Con una laurea in lettere, quello era l'unico lavoro che aveva e molte volte non bastava a riempire la dispensa. Josh, per miracolo, era riuscito a trovare un lavoro da barman, così le entrate erano raddoppiate, ma fino a qualche tempo prima faticavano a raggiungere la fine del mese. Chissà chi era quel ragazzo che si è avvicinato oggi. Ha detto di chiamarsi Sam. Era davvero carino, peccato per la strafottenza. Cosa me ne faccio di uno che ci prova con tutte? Tanto non lo rivedrò mai più. Quel giorno avrebbe pranzato con un panino, seduta su una panchina del parco, osservando lo scorrere del tempo. Non voleva tornare a casa troppo presto, Josh non sarebbe uscito prima delle cinque e voleva evitarlo a tutti i costi. Passare due o tre ore leggendo sotto un albero non sarebbe stata di certo una tortura. Aveva appena preso qualche libro nuovo in biblioteca e non vedeva l'ora di iniziare a leggere. Adorava l'odore della carta vecchia, il rumore delle pagine sfogliate, l'inchiostro scritto, il potere delle parole e delle storie sull'animo umano. Chissà perchè le persone amano le storie. Sono solo invenzioni, ma ognuno cerca un fondo di verità in ciò che di reale non ha nulla. C'è qualcosa di estremamente magnetico nella vita degli altri, nei modi in cui si può diventare una persona diversa, anche solo per qualche minuto, anche solo per qualche pagina, anche solo per la durata di un film. Sembra che ci sia una sorta di fame bulimica di vite altrui. E poi c'erano quelle volte in cui, senza nessun apparente motivo, aveva le lacrime agli occhi e l'angoscia le dilaniava petto. In quei momenti l'unica cosa che riusciva a tranquillizzarla era un pò di affetto, un abbraccio, un bacio sincero. Josh non riusciva più a rasserenarla da molto tempo e il cuore le rimaneva in gola sino alla fine della crisi. Non voleva pensarci, faceva finta di nulla, si metteva una benda sugli occhi e tirava avanti. La sua unica fonte di felicità era del tutto irreale: la finzione di una storia, la profondità di un disegno o di una canzone. Magari potrei chiamare Thea e fare un giro con lei. Prese il cellulare e compose il suo numero di telefono. L'amica rispose quasi subito. "Ciao Scarlett! Come stai?". "Io tutto bene grazie. Senti, sei libera adesso? Magari possiamo stare un pò insieme." "Emh... Scusami tanto, purtroppo ho già preso un impegno. Che ne dici se ci organizziamo per uscire uno di questi giorni?"
"Ok, va bene. A presto, divertiti ". Thea ha uno strano atteggiamento ultimamente. E' sempre impegnata e sembra quasi che mi voglia evitare. Chissà cosa le sta succedendo. Andò al parco, si sedette sotto una quercia e si mise a leggere.


Sam camminava lento sul marciapiede. Osservava affascinato l'alba riflettersi sul mare, uno spettacolo meraviglioso. Vide in lontananza il bar del giorno prima. Beh, è ora di entrare. Spalancò la porta e un'inaspettata ventata d'aria calda lo avvolse. Si sentì rinascere: era solo la seconda notte all'aperto della sua vita, ma il freddo e l'umidità lo avevano distrutto. Non aveva chiuso occhio tutta notte. Sentiva i muscoli che gli dolevano e la schiena a pezzi. Fece uno sbadiglio colossale, poi si diresse verso il bagno. Chiuse a chiave la porta e fissò la propria immagine allo specchio: vide un volto teso, tirato, che non gli apparteneva. Le occhiaie erano marcate sotto gli occhi e i capelli erano un disastro, la barba scura  iniziava a spuntare sul viso pallido. Cercò di sorridere al suo riflesso, ma il risultato era decisamente forzato. Doveva darsi una sciacquata veloce: sfilò la maglietta e si lavò le ascelle con acqua e sapone. Si asciugò con la carta assorbente e sciacquò la faccia distrutta, nel tentativo di sembrare più riposato. Devo comprarmi un deodorante e una lametta da barba. Oh, forse prima dovrei cercare un lavoro. Meno male che mi sono portato dietro qualche banconota. Diede un'occhiata ai vestiti che indossava: erano sporchi di terra e stropicciati. Inizio già ad avere l'aspetto di un barbone. Maledizione... Come potrò mai ispirare fiducia a un futuro capo o a una persona qualsiasi ridotto in questo stato? Sospirò e cercò di stirare la maglietta con le mani. Almeno ora sono pulito. Uscì dal bagno e prese qualche moneta. Si sedette allo stesso tavolo del giorno prima e ordinò un caffè e una brioches. Ogni volta che qualcuno apriva la porta pesante del bar, lui si girava a controllare chi fosse, il cuore in gola. Sperava di rivedere la ragazza rossa, era lì solo per lei, ma non se ne vedeva nemmeno l'ombra. Che stupido, magari mi sono solo illuso. Fece colazione, pagò il conto e, amareggiato, si avviò verso l'uscita. Aveva abbandonato le speranze. Sono un idiota. Mi illudo sempre e tutte le volte finisce così. Si infilò la giacca, si avvicinò alla porta e la vide. Aveva un buffissimo cappello colorato, era lei senza ombra di dubbio. Sam sorrise fra se e se, si avvicinò con passo nuovamente sicuro e le aprì il portone. "Buongiorno!"
"Oh, sei tu. Non pensavo venissi anche oggi. Sei testardo!"
"Hahaha. Non è andata proprio così, semplicemente non ho nulla da fare dalla mattina alla sera, quindi ne ho approfittato."
"Non mi ricordo nemmeno come ti chiami."
Non ti credo. Puoi dire quello che vuoi, so che lo fai solo per sfidarmi. Non ti sei affatto dimenticata di me.
"Io sono Sam, ma non ho ancora avuto il piacere di conoscere il tuo nome."
"Se proprio vuoi saperlo, sono Scarlett."
"Oh, bene. Almeno adesso so che nome darti nella mia rubrica."
"Tu non mi metterai proprio sotto nessun nome!"
"Hahahah. Parli troppo, Scarlett. Posso offrirti una tazza di caffè?"
"Posso prenderla da sola, ti ringrazio."
"Insisto. Sono un gentiluomo in fondo."
"Ok, gentiluomo... Offrimi questo caffè."
Si sedettero davanti al bancone su due sgabelli alti. Scarlett si tolse il cappello e una massa di riccioli ramati le scivolò sulle spalle. Accidenti, non mi sarei aspettata di vederlo anche oggi. Va beh, almeno, tanto per cambiare, qualcuno mi farà un po' di compagnia. 
"Allora, cosa vuoi prendere?"
"Un cappuccino e una brioches alla nutella. Tu non prendi niente?"
"No, ho già mangiato prima." Scarlett lo guardò per qualche istante.
"Se io non volessi conoscerti? Se mi stessi antipatico?" Maledetto sia il mio orgoglio che mi fa dire certe stronzate.
"Hahaha. Beh, se mi trovi così insopportabile me ne vado. Cosa vuoi che faccia?"
"Resta pure, almeno non sono da sola."
"Ok, come vuoi. Quanti anni hai?"
"Venticinque, tu?"
"Ventisei. Di dove sei? Hai un accento un pò strano."
"E' una storia un po' lunga e non ho voglia di raccontarla. Tu invece? Non so perchè, ma ho l'impressione che nemmeno tu sia di qui."
"Beh, per ora non c'è molto da dire. Negli ultimi tempi la mia vita non era più quella che desideravo. In un attimo di impulso o di pazzia, chiamala come preferisci, sono partito portandomi dietro solo uno zaino, una coperta e un po' di soldi."
"Devo ammettere che hai fegato. Hai un posto per dormire?"
"Emh... Vuoi proprio saperlo?"
"Solo se ti va di parlarne."
Sam sosprirò profondamente. Ok, ora glielo dico.
"Spero che non ti spaventerai e non fuggirai urlando a squarciagola. La verità è che sono ormai due giorni che dormo per strada."
"Dormi per strada? Non hai nessun posto dove stare?"
"No e ovviamente non ho nemmeno uno straccio di lavoro."
"Devo dire che mi sorprendi. Com'è la vita all'aperto?"
"E' la prima volta nella mia vita che prendo una decisione di questo tipo e seguo solo l'istinto, devo ammetterlo. Per ora dormire per strada non mi entusiasma. Non so nemmeno se la scelta che ho fatto è quella giusta. Solo, non ce la facevo più e sono fuggito come un codardo dalla mia vita."
"Ti invidio, almeno tu hai avuto il coraggio di farlo. Io mi sento come incatenata a un palo in una stanza chiusa a chiave. Sono anni che non faccio niente per migliorare la situazione. Tiro avanti, giorno dopo giorno."
"Come sei tragica." Come ti capisco.
"No, sono seria. Purtroppo questa è la verità. Tu, piuttosto, non sei riuscito a trovare nessun lavoro?"
"Se devo essere sincero per ora non ci ho neanche provato, ma mi accontenterei di qualsiasi cosa. Odio stare per strada. Mi sento stupido, inutile, la sola idea mi imbarazza e dire che sono passati solo due giorni."
"Senti, facciamo una cosa. Oggi dovrei andare al lavoro, ma ora chiamo il mio capo e mi do per malata. Dopo andremo a fare un giro e a distribuire curriculum. Vedrai, troveremo qualcosa."
"Ti ringrazio. Tu almeno conosci il posto, io da solo riuscirei a fare poco e niente."
"Di nulla." Scarlett sorrise al ragazzo appena conosciuto. Beh, non è poi così male. Mi aspettavo ben di peggio. Vediamo cosa posso fare per lui.
Finì velocemente di mangiare, poi telefonò al negozio. La sua voce improvvisamente si intasò, come per magia. "Pronto? Ciao Chris, sono io. Ascolta, purtroppo mi sono beccata un brutto raffreddore. No, tranquillo, nulla di grave, ma mi sa che oggi non potrò venire. Mi spiace tantissimo. Sisi, per il resto tutto a posto. Spero di poter tornare domani. Ok, ora devo andare... Allora a presto, ciao."
Sam la osservava, stupito dalla strana situazione che si era creata. Appena Scarlett attaccò, si alzarono e uscirono dal bar. Camminavano uno accanto all'altro, vicini eppure distanti. Solo un soffio di vento passava fra di loro mentre, con le mani in tasca e lo sguardo puntato a terra, avanzavano per strada. Dio, che imbarazzo. E ora cosa le dico? Come faccio a rompere il ghiaccio? Uff, non so proprio di cosa parlare. Non riesco nemmeno a guardarla in faccia. Mi sembra di essere tornato un adolescente goffo e brufoloso. Sollevò gli occhi e la guardò di sfuggita: sembrava imbarazzata almeno quanto lui. Sorrise tra se e se. La vita ci rende proprio patetici. Non sappiamo mai cosa dire al momento giusto e soltanto alla fine ci accorgiamo della nostra stupidità. "Senti Scarlett... Non ti ho ancora ringraziato nel modo giusto per quello che stai facendo per me."
"Ma smettila, va. Lo faccio solo per aiutarti."
"Già... Beh, non so cosa avrei fatto senza di te. Non è da tutti essere così generosi."
"Dai, smettila, è stato solo un piacere. Io comincerei a dare un'occhiata in giro. Che ne pensi di un futuro da cameriere?"
"Penso che sia un'ottima idea. L'ho fatto per anni per pagarmi l'università."
"Hai fatto l'università?"
"Si, mi sono laureato in fisica."
"Wow, non c'è male! In ogni caso, conosco un ristorante niente male e il proprietario è un mio amico. Se ti va possiamo andare a parlargli."
"Perfetto! Si, sono più che pronto."
"Questa notte ti andrebbe di dormire in albergo? Non penso che costi un occhio della testa e casomai posso anticipare i soldi per qualche giorno."
"Tu... Davvero faresti questo per me?"
"Beh, certo, se no per quale motivo te ne sto parlando?"
Sam era sopraffatto dalla gratitudine. 
"Sei la persona più altruista che io abbia mai conosciuto. Nessuno ha mai fatto tanto per me, e ci siamo appena conosciuti..."
"Hahahah, come sei esagerato."
Magari lo fossi. 
"Che ne dici di alloggiare sopra al bar? Dovrebbero avere delle camere piccole ma graziose. Il padrone è molto pulito e dalle finestre entra sempre fresca aria di mare."
"Si, mi sembra un'ottima idea."
"Bene. Vieni, saliamo su quest'autobus. Dovremmo arrivare in cinque minuti." Si sedettero sui sedili vuoti del bus deserto.
Si guardavano imbarazzati, posavano lo sguardo fuori dalla finestra con finta indifferenza e poi tornavano a fissarsi.
"Eccoci. Scendi, ho prenotato la fermata."
Sam inspirò profondamente. Non poteva credere alla propria fortuna. Sorrise alla sorte e scese sul marciapiede. Una ventata di aria fresca gli accarezzò il volto. 

 

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Capitolo 3
*** IL SILENZIO ***


CAPITOLO TERZO: IL SILENZIO
 

Sam si destreggiava fra i tavoli con tre vassoi in mano. "Cameriere, una bottiglia d'acqua, grazie!", "Mi scusi, posso avere un'insalata?", "Hey ragazzo, portaci il conto." Era difficile concentrarsi: doveva portare i piatti in tavola, ricevere le ordinazioni e ascoltare le lamentele dei clienti scontenti. "Ragazzo?" Una donna isterica, seduta da sola a un tavolo in fondo alla sala, continuava a chiamarlo per motivi inutili. Trattenendo un sospiro, Sam si avvicinò a lei per la milionesima volta in venti minuti.
"Mi dica signora, desidera?"
"Questo arrosto non è abbastanza caldo. Non sono per niente contenta del servizio. Fammene preparare un altro, e non pensare che pagherò questa porzione!" Pensa allo stipendio, Sam, pensa allo stipendio.
"Certamente, vado subito a reclamare in cucina".
"Bravo, e vedi di fare in fretta!" Sam sbuffo silenziosamente e portò l'ennesima lamentela ai cuochi stremati.
"Scusate ragazzi, ma l'insalata è scondita, la zuppa è insipida, le patate sono crude e l'arrosto non è caldo."
"E' insopportabile! Facci un favore, sopprimila con un tovagliolo".
"Ahahaha, magari potessi. Non vale la pena di darle un'altra porzione, riscaldate questa. Non se ne accorgerà neanche, posso scommetterci una mano."
Come volevasi dimostrare, quando Sam le porse il piatto fumante la donna sorrise soddisfatta.
"Molto meglio. Vedi ragazzo, quando si insiste si ottiene qualcosa di buono anche dai giovani svogliati come voi." Sam sorrise fra se e se. Sapevo che non te ne saresti accorta, vecchia acida.
"Certo signora, come darle torto. Vorrebbe ordinare qualcosa d’altro?"
"Per ora va bene così. Torna al lavoro, ragazzo." Sam trattenne a stento le risate fino alla cucina.
"Ve l'avevo detto. Non ha battuto ciglio." I cuochi scoppiarono a ridere e non smisero di scherzare fino alla chiusura. Sam salutò, afferrò la giacca e tornò in albergo. Appeso sulla bacheca del bar c'era un cartello interessante. "Affittasi piccola villa in mezzo alla natura. A dieci minuti dalla città, offre una fantastica vista sul verde, lontano dallo smog quotidiano. Per informazioni chiamare il numero 034587691." Sam strappò il foglio e lo mise in tasca. Prese le chiavi della camera e aprì la porta. Una casa in mezzo alla natura. Devo telefonare subito, prima che a  qualcun altro venga la mia stessa idea. Si sdraiò sul letto e afferrò la cornetta del telefono. Una voce femminile rispose dopo pochi squilli. "Pronto?"
"Buonasera, chiamo per avere un'informazione riguardo  un annuncio: si tratta di una casa in affitto. Spero di non disturbare a quest'ora."
"Non si preoccupi, sono sempre disponibile. Stava parlando di un annuncio: è interessato alla villetta?"
"Si, mi riferivo a quella. Lei è la proprietaria?"
"Si, sono io. Desidera fissare un incontro informativo?"
"Volentieri. Che ne dice di domani pomeriggio alle quattro?"
"Va benissimo. Venga in Ridget Road al numero 18 e le mostrerò la casa."
"Ok, a domani. Buona serata." Sam attaccò sorridendo. Forse ho trovato una casa.
 
Sam si svegliò riposato. Per la prima volta dopo molto tempo era riuscito a dormire una notte intera senza svegliarsi. Si stiracchiò e si avvolse nelle coperte: era la sua giornata di riposo. Nel pomeriggio sarebbe andato a vedere la nuova casa. Dopo qualche minuto si alzò e spalancò le finestre sul mare. Si sedette sul davanzale: la vista come sempre era stupenda. L'odore di salsedine pervadeva l'aria, le onde investivano gli scogli affilati. Quella mattina non si riusciva a distinguere l'orizzonte: il cielo e il mare si confondevano in un'unica infinita pennellata cobalto. Mi sento così piccolo davanti a tutto questo. La vita stessa sembra insignificante. Fece una doccia fredda, si vestì e scese le scale. Harry, il proprietario del bar, gli sorrise allegro. "Bella giornata, vero Sam?"
"Bellissima giornata!" Il profumo di caffè gli stuzzicò le narici. Lo stomaco brontolò affamato.
"Cosa ti preparo questa mattina?"
"Per ora nulla, aspetto Scarlett." L'uomo esplose in una corpulenta risata rude. "Scarlett è venuta due ore fa. Ha chiesto di te e io le ho detto che eri ancora in camera. Non ha avuto il coraggio di svegliarti."
"Cosa? Due ore fa? Ma che ore sono?"
"Sono le dieci passate, ragazzo. Ieri sera hai fatto bagordi?"
"Ma va, ho lavorato fino a tardi. Adesso capisco perchè mi sento così riposato: ho dormito più di nove ore."
"Ne avevi bisogno, negli ultimi giorni sembravi molto stanco. Allora, vuoi un caffè e una brioche vuota, giusto?"
"Già, il solito. Grazie Harry, oggi ho proprio bisogno di una dose di caffeina."
Sam soffiò sulla tazza e sorseggiò la bevanda bollente. Prese il cellulare e chiamò Scarlett. La ragazza rispose con voce indaffarata. "Pronto?"
"Ciao, sono Sam. Scusa se stamattina non ho fatto colazione con te, mi sono svegliato solo ora."
"Però, che dormita! Stai tranquillo, non me la sono presa. Sono contenta che per una volta tu sia riuscito a dormire come si deve." 
"Ahahaha, in effetti mi sento benissimo. Allora, ci vediamo per pranzo?"
"Si, certo. Chiudo il negozio fra un paio d’ore e vengo da te."
"Perfetto, a dopo."
Sam finì di fare colazione e andò a pagare il conto.
"Quanto ti devo?"
"Il solito, ai migliori faccio sempre lo sconto." 
Il barista gli strizzò l'occhio con fare scherzoso.
"Ahahaha, sempre troppo gentile. Ascolta un attimo, tu per caso hai visto chi ha attaccato questo annuncio per l'affitto di una casa?" Sam tirò fuori dalla tasca il biglietto spiegazzato e lo aprì davanti al barista.
"Mi dispiace, non ci ho fatto caso. Qui è sempre pieno di clienti e fra una cosa e l'altra non ho mai tempo di fermarmi. Vuoi già abbandonarmi?"
"Ok, grazie lo stesso, nulla di importante. Comunque vado oggi pomeriggio a dare un’occhiata."
Sam sorrise, si vestì e uscì a passeggiare sulla spiaggia. Prese una sigaretta dal pacchetto e, seduto sugli scogli, si mise a pensare. Guardando il mare scuro e tempestoso provò una strana sensazione: era come se si fosse accorto per la prima volta dello scorrere del tempo. Era da molto che non pensava alla sua adolescenza. Veniva considerato “quello strano” da tutti: amava la musica metal, i fantasy e la filosofia. Se ne stava per i fatti suoi, le persone sembravano spaventate da lui. Aspettava il futuro splendido che lo attendeva lì fuori, senza rendersi conto di doverlo costruire. I vestiti neri e i capelli lunghi erano una scusa, un modo per tenere lontane le persone. Si sentiva un cliché ambulante: immaginava le madri agitate dei suoi coetanei dire ai figli: “Stai lontano da quel Sam, non mi sembra affatto un tipo raccomandabile!” I suoi amici erano degli sbandati, ogni uscita era una scusa per spaccarsi di canne e alcol. Si sentiva come un topo in gabbia e faceva di tutto, qualunque cazzata, pur di liberarsi dalle cinghie che lo stritolavano. L'unica persona con cui riusciva davvero a parlare era Nick, un amico d'infanzia. Per qualche tempo tutto continuò così, ma presto Nick trovò una ragazza e non ebbe più tempo per lui. Sam si sentiva più solo di prima e l'idea lo faceva sentire ancora più stupido. Era arrabbiato: come aveva fatto il suo migliore amico a dimenticarsi così in fretta di lui? Contava così poco? Da quel momento Sam si isolò dal mondo, una bolla di sapone lo distaccava da tutto e da tutti. Era emotivamente spento. Usciva con gli amici, stava con qualche ragazza, ma non era più lo stesso: ogni cosa gli era indifferente, non gli importava di nulla. Nessuno riusciva a penetrare la sua barriera e lui era convinto che nessuno ci provasse. I suoi genitori se ne fregavano, si accorgevano a malapena della sua presenza, o per meglio dire della sua assenza. Vedeva sua madre ogni due settimane, ma quei momenti erano sempre imbarazzanti e tediosi, pieni di finzione, e ogni volta che tornava a casa si sentiva come se avesse inghiottito un bicchiere di vetriolo. Suo padre, con cui divideva la casa, era sempre fuori per lavoro, così impegnato da non avere più lo spazzolino in bagno. Sam doveva arrangiarsi e fare i conti con la solitudine quotidiana. Pensava tutti i giorni al modo più indolore per suicidarsi: a cosa serviva vivere, in fondo nulla aveva un senso. Le giornate, l’una identica all’altra, cambiavano di mese in mese, mentre lui rimaneva immobile ad aspettare che la bufera finisse, un povero viandante perso nella nebbia. L'esistenza che viveva era un lento cammino insensato, un minuscolo granello di sabbia trasportato dal vento. Sam riusciva a vedere il terribile squallore delle vite che lo circondavano, ognuna abbandonata a sé stessa. A che scopo continuiamo a respirare se sappiamo che prima o poi saremo cibo per i vermi? Questo genere di pensieri lo tormentava, non gli permetteva di respirare. Come mille adolescenti prima di lui, era ossessionato dall'idea di trovare un senso al grande mistero, di riuscire a sbrogliare il gomitolo che rispondeva alla grande domanda. Un giorno una ragazza si sedette al suo tavolo nella mensa della scuola. Era bella: lunghi capelli castani le lambivano i fianchi, penetranti occhi dorati erano incastonati sul viso più dolce che avesse mai visto. Sam la guardò storto: nessuno osava avvicinarsi a lui e al suo gruppo. Lei, facendo finta di non essersene accorta, appoggiò il vassoio sul tavolo e cominciò a mangiare. "Ciao, io sono Emma. Ho sentito molto parlare di te. Ti chiami Samuel, vero? Ti ho visto seduto qui e ho pensato di fare due chiacchiere."
Sam la fissò stranito. Emma rimase con lui per tutto l'intervallo, parlando senza sosta di cose inutili. Al suono della campana, Sam scostò rumorosamente la sedia e si allontanò. Emma lo seguì e gli toccò una spalla: lui la fulminò con lo sguardo. "Allora ci vediamo domani Samuel, buon pomeriggio!" Il ragazzo si voltò a fissarla mentre se ne andava. Si incamminò verso l'aula di chimica. I suoi amici ridacchiarono tutto il tempo, sfottendolo senza pietà. "Sam Sam ha trovato un ragazza. Sarai capace di starle vicino o scapperà urlando a squarciagola? Magari puoi sacrificarla in uno dei nostri rituali oscuri!"
"Dai ragazzi, smettetela." Al loro passaggio un chiacchiericcio denso di pettegolezzi si sollevò. Qualcosa in quel momento era cambiato.
 
Sam si alzò dalla scogliera e si avvicinò al bar. Era passato parecchio tempo da quando era uscito, Scarlett sarebbe arrivata da un momento all'altro. Spalancò la porta: un'ondata d'aria calda lo investì. Entrò sgranchendosi le membra. Si guardò intorno, ma non c'era ancora traccia della ragazza. Si sedette a un tavolo e si mise a osservare la gente seduta. Dopo qualche minuto sentì una voce familiare risuonargli nelle orecchie. Sollevò la testa: Scarlett lo fissava con i suoi occhi di brace. "Ben svegliato! Sono qui da cinque minuti e non te ne sei nemmeno accorto."
"Oh, scusami. Ero sovrappensiero."
"Ma dai? Non l'avrei mai detto."
Ordinarono due panini e un'insalata e si misero a chiacchierare.
 
                                                  
Scarlett per la prima volta da molto tempo sorrideva felice: la sua vita era cambiata dal giorno in cui aveva conosciuto Sam. Lui era un ragazzo particolare, strano, come lei del resto. Erano simili sotto molti punti di vista, eppure erano irrimediabilmente diversi. Quando erano insieme, non si accorgevano del passare del tempo. Seduti al tavolino del bar, o su una panchina di fronte al mare, parlavano per ore. Sam adorava il mare. Il suo sguardo d'amore verso l'orizzonte era lo stesso che la ragazza sperava di ricevere prima o poi. Davanti a un caffè amaro, con la bocca sporca di briciole, Sam creava qualcosa a cui Scarlett aveva smesso di credere. Era come se nulla al mondo importasse davvero, come se Josh e la sua vita intera non fossero mai esistiti. Una piccola parte della sua anima stava tornando a vivere, ma ogni volta l'orologio scorreva troppo in fretta e per lei arrivava il momento di tornare al lavoro. Sam la accompagnava in autobus, poi andava a distribuire volantini di ristoranti e trattorie a gente disinteressata alla vita. Scarlett si ripeteva ogni giorno Basta, la devo smettere. Ho un ragazzo a cui voglio ancora bene. Non posso comportarmi come una scolaretta alle prime cotte. Sam era diventato parte integrante delle sue giornate. Finalmente aveva ripreso a pensare e a capire: non riusciva a rinunciare all'ossigeno proprio ora che poteva respirare a pieni polmoni. Non riusciva a immaginare la sua vita senza lui, non ricordava nemmeno cosa provasse prima di conoscerlo. La mattina facevano colazione insieme, poi lei andava in negozio e lui a cercare lavoro. Scarlett avrebbe passato la sua intera esistenza con lui, ma ogni giorno tornava a malincuore da Josh e Sam spariva nella nebbia: le sembravano momenti persi quelli passati senza lui. Tornare a casa e trovare Josh che l'aspettava con uno sguardo d'amore era una sofferenza. Le faceva male vederlo lì, seduto sul divano, mentre lei passava le sue giornate pensando a qualcun altro. Avrebbe voluto cambiare la situazione, ma tutto sembrava così difficile... Si sentiva intrappolata dalla sua stessa vita, non riusciva a distaccarsi dalla quotidianità. Non sapeva nemmeno cosa provasse Sam nei suoi confronti. All'inizio le era sembrato interessato, ma con il passare del tempo i loro ruoli si erano scambiati. Anche se avesse lasciato Josh, Sam non l'avrebbe mai voluta in quel modo. Era straziante vivere dilaniata in quel modo, ma almeno aveva trovato un motivo per cui sorridere, qualcosa da aspettare con ansia, un appiglio a cui aggrapparsi sul precipizio della vita. Non avrebbe rinunciato a Sam per nulla al mondo: questa era l'unica certezza.

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